The Girl On Fire - Il Dono

di ValeryJackson
(/viewuser.php?uid=275194)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



Non era così che Skyler aveva sempre immaginato la sua vita.
Certo, non era mai stata perfetta; ma nell’ultimo anno la figlia di Efesto non aveva capito quanto ciò che avesse prima fosse speciale, finché non l’aveva perso.
La tranquillità. La routine. Il non avere ulteriori problemi al di fuori delle note disciplinari a scuola. Erano tutte cose che la ragazza non avrebbe riavuto mai più; non con la stessa facilità, almeno.
Mark Twain aveva detto che i giorni più importanti nell’esistenza di un uomo sono quello in cui sei nato, e quello in cui capisci il perché.
Ma per lei? Quand’è che sarebbe arrivato, quel giorno?
Da quando aveva scoperto di essere una semidea non aveva fatto altro che porsi delle continue domande su quale fosse il proprio scopo, senza mai trovare le giuste risposte. E il non sapere l’aveva inesorabilmente cambiata, rendendola più vulnerabile, più impaurita; più insicura.
Dopo ciò che era stata costretta a subire l’estate precedente, poi, si sorprendeva di come avesse fatto (nonostante tutto) a restare in piedi.
Era iniziato tutto la volta in cui aveva permesso a MatthewPrometeo (dei, faceva ancora fatica a chiamarlo così) di posare le sue labbra voluttuose sulle proprie, portandole via qualcosa di cui solo ora sentiva inspiegabilmente la mancanza.
Il suo fuoco, l’aveva chiamato il titano. Ma per quanto si sforzasse, la mora non riusciva ancora a dare un senso a quella frase. Certo, l’eredità di suo padre le permetteva di manipolare – con le dovute eccezioni- quell’elemento come più le piaceva; ma questo non spiegava come mai quell’essere avesse scelto proprio lei, tra i tanti. Perché volesse proprio il suo, di potere.
Ad ogni modo, con un po’ di fortuna Skyler era riuscita a non morire, quel giorno; ma la perdita di quel qualcosa che non sapeva neanche di avere l’aveva condotta prima ad un coma irreversibile, e poi ad un arresto cardiaco in piena regola.
Come aveva fatto a sopravvivere? Non ne aveva idea.
Perché era stata risparmiata? A questo sapeva replicare anche meno.
Le cose avevano cominciato a precipitare, però, solo due settimane dopo il suo risveglio, quando la figlia di Efesto aveva deciso di abbandonare con un po’ di anticipo il Campo Mezzosangue per poter tornare da quella famiglia che aveva rischiato di non vedere più.
Inutile dire che l’accoglienza non era stata affatto come lei se l’aspettava.
Innanzitutto, aveva dovuto fare i conti con la furia dei propri parenti, che dall’istante in cui era fuggita non avevano avuto più sue notizie.
E poi con la polizia di San Diego, alla sua ricerca da quasi due mesi. Con il pronto soccorso, le reti locali, e i servizi sociali che una volta finito tutto, si erano messi all’opera per far sì che lo zio venisse allontanato da lei.
In seguito all’accaduto, la nonna non aveva più voluto sentire alcuna ragione: Ben non era pronto ad occuparsi di una ragazzina; non lo era mai stato, e il fatto che la nipote avesse pensato che fuggire fosse stata la cosa giusta da fare – come scritto nella sua lettera- ne era l’inconfutabile prova.
La lettera. Come aveva potuto pensare che quell’inutile pezzo di carta avrebbe calmato le acque?
Voleva proteggerli, allontanandosi da quel faro per i mostri. E invece aveva solamente peggiorato le cose.
Se all’inizio di quella ‘vacanza’ Skyler aveva rischiato di non rivedere più lo zio, al termine era diventata una certezza.
Nell’arco di un mese, l’uomo era stato trascinato in tribunale, e la nonna, con l’aiuto della figlia Carmen, aveva ottenuto l’affido della minore. Ma non era finita lì, perché in seguito aveva affermato di non avere la benché minima intenzione di permettere che la ragazza fosse continuamente influenzata dalla negativa presenza del figlio, e così si era mobilitata affinché quest’ultimo avesse un’ordinanza restrittiva nei loro confronti, impedendogli di sostare a meno di tre metri dalla loro abitazione.
La notizia era stata così devastante, per la figlia di Efesto, che quando aveva nuovamente messo piede in quella dimora non aveva toccato cibo per circa tre settimane. Si rifiutava anche solo di masticare qualcosa che fosse stato cucinato da quell’anziana donna.
Nell’arco di sette mesi, era arrivata a perdere decisamente troppo peso. Le poche volte in cui la nonna non controllava ogni suo singolo spostamento, la ragazza si rimpinzava di nascosto di hamburger e patatine. Neanche il giorno del proprio compleanno accettò di mangiare il pollo al curry che le era stato preparato.
«Devi mangiare, mi hija» le aveva intimato quindi quella, con tono quasi esasperato. «O diventerai tutta pelle e ossa.»
«Tu non hai alcun diritto di chiamarmi così, chiaro?» era sbottata a quel punto la mora, cogliendola così alla sprovvista da farla sussultare. «Io non sono affatto tua figlia. Io non sarò mai la tua bambina! Tu mi hai rovinato la vita, te ne rendi conto? Mi hai portato via tutto ciò che di bello mi restava. E non ti perdonerò mai per questo, capito? Mai!»
Quel discorso sputato fuori con più disprezzo del necessario aveva forse sortito l’effetto voluto. In seguito a quell’episodio, la nonna aveva smesso di monopolizzare le giornate della ragazza. Le permetteva di cenare con quello che voleva, non si intrometteva nelle sue scelte di stile e le aveva anche dato il permesso di uscire oltre il coprifuoco da lei stessa imposto.
«Fa in modo che io mi fidi di te» le ricordava ogni volta, quando la giovane si prendeva le sue dovute libertà.
Ma nonostante questo, continuava a mancare qualcosa. E il nonno Pepe era stato l’unico ad accorgersene quando, la domenica di Pasqua, aveva trovato la nipote in un mare di lacrime, chiusa in camera sua.
«Echas de menos a tu tìo, ¿no es asì?»
Skyler si era pulita il naso con il dorso della mano, annuendo mestamente perché sì, lo zio le mancava da morire; e sì, voleva andarsene da quella casa.
«Forse posso fare qualcosa per te» le aveva quindi proposto l’anziano, con il suo scaltro sorrisetto sghembo. «Ma tu devi promettermi di non dirlo a nessuno, ¿claro?»
La ragazza non era sicura di aver assentito per sigillare un tacito accordo, oppure per semplice curiosità.
Quell’uomo era sempre stato tanto limpido quanto misterioso, nei suoi confronti. Essendo il suo unico alleato in quella casa, lei pendeva dalle sue labbra; ma alle volte continuava a far fatica ad interpretare i suoi contorti ragionamenti.
Così, in quel primo lunedì di Maggio, si era limitata a seguirlo, e prendendo l’autobus insieme a lui – che a malapena si reggeva sul proprio bastone- non aveva fatto altro che domandarsi dove la stesse portando.
Era il Memorial Day, quel giorno. Ergo, molte strade sarebbero state chiuse per via delle innumerevoli parate. Si commemoravano tutti gli americani caduti nelle varie guerre Mondiali e Civili, e ciò comportava molteplici persone che sfoggiavano le più variopinte uniformi.
Dopo essere scesi alla dodicesima fermata, il nonno l’aveva condotta per altri sei isolati (con le molteplici pause che la sua artrite gli imponeva), fino a raggiungere un enorme edificio; un vero e proprio albergo a cinque stelle.
«Che cosa ci facciamo qui?» aveva chiesto la figlia di Efesto, confusa e stranita.
«Siamo giusto in tempo, sbrighiamoci!» l’aveva liquidata il vecchio, affrettando il passo per quanto potesse.
Una volta dentro, Skyler aveva udito i cori dell’inno nazionale, e sollevandosi sulle punte per poter vedere oltre la calca di persone aveva scorto una serie di divise militari.
Conosceva troppo bene quei colori, quella fantasia; e mentre i soldati si esibivano in una marcia fiera e trionfale, lei aveva sgomitato per poter raggiungere le prime file, lasciando indietro il nonno con un luminoso sorriso stampato fra le rughe.
Con il cuore che batteva all’impazzata, la ragazza aveva atteso che il corteo si fermasse con diligenza, circa una decina di metri davanti a lei. Ed era stato allora che, cercando tra le prime file, era stata in grado di avvistarlo.
Ben ci aveva messo un po’ perché il suo sguardo sorpreso si posasse finalmente su di lei, ma non appena si era reso conto che quella della nipote non fosse soltanto una visione non aveva fatto in tempo a metabolizzare quell’informazione, che la mora si era precipitata a perdifiato verso di lui.
Aveva annullato con una corsa tutto lo spazio che li separava, buttandogli le braccia al collo e avvolgendogli le gambe attorno alla vita, mentre lui l’afferrava al volo.
Dalla folla si erano levati dei rumorosi applausi di gioia, palesando la convinzione dei presenti secondo la quale una figlia aveva rivisto il padre dopo innumerevoli mesi di lontananza.
Il che – a dirla tutta- non era neanche propriamente errato.
Ciò che era avvenuto dopo era solo uno stringersi con tutta la forza che possedevano, con lei che piangeva nell’incavo della sua spalla e lui che incredulo le accarezzava i capelli.
«Te quiero, mi hija» era tutto ciò che era riuscito a sussurrarle dopo che il nonno li aveva avvisati che rischiavano di perdere l’ultima corsa.
«Voglio tornare a casa con te» aveva singhiozzato lei, in un disperato tentativo. «Fa qualcosa, ti prego. Puoi anche rapirmi!»
Lo zio aveva riso, posandole un tenero bacio tra i capelli. «Vedrai che prima o poi ce la faremo. Ce l’abbiamo sempre fatta, dico bene?»
Skyler avrebbe voluto fargli notare che ‘no, non era possibile averla vinta, stavolta’; ma d’altronde, chi era lei per poter dubitare dell’impossibile?
Non era forse una semidea? Non aveva combattuto contro mostri di ogni genere e raccolto una pietra che esaudiva i desideri? Non portava con sé una collana che poteva tramutarsi in una spada? Non aveva sfidato con coraggio un millenario titano?
«Ti vedo dimagrita, comunque» aveva osservato in seguito lo zio, squadrandola con disappunto.
«E a te è cresciuta la barba» aveva ribattuto lei.
«Non sto scherzando, signorinella. Devi mangiare, se vuoi avere sempre le giuste energie.»
«E tu devi comprare un nuovo rasoio, ma questo non vuoi dire che lo farai.»
Ben aveva corrucciato le sopracciglia, cupo. «Promettimi che ci proverai.»
«A fare cosa?»
«Ad andare d’accordo con tua nonna.»
«Io non le devo assolutamente nulla!» aveva sbottato la mora, allibita. Come poteva chiederle una cosa del genere? Quella donna era stata capace di trascinarlo in tribunale!
«Fallo per me» aveva quindi replicato lui. «Non posso saperti infelice mentre io non posso essere lì per consolarti. Sei ancora troppo piccola per cavartela da sola.»
Piccola? Quell’aggettivo era un eufemismo. Se l’uomo avesse saputo tutto ciò che aveva affrontato negli ultimi tre anni, l’avrebbe pensata ancora così? Lei era cambiata, e di questo se ne rendeva conto ogni giorno. Era più matura, più forte e molto più consapevole delle proprie capacità.
Ma era anche più debole; più titubante, più fragile.
Ma di questo lui non poteva esserne al corrente. Non finché continuava ad essere convinto di avere sempre davanti la sua dolce ed ingenua nipotina.
Durante il viaggio di ritorno sull’autobus, la figlia di Efesto aveva rimuginato a lungo sulle sue parole, chiedendosi se le cose sarebbero andate diversamente, se solo lui avesse conosciuto da subito la verità. Ma tutte quelle domande erano state poi cancellate dall’immensa felicità che aveva provato nel poterlo riabbracciare ancora.
Si era voltata quindi verso nonno Pepe, e d’impulso l’aveva stretto a sé, facendolo sussultare.
«Gracias» aveva mormorato, commossa, prima che di comune accordo decidessero di non dire nulla alla nonna di quell’uscita improvvisata.
Dopo quell’avvenimento, Skyler era sicura di potersi fidare ciecamente del vecchio, e di essere libera di condividere con lui tutte le proprie gioie e i propri malumori.
Quello che non avrebbe mai potuto immaginare, però, è che sarebbe stata costretta a dirgli addio solo poche settimane dopo.
Tutto il tabacco che José Garcia per anni aveva fumato sulla poltrona di quella piccola stanza gli si era improvvisamente rivoltato contro sotto forma di ictus, che l’aveva ucciso prima che moglie e nipote fossero in grado di chiamare i soccorsi.
La mattina del suo funerale quasi tutto il quartiere si era presentato in chiesa, per assistere alla messa; e quando tutti avevano fatto il segno della croce e avevano rivolto una benedizione al povero defunto, la figlia di Efesto non aveva potuto fare a meno di crogiolarsi sul perché le Parche avessero tessuto per lui quel destino.
Era ingiusto, e completamente sbagliato.
E se era vero che ogni avvenimento era stato deciso per uno specifico motivo, lei non riusciva a trovarlo.
Con tutti riuniti nell’imponente salone della casa intenti a rivolgere delle poco sincere condoglianze, la ragazza si era sentita scomodamente fuori posto. Di tutta la gente che era lì, non ne conosceva nemmeno la metà, e questo dopo un po’ l’aveva portata a rifugiarsi al piano di sopra, in cerca di tranquillità e silenzio.
Ma non era riuscita ad arrivare alla propria camera, che aveva notato qualcosa di insolito: la porta dell’aula di musica dove soleva stare il nonno era semiaperta, segno evidente che qualcuno vi era entrato.
Accostandovisi in punta di piedi per non fare rumore, la mora aveva sbirciato oltre la soglia, distinguendo una figura scura accomodata sulla poltrona dell’anziano.
Skyler l’aveva riconosciuto solo dopo aver stretto gli occhi a due fessure, e gli era andata incontro senza più preoccuparsi di essere notata.
Lo zio non aveva avuto bisogno di sollevare lo sguardo per intuire che fosse lei, e aveva continuato a focalizzare la propria attenzione su ciò che si stava rigirando tra le mani mentre la nipote si inginocchiava elegantemente accanto ai suoi piedi.
Era la pipa del padre, che stava meticolosamente scrutando; quasi che se l’avesse sfregata abbastanza, questa si sarebbe trasformata in una lampada magica, capace di farlo tornare in vita.
«Diceva di fumarla perché voleva colorare il proprio respiro» aveva ricordato dopo un po’, sommessamente. «Così poi riusciva a vederlo, e sapeva di essere ancora vivo.»
«Lo so» aveva annuito la ragazza, con la gola che cominciava a bruciare. «Lo so. Si rinchiudeva qui dentro per ore. Soffiava via nuvole di tabacco ed ascoltava a ripetizione vecchie canzoni in vinile. La maggior parte delle volte, credo fossero quelle che tu e la mamma di solito suonavate.»
Ben si era lasciato sfuggire una risata, ma era suonata molto più amareggiata e forzata di quanto avesse sperato. «Non dovresti essere qui» l’aveva ammonita dopo.
«Perché?»
«C’è un ordine restrittivo, lo sai.»
«Ben, io non me ne andrò» si era impuntata quindi lei, risoluta.
«Dovresti.»
«Ma non lo farò.»  Aveva cercato le sue iridi scure, ma queste erano sfuggenti, quasi non volessero che lei vi leggesse tutta la loro sconfinata tristezza. «Non mi importa quello che diranno gli altri, okay? E se me lo chiederanno, dirò che è stata colpa mia, e che sono stata io a venire da te perché cavolo, non ne posso più. Non ne posso più. Mi manca la nostra casa a Baltimora; e mi manca il non potermi rifugiare tra le tue braccia ogni volta che faccio un brutto sogno. Mi distruggere il dover convivere con l’idea di non poterti vedere più, e odio tutti quelli che ripetono che tu non eri pronto ad occuparti di me. Vorrei rompere il naso a tutti loro perché dei, tu sei stato il migliore. Capito? Non hai sbagliato assolutamente nulla. E nonno Pepe l’aveva capito, perciò quel giorno mi ha accompagnato da te. Lui sapeva quanto valevi. L’ha sempre saputo» aveva aggiunto, per poi convenire: «E sarai stato assente. Mi avrai abituato a mangiare solo il cibo dei fast-food e ti sarai presentato solamente a tre colloqui genitori/insegnanti in tutti i miei anni di scuola…» Aveva preso un tremante respiro. «Ma non avrei mai potuto desiderare un padre migliore di te.»
E detto questo una lacrima le aveva rigato la guancia; e senza preavviso lo zio l’aveva attirata a sé, stringendosela al petto mentre sfogava un silenzioso pianto tra i suoi capelli. Si erano abbracciati con impeto, e per un attimo nulla aveva avuto più molta rilevanta. Perché non importa quanto tempo sia passato, quanto tu sia cresciuto e quanto il mondo, intorno a te, sia cambiato. Ci sono persone che, quando te le ritrovi davanti, riprende tutto dall’stante preciso in cui vi eravate interrotti.
Non avevano neanche fatto caso a nonna Rosa che, dal ciglio della porta, aveva assistito a tutto il discorso della nipote. L’aveva raggiunta per poterla rimproverare di essersene andata così con tutti quegli ospiti al piano di sotto, e quando li aveva visti insieme aveva fatto per dare di matto, perché tra tutta quella confusione non si era neanche resa conto che l’uomo avesse assistito al funerale.
Ma prima che avesse potuto irrompere nella stanza, quelle parole l’avevano colpita come un pugno dello stomaco; e avevano continuato a tormentarla per giorni, e nel frattempo ripensava a tutti i torti che era stata in grado di fare al suo stesso figlio.
Aveva poi ricordato a sé stessa perché inizialmente l’affido della mora fosse andato a lui. Era stata proprio Maria, a volerlo. Aveva ritenuto Benjamin la persona più idonea ad occuparsi di Skyler, e forse in un certo senso aveva avuto ragione.
Era sempre stata convinta che sua nipote fosse una ragazza dalle mille risorse, ma non aveva mai ragionato sul fatto che – molto probabilmente- quello era stato tutto merito di lui.
Quando circa una settimana e mezzo dopo il funerale l’aveva ricontattato per chiedergli di raggiungerla a San Diego, inizialmente lui era rimasto interdetto.
Ma mai quanto la figlia di Efesto, che ritornando da scuola aveva visto lo zio seduto su uno degli sgabelli della cucina.
«Ho bisogno di parlare» aveva quindi esordito la nonna, con tono fiero. «Con tutti e due.»
La giovane si era seduta a sua volta, squadrandola con un cipiglio interrogativo. L’anziana aveva fatto scivolare una busta giallognola sul tavolo, tenendovi sopra una mano come se volesse impedir loro di aprirla prima che lei finisse di parlare.
«Devo ammettere di aver pensato molto, dalla morte di José» si era quindi spiegata, con un’espressione seria in viso. «E di essermi fatta un lungo esame di coscienza, già.»
«E questo in che modo ci riguarda?» l’aveva interrotta Skyler, ma quella l’aveva zittita con lo sguardo.
«Fammi finire, tesoro» l’aveva ripresa. «Ho sempre ammirato il tuo coraggio, sai?» aveva ammesso poi. «Quella tua… scintilla, che si accende ogni volta che devi farti sentire, quando vuoi difendere quello che ami. Tu non parli mai perché vuoi dire qualcosa; tu parli sempre perché hai qualcosa da dire. E queste sono tutte delle ottime qualità, mia cara. Delle bellissime, fantastiche qualità.»
La ragazza non aveva idea di dove volesse andare a parare, con quel discorso, ma non poteva non ammettere che quelle sue parole l’avevano colpita. Perché le stava dicendo ciò? Cosa stava cercando di dirle?
Ma prima che potesse decidersi a porre quelle domande ad alta voce, la nonna si era voltata verso lo zio, soppesandolo con i suoi grandi occhi marroni.
«Mi sono sempre chiesta da chi avesse ripreso» gli aveva confessato. «Secondo te?»
L’uomo aveva già capito che a quel quesito vi era un’unica risposta.
«È tutta sua madre» aveva mormorato con una punta di amara dolcezza.
«Sì, è vero. Maria era identica a lei.» Aveva fatto una breve pausa, quasi il ricordo della figlia, dopo tutto quel tempo, fosse ancora una ferita aperta. «Io… non avevo mai capito perché nel proprio testamento avesse voluto affidare la bambina a te. Era una cosa insensata. Tu non eri in grado di badare neanche a te stesso, come avresti potuto prenderti cura di una ragazzina di sette anni?»
A quella provocazione, i due avevano taciuto, dandole quindi la possibilità di continuare. «Sono ancora convinta che portare il peso di una nipote da accudire sulle spalle non abbia mai fatto al caso tuo; e che tu sia la persona meno indicata per un compito del genere. Ma poi la guardo» E qui era tornata ad osservare la mora. «E vedo in lei tutto ciò che una giovane donna della sua età dovrebbe possedere. Di certo, non può aver imparato tutto da sola.»
La semidea aveva aggrottato la fronte, confusa. Era forse un complimento, quello?
«Mamma, credo di non seguirti» le aveva fatto educatamente notare Ben, al ché la donna aveva sospirato.
«Voglio solo il meglio, per la mia piccola Skipi. E… penso che dopo la morte di Maria mi sono così concentrata sul modo barbaro in cui la stavi crescendo, da perdere di vista tutte le bellissime cose che le stavi insegnando: la forza d’animo, l’amore per il prossimo, il rispetto.»
Dopo di ché aveva incastrato le proprie iridi scure a quelle di lui, e a farle brillare non vi erano più tutti i sentimenti negativi che l’avevano condizionata nel corso degli anni, ma solo un profondo, genuino orgoglio.
«Tu non sarai mai un vero padre, Benjamin» gli aveva infine palesato, prima di sorridere teneramente in direzione della figlia di Efesto. «Però adesso ho capito quanto tu lo sia stato per lei.»
E detto questo, gli aveva finalmente passato quella busta ingiallita che bloccava con il palmo, permettendogli di aprirla per scoprirne il contenuto. Dentro vi era una pila di fogli che apparentemente a Skyler erano sembrati inutili, seppur avessero un’aria molto legale. Ma dall’espressione meravigliata che si era dipinta sul volto dello zio, aveva intuito trattarsi di scartoffie molto importanti.
«Ho annullato l’ordine restrittivo» le aveva chiarito quindi l’anziana. «E ho spiegato ai servizi sociali le ragioni per cui io non potrei essere un buon tutore. Ritirando poi tutte le accuse fatte in tribunale contro tuo zio – e superato lo sconcerto, ovviamente- sono riuscita a passare nuovamente a lui il tuo affido.»
«Ma questa firma è…» aveva fatto per notare l’uomo.
«Mia» aveva annunciato una voce alle loro spalle, e solo allora la ragazza si era resa conto che la zia Carmen, durante il notevole discorso della nonna, li aveva raggiunti. «Mi sono occupata io di tutte le pratiche» aveva annuito con fierezza.
«Ma…» Lo zio sembrava davvero incapace di trovare le giuste parole. «Perché?»
La sorella aveva fatto spallucce. «Perché no?»
«Ho sempre voluto che la mia famiglia fosse perfetta» aveva asserito Rosa, per poi puntare un tenero sguardo sulla nipote. «Ma a volte perfetta non vuol dire per forza felice. E avere una famiglia felice è di gran lunga la cosa migliore per un’anziana donna come me.»
La figlia di Efesto non aveva nemmeno aspettato che terminasse quella frase; aveva allontanato con uno scatto la sedia dal tavolo, e l’aveva stretta a sé con forza, mentre tra le lacrime continuava a ringraziarla per quel gesto tanto bello quanto inaspettato.
«Non pensate di cavarvela così facilmente!» aveva scherzato la donna a quel punto, mentre era evidente che si sforzava di trattenere l’emozione. «Voglio vedere la mia sobrinita almeno due volte al mese. E le vacanze di Natale le passerete tutti gli anni da me, ¿claro?»
E mai come allora, a Skyler era parso un compromesso fantastico.
Circa cinque giorni dopo, era nuovamente a Baltimora, e era rincuorata dallo scoprire che la loro piccola casa sul lago era esattamente dove e come l’aveva lasciata.
Con le temperature che continuavano a salire ed un sorriso radioso ad incurvarle le labbra, la semidea si sentiva finalmente - e dopo molto tempo- di nuovo felice. Di quella felicità sana, rincuorante.
Ma la sera in cui si era ritrovata con cibo cinese d’asporto sul divano e a ripensare a tutti gli avvenimenti dell’inverno che si stava per concludere, avava capito di non potersi permettere più errori del genere.
Trascinarsi dietro il peso di tutti quei segreti e quelle bugie l’aveva logorata fin troppo, e anche se poteva essere rischioso aveva bisogno di raccontare a qualcuno la verità.
Di raccontarla a lui.
Ma non era stato così semplice, e tra il dirsi e il farsi c’era un abisso fatto di incertezze, tentennamenti, paure e ripensamenti.
Era quindi riuscita a trovare il coraggio necessario per compiere quel grande passo solo in un pomeriggio particolarmente assolato, quando si era finalmente convinta che se non l’avesse fatto allora, non ci avrebbe provato più.
Aveva dunque pregato lo zio di abbandonare ogni sua mansione o impegno per potersi sedere al tavolo con lei, l’uno di fronte all’altra. Inizialmente l’uomo non aveva fatto caso al tono grave della nipote, e si era reso conto che qualcosa non andasse solo alla sentenza: «Ho bisogno di dirti una cosa.»
La ragazza gli aveva riferito dunque – con la giusta cautela – tutto ciò che c’era da sapere riguardo la sua vera natura: come aveva scoperto di essere quel che era; che cosa comportasse la vita del semidio; quello che le insegnassavano al Campo Mezzosangue; persino tutte le sue imprese (nonostante avesse bellamente omesso le parti nelle quali rischiava di morire).
Partendo da come fosse possibile che gli dei abitassero a New York e chiudendo con tutte le motivazioni per cui quella che stava raccontando non potesse esser altro che la verità, la mora aveva osservato con attenzione ogni reazione dello zio, dandogli, tra un racconto e l’altro, il tempo di assimilare tutte quelle nuove e assurde informazioni.
All’inizio era stato scettico, ovviamente; ma man mano che la storia proseguiva sul suo volto si era andata dipingendo un’espressione sempre più sorpresa, mentre intuiva che la figlia di Efesto non stava inventando tutto, e che il mondo che gli stava presentando era tutt’altro che immaginario.
Dopo quella conversazione durata circa un paio d’ore, Skyler aveva dovuto aspettare due giorni perché l’uomo si abituasse a quell’inaspettata realtà. Gli aveva quindi concesso i suoi spazi e il suo tempo, rivolgendogli solo lo stretto indispensabile di parole e ordinandosi da sola la cena quando lui, la sera, si chiudeva in camera per meditare.
Avrebbe dato di matto? Com’era solito reagire, chi non apparteneva a quell’universo ma vi si trovava comunque di fronte?
La risposta le era arrivata solamente una mattina, poco dopo essersi svegliata. Era scesa in cucina a fare colazione, presupponendo che, molto probabilmente, lo zio stesse ancora dormendo; ma non appena si era versata una manciata di cereali nella ciotola, quest’ultimo aveva fatto il suo ingresso dalla soglia, studiandola con attenzione. Aveva le iridi cerchiate di rosso, segno evidente che era rimasto in piedi tutta la notte a pensare.
«Devo farti una domanda. Ma voglio che tu sia sincera con me» aveva poi esordito, lo sguardo preoccupato. «Totalmente, completamente sincera, d’accordo?»
La ragazza, per un istante, aveva temuto il peggio. Ma poi si era fatta forza, dicendosi che doveva all’uomo tutte le risposte che voleva.
«Okay» aveva annuito, sforzandosi di avere un’aria sicura.
Ben a quel punto aveva fatto una pausa, spostando nervosamente il peso da un piede all’altro. Aveva esitato, indeciso; poi aveva deglutito.
«Tu viaggi anche nel tempo?»
Lei aveva corrucciato le sopracciglia, sconcertata. «Aspetta, come
Lui aveva mostrato i palmi. «Perché giuro che se i viaggi nel tempo sono reali, sai, io… io ho chiuso. Ho chiuso. Ti prego, accompagnami in una clinica psichiatrica.»
La mora ci aveva messo un po’ per metabolizzare quel quesito, e per qualche minuto tra i due era aleggiato un silenzio carico di tensione, quasi palpabile.
Ma a spezzarlo c’era stata la squillante risata della figlia di Efesto, che aveva permesso allo zio di rilassare le spalle, mentre lei si rendeva conto di aver appena trovato un alleato.
E così, eccoli lì, a circa due settimane di distanza da quel giorno, mentre con il suo pick-up di seconda mano l'uomo guidava lungo le coste di Long Island.
Aveva accettato di portarla a questo fatidico Campo nonostante non gli andasse molto a genio l’idea di allontanarsi così tanto da lei per tutta l’estate.
«Si tratta solo di una stagione!» aveva replicato Skyler, che ora aveva un gomito che sporgeva fuori dal finestrino, il mento posato sul dorso della mano e un’aria assorta.
«Quindi, ricapitolando» fece Ben, per la settima volta da quando erano partiti. «Tu hai molti altri fratelli.»
Con i raggi del sole che le riscaldavano le guance, la ragazza sospirò. «Fratellastri» lo corresse, di nuovo. «Sono tutti figli di Efesto, ma non abbiamo la stessa madre. E sono ventitré, per la precisione.»
«Ventitré…» ripeté lui tra sé e sé, quasi facesse ancora fatica a credere in quei dettagli. «Mentre il tuo ragazzo è un figlio di Apollo.»
«Il mio migliore amico è un figlio di Apollo» chiarì quindi lei. «Il mio ragazzo è figlio di Poseidone.»
«E la tua migliore amica…»
«Figlia di Ermes» gli suggerì.
«Come il dio dei ladri.»
«No, Ben, lui è il dio dei ladri.»
«Ah.» Lo zio sembrava sconcertato, mentre fissava la strada. «E invece il direttore di questo Campo è… Dioniso.»
«Esatto!»
«Il dio del vino.»
«Proprio lui.»
«E l’organizzatore di tutte le attività è un satiro…»
«Un centauro.»
«Un centauro, giusto. Com’è che si chiama?»
La mora abbozzò un sorrisetto divertito, raddrizzando la schiena per potersi voltare a guardarlo. «Non devi ricordarti proprio tutto, sai?» lo tranquillizzò, con tono gentile.
«Oh, no! Io devo sapere» ribatté lui, deciso. «Sto per portarti in un posto che più di tre quarti della popolazione non riesce neanche a vedere per via di questa bruma…»
«Foschia.»
«Quella» annuì. «Voglio essere sicuro che starai bene, e di non lasciarti nelle mani di mostri psicopatici…»
«Zio, non devi temere per me» gli assicurò a quel punto Skyler, incrociando le gambe sul sedile. «Starò alla grande. Quel posto è come una seconda casa, per me. Lì sono al sicuro.» E detto questo, spostò lo sguardo sul paesaggio circostante. «Svolta a destra, siamo quasi arrivati» gli intimò.
Ben presto gli alberi assunsero delle sembianze sempre più familiari, finché il vello d’oro che avvolgeva i rami del Pino di Thalia non rifletté la luce del mattino, brillando come un faro in pieno giorno.
Lo zio volle accompagnarla fino ai limiti consentiti dalla barriera protettiva, giusto davanti l’arcata formata da due colonne di pietra e sormontata da un’incisione in greco antico.
«Eccoci qui» annunciò l’uomo, guardandosi intorno con interesse.
«Eccoci qui» mormorò sommessamente lei, più a sé stessa che a lui. Si sporse per poter vedere dal finestrino. Vi erano altre quattro macchine, parcheggiate lì davanti, tutte appartenenti a dei genitori in procinto di lasciare andare i loro figli per i successivi tre mesi.
In piedi accanto ad una decappottabile rossa la figlia di Efesto riconobbe Drew Tanaka, intenta ad aggiustarsi il trucco nello specchietto retrovisore mentre il padre tirava fuori dal bagagliaio cinque enormi valige.
Da un fuoristrada grigio metallizzato, invece, scesero tre ragazzi molto emozionati, e mentre la mamma di uno di loro abbracciava per l’ultima volta il figlio, gli altri due respiravano a pieni polmoni l’aria di casa.
In una Volkswagen c’erano due figlie di Demetra, sorelle anche da parte di padre.
Poco più in là, invece, a frugare nel bagagliaio di un’Audi decisamente vecchiotta, la mora riconobbe una figura familiare.
Percy passò un trolley azzurro a Rose, che intanto stringeva in un forte abbraccio una Sally con le lacrime agli occhi. Skyler sapeva che, nonostante il figlio di Poseidone avesse già la patente, la donna si ostinava a volerli accompagnare di persona. Da quando aveva adottato anche l'alltra ragazza, i figli da dover abbandonare erano due, e questo la rattristava immensamente, anche se i due fratelli le inviavano più volte alcuni messaggi Iride.
Anche Paul Stockfis era con loro, ed aiutò Percy a scaricare le valigie mentre egli attirava nuovamente a sé la mamma.
I due giovani raccolsero i loro averi e si incamminarono oltre la barriera, non facendo neanche caso alla figlia di Efesto che con un lieve sorriso li osservava da lontano.
«Sei pronta?» le chiese lo zio, distogliendola bruscamente dai suoi pensieri.
«Sì» assentì lei, uscendo dalla macchina insieme a lui.
Aveva con sé soltanto un bagaglio ed un enorme borsone, dato che l’estate precedente aveva deciso di lasciare alcune delle sue cose nella Cabina Nove.
Quando si girò distrattamente verso l’entrata del Campo si accorse che Chirone stava avanzando proprio verso di lei. Era sulla sua magica sedia a rotelle, e la mora si riscoprì a ringraziare gli dei, perché non era sicura di che reazione avrebbe avuto Ben se si fosse ritrovano davanti alla sua forma equina.
Ma forse il centauro aveva già calcolato quell’inconveniente; Skyler si chiese se qualcuno dei suoi amici lo avesse aggiornato delle ultime novità.
«Sono felice di vedervi qui» annunciò con la sua voce imponente, lanciando alla mora uno sguardo complice e significativo. «Bentornata, figliola.»
«Lei lavora qui?» gli domandò quindi lo zio, scrutandolo con attenzione.
«Sì, in un certo senso sì.»
«E cosa fa, di preciso?» volle sapere, interessato.
«Addestro eroi.»
L’uomo sembrò pensarci un po’ su. «In effetti ha senso» convenne, con un’alzata di spalle.
«Perché non lasci me e tuo zio parlare un po’ in privato, Skyler?» propose allora Chirone, con un cenno del capo. «Potrei illustrargli tutti i nostri programmi mentre tu inizi a sistemarti.»
La figlia di Efesto annuì leggermente, ma non appena si voltò per poter salutare Ben, tutta la sua voglia di superare quel confine sottile tra divino e mortale svanì come se non fosse mai esistita.
Quest’ultimo allargò istintivamente le braccia, permettendole di posare il capo sul suo petto.
«Si tratta solo di una stagione» le ricordò poi, dolcemente. «L’hai detto tu, no?»
«Sì» confermò lei con un risolino, le lacrime che brucianti minacciavano di solcarle il viso.
«Abbi cura di te, tesoro» la pregò dunque lo zio, al ché la ragazza sollevò il mento per guardarlo negli occhi.
«Ci proverò» gli assicurò, e in quel momento capì di non potergli promettere di più.
Ma a lui sembrò bastare, perché le prese con cura il volto tra le mani e le lasciò un tenero bacio sulla fronte, concedendosi un sospiro.
«Te quiero, mi hija» le sussurrò, per far sì che solo lei potesse sentirlo.
«Te quiero, tìo.»
E detto questo, Skyler raccolse le proprie cose e si avviò, allontanandosi dai due uomini che, dopo qualche minuto, erano già intenti a parlare animatamente.
Il Campo era esattamente così come lo ricordava, anche se sembravano esserci alcune novità. Passando accanto ai campi di fragole, proprio parallelamente alla Casa Grande, alcuni semidei, ninfe e satiri erano intenti a costruire una nuova struttura.
Si trattava di un palazzo, decisamente imponente, che svettava verso il cielo con maestosità.
La ragazza non si soffermò a lungo a guardarlo, troppo intenta a domare le contrastanti emozioni che albergavano in lei.
Era felice di essere tornata lì, ma per quanto si sforzasse non riusciva a togliersi di dosso la sensazione che restando in quel posto non avrebbe fatto altro che essere sovrastata dal corso degli eventi.
E sapeva anche il perché. Dopo la scorsa estate, tutto era diverso. Lei era diversa.
Prometeo era stato rallentato, certo, ma non di certo sconfitto, e per tutto l’inverno la figlia di Efesto non aveva convissuto l'orribile sensazione di essere continuamente osservata. Come se lui fosse lì, in ogni istante. Come se si divertisse a guardarla cedere al panico mentre lui attendeva con ansia il momento di fare la prossima mossa.
E se l’avesse attaccata da lì ad una settimana? E se l’avesse fatto il giorno dopo?
Era davvero al sicuro come credeva, lì? O la sua era soltanto una mera speranza?
Skyler caccio un grugnito di frustrazione, scrollando il capo per togliersi di mente quei brutti pensieri.
Era già iniziato un nuovo anno, ormai, e il suo proposito era quello di non lasciarsi trasportare dalle emozioni. Buttò un’occhiata intorno a sé, gonfiandosi il petto di quell’aria fresca, conosciuta.
«Miss Garcia» si disse ad alta voce, bloccandosi sul posto per potersi concedere un attimo di contemplazione.
«Bentornata al Campo Mezzosangue.»  

Angolo Scrittrice.
Siamo pronti? 
-Sì...
Siete sicuri? 
-Ce lo hai chiesto già tre volte.
Ed ora anche la quarta! Tutto questo è molto importante, d'accordo? Ci siamo preparati per questo momento per tutta l'estate!
-Valery, respira e non preoccuparti.
Okay...
-Sei pronta? E in onda tra tre... due... uno...

*ON AIR*
Credete di star sognando? Ebbene no, non siete stati catapaltuati nel vostro peggior incubo. Sono veramente io, sono veramente qui, e dopo mesi di prepararazione durante i quali ho curato in ogni minimo dettaglio quest'ultima, gloriosa storia, ho finalmente deciso che questo era il giorno giusto per pubblicare. 
Ho qualche problema mentale? Forse sì. 
Sto correndo nuovamente un rischio? Probabile. 
Ma questo non mi impedirà di dare inizio a questo terzo capitolo con un caldo, caloroso grazie a tutti voi che ora state leggendo questa parte in grassetto. 
Dite un po', vi sono mancata? Scommetto di no, ma spero comunque che vi abbia fatto piacere sentir parlare di nuovo della nostra dolce
Skyler ahaha
Scherzi a parte, vi va se prima di parlare di questo prolgo riepiloghiamo un po' la storia precedente? Così da non perdere il filo e fare mente locale...
Dunquo:
Poco prima di ritornare al Campo Mezzosangue per l'intero periodo estivo, Skyler è costretta dallo zio a far visita alla nonna che non vede da più di sette anni, e con la quale non nutre dei sentimenti di bene ed affetto. L'anziana donna, infatti, era sempre stata convinta che Ben non fosse in grado di occuparsi di lei, e la figlia di Efesto è convinta che nell'istante in cui li ha invitati nella sua dimora, il suo unico intento sia quello di dimostrare a tutti che aveva ragione ed ottenere finalmente il tanto agoniato affido della nipote. 
Come se non bastasse, a complicare le cose arriva anche Madison, la cugina vanitosa e viziata di Skyler, che  dopo averla infastidita per tutto il tempo la fa finire in grossi guai, facendola di conseguenza litigare con lo zio. 
Dopo aver scoperto che San Diego, il posto in cui si trovano, pullula di mostri, la ragazza è costretta a tornare al Campo di nascosto in compagnia di Connor e Travis per non mettere in pericolo la propria famiglia. Lascia per i parenti una lettera, con la speranza che loro non fraintendano le sue intenzioni, e trova rifugio nella sua seconda casa. 
Due arrivi, però, scombussolano la pace del Campo: quello di Melanie, giovane figlia di Demetra che ha perso un braccio, e che nonostante le difficoltà si innamora perdutamente di John; e quello di Matthew, figlio di Eris che stringe subito amicizia con Skyler, scatenando la gelosia di Michael. 
Mentre Leo ed Emma diventano sempre più intimi, fin'anche a baciarsi, Skyler e Michael si allontanano sempre di più. Alla fine i rapporti di entrambe le coppie si sfalderanno, ma la più devastata sarà la figlia di Efesto, soprattutto quando scopre che, qualche giorno dopo il loro litigio, il figlio di Poseidone è sparito. 
La voce che la tormenta nei suoi peggiori incubi è tornata, e ha rapito Michael. 
Ma c'è solo un modo per poter scoprire dove lo tiene prigioniero: la Pietra dei Sogni. 
In grado di esaudire ogni desiderio, si trova su un'isola nell'Oceano Atlantico, che riserverà a John, Skyler ed Emma innumerevoli sorprese. 
Come l'intervento di Alex, un ragazzo che è rimasto bloccato lì per così tanti anni da non ricordare neanche quale fosse il suo genitore divino. 
Dopo una serie di disavvenutre dove i ragazzi rischiano la vita -e, nel caso di Alex ed Emma (che però riesce a sopravvivere) la perdono anche-, i tre giovani semidei trovano finalmente la Pietra, scoprendo che Michael si trova a Stonehenge. 
Lì però nulla va secondo i piani. Salta fuori che in realtà è sempre stato Matthew il vero nemico, e che ha finto di essere un semidio solo per potersi avvicinare alla ragazza e poter ottenere ciò che vuole: il suo fuoco. Ma per riuscirci, ha bisogno di un bacio. 
Pur di salvare i suoi amici, la figlia di Efesto glielo concede, ma nel farlo rischia di perdere la vita. 
Grazie al coltellino che le era stato regalato da Alex, riesce ad allontanarlo, ma non è ancora finita, e lei lo sa bene.
Quando Chirone le svela la verità, Skyler fa ancora fatica a farsene una ragione. 
Matthew non è affatto un figlio di Eris, bensì Prometeo, l'unico e solo tiano della mente e della preveggenza. 
E sta cercando vendetta. 

 
Bon bon! Credo di aver detto tutto ahah 
Che cosa vediamo in questo primissimo prologo?
Beh, innanzi tutto scopriamo cos'è successo una volta che Skyler è tornata a casa. Molti di voi mi avevano chiesto che cosa fosse successo allo zio, e spero di aver dato tutte le risposte ai vostri quesiti. Siamo passati da un ordine restrittivo all'esame di coscienza della nonna, che finalmente sembra aver capito, fino ad arrivare al momento clou: Bejamin Garcia ora è a conoscenza della verità. Tutta la verità. 
Ve l'aspettavate? Ora che lui sa tutto sulla vera natura della nipote, credete che il loro rapporto cambierà? In meglio o in peggio? 
Pensate che Skyler abbia fatto bene? Let me know. 
Ora è finalmente tornata al Campo, ma le novità non sono ancora terminate. 
Perchè continua ad avere la sensazione di essere osservata? 
E cos'è quell'enorme struttura che stanno costruendo di fronte alla Casa Grande? 
Si accettano scommesse di ogni genere, ovviamente. Ma detto questo, devo fare una premessa. 
Voglio solo il meglio per questa storia, e giuro solennemente di dedicare tutta me stessa affinché questo sia l'ultimo capitolo che tutte le trilogie vorrebbero. Sono motivata, e ho tanta volgia di fare; quindi spero di non deludervi mai durante questo -ultimo- viaggio che mi auguro intraprenderemo insieme.
Riusciremo ad arrivare ad un epilogo definitivo? Cavolo, uccidetemi se non sarà così! 
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo inizio, se vi è piaciuto o se vi ha fatto schifo.
Gli aggiornamenti ci saranno come sempre ogni martedì, perchè ormai quella è una tradizione.
Per quanto riguarda il banner in alto, invece, è tutta roba mia. Ci ho lavorato molto su, perchè volevo qualcosa che colpisse a prim'occhio. Il perchè delle frasi e del leone? Eheh, lo capirete solo leggendo c: 
But anyway: Che ne dite? Può andare? Posso sempre cambiarlo, of course, ma se mi dite che tutto sommato non è male, può anche restare così com'è. Si accettano suggerimenti! ahah
Oookay, ora è arrivato proprio il momento di andare. 
Ho tanti assi nella manica, per questa storia, e spero di riuscire a mostrarveli tutti, fino alla fine. 
Un bacione enorme, semidei, e grazie a te che ora stai leggendo questa parte in viola, perchè sigifica che hai scelto di darmi ancora una volta un'ultima chance. Non ti deluderò, lo giuro!
A martedì prossimo!
Nuovamente vostra -yee-,

ValeryJackson 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***



Dopo un intero inverno trascorso a ricucire con cura ogni lacerazione che il corso degli eventi aveva inflitto sulla propria anima, John sentiva finalmente di avere qualcosa per cui essere felice.
Mentre spiegava alle reclute più giovani del Campo il modo giusto di incoccare una freccia, aveva avuto la disarmante sensazione di aver trovato – dopo tanto tempo- il modo per impedire al proprio passato di gravargli come un peso sul cuore.
Per anni, con il proprio sorriso, aveva illuso le persone di avere una vita perfetta, priva di problemi; ma nel momento esatto in cui tutte le disavventure dell’estate precedente erano giunte ad un “lieto” fine, si era reso conto di quanto ciò che inizialmente aveva dato per scontato, in realtà fosse il dono più prezioso che gli dei gli avessero offerto.
Aveva degli amici; o meglio, dei fratelli. Emma, Michael e Skyler erano la sua famiglia, il suo porto sicuro. Quella mattina la figlia di Efesto si sarebbe nuovamente unita a loro, e per quanto avessero potuto restare in contatto grazie ad una serie di messaggi Iride, nulla eguagliava l’indiscutibile senso di completezza che provavano quand’erano tutti e quattro insieme. Come se fossero imbattibili, impossibili da scalfire. Come se sentissero di poter sfidare anche il mondo stesso, con la consapevolezza che questo non avrebbe mai potuto annientarli, finché si sarebbero supportati l’un l’altro.
Lui ci sarebbe sempre stato, per ognuno di loro. E sapeva che la cosa era reciproca.
Il loro era stato un tacito accordo che li aveva uniti nell’istante in cui, seduti sotto quell’albero nella Baia di Zefiro, avevano confessato le rispettive paure. Dopo quell’episodio, il loro rapporto era stato un crescendo di emozioni condivise, di abbracci, di protezione, di rispetto, che li aveva resi indivisibili, proprio come i tre moschettieri. 
E quei tre semidei, per il figlio di Apollo, erano diventati un’autentica certezza prima che potesse anche solo rendersene conto.
Loro erano il suo miracolo; le altre facce di quella che era un’unica e splendente medaglia.
E poi, oltre ai suoi migliori amici, aveva anche Melanie.
Melanie.
La storia con la figlia di Demetra non avrebbe potuto andare meglio. Dopo l’inizio burrascoso che avevano avuto e la difficile lotta del biondo per riuscire a conquistare la fiducia di lei, ora potevano vantare un amore degno di questo egregio nome.
Era come se i pianeti riuscissero ad allinearsi solo quando i due erano insieme, e il ragazzo si chiedeva come avesse fatto, prima, senza di lei.
Senza il suo profumo, senza il suo sorriso; senza le loro dita che parevano incastrarsi perfettamente, quasi non fossero state plasmate per fare altro. Senza quella lieve quanto piacevole stretta alla bocca dello stomaco, e l’impressione che il mondo trovasse il proprio equilibrio non appena le loro labbra si sfioravano.
John poteva giurare di non aver mai provato dei sentimenti tanto intensi per nessuna, prima di allora; ed era sicuro di innamorarsi di lei giorno dopo giorno un po’ di più, come il sole che venerava a tal punto da luna da morire ogni notte, pur di permetterle di respirare.
Melanie era il suo primo pensiero al mattino, l’ultimo prima di andare a dormire, e soprattutto tutti gli altri nel mezzo; era il suo ieri ed il suo domani.
Era il suo presente e il suo futuro.
E l’unica cosa che il figlio di Apollo voleva era svegliarsi con lei al proprio fianco, e trascorrere le serate ad osservarla meditare. Voleva condividere con lei ogni istante della prorpria vita, e ridere con lei, e addormentarsi abbracciato a lei, ed inebriarsi del suono della sua risata perché sentiva di esserne ormai dipendente.
Si può amare tanto una persona da voltarsi di scatto ogni volta che si sente il suo nome, quasi fosse un richiamo, e quell'appellativo ti appartenesse?
Come può una piccola frazione di secondo passata in sua compagnia racchiudere una tale immensità?
Dirigendosi verso la Cabina Sette con l’intenzione di farsi una doccia prima dell’arrivo di Skyler, il ragazzo si poneva silenziosamente quelle domande. Ma non fece in tempo a trovarvi risposta, che qualcuno lo urtò accidentalmente, distogliendolo con malagrazia dal flusso dei suoi pensieri.
«Scusa!» esclamò una voce femminile, sovrapponendosi immediatamente con il suo «Miei dei!»
«Mi dispiace, non volevo» aggiunse quindi la semidea, chinandosi a terra per raccogliere un borsone dal quale si erano rovesciate una serie di cianfrusaglie. Nonostante non fosse riuscito a scorgere il suo viso, il biondo ebbe lo strano presentimento che quel tono fosse familiare.
«Non preoccuparti» la tranquillizzò, imitandola per poterla aiutare a rimettere in ordine i suoi effetti personali. «È stata colpa mia, non ti avevo vi-»
Qualsiasi cosa avesse intenzione di dire gli morì sulle labbra non appena incontrò le sue iridi del colore del mare.
La ragazza aveva dei lineamenti dolci e maturi, e una linea d’eyeliner a rendere il suo sguardo intenso e penetrante. Teneri boccoli mogani le incorniciavano il viso cambiato, ed osservando le sue curve al punto giusto e quelle labbra rosee e carnose, John si convinse di non averla mai vista prima di allora.
Ma quegli occhi erano inconfondibili, e il rendersi conto di ciò dipinse sul suo volto un’espressione interdetta.
«Rose?» domandò infatti, sorpreso.
La figlia di Poseidone sorrise timidamente, spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Ciao, John» mormorò.
Il ragazzo era stupito e confuso. Da quanto la piccola Rosemary Jackson era diventata così… bella? Dov’erano finiti i suoi tratti infantili, e le sue guance un po’ paffute? Da dove e quando era spuntato fuori quel prosperoso seno?
Il figlio di Apollo si morse con forza la lingua, rimproverandosi di avervi anche solo lanciato un’occhiata. Quella che aveva di fronte restava sempre la sorellina del suo migliore amico, ovviamente; ma che cosa le era successo?
«Sei…» Esitò, cercando con fatica il termine più adatto. «Diversa.»
La mora parve perplessa. «Ehm… grazie?» replicò, incerta, per poi richiudere con uno scatto la cerniera della propria sacca e rialzarsi in piedi. Lui fece altrettanto, meravigliato dallo scoprire che ora, a differenziare le loro altezze, c’erano solo due spanne scarse.
«Insomma, spero fosse un complimento» ridacchiò Rose, divertita.
«No» si affrettò a rispondere il biondo, per poi correggersi: «Cioè, sì. Voglio dire, io ti trovo… mh.» Si grattò la nuca, a disagio, e per un attimo la conversazione rischiò di cadere in un imbarazzante silenzio.
«Quando sei arrivata?» le domandò dunque lui, impaziente di cambiare discorso.
«Questa mattina» rispose lei. «Io e Percy siamo passati prima dalla Casa Grande, per poter salutare Chirone. Ma poi lui è andato a salutare Annabeth, ed io ne ho approfittato per poter portare i miei bagagli in Cabina. Speravo di farcela da sola, ma pesano più di quanto immaginassi.»
John guardò le due valigie azzurre che la figlia di Poseidone si sforzava di portare con sé. Le indicò con un cenno del capo, inarcando titubante un sopracciglio.
«Hai bisogno di una mano?» si offrì.
«Oh, no, non preoccuparti. Non è necessario.»
«Lo faccio volentieri, se vuoi.»
A quelle parole la ragazza sollevò repentina la testa, e lui si chiese perché vi aleggiasse sbigottimento, nel suo sguardo.
«D-Davvero?» si accertò, al ché lui annuì con vigore.
«Ma certo!» confermò, come se fosse scontato. «Per me è un piacere, figurati.» E detto questo afferrò deciso uno dei trolley, coricandosi poi il borsone su una spalla. Regalò uno smagliante sorriso a Rose, e questa, dopo aver superato un’iniziate interdizione, vi ribatté con uno altrettanto bello.
Raccolto anche l’ultimo bagaglio, i due si avviarono verso la Casa Tre, iniziando a parlare dell’inverno trascorso, e di tutto ciò che aveva accompagnato il freddo.
E, ascoltando attentamente di come a casa Jackson fosse andato a fuoco il pranzo di Natale, il figlio di Apollo non poté fare a meno di notare come la pelle chiara della ragazza riflettesse alla perfezione i raggi splendenti del sole, domandandosi cosa fosse accaduto alla piccola e dolce Rosmary durante il compicato periodo della pubertà, e come avesse fatto, in così poco tempo, a passare dall'essere ancora una bambina al tramutarsi in una bellissima giovane donna. 
 
Ω Ω Ω
 
Skyler non sapeva come interpretare le emozioni contrastanti che la dominavano mentre attraversava cautamente il Campo alla volta della Cabina Nove.
Aveva già incrociato i fratelli Stoll, che senza neanche volerlo erano riusciti a contagiarla con la loro risata. Poi Iris, e ancora Katie, che le avevano dato un caloroso ‘bentornata’.
Ed infine anche Melanie, che a differenza dell’estate precedente sembrava decisamente più raggiante. La figlia di Efesto sapeva che le cose, tra lei e John, andavano alla grande, ed era contenta di poter constatare che – almeno loro- erano riusciti a scavalcare insieme tutte le barriere che avevano minacciato di incrinare il loro rapporto.
Da quando aveva capito quanto la vita fosse facilmente influenzabile dal continuo mutare delle cose, aveva imparato a non vedere nulla con superficialità. Quello che oggi era un dono, domani poteva essere solo un vago ricordo di ciò che era stato, e la coscienza di non poter fare nulla affinché ciò non accadesse la faceva sentire impotente di fronte all'incessante vorticare dell’universo.
Era come se il mondo roteasse troppo velocemente intorno a lei, e tutto diventasse una macchia indistinta; e lei spesso faticava a trattenere per troppo tempo delle memorie felici, che subito arrivava nuova confusione a spazzargliele via.
Prima che potesse soffocare nei suoi stessi, brutti pensieri, due braccia le avvolsero la vita da dietro, facendola sussultare. Presa alla sprovvista, la valigia e la grande borsa che portava non sé le scivolarono di mano, facendo risuonare alle sue spalle una sonora ed intenerita risata.
La ragazza riconobbe quel melodioso suono prima ancora di voltarsi a guardare.
«Non volevo spaventarti!» le assicurò prontamente Michael, mostrando i palmi divertito. «Lo giuro» continuò. «È solo che ho incontrato Travis, e lui mi ha detto che eri già qui, per cui ti sono venuto incontro, e quando ti ho vista ho avuto solo voglia di stringerti a me, perché dei mi sei…»
Ma Skyler non gli permise di terminare, e afferrandogli repentina il volto tra le mani si sollevò sulle punta, premendo con desiderio le labbra sulle sue.
Il figlio di Poseidone si abbandonò senza pensar troppo a quel contatto, e posandole il palmo aperto nell’incavo della schiena approfondì quel bacio. Le loro lingue si scontrarono dapprima con dolcezza, per poi prendere a spingersi e lottare con voracità, mentre i loro cuori battevano all’impazzata in sincrono con i loro affannosi respiri.
«…mancata» terminò flebilmente il ragazzo, non appena lei si fu allontanata quel tanto che bastava per poter posare la fronte contro la sua. Poi sollevò compiaciuto le sopracciglia. «Dovrei coglierti di sorpresa più spesso» constatò, al ché per la mora fu impossibile trattenersi dal ridacchiare.
Lo attirò emozionata a sé, nascondendo il viso nell’incavo della sua spalla ed inspirando a fondo il suo rassicurante profumo di salsedine.
Tra tutte le cose intorno a lei che si ostinavano fastidiosamente a cambiare, Michael per fortuna era riuscito a non farsi coinvolgere: il suo ribelle ciuffo di capelli scuri gli ricadeva sempre disordinato sulla fronte; gli angoli della sua bocca erano ancora incurvati nella stessa espressione malandrina con il quale la ragazza l’aveva conosciuto; e i suoi occhi, seppur cangianti, continuavano a brillare dello stesso familiare luccichio che li aveva sempre caratterizzati.
«Sono così felice che tu sia di nuovo qui» le sussurrò lui dopo un po’, lasciandole un tenero bacio sulla punta del naso.
«Anch’io» annuì lei, intrecciando le dita alle sue e portandosele alle labbra.
«Come va con tua nonna?» domandò quindi il moro, al quale – durante l’anno passato- la figlia di Efesto non aveva mancato di raccontare nulla.
«Bene, credo. Non è facile riallacciare i rapporti dopo tanto tempo, ma ci stiamo provando.»
«E tuo zio?»
«Sta imparando» confermò lei. «Anche se è ancora convinto che tu sia alto due metri ed abbia un occhio solo.»
Il figlio di Poseidone fece una smorfia, contrariato. «Non è stata una grande idea, parlargli di Tyson.»
«No, infatti» rise la ragazza, e nell’istante in cui lui le sfiorò dolcemente uno zigomo con il polpastrelli, lei posò la guancia contro il suo palmo, chiudendo gli occhi quasi a voler focalizzare l’attenzione unicamente sul tiepido torpore che quel contatto le infondeva.
«Finalmente sono a casa» mormorò, al ché lui le baciò la fronte.
«Come stai tu, invece?» le chiese poi, e il suo tono palesò una certa apprensione.
Skyler sospirò brevemente. «Bene» rispose.
«Ne sei sicura?» insisté Michael, e per farle intendere che le sue parole non lo avevano convinto affatto le accarezzò con il pollice lo spazio in mezzo agli occhi, dove solo allora la mora si rese conto essersi formata una ruga di preoccupazione.
Sbuffò dal naso, maledicendo la bravura di quel ragazzo nell’interpretarla.
«Puoi dirmelo, se c’è qualcosa che ti turba, sai?» le intimò.
La figlia di Efesto prese quindi fiato, intenta a parlare; ma inizialmente le sue corde vocali non emisero alcun suono.
Era sicura di aver raccontato al figlio di Poseidone tutto ciò che era necessario sapere, ma solamente in quel momento si rese conto quanto poco quelle cose valessero, in confronto a tutto il resto che gli aveva taciuto.
Non gli aveva detto dei suoi ricorrenti incubi, e dell’angosciante sensazione di essere seguita ed osservata.
Non gli aveva spiegato del panico che le aveva attanagliato il cuore ogni volta che il fantasma dell’estate passata tornava ad incombere su di lei.
Non si era presa la briga di informarlo riguardo la sua costante paura che da un momento all’altro Prometeo potesse arrivare, portandole via ciò che di più caro aveva al mondo.
Non glielo aveva detto, e non l’avrebbe fatto. Non perché non si fidasse di lui, ma per il semplice motivo che per poterci riuscire aveva prima bisogno di far chiarezza personalmente con le proprie emozioni, e di capire come poter impedire a quest’ultime di renderla debole e vulnerabile.
«Sto bene» mentì con un fil di voce, non riuscendo a darla a bere neanche a sé stessa, con quell’ammissione. «Sono solo un po’ stanca, tutto qui. Ma ti assicuro che sto bene.»
Lui aggrottò la fronte, e Skyler capì che aveva colto in pieno la bugia. Ma nonostante questo, preferì lasciar correre, e abbozzando un appena accennato sorriso raccolse da terra il borsone di lei, coricandoselo su una spalla.
«D’accordo!» esclamò, prendendola per mano e aspettando che lei recuperasse l’altra valigia. «Sono sicuro che i tuoi fratelli non vedono l’ora di rincontrarti.»
Quando varcarono la soglia della Casa Nove, la giovane si sorprese nel constatare quanto avesse ragione.
L’accoglienza che ricevette fu del tutto calorosa, specialmente da parte di coloro che, negli anni precedenti, a malapena ricordavano il suo nome.
Dopo aver rischiato di perdere la vita, l’estate prima, i suoi fratelli avevano assunto nei suoi confronti una sorta di muto rispetto. Quello che aveva fatto per proteggere i propri amici e per salvare a ragazzo che amava aveva dimostrato a tutti quanto quella semplice ragazza dagli occhi mogani e i capelli striati di rosso fosse coraggiosa, impavida, un’eroina.
La figlia di Efesto non sapeva come spiegar loro che, invece, di ‘eroico’ lei non aveva proprio nulla.
In genere, gli eroi sono coloro che si sacrificano pur di difendere le altre persone.
Ma come avrebbe potuto trarre in salvo qualcuno lei, che non era in grado di tutelare nemmeno sé stessa?
«Puoi lasciarla qui» ordinò in direzione di Michael, indicandogli con un cenno distratto della mano il suo letto rivestito di lenzuola candide e pulite. Poi fece vagare lo sguardo per tutta la stanza, cercando qualcuno di apparentemente indefinito.
«Ma dove sono?» si chiese ad alta voce, allungando il collo nel tentativo di assicurarsi che non ci fosse nessuno intento a risalire la rampa delle scale che portava alle fucine.
«Chi?» volle sapere il figlio di Poseidone, non avendo compreso a chi si riferisse.
Lei si rabbuiò. «Non riesco a vedere quei due ingra-»
«Codice rosso!» urlò una voce alle sue spalle, e la mora fece appena in tempo a lasciarsi sfuggire un gridolino strozzato che due corpi la investirono, buttandola di peso sul materasso e spezzandole di netto il fiato.
«Ragazzi…» si lamentò infastidita, mentre le risate di Leo e Microft si fondevano in un unico, limpido suono.
«Bentornata, sorellona!» esultò il minore, e la ragazza spinse entrambi giù dal letto, borbottando qualcosa sulla loro grazia pare a quella di un elefante in calore.
«Ci sei mancata» annunciò l’altro, stringendosela al petto molto più forte del necessario.
«Leo» boccheggiò lei, sgomitando leggermente. «Non… respiro…»
«Ops» si scusò lui, indietreggiando di qualche passo.
Skyler li squadrò attentamente, un’espressione seria e sdegnata in volto. «Avevate intenzione di uccidermi?» li rimproverò, ma fu ben presto tradita dalle sue stesse labbra, che presero lentamente ad incurvarsi in un radioso sorriso. «Oh, venite qui!» comandò, e i due non se lo fecero ripetere una seconda volta, attirandola in un abbraccio che avrebbe potuto fare invidia a quello dell’orso più possente.
«Dei, Micky, sei più alto di me!» appurò poi la mora, non capacitandosi di come ora il fratellino la superasse di circa tre centimetri.
A quel complimento, il ragazzino gonfiò il petto. «Beh, sto crescendo. Cosa pensavi, che sarei rimasto piccolo per sempre?»
«Oh, sì» lo prese in giro Leo, divertito. «Il piccoletto, qui, è deciso a fare conquiste, quest’estate» sghignazzò, avvolgendogli un braccio attorno al collo e scompigliandogli i capelli, incurante delle seccate proteste di lui.
«Smettila!» lo riprese, risentito. «Questo non è affatto vero!»
«Non c’è nulla di male» gli assicurò quindi la sorella, guadagnandosi una torva occhiataccia.
«Io non voglio rimorchiare nessuna!» si stizzì.
«Neanche Rose?» lo punzecchiò allora Leo.
«Che cosa c’entra Rose?»
«L’ho vista questa mattina» lo informò Skyler.
«Davvero? È già tornata?» scattò dunque quello, per poi accorgersi dello sguardo d’intesa che si scambiarono i maggiori e lanciare un gridolino di frustrazione. «Insomma, piantatela!» si adirò, facendo ridere entrambi i figli di Efesto; la ragazza si avvicinò poi per scoccargli un sonoro bacio sulla guancia, e lui se la pulì, fingendosi disgustato, poco prima di allontanare con una leggera spinta il fratello, che aveva sporto le labbra in fuori simulando quelle che avrebbero dovuto sembrare le carnose labbra della figlia di Poseidone in questione.
«Lo sai che scherziamo!» affermò bonariamente Valdez, posando entrambi i gomiti sulle spalle dell’uno e dell’altra. «Ma dico, ci pensate? I tre caballeros sono di nuovo insieme. Dobbiamo festeggiare!»
«Che cos’hai in mente?» chiese la mora, malandrina.
Il ragazzo aprì la bocca per parlare, ma poi la richiuse, sollevando un indice in aria. «Non lo so» ammise, per poi aggiungere: «Ma mi verrà in mente qualcosa.»
«Io ho una domanda» si intromise Microft, un po’ perplesso. «Io sono Paperino, José o Panchito?»
Di fronte a quel quesito, Skyler si lasciò sfuggire una sommessa risata, ed osservando i due fratelli con sguardo tenero avvertì un improvviso calore invaderle rasserenante il petto.
«Mi siete mancati, ragazzi» confessò, ed era sincera.
Le erano mancati, quasi più di tutto il resto del Campo.
Lo sguardo di Leo si addolcì i
mmediatamente; e, commosso, la tirò a sé per poterle baciare una tempia e darle uno scherzoso buffetto sul naso.
«Ci sei mancata anche tu.»
 
Ω Ω Ω
 
Quando conduci una vita da semidio ti rendi conto di come l’estate sia finalmente cominciata solo quando ti riunisci con tutti gli altri attorno al falò, subito dopo aver partecipato ad una delle classiche cene intrise del chiacchiericcio che puntualmente si levava da ogni tavolo.
Seduta sulla stessa panca sulla quale – due anni prima- Emma aveva inciso le loro iniziali, la figlia di Efesto non poteva fare a meno di sorridere di fronte alla pace e serenità che regnavano tra i presenti.
Accanto a lei, Michael e la figlia di Ermes si lanciavano frecciatine divertite, mentre John, mano nella mano con Melanie, le raccontava tranquillamente come fosse andata la propria giornata.
Alcuni figli di Apollo, come loro solito, avevano con sé i rispettivi strumenti musicali – tra chitarre e piccoli bonghi- ed intonavano Whatever degli Oasis mentre il resto dei ragazzi si dilettava a cantare.
Anche la mora, dopo un po’, si unì a quel coro improvvisato; e per un solo, memorabile attimo, tutto assunse un tono di assoluta perfezione.
Come se il mondo avesse smesso di girare così, a bruciapelo, dandole quindi la possibilità di scendere e di concedersi una tregua dai problemi, dalle incertezze, dalle paure, dai malumori.
Quasi tutto si stesse muovendo in assoluta sincronia, garantendo dunque l’armonia necessaria per alleviare il senso di oppressione che le comprimeva il petto.
Ma non durò a lungo, purtroppo. Non quanto Skyler aveva sperato.
Perché nell’istante stesso in cui un brivido risalì molesto sulla sua schiena, un ronzio metallico le invase i timpani, facendola pietrificare.
I testi di quelle canzoni si sovrapposero ad un bisbigliare serpentino, raccapricciante. Focalizzandovici con cura tutta la propria attenzione, la ragazza si sforzò per capire che cosa stesse sillabando quella voce sconnessa, che apparentemente sembrava si limitasse a mugugnare.
Fece vagare lentamente le proprie iridi screziate d’oro tra i presenti, ed ebbe di nuovo l’impressione di essere osservata; o meglio, che qualcuno la stesse spiando.
Non le ci volle molto per poter porre fine a tutti i propri dubbi. E mentre pareva che la scena si stesse svolgendo a rallentatore e che tutti si spostassero con movimenti affaticati e tardigradi, lei lo vide.
Era lì, in piedi qualche metro più in là, e la fissava dritto negli occhi, sfidandola con lo sguardo a segnalare la sua presenza.
Con il suo fisico asciutto, i capelli color nocciola e quelle due pietre di smeraldo che erano state imprigionate dalle sue ciglia, riusciva benissimo a confondersi tra la moltitudine di ragazzi, restando in disparte e non facendosi notare.
Eppure c’era, e lei non capiva come gli altri non se ne fossero accorti.
O forse era l’opposto, e lei era l’unica in grado di vederlo?
Era un’illusione, quella? Stava per caso sognando?
Sarebbe anche riuscita a dare una risposta a quei quesiti, se non fosse stata paralizzata dal terrore.
Matthew ghignò, sprezzante, e nonostante le sue labbra non si mossero riuscì comunque a comunicare con lei, insinuandosi tra i suoi pensieri.
La figlia di Efesto fu sopraffatta dalle vertigini, e non si rese conto del sudore freddo che le imperlava la pelle finché i vestiti non le si incollarono addosso. Si sentì soffocare, come se qualcuno avesse stretto i suoi polmoni in una morsa d’acciaio pur di impedirle di ingerire aria.
Il ragazzo dinanzi a lei si godette la scena; e mentre lei stringeva talmente tanto i pugni da conficcarsi a sangue le unghie nei palmi, lui le sussurrò qualcosa, ripetendo la stessa frase ancora, e ancora, e ancora, e…
«Skyler» la chiamò Michael, allontanandola bruscamente dal panico che minacciava di annientarla. «Ti senti bene?»
La ragazza comprese il perché di quella domanda solo quando si accorse del proprio corpo, che tremava quasi fosse attraversato da degli spossanti spasmi.
«S-Sì» si impose di replicare, il respiro che da più che superficiale tornava lentamente regolare. Chiuse le palpebre, sospirando una, due, tre volte. «S-Sto bene» reiterò.
«Stai tremando» insisté quindi il figlio di Poseidone, e non era affatto una domanda. Prese le sue mani tra le proprie, studiandola preoccupato con i suoi attenti occhi ora blu notte.
«Sto bene» ripeté Skyler, deglutendo a fatica e tentando invano di abbozzare un sorriso. «Lo giuro. È stato solo un calo di pressione, sono molto stanca.»
Ma non appena osservò le iridi del moro far trasparire tutto il suo sconcerto, si chiese per quale arcano motivo non gli stesse dicendo la verità.
Aveva forse paura? Di cosa, poi?
Di come avrebbe reagito nel saperlo, di cosa avrebbe potuto fargli Prometeo, o del modo in cui lei reagiva al solo sentir pronunciare quel nome?
Qualche istante prima, era stata sul punto di andare in iperventilazione, abbandonandosi alla paura che le avrebbe prosciugato via ogni energia, com’era già successo in precedenza.
Perché non era la prima volta che quel titano che si spacciava per ragazzo si presentava al suo cospetto, ripetendole sempre la stessa, petulante frase.
«Sto arrivando, Ragazza in Fiamme», e più che un avvertimento, suonava quasi sempre come una minaccia in una perfida promessa.
«Sto arrivando solo per te.»   

Angolo Scrittrice. 
Salve ragazzi! 
Pensavate di esservi già liberati di me? 
Mi spiace annunciarvi che è ancora martedì, e che io sono sempre qui con un nuovo capitolo, il primo di questa freschissima storia. 
Non ho molto da dire al riguardo, in realtà, se non che - come potete notare- è un capitolo di passaggio, in cui succedono poche cose che anche se apparentemente possono sembrare inutili, in realtà sono del tutto funzionali alla trama. 
Come ad esempio l'improvvisa trasformazione di
Microft e Rose. La pubertà fa miracoli, miei cari! E mentre lui ha guadagnato centimetri e qualche possibilità in più con le ragazze, lei ha assuto dei tratti più da... donna, lasciando senza parole anche il nostro povero John. Nella mia testa, ho sempre immaginato la figlia di Poseidone in questa sua nuova fase con il volto di Barbara Palvin, ma non so, non sono del tutto convinta. 
Che ne pensate voi, invece? Che conseguenze pensate che comporterà tale inaspettato cambiamento da parte dei due piccoli della storia? 
Ma passiamo invece a
Skyler, e al suo ritorno al Campo Mezzosangue. Ha rincontrato Michael, i suoi fratelli, i suoi migliori amici, e per un attimo tutto è parso perfetto. Ma il nemico è sempre in agguato; e come vedete, sembra voglia far capire alla ragazza che manca davvero poco, prima dell'inizio della sua vendetta.
Secondo voi, cos'ha in mente? E perché la figlia di Efesto reagisce così ogni volta che lo vede, se ne parla e ripensa agli avvenimenti dell'estate precedente? 
Bene: se devo essere sincera, avevo sempre immaginato un esordio un po' diverso per questa storia. Vi ho lavorato tantissimo, dedicandovi tutta me stessa, e mi è dispiaciuto non poco vedere che molto probabilmente l'emozione che ho provato io nello scrivere quel prologo non sono riuscita a trasmetterla anche a voi, e di questo sono mortificata. 
Se il primo vi ha deluso in qualche modo, non voglio dire che spero che con questo capitolo vi ricrediate, dato che non è certo uno dei migliori, ma mi auguro comunque che mi diate una possibilità di dimostrarvi tutte potenzialità che nel profondo possiede anche questa storia. 
Ringrazio ad ogni modo i miei favolosi Valery's Angels, che mi hanno regalato delle stupende recensioni dandomi una ragione in più per scrivere e pubblicare questo primo capitolo:
TamaraStoll, Sarah Lorence, unika, _angiu_, diabolika14 e anna4evermakeup
Grazie davvero, angeli. Siete i migliori!
Well, ora credo proprio che sia arrivato il momento di andare. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e non esitate a dirmi se vi ha fatto schifo. Accetto tutte le possibili critiche, you know, purché costruttive. 
Un bacione ancora, e a martedì prossimo! scuola volendo
Sempre vostra,
 
ValeryJackson

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


 

Rose aveva accolto di buon grado l’idea di fungere da guida per i nuovi ragazzi del Campo, con la speranza che così facendo potesse a sua volta ritrovare il beneficio delle vecchie abitudini.
Quella mattina erano giunti quattro nuovi semidei: un figlio di Afrodite, una figlia di Morfeo e due figli di Ecate.
Quest’ultimi erano gemelli.
Si chiamavano Kara e Locke, e al di là del sesso erano perfettamente identici. Avevano all’incirca quindici anni, con gli occhi verdi striati di mogano e i volti letteralmente tempestati di lentiggini. Nonostante lui fosse di pochi centimetri più alto, la loro costituzione fisica era pressoché la stessa, e con le loro labbra carnose e i loro sorrisi sfrontati avevano ben presto guadagnato la simpatia della figlia di Poseidone, che era stata lieta di scortarli.
«Alla vostra destra vedete la Mensa, dove ci riuniamo per tutti i pasti, non appena sentiamo il richiamo del corno. Solitamente, poi, quel suono accompagna anche il coprifuoco; e alcune volte viene usato anche per segnalare le emergenze. Ma questo, fortunatamente, capita di rado.»
«E noi saremo costretti a sederci al tavolo delle matricole?» domandò sarcastico il ragazzo, spostandosi dalla fronte un’ambrata ciocca ribelle mentre faceva vagare lo sguardo attento sulle alte colonne di marmo.
«Oh, no» ridacchiò Rose. «Ogni tavolo appartiene ad una Cabina, per cui voi siederete con i vostri fratelli, dato che vostro padre è…»
«Madre» la corresse distrattamente l’altra.
«Miss Ecate» borbottò quindi lui, al ché la mora annuì, per poi rivolgere loro un’occhiata interessata.
«Da dove venite?» chiese, subito dopo avergli mostrato l’armeria.
«Texas» rispose Locke.
«E anche Las Vegas, San Francisco, Los Angel, New York, Olrando…» Kara sbuffò dal naso, con aria ironica. «Solo perché siamo nati in un posto, non significa che vi apparteniamo.»
«Aspettate» li interruppe la figlia di Poseidone, in un’espressione corrucciata. «Credo di non capire…»
«Nostro padre lavorava in un circo» le spiegò dunque il ragazzo, gli angoli della bocca incurvati in un piccolo ghigno. «Per cui abbiamo cambiato spesso città.»
«Studiavamo con la cartomante…» aggiunse lei.
«... pranzavamo perlopiù con lo zucchero filato…»
«… e guadagnavamo qualche spicciolo in più durante lo spettacolo dei clown.»
«Nel senso che li rubavate?» indagò Rose.
«Diciamo che il nostro era più uno… scambio equo» ribatté il biondo.
«Noi rendevamo felici loro…»
«… e loro rendevano felici noi.»
La mora li squadrò, non sapendo se essere indignata dal loro comportamento o divertita dalla loro sfacciataggine.
«E vostro padre quando vi ha rivelato la vostra vera identità?»
I due gemelli, quasi in contemporanea, arricciarono il naso. Lui si grattò un orecchio, con fare pensoso.
«Non c’è stato un momento in particolare, in realtà» confessò.
«Lo sapevamo e basta» convenne Kara.
«Sin da bambini.»
«Poi quando siamo stati finalmente riconosciuti…»
«… lui ci ha spiegato come arrivare qui.»
«E ci ha fatto promettere di badare l’uno all’altra.»
«Cosa che avremmo fatto comunque, a dir la verità» fece spallucce Locke.
«Parla per te!» lo canzonò la sorella, guadagnandosi in replica una smorfia indispettita.
Rose si lasciò sfuggire un timido sorriso. «Lo fate spesso?» cambiò discorso.
I due parvero confusi.
«Fare cosa?» domandò la bionda.
«Finire l’uno le frasi dell’altra.»
I figli di Ecate si scambiarono una complice occhiata, per poi sospirare nello stesso istante.
«Solamente…» cominciò lui.
«… qualche volta» terminò lei, e i tre semidei risero insieme, salutando con un cenno spensierato i figli di Ermes che si trovavano nelle scuderie. Quando arrivarono dinanzi il campo di fragole, la figlia di Poseidone si strinse impacciata nelle spalle.
«Beh, chiedetemi quello che volete» li invitò, con gentilezza.
«Possiamo?» si assicurò Kara, titubante.
«Certo che sì. Vedrò di rispondere a tutte le vostre domande, lo giuro.»
«Okay… che impegni hai per stasera?» si fece avanti Locke, senza vergogna.
«Non a quel genere di domande, però» lo riprese lei, incapace ad ogni modo di trattenersi dal sogghignare, contagiando anche lui.
«Sai invece dirci cos’è quello?» si intromise la bionda, tenendo le iridi fisse su un punto indefinito di fronte a sé. Rose seguì la direzione sul suo sguardo, e capì a cosa fosse dovuta la sua espressione esterrefatta solamente nel momento in cui si ritrovò senza parole.
Stando a ciò che le aveva raccontato Michael, la struttura che svettava dinanzi a loro era in costruzione dall’inizio dell’inverno appena passato. Costretta a chinare il capo indietro per potervi scorgere la vetta, la ragazza non poteva negarne la maestosità.
Era interamente costruita in pietra bianca, e aveva le sembianze di una vera e propria fortezza. Si ergeva su circa quattro piani, tutti caratterizzati da delle alte vetrate colorate raffiguranti scene di guerra di cui lei non sapeva l’esistenza.
C'erano due spesse colonne di marmo a segnalarne l’ingresso, all’apice delle quali vi erano delle punte di un azzurro spento, le stesse che scamozzavano anche in cima. A collegare i due pilastri, poi, c’era una spessa arcata, sulla quale era inciso uno strano simbolo – tre corni intrecciati tra loro a formare un insolito triangolo-.
Per quanto lo volesse, la mora non sapeva proprio come rispondere a quel quesito; e facendo vagare le proprie iridi ora verde oceano sulla piccola folla – che radunatasi a pochi metri di distanza da quel palazzo, osservava alcuni tra ninfe, mezzosangue e satiri lavorare – intuì di non essere l’unica.
Tra quei venti ragazzi dall’aria interdetta riconobbe nell’immediato un volto familiare, e senza preoccuparsi se gli altri due la seguissero o meno gli andò incontro, raggiungendolo.
Microft sembrava decisamente assorto nello studiare ogni processo della fabbricazione, tanto che non si accorse dell’arrivo dell’amica, finché questa non attirò la sua attenzione.
«Ehi, Micky» lo chiamò infatti, e a lui ci volle qualche secondo per poter mettere a fuoco i suoi lineamenti e sorriderle.
«Ehi, ciao» la salutò di rimando, per poi notare i visi sconosciuti al suo seguito. «Ehm… piacere» si presentò, porgendo ad entrambi la mano. «Io sono Microft, figlio di Efesto.»
Dopo che anche i due ebbero contraccambiato, tornò a volgere il proprio sguardo sulla costruzione davanti a sé, dove gli occhi della figlia di Poseidone erano già puntati.
«Che cos’è?» chiese lei in un sussurro, al ché lui sbuffò, contraendo i muscoli della mascella.
«Non ne ho la più pallida idea» ammise, scoraggiato. «Sin da quando è stata progettata, molti si sono fatti la stessa domanda. Ma Chirone è tutt’ora muto come un pesce, e nessuno di quelli che ci lavora sembra disposto a parlare.»
«Un secondo» lo interruppe la ragazza, aggrottando leggermente al fronte. «Vuoi dire che nessuno dei tuoi fratelli ha partecipato ai lavori?»
«È proprio questo il punto, Sirenetta» si rabbuiò il moro, rivolgendole un’occhiata perplessa. «Nessuno di quei ragazzi è un mezzosangue. O meglio, non di questo Campo. Hanno segnalato con quelle colonne un limite che nessuno ha il permesso di superare, e loro stessi sono i primi a non varcarlo mai. Non so cosa abbiano intenzione di fare, né per quale motivo ci tengano nascosto il perché… ma di una cosa sono sicuro.»
«Quale?» lo incalzò Rose, e dovette attendere alcuni attimi, prima che l’amico si decidesse a rivelare: «Questa non è una struttura greca.»
A quelle parole, lei era sembrata sconcertata, oltre che confusa. «Che vuoi dire?»
«Muri per la maggior parte di pietra, invece che di puro marmo; vette appuntite; colori sgargianti. E hai visto quel marchio? Ho chiesto in giro, e neanche i figli di Atena sanno cos’è. Insomma, fanno delle supposizioni, sì… ma mai nulla di certo.»
«E cosa credi che significhi, questo?»
Prima di ribattere, il figlio di Efesto sospirò. «Penso che sia il modo di Chirone di metterci in guardia che le cose stanno per cambiare.»
Ci sarebbero state delle novità? Beh, quello non era un problema.
La figlia di Poseidone non aveva paura di qualche piccolo cambiamento, soprattutto se questo poteva rivelarsi una miglioria.
L’unica nota dolente era: perché tacere tutta la faccenda ai semidei? E ancora: quanto tempo gli restava prima che le loro vite venissero completamente sconvolte?
Cosa rappresentava quell’imponente edificio per loro? E in che modo li avrebbe condizionati?
Dovevano rendere la loro curiosità fonte di scoperta ed orgoglio?
O forse era meglio temere l’inevitabile, qualsiasi cosa esso comportasse?
 
Ω Ω Ω
 
Emma gli aveva detto di lasciarla in pace, e lui non aveva fatto altro che obbedire.
«Stammi lontano» erano state le sue esatte parole, pronunciate solamente l’estate precedente. E per quanto difficile, Leo era riuscito a rispettare le distanze tra loro.
Non le aveva più rivolto la parola, da quel giorno, né aveva tentato nuovamente di scusarsi con lei per tutto ciò che era successo. Dopo aver chiarito la situazione con Charlotte, aveva sperato di poter avere la possibilità di farsi perdonare, e invece questa gli era stata deliberatamente negata.
Ogni volta che per caso scorgeva la chioma bionda della figlia di Ermes in giro per il Campo non poteva fare a meno di avvertire un pugno di ferro stringergli la bocca dello stomaco, mentre il fiato gli si spezzava in gola, quasi fosse incapace di ingerire nuova aria nei polmoni.
Lei non sapeva. Lei non avrebbe mai saputo.
E forse era questa la cosa che faceva più male.
Il rendersi conto di non essere riuscito a spiegarsi; la consapevolezza che se non avesse aspettato tanto, prima di accorgersi di quanto la ragazza fosse importante per lui, magari quella storia avrebbe avuto un finale diverso.
Il figlio di Efesto non poteva negare di essere stato più che bravo, nel seguire il volere di lei. Ma sarebbe stato un ipocrita se avesse affermato che nel farlo non aveva accumulato in sé un dolore tanto fastidioso quanto bruciante, che lo irritava dall’interno, costringendolo a reprimere continuamente un raschiante urlo in fondo al cuore.
Anche il solo vederla riaffiorava alla sua mente ogni memoria, e ogni volta non poteva fare a meno di chiedersi quando fossero diventati così bravi ad ignorarsi.
Proprio come quella mattina, in cui si passarono accanto senza neanche scambiarsi un cenno del capo, lui diretto verso la propria Cabina dopo una serie di allenamenti, lei all’Arena.
Aveva finto di non averla notata? Certo, come sempre.
Era stato difficile vincere contro l’impulso di correrle dietro, attirarla a sé e baciarla? Di nuovo, come sempre.
A volte se si concentrava riusciva ancora ricordare il sapore delle sue labbra, e come gli erano sembrate dolci, solo un anno prima; morbide, e calde, e perfette. Aggrapparsi a quella nostalgia era diventata per lui un’ossessione; che però, sapeva, non l’avrebbe aiutato in alcun modo.
Doveva dimenticarsi di lei, e togliersela dalla testa.
Anzi, forse ci era già riuscito.
Magari il suo era solo un rimuginare sui tempi andati, con la certezza di essere maturato abbastanza da non ricadere più negli stessi errori.
Può darsi che quelle reminiscenze non erano altro che la prova tangibile di quanto la vita fosse imprevedibile.
Un attimo prima era convinto di aver trovato la propria anima gemella, e quello dopo scopriva che in realtà era solo un’avventura. Un segno in più sulla pelle che magari faceva più male degli altri, e che avrebbe continuato a bruciare per un po’; ma che alla fine si sarebbe comunque rimarginato.
Una proposizione in un testo di un centinaio di righe.
Solo che Leo era tutt’ora in attesa che si arrivasse ad uno stramaledettissimo punto.
Perché diamine, le virgole sembravano non bastare.
Ed ogni volta che la rivedeva lui ancora non riusciva a ricordare come respirare.
 
Ω Ω Ω
 
Melanie soffocò una sommessa risata non appena John le posò un tenero bacio sul collo.
Da quando stava con la figlia di Demetra, il biondo contava impaziente sulle dita di una mano i secondi di ogni giorno, nell’attesa che arrivasse il momento giusto per potersi ritagliare un po’ di tempo da poter trascorrere solo ed unicamente con lei.
Sdraiati sul suo letto nella Cabina Sette, i ragazzo era consapevole di correre un rischio, ma non gli importava.
Subito dopo essere tornato alla propria, normale routine ed aver consolidato una volta per tutte la propria relazione con la bionda, i rapporti tra lui e suo fratello Will si erano ufficialmente incrinati.
Non si rivolgevano più la parola, se non per scambiarsi qualche informazione strettamente necessaria e per rammentarsi a vicenda i vari turni per il bagno.
Il maggiore non aveva mai approvato la ragazza, e lui non riusciva a capirne il motivo.
Per quanto potessero dirne i maldicenti, lei era dolce, divertente, simpatica, altruista, e soprattutto lo rendeva felice. Dei, se lo rendeva felice.
In un anno era stata capace di amarlo molto più di quanto avessero fatto le altre ragazze che aveva incontrato nell’arco della propria esistenza.
Quando poi era diventato ormai evidente che quel sentimento era più che ricambiato, il figlio di Apollo era stato posto davanti ad una scelta, e non ci aveva pensato due volte a troncare ogni legame con coloro che infangavano quel rapporto senza essere neanche a conoscenza delle solide basi sulle quali era fondato.
Solace era sempre stato uno dei fratellastri ai quali lui era più legato, insieme a Theresa. Uno dei suoi punti di riferimento in quella casa, a dirla tutta; per questo faceva ancora un po’ di fatica a convivere con l’idea di non poter più condividere con lui i propri malumori, o le proprie gioie.
Ma nonostante tutto il bene che poteva volergli, mai gli avrebbe permesso di allontanarlo da Melanie.
Non poteva avere entrambi nella propria vita?
Bene, allora lui decideva di passarla interamente con lei.
La figlia di Demetra sapeva di questo dissidio tra i due ragazzi, ed era ben consapevole di esserne la principale – se non unica – causa. Più volte aveva spronato John a perdonare Will, e ad ascoltare le sue ragioni, nel tentativo di tornare quelli di prima. Eppure era stato tutto inutile.
«Non mi interessa quello che dice la gente» le aveva fatto notare lui, guardandola intensamente negli occhi. «Tutto ciò che conta ce l’ho proprio qui, davanti a me.»
E dopo questo, lei non aveva potuto fare a meno di adorarlo ancora di più.
Con le sue dita che le accarezzavano dolcemente la pelle nuda dei fianchi, la ragazza si convinse di non avere nient’altro da desiderare. Per una volta la fortuna pareva girare costantemente a suo favore, regalandole la serenità e la felicità alle quali aveva sembra ambito.
«Che c’è?» chiese in un sussurro al biondo, non appena notò che le sue iridi smeraldine le stavano studiando il viso con attenzione.
Lui in tutta risposta allungò una mano per spostare con delicatezza una ciocca color grano che le ricadeva sulla fronte. «Sei bellissima» bisbigliò, come se fosse la cosa più semplice e scontata del mondo.
Lei sorrise, facendo scontrare giocosamente i loro nasi. «E tu sei un bugiardo» lo accusò, prima di posargli il palmo dietro la nuca ed attirarlo a sé, facendo incontrare le loro labbra.
Approfondirono presto quel bacio, che si godettero a lungo e con calma, mentre le loro lingue giocavano maliziose e i loro cuori battevano ad un ritmo accelerato. Solo nell’istante in cui il giovane si allontanò da lei quel tanto che bastava per poterla stringere a sé e posare la fronte contro la sua, la bionda si concesse qualche attimo per far vagare i pensieri.
I due condividevano praticamente tutto, ormai; anche i più inutili dettagli. Ma c’erano cose che spesso e volentieri lei aveva omesso di dirgli, un po’ per paura, un po’ perché era la prima a non sapere come gestire quelle situazioni.
C’era una domanda, in particolare, che le invadeva la mente da circa due settimane a quella parte; e che la tormentava, ponendola dinanzi ad un bivio che non riusciva proprio ad aggirare.
Forse parlarne con lui l’avrebbe aiutata a far chiarezza con le proprie emozioni contrastanti.
Anzi, sicuramente sarebbe stato così.
«John, devo dirti una cosa» annunciò, improvvisamente seria in volto, tanto che lui inarcò un sopracciglio.
«Sono tutt’orecchi» le assicurò, con tono pacato.
«In realtà non è così semplice da spiegare.»
A quelle parole, il ragazzo sembrò preoccupato, perché la squadrò con apprensione, in un misto di confusione e curiosità.
Melanie impiegò qualche secondo per decidersi a parlare, e anche quando lo fece, si maledisse per il tremitio della propria voce.
«Ho parlato con Leo, questa mattina» spiegò, e il figlio di Apollo apparve interdetto.
«Okay» mormorò piano, aspettando pazientemente che lei continuasse. «Riguardo a cosa?» la incalzò poi.
«Ehm…» La figlia di Demetra esitò, tirandosi su a sedere e passandosi nervosamente le dita tra i capelli. Pareva a disagio, e il biondo lo notò. Imitandola nella posizione cercò il suo sguardo, ma le sue iridi color nocciola erano basse, sfuggenti.
«Ehi» la chiamò teneramente, accarezzandole la schiena. «C’è qualcosa che non va?»
«No. Cioè, sì. Forse. Non lo so.» La ragazza sospirò, imponendosi di arrivare al dunque. «Un po’ di tempo fa, ho discusso con Leo riguardo ad un progetto che aveva in mente, e lui mi ha spiegato che potrebbe essere in grado di costruirne uno.»
«Di costruire che?»
«Una cosa per me.»
«Ovvero?»
«Un braccio bionico.» La bionda si voltò repentina per osservare la sua reazione, e si ritrovò di fronte un John spiazzato, forse addirittura incredulo.
«Io… non ho davvero idea di cosa dirgli» ammise dunque lei, sentendo la gola bruciare. «Lui mi ha detto che ovviamente ha bisogno del mio consenso, e che quindi devo fargli sapere se ho intenzione di accettare. Ma la verità è che sono indecisa. Tu sai quanto io abbia desiderato di poter tornare indietro a quella sera per impedire a quel mostro di rovinarmi irrimediabilmente la vita. Ora ho la possibilità di riavere ciò che ho perso, ma in fondo al mio cuore so che non sarà la stessa cosa. Non credo di essere pronta a guardarmi allo specchio, e ad osservare una parte del mio corpo fatta interamente di metallo. Però d’altro canto questa è l’occasione che aspetto da più di un anno. Aiutami, John» lo implorò poi, con calde lacrime che le brillavano negli occhi. «Secondo te cosa dovrei fare?»
La replica del ragazzo fu tutt’altro che istantanea. Quella rivelazione l’aveva sorpreso, non perché non sapeva della possibilità di costruire a Melanie un altro braccio, ma perché non vi aveva mai neanche pensato.
Era così abituato a vederla così, bella come il primo giorno in cui l’aveva conosciuta, che a lui semplicemente il fatto che non avesse un arto, o un orecchio, o un piede non importava.
Non l’aveva proprio sfiorato l’idea di cambiarla, perché a suo parere – per quanto assurdo potesse sembrare – lei era già perfetta così.
E per darle dimostrazione di ciò le prese con accortezza il viso fra le mani, baciandole delicato prima la fronte, e poi gli zigomi, la punta del naso, gli angoli della bocca.
«Secondo me dovresti fare ciò che ritieni giusto» le disse dopo un po’, accarezzandole un guancia. «E che sai che ti renderebbe felice. Qualsiasi scelta avrai intenzione di prendere, io ti appoggerò» le promise. «Sempre, okay? Non dubitarne mai. Perché io amo quello che c’è qui» continuò, battendole mite l’indice all’altezza del cuore. «E questo niente e nessuno potrà mai cambiarlo.»
La figlia di Demetra sorrise, commossa, per poi avvolgergli il braccio attorno al collo e nascondere il volto nell’incavo della sua spalla, come soleva fare ogni volta che voleva inebriarsi del suo profumo di menta.
«Ti amo» gli ricordò lei; ed abbracciandole la vita, lui ebbe la certezza che quella non era una bugia.
Come avrebbe potuto esserlo, d’altronde?
Le loro anime era state plasmate unicamente per stare insieme.
 
Ω Ω Ω
 
Da quando aveva avuto l’occasione di poterlo osservare da vicino, Skyler non aveva fatto altro che chiedersi cosa rappresentasse quella fortezza che si stava ergendo tra la Casa Grande e il campo di fragole, e soprattutto quale fosse il suo scopo.
Non era sfuggito alla sua attenzione l’intricato simbolo inciso sul quell’arcata, e il non avere le informazioni necessarie per poter formulare delle ipotesi la logorava, aumentando ogni istante di più la sua curiosità.
Tra i semidei aveva iniziato a girare alcune delle supposizioni più strane, ma a detta della figlia di Efesto nessuna di quelle si avvicinava lontanamente alla verità.
C’era qualcosa che Chirone taceva loro, e l’assenza di ben due mesi del Signor D non faceva che insospettirla ancora di più.
Che fine aveva fatto il dio? Perché non era con loro?
Okay che occuparsi di quei ‘marmocchi’ – come li chiamava lui -  non era mai stata una delle sue massime aspirazioni, ma non doveva forse scontare la punizione impostagli da Zeus per il resto della propria immortale vita?
Il centauro si sgranchì rumorosamente la voce, facendo tintinnare una posata contro il bicchiere per poter attirare l’attenzione generale.
Si erano riuniti tutti alla mensa per il pranzo, ed i mormorii generali cessarono immediatamente non appena il direttore del Campo cominciò a parlare.
«Volevo solo annunciarvi» esordì, sollevandosi nella sua possente forma equina. «Che subito dopo i pasti tutti i Capocabina sono convocati alla Casa Grande per una riunione della massima urgenza. Nulla di preoccupante, state tranquilli. Ma è richiesta la vostra assoluta presenza, e naturalmente la puntualità. E ora tornate pure ai vostri discorsi.»
Ma era ovvio che qualsiasi argomento dominasse in precedenza fu bellamente spazzato via da quell’inaspettata notizia.
Che cosa andava comunicato ai Capocabina, che gli altri non potevano sapere?
Perché tanta segretezza? Perché non dirlo pubblicamente a tutti quanti?
Qualcosa non quadrava, in quella situazione; e Skyler se n’era resa conto forse anche prima dei suoi compagni.
Lanciò un’occhiata in direzione di Emma, seduta al proprio tavolo, e la figlia di Ermes le rivolse una scrollata del capo, stringendosi nelle spalle mentre le palesava tutta la propria interdizione.
La mora incontrò lo sguardo perplesso di John, e gli occhi stretti a due fessure di Michael, che incatenando le proprie iridi ora verde acqua alle sue le chiese silenziosamente se avesse idea di cosa stesse succedendo, al ché lei scosse la testa.
No, non riusciva a capire perché aleggiasse nell’aria così tanto mistero.
Ma di una cosa era certa: non esistevano quesiti che destinati a restare troppo a lungo irrisolti.
 
Ω Ω Ω
 
«Ripetimi ancora una volta perché lo stiamo facendo.»
L’amica le aveva già fatto quella richiesta ben sette volte, tanto che a quel punto Skyler fece roteare gli occhi, guardandosi intorno per assicurarsi che non fossero vittime di sguardi indiscreti.
«C’è qualcosa che non mi torna, in tutta questa storia» spiegò di nuovo, sfilandosi l’elastico dal polso per stringersi i capelli in una coda di cavallo. «Chirone sta mantenendo un segreto, e chissà perché ho la sensazione che riguardi quello strano palazzo che è stato costruito.»
Degli altri tre, nessuno ebbe il coraggio di obbiettare. Era chiaro a chiunque che non era stata rivelata tutta la verità, ai semidei; ma nessuno sapeva spiegarsi il motivo.
Quando tutti i Capocabina si erano riuniti – com’era stato loro ordinato – nella Casa Grande, la figlia di Efesto, Emma, John e Michael avevano seguito l’istinto della mora di pedinarli, aggirandosi così di soppiatto attorno al punto d’incontro nella vana speranza di scoprire qualche dettaglio in più.
«E se ci beccano?» chiese ad un tratto il figlio di Apollo, del tutto contrario a quel folle piano.
«Non lo faranno» lo tranquillizzò la mora.
«Chirone ci uccide» confermò invece il figlio di Poseidone, guadagnandosi uno sguardo di rimprovero da parte della propria ragazza.
«Dobbiamo scoprire che cosa sta succedendo» reiterò quindi lei, con tono perentorio.
«Sì, ma perché proprio noi?» replicò il biondo.
In soccorso dell’altra, la figlia di Ermes sbuffò dal naso, in un’espressione ormai rassegnata. «Perché no?»
Le iridi scure di Skyler luccicarono di gratitudine, e dopo essersi piegata sulle ginocchia per poter passare sotto la finestra senza essere vista, sgattaiolò accanto alla porta.
«Stanno parlando» annunciò Emma appena l’ebbe raggiunta, dato che nell’imitarla era riuscita a sbirciare un po’ all’interno. «Sono tutti intorno al tavolo, ma non sono riuscita a vedere che facce avessero.»
La figlia di Efesto si portò un dito alle labbra, ordinando agli amici di fare silenzio. Poi accostò lentamente l’orecchio al legno freddo dell’ingresso, sforzandosi di carpire qualunque tipo di suono.
Ben presto, anche gli altri tre fecero lo stesso, con Michael chino nella sua stessa posizione e i due biondi in piedi sopra di loro, in ascolto.
Ogni rumore, però, sembrava incapace di attraversare lo spessore di quell’adito in cedro. Quasi qualsiasi parola fosse detta lì dentro fosse a malapena sussurrata. Oppure come se tutti si fossero improvvisamente ammutoliti.
«Non sento niente» bisbigliò la figlia di Ermes, in un mormorio tanto lieve che fece fatica a sentirsi lei stessa.
Non riuscì ad aggiungere altro, però, che la porta si spalancò di scatto; e i quattro, che vi avevano ingenuamente posato contro tutto il loro peso, ricaddero con un tonfo nella stanza, addossandosi l’uno all’altro sul pavimento.
La più scomoda era forse proprio la mora, che avendo il contatto diretto con il parquet fu la prima a sollevare lo sguardo, ritrovandosi di fronte gli zoccoli argentati di un centauro alquanto furioso.
Sotto gli occhi increduli dei presenti, abbozzò un sorrisino innocente, che per quanto volesse evitarlo palesò tutto il suo imbarazzo.
«Possiamo spiegare» giurò, ma Chirone si limitò ad emettere un nitrito sarcastico, con aria vagamente ironica.
«Non ce n’è bisogno» li liquidò, per poi rivolgersi ai ragazzi ancora seduti intorno al tavolo da ping-pong. «Potete andare, la riunione è conclusa. Grazie per essere venuti, figlioli.»
E detto questo si allontanò, risalendo le scale che portavano al primo piano – dove (si presumeva) c’era la sua camera da letto.
Alla vista dei Capocabina che si alzavano e tornavano alle rispettive mansioni, Skyler balzò in piedi, inseguendoli con l’illusione che qualcuno di loro sputasse fuori il rospo.
«Aspettate!» li pregò, ma questi finsero di ignorarla. «Di che cosa avete parlato, lì dentro? Per favore, che sta succedendo?»
«Percy!» chiamò Michael, bloccando il fratello per un braccio e rivolgendogli un cenno interrogativo. «Che cosa vi ha detto?»
«Mi dispiace, ragazzi, ma non posso parlarvene» si scusò il maggiore, rammaricato.
«Che significa? Perchè non puoi dircelo?» sbottò Emma, interdetta.
«Chirone ci ha fatto giurare sullo Stige. Potete chiedere a chi volete, ma neanche dei ruffiani come gli Stoll si lasceranno estorcere delle informazioni.»
«Ma dicci almeno qual è il problema!» lo incalzò John, al ché il figlio di Poseidone si morse il labbro.
«Sono in arrivo delle novità» sciorinò solamente.
«Che genere di novità?» gli domandò il minore.
«Novità molto grosse.»
«Ha a che fare con quel palazzo, vero?» chiese quindi la figlia di Efesto, e anche se quello poteva sembrare un quesito, in realtà lei conosceva già la risposta.
«A quanto pare sì» ammise il giovane Jackson, assumendo subito un’espressione rabbuiata in volto, quasi ciò che stesse per dire non fosse di suo gradimento. «Chirone è stato molto esplicito, in proposito» confessò. «Ma a dirla tutta, non ho ancora ben capito se i cambiamenti che stanno per avvenire miglioreranno o peggioreranno tutta questa situazione. Una cosa però è certa.» Ed esitò, prima di rivelare: «Stravolgerà completamente gli equilibri di questo Campo.»

Angolo Scrittrice. 
Bounjour! 
Salve a tutti, semidei! 
Eccomi qui, ovviamente di martedì, pronta con nuovo capito appena sfornato per voi. 
Bien, bien... che dire? Succedono un po' di cose importanti, ma partiamo dall'arrivo di due nuovi semidei al Campo:
Kara e Locke. Figli di Ecate. Gemelli. Alquanto singolari, a dirla tutta. 
Che ne pensate di loro? Che impressione vi hanno fatto? 
Per quanto riguarda il loro aspetto fisico, mi sono ispirata a due persone realmente esistenti, quindi se vi interessa vederle per farvi un'idea, fatemelo sapere. Se invece preferite immaginarli come più vi pare, fate pure! Ma non dimenticate che i loro volti sono lentigginosi, gnaw **
Anyway, ho voluto aprire una piccola parentesi riguardo
Emma e Leo, dato che in molti mi avete chiesto che fine avessero fatto. Beh, come vedete ci ritroviamo nel punto esatto in cui ci siamo lasciati: i rapporti si sono decisamente freddati; anzi, sono ormai del tutto inesistenti. Il figlio di Efesto ha rispettato il volere di lei di essere lasciata in pace, e sembra essere in guerra con sé stesso, dato che da un lato è convinto di averla dimenticata, mentre dall'altro sente ancora una forte attrazione che lo spinge verso di lei. 
Secondo voi che cos'è? Ma soprattutto, credete che le cose cambieranno, o pensate che lui abbia ragione, e che la loro storia sia stata sono una banale frase in un testo di un centinaio di righe?
Fatemi sapere cosa ne pensate, sono davvero curiosa!
Per quanto riguarda
Melanie e John, non credo ci sia bisogno di molte spiegazioni. Loro si amano, e il figlio di Apollo sarebbe disposto a tutto, pur di stare con lei (tant'è che si è messo contro il suo stesso fratello, pur di difenderla a spada tratta). 
Parlando con Leo, la figlia di Demetra è venuta a conoscenza della possibilità di avere a disposizione un braccio bionico. Cosa pensate che dovrebbe fare? Accettare l'offerta? Oppure evitare di correre il rischio?
Per lei sarebbe un bene o un male? E perchè? 
Una cosa è certa: John ci sarà per lei, qualunque strada prenderà. 
Confonde sempre di più la presenza di questa nuova struttura, I know. Se le supposizioni di
Skyler sono esatte, e sta per avvenire un cambiamento imminente, cosa credete che comporterà? 
Qualche idea? Si accettano scommesse di ogni tipo, anche le più inverosimili!
Ma ora veniamo al duqnue, e cioè alla domanda cruciale: Vi è piaciuto questo capitolo? Vi ha delusi? Ho fatto cilecca? Fatemi sapere cosa ne pensate, che si tratti di complimenti o critiche. Sono aperta a tutto, lo sapete. Ma ho bisogno di sapere che questa storia abbia del potenziale, e che non corra il rischio di finire solo come un ammasso di appunti su un foglio a quadretti. 
Mi scuso, poi, con i miei bellissimi angeli, ai quali non sono riuscita a rispondere per mancanza di tempo. Ma ormai mi conoscete, e sapete che risponderò a tutte le vostre recensioni non appena ne avrò l'occasione. Ringrazio quindi infinitamente:
TamaraStoll, Sarah Lorence, anna4eveermakeup, Iladn e Kamala_Jackson per aver commentato il capitolo precedente. 
Siete la mia forza, davvero. 
E con questo è arrivato il momento di lasciarvi. Non prima, però, di avervi mostrato una cosa. 
Dato che non sono sicura di averlo descritto alla perfezione, vi posto qui una piccola foto di come immagino il simbolo impresso sull'arcata del nuovo edificio del Campo. 

 
Qualcuno di voi l'ha già visto prima? Qualche supposizione? 
Okay, ora vi lascio davvero ahaha
Grazie ancora a tutti voi che state leggendo questa parte in grassetto, e che ancora - dopo tanto tempo- credete in me. 
A martedì prossimo, fanciulloschi!
Sempre vostra, 

ValeryJackson

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


 

Era tutto buio, intorno a lei, tanto che faticava a distinguere anche il contorno delle sue stesse dita.
Allargando di poco le braccia, Skyler si rese conto di trovarsi in uno spazio decisamente troppo ristretto; un corridoio, a giudicare l’eco lontana che s’infrangeva contro le pareti. Giungeva ai suoi timpani come un rimbombo, mentre la puzza di fogna le si insinuava nelle narici, dandole la nausea.
Ben presto udì un mormorio serpentino; un incessante sovrapporsi di parole sussurrate che apparentemente erano incomprensibili, e che le diedero la pelle d’oca.
Barcollando in avanti, posò il proprio peso contro il muro per impedire che le vertigini la sopraffacessero.
Avanzò con fatica, il fiato grosso per via del panico che molesto le stava attanagliando il cuore. Per qualche arcano motivo, le sue gambe sembravano intenzionate a non rispondere ai suoi comandi, quasi si rifiutassero di sorreggerla e di aiutarla a scappare da quell’angusto luogo.
Si sforzò di correre, inciampando nei suoi stessi piedi. Ad ogni suo passo, i bisbigli nell’aria si facevano sempre più insistenti, rumorosi; come se la stessero inseguendo. E lei, ingenuamente, si voltò più volte a guardare indietro.
Il cuore le martellava così velocemente nel petto da smorzarle il respiro, e solo quando quell’ammasso di voci si fece così forte da minacciare di farle implodere la scatola cranica, la figlia di Efesto fu investita da una brezza gelida, che si intrufolò sotto i lembi dei suoi vestiti.
Si coprì il volto con le mani, a mo’ di protezione, rendendosi conto solo poi di andare a sbattere conto un’imponente porta di legno che, con un tonfo sordo, si aprì.
Non appena le ante si spalancarono, il vento che l’aveva attaccata si disperse con un ruggito, portando via con sé anche tutti quei tediosi brusii.
A sostituirli vi arrivò solo un’agghiacciante risata, che a lei era ormai fin troppo nota.
Guardandosi intorno, si accorse di trovarsi in una luminosa sala da ballo; il pavimento in marmo scuro e le alte colonne dorate fecero riaffiorare immediatamente alla sua memoria ogni brutto ricordo. Quel posto le era familiare, e questo la spaventava a morte.
Fece per andarsene, ma quando si voltò notò che la porta dalla quale era entrata sembrava essersi del tutto volatilizzata.
Qualcuno rise nuovamente alle sue spalle, costringendola a girarsi di scatto.
C’era Matthew, di fronte a lei; e nonostante sapesse trattarsi del titano, il suo aspetto non aveva proprio nulla di immortale. Ma irradiava potere, e l’aura di Prometeo era tangibile nonostante tra loro ci fossero alcuni metri di distanza.
Il ragazzo sembrava divertito da quella situazione, e la mora fu consapevole di star tremando solamente quando lui ghignò sprezzante.
«Non aver paura, Ragazza in Fiamme» le intimò mellifluo, avvicinandosi a lei. «Non ti farò del male.»
Skyler indietreggiò, pervasa dal terrore; ma prima che potesse sperare di fuggire, lui le fu addosso.
Cacciando un gridolino, la semidea cadde supina a terra, battendo con violenza la nuca al suolo.
Puntini neri presero a danzarle nella retina, mentre il corpo di Matthew ancorava il suo al suolo, impedendole di sottrarsi per quanto potesse scalpitare.
«Non puoi sfuggirmi» le fece notare beffardo, con un sibilo; la ragazza rabbrividì nell’avvertire il suo alito caldo a pochi centimetri dal proprio volto. «Non più, ormai. Tu sei mia.»
Quella parola le diede un conato di vomito, e calde lacrime presero a rigarle il volto contro la sua volontà. Non voleva mostrarsi debole, ma purtroppo domare il panico che l’annientava diventava sempre più difficile.
«Io non sono di nessuno!» avrebbe voluto urlargli, ma quando schiuse la bocca per parlare tutto ciò che le sue corde vocali emisero fu un lamento strozzato.
Il titano le accarezzò malizioso le labbra, e in seguito il suo viscido tocco scivolò nell’incavo dei suoi seni; poi il fianco, e giù fino all’interno coscia.
La figlia di Efesto strizzò gli occhi, singhiozzando disgustata, e il sorriso sprezzante sul viso di lui diventò più ampio.
«Io avevo bisogno del tuo fuoco» continuò dunque, misurando con accortezza ogni frase. «Avevo bisogno che tu ti concedessi a me. E invece che hai fatto? Ti sei ribellata. Ti avevo chiesto solo un bacio, giusto? E tu ti sei tirata indietro.» Le sue dita si insinuarono sotto la sua maglietta, toccandole con desiderio la pelle nuda. «Ma non sarà così semplice, mia cara. Tu hai ancora qualcosa che mi appartiene. Ed io te la strapperò via ad ogni costo, chiaro? Ancora non l’hai capito? Noi due siamo un unico essere. Siamo legati. Non hai scampo.» E chinandosi ulteriormente su di lei, le sfiorò l’orecchio con le labbra. «Io mi nutro della tua paura» le rivelò, prima di posarle un languido bacio nell’incavo della mascella. Le lasciò un’umida e rovente scia sul collo, mordicchiandoglielo leggermente.
Con brucianti lacrime a rigarle il viso, Skyler avrebbe soltanto voluto opporsi a quella molestia; e dar sfogo al grido che ribolliva in fondo alla sua gola, ma che invece pareva essere intenzionato a non andar via di lì.
«Fallo, Ragazza in Fiamme» le intimò ad un tratto Matthew, al ché lei voltò il capo di lato, strizzando con forza gli occhi. «Urla per me.» Ma lei non lo fece.
«Urla, Skyler» ripeté lui, e stavolta suonò più come un ordine dal quale traspariva tutto il suo furore.
«Urla!»
 
Ω Ω Ω
 
Quella mattina, a colazione, la figlia di Efesto non aveva fatto parola con nessuno dell’incubo che l’aveva fatta risvegliare in preda al panico.
Non che questa fosse una novità. La ragazza si sentiva sempre a disagio nel raccontarlo a qualcuno.
Nemmeno i suoi migliori amici sapevano delle visite che Prometeo le riservava ogni notte, durante le quali la annientava, mentre i lineamenti di Matthew si stendevano in un ghigno perverso.
Non aveva idea quanto di irreale ci fosse in quel sogno ricorrente, e quali parole avrebbe dovuto soppesare con maggiore cautela, perché ovviamente non dettate affatto dal suo umile subconscio.
Quello era un ciclo che si ripeteva tutte le volte: dopo aver corso a perdifiato per poter scappare dai petulanti mormorii che le ottenebravano la ragione, si ritrovava nella stessa, identica sala da ballo nella quale aveva rischiato di morire solamente l’anno precedente; lì c’era quello che un tempo credeva un figlio di Eris, ad aspettarla, e prima che potesse anche solo metabolizzare il tutto lui era sopra di lei, e la mora non riusciva a sfuggirgli. Si sentiva impotente, sotto il suo peso; troppo debole per poterlo contrastare. E quando lui le faceva notare che la guerra tra loro non era ancora finita, Skyler non poteva dargli torto.
Solo un dettaglio non riusciva ad interpretare, ed era forse la chiave per attenuare ogni suo tormento: il titano le rivelava che dopo il loro ultimo incontro, c’era un legame tra loro che li univa indissolubilmente. Come se parte di quel fuoco che lei gli aveva impedito di rubarle, in realtà fosse diventata comunque sua.
Le spiegava poi come lui si nutrisse della sua paura, e incurante del suo terrore misto a disgusto le chiedeva di urlare; di urlare per lui.
Ma la ragazza non ci riusciva mai, continuando a svegliarsi prima ancora di poterci anche solo provare.
E non poteva fare a meno di chiedersi: cosa sarebbe successo, se l’avesse fatto?
Davvero Prometeo desiderava così tanto che lei gridasse?
O era il suo stesso inconscio a suggerirglielo, di modo che se gli avesse dato ascolto, molto probabilmente sarebbe riuscita a dileguarsi da quella situazione?
Perché trovava così difficile dare libero sfogo alle proprie corde vocali?
Se sentiva come un barattolo stracolmo di caramelle, che però non riusciva ad essere aperto neanche con la forza.
C’era qualcosa, nascosto nei meandri più remoti del suo cuore; proprio lì, intrappolato nella sua gabbia toracica. Che premeva per poter uscire, ma non era in grado di capire quale fosse il modo giusto per farlo, e soprattutto se fosse possibile.
La figlia di Efesto lo sentiva, lo percepiva mentre le danzava nel petto.
Eppure non sapeva dargli un nome. Ed esternare le proprie stranezze con chiunque – per quanto fossero importanti e indifferenti per lei – era fin troppo imbarazzante per essere in discussione.
Sgranocchiando svogliatamente una fetta di pane e marmellata, la mora fu distratta dai propri pensieri solamente da Chirone, che quando richiamò l’attenzione generale annunciò ai semidei le ultime novità.
«A causa di impegni…» Esitò, cercando il termine giusto. «Divini» puntualizzò. «Il Signor D. ha dovuto momentaneamente abbandonare il suo posto di direttore qui al Campo per potersi recare sull’Olimpo fino a tempo indefinito.»
La notizia non turbò né soprese nessuno dei ragazzi, tranne Skyler.
E non appena tutti tornarono alle loro disinteressate chiacchierate e alla loro colazione, lei si alzò da tavola, raggiungendo il centauro al suo solito tavolo e aspettando che quest’ultimo la notasse.
Quando la vide, l’uomo inarcò curioso un sopracciglio. «Posso aiutarti, figliola?» le domandò, con gentilezza.
«Sappiamo entrambi di che genere di ‘impegni’ il Signor D. deve occuparsi sul Monte Olimpo, vero?» lo interrogò a sua volta lei, e a quelle parole, Chirone si corrucciò.
«Non credo sia il momento giusto di parlarne» sentenziò, con disappunto.
«Ah, no? E quando lo sarà allora?» sbottò la ragazza, adirata. Poi moderò i toni. «Senta, ho capito che vuole proteggermi, d’accordo? E che è convinto che non essere a conoscenza della verità per me sia un bene. Ma non sono stupida, okay? Io l’ho capito. Ho capito che c’è qualcosa che non va. L’ho anche so-» Si bloccò all’istante, giusto in tempo per poter evitare quel discorso. Non era ancora pronta a parlarne con qualcuno; non se questo significava ricordare.
«L’ho capito» ripeté, dopo essersi sgranchita la voce. «Ma ciò che ancora non mi è chiaro è quale sia il mio ruolo in tutto questo. Perché Prometeo abbia scelto proprio me, tra tanti.»
«Tu sei speciale, mia cara» si limitò a mormorarle lui.
«Sì, ma perché?»
Ma nel momento stesso in cui pose quel quesito, capì che non vi sarebbe stata alcuna risposta.
«Tutto a tempo debito» le promise il centauro, con sguardo paterno. «Non sei l’unica ad avere un ruolo importante, in questa storia.»
«Ma sarà quello decisivo, giusto?» intuì lei, invitandolo a darle un indizio. «Alla fine dipenderà tutto da me?»
«Può darsi.»
«Può darsi da cosa?»
Chirone sospirò. «Da chi sarà presente, quando questa fine avrà inizio.»
Skyler non negò a sé stessa che quelle parole la turbarono più del dovuto. Cosa sapeva, lui, che non voleva rivelarle?
Ma soprattutto, che motivo aveva di tacerle il suo stesso destino?
Quegli incubi non erano solo delle orride fantasie. Il volto di Matthew accorreva realmente ogni notte per deriderla, importunarla e metterla in guardia.
Voleva che lei sapesse che ben presto sarebbe giunto a strapparle via l’ultimo sprazzo di quel fuoco che le era rimasto.
Ma quando? E come?
O meglio: perché?
 
Ω Ω Ω
 
Quel pomeriggio, proprio un paio d’ora prima di cena, John avrebbe raggiunto Melanie, che sapeva lo aspettava come sempre al lago.
Amavano rifugiarsi lì, a parlare del più e del meno quasi il resto del mondo, in quegli istanti, si volatilizzasse. Come se il sorriso di lei, così bello, bastasse per allontanare tutti i problemi, e per permettergli di rilassarsi, e di smetterla di preoccuparsi per le sorti dei suoi amici.
Dopo gli ultimi avvenimenti dell’estate precedente, conviveva con il costante timore di poterli perdere da un momento all’altro; e che quando sarebbe arrivato il tanto temuto uragano a separarli da lui, tutti i suoi sforzi per impedirlo sarebbero stati vani.
Ma decise di non pensare a quell’evenienza mentre abbandonava la propria Cabina per potersi dirigere al suo tanto atteso appuntamento. Aveva deciso di raccogliere un paio di fragole, prima, e di nasconderle in un foulard giusto per avere qualcosa da sgranocchiare nel frattempo che stringeva a sé la propria ragazza.
Passando davanti al Campo del Signor D., si chiese come avrebbe reagito il dio, se avesse scoperto che non era stato un figlio di Demetra a portar via i suoi preziosi frutti. Ma si disse che avrebbe corso il rischio.
Infondo cosa sarebbe stata mai una sfuriata da parte sua, se per contro c’era un luccichio entusiasta negli occhi di…
«Ehi, John!» lo salutò una voce a pochi metri di distanza da lui, e il figlio di Apollo dovette assottigliare lo sguardo per poter riconoscere al volo quel lineamenti.
«Rose» ricambiò, un po’ sorpreso, per poi regalare alla giovane figlia di Poseidone un ampio sorriso. «Che ci fai qui?»
«Potrei farti la stessa domanda» gli fece notare lei, guadagnandosi la riverenza di un ‘touché’.
«Io ero soltanto… ehm, diretto al lago» confessò, omettendo però ogni altro dettaglio.
La ragazza sembrò accorgersi della sua poca voglia di aggiungere altro, e si limitò ad annuire lentamente, dondolando leggermente nello spostare il peso ora sui tacchi, ora sulle punte.
«Capisco» convenne, un ghigno tirato ad incurvarle gli angoli della bocca. Poi prese un profondo respiro. «Magari un giorno racconterai anche a me cosa ti passa per la testa» si augurò, colpendolo con il suo tono profondo e sincero.
«Già» assentì lui, incrociando inavvertitamente il suo sguardo. «Magari.»
Al di là dell’espressione seria che poteva avere dipinta in volto, quegli occhi ora di un blu acceso tradirono il divertimento della mora. Il biondo si sorprese nell’ammettere quanto lo ipnotizzassero quelle iridi cangianti e cristalline, che in quel momento erano screziate d’azzurro e parevano simulare le dolci onde del mare.
E poi il suo profumo misto di salsedine e vaniglia, e la sua pelle rosea e delicata, e le sue ciglia lunghe e scure… tutto, in quella semidea gli dava l’impressione di averla appena conosciuta.
Trovava impossibile pensare che quella fosse la stessa figlia di Poseidone che solamente l’anno prima non sapeva neanche cosa fossero cipria e phard, e che avesse davvero subito un cambiamento così drastico nell’arco di un semplice inverno.
Oppure era lui a non essersi reso conto di quanto lei stesse cambiando? Era stato così preso da Skyler prima, e da Melanie dopo, da non pensare neanche di buttare un occhio intorno a sé.
Non che adesso si sentisse in dovere di farlo, sia chiaro. Quella era decisamente l’ultima delle sue intenzioni, eppure con Rose era successo e basta.
Quasi fossero state le Parche stesse a tessere il loro scontro, quella mattina, per renderlo finalmente consapevole di come il mondo continuasse a girare nonostante lui a volte avesse la sensazione di essere rimasto indietro.
Che cosa ne pensavano Percy e Michael, di questa sua repentina metamorfosi?
Sapeva quanto il primo potesse essere geloso, e conosceva il proprio migliore amico fin troppo bene per non riuscire a figurarselo mentre prendeva in disparte un suo possibile spasimante e gli elencava tutto ciò che non doveva permettersi di fare alla sua sorellina.
Quell’immagine fece nascere un lieve sorriso sulle sue labbra, ma chissà perché in quell’istante sembrò invece buttato lì per poter interrompere il tenero silenzio che li aveva inaspettatamente avvolti.
«Sarà meglio che vada» esordì la ragazza, e John poté giurare di averla vista arrossire leggermente.
«Sì, è meglio che vada anch’io» pattuì lui, per poi osservarla voltarsi nuovamente a guardarlo dopo averlo superato di un passo.
«Quindi…» cantilenò lei, portandosi una boccolo ribelle dietro l’orecchio. «Ci vediamo stasera al falò.»
«Al falò, certo.»
«Perfetto.»
«Bene.»
«Bene.» E detto questo la mora se ne andò, dandogli le spalle e dirigendosi verso la propria Cabina.
Il figlio di Apollo la seguì con lo sguardo finché quell’elegante figura non sparì dal suo campo visivo. Dopo di ché si guardò intorno, consapevole di aver momentaneamente perso il senso dell’orientamento.
Si grattò la nuca, perplesso.
Che cosa ci faceva lì?
Rose era riuscita a distrarlo. Dei, era davvero così stanco che bastava una chiacchierata con qualcuno a fargli andare il cervello in panne?
L’appuntamento con Melanie, ricordò improvvisamente, anche se faticava a capire come mai in precedenza si fosse diretto dalla parte opposta al lago.
Ma facendo spallucce scelse che, fondamentalmente, poco importava.
La figlia di Demetra lo stava aspettando. E a quel punto lui aveva solo voglia di assaporare dolcemente le sue labbra.
 
Ω Ω Ω
 
«A cosa stai pensando?»
John non si rese conto di avere gli occhi persi in un punto imprecisato nel vuoto finché Melanie non gli pose quella domanda.
Scrollò leggermente il capo, nel tentativo di allontanare ogni residuo di quell’ultimo stato di trance.
«A niente» mentì, e lei lo sgamò fin troppo presto.
«Puoi dirmi tutto, lo sai» lo invitò.
«Sì, ovvio.»
«E allora cos’è che ti turba?»
«Stavo solo…» Il ragazzo cercò il termine giusto, storcendo la bocca in una piccola smorfia. «Riflettendo.»
Seduta fra le sue gambe e con la schiena poggiata contro il suo petto, la bionda gli accarezzò dolcemente una delle due braccia che sin da subito lui aveva avvolto attorno alla sua vita.
«Su qualcosa in particolare?» si informò, ben consapevole, ad ogni modo, di conoscere già la risposta.
«Più o meno» convenne infatti lui, poco prima di lasciarsi sfuggire un breve sospiro. Premette le labbra contro la base del collo di lei, concedendosi qualche secondo per meditare.
«Sono preoccupato per Skyler» esordì poi, tanto improvvisamente da farla quasi sobbalzare.
«E per quale motivo?»
«Non lo so» ammise il biondo, corrucciato. «Ultimamente è sempre più… assente. C’è qualcosa che la turba, me ne sono reso conto. Ce ne siamo accorti tutti. Emma spera sempre di riuscire a trovare il modo migliore per invogliarla a confidarsi con lei; Michael è furioso perché sente di non poterla aiutare, e il fatto che non conosca neanche la natura del vero problema non facilita affatto le cose; e ci sono dei momenti in cui io mi sento… inutile.»
A quella confessione, la figlia di Demetra si rabbuiò. «Tu non sarai mai inutile, John» lo rimproverò, con disappunto.
«Però non ho idea di come aiutarla, né perché lei stia tacendo la verità proprio a noi, che siamo la sua seconda famiglia. So che ha un motivo ben preciso per farlo, ma vorrei che capisse che così si fa solo del male.»
«Forse è proprio questo il punto» suggerì allora la bionda, voltandosi di tre quarti per potergli studiare il viso. «Dato che è consapevole di quanto questa verità faccia male, preferisce proteggervi da tanto dolore.»
Il figlio di Apollo prese fiato per replicare, ma inizialmente le sue corde vocali non emisero alcun suono.
Sì, in effetti quello sarebbe stato un comportamento proprio da Skyler, sarebbe stato insensato negarlo. Ma lui non poteva accettare che una dei suoi migliori amici affrontasse i propri problemi da sola; non da quando loro erano diventati una delle poche certezze che gli restavano.
«Vorrei esserci per loro tanto quanto loro ci sono stati per me, nelle difficoltà» le spiegò, e Melanie non poté trattenersi dall’accarezzargli con amore una guancia, rivolgendogli un’occhiata intenerita.
«Ehi» gli sussurrò, posandogli due dita sotto il mento per costringerlo a guardarla. «Tu sei fin troppo presente nella vita di tutti noi, okay?» gli palesò. «E questo tuo animo così… gentile ed altruista è una delle cose che mi hanno fatto innamorare di te. Ma vorrei che ogni tanto tu pensassi anche a te stesso, e che qualche volta mettessi il tuo bene prima di quello di tutti gli altri.»
John abbozzò un sorriso sghembo, abbassando timidamente lo sguardo. «Sai che non ci riuscirei mai» le fece notare.
«Sì, lo so» pattuì lei. «Ma ciò non significa che tu non possa provarci.»
Il giovane posò le proprie iridi smeraldine sul suo volto, con aria interessata. Effettivamente, quella era una richiesta del tutto insolita. Ma sarebbe stato capace di seguire quel consiglio solo ed unicamente perché gliel’aveva dato lei.
Quella ragazza era il suo punto fermo, e lui avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di assicurarle pace e serenità, anche andare contro i propri stessi principi.
Spostandole con delicatezza i capelli dalle spalle, si chinò verso di lei, baciandola con trasporto ed inebriandosi del suo rassicurante profumo. Le loro labbra si schiusero nello stesso istante, e le loro lingue presero a giocare silenziosamente, spingendosi maliziose.
Anche quando si allontanarono quel tanto che bastava per potersi guardare negli occhi, i loro nasi continuarono a sfiorarsi, e i due non poterono fare a meno di sorridersi.
«È un modo carino per farmi capire che condividi la mia idea?» lo punzecchiò lei, al ché lui inarcò le sopracciglia.
«È un modo carino per poter assecondare la mia gran voglia di baciarti continuando a sembrare un perfetto gentiluomo» ribatté.
«Ah, sì?» ridacchiò la bionda.
«Proprio così» annuì il figlio di Apollo, per poi farsi contagiare dalla sua risata e attirarla a sé, posandole un tenero bacio sulla fronte e stringendosela dolcemente al petto.
E in quel momento, senza una ragione apparente, ebbe la sensazione di essere appena stato liberato da tutti i suoi brutti pensieri.
Perché lei aveva questo potere: riusciva a farlo stare bene anche senza volerlo. Ed ogni secondo in più che passava accanto a lei il ragazzo era sempre più convinto che tutti i passi che era stato costretto a fare nell’arco della propria vita non erano altro che un avvicinarsi ulteriormente – e con molta calma – al fatidico giorno in cui l’aveva finalmente trovata. 
Erano state le stelle, a volere il loro incontro.
Il loro era sempicemente destino

Angolo Scrittrice.
Bounjour!
Eccoci qua, in un altro martedì che volge al termine con la pubblicazione di un nuovo, nonché fresco capitolo. 
Beh, che dire, stavolta? 
Se pensavate che
Matthew/Prometeo avesse spaventato Skyler quella sera al falò... ora sapete come la terrorizza in sogno. Ma che cosa sta cercando di dirle? E soprattutto, quante parole sono del titano, e quante dettate dal subconscio della figlia di Efesto? 
Chirone non vuole porre fine a tutti i suoi dubbi, e lei si ritrova con troppe domande e troppe poche risposte. 
E qui arriva
John, pronto a preoccuparsi della sua migliore amica. Sia lui, che Michael, che Emma hanno capito che c'è qualcosa che non va, ma non hanno idea di come aiutarla.
Credete che Skyler debba confidarsi con i propri amici? Cosa sarebbe tenuto a dirgli, e cosa sarebbe meglio di no?
Che mi dite invece di
Rose? Il nostro dolce figlio di Apollo non fa fatica ad immaginare un Michael e un Percy gelosi ed iperprotettivi con lei, e anche se siamo ancora agli inizi si intravede già una certa... simpatia, tra il biondo e la mora, non trovate?
Ma adesso giungiamo al quesito più importante: vi è piaciuto il capitolo? Vi ha fatto schifo? 
Dei, fatemelo sapere, vi prego.
Non nego di essere un po' delusa dal fatto che da quando è stata pubblicata, questa storia è stata considerata ben poco; e questo mi mortifica, perchè mi fa capire di non essere riuscita nel mio intento di fare un buon lavoro. 
Io ce la metto tutta, sacrificando gran parte del mio tempo libero per poter pubblicare con regolarità. Ma per quanto possa sforzarmi, a quanto pare è tutto inutile.
E proprio per questo motivo, per ora ho deciso di non pubblicare martedì prossimo, ma di aspettare due settimane. Spero che questo tempo mi permetta di capire cosa farne di questa storia. 
E se così non sarà, allora che Zeus mi accompagni! 
Ad ogni modo, ringrazio come sempre i miei fantastici Valery's Angels, che continuano a supportarmi e a regalarmi un sorriso:
unika, TamaraStoll e Sarah Lorence
Grazie davvero, angeli! 
E un ringraziamento anche a tutti coloro che stanno leggendo questa parte in viola, perchè significa che per la nostra Ragazza in Fiamme c'è ancora qualche speranza. 
Che dire? 
Alla prossima, ovvero tra due martedì! 
Spero di fare la scelta giusta. 
Sempre vostra, 

ValeryJackson
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


 

Emma non riusciva proprio a capire perché quella mattina non avesse fame.
Seduta al tavolo della colazione con tutti i suoi fratelli, non aveva ancora toccato neanche un biscotto.
Avvertiva una nausea insolita, per lei, che le schiacciava la bocca dello stomaco e minacciava di farla vomitare ogni qualvolta il suo sguardo si posava su uno dei numerosi pasticcini alla crema che Travis stava ingurgitando.
Di solito si alzava sempre dal letto con una gran voglia di dolciumi; nutrirsi di zucchero l’aiutava a racimolare le giuste energie per poter affrontare al meglio la giornata.
Ma c’era qualcosa, quel dì, ad impedirle di attenersi alle proprie abitudini. La strana sensazione che qualcosa stesse per compromettere il giusto equilibrio dell’universo che conosceva.
Non ricordava di aver fatto alcun sogno premonitore, né tantomeno di aver ascoltato involontariamente una notizia che aveva finito per insinuarsi nei suoi pensieri come un tarlo.
Era un presentimento che le albergava nel petto; un formicolio sui polpastrelli che le faceva visita solamente quando era prossima ad un pericolo; un pizzicore dietro la nuca che l’avvisava che un cambiamento di stato era imminente.
Sorseggiando con accortezza un the caldo nella vana speranza di affievolire quel senso di disgusto, fece vagare le proprie iridi argentate sui semidei della mensa, lasciandosi tranquillizzare dal familiare brusio delle loro chiacchierate.
Quando incontrò gli occhi di Skyler, quest’ultima abbozzò un sorriso nella sua direzione – quasi a volerle dare il ‘buongiorno’ – prima di rivolgere nuovamente la propria attenzione ad uno dei suoi fratelli seduto di fronte a lei.
La figlia di Ermes non ebbe bisogno di scorgere i suoi lineamenti per poter riconoscere la sua figura, e si morse la lingua non appena si rese conto di aver indugiato sui riccioli ribelli di Leo più del dovuto.
Non parlava con lui da… quanto? Quasi un anno?
Il giorno in cui gli aveva ordinato di starle lontano, mai avrebbe immaginato che lui lo facesse sul serio.
Non che ciò le dispiacesse, ovvio. Era fin troppo consapevole che fosse meglio così.
Quel ragazzo le aveva spezzato il cuore; aveva tradito la sua fiducia e l’aveva resa molto più diffidente e restia di quanto non fosse già.
Aveva sempre creduto che le Parche li avessero fatti conoscere perché potessero completarsi a vicenda, incastrandosi perfettamente nonostante le loro diversità. Ma a quanto pare si era sbagliata.
Incontrare il figlio di Efesto non aveva mai fatto parte del suo destino.
Anzi, ormai non era neanche più sicura che ce ne fosse davvero uno da seguire.
I suoi pensieri furono interrotti all’improvviso da Chirone, che sollevandosi sulle proprie zampe equine si sgranchì rumorosamente la voce, battendo una forchetta contro il proprio bicchiere per richiamare ogni mezzosangue all’ordine.
La curiosità generale l’ebbe vinta solo dopo alcuni minuti, quando tutti posero fine al loro bisbigliare per potersi voltare verso il centauro, che accolse il silenzio che si era creato come un invito a parlare.
«Prima di farvi un annuncio» esordì, sul volto un sorriso gentile. «Volevo augurare a tutti il buongiorno.»
Seguirono innumerevoli risposte, che si sovrapposero tra loro in un coro di cordiali saluti. Gli occhi dell’uomo erano indecifrabili, e per quanto la sua postura potesse ispirare fiducia e serenità, Emma non poté fare a meno di riassestarsi sul posto, nervosa.
«Sono contento di sapere che siete di buon’umore» continuò il direttore del Campo, con tono pacato. «Perché credo che questo vi aiuterà ad accogliere al meglio le novità.» Esitò, spostando il peso da uno zoccolo all’altro. «Ce ne sono molte in serbo, per questa stagione. Ma questo non è né il modo né il luogo adatto per annunciarvele.»
Dopo di ché, bevve un sorso del suo caffè, prendendo un profondo respiro.
«Tutte le lezioni di questa mattina sono sospese» li informò poi, e a quella notizia i ragazzi sobbalzarono, mentre un centinaio di voci si addossavano a porre la stessa, interdetta domanda: che cosa?
Il centauro batté con forza le mani, pregando i suoi allievi di ricomporsi. «Ordine, ragazzi. Ordine» impose, ricevendo una serie di occhiate interrogative. 
«Scherma, tiro con l’arco, arrampicata, canoa… ogni attività è stata annullata» aggiunse lui, sollevando tre dita per dar comando a tutti di farlo terminare. «So che la cosa vi sorprende, e che vi starete chiedendo il perché di tale decisione. Ma come vi ho già detto, questi non sono né il modo, né il luogo giusto per spiegarvelo. Siete tutti convocati nell’Arena per le ore dodici e due quarti. Vi prego di essere puntuali, e soprattutto di presentarvi ordinatamente secondo gli schemi d’organizzazione delle Cabine. Grazie.»
Detto questo, si allontanò verso la Casa Grande prima che qualcuno potesse risollevarsi dallo stato di shock e tempestarlo di ulteriori quesiti.
Che cosa stava succedendo?
Chirone non aveva mai revocato una sessione d’allenamento, tantomeno se era estiva!
Quella variazione del programma doveva essere la conseguenza di una delle novità di cui aveva parlato, e che a quanto pare stavano mandando tutti in evidente confusione. Sì, ma di cosa?
Cos’altro doveva ancora accadere, prima che la figlia di Ermes potesse affermare di averle viste tutte?
Incontrando quasi immediatamente le iridi della figlia di Efesto, le due amiche comunicarono silenziosamente con lo sguardo. E anche senza il bisogno di rivolgersi la parola, il messaggio fu per entrambe ben chiaro: c’erano in programma dei freschissimi guai.
 
Ω Ω Ω
 
Skyler uscì furtivamente di casa, facendo attenzione affinché gli altri non se ne accorgessero.
Tutti i suoi fratelli erano impegnati in un assiduo dibattito, mentre volavano congetture su quale potesse essere il vero motivo che giustificava l’insolito comportamento di Chirone.
Guardandosi intorno per assicurarsi che non ci fossero occhi indiscreti, rasentò con accortezza il muro della Cabina, fino a raggiungere il retro in punta di piedi, dove trovò qualcuno ad aspettarla.
Quando nello sconcerto generale ogni semidio era stato intento a tornare verso la propria abitazione, Michael le era andato incontro, e fingendo indifferenza mentre si scontravano le aveva nascosto nella tasca dei jeans un fazzoletto, con su scritto un semplice e conciso messaggio.
 
ORE 11.00
DIETRO LA CABINA NOVE
NON FARTI SEGUIRE DA NESSUNO.
DOBBIAMO PARLARE.
 
La ragazza non aveva avuto bisogno di incrociare il suo sguardo per fargli capire che sarebbe andata. Lui lo sapeva già.
Era vero, avevano bisogno di parlare. E solo nel momento in cui lo vide la mora intuì che forse non soltanto di quello che stava succedendo al Campo.
Il figlio di Poseidone aveva la schiena appoggiata contro il muro; un piede ad imitarlo, le cuffie nelle orecchie a riprodurre Who we are degli Imagine Dragons a tutto volume.
Il ragazzo se le sfilò immediatamente non appena scorse la figura di lei svoltare l’angolo, e le sue iridi ora di un azzurro cielo furono attraversate da un luccichio nell’istante in cui i loro occhi si incontrarono.
La figlia di Efesto gli sorrise, lasciando che lui le avvolgesse la vita con entrambe le braccia e le posasse un tenero bacio sulla fronte.
«Ehi» lo salutò, posandogli le mani sul petto.
«Come va?» le chiese repentino il moro, impedendo qualsiasi altro tipo di conversazione.
«Bene» rispose lei. «Credo» aggiunse poi, incerta. «Sta succedendo un bel casino.»
«Magari non è nulla» ipotizzò Michael, con una scrollata di spalle. «Forse hanno solo deciso di modificare qualcosa degli orari d’allenamento.»
«Non penso sia solo questo» confessò Skyler, corrucciata. «Ho questa… questa strana sensazione. Come se tutto stesse per subire un cambiamento drastico.»
Il ragazzo esitò qualche secondo, prima di portarle una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «C’è qualcos’altro che vuoi dirmi?» le domandò, al ché lei gli rivolse un’occhiata interrogativa.
«In che senso?»
«So che quando parli di… ‘sensazioni’» spiegò lui, marcando sarcasticamente l’ultima parola. «È perché hai fatto qualche genere di sogno, oppure hai visto qualcosa che ti ha turbato.» Di fronte alla sua espressione sorpresa e un po’ colpevole, al figlio di Poseidone fu chiaro di aver colpito nel segno. Sospirò, inclinando leggermente il capo di lato. «Sono tutto orecchie» le intimò.
La ragazza si morse nervosamente un labbro, soppesando i propri pensieri.
Da dove avrebbe dovuto cominciare?
Dagli inquietanti sogni che faceva ogni notte?
Dalle continue minacce di Prometeo, che le facevano venire la pelle d’oca?
Dall’urlo disperato che si ostinava a sopprimere in fondo alla propria gola, e che era dettato da emozioni che lei non riusciva ad identificare?
Perché non gli aveva detto tutte quelle cose ogni volta che ce n’era stata l’occasione?
Perché si imponeva di non farlo tutt’ora?
Forse non voleva renderlo partecipe del proprio dolore; e anche se sapeva che tutto quello era sbagliato, non poteva fare a meno di eludere tutti quelli che amava dai propri problemi.
«Te l’ho detto, va tutto bene» mentì, fissando la scritta ormai logora sulla maglietta di lui, incapace di sostenere il suo sguardo. «È solo un periodo un po’… complicato. Ma io sto bene.»
Ci fu qualche attimo di attesa, durante il quale Michael le scrutò attentamente il viso, tentando di decifrare la sua espressione. Dopo di ché, sospirò.
«Okay» convenne, abbozzando un sorriso affranto. «D’accordo.»
La figlia di Efesto lo guardò, e colta alla sprovvista dal non riuscire ad incontrare le sue iridi cristalline intuì di averlo ferito.
Gli accarezzò teneramente un sopracciglio con il pollice, per poi passare le dita tra i suoi folti capelli. 
«Michael?» lo chiamò, cercando invano il suo sguardo. «Che ti prende?»
«Nulla» finse lui, per poi far roteare gli occhi, contrariato. «È che a volte mi convinco di non essere in grado di capirti fino in fondo. Io ti amo, Skyler, davvero. Ma vorrei anche che tu ti fidassi di me, ogni tanto.»
«Io mi fido di te» obiettò la mora, con la fronte aggrottata.
«Non abbastanza. Non è palese? Non puoi escludermi dalla tua vita, okay? Come non puoi pretendere che io non mi preoccupi per te. Io farò sempre di tutto, pur di vederti sorridere, e cercherò in ogni modo di aiutarti ad affrontare qualunque tipo d’inferno ti si pari davanti. Sono qui per questo: per prendermi cura di te. Ma ho bisogno che tu ti confidi con me, chiaro? Che tu mi lasci entrare nella tua mente.»
«Io…» la ragazza esitò, presa in contropiede. «Non posso» ammise, amareggiata.
«Ma perché?»
«Perché non so neanch’io cosa mi passa per la mente. Non riesco a parlare con nessuno di cose che sono la prima a non comprendere.»
«Neanche con me?»
«Neanche con me stessa.»
Il figlio di Poseidone le spostò un boccolo mogano dalla fronte, indeciso su come esprimere correttamente i propri pensieri. «Senti» esordì, trascinando lentamente ogni parola. «Io ti amo. Non ho più paura di dirlo, va bene? Ti amo. Ma vorrei che mi permettessi di far parte della tua vita tanto quanto tu fai parte della mia.»
«Tu sei l’unica persona al mondo alla quale non rinuncerei mai, Michael» gli fece notare lei, con disappunto.
«Bene, allora abbi fiducia in me. Te ne prego. Io… io posso salvarti» le assicurò. «E non come un principe salva la donzella in difficoltà, ma come un ragazzo che impedisce alla ragazza che ama di farsi del male da sola. Anche se non sono il prototipo di eroe perfetto, io avrò cura di te. Non ho ali, lo ammetto. Ma so proteggerti.»
Skyler si lasciò sfuggire un sorriso sghembo. «Lo so» assentì. «E mi dispiace di averti fatto credere che io non me ne rendessi conto. Ma farò in modo che non sia più lo stesso, in futuro» promise, prima di sporgere il labbro in fuori, nella sua miglior faccia da cucciolo bisognoso d’affetto. «Ora però non mettermi il broncio.»
«Oh, no, non ci provare!» la redarguì Michael, ma la sua serietà fu tradita da un lieve ridacchiare.
La figlia di Efesto inarcò un sopracciglio, innocente. «A fare cosa?»
«Sei spregevole!» l’accusò quindi lui. «Sai che non riesco ad avercela con te, quando mi guardi così.»
La mora inclinò leggermente il capo di lato, facendo sfiorare timidamente i loro nasi. «Ti amo» gli ricordò, al ché lui si avvolse una sua ciocca di capelli attorno al dito, chinandosi verso di lei per baciarla.
Le loro labbra combaciarono perfettamente, mentre le loro lingue giocavano dolcemente, assaporandosi con calma.
La ragazza era consapevole di dovergli confessare tutta la verità, e di essere tenuta a condividere con lui tutti i dubbi che l’affliggevano. Ma semplicemente, quello non era il momento adatto per farlo.
Non con le loro vite in procinto di essere scombussolate dalle novità che aveva intenzione di annunciargli il centauro. Non quando lei era la prima a non sapere quali fossero le domande che voleva veramente porre a sé stessa.
«Ti conviene tornare dentro» l’avvertì il giovane, allontanandosi da lei quel poco che bastava per poter posare la fronte contro la sua. «È quasi mezzogiorno e mezza, dobbiamo andare con gli altri all’Arena.»
«Speriamo che non sia nulla di grave» si augurò lei, sovrappensiero.
«Sono sicuro di no» affermò il figlio di Poseidone. «Tutto quello che Chirone fa, per quanto possa sembrare insensato, è sempre solo ed unicamente per il nostro bene.»
 
Ω Ω Ω
 
Quando giunse l’ora per i ragazzi di dover abbandonare le proprie Cabine, il corno del Campo risuonò, quasi a volerglielo ricordare.
I figli di Efesto si posizionarono in una metodica fila indiana, con Leo in testa che li guidava. Furono tra gli ultimi ad arrivare all’Arena, seguiti solamente dai figli di Ecate, Demetra e Dionisio.
Skyler si sorprese nel constatare la coordinazione con la quale tutti i semidei si erano sistemati, succedendosi in base al numero delle rispettive Case.
Allungando leggermente il collo, la mora riuscì ad intravedere a malapena ciò che solamente i capocabina – posti in prima fila – potevano distinguere con chiarezza: era stato allestito un piccolo palco giusto al centro dell’agone, sul quale però non vi era nessuno.
La ragazza spostò il peso da un piede all’altro, grattandosi nervosamente la base del collo. Si chiedeva perché Chirone ci mettesse tanto ad arrivare, e soprattutto a cosa fosse dovuto tutto quel mistero.
Voltandosi leggermente di lato, incontrò quasi immediatamente le iridi smeraldine di John, che la stava già osservando. Vi era solo una fila a separarli, ma per non dare nell’occhio il figlio di Apollo si limitò a lanciarle uno sguardo interrogativo, essendosi palesemente reso conto del suo inquieto stato d’animo. La giovane strinse le labbra in una linea sottile, scrollando piano il capo nel vano tentativo di smorzare ogni sua preoccupazione.
Michael era un po’ più lontano, ma fu in grado di individuarlo quasi subito, sei file più in là. A rappresentare la Casa Tre c’erano ovviamente lui, Percy e Rose, con il maggiore a condurli.
Quasi riuscisse a percepire lo sguardo della figlia di Efesto su di sé, il moro lanciò un’occhiata nella sua direzione, e condiviso un sorriso appena accennato con lei le fece l’occhiolino, per tranquillizzarla. Era a conoscenza dei suoi timori, e di quanto detestasse la scomoda attesa alla quale li stavano sottoponendo. Il suo era un modo per assicurarle che sarebbe andato tutto bene.
Cercando tra le file della Casa Undici, Skyler riconobbe nell’immediato la cascata di riccioli biondi della sua migliore amica. Emma inarcò svogliatamente le sopracciglia, per poi passarsi lentamente il pollice sulla gola e fingere di essersela appena tagliata. Questo strappò un risolino alla mora, che fu costretta a ricomporsi non appena qualcuno salì sul podio, attirando l’attenzione di tutti.
Chirone si ergeva, proprio come durante la colazione, nella sua maestosa forma equina. Stavolta non ebbe bisogno di richiamare i ragazzi, per poter ottenere silenzio; e sentendo più di un centinaio di occhi curiosi puntati su di sé decise che era arrivato il momento di smetterla con i giri di parole.
«Vi starete chiedendo perché vi ho riuniti qui» intuì, senza aspettare alcuna risposta. «E del perché vi abbia omesso le mie intenzioni fino ad ora. Ma credo che ciò che sto per annunciarvi risulti più comprensibile se mostrato direttamente.»
Detto questo, si sgranchì con forza la voce, assumendo il suo tono più fiero e sicuro. «Come ben sapete» iniziò. «Per ragioni prettamente divine, il Signor D. ha dovuto abbandonare il Campo per potersi recare sull’Olimpo, dove era richiesta la sua presenza. So che per molti di voi questa è una bella notizia» convenne, scatenando una risatina generale. «Ma per me, purtroppo, è molto difficile gestire tutti voi, ragazzi, da solo. Siamo venuti a conoscenza della sua partenza già quest’inverno, e ho potuto avere quindi modo di organizzarmi per richiedere un ulteriore supporto nell’organizzazione delle attività. Non sono mai stato un granché, come leader» confessò poi. «Io addestro eroi.»
Fece una breve pausa, durante la quale tutti i semidei furono pervasi dallo sgomento. Dove voleva andare a parare?
«Ormai l’esistenza di altri dei non è più un mistero per noi, giusto?» domandò, retorico. «Ne abbiamo avuto la conferma qualche estate fa, quando il Campo Giove è diventato nostro alleato nella lotta contro Gea. Anche se inizialmente le nostre divergenze apparivano insormontabili, con il tempo abbiamo imparato a collaborare; abbiamo stretto dei legami con loro. Siamo diventati amici.» Sospirò, studiando mentalmente il modo giusto per continuare. «Ho fatto le dovute ricerche, e ho scoperto che quelli romani non sono gli unici dei esistenti al di fuori del nostro mondo. Ci sono quelli egizi» affermò, facendo un cenno d’intesa in direzione di Percy. Poi esitò. «E ci sono quelli nordici.»
Al di là di un lieve brusio d’interdizione, parevano pendere tutti dalle sue labbra. Skyler e John si scambiarono uno sguardo confuso, non sapendo come accogliere quella novità.
«La loro natura è un po’ più… complicata, rispetto a quella dei romani» proseguì il centauro. «Non corrispondono, infatti, ad un’ulteriore personalità delle divinità che siamo abituati a conoscere. Sono… dei a sé, in un certo senso. Indipendenti. Totalmente nuovi. So che questo può essere sconcertante» pattuì. «Ma mi aspetto da voi il massimo rispetto per coloro che da quest’oggi saranno nostri coinquilini, nonché alleati.»
Finì di pronunciare quella frase solamente qualche istante prima che un rumorosissimo e ritmato tonfo di passi risuonasse nell’aria.
Inizialmente, dalla sua posizione la figlia di Efesto non riusciva a capire cosa stesse accadendo. Ma in seguito Chirone cedette il proprio posto sul podio ad una figura piccola e singolare, che si rivelò solo poi una donna dall’aspetto curioso.
Superava a malapena il metro e sessanta, ma per quanto potesse essere bassa sfoggiava una corporatura massiccia e robusta, in netto contrasto con il suo aspetto fisico. I suoi capelli ricci e scuri erano raccolti da chissà quanti strati di lacca, che li rendevano solidi e irremovibili. Sul suo volto era dipinto un ghigno arcigno, un po’ sadico, e raddrizzando la schiena nella sua scura giacca a doppio petto scrutò attentamente i mezzosangue dinanzi a sé.
Ma non fu lei a rapire l’interesse della mora, bensì l’orda di giovani che marciava diligentemente alle sue spalle. Ne erano una sessantina, divisi in sei schiere, ognuna caratterizzata da un diverso colore della loro giubba. I loro piedi scandivano il tempo con una precisione disarmante, e cessarono di sfilare solo quando la loro comandante sollevò un pugno in aria. All’unisono, divaricarono militarmente le gambe; le braccia dietro la schiena e lo sguardo valoroso e glaciale fisso di fronte a loro.
Erano semidei? Che cosa ci facevano, lì?
Skyler giurò di aver visto tanta disciplina solamente durante le parate dei Marines alle quali aveva partecipato lo zio.
«Salve a tutti» debuttò la donna, palesando una voce calda ed imponente. «Permettetemi di presentarmi. Mi chiamo Gerda Gunvor, ma per voi sarò unicamente la Signora Gunvor» puntualizzò. «Come il vostro mentore vi ha già spiegato, ha chiesto il nostro aiuto per potersi occupare al meglio di voi…» Cercò il termine meno offensivo. «Piccoli greci.» Forzò un sorriso. «In quanto capo dell’Halvgud Camp, posso vantare una notevole esperienza in tale ambito, ed ho accettato con garbo l’invito ad essere la nuova direttrice ufficiale del vostro Campo fino a nuovo avviso.»
Quella notizia ai giovani presenti sembrò non piacere. Innumerevoli quesiti e proteste si levarono dai ragazzi che fino ad allora avevano taciuto, nella speranza di poter comprendere la situazione.
L’unica a fossilizzarsi sul posto fu proprio la figlia di Efesto.
Nuova direttrice?
«Eroi, fate silenzio!» ordinò Chirone, senza ottenere, però, alcun risultato.
La Signora Gunvor sbuffò rumorosamente dal naso, scuotendo la testa con disappunto. «Eroi» lo beffeggiò, prima di sfilarsi uno strano arnese dalla tasca e premervi il pulsante all’estremità.
Un acuto stridio raggiunse i timpani di tutti i presenti, costringendoli ad interrompere il proprio chiacchiericcio per premersi i palmi contro le orecchie, in una smorfia agonizzante. 
L’unica fazione che all'apparenza non fu minimamente scalfita da quel rumore fu quella nordica, con grande soddisfazione della donna.
«Imparerete presto che quando parlerò io, sarete tenuti al massimo silenzio» annunciò, con lo sguardo di chi non ammette obiezioni. I greci si zittirono.
«Avrete notato» continuò quindi lei, come se non fosse successo niente. «Che a differenza vostra la nostra divisione consiste in sole sei schiere. Che non classificano i ragazzi in base alle rispettive case, no. Si limita ad assegnargli a dei clan. Lasciate che mi esponga meglio.»
Fece un segno alla propria sinistra, dove la prima fila indiana fece un passo avanti. Le loro casacche erano bianche e blu.
«Il clan dei Wulfingas» annunciò. «Al quale appartengono tutti gli esperti o coloro che hanno una predisposizione per la marina. La sua provenienza risale dai Geati Orientali.»
Questi tornarono indietro, facendo avanzare quelli i cui colori erano il marrone e il verde.
«Il clan dei Ynglingar, anche conosciuti come “figli di Freyr”. Proviene dallo Svealand, e i suoi appartenenti sono portatori di bellezza, abbondanza e fecondità.»
Si fecero avanti le giubbe bianco e oro.
«Il clan dei Waegmundig, uno dei più antichi ed importanti, proveniente dalla Scandinavia. Vi fanno parte gli esperti di guerra e armi, oltre che i più probabili leader.»
Mentre li studiava con attenzione, la figlia di Efesto fu incuriosita dal ragazzo a capo della fila. Aveva un’aria sfacciata, la superba postura a tradire la sicurezza che aveva in sé. Aveva i capelli scuri e meticolosamente sistemati, i lineamenti marcati e la capacità di accecare una persona con il bianco del proprio sorriso.
La ragazza sentì alcune figlie di Afrodite, accanto a sé, emettere dei sognanti sospiri nel vederlo.
«Il clan degli Scylding» proseguì la donna, indicando le casacche azzurre e viola. «Leggendario della Danimarca. Rappresentano la saggezza, la virtù e la sapienza.»
I semidei con le giacche rosse ed arancioni si presentarono.
«Il clan dei Fulkung, svedese. I suoi membri fanno parte di famiglie reali, o hanno un’inclinazione per la magia e le arti oscure. Ed infine» e qui fecero un passo avanti coloro con le giubbe nere. «Il clan dei Vӧlsung, discendente da uno dei personaggi leggendari della mitologia Scandinava. Qui vi sono tutti i giovani che non hanno delle attitudini tali da poter far parte di un clan in particolare.»
Emma strinse i pungi tanto da avere le nocche bianche, infastidita da quell’ultima affermazione. Non stava a loro decidere se un ragazzo aveva dei talenti oppure no. E sulla base di che cosa, poi?
La risposta le arrivò inaspettata direttamente dalla Signora Gunvor.
«Il passaggio può avvenire in base alle famiglie di appartenenza, che nel caso degli più eredi diretti consentono anche l’assunzione del ruolo di capoclan – come è successo ad alcuni di quelli che vedete a condurre le file-. In assenza di eredi, poi, il successore viene selezionato attraverso il ‘ping’, un rito d’iniziazione che ci consente non soltanto di distinguere quelli che hanno la stoffa del comandante, ma anche di capire a quale clan assegnare ogni dubbioso semidio. Domande?»
Il silenzio che seguitò quel quesito sorprese persino la figlia di Ermes. Come lei, nessuno proferì parola, non perché non sapessero cosa chiedere, ma perché non avevano idea da dove cominciare.
Ping?
Clan?
Capoclan?
Discendenza?
Era forse uno scherzo di cattivo gusto?
Mentre percepiva il sangue ribollirle nelle vene al solo pensiero di dover condividere il proprio spazio vitale con quei fenomeni da baraccone venuti da chissà dove, incontrò casualmente un paio d’iridi chiare. Erano di un azzurro scuro, tendente al grigio, e solo dopo esservici soffermata un secondo più del dovuto la ragazza si prese la briga di constatare a chi appartenessero.
Uno dei giovani della penultima casata che era stata presentata la stava osservando, senza scomporsi minimante. Un ciuffo di un biondo scuro gli ricadeva sulla fronte, e a considerare dalla sua fisicità doveva essere più alto di lei di circa una spanna. I tratti del suo volto avevano un che di dolce, di gentile, e la ragazza si sorprese nel chiedersi che profumo avesse, da vicino.
Non appena intuì di essere stato colto in flagrante, lui distolse lo sguardo, tornando a fissare un punto imprecisato dinanzi a sé ed imponendosi di non rivolgerle più neanche un’occhiata.
I pensieri di Emma furono interrotti soltanto dalla voce autoritaria della Gunvor, che giunse nuovamente ai suoi timpani.
«Prenderò il vostro tacere come un conferma del fatto che vi è tutto chiaro, e passo a presentarvi coloro che da oggi in poi saranno i vostri insegnanti nelle varie discipline.»
Fu quella parola a far sobbalzare Skyler. Insegnanti? Quella sì che era la cosa più strana.
Per quanto ne sapesse – o ricordasse – lì al Campo Mezzosangue i semidei avevano sempre fatto tutto da soli.
«Mr. Jensen, al tiro con l’arco» disse, indicando un uomo alto e snello, con una lunga e fluente chioma d’ossidiana.
«Mr. Olsen, corpo a corpo.» E a mostrarsi fu colui dalle spalle più large, le braccia più muscolose, e lo sguardo più truce.
«Mr. Jacobsen, canoa e arrampicata.» Quel tipo era quasi più basso di lei, ma a giudicare dalla maniera in cui sporgeva il petto in fuori, sembrava sapesse il fatto suo.
«Mr. Dahl, scherma.» Fino ad allora, fu quello che la colpì di più. Non solo per la sua aria spavalda, il suo capello brizzolato e la sua barba ben curata, ma anche per il cenno che rivolse a tutti loro. Che non era di superiorità, o di insolenza; ma di rispetto.
«E Mr. Nilsen, ippica e corsa con le bighe.» E alla figlia di Efesto venne da chiedersi se la sua zazzera albina e le sue rughe pronunciate non fossero l’inconfutabile segno che lui fosse presente, il giorno in cui Poseidone aveva generato i primi cavalli.
«Tutti noi risiederemo nella modesta reggia che Chirone ha fatto gentilmente costruire per noi durante tutta la durata di quest’ultimo inverno. Ma gli allenamenti, naturalmente, si svolgeranno in comunità, nelle vostre strutture» concluse la donna, con sufficienza. «E da domani sottostarete alle mie regole. Ci sarà un coprifuoco ogni sera, oltre il quale se qualcuno sarà beccato a gironzolare per il Campo, verrà punito. Non mi interessa quanto vi divertiate a fare i ribelli. Le cose sono cambiate, adesso. E ve ne renderete conto molto presto.»
Le proteste e le urla d’opposizione che accompagnarono quell’insolente commento sembrarono non interessarle, mentre si dirigeva con i propri ragazzi verso la loro nuova abitazione, senza lasciarsi scalfire da alcun dissenso.
Quella non era altro che una sciocca burla. Doveva esserlo. Chirone non poteva averlo fatto davvero.
Affidare il loro Campo nelle mani di quella maniaca e dei suoi burattini? Costringerli a convivere con quell’ammasso di nevrotici sconosciuti?
No, doveva esserci una spiegazione, una giustificazione. C’era sempre, no?
Quando Skyler fece per lasciarsi trasportare dal flusso di furiosi semidei diretti alla Casa Grande per poter contestare le decisioni del centauro, qualcuno la trattenne per un braccio.
«Non farlo» le intimò John, impedendole di lasciarsi coinvolgere. «Non ne vale la pena.»
«John, tutto questo non ha senso!» ribatté lei, indignata. «Questi tizi ci rovineranno la vita. Dobbiamo fare qualcosa!»
«Non c’è niente che possiamo fare, ormai» le fece notare lui, perentorio. «Chirone ha già deciso. Ha dato la sua parola, e non può più tirarsi indietro.»
«Ma non capisci? Questa è una catastrofe.» E la ragazza non si rese conto di quanto quell’affermazione fosse vera, finché non fu soffiata via dalle sue labbra.
Non può funzionare, pensò. «Non può funzionare» gli palesò poi. «Non potrà mai. Insomma, guardaci! Siamo due poli opposti, due fazioni fin troppo diverse per poter sperare di andare d’accordo. Due fuochi che non possono avvicinarsi l’uno all’altro senza lasciarsi dietro una scia di…»
«Distruzione» terminò il biondo per lei.
«Già.» La mora annuì mestamente, per poi ripetere tra sé e sé: «Senza lasciarsi dietro una scia di distruzione.»  

Angolo Scrittrice. 
E dopo due settimane di assenza, eccomi di nuovo qui, a proporvi questo capitolo appena sfornato. 
Che dire? Non vi avevo annunciato che sarebbe stato uno dei più importanti di tutta la storia? Oh... ops.
Beh, ora lo sapete.
Da dove cominciare?
Partiamo dal fatto che sì, finalmente ora sapete il perchè di quella struttura. 
Quali erano le mie intenzioni nell'introdurre queste novità? Prima fra tutte, quella di mettermi in gioco, ovviamente. E per riuscirci ho costruito questo nuovo campo tutto daccapo. 
I clan, il ping... Tutto l'
Halvgud Camp è puramente frutto della mia immaginazione. 
Spero di aver fatto un buon lavoro, ma soprattutto di avervi sorpreso. Avevate avuto dei sospetti? Mi auguro di no, e che il mio secondo intento - quello dell'ottenere un effetto sorpresa - sia riuscito. 
Mano a mano che andremo avanti la struttura del Campo nordico verrà approfondita sempre di più, per per ora le cose più importanti da sapere sono riportate in questo capitolo. 
E per chi se lo stesse chiedendo: sì, l'idea dell'aggiunta degli dei nordici è venuta prima a me che allo zio Rick. Non so se la sua Asgard sarà completamente diversa, ma mi piace pensare che io abbia comunque dato vita ad un universo nel quale la presenza di questi dei ha senso, e che il Campo che ho ideato vi piaccia. 
Ad ogni modo, i nostri piccoli greci subirano dei cambiamenti un po' drastici, a partire dall'inserimento di più insegnanti per le loro molteplici lezioni, fino ad arrivare alle rigide regole che la Gunvor imporrà. 
Secondo voi che esiti porterà questa convivenza forzata tra le due fazioni? Greci e nordici riusciranno a trovare un accordo? O, come dice
Skyler, sono davvero troppo diversi? 
Parlando di quest'ultima, abbiamo un piccolo confronto tra lei e
Michael, nel quale lui la prega di fidarsi, non riuscendo però a convincere la ragazza a parlare. Non credo sia tanto una questione di fiducia, quanto più di paura: Skyler tace perchè teme il confronto con la realtà.  
What about
Emma, anyway? Finalmente, dopo cinque capitoli, sono riuscita a riportare il suo punto di vista. A quanto pare la figlia di Efesto non è l'unica ad avere delle strane 'sensazioni' ultimamente. 
E il ragazzo con il quale ha avuto uno scambio di sguardi? Chi sarà, secondo voi? 
Btw, è arrivato il momento di ringraziare i miei bellissimi angeli -
anna4evermakeup, Francesca lol e Sarah Lorence - per avermi deliziato con le loro meravigliose recensioni. Senza di voi, non so se questo capitolo ci sarebbe veramente stato. 
Vi prego di farmi sapere cosa ne pensate, stavolta, e di farmi conoscere le vostre opinioni. So che dopo la terza storia sarà sempre più difficile riattirare il vostro interesse come prima, ma ripeto: che siano critiche, complimenti o consigli, per me è importante sapere il vostro parere. Sul serio, forse troppo. 
Bien bien, prima di andarmene voglio fare un ultimissimmo appunto, che stavolta riguarda la questione
John/Rose:
- Non pensate male, ve ne prego. John ama Melanie, e non c'è nulla che possa cambiare questo. Solo perché lui ha la possibilità di stringere una profonda amicizia con la figlia di Poseidone, ciò non vuol dire che tradirà il suo grande amore con lei. Inoltre, Rose è pur sempre la sorella del suo migliore amico, quindi diciamo che lui la vede come una... sister-in-law? 
- Non dimenticate che Rose, ormai, ha quasi 15 anni, quindi mi sembra ingiusto accusarlo di pedofilia, dato che lui ne ha solo 18. Ma capisco che agli occhi di molto (come ai miei) possa ancora essere la dolce undicenne del Morbo di Atlantide ahaha
Scherzi a parte, ci tenevo solo a rassicurarvi: Il nostro figlio di Apollo è un tipo fedele, sì sì.
Okay, ora vado davvero, perchè sta per passare la mezzanotte e tra un po' non sarà più martedì. 
Grazie per aver letto fin qui, sul serio, e se avete delle domande o se non sono riuscita a spiegare al meglio qualcosa, non esitate a chiedere/dirmelo. 
A martedì prossimo, fanciulloschi!
Sempre vostra,

ValeryJackson

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***



Il nuovo sistema d’organizzazione per gli allenamenti, a Michael, non andava proprio a genio.
Insegnanti? Quando mai avevano avuto bisogno di aiuto, loro mezzosangue?
Tutto quello era insensato, e per di più inutile. Come si poteva chiedere ad un gruppo di ragazzini iperattivi di obbedire alle regole e starsene buoni a prendere ordini da qualcuno?
Degli adulti, poi. Persino Chirone faceva fatica ad attirare la loro attenzione, e lui aveva più di mille anni.
Chi erano, quelli? O meglio: cos’erano?
Semidei? Se sì, come facevano ad essere così… grandi? Come ci erano arrivati, all’età adulta?
A tutte quelle domande – lui lo sapeva -  non vi sarebbe stata mai una risposta. Ma era inevitabile porsele, specialmente quando non si aveva la più pallida idea di come fosse il proprio avversario.
Perché nonostante fossero passate poco più di ventiquattr’ore, ormai era chiaro a tutti: i nordici erano nemici.
Erano arroganti, sbruffoni, pieni di sé e fin troppo sicuri che il potere fosse unicamente nelle loro mani.
Come si trovava un punto d’incontro, con delle persone così?
Ma soprattutto, perché mai avrebbero dovuto farlo?
Loro erano greci; loro erano ribelli ed impulsivi.
E chiassosi. E piantagrane. Figli di dei le cui anime pullulavano di una continua adrenalina, stimolata dal loro battagliero istinto.
Le due fazioni erano come il giorno e la notte.
Il bianco e il nero. Il caldo e il freddo. La libertà e la diligenza. Il principio e la fine.
La luce e il buio.
Come potevano sperare di andare d’accordo?
Il figlio di Poseidone sbuffò sarcastico dinanzi a quel quesito, tastandosi distrattamente la tasca posteriore dei jeans per assicurarsi che la propria penna/spada fosse ancora lì.
Subito dopo la colazione, si era diretto con Percy verso quella che era la loro prima lezione di scherma con il nuovo insegnante, mentre Rose si separava da loro per poter raggiungere il poligono di tiro con l’arco.
A differenza dei due fratelli, la ragazza pareva incuriosita dai nuovi arrivati; e se Michael aveva imparato una cosa di sua sorella, in tutti quegli anni, era che non bisognava mai permetterle di avvicinarsi troppo al fuoco, perché altrimenti non si sarebbe resa neanche conto di essere in procinto di scottarsi.
Per questo aveva chiesto a John di tenerla d’occhio, quella mattina. Era certo che il suo migliore amico fosse in grado di tenerla lontano dai guai per qualche ora; si fidava di lui più che di nessun altro.
Quando arrivarono nell’Arena, Skyler ed Emma si trovano già lì, circondate da altri mezzosangue sia nordici che greci.
La figlia di Efesto aveva le sopracciglia corrucciate, la classica ruga in mezzo agli occhi a rendere evidente le sue molteplici preoccupazioni. Era così assorta nei suoi pensieri che quando il moro le si avvicinò, lei a malapena ricordò di mugugnargli qualcosa di rimando.
Accostando leggermente le labbra al suo orecchio, il ragazzo fece in modo che solo lei potesse udirlo.
«Va tutto bene?» le sussurrò, al ché lei esitò, spostando il peso da un piede all’altro.
«Immagino di sì.»
«Ne sei sicura?»
Ma a quella domanda non vi fu mai risposta, perché proprio in quel momento fece il proprio ingresso il nuovo istruttore, avanzando con la sua spavalda andatura. Si trascinava la spada dietro, reggendola a peso morto quasi il suo braccio non riuscisse a sollevarla.
Solo nell’istante in cui ai suoi timpani giunse il molesto stridio del raschiare della punta della lama contro il marmo, la mora intuì che il suo non era altro che un efficace modo di mettere a tacere ogni voce, richiamando l’interesse generale.
Giungendo nel mezzo esatto della cerchia di giovani, l'uomo studiò attentamente prima ogni volto a destra, poi ognuno a sinistra. Un sorrisetto sghembo si dipinse sulle sue labbra, divertito.
«Vedo che vi siete già separati per conto vostro» osservò, alludendo alla divisione naturale che – inconsapevolmente – si era creata tra le due fazioni. Prese un teatrale respiro. «Oh, beh. Mi rendete le cose più facili» convenne, per poi portarsi al petto la cartellina blu che stringeva nell’altra mano ed esibirsi in un appena accennato inchino.
«Mi chiamo Philip Dahl» si presentò. «E da questo momento in poi sarò il vostro insegnante di scherma.»
Un lieve brusio si levò dagli ancora sconcertati greci, interrotto solamente dallo sgranchirsi la voce di lui.
Skyler si prese qualche secondo per scrutarlo, soffermandosi su quell’aspetto amichevole ma allo stesso tempo degno di rispetto che l’aveva colpita anche il giorno prima.
«Dato che non ci conosciamo» proseguì l’adulto, con il suo tono di voce basso e autoritario. «Ho bisogno di conoscere il vostro grado di preparazione, ma soprattutto se avete qualche remota possibilità di poter maneggiare adeguatamente una spada. Nel caso qualcuno di voi se lo stesse chiedendo» aggiunse in seguito, notando i volti smarriti della maggioranza. «Sì, questo è un test. E sì, sarete giudicati e classificati da me. Si tratterà di duelli, uno contro uno; greco contro nordico. Chi vince l’incontro farà guadagnare un punto alla propria squadra. La fazione che otterrà il più alto punteggio potrà… beh, potrà vantarsi con l’altra, se le va. Non sono ammesse mutilazioni, dita negli occhi e colpi nel basso ventre. Sarò io a decretare il termine di ogni sfida. Domande?»
Nessuno ebbe il coraggio di fiatare. Ma come: l’obiettivo comune avrebbe dovuto essere quello di collaborare, e lui li istigava a combattere l’uno contro l’altro?
Che cos’aveva in mente? Perché spingere dei ragazzi che già di per sé si odiano a scontrarsi in un incontro fatale?
«Bene» annuì il signor Dahl, prendendo il loro sconcerto come un invito a proseguire. Diede un’occhiata alla cartella che stringeva nel pugno. «Ho qui una lista di tutti i vostri nomi. Dato che presumo non ci siano volontari per iniziare, vi chiamerò io secondo un ordine puramente casua-»
«Mi offro io!» lo interruppe una voce all’improvviso, e una chioma corvina si fece largo tra la folla dei nordici, raggiungendo con altezzosità le prime file. Indossava una giubba bianca e oro, e la figlia di Efesto non ci mise molto a riconoscere in quei lineamenti quello che, durante le presentazioni, aveva dedotto essere il capo del suo stesso clan.
Non doveva avere che un anno o due più di lei, ma la sfrontatezza con la quale si atteggiava e il verso di scherno che rivolse ad ognuno di loro fecero ritorcere le budella della ragazza, che sentì montare dentro un bruciante disprezzo per quella persona.
«Molto coraggioso» si complimentò l’insegnante, prima di riflettervici un secondo. «O magari molto stupido. Qual è il suo nome?»
«Oh, andiamo!» lo canzonò il ragazzo, dando di gomito all’amico al proprio fianco. «Tutti sanno chi sono!»
Alcuni dei semidei alle sue spalle furono coinvolti dalla sfacciata risata, ma questo non parve scalfire minimamento l’uomo, che mantenne un’espressione impassibile e totalmente priva di interesse.
«Le ho chiesto i​l nome» ribadì, e il tono severo che usò mise in guardia anche quel giovane – che sgranchendosi la voce (nonostante non ne avesse davvero bisogno) si riassestò sul posto.
«Aren Waegmund» annunciò, pronunciando con fierezza ogni sillaba. «Figlio di Odino.»
Waegmund? Skyler non ci mise molto per intuire la sua provenienza.
Non era quello l’appellativo stesso della sua cricca? La Signora Gunvor aveva spiegato loro che il titolo di capoclan poteva essere assunto attraverso un rito d’iniziazione – chiamato ping – oppure per successione diretta, se si faceva parte di una famiglia di un determinato spessore.
Chissà per quale motivo, la ragazza sospettava che quel tipo non avesse dovuto fare nessuno sforzo, per accaparrarsi quella nomina. In più, era figlio di Odino, che secondo la loro mitologia era il re degli dei. Perché ciò non la sorprendeva più di tanto?
«“Colui che regna come un’aquila”» borbottò Mr. Dahl tra sé e sé, ragionando sul significato letterale del nome del giovane. «Devo dedurre che tu abbia un’alta considerazione di te, sul campo di guerra.»
«E perché non dovrei?» ribatté con un ghigno lui. «Fino ad oggi, non credo sia ancora nata la persona in grado di battermi.»
Mentre i suoi compagni lo assecondavano con un sommesso risolino, Emma si conficcò le unghie nei palmi.
«Non mi piace quel tizio» sentenziò, al ché l’amica l’afferrò delicatamente per un braccio, impedendole di fare stupidaggini.
«Non dargli retta» la redarguì sottovoce, per poi tornare a concentrarsi sulla scena che aveva di fronte.
«Vedremo se ha ragione, Mr. Waegmund» pattuì accondiscendente l’istruttore, prima di sfilarsi una penna stilo dalla tasca e facendone scorrere il tappo sulla lista che aveva davanti.
«Jacob Anderson» chiamò, e a farsi avanti fu un timoroso e mingherlino figlio di Afrodite. Era più basso di Aren di circa una spanna, e anche quest’ultimo doveva essersi reso conto della notevole differenza, perché rivolse all’uomo uno sguardo scettico, quasi divertito.
«Sul serio?» domandò, retorico, indicando il ragazzino con un cenno disgustato della mano. «Questo qui rischia di tornarsene a casa con un trauma cranico.»
«Inizierete al mio via» lo ignorò Dahl, facendo tre passi indietro per poter lasciare ai due il dovuto spazio. «Preparate le armi.»
La prima spada a fendere l’aria fu naturalmente quella di Aren, molto simile ad una scimitarra. Non appena la estrasse, la figlia di Efesto percepì Michael, al proprio fianco, sussultare.
«Pronti?» li avvisò l’uomo, e i giovani divaricarono leggermente le gambe, guardandosi negli occhi con aria di sfida. «En grade!»
Accadde tutto in una frazione di secondo. Nell’istante in cui le loro lame cozzarono, il figlio di Odino fece scattare il polso, facendo quindi perdere la presa al povero greco, che barcollò all’indietro, interdetto.
Fu allora che il più grande fece un passo verso di lui, e con l’elsa della spada gli colpì prima lo sterno, poi la tempia. Il figlio di Afrodite cadde supino a terra, ricevendo il colpo di grazia dalla suola dell’altro, che gli assestò un calcio ben piantato in mezzo al petto, smorzandogli il respiro.
«Basta così!» lo bloccò a quel punto l’insegnante, senza neanche sollevare lo sguardo dagli appunti che stava scrivendo sulla sua cartellina. «Punto ai nordici.»
Quest’ultimi esultarono, mentre due figli di Apollo si chinarono per soccorrere il giovane malcapitato, che con un rantolo si fece trascinare di peso verso gli spalti, dove avrebbe potuto riposarsi.
Per qualche attimo, nessuno più si mosse, e fu quello l’unico motivo che convinse finalmente l’uomo a lanciar loro un’occhiata, per poi allargare di poco le braccia.
«Beh?» li provocò, inarcando un folto sopracciglio. «Continuiamo.»
La mezz’ora successiva fu un accavallarsi di parate, stoppate e sfide all’ultimo sangue.
Tra le altre cose, a rendere quegli incontri eccitanti non vi era solo la volontà di prevalere l’uno sull’altro, ma anche due modi di combattere del tutto opposti.
I nordici erano più precisi, metodici; calcolatori.
I greci, invece, giocavano più sull’intuito, l’agilità e il sesto senso conferitogli dalla loro decisamente più marcata iperattività.
Ad Emma fu chiesto di battersi con una figlia di Vӧr - la dea del matrimonio – e per lei fu fin troppo semplice metterla al tappetto con una serie di fendenti. La figlia di Ermes era stata sempre una delle migliori, nella scherma; e questo nessuno l’avrebbe mai messo in dubbio.
Lo stesso valse per Percy, che sconfisse una figlia di Freyr – dio dell’abbondanza – quasi con la stessa rapidità con la quale Aren aveva umiliato quel ragazzino, prima. A differenza del nordico, però, una volta vinta la sfida il figlio di Poseidone porse gentilmente una mano alla ragazza, aiutandola ad alzarsi e scusandosi qualora le avesse fatto male.
Più difficile da sconfiggere, al contrario, fu il figlio di Thor che toccò a Michael, e che gli diede del filo da torcere, nonostante alla fine il moro riuscì comunque a disarmarlo.
Subito dopo lo scontro tra una figlia di Demetra e un figlio di Magni, la dea della forza (vinto ovviamente da quest’ultimo), toccò finalmente alla figlia di Efesto.
«Skyler Garcia, contro…» Il Signor Dahl scorse velocemente tutti i nomi, meditando su quale fosse il più indicato. «Alferd Eriksson.»
A distaccarsi dalla folla fu un biondo figlio di Modi – il dio del coraggio – alto circa quanto lei, ma decisamente più grosso. Nulla che potesse intimidirla, ad ogni modo; ne aveva visti di peggiori, per lasciarsi spaventare da uno così.
Quado l’istruttore diede il via, la ragazza attese che fosse l’altro il primo ad attaccare. Non appena egli tentò un tattico montante destro, lei lo schivò con abilità, piegandosi sulle ginocchia e aspettando il momento giusto per potergli deviare il setto nasale con l’elsa della spada.
Con rivoli di sangue a defluirgli dalle narici, il ragazzo grugnì, e la mora approfittò della sua temporanea interdizione per azzeccargli una gomitata sull’orecchio, e in seguito una ginocchiata sull’addome.
«Andiamo, Garcia!» la riprese stancamente l’uomo, con una punta di severità. «Queste non sono le lezioni di corpo a corpo di Olsen. Meno pugni, più spade.»
Quel commento a Skyler non piacque affatto. Cosa c’era di sbagliato nel suo modo di combattere?
Doveva usare di più la propria arma? Bene.
Indispettita, menò un fendente in direzione del giovane, che con un po’ di fortuna riuscì a pararlo. Quindi, lei provò con un affondo, e consapevole del fatto che sarebbe stato deviato anche quello si preparò ad attaccare nuovamente con un montante. Stavolta, il colpo andò a buon fine, e ferì la coscia del suo avversario, costringendolo a piegarsi in due dal dolore.
Dunque, con un ultima stoccata la figlia di Efesto gli colpì la guancia, non così forte da ferirlo gravemente, ma abbastanza da farlo cadere a terra, ponendo fine ai giochi.
Voltandosi verso Dahl, notò che quest’ultimo la stava studiando attentamente, molto interessato, ma per nulla sorpreso. Quasi immaginasse quel genere di grinta, da parte sua; come se la sua vincita, per lui, non fosse altro che una conferma.
«Punto ai greci» annunciò con scarso entusiasmo, senza tradire le emozioni che gli imperlavano le iridi scure.
Rivolse alla ragazza un cenno del capo, in un muto complimento.
Dopo di ché, chiamò altri due nomi, lasciandola lì con lo sconcerto dovuto da quell’inaspettato gesto.  
Microft dovette assistere ad altri tre combattimenti, prima che giungesse il suo turno.
Quando toccò a lui, i due gruppi erano adagiati su una rispettosa parità.
Per quanto potesse essere fiero delle proprie origini greche, il ragazzo non aveva potuto fare a meno di ammettere quanto lo schieramento opposto fosse notevole, e preparato. Sembrava non facessero alcuno sforzo nel compiere le loro incisive azioni; vi era disinvoltura, nei loro movimenti, e anni di ferrea preparazione.
A lottare contro il moro fu chiamato un certo Andrea, che indossava una casacca azzurra e viola, e che come un altro paio di ragazzi prima di lui aveva il volto coperto da un elmo di bronzo eburneo.
Era più basso di lui di una paio di centimetri; il corpo snello, le mani decisamente più delicate delle sue (che erano sottoposte ogni volta a quotidiani tagli e ferite).
A giudicarlo di primo acchito, il figlio di Efesto non gli avrebbe mai affibbiato l’appellativo di ‘guerriero esperto’.
«Pronti» li avvisò l’insegnante, al ché i due si misero in posizione. «En garde!»
Ci fu un istante in cui il ragazzo credette davvero di avere tutte le carte in regola per batterlo. Quando si lanciò contro di lui alla volta di un fendente, si rese conto che quello fece fatica a pararlo. Ma purtroppo lo stesso non valse per l’affondo successivo, che fu deviato con fin troppa facilità.
Non appena Microft provò uno sgualembrato dritto, il giovane fece la propria mossa: intercettò la sua lama a mezz’aria, e con un’agilità non indifferente gli ruotò attorno, ritrovandosi alle sue spalle giusto in tempo per colpirlo alla schiena con il piatto della spada, facendolo barcollare.
Quel damerino aveva stoffa, il moro doveva ammetterlo; ma non per questo si diede per vinto.
Tentò più volte di ferirlo con la propria lama, e soffocando l’irritazione ogni qualvolta che le loro armi cozzavano in un ruvido suono metallico.
Ad un certo punto, dopo l’ennesimo fendente schermito, l’altro ruotò repentino il polso; e il figlio di Efesto si rese conto di aver perso la presa sull’elsa solo quando si ritrovò disarmato.
L’avversario ne approfittò per mettere il tallone contro il suo e farvici pressione, battendogli poi un gomito in pieno petto al fine di fargli perdere l’equilibrio.
Il ragazzo cadde a terra con un tonfo, il sedere che incontrava dolorosamente il pavimento di marmo dell’Arena.
Soltanto nel momento in cui alzò lo sguardo, però, si rese conto della punta della spada a meno di un centimetro dal suo volto, così vicina che riusciva quasi a sfiorarla con il naso.
Il Signor Dahl batté due volte le mani, decretando la fine della sfida. Dal gruppo dei nordici si levò un’orda di esultazioni prima ancora che l’uomo assegnasse loro il punto.
Il figlio di Efesto restò dov’era, battuto. E non osò muoversi non tanto per via dell’incredulità dovuta alla bruciante sconfitta, quanto più per la lama d’argento che continuava a restare sospesa proprio sotto i suoi occhi.
Il suo avversario – infatti – si decise ad allontanarla solo dopo essersi compiaciuto della propria riuscita; e riponendo l’arma della federa che aveva sulla propria cintura, si concesse un sospiro soddisfatto, poco prima di sfilarsi finalmente via l’elmo.
Quando scorse senza preavviso i suoi lineamenti, Microft giurò di aver dimenticato come respirare.
Aveva due grandi occhi azzurri, macchiati da delle striature violette; due pezzi di topazio intrappolati da delle ciglia lunghe e nere. La sua pelle era candida, perfetta. Le sue labbra rosee e il suo naso un po’ all’insù.
Una fluente chioma di capelli biondo fragola le ricadde leggiadra sulla schiena non appena si tolse la galea, e l’ultima cosa che il moro si sarebbe mai aspettato era che quell’Andrea fosse…
«Una ragazza» sussurrò tra sé e sé, incapace di credere alle proprie iridi.
Molto probabilmente lei non fu in grado di udire quello sciocco commento, ma l’espressione sbigottita di lui bastò ad incurvare all’insù gli angoli della sua bocca.
«Bella partita» si congratulò, e dal suo tono sembrava sincera. Ma il figlio di Efesto prestò poca attenzione a tutto ciò che successe in seguito.
La sua mente non registrò la vittoria generale dei nordici, né i cori di protesta dei suoi amici.
Non fece caso ad Emma che cercò di avventarsi su Aren, né a Michael che la trattenne per i fianchi.
Non registrò la domanda postagli da Skyler, che molto probabilmente gli stava chiedendo se si fosse fatto qualcosa di grave.
No. Ogni pensiero esterno fu annullato completamente dalla vista di lei. Come se ai suoi occhi brillasse di luce propria, il giovane non fu più in grado di distogliere lo sguardo da quella chioma rossastra.
Ebbe la sensazione di avere la bocca dello stomaco stretta in una morsa d’acciaio, unita alla consapevolezza di essere stato totalmente folgorato dalla sua bellezza.
Perché dei, se era bella. Era stata in grado di annebbiare la sua ragione.
Gli era bastata una sua occhiata a farlo avvampare.
E avrebbe benissimo potuto scommettere che nulla sarebbe mai stato paragonabile a quello splendido sorriso che era esploso all’improvviso sul suo delicatissimo viso.
 
Ω Ω Ω
 
Spostando distrattamente lo sguardo sulle varie imperfezioni del soffitto, Skyler fece un bilancio della giornata appena trascorsa.
Parlando con Leo, aveva scoperto che il Signor Olsen era tanto animalesco quanto appariva, nei modi di fare; e che sostanzialmente suo fratello era stato umiliato dal figlio di Magni contro cui aveva combattuto.
Discutendone con John, invece, era venuto fuori che il Signor Jensen, al tiro con l’arco, non nutriva molta simpatia nei confronti di tutti coloro che non appartenevano all’Halvgud Camp.
L’idea di nominare degli ‘insegnanti’, quindi, era stata la peggiore che la Gunvor potesse proporre.
Loro avevano sempre fatto tutto da soli. Non avevano mai avuto bisogno di qualcuno che gli desse ordini e restrizioni, e il rispetto che ogni semidio aveva per Chirone non era stato imposto da una maleducata supremazia da parte del centauro, bensì da una profonda stima che era inevitabile provare verso colui che per la maggior parte di loro era come un padre.
Che stava succedendo al suo Campo, alla sua casa?
L’arrivo di quei nordici minacciava di trasformarla in una prigione, e questo la figlia di Efesto non poteva accettarlo.
Ma non era quello l’unico pensiero che le turbinava vorticoso nella scatola cranica, rischiando di farla impazzire. Non era mai stato facile, per lei, condividere i propri problemi con la gente. Da quando aveva qualcuno con cui farlo, poi, la parte più complicata era proprio il rendersi conto che non ce l’avrebbe mai fatta, ad affrontare il mondo da sola.
Lei era solo una ragazzina; una diciassettenne che però aveva delle persone fantastiche al proprio fianco, pronte a supportarla in ogni momento.
Qual era il suo maggior timore, dunque?
Il non voler correre il rischio che gli altri soffrissero?
O la paura che una volta sgretolatosi anche l’ultimo frammento di quella maschera di coraggio che si ostinava ancora a portare, non sarebbe più riuscita a tornare a galla dalle tenebre della propria mente?
Perché sì, era consapevole del fatto che il suo cervello fosse strutturato come un tortuoso labirinto.
Uno buio, e angusto, e freddo, e senza uscita.
Cosa la spaventava di più?
Il non poter salvare gli altri? O il non riuscire a proteggere neanche sé stessa?
Come può qualcuno incapace di tener cura della propria persona, essere l’eroe di un’altra?
Quante possibilità aveva lei, che era nata per distruggere, di far del male a tutti coloro che le stavano accanto?
Di che cosa aveva più bisogno: di salvare, o di essere salvata?
A mettere a tacere tutti i quesiti che la opprimevano furono cinque bussi alla porta, seguiti immediatamente da altri due – a formare una nota melodia.
Subito dopo la cena, tutti i mezzosangue si erano radunati – come ogni sera – attorno al falò. Solo i greci, ovviamente, dato che durante i pasti e le ore di sonno i giovani nordici trascorrevano il loro tempo nella tenuta che era stata costruita apposta per loro.
Non che questo facesse molta differenza, certo. Anzi, evitava decisamente innumerevoli conflitti.
Ad ogni modo, la ragazza aveva deciso di rintanarsi nella propria Cabina, non essendo in vena di cantare canzoni con il resto del gruppo e preferendo una quieta solitudine.
Con un sospiro, si alzò dal proprio letto, andando svogliatamente ad aprire. Si ritrovò davanti un’Emma dall’aria malandrina, che non appena la vide le regalò un radioso sorriso. Stringeva una bottiglia di Merlot e due ballon in una mano, mentre nell’altra teneva una bustina di plastica con dentro dei pezzi di formaggio minuziosamente tagliati.
«È permesso?» fece, con sarcasmo. «Oh, ma che lo chiedo a fare? È ovvio che posso entrare!»
«Emma?» azzardò la mora, il volto contorto dallo sconcerto quando la vide varcare l’uscio con nonchalance. «Che ci fai qui?»
«Ho notato che a cena non hai mangiato molto e che non ti sei presentata al falò» spiegò la figlia di Ermes, quasi fosse scontato. «Per questo ho pensato bene di accorrere in tuo aiuto.»
Skyler la squadrò da capo a piedi, scettica. «Con del formaggio?»
«Parmigiano italiano» la corresse quella, fiera.
«E dove hai preso il vino?»
«Tu sottovaluti sempre le mie doti, mia cara.» Dopo di ché si sedette sul letto, versando un po’ del liquido rosso per entrambe. «Questa sera offre la Casa Grande!» annunciò.
La figlia di Efesto afferrò con circospezione il proprio bicchiere, accostando la punta del naso all’orlo per ispirarne l’aspro profumo. «Non credo di averne mai assaggiato uno così pregiato» commentò, mentre l’amica beveva un sorso. Il suo, però, rimase intatto anche nel momento in cui si adagiò a sua volta sul materasso, a gambe incrociate.
«Allora» esordì Emma, cacciandosi in bocca una fetta di grana. «So che se non mi hai già detto che cos’è che ti turba vorrà dire che non hai voglia di parlarne, quindi fingerò di non essermi accorta di niente e passerò a farti qualche altra domanda.»
La mora si lasciò sfuggire un sorrisetto sghembo, ringraziandola silenziosamente con un’occhiata.
«Vuoi sapere come va con Michael?» azzardò, al ché l’altra fece un verso di disgusto.
«Che schifo» ci tenne a rimarcare. «Tenete la vostra vita amorosa e privata lontana dai miei business» la pregò, riuscendo a farla ridere di gusto. «Non c’è nient’altro – oltre a quel Ragazzo Pesce – di cui possiamo parlare?»
«Beh…» La ragazza ci pensò un po’ su. «Che ne pensi dei nuovi arrivati?»
«Oh!» esclamò la figlia di Ermes, con un’espressione matura e saggia. «Li odio» confessò poi, e stavolta Skyler si trattenne dal ridacchiare.
«Non ti sembra un po’ ingiusto nei loro confronti il fatto che non gli abbiamo dato nemmeno una chance?»
La bionda ci ragionò. «Nah» sminuì. «Sono soltanto spocchiosi ed antipatici.»
«E anche sulla bocca di tutti» le fece notare la figlia di Efesto, con disappunto. «Solo che non riesco a capire se questo li mortifichi oppure gli faccia montare la testa.»
«Credo proprio che il giorno in cui me ne importerà qualcosa, John inizierà a cambiare ragazza ogni settimana.»
La mora abbozzò un sorriso. «Tra lui e Melanie va alla grande» osservò; e alle sue parole, la bionda sbuffò.
«Io non vi capisco» si lamentò, fingendosi indignata. «Come si fa a stare con una persona per così tanto tempo? Dopo un po’ non ne avete abbastanza l’uno dell’altra?»
L’amica la guardò. «Magari la pensi così perché non hai ancora la persona giusta» si arrischiò.
«Sono tutte cavolate» replicò Emma, corrucciata. «Non esiste nessuna ‘persona giusta’ con cui stare, a questo mondo. Tutti i ragazzi, prima o poi, se ne vanno. Fa parte del loro DNA.»
«Beh, non è detto» contestò Skyler, arricciando il naso. «E anche se così fosse, alla fine ci sono sempre gli amici, no?»
«Sai che cosa dovremmo fare?» esordì con un trillo la figlia di Ermes, facendola sussultare. «Una lista di regole.»
«Regole?» ripeté l’altra, perplessa. «Regole per cosa?»
«Regole alle quali attenersi per assicurarci che la nostra amicizia perduri nel tempo. Una sorta di patto. Presto, dammi carta e penna!» le intimò, e una volta ottenutele cominciò a stilare frettolosamente una lista. «Regola numero uno» enunciò, con voce solenne. «“Far notare sempre all’altra quando sta sbagliando, ma sostenerla a prescindere”.»
«Regola numero due» si unì la figlia di Efesto, con sguardo complice. «“Aiutarsi l’un l’altra in ogni circostanza; anche – e soprattutto – nelle più difficili”.»
«Regola numero tre: “prendersi sempre la colpa per qualcosa che in realtà ha fatto l’altra, consapevole che questa, al posto tuo, farebbe lo stesso”.»
La mora soppesò quelle parole, inarcando inquisitoria un sopracciglio. «Non credi che questo sia un punto un po’ a senso unico?» obiettò, prima di far roteare gli occhi e continuare: «Regola numero quattro: “ricordare sempre all’altra, quando si è in crisi, che le cose potrebbero andare peggio”.»
«Ci metto anche quella del vino e formaggio» puntualizzò Emma. «Devi ammettere che è geniale, come idea.»
«Numero sei: “non abbandonarsi mai, ed essere l’una il braccio destro dell’altra. Lo yin del suo yang”. O al contrario, se preferisci.»
«Numero sette: “quando una cadrà, l’altra avrà il dovere di ridere a crepapelle”. Ma poi l’aiuterà a rialzarsi!» si affrettò a specificare la bionda, sotto l’occhiataccia divertita di Skyler. «Dopo essersi fatta sotto dalle risate, ovviamente.»
«Numero otto» proseguì quest’ultima. «“Proteggere i nostri segreti più intimi”.»
«Numero nove: “non dire mai all’altra di non fare cose stupide”. Potrebbe rimpiangere di non averci provato fino alla fine. Magari, le si fa insieme.»
«Numero dieci…» E prima di dar voce ai propri pensieri, la ragazza esitò. «“Se – e ho detto se l’altra viene a mancare, non bisogna disperarsi.” Insomma, se io dovessi morire giovane, vorrei che la mia migliore amica dicesse a tutti di farmi indossare un vestito di raso.»
«Magari adagiata su un letto di rose» propose mestamente la figlia di Ermes.
«Esatto! E lasciata andare in un fiume…»
«All’alba…»
«Mentre tutti i presenti mi dicono addio cantando una canzone.»
Ci fu un istante di religioso silenzio, smorzato soltanto da una vigorosa scrollata del capo da parte della bionda. «Dei, che cosa triste!» gemette, con una smorfia. «Non ho voglia di pensarci ora. Concludiamo invece con la numero undici: voglio essere la tua testimone di nozze.»
Skyler sgranò gli occhi, colta alla sprovvista. «Che cosa?»
«Suvvia! È abbastanza chiaro che se continuate di questo passo, tu e Michael alla fine vi sposerete. E dato che sono stata una dei primi ad assistere alla nascita della vostra relazione, voglio testimoniare il vostro amore, il giorno del vostro matrimonio.»
«Matrimonio?» reiterò la mora, portandosi imbarazzata una mano alla fronte. «Per Zeus, Emma! Non so neanche se sarò ancora viva, domani…»
«Ti immagini che bello?» continuò imperterrita l'altra, con fare sognante. «Io e John. Sarà come raggiungere il finale, senza mai dimenticare com’è che è iniziata.»
La figlia di Efesto si mordicchiò il labbro inferiore, prendendo fiato per poter contestare. Ma qualsiasi parola avesse scelto di pronunciare si sfumò sulle sue labbra non appena sentì un lieve bussare contro il legno della porta.
Inarcando un sopracciglio, si alzò dal letto per andare ad aprire. A sorriderle dalla soglia furono Michael e John, e non appena la vide il figlio di Poseidone allargò di poco le braccia, con fare sfacciato.
«È qui la festa?» domandò ironico, guadagnandosi un’occhiata sospettosa dalla ragazza.
«Che ci fate qui?» chiese lei a sua volta.
«Siamo venuti anche noi a vedere come stavi, dato che non ti sei presentata al falò» rispose con sincerità il figlio di Apollo, mentre entravano nella Cabina.
«Lui» puntualizzò il moro. «Io sono qui per vino e formaggio.» Accorgendosi dello sguardo di fuoco che gli rivolse Skyler, però, mostrò i palmi, con aria innocente. «Sto scherzando» assicurò, sulla difensiva.
I due giovani presero posto al loro volta sul letto, sul quale ora c’era decisamente meno spazio – dato che era troppo piccolo per contenere ben quattro persone.
«Allora» esordì nuovamente Michael, con un lieve ghigno. «Di che stavate parlando?»
«Sono cose che non ti riguardano, Ragazzo Pesce» lo ammonì prontamente Emma, ottenendo in replica una linguaccia. Il ragazzo odiava quello stupido soprannome, ed era per questo che lei continuava ad usarlo.
«Perché sei tornata qui?» volle sapere invece il biondo, al ché la figlia di Efesto si strinse nelle spalle.
«Avevo bisogno di pensare, suppongo.»
«È successo qualcosa?» si informò immediatamente l’altro, la fronte leggermente aggrottata.
«Ma no» sminuì lei. «Nulla in particolare. Non ancora, almeno.»
«Se ti riferisci a ciò che ultimamente sta accadendo qui al Campo, allora puoi star pur certa che ben presto si scatenerà l’inferno» si intromise con un verso di scherno la figlia di Ermes, che si ritrovò presto in disaccordo con John.
«Non dovresti partire così prevenuta» la riprese infatti lui, e in replica l’amico fece schioccare la lingua.
«Devi ammettere, però, che in fondo ha ragione» pattuì. «Avresti dovuto vederli oggi durante la lezione di scherma. Ad un certo punto uno di loro ha anche…»
«Ho sognato Prometeo» esordì all’improvviso Skyler, e tre paia di occhi si puntarono all'unisono su di lei.
La ragazza strizzò le palpebre, stringendo le labbra in una linea sottile. «Io… non so neanche perché ve lo sto dicendo» ammise, prendendosi il capo tra le mani. «Ma, Michael, ho pensato a quello che mi avevi detto tu, al fatto che sembra che io non mi fidi di voi, e… e non posso accettare l’idea che voi lo crediate. Perché diamine, io vi affiderei la mia stessa vita senza neanche ragionarci due volte. È solo che…» E qui prese un respiro tremante, lottando contro le fastidiose lacrime che avevano preso a pizzicarle la retina.
«Ho paura» confessò poi. «I-Io non sono coraggiosa. Sono terrorizzata. Sono sempre terrorizzata. Mi comporto come se sapessi quello che sto facendo, ma non è così. Non so cosa Prometeo voglia da me… né cosa gli altri si aspettino che faccia per sconfiggerlo. Non so quando tornerà, che cosa farà. Non so… io non so neanche se riuscirò mai a vincere i demoni che ho dentro la testa. Non so nulla.» E fu a quel punto che tirò su col naso, sorprendendosi quando il palmo di Michael le accarezzò dolcemente la nuca.
«È normale avere paura» la consolò quest’ultimo, con tono gentile. «Se non sei spaventata, non sei umana.»
«La verità è che siamo solo adolescenti» intervenne Emma, con disappunto. «Che però sono costretti a combattere guerre molto più grandi di loro. Ma ciò non vuol dire che dobbiamo farlo da soli.»
«Tu non sarai mai sola, Skyler» le fece notare quindi il figlio di Apollo, rassicurante. «Né io, né loro permetteremo mai che tu affronti le tue battaglie per conto tuo.»
«Già» annuì la bionda, d’accordo con lui. «Ha ragione.»
Il figlio di Poseidone le spostò dunque una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Siamo con te, ricordi?»
Sentire quella frase scatenò nella mora così tante emozioni che per lei fu impossibile non lasciarsi sfuggire un sorriso.
Perché non ci aveva pensato prima? Ovvio che era così.
Loro erano con lei, lo sarebbero sempre stati.
Fino alla fine, fianco a fianco. Muovendosi come un unico essere mentre si proteggevano le spalle a vicenda.
«Non so cosa farei senza di voi, ragazzi» riconobbe rincuorata, e gli altri tre la strinsero in un fraterno abbraccio che le ricordò perché erano diventati i suoi migliori amici.
Loro erano un team, una squadra.
Loro erano una famiglia.
«Parlando d’altro» cambiò discorso la figlia di Ermes, nel tentativo di risollevare un po’ gli animi. «Chi comincia ad esprimere il proprio odio per i nordici?»
«Secondo me dovremmo dargli una possibilità» ribatté John, con un sospiro. «Magari non sono così subdoli come crediamo.»
«Oh, andiamo!» contestò Emma. «Nessuno può arrivare qui ed imporci delle regole così ferree.» Ed esibendosi in una comica imitazione della Signora Gunvor, scimmiottò le sue parole: «“Se verrete beccati a gironzolare per il Campo oltre il coprifuoco, verrete puniti”.»
Il moro sbuffò dal naso, con sarcasmo. «Come se poi loro non lo facessero» commentò.
La figlia di Efesto corrucciò le sopracciglia, interdetta. «Che vuoi dire?»
Lui sogghignò. «Gira voce che abbiano intenzione di organizzare una sorta di ‘incontri clandestini’ di scherma ogni sera, nei pressi del Pugno di Zeus. Non so quanto ci sia di vero, ma di sicuro non hanno intenzione di rispettare questo fantomatico coprifuoco.»
«Non ci credo» ridacchiò la bionda, divertita. «Lo dicevo io che ne sanno una più del diavolo.»
«Resta da vedere quali sono le loro intenzioni» convenne il figlio di Apollo.
«Non so perché» si aggiunse quindi Skyler, con scarso entusiasmo. «Ma ho la netta sensazione che qualunque esse siano, difficilmente saranno a nostro vantaggio.»
In fondo, come biasimarli?
I greci odiavano loro, e loro odiavano i greci.
E chi affermava il contrario o era un ipocrita, o si fingeva cieco, oppure stava mentendo spudoratamente. 


Angolo Scrittrice. 
Prima di cominciare, voglio scusarmi infinitamente con tutti voi per questo indesiderato ritardo. 
Purtroppo, come vi avevo annunciato, o avuto dei problemi di connessione che mi hanno impedito di pubblicare per circa una settimana. Il Wi-Fi è tornato solamente ieri sera, e spero non me ne vogliate per il fluff della scorsa settimana. 
Anyway, parlando di cose importanti: che ne pensate di questo capitolo? 
So che l'ho già detto anche per i precedenti, ma anche questo è molto importante. 
Innanzitutto, conosciamo meglio alcuni ragazzi nordici che avranno un ruolo fisso, in questa storia (o ad ogni modo molto importante)
– 
Aren Waegmund: letteralmente, il suo nome - come suggerito dal Signor Dahl - significa "colui che regna come un'aquila". E' figlio di Odino, il re degli dei e dio della guerra, oltre ad essere il capoclan degli Waegmund (appunto), il clan più importante e potente di tutti. Come si può quindi notare, lui è un diretto discendente della famiglia da cui prende il nome. Arrogante e pieno di sè, si è già guadagnato le antipatie dei nostri ragazzi. Che sorprese pensate che ci riserverà? 
 Andrea: per ora di lei vi basti sapere che (come suggeriscono i colori della sua casacca) fa parte del clan degli Scylding, coloro predisposti alla saggezza, alla virtù e alla sapienza. A quanto pare sembra che abbia già fatto breccia nel cuore di Microft, non trovate? Ma qual è la sua vera storia? Di chi è figlia? Secondo voi, che tipo di personaggio è?
Phillip Dahl: ecco a voi il nuovo insegnante di scherma [che io mi sono figurata con i tratti di Robert Downey Jr. sorrynotsorry]. Che ne pensate di lui? Come vi sembra? Che impressione vi ha fatto? 
Comunque, nella seconda parte del capitolo vediamo anche una
Skyler in crisi con sé stessa. Sa che il suo comportamento nei confronti degli amici è sbagliato, ma ciò non vuol dire che per lei sia facile rinnegare quella che è. Ha i suoi pregi come ha i suoi difetti, ovviamente. Ma sta cercando di migliorare. Lo vediamo quando rivela agli altri di aver sognato Prometeo, e di quanto sia terrorizzata. Perchè ammettiamolo, per quante se ne possano dire Emma ha ragione: loro sono solo adoloscenti; e come tali sono pieni di conflitti, dubbi, incertezze e paure. 
Ma per fortuna sanno sempre come sostenersi l'un l'altro. Non vedevo l'ora di poter descrivere di nuovo un momento in cui quei quattro ribadivano ulteriormente il loro legame.
E anche una bella scena tra le nostre due ragazze! Tenete bene a mente quel patto che hanno stipulato, perchè verrà ritirato in ballo abbastanza spesso ahaha
Bien bien, prima di ringraziare i miei bellissimi Valery's Angels e dileguarmi, vorrei aprire una piccola parentesi: 
Vorrei solo chiarire per tutti coloro che hanno ritenuto la mia idea di un Campo nordico troppo simile a quella di altri che non mi permetterei mai, e dico mai di rubare le storie altrui. Non vedo prechè dovrei. Io non scrivo solo per gli altri; lo faccio principalmente per me, per il mio diletto, e per riportare su carta tutte quelle idee che altrimenti manderebbero in incandescenza il mio cervello. 
Io scrivo per far conoscere al mondo - per quanto in cerchia ristretta -  il pensiero di Valery. Quindi vi prego di non accusarmi di plagio, perchè è davvero mortificante. 
Potete dirmi che la storia non è originale, o che le miei idee vi fanno schifo. Ma non sminuite quello che invece è stato un lavoro di mesi in cui mi sono impegnata e documentata per poter dar vita a tutto ciò che ora state leggendo. 
Btw, è giunto il momento di ringraziare i miei bellissimi angioletti, che mi deliziano sempre con le loro stupende recensioni **:
Anna in Black, TamaraStoll, aleov7, Ciacinski e Sarah Lorence
Io non ho più parole per descrivervi, davvero. 
Oookaaay, ora devo proprio andare andare. 
Grazie a te che stai leggendo questa parte in grassetto, perchè significa che non ti sei ancora stancato di me. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e di poter conoscere il vostro parere. 
A mertedì prossimo, fanciulloschi!
Sempre vostra, 

ValeryJackson



 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***



 
Questo capitolo lo dedico ad Yrlesa,
una dolce semidea che purtroppo
da pochi giorni
ha raggiunto i Campi Elisi.
So che forse è scontato,
e che molto probabilmente
non è molto.
Non sarà mai abbastanza, 
ma questo è per te,
piccolo angelo.

 

Andrea era figlia di Tyr, il dio della sapienza e della forza.
Questo spiegava perché il giorno prima l’avesse battuto con così tanta agilità, e perché indossasse una casacca viola.
Aveva sedici anni; precisamente un anno, due mesi e quattro giorni in più di Microft.
Era single, la sua arma di fiducia era uno spadone a due mani nominata Blitz, e nessuno conosceva la vera storia sulle sue origini.
Come faceva il figlio di Efesto a sapere tutte quelle cose?
Beh, si era informato. Aveva chiesto un po’ in giro, e incastrando come in un puzzle le scarne informazioni che alcuni ragazzi nordici gli avevano concesso era riuscito a farsi un’idea sulla giovane dai capelli color fragola.
Dall’istante stesso in cui l’aveva vista non aveva fatto altro che pensare a lei. Alle sue labbra rosee, alla sua pelle candida, alle sue ciocce rosse e a quei due pezzi di topazio che le sue ciglia scure avevano intrappolato, e che lo attraevano come il ferro fa con una calamita.
«Secondo me dovresti andare a parlarle» gli ripeté per l’ennesima volta Rose, alla quale il moro non aveva tardato a raccontare ogni dettaglio.
Erano seduti entrambi sull’unica panchina bianca che c’era di fronte all’Armeria. Andrea era entrata lì per poter lucidare la propria spada, e lui aveva chiesto all’amica di restare al suo fianco nell’attesa che quella uscisse.
Era infantile? Molto probabilmente sì.
Stupido? Decisamente.
Ma come avrebbe dovuto comportarsi lui, che nell’arco della sua adolescenza era riuscito ad instaurare un legame soltanto con due ragazze, una delle quali era sua sorella?
Per questo sbuffò dal naso, contrariato. «E per dirle cosa?» si accigliò, rassegnato. «Lei non sa manco che esisto.»
«Beh, potresti iniziare col presentarti» insisté la figlia di Poseidone, studiando con poco interesse alcune delle sue doppie punte. Poi ghignò, divertita. «Alcune delle migliori relazioni sono cominciate così.»
Il figlio di Efesto le rivolse una smorfia, scrocchiandosi nervosamente le nocche. «Non è divertente» borbottò, irritato.
«Dei, mi dici che cos’hai da perdere?»
«Ehm… la dignità?»
«Quale dignità?» lo prese in giro lei, per poi abbozzare un sorriso sghembo non appena ricevette una sua occhiataccia. «Scusa» mormorò, divertita. «È solo che credo che dovresti smetterla di avere paura di non esserne in grado, e buttarti» confessò. «Voglio dire: come fai ad essere sicuro di non farcela, se non ci hai nemmeno provato?»
Quando lui non le rispose, la giovane spostò le proprie iridi in quel momento di un verde chiaro su di lui, cercando invano il suo sguardo. «Micky» gli sussurrò, posandogli dolcemente una mano sulla spalla. «Non ti ho mai visto guardare una ragazza in quel modo.»
Microft sollevò gli occhi di scatto, scrutandole indecifrabile ogni tratto del viso. Sospirò, soppesando attentamente le sue parole. Dopo di ché annuì leggermente, esitante.
«D’accordo» convenne, sfregandosi contro la stoffa dei jeans i palmi sudati. «Va bene, lo farò.»
«Sì» esultò piano Rose, in un soddisfatto gesto di vittoria.
«Andrò a parlarle.»
«È la cosa giusta da fare.»
«Ci andrò.»
«Magari adesso
«Sì, ci vado adesso.» Si alzò lentamente in piedi, incapace di credere alle proprie intenzioni. «Ci sto andando» annunciò, sgranchendosi la voce. «Ci sto andando» reiterò, ma non appena mosse qualche passo, si voltò di nuovo verso l'amica, facendo per tornare indietro. «E se poi invece…»
«Va!» lo rimproverò la figlia di Poseidone, al ché lui mostrò i palmi, innocente.
«Sto andando» assicurò, per poi avviarsi in quella direzione, titubante. «Sto andando» disse ancora, stavolta in una stupita affermazione rivolta a sé stesso.
Ci stava andando. Ci stava andando davvero.
Si stava accingendo a parlare con la figlia di Tyr che fino a quell’attimo gli era sembrata irraggiungibile.
Che cosa le avrebbe chiesto? Come si sarebbe comportato?
Doveva forse prepararsi qualcosa da dire? Magari no.
E ad ogni modo, anche se l’avesse fatto sarebbe stato del tutto inutile, perché non appena giunse a poco più di un metro di distanza da lei fece fatica a ricordare come si respirasse.
Era molto più bella, da vicino. Oppure il suo subconscio gli stava mutamente suggerendo che tutto ciò non era altro che un sogno. E i sogni avevano sempre un lieto fine, giusto?
Perché quella volta avrebbe dovuto essere diverso?
«Ehm, c-ciao» balbettò nervosamente lui, quando si fu avvicinato. Decisamente il peggior modo di dare il via ad una conversazione.
Andrea stava passando una pietra pomice sul piatto della propria arma, seduta in un angolino accanto al tavolo delle frecce. Alzò di poco lo sguardo, giusto quel tanto che bastava per poter osservare il viso del suo interlocutore.
«Ciao» rispose, con scarso entusiasmo.
Il ragazzo si impose di sorriderle. «N-Non so se sai chi sono. Io, ehm… tu mi hai battuto ieri, durante la lezione di scherma.»
«Sì» assentì lei, stringendo gli occhi a due fessure. «Sì, mi ricordo.»
«Davvero?» Inizialmente, il figlio di Efesto sembrò sorpreso. «Cioè… bene. Grande. Mi chiamo Microft» si presentò, porgendole ingenuamente la mano.
La giovane, però, non gliela strinse. «Andrea» ribatté freddamente, e lui ridacchiò, grattandosi imbarazzato la nuca.
«Lo so» mormorò, per poi aggiungere: «Voglio dire, non ho dimenticato il tuo nome. Non potrei mai. Insomma, tu…»
«Che cosa vuoi?» lo interruppe repentina la ragazza, al ché il moro aggrottò la fronte, perplesso.
«Niente in particolare.»
«Non è vero» scosse il capo lei, con disappunto. «Altrimenti non saresti venuto qui.»
Microft spostò il peso da un piede all’altro. «Ecco, io…»
«Credo che tu non abbia affatto capito che genere di persona sono» intuì la rossa con tono pacato, tagliente. «Pensavi di aver trovato l’ennesima ragazza da abbordare? Beh, mi duole annunciarti che hai fatto un bel buco nell’acqua. Io non ho bisogno di un fidanzato, né tanto meno di un ragazzino al quale badare» sottolineò, rimarcando la loro differenza d’età. «Non è questo il motivo per cui mi trovo qui, quindi ti conviene cercare qualcun'altra.»
Non gli diede neanche il tempo di realizzare l’accaduto; con molta classe, raddrizzò la schien e ripose con un fruscio metallico lo spadone nella fodera che aveva attaccata alla cintura. Lo superò con grazia, abbandonando con altezzosità l’Armeria, e solo a quel punto il ragazzo riuscì finalmente a chiedersi che cosa fosse appena successo.
Non poteva negare di aver fantasticato più volte su come sarebbe stata la loro prima, vera chiacchierata. Ma tra tutti i rifiuti che aveva incluso nel proprio repertorio, quel glaciale distacco non vi era proprio rientrato.
Che cosa le aveva fatto, lui? Perché era stato trattato così?
Okay, magari l’interesse che nutriva nei confronti di lei non era reciproco, ma perché non dargli una possibilità?
Come mai l’aveva allontanato in quella maniera?
Il figlio di Efesto si passò confuso una mano tra i capelli, domandandosi se avesse detto o fatto qualcosa di sbagliato.
Poteva darsi che quello fosse un tratto del suo carattere che il moro aveva ignorato. Forse era proprio per quel motivo che pareva non avere molti amici.
Ben fatto, Micky, complimenti, si congratulò mestamente con sé stesso, desiderando di poter prendere a testate lo spesso muro. Non avrai mai una fidanzata.
Già, in amore si rivelava sempre più sfortunato.
Perché doveva continuare ad invaghirsi di ragazze con cui – in un modo o nell’altro – non avrebbe mai potuto avere una misera cache?
 
Ω Ω Ω
 
Per quanto potesse ritenerli spocchiosi ed irritanti, Emma non poteva non ammettere di essere incuriosita da tutti quei semidei nordici dei quali non aveva nemmeno mai immaginato l’esistenza.
Seduta a braccia incrociate sulla panchina di marmo nei pressi del campo di fragole del Signor D., li osservava da lontano, scrutandone i movimenti rilassati, le blande risate e modi di fare totalmente opposti ai suoi, ai loro.
Stavano tornando tutti nell’imponente palazzo che gli fungeva da dimora, avendo un’ora libera per potersi rilassare prima di doversi recare nella sala da pranzo.
La maggior parte di loro aveva un incarnato chiaro, ed erano rari quelli dalle iridi o i capelli molto scuri.
Uno in particolare aveva attratto il suo interesse durante la cerimonia di presentazione, e lei non si rese conto di essere intenta a cercarlo con lo sguardo, finché non scorse dei lineamenti familiari.
Era la prima volta che lo rivedeva dopo il loro arrivo, e si sorprese nel constatare che era molto più affascinante di quanto in realtà ricordasse.
Non aveva dei muscoli eccessivamente pronunciati, ma nonostante ciò tutto nella sua postura suggeriva l’innata dote del guerriero. Infilando una mano nella tasca della sua giacca a vento rossa ed arancione, il ragazzo si passò quella libera tra i biondi capelli, scompigliandosi il ciuffo già ribelle. Corrucciò le sopracciglia, in un cipiglio un po’ interdetto.
Poi – prima di superare la soglia delle due enormi colonne bianche che conducevano alla residenza – quasi avesse percepito qualcosa si bloccò sul posto. Si guardò intorno, leggermente spaesato.
E la figlia di Ermes intuì che si sentisse osservato solo quando si voltò verso di lei, e la colse in flagrante mentre lo fissava.
«Merda» imprecò la ragazza sottovoce, alzandosi di scatto mentre il desiderio di poter essere invisibile cresceva in lei. Fece per andarsene, pronta a fingersi lì per caso. Ma non appena diede un passo, andò a scontrarsi involontariamente contro qualcuno.
«Ehi!» si lamentò con una smorfia, al ché la persona in questione la afferrò saldamente per le spalle, al fine di impedirle di cadere.
«Miei dei, mi dispia-»
Solo incontrando i suoi occhi la bionda capì perché quella frase fosse rimasta incompiuta.
Leo le stava studiando il viso con un’espressione indecifrabile, indeciso sul da farsi. Dal suo canto, invece, stavolta lei avrebbe seriamente preferito scomparire.
Da quanto tempo era che non si ritrovavano così vicini? Quasi un anno intero. E i rapporti tra loro si erano freddati a tal punto che a riempire quel silenzio non ci fu altro che puro disagio.
Emma lo detestava. Dei, l’aveva odiato così tanto!
Eppure non riusciva ancora a spiegarsi come mai, nell’istante in cui si erano sfiorati, un brivido le fosse risalito su per la schiena.
Era il disprezzo che nutriva nei confronti di quel ragazzo a farle accapponare la pelle? O forse la consapevolezza che distogliere l’attenzione da quelle iridi color cioccolato fosse più difficile di quanto sperasse?
Il figlio di Efesto prese lentamente fiato, molto probabilmente nell’intento di dire qualcosa.
Ma lei non aveva alcuna voglia di udire nuovamente la sua voce, né di sapere cosa si provasse ad ascoltare ancora una volta quel tono che un tempo aveva adorato.
«Ho da fare» si dileguò bruscamente, accorgendosi che il moro aveva ancora ben salda la presa sulle sue braccia solo nel momento in cui vi si divincolò.
Andò via da quel luogo, dimenticandosi anche di constatare se il biondino nordico stesse continuando a guardarla.
Avvertiva la bocca del proprio stomaco bruciare, e il sangue ribollirle nelle vene mentre la sua vista minacciava di appannarsi.
Al diavolo!, esclamò nella sua mente, ma si morse con forza il labbro inferiore per evitare che quel pensiero si traducesse in parole.
Era stanca di essere triste, e arrabbiata, e in continua lotta con sé stessa. Era giunta l’ora di voltare pagina proprio come avrebbe dovuto fare dal principio.
Forse era più facile di quanto pensasse.
Magari doveva semplicemente smetterla di aggrapparsi a memorie del passato che non avrebbe riavuto mai più.
 
Ω Ω Ω
 
Durante la lezione di tiro con l’arco del giorno prima, Rose si era sentita umiliata.  
Certo, lei non aveva mai avuto un’ottima mira, e il più delle volte quelle poche frecce che aveva lanciato avevano colpito di tutto, fuorché il bersaglio.
Ma finché ciò era accaduto in ambiti amichevoli, le era importato ben poco.
Lei era consapevole di avere altre qualità; delle diverse attitudini di cui andare fiera.
Perciò mai avrebbe immaginato che ascoltare i risolini dei suoi coetanei – mentre Mr. Jensen annunciava pubblicamente che dal giorno successivo sarebbe stata spostata nel turno dei più piccoli – potesse farla sentire così incapace.
Perché non era in grado di utilizzare quello stupido arco?
Insomma: quanto poteva essere difficile?
Non si sarebbe perdonata un’altra brutta figura, questo era poco ma sicuro. Per questo motivo, con il presupposto di migliorare la propria tecnica – o magari di trovarne finalmente una – si era recata nel poligono durante le ore pomeridiane di riposo, quando era stata sicura di non trovarvici nessuno.
Oramai era lì da circa quaranta minuti, chiedendosi che cosa stesse sbagliando mentre l’ennesimo dardo cozzava contro il pavimento di marmo.
Sbuffò, spostandosi 
irritata una ciocca dalla fronte. Raccolse distrattamente una nuova freccia da terra, incoccandola e tendendo la corda fino a ché l’impennaggio non le sfiorò lo zigomo. Chiuse un occhio, la lingua stretta nell’angolo della bocca per la concentrazione; ma non appena si convinse di aver preso la giusta mira e lasciò andare, fu costretta ad seguire con delusione l’invisibile parabola che il cuspide disegnò nell’aria, superando addirittura il bersaglio ed incastrandosi chissà dove.
«Oh, ma andiamo!» sbottò la ragazza, buttando le braccia al cielo. Batté un piede contro il suolo, frustrata.
«Dev’esserci un motivo per cui voi figli di Poseidone siete la negazione del tiro con l’arco» ridacchiò qualcuno alle sue spalle, cogliendola alla sprovvista.
La mora sobbalzò, e quando si voltò repentina i suoi boccoli scuri le ricaddero leggeri sulla schiena.
Era convinta di essere sola, ma quanto pare aveva fatto male i propri calcoli.
Avrebbe preferito svignarsela a gambe levate piuttosto che dover affrontare quel totale imbarazzo.
John era a circa un paio di metri da lei; le mani nascoste nelle tasche dei jeans, un sorrisetto sghembo ad incurvargli le labbra. Rose avvampò, pregando qualunque nome divino le venisse in mente affinché lui non lo notasse.
«J-John» ciangottò, sgranando gli occhi che in quel momento tendevano al verde acqua. Boccheggiò per qualche istante, come se l’ossigeno che ingeriva potesse aiutarla a dar voce ai propri pensieri. «Che…? Tu quando…?»
«Stavo andando da Melanie, e ti ho vista mancare il bersaglio» spiegò lui, alludendo con un cenno del capo a tutti i suoi innumerevoli fallimenti.
«D-Da quanto eri qui?» balbettò ancora lei, maledicendosi mentalmente per il tremitio della propria voce. Chiuse gli occhi, mordendosi a mo’ di rimprovero l’interno della guancia.
«Abbastanza per capire che buon sangue non mente» si limitò a rispondere il figlio di Apollo, divertito. Assottigliò leggermente lo sguardo, avvicinandosi alla ragazza per poter raccogliere un dardo adagiato accanto ai suoi piedi e rigirarselo abilmente tra le dita.
Da quella distanza, la figlia di Poseidone riusciva a percepire il profumo della pelle di lui; così fresco, e genuino, e dolce. Per non parlare del modo in cui i suoi capelli dorati sembravano catturare i raggi del sole.
Un attimo, per caso lui aveva detto qualcosa?
«Rose?» la chiamò infatti il giovane, sventolandole la mano libera sotto il naso. «Ci sei?»
«Eh?» fece la mora, scrollando il capo per abbandonare quel momentaneo stato di trance.
«Hai sentito quello che ho detto?» domandò il biondo, porgendole con gentilezza la freccia. «Devi tenere i gomiti più bassi, paralleli al terreno. E solleva l’arco fino all’altezza delle spalle» le intimò, al ché lei esitò, prima di eseguire.
Era difficile non farsi distrarre dalla consapevolezza di avere un paio d’iridi smeraldine puntate addosso, tanto più quando queste appartenevano ad un ragazzo, quel ragazzo.
«Ruota il polso per permettere alla corda di chiudersi senza infierire sul braccio» proseguì lui, accorciando senza volerlo le distanze tra loro. «E poi sei troppo rigida. Dovresti cercare di rilassare i muscoli addominali e…»
Accadde tutto fin troppo in fretta perché Rose potesse rendersene conto: le mani di John si posarono con accortezza sui suoi fianchi, con l’intenzione di aiutarla a migliorare la sua posizione; ma quell’improvviso contatto provocò un fremito alla mora, che non essendo abituata a quel genere di sensazioni sussultò, allontanandosi di colpo da lui come se si fosse appena scottata
Il figlio di Apollo la guardò, un sopracciglio inarcato in un’espressione interdetta e confusa.
Se possibile, la ragazza arrossì ancora di più. «I-Io…» cominciò, non sapendo esattamente come continuare. Il biondo sembrava non capire, e lei non riuscì a biasimarlo. Come avrebbe mai potuto intendere, lui?
Loro erano spinti l’uno verso l’altro da emozioni totalmente diverse.
«Mi sono appena ricordata di avere un altro impegno» mentì la giovane, che nell’indietreggiare per poter fuggire il più velocemente possibile da quello stato di disagio, quasi inciampò nei suoi stessi piedi. Forzò un sorriso, invano. «Grazie per le dritte, ma… devo andare!»
E dandogli le spalle intraprese una breve corsa, che ben presto la portò via dal poligono, oltre i campi di fragole, verso la Cabina Tre che in quel momento – tecnicamente – avrebbe dovuto essere vuota.
Chiudendosi in bagno, posò la schiena contro il freddo legno della porta, scivolando giù e sedendosi a terra mentre con le mani si sfregava il volto afflitto.
Cosa le era saltato in mente? Perché era scappata via così?
Cos’è, improvvisamente aveva forse paura di John?
No, non di lui, ma dell’amore; e di quel sentimento bruciante che le faceva galoppare il cuore e le bloccava il respiro.
Aveva una cotta per lui da quando aveva… quanto? Undici anni?
E in tutto quel tempo non c’era stato un giorno in cui non aveva sognato di farsi avanti, nella misera speranza che magari quell’affetto fosse ricambiato.
Ma poi era arrivata Melanie, e tutti i suoi desideri erano definitivamente andati in fumo.
Perché lui l’amava. Dei, la figlia di Poseidone avrebbe volentieri venduto la propria anima, pur di essere guardata dal ragazzo così.
Che cosa c’era di sbagliato, in lei? Come mai doveva sempre infatuarsi della persona sbagliata?
Lei voleva solo essere capita, apprezzata, rispettata, coccolata.
E per tutto quegli anni non aveva fatto altro che sognare che cosa si provasse, a sedere sul trono del cuore di lui. 
Ma sapeva  di non aver mai avuto una misera possibilità. 
Soprattutto adesso; ormai era troppo tardi. 
John apparteneva già ad un'altra. 
E lei non avrebbe potuto né osato fare nulla per tentare di cambiare le cose.


Angolo Scrittrice.
Salve ragazzi! Eccomi qui, come al solito, pronta a presentarvi un nuovissimo capitolo tutto per voi. 
Come si può dedurre anche dalla dedica, questo è un periodo un po' difficile per me; perciò non mi dilungherò molto. 
Dunquo, dunquo... abbiamo la prima, vera chiacchierata tra
Andrea e Microft. Che dite, lei è come ve l'aspetttavate? 
Decisamente un po' acidella, è? Ma chissà, forse c'è una ragione ben specifica a dettare questo freddo atteggiamento. 
Pensate che Micky si darà per vinto? E che credete invece di
Rose
Ormai è ufficiale, fanciulloschi. In realtà lei ha avuto una cotta per
John da... beh, forse anche prima dell'inizio di questa serie. 
Ma per lei le possibilità sono davvero inesistenti, dato l'amore e la dedizione del figlio di Apollo per
Melanie. Quindi la figlia di Poseidone cosa farà? Si consolerà con qualcun altro? Well, è tutto da vedere eheh
Per quanto riguarda
Emma, invece... so quanto sia amato e rispettato il suo personaggio, forse anche più di tutti gli altri. E sono consapevole anche che la maggior parte di voi mi ha maledetta quando tra lei e Leo è finita... così. 
Ma chissà, forse non era destino che stessero insieme, no? Maybe questa volta giungerà un nuovo ragazzo a far battere il cuore della nostra figlia di Ermes. 
Lascio a voi i commenti, con la speranza che questo capitolo vi sia piaciuto. 
Vi ha fatto schifo? Vi ha soddisfatti? Vi ha delusi? 
Vi prego, per me è importante conoscere tutte le vostre opinioni. Mi aiutano a migliorare, e mi donano anche un incentivo in più per poter continuare a credere in questa storia, e ad  avere la certezza che non sto solo perdendo tempo tra html, parti in grassetto e revisione del lavoro. 
Io amo scrivere di questi ragazzi, sul serio. Ma vorrei poter essere sicura che anche a voi non dispiaccia leggere di loro. 
Anyway, ringrazio le mie sempre presenti Valery's Angels:
Anna in Black, aleov7 e Sarah Lorence
Non ho idea di come sdebiarmi, davvero. Questo capitolo lo dedico anche a voi, che siete la mia forza! 
Okay, ora devo andare. 
Mi auguro di non aver deluso le aspettative di nessuno, e di poter conoscere il vostro parere in proposito. 
A martedì prossimo, fanciulloschi!
Sempre vostra, 

ValeryJackson

P.s. Qualche seguace di Flash? Se può interessarvi ho pubblicato una one-shot (snowbarry, of course). Fateci un salto, se vi va! **


 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***



Skyler sgranò gli occhi all’improvviso, il cuore che le si arrampicava rapido fino alla gola.
Era distesa su un piano liscio e rigido; freddo. Facendo vagare freneticamente le proprie iridi tutto intorno, si rese conto che non vi era neanche uno spiraglio di luce.
Portò le braccia davanti a sé, nella vana speranza di poter afferrare qualcosa che le suggerisse che diamine stesse succedendo; ma non riuscì ad allungarle per più di qualche centimetro, che queste cozzarono contro una spessa parete di metallo. La stessa cosa accadde quando tentò di allargarle ai due lati.
Dov’era finita? Si trovava forse dentro ad una scatola?
Il solo pensiero di essere rinchiusa in uno spazio così ristretto accelerò il suo respiro, facendola ansimare. Batté con forza il palmo sulle mura che la circondavano, ma ben presto si accorse che queste non mostravano alcun segno di cedimento.
Sferrò quindi diversi pugni alla cieca, in preda al panico.
«Fatemi uscire» implorò sommessamente, calde lacrime che le bagnavano le guance. Raschiò frenetica il tramezzo con le unghie, per poi sbattervici contro con un’irruenta spallata.
«Ehi!» urlò stavolta, ben consapevole che la sua ragione si stava lentamente sottomettendo al disperato bisogno di uscire di lì. «Fatemi uscire. Fatemi uscire!»
Le sue preghiere furono accolte da un tribale e ritmico rimbombo, che accompagnò l’accecante luce che la investì qualche secondo dopo, trascinandola con sé verso il fondo.
Soffocando un grido spaventato, la figlia di Efesto ricordò appena di proteggersi il colpo con gli arti durante la caduta.
Atterrò violentemente su un pavimento bianco, stringendo i denti in un lamento strozzato.
Fece perno sulle proprie mani tremanti per potersi alzare in piedi, ma inizialmente fu costretta ad appoggiarsi fiaccamente contro una parete, dato che le sue gambe parevano incapaci di sorreggere il suo peso.

La testa le doleva talmente tanto da minacciare di implodere da un momento all’altro, e il suo fiato era corto, irregolare.
Solo buttando una timida occhiata alle proprie spalle capì di essere stata catapultata in uno stretto corridoio.
Vi erano decine di porte su entrambi i lati, e guardando dentro ognuna, la mora vi riconobbe numerose scene della sua quotidianità.
Il Casa Grande, la sua stanza a Baltimora, la Cabina Nove, il lago del Campo. In una riconobbe anche lei e i suoi migliori amici, il pomeriggio in cui si erano dilettati in una spensierata partita a carte nella Casa Tre.
Erano tutte di fronte a lei, pronte a ricordarle ogni singolo particolare felice che le dava continuamente un valido motivo per non smettere di lottare.
Magari se avesse varcato una di quelle soglie, sarebbe riuscita a trasformare quell’incubo in un bellissimo, dolce sogno.
Ma fu una voce ad interrompere bruscamente i suoi vaneggiamenti.
«Devo ammettere che sei molto più prevedibile di quanto potessi immaginare» la derise, e la pelle della ragazza si accapponò non appena fu capace di distinguere i lineamenti di Matthew nella penombra.
Indietreggiò spaventata, rischiando quasi di inciampare nei suoi stessi piedi.
Il titano avanzò lentamente verso di lei, un ghigno perverso ad incurvargli le labbra.
«Presto tutto questo finirà, sai?» le annunciò, leggermente compiaciuto. Dopo di ché sbatté con forza una delle porte sul suo cammino, e il muro attorno a questa si crepò a causa della furia con la quale lo fece.
Skyler sobbalzò, reprimendo un singhiozzo.
«Molto presto.» E ne chiuse un'altra con un tonfo. «Ogni cosa.» Tonfo. «Che ami.» Tonfo. «Verrà.» Altro tonfo. «Distrutta!»
E solo a quell’ultima esclamazione la figlia di Efesto si rese conto di essere arretrata così tanto da aver raggiunto la fine dell’androne. Premette la schiena contro il muro, al ché lui si avventò su di lei, intrappolandola nell’angolo con il proprio corpo.
«Voglio che tu capisca a che gioco stiamo giocando» le sibilò mellifluo, i gomiti posati ai lati della sua testa per impedirle di scappare. «Ma non sarai l’unica a perdere, Ragazza in Fiamme. Altri saranno costretti a pagare per la tua indisponenza. A molti costerà la vita, e sarà soltanto colpa tua.»
Ogni muscolo della mora era vittima di un tremitio involontario, mentre nell’impedire ad un gemito di lasciare le sue labbra, lei assisteva alle iridi del ragazzo mutare sotto il suo sguardo; da quel verde intenso al quale era abituata passarono ad un color oro innaturale, brillante.
«Ma sai che c’è?» continuò lui, facendo trasparire una certa ironia. «Ti concederò un piccolo vantaggio. Un indizio» le spiegò, prima di specificare: «Un indovinello.»
La giovane deglutì, confusa.
«‘Li puoi fare belli e brutti; li puoi anche raccontare. Ma nessuno, per tua fortuna, li potrà mai osservare’» recitò Matthew, per poi rivolgerle uno sguardo penetrante. «Se riesci a risolverlo, ti condurrà direttamente dalla prossima vittima. Dimmi, Skyler: che cosa sono?»
«I-Io…» La ragazza affondò i denti nel proprio labbro inferiore, incapace di pensare con lucidità. «Non lo so» ammise, affranta.
«‘Li puoi fare belli e brutti’» insistette quindi quello, perentorio. «‘Li puoi anche raccontare. Ma nessuno, per tua fortuna, li potrà mai osservare’. Che cosa sono, Skyler?»
«Non lo so» ripeté lei, portando le dita a stringere i capelli e strizzando le palpebre.
«‘Li puoi fare belli e brutti’» disse imperterrito lui, ancora una volta.
«N-Non…»
«‘Li puoi anche raccontare. Ma nessuno, per tua fortuna, li potrà mai osservare’. Che cosa sono, Skyler?»
«Non lo so» singhiozzò la figlia di Efesto, alla quale ora giungeva un inquietante martellare dritto ai timpani, facendole temere di sbriciolarle il cervello.
«Che cosa sono?»
«Ho detto che non lo so.» E solo in quell’istante si rese conto che quel rumore, in verità, era un insieme di voci. Un ammasso di bisbigli concitati. L’incessante sovrapporsi di quelle ambigue parole.
Quando pose nuovamente la stessa domanda, il titano sbraitò. «Che cosa sono?»
La stanza parve di nuovo stringersi attorno a lei, portandole via l’aria con l’intento di soffocarla.
«Non lo so!»
 
 
Skyler si svegliò di soprassalto, e non appena si tirò su a sedere tutto, intorno a lei, prese a vorticare.
La realtà che aveva dinanzi pareva contorcersi, modellarsi; ondeggiare quasi la stesse osservando attraverso un fitto intramezzo d’acqua.
Un dolore lancinante le colpì inavvertitamente il petto, sostando tra le sue costole, maligno.
Pervasa da degli incessanti brividi e con il cuore a martellarle nel petto, la semidea tentò di prendere qualche affannoso respiro, ma non ci riuscì. Il suo fiato continuava a smorzarsi nella sua gola, impedendole di riempire a sufficienza i polmoni e dandole così la sensazione di annegare.
Scostò via le coperte con un calcio, un sudore freddo ad incollarle il pigiama addosso. Era pervasa da dei continui brividi, eppure continuava ad avvertire delle irregolari vampate di calore.
Quando si mise in piedi, le vertigini rischiarono di farla accasciare a terra. Barcollò rapidamente verso il bagno, chiudendovisi a fatica dentro prima di accasciarsi sul lavandino.
Soffocò un conato di vomito, e le sue dita tremanti si aggrapparono con tenacia al bordo di ceramica, mentre il mondo continuava imperterrito a girare.
Degli ansiti raschianti le facevano bruciare i polmoni; ogni cosa che la circondava era mobile, confusa.
Qualcuno tentò di aprire la porta, ed intuendo che era chiusa bussò un paio di volte.
«Ehi, muoviti là dentro!» esclamò una voce femminile, impaziente.
«U-Un secondo» boccheggiò la figlia di Efesto, imponendosi di tranquillizzarsi.
Strinse con tutta la forza che le era concessa il lavabo, prendendo dei profondi e faticosi respiri.
Una, due, tre volte. Finché non sentì i battiti del proprio cuore rallentare.
Le nocche le divennero bianche per lo sforzo, ma lei intimò a sé stessa di non fermarsi fin quando non riacquistò il pieno controllo delle proprie facoltà.
«È tutto okay» sussurrò a sé stessa, nella speranza di riuscire a convincere il proprio subconscio. Al di là della fronte imperlata e del fiato grosso, sentiva di aver ritrovato finalmente una certa stabilità.
Guardò la propria immagine riflessa nello specchio, ignorando le profonde occhiaie violacee che aveva ed incatenandosi al suo stesso sguardo.
«È tutto okay.»
Sfinita, posò la schiena al muro, scivolando e lasciandosi cadere a terra; i gomiti sulle ginocchia, la nuca contro la parete.
Chiuse gli occhi, cercando di rilassarsi.
Non era la prima volta che aveva un attacco di panico.
Da quando era tornata in vita in seguito a quell’apparente morte cerebrale, ogni volta che sognava Prometeo, il risultato era sempre lo stesso.
Si risvegliava bruscamente, e si riscopriva incapace di ingerire abbastanza aria.
La nausea la sopraffaceva, la stanza cominciava turbinare, e il suo corpo tramava a tal punto da renderle difficile qualsiasi movimento.
Per un certo periodo di tempo si era illusa anche di poter trovare un modo per arrestarlo. Ma alla fine aveva capito che l’unico modo per far cessare il prima possibile un episodio del genere era assumerne la piena consapevolezza.
Doveva abbandonarsi al suo stesso terrore e attendere che questo defluisse; non c’era altra soluzione.
Passandosi distrattamente una mano tra i capelli sudati, Skyler contò mentalmente fino a dieci, per poi alzarsi in piedi ed andare ad aprire la porta.
Ad attenderla sulla soglia c’era Nyssa – una delle sue sorelle – che con i propri effetti personali tra le braccia le rivolse uno sguardo interrogativo.
«Va tutto bene?» le chiese, al ché la mora annuì.
«S-Sì. Io, ehm… avevo solo bisogno di fare pipì.»
«Ne sei sicura?» la incalzò quindi quella, inarcando uno scuro sopracciglio. «Perché non hai una bella cera.»
«Sto alla grande» sbottò indispettita la ragazza, superandola ed allontanandosi il più possibile da lei.
Nessuno doveva sapere dei suoi sempre più frequenti attacchi di panico. Non fino a quando non avrebbe trovato un modo per farli smettere.
Tutto ciò che le restava da fare ora era concentrarsi su ciò che il titano le aveva annunciato.
Presto ci sarebbero state delle vittime, il che la conduceva a pensare che sarebbero morte delle persone.
Dei sacrifici umani per lei, e questo la figlia di Efesto non poteva permetterlo.
Continuava a ronzarle nella testa quello strano indovinello; un indizio che forse l’avrebbe aiutata ad impedire una catastrofe.
Ma nonostante la sua perspicacia, non era mai stata brava con i giochi di parole.
‘Li puoi fare belli e brutti. Li puoi anche raccontare. Ma nessuno, per tua fortuna, li potrà mai osservare’.
Che cosa sono, Skyler?, si domandò, spremendosi volenterosa le meningi.
Represse l'urlo che albergava in fondo alla sua gola, esigendo da sé stessa la massima concentrazione. 
Coraggio, Skyler, si incitò. 
Che cosa sono?
 
Ω Ω Ω
 
Riempire di pugni uno dei sacchi da boxe del Campo aveva sempre aiutato Emma a scaricare la tensione.
La frustrazione e il senso di inadeguatezza che aveva accumulato in quegli ultimi giorni le opprimevano talmente tanto il petto che neanche rimpinzarsi di patatine aveva funzionato.
Per questo motivo quella mattina – subito dopo una snervante lezione di canoa con Mr. Jacobsen – si era diretta all’Arena, con l’intenzione di sfogarsi e magari di schiarirsi un po’ le idee.
Mai come in quel periodo aveva avvertito il bisogno di distrazioni. Di solito amava le sfide, le novità, gli intrighi, i misteri; ma ora che questi l’avevano investita all’unisono, senza che lei fosse neanche in grado di prepararsi psicologicamente, stava cominciando a credere che forse avrebbe dovuto apprezzare di più la propria, normale routine.
Legandosi i capelli in una disordinata coda di cavallo ed avvolgendosi della garza bianca attorno alle nocche per evitare di sbucciarsele, la figlia di Ermes si compiacque nel rendersi conto che vi erano cose che non sarebbero mai cambiate.
Come la soddisfazione che provava nel poter riversare la propria rabbia su qualcosa di solido e pesante.
Oppure la sua capacità di impedire al resto del mondo di includerla nella sua negatività.
Se c’era una cosa che aveva imparato nel corso degli anni, era che si viveva davvero troppo poco per potersi permettere di essere sopraffatti dalla tristezza. Al di là dell’enorme moltitudine di problemi che poteva colpire le persone, c’era sempre un valido motivo per potersi sciogliere in un sorriso.
Bastava solo prestare la dovuta attenzione alle cose; e lasciarsi trascinare dalla corrente degli eventi.
La bionda non seppe se a farla sussultare, in quell’istante, fu la sorpresa di ritrovarsi inavvertitamente qualcuno alle spalle, oppure l’interdizione dovuta a ciò che aveva davanti.
Da dietro, qualcuno aveva deciso di interrompere il suo allenamento per porgerle qualcosa; e la ragazza inarcò stupita le sopracciglia quando nel suo campo visivo comparve quel fiore.
Una rosa. Perché – chiunque egli fosse – avrebbe dovuto portargliene una?
Perché proprio lì?
Perché proprio adesso?
In quella che fu una frazione di secondo, la giovane credette di aver avuto un’intuizione. C’era solo una persona di sua conoscenza che aveva necessità di meravigliarla, in realtà.
E ragionandoci su, ogni tassello trovava la sua giusta collocazione del puzzle.
Ma se quel figlio di Efesto sperava davvero che bastasse così poco per poter aggiustare le cose, molto probabilmente aveva fatto male i propri calcoli.
«Oh, andiamo!» esclamò lei, scrollando la testa con un verso di scherno. «Credevi davvero che fosse sufficiente una misera rosa per…»
Qualsiasi frase avesse avuto in mente di dire, morì sulle sue labbra non appena si voltò per poter guardare in faccia il suo interlocutore.
Non era Leo, no.
Era lui.
Con le sue iridi sfumate di azzurro e grigio. Con il suo ciuffo biondo scuro a ricadergli sulla fronte. Con il suo sorriso timido, e le gote imporporate di imbarazzo.
Era il ragazzo che l’aveva colpita il giorno del loro arrivo.
Mentre la figlia di Ermes sgranava gli occhi, spaesata, lui arrossì visibilmente, grattandosi distrattamente la nuca.
«Mi dispiace» si scusò, spostando il peso da un piede all’altro. «So che questo non è il modo più originale per poter iniziare una conversazione. E magari penserai anche che sono un imbranato, ma… volevo… avevo bisogno di un pretesto per parlarti, e… forse è meglio se me ne vado.»
«No!» Emma fu la prima a sorprendersi della propria affermazione. «N-No, non andare. È solo che sono… colpita, ecco» confessò, mordendosi l’interno della guancia. «Non mi aspettavo che fossi tu.»
Per quanto quella situazione potesse apparire assurda ed irreale, il giovane riuscì comunque ad accennare un sorriso sghembo, rincuorato.
La ragazza lo scrutò attentamente, non riuscendo a capacitarsi dell’idea che lui fosse sul serio lì, di fronte a lei. Tutte quelle poche volte in cui le era capitato di osservarlo da lontano le era sembrato quasi un ologramma, fin troppo distante per poter risultare raggiungibile.
Non aveva mai fantasticato su come sarebbe stato parlarci, scherzarci; ritrovarsi talmente vicino a lui da poter notare la piccolissima cicatrice che aveva sul sopracciglio destro.
«Io, beh… ero venuto per dirti che sei davvero bella» esordì ingenuamente il nordico, per poi rendersi conto di ciò che aveva appena detto ed affrettarsi ad aggiungere: «Cioè, volevo dire… il tuo io è bello. La tua presenza. Non che tu non sia belle anche esteriormente. Insomma, io…» E prima che potesse peggiorare la situazione si auto-zittì, portandosi un pugno all’altezza delle labbra ed assottigliando leggermente lo sguardo, quasi temesse di aver appena fatto una pessima figura.
Di certo era convinto di essere deriso; per questo fu colpito da una lieve interdizione quando lei gli rivolse una complice occhiata.
«Perché non mi chiedi semplicemente il nome?» propose infatti la bionda, al ché il disagio di lui scomparve. Chinò di poco il capo, regalandole un dolce sorriso.
«D’accordo» assentì, per poi chiederle: «Com’è che ti chiami?»
«Emma» si presentò la giovane, con un cenno. «Emma Walker.»
«Larsen» fece quindi quello, di rimando. «Larsen Snivel. Ma puoi tranquillamente chiamarmi Lars.»
«È un piacere conoscerti, Lars» scherzò Emma, e i due si concessero una spensierata risata. Dopo di ché, lei continuò: «Chi è il tuo genitore divino?»
«Sono figlio di Balder. È il dio nordico delle cose belle e della luce.»
«Un po’ come il nostro Apollo» commentò lei.
«E tu, invece?»
«Io sono figlia di Ermes.»
Il biondo inarcò in attesa un sopracciglio. «Ovvero?» la incalzò.
«È il nostro dio dei ladri» spiegò la ragazza, ma poi arricciò il naso. «E dei mercanti, delle strade, dei commerci, degli inganni, dei viandanti, degli alchimisti, dell’eloquenza e di tantissime altre cose che non ho né il tempo né la voglia di ricordare.»
«Però» fece lui, sinceramente ammirato. «È un po’ un pezzo grosso, quindi.»
«Non proprio» ammise la giovane, con una punta di amarezza. Sentimento che svanì subito non appena la sua attenzione fu attratta dai colori della casacca del ragazzo. «Rosso e arancione» rifletté ad alta voce.
«Faccio parte del clan dei Fulkung, sì.»
«Hai un’inclinazione per la magia e le arti oscure?»
Il figlio di Balder parve stupito che lei lo ricordasse. «No» disse, sorridendole appena. «Io…» Per quanto sembrasse intenzionato a dire qualcosa, in quell’istante dovette ripensarci. Inclinò leggermente la testa di lato, incatenando le proprie iridi a quelle argentate di lei. «Perché non ci conosciamo meglio, invece?» propose, e la figlia di Ermes ridacchiò.
«Che avevi in mente?»
«Ti va una passeggiata?»
Emma annuì. «Molto volentieri.»
Fu solo allora che Larsen pensò bene di porgerle nuovamente il fiore che ancora stringeva in una mano; e stavolta, lei lo afferrò senza esitazioni, annusando il tenue profumo dei petali cremisi.
Ringraziò gli dei per non aver sudato come suo solito.
Ah, forse Afrodite non ce l’aveva poi così tanto con lei.
«Allora» esordì il giovane, mentre si incamminavano alla volta di una meta indefinita. «Qual è il tuo colore preferito?»
 
Ω Ω Ω
 
A quell’ora della sera, Leo restava sempre solo.
La Cabina di solito si svuotava, e tutti i suoi fratelli si dirigevano dai loro amici, o perdevano il proprio tempo a vagabondare in giro, oppure si rintanavano nei bagni per potersi concedere una doccia prima dell’inizio della cena.
Tutti avevano il loro modo di rilassarsi ed allontanare ogni pensiero.
Il suo era quello.
Le quattro mura della fucina della Casa Nove erano ormai diventate una sorta di rifugio segreto, per lui. Non che non preferisse attraversare il passaggio nella parete e raggiungere la recondita stanza di cui solo lui, Skyler e Microft erano a conoscenza, ovvio.
Ma non era lo stesso senza di loro. E poi quel posto era riservato alle cose davvero importanti, come delle creazioni di massima urgenza.
Perciò, quando si trattava semplicemente di bighellonare senza far nulla, la forgia era il luogo perfetto.
In genere si dedicava a tutti quei progetti che aveva lasciato in sospeso, o magari che inizialmente aveva etichettato come ‘senza speranze’ e sui quali voleva fare uno sforzo in più.
Per la sua mente iperattiva dedicarsi alla costruzione degli oggetti più vari era sempre stata un’ottima distrazione.
Stava proprio tentando di assemblare un piccolo anello-spada, quando qualcuno batté le proprie nocche contro il montante dell’entrata per attirare la sua attenzione.
«C’è nessuno?»
Alla fine della tromba delle scale c’era una ragazza che il figlio di Efesto non aveva mai incontrato prima.
Fu semplice intuire che fosse una nordica, grazie ai colori chiari e alla pelle candida.
Aveva dei lisci capelli biondo cenere, le ciocche che altrimenti sarebbero cadute sul suo viso meticolosamente raccolte sulla nuca da un fermaglio.
Aveva dei tratti delicati, angelici; le sopracciglia ben definite, le labbra carnose, le guance rosee e il naso leggermente all’insù. Osservandola attentamente, si poteva benissimo intuire tutta la sua grazia senza il bisogno che muovesse alcun passo.
Era decisamente bella, su questo non vi era alcun dubbio. Ma fu un particolare a colpire maggiormente il moro.
I suoi occhi. Erano azzurri, talmente limpidi da dare l’impressione di potervisi specchiare dentro. Eppure erano sfuggenti, distanti, quasi non riuscissero a concentrarsi su nessun punto in particolare.
Scrutandola appena, il ragazzo ignorò la sua casacca marrone e verde acceso e focalizzò lo sguardo sul bastone bianco che aveva con sé. Sembrava un prototipo da passeggio, e forse solo in quell’istante lui intuì il perché.  
«Posso aiutarti?» si offrì gentilmente, al ché lei sorrise.
«Tu sei un figlio di Efesto, giusto?»
Il giovane annuì, per poi arricciare il naso e ribadire: «Così sembra.»
«Mi hanno detto che siete i migliori fabbri in circolazione» si esaltò la ragazza, continuando comunque a mantenere una certa compostezza.
«Beh, nostro padre ne è il dio» convenne lui, con un mezzo cenno compiaciuto. «Possiamo dire che ce la caviamo, sì.»
«Bene.» E così dicendo, la bionda fece degli incerti passi avanti. «Avrei bisogno del tuo aiuto con la mia arma. Credo che abbia qualcosa che non vada, ma non sono un’esperta.»
«Ma sì, certo» accettò immediatamente il semidio, grattandosi distrattamente una tempia. «Dov’è?»
In tutta risposta, la nordica sfilò l’estremità superiore dal suo candido bastone, e con un rapido gesto vi estrasse inaspettatamente una sottilissima sciabola d’argento.
«Whoa!» esclamò Leo, sobbalzando per la sorpresa. Sgranò gli occhi, stupito. «Bel trucchetto» si complimentò.
«Ti ringrazio.» La giovane ridacchiò. Avanzò spedita nella sua direzione, e nonostante la sua evidente difficoltà, il figlio di Efesto si meravigliò della sua risolutezza. Le sfilò dolcemente la spada di mano, facendo attenzione ad ogni singolo movimento.
«Allora» esordì lei, mentre lui iniziava ad esaminare l’arma. «Ho sentito dire che il modo in cui sono organizzate le vostre casate è molto simile al nostro.»
«Più o meno» assentì il moro, facendo schioccare la lingua. «Ci dividono in Cabine in base al nostro genitore divino, e ognuna ha un capogruppo. In genere questo ruolo è assegnato a coloro che sono qui da più tempo, ma se compi un gesto eroico puoi ottenere una sorta di… promozione, diciamo.»
«E tu sei il capocabina dei figli di Efesto?»
«Eh, già» affermò il ragazzo con scarso entusiasmo, per poi esibirsi in un teatrale inchino. «Leo Valdez è al vostro completo servizio, milady.»
«Hai un bel nome» commentò sovrappensiero la semidea, per poi arrossire lievemente. «Significa “leone”» spiegò.
«Io…» Lui ci ragionò un po’ su. «Non ci avevo mai pensato, in effetti.»
La nordica spostò il peso da un piede all’altro. «Sei un combattente?» gli domandò, in tono scherzoso.
Leo abbozzò un sorriso sghembo. «Dipende dai punti di vista» ammise, aggiungendo subito dopo: «Voi tenete molto a queste cose, giusto? Al significato dei nomi, intendo.»
«Ogni nome rispecchia inevitabilmente la personalità di chi lo possiede.»
«Può darsi.» Il figlio di Efesto diede un’ultima, rapida occhiata alla sciabola che aveva posato sul proprio tavolo da lavoro, tirando un breve sospiro. «La tua spada non ha nulla che non va, comunque» annunciò. «Ha solo bisogno di essere limata. In questi casi la pietra pomice è la cosa migliore. Posso pensarci io, se vuoi.»
«So farlo da me» denigrò repentina lei, scrollando leggermente il capo. Tastò la superficie in legno alla ricerca della propria arma, e quando al terzo tentativo la trovò la rinfilò con abilità nell’altra parte del bastone. «Grazie infinite, Leo Valdez.»
«Posso sapere il tuo nome?» azzardò lui, con un po’ di indecisione. «O almeno il tuo genitore divino.»
La ragazza sorrise. «Sono figlia di Frigg» disse. «Dea dell’amore, della bellezza e della fecondità.» 
«Una sorta di Afrodite norrena, insomma.»
«Più o meno» rise lei. Poi mostrò timidamente un palmo, in un accenno di saluto. «Mi chiamo Astrid Heugen» si presentò. «Nella nostra lingua, significa “bellezza divina”.»
Leo sussultò appena, e la bionda parve accorgersene.
«So cosa stai pensando» si affrettò a continuare, senza perdere però il sorriso. «Una figlia della dea della bellezza con questo nome non vedente? Sembra quasi un paradosso.» Sospirò. «Eppure è la verità. I miei occhi sono velati dall’oscurità, ma ciò non toglie che io non possa onorare mia madre. La cecità mi ha permesso di amplificare tutti i miei altri sensi; e grazie alla mia natura semidivina sono in grado di badare a me stessa, tanto che non ho neanche bisogno di un bastone, per camminare.»
«E allora perché…»
«A volte potrebbe tornarmi utile, chi lo sa.» Il suo tono era gentile, comprensivo. L’espressione sul suo volto suggeriva molta più maturità di qualsiasi altra sedicenne. Era consapevole del fatto che la sua situazione non fosse delle più comuni, tra i mezzosangue, e non giudicava tutti coloro che invece avevano pregiudizi nei suoi confronti.
«La bellezza non è data dagli occhi» chiarì poi, e il figlio di Efesto si riscoprì a sorridere. Quella giovane era molto più in gamba di quanto chiunque altro potesse immaginare. Aveva un’anima pura e nobile, e non aveva timore di mostrarla.
«Ora devo andare» annunciò la figlia di Frigg. «È stato un piacere, Leo.»
«Anche per me» fece lui, ed era vero. Era stata una ventata d’aria fresca che con la sua scia aveva portato leggerezza e tanta dolcezza. «Ci si vede in giro. Cioè, noi… i-io...» Il ragazzo strizzò le palpebre, imbarazzato.
Idiota!, si maledisse, passandosi una mano tra i capelli, a disagio. «Scusa» sussurrò.
Con sua grande interdizione, Astrid gli regalò una calorosa risata. «‘Ci si vede in giro’ va benissimo» lo tranquillizzò, e il moro non seppe davvero come controbattere dallo stupore.
Leo Valdez era rimasto senza parole?
Quella ragazza doveva proprio avere qualcosa di speciale.


Angolo Scrittrice. 
Bounjour! 
Bonnesoir!

Oh, insomma, avete capito. 
Benritrovati, semidei! Oggi è martedì, no? Che c'è, credevate davvero di esservela scampata da un altro dei miei freschi freschi capitoli? 
Beh, non so davvero da dove cominciare. 
Partiamo da
Skyler
La nostra eroina diventa sempre meno... eroica, non trovate? In genere si arriva ad un punto i qui i protagonisti capiscono di essere in grado di grandi cose diventano invincibili, imbattibili. 
Well, questo non è decisamente il suo caso. La nostra figlia di Efesto diventa ogni giorno più fragile, insicura, spaventata; e - adesso lo sapete - da quando si è risvegliata dal coma soffre di attacchi di panico. 
Tutta colpa di Matthew
 Prometeo, già, già. Mi auguro di aver descritto al meglio l'incubo all'inizio. 
Come avevamo già tutti intuito, il titano sta pianificando la sua vendetta. Ma si diverte a giocare con lei, e le fa capire che non sarà l'unica a perdere qualcosa in questa guerra. 
Che sia l'inizio di una corsa contro il tempo per la ragazza? 
Dai, perlomeno ha un indizio. 
"LI PUOI FARE BELLI E BRUTTI. LI PUOI ANCHE RACCONTARE. MA NESSUNO, PER TUA FORTUNA, LI POTRA' MAI OSSERVARE."
Che cosa sono, guys?  Vediamo se riuscite a risolvere l'indovinello ihih
Anyway, mi sono impegnata molto nello scrivere ogni dettaglio del sogno e il panico della prima parte, ma sta a voi dirmi se sono riuscita nell'intento di rendere tutto il più vero possibile. 
Ad ogni modo, vengono introdotti finalmente gli ultimi due importantissimi personaggi di questa storia, che come vedete hanno già instaurato delle "relazioni" con i nostri
Leo ed Emma, ma poi vedremo di che genere. 

-
Larsen "Lars" Snivel: letteralmente, il suo nome significa 'l'acclamato'. Figlio di Balder, dio della luce e delle cose belle. E' dolce, ingenuo, forse un po' imbranato. Fa parte del clan dei Fulkung, che vi ricordo accoglie coloro che fanno parte di famiglie reali o hanno un'inclinazione per la magia e le arti oscure. Secondo voi, lui perchè si trova lì?
-
Astrid Heugen: letteralmente, 'bellezza divina'. Figlia di Frigg, dea dell'amore, della bellezza e della fecondità. Come suggerisce la sua casacca, fa parte del clan dei Ynglingar, portatori di abbondanza e bellezza. E' comprensiva, sveglia, molto tenera. E non vedente. 

Ebbene sì, ragazzi. La nostra nuova semidea è cieca. 
Per quale motivo le ho donato questa particolarità? 
Beh, per mettermi in gioco. So che cerco sempre di complicarmi la vita, ma voglio dimostrare a me stessa di essere in grado di immedesimarmi appieno in ogni situazione nonostante io non le viva in prima persona. 
Vedrete un'Astrid esuberante, matura, e decisamente fuori dagli schemi. Con Leo formerebbero un duo formidabile, non vi pare? Secondo voi diventeranno amici? 
E che mi dite di Emma e Lars? Tra loro due nascerà qualcosa? 
Bueno, prima di lasciarvi, voglio annunciarvi che per i nostri due piccoli nordici, qui, ho in mente dei prestavolto. Ovviamente voi potete immaginarli come più vi piace, non c'è bisogno che ve lo dica. Ma volevo mostrarveli comunque. 

 

 
Btw, ringrazio i sempre favolosi angeli di Valery, che sono la mia forza continua: Anna in Black, TamaraStoll e Sarah Lorence
Grazie, grazie davvero. 
E ora ditemi, semidei: Vi è piaciuto il capitolo? Vi ha fatto schifo? 
Avete consigli/critiche costruttive da farmi? 
Vi prego di farmelo sapere, non solo perchè per me è importante conoscere la vostra opinione, ma perchè sentire dei pareri altrui è sempre un incentivo i più per continuare a scrivere con gioia. 
Mi basta poco, sul serio. 
A martedì prossimo, bei fanciulloschi!
Sempre vostra, 

ValeryJackson

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***



Leo e Microft stavano parlando animatamente di qualcosa, raccontandosi le novità degli ultimi giorni, ma a causa del proprio umore Skyler era incapace di partecipare alla conversazione.
Non riusciva a concentrarsi su ciò che dicevano, e le loro parole arrivavano ai suoi timpani sconnesse, lontane.
Le rime dell’indovinello che Prometeo le aveva posto continuavano a tormentarla, minacciose, ma la paura di ciò che l’avvertimento del titano avrebbe potuto significare le impediva di concentrarvisi realmente.
«Altri saranno costretti a pagare per la tua indisponenza. E sarà soltanto colpa tua.»
Che cosa aveva intenzione di fare? Perché il pensiero che qualcuno potesse diventare una vittima a causa sua la terrorizzava tanto?
‘Li puoi fare belli e brutti’, ricordò a sé stessa, mordendosi distrattamente la lingua con il fine di eludere qualsiasi distrazione. ‘Li puoi anche raccontare. Ma nessuno, per tua fortuna, li potrà mai osservare.’
E se avesse chiesto aiuto ai suoi amici?
Sì, loro avrebbero saputo cosa fare.
John era bravo, con questo genere di cose. Michael era intuitivo. Ed Emma… beh, era Emma; chi meglio di lei era sempre riuscita a cavarsela di fronte alle difficoltà?
Doveva parlare con loro, e alla svelta. Ogni minuto poteva essere l’ultimo per una giovane vita innocente.
«Che cosa ci fa lui qui?»
La domanda di Microft le arrivò squillante al timpano, attraversando la coltre dei suoi pensieri.
La ragazza aggrottò la fronte, rivolgendogli un’occhiata interrogativa. «Come hai detto?»
«Dahl» spiegò lui, con un breve cenno del capo.
Solo seguendo la direzione da lui indicata la figlia di Efesto capì.
Il loro nuovo insegnante di scherma si era avvicinato con la sua andatura baldanzosa al tavolo di… Chirone.
Chirone?
Che cosa voleva da lui?
Di regola, tutti i semidei nordici erano tenuti a consumare i loro pasti nella ‘fortezza’. In genere, a farlo erano anche gli adulti che li avevano accompagnati.
Sin dal loro arrivo c’era sempre stata un confine invisibile a dividere inevitabilmente le due fazioni, e lui l’aveva appena superato.
Con tranquillità, come se fosse del tutto normale.
Nessuno sembrava essersi accorto di quella visita inaspettata, ma la mora era convinta che ci fosse un dettaglio che le sfuggiva.
Quando Mr. Dahl posò una mano sulla spalla del centauro e si chinò su di lui per sussurrargli qualcosa all’orecchio, lei tentò di leggere il suo labiale. Ma l’uomo era decisamente più previdente di quanto immaginasse, e non appena Chirone si portò un palmo ad accarezzarsi il mento, Skyler poté scorgere il suo meditare anche da lontano.
Poi quello annuì brevemente, quasi a voler dare una conferma all’altro. Fu solo ancora che il nordico, soddisfatto, si dileguò.
La giovane lo seguì con lo sguardo, curiosa di sapere cosa si fossero detti ma non abbastanza arrogante per andare lì ed interrogarli. Squadrandolo attentamente, la mora si rese conto di non essere ancora riuscita ad inquadrare quel tipo.
Era misterioso, e pragmatico, e sfuggente. Irradiava sicurezza ed autorità, e sembrava essere in grado di studiarti l’anima con le sue indecifrabili iridi scure.
La ragazza intuì di essere stata colta in flagrante solo nell’istante in cui quest’ultime si posarono su di lei. La soppesarono attentamente, come se volessero intimidirla; ma meravigliando anche sé stessa, la figlia di Efesto accettò quella silenziosa sfida. Sostenne la sua occhiata, dimostrandogli che non era l’unico capace di giocare con quelle regole.
Dahl non parve affatto sorpreso da quell’irriverente risposta, e non si scompose neanche quando si girò sui propri tacchi e se ne andò.
Skyler notò di aver trattenuto il fiato solamente quando i suoi polmoni reclamarono un po’ d’aria. Prese un gran respiro, portandosi la tazza ancora piena di caffè fumante alle labbra e continuando a fissare il punto in cui la figura dell’uomo era uscita dal suo campo visivo.
Per qualche arcano motivo, aveva la sensazione di avere qualcosa in comune con lui, ma non riusciva ancora a capire cosa. E quell’idea la turbò talmente tanto che non si chiese neanche perché il liquido scuro che stava sorseggiando avesse un sapore così strano.
 
Ω Ω Ω
 
Il Signor Olsen aveva allestito l’Anfiteatro con dei tappetini da combattimento blu, spiegando loro le più semplici basi della lotta libera.
Li aveva poi divisi in coppie, assegnando ad ognuna di loro una postazione.
Skyler doveva battersi con un figlio di Loki dai capelli bruni e le ciocche violette. Era molto snello, mingherlino, e le sue labbra erano perennemente incurvate in un sorriso piantagrane, tipico di coloro che sono in cerca di guai.
Le regole erano semplici: non bisognava mettere i piedi fuori dai confini del tappeto, e avevano quindici minuti per vincersi; veniva giudicato sconfitto colui che finiva a terra per primo; non era ammesso l’utilizzo di pugni sul viso, colpi all’inguine e dita negli occhi.
Una volta aver smesso di parlare, l’insegnante si posizionò con tutta la sua stazza mastodontica su una delle gradinate, così da poterli osservare dall’alto.
Lanciandosi una rapida occhiata intorno, la figlia di Efesto notò che ad essere stati messi contro erano sempre un nordico ed un greco. E questo, senza alcun motivo apparente, la fece infuriare. Chiuse e riaprì più volte i pugni, stirandosi i muscoli del collo ed imponendosi di contare fino a dieci.
L’allenatore fischiò, dando inizio agli incontri. La ragazza si mise in posizione.
Il suo avversario era agile, ma non sapeva assolutamente nulla sui corpo a corpo. Dopo aver parato due dei suoi attacchi, la mora riuscì a rifilargli un calcio nello stinco, seguito subito dopo da una gomitata al petto.
«Non male» si complimentò quello, ghignando con sufficienza. «Chi ti ha insegnato a combattere così, eh?»
«Non sono affari tuoi» sbottò lei, in modo decisamente più brusco di quanto era suo solito.
Il giovane inarcò le sopracciglia, strafottente. «Peperina, la greca» commentò, lasciandosi sfuggire una sprezzante risata. Poi tentò di assestarle un pugno all’altezza del volto, ma lei lo evitò abilmente, piegandosi sulle ginocchia.
«Questo andava contro le regole!» gli fece quindi notare, irritata.
«E cosa ti fa pensare che ci siano davvero delle regole?» la beffeggiò lui, divertito. «La nostra è una guerra aperta, e non sto parlando solamente di quella tra me e te» precisò. «Nordici e greci non potranno mai andare d’accordo. Ma hai la faccia di una che non è in grado di capire questo genere di cose.»
Skyler assottigliò lo sguardo, indignata. «Come, prego?»
«Sei ingenua» le fece notare il ragazzo, con una smorfia di derisione. «Lo si vede lontano un miglio. Non mi sorprenderei se anche il tuo più caro amico mi dicesse che sei un po’ tarda.»
In altre circostanze, la figlia di Efesto avrebbe preso un profondo respiro. Era sempre stata abbastanza razionale da intuire quand’era il caso di tirar fuori gli artigli e quando invece era meglio ritirarli.
Però chissà perché, quella volta non ci riuscì. L’ira ebbe il sopravvento su di lei, e la spinse ad afferrare il polso del figlio di Loki e a storcergli il braccio, facendolo piegare in due dal dolore.
Dopo di ché, digrignò i denti, dandogli un pugno sul viso e deviandogli con un’abile mossa il setto nasale.
«Prova a ridirlo, se ne hai il coraggio» lo sfidò, mentre il sangue di lui macchiava di rosso il tappetino.
Mr. Olsen soffiò lungamente nel fischietto che aveva appeso al collo, avvicinandosi a loro con furia e sdegno.
«Garcia!» la richiamò, prendendola per una spalla e strattonandola per allontanarla bruscamente dal nordico. «Che cosa avevi intenzione di fare?»
«Mi ha provocato» si giustificò lei, ben consapevole che qualsiasi parola avrebbe potuto pronunciare, non l’avrebbe fatta franca.
«Le regole vietavano i colpi sul volto. Voi greci siete proprio ottusi» affermò, sprezzante. «Vai immediatamente a quella… alla…»
«Casa Grande» gli suggerì uno dei semidei.
«Esatto!» esclamò lui. «Mi aspetto che quel centauro ti dia una punizione esemplare! Ringrazia i tuoi dei ed anche i miei che non ti faccia convocare dalla Signora Gunvor. E adesso fila!»
La ragazza strinse i pugni tanto forte da conficcarsi le unghie nel palmo. Sbuffò dal naso, soffocando un gridolino di frustrazione. Solo quando si avviò con rabbia verso la propria meta, trovò la lucidità necessaria per ripensare a ciò che era appena accaduto.
Non era stata in grado di controllarsi. Era la prima volta che le succedeva una cosa del genere.
I suoi sensi erano stati offuscati dall’irruenta voglia di sfogare la propria collera su qualsiasi oggetto animato le capitasse a tiro. Ora quel desiderio stava svanendo, sostituito da una leggera confusione che le fece dubitare di essere stata lei l’artefice di quei gesti.
Doveva iniziare a preoccuparsi?
Come mai aveva reagito così?
 
Ω Ω Ω
 
Quando il profilo della Casa Grande apparve nel suo campo visivo, Skyler fu costretta ad asciugarsi i palmi sudati sulla stoffa dei jeans, nervosa. Cosa avrebbe raccontato a Chirone?
Tutta la furia che aveva provato durante la lezione di poco prima era svanita; si era volatilizzata con la stessa rapidità con la quale era apparsa.
Giunta in prossimità della porta, la figlia di Efesto si accorse di Michael che arrivava dall’altro lato solamente quando i due si fermarono all’unisono davanti alla soglia, l’uno di fronte all’altra.
Si studiarono attentamente, sorpresi della rispettiva presenza lì. Ma gli bastò scambiarsi un’occhiata per potersi intendere al volo.
«Olsen» disse semplicemente lei, al ché lui abbozzò un sorriso sghembo.
«Jacobsen» confessò, per poi esibirsi in un teatrale inchino. «Dopo di lei, milady» scherzò, aprendole gentilmente l’uscio e facendola entrare per prima.
Non era sicura di cosa o chi si aspettasse di trovare, ma di certo non avrebbe mai immaginato che ci fossero anche John ed Emma lì, seduti attorno al tavolo delle riunioni in attesa di ricevere la loro punizione.
Appena li vide Skyler, chinò il capo all’indietro, incredula. «Non ci credo» sussurrò tra sé e sé, divertita dall’ironia della cosa.
«Anche voi qui?» chiese il figlio di Poseidone, sconvolto.
La figlia di Ermes incrociò le braccia al petto, sbuffando con disappunto. «A quanto pare Nilsen non ama gli spiriti competitivi» commentò, irritata.
Il biondo si grattò imbarazzato la nuca, alludendo ad un’incomprensione tra sé e il Signor Jensen. Poi guardò i propri amici, con un sorriso appena accennato. «Oggi non è proprio la nostra giornata, eh?» domandò, retorico.
La mora si lasciò sfuggire una breve risata. Per quanto potesse sembrare assurda tutta quella situazione, era contenta di averli lì con sé. Chissà perché, da quando si conoscevano ogni volta che c’era un problema, loro capitavano sempre in prima linea. Ma oramai ci avevano fatto l’abitudine.
I guai li pedinavano come cani col tartufo.
In quel momento fece il proprio ingresso nella stanza Chirone, e tutti e quattro si alzarono in piedi, in segno di rispetto.
«Prego, ragazzi, accomodatevi» intimò il centauro con dolcezza, e i ragazzi obbedirono senza troppe pretese. Il direttore del Campo si posizionò dall’altro lato del tavolo, di modo da poterli avere di fronte. Congiunse le mani, squadrandoli con serietà. «Vi starete chiedendo perché siete stati convocati» esordì.
«Per orgoglio dittatoriale» borbottò Emma, guadagnandosi una repentina gomitata nel fianco da parte dell'amica.
«Anche» convenne Chirone, senza scomporsi minimamente. «Ma non è un caso se vi trovate tutti qui nello stesso istante.» E affermando ciò appoggiò dinanzi a sé uno stantuffo poco più piccolo del suo palmo, così che i semidei potessero osservarlo. Conteneva un intruglio di un verde tanto scuro da sembrare nero, costellato da piccoli puntini bianchi.
Nonostante si sporsero tutti verso di lui per poter capire di cosa si trattasse, solo John parve intuirlo. «Ma quella è cicuta» osservò, perplesso.
«Un’erba letale» confermò il centauro. «Ma che se assunta nelle giuste dosi può dare delle normali allucinazioni o accrescere la percezione della rabbia. Non è stata una mia idea» aggiunse poi, facendo schioccare la lingua. «Però devo riconoscere che ha avuto l’effetto sperato.»
«Cioè farci venire qui?» sbottò la bionda, indignata. «Non poteva semplicemente mandarci a chiamare?»
«Ha bisogno di qualcosa?» si informò Michael, confuso.
«In realtà, sto per chiarirvi qualcosa.»
«Del tipo?» fece il figlio di Apollo.
«Perché voi» rispose con decisone l’uomo. «Perché adesso
La figlia di Efesto corrucciò le sopracciglia. «Credo di non essere l’unica a non seguirla» palesò, dando voce anche ai pensieri degli altri.
Chirone prese un profondo respiro, rabbuiandosi leggermente. «Quando l’anno scorso siete tornati… “integri” dalla vostra missione, ho avuto modo di poter pensare» cominciò. «Prometeo ha deciso di vendicarsi del torto che gli dei gli hanno fatto, e io avrei dovuto prevedere il suo arrivo prima che fosse troppo tardi.»
«Come?» lo incalzò nuovamente John.
«Attraverso la Profezia.» Fece una breve pausa, incrociando gli sguardi interdetti dei quattro ragazzi. «Una profezia che riguarda anche voi.»
Il silenzio carico di tensione che andò a crearsi dopo fu spezzato solamente dal risolino isterico di Emma, che scrollando di poco il capo si posò allo schienale della sedia. «Tutto questo è insensato» esclamò, al ché il centauro annuì, comprensivo.
«So che può sembrarvi insensato» acconsentì. «All’inizio anch’io ero sorpreso. Ma adesso mi sto rendendo conto che tutti i tasselli del puzzle combaciano perfettamente.»
«Quali tasselli?» domandò Michael, per poi cercare aiuto e sostegno nelle iridi dei proprio amici. «Io davvero non sto capendo.»
«Millenni fa, prima ancora che l’Oracolo di Delfi fosse operativo, erano le Parche a predire il futuro. Annunciarono la venuta di un titano in cerca di vendetta, e di quattro semidei con le capacità giuste per fermarlo. Quattro eroi possedenti ognuno un dono consentitogli direttamente dagli Olimpi.»
«E cosa le fa pensare che parli di noi?» chiese il biondo.
«Gli eventi» spiegò lui. «Il vostro modo di agire. Tutto suggerisce una notevole… affinità con le parole delle Parche. Voi siete destinati a grandi cose» proseguì poi. «Ma da grandi poteri derivano anche grandi responsabilità.»
Il figlio di Poseidone inarcò un sopracciglio. «Sta citando Spider-Man?»
Chirone lo ammonì con lo sguardo. «È una cosa seria, ragazzo.»
«Però l’ha fatto» gli fece notare il moro.
«Poco importa. Quello che sto cercando di dirvi è che è arrivato il momento, per voi, di prepararvi come si deve.»
«Prepararci per cosa?» intervenne Emma.
«Per la guerra.» Il centauro picchiettò un dito sul tavolo. «Per l'inevitabile. È ora che diventiate consapevoli dei vostri poteri e che impariate ad usare i vostri doni così come è stato predetto.»
Michael sbuffò dal naso, passandosi distrattamente una mano tra i capelli. «Mi dispiace deluderla, ma noi non abbiamo nessun tipo di dono speciale.»
«Questa è un’idiozia» commentò una nuova voce proveniente dalle loro spalle. Voltandosi, i giovani si scontrarono con l’espressione indecifrabile di Mr. Dahl, che chissà da quanto tempo stava ascoltando quella conversazione.
«Lei che ci fa qui?» fu l’unico quesito che Skyler riuscì a porre dopo aver passato tutti quegli istanti in religioso silenzio. Non era intervenuta affatto, preferendo ascoltare il tutto prima di trarre delle eventuali conclusioni. Ma la presenza di quell’uomo la turbò; il non riuscire ad interpretarlo la irritava non poco.
«Il mio lavoro» si limitò a specificare quello, concedendosi un sinistro ghigno compiaciuto.
«Chirone, le conviene spiegarci che cosa sta succedendo» ordinò la figlia di Ermes, riassestandosi corrucciata sul posto. Odiava essere confusa, e ancora di più detestava quel senso di inutilità che la colpiva ogni volta che non riusciva a comprendere da sé la situazione.
«Forse sarà meglio cominciare dal principio, dico bene?» fece con sufficienza Dahl, facendo senza alcuna fretta il giro del tavolo per poter arrivare al fianco del centauro. «Io» iniziò, portando un palmo ad indicarsi il petto. «Sono una spia.»
«Una cosa?» si meravigliò il figlio di Apollo.
«Un infiltrato» reiterò lui. «Ho finto di far parte della schiera nordica, ma sono più greco di tutti voi messi insieme» rise, al ché i ragazzi si scambiarono sguardi perplessi.
«Ma lei…» tentò il moro.
«Lo so, lo so» lo interruppe prontamente l’uomo, sollevando due dita per zittirlo. «Sono giunto qui con loro. E sì, per un po’ ho vissuto ed insegnato anche nel loro Campo. Ma per un motivo ben preciso.»
«Quando abbiamo capito di aver bisogno di ulteriori alleati, l’Halvgud Camp ci è sembrata la scelta più ragionevole» intervenne Chirone.
«Quindi, sono diventato uno dei loro istruttori migliori e ho convinto la Signora Gunvor ad accettare la vostra offerta.»
«Che cos’è lei?» si azzardò Emma, curiosa. «Una creatura mitologica? Un semidio?»
«Un addestratore di eroi» rispose fieramente lui, guadagnandosi delle occhiate interdette. «Ho forgiato eroi come Eracle ed Achille. O ancora come Perseo, Teseo, Odisseo… beh, in effetti un sacco di ‘seo’.» Chinò leggermente la testa, in quella che era un’educata riverenza di presentazione. «Quella di Mr. Dahl è solo una copertura. In realtà il mio vero nome è Filottete. Ma voi potete chiamarmi Phil.»
Phil. Philip!
Perché la figlia di Efesto non ci aveva pensato? Il giorno in cui si era presentato, durante la loro prima lezione di scherma. Tutto ora era in procinto di avere decisamente più senso.
«Un attimo!» proruppe Michael, che si stava sforzando di mettere in ordine le proprie idee. «Non capisco, lei non dovrebbe essere un satiro?»
«Ah!» Dahl sbuffò, stizzito. «Questo per colpa di quello stupido film della Disney. Non ho né le corna, né delle gambe caprine, come puoi vedere. Sapete, ho intenzione di denunciarli al più presto…»
«Secondo il mito, lei era stato morso da un serpente, giusto?» ricordò improvvisamente John, interessato. «Era una ferita mortale. Asclepio riuscì a curarla solo grazie alla medicina che aveva ideato Chirone.» Lo squadrò per qualche secondo, con circospezione. «È per questo che ha voluto aiutarlo?»
Filottete diede una pacca sulla spalla del centauro, e quello sorrise, con nostalgia. «Diciamo che gli dovevo ancora un favore.»
«Infatti sarà lui ad addestrarvi, da oggi in poi.»
La bionda inarcò un sopracciglio. «Perché?»
«Non possiamo farci scoprire» spiegò dunque il direttore del Campo. «Se vi allenassi io, desteremmo troppi sospetti. Con il suo aiuto imparerete ad utilizzare e controllare i vostri doni.»
«Quali sono e perché li avete ricevuti proprio voi sarà un aspetto che analizzeremo in un altro contesto» aggiunse l’altro.
«Tutto questo è ridicolo.»
Skyler si rese conto di aver espresso quel pensiero a voce alta solo quando i presenti puntarono gli occhi su di lei, sorpresi. Dahl fu forse l’unico a non essere affatto colpito dalla sua irriverenza.
«Come, scusa?»
«Che cosa credevate di fare?» sbottò a quel punto la mora, assottigliando lo sguardo con tono di sfida. «Eravate davvero convinti che rifilandoci la prima storia che vi era venuta in mente sarete riusciti a… motivarci?» Allargò le braccia, scandalizzata. «Guardateci!» si adirò. «Sommando tutte le nostre età non arriviamo neanche ad un quinto delle vostre vite. Abbiamo solo diciassette anni!»
«Diciotto» la corresse in un sussurro Michael.
«Non importa!» sbraitò lei. «Volete capirlo o no che questa guerra non fa per noi?»
«Ma voi siete stati scelti» cercò di farle capire Chirone.
«E da chi? Dagli dei?» La figlia di Efesto abbozzò un triste sorriso. «Gli stessi dei che se ne sono infischiati quando i loro figli sono stati colpiti dal Morbo di Atlantide? Gli stessi che non sono corsi in nostro aiuto quando Prometeo ha cercato di ucciderci? Mi dispiace, ma io ho perso la mia fiducia in loro tempo fa.»
«Allora fidati di noi» le intimò tranquillamente Filottete, come se fosse scontato. «Devi imparare ad utilizzare il tuo dono al più presto.»
«Non c’è nessun dono» sibilò la ragazza, a denti stretti.
«Sono semplicemente qui per aiutarvi a controllarli.»
«Mi duole farglielo notare» affermò quindi lei, alzandosi in piedi e stringendo i pugni tanto da avere le nocche bianche. «Ma io non ho bisogno di una babysitter.»
E così dicendo, non aspettò neanche una reazione dagli altri. Lanciò un’ultima occhiata decisa in direzione di Dahl, per poi girare sui tacchi e dare a tutti loro le spalle.
Uscì con furia dalla Casa Grande, sbattendosi con forza la porta dietro e dirigendosi con passo sicuro verso una meta indefinita, purché la conducesse il più lontano possibile da lì.
Era ancora sotto l’effetto della cicuta?
No. Quello era svanito già da un pezzo.
Adesso tutto ciò che vorticava turbolento nella sua gabbia toracica era un soffocante senso di oppressione.
Perché continuavano ad affibbiarle tutte quelle responsabilità? Perché si ostinavano a contare su di lei?
Era debole, insicura, spaventata. Non riusciva neanche a risolvere uno stupido indovinello, come si poteva anche solo pensare che sarebbe stata capace di salvare il mondo?
Lei non aveva mai desiderato tutto quel potere. Non voleva essere grande, o invincibile, o la migliore.
Lei aveva bisogno di essere protetta proprio come tutti gli altri; quindi come avrebbe potuto essere l’eroina della situazione?
Aveva ricevuto un dono dagli dei, davvero?
Come mai non era stata così fortunata da vincere quello dell’invisibilità?
 
Ω Ω Ω
 
Calmare l’animo di Skyler non era stato affatto semplice, ma Michael sapeva sempre quali fossero i tasti giusti da premere per farla ragionare.
La profezia, i doni degli dei, la vera identità di Mr. Dahl… quell’enorme accumulo di nuove informazioni aveva sconvolto tutti. Ottenendo il consenso generale, il figlio di Poseidone aveva proposto ai propri amici di riunirsi nella Cabina Tre per schiarirsi le idee. Percy non c’era, Rose era con Microft, e loro avevano bisogno di fare un punto della situazione e capire come affrontare quelle novità.
«Però sarebbe figo» commentò tra sé e sé il moro, che – sdraiato supino sul proprio letto – si dilettava nel lanciare una di quelle palline antistress di un azzurro brillante verso il soffitto, per poi riprenderla al volo.
La figlia di Efesto, seduta a gambe incrociate ai piedi del materasso, non mancò di rifilargli un’occhiata inquisitoria. «Cosa, esattamente?»
«Avere i doni di cui ci ha parlato Chirone.» Il ragazzo si concesse un ghigno divertito. «Insomma: saremmo come dei supereroi, no?»
Emma sbuffò dal naso, sarcastica. «Tu leggi troppi fumetti» lo avvisò.
«Forse» convenne lui, accondiscendente. «Ma dovete ammettere che sarebbe comunque figo
«Secondo voi Dahl aveva ragione?» si intromise a quel punto John, facendo un distratto giro sulle rotelle della sedia della scrivania. «Dobbiamo fidarci?»
«Dovremo abituarci a chiamarlo con il suo vero nome» fece la mora con ironia, per poi massaggiarsi la fronte con aria assorta. «Mi sembra tutto così irreale…»
«E se non stessero solo mentendo?» chiese quindi la figlia di Ermes, dando voce al dubbio che era sorto anche in loro. «E se fossimo stati davvero scelti?»
«Dovremmo concentrarci su cose più importanti» la riprese prontamente Skyler, che non aveva alcuna intenzione di affrontare quel discorso.
«Tipo cosa?» volle sapere Michael.
La ragazza si fece coraggio. «Ho sognato di nuovo Prometeo.»
Nell’istante che in cui aveva pronunciato quella frase, il figlio di Poseidone aveva lanciato per l’ennesima volta la propria pallina in aria; ma quell’affermazione lo sorprese così tanto che quel pochi secondi di interdizione giocarono sui suoi riflessi, e quella gli finì dritta sul naso.
«Dannazione» imprecò, tirandosi velocemente su a sedere. Studiò il volto della giovane con apprensione. «Che ti ha fatto?»
«Nulla, stavolta» lo tranquillizzò lei, per poi correggersi: «Non fisicamente, almeno. Ma ha voluto avvertirmi.»
«Riguardo a cosa?» domandò il biondo.
«Ha detto che ci saranno delle conseguenze per le mie azioni. Che molti perderanno la vita a causa mia. Non so cosa questo possa significare, ma mi ha dato un indovinello.» Lo recitò con molta cura, sforzandosi di ripetere esattamente le stesse parole che il titano aveva usato. Gli amici cercarono il suo sguardo, ma quello era tenuto basso, fisso su un punto imprecisato del pavimento. «Sono così distratta ultimamente che non riesco a risolverlo, eppure sento di avere la soluzione sulla punta della lingua.»
«Credo di avere avuto un’intuizione» annunciò il figlio di Apollo, con serietà. «Ma in questi casi nulla aiuta di più del consiglio di un figlio di Atena. Emma, vieni con me» ordinò poi, dirigendosi verso la porta. «Torniamo subito.»
Quando i due furono usciti, Skyler e Michael si ritrovarono finalmente soli. Il ragazzo si sporse leggermente verso di lei, prendendole dolcemente la mano ed intrecciando le dita alle sue, con fare rassicurante.
La mora si lasciò sfuggire un piccolo sorriso non appena lui le spostò delicatamente una ciocca di capelli dal viso, rigirandosela attorno all’indice.
«Non temere» le intimò, baciandole la tempa. «John è sempre stato quello del gruppo che arrivava per primo alle cose.»
«Non riesco a capire che cosa Mat- Prometeo voglia da me» ammise stancamente lei, concedendosi un sospiro tremante. «Sono… terrorizzata anche solo quando mi appare in sogno, e ora vogliono farmi credere che sono una di quelli che dovrà sconfiggerlo?»
«Tu sottovaluti il tuo potere, Sky» le fece notare lui, con ovvietà. «E poi non sei sola in questa battaglia.»
«Questo lo so» disse la figlia di Efesto, e fu solo allora che puntò le proprie iridi scure in quelle color del mare di lui. In quell’attimo erano di un blu scuro; profonde ed espressive. «Non so cosa farei, senza di voi» confessò.
Se avessero avuto anche un secondo in più a disposizione, il figlio di Poseidone non avrebbe resistito all’impulso di baciarla. Ma il caso volle che proprio in quell’istante dovessero tornare Emma e John, che tutti trafelati fecero il loro ingresso nella Cabina.
«Ce l’abbiamo» li avvisò la figlia di Ermes, al ché Skyler si alzò di scatto in piedi, seguita a ruota da Michael.
«Davvero?» esclamò, ansiosa.
«Era come immaginavo. Per quel figlio di Atena è stato anche fin troppo facile» le spiegò quindi il biondo, per poi di esitare, riprendendo fiato. «I sogni, Skyler. È quella la soluzione.»
«I sogni» ripeté il moro, corrucciando leggermente le sopracciglia. «Ma non ha senso. Che significa?»
«Che dobbiamo stare in guardia» furono le uniche parole della figlia di Efesto, prima di rendersi conto che adesso che avevano superato anche quell’ultimo ostacolo, dovevano aspettarsi un attacco da un momento all’altro.
La sfida con Prometeo sembrava essere già cominciata.
E si prospettava come priva di esclusione di colpi. 

Angolo Scrittrice. 
Salve a tutti! 
Oh, e dai, perchè sprecare tutti quei pomodori? Non è meglio cucinarci una bella amatriciana? *sorriso innocente*
Sì, lo so cosa state pensando. Oggi è mercoledì ed io sono in ritardo. Ma -ehi!- non è colpa mia la mia scuola ha deciso di trasformarsi in un carcere minorile. Aggiungiamoci poi l'umore, l'accumulo di impegni ed il periodo decisamente no, ed avrete un perfetto riassunto delle settimane che ho appena trascorso. 
Anyway, sono consapevole che questo non vi interessa, quindi passiamo al sodo ahah
Beh, che ne pensate del capitolo? C'è stata una svolta decisiva, non trovate? E non solo perchè hanno finalmente risolto l'indovinello (grazie,
John, menomale che ci sei, gnaw), ma anche perchè finalmente il vero fulcro della trama inizia a saltar fuori.. 
Partiamo col parlare di
Mr. Dahl, vi va? Qualcuno aveva intuito la sua vera identità? 
Ebbene sì, lui è
Filottete, figlio di Peante e Demonassa, addestratore di eroi. Dimenticate il buon vecchio sattiro che vi è stato presentato nei cartoni animati; questo ambiguo Phil vi riserverà molte sorprese.
Vi chiedevate come fossero giunti i greci e i nordici ad un accordo di convivenza? E' stato proprio grazie a lui. E' stato lui a convincere la Signora Gunvor ad accettare l'offerta di Chirone. E questo perchè? Perchè il Campo Mezzosangue aveva bisogno di alleati nuovi (per quanto ciò potesse essere rischioso), e perchè i nostri quattro eroi dovevano avvalersi di un istruttore personale. 
E qui viene il bello. Un profezia che li riguarda; una addirittura dettata dalle Parche e che sembrava essere stata dimenticata. L'ascesa di Prometeo, che oramai pare essere diventata una certezza. 
E poi
i doni. In che cosa consisteranno? Quali capacità credete che gli dei abbiano voluto dare ai nostri giovani semidei? Ma soprattutto, pensate che sia tutto e vero? E se sì, perchè sono stati scelti proprio loro? 
Si accettano scommesse, sia per quanto riguarda questo punto che per ciò che succederà ora che l'indovinello è stato risolto. 
Mi complimento con tutti coloro che l'avevano indovinato. I sogni. Forse era anche un po' scontato, vero? Ma che cosa potrà mai significare? 
Mi auguro davvero che il capitolo vi sia piaciuto, e che voi possiate farmi conoscere le vostre opinioni. Vi ha fatto schifo? E' stato di vostro gradimento? Vi siete ricordati che l'amatriciana vi fa schifo e volete lanciarmi addosso quei pomodori?
Vi prego, fatemelo sapere. Per me è importantissimo conoscere il vostro parere, perchè mi aiuta a migliorare e perchè mi sprona a dedicare il mio tempo alla realizzazione di questa storia. 
Grazie con tutto il cuore ai miei Valery's Angels, che con le loro recensioni migliorano le mie giornate:
Anna in Black, unika, Sarah Lorence, TamaraStoll, Francesca lol, aleov7 e Padawan Lee Darklighter. Siete speciali, davvero, e vi giuro che risponderò a tutti voi al più presto, appena avrò un attimo per respirare.
Un grazie speciale, poi, va a
Sarah Lorence e aleov7, che hanno avuto un pensiero per me in quello che è stato un periodo molto difficile per la mia famiglia. Non avrete delle vere ali, ma siete a tutti gli effetti degli angeli, i miei angeli. 
Un bacione enorme a tutti voi, guys. 
Al prossimo martedì!
Sempre vostra, 

ValeryJackson


 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***



Microft era stato disposto a pagare ben cinque dracme ai fratelli Stoll, purché indagassero sulla misteriosa Andrea.
Non avevano scoperto molte cose, se non un elenco di futili aggettivi che il resto dei semidei nordici le affibbiava.
Strana. Fredda. Imbattibile. Indecifrabile.  
Era soprattutto quest’ultimo a preoccuparlo. Da quanto aveva capito, il passato della figlia di Tyr era un vero e proprio punto interrogativo. Nessuno sapeva nulla al riguardo, tranne il fatto che la sua personalità era stata inevitabilmente condizionata da un evento ignaro a tutti quanti.
Travis gli aveva spiegato che inizialmente la rossa aveva un carattere opposto. Era dolce, gentile, amichevole, sorridente. Poi si era assentata dall’Halvgud Camp per un anno intero, e quando vi era tornata, non era stata più la stessa.
Il figlio di Efesto non poteva negare la logorante curiosità di cui era vittima da un paio di giorni, e il desiderio di conoscerla era così forte, in lui, da porgli il dubbio su quale fosse la mossa giusta da fare.
Aveva già tentato un primo approccio con lei, e non era andato decisamente a buon fine.
Ma forse la seconda volta sarebbe stato diverso. Magari l’ostilità della ragazza nei confronti di qualsiasi essere respirasse era solo un inconscio e viscerale bisogno di affetto.
E chi meglio di un pargolo del dio del fuoco poteva sciogliere un cuore di ghiaccio?
Sapeva di trovarla nelle scuderie. Non che l’avesse seguita, ovvio. Okay, può darsi di sì.
Quando anche lui vi fece il proprio ingresso, notò che non c’era nessun altro lì dentro. Andrea era sola. O meglio, erano soli.
Il solo pensiero diede al moro le vertigini. Non gli era mai capitano di ritrovarsi da solo in una stanza in compagnia di una ragazza che non fosse Rose, e il timore di ciò che sarebbe potuto accadere lo costrinse ad asciugarsi i sudati palmi sulla stoffa dei jeans.
La figlia di Tyr era tornata solo da pochi istanti da una passeggiata a cavallo, e ora si stava premunendo di ripulire il candido manto del pegaso che l’aveva scortata, pettinandolo con cura.
Non appena la vide, al giovane mancò un battito. I suoi capelli color fragola erano raccolti in un’affatto pretenziosa treccia, e lui represse a stento l’impulso di allungare una mano per poterle spostare dietro l’orecchio quelle ciocche ribelli che erano sfuggite al controllo dell’elastico.
Ci teneva ai propri arti, lui. E non passava affatto inosservato lo spadone che lei portava appeso al fianco.
Prese un profondo respiro, racimolando il coraggio necessario per poter dare il via a quella conversazione. Ma prima ancora che potesse sperare di dire qualcosa, la rossa si accorse di lui.
Lo fulminò con un’occhiata, per poi portare le proprie iridi azzurre al cielo. «Ancora tu?» sbottò, avviandosi irritata verso l’uscita. «Ti ho già detto che non ho alcuna intenzione di essere presa in gi-»
«No, aspetta, non te ne andare» la pregò Microft, parandosi davanti a lei prima che potesse lasciare la scuderia. Strizzò le palpebre, mortificato. «Io…»
«Che cosa vuoi?» lo interruppe bruscamente Andrea, al ché lui mostrò i palmi, con innocenza.
«Niente!» assicurò, in totale sincerità. «Devi credermi, non voglio infastidirti. Lo giuro. È solo che…» Esitò, mordendosi nervosamente il labbro inferiore. «Speravo di poter parlare un po’ con te. Come amici» specificò poi, e lesse nei suoi occhi una lieve interdizione.
La nordica spostò il peso da un piede all’altro, scrutandolo attentamente. «E perché dovresti volere una cosa del genere?» gli domandò, e nonostante il ragazzo si sentisse davvero in soggezione, riuscì a non darlo a vedere, incurvando di poco gli angoli della bocca.
«Perché mi hai incuriosito» ammise, decidendo che era inutile mentirle. «Mi piacerebbe imparare a conoscerti.»
La figlia di Tyr assottigliò lo sguardo. «Non sono in cerca di una relazione» gli fece notare, tagliente.
«Ed io ci tengo troppo al mio naso per esporlo ad un simile rischio; ma se per entrare nelle tue grazie basterà farmi prendere a pugni da te, allora ne varrà la pena.»
Non era sicuro di cosa sperasse di guadagnare, con quell’affermazione. Però di certo l’espressione che assunse la ragazza lo stupì.
«È un sorriso, quello?» chiese, compiaciuto. 
Lei sbuffò dal naso, incrociando le braccia sotto il seno. «Certo che no.»
«Io dico di sì, invece.»
«Credi davvero di essere così divertente?»
«No» convenne lui, stringendosi nelle spalle. «Però tu hai sorriso.»
«Non è vero!» obiettò lei, fingendosi invano indignata.
«E allora quello cos’era?»
«Questo gioco non mi piace.» 
Il figlio di Efesto le diede un buffetto sul naso, al ché la rossa parve perplessa. Microft si chinò cautamente su di lei, per poi sussurrarle: «Il secondo era di sicuro un sorriso.» 
Andrea meravigliò anche sé stessa quando si riscoprì a ridacchiare, incapace di celare ulteriormente la propria allegria. Era passato molto tempo dall’ultima volta in cui si era sentita così… leggera. Non era certa di cos’avesse quel ragazzo di tanto speciale, eppure senza sforzarvisi troppo era riuscito a donarle un po’ di svago.
«Che c’è?» aggrottò la fronte nell’istante in cui si accorse che il giovane la stava fissando.
«Nulla» scosse il capo lui, imbarazzato. «È solo che… secondo me dovresti farlo più spesso.»
La figlia di Tyr inarcò un sopracciglio. «Cosa?»
«Sorridere» rispose ingenuamente il moro, con tono dolce. «Forse non lo sai, ma sei bellissima quando sei felice.»
Solo in seguito, riflettendo sulle proprie parole, Microft si sarebbe reso conto di quanto inopportune quelle fossero. Nessun legame amoroso? Chissà perché era più che convinto che non vi era amico che facesse quel genere di complimenti.
Eppure Andrea non si urtò. Non lo picchiò, né se ne andò, né tantomeno pensò di sfoggiare il proprio spadone. Si limitò ad abbassare lo sguardo, arrossendo leggermente.
Magari non potevano ancora vantarsi di avere un rapporto, ma quello era pur sempre un inizio.
«Ricominciamo daccapo, ti va?» propose improvvisamente lei, lasciandolo spiazzato. Incastrò le proprie iridi di topazio in quelle scure di lui, abbozzando un consapevole e voluto sorriso. «Come se fossimo al nostro primo incontro.»
«O-Okay» balbettò il ragazzo, contento di tale iniziativa. Dopo di ché le porse una mano, rivolgendole un amichevole cenno del capo. «Piacere di conoscerti» esordì, gentile. «Io mi chiamo Microft.»
La nordica gliela strinse con calore. «Piacere» contraccambiò, senza interrompere neanche per un secondo il contatto visivo. «Io sono Andrea.»
 
Ω Ω Ω
 
Tra Kara e Locke era sempre stata una continua sfida.
Sin dal giorno in cui erano nati, i due fratelli erano stati in competizione.
Chi è il più forte? Lo si appura con un duello.
Chi è il più resistente? Si ingurgitano peperoncini serrano finché uno non implora dell’acqua.
Chi è il più grande?
«Siamo gemelli, non conta» precisava ogni volta lei.
«Io, ovviamente» si vantava orgogliosamente lui.
Mentre scalavano il muro dell’arrampicata più in fretta che potevano, i figli di Ecate si lanciavano delle pungenti frecciatine.
Il ragazzo era in netto vantaggio, e non mancò di rinfacciarlo alla sorella. Quando la bionda, poi, riuscì finalmente a recuperare, ormai era troppo tardi. Il giovane fu comunque il primo ad arrivare in cima; e sedendosi soddisfatto sulla vetta, con i piedi penzoloni nel vuoto, attese qualche secondo che lei lo raggiungesse.
«Allora» cantilenò piantagrane, nell’istante in cui la ragazza si issò su per imitarlo nella posizione. «Quanto avevamo appurato che mi dovevi?»
«Ma smettila» lo rimproverò Kara a denti stretti, lanciandogli una dracma d’oro che lui prese al volo. La strinse tra i denti, per appurare che fosse vera. Poi ghignò.
«Non devi prendertela, sorellina» la tranquillizzò, con sarcasmo. «O forse l’hai dimenticato? Chi è il più veloce?»
«Sette minuti, Locke» si lamentò lei, facendo roteare gli occhi esasperata. «Sei nato solamene sette minuti prima di me. Quando smetterai di ripeterlo?»
«Quando diventerai sette minuti più veloce di me.»
La giovane ringhiò, infastidita, al ché il biondo si lasciò andare ad una fresca risata. Senza neanche esserne consapevoli, entrambi si lasciarono cadere di peso sulla schiena all’unisono, sfregandosi il volto allo stesso modo e poi arricciando il naso nella stessa, tenera maniera.
«E insomma» iniziò lei, cercando delle forme nelle poche nuvole che caratterizzavano il limpido cielo di quel pomeriggio. «Che mi dici di Rose?» 
«È carina» confessò lui, prima di sospirare teatralmente. «Ma non è il mio tipo. E poi, non so, ho come la sensazione che abbia già il cuore occupato da qualcun altro.» Le lanciò una fugace occhiata. «Tu, invece?» domandò a sua volta, dandole di gomito con aria complice. «Hai adocchiato qualcuno?»
«Beh» fece spallucce la figlia di Ecate. «C’è questo ragazzo che fa tiro con l’arco con me che…»
«Ehi, ehi, frena!» la interruppe prontamente il giovane, dipingendosi sul volto un’espressione di sdegno. «Io stavo scherzando!» esclamò. «Sei ancora troppo piccola per questo genere di cose.»
«Locke» scandì lentamente Kara, quasi stesse ribadendo un concetto molto semplice ad un bambino. «Noi siamo gemelli, okay? Abbiamo la stessa, identica età.»
Il ragazzo le rivolse un sorriso sghembo. «Non per sette minuti.»
Affrontare quell’argomento con lui, ormai, era del tutto inutile. Dall’istante stesso in cui aveva ricevuto il dono della parola, il figlio di Ecate non aveva fatto altro che ricordare alla sorella la propria superiorità. Si divertiva a prenderla in giro per non essere stata abbastanza veloce, e grazie al proprio evidente vantaggio fisico, aveva sempre l’occasione perfetta per rimarcarglielo.
«Arriverà il giorno in cui farò più in fretta di te» annunciò lei, sfidandolo con lo sguardo a contestare.
«Sì, come no» liquidò il tutto lui con un gesto della mano, guadagnandosi uno scherzoso pugno sulla spalla. Dopo di ché si abbandonò ai propri stessi pensieri, vagando con la mente fino a che quelli non lo portarono a studiarsi con interesse i palmi, con aria critica.
«Stamattina ho parlato con Thoralf, sai» annunciò, riferendosi al capocabina della Casa Dieci.
«Thomas» lo corresse distrattamente la bionda.
«Lui. Mi ha detto una cosa molto interessante.»
«Del tipo?» chiese lei, curiosa.
«Mi ha parlato di un potere; una capacità che hanno solo alcuni figli di Ecate. Consiste nel creare dei campi di forza scarlatti in grado di spazzare via qualsiasi cosa ti circondi nell’arco di un paio di metri.»
«Figo» convenne la ragazza.
«Secondo te è da stupidi sperare di averla?»
Kara voltò di poco il capo, per poterlo osservare in volto. Titubò, prima di chiedere a sua volta: «Credi che abbiamo un possibilità?»
Il suo tono tradiva una certa emozione, mista al timore di illudersi di qualcosa che non sarebbe mai potuta accadere. Locke strinse le labbra in una linea sottile, piegando le dita quasi volesse afferrare l’aria stessa.
«Siamo sempre stati… diversi da tutti gli altri. E non soltanto perché eravamo semidei. Voglio dire, anche qui… sento che abbiamo qualcosa che gli altri non hanno. Qualcosa di solo mio e tuo.» Esitò, insicuro. «Mi sono soltanto domandato se la nostra diversità non fosse la conseguenza di un nostro essere speciali, tutto qua.»
La sorella soppesò con cura le sue parole, ragionandovici su. Dopo di ché si lasciò sfuggire un risolino. «Magari siamo ‘diversi’ perché siamo cresciuti in un circo, tu che dici?» scherzò, riuscendo a strappargli un sorriso sghembo.
«In effetti è molto più probabile» pattuì lui, divertito.
«E comunque, anche se avessimo questo potere di cui parli, sarei sicuramente io la prima a scoprire come giostrarlo.»
«Tu?» Il ragazzo rise sguaiatamente, con l’intento di prenderla in giro. «Sorellina, ti prego. È scontato che sarò io.»
«Ah, sì?» fece lei, stizzita. «E come fai ad esserne così sicuro?»
«Andiamo» le intimò lui, prima di ghignare in modo scaltro, piantagrane.
«Chi è il più veloce?»
 
Ω Ω Ω
 
Skyler stava facendo un sogno davvero strano.
Percepiva il rumore della pioggia battere incessante sui vetri delle finestre della Casa Nove, il suono prolungato del corno del Campo che fendeva l’aria una, due, tre volte, annunciando il pericolo.
Un fastidioso bisbigliare giungeva ai suoi timpani molesto, accompagnato da una risata tagliente, malvagia.
«Ma che succede?» sentì dire alla voce di Nyssa – sua sorella – e fu in quell’instante che si rese conto di non trovarsi affatto in un sogno.
Spalancò gli occhi all’improvviso, costretta a richiuderli subito dopo a causa dell’impatto avuto con la luce che qualcuno aveva acceso.
Mentre lei si tirava su a sedere, stropicciandosi le palpebre, tutti i figli di Efesto erano già in piedi, interrogandosi l’un l’altro.
Il corno d’allarme risuonò di nuovo, segno evidente che non si trattava affatto di un’esercitazione. La mora si alzò dal letto, la mente ancora intorpidita dal sonno.
«Mantenete la calma!» ordinò con fermezza Leo, che da bravo capocabina si sforzava di non cedere al panico. «Non sappiamo cosa stia succedendo. Può darsi che non sia nulla.»
Tu sai che non è così, ribatté serpentina una voce, ma apparentemente solo Skyler riuscì ad udirla. Le ci volle un po’ per capire che si stava rivolgendo a lei; e nel frattempo che il brusio nelle sue orecchie si intensificava a tal punto da minacciare di farla impazzire, lei era in grado di distinguere solo alcune delle tante parole che si accavallavano contro il suo volere nella sua testa.
È tua, si sentì accusare. È soltanto colpa tua.
Non era difficile intendere l'opera di chi fosse, e un brivido le pervase la schiena non appena ricordò a sé stessa cosa ciò avrebbe comportato.
«Skyler, no!» le urlò repentino Leo, e lei si accorse di essersi diretta a perdifiato verso la porta solo quando mise il piede nudo fuori, e fu investita dal temporale che incombeva sul Campo.
Questo non aveva alcun senso. La barriera protettiva eludeva qualsiasi agente atmosferico. Era forse stata… violata?
Per quanto la ragazza ne sapesse, tale cosa poteva essere fatta solo dall’interno.
Quindi che poteva significare?
Non ebbe il tempo di darsi una risposta.
Decisa a non combattere più contro il proprio istinto, si lasciò guidare da quei sussurri che parevano farsi sempre più insistenti man mano che si avvicinava alla giusta destinazione.
Riconobbe la Casa di Morfeo nell’istante stesso in cui quella entrò nel suo campo visivo. Con il pigiama bagnato incollato al corpo e i capelli fradici, varcò la soglia. E ciò che vi trovò all’interno le bloccò di netto il respiro.
La Cabina era stata fatta evacuare, ad eccezione di alcuni esperti e quei pochi curiosi che avevano avuto il coraggio di non dare di matto di fronte a quella scena.
Una ragazza – più o meno della stessa età della figlia di Efesto – giaceva nel suo letto, inerme; le pupille dilatate, la bocca semischiusa.
Le lenzuola erano sporche di sangue, il suo sangue.
Aveva la gola tagliata.
«Ritirate l’allarme» esclamò freddamente un figlio di Apollo, abbassando con delicatezza le palpebre della povera malcapitata e scuotendo mestamente il capo. «Ha usato le proprie forbici per infliggersi la ferita. Non è stato altro che un suicidio.» 
La mora era paralizzata. L’arma del delitto era ancora stretta dalle dita della giovane, facendo supporre che il ragazzo avesse ragione.
Ma lei sapeva benissimo che non era così. Le voci, erano quelle a suggerirglielo.
E la raccapricciante scritta che era stata fatta sul muro.
Due semplici parole cremisi, che erano state segnate con il sangue della stessa vittima da dita tremanti, insicure.
Due parole a cui nessuno riusciva a dare una spiegazione, ma che per Skyler non furono altro che una conferma a ciò che aveva già supposto.
PER LEI, era stato scritto a caratteri cubitali, di modo che tutti fossero in grado di vederlo.
Per lei.
E allora la ragazza ricordò.
«Li puoi fare belli e brutti. Li puoi anche raccontare. Ma nessuno, per tua fortuna, li potrà mai osservare.»
‘I sogni’ erano stati la soluzione a quell’indovinello.
E ora, una figlia del dio dei sogni era stata appena uccisa.
Prometeo l’aveva avvertita. Qualcuno avrebbe scontato le sue colpe, e sarebbe stata soltanto colpa sua.
Per lei, veniva annunciato tragicamente su quel muro.
E con gli occhi spalancati dal terrore, la figlia di Efesto rischiò di avere un devastante attacco di panico.
Ma due mani forti le impedirono di crollare.
Due braccia possenti le avvolsero con decisione la vita e la trascinarono all’esterno prima che lei potesse cedere lì, davanti a tutti.
Skyler fu portata di peso sul retro della Casa, con la pioggia che violenta si rovesciava addosso a lei. Fu spinta con la schiena contro il muro, e non appena le sue ginocchia divennero incapaci di sostenere il suo peso, fu sorretta per lei braccia.
Batté le palpebre più volte, sforzandosi invano di regolarizzare il proprio respiro. Strinse i pugni fino a crearsi dei piccoli segni a mezzaluna sui palmi, ansimando in preda all’angoscia più totale.
Ma poi si rese conto che qualcuno stava tentando di attirare la sua attenzione.
Era Mr. Dahl, che scuotendola con vigore invocava il suo nome, richiamandola sugli attenti.
«Skyler!» L’uomo aveva un tono serio, autoritario. «Skyler, riprenditi!»
«L-La ragaz-za…» balbettò la mora, mentre il suo corpo era dominato da degli sconquassanti brividi dovuti sia al freddo che alla paura. «I-Io…»
«Garcia, focalizzati sulla mia voce» le impose Phil, e lei obbedì, aggrappandosi alle sue spalle per evitare di stramazzare al suolo. «Non darla vinta al nemico. Sii più astuta di lui.»
Quindi lui sapeva.
Era a conoscenza di tutto – chissà come. Ecco perché si trovava lì.
«C-Come…» ciangottò nuovamente la ragazza, incapace di sillabare qualsiasi frase. «Lei… Come…»
«Pensa alle cose importanti, piuttosto» la interruppe Dahl, incatenandosi con fermezza al suo sguardo. «Hai visto che cosa è disposto a fare, no? Questa è una guerra che non potrai mai vincere da sola. Allora?» sbraitò poi, scuotendola ancora una volta con il fine di farla ragionare. «Credi ancora che non avete bisogno di me
Skyler non rispose, ma il responso fu ben chiaro.
Non ce l’avrebbe mai fatta da sola. Né lei, né Emma, né Michael, né John. Non erano abbastanza forti.
Non avevano alcuna possibilità di sconfiggere Prometeo.
Lui continuava ad avere nuovi assi nella manica, e per loro diventava sempre più difficile precederlo, decifrarlo, capirlo, batterlo.
Lui li stava annientando, e loro non se ne stavano neanche accorgendo.
E fu a quel punto che la figlia di Efesto capì.
Loro avevano bisogno di aiuto.
Avevano bisogno di essere istruiti. Avevano bisogno di essere guidati.
Avevano bisogno di Phil. 

Angolo Scrittrice. 
Strano ma vero, signori e signori, mais je suis là!
Di martedì. In perfetto orario. Non chiedetemi come abbia fatto, non voglio neanche saperlo. 
Bien, bien... allora? Che ne pensate di questo capitolo? 
Nessuno resiste alla dolcezza del piccolo
Mickymy dears. E dopo numerosi tentativi, finalmente il nostro figlio di Efesto dagli occhioni da cerbiatto è riuscito a sciogliere - seppur di poco - anche il cuore della fredda Andrea
Tra il ragazzo e la figlia di Tyr potrebbe nascere una bella amicizia, non trovate? 
Che greci e nordici stiano finalmente trovando un insolito punto di incontro? 
Che mi dite, poi, dei due gemelli?
Kara e Locke sono dei personaggi tanto semplici quanto difficili da giostrare, e nonostante non saranno due dei protagonisti principali di questa storia, non mancheranno comunque di creare un po' di scompiglio nelle vite dei nostri semidei. 
Ho voluto dedicare unicamente a loro un'intera scena di questo capitolo perché se la meritavano, e perchè volevo mettere in chiaro il loro rapporto. 
«Chi è il più veloce?»
Damn, ricordatevi questa frase! Avrà una notevole importanza ad un certo punto della storia, ma non vi dirò né quando né perché muahaha 
Nuovo potere per i figli di Ecate, poi. Chissà se i nostri due fratellini posseggono davvero questo dono speciale, come ha supposto Locke...
Btw, la parte di maggiore rilevanza di tutto il capitolo è indiscutibilmente l'ultima. 
Dah-dah-dah-daan! *lampi e fulmini di sottofondo*
Pensavate davvero che
Prometeo non mantenesse le sue promesse? 
Skyler e i suoi amici avranno anche risolto l'indovinello, ma non hanno fatto in tempo. 
I sogni = una figlia di Morfeo ha appena perso la vita. 
Scontato, dite voi? Siete proprio convinti che sia così facile? 
Apparentemente può sembrare un suicidio, ma la scritta sul muro parla chiaro. 
Per lei.
Chi sarà la prossima vittima? Riusciranno i nostri ragazzi a salvarla? 
Chi ha permesso, poi, alla pioggia di varcare le barriere del Campo? 
Troppe quesiti irrosolti anche per la nostra Skyler, che sarebbe stata vittima di un altro attacco di panico se non fosse stato per
Dahl
Ora è chiaro anche a lei: hanno bisogno del suo aiuto
Ma quest'ultimo in cosa consisterà?
Spero davvero di poter conoscere la vostra opinione a riguardo, e mi auguro con tutto il cuore che questo nuovo capitolo non abbia deluso le vostre aspettative. 
Se così fosse, mi scuso in anticipo con voi. 
Ditemi: che vi è parso? Vi ha fatto schifo? Vi è piaciuto? Non abbiate timore di farvi sentire. Si accetta qualunque tipo di critica - purché costruttiva.
Ringrazio i miei meravigliosi Valery's Angels, che ogni volta mi deliziano con le loro recensioni:
Anakin Solo, Anna in Black e Black Truth
Mi sto premunendo di rispondere a tutte le recensioni arretrate. Sono lenta, lo ammetto. Ma non ho intenzione di lasciarne neanche una in sospeso! 
Anyway, prima di lasciarvi, ho qui una fotuzza per voi. Si tratta dei prestavolto che ho preso in considerazione per i personaggi di Kara e Locke. Uno e
Wynston Shannon, un modello che personalmente adoro. L'altra, invece, è una modella di tumblr di cui però ignoro il nome. 

 

 
Ovviamente è inutile dirvi che voi potete continuare ad immaginarli come meglio credete. Io ho semplicemente ritenuto perfetti questi due ragazzi perchè era esattamente così che avevo immaginato i due gemelli. 
Detto questo, posso definitivamente andare via. 
Al prossimo martedì, miei prodi franciulloschi!
Sempre vostra, 

ValeryJackson

P.s. So che ve l'ho già chiesto, ma: qualcuno di voi segue The Flash? Se sì (e soprattutto se vi va) allora passate a leggere la one-shot senza pretese che ho pubblicato qualche settimana fa. Potrà sembrare stupido, ma ci tengo molto, yep. E' una snowbarry in piena regola - ovviamente - e... non ve lo dico. Spero che ci facciate un salto! 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***



I loro passi si infrangevano contro il freddo pavimento di marmo; l’eco che riecheggiava tra le pareti del vuoto corridoio.
Quando Dahl gli aveva annunciato quale sarebbe stato il luogo d’incontro, i quattro semidei quasi non volevano crederci.
«C’è una palestra, all’interno del dormitorio nordico» aveva spiegato. «Inutilizzata a causa del programma “d’integrazione” che vi vede costretti ad allenarvi insieme.»
E con questo? C’era un confine invisibile, tra le due fazioni, che non doveva essere in alcun modo violato.
Era un muto patto sancito dai mezzosangue, affinché non ci fossero diverbi o incomprensioni e ognuno restasse nei limiti del proprio spazio.
Ma purtroppo non avevano avuto molta voce in capitolo, riguardo quel punto, e avevano dovuto adeguarsi.
Entrare lì dentro faceva uno strano effetto. Suscitava una sorta di stupore reverenziale, misto a disagio e al timore di essere mandati via.
L’interno era molto più accogliente di quanto avessero immaginato. Le mura erano tutte dello stesso color crema, e non vi erano oggetti particolari, in giro, eccetto qualche quadro raffigurante alcuni degli episodi più importanti che componevano la loro mitologia.
Non infondeva calore, certo, però non era affatto asettico come molti greci avevano supposto.
Il punto forte di quel posto, poi, erano le vetrate, l’unico lusso che i nordici si erano concessi durante la costruzione: erano alte circa tre metri, e grazie alle loro più variopinte tonalità proiettavano, con l’aiuto del raggi del sole, dei piccoli arcobaleni di luce sulle pareti chiare.
Soffermandovisi con lo sguardo, Skyler si era lasciata sfuggire un sospiro, meravigliata.
«Possiamo tornare indietro, per favore?» li supplicò all’improvviso Emma, non appena la loro destinazione comparve nel suo campo visivo.
«Questo posto mi mette in soggezione» commentò invece Michael, guardandosi intorno con circospezione.
Nell’istante in cui la figlia di Efesto aveva annunciato ai propri amici la necessità di seguire il consiglio di Chirone e farsi istruire da Filottete, loro erano stati in procinto di scoppiare in una sonora risata. Erano stati convinti che fosse solo uno scherzo finché non avevano scorto un luccichio di serietà nel suo sguardo; i muscoli contratti dalla frustrazione di dover ammettere di aver sbagliato.
Inizialmente, avevano tentato di obiettare, palesandole tutti i buoni motivi per cui quella era una follia.
Ma alla fine si erano fidati di lei.
Loro erano una squadra, nel bene e nel male. E se uno si avventurava in un luogo spaventoso ed inesplorato, gli altri lo seguivano a ruota senza pensarci due volte.
«Non siamo tenuti a farlo per forza» ricordò a tutti John non appena si pietrificarono all’unisono di fronte alle grandi ante di legno scuro, esitanti.
Ci fu un breve attimo di silenzio carico di indecisione, durante il quale la mora inspirò a fondo.
«Ma dobbiamo farlo» affermò, voltandosi quel tanto che bastava per poter incontrare gli sguardi insicuri dei tre ragazzi. Il figlio di Apollo le rivolse un lieve cenno del capo, incoraggiandola a far loro strada verso un punto di non ritorno.
Perché erano consapevoli, sì, che una volta varcata quella soglia non sarebbero stati più gli stessi. Le loro vite sarebbero radicalmente cambiate; avrebbero scoperto cose sul loro conto che avevano sempre ignorato. Si sarebbero inoltrati in un campo minato dotati solamente di intuito e fortuna.
Sarebbero venuti a conoscenza di un mondo che magari sarebbe stato del tutto diverso da quello a cui erano abituati.
E forse era proprio questo a spaventarli.
Ma ormai erano lì, e non potevano più tirarsi indietro.
Tutti per uno, pensò Skyler, e spingendo con decisione le bande della porta avanzò impettita, abbandonando qualunque genere di dubbio.
Si aprì davanti a loro uno spazio enorme – di circa dieci metri per dodici – reso ancora più ampio dalla totale assenza di mobili, attrezzi o simili. L’unico tavolo presente, infatti, era quello al centro della stanza, con su una notevole moltitudine di armi e accanto una sbarra di legno che poteva fungere tranquillamente da panca.
Poco distante, Dahl ammazzava il tempo infilzando un fantoccio con la propria spada.
La figlia di Efesto inclinò leggermente la testa di lato, studiando i suoi movimenti: erano fluidi, puliti; si muoveva con maestria e non dava segno di alcuno sforzo.
L’uomo menò prima un fendente, poi uno sgualembrato sinistro. Infine inflisse il colpo decisivo al povero malcapitato, tagliandogli la testa di netto con così tanto impeto che questa rotolò sul pavimento con un sonoro ticchettio, per poi fermarsi proprio accanto ai piedi di Michael.
Il moro la fissò, inarcando le sopracciglia. «Onesto» pattuì con sarcasmo, prima che Phil si accorgesse della loro presenza e gli puntasse la lama contro.
«Siete in ritardo» osservò, facendo schioccare la lingua in segno di disapprovazione. Non si degnò neanche di guardarli in volto quando li invitò con un gesto della mano di avvicinarsi.
«Coraggio, sedetevi» gli intimò, rifoderando con un fruscio metallico la propria arma.
I ragazzi obbedirono senza troppe cerimonie. John fu il primo a giungere al suo fianco, e con occhio attento squadrò l’argenteria posta sul tavolo, afferrando affascinato l’arco che vi trovò.
Era molto più grande e massiccio di quello che utilizzava di solito; la corda era più dura, ma sicuramente più efficace. Chiunque fosse in grado di tirare con uno strumento del genere non aveva problemi a colpire anche dei bersagli a molti – tanti – metri di distanza.
«Wow» sussurrò estasiato, rigirandoselo tra le mani. Dopo di ché lo ripose con accortezza sul piano, facendo spazio su quest’ultimo per potervisi sedere.
Il figlio di Poseidone si accomodò con la mora sulla sbarra, mentre Emma prese posto a terra, incrociando le gambe con disinvoltura.
«Chiariamo subito una cosa» esordì senza preavviso l’istruttore, con tono deciso e autoritario. «Io non vi renderò le cose semplici.»
La figlia di Ermes sbuffò dal naso, ironica. «Buongiorno anche a lei.»
«Sapete già perché vi trovate qui» continuò lui, ignorandola. «Per diventare degli eroi, così come narra la profezia.»
«Di cui noi non sappiamo niente» gli fece notare il biondo, stizzito. «Non è che potrebbe… schiarirci un po’ le idee?»
«Quello che dicono le Parche è soltanto l’ultimo dei vostri problemi, Johnny
Il figlio di Apollo strinse i denti, infastidito. «Non mi chiami così» sibilò, ma Dahl fece finta di non sentirlo.
«Abbiamo tanto lavoro da fare, e non intendo perdere tempo con delle futili… parole» annunciò, per poi spostare le proprie iridi scure dall’uno all’altro. «Chirone sembra essere convinto che voi siate i ragazzi che salveranno il Campo, l’Olimpo e bla, bla, bla. Ma sapete cosa vedo io quando vi guardo?» confessò. «Dei perdenti.» Solo in seguito alla loro indignazione aggiunse. «Inteso come ‘persone che hanno perso qualcosa’. Ognuno di voi ha perso un membro della propria famiglia, o un amico, o qualcuno di importante. Ma in un modo o nell’altro ora siete qui, e siete insieme. Quindi ce lo faremo bastare.»
Poi ghignò. «Ci focalizzeremo su tutte le sensazioni irruente e accecanti che provate, e le sfrutteremo per farvi capire come usufruire al meglio i vostri doni.»
«Ecco, a proposito di questo» lo interruppe interessato Michael, sporgendosi in avanti e posando i gomiti sulle ginocchia. «Questi… ‘doni’ di cui parla, in cosa consistono esattamente? Sono delle capacità speciali? Dei superpoteri?»
«Sono molto di più» assicurò Filottete, con orgoglio. Incrociò con sicurezza le braccia al petto, accarezzandosi lentamente la perfetta barba. «Ho dovuto valutarvi attentamente, per capire quali fossero. E vi ho analizzato da lontano fin quando non sono stato sicuro delle mie supposizioni.»
«Perché non ci dice direttamente quali sono e la finiamo con tutto questo mistero?» si spazientì a sorpresa Skyler, incurante di ciò che lui avrebbe potuto pensare. Era stanca dei giri di parole; stanca di essere presa in giro.
L’uomo inarcò un sopracciglio, osservandoli con gli occhi stretti a due fessure. «È questo che volete?» domandò, affatto stupito. «Saperlo adesso?»
«Sì» fu la risposta repentina che ognuno di loro – chi prima, chi dopo – diede all’istante.
La cosa non lo sconvolse minimamente; anzi, si ritrovò a sorridere quasi si aspettasse un riscontro del genere da parte dei quattro semidei. In genere le grandi verità venivano svelate solo alla fine, così da poter creare la giusta suspance e giocare sull’effetto sorpresa.
Ma lì non erano in un film, giusto?
«John» chiamò a voce alta, rivolgendo la propria attenzione al biondo. «Il tuo è la guarigione» rivelò, semplice e diretto.
«Emma.» La ragazza fu soppesata con lo sguardo. «Tu hai il dono della percezione.»
La figlia di Ermes corrucciò le sopracciglia. «Che cosa?»
«Michael» proseguì imperterrito lui. «Il tuo è decisamente il più interessante.»
«Ho la telecinesi?» azzardò il figlio di Poseidone, speranzoso.
«No. Il potere della sospensione.»
«E non è la stessa cosa?» insistette il giovane, confuso. 
«Assolutamente no.»
«Ed io?» chiese a quel punto la figlia di Efesto, e Dahl si focalizzò su di lei, facendo un passo nella sua direzione e scrutandola dall’alto.
«Il tuo è particolare, sì» ammise, prendendo un profondo respiro. «Quello dell’immedesimazione.»
La mora esitò, sconcertata. «L’immedesimazione» ripeté tra sé e sé, per poi inarcare scettica le sopracciglia. «Davvero?» fece, allargando le braccia indignata. «Tutto qui?»
«Non sottovalutate l’importanza dei vostri doni» li avvertì Filottete, dandogli svogliatamente le spalle.
«E questi li chiama ‘doni’?» si scandalizzò la ragazza. «È questo che ci hanno concesso gli dei? È con questo che dovremmo salvare l’Olimpo?»
«Volevate una risposta ed io ve l’ho data» fece spallucce l’uomo, battendo un paio di volte le mani. «Ora meno chiacchiere e più fatica.»
«Ma…» tentò di opporsi Emma, che fu zittita da un secco “ssh”.
«Però…» provò quindi John, ricevendo lo stesso trattamento.
«Potrebbe almeno dirci…» cerco di dire allora Michael, che non fu comunque trattato in modo diverso dai suoi amici.
Skyler soffocò a stento un gridolino di frustrazione, portando il pugno chiuso a chiudere la bocca.
«A tempo debito capirete molte più cose, posso garantirlo» promise dunque l’istruttore, assumendo all’improvviso un tono molto più autoritario. «Ma per il momento vi basti sapere che non inizieremo a lavorare sul controllo dei vostri poteri fino a che non migliorerete le vostre prestazioni fisiche. Quando vi trovate nello spazio circoscritto da queste quattro mura ubbidirete a delle sole regole» spiegò. «Le mie. La prima: non fate troppe domande, o verrete puniti con un raddoppiamento dell’allenamento. La seconda» disse, portando il segno con le dita. «Non si discutono i miei metodi. E la terza» concluse, compiaciuto. «Non infrangete le prime due. Sono stato abbastanza chiaro?»
I ragazzi non replicarono, per cui egli reiterò con maggior insistenza: «Sono stato abbastanza chiaro?»
«Sì, signore» esclamarono in coro i quattro, rivolgendosi delle occhiate colme di interdizione.
«Bene» annuì lui, divaricando di poco le gambe e posandosi le mani sui fianchi. «Voglio che facciate venti giri di campo in meno di cinque minuti» ordinò. «Ogni volta che uno di voi si fermerà, il carico raddoppierà per tutti quanti. E ora andate!»
«Che follia» borbottò la bionda, che però si alzò lo stesso da terra, avviandosi contrariata con i due amici. La figlia di Efesto fece per seguirli, sbuffando irritata; ma dopo soli due passi si bloccò, girandosi lentamente verso Dahl e assottigliando lo sguardo a due fessure.
«Cosa sa di ciò che è successo ieri sera?» gli chiese senza scrupoli, spostando nervosamente il peso da un piede all’altro. L’uomo non rispose, voltandosi dall’altro lato e analizzando con interesse le armi sul tavolo.
«Lei ha visto quella scritta sul muro» ritentò a quel punto la ragazza, perentoria. Esitò, maledicendosi per il tremitio della propria voce. «Non si è trattato di un suicidio, vero?»
«Ha già infranto due regole, Miss Garcia» le fece notare imperscrutabile Phil, rivolgendole un’occhiata indecifrabile. «Raggiunga gli altri, se non vuole subirne le conseguenze.»
La mora irrigidì la mascella, pronta a prendere fiato per replicare. Ma quando lo fece, le sue corde vocali non emisero alcun suono.
Non era giunta fin lì per discutere. Doveva allenarsi se voleva avere un’anche misera speranza di riuscire nel compito che le era stato involontariamente assegnato.
Mentre raggiungeva gli altri e si metteva al passo con loro, spostò le proprie iridi scure sui suoi migliori amici, focalizzandosi sui volti di ognuno e ripassando mentalmente quello che avevano appena scoperto.
John aveva il dono della guarigione, a detta di Filottete. Aveva senso, in effetti, considerando che non solo era figlio del dio della medicina, ma che il suo spirito altruista l’aveva portato innumerevoli volte ad aiutare e curare molte persone.
Emma, invece, della percezione. Ma che cosa poteva significare? Che cosa avrebbe dovuto
percepire, la figlia di Ermes?
Per quanto riguardava Michael… com’è che l’aveva chiamato? La ‘sospensione’? Quello era in assoluto il più vago. Quell’uomo si divertiva a prenderli per i fondelli.
E in quanto a lei?
L’immedesimazione, rimembrò, con il desiderio di prendere a pugni così irruento da costringerla a conficcarsi le unghie nei palmi.
L’immedesimazione.
Cos’avrebbe dovuto farsene, di un potere del genere? Che poi, che cosa c’era di speciale in quella futile capacità?
Era sempre stata brava a capire le persone, certo. Ma in che modo questo l’avrebbe avvantaggiata nella lotta contro il nemico?
Se potevano davvero basarsi sul loro significato letterale, allora quei doni erano pressoché inutili.
Però c’era ancora la possibilità che ci fosse qualcosa che le sfuggisse.
Magari avevano fatto la scelta giusta, a varcare quella porta.
Forse non erano mai stati dei comuni adolescenti come avevano sempre pensato.
 
Ω Ω Ω
 
Di ritorno dall’ennesima lezione di lotta libera in cui aveva fatto deliberatamente schifo, Leo si passò distrattamente una mano tra i ricci ribelli, imprecando sommessamente mentre si dirigeva verso la propria Cabina.
Non era sicuro di cosa si aspettassero, da parte sua; ma se si teneva conto della sua muscolatura mingherlina e della sua scarsa esperienza con i corpo a corpo, non capiva perché fosse tanto difficile intuire che i risultati non sarebbero mai stati dei migliori.
Lui aveva altre qualità, diverse attitudini. Non era fatto per l’azione, era più… la mente geniale a bordo campo.
Superò un gruppo di ragazzi intenti a chiacchierare nei pressi dell’Armeria, e lanciò loro solo uno sguardo fugace, prima di prendere a fissarli basito.
Si trattava di Katie Gardner e una delle sue sorelle, in compagnia di un figlio di Afrodite e… era una figlia di Snotra, quella? E un pargolo di Vàli?
Che ci facevano dei semidei greci e nordici… insieme?
Parlavano tra loro tranquillamente, e non avevano affatto l’aria di qualcuno che aveva l’intento di dar luogo ad una rissa.
Inarcando le sopracciglia, il figlio di Efesto si ritrovò a sorridere, meravigliato e divertito. Che le due fazioni stessero davvero iniziando a trovare dei punti in comune?
Erano ancor lontani dal potersi ritenere alleati, ovviamente. Ma può darsi che erano sulla buona strada per una convivenza pacifica.
Non si era neanche reso conto di aver continuato ad avanzare finché non scrollò con un piccolo ghigno il capo, volgendo nuovamente gli occhi davanti a sé. Gli ci volle un po’ per accorgersi della persona che senza volerlo gli stava andando incontro, dirigendosi dal lato opposto al suo.
Non la riconobbe all’istante, ma gli bastò focalizzarsi un po’ sui suoi lineamenti per riconoscervici dei tratti familiari.
Era la figlia di Frigg che qualche giorno prima si era presentata nelle fucine, chiedendogli di riparare la sua spada. A colpirlo di lei non era stato tanto il fatto che fosse una non vedente, quanto più la sua capacità di evitare con i suoi discorsi e la sua gentilezza qualsiasi forma di disagio.  
Gli era piaciuto, conversare con lei. Per un attimo era riuscita a fargli dimenticare tutti i suoi problemi.
Aveva i capelli biondi raccolti in una traccia che le ricadeva morbida sulla spalla destra, ora, e procedeva senza il supporto di alcun bastone. Il ragazzo non aveva idea di come facesse ad orientarsi, ma di certo doveva avere i propri assi nella manica.
«Ciao!» esclamò, incapace di frenare l’impulso di salutarla. La giovane si fermò, rivolgendogli un cenno cortese. «Astrid, giusto?» si assicurò lui, lieto. «Sono…»
«Leo» lo precedette lei, regalandogli un radioso sorriso. «Sì, ho riconosciuto la voce.»
«Come va?»
«Molto bene, grazie» rispose Astrid, con una cordialità e una tranquillità che lo rilassarono. «La mia spada funziona anche meglio di prima.»
Leo gonfiò il petto, e nonostante la ragazza non potesse vedere l’orgoglio sul suo viso, si vantò soddisfatto: «Merito del mio tocco magico.»
La figlia di Frigg ridacchiò, arricciando il naso in una tenera smorfia. «Allora» cantilenò poi, dopo alcuni secondi di silenzio. «Hai qualcosa da fare?»
«Non proprio» ammise il figlio di Efesto, un po’ interdetto. «Perché?»
«Mi hanno detto che qui avete un lago» fece invece lei, al ché lui annuì, prima di ricordar di dover dire ad alta voce: «Sì, proprio al lato delle Capanne.»
«Da noi sono tutti ghiacciati» spiegò a quel punto la bionda, stringendosi nelle spalle. «Ecco perché… beh, pensavo di farci una passeggiata.» Titubò. «Vuoi venire con me?»
Il giovane guardò prima lei, poi i vestiti che indossava e che andavano necessariamente cambiati. Poi ancora lei. Tirò su col naso.
«Perché no.»
 
Ω Ω Ω
 
Parlando del più e del meno, i due semidei non furono neppure consapevoli dello scorrere del tempo.
Scoprirono che per quanto non potessero avere un solo interesse in comune, era molto più semplice parlare tra loro che con chiunque altro. Non potevano essere più diversi l’uno dall’altro, però riuscivano a capirsi.
«Quindi» esordì ad un tratto Leo, saltando su un piccolo tronco caduto e sforzandosi di restare in equilibrio, mentre lei continuava a passeggiare in modo rettilineo al suo fianco. «Com’è essere figlia di una dea dell’amore?»
Astrid fece spallucce, indecisa. «Non male, presumo» assentì. «Non ho dei poteri eccezionali» ammise poi. «Però riesco a sentire gli stati d’animo delle persone.»
«Davvero?» Il figlio di Efesto inarcò le sopracciglia, esibendo un ghigno piantagrane. «E che umore ho, adesso?» la provocò.
«Mh...» La ragazza prese un profondo respiro, concentrandosi. «Sei spensierato» decise. «E felice. E anche affamato.»
«Molto dettagliata» si complimentò il moro, concedendole un meritato tre su tre. «Non so cosa darei, adesso, per un buon tacos. Non capisco come voi nordici facciate a vivere senza averne mai assaggiato uno.»
«Abbiamo altre prelibatezze» si difese lei, con garbo.
«Del tipo?»
«Il Røde Pøliser.»
«Mh, sì» la prese in giro lui, più che sarcastico. «Solo a sentirne il nome mi viene fame.»
«E dai!» rise la bionda, facendogli una linguaccia che lo divertì. Proseguirono per qualche attimo senza profferir parola, fino a che la figlia di Frigg non emise un breve sospiro. «Sai cos’altro riesco a sentire, comunque?» gli chiese, e il ragazzo – che era giunto alla fine del tronco – fece un balzo per atterrare comodamente accanto a lei.
«Cosa?» volle sapere, nascondendo le mani nelle tasche dei pantaloni, in attesa.
«Una leggera malinconia» confessò Astrid, esitante. «Non fresca, ovviamente. E neanche molto evidente. Però c’è.»
Leo schiuse le labbra per rispondere, ma lì per lì non seppe come replicare. Fu costretto ad ammettere di essere stato colto in contropiede, e si grattò la nuca, imbarazzato. «Sì, beh, ho avuto un’infanzia un po’… travagliata» le raccontò. «Mia madre è morta quando avevo otto anni, ho cambiato qualcosa come diciassette case famiglia… diciamo che ciò che ho me lo sono dovuto guadagnare tutto da solo.»
«E che mi dici dell’amore?»
Il figlio di Efesto aggrottò la fronte, confuso. «In che senso?»
«Hai mai avuto una ragazza?» chiarì quindi lei, con gentilezza.
«Sì» disse ingenuamente lui, per poi correggersi: «No.» Strizzò gli occhi. «Non lo so. È…»
«Complicato?» azzardò la ragazza.
«Suppongo di sì.» Il giovane si rabbuiò. «Tra noi è finita in modo strano. In realtà, non so nemmeno se è mai iniziata.»
«Lei come si chiama?» si informò quindi la bionda, e l’ispanico dovette concedersi un istante per tenere a bada le sensazioni irruente e contrastanti che lo invasero, prima di rivelarlo.
«Emma.»
Era sempre stata lei. Anche quando non se ne rendeva conto; anche quando non voleva ammetterlo neppure a sé stesso.  
Sempre lei, solo lei.
«Dev’essere stata molto importante, per te» commentò la figlia di Frigg, al ché lui abbozzò un triste sorriso.
«Come fai a saperlo? Anzi, no, non dirmelo» scherzò poi. «Riesci a “sentirlo”.»
«Veramente la mia era soltanto una supposizione» gli fece notare lei, accarezzandosi sovrappensiero la treccia. «È che… il modo in cui ne parli…» Indugiò. «Di solito è così che si esprime un cuore spezzato.»
«E con questo?» domandò il moro, curioso. «Come sai che è quello il motivo?»
Astrid arrossì. «Non diamo a coloro che non amiamo il potere di distruggerci» affermò.
Leo all’inizio boccheggiò, spiazzato. «Io… Io non l’amavo» balbettò, contrariato. «Non la amo» rettificò dopo. «Insomma, ‘amare’ è una parola grossa. Non credo di conoscerne neanche il significato.»
«O magari scegli di non conoscerlo» replicò lei. «L’essere umano è spaventato da ciò che può ferirlo e guarirlo allo stesso tempo, no?»
Il figlio di Efesto soppesò attentamente le sue parole, ponendole a paragone di tutta la propria esperienza personale per constatare se fossero davvero applicabili a chiunque.
Sospirò, sconfortato. «Non lo so» mormorò, prima di scompigliarsi con forza i capelli e forzare uno sghembo sorriso. «Ma sei tu la figlia della dea dell’amore, quindi ti do ragione.»
Così dicendo si guadagnò un giocoso pugno sul braccio, e riuscì a lasciar cadere l’argomento e ad iniziarne uno diverso.
Ma continuò a riflettere anche in seguito su ciò che la sua nuova amica gli aveva suggerito. Anche solo pensare ad Emma gli provocava delle dolorose fitte all’altezza del petto, e molto probabilmente questo era un segno inequivocabile.
Non continua a darti le vertigini chi non ha più un impatto notevole sulla tua vita.
Magari questo voleva dire che – in fondo – a lei ci teneva ancora.
Molto. Tanto.
Forse troppo.
 
Ω Ω Ω
 
Rose si rigirò nel letto, portandosi le coperte a coprirle anche il naso e riempendo i polmoni d’aria per poi svuotarli lentamente, come fossero un palloncino.
Stava andando tutto bene, quella sera: il cibo era stato ottimo, aveva fatto la sua solita offerta agli dei ed era anche riuscita a trovare un posto dignitoso durante il falò, che non si era ancora concluso.
Sembrava essere tutto perfetto. Una normale routine che si ripeteva senza intoppi.
Ma in seguito si era resa conto di essere distratta, assente. Per quanto tentasse di impedirlo, i suoi occhi continuavano a cercare la figura di colui che era al primo posto sulla sua personale lista dei desideri sin da quando aveva avuto dei motivi per stilarne una.
E continuava a vederlo lì, al fianco di un’altra ragazza; felice e spensierato con lei. Mentre l’accarezzava, e la baciava, e l'abbracciava, e la stringeva.
Osservare John amare Melanie era più difficile di quanto avesse mai sperato.
Non pretendeva di dimenticarlo, né tantomeno di riuscire ad ignorarlo. Ma mai avrebbe creduto possibile che lei, Rosemary Livia Jackson, potesse stare tanto male per amore.
Se di amore si poteva parlare. Aveva una cotta per il figlio di Apollo dall’età di undici anni, okay, ma aveva avuto altri ragazzi, nel frattempo.
Piccoli flirt di poca importanza; storielle che spesso si erano concluse prima ancora di iniziare.
Ecco perché non riusciva a spiegarsi come lui fosse ancora oggetto dei suoi pensieri.
Forse stava impazzendo. Oppure adesso che era diventata abbastanza grande da interessarsi appieno di queste cose i suoi ormoni stavano dando libero sfogo alla loro fantasia.
Non si sarebbe sorpresa più di nulla, arrivati a quel punto.
Nella vana speranza che la nausea che le aveva stretto in una morsa d’acciaio lo stomaco si affievolisse, si era allontanata all’improvviso dal falò; e senza dar tempo ai suoi amici di chiederle il perché aveva deciso di rintanarsi nella propria Cabina, pregando affinché nessuno la seguisse.
Odiava sentirsi così vulnerabile di fronte a tante persone. Anche se gli altri non se ne accorgevano, non voleva comunque riscoprirsi incapace di controllare le proprie emozioni davanti a loro.
Qualcuno bussò un paio di volte alla porta, distogliendola momentaneamente dal flusso dei suoi sogni ad occhi aperti. La ragazza non si scompose minimamente, limitandosi a lanciare una semplice occhiata verso la soglia.
Se vuole entrare, che entri, pensò, incurante; e fu esattamente ciò che si disse Microft quando fece cigolare il cardine con delicatezza. Infilò la testa all’interno, assicurandosi che la figlia di Poseidone fosse lì. Poi le rivolse un timido sorriso, avvicinandosi con accortezza al suo letto.
«Posso?» domandò, retorico, indicando con un gesto della mano un punto imprecisato sul materasso. La giovane annuì, facendogli spazio, e lui sollevò di poco le lenzuola per stendersi insieme a lei.
Non appena le fu accanto, la mora cambiò rapidamente posizione; e il figlio di Efesto alzò di poco un braccio per permetterle di accucciarsi sul suo petto, così come faceva sempre quando era giù di morale.
Le posò un affettuoso bacio tra i capelli, stringendola a sé.
«Cosa c’è che non va?» la interrogò, con gentilezza.
Rose arricciò il naso. «L’amore fa schifo» le bastò pronunciare.
«Non posso darti torto» ridacchiò lui.
La ragazza sbuffò, nascondendo nuovamente il volto sotto le coperte. «Detesto essere la vittima di stupidi drammi adolescenziali.»
«Ti riferisci a John, non è vero?»
Microft era l’unico a cui l’aveva rivelato. Non aveva segreti con il suo migliore amico, neanche quando l’argomento erano altri ragazzi.
«Già» borbottò lei, leggermente irritata. «Lui sta con Melanie ed io… non lo so» ammise dopo, scoraggiata. «Mi sono rassegnata all’idea di non poter essere mai più de
 la sorella del suo migliore amico
«È normale, sai?» la tranquillizzò il moro, con tono pacato. «Sei invaghita di lui da… quanto? Quattro anni? Non puoi pretendere che tutto svanisca così, su due piedi.»
«E se non svanisse mai?» si preoccupò quindi la figlia di Poseidone, con un lamento strozzato. «E se fossi destinata a rincorrere ciò che non potrò mai raggiungere?»
«Sono sicuro che non sarà così» affermò lui, deciso. «Ma purtroppo non c’è amore senza amaro.»
In quelle parole la giovane vi lesse una malinconia fin troppo personale. Voltò di poco il capo, mettendosi in una posizione supina ed incrociando le braccia sullo sterno dell’amico. Vi poggiò poi su il mento, scrutandolo dal basso con i suoi grandi occhioni ora azzurri mentre lui si rigirava distrattamente uno dei suoi boccoli attorno all’indice.
«Come va con Andrea?» volle sapere lei dopo qualche attimo, al ché il figlio di Efesto strinse le labbra in una linea sottile.
«Che cosa vuoi sapere?» si informò.
«Tutto, ovviamente» gli palesò Rose.
«Non ho molto da raccontare, in realtà. Lei ha finalmente deciso di darmi una possibilità, ma non sembra intenzionata a…» Si interruppe a metà frase, indeciso su come continuare.
«Intraprendere una relazione?» suggerì la mora, inarcando un sopracciglio.
«Sì. Cioè, no.» Microft si stropicciò gli occhi con una mano, riorganizzando le idee. «Credo sia ancora un po’ restia, nei miei confronti.»
«In che senso?»
«Non si fida di me. Il che è comprensibile, dato che ci conosciamo da poco. Ma il suo silenzio è qualcosa di più… profondo» spiegò. «Riesco a vedere il peso che si ostina a trascinare con sé, ma per quanto mi sforzi non capisco qual è. E ho la sensazione che non lo scoprirò mai, onestamente.»
La figlia di Poseidone rifletté per qualche secondo sulla situazione del ragazzo, finendo per compararla inevitabilmente alla propria. Sbuffò, mettendo il broncio.
«Perché ci innamoriamo sempre di persone che non ci meritano?»
Lui abbozzò un sorriso sghembo. «Se vuoi posso citarti la battuta di quel famoso film» scherzò, e lei arricciò il naso.
«Se ti stai riferendo a The Perks of Being a Wallflower, sappi prima di tutto è stato un libro» obiettò, al ché lui rise, divertito. La ragazza inizialmente lo imitò, ma poi tornò nuovamente seria, incastrando le proprie iridi color del mare nelle sue.
«Dico davvero, Micky» disse, corrucciandosi. «Che c’è di sbagliato in noi?»
Il figlio di Efesto ci pensò un attimo, prima di rispondere. «Che vuoi che ti dica?» fece, con un’alzata di spalle. «Siamo degli sfigati» sancì, prima di intrecciare dolcemente le dita a quelle di lei, baciandogliene il dorso. «Ma almeno abbiamo avuto la fortuna di incontrarci, no?»
«Promettimi una cosa» lo pregò quindi Rose, inclinando il capo di lato.
«Qualsiasi cosa.»
«Non lasciarmi mai. Anche quando tutto sembrerà girare per il verso sbagliato… promettimi che continueremo a far parte l’uno della vita dell’altro.»
«Ma certo» esclamò lui senza pensarci, dandole un buffetto sulla guancia. «Non c’era neanche il bisogno di chiederlo. Io ci sarò sempre per te, okay?»
«Sempre, sempre?»
Microft assentì con un cenno. «Sempre, sempre.»
E questa certezza per lei fu sufficiente. Gli buttò di slancio le braccia al collo, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo e lasciandosi cullare dalle sue braccia forti che le cingevano la vita, in un istinto di affetto e protezione.
Potevano non essere pronti per relazionarsi con l’amore, e di certo sceglievano sempre di dedicarsi a coloro che – seppur involontariamente – li facevano soffrire.
Ma alla fine intuirono che tutto ciò di cui avevano realmente bisogno era lì, racchiuso in quella stanza.
La loro amicizia era l’essenziale, un punto fisso in un mare di trattini e di virgole.
Dopotutto, qualsiasi difficoltà il fato avesse posto loro davanti, l’avrebbero comunque affrontata insieme.
E sapere questo a loro bastava.

Angolo Scrittrice
Lo so. Lo so. 
Sono in ritardo. 
Non so come scusarmi, davvero, ma ieri sono saltati fuori dal nulla degli imprevisti improvvisi che hanno prosciugato tutto il mio tempo libero e che mi hanno impedito di dedicarmi alla stesura di questo capitolo. 
Ma ora sono qui, no? Spero che non me ne vogliate ahaha

Allooora... Che ne pensate? 
Quella con
Dahl sarà solo una delle tante lezioni alle quali i nostri semidei saranno costretti a partecipare. Che intenzioni ha, secondo voi, il vecchio Filottete? Che sorprese ha in serbo per i nostri ragazzi? 
Soffermiamoci qualche attimo su quello che molto probabilmente è il dettaglio più importante di tutto il capitolo:
la scoperta dei doni
Se così la si può chiamare, ovviamente. 
Finalmente posso annunciare che sì, sono proprio questi che danno il titolo alla storia, come presumo avevate giù supposto. Ciò vuol dire che sono cruciali; o meglio, essenziali. Doni conferitegli dagli stessi dei per aiutare i ragazzi a diventare degli eroi. 
Ma quali sono?
A
John è stato assegnato quello della guarigione
Ad
Emma quello della percezione.
A
Michael quello della sospensione
Ed infine, a
Skyler quello dell'immedesimazione
Che può significare, secondo voi? In cosa consistono, esattamente? 
Sono curiosa di conoscere qualsiasi vostra intuizione, e sapere il vostro parere per quanto riguarda ciò a cui potrebbero servire. 
Perchè apparentemente sembrano inutili, vero? Ma potrebbe darsi che Dahò abbia ancora qualche asso nella manica. 
Anyway, in seguito c'è un altro incontro da il nostro amato
Leo Valdez e la new entry Astrid, la figlia di Frigg non vedente. Devo ammettere che amo scrivere delle loro interazioni, soprattutto visto che si tratta di due personaggi totalmente diversi, eppure complementari. 
Una pacata, amorevole, gentile. 
L'altro iperattivo, piantagrane, combinaguai. 
La loro amicizia è forse una delle cose di cui sono più soddisfatta, in questa storia. E poi la bionda avrà un ruolo veramente decisivo nella vita di Leo. Lo aiuterà a capire molte cose, a ragionare e a far chiarezza nei propri sentimenti. 
Ne abbiamo un piccolo assaggio già qui, quando lo conduce involontariamente a parlare di
Emma e lo spinge a ricordare ciò che lei ha significato per lui. 
Ci tiene ancora molto alla figlia di Ermes, eh? Ma che ne deriverà, da questa consapevolezza?
At the end, dedichiamo poche righe anche a
Rose e Microft, uno più sfigato dell'altra sul piano amoroso, puah! 
Anche se non dà a vederlo, lei soffre molto nel vedere la sua cotta - 
Johnamare perdutamente un'altra ragazza. Mentre lui... beh, era già chiaro a tutti noi che la sua relazione con Andrea non sarebbe stata delle più facili. 
Ma almeno hanno la certezza di continuare ad essere migliori amici always and anyway. Quanto sono teneri, su una scala da uno a dieci? Gnaw. 
Bien bien, è arrivato il momento che io la finisca qui, o questo AS diventerà più lungo del capitolo stesso ahaha
Prima di andare, ringrazio come sempre i miei dolcissimi angeli, che sono la mia forza, e che mi spronano sempre ad andare avanti:
TamaraStoll, Anna in Black, Anakin Solo, Francesca lol, Black Truth e aleov7
Grazie; grazie davvero. Sto provvedendo a rispondere ad ognuno di voi, ma ho bisogno di un po' di tempo, sorrah. 
Ora vado sul serio, e vi invito a farmi conoscere qualsiasi vostro parere, bello o brutto che sia. Per ogni scrittore ricevere una recensione è la soddisfazione più grande. 
Noi ci vediamo al prossimo martedì!
Sempre vostra, yep,

ValeryJackson
 



 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***



Nella speranza di poter trascorrere qualche istante in più con la sua ragazza prima dell’inizio di una nuova giornata, Michael aveva deciso di alzarsi in anticipo, quella mattina.
Una presa di posizione che non era stata accolta con molta gioia da Percy e Rose, i quali erano stati a loro volta svegliati da una Smoke On The Water partita a tutto volume – che non era comunque stata sufficiente per togliere il ragazzo tra le braccia di Morfeo, tra l’altro.
Gli altri due avevano imprecato, e mentre lei lanciava il proprio cuscino verso il fratello e si rintanava con una smorfia sotto le coperte, il maggiore si era tirato su in piedi e l’aveva raggiunto per potergli dare un significativo pugno sulla spalla, riuscendo così a farlo alzare.
«Ci sono!» aveva mugugnato lui, sollevandosi di scatto e cercando tastoni la sveglia sul comodino che imperterrita si ostinava a suonare. Si era stropicciato poi gli occhi arrossati, sbadigliando; e quando i suoi fratelli si erano coricati nuovamente, il moro si era imposto una bella doccia fredda, sperando che il gelido getto lo rendesse attivo per affrontare la giornata.
Infine, una volta vestitosi, aveva nascosto le mani nella propria felpa, uscendo dalla Cabina Tre e avviandosi verso la Nove.
I figli di Efesto avevano sempre degli orari molto ferrei. Dato che non erano esonerati da nessuna attività del Campo e la sera non volevano rinunciare al falò per altri impegni, si adoperavano ogni giorno al fine di poter concludere ciascun incarico gli fosse stato affidato prima di colazione.
Per loro non era più un peso, ormai, ma ciò non toglieva che quell’iniziativa comportasse un grande spirito di sacrificio, e decisamente troppe poche ore di sonno.
Scendendo nelle fucine, il figlio di Poseidone si diresse senza pensarci verso la postazione di Skyler, intenta a levigare con accortezza una spada appena fabbricata.
Indossava la sua classica tuta da meccanico di jeans, infilata solamente fino alla vita e con le maniche legate attorno alle anche; sopra aveva invece una semplice maglietta bianca già sporca di qualche macchia d’olio, e aveva raccolto i capelli in una disordinata coda di cavallo.
Ai piedi portava i soliti anfibi, e nel vederli il giovane sorrise.
Le si avvicinò lentamente, ma lei – dandogli di spalle – non si accorse della sua presenza. Senza ragionarvici troppo le posò dolcemente i palmi sui fianchi, lasciandole un tenero bacio nell’incavo del collo.
Di certo fu sorpreso dalla reazione della ragazza nel momento in cui questa sobbalzò spaventata, girando repentina su sé stessa e facendo per assestargli un pugno in faccia. Michael riuscì a bloccarle il braccio a mezz’aria prima che le nocche di lei incontrassero il suo naso.
«Woah! Ehi, sta calma» le intimò, perplesso. «Sono soltanto io.»
Non appena incontrò le sue iridi ora azzurre la mora sospirò, rendendosi conto di aver trattenuto il fiato. «Miei dei, mi dispiace» si scusò, mortificata.
Lui la scrutò per qualche secondo, corrucciato. «Ti senti bene?» le domandò.
Skyler chiuse piano le palpebre, scrollando lievemente il capo e massaggiandosi le tempie. «Ero sovrappensiero» confessò, per poi tornare a rivolgere la propria attenzione sull’arma che stava aggiustando.
Il ragazzo cercò invano il suo sguardo, e notando quanto la giovane sembrasse distratta le spostò delicatamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio, inclinando la testa di lato.
«È successo qualcosa?» chiese, al ché lei strinse le labbra in una linea sottile.
Era palesemente combattuta, e mentre portava il peso da un piede all’altro non riuscì a render muto il proprio quesito interiore: dirlo o non dirlo?
Ma alla fine cedette così come il figlio di Poseidone sperava che facesse.
«Stanotte ho sognato Prometeo» sussurrò, con un fil di voce tanto lieve che lui a malapena lo udì.
Lui si irrigidì, il corpo che entrava in tensione al solo trovarsi di fronte a quel nome. Guardò la ragazza, ma quest’ultima aveva il capo chino, i pugni chiusi a farle da perno sul tavolo e l’aria assente, quasi la sua mente fosse volata via di lì.
«Mi ha detto di nuovo le stesse cose» rivelò, dopo qualche attimo di esitazione. «Ha recitato un altro indovinello, e ci ha tenuto a farmi sapere che se non lo risolvo in fretta, questa volta le conseguenze saranno peggiori. Ha usato il termine ‘evidenti’.»
Il moro digrignò i denti, maledicendo mentalmente quel figlio di Era che si divertiva a rovinare sempre di più le loro vite. Avrebbe voluto saperne di più; conoscere ulteriori dettagli del piano del titano. Ma nel momento in cui prese fiato per chiedere alla figlia di Efesto dei chiarimenti, notò i suoi occhi lucidi, di chi si stava sforzando per non piangere.
Era quasi sull’orlo delle lacrime, e per un attimo lui temette che potesse crollare all’improvviso; lì, davanti a tutti quanti.
«Ehi» la chiamò dolcemente, prendendole il viso tra le mani e facendola voltare leggermente. «Skyler, guardami» le ordinò, e tirando su col naso lei obbedì. Si focalizzò sulle iridi del colore del mare del ragazzo, che le sorrise, posando delicatamente la fronte contro la sua. «Va tutto bene. Non devi preoccuparti delle sue parole, d’accordo? Troveremo il modo il vincere questa battaglia» le promise, e ci credeva davvero. «Ci riusciamo sempre, no?»
«E cosa ti fa pensare che questa volta non sarà diverso?» replicò la mora, mordendosi la lingua per punirsi del tremitio della propria voce. «Dobbiamo fermarlo prima che colpisca troppe persone» decise poi, con un cenno. «La figlia di Morfeo… Michael, quello non è stato un suicidio» gli confidò, mortificata. «È morta a causa mia, e adesso ho paura per chi sarà il prossimo.»
Fu allora che lui ricollegò ogni punto, e ciascun tassello parve trovare il proprio posto nel puzzle.
I sogni, ricordò a sé stesso. Perché non ci aveva pensato prima?
Ora aveva tutto più senso.
«Non gli permetterò di farti del male, okay?» si impuntò, con tono deciso. «Mai. Se vorrà arrivare a te dovrà prima passare sul mio cadavere. E posso assicurarti che ho la testa dura.»
Quell’affermazione strappò un risolino alla ragazza, che si pulì il naso con il dorso della mano, abbozzando un piccolo sorriso. Rifletté qualche secondo, accarezzandogli distrattamente il petto con entrambi i palmi. Dopo di ché aggrottò le sopracciglia.
«Aspetta un secondo» mormorò, scrutandolo con un cipiglio interrogativo. «Ma tu cosa ci fai qui?»
«Ho voluto svegliarmi prima per poter trascorrere un po’ di tempo extra con la mia bellissima fidanzata» spiegò lui, un’espressione sorniona dipinta sul volto.
«Idea interessante» si complimentò Skyler, per poi arricciare il naso in modo tenero. «Ma lo sai, qui ho molto lavoro da fare, e devo concludere delle ordinazioni in mattinata. Se solo potessi…»
«Oh, ma per me non è un problema» la interruppe prontamente il figlio di Poseidone, mettendosi a sedere con un agile movimento sul tavolo di legno, insieme alle altre costruzioni. «Io me ne starò semplicemente qui, pretendendo di non esistere. E non distraendoti minimamente, mentre focalizzerò la mia attenzione su cose molto più interessanti, come ad esempio… uh!» esclamò, afferrando un oggetto a caso dal piano e fingendosi meravigliato. «Un chiodo!»
«Idiota» lo rimproverò scherzosamente la figlia di Efesto, sfilandosi l’elastico dai capelli per poterli raccogliere meglio. Tornò alle proprie mansioni, permettendo al giovane di restare lì con lei e di punzecchiarla, ogni tanto – lasciandolo, ad esempio, giocare con i suoi arnesi e rubarle qualche bacio quando lei meno se l’aspettava. Era bello averlo accanto a sé, a strapparle quei sorrisi che aveva temuto di non riuscire a fare più.
Rigirandosi un cacciavite tra le mani, Michael assunse per una frazione di secondo un’aria pensierosa. Ragionò sul discorso che avevano avuto poco prima, ripassando mentalmente tutti i punti salienti. Poi assottigliò lo sguardo.
«Posso farti una domanda?» proruppe inavvertitamente, e la ragazza, senza scomporsi, annuì.
«Ma sì, certo.»
«Qual è l’ultimo indovinello?»
La risposta non fu immediata, e sicuramente la mora dovette racimolare tutto il proprio coraggio, per darla. Ma dopo aver preso un gran sospiro, fece appello a tutta la propria memoria.
«‘Si spoglia quando comincia a far freddo’» disse semplicemente, e per quanto potesse apparire facile e scontato, il ragazzo si rese conto che in realtà non lo era.
Ma giurò a sé stesso di riuscire a risolverlo prima della fine della giornata. Lo doveva a Skyler, alla povera vittima che ne era l’inconsapevole protagonista, e anche un po’ a tutti gli altri.
Nessuno avrebbe retto un nuovo omicidio.
Il Campo Mezzosangue non poteva diventare luogo di terrore e disperazione.
 
Ω Ω Ω
 
Quando Leo le aveva annunciato l’ultima delle grandi notizie, il primo pensiero di Melanie era stato quello di avvertire John.
Il suo braccio bionico era pronto, e l’idea di sapere che effetto facesse indossarne uno le dava la nausea. Era terrorizzata da come sarebbe stato guardarsi allo specchio e vedere – dopo tutto quel tempo – quella parte di sé che le era tanto mancata.
Con il figlio di Efesto si erano dati appuntamento nella Casa Quattro nel tardo pomeriggio, quando la ragazza era certa non vi fosse nessuno. Non voleva occhi indiscreti ad osservarla in un momento così delicato; ma desiderava più di ogni altra cosa avere accanto il proprio fidanzato, che li raggiunse non appena terminò i propri allenamenti.
La figlia di Demetra era ben consapevole che il biondo le stesse nascondendo qualcosa, dato che non frequentava più le lezioni con loro nonostante continuasse ugualmente i suoi addestramenti. Magari gli altri non si erano affatto resi conto della sua assenza, però lei sì, e questo la turbava.
Nonostante ciò, continuava a fidarsi ciecamente di lui. Se non le aveva detto tutta la verità, doveva aver avuto le sue buone ragioni. E lei le avrebbe rispettate, comportandosi proprio come faceva il ragazzo nei suoi confronti.
«Allora» esordì Leo quando tutti e tre si ritrovarono nella deserta Cabina. Aveva con sé una scatola rettangolare tutta nera, che appoggiò con cura sul tavolo mentre la giovane seguiva ogni suo movimento con lo sguardo. «Premetto che è solo un prototipo» annunciò il moro. «Quindi qualora dovesse darti fastidio o farti male, apporterò le dovute modifiche. Ma per le prime volte andrà sicuramente più che bene.»
Melanie era in tensione, e a John bastò un’occhiata per accorgersene. Si avvicinò lentamente a lei, posandole le mani sulle spalle e massaggiandole gentilmente i muscoli contratti del collo.
«Te la senti?» si informò, con apprensione; anche nell’istante in cui annuì, la bionda non smise di fissare la custodia che aveva davanti. Ciò che vi era all’interno poteva rappresentare un cambiamento radicale, per lei. Lo stravolgimento totale di tutta la sua nuova vita.
La chiave d’uscita per quella prigione dorata nella quale era rinchiusa da più di un anno, e che oramai stava diventando davvero troppo stretta.
«Bene!» esultò il figlio di Efesto, facendo scattare i due lucchetti laterali e mostrando finalmente ai presenti la sua ultimissima creazione. Era molto più complesso di quanto la figlia di Demetra avesse immaginato, e dovette ammettere che non appena lo vide il suo animo fu invaso dallo stupore.
Aveva delle sembianze decisamente umane, a partire dalla forma delle dita fino ad arrivare agli incavi dell’avambraccio. Ciò che lo tradiva, però, erano gli innumerevoli marchingegni meccanici che ne delimitavano ogni particolare. Leo aveva pensato bene di realizzarlo in un acciaio molto scuro, di modo che non fosse un colpo all’occhio di coloro che lo guardavano.
La bionda deglutì quando lui si avvicinò.
«Ti aiuto» si offrì con cortesia, e lei non ebbe la forza necessaria per controbattere. «Attenta alla testa» le suggerì, legandole il cinturino necessario per sostenerlo con la massima discrezione.
Il figlio di Apollo fece due passi indietro, studiando l’espressione neutra ed indecifrabile della ragazza. Quest’ultima incontrò le sue iridi verdi in cerca di supporto, non sapendo neanche lei stessa come reagire dinanzi alle emozioni contrastanti che la dominavano. Il giovane le sorrise, nel vano tentativo di incoraggiarla.
Una volta terminato di sistemarlo, Valdez contemplò la propria opera, con un ghigno palesemente compiaciuto.
Melanie si avvicinò con titubanza allo specchio, incapace di sillabare alcuna parola. Quell’arnese era freddo al contatto, e mai come in quell’attimo lo percepì a tutti gli effetti come un corpo estraneo. Non riuscì neppure a prestare attenzione al discorso del figlio di Efesto, intento a spiegarle tutto ciò che c’era da sapere sulla sua invenzione: era in grado di collegarsi con qualsiasi nervo ancora attivo del suo moncone, e proprio per questo motivo – seppur con una leggera fatica – sarebbe riuscito a rispondere agli stimoli nervosi inviati dal cervello, proprio come un arto normale.
Ma alla bionda questo non interessava. Nell’istante stesso in cui l’aveva indossato aveva avuto l’impressione che ci fosse qualcosa di fortemente sbagliato, in tutto quello. E solo quando scorse il proprio riflesso capì il perché.
Quella non era lei. Quel braccio… non era il suo, non lo sarebbe mai stato.
Non sarebbe più tornata quella di una volta; e per quanto potesse provarci, avrebbe continuamente fallito.
Osservare quell’affare metallico che non aveva nulla a che vedere con lei non fece altro che ricordarle come mai si trovassero lì.
Aveva riposto tutta la propria fiducia nell’illusione di poter tornare ad essere come tutte le altre ragazze; normali, al di là di tutto. Ma la verità era che non aveva alcuna possibilità.
Dei due giovani, John fu il primo a notare i suoi occhi lucidi, la sua espressione triste e delusa.
«Come va?» le chiese con cautela, al ché lei si morse il labbro inferiore, distogliendo bruscamente lo sguardo dalla propria immagine.
«Toglietemelo, per favore» li pregò, con voce tremante.
«Ti sta molto bene» ci tenne a complimentarsi Leo, con ingenuità.
Melanie strizzò gli occhi. «Vi prego, levatemelo» ripeté.
«Ma…» cercò di obiettare il moro, confuso.
«Vi prego» reiterò ancora lei, sull’orlo di un crollo emotivo.
«Hai sentito che cosa ha detto? Togliglielo subito!» sbraitò repentino il figlio di Apollo, furioso al pensiero che quella stupida idea avesse avuto come unico risultato il farla stare così male. «Valdez, toglile quel fottutissimo affare!»
«Okay, okay» si affrettò a borbottare il figlio di Efesto, mostrando i palmi in segno di resa nonostante le proprie perplessità. Sfilò velocemente il cinturino dalla spalla della bionda, e appena il braccio metallico cadde nelle sue mani vide lei ritrarsi con un sussulto, massaggiandosi mortificata il moncone.
«Se non ti piace posso modificarlo» propose l’ispanico con semplicità, ma si sentì comunque tirare per la callotta dall’altro, che lo allontanò dalla giovane.
«Va via, Valdez» gli suggerì il biondo, con tono deciso e autoritario.
«Mi dispiace tanto» si scusò affranto Leo, che nel frattempo fu trascinato verso la porta. «Io non volevo…»
«Va via» disse ancora una volta John, lanciandogli un’occhiata molto significativa che fece intendere al ragazzo di essere di troppo, in quel momento. A malincuore abbandonò la stanza, lasciando i due giustamente soli.
Il primo istinto del figlio di Apollo fu quello di trovare le parole più adatte per consolarla, ma quando le fu accanto tutto ciò che gli venne istantaneo fare fu attirarla a sé e stringersela al petto.
Perdendosi in quell’abbraccio, la figlia di Demetra si lasciò andare ad un pianto sommesso, in seguito al quale lui prese ad accarezzarle teneramente i capelli.
«Ssh» le sussurrò dolcemente, e per lei fu impossibile trattenere un singulto. «Va bene» le assicurò, con tono comprensivo e pacato. «È tutto okay. Va bene lo stesso.»
«Non tornerò mai quella di una volta» singhiozzò la ragazza, nascondendo le lacrime nella stoffa della sua maglietta. «Sono destinata a restare così per sempre.»
«Melanie» la riprese quindi il giovane, scansandosi da lei quel tanto che bastava per poterla guardare negli occhi. Le sue iridi color nocciola erano lucide, tristi. «Non devi preoccuparti per questo. Voglio dire, anche se così fosse e tu fossi destinata a vivere per sempre con un braccio solo… va bene così. È questa la te di cui mi sono innamorato, d’accordo?» le ricordò. «E i miei sentimenti nei tuoi confronti non cambieranno mai, che ti piaccia oppure no. Senti il ritmo del mio cuore» le intimò poi, portandosi la sua mano sul petto e sorridendole. «Batte solo e unicamente per te. E continuerà a farlo anche in cento vite, e in cento mondi, e in ogni versione della realtà.» Dopo di ché le baciò con delicatezza la fronte, lasciando le proprie labbra lì qualche secondo in più del necessario.
Melanie ridacchiò, grata di aver avuto il privilegio di incontrarlo sul proprio cammino. «Guarda» rise divertita, al ché lui inarcò un sopracciglio, interdetto.
«Che c’è?»
«Ti ho bagnato tutta la maglietta.»
Il ragazzo guardò il proprio capo, un angolo della bocca alzato. Le prese teneramente il volto tra le mani, pulendole le guance e gli zigomi con i pollici. «Se questo bastasse a farti stare meglio, metterei a tua disposizione ogni singolo abito nel mio armadio» affermò, ed era sincero. Si chinò di poco su di lei per baciarla, e la bionda rispose con passione, permettendogli di approfondirlo.
«Ti amo» si sussurrarono a vicenda tra un respiro affannoso e l’altro, mentre le loro lingue si spingevano cautamente, danzando in perfetta sincronia.
La figlia di Demetra era più che sicura di non aver fatto nulla, nell’arco della propria esistenza, per meritare tutto l’amore che invece lui era intenzionato a darle.
John era perfetto; avrebbe potuto optare per qualsiasi altra ragazza volesse, e invece aveva scelto lei.
Lui riusciva a capirla, a confortarla, a proteggerla. Lui era tutto ciò che si potesse desiderare.
John era un dono che gli dei le avevano fatto affinché se ne prendesse cura fino al proprio ultimo fiato.
Lui era il suo miracolo.
 
Ω Ω Ω
 
Quando Michael e Skyler avevano chiesto a Chirone di poter affrontare il turno di guardia ai confini del Campo insieme, il centauro non aveva saputo dire di no.
Dirigendosi verso Nord con le proprie armi sguainate, i due giovani avanzavano in un religioso silenzio, con le vette degli alberi che proiettavano delle ombre spettrali sul sentiero sotto i loro piedi.
«L’albero» sospirò ad un tratto il figlio di Poseidone, 
senza apparente motivo. La mora gli lanciò una fugace occhiata, stranita.
«Come hai detto?»
«Ho risolto l’indovinello» spiegò allora lui.
Il sangue della ragazza si gelò, a tal punto da farla bloccare sul posto, irrigidita. Lo fissò, colta alla sprovvista.
«Davvero?» si accertò, stupita.
«Ci ho pensato per tutto il giorno» ammise con serietà il ragazzo. «‘Si spoglia quando comincia a far freddo’» recitò, prima di fare una lunga, nervosa pausa. «È l’albero, credo.»
La figlia di Efesto vi ragionò su. «In effetti avrebbe senso» pattuì, per poi stropicciarsi gli occhi con frustrazione. «Ma questo che cosa significa?» sbottò, buttando le braccia in aria. «Chi sarà la prossima vittima? Un figlio di Demetra?»
Il moro sbuffò dal naso. «Quando John lo saprà, andrà fuori di testa.»
«Dobbiamo impedire che ciò accada» si impose quindi lei, in un’aspettata scarica di fiducia. «Adesso giochiamo d’anticipo, no? Sappiamo già qual è il suo intento. Forse possiamo fermarlo.»
L’intenzione del ragazzo era quella di assentire, per rassicurare la giovane che sì, ce l’avrebbero fatta anche stavolta. Ma nell’istante stesso in cui prese fiato per farlo, fu interrotto da un suono acuto che sferzò l’aria sopra le loro teste.
Un urlo, subito seguito dal feroce ruggito di un mostro e da un altro strillo di puro terrore.
Skyler fu la prima ad uscire da quel pietrificante stato di shock, e si voltò di scatto in direzione di quelle grida.
«Maledizione» imprecò a denti stretti, correndo a perdifiato con un Michael preoccupato al seguito che la pregava di aspettare. Ma lei non vi badò. Si ostinò ad aumentare il passo fino a che non giunsero al limite imposto dalla barriera creata dal pino di Talia. Scrutò freneticamente il paesaggio intorno a sé, ma non scorse anima viva.
Eppure era sicura di aver udito quella disperata richiesta d’aiuto.
Appena il figlio di Poseidone la raggiunse, la imitò per qualche attimo. Poi intravide qualcosa nella fitta oscurità, all’interno del confine.
«Skyler» mormorò, e la figlia di Efesto corrucciò le sopracciglia quando lo sentì trattenere il fiato. Guardò spaesata nel punto in cui lui aveva posato lo sguardo. Inizialmente non vi vide nulla di particolare. Ma dopo un po’ sotto le sue iridi scure divennero nitidi i contorni di quella che sembrava una cesta.
Con circospezione, la ragazza vi si avvicinò, basita. Conteneva nient’altro che una coperta azzurra, con sopra un foglio bianco ripiegato quattro volte.
Era stata rovinata da vari graffi e segni di colluttazione, ma il fatto che fosse ancora integra lasciava intuire che fosse stata difesa fino allo stremo.
Inginocchiandovisi accanto basita, la giovane ebbe per un istante l’impressione che vi fosse qualcosa di più importante, sotto quel telo. Il suo sesto senso la spinse a non reprimere lo stimolo di spostarlo.
«Attenta» la mise in guardia il ragazzo, pronto a qualunque tipo di eventualità.
Lei esitò un attimo, prendendo un profondo respiro. Poi scostò lentamente il panno.
Ciò che scoprì nascondeva le smorzò di netto il fiato, costringendola a sgranare gli occhi.
Vi giaceva infatti un bambino.
Un bambino…
Non doveva avere più di dieci mesi; aveva delle guance paffute e degli appena accennati boccoli chiari. Sonnecchiava tranquillamente, ciucciandosi il ditocome se non si fosse accorto di dove si trovasse, o di come fosse arrivato fin lì.
«Oh miei dei» sussurrò incredula Skyler, sfiorandogli con timore la testa quasi volesse assicurarsi che fosse reale, e che non se lo stesse solo immaginando.
Un bambino…
Come aveva fatto a giungere al Campo?
Dato che aveva superato la barriera… era un mezzosangue?
Con chi era venuto?
Dov’era la sua mamma?
Nella vana speranza di capirci qualcosa in più, la figlia di Efesto prese con mani tremanti il biglietto che aveva notato in precedenza, indecisa se fosse giusto leggerlo o meno.
La curiosità e lo sgomento ovviamente ebbero la meglio, ma nonostante ciò, quando lo aprì non vi trovò una lettera dettagliata e precisa, né tantomeno delle informazioni.
Sono tre concrete parole.
Si chiama Dave.” 

Angolo Scrittrice.
Questa volta non è colpa mia, lo giuro
Il capitolo era già pronto ieri pomeriggio, ma la connesione a casa mia era del tutto andata, e non siamo riusciti a ristabilirla fino a stamattina. Sto davvero cominciando a credere che questo 2015 abbia complottato fino alla fine contro di me... damn, non so più come scusarmi, davvero.
Posso solo promettervi che con l'avvento dell'anno nuovo supererò qualsiasi ostacolo mi si parerà davantti pur di essere puntuale. Purtroppo stavolta è andata così, ma troverò il modo di farmi perdonare.
Dunquo, dunquo... questo è ufficilamente l'ultimo capitolo dell'anno, ragazzi. Allora, che ne pensate? 
Spero di essere riuscita a creare la giusta suspance. 
Ma partiamo dal principio. 
Mi sono resa conto che c'è bisongo di più punti di vista di
Michael. La prima storia ne era zeppa; nella seconda, invece, scarseggiavano, dato che prima della metà era addirittura scomparso. Ora è il momento di ricordare com'era vedere il mondo con gli occhi del nostro figlio di Poseidone. 
Skyler ha sognato di nuovo Prometeo, e questa volta, oltre alle minacce, è arrivato un nuovo indovinello. Fortunatamente, però, sono riusciti a risolverlo più in fretta. 
'Si spoglia quando fa freddo'. L'albero, ovviamente. 
Ma questo cosa può significare?
C'entra forse un figlio di Demetra? Chi è in pericolo, secondo voi?

Leo, poi, ha finalmente ultimato la costruzione del braccio bionico per Melanie
Ma come vedete, l'effetto non è stato quello sperato. Coloro che avevano consigliato alla ragazza di non prendere in considerazione quell'idea aveva visto giusto. 
Per lei è stato traumatizzante, e l'unica conseguenza è stata solo il ricordare tristemente che non tornerà mai più quella di una volta. 
Per fortuna ha 
John. Il loro amore sta davvero superando ogni ostacolo e barriera, e diventa ogni volta più profondo, più sincero.
Forse Melanie non ha più bisogno di un braccio, per essere felice. 
Parliamo invece del finale, dove mi sono impegnata come non mai al fine di conludere con un bel punto interrogativo. 
Vi avevo accennato ad una particolare novità, no? Beh, eccola qui. 
Al Campo è giunto niente popo di meno che un bambino. Nel senso letterale della parola.
Ha pressocché dieci mesi, e di lui non si sa nulla, se non che apparentemente sembra chiamarsi
Dave
Ma che cosa ci fa lì? Come ci è arrivato? Come va giudicato un evento del genere? 
Sarà un mezzosangue? Perché l'hanno inviato fin lì?
Si accettano scommesse ed ipotesi di ogni genere, anche se strambe e insensate. Con me non si può mai sapere, right? Vi avverto che tutto è possibile. 
D'accordo, ora è arrivato il momento, per me, dei ringraziamenti. Inizio con i miei Valery's Angels, per i quali poche righe non bastano e non basteranno mai:
Anna in Black, Anakin Solo, Black Truth e TamaraStoll
Poi vorrei ringraziare tutti voi che avete seguito la storia fin qui, soprattutto le quindici persone che l'hanno messa tra le preferite e le altre quindici che l'hanno aggiunta tra le seguite. 
Non siete molti, e mi rendo conto che rispetto alle altre due storie c'è stato un calo... ma il sostegno di ognuno di voi è essenziale, per me. E poi sono fiduciosa. Magari con l'anno nuovo quest'ultimo capitolo della "saga" interesserà a più persone. Io intanto lo scrivo nella letterina per Babbo Natale... 
Anyway, prima di andarmene volevo annunciarvi che aveva pensato di rendere questo Angolo Scrittrice un po' più... interattivo. Potrei porvi delle domande, o interagire con voi attraverso giochi e indovinelli. 
Da questo momento in poi, dunque, troverete il verde la zona interattiva, subito dopo il mio nome. 
Adesso mi dileguo, perché so che non avete più voglia di ascoltarmi ahaha
Mi scuso per i miei soliti Angoli Scrittrice infinite (che cercherò di ridimensionare), e vi annunciò che il prossimo martedì non pubblicherò, e che quindi il nuovo capitolo arriverà direttamente il 5 Gennaio 2016. 
Questo singifica che questo è definitivamente l'ultimo capitolo di The Girl On Fire che pubblicherò nel 2015... ñu :c
Okay,
Buon Natale a tutti voi, miei dolci fanciulloschi. E buon anno nuovo! 
É sempre un onore condividere il mio tempo con voi. 
Tanto torrone blu a tutti quanti!
Sempre vostra, 

ValeryJackson
 
► INTERACTIVE ZONE.
Eccoci qui, ragazzi! Che dite: è stata una pessima idea?
Spero che vi divertirà questo piccolo spazio al quale non dedicherò più di qualche riga, e che abbiate voglia e tempo di interagire con me. 
Ecco la domanda che ho intenzione di porvi prima dell'inizio dell'anno: 

Qual è la vostra coppia preferita di questa storia?
Canon, non canon, fittizia... anche se quei due personaggi non sono mai stati o non stanno più insieme, sono curiosa di sapere qual è la relazione che avete apprezzato/apprezzate di più di The Girl On Fire. 
Mi auguro che rispondiate numerosi! 




 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***



L’arrivo del piccolo Dave era stato un vero e proprio scandalo, lì al Campo Mezzosangue.
Tutti quanti – persino satiri e ninfe – erano stati messi in prima linea nelle ricerche sulla storia di quel bambino, ma nessuno era riuscito a scoprire qualcosa.
Né da dove venisse. Né cosa ci facesse lì, o come ci fosse arrivato.
Né chi avesse scritto il biglietto da cui era stato accompagnato, che si limitava ad annunciarne e nome e nient’altro.
Skyler e Michael affermavano di aver sentito l’urlo di una persona – una donna, probabilmente. Ma era difficile dar peso a quell’informazione quando loro erano i primi a dubitare dei propri ricordi.
«È tutto confuso» si era scusata lei, 
mortificata, quando le erano stati i chiesti i dettagli e le precise dinamiche.
Il passato di quella creatura era un tabù. Un enigma che nessuno sembrava in grado di risolvere.
In più, molti ben presto vi rinunciarono, accettando l’idea che fosse “piovuto dal cielo”.
«Non si sa nemmeno il suo genitore divino!» aveva obiettato un pomeriggio un figlio di Loki, in una pausa dalla lezione di scherma. «O se è nordico o greco. Per quanto possibile, potrebbe essere anche romano. O non essere affatto un semidio. Chi può dirlo? Anima viva. E quindi perché perdervi tanto tempo?»
Non aveva tutti i torti, questo la figlia di Efesto doveva riconoscerglielo. Ma trovava comunque ingiusto che un bambino così piccolo fosse stato lasciato in balia di sé stesso e che nessuno si sforzasse di capirne la vera ragione.
«Non è un mostro, altrimenti non avrebbe superato il pino di Thalia» aveva annunciato con fermezza Chirone, durante il Consiglio d’Urgenza che la Signora Gunvor aveva invocato con partecipi tutti i maggiori. Nessuno di loro aveva mai avuto a che fare con un essere così giovane e bisognoso di cure, e il problema più rilevante si pose nell’istante in cui non si seppe dove collocarlo.
«La Casa Grande non è un posto adatto per un neonato» aveva subito messo in chiaro il centauro.
«Finché non saremo certi del sangue che gli scorre nelle vene, il fanciullo non metterà piede qui dentro» aveva ribattuto sdegnata la direttrice.
«Sarebbe difficile affidarlo alle driadi, dato che sono notoriamente egoiste» aveva fatto notare Mr. Jensen, accarezzandosi la propria chioma lucente.
«E i satiri non sono famosi per il loro istinto materno, giusto?» aveva ricordato distrattamente Mr. Nilsen, aspettando poi una conferma dai presenti.
«Perché non affidarlo ai figli di Poseidone, invece?»
La proposta di Dahl aveva lasciato basiti tutti quanti, che si erano girati all’unisono per fissarlo, quasi sperassero di trattasse di uno scherzo.
«Affidarlo a dei… ragazzini?» si era accertata con disgusto la Gunvor, al ché lui aveva inarcato un sopracciglio.
«Ha altre alternative?»
«Sono inesperti!» si era urtata lei.
«Senta, Phil» era intervenuto sconcertato Chirone. «Voglio bene a quei giovani come fossero figli miei, lo sa. Ma non credo che siano i più indicati per…»
«Perché no?» l’aveva interrotto lui, corrucciato. Si era sporto leggermente in avanti, congiungendo i palmi sul tavolo. «Sono solo in tre, quindi hanno abbastanza spazio per permettere all’infante di sostare in un luogo privo di caos. Uno di loro ha salvato l’Olimpo due volte. L’altro ha impedito un’epidemia trovando la cura per una malattia centenaria. La ragazza è giovane, ma vanta un grande spirito di adattamento e una forte sensibilità. Io mi fido loro» aveva sentenziato poi, prima di rivolgere al centauro uno sguardo molto significativo. «E lei?»
Quello ci aveva messo un po’ per rispondere, prendendosi tutto il tempo necessario per meditare sulle sue parole e valutare quell’ipotesi.
«Anch’io» aveva annuito poi, senza tentennamenti. La Gunvor aveva battuto un pugno sul piano.
«Permettetemi di farvi notare che la decisione finale, qui, spetterebbe a me» aveva detto, piccata.
«Senza offesa, Signora» aveva replicato Phil, con un sorriso sghembo. «Ma la voce in capitolo per quanto riguarda questa faccenda le è stata tolta nel momento in cui ha affermato che se il bambino non fosse stato nordico, non avrebbe potuto mettere piede nella sua tenuta. E dato che non conosciamo neanche il cognome del piccolo…»
Sarebbe stato del tutto superfluo concludere quella frase, perché il messaggio era già chiaro. Con un ringhio di frustrazione, la donna aveva dichiarato conclusa la riunione e aveva ordinato ad ognuno di tornare alle proprie mansioni.
Una volta lasciata la stanza, Dahl si era preso l’impegno di riferire ai figli di Poseidone quanto era stato deciso, dato che a conti fatti era dipeso da lui.
Aveva fatto per andarsene, seguito a ruota da tutti gli altri; ma una volta giunti fuori, Chirone l’aveva pregato sottovoce di fermarsi, e aveva aspettato che fossero finalmente soli per poter parlare.
«Siamo in un bel guaio» aveva mormorato con accortezza, attento che solo lui lo sentisse. «L’arrivo improvviso di Dave… tutto corrisponde alle parole delle Parche.»
«Lo so» aveva assentito Filottete, accarezzandosi pensieroso la barba. «È per questo che voglio che quel bambino resti in mani sicure. Almeno fino a quando non capiremo il suo ruolo in tutto questo…»
«La sua presenza non è un buon segno.»
«No» aveva confermato l’uomo, facendo schioccare la lingua. «Indica che la Profezia si sta avverando.»
Il centauro aveva spostato il peso da uno zoccolo all’altro, nervoso ma soprattutto turbato dalla tranquillità del collega. Quasi non fosse minimamente preoccupato; come se la gravità del problema non lo sfiorasse minimamente.
«Così non va bene. I ragazzi non sono ancora pronti.»
«Li sto allenando» aveva obiettato secco Phil, senza distogliere le proprie iridi scure da un punto indefinito dinanzi a sé.
«Potrebbe non essere sufficiente.»
«Ce la faranno.»
«Non c’è abbastanza tempo!»
«Non posso affrettare le cose, d’accordo?» aveva sbottato improvvisamente Dahl, irritato. «Mi hai chiesto di aiutarli, ed è quello che sto facendo. Ma non posso forzarli ad utilizzare i loro doni, chiaro? Dev’essere un abbandono naturale alle loro capacità, altrimenti non otterranno mai i risultati a cui ambiamo.»
«Prometeo non aspetterà che loro siano in grado di combattere, per attaccare.»
«Sai, mi occupo di questi quattro solo da una settimana, ma ho avuto modo di conoscerli a fondo, e di capire che non sono affatto come tutti gli altri. Sono tenaci, e testardi, e determinati. Fuori dal comune contro ogni convenzione. Hanno molto da imparare, ma hanno le doti giuste per farcela.» Gli aveva lanciato una fugace occhiata, assottigliando di poco lo sguardo. «Meritano la tua fiducia.»
«A volte il merito non basta» era stato l’unico commento affranto di Chirone, prima che Filottete decidesse di allontanarsi, dirigendosi verso la sua imminente lezione.
 
Ω Ω Ω
 
A Rose piaceva giocare con Dave, e Michael l’aveva intuito nell’attimo in cui era stata annunciata a lui e ai suoi fratelli l’ultima delle novità e la ragazzina era stata la prima a farsi avanti per prenderlo in braccio.
Era della strana sensazione che aveva provato nel vederla prendersi già cura di un bambino che stava raccontando ai suoi amici, mentre con ormai disinvolta abitudine si dirigevano verso la palestra.
Trovarono Phil lì ad aspettarli esattamente come ogni mattina degli ultimi sette giorni, e dopo essersi scambiati un rapido saluto attesero in silenzio che l’uomo desse loro il tipico carico eccessivo di esercizi.
Cosa che, però, non avvenne.
Quello si limitò infatti a scrutarli per qualche secondo, prima di infilare una mano nella tasca dei pantaloni e gesticolare con l’altra.
«Allora» esordì, con un’insolita spensieratezza. «Dormito bene?»
I ragazzi si scambiarono una rapida occhiata, lievemente interdetti.
«Suppongo di sì» disse piano Skyler, con incertezza.
«Grandioso» esultò pacato lui, annuendo tra sé e sé. «Abbiamo molte cose di cui parlare, oggi.»
«Ahi, ahi» cantilenò ironica Emma, appoggiando il proprio peso sul tavolo delle armi ed incrociando le braccia sotto il seno. «Questo non promette bene.»
Dahl si concesse un ghigno divertito. «Potete mettervi comodi» li tranquillizzò, ma nonostante questo i quattro non si mossero. Lui si morse l’interno della guancia in un gesto involontario, dal un lato compiaciuto della loro cocciutaggine. Quello era solo uno dei tanti aspetti che li accumunava.
Era in momenti del genere che non si meraviglia che fossero tanto amici.
«Ho deciso che vi parlerò del vostri doni» annunciò, e per poco quelli non si strozzarono con la loro stessa saliva.
«Davvero?» fece il figlio di Poseidone, stupito.
«Adesso?» rincarò la dose la figlia di Efesto, confusa.
«Non è quello che volevate?» domandò a sua volta l’uomo, come se lo ritenesse scontato.
«N-No. Cioè, sì. Insomma» balbettò la mora, faticando a mettere in ordine i propri pensieri. «Credevamo che non ce ne avrebbe parlato finché non ci avrebbe ritenuti pronti.»
«Beh, ma voi siete pronti» le palesò lui, con una scrollata di spalle. «Le siete sempre stati, solo che volevo aspettare almeno un paio di settimane per esserne sicuro.»
«E ora cos’è cambiato?» chiese prontamente John, corrugando la fronte.
«Lo scorrere degli eventi ci sta mettendo alle strette» confessò Phil. «Siamo al centro esatto di una guerra che potrebbe sfociare da un momento all’altro. Non possiamo più permetterci esitazioni.»
«E quindi cos’ha intenzione di fare?» volle sapere la figlia di Ermes.
«Inizierò proprio da te, Walker» esclamò lui, puntandole sfacciatamente l’indice contro. «Il tuo dono. Dimmi qual è.»
«Qualcosa che riguarda i sensi, mi sembra.»
«Più precisa.»
«La percezione» le suggerì Skyler.
«Bingo!» assentì l’istruttore, per poi rivolgere nuovamente la propria attenzione alla bionda. «Sai che cosa significa?»
«Mh…» La ragazza fece finta di ragionarvici su. «Ha a che fare con il tempo atmosferico?»
«Sbagliato!» la corresse lui. «Qui parliamo di una percezione molto più sottile: quella dell’animo umano. Tu riesci a capire se una persona è buona o cattiva. Tecnicamente dovresti vedere un’aura attorno agli altri, il cui colore varia a seconda della loro purezza. Ti è mai successo?»
La giovane titubò, accorgendosi solo dopo aver risposto di aver trattenuto il fiato. «Una volta» ammise, colta in contropiede. «Una volta soltanto. Ma lei come lo sa?»
«Perché ho imparato a conoscervi, e ormai sono convinto che le mie deduzioni siano esatte» si limitò a spiegare Dahl. Fece un passo verso di lei, cercando le sue iridi argentate. «Ti insegnerò ad avere piena consapevolezza di ciò che vedi. E quando il tuo potere giungerà alla sua massima prestazione, imparerai ad anticipare gli avvenimenti, percependo il futuro.»
«Pazzesco» si lasciò sfuggire Michael, affascinato.
«Smith! Qual è il tuo, di dono?»
«La sospensione» ricordò il ragazzo.
«La sospensione di che cosa, secondo te?»
«Qualche oggetto?» azzardò il moro, indeciso. «Qualche sostanza nell’aria?»
«Il tempo
Il figlio di figlio di Poseidone si grattò una tempia, perplesso. «Okay» ridacchiò. «Questo è assurdo anche per me.»
«Chi si ricorda che cosa vi ho detto quando ve li ho nominati per la prima volta?» si informò Filottete, tamburellando leggermente due dita sulle proprie labbra.
«Ci ha dato dei perdenti» borbottò Michael, con una punta di rancore.
«Esattamente» confermò l’uomo. «Vi ho detto che vi avrei aiutato a focalizzarvi sulle vostre emozioni represse. Rabbia. Odio. Tristezza. Rancore. Paura. Anche se può sembrarvi strano, sono queste che alimentano al punto giusto i vostri spiriti. Perciò, dovete lasciarle libere di esprimersi.»
«Ma questo non ha senso!» obiettò Emma, allargando le braccia. «Sensazioni del genere non portano altro che guai. Non è per questo motivo che per anni abbiamo imparato a controllarle?»
«Già» si unì la figlia di Efesto, contrariata. «Se come dice lei dobbiamo abbandonarci alla loro irruenza, come faremo a sapere quando staranno per creare danni?»
«Non ho mai accennato al fatto che sarebbe stato facile» si giustificò Dahl, mostrando innocentemente i palmi. «Ognuno di voi a dei principi diversi, che però vanno a sfumarsi quando l’impulsività prende il controllo. Da questo istante in poi, inizierò a lavorare singolarmente con ognuno di voi» chiarì. «E oggi in particolare iniziamo da…» Li studiò attentamente, uno ad uno. «Vediamo, vediamo…» Quando incontrò gli occhi verdi del figlio di Apollo, batté con vigore le mani. «Johnny!» gioì.
«Non mi chiami così» mormorò a denti stretti il biondo, raggiungendolo.
Filottete finse di ignorarlo. «Walker, il coltello» ordinò, schioccando le dita.
La ragazza parve interdetta. «Come sa che ho…?»
«Il coltello, grazie» insistette lui. La figlia di Ermes sbuffò, estraendo la propria arma di fiducia dalla tasca posteriore dei jeans e lanciandogliela senza dubitare che l’uomo riuscisse ad afferrarla al volo con la massima agilità.
John lo fissò per qualche attimo, indeciso. «Ha intenzione di farmi del male?» scherzò.
«Non a te» gli palesò Phil, per poi rigirarsi abilmente l’elsa nel palmo e premersi senza incertezze la lama contro l’avambraccio, provocandovisi una dolorosa ferita sotto lo sguardo allibito di tutti.
«Ma cosa fa!» tentò di fermarlo Skyler, anche se oramai era troppo tardo.
Fiotti di sangue cremisi gli colarono fino alle dita, infrangendosi placidamente al suolo; ma lui non vi badò.
«Guariscila» impose autoritario a ragazzo, ma quest’ultimo non riusciva a risollevarsi dallo shock dovuto a quell’inaspettato gesto.
«I-Io…» balbettò, confuso.
«No?» lo incalzò l'altro bruscamente, inarcando scettico le sopracciglia. «Bene.» Non diede neanche tempo al giovane per metabolizzare l’accaduto: si avvicinò a lunghi passi alla figlia di Efesto, afferrandola per un polso. Lei oppose resistenza, soffocando un insulto in fondo alla gola; ma prima che potesse sperare di chiedere che cosa volesse farle, Dahl le inflisse un profondo taglio sul braccio, facendole sfuggire un grido di dolore.
«Allora guarisci questa» intimò al biondo, che fece subito per accorrere dall’amica.
«Lei è pazzo!» lo accusò il ragazzo, sdegnato.
«Fallo, forza.»
«Ho bisogno di alcool e bende» gli fece quindi notare il figlio di Apollo, al ché l’uomo imprecò.
«Non con quelle, idiota!» sbraitò, esasperato. «Usa il tuo dono.»
«Se sapessi farlo non saremmo qui, non crede?» replicò indispettito il giovane, massaggiandosi le tempie con i nervi a fior di pelle.
«In qualche modo dovremo pur iniziare» lo riproverò l’adulto, per poi dargli una fastidiosa spinta sulla spalla. «Coraggio.»
«D’accordo!» scattò con ira John, strizzando le palpebre al fine di concentrarsi. Non riusciva a capire quali fossero le aspettative nei suoi confronti. La frustrazione lo pervase, insieme alla consapevolezza di non esserne all’altezza.
Curare le persone? Era questo che si supponeva che facesse?
Lui era un figlio del dio della medicina, certo; ed era stato in grado di aiutare molta gente in molteplici occasioni.
Ma questo? Questo andava oltre ogni limite del possibile.
Lui non era un mago. Era solo un ragazzo di diciotto anni con poca esperienza e tanto spirito di sacrificio.
Era in procinto di ammettere ad alta voce di non potercela fare, accettando così l’eventuale luccichio di delusione negli occhi dell’istruttore. Ma non appena prese fiato per parlare, le sue iridi chiare si posarono sullo sfregio che era stato fatto al braccio della sua migliore amica, e in lui scattò qualcosa.
Non era nuovo quel sentimento, per lui.
Era lo stesso che provava sempre, e che lo spingeva a proteggere le persone.
Una vampata di calore che gli attanagliava la bocca dello stomaco, e che sostituiva il panico con una freddezza chirurgica capace di offuscargli qualsiasi senso non fosse di supporto in quei momenti.
Odiava vedere le persone a lui care soffrire; ma ancor di più detestava il solo pensiero che ciò potesse accadere a causa sua.
Avrebbe fatto qualsiasi, qualsiasi cosa pur di evitarlo.
Si trattò di un attimo; un concetto affatto misurabile in unità di tempo. I polpastrelli gli formicolarono, ed un brivido partì dalla sua nuca, attraversandogli perverso la colonna vertebrale. Un bruciore insolito gli invase le vene, unito ad un fastidioso ronzio che si impadronì dei suoi timpani, costringendolo ad una smorfia.
Si rese conto di aver stretto tra le dita il braccio dolorante di Skyler solo quando lo squarcio che vi era stato inferto prese a risanarsi, quasi non vi fosse mai stato.
Con le orecchie che ancora fischiavano, il ragazzo barcollò all’indietro, spaventato.
«Impossibile» scosse il capo, le pupille dilatate e la testa che girava a causa dello sgomento.
«Pazzesco» si complimentò Michael, euforico.
«Incredibile» sussurrò la mora, con un fil di voce.
«Interessante» fu invece l’unica osservazione di Dahl, che di tutta quella faccenda non era affatto sorpreso. Pareva piuttosto compiaciuto. «Hai dei nervi di acciaio, e non è facile metterti sotto pressione» appurò, con un sorrisetto soddisfatto dipinto sulle labbra. «Ma il tuo forte senso di protezione verso i tuoi amici lascia libero il tuo istinto di fare ciò che vuole. Fantastico!» si entusiasmò, tirando a sé il pugno chiuso in segno di vittoria. «Partiremo da lì.»
«Che cosa vuole fare?» domandò piano John, ancora un po’ confuso. «Non può fare del male a tutti quanti nella speranza che io possa guarirli» sottolineò, con disappunto. «Non so neanche come ci sono riuscito.»
«Questo lo so, ragazzo» assentì lui, dandogli una vigorosa pacca dietro la schiena, che lo fece sussultare. «Ma è quello che scopriremo oggi. Voi altri, andate via. Non c’è bisogno di voi, qui.»
«E allora perché ci ha convocati?» si indispettì Emma, imbronciata.
«Perché dovevo fare un esperimento» ghignò Phil, rivolgendo poi il suo totale interesse al figlio di Apollo. «Che a quanto pare ha dato il risultato sperato. Voi tre, fuori» ribadì, con un cenno. «Johnny, tu vieni con me.»
«Le ho detto di non chiamarmi così» farfugliò per l’ennesima volta il biondo, scocciato.
«Veloce!»
Ebbene sì, Filottete non lo ascoltava già più. Sapere di aver trovato il modo giusto per invogliare i ragazzi ad utilizzare al meglio i loro doni era per lui la vittoria più grande.
Anche se molti avrebbero dissentito, lui continuava ad essere convinto che il metodo più efficace per ottenere il massimo da adolescenti che a malapena hanno fiducia nei propri ideali era quello di insegnargli a non denigrare le loro debolezze.
Perché queste non li rendevano vulnerabili, ma semplicemente fragili e potenti come tutti gli altri esseri umani forti e profondi che durante i suoi tanti anni di vita aveva avuto l’onore di incontrare.
 
Ω Ω Ω
 
Borbottando tra sé e sé lamentele incomprensibili, Microft tentò di ignorare il più possibile le occhiate inquisitorie che i nordici continuavano ad indirizzargli dall’istante stesso in cui aveva messo piede nella loro tenuta.
Non era stata una decisione sua, ovvio.
Nel primo pomeriggio un figlio di Frigg era entrato nella loro Cabina, affermando che vi era un guasto in uno dei loro bagni in comune e che avevano bisogno del loro aiuto per ripararlo.
In altre circostanze una richiesta del genere sarebbe parsa sospetta (insomma, perché mai avrebbero dovuto sperare nell’assistenza tecnica di greci?); ma gli era bastato dire che era stata una delle sue sorelle a consigliargli di andare lì per convincere Leo ad accettare l’offerta.
E così eccolo lì: rubinetto rotto – primo piano – seconda fila di bagni a destra. Chissà perché il moro aveva sempre immaginato di entrare per la prima volta in quel luogo in occasioni del tutto diverse.
Magari con un invito ufficiale, così da poter evitare qualsiasi commento indiscreto nei propri confronti.
L’astio tra le due fazioni stava diventando sempre meno evidente, questo c’era da ammetterlo. Ma per quanto fossero riuscite a trovare una sorta di… equilibrio – se così poteva essere definito – vi era comunque quella necessità di spazio che le estreme vicinanze le portavano a rivendicare.
Spostando la propria cassetta degli attrezzi da una mano all’altra, il ragazzo spinse la porta di alabastro con una spallata, ritrovandosi di fronte ad una toilette simile ai bagni pubblici degli autogrill.
Non che si aspettasse tavolette d’oro e specchi incorniciati da pietre preziose, ovvio. Ma non credeva che i nordici potessero essere così essenziali, vista la oro presunzione.
«Dunque, vediamo» si disse, iniziando ad aprire uno ad uno i vari lavabi alla ricerca di quello difettoso.
Era piuttosto umido, là dentro; ma lì per lì non ebbe l’impulso di chiedersi il perché.
Superò i lavelli posti frontalmente ai gabinetti, iniziando ad esaminare anche quelli che erano paralleli alle docce.
Quando sollevò la leva del terzo, questo non si attivò. Riprovò ancora una volta, giusto per esserne meticolosamente sicuro. Dopo di ché sospirò.
«Fantastico» mormorò con finto entusiasmo, posando gli arnesi a terra e scrutandone attentamente ogni parte che lo componeva.
Fu una frazione di secondo – quella in cui sollevò distrattamente le iridi scure dal proprio lavoro e le posò sullo specchio che aveva davanti. Solo allora la vide, nel riflesso.
Una ragazza, intenta a lavarsi sotto il getto alle sue spalle. Era voltata di schiena, e vi era così tanto vapore nella stanza che di lei non si riusciva a vedere molto.
Ma, dei, Microft avrebbe riconosciuto quella tonalità color fragola dei suoi capelli anche bendato.
«Prima che tu te lo chieda, non sei nel bagno sbagliato» lo rassicurò tranquillamente Andrea, che non sembrava affatto turbata dalla sua presenza.
«Grazie al cielo» gemette il giovane, sollevato. Si impose di distogliere immediatamente lo sguardo, imbarazzato, ma il solo pensiero di trovarsi nella stessa stanza con lei nuda al proprio fianco lo fece arrossire violentemente.
Boccheggiò qualche attimo, quasi sperasse che così facendo sarebbe stato in grado di afferrare quelle parole che imperterrite continuavano a sfuggirgli.
«I-Io n-non…» balbettò, mordendosi la lingua con disappunto. «O-Okay, c-cosa… cosa stai facendo nel bagno dei maschi?»
«Una doccia» rispose semplicemente la figlia di Tyr, cosa del tutto evidente.
«S-Sì, lo vedo. Cioè, voglio dire, l’ho visto. No, in realtà non ho visto nulla, davvero» ci tenne a precisare, con impaccio. «C’è troppo vapore. N-Non che io desideri che ci sia meno vapore, ovvio, è che…»
«Microft, non mi interessa» lo interruppe prontamente lei, prima che quel monologo potesse degenerare.
Il figlio di Efesto strizzò lo palpebre, accorgendosi solo in quell’istante di essere a corto di fiato. L’aveva trattenuto? Per quanto, tra l’altro? 
Okay, doveva essere sincero: era la prima volta che si ritrovava al cospetto di una ragazza che non indossava i propri vestiti, e non aveva idea di come comportarsi.
Che la ragazza in questione fosse proprio Andrea, poi, non semplificava di certo le cose.
Quando udì lo scrosciare imperterrito dell’acqua arrestarsi il suo cuore mancò un battito, ma non ebbe il fegato di sollevare gli occhi per accertarsi che la giovane avesse davvero terminato.
«Io, ehm…» ciangottò insicuro, voltandosi di poco verso la rossa. Ma qualsiasi scusa avesse sperato di sciorinare gli morì in gola non appena si accorse di aver calcolato male i tempi. La giovane aveva infatti afferrato l’asciugamano per coprirsi solo in quel momento; e prima che il moro potesse evitarlo, la sua attenzione si spostò involontariamente – e forse inevitabilmente – sul suo corpo privo di vestiti.
«Stavi fissando» lo accusò contrariata lei, al ché lui si portò una mano a coprire gli occhi, agitato.
«Oh miei dei» si lasciò sfuggire con un fil di voce, incredulo.
«Ti ho visto, stavi fissando.»
«N-N… N-Non stavo…» tentò di mentire Microft, ma invano. D’accordo, magari un po’, convenne nella sua mente, dandosi dell’idiota subito dopo.
Avvertì i passi felpati della figlia di Tyr infrangersi contro il pavimento di marmo, e quando lei gli fu accanto, ebbe la sensazione che il suo petto non fosse in grado di sostenere una tale esplosione di sentimenti contrastanti.
Per sua fortuna, le curve della ragazza erano state avvolte da un telo che lasciava ancora poco spazio all’immaginazione, ma che comunque rendeva il tutto meno imbarazzante.
«P-Posso chiederti p-perché… ehm…»
«L’acqua è più calda, qui» lo anticipò Andrea, e il figlio di Efesto strinse gli occhi a due fessure, mordendosi con forza il labbro inferiore.
«Certo» convenne, grattandosi nervosamente la nuca. «Giusto. H-Ha… ha senso, in effetti. Ecco, io… Non era mia intenzione, sai…»
«Lo so» lo rassicurò lei, un angolo della bocca sollevato in un piccolo ghigno intenerito. «Non potevi saperlo.»
«Non avrei mai potuto saperlo» confermò quindi il moro, sconcertato. «No, non mi sarei mai… Insomma, immaginare una situazione del genere non è da me, perciò…»
«Ehi, rilassati» lo prese in giro dolcemente la rossa, cercando le sue iridi timide e sfuggenti. «È tutto okay. Stavo scherzando, prima» ridacchiò. «So che non hai sbirciato.»
«Non l’avrei mai fatto» giurò lui.
«Non sei il tipo.» La giovane lo scrutò per un lungo istante, in attesa che il ragazzo si decidesse ad incontrare il suo sguardo. Appena ciò avvenne, Microft fu sorpreso di non leggervici rabbia, o indignazione, o fastidio.
Sembrava piuttosto divertita. Divertita dal suo essere imbranato, e dal modo comico in cui si impegnava palesemente a non focalizzare il proprio interesse su un qualsiasi punto al di sotto della spalla di lei.
Dinanzi a quella consapevolezza, il semidio abbozzò un sorriso sghembo, mentre la ragazza si concesse una cristallina risata.
«Non ti è capitato spesso, vero?» lo canzonò, superandolo per potersi dirigere verso lo specchio dove solo qualche attimo prima lui aveva intravisto la sua figura.
«Non di recente, no» ammise il giovane, arricciando leggermente il naso.
«Sei qui per riparare uno dei lavandini rotti?»
«Già.»
La figlia di Tyr sbuffò dal naso, con sarcasmo. «Un classico» commentò. Aprì proprio quello difettoso, facendo una piccola smorfia quando questo non si attivò. «Sono sorpresa, però, che abbiano chiamato te.»
«Non l’hanno fatto, infatti» fece spallucce il moro, per poi correggersi: «Voglio dire, non hanno chiamato me direttamente. È stato Leo a mandarmi qui. Lui… è mio fratello. Il nostro capocabina.»
«So chi è.»
Stava blaterando, giusto?
Se ne rese conto quando capì di essere il primo a non comprendere il filo logico del proprio discorso. Ma mai come in quel momento era stato tanto agitato; e molto spesso, quando aveva bisogno di stemperare la tensione, iniziava a dar voce ai propri pensieri senza neanche domandarsi se questi fossero giusti o inappropriati.
Il silenzio in situazioni del genere era ciò che più detestava. Gli impediva di concentrarsi su qualcosa di estraneo a ciò che aveva davanti, e lui doveva focalizzare la propria attenzione su qualunque argomento non riguardasse Andrea.
Solo che diventava sempre più difficile. In quella stanza aveva fatto così caldo sin dall’inizio, o era lui che stava inspiegabilmente avvampando?
Era sudore, quello che gli imperlava la fronte?
A cosa doveva la gola secca, come se avesse perso la salivazione da mesi? E quell’anomala stretta alla bocca dello stomaco che gli stava dando la nausea?
Nell’istante stesso in cui quell’episodio gli si era parato davanti – e si era accorto di non avere alcuna via di fuga – era stato sopraffatto da delle lievi vertigini, ed era stato convinto di non poter gestire una simile sensazione.
Poteva vantare una maturità degna di nota, d’accordo. Ma dannazione, era pur sempre un quindicenne nel pieno di una tempesta ormonale.
E questo non lo aiutava di certo, no.
Anzi, era la sua rovina.
Calmati, Micky, ordinò a sé stesso, sfregandosi il volto con i palmi e facendo un lento e profondo respiro.
La ragazza era intenta a spazzolarsi i capelli con cura, e attraverso il riflesso poté comodamente scorgere la reazione che lui stava avendo alle sue spalle. Non vi diede peso, però. O almeno finse che non le importasse.
Il figlio di Efesto schiuse leggermente le labbra, con l’intento di riprendere la conversazione che per sua sfortuna si era interrotta. Fece per posare gli occhi su di lei, pronto a tirar fuori anche il più inutile degli argomenti, pur di porre fine a quell’assenza di suoni.
Ma prima che potesse riuscirci, le sue iridi scure furono attratte da un sorprendente particolare.
Un simbolo, che era stato disegnato all’altezza della spalla sinistra di lei. Una semplice incisione d’inchiostro, raffigurante due ‘A’ – una delle quali era rovesciata – poste in modo tali da poter formare la lettera ‘N’.
Microft inarcò un sopracciglio, stupito.
«Hai un tatuaggio» osservò, e vide lei chinare di poco il capo.
«Oh» mormorò, con lieve imbarazzo. Cercò di forzare un sorriso, ma purtroppo fallì. «È così evidente?»
«Da questa prospettiva, sì» le fece notare lui, con ingenuità. «È molto bello, perché lo tieni nascosto?»
La figlia di Tyr non fu neanche conscia del fatto che se lo stesse massaggiando. «Non ho bisogno che gli altri lo vedano» disse semplicemente, in poco più che un sussurro. «È una cosa tra… tra me e il mio passato.»
A quella confessione, il giovane si incuriosì. Sapeva così poco sul suo conto; sulla sua storia, o da dove venisse. Voleva imparare a conoscerla decisamente meglio di tutti coloro che di lei ignoravano tutto se non il nome.
«Chi è ‘N’?» domandò, con sincero interesse.
«Nessuno» si limitò a ribattere Andrea, per poi rendersi conto di essere stata troppo brusca e addolcire i toni. «Nessuno di tua conoscenza.»
«Un membro della tua famiglia?» azzardò dunque lui, augurandosi di aver visto giusto. «Un fidanzato con cui poi è finita?»
«Sai, non mi risulta che questi siano affari che ti riguardino» si adirò quindi lei, e il moro sussultò, colto alla sprovvista.
Non era sua intenzione urtare la sua sensibilità. Non aveva preso in considerazione l’ipotesi che molto probabilmente quel piccolo simbolo potesse avere molto più valore di quanto sembrasse.
«Stavo solo chiedendo» provò a scusarsi, notando solo allora il velo di lacrime che stava imperlando quelle bellissime iridi di ghiaccio. «Non volevo essere invadente.»
«Beh, lo sei stato» lo biasimò secca la ragazza, conficcandosi le unghie nei palmi al fine di eludere ogni emozione ed uscendo velocemente da quella stanza.
«Mi dispiace.» Il semidio la rincorse per un breve tratto, nella vana speranza di poter rimediare. «Andrea, aspetta!»
Ma ormai era troppo tardi, e lui l’aveva intuito fin troppo bene. La lasciò correre via, conscio del fatto di aver rovinato per l’ennesima volta le cose tra loro e di non avere la benché minima idea di come ripararle.
Era come se il loro rapporto continuasse a sfaldarsi a causa sua, e lui non avesse a disposizione la colla per aggiustarlo.
Si sentiva un idiota, e maledicendosi mentalmente per la propria stupidità si sforzò di capire che cos’avesse sbagliato, questa volta.
La personalità della rossa era in assoluto la più complessa con cui aveva dovuto relazionarsi.
Loro erano esattamente agli antipodi; due opposti inavvicinabili.
Lei era misteriosa, lui un libro aperto.
Lei solitaria, lui amante della compagnia.
Lei fredda e distaccata, lui gentile e coccoloso.
Lei la luna. Lui il sole.
Eppure Microft non si sarebbe mai arreso senza prima aver avuto la convinzione di aver intrapreso ogni strada e approccio possibile.
Poteva essere definito un folle, okay. Ma d’altronde quello era forse il suo più grande difetto.
Aveva sempre avuto un debole per le sfide impossibili.
E Andrea si presentava come la più complessa con cui gli dei l’avessero mai provocato.
 
Ω Ω Ω
 
Percepire le dita di Michael intrecciarsi in maniera sorprendentemente perfetta alla sue era sempre stato un aspetto a cui Skyler riusciva ad ancorarsi per evitare che i suoi stessi timori la sopraffacessero.
Fu lo stesso anche allora, quando lui le strinse dolcemente la mano in un gesto involontario nell’istante in cui notò una piccola ruga di preoccupazione formarsi in mezzo alla fronte di lei.
Erano seduti al loro solito posto, attorno al falò; insieme ai loro amici, mentre ascoltavano i figli di Apollo cantare.
Quella sera era decisamente la più particolare, perché si erano uniti ai festeggiamenti anche una dozzina di semidei nordici – tra i più amichevoli, ovviamente.
Tutti parevano divertirsi, infischiandosene per la prima volta delle divergenze che li separavano.
Ma la figlia di Efesto continuava ad essere tormentata da un malvagio quesito, e apparentemente il figlio di Poseidone era stato l’unico a rendersi conto di quanto fosse turbata.
Magari perché lo era anche lui, considerato il segreto che si trovavano a condividere.
«Stai bene?» le chiese, un po’ apprensivo. La mora si impose di annuire, nonostante non ne fosse pienamente convinta.
«Ho solo una strana sensazione» rivelò, e il giovane le accarezzò con il pollice le nocche un po’ screpolate.
«Che genere di sensazione?» si informò, anche se sospettava di saperlo già.
La ragazza sospirò, voltando il capo per poter incontrare il suo sguardo del colore del mare. Si inumidì agitata le labbra, impegnandosi affinché la sua voce non tremasse. «Ho paura che stia per succedere qualcosa di brutto» sussurrò, così che solo lui riuscisse ad udirla.
D’impulso, le iridi ora blu notte del ragazzo si spostarono repentine su Melanie, che aveva la testa posata nell’incavo del collo di John, mentre lui le cingeva la vita con un braccio. 
Di comune accordo i due avevano deciso che sarebbe stato meglio non far parola di ciò che avevano scoperto con il loro migliore amico. Sarebbe stato inutile, dato che non erano neanche sicuri di aver avuto la giusta intuizione.
Perché farlo preoccupare, se erano capaci di gestire quel problema anche da soli?
«È lei. Deve essere lei!» si era impuntata con fermezza Skyler, con la mente che viaggiava come un treno. «Prometeo mi detesta, e vuole che anche gli altri lo facciano. Cosa può esserci di peggio che essere odiata dal tuo migliore amico?»
«Dovremmo dirglielo» propose ad un tratto Michael, in viso un’espressione seria e meditabonda. «A John. Forse anche a lei. Se è davvero in pericolo, ha il diritto di sape-»
Fu un grido ad interrompere di netto le sue parole, facendo scattare tutti sull’attenti ed alimentando il panico nei presenti.
Tutti si voltarono nella direzione dalla quale era arrivato, e solamente in pochi scorsero nell’immediato la figura mingherlina di una ragazza precipitarsi disperatamente verso il gruppo.
Aveva gli occhi spiritati e arrossati, i capelli scompigliati e le guance rigate da roventi lacrime. Quando fu a poco meno di un metro da loro e ogni semidio poté vederla, quella inciampò sui propri passi, barcollando in avanti e rischiando di cadere.
Fu Percy il primo ad avvicinarsi a lei e ad afferrarla al volo.
Era l’ultima arrivata tra i figli di Ermes, Emma l’aveva riconosciuta. Non aveva più di quattordici anni, e farneticò una serie di balbettate frasi sconnesse finché il maggiore dei figli di Poseidone non le chiese di ripetere.
«N-N… N-Nel… Nel bosco» si sforzò di articolare la giovane, lasciandosi sfuggire un singhiozzo spaventato. «È… è lì. L-Lui… Vic-cino alle fragole, n-nel bosco…»
«Va tutto bene, spiegaci con calma che cosa è successo» le intimò con cautela Piper, accarezzandole con aria rassicurante il dorso.
Ma la figlia di Efesto non ebbe bisogno di ulteriori informazioni. Senza soffermarvisi troppo a ragionare, si alzò di scatto in piedi, scavalcando il tronco caduto sul quale era seduta poco prima e affrettandosi verso la meta che era stata loro indicata.
«Skyler!» la richiamò inizialmente Michael, prima di raggiungerla, seguito a ruota da tutti gli altri.
Nessuno riusciva a sentire ciò che invece giungeva con chiarezza ai timpani della mora.
Ti credevi così furba?, la stava infatti beffeggiando una voce serpentina, accompagnata da un fastidioso accavallarsi di bisbigli ed una risata tagliente, spietata.
Non è così che funziona. Non è così semplice.
L’aveva fatto. Era riuscito a confonderla ancora.
Si era convinta di poter essere in vantaggio; aveva sperato che sarebbe andata diversamente, questa volta.
Invece quando si ritrovò di fronte la scena che tanto aveva sconvolto quella sfortunata semidea, intuì di essere stata nuovamente sconfitta.
Un ragazzo si era legato un cappio al collo, e ora il suo corpo esamine penzolava flaccidamente dal robusto ramo di una quercia secolare. Non indossava più la sua maglietta, e i suoi occhi erano ancora aperti – spalancati e spaventosamente vitrei.
Sotto di lui, proprio sopra l’erba immacolata, dei sassolini grandi quanto un pugno erano stati allineati così che potessero formare due perverse parole.
PER LEI.
«Oh, miei dei» sibilò impaurita Skyler, con il resto dei ragazzi che si trovavano al falò che accorreva al suo fianco, allibito.
Michael la afferrò prontamente per un polso, attirandola a sé e stringendosela al petto, per far sì che non fosse costretta ad osservare ulteriormente. Le posò un palmo dietro la nuca, mentre lei si riscopriva incapace di frenare un singulto.
«Oh, cielo» commentò una figlia di Afrodite accanto a loro, coprendosi la bocca spalancata con una mano per celare lo stupore.
Un acuto strillo affranto, al contrario, si levò dalla folla nell’attimo in cui una figlia di Egir guardò la giovane vittima in volto. Le sue cornee si imperlarono di lacrime, e prese a scrollare convulsamente il capo, quasi sperasse di negare l’inevitabile.
«Erika, che c’è?» volle sapere Katie Gardner, con la quale a quanto pareva aveva già stretto amicizia. La ragazza era il capo del clan nordico dei Wulfingas, e a quel punto anche i greci che non la conoscevano la riconobbero.
«È… è Elvi Petterson» farfugliò lei, terrorizzata ed incredula. «È un figlio di Vàli. È il capoclan dei Vӧlsung.»
Cosa? Questo non aveva alcun senso.
Tutti i presenti iniziarono a pispigliare tra loro, contemporaneamente alla figlia di Efesto, che si limitò ad aggrottare la fronte confusa.
«Skyler» si irrigidì improvvisamente il figlio di Poseidone, trattenendo involontariamente il fiato. «Guarda la schiena.»
In seguito la ragazza avrebbe preferito non farlo. Sul dorso del semidio morto vi era dipinto un intricato disegno, con colori che variavano dal verde, al marrone, al giallo, al viola.
Era un tatuaggio, fatto quasi sicuramente per onorare il padre, dio della natura.
Un albero, ecco cos’era.
Skyler poté giurare che il battito del suo cuore si fosse arrestato.
Non c’era stato un errore. Era lui la vittima che Prometeo aveva voluto sacrificare.
All'inizio si era chiesta il perché, e adesso le fu chiaro il motivo.
‘Cosa può esserci di peggio che essere odiata dal tuo migliore amico?’
Essere odiata da qualcuno che si suppone già debba essere il tuo peggior nemico.
Quanto tempo sarebbe passato, prima che i nordici si rendessero conto che la morte di uno dei loro capoclan era avvenuta a causa sua?
Come avrebbero reagito, una volta scoperta la verità?
Sei così ingenua, Ragazza in Fiamme, sibilò il titano nella sua mente, e lei sapeva di essere l’unica ad udirlo. Chiuse gli occhi; deglutì a fatica. Una lacrima le solcò lo zigomo.
Due a zero per me. 


Angolo Scrittrice
É pronta, signora?
Non ancora, datemi un secondo.
- Signora, stiamo per andare in onda.
Lo so, ma sono nervosa!
- Andrà bene, signora. 
D'accordo. Fa partire la base. 
*"Diva" di Beyoncé si disperde magicamente nell'aria*
- Siamo in onda tra cinque, quattro, tre, due, uno...
*ON AIR*

So cosa speravate tutti quanti, guys. Di esservi liberati di moi.
Ma come dico spesso, purtroppo per voi io sono come un'allergia: persistente. 
Soo.... Salve a tutti! Siamo di nuovo qui, che bella sensazione! **
Questo è ufficialmente il primo capitolo del 2016, ed io non sono in ritardo
È ancora martedì, yay. (se carica in tempo, obv)
Come state, fanciulloschi? Avete trascorso delle belle vacanze? 
Nonostante gli alti e bassi, non posso affatto lamentarmi delle mie, nope. Ma sono consapevole che non avete voglia di sentirmi parlare, per cui faccio un favore all'umanità e passiamo direttamente al capitolo.
Ho cercato di curare al meglio ogni singolo dettaglio, perchè volevo che fosse perfetto e che non deludesse le vostre aspettative. 
Innanzitutto, abbiamo scoperto dove dormirà il piccolo
Dave. Quel pacioccone di un bambino dormirà nella Cabina Tre, da oggi in poi. Scelta azzeccata? Voi avreste proposto altre alternative? 
Il suo arrivo sembra poi aver turbato non poco
Chirone, che ci rivela un dettaglio importante: la profezia parla anche di lui, gnaw. Ma perchè questo dovrebbe essere un brutto segno? 
Secondo voi il centauro cosa teme che possa avverarsi alla svelta? Che cos'avranno predetto le Parche? 
Dopo una sola settimana di duri allenamenti, poi,
Dahl ha finalmente deciso di dire ai nostri ragazzi la verità (o almeno, la parte più importante). Allooora...  che ne pensate dei doni dei nostri semidei? Li immaginavate così? Vi aspettavate qualcosa di diverso? 
Da questo momento posso ufficialmente annunciare che leggerete di molte sessioni di allenamente singole per i nostri quattro eroi - che vi aiuteranno ad accompagnare ciascuno di loro attraverso la scoperta dei loro poteri. 
Quella di
John sta già iniziando a manifestarsi, yep. Ma non voglio anticipare altro ahah
Parliamo invece di
Microft e Andrea. Dei, non so perchè ma amo scrivere di quei due. Il loro è decisamente uno dei rapporti più complessi dell'intera storia. Non è facile farli relazionare, ma di sicuro è una grande soddisfazione quando trovo il modo giusto per farlo. 
Che dite del tenero Micky in piena tempesta ormonale? Non è un amore? 
Non sottovalutate poi l'importanza del tuatuaggio di lei, no no. 'N' per cosa, a parer vostro? O meglio, chi? 

Prometeo è riuscito a prendere per i fondelli Skyler di nuovo, e questa volta a rimetterci la vita non è stato un ragazzo greco, ma uno dei capoclan nordici. 
Che cosa ha fatto di sbagliato il povero malcapitato? Ha onorato suo padre - Vàli - con un tatuaggio, a quanto sembra. Non una delle mosse migliori, già. 
Chi avrebbe mai pensato che questa volta il riferimento non sarebbe stato di un genitore divino, ma di un simbolo sulla pelle?
Diventa sempre più difficile, non trovate? Se il titano inizia a giocarsi questo genere di carte deduttive, come potrà mai la figlia di Efesto sperare di anticiparlo? 
PER LEI, è la frase che marchia ogni scena del delitto. Chi sarà il prossimo, secondo voi? E poi questo reserà un segreto ancora per molto? Quanto ci vorrà, prima che gli altri si rendano conto che c'è sotto uno schema ben preciso, e che nessuno di loro è al sicuro? 
Ma ora la smetto con il mio sproloquio e lascio la parola a voi. 
Che ve n'è parso del capitolo? Vi è piaciuto? Vi ha fatto schifo? Avete bisogno di pomodori da lanciare? 
Non fatevi scrupoli, accetto qualunque critica costruttiva mi venga fatta. Se avete consigli da darmi, o se volete semplicemente farmi notare che sto facendo un pessimo lavoro, fate pure. 
Btw, voglio ringraziare i miei dolcissimi Valery's Angels, che anche durante il periodo natalizio mi hanno fatto il dono di una recensione:
Anna in Black, Black Truth e TamaraStoll. Siete dei tesori, davvero. 
Oookay, ora devo proprio andare, già. 
Grazie infinitamente a tutti coloro che stanno leggendo questa parte in grassetto, perchè significa che avete deciso di accompagnarmi durante questo 2016 in un viaggio ricco di sorprese. 
Al prossimo martedì, guys!
Sempre vostra, 

ValeryJackson


INTERACTIVE ZONE.
Sono davvero felice che questa mia iniziativa sembra esservi piaciuta, per cui eccomi qui a riproporvi questo interfaccia virtuale fino a che non mi urlerete di farla finita. 
Molti di voi forse l'avranno già notato, ma quando la scorsa volta vi ho posto la domanda "Qual è la vostra coppia preferita di questa storia?" (nonostante mi abbiate annunciato diverse ship), solo una ha raggiunto l'unanimità. 
LeoxEmma. 
Ebbene, la prima domanda di questo - spero - glorioso anno nuovo riguarderà proprio loro:

Se doveste descrivere il loro rapporto con una qualsiasi citazione, quale scegliereste?
Potete sbizzarrirvi, sul serio. Frasi prese dai libri o da tumblr, battute di film, quotes di canzoni oppure anche le canzoni stesse. 
Se pensate a Leo ed Emma e alla loro relazione, che cosa vi viene in mente? 
Mi auguro che rispondiate in molti a questa domanda! 
Se così sarà e se volete saperlo, la prossima settimana vi dirò io cosa associo a questi due cuccioli di panda. 
Gnaw!

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***



Emma era stanca di correre.
Correre contro corrente. Correre per allontanarsi da qualsiasi sentimento ritenesse nocivo per la propria persona.
A volte aveva la sensazione di non fare altro da tutta la vita.
Era stanca, e questo la faceva arrabbiare. E la rabbia alimentava il suo rancore, portandola ad andare ancora più veloce al fine di correre via anche da quello; di scappare addirittura da sé stessa.
Non sarebbe stato male, a pensarci bene. Lei odiava essere sé.
Sempre a forzare un sorriso per celare il proprio umore; sempre a nascondersi dietro una maschera di sarcasmo ed ironia.
Sempre a fingersi menefreghista. Sempre con l’impressione di avere una voragine – nel petto, leggermente a sinistra – che non riusciva ad essere colmata.
Sempre con la consapevolezza che le mancasse qualcosa.
Sempre con la frustrazione per non riuscire a capire cosa.
Dov’era il pulsante reset? Era davvero possibile annullarsi completamente e ricominciare tutto d’accapo?
Il tempo non dava seconde occasioni: non era forse questo che aveva imparato mentre il mondo la costringeva a tirare avanti da sola?
Emma era stufa di lottare; era stanca di correre.
Eppure lo fece anche quella mattina, quando si riscoprì terribilmente in ritardo per la sua primissima lezione individuale con Dahl.
Precipitandosi all’interno della tenuta nordica e affrettandosi con affanno verso la palestra, la figlia di Ermes diede un ultimo vorace morso al proprio panino con burro e marmellata – ingurgitandolo senza neanche masticarlo a dovere e spingendo con fatica le due grandi ante di legno.
Trovò l’uomo ad aspettarla a gambe incrociate, seduto a terra al centro esatto della stanza con l’aria di chi aveva intenzione di meditare, ma non era dello spirito giusto per farlo.
La ragazza si piegò un attimo sulle ginocchia, prendendo un profondo respiro dal naso ed espirando brevemente dalla bocca.
«Mi dispiace» mormorò, raddrizzando la schiena. «Io ho dovu-»
«Risparmia le tue scuse per qualcuno che ci crede» la interruppe repentino lui, alzandosi e rivolgendole un cenno del capo. «O per chi ne ha bisogno. Per tua fortuna, io non rientro in nessuno dei due gruppi.»
«D’accordo» convenne la bionda, corrugando leggermente la fronte. «È solo che io…»
«Quando vi convoco qui, non è per perdere tempo in inutili chiacchiere» sentenziò deciso Phil, al ché lei inarcò le sopracciglia.
«Okay» se limitò ad assentire, mostrando i palmi in segno di resa.
L’istruttore divaricò di poco le gambe, incrociando le braccia al petto. «Vieni da me» le intimò, accompagnando quell’ordine con un gesto della mano.
«Ha intenzione di farmi una ramanzina?» scherzò la giovane, raggiungendolo comunque.
«Farai venti giri di campo in più a fine lezione, ovviamente» le palesò lui. «Ma per ora me ne infischio della tua scarsa puntualità. Siamo qui per parlare del tuo dono.»
«Ancora?» si stupì lei, guardandolo con interdizione. «Credevo avessimo già appurato di cosa si tratti.»
«Accennato» la corresse Filottete, abbozzando uno sghembo sorriso. «Vi ho mai spiegato come avete guadagnato il consenso degli dei?»
«No» rispose Emma, inclinando con interesse il capo di lato.
«Secondo te?» la mise alla prova Dahl.
«Hanno esaminato le nostre imprese?» azzardò la semidea, stringendosi nelle spalle.
«Fuochino.»
«Hanno chiesto il consenso delle Parche?»
«Niente affatto» scosse la testa l’uomo. «Hanno semplicemente riconosciuto il vostro valore quando – seppur in momenti diversi – siete andati incontro allo stesso destino.»
«La vittoria?» ipotizzò lei, ma lui sollevò piano il mento, con autorità.
«La morte
La figlia di Ermes fece un passo indietro, basita. «Come?»
«Hai mai perso la vita, Walker?» le domandò serio Phil, di fronte alla sua espressione confusa.
«N-No» ciangottò la bionda, irritata. «No. Ovvio che no! Non sarei qui, altrimenti, le pare?»
«Concentrati» si impuntò l’istruttore. «Non ti è mai successo di avere la sensazione che tutto stesse improvvisamente per finire?»
Eccola lì, la domanda che non si sarebbe mai aspettata. Perché rispondervi significava ammettere ciò che non aveva mai avuto il coraggio di confessare ai suoi amici.
Per quanto potesse apparire insensato, era convinta di aver già sperimentato che cosa significasse morire. La certezza di essere spirata nell’istante in cui aveva scelto di sacrificare la propria esistenza per quella di Skyler infestava come un tarlo la sua razionalità. Fin ora aveva creduto di essere strana.
Adesso stava iniziando a chiedersi se non ci fosse dell’altro, dietro tutta quella faccenda.
Quasi ogni notte le capitava di rivivere inconsciamente quel momento, e per quanto ciascuna volta potessero essere presenti delle dinamiche diverse, il finale era sempre lo stesso.
Lei che precipitava nel vuoto, arrendendosi alla consapevolezza di avere solo un ultimo sospiro a disposizione.
Esitò per qualche secondo, inumidendosi le labbra turbata.
«L’estate scorsa» rivelò, soppesando con cura le parole. «Sono caduta in un burrone.»
«Pessimo equilibrio?» ironizzò Dahl.
«Ho cercato di salvare la mia migliore amica» replicò lei, di colpo seria in viso. «Ma lei non mi sembra un tipo socievole, quindi dubito che possa capire.»
«Va avanti» la invitò gentilmente l’uomo.
«Sapevo già a cosa quella decisione mi avrebbe portato, ma… non mi importava. Sapevo di fare la cosa giusta. Per questo ho semplicemente lasciato che accadesse.»
«Hai lasciato vincere la morte» dedusse lui, in volto un cipiglio indecifrabile.
«Non avevo molte alternative» gli fece notare la figlia di Ermes, accennando un triste sorriso. «Sono quasi sicura che il mio cuore si sia fermato, alla fine» ammise finalmente, dubitando però egli stessa della propria affermazione.
«Continua» la incitò nuovamente Filottete.
La ragazza chinò stancamente il capo, accarezzandosi distrattamente un braccio. «Non capisco cosa vuole che le dica.»
«Parlami del seguito» le spiegò quindi lui. «Raccontami cos’è successo dopo.»
Ma a quel nuovo quesito, la bionda non riuscì a profferir nulla. A Phil bastò uno sguardo; un’occhiata fu sufficiente per leggere in quelle iridi argentate tutto quello che gli serviva sapere.
«Si è manifestato, non è vero?» osservò, ma dal tono che usò sembrò quasi che quella non fosse una reale domanda.
Lui già sapeva. Necessitava solo che lei glielo confermasse.
«C’è stata un’esplosione d’argento» annuì la giovane, mordendosi il labbro inferiore sovrappensiero. «E quando la mia anima è tornata nel mio corpo, ho avuto l’impressione di non essere più la stessa.»
«Questo perché avevi un’energia sconosciuta con cui fare i conti» la tranquillizzò l’uomo. «So che non è facile, ma imparerai a gestirla.»
«Io non capisco» fece ad un tratto Emma, massaggiandosi infastidita le tempie. «Che cosa ha a che fare questo episodio con il dono che mi è stato dato?»
«Tutto» fu l’unica cosa che Dahl le disse, prima di afferrarle il polso e storcerle il braccio.
La semidea si lasciò sfuggire un grido di sorpresa, piegandosi in due e strizzando gli occhi per il dolore.
«Non credere che basti la fiducia, però» la ammonì lui, esercitando una leggera pressione. «Devi ancora dimostrare di essertelo meritato.»
«Come?» riuscì a gracchiare lei, con molta difficoltà.
«Lottando.»
Alla figlia di Ermes non servirono ulteriori indicazioni. Aveva passato i suoi ultimi anni ad imparare la maniera di difendersi dagli attacchi delle altre persone. Era svelta di spada, tenace ed istintiva.
Tutte qualità che le tornavano utili in momenti come quello, in cui doveva liberarsi dalla stretta del suo avversario.
Mise un tallone dietro quello dell’altro, spingendo all’indietro affinché egli perdesse temporaneamente l’equilibrio e allentasse la presa. Puntò il gomito verso l’alto, facendo un rapido giro su sé stessa e indietreggiando abilmente di qualche passo.
Filottete non si fece commuovere. Le assestò inizialmente un gancio destro, poi uno sinistro. Lei fu in grado di pararli, piegandosi agilmente sulle ginocchia quando lui tentò di colpirle il capo.
Non fu comunque capace di anticipare la successiva mossa dell’istruttore, che intercettò il suo pugno e in una frazione di secondo le bloccò l’arto dietro la schiena, facendola sbuffare.
«Questo è tutto ciò che sai fare?» la sfidò, e la ragazza ringhiò mentre lui la spingeva in avanti, facendola barcollare.
Estrasse dalla cintura il proprio coltello quasi nello stesso istante in cui Phil sfoderò la sua spada. La bionda si rigirò da esperta l’elsa nel palmo, e sferrò un montante che però venne parato. Intercettò facilmente i due fendenti dell’uomo, ma il terzo riuscì comunque a ferirle la coscia, facendola irritare.
Che cosa sperava di ottenere, cercando di tagliarle di netto la testa?
Emma era a conoscenza dei suoi metodi un po’ bizzarri, ma ora stava superando davvero ogni limite. Non cerchi di uccidere qualcuno che vuoi istruire per fargli salvare il mondo.
Era contro ogni regola della legge morale!
«Lo vedo» annunciò all’improvviso lui, e la figlia di Ermes lo squadrò con aria perplessa.
«Che cosa?»
«Sei arrabbiata.»
«Lei sta provando ad infilzarmi!» ribatté dunque lei, furiosa. «Ovvio che sono arrabbiata!»
«Allora arrabbiati di più» le impose Phil, sorprendendola con un astuto sgualembrato sinistro. «Lascia che questo sentimento si impossessi di te.»
Ciò che diceva non aveva alcun senso, e la giovane lo capì quando il suo ennesimo attacco le provocò un lungo taglio sull’avambraccio. Dahl la colpì su una guancia con il piatto della spada, e per quanto lei si sforzò di evitarlo alla fine la rese comunque instabile grazie ad una stoccata degna di nome.
Le lasciò un calcio in pieno petto, e la bionda cadde inevitabilmente a terra, sbattendo con il sedere contro il pavimento.
«Ma guardati» sibilò lui, con disprezzo. «E tu saresti una degli eroi della profezia? Non sai neanche come difendere te stessa.»
«La smetta» sussurrò la semidea, posandosi una mano sul cuore nella speranza di riprendere fiato.
«È vergognosa la tua prestazione, Walker!» continuò imperterrito l’uomo. «Sei solo una ragazzina senza un briciolo di buon senso.»
«La smetta» ripeté di nuovo lei, questa volta con più ira; con più decisione. Aveva il respiro affannoso, e una morsa di sdegno le strinse la bocca dello stomaco, facendola avvampare dalla collera
«Credi che siano tutti lì pronti ad occuparsi di te? Nessuno è nato per proteggerti, chiaro? Dopo un po’ le persone si stancano di portarsi dietro un peso come te!»
«Le ho detto di smetterla!» urlò a quel punto Emma, e quello che accadde dopo per poco non arrestò il suo battito cardiaco.
Si rese conto di quanto aveva alzato voce solo quando percepì le sue corde vocali bruciare. Non si era mai sentita così offesa, e furibonda, e indignata. Era più che certa che se avesse avuto qualcosa sotto mano, in quell’istante, sarebbe finito in una marea di frammenti insanguinati.
E stava per rimettere mano sulla propria arma e risollevarsi per combattere quando posò accidentalmente gli occhi sulla figura del suo avversario.
Sotto quello strato di armatura, stoffa e pelle intravide qualcosa che era sicura non ci fosse prima.
Un’anomala fosforescenza, che lo avvolgeva come un’aura magica pronta a preservarlo. Era di un blu cobalto, come il cristallo della collana che Skyler portava sempre al collo.
E per qualche arcano motivo che tuttavia non riuscì a spiegarsi, in quel frangente quella tonalità le infuse calma e benessere.
Dahl doveva essersi accorto del suo tentennamento, e non ci mise molto per intendere la situazione, lasciandosi andare ad un radioso sorriso.
«Si sta manifestando» intuì, e la figlia di Ermes non poté negarlo. Si rimise lentamente in piedi, senza distogliere l’attenzione da quel bagliore ceruleo.
«Che cosa senti?» si informò Filottete, rifoderando con accortezza la spada. «Che cosa provi?»
«Fiducia» balbettò solamente lei, sussultando non appena notò che quella luce stava svanendo. Ma l’uomo accolse quell’unico avvenimento come un’ottima, soddisfacente notizia.
«È la rabbia» le spiegò, anticipando qualunque tipo di quesito la ragazza avesse intenzione di porgli. «È grazie a lei che ci sei riuscita.»
«I-Io…»
«Vi avevo detto che vi avrei insegnato a lasciarvi andare a tutti quei sentimenti che tormentavano i vostri animi» chiarì quindi lui. «Nei tuoi occhi ho subito letto una repressa e distruttiva rabbia. Come un odio verso il mondo che ti circonda che però cerchi di celare.»
«È per questo che mi ha detto quelle cose?»
Phil annuì. «Volevo che tu ti lasciassi andare a ciò che ti ribolliva dentro.»
A quelle parole, la semidea trattenne il fiato. L’istruttore se ne accorse, perché le posò comprensivo una mano sulla spalla, guardandola con dolcezza.
«Non devi avere paura» la rincuorò. «La tua è una grande dote. Devi solo capire come gestirla.»
«Io non posso permettermi di farlo» si impuntò invece lei, ma lui parve non capire.
«Di fare cosa?»
«Lasciarmi andare.» Emma emise un sospirò tremante, quasi fosse sull’orlo delle lacrime. «È già successo, in passato, e non mi è stato fatto altro che del male. C’è un motivo dietro la mia corazza di ostilità, sa? Sono così stanca di soffrire, che ho semplicemente deciso di eludere qualsiasi tipo di emozione.»
Dahl parve ragionare per qualche attimo, per poi di rivolgerle un cenno del capo. «È normale che sia difficile» le fece notare, cono aria matura. «Deve essere difficile. Altrimenti tutti potrebbero farlo.» Ghignò, malandrino. «La difficoltà è ciò che lo rende speciale.»
Fu soltanto a quel punto che la figlia di Ermes comprese fino in fondo il vero significato di quella luce di qualche istante prima. Involontariamente vedeva in quella gradazione di colori qualcosa di bello, qualcosa di buono.
Tutto ciò che la faceva sentire al sicuro aveva un particolare blu.
Il ciondolo di Skyler. Gli occhi di Michael. La maglietta preferita di John.
Quasi tutte le mensole della Casa di Ermes. Il suo cuscino.
Quel colore la faceva stare bene. Quel colore non l’avrebbe mai tradita.
E intuì di potersi fidare di Filottete. Per quanto fosse irritante, e menefreghista, e misterioso… era pur sempre una brava persona.
Ma doveva davvero seguire il suo consiglio, se voleva avere successo?
Con quale coraggio si sarebbe lasciata andare, se per una vita intera aveva avuto il timore di farlo?
Era stata ferita troppe volte, per permettere a qualcun altro di scalfire il suo scudo.
Lei era una guerriera, ed era intenzionata ad esserlo fino alla fine, con ogni principio che ne derivava: freddezza, autorevolezza, distacco e lucidità.
Non avrebbe mai permesso a degli stupidi sentimenti di avere la meglio su di lei.
Poteva anche essere sfinita, certo. Anzi, lo era senza alcun dubbio.
Ma non per questo avrebbe rischiato, smettendo di correre.
 
Ω Ω Ω
 
Leo non aveva mai avuto un’amica come Astrid Heugen.
Aveva già conosciuto altre ragazze in gamba, in passato – compresa Piper, che per lui ormai era come una sorella. Con loro aveva avuto un bel rapporto, basato sul rispetto reciproco e molto spesso anche su una grande fiducia.
Ma con lei era diverso. Con lei era tutto speciale.
Ogni volta che erano insieme parlavano davvero di tutto, passando dagli argomenti più stupidi e insignificanti a dei ragionamenti più profondi e maturi. In sua compagnia, il figlio di Efesto non aveva paura di esprimersi o di dare libera voce ai propri pensieri, consapevole che lei non l’avrebbe mai giudicato, e che fosse una perfetta confidente.
Non si sorprese più di tanto quando si rese conto di trascorrere molto più tempo con la figlia di Frigg che con i suoi stessi fratelli. Quel pomeriggio non fu da meno, quando lei lo raggiunse nelle fucine e lui l’accolse con un buffetto sulla guancia.
Di solito era lì che si incontravano: la ragazza si recava nella Cabina Nove nel momento in cui sapeva non esserci nessuno, mentre il moro si dilettava con le sue costruzioni senza pretese. Poi magari uscivano a fare una passeggiata, oppure ascoltavano della musica con l’IPod di lei.
«Per noi greci quel nome rappresenta tutt’altra cosa» aveva celiato un giorno il ragazzo, infilandosi nell’orecchio la cuffia che gli era stata offerta e lasciandosi cullare dalle note di I’ll be good di Jaymes Young.
C’erano volte in cui dava fondo alle proprie scorte di dolciumi e apriva una confezione dei suoi preziosi marshmallow, mangiandone un po’ con la bionda.
Era felice, al suo fianco. Quelli con lei erano gli unici istanti durante i quali riusciva sul serio a rilassarsi.
«A che cosa stai pensando?» gli chiese ad un tratto la giovane, distogliendolo momentaneamente dall’insolito stato di trance in cui era piombato. Ultimamente gli capitava molto più frequentemente, di perdere lo sguardo in un punto indefinito dinanzi a sé. Iniziava a rincorrere il filo logico di un contorto ragionamento, interrompendosi quasi senza alcun motivo e smarrendo la concezione dello spazio e del tempo.
«A nulla in particolare» mentì, al ché Astrid si lasciò sfuggire un piccolo ghigno.
«Non è vero» lo accusò divertita, e Leo inarcò le sopracciglia, con sarcasmo.
«E tu questo come lo sapresti?»
«Nell’arco della giornata sto più sola con te che con me stessa» gli fece notare quindi la figlia di Frigg, con ovvietà. «Ho imparato a tradurre i tuoi silenzi.»
Il giovane arrossì leggermente, grato che lei non potesse vederlo. La sua cecità non era più un vero problema – anzi, non lo era mai stato – ma a volte per il figlio di Efesto diveniva inevitabile domandarsi che cosa si provasse, a vivere nella completa oscurità.
La ragazza aveva così tante qualità che quello diventava solo un futile dettaglio, certo. Però dato che fin dall’inizio era stato chiaro che quello non si sarebbe mai trasformato in un argomento tabù, tra loro, il moro non vi trovava nulla di male nella sua semplice curiosità.
«Posso farti una domanda?» esordì senza accorgersene, voltandosi a guardarla. «Solo che è un po’…» Esitò, cercando il termine giusto. «Personale.»
Nonostante fosse convinta di aver già inteso, la bionda annuì lo stesso, raddrizzando le spalle. «Spara» lo incitò, con un deciso cenno del capo.
«Ehm…» Solo allora il semidio si pentì della propria ingenuità. E se si fosse offesa? E se fosse apparso troppo invadente? Tentò di trovare le parole giuste con cui formulare quella frase, ma a quanto pareva era molto più difficile di quanto avesse sperato. «Da quanto… ehm…»
«Vuoi sapere da quanto tempo sono non vedente, non è così?» lo anticipò lei, e lui si morse l’interno della guancia, imbarazzato.
«Beh, sì» ammise, grattandosi distrattamente la nuca. «Sempre se hai voglia di parlarne.»
«Ci sono nata» parve ignorarlo Astrid, e Leo trattenne il fiato, colpito. «Credo che possa essere considerato a tutti gli effetti un ‘difetto di fabbrica’» ridacchiò dunque lei.
«Vuoi dire che tu…» Il figlio di Efesto la studiò per qualche istante, titubante. «Non sai com’è tutto questo.»
Prima di scuotere il capo, la figlia di Frigg prese un profondo respiro. «Più o meno» spiegò. «Mi affido a tutti i mei altri sensi, lo sai. Specialmente al tatto. Toccando le cose… riesco a farmene un’idea.»
«E per le persone?»
«Lo stesso» assentì la nordica. «Credo. Potrà anche non essere la stessa cosa che poterli osservare, ma per me è sufficiente. Non so neanche qual è il mio, di aspetto, eppure non ho mai avvertito il bisogno di saperlo.»
«Se può interessarti» le confessò lui, con un’espressione malandrina dipinta sul volto. «So con esattezza che la maggior parte degli appartenenti al genere maschile ti trovano molto, molto bella.»
A quell’affermazione, la ragazza rise di gusto, contagiando anche l’amico. Gli diede un lieve pugno sul braccio, incolpandolo di essere un bugiardo. Poi furono avvolti da un piacevole silenzio, finché lei non voltò lentamente il capo nella sua direzione, non riuscendo a vietare ad un ovvio quesito di attraversare la sua mente.
La sua cecità le impediva di prender parte a molti eventi della vita, e spesso portava le persone al allontanarla, scorgendo in lei solo la povera sfortunata da compatire.
Quel ragazzo però no. Lui era… unico.
E forse non sarebbe stata mai in grado di vederlo; ma avrebbe comunque voluto immaginarlo.
«Ti dispiace?» fece in un sussurro, e Leo inizialmente non comprese le sue intenzioni. Ma in seguito lei protese timidamente una mano verso di lui, e il messaggio fu subito ben chiaro.
Incapace di frenare le proprie labbra dallo stendersi in un genuino sorriso, il figlio di Efesto gliel’afferrò dolcemente, baciandole goliardico il dorso.
«Ma certo» rispose, come se fosse scontato.
Si mise di fronte a lei, tanto vicino da poter scorgere le pressoché invisibili lentiggini che aveva sul naso. Condusse gentilmente la sua mano fino al proprio volto, e dopo di ché la lasciò libera di fare ciò che voleva, nonostante l’idea lo mettesse un po’ a disagio.
Astrid sorrise a sua volta. Gli posò il palmo contro la guancia, accarezzandogli uno zigomo con il pollice. Poi i suoi polpastrelli seguirono il contorno delle folte sopracciglia e il profilo un po’ storto del naso; tastarono i suoi riccioli – il tutto in un religioso e magico silenzio.
Il modo in cui lo faceva era gentile, tanto delicato che il ragazzo a malapena percepiva il suo tocco. Quando arrivò alla linea delle labbra, la giovane le sfiorò appena. Le sue dita scivolarono con cura verso le orecchie, e a quel punto lei non riuscì a trattenere un risolino.
«Hai dei lineamenti elfici» osservò, al ché lui inarcò un sopracciglio.
«Okay» cantilenò. «Questo non me l’aveva mai detto nessuno.»
Ridacchiarono insieme, prima che lei aggiungesse: «Hai anche dei tratti gentili.»
«Davvero?» Il moro sembrò compiaciuto. «Del tipo?»
«Non so spiegarti il perché» arriccio dunque il naso la bionda. «Ma so che se ti vedessi, molto probabilmente mi fiderei di te. Sei buffo, ma non cattivo.»
«Farò finta di non aver sentito il penultimo aggettivo e ti ringrazio per il mal riuscito complimento» scherzò allora il giovane, guadagnandosi un divertito schiaffetto sul petto.
Gli piaceva far divertire quella ragazza. Chissà perché sin da quando l’aveva incontrata aveva avuto la sensazione che fossero molto più simili di quanto credessero: tutti e due avevano trovato un amico nel momento in cui ne avevano più bisogno, ed entrambi necessitavano di un po’ di svago, di tanto in tanto.
«Ho mentito prima, sai?» mormorò d’improvviso lei, cogliendolo alla sprovvista.
Il suo tono era cambiato; ora era serio, e a tratti anche leggermente malinconico.
«Non è vero che non mi importa sapere il vero aspetto di ciò che mi circonda» rivelò, con aria triste. «A volte non so cosa darei per poter capire almeno come sono tutti i colori.»
Tentò di forzare uno storto sorriso, ma purtroppo non vi riuscì. Il figlio di Efesto la squadrò in viso, e spostandole teneramente una ciocca dorata dalla fronte si interrogò su cosa fosse giusto dire, in casi del genere.
Avrebbe voluto consolarla, ma la verità è che se si fosse trovato nei suoi panni, ne avrebbe ormai avuto le scatole piene di tutte le frasi di circostanza che si recitano a chi sa già di non poter essere aiutato.
Lui non sarebbe ma stato capace di darle una mano in occasioni simili. Non poteva fare miracoli, era solo un giovane latinoamericano succube della propria iperattività e una calamita attira-problemi.
Se avessero atteso qualche attimo in più, magari sarebbe riuscito a capire cosa profferire, in quel frangente. Ma fu distratto dalla fronte aggrottata della figlia di Frigg, che girò la testa da un lato all’altro, come se stesse cercando qualcosa.
«Che c’è?»
Astrid si rabbuiò. «Qualcuno in questa casa sta per sentirsi male» commentò semplicemente.
«Che vuoi dire?» tentennò il semidio, incredulo e nervoso. «Qui ci siamo solo noi.»
«Ne sei sicuro?» si accertò la bionda, contrariata. «Non è che qualcuno è al piano di sopra?»
Leo era in procinto di dissentire, ma non appena prese fiato per parlare, le sue corde vocali non emisero alcun tipo di suono.
In effetti prima di scendere giù nelle fucine, si era accorto che Skyler stava riposando nel suo letto, avvolta dalle braccia di Morfeo. Le aveva anche rimboccato le coperte, consapevole che dall’estate precedente la sorella faceva sempre più fatica a concedersi le dovute ore di sonno.
Era convinto che stesse ancora dormendo, ma se così non fosse stato?
La ragazza nordica non sbagliava mai, nella sua percezione dei sentimenti. Sentiva qualcosa che lui invece ignorava?
Non fece neanche in tempo a rispondersi, che già si stava precipitando su per le scale, risalendole a due a due con la bocca dello stomaco stretta in una morsa di puro terrore.
 
Ω Ω Ω
 
Skyler aveva ingenuamente sperato che il getto gelido della doccia potesse purificarla da tutti i brutti pensieri.
Ogni sua preoccupazione, ogni suo tormento. Ogni istante in cui aveva temuto per il peggio. Le si era riversato tutto addosso così violentemente che lei non era stata in grado di impedirlo.
Aveva solo potuto subire le intemperie di tutto l’orrore a cui il destino la stava sottoponendo. Ma arriva un momento in cui anche il più robusto del fili si spezza, e la vita inizia a sfuggirti tra le mani senza che tu possa fare nulla per trattenerla.
Stava diventando matta, era l’unica spiegazione razionale che riusciva a darsi. La sua mente stava impazzendo, e lei non riusciva più a distinguere la realtà dall’illusione.
Con il respiro affannoso e la testa pervasa dai capogiri, appoggiò il proprio peso contro la fredda parete di marmo della cabina doccia, strizzando le palpebre fino a sentirle dolere.
Le ultime parole con cui Prometeo l’aveva beffeggiata solo qualche attimo prima le rimbombarono perverse tra le pareti della scatola cranica, contorcendo e modellando lo spazio che la circondava.
‘Non c’è più quando lo nomini.’
Un altro omicidio, ecco che cosa rappresentavano. Un'altra morte che sarebbe avvenuta a causa sua, e che neppure stavolta sarebbe stata capace di impedire.
Perché lui era troppo forte; sapeva sempre dove fosse l’uscita del labirinto. Mentre lei continuava a perdersi, iniziando a convincersi che non vi fosse davvero alcuna via di fuga.
Un dolore lancinante le colpì d’impatto il petto, sostando tra le sue costole, maligno. Il cuore prese a batterle ad un ritmo incessante, e solo quando la sua vista si annebbiò la figlia di Efesto cadde sulle ginocchia, stringendo i pugni fino ad avere le nocche bianche.
Soffocò un conato di vomito, e con il fiato che continuava a smorzarlesi in gola – impedendole così di ingerire aria a sufficienza per riempire i polmoni – ebbe per qualche attimo la sensazione di star per annegare.
Non c’è più quando lo nomini’ le ricordò una voce da un angolo remoto del suo cervello, e l’attacco di panico che la stava sopraffacendo divenne più irruento, più distruttivo.   
Lei non era mai stata una combattente. Proveniva da una famiglia di persone coraggiose, d’accordo; ma spesso aveva l’impressione di non aver ereditato nulla da loro, se non i tratti somatici.
Sua madre aveva cresciuto una figlia da sola, senza l’aiuto di nessuno. Non le aveva mai fatto mancare niente, rimboccandosi le maniche anche quando tutto sembrava remarle contro.
Benjamin Garcia era un soldato: rischiava la propria vita ogni giorno per quella di qualcun altro, e si era preso cura di lei pur non avendo alcuna idea di dove cominciare.
Suo nonno aveva superato i pregiudizi che la sua famiglia gli aveva imposto, scavando nell’animo di coloro che aveva di fronte e utilizzando i suoi ultimi respiri per compiere dei gesti che rendessero felici i suoi cari.
E lei?
Che cosa aveva fatto, lei, di tanto speciale?
Poteva anche avere la forza di un uragano e una tenacia invidiabile, ma era sempre stata debole come una foglia d’autunno.
Che cos’aveva di sbagliato?
Dicono che ognuno di noi è il risultato di ciò che ci è stato fatto. Ma lei faticava anche a ricordarsi come fosse stata prima che il mondo le dicesse come doveva essere.
Era stata colpita, schiacciata, umiliata, messa a dura prova e alla fine sconfitta. Non restava più niente di lei, se non le sue carni prive di forze e uno scheletro privo di desiderio.
Il desiderio di continuare a lottare, ecco cosa le mancava.
Lei non era né sua madre, né suo zio, né suo nonno.
Lei era una ragazza vuota, annientata, con una costante paura ad attanagliarle le viscere e una dirompente tendenza per l’autodistruzione.
‘Non c’è più quando lo nomini’.
Quante volte potevano essere rimessi insieme i cocci di un vaso di ceramica prima che la colla non avesse più alcun effetto?
Conficcandosi le unghie nei palmi, contò lentamente fino a dieci, prendendo dei lunghi e faticosi respiri.
«È tutto okay» sussurrò a sé stessa, continuando a ripetersi quella semplice frase come un mantra, quasi questo potesse aiutarla a riacquistare il controllo.
Digrignò i denti, avvertendo già il proprio fiato diventare più regolare, e battiti rallentare, ritrovando la loro stabilità. Ansimò, sfregandosi la fronte con il dorso della mano.
Il getto d’acqua continuava a pungerle la schiena, ma in quel momento le servì a ricordare dove si trovasse e che cosa stesse facendo.
Qualcuno tentò di aprire bruscamente la porta, con irruenza, ma appena si rese conto che era chiusa a chiave bussò con vigore, facendola sussultare.
«Skyler!» la chiamò Leo dall’altro lato, e il suo tono tradì un’evidente preoccupazione. «Skyler, va tutto bene? Apri la porta!»
«Sto bene» mormorò la giovane con voce tremante. Troppo debolmente, però, perché lui potesse udirla.
«Skyler!» esclamò nuovamente il fratello.
«Sto bene!» gridò stavolta di rimando la figlia di Efesto, e il moro parve attendere qualche secondo, prima di sospirare.
«È tutto apposto?» si informò, con apprensione, e la semidea non faticò ad immaginarlo mentre si sfregava il volto con i palmi, nella speranza che così facendo riuscisse ad alleviare la tensione.
Lei deglutì, inumidendosi distrattamente le labbra. «Certo che sì» mentì, fingendo spensieratezza e perplessità. «Perché me lo chiedi?»
«È colpa mia» si scusò una seconda voce, e la mora corrucciò le sopracciglia quando intuì essere di un’altra ragazza. «Credevo che qualcuno stesse per sentirsi poco bene, ma devo aver sbagliato.»
A quell’affermazione, Skyler non replicò. Si passò le dita tra i capelli bagnati, sbuffando silenziosamente e abbandonandosi contro il muro di marmo, posandovici contro il capo.
Odiava ciò che era diventata. Si era trasformata nel proprio peggior incubo, incarnando una persona insicura e incapace di badare a sé. Lei non era mai stata così.
Eppure adesso sembrava non ci fossero possibilità di poter tornare la guerriera di una volta.
Solo l’anno prima le avevano spiegato che aveva un fuoco, dentro, che ardeva di coraggio e vitalità.
Ma ora di quella fiamma non era rimasta altro che una misera scintilla.
E presto si sarebbe tramutata in nient’altro che cenere.
 
 
 
Angolo Scrittrice.
Bounjour a tout le monde!
Partendo dal presupposto che non so quale dio mi stia aiutando a frenare l’impulso di afferrare con rabbia quella scatola di latta che è il Wi-Fi di casa mia e sbatterla ripetutamente contro il muro, mi auguro davvero che questo capitolo possa essere caricato prima della mezzanotte, doutch.
Insomma, che mi dite? Vi è piaciuto? Vi ha fatto schifo?
Credo che la parte più importante di tutte sia proprio la prima, che ne pensate?

Emma va alla sua prima lezione con Dahl, e viene a conoscenza di molti più dettagli riguardanti la storia dei doni.
Innanzitutto, quello essenziale: i nostri quattro ragazzi li hanno ricevuti dopo esser morti ed in seguito tornati in vita.
Vi sembra strano? Beh, provate a pensarci.
Vi lancio una sfida: riuscite ad indovinare quali sono i momenti esatti in cui ciascuno di loro li ha ricevuti prima che un nuovo capitolo ve li riveli?
Alcuni possono sembrare scontati, ma per altri dovrete spremere un po’ le meningi eheh
By the way, tornando a parlare della figlia di Ermes, ora sapete cosa il suo dono le consente di fare, e qual è il sentimento che la aiuterà a controllarlo: la rabbia.
Trovate che abbia senso? In effetti la nostra bionda è sempre stata caratterizzata da un carattere un po’… focoso.
Però ha comunque paura di lasciarsi andare ai propri sentimenti. Come biasimarla, dopo quello che ha passato? Credete che eventuali riferimenti a
Leo siano casuali? Beh, non lo sono.
Parlando di quest’ultimo, eccovi approfondita l’amicizia che sta nascendo tra lui ed
Astrid.
Scrivere dal punto di vista di una non vedente non è facile come può sembrare, ma spero comunque di aver fatto un buon lavoro.
Lei non si autocommisera, certo, ma alla fine ha ammesso che le piacerebbe molto scoprire come sono almeno i colori.
In ultimo, c’è la nostra piccola
Skyler, alle prese con un altro attacco di panico. Stavolta però ne è vittima non a causa di Prometeo, ma delle sue insicurezze.
Tutte quelle morti avvenute per colpa sua gravano su di lei a tal punto da minacciare di schiacciarla. Pensate che la nostra Ragazza in Fiamme ce la farà a gestire questo suo momento di debolezza? Oppure lo stato in cui si trova diventerà presto permanente?
Se così fosse, non potrebbe davvero nulla contro il titano, che le ha lasciato un nuovissimo indovinello: ‘non c’è più quando lo nomini’.
Riuscite a risolverlo? gnaw
Comunque.
Ultimamente ho notato che l’interesse nei confronti di questa storia va sempre più diminuendo, e questo mi demoralizza e mi dispiace molto. So perfettamente che la colpa è solo mia, perché ciò che scrivo eventualmente non piace, oppure le mie idee sono insoddisfacenti.
Ma vi prego di farmelo sapere se vale la pena continuare o meno.
Sapete già quanto amo scrivere questa storia, ma è lo stesso triste notare come questa non piaccia a coloro che si suppone debbano leggerla.
Anyway, ringrazio ugualmente i due angioletti
Anna in Black e Anakin Solo per aver commentato il capitolo precedente!
Mi auguro che questo vi piaccia, e di poter conoscere tutte le vostre opinioni, belle o brutte che siano.
Ora mi dileguo, guys!
Al prossimo martedì, yay
Sempre vostra,

ValeryJackson
 
 

► INTERACTIVE ZONE
Non so se questa iniziativa vi sta piacendo o meno, ma io continuerò a portarla avanti finché non sentirò di fare la cosa sbagliata.
Che dire? Ringrazio Anakin Solo per avervi partecipato, la scorsa settimana. La tua frase per Leo ed Emma era bellissima, davvero **
Vi aveva promesso di esporvi la mia idea, ed ecco come la penso: ci sono moltissime frasi e/o canzoni che possono essere perfettamente compatibili con questa coppia, ma ultimamente quella che mi ha fatto pensare di più a loro è Just A Dream di Nelly.
La conoscete? Che ne pensate? Quel testo – a parer mio – rappresenta appieno la situazione che attualmente stanno vivendo i due ragazzi. Parla di una relazione finita, ma tuttavia viva in entrambi, che non possono fare a meno di chiedersi come sarebbe stata qualsiasi cosa se le cose tra loro non fossero mai cambiate.
Btw,
per questa settimana vi pongo la medesima domanda, ma in riferimento a Skyler e Michael.
Ovviamente la mia risposta ve la darò solamente il prossimo martedì ahah
Spero che rispondiate in tanti, questa volta, perché trovo molto bella l’interazione tra autore e lettore, e sapete che sono sempre disponibile a scambi di idee e confronti, gnaw!
Love

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***



Emma non era mai capace di rifiutare gli inviti di Lars, qualunque cosa essi comportassero.
Gli piaceva trascorrere il proprio tempo con lui, e soprattutto adorava la discrezione e la gentilezza con le quali si interessava a lei, ponendole sempre le giuste domande e non sbagliando mai ogni singola mossa.
Era perfetto. Troppo, per essere vero.
Ma alla figlia di Ermes spesso bastava incontrare i suoi limpidi occhi azzurri ed osservare il suo impaccio ogni volta che i loro corpi entravano in un modo o nell’altro in contatto per capire quanto quel ragazzo fosse tenero ed unico.
Quella mattina – subito dopo la lezione di scherma che avevano avuto in comune – il figlio di Balder le aveva proposto una passeggiata, e lei aveva accettato senza alcun tentennamento.
Stavano camminando fianco a fianco nei pressi del campo di fragole; e rendendosi conto che parlare con lui fosse la cosa che di più naturale le venisse al mondo, la bionda si riscoprì a desiderare di non poter fare altro per tutta la vita.
«Dunque, vediamo» esordì ad un certo punto lui, porgendole una mano per aiutarla a salire in piedi su una delle panchine di marmo che avevano davanti. «Il tuo colore preferito è l’argento, sei allergica al polline e non hai mai visto Star Wars.»
La giovane fece roteare gli occhi, divertita. «Dei!» esclamò. «Per quanto ancora me lo rinfaccerai?»
«Finché non ti deciderai a vederlo, ovviamente!» ribatté il nordico, fingendosi invano indignato. «È la cosa migliore che gli americani abbiano mai creato.»
«Dopo le patatine fritte» gli ricordò lei.
«Sì, dopo quelle» convenne con un’alzata di spalle lui.
Non avendo lasciato la sua mano neanche per un’istante mentre si sforzava di restare in equilibrio sullo schienale della panca, la ragazza sentì la mancanza di quel contatto quando il biondo ritrasse lentamente la propria non appena lei fu scesa, imbarazzato.
«C’è altro che dovrei sapere di te?» le chiese, con una punta d’ironia.
«Non direi» arricciò il naso Emma, pensandoci un po’ su. «Vado pazza per i marshmallow. E non ho mai assaggiato un tacos.»
«Se è per questo, neanche io» la rassicurò Lars.
«Perfetto. Lo aggiungerò al giallo e all’intolleranza al lattosio.»
Risero entrambi, lanciandosi una complice occhiata. Dopo di ché, il giovane le offrì educatamente un braccio, che la figlia di Ermes afferrò con ampio sorriso.
«Tu hai molti fratelli?» le domandò quindi lui, così da poter portare avanti la conversazione.
«Abbastanza» assentì lei, con un sospiro. «Diciamo che il mio paparino si è dato da fare.»
«E com’è vivere con tutti loro?» si informò il figlio di Balder.
«Ingombrante» scherzò la bionda, al ché il ragazzo ridacchiò, scrollando di poco la testa. Lei lo guardò. «Perché, non tutti i figli di Balder fanno parte del tuo clan?» volle sapere, curiosa.
«Solo due, in realtà» ammise lui. «Gli altri hanno delle diverse attitudini. Non siamo molto legati, tra noi» aggiunse poi. «Avere lo stesso sangue… non ci rende automaticamente una famiglia, non so se mi spiego.»
«Wow» commentò brevemente la semidea, facendo un verso di scherno. «Allora hanno ragione, quando dicono che siete glaciali» osservò. Per un attimo temette di averlo offeso, con quella battuta. Ma prima che potesse prendere fiato per scusarsi, il ragazzo abbozzò un triste sorriso.
«Non fraintendermi, lotterei al loro fianco fino alla fine, e farei di tutto per proteggerli» assicurò. «Ma…» Esitò, alla ricerca delle giuste parole con le quali esprimersi. «Non so fino a che punto rischierei la vita per loro.»
In un gesto inconscio, Emma gli accarezzò il muscoloso avambraccio, con aria comprensiva. «E per quelli del tuo clan?» fece, stringendosi un po’ di più a lui.
«Con loro è diverso» spiegò Lars, con fierezza. «Per loro lo farei senza problemi.»
«Perché?» La figlia di Ermes lo fissò con un cipiglio interrogativo. «Com’è che funziona, tra voi?»
«Il nostro Campo non è molto diverso dal vostro» le raccontò dunque il biondo, grattandosi distrattamente un orecchio. «Ogni clan ha la propria tenuta, dove i ragazzi risiedono. E poi c’è la fortezza principale, nella quale ci alleniamo. È simile a quella che c’è qui» affermò. «Solo più grande.»
«Zeus» si stupì la giovane, inarcando le sopracciglia. Era convinta di non aver mai visto alloggio più mastodontico di quello che era stato costruito accanto alla Casa Grande. Quanti ettari occupava l’Halvgud Camp? Possibile che vi vivessero così pochi mezzosangue? Ve ne erano per caso degli altri?
«Una volta che ti abitui a vivere con i tuoi compagni, loro diventano il tuo punto di riferimento» continuò il figlio di Balder, con un cenno del capo. «E il capoclan il tuo mentore. Solo che non sono sempre tutti adatti a quel ruolo.»
«Come non lo è Aren Waegmund?»
La bionda non aveva ancora dimenticato quel nome. La strafottenza e il poco rispetto con il quale il figlio di Odino si era presentato non le erano affatto passati inosservati, e avevano accresciuto l’astio che a primo impatto aveva provato nei suoi confronti.
Ogni giorno che le capitava di condividere le proprie ore di allenamento con lui era costretta a reprimere l’impulso di deviargli quel bel setto nasale. Poteva anche essere eccessiva e piuttosto manesca, certo, ma era palese che quel ragazzo sapesse come farsi disprezzare.
«Se entri nelle sue grazie, nessuno oserà mai farti nulla» annuì il giovane, con rassegnazione. «Ma lui è un ragazzo avvenente, ed è attratto solo da quelli come lui. Tutti gli altri devono rassegnarsi all’idea di essere tormentati dai bulli.»
«E a te è successo?» appurò lei, irritata alla sola idea.
«Fortunatamente no» la tranquillizzò lui, gli angoli della bocca incurvati all’insù. «Appartenere ad un clan come il mio in situazioni del genere è favente.»
«Perché non mi parli un po’ della sua famiglia?» ne approfittò allora Emma, assottigliando lo sguardo con un luccichio indagatorio.
«Non c’è molto da dire» si strinse nelle spalle Lars, con un leggero disagio.
«Sicuro?» lo prese in giro la ragazza. «Perché mi hai detto di non far parte dei Fulkung per via della tua predisposizione alle arti magiche» gli ricordò. «Cammini sempre con la schiena dritta, ogni volta che passeggiamo mi offri il braccio - invece di provare a prendermi per mano - e usi spesso termini come ‘favente’.»
«Okay» storse le labbra lui, piacevolmente colpito dalla sua perspicacia. Quella semidea era molto più sveglia di quanto chiunque potesse immaginare. Non era semplice ingannarla, e lui era tra i primi a non avere alcuna opportunità di riuscita.
«La mia famiglia è di stirpe reale» decise finalmente di rivelare, senza omettere nessun dettaglio. «Mia madre è una granduchessa, e questo fa di me…»
«Un principe?» azzardò la figlia di Ermes.
«Un conte, in realtà» la corresse il figlio di Balder, corrucciato. «Ma sono più o meno la stessa cosa.»
«Un conte…» ripeté lei, allibita.
Per quanto il ragazzo si sforzasse di non darlo a vedere, la bionda poteva benissimo leggere nelle sue iridi chiare un lieve imbarazzo, quasi si vergognasse della sua stessa natura.
«Non te l’ho detto prima, perché non volevo che questo condizionasse il tuo giudizio» si giustificò lui, con un’espressione mortificata in viso. «Volevo interessarti per quello che ero, non per il mio titolo.»
La semidea ghignò, intenerita. «Posso assicurarti che ci sei riuscito» affermò, prima che il suo buonsenso le facesse notare che una simile asserzione l’avrebbe esposta più di quanto si fosse imposta di fare.
Ma oramai era troppo tardi per rimangiarsi le parole dette, e il velo rincuorato che si stese su quei due pezzi di zaffiro la convinse di non aver sbagliato.
«Non mi aspettavo che lo scoprissi così in fretta» confessò il biondo, accennando un sarcastico sorriso.
«Sono una figlia di Ermes» si pavoneggiò lei, compiaciuta. «Che tra le tante cose è anche il dio della menzogna. È difficile farmi credere ad una bugia.»
«La mia famiglia fa parte dei Fulkung da sette generazioni» le esplicò a quel punto lui. «Pensa che il bisnonno del padre di mio nonno era un figlio di Magni, il dio della forza.»
«Cavolo» espirò Emma, meravigliata. «Quindi tecnicamente discendi da due dei diversi.»
Lars annuì. «Sono il primo semidio degli Snivel da più di cento anni» annunciò, gonfiando il petto con fierezza. Dopo di ché le lanciò una timida occhiata, mentre si allontanavano sempre di più dal campo di fragole alla volta di una meta indefinita.
«Tu, invece?» chiese ingenuamente. «Com’è tua madre?»
Dinanzi a quel quesito, per la ragazza fu inevitabile rabbuiarsi, aggrottando mestamente la fronte. «Lei…» disse lentamente, tentennando qualche secondo. «Ha smesso di essere mia madre quando ero ancora troppo piccola per ricordarmelo» si limitò a mormorare, prestando poca attenzione all’onesto dispiacere del nordico, che sussurrò un affranto «Mi dispiace», sfiorandole solidale il dorso della mano.
Aveva inteso che fosse morta?
Beh, non era del tutto errato, dato che per la semidea lo era davvero. E forse in fondo al cuore preferiva che continuasse a credere così.
Non era ancora arrivato il momento giusto per tirare in ballo Claudia Walker e parlare di lei.
Scrollando determinata i propri riccioli biondi si riscosse, decisa a lasciar cadere l’argomento e ad incentrare il dialogo su qualcos’altro.
«Allora?» lo stuzzicò, con aria di sufficienza. «È il tuo primo appuntamento con una plebea
Lars sbuffò. «In generale mi costringono a frequentare delle ragazze del mio stesso rango, in effetti.»
«E io sono alla loro altezza?» volle sapere lei.
«Oh, no.» Il figlio di Balder si bloccò sul posto, costringendola a fare lo stesso. Incontrò le sue iridi argentate, incatenandovisi come se non avesse mai visto nulla di più bello. «Sono loro che non saranno mai alla tua altezza» le palesò con voce roca, e sotto l’incanto di quegli occhi turchesi la figlia di Ermes arrossì, lusingata da quel complimento.
Cos’aveva fatto per meritare un ragazzo come lui?
Dopo tanto tempo Afrodite aveva scelto – grazie al cielo – di essere dalla sua parte, e di smettere di farla soffrire. Un bel gesto, da parte sua.
Com’è che i suoi figli dicevano sempre?
“Bisogna incontrare molte persone, prima di trovare il vero amore. Quindi ogni volta che una storia finisce si è solamente ad un cuore spezzato in meno dalla propria anima gemella”.
Quando il biondo le spostò una ciocca ribelle dietro l’orecchio, la giovane sperò con tutta sé stessa che ciò fosse vero. Nell’istante in cui lui le lasciò un tenero bacio sullo zigomo, poi, non sognò di essere da nessun’altra parte se non lì, così vicina al semidio da avere la sua acqua di colonia a pizzicarle le narici.
Prima che si incamminassero nuovamente, Lars fece per porgerle ancora il braccio, ma parve ripensarci.
Le prese dolcemente la mano, e lei non oppose alcuna resistenza quando percepì le sue dita incrociarsi alle proprie, e i loro palmi combaciare senza che vi fosse il minimo imbarazzo.
Si concessero entrambi un sollevato risolino, stringendosi l’uno all’altro e riprendendo la loro passeggiata.
«Quindi» cantilenò sereno il giovane, rivolgendole uno sghembo sorriso. «Sei sicura di non aver visto neanche il prequel di Star Wars?»
 
Ω Ω Ω
 
Andrea era consapevole di non essere una persona con la quale era semplice relazionarsi.
Tendeva sempre ad allontanare tutti coloro che cercavano di avere un approccio con lei; e nonostante fosse consapevole di avere i propri buoni motivi per farlo, a volte si rendeva conto di esagerare.
Ma non riusciva ad evitarlo.
La vita era stata così crudele nei suoi confronti che tutto ciò che lei poteva fare, adesso, era difendersi da eventuali minacce esterne.
Il problema, però, era che spesso queste includevano anche la maggior parte dei sentimenti che potevano scalfire la sua corazza d’acciaio.
Amicizia. Fratellanza. Fiducia. Amore.
Non poteva permettersi tentazioni, né tentennamenti. Non dopo quello le che era successo.
Non dopo quello che le era stato brutalmente tolto…
Lei non aveva bisogno di nessuno, era questa la pura e semplice verità.
Bastava a sé stessa, e questo le era più che sufficiente per continuare a sopravvivere in un mondo che ai suoi occhi – ormai – non era altro che un cumulo di polverose macerie.
Stesa sulle lenzuola blu del suo letto a guardare il chiaro soffitto della camera, la ragazza si chiese che cosa si provasse, ad essere come tutti i giovani normali.
Liberi di sperimentare, e di sentirsi parte di qualcosa senza il timore di dover essere cacciati. Assolti da ogni problema; privi di ogni genere di costrizione.
C’erano giorni in cui avvertiva il forte bisogno di urlare a squarciagola quello che sentiva, ma poi finiva sempre per restare in silenzio, con la paura di non essere capita.
Mostrare il proprio lato oscuro significava permettere a qualcun altro di leggere le carte del suo passato, e di scoprire cose che lei era la prima a voler dimenticare.
Non era pronta per un passo così importante. Ed era certa di non aver mai incontrato l’anima giusta con la quale lasciarsi andare.
Qualcuno bussò alla sua porta, facendola sussultare.
Distogliendo l’attenzione dai propri pensieri, fece una smorfia, inspirando a pieni polmoni.
«Avanti!» concesse, in attesa di udire il cardine cigolare. Ma quando ciò non avvenne, si tirò su sui gomiti, imbronciata.
«Avanti!» reiterò, questa volta spazientita. Di nuovo, dall’altro lato non venne profferita alcuna parola. Sbuffando frustrata, la figlia di Tyr abbandonò il materasso, infilandosi velocemente le pantofole viola e andando ad aprire.
«Quante volte volete che ve lo ripeta?» sbraitò. «Ho detto ava-»
Prima che potesse addirittura concludere quel pensiero, spalancò l’anta, ma non vi trovò semidio che l’aspettasse.
Uno scherzo di cattivo gusto?
Stava per valutare quell’ipotesi, quando le sue iridi blu si posarono involontariamente su qualcosa che era stato posato a terra, accanto ai suoi piedi.
Una rosa.
Inarcando le sopracciglia interdetta, la rossa si chinò per raccoglierla, notando solo allora il biglietto che vi era stato annesso. Chi avrebbe avuto motivo di compiere un gesto del genere?
La risposta le arrivò quando lesse quel messaggio tanto inaspettato quanto significativo, buttato giù con una calligrafia marcata e anche un po' confusionaria.
 
Perdonami per averti chiesto quello che
non avevo il diritto di sapere
.
Non era mia intenzione infastidirti, lo giuro.
Vorrei solo imparare a conoscerti per sapere cosa si cela
dietro quella chioma biondo fragola.
Ho intuito che tendi ad tagliare le persone fuori dalla tua vita,
ma io non sono come tutti gli altri.
Io sono un osso duro, e non me ne andrò.
Non so cosa ti abbia spinto a fare di tutta l’erba un fascio,
ma sappi che – se vorrai – io sarò sempre lì per te,
in qualsiasi occasione.
Non rinuncerò a te.

Spero solo che tu mi dia un’ultima possibilità.
                                      - 
Microft.
 
Andrea rilesse quelle parole ben cinque volte, prima di convincersi che fossero vere e non le stesse solo immaginando. Non si rese neanche conto dello splendido sorriso che le aveva incurvato le labbra finché non ritornò nella sua stanza, sedendosi ai pedi del proprio materasso e lasciandosi sfuggire una sommessa risata.
Una volta le era stato detto che gli incontri più importanti sono già combinati dalle anime prima ancora che i corpi si vedano. Lei non aveva mai creduto a quella leggenda.
Ma ora stava iniziando a ricredersi.
Perché gente come quel figlio di Efesto non può comparire nel tuo destino per caso. Eventi del genere non potevano fare altro che parte di un disegno già scritto da qualcuno che voleva che loro si conoscessero.
Questo, in effetti, riusciva a spiegare molte cose – tra tutte la convinzione che provò in quel momento, quando fu sicura di volerlo accanto a qualunque costo.
Poteva non essere l’unico ragazzo al mondo, ovviamente.
Ma in quel momento era senza alcun dubbio quello che contava di più.
 
Ω Ω Ω
 
Quando Leo le aveva chiesto di incontrarsi ai campi di pallavolo oltre il coprifuoco, non aveva voluto rispondere a nessuna delle sue domande.
«È una sorpresa» si era limitato a dirle, e mentre lo aspettava nel silenzio più totale Astrid non poté fare a meno di maledirlo per avuto un’idea tanto stupida, qualunque essa fosse.
Era sempre stata una ragazza ligia al dovere, lei. Infrangere le regole andava contro ogni suo principio morale.
Ma nel tono del figlio di Efesto vi aveva letto così tanto entusiasmo, che per una ragione inspiegabile anche per sé stessa la ragazza non era riuscita a declinare l’invito.
Con le orecchie tese a percepire qualunque tipo di suono, udì il tonfo sgraziato dei passi del proprio amico prima ancora che questi la raggiungesse.
«Pts!» sibilò lui, richiamando la sua attenzione.
«Lo sai che se la Gunvor ci scopre, è la nostra fine?» ribatté piccata la figlia di Frigg, incapace, ad ogni modo, di celare un sorriso.
Il moro fece spallucce, sfacciato. «Correremo il rischio» pattuì, al ché lei arricciò il naso.
«Non puoi neanche immaginare quanto sia stato difficile arrivare qui» lo accusò, fingendo invano un broncio.
«Fidati» mormorò lui, afferrandole delicatamente la mano. «Ne varrà la pena.»
E prima che lei potesse anche solo obiettare, la trascinò gentilmente con sé, guardandosi intorno di tanto in tanto per assicurarsi che non vi fosse nessun occhio indiscreto in giro.
Entrare nella Casa Grande non fu semplice come aveva previsto, ma dovette benedire il sonno pesante che aveva sempre caratterizzato Chirone, che fece sì che il centauro non si svegliasse neanche quando il pavimento di legno scricchiolò sotto le suole delle loro scarpe.
«Dove mi stai portando?» si informò con tono lieve la bionda, assecondandolo in quell’avanzare furtivo.
«Nelle dispense del Campo» sussurrò Leo di rimando, conducendola giù per la buia rampa di scale senza mai interrompere il contatto tra i loro palmi.
Procedette a tentoni nella più totale oscurità, e per una frazione di secondo l’interdizione del non sapere come fosse per la nordica vivere costantemente nei limiti imposti dalla cecità attraversò in un quesito la sua mente.
Nell’istante in cui le sue dita incontrarono l’interruttore e una debole luce inondò la stanza, però, ogni suo pensiero fu rimpiazzato da un’elettrizzante euforia.
«Che cosa ci facciamo, qui?» domandò lecitamente la giovane, e il ragazzo ghignò, compiaciuto.
«L’altra volta mi hai detto che ti sarebbe piaciuto sapere che aspetto hanno le cose che ti circondano» le spiegò lentamente, accompagnandola verso il grande tavolo di rovere che faceva da padrone al centro della camera, ricoperto di alimenti – dai più comuni ai più impensabili.
«Sì, è vero» confermò lei, non opponendo alcuna resistenza ai gesti del semidio. Le faceva piacere che lui lo ricordasse, ma non riusciva ancora ad intuire come questo li avesse portati lì sotto.
«Hai espresso anche il desiderio di poter conoscere i vari colori» continuò il figlio di Efesto, facendo spazio sul piano e poi afferrandole i fianchi, aiutandola a sedervisi sopra. «Quindi» sottolineò, mettendosi di fronte a lei e lasciando gli angoli della propria bocca liberi di incurvarsi all’insù. «Per questa sera sarò la tua fata madrina.»
La figlia di Frigg aggrottò la fronte, confusa. «Che vuol dire?»
«Che adesso il tuo Leo ti farà vedere i colori.»   
A quell’affermazione un sopracciglio della ragazza si inarcò, palesando tutta la sua perplessità. «Leo…» tentò di replicare, sconcertata.
«Ti fidi di me?» la interruppe invece il giovane.
«Ma certo.»
«E allora cominciamo!»
Fece vagare lo sguardo tutt’intorno, alla ricerca di un modo per dare il via al proprio piano. Le sue iridi si posarono solo dopo qualche attimo sulla pentola nella quale alcune patate stavano bollendo, molto probabilmente in vista di qualche spuntino notturno del loro direttore delle attività.
Ne prese con accortezza una, ma nonostante quella fosse fumante, i suoi polpastrelli non furono vittime di un eccessivo calore.
I vantaggi di essere un figlio del dio del fuoco, ragionò, prima di ordinare all’amica di posizionare le mani a coppa e di porgergliela senza preavviso.
Astrid sussultò, spostando il tubero da un palmo all’altro ogni pochi secondi.
«Ahi» si lamentò, e Leo abbozzò un sorriso sghembo, soddisfatto.
«Questo» annunciò, con tono solenne. «È il rosso.»
«Il rosso…» ripeté lei, e sul suo volto si dipinse un’espressione stupita e concentrata. Accarezzò esitante la buccia ruvida con le dita, attenta a non scottarsi. «Il rosso.»
Le sue iridi azzurre si illuminarono, in preda ad un inaspettato entusiasmo.
«Ora ho capito!» esultò, con un risolino eccitato. «Il rosso è caldo. Anzi, caldissimo
«Eh, già.»
La bionda sorrise, incredula. «Ma che sapore ha?»
Beh, quella richiesta il ragazzo non l’aveva prevista. Ma pensò lo stesso di avervi trovato la giusta risposta quando raccolse un peperoncino dal tavolo, intimandole di leccarlo.
La ragazza fece una smorfia disgustata. «È piccante!» ridacchiò, contagiando anche lui. «Adesso è chiaro. Il rosso è caldo e piccante.»
«Sì! Sì, esatto!» gioì lui, prendendola per le spalle con aria trionfante.
«Un altro colore, Leo» lo pregò quindi lei, emozionata. «Per favore.»
«D’accordo» assentì il giovane, scrutando meticolosamente ogni alimento finché non selezionò un mazzetto di basilico. «Ecco» la avvisò, tornando al suo fianco. «Questo è il verde.»
«È fresco» constatò la nordica, sfiorandolo con delicatezza. «E morbido
«Sì!»
«Quindi è anche rilassante
Il figlio di Efesto prese fiato per rispondere, ma poi titubò, indeciso. «Questo in realtà non lo so» ammise, e la figlia di Frigg rise a quella battuta.
«Ne hai un altro?» si informò.
«Quanti ne vuoi» le assicurò lui, dirigendosi verso il frigo. Lo aprì, scrutandovi all’interno fin quando non trovò l’ispirazione che cercava. Inizialmente fece per prendere un paio di cubetti di ghiaccio con le mani; ma considerata la sua natura ‘focosa’, in seguito si rese conto che forse non era una grande idea.
Ne scelse uno con un paio di pinze, lasciandoglielo poi cadere sul palmo.
«Questo è freddo» appurò Astrid. «Chiaro» dedusse dopo.
«È blu» le raccontò il moro, inclinando intenerito il capo e squadrandola con dolcezza. «Come i tuoi occhi.»
La semidea avrebbe aggiunto qualcos’altro, se entrambi non avessero udito dei passi infrangersi per la rampa delle scale. Zoccoli, in realtà.
«Merda» imprecò Leo, aiutando l’amica a scendere dal tavolo e affrettandosi a spegnere la luce. Si nascosero dietro l’enorme credenza contenente le spezie, stringendosi il più possibile l’uno all’altra nella vana speranza di occupare il minor spazio necessario.
Quando il cardine cigolò, trattennero il fiato, in attesa.
Chirone si diresse distrattamente verso la pentola che bolliva, in un gesto ormai consueto e abitudinario. Versò tutte le patate lesse che quella conteneva in una ciotola di ceramica, spegnendo il fuoco e dando involontariamente le spalle ai due ragazzi per tutto il tempo.
Infine si allontanò stancamente, afferrando quattro carote dal tavolo prima di abbandonare la dispensa e tornarsene nei propri appartamenti.
Il giovane si concesse nuovamente di respirare solo quando fu certo che il centauro fosse definitivamente andato via. Chiuse gli occhi sollevato, abbandonandosi ad un profondo sospiro.
«Ci è mancato poco» intuì la ragazza, che pareva comunque divertita da tutta quella situazione.
Lui accompagnò la sua felicità con un sorriso appena accennato. «Infatti» assentì. «Sarà meglio andar via, prima che si accorga che ne manca una» decise, con un cenno del capo.
«Non ti ringrazierò mai abbastanza» affermò a quel punto lei, prima che il moro potesse muoversi anche solo di un passo. Il suo tono tradiva una genuina commozione, e stringendosi nelle spalle chinò teneramente il capo di lato. «Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere per me» confessò, al ché Leo si riscoprì incapace di celare un più ampio sorriso.
Le posò dolcemente una mano dietro la nuca, attirandola a sé e baciandole con accortezza la fronte, lasciando lì le sue labbra qualche secondo in più del necessario.
«Farei questo ed altro, per te» le fece semplicemente notare, come se fosse una cosa scontata. «Te lo meriti.»
Ed era vero: lei meritava tutto il meglio che quest’incompreso mondo potesse offrirle. E se tutte le persone che fino ad allora avevano avuto il privilegio di incontrarla sul proprio cammino non l’avevano capito, allora che andassero al diavolo anche loro!
Il figlio di Efesto non avrebbe rinunciato alla sua amicizia neanche sotto tortura. E dopo quella notte, Astrid tentò in tutti i modi di fargli capire che la cosa era reciproca.
Era stata concessa ad entrambi l’opportunità di trovarsi, e non erano intenzionati a sprecarla.
D’altronde, doveva esserci una ragione specifica per cui il destino aveva reso possibile il loro incontro; e nonostante il ragazzo non avesse idea di quale fosse, era comunque convinto che prima o poi l’avrebbe scoperta.
Ma per il momento preferiva credere che l’unico motivo fosse stato il suo disperato bisogno di tornare a sorridere come un tempo, come se la vita fosse ancora bella e non fosse più così difficile andare avanti, contro tutto e tutti.
Lei gli aveva fatto dimenticare che cosa dignificasse essere dimenticati.
E sì, la figlia di Frigg aveva sbagliato: era lui che non l’avrebbe mai ringraziata abbastanza. 


Angolo Scrittrice
Salve a tutti, semidei!
Pensavate di esservi finalmente liberati di me, e invece sono ancora qui - in ritardo di un giorno, ma comunque con un nuovissimo capitolo tutto per voi. 
Per evitare di rendere questa storia troppo tetra e pesante, questa settimana non vi sono problemi o pericoli, ma solo l'evoluzione di tre coppie diverse e dei loro rapporti. 
Iniziamo con
Emma e Lars, che diventano sempre più intimi, man mano che andiamo avanti. Ora si sa la verità su di lui: il piccol Snivel è di sangue blu, miei cari! Ecco spiegato perchè fa parte del clan dei Fulkung. 
Qualcuno di voi l'aveva immaginato? Beh, questo spiega perché ha tutta l'aria di essere un principe azzurro in jeans e casacca rossa e arancione, no?
Che ne pensate dei due insieme, poi? Formerebbero una bella coppia?
Finalmente
Andrea sta ufficialmente cominciando a valutare la propria relazione con Microft. Che si tratterà di amore o semplice amicizia ancora non è ben chiaro, ma fatto sta che tutte noi desideriamo un dolce figlio di Efesto che lasci una rosa davanti la porta della nostra stanza per scusarsi della propria ingnuità. 
Cinque punti per te, Micky! Che la figlia di Tyr abbia aggiornato la propria classifica? 
E che dire invece della bellissima amicizia che si sta instaurando tra
Astrid e Leo
Il nostro Repair Boy ha superato sé stesso, stavolta, e grazie alla propria inventiva e stravaganza è riuscito a trovare il modo di aiutare la nostra figlia di Frigg. 
Le ha fatto vedere i colori, in un modo o nell'altro. E questo per la giovane non vedente è di sicuro un gesto di inestimabile valore. 
Per questa settimana è tutto, e onestamente credo anche per la prossima. Notare questo continuo calo di interessa capitolo dopo capitolo è davvero mortificante, quindi è arrivato il momento - per me - di valutare se vale la pena o meno continuare la storia. 
Perciò, il prossimo martedì lo prenderò di riflessione, nella speranza di potermi ricredere e di avere l'occasione di scartare l'idea di interromperla qui. 
Se però avete qualche consiglio da darmi, oppure volete indirizzarmi verso la giusta direzione, vi prego di farlo. Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto o vi ha fatto schifo. 
Non esitate a dirmi se la storia ha potenziale oppure no.
Siamo qui per questo, per esprimere liberamente le nostre opinioni, nel bene e nel male. 
Nel prossimo capitolo annuncerò la mia decisione.
Anche l'interactive zone questa settimana non ci sarà, in attesa che magari qualcuno voglia partecipare alle precedenti, oppure - se l'ha già fatto - desideri aggiungere qualcosa. 
Ci vediamo tra due martedì, dunque. 
Nel frattempo però ringrazio i dolcissimi
TamaraStoll e Anakin Solo, che mi hanno strappato un sorriso con le loro belle recensioni. 
Un bacione enorme, guys!
Per ora ancora vostra,

ValeryJackson


 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


 


Michael riuscì ad intercettare abilmente la lama con un rapido scatto del polso, prima che questa gli mozzasse di netto la testa.
Skyler ghignò, sferrando un secondo fendente. Fu parato anche questo, ma il terzo andò magistralmente a segno, ferendo l’avambraccio del figlio di Poseidone, che grugnì.
«Due minuti!» li avvisò Dahl, che insieme ad Emma e John assisteva al loro combattimento dal bordo campo.
La figlia di Efesto si scagliò contro il giovane, facendolo barcollare all’indietro nel vano tentativo di sfuggire al suo montante. Le loro spade cozzarono l’una contro l’altra, producendo uno stridente fruscio metallico.
Con un affondo, la ragazza gli ferì superficialmente la gamba destra; e seppur in seguito a quel colpo subìto il moro colse la propria occasione di assestarle una stoccata, non la colse.
Era più forte di lui: aveva sempre trovato difficile lottare contro la propria fidanzata.
Lei era l’unica persona contro la quale assopiva ogni suo spirito competitivo. Il suo primo istinto era sempre quello di proteggerla, mai di attaccarla. Proprio per questo motivo quando la semidea lo disarmò, il ragazzo non si sforzò più di tanto per impedirlo.
La giovane gli premette la lama contro la gola pochi secondi prima che Phil soffiasse nel proprio fischietto, decretando la fine dell’incontro.
I due si sorrisero, allontanandosi di un passo l’uno dall’altro.
«Hai davvero bisogno di perfezionare la tua difesa, sai?» gli fece notare Skyler, mentre lui si chinava per raccogliere da terra la propria arma.
«Non era una vera battaglia» le ricordò quindi Michael, pulendosi il naso con il dorso della mano.
«Chi ti dice che non ti avrei ucciso?» domandò allora ironica lei, assottigliando lo sguardo a due strette fessure.
Filottete si avvicinò lentamente a loro, i palmi incrociati dietro la schiena e un’espressione indecifrabile sul volto. Squadrò il figlio di Poseidone con circospezione, facendo poi schioccare la lingua.
«Hai esitato» osservò, e fu palpabile nella sua voce una nota di disappunto.
«Come?» fece il moro, aggrottando leggermente la fronte.
«Quando lei si é esposta pur di portare a casa la propria azione» specificò quindi l’uomo, impassibile. «Avevi la possibilità di ferirla e non l’hai fatto. Perché?» Chinò il capo di lato, sbuffando dal naso.
«Che c’è? Avevi paura che potesse farsi troppo male? Non volevi colpirla?» lo prese dunque in giro, rivolgendosi a lui come se fosse un bambino di cinque anni. «Questa ragazza potrebbe farti tranquillamente il culo» constatò subito dopo, tornando serio. «E sì: nonostante io abbia molti anni so benissimo utilizzare il gergo del vostro ventesimo secolo.»
«Non lo metto in dubbio» assicurò Michael, affondando i denti nel labbro inferiore al fine di trattenere un risolino. Dahl non parve apprezzare il suo sarcasmo.
«Pensi che tutto questo sia uno scherzo?» si urtò infatti, stizzito. «E se io facessi questo?»
Accadde prima che il ragazzo potesse chiedergli a cosa si riferisse. L’istruttore estrasse un coltellino dalla propria cintura e fece roteare il braccio all’indietro per infierire con l’elsa nell’incavo del gomito della figlia di Efesto. Questa si piegò sulle ginocchia più per la sorpresa che per il dolore, e perdendo la presa sulla propria spada arricciò il naso, indignata. Phil riuscì quindi a recuperare quell’arma da terra con l’ausilio della punta del proprio stivale; e non appena la impugnò, si preparò ad assestare un fendente in piena regola.
Ma prima che potesse anche solo sfiorare il volto della giovane con la lama, il figlio di Poseidone gli si parò davanti, intercettando il suo attacco in quella che fu una frazione di secondo.
Le sue iridi ora azzurre luccicavano di determinazione, come quelle di una leonessa disposta a fare di tutto pur di difendere i propri cuccioli.
Di fronte a quella tempestività che il moro doveva al suo innato istinto di protezione, Filottete abbozzò un sorrisetto sghembo.
«Moiraìo elàttoma» bisbigliò, guadagnandosi un’occhiata stranita da tutti i presenti.
«Eh?» si corrucciò Michael, al ché l’uomo ridacchiò con sufficienza, porgendo distrattamente la spada che impugnava alla legittima proprietaria.
«Difetto fatale» chiarì, volgendo stavolta la propria attenzione anche a John ed Emma, che li avevano raggiunti non appena lo avevano visto attaccare la loro migliore amica. «Tutti gli eroi ne hanno uno» aggiunse, compiaciuto. «E voi non siete da meno.»
«Ah, no?» si stupì la figlia di Ermes, inarcando scettica le sopracciglia.
«I vostri sono tanto pericolosi, poi, che se non controllati potrebbero distruggere voi stessi e tutti gli altri.»
«Lei li conosce?» si informò a quel punto Skyler.
«Me li ha detti Chirone» confessò lui. «Conosce molto bene tutti i suoi allievi. Così come Prometeo, che è talmente bravo nello studiare i propri nemici, che non ci ha messo molto ad intuirli.»
«E può dirci quali sono?» gli intimò quindi il moro, rifoderando a propria volta la sua arma.
Dahl lo guardò. «Il tuo è il coraggio» annunciò. 
«Il coraggio?» ripeté il ragazzo, basito. «Da quando è un difetto?»
«Oh, spesso è un pregio, è vero. Ma i difetti più pericolosi sono quelli che apparentemente sono delle qualità» puntualizzò Phil. «Tu non temi nulla. Sei sempre pronto a buttarti nella mischia pur di fare del bene, nonostante sappia già di non avere opportunità di riuscita. Ogni volta sei il primo ad agire; segui l’istinto. Ma credi sul serio che sia una cosa positiva?» lo istigò. «Così facendo, non sai mai cosa potrebbe succederti, e potresti anche arrivare a peggiorare le cose.»
Detto questo, si voltò versò la figlia di Efesto, puntandole contro un dito. «Il tuo, invece, è l’altruismo» rivelò. «Hai un grande spirito di sopportazione; non esiti mai quando si tratta di salvare la vita degli altri. Ma attenta per chi ti sacrifichi» la mise in guardia. «Perché di vita ne hai una sola.»
Posò i propri occhi scuri sulla bionda. «Walker!» esclamò, allargando le braccia. «Sì, il tuo è di gran lunga il più comune trai mezzosangue: la lealtà.»
«Lo stesso di mio fratello Percy» osservò il figlio di Poseidone.
«Esatto!» confermò l’uomo. «Sei fedele ai tuoi amici, e non li lasceresti mai indietro. E questo ti fa onore, per carità! Ma ti rende anche vulnerabile» le palesò. «Per tutti i tuoi nemici è facilissimo capire come farti cedere.»
Infine, girò la testa verso il figlio di Apollo, accarezzandosi pensieroso la barba. «Johnny» lo chiamò, facendogli digrignare i denti infastidito. «Il nostro Johnny» lo elogiò, con affetto. «Il tuo è la bontà.»
«La bontà?» il biondo sembrò perplesso, e anche un po’ offeso. «Davvero?»
«Sì» annuì l’adulto. «Tu sei troppo buono» lo accusò. «Andiamo, quante volte ti sei trovato nella posizione di dover uccidere qualcuno, e non l’hai fatto?»
«Io so benissimo uccidere, se necessario» si difese il ragazzo, imbronciato.
«È questo il problema, John» insistette Dahl. «‘Se necessario’. A volte non è necessario, ma va fatto lo stesso.»
Il giovane avrebbe voluto controbattere, ma scoprì di non poterlo fare. In effetti, Filottete non aveva tutti i torti. Lui aveva sempre avuto un’indole pacifista, che lo portava spesso a cercare una soluzione che gli impedisse di togliere la vita alle persone.
Ma se questo un giorno si fosse rivelato un problema?
Non poteva di certo salvare tutti. E come faceva a sapere che così come lui esitava nel trafiggere con una freccia il petto di qualcuno, l’altro avrebbe fatto lo stesso?
C’erano individui che non volevano essere salvati. Era così che andava il mondo, anche se lui faceva sempre molta ad accettarlo.
«È sulle vostre debolezze che io voglio insistere» ammise ad un tratto Dahl, lasciandoli perplessi.
«In che senso?» domandò Emma.
«Che cosa credete che io stia facendo, qui?»
«Ci sta allenando?» ipotizzò il moro, stringendosi nelle spalle.
«Ci sta preparando per la guerra contro Prometeo» intervenne dunque Skyler.
«No e… nì» concesse lui, prima di farsi scrocchiare le nocche. «È vero: siamo nel bel mezzo di una guerra, anche se la maggior parte di noi non se ne rende ancora conto. Una guerra che non vinceremo mai, se voi non imparerete a conoscere appieno voi stessi.»
«Suona promettente» ironizzò la figlia di Ermes, strappandogli un piccolo ghigno stentato.
«Fidati, Walker» la invitò lui, lanciando a tutti e quattro un’occhiata molto significativa. «Se farete come vi dico, vi accorgerete che alla fine ne sarà valsa la pena.» Prese un profondo respiro, per poi svuotare i polmoni. «Quando ci si ritrova sul campo di battaglia, non sono i nostri nemici a spaventarci, ma i nostri punti deboli. Però nessuno sa mai che le nostre più grandi forze maturano sempre dalle nostre paure. È per questo che una volta che conosciamo quest'ultime nel dettaglio, esse smettono di farci del male.»
Spostò tutto il proprio peso sulla gamba destra, squadrandoli con attenzione. «È puntando sui vostri ‘difetti’ che vi insegnerò a lasciarvi andare a ciò che gli dei vi hanno donato» affermò in seguito. «Voi avete avuto l’onore di essere stati scelti tra tanti – tantissimi – semidei perché avete qualcosa di speciale. Ma siete i primi a non sapere cosa.»
«E lei è qui per farcelo capire?» azzardò il figlio di Apollo, inarcando un chiaro sopracciglio.
«No» scosse il capo Dahl, allargando le braccia e mostrando sfacciatamente i palmi. «Io sono qui per aiutarvi smettere di esitare» specificò. «E a farvi trovare da soli la vostra strada, per quanto questa possa apparire ardua e restia. Ditemi, ragazzi» li esortò dopo, con un cenno del capo. «Secondo voi esiste un modo per sopraffare i propri limiti, invece di essere sopraffatti da loro?»
 
Ω Ω Ω
 
Melanie aveva notato che c’era qualcosa che non andasse nell’istante stesso in cui aveva incontrato le iridi verdi di John, quel pomeriggio. Era più silenzioso del solito, e seduti su una delle panchine di marmo nei pressi dei campi di pallavolo, lei non riuscì a frenare l’impulso di stringergli la mano, cercando invano il suo sguardo assente.
«Mi dici che cos’hai?» gli intimò dolcemente, intrecciando le dita alle sue e chinando leggermente il capo di lato.
Il biondo si sforzò inutilmente di abbozzare un sorriso. «Sto bene» mentì, non riuscendo a convincere neanche sé stesso. «Sono solo un po’ stanco, tutto qui.»
«John» lo riprese quindi la ragazza, al ché lui sospirò, grattandosi distrattamente la fronte.
A cosa stava pensando?
Beh, diciamo che il discorso che Filottete aveva tenuto loro quella mattina l’aveva turbato molto più del necessario. Non faceva altro che rimuginare sul proprio difetto fatale, e sulle conseguenze che avrebbe potuto comportare in un ipotetico futuro; ma purtroppo non poteva parlarne con lei, e la sola idea lo faceva impazzire.
Odiava avere dei segreti con la figlia di Demetra, specialmente quando a volte vedeva in lei la sua più sincera confidente. L’amore che provava nei suoi confronti lo spingeva sempre a condividere ogni importante dettaglio della propria vita con la giovane, che dal canto suo aveva ormai imparato a fare altrettanto, aiutandolo a porre le basi di quello che era diventato un rapporto quasi essenziale.
Ma non poteva dirle delle lezioni private con Phil, o del dono che aveva ricevuto contro la propria volontà. Non poteva raccontarle di quanto tutte le certezze che aveva avuto fino a quell’istante si fossero sfaldate non appena aveva scoperto che per tutto questo tempo non aveva convissuto che con una misera parte di sé, ignorando l’altra.
Non avrebbe saputo come spiegarle il pericolo che tutti loro stavano correndo senza crearle delle inutili preoccupazioni prima del tempo, e per questa ragione preferiva tacere.
Però avvertiva comunque l’insaziabile bisogno di sfogarsi con lei. Una necessità irrefrenabile, naturale.
«Questa mattina, parlando con un amico, sono venuto a conoscenza del mio difetto fatale» confessò ad un tratto, soppesando lentamente ogni parola per assicurarsi di non tradirsi da solo.
«E?» lo incitò la bionda, accarezzandogli teneramente le nocche con il pollice.
«E, beh… ehm» balbettò lui, cercando le parole giuste. «Sono rimasto un po’… spiazzato. Non avrei mai creduto che quella che generalmente viene considerata una qualità potesse diventare un punto debole a tutti gli effetti. Però purtroppo ha ragione.»
«Di che si tratta?» volle sapere quindi Melanie, perplessa.
Il figlio di Apollo esitò. «Mi ha detto che sono troppo buono» ammise, leggermente corrucciato. «Il che può sembrare assurdo; ma è la verità, e l’idea che questa mia indole pacifista in realtà non possa causare altro che problemi mi manda in tilt.» Sospirò, massaggiandosi una tempia con due dita. «Sto davvero iniziando a mettere in dubbio tutti i miei principi.»
«Ascolta» esordì a quel punto la figlia di Demetra, mettendosi cavalcioni sul grembo del giovane così da potervisi ritrovare faccia a faccia. Gli passò affettuosamente una mano tra i capelli, guardandolo negli occhi. «Tu sei in assoluto la persona più buona che io abbia mai conosciuto. Sei gentile, altruista, sensibile, tenero… e non riesco ad immaginare un mondo dove tutto questo sia un difetto.» Gli sorrise, sfiorandogli il mento con il pollice. «Non provare neanche per un secondo a mettere in dubbio ciò che sei, chiaro? Solo perché hai un cuore d’oro, non significa che tu non sia abbastanza forte.»
«E se non riuscissi a proteggere quelli che amo?» la interruppe John, con un cipiglio preoccupato. «E se non fossi in grado di distinguere le persone oneste da quelle cattive?»
La ragazza storse le labbra, contrariata. «Sei troppo saggio per non sapere quale sarà la cosa giusta da fare, qualora dovessi essere costretto a scegliere» gli fece notare, posando la fronte contro la sua. «Ciò che ci caratterizza diventa un difetto solo nel momento in cui iniziamo a considerarlo tale.»
A quell’affermazione, il biondo si lasciò sfuggire un sorriso, rincuorato. Fece scontrare giocosamente i loro nasi, per poi posare un piccolo bacio sulla punta di quello di lei.
La giovane rispose immediatamente premendo delicatamente le labbra contro le sue, in un bacio dolce e sentito, che rese lucide le iridi di entrambi.
«Ti amo» le sussurrò inconsciamente lui, così che solo lei potesse sentirlo.
Melanie ghignò. «Era un modo carino per dirmi: “grazie per avermi fatto capire quanto fossi stato stupido”?» lo provocò, maliziosa.
«No» scherzò il ragazzo. «Era un modo carino per poter ottenere un altro bacio.»
La figlia di Demetra inarcò le sopracciglia, divertita. «Beh, se è così bastava chiederlo» ridacchiò, assecondandolo in un secondo incontro di labbra stavolta più passionale, più intenso.
E per un attimo John dimenticò tutte le proprie preoccupazioni. Lei aveva sempre questo effetto, su di lui: in sua compagnia, era come se tutti il male del mondo cessasse di esistere per qualche istante, concedendogli la possibilità di viversi senza problemi, senza timori.
Ma sfortunatamente la vita non era così semplice. E per quanto avrebbe voluto dar fiducia alle parole della bionda, non poteva fare a meno di porsi le stesse, fastidiose domande.
E se non fosse riuscito davvero a proteggere quelli che amava?
E se non fosse stato in grado di distinguere le persone oneste da quelle cattive?
 
Ω Ω Ω
 
Emma aveva bisogno di distrarsi da tutti i problemi che la stavano affliggendo nell’ultimo periodo, e apparentemente l’unico modo che aveva trovato per farlo era stato offrirsi volontaria per i turni di guardia di quella sera.
Dopo l’arrivo dei nordici, quella era fortunatamente una delle ‘tradizioni’ che Chirone si era rifiutato di cambiare. Così facendo, lui poteva avere la certezza che durante la notte non vi fossero dei problemi; e a volte poteva essere una buona valvola di sfogo per tutti quei semidei che avevano bisogno di staccare la spina.
Si era quindi fatto concedere un permesso speciale dalla Gunvor, che seppur restia aveva concordato con lui sull’uscita di non più di quattro coppie oltre il coprifuoco.
Come se ci fosse stato qualcuno che lo rispettasse, poi. Ormai era ben nota a tutti quanti la continua organizzazione di incontri clandestini tra mezzosangue, accanto al pugno di Zeus.
La figlia di Ermes si domandava come avessero fatto a non essere ancora stati scoperti. Ma dopo tutto, non erano affari suoi.
Aveva ben altre cose di cui preoccuparsi, come ad esempio la risoluzione dell’ultimo indovinello con il quale Prometeo li aveva sfidati.
‘Non c’è più quando lo nomini’.
Il silenzio era statav la soluzione proposta da John, e sulla quale tutti avevano concordato. Però adesso come procedere?
Diventava sempre più difficile intuire dove il titano volesse andare a parare con i suoi indizi. Ogni qualvolta pensavano di aver trovato la risposta, ne giungeva repentina un’altra a fargli mettere in dubbio tutto ciò che avevano creduto di sapere fino a quel momento.
Dei quattro, Skyler era di sicuro la più devastata, perché convinta di essere la colpevole di quelle morti, seppur gli amici cercassero di farle capire che non era così.
La bionda detestava vederla in quello staro, e sapere di non poterla consolare se non fermando il loro nemico prima che fosse troppo tardi. Ma in fondo al suo cuore era consapevole di non poter ancora nulla, contro la sua astuzia e i suoi millenni di esperienza.
Quindi come sconfiggere qualcuno che non può essere sconfitto?
«Grazie per esservi offerti volontari, ragazzi» esordì il centauro, posandosi le grandi mani sui fianchi e rivolgendo a tutti i presenti un sorriso gentile. «È bello sapere che avete ancora a cuore la sicurezza del nostro Campo.»
Tutti annuirono, scambiandosi dei rincuorati cenni del capo. Chirone si sgranchì la voce, contando mentalmente i presenti. «Manca qualcuno» osservò, ritrovandosi di fronte solo cinque giovani su sei.
«Arrivo!» esclamò a quel punto una voce; e nell’istante stesso in cui la udì, Emma raggelò.
Con ogni muscolo teso per la tensione, pregò con tutta se stessa di essersi sbagliata, e di non averla davvero riconosciuta. Ma purtroppo il suo cuore difficilmente l’avrebbe ingannata a riguardo, e quando vide Leo scapicollarsi verso di loro mentre faceva fatica a legarsi la sua cintura magica in vita, ne ebbe la conferma.
«Mi dispiace» si scusò il ragazzo, trafelato. «Ho fatto tardi.»
«Non preoccuparti, figliolo» lo tranquillizzò l’uomo, dandogli una pacca sulla spalla. «Sei giusto in tempo.»
Il sorriso che incurvava le labbra del figlio di Efesto si spense nell’immediato, non appena le sue iridi scure incontrarono quelle argentate della figlia di Ermes.
I due si scambiarono un’occhiata distaccata, restando lì a fissarsi qualche secondo in più del necessario. Fu lei  a distogliere per prima lo sguardo, mentre una morsa insolita colpiva la bocca dello stomaco di entrambi, dando loro la nausea.
Era da un po’ che non si ritrovavano faccia a faccia, in effetti. Per tutto quel tempo erano riusciti in un modo o nell’altro ad evitarsi con successo, e ora – per quanto si sforzassero a non darlo a vedere – era palese la loro difficoltà nel decidere come comportarsi; se salutarsi, o continuare a far finta che l’altro non esistesse.
«Leo» annunciò il centauro, appoggiandogli una mano dietro la schiena. «Tu andrai ad Ovest con Emma.»
Solo allora la ragazza si rese conto che Chirone stava decretando le varie coppie, e che le uniche alternative che le erano rimaste erano o il moro o Johanna Danforth. Quest’ultima, però, fu associata a Lucas Mitchell prima che la bionda potesse anche solo sperare di obiettare.
«Fate attenzione lì fuori, ragazzi» si raccomandò il direttore della attività, per poi voltarsi ed incamminarsi alla volta della Casa Grande, lasciandoli lì.
Emma lo raggiunse quasi nell’immediato, affiancandolo e chiedendogli di fermarsi.
«Mi scusi, Chirone, ma…» titubò, spostando il peso da un piede all’altro, imbarazzata. «È possibile cambiare partner?»
L’uomo la studiò con perplessità, abbozzando un lieve sorriso sghembo e facendo spallucce. «Non ne vedo il motivo» disse semplicemente, spostando la propria attenzione da lei al giovane Valdez, che con le mani nascoste nelle tasche dei jeans qualche metro dietro di loro, faceva finta di non ascoltare.
«È solo che» insistette la figlia di Ermes, mordendosi l’interno della guancia. «Noi due non… non lavoriamo molto bene, insieme.»
Dinanzi a quella giustificazione, Chirone le accarezzò amorevolmente i capelli ribelli. «Imparerete» la liquidò semplicemente, andandosene senza neanche darle il tempo di replicare.
La semidea strizzò le palpebre, maledicendo mentalmente la propria sfortuna.
Tra tutti i mezzosangue che oramai vivevano in quel Campo, perché il fato aveva deciso di farle trascorrere un’intera nottata da sola con lui? 
Le Parche si divertivano a prendersi gioco di lei, era questa la verità.
Non c’era altra spiegazione del perché i ricordi che malauguratamente ancora condivideva con quel ragazzo continuassero incessantemente a perseguitarla.
 
Ω Ω Ω
 
Da quando si erano inoltrati nella Baia di Zefiro con le armi sguainate, Emma e Leo non si erano rivolti neanche una parola.
Un silenzio carico di disagio li aveva avvolti senza che se ne accorgessero, e la tensione tra loro era così palpabile da far venire rendere nervosi tutti e due.
La bionda avrebbe solo voluto che quegli istanti passassero il più velocemente possibile. La presenza di lui la turbava non poco, e non solo per tutti gli equivoci che vi erano stati tra loro e che li avevano allontanati sempre di più.
No, risvegliava anche in lei emozioni che era convinta di aver represso; sensazioni che solo ed unicamente con lui aveva provato, e alle quali ancora non era riuscita a dare un nome ben preciso.
Non ne aveva la benché minima intenzione, in tutta onestà.
Il figlio di Efesto faceva ormai parte del suo passato.
Larsen, lui era il suo futuro.
Certo, tenere la mano del biondo non le aveva fatto perdere un battito come la prima volta che aveva incrociato le dita a quelle del moro. Ma era solo questione di tempo, giusto?
Il cuore necessita dei suoi attimi, per poter funzionare correttamente. Insomma, non si poteva certo dire che quello con Leo era stato un colpo di fulmine. O no?
Lei l’aveva detestato fin dall’inizio, questo lo ricordava. Eppure…
Eppure c’era qualcosa che le suggeriva che forse a causa dell’enorme delusione che solo l’estate precedente l’aveva devastata, la sua mente stava modificando a proprio vantaggio quelle che in realtà erano delle realtà ben diverse.
Però se avesse voluto discuterne con lui, in quel momento non avrebbe camminato circa quattro passi avanti al ragazzo, con l’intento di fingere che lui non esistesse.
«Qui sembra tutto tranquillo» mormorò infatti ad un tratto, più a sé stessa che al giovane.
«Già» assentì lui, guardandola con un’espressione indecifrabile sul volto. Stavano per ricadere nuovamente nella stessa assenza di dialogo nella quale stavano annegando fino ad un minuto prima, e questo il semidio non poteva accettarlo.
Quella situazione stava davvero cominciando a diventare ridicola. Non riusciva a ricordare: qual era stato il giorno esatto in cui erano diventati dei perfetti estranei?
«Senti» iniziò quindi, grattandosi la nuca a disagio. «Non credi che forse dovremmo…»
«No» lo interruppe sgarbatamente lei, non degnandosi neanche di voltare il capo nella sua direzione.
Il figlio di Efesto allargò le braccia, indignato. «Ma se non sai neanche quello che volevo dire!»
«Credi che dovremmo parlarne, giusto?» lo anticipò dunque la bionda, e lui si zittì, a conferma del fatto che avesse ragione. Fu per questo che poi Emma sbuffò dal naso, con sarcasmo. «Non abbiamo nulla da dirci, noi due» si limitò quindi ad esplicare, con ovvietà. «E se siamo qui, non è certo per volontà mia.»
«Neanche mia, se è per questo» ribatté prontamente Leo, piccato. «Ma sono mesi che siamo fermi in una sospensione tra il bianco e il nero, e io vorrei davvero capire il nostro rapporto di che colore debba essere.»
«Forse non ti è chiaro che non c’è più nessun rapporto da colorare» lo redarguì lei, stringendo nel pugno l’elsa del proprio coltellino fino ad avere le nocche bianche.
«Beh, una volta c’era.»
«E ti sei mai chiesto perché adesso non sia più così?»
La mortificazione del moro a quella domanda si tramutò velocemente in rabbia, che lo portò ad alzare di poco il tono. «D’accordo, ho fatto tanti sbagli, te lo concedo. Ma trovo tutto questo rancore un po’ infantile, non credi?»
La figlia di Ermes assottigliò lo sguardo a due fessure. «Tu non hai alcun diritto di dirmi come mi devo comportare» sibilò furiosa, facendo minacciosa un passo verso di lui. «E neanche di venire qui ad accusarmi di comportarmi in modo sbagliato. Hai una vaga idea di come sono stati gli ultimi due anni della mia vita? Te ne è mai importato qualcosa, almeno?»
«Perché non ti sfoghi con me, allora?» le propose a quel punto lui, inarcando le sopracciglia. «In qualsiasi modo. Puoi anche prendermi a pugni! Ma smettila di correre via da me. È una cosa che non riesco a sopportare.»
«Io sto cercando di ritrovare il mio personale equilibrio, Leo» spiegò allora lei, con foce incrinata. «Ma non ci riuscirò mai, con accanto persone come te che invece continuano a stravolgere i miei piani.»
Era stanca, lo si poteva leggere nelle sue iridi chiare. La forza d’animo stava arrivando al limite, e lei non aveva nessuno in grado di poterla aiutare a vincere le proprie battaglie. Neanche i suoi migliori amici potevano nulla, contro la sua anima lacerata.
Bisognava trovare qualcuno che conoscesse ogni singolo pezzo del suo puzzle a memoria, e che fosse in grado di ricomporlo prima che qualche tassello rischiasse di perdersi tra la polvere che c’era sotto il divano.
Ma per quanto potesse dirsi contrariato, il figlio di Efesto aveva l’amara consapevolezza di non poter mai essere visto da lei come quel qualcuno.
«E quindi preferisci il nordico, mh?» chiese retorico, con una punta di amarezza.
Emma strinse le labbra in una linea sottile. «Si chiama Larsen» lo corresse, con freddezza.
«Larsen» ripeté Leo, con una smorfia di sdegno. «Mi spieghi che razza di nome è?»
«Significa “l’acclamato”» lo difese la bionda, infastidita. «E poi scusa, a te cosa interessa?»
«Credevo che i tuoi gusti fossero…» Esitò, alla ricerca del termine giusto. «Diversi.»
«Beh, ti sbagliavi.» La figlia di Ermes sospirò. «Lui… lui è galante con me, e mi tratta… mi tratta come se fossi una principessa. La sua principessa» specificò. «L’unica e sola, anche se non credo che questo concetto ti appartenga. Sai cos’è? Con lui sto bene» ammise poi. «E penso di meritare anch’io un po’ di certezze, che ne dici?»
A quel quesito, il moro non rispose. Si limitò solamente a sostenere quell’intenso contatto visivo, fino a ché la ragazza non gli diede inavvertitamente le spalle, allontanandosi di qualche passo con il cuore in gola.
Tirò silenziosamente su col naso, rifoderando il coltellino nella propria cintura. «Ci conviene tornare indietro» cambiò discorso, pulendosi furiosamente una lacrima che solitaria le aveva rigato la guancia con il dorso della mano. «Qui non c’è nessuno.»
Fu un attimo. Una frazione di secondo in cui un brivido si arrampicò su per la sua colonna vertebrale, facendole venire la pelle d’oca. Un forte senso di nausea le attanagliò lo stomaco, e lei fece per essere sopraffatta dalle vertigini, ma riuscì a riprendersi.
Si impose di dominare le proprie emozioni, e con tre profondi respiri recuperò la lucidità necessaria per poter controllare quella reazione improvvisa.
A cosa era dovuta? Si era innervosita a tal punto da essere corrosa dalla sua stessa ira?
Con la vista leggermente appannata si sfregò le mani, che non riuscivano a smettere di tremare contro il suo volere.
«Hai freddo?» le domandò prontamente Leo, al quale tutto ciò non era sfuggito.
«N-No» scosse la testa lei, tradita però dall’incertezza nella sua voce. «È solo che ho le dita un po’… congelate» ridacchiò, insicura.
«Aspetta, lascia fare a me» si offrì gentilmente lui, avvicinandolesi e chiudendo i palmi a coppa attorno alle sue dita prima ancora che la giovane potesse metabolizzare.
Si portò dolcemente le sue mani fredde alle labbra, soffiandovici sopra aria calda con accortezza.
La figlia di Ermes avvampò, ma per qualche strana ragione che lei stessa ignorava non si ritrasse a quell’inaspettato contatto. Anzi, lo lasciò fare, non rendendosi neanche conto di quanto le distanze tra loro si fossero accorciate – tanto che i loro fiati si condensavano nel poco spazio che separava i loro volti.
Senza conoscerne neppure il motivo, Emma si sentì avvampare nell’istante in cui le labbra di lui sfiorarono a stento le sue nocche.
Trattenne il fiato, sussultando appena; ma il figlio di Efesto dovette accorgersene lo stesso, perché sollevò di poco lo sguardo, ritrovando quei 
magnetici occhi da cerbiatto più vicini di quanto in realtà avesse immaginato.
Rimasero per un tempo che parve dilatarsi all’infinito così; le iridi incatenate e i cuori che arrestavano la loro corsa, mentre il sapere quanto quella situazione fosse sbagliata entrava in guerra con l’impulso irruente di riscoprirsi l’un l’altro.
Come avevano fatto l’estate precedente, quando tutto era sembrato più semplice e avevano potuto vantare una sintonia invidiabile.
Che cos’era cambiato, da allora?
Le cose erano sul serio diverse? Oppure erano loro che si ostinavano a negare l’evidenza?
Prima che potessero impedirlo, i loro nasi si scontrarono, ma nessuno dei due ebbe il coraggio di scostarsi. La bionda fu sopraffatta dalle vertigini nell’attimo in cui il moro emise un sospiro tremante.
Poi lui posò lievemente la fronte contro la sua, e il mondo intorno a lei prese letteralmente a vorticare.
Una stretta anomala le attanagliò la gola, così brutalmente da offuscarle addirittura la vista. Tentò di combattere quelle sensazioni, ma purtroppo questa volta l’istinto fu più forte di lei.
Lentamente, la radura che la circondava cedette il posto ad una scena indistinta. La semidea ebbe la sensazione di trovarsi in una casa. Si guardò intorno, spaesata, ma la testa le girava a tal punto da darle la nausea, impedendole di distinguere alcun dettaglio.
Fu un singolo istante quello in cui tutto divenne sorprendentemente più chiaro, e la ragazza riconobbe delle lenzuola rosa, e tanti poster su un muro, e numerosi specchi posati contro le pareti.
Poi quella visione svanì, e lei fu catapultata nuovamente nella Baia di Zefiro. L’impatto con il ritorno al presente la scombussolò a tal punto da farle perdere l’equilibrio; ma Leo la sorresse giusto in tempo, prima che svenisse tra le sue braccia.
«Ehi!» si allarmò, stringendole i fianchi per non farla cadere. «Che cos’hai? Ti senti bene?»
«Sta s-succedendo» balbettò semplicemente lei, lo sguardo perso in un punto indefinito di fronte a sé.
«Eh?»
«Sta succedendo» ribadì quindi, e in quel momento fu evidente la preoccupazione nella sua voce. Guardò il giovane, rivolgendogli un’occhiata impaurita. Dopo di che si allontanò di qualche passo da lui, sforzandosi di digerire l’accaduto.
Ragionò su ciò che era appena avvenuto, concentrandosi su quello che aveva visto e su come potesse tornarle utile. Sfortuna volle che quando ebbe il presentimento di sapere cosa potesse significare, fu sorpresa anche dalla consapevolezza di non star sbagliando.
«Che cosa sta succedendo?» I quesiti confusi del figlio di Efesto giungevano ovattati al suo orecchio. «Emma, che c’è?»
Ma lei non lo stava già più ascoltando. Perlustrò freneticamente il perimetro attorno a sé, cercando di farsi guidare da ciò che la pancia le suggeriva. Girò sul posto un paio di volte, prima di intuire quale fosse la direzione giusta da prendere e precipitandovisi a perdifiato.
«Emma!» tentò di bloccarla il ragazzo, per poi seguirla di corsa, senza riuscire a raggiungerla.
La figlia di Ermes superò con affanno la Casa Quattro, poi la Cinque. Poi ancora la Sette.
Si trovava già nei pressi della Otto, quando vide le luci della Cabina di Afrodite accendersi, e udì un urlo spezzare la quiete della notte.
Quando spalancò con un calcio la porta di quella Cabina, si ritrovò proprio di fronte a ciò che più aveva temuto.
Una giovane figlia della dea dell’amore giaceva paralizzata al centro della stanza. Una mano a coprire la bocca, gli occhi sgranati dall’orrore; il respiro corto di chi avrebbe tanto voluto gridare, ma non riusciva a farlo.
Solo nell’attimo in cui seguì la direzione del suo sguardo, Emma capì il perché. Riverso a terra, c’era il corpo inerme di una ragazza. Aveva un coltello da cucina conficcato nell’addome. Lo sguardo era ormai spento, e il suo sangue imbrattava la moquette sul pavimento.
«Oh miei dei» fu l’unico commento che emisero le corde vocali della bionda, prima che Leo l’affiancasse, restando pietrificato quanto lei. Riuscì però a risollevarsi prima dallo shock, soccorrendo la povera malcapitata che era stata costretta ad assistere a quella scena. Nel frattempo, tutti i fratelli di quest’ultima si stavano svegliando e si stavano rendendo conto della situazione, alcuni mettendo a fuoco il tutto prima di altri.
«Cos’è successo qui?» chiese repentino il moro, scrollando la giovane per le spalle.
«I-Io…» Faticava ad articolare qualsiasi parola, sconvolta com’era. «N-Non lo so» singhiozzò. «Sono stata fino ad ora al Pugno di Zeus, per gli incontri, e… e quando sono tornata qui ho acceso la luce per evitare di inciampare e mi sono… lei era già… io non so…»
Era come se provasse a convincersi che tutti ciò fosse solo frutto della sua fervida immaginazione.
Ma come darle torto, d’altronde?
Neanche Piper – che in quanto capocabina della Casa Dieci era quella che sapeva gestire meglio le proprie emozioni – riusciva a capacitarsi di quanto avvenuto.
Leo le domandò se si fosse accorta di nulla, sorprendendosi quando l’amica ammise di non essere stata svegliata da nessun rumore.
Anche la figlia di Ermes era pronta a porre i propri quesiti. Però prima che potesse sperare di farlo, una frase sul muro attirò la sua attenzione. Era stata scritta con uno smalto fucsia, così in piccolo da poter tranquillamente passare inosservata all’occhio di chi non sapeva cosa cercare.
Ma malauguratamente lei ne conosceva troppo bene il significato, per non darvi il giusto peso.
«Com’era?» fece ad un tratto, attirando su di sé una serie di sguardi sconcertati e impauriti.
«Cosa?» aggrottò la fronte Piper, non capendo dove volesse andare a parare.
«Com’era lei?» specificò dunque Emma, senza distogliere le iridi dal messaggio sulla parete.
«Emma» la rimproverò il figlio di Efesto. «Non mi sembra il momento più adatto per fare questo genere di…»
«Com’era, Piper?» insistette a quel punto lei, voltandosi per guardarla in viso. «Concentrati, ho bisogno di sapere che tipo era. Era solitaria? Aveva pochi amici? Se le associassi il termine ‘silenzio’, che cosa ti verrebbe in mente?»
Fu allora che la figlia di Afrodite si rabbuiò in volto, visibilmente confusa e spaesata. «Emily…» Il solo pronunciare quel nome le costò molta fatica. «Lei era muta» rivelò. «Sin dalla nascita. Ma questo che c’entra?»
La bionda, però, non le rispose. Quell’informazione fu sufficiente per intendere che per l’ennesima volta lei e i suoi amici erano stati battuti sul tempo.
Non un tatuaggio, non un legame con il proprio genitore divino. Stavolta si era toccato il tasto delle disabilità personali, e lo si era fatto nel peggiore dei modi.
Sul pavimento, il corpo esamine di una povera innocente.
Nella sua mano, l’arma con la quale si era apparentemente tolta la vita.
Sul muro bianco, una semplice frase a decretare la sua ennesima vittoria.
Quattro sillabe. Due parole.
PER LEI.



Angolo Scrittrice. 
Non so come scusarmi, davvero. Sono desolata per questo infinito ritardo; vi avevo detto che avrei sospeso le pubblicazioni per una sola settimana, e invece sono passati ben tre martedì prima che io riuscissi a ritagliarmi un po' di tempo per me. 
Purtroppo è stato un periodo un po'... così. Però non sono qui per darvi vastidio con i miei problemi, ma per presentarvi questo ennesimo, nuovo capitolo. 
In quello precedente vi avevo chiesto di dirmi che cosa mancasse - secondo voi - a questa storia, e la risposta un po' di tutti è stata (con mio grande dispiacere) l'azione. 
So che questa timeline è totalmente diversa rispetto alle altre due. Nella prima hanno viaggiato per l'America alla ricerca della cura per il Morbo di Atlantide. Nella seconda si sono inoltrati in un'isola spaventosa che pullulava di mostri e pericoli. 
Questa volta, invece, l'azione si sta svolgendo solamente al Campo. 
C'è una ragione per spacifica dietro questa mia decisione: stavolta - purtroppo - la guerra che i nostri eroi dovranno combattere non riguarda più direttamente solo loro, ma anche tutti gli altri. Greci, nordici, ninfe, satiri...
Skyler stavolta non dovrà lottare più per sé stessa o i suoi amici, ma per tutti quanti.
E' per questo che ho scelto di ambientare il tutto solo ed unicamente al Campo Mezzosangue. Ma ciò non vuol dire che l'azione non ci sarà, ovviamente. Che storia sarebbe, altrimenti? 
Solo che questo è l'epilogo di una trilogia strutturata in un modo ben preciso, e quindi c'è bisogno che io risponda a tutte le domande che fino ad ora erano state lasciate in sospeso.  
Questo è l'unico motivo per cui non posso aggiungere scene di lotta in ogni capitolo. 
Spero comunque che leggere anche delle avventure sentimentali e non dei nostri semidei non vi annoi, e che io stia facendo un giusto bilancio.  
Come vediamo all'inzio, finalmente anche i nostri fantastici quattro hanno scoperto i loro difetti fatali. 
Sono azzeccati, secondo voi? 
Il coraggio di
Michael, l'altruismo di Skyler, la lealtà di Emma e... e la bontà di John
E' proprio quest'ultimo che rimane molto turbato da quanto scoperto. Ma per fortuna c'è
Melanie, che sa sempre quali sono le cose giuste da dire per consolarlo. 
Se, però, i dubbi del figlio di Apollo fossero fondati? E se lui non fosse davvero in grado di distinguere il bene dal male?
Ma parliamo adesso di
Leo ed Emma, che dopo molti capitoli hanno finalmente avuto la possibilità di un confronto. 
Per tutto questo tempo abbiamo visto la figlia di Ermes avvicinarsi sempre di più al dolce Lars, mentre Leo stringeva nuove amicizie e faceva di tutto per dimenticarla. 
Ma vi eravate mai chiesti come sarebbero andate le cose qualora si fossero ritrovati faccia a faccia?
Mi auguro che la risposta non vi abbia deluso. Forse le cose tra loro non saranno mai totalmente bianche o totalmente nere; ed è proprio per questo che per quanto si sforzino di restare lontani, continua ad esserci un'energia che li attrae l'uno verso l'altra. Di cosa si tratta, secondo voi? 
Odio? Oppure un sentimento ben diverso?  
Qualunque cosa sia, è talmente forte da scatenare nella bionda qualcosa. O meglio, la cosa. 
Ebbene sì: il dono di Emma si manifesta nel più inaspettato dei casi. Ma nonostante ciò, non riesce comunque ad arrivare in tempo, prima che succeda l'inevitabile. 
Prometeo ha colpito ancora, e stavolta il termine 'silenzio' era riferito all'essere muta di quella povera figlia di Afrodite. Avreste mai pensato ad un'eventualità del genere? 
Bene, prima di ringraziare i miei meravigliosi Valery's Angels, volevo dire che non ho ancora preso una decisione definitiva riguardo questa storia, perchè sto prendendo in considerazione di continuare a pubblicare finché riterrò che ne varrà la pena. 
Spero che al di là di questo involuto ritardo voi scegliate di continuare a sostenere i nostri quattro semidei nella loro ultima avventura.
Fatemi quindi sapere se il capitolo vi è piaciuto o meno. Se vi ha fatto schifo, se avete dei consigli da darmi, o se vi sentite in vena di criticare qualcosa (purché sia fatto in modo costruttivo, obv). 
Io sono aperta a qualsiasi opinione, you know. 
Meanwhile, ringrazio infninitamente i miei piccoli angeli, che con le loro recensioni sono riusciti a rendere le mie giornate migliori. Grazie a:
Anakin Solo, Amy_demigod, Black Truth, Anna in Black e Callem. Siete speciali!
Beh, che altro dire?
Alla prossima, guys!
Ancora vostra,

ValeryJackson 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***



 

«Skyler, aspe-!»
Michael non fece neanche in tempo a terminare quel pensiero, che la figlia di Efesto spalancò con un calcio la porta della Casa Grande, precipitandovisi furiosamente all’interno con passo spedito.
Come aveva sperato, vi trovò Chirone e Dahl intenti in una concitata conversazione attorno al tavolo; che però fu interrotta nell’istante stesso in cui la ragazza strinse i pugni, fulminando entrambi con un’occhiata.
«Ditemi che cosa sta succedendo» ordinò, conficcandosi le unghie nei palmi a tal punto da avere le nocche bianche.
Il silenzio che seguì la sua richiesta non ebbe altro effetto, se non quello di farla urtare di più.
«Non fate finta di non aver capito!» sbraitò quindi, alzando di un’ottava la voce. Né il figlio di Poseidone, né Emma, né John – che l’avevano seguita – ebbero il coraggio di intimarle di calmarsi.
«Ditemi perché lo sta facendo» continuò lei, con voce incrinata. «Ditemi che cosa vuole da me!»
«Non lo sappiamo» tentò di sviare Phil, con uno svogliato cenno della mano.
«Smettetela di mentirmi!» La mora fece un passo avanti, guardandoli con risolutezza. «Lui sta giocando con me» sottolineò. «E nel farlo sta uccidendo delle persone. A morte!» Si morse a sangue il labbro inferiore. «Voi avete il dovere di dirmi che cosa ha intenzione di fare. E soprattutto perché
«Vuole spaventarti» le spiegò quindi Filottete, con tono neutro.
«Beh, ci sta riuscendo» ridacchiò amaramente la giovane, cercando invano di non farsi tradire dalle proprie emozioni. La vista le si appannò, segno evidente che calde lacrime erano in procinto di minacciare di rigarle le guance. «Sono fottutamente e dannatamente spaventata. Tutti…» Alzò gli occhi al cielo, sforzandosi di mantenere il controllo. «Tutti quei sacrifici umani» mormorò, afflitta. «Ormai è impossibile nascondere l’evidenza.»
Il centauro sembrò intuire subito dove volesse andare a parare. «Gli altri non devono sapere nulla» chiarì, con fermezza.
«È per il loro bene.»
«Li metterà solo in pericolo» aggiunse a quel punto Dahl.
«La gente sta cominciando a porsi delle domande!» urlò allora Skyler, che nel frattempo aveva cominciato a camminare freneticamente avanti e indietro per la stanza. «Perché uno è un incidente. Due è una coincidenza. Ma tre...» Si bloccò sul posto, pronta a fronteggiarli. «Tre è uno schema! Uno schema di cui ancora non capiamo il senso. Quanto ci vorrà, prima che colpisca ancora, eh?» fece poi, battendo una mano contro il muro quasi a voler mettere tutti sull’attenti. «Quando credete che ci metterà prima di scegliere la sua prossima vittima?»
«È per questo che vi state allenando con Filottete» intervenne dunque Chirone, con aria pacata. «Per riuscire a fermarlo.»
«E chi le dice che ci riusciremo?» chiese la figlia di Efesto, con sarcasmo. «Chirone, ci guardi» si infuriò, indignata. «Mi guardi! Lei crede davvero che potrei avere qualche possibilità?» Incontrò il suo sguardo, sconfortata. «Qui si sta parlando di un titano, che a causa mia sta uccidendo dei ragazzi. E lei pensa sul serio che nessuno debba conoscere la verità?»
«Faremmo solo loro del male» le palesò Phil, con la sua solita espressione indecifrabile dipinta sul viso.
«Devono potersi difendere» ribatté perentoria la mora. «L’ha visto benissimo: noi non possiamo proteggere tutti. State mettendo ogni cosa nelle nostre mani inesperte, e questo perché? Perché lo hanno deciso gli dei?» domandò retorica, allargando le braccia con esasperazione. «Perché lo dice la profezia? Che poi, lasciate che ve lo dica, ma sarebbe davvero gentile da parte vostra farci sapere di cosa parla.»
«Non potete conoscere il vostro destino se prima non disponete dei mezzi per affrontarlo» affermò solenne il centauro, guadagnandosi uno sguardo incredulo.
«E intanto degli innocenti muoiono» replicò la ragazza. «E noi non riusciamo ad impedirlo!» Fece per dire dell’altro, ma qualcosa la bloccò. Le sue iridi scure erano diventate lucide, sfuggenti. Era terrorizzata, e oramai aveva smesso di lottare al fine di celarlo; voleva che tutti si rendessero conto di quanto quella situazione fosse priva di senso: il destino di un intero Campo affidato nelle mani di colei che aveva più paura?
Come si poteva supporre che si limitasse ad eseguire ciò che le imponevano, quando già sapeva di non poterlo fare?
Come sarebbe riuscita ad impegnarsi, se non sapeva neanche per cosa stesse combattendo?
«Sono stanca di essere all’ignaro di tutto» annunciò, maledicendosi mentalmente per il tremitio della propria voce.
«Vi diremo ogni cosa, quando arriverà il momento» le promise quindi Chirone, con tono gentile. «Voi dovete solo fidarvi di me.»
«L’abbiamo fatto, signore. Io ho convinto gli altri a farlo. E guardi che cosa è successo.» Le sue corde vocali vibravano di risentimento; di delusione. «È come se stessimo contribuendo anche noi alla loro uccisione» gli fece notare, prima di battere un pugno sul tavolo con così tanta irruenza da sbucciarsi le nocche. I presenti sussultarono. «Vi siete chiesti chi sarà il quarto?» gridò furibonda; ma non aspettò neppure che i diretti interessati metabolizzassero quel quesito.
Abbandonò velocemente quel luogo, uscendo impetuosamente dalla Casa Grande senza guardare in faccia a nessuno.
«Sky» provò a fermarla Michael, quando lei sbatté la porta, ignorandolo. Il figlio di Poseidone sospirò, grattandosi la nuca avvilito. «Ci parlo io» alzò poi una mano, affrettandosi a seguirla sotto il muto consenso gli altri.
«Skyler!» la chiamò, ma la giovane finse di non sentirlo, continuando imperterrita nella sua fuga. Il moro corse da lei, raggiungendola. «Skyler, fermati.» La afferrò per le spalle, costringendola a voltarsi. Solo allora si accorse delle calde lacrime che erano sfuggite al suo controllo, e che ora le bagnavano gli zigomi, moleste.
«Ehi» le sussurrò dolcemente, pulendogliele con entrambi i pollici. Dopo di ché le posò un palmo dietro il capo, attirandola a sé. «Vieni qui» le intimò, e la ragazza non se lo fece ripetere due volte.
Nascose il viso nella sua maglietta celeste, lasciandosi sfuggire un singhiozzo mentre lui l’avvolgeva rassicurante con le braccia.
«Non fare così» tentò di tranquillizzarla lui, accarezzandole la schiena. «Troveremo una soluzione.»
«Io non sono come voi, ragazzi» obiettò a quel punto lei, scostandosi dal giovane quel tanto che bastava per poterlo guardare negli occhi. «Io non posso sopportare un’altra vittima.»
«E non ci sarà» le assicurò allora il ragazzo, prendendole il volto tra le mani. «Ti prometto che al prossimo indizio non permetteremo a Prometeo di prendersi gioco di noi.»
La semidea tirò su col naso. «Come?»
Il Michael fece schioccare la lingua, meditabondo. «Bisogna iniziare a ragionare in modo diverso» pattuì, ragionandovici su. «Avevi ragione, prima sai?»
«Quando?» si informò perplessa Skyler.
«Quando ci hai resi partecipi del fatto che le cose, ormai, stanno diventando abbastanza evidenti. Però pensaci: se uno è un incidente, due è una coincidenza e tre è uno schema… cos’è il quarto?»
«Non capisco dove vuoi arrivare.»
«Sono convinto che ci sia un nesso, tra i tre omicidi» ammise dunque il giovane, scrollando lievemente il capo. «Qualcosa che fino ad ora ci è sfuggito.»
«Ovvero?» lo incitò la figlia di Efesto, interessata.
«È da un po’ che ci stavo pensando» le raccontò quindi lui, corrucciato. «Finora ci siamo concentrati solamente su ciò che vedevamo, convinti che Prometeo stesso solo uccidendo degli innocenti a caso. Ma… e se invece rappresentassero qualcosa? Uno schema, come hai detto tu.»
«Di che genere?»
«Ecco…» Il figlio di Poseidone esitò, mordendosi l’interno della guancia imbarazzato. «La figlia di Morfeo corrispondeva all’indovinello sui sogni, e… è morta nel sonno, mentre si trovava tra le braccia di suo padre.»
«Sì» confermò lentamente lei, assorta.
«Il figlio di Vàli, invece, a causa del suo tatuaggio è stato impiccato ad un albero.»
«Infatti.»
«E ieri quella figlia di Afrodite si è tolta la vita in tarda notte, nel più totale silenzio; tale che neanche i suoi stessi fratelli se ne sono accorti.» Incrociò le sue iridi striate d’oro, preoccupato. «Il modo in cui vengono uccisi, Skyler… sembra essere direttamente proporzionale alla ragione.»
«Ma questo come può esserci d’aiuto?» lo contraddisse la mora, corrugando la fronte. «È inutile sapere il dove, se non sappiamo chi sarà la prossima vittima.»
«Ma non lo capisci? Tutto ciò non serve ad altro che a mettere in risalto il tutto. Vuole farci notare che sta seguendo una scaletta ben precisa.»
«Quale?»
«Sogni. Albero. Silenzio» ricordò il ragazzo, soppesando con cura ogni parola.
Sì, ma qual era il nesso logico?
Una ragazza morta per i propri sogni.
Un semidio ucciso per via del simbolo che si era fatto imprimere sulla schiena.
Una giovane assassinata a causa della sua risaputa ‘disabilità’.
Tre ragioni agli antipodi, che non sembravano avere nulla in comune se non un terribile spargimento di sangue.
Eppure… Eppure Skyler aveva la sensazione che le stesse sfuggendo qualcosa.
Un filo conduttore, che li collegava inevitabilmente l’uno all’altro.
I sogni di una.
Il tatuaggio di uno.
Il mutismo dell’altra.
Sogni. Albero. Silenzio.  
«Mente, corpo e coscienza» dedusse tra sé e sé, e prima che potesse anche solo rendersene conto, quelle tre parole furono soffiate via dalle sue labbra in un basso sussurro.
«Come hai detto?» le domandò Michael, inarcando un sopracciglio interdetto.
«Mente, corpo e coscienza» ripeté allora lei, stavolta con più determinazione. «I sogni di una mente abituata a farne. Un albero dipinto su un corpo. La consapevolezza di non poter mai usufruire della propria voce.» Lo guardò negli occhi, le pupille dilatate dall’adrenalina. «Tutto torna, Michael! L’abbiamo trovato!»
«Che cosa?»
«Lo schema.» La semidea si passò le dita tra i capelli, incredula. «Mente, corpo e coscienza. Sono tre dei quattro principi fondamentali dell’uomo.»
«E tu come lo sai?»
«Ricordo che una volta, quando ero piccola, me ne parlò mio zio. Sono…» Titubò, imprecando contro la propria ingenuità. «Fanno parte della cultura indiana!» esclamò, portandosi una mano alla fronte. «Ma certo. Lui mi sta spiando da tutta una vita» rifletté. «Stava cercando di utilizzare i ricordi che ho di mio zio a mio svantaggio.»
«E qual è il quarto?»
«L’anima» rispose la figlia di Efesto, chiedendosi cosa ciò potesse significare.
«Sky» mormorò sommessamente il moro, incapace di celare un esaltato sorriso. «Sai questo che cosa significa?»
«Che ci sarà un altro omicidio?»
«Che una volta risolto l’indovinello potremo scoprire chi e dove morirà.»
«Sempre che arriveremo in tempo» gli palesò lei.
«Lo faremo.»
Il giovane le prese le mani, stringendole con calore quasi sperasse di trasmetterle tutta la propria fiducia. «Non siamo più burattini nelle sue mani» le fece notare. «Ora che abbiamo finalmente capito le regole, potremo iniziare a giocare sul serio anche noi.»
Di fronte alla sua determinazione, la ragazza si lasciò sfuggire un piccolo ghigno, intenerita. «Sei un genio» si complimentò, al ché lui parve stranito.
«Mh?»
«Nessuno di noi avrebbe mai avuto una simile intuizione. Al di là di ciò che credono tutti, sei tu il vero genio del gruppo.»
Il figlio di Poseidone arrossì, lusingato. «Ti ringrazio» disse, ed era sincero; lei era l’unica che era stata capace di intravedere la mente brillante che si nascondeva dietro quelle iridi del colore del mare.
Di solito il moro tendeva a mettersi in secondo piano, intervenendo solo quando aveva la certezza di affermare la cosa giusta. Ma in realtà aveva sempre moltissime intuizioni a vorticargli nella testa, nonostante non trovasse mai il coraggio o il momento adatto per dar loro voce.
«Dobbiamo dirlo agli altri» lo avvertì ad un tratto Skyler, e lui annuì, d’accordo.
«Parliamone anche con Dahl» propose poi, con decisione. «Forse lui saprà che cosa fare.»
 
Ω Ω Ω
 
 
Michael si piegò agilmente sulle ginocchia, schivando all’ultimo secondo il pugno che Dahl aveva cercato di indirizzargli.
Niente scudi, niente armi. Solo loro due, le loro conoscenze di lotta libera e un cronometro a segnare il tempo.
Venti minuti.
Era da venti minuti che lottavano incessantemente, senza che la sfida prendesse una piega particolare o quantomeno diversa. Non che il figlio di Poseidone si stesse impegnando più di tanto.
Aveva ben altro per la testa, e il suo allentamento individuale con Phil passava sicuramente in secondo piano rispetto a tutti gli altri problemi.
Uno di fronte all’altro, si squadrarono attentamente, studiando la rispettiva prossima mossa, le mani a proteggere il viso.
Dopo di ché, il ragazzo decise di attaccare, tentando un gancio sinistro. Questo, ovviamente, fu deviato con maestria; e lo stesso accadde anche al suo successivo colpo destro, che l’uomo parò bloccando il braccio teso del moro a mezz’aria.
Gli batté con forza il palmo aperto contro l’incavo del gomito, per poi storcergli il polso e assestargli un pugno sulla mascella.
Il giovane indietreggiò, barcollando infastidito.
«Che ti prende?» lo rimproverò con tono neutro Filottete, studiandolo con disappunto.
«Nulla» grugnì lui di rimando, pulendosi con il dorso della mano un rivolo di sangue che stava colando dal labbro spaccato.
«Sei distratto» notò contrariato l’adulto.
«Pensieroso» lo corresse il semidio, sulla difensiva.
L’allenatore lo guardò, facendosi scrocchiare distrattamente le nocche. «Quella di oggi è stata una buona intuizione…» convenne, in quello che avrebbe dovuto suonare come un complimento, ma che parve tutt'altro.
«Grazie» mormorò lo stesso Michael.
«… Ma non è comunque un valido motivo per deconcentrarti» concluse bruscamente lui, costringendolo a corrucciare le sopracciglia.
«Sono solo…» Esitò, alla ricerca del termine giusto. «Più riflessivo del solito, tutto qua» si giustificò, indeciso.
Dahl attese qualche attimo, prima di sbuffare dal naso con sarcasmo. Cercò di colpirlo con una gomitata al volto, ma quello riuscì a scansarsi. «Ti stai chiedendo chi sarà il prossimo, vero?»
«Già.» Il giovane intercettò anche la sua ginocchiata all’inguine.
«E temi che possa trattarsi di Skyler.»
Quest’ultima non era affatto una domanda.
«È così scontato?» chiese il figlio di Poseidone, passandosi le dita tra i capelli imbarazzato.
«Banale» si limitò a commentare Phil, parando il suo gancio destro. Solo poi gli rivolse uno sguardo comprensivo. «Se può consolarti, Prometeo non la ucciderà.»
«E lei come lo sa?»
«Perché lui non può toglierla di mezzo finché non otterrà ciò che vuole.»
«E che cos’è che vuole?»
«Questo è un quesito a cui non devo rispondere io.»
Il ragazzo fece roteare le sue iridi ora azzurre, buttando le braccia in aria spazientito. «E allora chi?»  
«Lei» specificò l’uomo, facendo spallucce. «Una volta che scoprirà tutta la verità sul proprio destino, starà a lei scegliere se parlartene o meno.»
«Lui vuole il suo fuoco, non è vero?» lo interruppe ad un tratto il moro, facendo un passo verso di lui – senza però abbassare la guardia. «Ma questo che cosa significa? Vuole rubare il suo potere?»
Filottete fece schioccare la lingua. «È un po’ più complicato di così» disse semplicemente, riuscendo ad infierire sulla spalla del semidio con uno schiaffo secco delle nocche.
«Il suo dono, allora» ipotizzò Michael, evitando di scomporsi.
«Il suo dono non ha nulla a che vedere con le sue capacità» chiarì Dahl. 
«Come il mio, d’altro canto» appurò lui, che dopo l’ennesimo colpo mancato sospirò, sfregandosi la faccia con una mano. «È inutile» esclamò, sconsolato. «Oggi non riuscirò a concludere un bel niente.»
«Non ci hai nemmeno provato» obiettò l’istruttore.
«Ha una vaga idea di quello che mi sta chiedendo?» sbottò a quel punto il figlio di Poseidone, con un’espressione sconcertata in viso. «Sospensione del tempo? Neanche Iron Man è in grado di farlo! E lui ha una tuta davvero fenomenale.»
«Qui non si sta parlando di questo» gli ricordò quindi Phil, battendogli un indice contro la fronte, all’altezza del cervello. «O questo» continuò, stavolta picchiettando dritto sul suo cuore. «Smettila di pensare come un essere umano e fa prevalere la tua metà divina.»
«Beh, si rende conto che tutto questo è abbastanza impossibile, sì?» mostrò i palmi il moro, abbozzando un sorrisetto sghembo.
«E perché?» fece perplesso l’uomo. «La tua ragazza prende letteralmente fuoco. Il tuo migliore amico avrebbe il potere di guarire qualsiasi tipo di ferita, se solo lo volesse. E vorresti farmi credere che dubiti di poter fare qualcosa che in realtà hai già fatto prima?»
Di fronte a quelle parole, il ragazzo raggelò. Sgranò gli occhi, perplesso. «Come, scusi?»
«A Stonehenge» gli spiegò allora Filottete, con aria seria e determinata. «Sei riuscito a rallentare la morte di Skyler. È solo per questo che Solace e gli altri sono riusciti a salvarla.»
«Ma io…» tentò di replicare il giovane, ma qualsiasi frase avesse sperato di profferire, gli morì in gola.
Chissà perché, ma per quanto assurda quella storia sembrava avere un suo senso.
Aveva sempre avuto l’impressione che fosse successo qualcosa, quella volta, in Inghilterra. Qualcosa di strano – quasi sovrannaturale – al quale però non era mai riuscito a dare una corretta definizione.
Le sue memorie di quegli istanti era del tutto incostanti e sfocate… però era impresso nella sua mente il ricordo di questa frazione di secondo nella quale tutto, intorno a lui, si era tinto d’azzurro.
Era come se il tempo avesse rallentato la propria corsa, dilatandosi per quegli che erano parsi degli attimi infiniti.
«Che cosa provavi in quel momento?» gli domandò sommessamente Dahl, e il ragazzo boccheggiò, spaesato.
«Lei stava spirando tra le mie braccia» osservò, devastato una seconda volta al solo pensiero.
«E quindi?»
«Disperazione.»
«Una forte emozione» annuì l’uomo, d’accordo. «È ciò che vi permette di esternare i vostri doni. Ma non puoi contare su quella in particolare, dato che ti auguro di non provarla più» puntualizzò.
Il figlio di Poseidone inarcò un sopracciglio. «E quindi su cosa?»
«Moiraìo elàttoma.»
«Vuole dire…?»
«Che ci focalizzeremo sul tuo difetto fatale.»
Michael parve colpito. «In che modo?»
Phil allargò le braccia, con strafottenza. «Se vuoi scoprirlo, devi prima riuscire a battermi.»
Il ragazzo fece una smorfia, allibito. «Sta scherzando, vero?» si lamentò. «Sono esausto.»
«Non mi sembra che Batman si sia tirato indietro, quando ha dovuto affrontare Superman.»
«Oh, no» protestò lui, scrollando il capo divertito. «Lei non l’ha fatto davvero.»
L’allenatore si stupì. «Credevi che non conoscessi i tuoi piccoli supereroi?»
«Non sono ‘piccoli’!» si scandalizzò il moro, offeso. «Sono dei maestri di vita.»
«Beh» schioccò quindi le dita Filottete, chiudendo poi i gomiti in una posizione di difesa. Gli indirizzò un cenno del capo, sfidandolo con un ghigno. «Vediamo che cosa ti hanno insegnato.»
 
Ω Ω Ω
 
Quando Lars si era presentato davanti la porta della sua Cabina e le aveva galantemente chiesto di avere l’onore di un appuntamento vero e proprio con lei, Emma non aveva potuto quasi crederci.
Lusingata, aveva accettato senza alcuna esitazione, lasciandosi meravigliare dalla meticolosa organizzazione del figlio di Balder, che l’aveva scortata al lago per un romantico pic-nic.
Nulla di più semplice, certo; ma il giovane aveva curato il tutto così nei minimi dettagli che la figlia di Ermes non aveva potuto fare a meno si sentirsi lusingata.
Non aveva mai ricevuto tante attenzioni in vita sua. Non da un ragazzo, almeno.
E lui era in assoluto la persona più dolce con la quale avesse mai avuto il piacere di parlare.
L’ascoltava, la capiva; la faceva sentire importante.
Con lui era… serena.
«Trovo ancora incredibile che tu abbia fatto tutto questo per me» ammise, ed era la verità. Ormai era già calata la sera, e il biondo la stava riaccompagnando alla Casa Undici, tenendola per mano.
Era stato il pomeriggio più bello che la ragazza avevesse passato da tempo, e solo quando si era ritrovata a condividere un tramezzino allo speck con lui si era resa conto che in realtà – in cuor suo – non aspettava altro.
«Potremmo farlo più spesso» propose ingenuamente Larsen, stringendosi timidamente nelle spalle. «Voglio dire… sempre che tu sia stata bene.»
«È stato tutto fantastico» lo tranquillizzò lei, incontrando i suoi occhi chiari. «Tu sei fantastico.»
Le labbra del nordico si stirarono in un ampio sorriso, rincuorato. «Volevo solo che fossi un po’ felice» le confessò imbarazzato, disegnandole dei piccoli cerchietti sulle nocche con il pollice. «Mi piace vederti sorridere.»
Emma arrossì, incapace di impedire agli angoli della propria bocca di incurvarsi all’insù. «Non me l’aveva mai detto nessuno» rivelò sommessamente, al ché lui inarcò un sopracciglio.
«Beh, questo nessuno dev’essere stato proprio un idiota.»
La bionda prese fiato per dire qualcosa, ma inizialmente le sue corde vocali non emisero alcun suono. Una leggera nausea le attanagliò lo stomaco, e si morse inconsciamente la lingua nel momento in cui quel nessuno assunse senza apparente motivo dei lineamenti ben precisi.
Dei tratti elfici, latinoamericani.
Si maledisse mentalmente, dandosi della stupida e concentrandosi al fine di scacciar via una lieve ombra di malinconia. Non gli avrebbe permesso ancora una volta di rovinarle ogni progetto.
Lei era intenzionata a porre le basi della sua nuova vita, e purtroppo quest’ultima non includeva affatto lui.
«Bene» esordì ad un tratto il ragazzo, non appena furono arrivati a destinazione. «Presumo che tu abbia voglia di riposarti.»
«Sono sfinita, in effetti» convenne lei, posando teneramente il capo sulla sua spalla. «Magari farò un sonnellino.»
«Immagino sia arrivato il momento di salutarci, allora.»
La giovane lo guardò. «Sul serio, non so davvero come ringraziarti» mormorò. «È stato tutto… assolutamente magico.»
«La prossima volta potrei portarti a cavallo, che dici?» ammiccò il semidio, giocosamente.
La figlia di Ermes arricciò il naso, divertita. «Sarebbe una grande idea, sì.»
Il figlio di Balder le spostò con accortezza una ciocca di capelli dietro l’orecchio, contemplandola per qualche secondo. «Ricordi la prima volta in cui ho trovato finalmente il coraggio di parlarti?» le chiese.
Emma annuì. Lui ridacchiò.
«Credo di aver fatto una pessima figura, eh?» continuò.
«Non è vero!» rise la ragazza, contagiando anche lui.
«Io… Non sono riuscito a fare a meno di dirti che eri bellissima. E dopo quella volta mi sono ripromesso di ragionarci sempre con attenzione, prima di parlare. Sai, così da evitare di blaterare cose insensate, e di essere sicuro che le mie parole riflettessero la verità; ciò che penso davvero.»
«E…?» lo incitò lei, inarcando le sopracciglia.
«Sei bellissima» affermò Lars. «Davvero, davvero bellissima.»
La bionda ci mise qualche secondo per poter metabolizzare quel complimento, le iridi lucide per l’emozione. Dopo di ché abbozzò un piccolo ghigno, facendo una passo verso di lui così da potergli stare tanto vicina da essere inebriata dalla sua acqua di colonia.
«Non credi che manchi qualcosa?» domandò retorica, e il giovane ci mise qualche istante per intuire a cosa si riferisse. Incrociò il suo sguardo intenso, deglutendo a fatica, un po’ a disagio.
«P-Posso...» balbettò, insicuro. «Posso baciarti?»
Fu allora che lei sospirò, concedendosi un radioso sorriso. «Mi piacerebbe molto.»
Non servì che lo ripetesse di nuovo. Il nordico accolse quell’invito prendendole delicatamente il volto tra le mani, quasi fosse fatto di porcellana e lui avesse paura di scheggiarlo. Le scostò dei ricci ribelli dalla fronte, per poi far sfiorare affettuosamente i loro nasi.
Infine, si chinò su di lei e la baciò con tutta la dolcezza di cui era capace.
Appena le loro labbra si incontrarono, Emma fu invasa da un calore improvviso, che le scaldò il cuore. Ma nell’attimo in cui gli permise di approfondire quel bacio, fu investita dalla sensazione che ci fosse qualcosa di strano; di sbagliato.
Senza scostarsi da lui, quando il biondo pensò di far scivolare le mani sul suo collo per accarezzarle la nuca, lei glielo impedì.
C’era solo una persona che aveva compiuto quel gesto prima di quel momento, e sicuramente la ragazza non aveva intenzione di far riaffiorare nella sua memoria eventi che purtroppo non si sarebbero verificati più.
Non fu capace di perdersi completamente in quell’incontro di labbra come avrebbe dovuto, ma per fortuna riuscì a non darlo a vedere.
Quando si allontanarono l’uno dall’altra quel tanto che bastava per potersi guardare negli occhi, sorrisero entrambi, e il figlio di Balder posò la fronte contro la sua.
«Buon riposo» le sussurrò, lasciandole un altro casto bacio a fior di labbra.
«Grazie» riuscì a rispondere piano lei, per poi salutarlo un’ultima volta, dargli le spalle e rintanarsi nella propria Cabina.
Appoggio il proprio peso contro il legno freddo della porta, prima di buttare la testa all’indietro e chiudere gli occhi, con aria affranta.
Si morse distrattamente il labbro inferiore, ripensando a ciò che era appena successo; ma nell’istante in cui pensò di sbirciare dall’Occhio Magico la reazione del ragazzo, relegò quel pensiero in un angolo remoto della propria mente, già consapevole che fosse totalmente diversa dalla sua.
Che cosa c’era di sbagliato, in lei?
Larsen era perfetto sotto ogni punto di vista; il principe azzurro che tutte vorrebbero. Era stata lei a chiedergli di baciarla, per giunta. Quindi alla fine perché si era tirata indietro?
Perché non era riuscita ad abbandonarsi completamente a quel contatto?
Perché una rivoluzionaria parte di sé aveva desiderato che quel bacio le fosse stato dato da qualcun altro?
Si lasciò cadere di peso su letto, affondando il viso nel cuscino e nascondendo lì l’urlo di frustrazione che emisero le sue corde vocali.
Avrebbe avuto tanta voglia di piangere, ma si impose di non farlo, illudendosi che si fosse trattato di un solo ed unico episodio, e nient’altro.
Lei era pronta ad andare avanti. A cambiare vita, a lasciarsi il passato alle spalle.
Ma in quel momento ebbe paura che non ne sarebbe mai stata in grado.
Perché per quanto potesse ostinarsi ad affermare a sé stessa il contrario, sapeva benissimo che lui le sarebbe mancato a prescindere, insieme a tutti i suoi sorrisi e le sue manie.
E che ci sarebbe stato sempre; dietro ogni viso, dietro ogni sguardo, dietro ogni bacio.
Come una vecchia presenza che non avrebbe smesso mai di condizionarla.  



Angolo Scrittrice. 
Hola, guys! 
Pensavate di esservi liberati di me, e invece purtroppo per voi sono ancora qui, a presentarvi un nuovissimo capitolo - seppur in ritardo. 
Vi avevo già avvertito che purtroppo questo mese avrei fatto fatica ad essere puntale. Domani tra l'altro parto per un Erasmus di nove giorni per la Polonia, e quindi potrò pubblicare il nuovo capitolo solo a marzo, doutch. 
Che dire? 

Skyler ha un bel crollo emotivo che la porta ad affrontare di petto Dahl e Chirone. Non ha avuto proprio i risultati che aveva sperato di ottenere, ma comunque - grazie alla brillante intuizione di Michael - forse ne ha guadagnato qualcosa di meglio. 
Mente, corpo, spirito e coscienza... ci avreste mai pensato?
Onestamente, spero di no. 
Ora che hanno finalmente intuito lo schema resta da sapere se riusciranno a trovare la prossima vittima prima che sia troppo tardi. Secondo voi chi sarà? Qualcuno di loro conoscenza?
Ma btw...
Good Job, Ragazzo Pesce! 
Ora però vedi cosa puoi farne del tuo dono. Per chi durante l'episodio di Stonehenge si fosse chiesto come avesse fatto Skyler a sopravvivere... beh, ecco a voi la risposta. 
Michael era riuscito incansciamente a rallentare la sua morte, così che gli altri sono arrivati in tempo. Pazzesco, no?
Ma come potrà, adesso, utilizzare il proprio difetto fatale a proprio vantaggio? Come ha detto Dahl, per far sì che possano utilizzare a pieno i loro doni, hanno bisogno di forti emozioni. 
Che cosa potrebbe aiutare il nostro figlio di Poseidone, secondo voi? 
Comunque sia, devo ammettere di essere davvero fiera del modo in cui ultimamente sta venendo sempre più fuori la parte 'nerd' del ragazzo. Lui e i suoi riferimenti ai supereroi sono ciò che mi piace scrivere di più **
Vediamo poi
Emma alle prese con il suo primo vero appuntamento con Lars, al quale poi segue un bacio. Ma... 
Come vedete, non tutto va come dovrebbe, a partire da ciò che la figlia di Ermes prova in quel momento. Il figlio di Balder è fantastico, su questo non ci piove. Ma purtroppo il 'fantasma' di questo qualcun altro continua a condizionare la bionda in ogni modo. 
Avete tutti capito a chi quel 'lui' si riferisce, vero? 
Emma e Larsen si sono baciati nello stesso luogo dove la ragazza ha baciato per la prima - vera - volta
Leo. E anche se lei si ostina a negarlo a sé stessa, c'è ancora qualcosa che la spinge a paragonare ogni episodio con quelli che ha vissuto con il figlio di Efesto. 
Perchè, secondo voi? Questo cosa può significare? 
Riuscirà lei a dimenticarlo una volta per tutte? O continuerà sempre a pensare a lui, in un modo o nell'altro?
By the way, vorrei ringraziare i miei tre stupendi Valery's Angels:
Black Truth, Callem e Anna in Balck. Le vostre recensioni sono sempre un toccasana, davvero. Grazie infinite per tutto il supporto che mi dimostrate ogni volta, siete speciali ** e giuro che appena riuscirò a ritagliarmi un po' di spazio personale risponderò a tutti voi, nessuno escluso.
Mi auguro con tutto il cuore che questo capitolo vi sia piaciuto, e che abbiate voglia di farmi sapere cosa ne pensate, o se secondo voi c'è qualcosa che andrebbe cambiato. 
Grazie infinite per aver letto questa parte in grassetto, perchè vuol dire che siete arrivati fino alla fine!
Un saluto anticipato dalla Polonia, guys! 
Sempre vostra,

ValeryJackson

P.s. Oramai sono circa due settimane che non pubblico più un'interactive zone, e mi stavo chiedendo se secondo voi fosse una buona idea riaprirla, o se non ne valesse la pena. Let me know! 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***



Se non avesse avvolto della garza bianca attorno alle proprie nocche, la serie di pugni che Skyler aveva inferto sul sacco da boxe gliele avrebbe sicuramente sfregiate a sangue.
Grazie ad Emma aveva imparato che quello era uno dei modi più efficaci per poter scaricare la tensione. Riversare le brucianti emozioni che si provavano su un oggetto inanimato incapace di difendersi aiutava senza alcun dubbio a schiarirsi le idee.
Ecco perché quella mattina la figlia di Efesto aveva raccolto – senza chiedere il permesso di nessuno – uno dei sacchi del Campo dal magazzino dell’Arena, trascinandolo di peso fino alla palestra nella tenuta nordica – che sapeva essere vuota.
L’aveva appeso ad uno dei ganci sul soffitto, che di solito erano riservati a dei fantocci durante le ore di allenamento con Filottete. Dopo di ché aveva preso a sfogarsi, sforzandosi affinché tutti i pensieri che l’affliggevano in ogni singolo istante non le invadessero nuovamente la mente.
Tentò di scacciare via ogni preoccupazione, focalizzando la propria attenzione solamente su quella rilegatura in pelle, e sui propri colpi che si infrangevano con forza su essa.
Rimase lì per circa mezz’ora, incurante delle ciocche ribelli che erano sfuggite all’elastico della sua coda o del sudore che le imperlava la fronte. Era così accecata dal furore che a malapena si accorse che fosse arrivato qualcuno, fino a quando la pesante porta di legno non si richiuse con un tonfo sordo.
In un primo momento, Dahl la fissò basito, quasi non si aspettasse di trovarla lì. Ma chissà perché, non era affatto sorpreso
La ragazza non lo degnò neanche di uno sguardo, continuando imperterrita ciò che aveva iniziato.
All’uomo furono necessari alcuni secondi, prima di ricomporsi e indurire la mascella.
«Questa mattina non abbiamo lezioni» le ricordò, con tono neutro.
«Lo so» mormorò semplicemente lei, senza fermarsi.
Lui inarcò le sopracciglia. «Quindi suppongo io debba chiederti che cosa ci fai qui» dedusse, avvicinandolesi con naturalezza.
«Non si vede?» fu la replica scocciata della mora.
Phil abbozzò un sorrisetto sghembo, una chiara luce di disappunto negli occhi. «Prendersela con quel sacco fino a star male non ti servirà a risolvere i tuoi problemi.»
«Non mi serve che risolva i miei problemi» obiettò dunque lei, imperterrita. «Mi serve che mi aiuti a gestire la rabbia» spiegò, menando alla sua povera ‘vittima’ una gomitata con più forza delle precedenti.
L’adulto l’osservò per qualche attimo, in silenzio, seguendo con interesse ogni sua azione.
«Mantieni la tensione sui muscoli della pancia» la corresse poi, al ché la giovane sbuffò.
«So come prendere a pugni uno stupido sacco» sibilò a denti stretti, irritata.
«Beh, allora perché non usi la tua infallibile tecnica anche contro Prometeo?»
Nonostante inizialmente titubò, ferita, Skyler non smise comunque di assestare colpi al povero sacco da boxe, rendendosi conto di essersi morsa la lingua solamente quando avvertì un sapore metallico in bocca.
«Tu sai perché sta facendo tutto questo, vero?» le domandò allora Filottete, dipingendosi la sua solita espressione indecifrabile sul viso.
«Mi sembra abbastanza ovvio» ridacchiò la figlia di Efesto, amaramente. «Vuole farmi capire che sono debole, in confronto a lui.»
«In realtà» la contraddisse l’uomo, facendo schioccare la lingua. «Vuole convincerti che sia così.»
Fu solo sentite quelle inaspettate parole che la semidea si bloccò, irrigidendosi e lanciandogli un’occhiata confusa.
«Che significa?»
«Che sta spaventando te per affievolire la propria, di paura.»
La ragazza corrugò la fronte, sconcertata. «Paura?» ripeté, incredula. «Paura di cosa?»
«Di te» fece spallucce lui, come se fosse scontato. «Di ciò che potresti fargli se solo diventassi consapevole delle tue capacità.»
Fu a quel punto che la mora ghignò, con sarcasmo. «Cos’è? Un discorso alla Yoda per Luke?» ironizzò. «Perché se è così allora può tranquillamente risparmiare fiato.»
«Non avrei motivo di prenderti in giro» le fece notare tranquillamente quello, senza scomporsi.
Lei lo scrutò, perplessa. «Paura… di me» reiterò lentamente, con evidente incredulità. «Prometeo avrebbe paura di me? Di me?» sbottò. «E per quale ragione, esattamente?»
Dahl prese fiato per parlare, ma lei sollevò una mano ad interromperlo prima che potesse riuscirci.
«No, aspetti, glielo dico io» disse, con un verso di scherno. «Sono solo una ragazzina. Ho avuto paura del mio stesso elemento per… praticamente tutta la vita. E nel momento in cui ho imparato a convivere con il mio potere, non ho neanche il coraggio di usarlo. Non ho idea di come poter utilizzare il mio dono contro di lui; né del perché gli dei abbiano scelto di affidare a me proprio il più inutile!» Arricciò il naso, contrariata. «Sì, sono proprio spaventosa.»
Phil sospirò di fronte al suo scetticismo, scrollando lievemente il capo. «La Profezia non sarebbe d’accordo con te» rivelò, facendo mutare repentinamente il luccichio nelle iridi scure di lei.
«Cosa c’entra la Profezia?» chiese, turbata.
«È grazie a quella che Prometeo ha capito che per lui sei una minaccia» le raccontò quindi lui, pacato. «In essa vi è la fine di tutti coloro che abitano il Campo.»
«Quindi parla anche di me» intuì Skyler, e il mutismo dell’uomo le fece dedurre un’altra scioccante verità. «La Profezia parla di me!»
«In gran parte, sì» ammise lui.
«E che cosa dice?»
«Sai che non posso rivelartelo.»
La figlia di Efesto buttò le braccia al cielo, facendo roteare gli occhi frustrata. «Mi spiega a cosa devo tutto questo mistero?» sbraitò.
«Conoscere in anticipo il tuo destino non ti sarà utile durante la battaglia.»
«Non crede che sarebbe invece… non so, un incentivo?»
«Non possiamo prevedere come reagirai» insistette, autoritario. «Potresti anche decidere di rinunciare a tutto ciò per cui finora hai combattuto.»
«Quindi» ragionò piano lei, inclinando la testa di lato. «Mi sta dicendo che il futuro non è poi così roseo per me, mh?»
Come aveva già immaginato, Dahl non le rispose. La mora sbuffò, affondando i denti nel labbro inferiore. «Può almeno dirmi se riuscirò a sconfiggerlo?» implorò, in alternativa.
Filottete fece una smorfia «Questa in realtà è l’unica cosa che non viene rivelata» confessò. «Si parla solo della maniera in cui potrebbe essere battuto.»
La ragazza parve indignata. «E questo che senso ha?»
«Le Profezie non predicono il futuro, ma te lo lasciano intuire.»
«E il mio dov’è scritto? Nelle ultime righe?»
Questa volta l’istruttore annuì, non profferendo comunque nulla.
«Grandioso» commentò la giovane, senza un briciolo d’entusiasmo. Avrebbe tanto voluto piangere, in quel momento; ma si trattenne, seppur con gran fatica. Phil però sembrò accorgersene lo stesso, perché la affiancò quel tanto che bastava per poterle posare una mano sulla spalla, con fare incoraggiante.
«Non perdere la fiducia in te stessa» le intimò, incatenandosi alle sue iridi screziate d’oro. «È l’unica chance che abbiamo di poter fare un buon lavoro.»
La semidea deglutì a fatica, prendendo un profondo respiro. Assentì con calma, recuperando tutto l’autocontrollo che per una frazione di secondo aveva rischiato di perdere.
Fu solo nell’attimo in cui percepì il suo bisogno di restare sola, che l’uomo pensò bene di accontentarla. Si diresse nuovamente verso l’uscita, lasciandola al proprio sacco da boxe – così che potesse continuare a scaricarsi indisturbata.
Ma appena fece per varcare la soglia, lei lo richiamò, maledicendosi mentalmente per il tremitio della propria voce. E quando lui si voltò a guardarla, lei ebbe un secondo di esitazione, prima di porgere il proprio quesito.
«È tanto brutta?» si informò. «L’ultima parte della Profezia, intendo.»
Dahl la studiò, e soppesando con accortezza la propria conoscenza a riguardo appurò che quella ragazza meritava la sua sincerità. Sbuffò dal naso, stringendo le labbra in una linea sottile.
«Solo per chi ne è il protagonista.»
 
Ω Ω Ω
 
Finalmente solo, subito dopo aver finito gli allenamenti di quella mattina Leo era riuscito a ritagliarsi lo spazio necessario per fare ciò che lo rilassava di più: riparare cose.
Skyler non aveva neanche fatto colazione con loro, quel giorno; Microft si era trattenuto più del dovuto per raccontare a Rose di una certa figlia di Tyr – Andrea, l’aveva chiamata – e tutti i suoi fratelli erano chissà dove a godersi chissà come il loro tempo libero.
Ergo, con sua grande gioia non aveva trovato nessuno, nelle fucine.
Non che avrebbe fatto molta differenza, dopotutto. Ma per una ragione o per un’altra in quel periodo della sua vita avvertiva sempre di più l’esigenza di restare per un po’ con sé stesso; come se fosse consapevole che gli mancasse qualcosa, e la solitudine fosse l’unico mezzo a sua disposizione per ritrovarla.
Rigirandosi tra le mani il carillon che aveva promesso ad una figlia di Ipno di aggiustare, ne esaminò con accortezza gli ingranaggi, tentando di individuare quello che non funzionava.
Lo trovò solamente dopo alcuni minuti, e con un sospiro di concentrazione cercò tastoni un giravite sul piano da lavoro. Lo afferrò distrattamente, senza neppure guardare da dove lo stesse disincastrando.
Fu a quel punto che il cofanetto che vi era stato posato sopra nel disordine si rovesciò non appena ebbe perso il proprio appoggio.
«Merda» imprecò il figlio di Efesto sottovoce, mentre bulloni, pinze e chiavi inglesi si riversavano sul tavolo, alcuni anche cadendo a terra.
Il ragazzo sbuffò, frustrato, risollevando la scatola e ammucchiando tutti gli arnesi alla meno peggio, così da poterne rimettere dentro un po’ alla volta.
I suoi movimenti erano svogliati; l’attenzione che vi prestava decisamente poca. Finché un oggetto non emerse dal cumulo, contrastando inaspettatamente con tutti gli altri.
Il moro lo fissò per qualche secondo, basito.
Era una conchiglia. O meglio, la conchiglia.
Non ricordava neanche di averla nascosta lì.
La prese lentamente, rimirandola con riguardo. Ne seguì delicatamente il contorno concavo con i polpastrelli, e fu come se dal momento in cui l’aveva tenuta nel palmo per la prima volta non fossero passate neanche poche ore.
Era stata Emma a regalargliela, quel giorno in cui erano scesi in spiaggia insieme. Gli aveva spiegato come fare a sentire il rumore del mare attraverso di essa, e dopo gliel’aveva donata senza troppe esitazioni.
Leo sentì un brivido arrampicarsi su per la sua schiena al solo ricordo di quegli istanti, quando lei si era sollevata sulle punte, accostandosi a lui senza rendersene conto.
Il suo profumo ad invadergli le narici; i suoi ricci ribelli a pizzicargli il volto.
E poi i loro nasi che si scontravano, e i loro respiri che si mischiavano nel poco spazio che ancora separava le loro labbra.
Quest’ultime che si sfioravano, quasi si stessero accarezzando; il figlio di Efesto era consapevole di aver pensato a quanto quelle della bionda fossero morbide, belle.
Non sapeva neanche lui quante volte avesse rimpianto di non averla baciata, quel giorno.
Le cose tra loro erano precipitate tanto velocemente che il semidio si era accorto di ciò che stava succedendo solo quando aveva capito di averla persa per sempre.
Prima era tutto perfetto.
Quando era al fianco della figlia di Ermes, il giovane avvertiva ogni volta questa pienezza, nel petto. Era come se lei lo completasse; se riuscisse inconsciamente a dargli ciò che per tutta la vita lui aveva cercato.
Con lei si sentiva pieno.
Ma ormai quella sensazione era svanita.
Un puff, e già non c’era più.
Non poteva fare a meno di chiedersi se avrebbero avuto qualche occasione in più per conoscersi meglio, se solo all’inizio non fosse stato così spaventato da ciò che provava.
Magari se l’avesse baciata per la prima – vera – volta lì, su quella spiaggia, le cose sarebbero andate diversamente.
Forse se lui quel giorno non avesse esitato, avrebbero avuto a disposizione più tempo; e avrebbero evitatp molti stupidi, inutili sbagli.
Può darsi che lei avesse ragione, e che la colpa fosse stata sin dal principio solo ed unicamente sua.
Frank gli aveva raccontato questa leggenda cinese, qualche anno prima: ogni persona porta, fin dalla nascita, un invisibile filo rosso legato al mignolo della mano sinistra, che lo lega alla propria anima gemella. Questo filo può essere ritorto o ingarbugliato, ma mai spezzato.
Fin da quando l’aveva incontrata, era come se Leo avesse avuto l’impressione che il suo, di filo, lo legasse direttamente al destino di Emma. E come due poli che si attraggono, loro fossero stati spinti l’uno verso l’altra dal fato, che dal primo momento li aveva voluti insieme.
Ma adesso aveva cominciato a dubitare di quella certezza.
Se erano davvero predestinati a stare insieme, perché la vita continuava a tenerli separati?
Come avevano fatto lui e lei contro il mondo a diventare lui contro lei?
Molto probabilmente si era sbagliato.
Mentre lui continuava a stringere nel pugno quella conchiglia quasi fosse il suo tesoro più grande, lei poteva benissimo trovarsi in compagnia di quel Lars, a costruirsi un nuovo futuro dove non c’era spazio per lui.
 
Mai avrebbe potuto immaginare che invece la figlia di Ermes – nascostasi nella Baia di Zefiro – in quell’istante stesse condividendo le sue stesse emozioni.
Era seduta sull’altalena che il figlio di Efesto le aveva costruito l’estate precedente, e con nostalgia studiava la pietra a forma di cuore che lui le aveva regalato quello stesso pomeriggio in spiaggia, e che ora giaceva sul suo palmo.
Sembrava più pesante del solito, in realtà. Magari perché era pregna di tutte quelle memorie che la bionda aveva cercato di dimenticare.
Ma come avrebbe potuto mai riuscirci?
Per quanto odiasse quel ragazzo per ciò che le aveva fatto, occupava ancora un posto speciale nel suo cuore, oltre che nella sua mente.
Se ne era resa conto la sera prima, baciando Larsen.
Il figlio di Balder era fantastico; un principe azzurro, senza alcun dubbio.
Ma forse non il suo.
Detestava Leo Valdez con tutta l’anima.
Lui, e quel suo sorriso spavaldo; e quella sua risata sincera.
Lui, e quei suoi ricci morbidi, in cui lei aveva sempre amato intrecciare le dita. E quei suoi occhi color cioccolato, da cucciolo bisognoso d’affetto
Lui e quel suo modo di sfiorarla, unico rispetto a quello di tutti gli altri ragazzi.
E poi la maniera in cui la faceva sentire, e le emozioni che le faceva provare.
Odiava quel ragazzo per essere diventato inchiostro indelebile sulla sua candida pelle.
E soprattutto, odiava sé stessa per averglielo lasciato fare.
In un irrefrenabile impulso d’ira, strinse la pietra nel pugno così forte da avere le nocche bianche. Sollevò il braccio, preparandosi a lanciarla il più lontano possibile, fino a farla scomparire.
Ma quando fece per scagliarla con tutte le proprie forze, qualcosa la bloccò.
Senza neanche soffocare un gridolino di frustrazione, lasciò ricadere il braccio a peso morto sul proprio grembo, posando la fronte contro una delle corde dell’altalena e chiudendo gli occhi affranta.
Non sarebbe mai riuscita a farlo.
D’altronde, a cosa sarebbe servito?
Sapeva già che – qualora l’avesse buttata via sul serio – poi sarebbe corsa subito a riprenderla.
 
Per entrambi era così.
Provavano contemporaneamente le stesse sensazioni senza saperlo; condividevano gli stessi rimpianti. Avevano le stesse paure.
Forse il figlio di Efesto non aveva poi avuto tutti questi torti.
Qualcosa ad unirli c’era davvero. Ma può darsi che il loro filo rosso fosse stato messo alla prova da così tante intemperie, da essere diventato fragilissimo, quasi intoccabile.
Eppure c’era. E se la leggenda era vera, sarebbe stato indistruttibile fino alla fine.
Solo che nessuno dei due riusciva più a vederlo. Era come se ne avvertissero la presenza, ma non fossero consapevoli di cosa questo potesse significare.
E nel frattempo continuavano ad ignorarsi a vicenda, guardando sempre dall’altra parte.
Nonostante entrambi sentissero il cuore scoppiare.
E nel profondo sapessero che non era così che doveva andare.
 
Ω Ω Ω
 
Skyler non si era presentata a nessuno dei pasti, durante l’intera giornata; né tanto meno alle lezioni.
Eppure anche se i suoi migliori amici se n’erano accorti, avevano comunque fatto finta di nulla – inventando scuse per lei durante le ore di allenamento mancate e non cercandola, così da lasciarle i suoi spazi.
Sapevano perfettamente quanto la situazione che stavano vivendo stesse turbando la ragazza, e lei non poteva non essergli grata per la loro discrezione.
Aveva bisogno di schiarirsi le idee, ora più che mai.
La conversazione che quella stessa mattina aveva avuto con Dahl era stata tanto illuminante quanto preoccupante.
Oramai aveva intuito che l’ultima parte della tanto acclamata Profezia riguardava lei, nello specifico. Il quesito che però le infestava la mente come un tarlo era: che cosa recitava?
Perché nessuno aveva il coraggio di parlarle del suo destino?
Magari avrebbe potuto informarsi; se fosse andata da Rachel di nascosto, era convinta che l’Oracolo le avrebbe detto la verità.
E allora come mai esitava?
In realtà, lei era la prima ad avere paura. Non sapeva cosa aspettarsi, dal proprio futuro.
E se venirne a conoscenza l’avesse spaventata molto più di quanto Prometeo non avesse fatto già?
In un modo o nell’altro, il finale di quella storia dipendeva unicamente da lei, giusto? E se con la consapevolezza di come sarebbe andata, lei avesse perso la forza di continuare ugualmente a ‘scrivere’?
Però voleva sapere.
Diamine, tutto quel mistero la stava logorando.
Filottete l’aveva messa in guardia sul suo difetto fatale: di vita ne aveva una soltanto, e quindi doveva stare attenta per chi si sacrificava.
Ma come avrebbe saputo di fare la scelta giusta, se non sapeva neanche per cosa stesse combattendo?
Qualcosa le diceva che forse quest’ultima decisione sarebbe spettata a lei. E solo adesso si stava rendendo conto di quanto in realtà fosse difficile intuirlo.
Non aveva neanche fatto caso a dove i suoi piedi la stessero conducendo finché non si ritrovò nella Casa Tre, che dato il falò era pressoché vuota.
Infatti, solo uno di coloro che vi vivevano era rimasto lì.
Il piccolo Dave, adagiato nella culla che la mora aveva costruito con i propri fratelli appositamente per lui, si godeva in silenzio la tranquillità che regnava tra quelle mura.
Avvicinandosi lentamente al lettino, la semidea notò che il bimbo era ancora sveglio, al di là dell’ora tarda.
«Ehi» gli sussurrò dolcemente, incurvando le labbra in un appena accennato sorriso. Gli accarezzò il capo, con delicatezza. «Non riesci a dormire?»
Lui la fissò con i suoi grandi occhioni azzurri, emettendo un lieve mugugno in segno di saluto.
La giovane si intenerì, continuando a sfiorargli con accortezza la linea del volto con il dorso delle dita. Sospirò, meditabonda. «Mi dispiace che tu sia capitato in un periodo del genere» confessò distrattamente. «Tu non c’entri niente; eppure se non trovo al più presto una soluzione, potresti essere anche tu una delle tante vittime.» Inclinò la testa di lato, stringendo le labbra in una linea sottile. «Non voglio tutta questa responsabilità» mormorò. «Ma sembra che io non possa tirarmi indietro. Solo che sono molto confusa» aggiunse poi, prima di rivolgersi direttamente a lui. «Secondo te cosa dovrei fare?»
In tutta risposta, Dave si lasciò sfuggire un gridolino di gioia; e con il suo sorrisino sdentato allungò le braccine paffute verso di lei, in una chiara ed esplicita richiesta di coccole.
«Vuoi venire in braccio, eh?» ridacchiò Skyler, accontentandolo subito dopo. Lo prese con cura, tenendolo in modo tale che potesse appoggiare il biondo capo sul suo petto.
«Mh» borbottò la figlia di Efesto tra sé e sé, iniziando a dondolare lentamente, facendo schioccare ritmicamente la lingua. «Vediamo se riesco a farti addormentare.»
Era la prima volta che teneva in braccio un bambino. Non aveva mai avuto fratelli o cugini più piccoli con cui fare pratica, e tutto ciò che sapeva al riguardo era quello che “insegnavano” in reality e serie tv.
Era molto più pesante di quanto aveva supposto quella notte in cui – con l’aiuto di Michael – aveva trascinato la sua cesta alla Casa Grande.
Profumava di borotalco, e anche un po’ di latte. La divertiva il modo in cui i suoi boccoli dorati le pizzicavano il mento, ed era una strana sensazione avvertire il suo piccolo cuoricino battere magicamente in sincrono con il suo.
Dicono che ogni donna – con o senza esperienza -  sappia esattamente come comportarti nel momento in cu si trova a doversi occupare di un bambino.
Bisogna solo fidarsi delle proprie capacità, e soprattutto dar retta all’istinto.
E la mora non si meravigliò più di tanto quando sentì che il suo, in quel momento, fu quello di cantare.
E così lo fece; amabilmente, a bassa voce.
«Ricordo il giorno in cui mi hai detto “Non lasciarmi qui da solo”
Ma amore mio, io non ti lascerò mai
Non guardare fuori dalla finestra, perché tutto è in fiamme
Ma aggrappati a questa ninnananna, anche quando la musica è finita»
Gli posò teneramente un palmo dietro la nuca, lasciandogli un dolce bacio tra i capelli. Il piccolo cominciò sorprendentemente a cedere al sonno.
«Ora chiudi gli occhi
Il sole sta calando
Ti prometto che starai bene
Nessuno può farti del male ora
Perché io ti proteggerò
Resterò vicino a e
Con l’anima…
E il cuore»
Quando le sue corde vocali emisero quell’ultimo suono, le palpebre di Dave calarono definitivamente, e il suo respiro divenne pesante, regolare.
Skyler si lasciò sfuggire un sorriso, e con molta attenzione lo rimise nella sua culla, rimboccandogli gentilmente le coperte.
Non aveva neanche fatto caso al cardine della porta che – nel bel mezzo del suo canto – aveva cigolato.
Michael la osservava dalla soglia estasiato, avendo assistito a gran parte della ninnananna. Si morse inconsciamente il labbro inferiore, nel vano tentativo di celare un ghigno intenerito.
«Hai un futuro, come babysitter» la prese in giro, al ché lei si voltò di scatto, stupita.
«Oh» balbettò, visibilmente imbarazzata. Abbassò lo sguardo, arrossendo lievemente. «Mi dispiace» si scusò. «Non dovrei essere qui.»
«E perché no?» fece spallucce lui, chiudendosi la porta alle spalle. «In fondo questa è casa mia.»
La ragazza rise sommessamente, aspettando che lui la affiancasse accanto al lettino. Guardarono insieme il bimbo sonnecchiare, ignaro di tutti i problemi che lo accerchiavano.
«Era una bella canzone» si complimentò il figlio di Poseidone. La mora sorrise tristemente.
«Me la cantava sempre mia madre, quando era ancora viva» rivelò, nostalgica. «Ho ritrovato poco tempo fa la melodia in un carillon.»
«Deve avere un significato speciale, per te.»
«È…» La giovane esitò, cercando le parole giuste. «In pratica, tutto ciò che mi rimane di lei.»
«Ti capisco» annuì il ragazzo, stringendosi nelle spalle. «Avrei voluto anch’io che mia madre mi cantasse qualcosa per farmi addormentare, da bambino. Ma purtroppo era stonata come una campana!»
Ridacchiarono entrambi, divertiti.  Dopo di ché la figlia di Efesto tornò a studiare perplessa Dave, spostandogli un ciuffo ribelle dalla fronte con fare materno.
«Secondo te farà bei sogni?» domandò, e Michael inarcò le sopracciglia, colto alla sprovvista.
«Spero di sì» rispose, per poi rivolgerle uno sguardo inquisitore. La scrutò per qualche secondo, con circospezione. «Cos’è che ti turba?»
Lei sbuffò dal naso, alzando gli occhi al cielo con sarcasmo. «Come sai che c’è qualcosa che mi turba?» chiese, e invece di aggiungere altro il moro si limitò a passarle il pollice nello spazio tra gli occhi, dove vi era la sua tipica ruga di preoccupazione.
Skyler sospirò, compiaciuta del fatto che il giovane la conoscesse così bene. Incrociò le braccia al petto, titubante.
Da dove avrebbe dovuto iniziare? Da ciò che aveva scoperto?
O da quello che non sapeva?
In entrambi i casi, non avrebbe saputo cosa dire. Era ancora all’oscuro di troppe cose, per poter sperare di condividere i propri mille dubbi con qualcuno.
Ma con il tempo aveva imparato che se c’era una persona in grado di alleviare tutte le sue preoccupazioni, quella era Michael.
«Posso farti una domanda?» esordì, incontrando quelle iridi ora di un blu notte.
Il ragazzo assentì lentamente. «Ma certo.»
«Però prometti di non ridere.»
«Lo giuro.»
«E di rispondere anche se può sembrarti strana.»
«Non mi stai chiedendo di sposarti, vero?» scherzò ironico lui, mostrando i palmi.
«No!» si indignò lei, dandogli un pugno sul braccio. «Idiota» lo accusò. «È una cosa seria.»
«Okay, spara.»
«Se…» iniziò, prima di bloccarsi, indecisa. Mise in ordine i propri pensieri, sedendosi sul letto di lui e asciugandosi i palmi sudati contro la stoffa degli shorts.
Il figlio di Poseidone la imitò, accomodandosi al suo fianco, in attesa.
«Se ti venisse dato il libro con la storia della tua vita» fece quindi lei, nervosa. «Leggeresti la fine?»
Quel quesito sicuramente lo spiazzò. Le lanciò un’occhiata sconcertata, non avendo idea di come dover reagire.
La ragazza storse il naso di fronte alla sua interdizione.
«Avevi promesso che avresti risposto» gli fece notare, con disappunto.
«Sì» scrollò il capo lui, confuso. «Lo so, è che…» Vi rifletté qualche attimo, indeciso. «Posso sapere almeno perché me lo chiedi?»
La mora prese un bel respiro. «Mi stavo solo chiedendo che cosa faresti, se avessi la possibilità di scoprire come andrà a finire» disse semplicemente, le iridi scure fisse in un punto imprecisato sul pavimento.
Il giovane inarcò un sopracciglio, dubbioso. «C’è qualcosa che dovrei sapere?» indagò, guardingo.
«No» scattò subito lei, ripetendo a sé stessa che quella non era affatto una bugia. «Non al momento, almeno.» Cercò invano il suo sguardo, per poi dargli una giocosa spallata. «Dai, che faresti?»
«Non lo so» ammise lui, grattandosi ingenuamente il capo. «Non ci ho mai pensato, in realtà. Non sono il genere di ragazzo che si interroga sul futuro.»
«Neanche io lo sono mai stata» convenne amaramente la figlia di Efesto, in un sussurro appena udibile.
«Ma» continuò il semidio, con decisione. «Se devo darti una risposta certa, sono sicuro solo di una cosa.»
«Ovvero?»
«Voglio che tu ci sia» le rivelò. «Con John. Ed Emma. Vi voglio tutti lì fino al giorno del mio funerale e anche oltre.»
Skyler fece roteare gli occhi, lusingata dalle sue parole, così sincere. «Perché sei convinto che sarai tu il primo a morire?» lo beffeggiò, al ché lui si strinse nelle spalle.
«Perché finché ne avrò le forze, farò di tutto pur di assicurarmi che nessuno vi faccia del male» disse, come se fosse scontato. «Specialmente a te» precisò, prendendole dolcemente la mano ed incatenandosi alle sue iridi screziate d’oro. «Vedi, io credo che in fin dei conti non ti tratti di cosa vi leggerai, alla fine di quel libro; ma di chi speri di trovarci.»
Lei sostenne tristemente il suo sguardo, prima di farlo cadere sulle loro mani unite. Gli disegnò dei piccoli cerchi sulle nocche con il pollice, sospirando.
«Vorrei che fosse così semplice» borbottò.
«Lo è» le sorrise Michael, incoraggiante. «È pur sempre scritto a matita, no? Devi solo munirti di una buona gomma da cancellare.»
Dinanzi a quella metafora, la giovane ridacchiò, rincuorata. «Lo sai che ti amo, vero?» si assicurò, facendo intrecciare le loro dita.
«Sì.»
«Quando l’estate scorsa Prometeo ti ha rapito, io…» Si morse il labbro inferiore, esitante. «Non so cos’avrei fatto, se ti avessi perso» confessò poi, facendo scrollare leggermente la testa.
«Perché me lo stai dicendo ora?»
«Perché voglio che tu sappia che mi dispiace se quel mostro ti ha preso di mira solo a causa mia» affermò lei. «E che farò qualsiasi cosa, per fermarlo. Capito? Qualsiasi.»
«La faremo insieme» le promise teneramente lui. «Non ti lascerò affrontare tutto questo da sola.» Si chinò verso di lei, posando la fronte contro la sua e lasciandole un lieve bacio sulla punta del naso.
La mora chiuse gli occhi, inspirando a fondo. «Io non ti merito, Michael» appurò, con voce tremante.
«Ed io credevo che non mi sarei mai innamorato di nessuna» commentò sarcasticamente il figlio di Poseidone. «Ma poi ho incontrato te. Visto? Prima o poi la vita ci fa capire quanto a volte ci sbagliamo.»
La ragazza lasciò le proprie labbra libere di stendersi in un luminoso sorriso, per poi di incrociare nuovamente il suo sguardo, stavolta con una luce ed un’intensità diverse.
«Qualunque cosa accada?» gli domandò semplicemente.
Lui le spostò delicatamente una ciocca mogana dalla fronte, rigirandosela attorno all’indice in un gesto tanto inconscio quanto abituale.
«Qualunque cosa accada» le giurò; ed entrambi attesero per qualche attimo, prima di avvicinarsi lentamente l’uno all’altra e baciarsi con dolcezza.
Ben presto, però, il contatto tra le loro labbra divenne più intimo; più passionale. Le loro lingue di scontrarono con trasporto, cercandosi con calma, senza fretta.
Michael fece scivolare i propri palmi lungo i fianchi di lei, fino ad avvolgerle la vita con le braccia e attirarla ancora di più a sé.
Fu un istante, quello in cui in un silenzioso, comune accordo si distesero insieme sul letto – non smettendo di baciarsi. Schiacciata fra il morbido materasso e il corpo bramoso del proprio fidanzato, Skyler avvertì un insolito e piacevole senso di completezza. Di stabilità.
Quasi avesse l’impressione di aver finalmente raggiunto il luogo perfetto nel quale sentirsi al sicuro, si strinse ulteriormente a lui, passando teneramente le dita tra i suoi capelli per far avvicinare maggiormente i loro volti.
Si ritrovarono a condividere un sospiro tremante, mentre i loro cuori battevano all’impazzata, rimbombando nei loro petti ansanti.
Il figlio di Poseidone le morse sensualmente il labbro inferiore. Poi prese a lasciarle una rovente scia di focosi baci sulla mascella, sul collo, fino ad arrivare alla clavicola.
La sua mano scivolò sotto l’orlo della maglietta di lei, con accortezza, e gentile risalì lungo la sua spina dorsale, spingendo l’indumento verso l’alto fino a sfilarglielo.
La figlia di Efesto lo lasciò fare. Un po’ perché desiderava che lo facesse, un po’ perché ne aveva bisogno.
Continuarono ad assaporarsi disperatamente, un sentimento vorace e travolgente ad attanagliargli lo stomaco.
Fino a che non furono interrotti all’improvviso dall’ingresso inaspettato di qualcuno, che spalancò la porta senza neanche bussare.
La semidea emise un gridolino spaventato, nascondendosi come meglio poteva sotto il corpo di Michael.
«Oh miei dei!» esclamò sconvolto Percy, dandogli repentinamente le spalle e coprendosi gli occhi con una mano, imbarazzato.
«Percy» ringhiò a denti stretti il fratello, in tono di rimprovero.
«S-Scusate!» si affrettò a mostrare i palmi quello, balbettando. «N-Non… Non volevo interrompere nulla, lo giuro. È solo che… io ed Annabeth avevamo deciso di dormire sotto le stelle, stanotte, e così avevo bisogno di un telo o qualcosa per…»
«Prendi una delle coperte e va via, per favore!» lo pregò furioso il minore, al ché lui fece schioccare le dita.  
«Ma certo» assentì, precipitandosi a rovistare tra le proprie cose.
Skyler non si era mai ritrovata in una situazione più imbarazzante di quella. Per quanto Michael si sforzasse di coprire il suo reggiseno nero con gli avambracci, ogni suo tentativo era pressoché inutile.
Affondando il viso nell’incavo del suo collo, la giovane avrebbe voluto sprofondare dalla vergogna.
«Trovato!» esultò trionfante il maggiore, con un sorrisetto sfacciato. «E ora tolgo il disturbo.»
«Sarebbe ora» borbottò sommessamente l’altro.
«Scusate di nuovo.» Percy fece per lasciare la stanza, ma prima di varcare definitivamente la soglia si bloccò. «E nel caso abbiate bisogno di qualche ‘precauzione’, sappiate che potete trovarla tranquillamente nel mio como-»
«Va via!» gli urlò contro il fratello, lanciandogli addosso il proprio cuscino. Ma il giovane riuscì a chiudersi la porta dietro prima che quello lo colpisse, sbattendo con un tonfo contro il legno.
I secondi che seguirono furono pregni di un silenzio carico di disagio.
Ma subito dopo i due ragazzi scoppiarono in una risata a stento trattenuta.
«Non posso crederci» si lamentò divertita lei, arrossendo visibilmente.
«Fortuna che c'era solo la tua maglia, sul pavimento» scherzò quindi lui, guadagnandosi un indignato pizzico sul bicipite.
«Smettila!» lo riprese dunque la mora, non appena il ragazzo iniziò a sghignazzare.
Si sgranchì la voce, nonostante non ne avesse realmente bisogno. «Forse è meglio che vada» annunciò. 
«Non sei costretta» provò a convincerla lui.
«Michael.»
Con palese disapprovazione, il figlio di Poseidone alzò gli occhi al cielo, lasciandosi cadere su un fianco per permettere alla ragazza – ancora sdraiata sotto di lui – di potersi alzare.
La figlia di Efesto raccolte velocemente la propria t-shirt da terra, indossandola sotto lo sguardo divertito del semidio.
«Potevi anche evitare di rimetterla.»
«Sì, come no.»
Con gli angoli della bocca incurvati in un piccolo ghigno, Skyler si chinò per potergli dare un ultimo bacio a stampo. «Ringrazia piuttosto che in tutto questo Dave non si sia svegliato» gli intimò, con fare giocoso. «Buonanotte.»
«’Notte» mugugnò di rimando lui.
Una volta fuori dalla Casa Tre, la giovane si concesse qualche attimo per poter metabolizzare il tutto.
Sì, decisamente la situazione più imbarazzante di tutta la sua vita.
Ma forse, in un certo senso, alla fin fine l’arrivo di Percy era stato un bene.
Le aveva permesso di ritornare con la mente al presente, e di capire che non poteva stare con Michael in quel modo.
Non senza aver prima trovato un compromesso con sé stessa, e con la propria mente.
Non se uno dei motivi per cui lo voleva era soffocare le preoccupazioni, la paura e il dolore. 


Angolo Scrittrice
Sono una persona orribile, lo so. 
Avrei dovuto pubblicare questo capitolo la scorsa settimana, e invece a causa di tutti gli impegni scolastici del Tartaro sono stata costretta a rimandare. 
Vi prego di avere un po' di pazienza, con me, perchè si tratta solo di un periodo che spero possa dileguarsi al più presto. 
Che dire: ben ritrovati, fanciulloschi!
Mi sono dedicata molto a questo capitolo per assicurarmi che l'attesa ne valesse la pena, e spero di aver fatto un buon lavoro. 
Che ne pensate? Vi è piaciuto?
O vi ha fatto schifo? 
Sapete che sono sempre aperta a qualunque genere di commento/barra critica (purché siano costruttivi), quindi non vi fate scrupoli. 
In primo luogo, vediamo la nostra
Skyler alle prese con la gestione della rabbia. 
Le nostre semidee sono sempre più badass, non trovate? Potere alle donne! - giusto per restare in tema festa ahaha - 
Anyway,
Phil onnipresente Dahl sa sempre cosa dire per... beh, per complicarci la vita ancora di più. 
A quanto pare la profezia parla della figlia di Efesto, in particolar modo. Prevedibile? Well, bisogna vedere che cosa dice. 
Secondo voi? Qualche suggerimento? 
Ho deciso poi di dedicare questa settimana a due delle coppie che voi, cari lettori, più apprezzate di questa storia. 
La prima è quella di
Leo ed Emma
Andiamo, un po' di
Lemma feels ci stavano, non credete? 
Sembra proprio che i due ragazzi non si siano del tutto dimenticati l'uno dell'altra. Entrambi conservano ancora i rispettivi regali [SE QUALCUNO NON DOVESSE RICORDARE QUEL CAPITOLO: La Pietra dei sogni - Cap. 14
] - vogliamo parlare poi della figlia di Ermes seduta sulla loro altalena? ** gnaw - e non sono consapevoli che l'uno pensa ancora incessantemente all'altro e viceversa. 
So che tutti conoscevate già la leggenda del filo rosso. Che dite, secondo voi loro due sono davvero destinati a stare insieme? Oppure il futuro ha in serbo per loro due strade diverse?
Mi piacerebbe molto aprire un dibattito a riguardo, dato che questa è in assoluto la relazione più discussa di tutte. 
Abbiamo poi
Michael e Skyler, che al momento problemi di coppia non ne hanno. Anzi!
Se non fosse arrivato
Percy sul più bello, chissà fin dove si sarebbero spinti. Eh beh, stanno insieme da circa tre anni, ormai. Cercate di capirli! 
Fortuna però che non è successo niente, dato che se non fosse stato così, molto probabilmente la figlia di Efesto se ne sarebbe pentita. La sua prima volta con Michael deve essere speciale; e ciò significa che non possono esserci di mezzo altri fattori o sentimenti differenti dal loro amore così puro. 
Ho poi voluto far cantare a Sky la ninnananna della mamma perchè... non ve lo dico il perchè; lo scoprirete! ahaha
Btw, ringrazio con tutto il cuore i miei bellissimi Valery's Angels:
Anna in Black, Callem e Anakin Solo per aver commentato il capitolo precedente. Sapete che risponderò a tutti voi. Dovete solo avere un po' di pazienza, con me. 
A questo proposito, non sono sicura di riuscire a pubblicare un nuovo capitolo, martedì prossimo; per questo motivo, annuncio già da ora che farò del mio meglio per riuscirci entro mercoledì/giovedì. 
Spero che mi facciate conoscere tutte le vostre opinioni, e che siate ancora disposti a sostenere questa storia. 
Sempre vostra,

ValeryJackson

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***



Skyler si trovava in uno spazio angusto, buio.
Un sotterraneo, a giudicare dai tubi che seguivano il percorso di quelle sporche pareti di pietra. L’aria era umida, irrespirabile. La figlia di Efesto udì un lieve scrosciare d’acqua, e ci mise un po’ per rendersi conto che quest’ultima era entrata nelle suole delle sue scarpe, inzuppandole i calzini.
Come c'era finita lì?
Fu l’eco di una macabra risata a confermare la sua teoria iniziale.
La giovane sobbalzò spaventata, voltandosi di scatto e guardandosi freneticamente intorno.
Quel suono sembrava venire da un punto imprecisato alle sue spalle, propagandosi poi per tutte quelle intricate gallerie.
Sgranò gli occhi, iniziando a camminare a passo svelto nella direzione opposta, nel vano tentativo di scappare.
«Dove credi di andare?» la beffeggiò una voce ormai fin troppo nota, mentre lei rischiava di inciampare nei suoi stessi passi. «Pensi davvero di poter fuggire via da me?» la prese in giro poi, con sarcasmo. «Io sono ovunque.»
Non fece neanche in tempo a dirlo, che la ragazza fu bloccata da un paio di braccia, che con fermezza l’avvolsero, impedendole di correre via.
«Lasciami andare!» ordinò, cercando inutilmente di divincolarsi.
Matthew ghignò, imprigionandola divertito tra sé e il muro. «Sono qui solo per giocare, dolcezza» le fece notare, con una punta di sadismo. «Ho un nuovo indovinello per te.»
«Perché lo fai?» domandò quindi lei, premendo il più possibile la schiena contro il muro al fine di distanziare i loro corpi fin quanto potesse. «È me che vuoi. Lascia in pace tutte quelle povere persone.»
«Ma è proprio questo, il punto» ribatté lui, come se fosse scontato. Il suo sguardo si assottigliò, e i suoi occhi verdi la scrutarono, con superiorità. «Io non ho alcuna intenzione di farti del male» le palesò, facendole scivolare languidamente l’indice lungo la linea della mandibola.
La mora scansò bruscamente il capo, inorridita.
«Voglio solo…» continuò.
«Spaventarmi» lo precedette lei, maledicendosi mentalmente per il tremitio della propria voce.
Prometeo arricciò il naso, facendo schioccare la lingua. «Qualcosa del genere» convenne. «Vedilo un po’ come un test: quanto sei disposta a sopportare, prima di cedere finalmente al mio volere?»
«Perché colpire loro?» insistette la semidea, furiosa. «Perché degli innocenti?»
«Perché no?» fu la risposta sfacciata di lui, che poi ridacchiò. «Ora si tratta di ragazzi con i quali tu non hai mai avuto nulla a che fare. Ma immagina quando a ‘sacrificarsi’ al posto tuo saranno coloro che invece ti stanno più a cuore.»
Skyler trattenne il fiato, sentendosi pervadere dal panico. «Non oseresti.»
«Ma non capisci?» fece quindi il titano, con un sorriso piantagrane ad incurvargli le labbra. «Finché loro sono vivi, tu avrai qualcosa per cui combattere. Ed io non posso permettere che questo succeda.»
«Farò tutto quello che vuoi» giurò a quel punto la figlia di Efesto, disperata. «Smetterò anche di lottare. Potrai farmi tutto quello che ti pare. Potrai spezzarmi l’anima, o togliermi la vita. Potrai colpirmi, ferirmi, uccidermi. Ma per tutti gli dei, non toccare i miei amici.»
«Offerta interessante» pattuì il moro, inarcando le sopracciglia stupito. «Molto interessante. Ma devo prima valutarla per bene» annunciò, stringendosi teatralmente nelle spalle. «Nel frattempo, che ne dici di risolvere un altro indovinello?»
«No» si fece indietro la giovane, percependo delle brucianti lacrime pungerle gli occhi, vogliose di uscire. «Per favore.»
«Puoi sperare che sia più semplice, questa volta» la ignorò lui, godendo del suo evidente timore. «O forse no. Dipende tutto da come scegli di giocartela.» Si chinò rapidamente su di lei, accostando le labbra al suo orecchio e sussurrando piano. «‘Tutti ce l’hanno. Nessuno può perderla’. Che cos’è, Skyler?»
La mora si morse con forza la lingua, strizzando le palpebre talmente forte che le facevano male.
«Coraggio, Ragazza in Fiamme» la incitò ironicamente Matthew, fingendo di metterle il broncio. «Non ricordi più come usare la tua mente geniale? Eppure è grazie ad essa che sei riuscita ad avere la meglio in molte occasioni» le rimembrò. «O vuoi dirmi che era solo fortuna, mh? Magari posso esserti d’aiuto» si offrì dunque, rivolgendole uno strafottente cenno del capo. «Posso provare a nutrirmi ancora una volta della tua paura. Io diventerò più potente, certo. Ma può darsi anche che così facendo, tu ne soffra di meno. Devi solo urlare per me» le spiegò, stringendole a tal punto le dita attorno al bicipite da affondarle le unghie nella carne.
La ragazza digrignò i denti, una smorfia di dolore dipinta sul volto.
«Urla, Skyler» la invitò Prometeo, in un sibilo bramoso e autoritario. «Urla
 
«Skyler?» la chiamò qualcuno, scrollandola leggermente per un braccio.
La figlia di Efesto scosse di poco la testa, riprendendosi da quel momentaneo stato di shock.
Non era un vero e proprio sogno, quello. Stava semplicemente ripensando all’incubo che aveva fatto quella notte.
Le memorie di esso erano così vivide da darle tutt’ora i brividi.
Deglutì a fatica, incontrando gli occhi di colui che le aveva impedito di perdersi nei propri ricordi.
Nico di Angelo inarcò un sopracciglio, studiandola con circospezione.
Dopo aver trascorso gli ultimi sette mesi della propria vita al Campo Giove, in compagnia della sorella Hazel, soltanto il giorno prima era finalmente ritornato a Long Island, con grande gioia di tutti i suoi amici.
Una volta aveva confidato alla mora di non amare particolarmente la propria dimora lì, troppo solitaria, adesso che aveva di nuovo una famiglia; ma la semidea non era mai riuscita del tutto a credergli.
Era pur sempre un figlio di Ade.
E poi, andiamo! Si parlava comunque di Nico di Angelo.
«La lezione è finita» l’avvisò il giovane, e solo allora lei si accorse di essere l’unica persona rimasta nell’intera Arena, seduta sui gradoni. Il signor Olsen aveva già terminato il proprio turno d’allenamento.
Nonostante fosse spaesata, la ragazza tentò di non darlo a vedere. «Oh» mormorò, sgranchendosi la voce nonostante non ne avesse realmente bisogno. «Sì, lo so.»
«Sembravi assorta» osservò lui, inclinando il capo di lato. «C’è qualcosa che posso fare per te?»
«Sono solo stanca» denigrò gentilmente lei, alzandosi in piedi e incamminandosi al seguito di tutti gli altri.
«Con me puoi parlarne, sai?» le andò dietro il semidio, affiancandola. «Non sono il tipo che giudica.»
«Nico, apprezzo molto il tuo interessamento» convenne educatamente Skyler, facendo spallucce. «Ma è tutto okay, sul serio.»
«Allucinazioni? Problemi di gestione della rabbia? Sì, stai proprio bene.»
A quelle parole la figlia di Efesto si fermò, chiudendo gli occhi e spalancando la bocca, indignata. «Michael» dedusse a denti stretti, con una punta di rancore.
«Ehi, lui non voleva dirmelo» lo difese prontamente il figlio di Ade, mostrando i palmi. «Ma è preoccupato per te. Tutti sembrano esserlo. E so che sono arrivato qui soltanto ieri, ma vorrei comunque provare a darti una mano.»
«Io non ho nulla che non va» scattò lei, sulla difensiva.
«L’estate scorsa sei quasi morta» obiettò quindi Nico, incontrando le sue iridi screziate d’oro. «Hai un titano alle calcagna che ti perseguita nel sonno. È normale, se hai bisogno del supporto di qualcuno.»
La mora riuscì a sostenere il suo sguardo solo per qualche attimo, prima di abbassare il proprio, a disagio.
Avrebbe tanto voluto correggerlo, e fargli notare che l’anno prima lei non era ‘quasi morta’; era morta davvero.
Ne era certa, anche se molti stentavano a crederci. Non aveva dimenticato la sensazione della propria anima che si staccava dal corpo, e del proprio cuore che arrestava gradualmente la propria corsa.
Lui era un figlio del dio della morte; magari se gliel’avesse raccontato, lui non avrebbe dubitato della veridicità di quella storia.
Eppure – da un angolino remoto del suo cervello – la sua coscienza le suggerì di tenersi quell’informazione per sé.
Forse Nico non era la persona giusta alla quale confidare quel genere di cose.
Forse non lo era nessuno.
«Non si può affrontare tutto da soli» affermò ad un tratto lui, attirando nuovamente la sua attenzione. «Fidati, l’ho imparato a mie spese.»
«Se dovessi mai aver bisogno del sostegno di un amico» assentì allora lei, con tono pacato. «Prometto che verrò a cercarti.»
«Non parlo solo di me» precisò il ragazzo, con dolcezza. «Lascia che John, Emma e Michael oltrepassino le barriere che ti sei costruita intorno. Devi dar loro la possibilità di starti accanto.»
«Lo terrò a mente.»
E dopo averlo cordialmente salutato, la giovane se ne andò, dirigendosi verso la propria prossima lezione.
Aveva sempre avuto un rapporto abbastanza confidenziale con il figlio di Ade, nonostante si vedessero poco e nulla. Sapeva che il moro aveva ragione, e che doveva permettere ai suoi migliori amici di affiancarla in quella guerra contro il fato.
Ma non era così semplice.
E spesso Skyler si riscopriva a desiderare che tra il dire e il fare non vi fosse un mare tanto vasto.
 
Ω Ω Ω
 
La Signora Gunvor aveva convocato tutti i mezzosangue – sia greci che nordici – in Anfiteatro, con il pretesto di «un grande annuncio per tutti voi adolescenti ribelli».
Seduto accanto ai suoi fratelli, John fece vagare lo sguardo su tutti i presenti, alla ricerca di qualcuno che avesse una vaga idea di cosa questa notizia comportasse. Ma i suoi occhi furono catturati quasi nell’immediato da una chioma biondo grano, che dopo essersi accomodata vicino a Katie Gardner lo cercò a sua volta, per poi rivolgergli un sorriso appena accennato.
Il figlio di Apollo riuscì a fare a Melanie un rapido occhiolino a mo’ di saluto, prima che la propria attenzione fosse attratta dalla figura della scorbutica nuova direttrice del Campo. In piedi su un palchetto che aveva fatto allestire apposta per sé, era accompagnata alla sua destra da Chirone e dal resto degli istruttori.
Il silenzio fu immediato non appena tutti quanti si accorsero di lei.
La donna attese qualche istante, prima di gonfiare il petto ed esaminarli con occhio critico.
«Vedo che ci siete tutti» osservò, compiaciuta. «Molto bene. Non ho intenzione di rubare del tempo prezioso ai miei colleghi, quindi la farò breve: come coloro dell’Halvgud Camp già sanno, da qui a dieci giorni si celebrerà il Midsummer, in onore di Sol e Yule, dee rispettivamente di luce ed oscurità» chiarì. «Teniamo molto alle tradizioni. E dato che nessuno di noi è disposto a rinunciare ad esse per via del trasferimento qui, il consiglio ha deciso che verrà festeggiato ugualmente!»
Una serie di boati si levò dalla fazione nordica, mentre il resto dei greci si scambiava delle occhiate perplesse, non avendo idea di come interpretare quell’affermazione.
La Gunvor parve intuire la loro interdizione, perché aggiunse, allargando le braccia con un sorriso fiero: «Ovviamente sarete tutti invitati! Nordici e greci, tutti riuniti per celebrare l’estate» gioì poi, con evidente forzatura. «Il ricevimento sarà allestito nella nostra dimora. E per chi non ne fosse al corrente, è richiesto un abbigliamento elegante.»
Le ragazze sembrarono apprezzare molto quell’iniziativa, mentre i maschi iniziarono a prendersi in giro e scherzare su quanto sarebbero sembrati stupidi con indosso un papillon.
«Inoltre, la regola vuole che si venga accompagnate da un cavaliere. Vedetelo… sì, un po’ come il vostro prom americano.»
Le iridi di John incontrarono subito quelle della sua figlia di Demetra, che gli sorrise raggiante.
Finalmente una buona notizia dopo un periodo tanto cupo e difficile. Avevano tutti bisogno di un po’ di svago, e quella era sicuramente l’idea migliore che la direttrice avesse avuto dal proprio arrivo – se non l’unica buona.
Un ballo…
Il biondo aveva sempre segretamente fantasticato su come sarebbe stata la sua prima volta nei panni di un ‘cavaliere’. Viveva al Campo Mezzosangue da quando aveva circa undici anni, quindi non aveva mai potuto godere di tutte le prime esperienze riservate ai comuni giovani della sua età.
Indossare un abito elegante, e sentirsi grandi e maturi – almeno per una volta – mentre si porge galantemente il braccio alla propria dama.
Ballare un lento con Melanie, e sentire il cuore mancare un battito al solo vederla in quel vestito scintillante.
Sì, sarebbe stato sicuramente meraviglioso.
Ora bisognava soltanto sperare che tutto filasse liscio come l’olio, e che non arrivasse nulla a rovinare i loro piani.
 
Ω Ω Ω
 
Skyler non poteva fare a meno di riflettere su quanto Prometeo le avesse detto quella notte in songo.
Aveva finalmente capito perché cercava in tutti i modi di spaventarla, e ciò non prometteva nulla di buono. Se aveva realmente intenzione di toglierle tutto quello per cui valeva la pena lottare, quale sarebbe stata la sua prossima mossa?
Chi sarebbe stata la prossima vittima di quel sadico gioco alla ‘gatto e topo’?
Quante persone dovevano perdere la vita a causa sua, prima che lei si decidesse di trovare il coraggio di contrattaccare?
Era da poco finita la lezione del Signor Nilsen, e i semidei avevano riportato i pegasi nelle scuderie.
La figlia di Efesto aveva afferrato una spazzola e stava distrattamente strigliando il manto bianco di quello con il quale lei si era allenata.
Melanie - che aveva a sua volta seguito quel corso – stava invece parlando con due delle sue sorelle su quello che era diventato (ormai) argomento di discussione generale.
Quale adolescente non sarebbe stato eccitato all’idea di un ballo vero e proprio? Era il sogno di ogni ragazza, e la sfida di ogni ragazzo.
Lanciando un’occhiata di sfuggita alla mora, la figlia di Demetra salutò le altre due giovani, avvicinandolesi cautamente.
«Ehi» la salutò, distogliendola bruscamente dal flusso dei suoi pensieri. Ricordava la Skyler che aveva conosciuto l’estate prima – quella che si era fatta trovare nella sua stanza quando lei si era svegliata, e che aveva avuto il fegato di dirle ciò che avrebbe cambiato inesorabilmente tutta la sua vita.
Aveva sempre avuto una luce particolare, negli occhi; un’aura che le garantiva il rispetto degli altri, e che palesava la sua tenacia, la sua perseveranza.
Quella che adesso aveva di fronte, però… quella non sembrava essere la stessa ragazza.
Era come se avesse perso qualcosa, nell’ultimo periodo. E il sorriso forzato che si portava dietro come fosse una cicatrice ne era la prova.
«Come va?» le chiese tranquillamente la bionda, al ché la figlia di Efesto fece spallucce, rispondendo cordiale.
«Non c’è male.»
L’altra accarezzò dolcemente il dorso del pegaso, che emise con nitrito di piacere a quel contatto gentile, strappandole un ghigno intenerito. «Scommetto che anche se non lo dai a vedere» esordì poi, con finta sufficienza. «Sei preoccupata anche tu di come andrà.»
La giovane la guardò, dilatando leggermente le pupille dall’interdizione.
«Il ballo» specificò Melanie, e solo in quel momento la mora si rese conto di aver trattenuto inconsciamente il respiro.
«Il ballo, sì.»
Ma certo, di cos’altro poteva parlare? Non vi era motivo per cui fosse al corrente di ciò che stava succedendo a lei e i suoi amici. Sapeva con certezza che John non gliel’aveva rivelato, e lei non era sicuramente il tipo che confidava i propri segreti al mondo intero.
«Guardale» ridacchiò la figlia di Demetra, indicando il resto delle semidee presenti nella scuderia con un divertito cenno del capo. «Non fanno altro che parlare dei vestiti che indosseranno.»
«Tu non hai di che preoccuparti, no?» osservò ingenuamente Skyler, stringendosi nelle spalle. «Tanto ci andrai con John, giusto?»
«Ma è proprio questo il punto» obiettò lei, mordendosi il labbro inferiore. «Voglio essere bella, quella sera» ammise, con un sospiro. «Voglio essere bella per lui.»
La figlia di Efesto sorrise dinanzi a quella confessione, incontrando le sue iridi color nocciola. «Fidati» replicò, con tono rassicurante. «Lui ti troverebbe splendida anche se ti presentassi lì in pigiama.»
Risero entrambe sommessamente, scambiandosi una complice smorfia.
«Dovrei metterlo alla prova» scherzò la bionda, al ché la ragazza ribatté con un: «È John. Con lui non ci sono dubbi.»
Rimasero per qualche attimo in silenzio, figurandosi la scena e il figlio di Apollo che – con il suo solito fare da galantuomo – non aveva occhi che per la propria fidanzata.
Poi, una domanda attraversò repentina la mente della mora, e il sorriso abbandonò lentamente le sue labbra, che si strinsero in una linea sottile.
«Mel?» chiamò a bassa voce, per attirare nuovamente la sua attenzione. «Come te la cavi con gli indovinelli?»
Quel quesito la lasciò senz’altro basita; ma nonostante questo arricciò comunque il naso, meditabonda.
«Dipende» convenne, con sincerità. «Non sono questo gran genio, ma posso comunque tentare. Perché?»
«Avrei bisogno di una mano con un…» La giovane esitò, alla ricerca della bugia migliore. «Una caccia al tesoro che Leo ha organizzato per la Casa Nove» mentì, non riuscendo a convincere neanche sé stessa. Tentò di abbozzare un sorriso, ma apparve più come una smorfia imbarazzata. «Ho intenzione di finirla prima di Microft.»
«Oh.» Melanie inarcò le sopracciglia, annuendo lentamente. «Okay. Cosa vuoi sapere?»
«‘Tutti ce l’hanno, nessuno può perderla’» recitò quindi Skyler, senza perdere neanche un secondo. «A cosa ti fa pensare?»
«In tutta onestà?» fece la ragazza, spostandosi una ciocca color grano dietro l’orecchio. «Mi ricorda molto un verso di Oscar Wilde» rivelò, frugando nella propria memoria per i termini precisi. «‘Ciò che gli uomini chiamano l’ombra del corpo, non è ombra del corpo, ma corpo dell’anima’» disse, lanciandole uno sguardo d’intesa. «Può essere che la risposta sia proprio questa? L’anima?»
Ma l’interesse della figlia di Efesto era stato attratto da un’altra parola, che aveva preso a vorticare tra le pareti della sua scatola cranica, alla ricerca della propria postazione nel puzzle.
Ombra.
Tutti ce l’hanno, e nessuno può perderla.
Sì, doveva essere per forza quella, la soluzione.
Però che cosa poteva significare?
Poteva trattarsi di chiunque. Lo diceva l’indovinello stesso, dannazione! Tutti avevano un’ombra.
A meno che il diretto interessato non avesse con essa un rapporto diverso.
Magari in quel caso era sinonimo di ‘oscurità’.
E ciò cosa la portava a dedurre?
Prometeo l’aveva avvertita che le regole del gioco stavano cambiando, e che da ora in avanti avrebbe iniziato a colpire coloro che con lei avevano un legame maggiore, più stretto.
Le persone a lei care, e della cui morte non si sarebbe mai perdonata.
C’era un solo ragazzo di sua conoscenza che poteva avere un qualche collegamento con il buio e le ombre.
E non appena lo intuì, il suo battito si arrestò.
Nico.
No, non doveva essere lui. Non poteva.
I polmoni della semidea parvero improvvisamente incapaci di ingerire aria, mentre la testa prendeva a girarle, dandole la nausea. Fu sopraffatta dalle vertigini, e la figlia di Demetra dovette accorgersene, perché le posò il palmo sulla spalla, preoccupata.
«Va tutto bene?»
Ma quella non la stava già ascoltando più.
Barcollò all’indietro, gli occhi sgranati e in testa un unico pensiero. Non riusciva quasi a reggersi in piedi; eppure nonostante inciampasse sui suoi stessi passi, si precipitò comunque fuori dalle scuderie, iniziando a correre a perdifiato.
Pregò tutti gli dei che conosceva affinché le comunicassero che si era sbagliata, ma purtroppo man mano che si avvicinava alla Cabina Tredici, la sua diventava una convinzione.
Con il cuore in gola, aveva come la sensazione che il mondo, intorno a lei, si stesse muovendo a rallentatore. Quasi fosse bloccata in una bolla d’acqua, e qualsiasi suono esterno fosse ovattato, lontano.
La Casa di Ade aveva sempre avuto un aspetto trasandato, un po’ vecchio (forse perché nessuno vi dormiva quasi mai). In altre circostanze, infatti, la giovane avrebbe bussato con accortezza contro la porta di legno scuro, che sembrava sostenersi a stento.
Ma il quel momento faceva talmente tanta fatica a mettere insieme un ragionamento logico, che quello era sicuramente l’ultimo dei suoi problemi.
«Nico, apri la porta!» ordinò, battendo il pugno con insistenza. Non ricevette alcuna risposta.
Si inumidì ansiosa le labbra, riprovando ancora una volta.
Ottenne però lo stesso risultato.
Poi udì il rumore di qualcosa di pesante che cadeva a terra. Il suono di un vetro che si rompeva, dei tonfi che rimandavano ad una lotta.
Dopo di ché, un verso stridulo, straziato.
Un grido?
Il panico prese il sopravvento.
«Nico!» urlò Skyler, terrorizzata. Diede qualche spallata al cardine, provando convulsamente a forzare la serratura, ma invano.
«No!» esclamò, battendovi contro il palmo, tanto forte da graffiarselo. Fu allora che il suo istinto ebbe la meglio: fece un passo indietro, menando un calcio sul legno con tale irruenza, che la porta si spalancò all’improvviso, andando a sbattere addirittura contro il muro per l’impatto.
Si affrettò ad entrare nella dimora, aspettandosi di trovarvi il peggio.
Ma lì, con suo grande sconcerto, non vi era nulla. O almeno, non quello che aveva creduto di trovarvi.
E ciò non toglieva che la scena fosse comunque raccapricciante.
I mobili erano stati ribaltati, il vetro dello specchio ridotto in frantumi. Vi era sangue sul tutto il pavimento, ma non era umano.
Bensì di un corvo.
Un uccello che era stato sgozzato, e appeso con uno spago al soffitto per le zampe. Le sue piume color pece erano sparse ovunque.
Sul muro, era stata intagliata una scritta con una lama. Ma non era la solita alla quale era stata abituata.
Questa volta, presentava due parole addirittura più ambigue, più agghiaccianti.
NON QUI.
«Oh miei dei.»
Quando di Angelo varcò la soglia, lo shock sul suo viso fu immediato, palese.
La mora avrebbe voluto dire qualcosa; spiegargli che cosa stava succedendo e perché. Ma non riuscì a sillabare nulla.
Qualunque frase avesse sperato di pronunciare, restò imprigionata nelle sue corde vocali, mentre lei veniva sopraffatta dalle vertigini.
«Woah!» si affrettò a sorreggerla il ragazzo, non appena lei minacciò di svenire. La aiutò a sedersi sul letto, accorgendosi di quanto stesse tremando.
«Che cosa è successo?» provò a chiedere, ma la semidea era troppo sconvolta per poter parlare. Lui le accarezzò rassicurante le braccia, non ottenendo alcun cambiamento. «Skyler, che ci facevi qui?»
Lo sguardo della giovane era perso, assente. Percependo lo spavento avere la meglio su di lei, strinse le dita attorno al materasso fino ad affondarvici le unghie.
Era come se avvertisse l’arrivo di un attacco di panico, ma per quanto si sforzasse non riuscisse a frenarne i sintomi. Non erano né il luogo né il momento giusti per mostrare le proprie debolezze. Eppure non riusciva a controllare le proprie emozioni.
«Nico?»
La voce di Michael ebbe lo stesso effetto di un fulmine nella tempesta.
Com’era arrivato lì? Qualcuno doveva averlo avvertito, forse subito dopo averla sentita gridare.
«Non reagisce» mormorò velocemente il figlio di Ade, portandosi un palmo sui capelli corvini. «Temo che abbia smesso di respirare.»
«Ehi» le sussurrò immediatamente il figlio di Poseidone, accovacciandosi davanti a lei. Cercò le sue iridi scure, senza però riuscire ad incontrarle. Provò dunque a prenderle con cautela la mano, e stavolta la ragazza sussultò a quel contatto.
«Sono io» disse quindi il moro, con voce ferma. «Sono qui.»
La figlia di Efesto deglutì a fatica, incrociando finalmente i suoi occhi, che in quell’istante erano di un azzurro cielo. Uno sprazzo di luce ad irrompere nel buio che lentamente la stava avvolgendo.
La sua vista era ancora appannata, e suo respiro pesante ed irregolare; ma prima che potesse rendersene conto, aveva ripreso il controllo sul proprio corpo.
Intrecciò le dita a quelle di lui, stringendo talmente tanto che per un attimo temette di fargli male. Ma il giovane non si lamentò neppure per un secondo, e continuò a fissarla con decisione, al fine di infonderle calma e sicurezza.
Nonostante sentisse sempre la testa girare, la sfumatura delle iridi di Michael riusciva comunque ad infonderle una certa tranquillità.
«Va tutto bene» le assicurò quest’ultimo, pacato, disegnandole dei piccoli cerchi sulle nocche con il pollice. «È tutto okay.»
«Era qui» bisbigliò a quel punto lei, inorridendo al solo pensiero. «Non può essere andato lontano. Riuscivo a percepirlo, lo giuro» insistette poi, perentoria. «Era qui
Non fece in tempo ad affermarlo, che un trambusto proveniente dall’esterno li distrasse. Si sentiva gente correre, affermare a gran voce qualcosa mentre tutti si dirigevano curiosi e confusi verso una meta sconosciuta.
Un figlio di Màni raggiunse di corsa la loro porta, appoggiandosi alla soglia per riprendere fiato.
«Skyler» boccheggiò, indicandola stancamente.
«Che succede?» si preoccupò immediatamente il figlio di Poseidone, che però venne ignorato. Il nordico tenne i propri occhi castani fissi sulla ragazza, che vi lesse ansia, come se fosse allarmato.
«Alla tenuta… Il muro… la scritta…» balbettò quello, non sapendo come fare a spiegarsi.
La mora lanciò un’occhiata peplessa al proprio ragazzo, prima di abbandonare la Casa Tredici e farsi guidare dall'andare della folla, con lui al seguito.
Riuscire ad entrare nella dimora non fu facile, considerando che quasi tutti i mezzosangue del Campo erano affluiti lì, bloccando il passaggio. Dovettero sgomitare non poco per potersi fare strada tra la massa, mentre centinaia di voci si accavallavano in un brusio concitato ed incomprensibile.
Solo quando furono in grado di giungere nelle prime file, la giovane capì il perché. Sulla parete del salone principale era stato dipinto un messaggio a caratteri cubitali.
In un rosso vivo, così che risaltasse ancor di più su quel color crema.
Ma stavolta non si trattava più di poche sillabe da interpretare.
Era diretto, mirato; esplicito. E leggendolo, solo in pochi non intuivano a chi fosse indirizzato.
È STATO BELLO GIOCARE CON TEdiceva.
MA ORA É GIUNTO IL MOMENTO DI INIZIARE LA VERA GUERRA.
QUANTE VITE SEI DISPOSTA A SACRIFICARE, PRIMA CHE IO TI RAGGIUNGA?
NON PUOI PIÙ NASCONDERTI, ORMAI.

STO ARRIVANDO, RAGAZZA IN FIAMME.
Dinanzi a quelle parole, la semidea rimase per qualche attimo paralizzata. Immobile, lo sguardo fisso su quella minaccia che cancellava il suo anonimato, facendola uscire allo scoperto.
Ora tutti sapevano. Da quel momento in avanti, tutti avrebbero conosciuto la verità.
Tutti, eccetto lei.
Scattò velocemente, incurante di a chi stesse calpestando i piedi o delle proteste di coloro che spintonava per poter passare. Non badò neanche a Michael, che inizialmente tentò di seguirla, ma fu bloccato dall’ammasso di persone che gli impedirono di raggiungere la ragazza, così da fermarla.
Lei, dal suo canto, aveva perso ormai ogni esitazione. Si diresse a passo spedito verso il luogo nel quale sarebbe dovuta andare fin dall’inizio, con la determinazione di chi è stanco di continuare a vivere in una bugia.
Nessuno aveva più il diritto di mentirle, adesso. Era il suo destino, era il suo futuro!
Per questo non si fece scrupoli quando con irruenza spalancò le ante della casa dell’Oracolo di Delfi, senza neanche bussare.
Rachel Elizabeth Dare sobbalzò, colta alla sprovvista, e per poco non fece cadere a terra il vassoio di biscotti bruciati che aveva in mano.
Gli occhi della figlia di Efesto erano distaccati, freddi. Chiuse i pugni, talmente tanto da conficcarsi le unghie nei palmi.
«Dimmela» ordinò, e la rossa corrugò la fronte, interdetta.
«Skyler, io non…»
«Sai benissimo di cosa sto parlando» la interruppe quindi quella, con tono tagliente. «Ho il diritto di sapere» insistette. «Dimmela.»
«Non farlo» impose allora una seconda voce, alle sue spalle. Chirone e Dahl dovevano averla vista precipitarsi lì, perché l’avevano seguita, agitati.
«Avete visto anche voi quella scritta» fece notare dunque la giovane, con disappunto. «Io. Devo. Sapere.»
«Potrebbe non essere una buona idea» obiettò Phil, risoluto.
«Non mi interessa» fu però la secca risposta di lei, che si maledisse mentalmente per il tremitio della propria voce. «Non più, oramai. È della mia vita che si sta parlando. Quindi la scelta spetta solo ed unicamente a me. Ed io ho già deciso. Dimmela.»
«Non è una cosa che funziona a comando» le ricordò Rachel, a disagio. «E poi la profezia non è neanche mia. Non so se sono capace di evocarla.»
«Beh, provaci.»
«Figliola, ti prego, ragiona» cercò di convincerla il centauro, corrucciato. «Stai commettendo un grave errore.»
«No, l’errore l’avete commesso voi quando avete pensato che tenermi all’oscuro di tutto fosse un bene» replicò Skyler, rivolgendosi ad entrambi. «Ma sapete che c’è? Da oggi in poi gli affari miei me li rivedo da sola. Dare, recitami quella fottutissima profezia.»
«I-io non sono sicura che sia una buona idea.»
«Ho detto fallo.»
«Ma se poi fosse troppo…»
«Adesso!»
Accadde tutto in una frazione di secondo. Il giovane Oracolo iniziò a brillare – di una luce verde, accecante.
Le sue iridi si illuminarono come due smeraldi, ma questa volta assunsero un colore diverso.
Erano dorate.
Quando parlò, la sua voce era triplicata, quasi fossero tre persone diverse a parlare all’unisono al posto suo. Tre vecchie, a giudicare dal timbro graffiato.
Dalla sua bocca fuoriuscì una lieve nebbiolina verdastra, prima che lei cominciasse a dire, con solennità:
 
Verrà un tempo non molto lontano
In cui il futuro sarà minacciato da un vendicativo titano
Dalla propria prigione egli si libererà
E il fuoco che gli è stato sottratto con prepotenza rivendicherà
Ma avrà bisogno di vita per ottener ciò che vuole
E la troverà solo in colei che di Efesto è la prole
Una giovane donna con il cuore alimentato
Dalla fiamma che il suo stesso animo ha generato
 
La lotta sarà difficile e ardua da sostenere
E vi saranno alcuni eventi che ne segneranno l’avvenire:
Acqua e fuoco dalla magia di Afrodite saranno legati
Dopo che Il Nobile si assicurerà che tutti si siano salvati
Quando poi egli verrà dal nemico rapito
Per salvarlo gli altri avranno una mano dal guerriero perduto
L’Intrepido si sacrificherà per la sorella ritrovata
E Il Leader prenderà una scelta molto azzardata
Solo allora i due fuochi inevitabilmente si uniranno
E l’uno dall’altro a dipendere inizieranno
 
Spetterà agli dei, quindi, in silenzio intervenire
Ai quattro prescelti un dono ciascuno dovranno attribuire
Il Collante potrà curare ogni male fisico causato
E dall’Intrepido ogni evento potrà essere annunciato
Al Nobile spetterà la sospensione del presente
Mentre Il Leader sarà capace di riflettere ogni mente
 
Non riusciranno, però, ad evitare di esser colpiti
Non accorgendosi neppure di essere alle spalle pugnalati
 
La caduta comincerà quando al confine
Giungerà un nove mesi senza identità, solo un nome
Qualora in guerra il nemico dovesse prevalere
Il peggio potrebbe senz’altro accadere
Per proteggere un innocente il tempo verrà manipolato
Un eroe spirerà tra le braccia della persona che aveva amato
Aiuto arriverà da chi per ciò che non era si era mostrato
E il pentito cadrà tra le braccia della morte, finalmente beato
 
Toccherà dunque alla ragazza che di fuoco vive prendere la decisione finale
Se fuggire o fronteggiare la sua nemesi immortale
Fiamma contro incendio, sarà disposta a rischiare?
Dopotutto il suo destino sarà comunque quello di bruciare
E con le sue stesse scintille, incendiare
Fino a farsi consumare
 
Pronunciata l’ultima parola, Rachel fu pervasa dalla nausea, e fu costretta a sorreggersi al tavolo, minacciando di svenire. Ma nessuno corse in suo aiuto.
Erano tutti fermi, tesi. Gli occhi puntati su Skyler, che però aveva un’espressione neutra dipinta sul volto, indecifrabile.
Il suo sguardo era vuoto e assente. Ci fu un momento in cui i presenti si chiesero se avesse smesso di respirare.
«Garcia» la chiamò gentilmente Filottete, titubante.
«Non serve» lo precedette lei, rivolgendogli un sorriso sghembo, amareggiato. «Davvero, non ce n’è bisogno» gli assicurò, prima di emettere un breve sospiro. «Ora capisco perché eravate tanto restii a rivelarmela.»
«Non devi farti condizionare da ciò che le Parche hanno predetto» le spiegò quindi Chirone, con fare incoraggiante. «Il futuro può ancora essere cambiato.»
«Sì, certo» assentì la semidea, con sarcasmo. Prese un profondo respiro, espirando poi lentamente.
«È meglio che vada» annunciò, mostrando poi un palmo quando la rossa fece un passo verso di lei per confortarla. «Sul serio, ho solo bisogno di stare da sola.»
Non le impedirono di abbandonare quella casa.
Ma di certo si sorpresero di fronte alla sua indifferenza e glacialità. Se la profezia l’aveva in qualche modo spaventata, la mora non lo diede affatto a vedere.
Neanche lei pensava di essere capace di tale imperturbabilità, ma forse era solo dovuta ad una muta accettazione della realtà dei fatti.
Perché le Parche erano state molto più che chiare.
Qualunque fosse stato l’esito di quella guerra, lei comunque non ce l’avrebbe fatta.
Non c’era alcun futuro, per la Ragazza in Fiamme. 


Angolo Scrittrice.
Hi, guys! 
Sì, sono ancora io. E sì, vi sto di nuovo propinando un altro dei miei capitoli. 
Spero vivamente che vi sia piaciuto, sul serio. E sì, è decisamente uno di quelli essenziali, per la storia.
Ci si focalizza soprattutto su
Skyler, partendo dal sogno che ha di Prometeo. 
Il titano sta cercando di portarle via tutto ciò per cui vale la pena lottare. E minacciando coloro che a lei sono più cari le ha fatto credere di voler uccidere
Nico, mentre in realtà si trattava soltanto di un trabocchetto. 
Il nostro di Angelo è tornato, btw! Dopo l'importante ruolo che avuto nel salvataggio di Michael [La Pietra dei Sogni] potevo mai non citarlo? 
Il suo arrivo, poi, non è l'unica delle novità. I nordici organizzeranno un ballo di mezz'estate in onore delle loro dee (una festa che esiste davvero, per giunta). Sapete questo che cosa significa? 
Dame, cavalieri, vestiti splendidi e... beh, lo vedrete. Secondo voi filerà davvero tutto liscio? Che cosa accadrà? Cosa pensate: chi inviterà chi? 
Sono curiosissima di conoscere le vostre opinioni in proposito. Si accettano scommesse di ogni genere! Wah 
Ma adesso parliamo della parte più importante dell'intero capitolo - se non della storia stessa:
la Profezia
Come potete notare, è molto diversa da tutte le altre, a partire dal fatto che è più lunga. Ammetto di essermici impegnata molto per scriverla, ma sono anche soddisfatta del risultato. Si divide in più parti, e come potrete dedurre leggendo alcune si sono già avverate. 
Resta da capire, adesso, a cosa si riferiscono quelle ancora in sospeso. O meglio, a chi. 
Anche se l'ultima, purtroppo, è fin troppo palese. Quale credete che sarà la reazione di Skyler, ora che sa di non avere scampo?
E chi sono, secondo voi, gli altri protagonisti della profezia delle Parche?
Mi auguro davvero di ricevere le vostre risposte, specialmente perchè spero che questa storia non vi stia annoiando, e che siate ancora disposti a seguirla. 
L'ultimo capitolo non è piaciuto quasi a nessuno. Forse perchè era scritto male, o perchè non vi succedeva nulla di così eclatante. 
Non so, ho solo bisogno di sapere che continua a valerne la pena, e che c'è bisogno che io abbandoni la nostra Ragazza in Fiamme così, proprio alla metà. 
Ditemi se c'è qualcosa che non va; se ci sono degli aspetti che vi fanno schifo, oppure delle cose che vanno aggiunte, cambiate o migliorate. 
Sapete benissimo che sono aperta a qualsiasi tipo di critica, purché queste siano costruttive. 
Well, said so, voglio ringraziare i miei bellissimi Valery's Angels -
Callem e Anakin Solo - per avermi rallegrato con le loro recension! 
Grazie di cuore, davvero. 
Bene, è arrivato il momento, per me, di andare. Pubblicherò il prossimo capitolo tra una settimana (ergo, giovedì prossimo), e credo che il giorno resterà quello finché non riuscirò ad organizzarmi al fine di tornare al mio solito martedì, gnaw. 
Un bacione a tutti! Mi auguro che il capitolo non abbia deluso nè voi, nè le vostre aspettative. 
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Sempre vostra,

ValeryJackson


 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***



Da quando a Skyler era stata rivelata finalmente la Profezia, né Dahl né Chirone avevano avuto il coraggio di parlarle.
C’era un motivo per cui avevano tenuto la verità nascosta alla ragazza per tutto il tempo. Come si reagisce di fronte all’annuncio della propria morte? Nessuno poteva saperlo, finché non si trovava in prima persona in una situazione del genere.
I due maestri avevano voluto preservarla, tutto qua. Ma solo ora Filottete stava iniziando ad intuire che forse la loro non era stata l’idea migliore.
Ciò che avevano fatto poteva ora avere delle conseguenze decisamente più gravi di quello che avevano tentato di evitare.
E se la figlia di Efesto avesse rinunciato definitivamente alla propria battaglia? Che poi, perché stava combattendo, esattamente: per proteggere sé stessa dalla minaccia imminente, o perché glielo avevano imposto gli altri?
Che ne sarebbe stato del mondo semidivino, ora che non avevano più una Ragazza in Fiamme a difenderli?
Sapendo di non avere lezioni di alcun genere in programma per quella mattina, Filottete si diresse pensieroso verso la palestra della tenuta, dove sperava di trovare tutte le risposte ai propri quesiti.
Quel posto era ormai diventato una sorta di rifugio, per lui. Lì vi avevano accesso solo coloro che conoscevano la sua vera identità, e questo in un certo qual modo lo rendeva più libero, costringendolo a mentire meno spesso.
Era convinto che fosse deserto, e che avrebbe avuto a disposizione il tempo che voleva per perfezionare la propria tecnica.
Per questo la sorpresa fu evidente sul suo viso non appena spalancò le porte, e scorse una figura in piedi al centro della stanza, intenta ad aspettarlo.
L’uomo sobbalzò leggermente, inarcando le sopracciglia stupito.
Di tutti i semidei di quel Campo e dell’altro, l’ultima che aveva creduto di incontrare quel giorno era sicuramente Skyler.
Eppure ora la mora era lì, dinanzi a lui, irrigidita nella sua postura e con un’espressione risoluta in volto.
«Voglio imparare» disse semplicemente, con tono sicuro; e quelle poche parole furono sufficienti affinché Phil prendesse a fissarla, studiandola con circospezione.
Sembrava certa di ciò che affermava, e non lasciava trapelare alcun rimpianto. Era davvero giunta in quel luogo con uno scopo ben preciso, e aveva proprio l’aria di chi non era disposta ad ammettere alcuna obbiezione.
L’istruttore rimase per qualche istante in silenzio, sostenendo il suo sguardo determinato. Dopo di ché prese un profondo respiro.
«Prendi una spada» le ordinò neutro, senza scomporsi.
La giovane obbedì. Raccolse a caso una delle tante lame che c’erano sul tavolo, aspettando pazientemente che Dahl facesse altrettanto.
Quest’ultimo si rigirò abilmente l’elsa nel palmo, quasi quello fosse un gesto naturale, d’abitudine. La scrutò attentamente, posizionandosi davanti a lei. Poi le indirizzò un cenno del capo, intimandole di attaccare.
La mora non se lo fece ripetere due volte. Menò un fendente ben piazzato, che però fu parato dall’altro senza troppe difficoltà. Cercò quindi di colpirgli il mento con una stoccata, ma lui fece scattare il polso, deviando la lama e ferendole superficialmente una coscia subito dopo.
«Sposta leggermente il peso all’indietro» la corresse distrattamente.
La figlia di Efesto digrignò i denti. «Lo so» replicò, prima di farsi avanti con un’imbroccata.
Riuscì a reggere il confronto con Filottete per le successive quattro azioni, fino a ché lui non impedì il suo tentativo di montante con un ben assestato sgualembro dritto, che le provocò un taglio sullo zigomo.
«Gambe divaricate a flesse» la riprese di nuovo, e la semidea sbuffò dal naso.
«Lo so» ripeté, frustrata, puntando poi al suo addome con un affondo.
Fu allora che Phil intercettò la sua spada, e facendo girare la propria lama attorno all’elsa di lei le bloccò il braccio che impugnava l’arma con il proprio, posizionandosi alle sue spalle e premendole il piatto della propria contro la gola.
«Se lo sai, allora perché non lo fai?» la rimproverò a denti stretti, al ché lei grugnì minacciosa, sforzandosi al fine di divincolarsi.
«Perché non ho bisogno che lei mi dica cose che già so» gli fece notare, furiosa. «Io sono qui per imparare ad usare il mio dono.»
A quel punto, l’uomo la spinse via, permettendole di massaggiarsi la spalla dolorante a causa della sua stretta. La guardò con disappunto, per poi chiudere le palpebre a due fessure.
«Allora mi dispiace, ma temo di non avere nulla da insegnarti.»
Di fronte ad una tale confessione, la ragazza strabuzzò gli occhi, allibita. «E questo cosa vorrebbe significare?» si indignò, alzando la voce.
«Ho come la sensazione che voi abbiate frainteso la mia figura» fece quindi lui, incrociando le braccia al petto.
«Lei è qui per aiutarci» disse prontamente la giovane, al ché la lingua di Dahl schioccò.
«Io sono qui per spiegarvi come trovare la vostra strada» precisò dunque, come se fosse scontato. «Ma ciò non vuol dire che io abbia le soluzioni ad ogni problema che vi si presenta davanti.»
«Lei ci aveva promesso di spiegarci come utilizzare i nostri doni» lo accusò lei, puntandogli un dito contro.
«Il conosco il modo, Garcia, non il mezzo
«C-Che vuol dire?» balbettò la mora, confusa.
«Come vi ho spiegato durante il nostro primo incontro, il mio compito sarebbe stato quello di dirvi come lasciarvi andare a tutti quei sentimenti che tormentano i vostri animi ogni giorno» le spiegò allora lui, ottenendo tutta la sua attenzione. «Spesso non vi accorgete neanche della loro presenza, fino a ché qualcuno non ve la fa notare. Ma poi spetta a voi il compito più arduo» chiarì. «Lasciarvi andare. E questo, purtroppo, non posso essere io ad insegnarvelo. Sai perché tu e i tuoi amici vi completate, Skyler?» le chiese in seguito.
La figlia di Efesto si morse l’interno della guancia. «Perché siamo diversissimi l’uno dall’altra.»
«Voi siete la conferma alla teoria che gli opposti si attraggono» assentì Phil. «Ed è proprio per questo motivo che siete la mia più grande sfida negli ultimi quattrocento anni. Devo adottare un metodo diverso per ognuno di noi. Per far raggiungere ad Emma il suo primo traguardo, ad esempio, è bastato farla arrabbiare. Con John, addirittura, non ho dovuto neanche impegnarmi più di tanto, dato che è bastato ferire il braccio della sua migliore amica. Ma con te» aggiunse dopo, incontrando direttamente le sue iridi screziate d’oro. «Con te la mia tecnica è totalmente opposta.»
«Beh, allora suppongo che stia fallendo» ironizzò a quel punto lei, con sarcasmo. «Perché ho la continua sensazione di non riuscire a schiodarmi dal punto di partenza.»
«Non potrai mai accettare le tue qualità, se prima non smetterai di combattere le tue debolezze.» Filottete fece un passo avanti, inclinando il capo di lato. «Dicono che dagli occhi di una persona si possa capire il suo carattere; il suo passato. Ma nessuno ha mai fatto caso che vi si può leggere anche il suo futuro» annunciò. «Tu sei destinata a grandi cose, Garcia. Io riesco vederlo» ammise, senza un briciolo di esitazione.
«Ma tu? Tu cos'è che vedi?»
 
Ω Ω Ω
 
Il Campo Mezzosangue non era mai stato in una tale trepidante attesa come da quando era stato annunciato il ballo di mezz’estate.
John sapeva benissimo che si trattava di un avvenimento come un altro; una tradizione che – tra l’altro – non apparteneva neanche a loro.
Eppure era in fibrillazione lo stesso.
Mentre tutte le ragazze non si preoccupavano minimamente di celare il loro entusiasmo e la loro agitazione, i ragazzi cercavano invano di non lasciar trapelare alcuna emozione, fantasticando poi su come sarebbe stata quella serata durante le loro riunioni… beh, da maschi.
Se però il figlio di Apollo sperava di poter chiedere consiglio a qualcuno su come dovesse comportarsi in tali occasioni, sapeva benissimo che il suo migliore amico era la persona meno indicata per farlo.
Michael conosceva il mondo femminile così come un conduttore di reality show sa di medicina.
Non che lui avesse bisogno di dritte, ovvio. Aveva già Melanie, e di certo non aveva alcuna esigenza di conquistarla.
Lei era già sua.
Ciò non toglieva, però, che voleva che tutto fosse perfetto, quella notte. Lei doveva avere la possibilità di sentirsi una principessa, e lui le avrebbe garantito un principe con i fiocchi.
Per questo doveva sfogare tutti i propri timori con qualcuno.
Necessitava del supporto del figlio di Poseidone. E ne necessitava ora.
Era così impaziente di trovarlo che quando arrivò alla Cabina Tre, entrò senza neanche bussare.
«Dimmi che non hai un appuntamento con Skyler» esordì velocemente. «Perché se è così, sarai costretto a rima-»
Qualsiasi cosa avesse pensato di dire rimase sospesa nell’aria non appena si voltò di scatto, e qualcuno emise un gridolino spaventato.
Rose sembrava essere l’unica in casa, e stava approfittando della sua solitudine per frugare nel proprio armadio, mettendo tutto in disordine.
Fin qui nulla di imbarazzante, okay. Ma il biondo non avrebbe mai potuto immaginare di trovarla senza maglietta.
Indossava, infatti, solamente un reggiseno di pizzo blu; e nel vederla il ragazzo sgranò gli occhi, stupito.
«Oh miei dei!» esclamò, dandole le spalle e portandosi una mano a coprire la visuale, imbarazzato.
«John» sospirò lei, con una leggera punta di rimprovero.
«M-Mi… Mi dispiace» balbettò quindi lui, a disagio. Boccheggiò per qualche istante, non sapendo esattamente cosa dire. «N-Non credevo fossi qui.»
«Lo so» lo tranquillizzò la mora, lasciandosi sfuggire un sorriso intenerito.
«Stavo cercando Michael.»
«È andato via poco fa» gli spiegò dunque la ragazza, prima di ridacchiare, divertita. «Ehi, puoi rilassarti» gli intimò, con sarcasmo. «Non mi hai visto nuda. In fondo, è come se stessi indossando un costume da bagno.»
Ma per John quel seminuda era già sufficiente per metterlo a disagio. Per un puro come lui, era difficile non provare impaccio in situazioni del genere. Strizzò gli occhi, sgranchendosi la voce nonostante non ne avesse realmente bisogno.
«Ehm… come va?» domandò, maledicendosi mentalmente per il tremitio della propria voce.
«Male» fu la semplice risposta di lei, al ché il semidio la guardò, incuriosito.
Nell’istante in cui il suo sguardo ricadde accidentalmente sul suo corpo, arrossì violentemente, imponendosi di focalizzarsi solo ed unicamente sul suo volto.
Aveva raccolto i capelli con un paio di bacchette, ma alcune ciocche ribelli sfuggivano ugualmente al loro controllo, incorniciandole il viso.
Il figlio di Apollo faceva ancora fatica a credere che fosse la stessa giovane che solamente due anni prima non sapeva neanche cosa fossero gli shorts. La pubertà aveva fatto il proprio lavoro, su questo non c’era alcun dubbio. E il biondo non riusciva a capire come avesse fatto a cambiare tanto in così poco tempo.
«Che stai facendo?» le chiese, inarcando un sopracciglio. Buttò un’occhiata perplessa sull’accumulo di vestiti che si era formato sul suo letto.
«Non è ovvio?» ribatté la figlia di Poseidone, spostandosi con un soffio un boccolo dalla fronte. «Cerco qualcosa da mettermi.»
«Per la lezione d’arrampicata?» fece ingenuamente lui, al ché la mora roteò gli occhi.
«Per i ballo» precisò, sorprendendolo non poco.
«Oh» fu il banale commento del ragazzo, che poi aggiunse: «Certo, che stupido.» La studiò per qualche attimo, interdetto. «Quindi ci andrai anche tu?»
«Così sembra» fece spallucce Rose. «Ma mi rifiuto di farmi accompagnare, se prima non trovo un abito decente.»
A quell’affermazione, il giovane parve colpito. «Hai già un accompagnatore?»
«Non ce l’hanno tutti?»
«No. Cioè, sì. Ma…» titubò, indeciso. «Non credevo che tu…»
Lasciò la frase a metà, ma la mora sembrò capire dove volesse andare a parare.
«Cosa? Che io fossi stata invitata da qualcuno? Ho quasi quindici anni, sai? E sono come tutte le altre, quindi non vedo perché non possa avere anch’io un cavaliere.»
«Non era questo che intendevo.»
«Beh, qualcuno ha voglia di andarci con me, se ci tieni a saperlo.»
«Microft?»
«No.» La semidea spostò le proprie iridi chiare altrove, fingendo indifferenza. «Aren.»
Anche se tentava in tutti i modi di apparire disinvolta, il suo tono palesava una certa emozione. Al solo sentire quel nome, il figlio di Apollo rischiò che il proprio cuore perdesse un battito.
«Aren?» ripeté, scioccato. «Aren Waegmund? Quell’Aren?»
«Proprio lui.»
«Il figlio di Odino con i capelli scuri, la faccia da schiaffi e l’andatura da sbruffone?»
«Perché vi fermate sempre tutti alle apparenze?»
John avvertì un’anomala stretta allo stomaco, che gli diede la nausea. Non aveva idea di a cosa fosse dovuta quella sensazione, ma fatto stava che non riusciva a farsi andare a genio tutto ciò.
Quel nordico era in assoluto la persona più arrogante che avesse mai conosciuto – e lui era quello che non giudicava mai un libro dalla copertina, sia ben chiaro. Magari poteva sbagliarsi; anzi, sperava che fosse così.
Ma di certo non poteva permettere che accompagnasse la sorella del suo migliore amico a quel ballo. Non lei. Non Rose.
«Non pensavo fosse il tuo tipo» commentò aspramente, accigliato.
«Nemmeno io» convenne lei, con un’alzata di spalle. «Ma quando me l’ha chiesto ho voluto dargli una chance.»
«Non credo che dovresti andare» obiettò quindi lui, rendendosi conto solo in seguito di quello che aveva affermato.
La figlia di Poseidone puntò le proprie iridi del colore del mare sul biondo. Erano azzurre, in quel momento; ma brillavano di risentimento.
«E perché mai?» volle sapere, con una punta di rancore. «Trovi forse strano il fatto che uno dei ragazzi più desiderati del Campo possa aver invitato proprio me?»
«Sì. Voglio dire, no, ma…»
«Credi che io non possa essere alla sua altezza, per caso?»
«Il contrario!» replicò lui. Non aveva alcuna intenzione di offenderla, dannazione. Il suo era stato solo un consiglio da… amico? Fratello maggiore? Come lo si poteva definire, esattamente?
«Sono certo che lui non sarà mai alla tua altezza» ragionò poi, accorgendosi troppo tardi di aver profferito quelle parole ad alta voce.
La mora abbassò lo sguardo, avvampando leggermente. Si lasciò sfuggire uno sghembo sorriso, mentre lui si accarezzava la base del collo, un po’ in imbarazzo.
«Sono solo un metro e cinquantacinque, John» sdrammatizzò allora lei, arricciando il naso con rassegnazione. «Ma ti ringrazio comunque.»
«È la verità.»
Nel vano tentativo di far distogliere l’attenzione dalle proprie gote - che stavano per diventare del tutto bordeaux – Rose afferrò due vestiti a caso dal proprio letto, portandoli alla stessa altezza ed esaminandoli con accortezza.
«Mh» mugugnò, meditabonda. Uno era sui toni dell’arancio, l’altro ricordava invece le sfumature dell’oceano. «Quale dei due?»
«Quello blu» pattuì il semidio, senza alcuna esitazione. Abbozzò un lieve sorriso, annuendo lentamente. «Fa risaltare ancora di più tuoi occhi.» Dopo di ché ridacchiò, al ché lei lo ringraziò del complimento con un cenno del capo.
«Spero che anche Aren la pensi così» si lasciò sfuggire poi, e fu allora che il sorriso sul volto di lui svanì, sostituito da un cipiglio corrucciato.
Non si fidava affatto di quel ragazzo, e di certo non gli avrebbe permesso di giocare con i sentimenti di lei.
Ormai aveva capito di non poterla convincere a reclinare l’invito, ma una cosa poteva prometterla a sé stesso: quel tizio avrebbe fatto meglio a tenere le mani apposto, quella sera. O non sapeva dove il proprio istinto di protezione nei confronti di coloro a cui voleva bene sarebbe stato in grado di portarlo.
 
Ω Ω Ω
 
Nonostante non l’avesse persa di vista per tutto il falò, Microft non era riuscito a trovare il coraggio di andare a parlare con Andrea.
Non si erano più rivolti la parola da… beh, da quella volta nel bagno. E anche se lui si era scusato per quell’incomprensione lasciandole un biglietto davanti alla porta, non aveva mai scoperto se lei l’avesse perdonato o meno.
La figlia di Tyr non sembrava essersi accorta del fissare beato del ragazzo e aveva indisturbatamente continuato a starsene per i fatti suoi, finché non era giunto il momento di tornare ognuno nei rispettivi alloggi.
Non appena scattò il coprifuoco, tutti si alzarono svogliatamente in piedi, dandosi educatamente la buonanotte a vicenda.
Il figlio di Efesto seguì con lo sguardo la figura della rossa andar via, ma le sue sopracciglia si corrucciarono quando notò che non si stava affatto dirigendo verso i dormitori come gli altri.
Perplesso, si guardò circospetto intorno, assicurandosi di non essere osservato da nessuno. Dopo di ché decise di seguirla, attento a mantenere una certa distanza tra loro per non essere colto in flagrante.
Pareva stesse camminando senza una meta ben precisa, e il giovane smise di chiedersi dove fosse diretta quando quella si fermò nei pressi dei campi di fragole del Signor D.
Lui si nascose dietro uno degli alberi, in evidente attesa. Ma ad un tratto lei sospirò, incrociando le braccia al petto e ghignando, con sarcasmo.
«Per quanto ancora hai intenzione di seguirmi?» domandò retorica, al ché il moro chiuse gli occhi, dandosi mentalmente dello stupido.
Aveva davvero creduto di poterla pedinare senza che lei se ne rendesse conto?
Uscì dal proprio nascondiglio, grattandosi la nuca imbarazzato.
«Scusa» mormorò, spostando il peso da un piede all’altro, a disagio. «Come l’hai capito?»
«Ho imparato a guardarmi le spalle molto tempo fa» disse semplicemente la ragazza, prima di voltarsi a guardarlo, scrutandolo con attenzione. «E poi non hai fatto altro che fissarmi tutto il tempo, al falò» aggiunse. «Avevi bisogno di qualcosa?»
«No, niente in particolare» confessò Microft, stringendosi nelle spalle. «Mi stavo solo chiedendo… Ecco, in realtà mi domandavo se…»
Andrea inarcò le sopracciglia. «Sì?» gli intimò di continuare.
«Insomma, organizzate questo ballo, e quindi…» balbettò quindi lui, ma prima che potesse concludere lei lo precedette, gli angoli della sua bocca che si incurvavano all’insù.
«Stai cercando di invitarmi, per caso?»
«Sì» fu l’ingenua risposta del figlio di Efesto, che poi si affrettò a correggersi. «No. Può darsi. Sbaglierei?»
«Non lo so» arricciò le labbra la figlia d Tyr. «Non… non sono di molta compagnia.»
«Mi permetto di dissentire» replicò dunque il ragazzo, facendo un passo verso di lei. «A me piace stare con te.»
«E se ti dicessi che non so ballare?» confessò a quel punto la rossa, e lui fece spallucce, con noncuranza.
«Neanch’io l’ho mai fatto» convenne. «Ma non penso sia così difficile.» Titubò per qualche attimo, prima di porgerle timoroso un palmo. «Posso?»
Tra le tante reazioni che si era figurato nella propria mente, aveva scartato l’opzione che la giovane potesse annuire.
Le afferrò quindi una mano, attirandola gentilmente a sé. Non si era mai ritrovato tanto vicino ad una ragazza che… beh, che non fosse Rose. E di certo non aveva mai danzato con nessuna, prima di allora; ma aveva visto molti film, e sapeva che posarle il palmo libero nell’incavo della schiena sarebbe stata la mossa giusta.
La nordica lo lasciò fare, facendosi guidare da lui non appena il moro pensò di volteggiare; lentamente, come se a condurli fosse la leggera brezza di quella notte estiva. Il giovane riuscì anche a strapparle un risolino, quando prese a canticchiare stonato un melodia a caso.
«Sai» esordì ad un tratto lei, inclinando il capo di lato. «Forse accetterò l’invito.»
«Da che dipende?»
Fu allora che un sorriso sghembo si dipinse sul suo volto candido. «Dal modo in cui cercherai di convincermi.»
Ridacchiarono entrambi, guardandosi poi negli occhi. Microft avrebbe continuato a perdersi in quelle iridi del colore del cielo fino alla fine dei suoi giorni, se ne avesse avuto la possibilità.
Era un sollievo sapere che la giovane non ce l’avesse più con lui; ma adesso non poteva lasciarsi scappare una tale opportunità. 
«E se ci provassi domani?»
La ragazza parve piacevolmente colpita. «Domani?»
«Sì» confermò il figlio di Efesto, entusiasta. «Qui. Alle cinque in punto.»
«Mi stai chiedendo un appuntamento?»
«Sì» affermò lui. «No» si emendò poi.
«Può darsi» conclusero insieme, dato che lei scimmiottò ironica la voce del semidio.
Risero di gusto, prima che lui le facesse fare un giro su sé stessa, a ritmo di una musica inesistente.
Aveva solo quindici ore per preparare qualcosa che la spingesse a farsi accompagnare al ballo di mezz’estate, ma non era affatto nervoso. Non in quel momento, almeno; con la luna e riflettere sui suoi capelli biondo fragola, e i suoi occhi che luccicavano di spensieratezza, e le sue labbra che si stendevano nel sorriso più bello che Microft avesse mai visto. 

Angolo Scrittrice.
So cosa state pensando, ma prima che possiate mandarmi al Tartaro, mi giustifico rivelandovi che questo capitolo era già pronto tre giorni fa, ma che purtroppo non riuscivo a trovare l'incentivo giusto per pubblicarlo. 
Questo è in gran parte dovuto all'esito negativo che ha avuto il capitolo precedente, e che mi ha lasciata molto perplessa e amareggiata. 
Era in assoluto uno dei più importanti di tutta la storia, eppure non ha ottenuto il successo in cui speravo. Credo che sia colpa mia, perchè può darsi che io non sia riuscita a scriverlo nel migliore dei modi. 
Non so se questa storia sta deludendo le vostre aspettative, ma qualora così fosse vi pregerei di farmelo sapere, e di dirmi dov'è che sto sbagliando. 
Io, ad ogni modo, farò una pausa di minimo una settimana per valutare le mie ipotesi, e capire una volta per tutte che cosa farne, di questa sorta di trilogia. 
Btw, questo è un capitolo un po' di passaggio, ma che comunque introduce due dei rapporti che vedrete maturarsi nel corso della storia. 
Il primo è quello di
John e Rose, che per ora sono... beh, come li definireste? 
Sappiamo benissimo che la figlia di Poseidone aveva una cotta per lui, all'inizio. Ma è palese anche quanto lui sia, al contrario, innamorato di 
Melanie. Che la mora abbia rinunciato definitivamente al ragazzo? 
Si direbbe così, considerando che si farà accompagnare al ballo di mezz'estate da Aren. Che ne dite di questa coppia? 
E perchè secondo voi il figlio di Apollo non vuole che lei ci vada con quel tipo? In fin dei conti, è stato il figlio di Odino a invitarla, no? 
Per quanto riguarda
Microft e Andrea, invece, cosa pensate che accarà tra loro? Micky riuscirà a convincere la nostra figlia di Tyr? 
Non farò alcun tipo di spoiler, ma vi avverto solo che ci saranno molteplici sorprese, sa parte loro. Anche se forse non esattamente come le immaginate voi... gnaw. 
Parlando infine di
Skyler, è un sollievo sapere che non ha rinunciato definitivamente alla battaglia, nonostante si sia vista annunciare la propria morte. Ma ora resta da capire come farà ad utilizzare il proprio dono. Ci riuscirà, secondo voi? 
Ringrazio immenssamente
Anna in Black, l'unica anima pia che ha commentato il capitolo precendente. Sei un tesoro, sul serio! 
Ora è arrivato il momento, per me, di andare. 
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e di poter leggere le vostre opinioni a riguardo. 
Alla prossima - quando sarà - 
Per ora ancora vostra, 

ValeryJackson

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***




 
ATTENZIONE! Questo capitolo contiene, seppur in forma lieve, accenni ad argomenti molto delicati. Non voglio urtare la suscettibilità di nessuno; per cui, chi vuole può saltare la parte di mezzo. Grazie per la vostra attenzione.
 
Voglio dedicare questo capitolo a
 
LoveDragon02, Madame_Bovary,
Black Truth, Amy_demigod e
Lux_Klara.
Perchè hanno creduto in me
fino alla fine, e mi hanno
ricordato che cosa vuol dire,
mantenere le promesse fatte
a sé stessi.

Leo non era affatto un impiccione.
Insomma, la curiosità era sempre stata una delle sue caratteristiche distintive. Ma ciò non voleva dire che a lui piacesse farsi i fatti degli altri, no.
Si era ritrovato accanto ai fratelli Stoll per puro caso, dopo che gli era stato chiesto di riparare una delle tubature dei bagni pubblici del Campo.
Loro erano già lì, quando era arrivato; intenti a rivestirsi in seguito ad una doccia calda. Ciò voleva dire che stavano già parlando da un bel po’. Il che chiariva il fatto che il figlio di Efesto avesse origliato i loro discorsi per puro caso.
Non gli interessava minimamento ciò che si stavano dicendo i due fratelli. I loro ragionamenti erano arrivati solo distrattamente al suo orecchio, senza che lui neanche lo volesse.
«Allora» stava cantilenando Travis, sfregandosi un asciugamano sui capelli al fine di asciugarli. «Hai già chiesto ad Iris di andare al ballo?»
«Non ancora» borbottò Connor, con un breve sospiro.
«Oh, andiamo!» lo prese quindi in giro Travis, con disappunto. «Che cosa stai aspettando, un permesso ufficiale?»
«Non è così semplice» gli fece notare l’altro, stizzito. «Voglio essere sicuro che quando glielo proporrò, lei mi dirà di sì.»
«Che cosa dovresti temere, scusa?» lo derise dunque quello, con un sorrisetto sghembo. «In pratica è quasi come se steste insieme, no?»
A quella provocazione, però, non seguì alcuna frecciatina, o broncio, o smorfia. Ci fu solo un prolungato ed imbarazzato silenzio, da parte di Connor, che portò Travis a trarre le conclusioni più velocemente di quanto si potesse pensare.
«Non mi dire» esclamò, prima di interpretare perfettamente l’espressione del fratello senza che quest’ultimo profferisse parola. «Tu non l’hai ancora baciata!»
«Ssh!» lo ammonì bruscamente lui, lanciandogli un’occhiataccia. «Abbassa la voce.»
«Perché?»
«Non voglio si pensi che ho paura di baciare una ragazza» mugugnò Connor tra i denti.
«Però è così.»
«No, invece!»
«E allora perché non l’hai ancora fatto?»
«Non sono affari tuoi.»
«Ma io sono tuo fratello!»
«Non ho voglia di parlarne, adesso.»
«Ma tu mi avevi detto…»
«Basta.»
«Però mi avevi raccontato…»
«Sta zitto.»
Sul volto di Travis si dipinse una faccia indignata. «Hai mentito al tuo stesso…»
«Puoi piantarla, per favore?»
Il figlio di Ermes assottigliò minaccioso lo sguardo, scuotendo mestamente il capo. «Sono così deluso da te.»
«Almeno io ho qualcuno con cui andarci» fu la pronta risposta di Connor. «Tu chi ci accompagnerai, fratellino
«Inviterò qualcuna delle mie tante spasimanti» gonfiò il petto lui, con sufficienza. «Sono certo che una di loro accetterà.»
«Se speri in Katie, è già stata presa, amico.»
All’improvviso il corpo di Travis si irrigidì, e il suo tono cambiò, diventando più serio e glaciale. «Che c’entra Katie?» domandò, fingendo invano indifferenza.
«Oh, scusa» fece il fratello, neanche lontanamente dispiaciuto per ciò che aveva affermato. «Credevo che tu e lei… niente, lascia stare.»
«Che vuol dire che ‘è già stata presa’?» sembrò ignorarlo il ragazzo, che aveva corrucciato le sopracciglia con aria confusa e irritata.
«Ho sentito dire che ha già un cavaliere» spiegò allora Connor, facendo spallucce. «Un figlio di Vàli. Sai, il dio nordico della natura e…»
«So chi è» lo interruppe acidamente Travis, al ché lui mostrò i palmi con aria innocente.
«Dovresti essere felice per lei» gli ricordò, ma il fratello parve non ascoltarlo.
«E tu com’è che avresti avuto quest’informazione?» gli chiese infatti, imbronciato.
«Me l’ha detto Emma» confessò a quel punto lui.
Fu solo allora che Leo Valdez sussultò al solo sentir pronunciare quel nome. Un nodo gli si strinse in gola, e si riscoprì a trattenere il respiro mentre si concentrava sui propri timpani, quasi sperasse di fare il minor rumore possibile per capire cosa si dicesse della ragazza senza dare nell’occhio.
«Sai, questo tizio è… un amico del suo accompagnatore» continuò Connor, non essendosi accorto di nulla. «O qualcosa del genere.»
Quelle parole funsero quasi da bomba atomica, nel cervello del figlio di Efesto; e accesero in lui un interruttore che lo spinse a voltarsi verso gli altri due, incurante delle conseguenze.
«Ehm… scusate» esordì, attirando così l’attenzione di entrambi. «Non è che stessi origliando, per carità, ma…» Esitò, come se fosse indeciso sul da farsi. «Emma andrà al ballo?» fu l’unico quesito che uscì dalle sue labbra, e che interdisse non poco i due figli di Ermes.
«Chi non lo farà?» ribatté Connor, con sarcasmo.
«Giusto, certo» annuì Leo, grattandosi la testa con fare pensieroso. Chissà perché la sola idea lo… infastidiva. «Quindi è sicuro?»
Gli Stoll inarcarono contemporaneamente un sopracciglio, scambiandosi uno sguardo perplesso.
«Perché ti interessa?» indagò Travis.
«Non mi importa, infatti» scattò subito il moro, sulla difensiva. Tentò di apparire noncurante, ma con scarsi risultati. «Perché dovrebbe? No, non… era solo per chiedere. Insomma, s-sapete…» balbettò, spostando le proprie iridi scure su un punto indefinito per evitare che i due vi leggessero tutto il suo disagio. Deglutì, tossicchiando leggermente. «Sapete anche con chi?»
«Larsen Snivel» rispose dunque Connor.
«Figlio di Balder» aggiunse repentinamente Travis.
«Biondo, occhi azzurri…»
«Di stirpe reale, a quanto si vocifera.»
«Ah» fu tutto ciò che la mente del giovane riuscì a mettere insieme; e forse doveva averlo detto ad alta voce, perché a giudicare dalle occhiate inquisitorie dei due gemelli la delusione sul suo volto era evidente.
«Lo avrai sicuramente visto in giro, prima» si strinse nelle spalle il primo.
«Ormai quei due passano gran parte del loro tempo insieme» continuò l’altro. «Lui sembra quasi la sua ombra.»
«Sì, forse» mormorò distrattamente il figlio di Efesto, i quali però pensieri erano già volati da tutt’altra parte. Posò gli occhi sulla chiave inglese che aveva in mano, accorgendosi solo in quell’istante di averla stretta nel pugno così tanto da avere le nocche bianche. Aprì lentamente le dita, permettendo così al sangue di circolarvi di nuovo.
Dopo di che prese un profondo respiro, digrignando i denti con forza.
«Io, ehm, devo…» ciangottò, maledicendosi mentalmente per il tremitio della propria voce. Se la sgranchì, aggrottando lievemente la fronte. «H-ho delle commissioni, e… sì, insomma.»
Fu l’unica cosa che riuscì a dire, prima di dileguarsi senza apparente motivo, raccogliendo alcuni dei propri attrezzi da terra e rinfilandoli nella sua cintura.
Non sapeva che cosa esattamente lo indispettisse tanto: se il fatto che Emma andasse al ballo con un ragazzo o la consapevolezza di non essere lui, quel ragazzo.
Perché ci teneva tanto, poi? Insomma, le cose tra loro non andavano bene da… beh, da circa un anno, ormai.
Che cosa sperava? Che tutto si sarebbe magicamente risolto nel giro di pochi giorni? Che alla fine sarebbe stato lui il cavaliere di colei che a-
No.
No, non gli interessava affatto ciò che faceva la figlia di Ermes. Erano andati avanti entrambi, consci che nelle rispettive vite non c’era spazio per l’altro.
Quindi così come lei aveva trovato qualcuno con cui condividere il proprio tempo, presto o tardi sarebbe successo anche a lui, lo sapeva.
E allora che cos’era quella sensazione che gli attanagliava il petto, dandogli l’impressione di soffocare?
Gelosia? Delusione? Tristezza?
Come ci si sente dopo aver capito finalmente di aver perso definitivamente un qualcosa che oramai non tornerà più indietro?
Che poi, come poteva dire di essere stato sconfitto in una battaglia che in realtà non aveva mai veramente combattuto?
 
Ω Ω Ω
 
Microft non aveva mai avuto una gran passione per gli orologi.
Centro, lui era sempre stato un ragazzo molto… preciso. Era sempre molto ordinato, manteneva ogni volta la parola data e soprattutto non c’era stato un solo giorno in cui non fosse arrivato puntuale ad un appuntamento.
Per questo non aveva bisogno di due moleste lancette che gli scandissero incessabilmente lo scorrere del tempo.
Lui sapeva calcolare da solo il passare dei secondi, dei minuti, delle ore. Gli orologi quindi erano inutili, no?
Semplici portatori d’ansia e nervosismo.
E la prova del nove gli arrivò quando per la tredicesima volta nell’ultima mezz’ora ricontrollò quello che miracolosamente si era legato al polso, sbuffando sconsolato.
Perché l’aveva fatto? Beh, inizialmente aveva sperato che avesse potuto… dargli un tono, ecco.
Poi, si era reso conto che in realtà non faceva altro che renderlo notevolmente più agitato di quanto non fosse già.
Era arrivato al campo di fragole con circa dieci minuti d’anticipo. Era lì che aveva appuntamento con Andrea, così come era stato pattuito la sera prima.
L’aveva aspettata pazientemente, rigirandosi il mazzolino di fiori che aveva raccolto di nascosto dal giardino dei figli di Demetra nel palmo sudato e borbottando tra sé e sé tutti i modi in cui avrebbe potuto tener viva la conversazione qualora tra loro fosse piombato il silenzio.
Dopo i primi cinque minuti di ritardo, il figlio di Efesto aveva ipotizzato che fosse solo mirato a farsi desiderare.
Dopo altri venti minuti si era messo comodo sulla panca di pietra, chiedendosi quale avrebbe potuto essere l’imprevisto che l’aveva trattenuta.
Ma dopo un’ora e quarantacinque di attesa, iniziare a supporre che gli avesse dato buca era stato inevitabile.
Erano passate più di due ore, ormai, dall’orario dell’incontro. Ma della figlia di Tyr, neanche l’ombra.
Microft si prese stancamente la testa tra le mani, i fiori ormai abbandonati ad appassire accanto a lui.
Non sapeva se essere più deluso o amareggiato. Dopo che era riuscito a strapparle quell’appuntamento, la sera prima, non aveva fatto altro che fantasticare su tutti i mille modi per poterla conquistare – così che lei gli concedesse di accompagnarla al ballo di mezz’estate.
Tra tutte le papabili situazioni che si era figurato, però, l’idea che lei potesse non presentarsi non l’aveva minimamente sfiorato.
Sapeva che la rossa non era come tutte le altre.
Era misteriosa, distaccata; sfuggente. E forse erano proprio queste le qualità che… beh, che l’avevano fatto invaghire di lei.
Il suo errore era stato illudersi che sarebbe riuscito a penetrare quella fortezza che si era costruita attorno. Chi era lui, d’altronde, se non un ragazzo come chiunque altro? Che cos’aveva di tanto speciale da poter sperare di essere diverso?
Con sguardo ormai rassegnato si appoggiò di peso contro lo schienale della panchina, buttando un occhio sul mazzolino ormai informe e privo di significato. E pensò a che espressione avrebbe avuto, Andrea, semmai gliel’avesse dato. O come si sarebbe vestita. O a come avrebbe raccolto i capelli, qualora avesse scelto di venire.
Se la figurò davanti bella; anzi, bellissima. A guardarlo con quei due grandi pezzi di cielo che le sue ciglia avevano intrappolato.
E decise che non era ancora pronto a darsi per vinto dopo quell’insignificante rifiuto.
La tenacia. Ecco cosa lo differenziava da tutti gli altri. La testardaggine, mista alla capacità di vedere sempre il lato positivo delle cose.
Il suo bicchiere poteva anche essere mezzo vuoto, okay. Ma perlomeno dentro c’era qualcosa.
E in quel qualcosa lui ci avrebbe confidato fino alla fine, non lasciandosi scoraggiare da niente e da nessuno.
Si alzò di scatto in piedi, avviandosi con passo deciso verso la tenuta nordica, diretto alla camera della ragazza.
Non c’era molta gente, per i corridoi; e quei pochi mezzosangue che Microft incontrò sulla sua strada si stavano svogliatamente godendo gli ultimi minuti liberi che avevano per rilassarsi prima che venisse annunciata la cena.
In cuor suo sperava di aver avuto l’intuizione giusta, e che quindi Andrea si trovasse nella sua stanza. Non sapeva ancora come avrebbe esordito, una volta che se la sarebbe ritrovata davanti.
Si sarebbe infuriato con lei?
Avrebbe fatto finta che non fosse successo niente?
Le emozioni che vorticavano impetuose nel suo petto erano troppo contrastanti perché lui potesse prendere una posizione così, su due piedi.
Arrivato davanti la porta, esitò per qualche attimo, indeciso sul da farsi. Sospirò a fondo, rilasciando lentamente tutta l’aria ingerita nel vano tentativo di infondersi calma.
Sollevò con nervosismo un braccio, pronto a bussare.
Poi un tonfo sordo attirò la sua attenzione, accompagnato dal suono di un vetro che si infrange.
Ne seguirono delle imprecazioni; dopo di ché, il rumore di qualcosa di molto pesante che cade a terra giunse ai suoi timpani.
Il figlio di Efesto corrucciò le sopracciglia, avvicinando perplesso l’orecchio allo stipite.
Udì un gridolino strozzato; venne dato un calcio ad un oggetto che a giudicare dallo scricchiolio era un carillon. C’era un fracasso incredibile in quella camera, per essere normale.
«Andrea?» chiamò a quel punto il moro, sentendo montare il panico. «Va tutto bene?»
Non ottenne alcuna risposta, ovviamente. Al contrario, il baccano continuò incessante, rimandando sempre di più ad una lotta.
Preoccupato, il giovane batté un pugno contro la porta. Nessuno andò ad aprirgli, e questo non fece che agitarlo ancora di più.
«Senti, sto per entrare» la avvisò irrequieto, provando a forzare la serratura. La figlia di Tyr si era chiusa a chiave dentro, ma questo non l’avrebbe di certo fermato.
E se le stava succedendo qualcosa di brutto? E se fosse stata attaccata da qualche mostro?
Diede con forza una spallata al cardine. E poi un’altra, e un’altra ancora.
La quarta fu così irruenta che la porta si spalancò all’improvviso, e Microft si affrettò ad entrare nella stanza.
Ciò che vide gli smorzò il fiato in gola.
Non era affatto in corso una battaglia, lì, ma vi erano tutti i presupposti per far pensare che ve ne fosse stata una.
Tutti i vestiti della nordica erano stati sparpagliati sul pavimento, insieme ai cocci rotti di un vaso e a qualche oggetto di poco valore.
La finestra era spalancata, con le tende mezze strappate. Il letto, disfatto.
Ma quello che sconvolse di più il figlio di Efesto fu la visione dell’amica, che con rabbia stava infilando indumenti a caso in una valigia, non prestando neanche attenzione a ciò che raccoglieva da terra.
Aveva un aspetto trasandato, e gli occhi cerchiati di nero per via del trucco sciolto. Non sembrava neanche essersi accorta della presenza del moro, che dopo aver seguito basito i suoi frenetici movimenti con lo sguardo aveva pensato bene di intervenire.
«Miei dei» imprecò sottovoce, osservando l’arco che compì una ciabatta in aria quando fu scaraventata dall’altra parte della stanza. «Andrea, che stai facendo?» la rimproverò quindi, cercando di fermarla.
«Va via» gli intimò bruscamente lei, senza degnarlo di un’occhiata. Tirò su col naso, pulendoselo distrattamente con il dorso della mano.
Il tremitio della sua voce fu palpabile, nonostante si sforzasse di mantenere un’espressione impassibile.
«Sei per caso impazzita?» sbottò dunque lui, allibito. Nel momento in cui lei lo ignorò, il giovane l’afferrò per i polsi, costringendola a voltarsi a guardarlo.
«Lasciami stare!» si urtò a quel punto la ragazza, divincolandosi sgarbatamente dalla sua presa e riprendendo ciò che aveva interrotto.
«Mi spieghi che diamine sta succedendo?» domandò Microft, irritato. «Perché stai preparando una valigia? Che significa?»
«Non sono affari che ti riguardano» fu la schietta risposta della rossa, al ché lui si indispettì.
«Sì, invece! Sono diventati affari miei nel momento in cui mi hai dato buca per restare qui e fare…» Allargò le braccia scioccato. «Questo.» Poi digrignò i denti, sforzandosi di mantenere un tono calmo e razionale.
«Sono stato ad aspettarti per più di due ore» le fece notare. «Non credi che io abbia come minimo il diritto ad una spiegazione?»
«Sto partendo» rivelò ad un tratto la figlia di Tyr, con fare sbrigativo. Provò a chiudere il proprio bagaglio, ma la zip si era inceppata. «Sei contento, adesso?»
«Che cosa?» esclamò allora il figlio di Efesto, confuso. «M-Ma che… per dove?»
«Torno a casa» confessò quindi Andrea. «La mia vera casa, in Norvegia.»
«P-Perché?» volle sapere lui, allibito. «Per quanto tempo?»
«Non lo so, Microft. Non lo so!» sbraitò la giovane, maledicendosi mentalmente per il proprio atteggiamento. Voleva solamente che lui se ne andasse. L’unica cosa di cui aveva bisogno, in quel momento, era di restare sola.
«Devo far visita ad una persona, okay?» spiegò freddamente, impegnandosi nel non lasciar trapelare alcuna emozione. «E ho… ho poco tempo. Devo sbrigarmi.»
«Perché?» reiterò dunque il ragazzo, spaesato. «Perché proprio ora?»
«Perché tra due giorni cade una data molto importante. E io credevo di poter mancare; ero convinta di poter andare avanti, di potercela fare, ma… non posso.»
«Parli di un anniversario?»
«Sì, di morte! Ecco, sei contento, adesso? Hai ottenuto l’informazione che volevi. Ora va via di qui.»
Il corpo di Microft si irrigidì, tendendosi come la corda di un violino. Rimase per qualche istante in silenzio, le iridi scure fisse su di lei, imperscrutabili.
Per un attimo, ebbe la sensazione che quella confessione fosse il tassello mancate a cui tanto aveva ambito per completare il puzzle; e solo in un secondo momento intuì il perché.
«Quella ‘n’…» dedusse in un mormorio, e dal modo in cui la nordica sussultò capì di aver centrato il punto. «Non volevi parlare di quella persona perché era morta. Ti sei tatuata la sua iniziale sulla pelle proprio per questo motivo. Chi era? Eh? Un fratello? O qualcosa di più? Dimmelo, dannazione! Era il tuo fidanzato?»
«Era mio figlio!»
Solo allora si rese conto che le guance della semidea erano rigate di lacrime, e i suoi occhi si sgranarono con la stessa rapidità con la quale il suo fiato si smorzò.
Un… figlio?
Com’era possibile? Andrea aveva solo sedici anni!
C’erano mille domande a vorticargli nella testa, ma in quel momento non riusciva a trovare il coraggio di formularne neanche una. Poté solo fissarla, stravolto, e palesarle con lo sguardo una voglia di spiegazioni che però non arrivarono.
Al contrario, la figlia di Tyr si lasciò finalmente andare a quel pianto che aveva trattenuto per tutto il tempo.
Un pianto disperato, afflitto; logorante.
E l’unico istinto del ragazzo fu quello di stringerla a sé, permettendole di soffocare quei tristi singhiozzi contro la sua spalla.
Sebbene fosse l’ultima cosa che si aspettasse di sentire, quel giorno, il moro non riusciva a darle il giusto peso. Non capiva come non potesse essere arrabbiato, o turbato, o agitato.
Ma gli bastò percepire il corpo della rossa tremare tra le sue braccia per capirlo.
Non sopportava di vederla così; tanto fragile quanto indifesa. Non credeva neanche possibile che potesse esistere una tale Andrea.
Ma adesso cominciava a capire molte cose. Tutti i suoi atteggiamenti distaccati, freddi e pungenti… quella ragazza portava sulle proprie spalle un peso talmente grande che la stava soffocando, e lei non se ne rendeva neanche conto.
Ci volle un po’, prima che le sue lacrime si tramutassero in una serie di silenziosi singulti. E quando ciò avvenne, la giovane si scansò lentamente da lui, pulendosi gli zigomi con il palmo.
«Mi dispiace» sussurrò, evitando volutamente il suo sguardo. Il ragazzo prese fiato per replicare, però lei lo precedette con un: «Non dovresti essere qui.»
Si lasciò cadere di peso sul brodo del materasso, con le stesse forze di un palloncino sgonfio. Il figlio di Efesto titubò qualche secondo, prima di sedersi al suo fianco, e nonostante non glielo disse esplicitamente, la giovane gli fu grata per non essersene veramente andato.
«T-Tu…» balbettò con fatica il semidio, tentando di trovare le parole giuste. Ma era molto più difficile di quanto immaginasse. «Lui…»
«Avrebbe avuto quasi due anni» confessò d’anticipo lei, emettendo un sospiro tremante.
Microft inarcò le sopracciglia, colpito. «Quindi tu…»
«Avevo quattordici anni, sì.» La ragazza tentò di abbozzare un piccolo sorriso sghembo, ma quel tentativo fu del tutto inutile. «Io, ecco, ehm…» Si torturò il lembo della maglietta, strizzando con sofferenza le palpebre al solo ricordo. «È successo contro la mia volontà» riuscì finalmente a dire, e quelle parole furono come una coltellata alla bocca dello stomaco per il moro.
Si voltò di scatto a guardarla, ma lo sguardo di lei era così sfuggente che non riuscì ad incontrarlo. Se ciò che gli stava confidando era vero, allora voleva dire che lei era stata…
Così piccola, fu capace solo di pensare.
Come? O meglio: da chi?
«La mia vita è un tale disastro, Microft» esclamò Andrea a quel punto, non avendo idea di come impedire a calde lacrime di solcarle il viso. «È difficile, e incasinata. È per questo che non lascio mai entrare nessuno.»
«Ma a me hai aperto la porta, giusto?» le ricordò dolcemente lui, asciugandole una gota con il pollice.
«Sì, e mi dispiace così tanto. Non avrei dovuto farlo. Avrei dovuto tenerti fuori e al sicuro come tutti gli altri.»
«Ehi» la richiamò quindi il ragazzo in un sussurro, afferrandole il volto con entrambe le mani e costringendola teneramente a posare le sue iridi del colore del cielo nelle proprie. «Sono stato io a bussare» le palesò, stringendosi nelle spalle. «E di certo non mi tirerò indietro. Non adesso, almeno. Non finché tu mi permetterai di restare.»
«Non posso farti questo» scosse il capo lei. Fu allora che lui le regalò un sorriso rassicurante, sincero.
«Sono convinto che ne varrai la pena.»
Di fronte a quelle parole, la figlia di Tyr non poté fare a meno di abbracciarlo, stringendosi a lui come se la sua stessa vita dipendesse da quel calore. Microft nascose il viso nell’incavo del suo collo, inspirando con cautela il profumo della sua pelle, così buono e leggero.
«Vengo con te» affermò, non appena si furono separati. «Ti accompagno, ovunque tu debba andare.»
«Non ce n’è bisogno, davvero» declinò gentilmente lei, al ché lui fece spallucce.
«Non te lo sto proponendo» ribatté, con tono serio e deciso. «Io. Vengo. Con te.»
Ciò che la nordica provò in quell’istante fu un groviglio di emozioni difficile da spiegare a parole. Tra tutte, però, quella che spiccava di più era un’infinita gratitudine, mista al senso di beatitudine nel sapere di non essere più sola.
«Promettimi di non dirlo a nessuno, però» gli fece giurare, mordicchiandosi nervosa il labbro inferiore. «Nessuno è al corrente di… tutto questo. E non voglio che la situazione cambi ora.»
Il figlio di Efesto le afferrò con accortezza una mano, facendo intrecciare le loro dita con un’innata precisione.
«Il tuo segreto è al sicuro con me.»
E Andrea sapeva che non si trattava affatto di una bugia.
Qualunque fossero i suoi scheletri nell’armadio; qualsiasi momento in cui il suo passato sarebbe tornata a tormentarla… chissà perché in quell’istante ebbe la sensazione di non dover più affrontare tutto da sola.
Quando le era stato portato via tutto per cui valeva la pena farsi forza ed andare avanti, la rossa si era ripromessa di non permettere a niente e a nessuno di scalfire la propria corazza d’acciaio.
Eppure, Microft ci era riuscito.
Era piombato nella sua vita come un fulmine a ciel sereno.
E con la sua semplicità era inconsapevolmente riuscito a portare la luce un quel mare di oscurità nel quale stava lentamente affogando.
Lui non era diventato la sua ancora. Ma il suo salvagente.
 
Ω Ω Ω
 
Una volta Leo aveva letto da qualche parte che ognuno di noi ha un proprio posto sicuro, nel quale sentirsi protetto da tutto il male che gli gira intorno.
C’era chi diceva che in realtà questo luogo non erano altro che le braccia della persona amata; ma il figlio di Efesto non aveva mai creduto a tutte queste stupide favole.
L’amore è come una scintilla: un attimo prima sembra illuminare tutto quanto, e quello dopo non è altro che una scia di cenere e delusione.
Questo l’aveva capito a sue spese, purtroppo.
Provare un sentimento tanto forte quanto distruttivo per qualcuno non portava altro che casini.
E lui aveva passato una vita intera a cercare quel tanto agognato equilibrio di qui la sua infanzia era stata privata, per poter rischiare di perderlo.
Insomma, era stanco di continuare a vivere su un instabile piatto della bilancia – con tutti i suoi alti e bassi.
Che senso aveva sperare in qualcosa, quando si sapeva già che non sarebbe durata?
Chiuso nelle fucine come suo solito, in quel momento di totale solitudine il ragazzo decise che quello, da oggi in poi, sarebbe stato il suo posto sicuro.
Non una persona. Non un amore che presto o tardi si sarebbe rivelato fugace.
Non aveva bisogno che dei suoi progetti, per essere felice. La meccanica era – in un certo senso – l’unica cosa in grado di garantirgli la stabilità.
Non esisteva l’imprevisto. Non era concesso il cambio di programma.
Tutto andava sempre in un’unica direzione. E a lui andava più che bene.
La voce di Astrid arrivò ai suoi timpani prima che il giovane si accorgesse del suo arrivo.
«Sei triste» constatò la figlia di Frigg, arricciando il naso con disappunto.
Leo si passò le dita tra capelli ricci, abbozzando un sorrisetto sghembo. «Sai, questa cosa del leggere le mie emozioni sta diventando un po’ irritante» scherzò, al ché lei ridacchiò divertita.
«In realtà» lo corresse, avvicinandosi lentamente alla sua postazione – spostandosi con cautela verso di lui. «Non ho dovuto usare i miei poteri, stavolta. Mi è bastato ascoltare il tuo silenzio.»
Il moro inarcò le sopracciglia, perplesso. «Come?»
«Quando…» La bionda esitò, trattenendo un risolino. «Ecco, quando sei concentrato su uno dei tuoi progetti o su qualcosa che stai costruendo, tendi a parlare da solo. Sai, borbotti cose senza senso, e a volte è anche un po’ strano – anche se io lo trovo molto buffo.» Si strinse nelle spalle, imbarazzata. «Quando invece resti in silenzio, vuol dire che c’è qualcosa che non va.»
Dinanzi a quelle parole, il figlio di Efesto assottigliò lo sguardo, prima di dipingersi sul volto un’espressione indignata. «Io non parlo da solo» replicò, fingendosi offeso.
«Oh, invece sì. Fidati» lo prese in giro lei, per poi assicurarsi a tentoni che il tavolo fosse sgombro. Facendo perno sulle braccia, vi si sedette sopra, le gambe penzoloni.
Dopo di ché inclinò il capo di lato, con aria gentile. «A che pensavi?» domandò dolcemente.
Il ragazzo tirò su col naso, infastidito dal ricordo di quello che era stato il suo chiodo fisso nelle ultime quattro ore.
Da quando aveva accidentalmente ascoltato la conversazione dei fratelli Stoll, non aveva fatto altro che pensare a quanto fosse ridicolo che Emma andasse alla festa nordica con quel Lars.
Non era ancora riuscito a capire perché la sola idea gli desse così fastidio, ma avrebbe scommesso tutti i propri risparmi che quel figlio di Balder non era il tipo giusto per lei.
Che poi, andiamo… Larsen? Che razza di nome era?
«Riflettevo su questo ballo di mezz’estate» ammise dopo un po’, non sforzandosi neanche di mascherare il proprio dissenso. «Lo sai che ci andranno praticamente tutti? Dal primo all’ultimo. Greco o nordico che sia. Ma lo sai invece cosa proprio non capisco? Come si siano formate alcune delle coppie. Voglio dire, sono… improponibili. Due persone così diverse non dovrebbero neanche andare d’accordo.»
Fu quest’ultima frase a far ragionare Astrid, che corrucciò le sopracciglia, circospetta. «Ti riferisci a qualcuno in particolare?» si informò.
«No, macché» mentì subito Leo, sbuffando dal naso. «I-Io… parlavo in generale» mormorò poi, non riuscendo però a convincere neanche sé stesso.
Si figurò per l’ennesima volta quel giorno la figlia di Ermes, bellissima nel proprio abito mentre volteggiava con quel damerino da strapazzo. Un gridolino di frustrazione sfuggì alle sue labbra, mentre lui si premeva il palmi contro le orbite, nel tentativo di scacciare quell’immagine dalla sua testa.
«L’aspetto più divertente è che io non ho neanche invitato qualcuno» commentò dopo sottovoce, ma abbastanza forte perché la figlia di Frigg lo sentì.
«Perché?» fece infatti, sorpresa.
«So già che non accetterebbero» le palesò lui, per poi aggiungere con finta superbia. «Insomma, sono troppo per loro.»
«Ti capisco» sospirò a quel punto lei, facendo spallucce. «Siamo nella stessa barca. Non che io creda che i ragazzi non siano alla mia altezza, ma… nessuno vuole andare ad un ballo con una ragazza cieca» concluse infine, con una leggera punta d’amarezza nella voce.
Il moro le lanciò una rapida occhiata, grattandosi il lobo con fare sconsolato. «Siamo proprio un disastro» scherzò, riuscendo a strapparle un timido sorriso.
Fu in quell’istante che ebbe un lampo di genio. E sgranando gli occhi si alzò di colpo dalla sedia, facendola sobbalzare.
«Ho trovato!» esclamò, fiero della proprio pensata. «Andiamoci insieme!»
«Come?»
«Sì!» esultò lui. «Noi… potremmo essere l’anti-ballo. E andare lì come forma di protesta contro tutte queste iniziative che rendono i ragazzi cinici, falsi e stereotipati.»
Quell’affermazione non poté che divertire la nordica, che liberandosi in una cristallina risata scrollò la testa, coprendosi il viso con una mano.
«D’accordo» accettò poi. «Ci sto.» E sigillarono il patto con una stretta di mano, in seguito alla quale Leo fece un goffo inchino, baciandole giocosamente il dorso.
«Saremo sicuramente la coppia più bella, Milady» si vantò.
Astrid raddrizzò regalmente la schiena, sforzandosi invano di mantenere un’espressione seria e rispettevole.
«Non ho alcun dubbio, Milord.» 


Angolo Scrittrice.
Non c'è un modo giusto per iniziare questa parte. 
Dovrei partire con lo scusarmi, ma d'altronde credo che qualora lo facessi, non fareste che odiarmi ancora di più. 
Non so esattamente cosa mi sia successo, in questi due mesi, da spingermi a non aggiornare più questa storia. Anzi, lo so, ed è proprio questo il problema. 
E' stato uno dei periodi più difficili e impegnativi che io abbia trascorso fino ad ora, pieno di delusioni, tristezza e sconfitte. 
Mi sono lasciata abbattere da quello che invece avrebbe dovuto fortificarmi, e avevo perso quela classica positività per la quale tutti mi hanno sempre ricordata. 
Ci sono stati momenti in cui mi sono sentita sola; praticamente inutile e soprattutto priva di talento. Non ho acceduto a questo sito per così tanto tempo da dimenticare che cosa si provasse nel pubblicarvi le proprie storie. 
Poi un giorno - così, per caso - ho deciso di rispolverare finalmente questa pagina, e ciò che vi ho trovato era decisamente al di là di ogni mia aspettativa. 
Messaggi. Tanti messaggi. Tutti racchiudenti delle parole che sono riusciti a toccarmi al punto da portarmi alle lacrime (di gioia, ovviamente). 
Frasi di incoraggiamento da parte vostra, piccoli angeli, che avete continuato a credere in me anche quando io era la prima a dubitare delle mie capacità. 
E' stato allora che ho capito che non ero ancora pronta a rinunciare a Skyler, Michael, Emma, John... Grazie a voi, mi sono ricordata la ragione per cui ho iniziato a scrivere "Il Morbo di Atlantide", circa tre anni fa. 
Per farmi sentire. Per rendere vivi quei personaggi che per me, ormai, sono come una seconda famiglia.
Per condividere con gli altri le mie idee, e rendermi conto che il mio bisogno di riportare i miei pensieri su carta e troppo viscerale da venire dimenticato. 
Non so se c'è ancora qualcuno disposto a dar corda a questa povera ragazza di provincia; ma a tutti coloro che decideranno di restare voglio fare una promessa:

Questa volta non mollerò.
Mi impegnerò al fine di portare al termine questa trilogia, cercando di superare ogni difficoltà. Mi auguro solo che qualcuno abbia ancora voglia di seguire le avventure di questi piccoli eroi.
Ma prima che l'Angolo Scrittrice diventi più lungo del capitolo stesso, parliamo di quest'ultimo. 
I protagonisti sono i nostri due fratelli di Efesto,
Leo e Microft
Per quanto riguarda il primo, lo vediamo alle prese con un sentimento inaspettato, per lui: la gelosia. Perchè, secondo voi, gli dà così fastidio che
Emma vada al ballo di mezz'estate con Lars?
E' chiaro che si tratta di più di una semplice antipatia nei confronti del figlio di Balder. Che provi ancora qualcosa di inconscio per la figlia di Ermes? 
Come credete che andrà a finire, questa faccenda? Leo secondo voi resterà con le mani in mano? 
Intanto, va al ballo con
Astrid, che dal canto suo non è stata invitata da nessuno. "Nessuno vuole una ragazza cieca", dice lei. Ma chissà che non vi siano delle sorprese in arrivo anche per la nostra figlia di Frigg.
Ma ora passiamo al vero punto focale di questo capitolo, ovvero la storia di
Andrea
Chi mi conosce dal principio sa che il mio intento, con questa trilogia, è sempre stato quello di mettermi alla prova, man mano che si andava avanti. L'ho fatto decidendo di trattare temi come l'autolesionismo o la perdita di un arto ne "La Pietra dei Sogni".
Lo sto facendo qui, cercando non solo di gestire al meglio la quantità di personaggi più grande che io abbia mai creato contemporaneamente - e seguendo un filo logico; ma anche - e soprattutto - tornando a parlare di temi tanto attuali quanto tabù. 
Uno di questi riguarda proprio Andrea, ed è lo stupro. Non so se a qualcuno di voi potrebbe dar fastidio l'argomentom ma posso assicurarvi che non verrà mai trattato di forma esplicita, e sarà sempre esplicato tra le righe, così da non turbare la suscettibilità di nessuno. 
Detto questo, finalmente viene a galla il segreto della nostra figlia di Tyr: un figlio. Qualcuno di voi l'aveva già immaginato? O sono riuscita a sorprendervi anche stavolta? 
La sua storia verrà spiegata meglio andando avanti, ma per ora vi basti sapere che la 'n' tatuata sulla sua spalla non era l'iniziale di un ragazzo, e che Microft è ancora il semidio più cucciolo di questa terra e quell'altra. 
Voi come avreste reagito, al suo posto? Lui - dall'alto dei suoi quindi anni - si è fatto coraggio ed è rimasto accanto alla ragazza che gli piace, deciso a prendersi cura di lei al di là di tutto. 
Un amore, non è vero? 
Btw, è arrivato il momento di ringraziare
Anakin Solo, LoveDragon02 e Amy_demigod per aver commentato il capitolo precedente, ma soprattutto Madame_Bovary, Amy_demigod, LoveDragon02, Lux_Klara e Black Truth per aver creduto in me fino alla fine, e per non avermi abbandonato. 
Il vostro supporto è stato cruciale, per me. E non vi ringrazierò mai abbastanza per le bellissime parole spese nei miei confronti. 
Ora me ne vado, giurandovi che non ci saranno più Angoli Scrittrice così lunghi e pregandovi di farmi sapere se c'è ancora qualcuno, a seguire questa storia. 
Grazie a tutti, piccoli angeli.
Di nuovo vostra,

ValeryJackson


 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***



 
John incoccò una freccia, tendendo la corda finché non avvertì il piumaggio solleticargli lo zigomo.
Era stato a lezione di lotta libera, quella mattina, dove Mr. Olsen li aveva divisi in coppie per calcolare quanto tempo ci mettese uno dei due a finire al tappeto per primo.
Era stato abbastanza imbarazzante, combattere mentre il resto del gruppo ti osservava con trasporto. Per fortuna il figlio di Apollo non aveva mai avuto problemi a mantenere la concentrazione.
Non fino a quel giorno, almeno.
Era stata tutta colpa di Aren Waegmund. Nella mischia, il biondo si era ritrovato accidentalmente davanti a lui, e non aveva potuto evitare di origliare le sue conversazioni.
Quell’arrogante figlio di Odino era intento a vantarsi con due dei suoi amici – che davano più l’impressione di essere i suoi bracci destri, in realtà, ma questi era dettagli.
Parlavano di ragazze, conquiste e bravate, fino a ché non avevano toccato l’argomento ‘ballo’.
«Quindi l’hai fatto davvero?» gli aveva chiesto uno dei due tizi, che probabilmente era un figlio di Loki. «Hai invitato la figlia di Poseidone?»
«Certo che l’ha fatto, idiota!» l’aveva ripreso l’altro, figlio di Màni.
«Un Waegmund mantiene sempre le proprie promesse» aveva quindi sogghignato il moro, gonfiando il petto con orgoglio. «Sarà divertente, vedrete» aveva assicurato poi ai due ragazzi, trattenendo a stento una risatina compiaciuta.
«Come fai ad esserne sicuro?»
«Perché le ragazze mi adorano, e lei non sarà da meno» aveva palesato il giovane, come se fosse scontato. «E a fine serata mi dovrete le mie venti corone, perché vi assicuro che andrò fino in fondo.»
Ora: se John non avesse già rischiato di essere punito un paio di volte, nelle ultime tre settimane, quasi sicuramente si sarebbe avventato su Aren, prendendolo a pugni nello stomaco fino a quando non avrebbe chiesto umilmente scusa per le proprie parole.
Per fortuna era riuscito a trattenere quell’impulso abbastanza bene, limitandosi a stringere i pugni talmente tanto da crearsi del piccoli segni a forma di mezzaluna nei palmi.
Come osava parlare di Rose in quel modo?
Che poi, cos’aveva intenzione di fare?
Aveva accennato a corone, promesse e di andare fino in fondo. E il figlio di Apollo era troppo sveglio per non capire che si stesse riferendo ad una scommessa.
Non aveva idea in cosa essa consistesse, ma era pur certo di non voler neanche sapere quale sarebbe stato il prezzo che avrebbero fatto pagare alla figlia di Poseidone con la loro presunzione.
Perché proprio lei? Forse perché era la più piccola, e la più ingenua, e la più vulnerabile.
Forse perché oltre ad essere diventata una bellissima (ehi, John era obbiettivo!) ragazza, era anche la sorella minore di due dei semidei più discussi e ammirati del Campo Mezzosangue.
Una bella conquista, se la si vedeva da questo punto di vista.
Ma come impedire che venisse fatto alla mora del male?
Era consapevole di non poter semplicemente andare alla Casa Tre e rivelarle tutta la verità, dato che lei non gli avrebbe mai creduto. Si sarebbe convinta che si trattava solo di uno degli innumerevoli tentativi del biondi di invogliarla a rifiutare quell’invito; e forse alla fine sarebbe arrivata anche ad odiarlo, facendogli notare che fondamentalmente non erano affari suoi.
Non aveva neanche qualche chance nell’affrontare direttamente Aren, considerando che si sarebbe trattata della sua parola contro quella del nordico.
E quindi? Non gli rimaneva altro che restare a guardare?
Quel senso di impotenza lo opprimeva.
Non poteva permettere che quegli idioti approfittassero della fiducia di Rose.
Lui doveva fare qualcosa.
Sì, ma cosa?
Lasciò andare il dardo, che con uno scatto sfrecciò nell’aria, conficcandosi nella parte azzurra del bersaglio.
«Merda» imprecò a denti stretti il figlio di Apollo, sbuffando mortificato.
«Svuota la mente!» gli intimò ad alta voce Dahl, che in piedi circa tre metri dietro di lui lo osservava, corrucciato.
Si trovavano in palestra da più di un’ora, e quella era la settima freccia che non colpiva il centro esatto.
Non gli era mai successo, prima di allora. Il biondo aveva sempre considerato il tiro con l’arco come il suo personale… scacciapensieri. E invece adesso non riusciva a non darla vinta alle preoccupazioni, e questa cosa lo mandava inevitabilmente in bestia con sé stesso.
«Sono solo stanco» borbottò poco convinto, respirando a fondo per non lasciarsi sopraffare dalla frustrazione.
Filottete fece schioccare la lingua, con disappunto. «Lo sai, Johnny?» esclamò, conscio di quanto il ragazzo odiasse quel soprannome. «Dei quattro, tu sei sicuramente il peggior bugiardo. Non che ci sia una vera competizione, con una figlia di Ermes come la Walker di mezzo» pattuì poi, con un’alzata di spalle. «Ma… che Zeus mi fulmini se le bugie sono il tuo forte!»
«Qual è il problema?» sbottò a quel punto il giovane, voltandosi a fronteggiarlo. «Ho la testa da un’altra parte, tutto qui.» Allargò le braccia, irritato. «Il mio pensiero fisso non è sempre quello di salvare il mondo.»
«Il mondo? No» convenne Phil, avvicinandosi a lui con un’espressione di puro sarcasmo sul viso. «Ma qualcuno?» Inarcò semplicemente le sopracciglia, a fargli intendere quanto la risposta a quella domanda fosse ovvia.
John irrigidì la mascella, distogliendo lo sguardo infastidito. L’uomo sospirò, parandoglisi davanti ma evitando volutamente qualunque genere contatto fisico.
«Anche se per ragioni a me sconosciute, sono consapevole che tra di noi non ci sia questo grande “rapporto”.»
«Lei pensa che io sia debole» gli fece notare quindi il figlio di Apollo, non degnandosi di celare una certa punta di rancore. «Un bambino. È convinto che io non sappia adempiere ai miei doveri.»
«Tu sei sicuramente quello dall’animo più gentile, Johnny» ammise dunque Dahl, sostenendo risoluto il suo sguardo. «E questo nessuno lo mette in dubbio. Vuoi sapere cosa penso realmente di te?» fece poi, e il suo tono era più serio di quanto si potesse immaginare; sincero, addirittura. «Che sei un ragazzo sveglio, intelligente; perspicace. Hai delle ottime prestazioni fisiche, ma ciò che non capisci è che questa guerra non si svolgerà solo su campo.»
Fece un passo verso di lui, inclinando il capo con fare grave, intimidatorio. «Quello di Prometeo sarà soprattutto un attacco a livello… psicologico. Perciò potrai essere anche forte, e incisivo, e determinato. Ma finché non ci sarai un taglio con tutta questa» Cercò il termine giusto. «‘Sensibilità’, resterai sempre il guerriero più vulnerabile.»
Dopo di ché gli rivolse un cenno del mento, stringendo di poco gli occhi a due fessure. «Togliti quei prosciutti dagli occhi, ragazzo. Perché non sono sempre tutti così buoni come credi.»
Quel discorso l’aveva lasciato alquanto interdetto, e il biondo se ne rese conto quando prese fiato per replicare, ma le sue corde vocali non furono in grado di emettere alcun suono.
Le grandi porte della palestra si spalancarono con un tonfo, e Skyler, Emma e Michael fecero il loro ingresso nella stanza.
L’istruttore fu il primo a prestar loro attenzione, intimandogli di raggiungere il loro amico senza neanche prima salutarli.
«Salve anche a lei» scherzò infatti la figlia di Ermes sottovoce, ubbidendo però agli ordini e aspettando con gli altri eventuali indicazioni.
Dahl andò verso il tavolo delle armi, dove appena arrivato aveva posato un fagotto richiuso con un filo di spago. Lo aprì con una delicatezza da parte sua inaspettata, estraendovi quattro boccette non più grandi di un pollice.
Contenevano un liquido bluastro, con delle sfumature tendenti al viola e al rosa. Erano coperte da un tappo di sughero, e avevano tutta l’aria di non essere a disposizione sul mercato. Non quelo umano, perlomeno.
«D’accordo» esordì, porgendone una ad ogni ragazzo. «Prendete questi.»
I semidei le studiarono con circospezione, rigirandosele nei palmi quasi fossero patate bollenti.
«Bevetelo tutto d’un sorso» li invitò l’uomo. «E non fate caso al sapore.»
«Che cos’è?» chiese giustamente Skyler.
«Una pozione magica che ho imparato a preparare molto tempo fa. A base di blackcurrant, nel caso ve lo steste chiedendo.»
Tutti si voltarono a guardare spaesati John, che comprendendo la loro perplessità chiarì sottovoce: «Ribes nero.»
Nonostante dopo quella spiegazione sembrasse tutto più chiaro, Michael era ancora titubante. «E a che cosa dovrebbe servire?» domandò infatti.
«Il tempo stringe, ed io ho bisogno di capire un po’ di cose.» Phil incrociò le braccia al petto, studiandoli con determinazione. «La Profezia parla di quattro ragazzi» disse, lanciando un’occhiata in direzione della figlia di Efesto. Quest’ultima però abbassò lo sguardo, imbarazzata, lasciandogli intendere di non aver ancora parlato della propria scoperta con gli amici.
Seppur contrariato, l’istruttore non lo diede a vedere.
«Le circostanze ci hanno fatto intendere che si trattasse di voi» continuò. «Ma questo lo sapevate già. L’unico problema è che non fa nomi. Non nomina alcuna parentela, e questo ci impedisce di conoscere il ruolo specifico di ognuno di voi, in questa storia.» Poi indicò con un cenno del capo le boccette. «Oggi lo scopriremo.»
«E come?» si informò quindi la mora.
«Questa pozione è una ricetta che mi è stata insegnata da un negromante indiano» sciorinò dunque lui. «Sapete che loro tengono molto ai valori dello spirito.» Skyler confermò annuendo, e lui proseguì: «Sono convinti che ognuno di noi abbia una personificazione animale, dentro di sé. E questa» sottolineò, puntando l’indice contro il liquido scuro. «Vi aiuterà a vedere la vostra.»
Il figlio di Poseidone inarcò le sopracciglia, interdetto. «Con “vedere” intende…»
«Intendo proprio vedere» lo interruppe Filottete, come se ciò che stesse dicendo fosse del tutto ordinario. «Vi apparirà davanti una proiezione del vostro spirito animale.»
«Lo sa che negli Stati Uniti le droghe sono illegali?» commentò a quel punto Emma, alla quale non andava a genio l’idea di perdere per qualche secondo il controllo sulla propria mente. «Perché nel caso quest’informazione le fosse sfuggita: qui le droghe sono illegali.»
«Non vi sto drogando, Walker» la rassicurò Dahl. «Puoi stare tranquilla.»
«Quindi questa roba non ci farà male?» si accertò John, corrucciato.
In tutta risposta, l’uomo si strinse nelle spalle. «Non ho detto questo» fece, e di fronte alle loro facce sconcertate batté con vigore le mani, sfregandosele euforico. «Su, posizionatevi ai quattro punti cardinali» ordinò, e i semidei acconsentirono, sistemandosi a circa un metro e mezzo l’uno dall’altro.
«Non opponetevi agli effetti della pozione, e… poi ditemi quello che vedete.»
I quattro erano ancora pieni di dubbi ed incertezze, ma scambiandosi dei rapidi sguardi si fecero forza a vicenda, decidendo che tentar non nuoceva. In fondo, se si fosse davvero trattato di un’essenza allucinogena o velenosa, ne sarebbero stati vittime insieme.
E poi, avevano iniziato a fidarsi di Phil. I suoi metodi potevano anche non essere del tutto convenzionali, ma c’era da dire che fino ad allora non aveva fatto nulla perché i giovani non credessero in lui.
Fu la mora a contare fino a tre con le dita, e poi bevvero quell’intruglio all’unisono, buttandolo giù tutto d’un sorso.
Bisognerebbe osservare da vicino le loro espressioni disgustate, per poter comprendere appieno l’orribile sapore che le loro papille gustative furono costretti ad affrontare. All’inizio ebbero anche dei conati di vomito, ma dopo un po’ – quando quel terribile effetto svanì – ciò che apparve dinanzi ai loro occhi ne valse decisamente la pena.
Trattennero il fiato, dimenticando qualsiasi parola adatta a descrivere ciò che vedevano davanti a tanta maestosità.
«Impossibile…» sospirò Skyler, sgranando gli occhi meravigliata.
L’istruttore si lasciò sfuggire un sorriso compiaciuto, dando ai ragazzi il tempo di assimilare una tale magia.
«Lei è ancora sicuro che questo non sia uno stupefacente, sì?» domandò retorica Emma, incapace di distogliere l’attenzione da quello spettacolo sconvolgente.
«Concentratevi» li zittì quindi Filottete, assumendo un tono solenne. Disegnò a grandi passi il perimetro invisibile che i giovani avevano tracciato, esaminando le loro reazioni. «Ciò che state vedendo è la personificazione della vostra anima. L’animale che avete di fronte non è altro che la rappresentazione del vostro vero ‘io’.»
«Forte» commentò Michael, con un sorriso ebete ad incurvargli le labbra.
«Sarà lui a guidarvi, quando avrete pieno accesso al vostro potere» continuò l’uomo. «Quando avete ricevuto i vostri doni dagli dei» raccontò. «Il vostro tatuaggio ha emesso un colore. È lo stesso di cui brilla l’animale che state osservando, non è vero?» Ma in realtà conosceva già la risposta a quel quesito. «Lo stesso che si sprigionerà nell’istante in cui sfrutterete il vostro potere al massimo delle sue potenzialità» rivelò. «In quel momento, sarà la vostra anima a prendere il sopravvento. E la bestia che c’è in voi sarà l’unica a guidarvi. Sentirete il suo richiamo. Avrete la sensazione che esso nasca direttamente da dentro di voi.»
Detto questo, andò lentamente verso la figlia di Ermes.
«Walker» chiamò, fermandosi accanto a lei e spostando gli occhi sul punto in cui le sue iridi grigie erano fisse. «Che cosa vedi?»
La bionda esitò qualche attimo, prima di confessare. «Una pantera.»
Era certa di non aver mai visto essere più regale. Il felino che aveva di fronte era puramente fatto di luce. Brillava d’argento, e Dahl aveva ragione: lei aveva già visto quella tonalità.
Dopo essere caduta da quel burrone; poco prima di spirare in quel lago ghiacciato. Il solo ricordo le fece venire la pelle d’oca.
Il felino se ne stava accucciato a debita distanza, a leccarsi il pelo con movimenti sinuosi e misurati.
«Simbolo di potenza e agilità» assentì Filottete, con moderato orgoglio. «La pantera racchiude in sé il contrasto tra eleganza e aggressività; tra bellezza e oscurità. In genere è un animale solitario, e sai perché?»
«Immagino di no.»
«Perché è consapevole del fatto che se dovesse affezionarsi ad un altro suo simile, poi il suo impeto si tramuterebbe in dedizione. Totale. Forse anche eccessiva.»
La ragazza ghignò. «Sta alludendo al mio difetto fatale?»
«Hai rinunciato alla tua solitudine tempo fa, Walker» attestò quindi Phil, congiungendo le mani dietro la schiena. «Ora devi solo trovare il modo di non farti indebolire da questo. Avere qualcosa per cui lottare non è mai un male. Solo che… tu non hai ancora imparato a lasciarti andare del tutto.» La guardò. «Più temi che le persone di deluderanno, più queste saranno portate inconsciamente a farlo. Dentro di te risiede un grande potere, e tu sei una ragazza in gamba» constatò. «Trova l’astuzia necessaria per sapere come gestirlo.»
Dopo di ché, si spostò verso John, cogliendolo nell’atto di accarezzare dolcemente l’aria – molto probabilmente laddove si trovava il muso di una proiezione che riusciva a vedere solo lui.
Lo lasciò fare per un po’, prima di rivolgergli un’occhiata fugace.
«Allora?»
«È…» Il figlio di Apollo faticava a credere che i suoi occhi non lo stessero ingannando. «È un elefante.»
L’istruttore non fu per niente sorpreso. Anzi, dalla smorfia che fece parve quasi che se lo fosse aspettato.
«L’ascoltatore per eccellenza» gli spiegò. «Simbolo di altruismo e lealtà. L’animale che assiste il prossimo. Il gigante buono.»
«Ed è una brutta cosa?»
«Dipende da come giochi le tue carte» gli fece notare lui. «Potrai anche avere un cuore d’oro, John, ma ciò non vuol dire che debba essere a tuo svantaggio. Essere buoni non significa per forza essere ingenui» considerò. «Ma credo che tu abbia già capito la differenza.»
Il biondo lo seguì con le proprie iridi verdi andare via, riflettendo sulle sue parole. C’era un insegnamento molto più profondo, dietro i continui avvertimenti dell’uomo; solo che lui doveva ancora capire come interpretarli.
Tornò con gli occhi sull’enorme mammifero che aveva accanto, di sicuro l’animale più mastodontico che avesse mai visto. Rifletteva di un verde smeraldo – accesso, intenso; ma allo stesso tempo talmente chiaro da risultare quasi trasparente. Un po’ l’effetto che facevano le sue iridi, riconobbe.
O almeno, così gli aveva detto Melanie.
Accarezzando nuovamente quella liscia proboscide, il ragazzo pensò anche a lei.
«Ciò che ci caratterizza diventa un difetto solo nel momento in cui iniziamo a considerarlo tale» lo aveva
redarguito la figlia di Demetra. E forse quello stupendo elefante di cui ora aveva incrociato lo sguardo ne era la prova.
Era in assoluto uno degli animali più grandi che ci fossero.
Era sgraziato. Delle parti del suo corpo erano enormi; altre, troppo piccole. Non era violento, non mangiava altri animali e se si cercava il suo nome sul dizionario gli veniva associato il termine ‘pachiderma’ – il che non era certo un complimento.
Eppure, a vederlo lì risultava comunque bellissimo.
Il gigante buono, come l’aveva definito Phil. Ma chi aveva deciso che quel soprannome dovesse rappresentare per forza una brutta cosa?
Magari essere buoni non era un difetto.
Forse, era proprio quel lato del suo carattere a rendere John diverso da tutti gli altri. Era proprio quell’aspetto, a renderlo speciale.
«Michael?» volle sapere Dahl, una volta affiancato il figlio di Poseidone.
«Un’aquila.» Il moro aggrottò la fronte, visibilmente perplesso. «Perché un’aquila?»
«Sei deluso?»
«No» scosse la testa lui. «Più che altro… sorpreso» ammise. «Mi aspettavo un animale marino, sa com’è.»
«La tua personalità non dipende dal tuo genitore divino» storse dunque il naso Filottete, scrollando le spalle. «Certo, la maggior parte delle tue abilità dipendono da quello. Ma ciò che c’è qui» E sull’ultima parola gli diede una sonora pacca un petto, che lo fece sobbalzare. «È tutta un’altra faccenda.»
Lo osservò grattarsi il capo, interdetto.
«L’aquila rappresenta il guerriero dello spirito» gli chiarì a quel punto. «È simbolo di potenza, regalità, gloria. È l’animale più nobile; colei che sfida il Sole guardandolo senza bruciarsi e assimilando la potenza dai suoi raggi.»
«Figo» mormorò il giovane, le labbra tirate in un mesto sorriso. «Ma non capisco come tutto ciò possa rispecchiarmi. Io non sono… valoroso. Sono solo…»
«Un ragazzo che senza un briciolo di esperienza si è lanciato in una missione suicida per tutta l’America pur di salvare suo fratello» lo precedette l’uomo. «Un giovane che ha rischiato la propria vita per la ragazza che amava più volte – anche quando questa non contraccambiava il suo sentimento. Un semidio che ha saputo sfidare i propri limiti, imparando a mettere l’orgoglio da parte in più di una circostanza.»
Di fronte alla sua espressione allibita, l’uomo fece spallucce, fingendo non curanza. «Ho fatto le mie ricerche.»
«Non ho mai pensato a me come ad un…» balbettò Michael.
«Eroe?»
Fece una smorfia, stranito da quel termine.
«Non credo che tu possa essere già definito tale, infatti» lo smontò Dahl, con fare tranquillo. «Ma sei sulla buona strada.»
«Oh, grazie» scherzò il figlio di Poseidone.
«Quello che sto cercando di dire» riprese l’istruttore. «È che gli eroi in genere sono persone ordinarie che rendono sé stesse straordinarie. Che credono nelle proprie capacità. Che vogliono rendere il mondo un posto sicure non per sé, ma per gli altri. Quel volatile lì dimostra che hai un grande animo» continuò, indicando il punto in cui avrebbe dovuto trovarsi l’ologramma con l'indice. «Solo che continui a dubitare di te. E questo fa di te un guerriero mediocre. Uno che si nasconde per paura di non essere abbastanza.»
«Cosa sta cercando di dirmi?»
«Umile, sì» recitò allora Phil, chinandosi di poco verso di lui. «Ma non lasciare che la modestia ti impedisca di compiere grandi gesta.»
Il ragazzo spostò le proprie iridi del colore del mare verso il cielo, dove l’aquila stava disegnando un arco perfetto, librandosi con maestosità.
Era di un azzurro splendente, vivido – le sue ali di un’ampiezza tanto grande da togliere il fiato. Planò lentamente verso di lui, e nell’istante in cui il giovane le porse timidamente un braccio, quella vi si posò sopra, ergendosi in tutta la sua lucentezza.
Filottete aveva ragione: forse il semidio aveva davvero le qualità giuste per poter diventare un eroe. Aveva già compiuto delle prodi azioni, in passato, ma forse non vi aveva dato molto peso perché… beh, perché lui era così.
Aveva passato una vita a considerare Percy un modello da seguire, senza rendersi conto che molto probabilmente gli altri potevano pensare lo stesso anche di lui.
Doveva solo dar loro una ragione per la quale ritenerlo una fonte d'ispirazione.
O magari, non era questo che voleva davvero.
Può darsi che in un mondo pieno di grandi nomi, il vero eroe era quello che restava nell’anonimato.
Forse non dipendeva dal modo in cui salvavi delle vite, quanto più dal motivo per il quale combattevi.  
Quando Dahl giunse al fianco di Skyler, la ragazza non parve scomporsi più di tanto.
Prese un bel respiro, pronta a parlare, ma quello la interruppe, abbozzando un sorriso sghembo.
«Non dirmelo» le intimò. «Non ce n’è bisogno.»
«Perché lo sta facendo?» fu dunque la domanda di lei, al ché lui si morse l’interno della guancia.
«Volevo capire» disse semplicemente. «E volevo che capiste. Fino ad oggi avevo ignorato il perché le Parche vi avessero scelto. Ma ora ho l'opportunità di guardare dentro di voi e… e capisco che non avrebbero potuto esserci altre soluzioni.» Raddrizzò la schiena, credendo sul serio in ciò che affermava. «Nobiltà, coraggio, altruismo e leadership, Skyler. Erano queste le qualità di cui avevamo bisogno per vincere questa guerra. E osservando voi mi convinco che forse abbiamo davvero qualche possibilità.»
Per quando desiderasse replicare, la figlia di Efesto per un attimo volle credere a quelle parole. Volle sperare di potercela davvero fare. Volle augurarsi di poter essere sul serio la persona giusta per salvare tutti quegli innocenti.
«Non mi chiede che cosa vedo?» fece ad un tratto, e l’uomo fece schioccare la lingua.
«Lo so già» le palesò. «C’è un solo animale sinonimo di forza e sapienza. Un simbolo di speranza. Un domatore dell’istinto. Fonte di potere, di fiducia; di coraggio. Colui che affronta le proprie paure. Colui che rappresenta la saggezza, e l’ardore, e il fuoco dello spirito.»
La bestia avanzò sicura sotto gli occhi della mora, rilucendo di un rosso così vivo da far male agli occhi, catalizzando al contempo l’interesse di chiunque lo guardasse.
Allungando titubante una mano, la ragazza fece annusare il proprio palmo a quel bellissimo animale, per poi sfiorargli delicatamente il dorso del naso.
Incontrò le sue iridi di rubino, e un brivido le corse lungo la schiena nel riconoscervi tutte le qualità che poco prima Phil aveva citato.
L’istruttore aveva ragione, eppure Skyler faticava a trovare possibile che quel felino rappresentasse proprio lei – così indifesa; così impaurita.
Si morse il labbro inferiore, emettendo un sospiro tremante.
«Il leone.»
 
Ω Ω Ω
 
Quando Microft aveva detto a Rose della sua partenza imminente, la figlia di Poseidone non sembrava aver accolto quella notizia di buon grado.
Dopo aver poi scoperto che il ragazzo non era intenzionato a svelarle tutti i dettagli, una strana morsa all’altezza del petto l’aveva inavvertitamente colpita, decisa a non andare via.
Che cosa le stava nascondendo l’amico?
Era quello che cercava di scoprire mentre – soli nella Cabina Nove – provava ad indagare.
«Quanto tempo starai via?» volle sapere, al ché lui aggrottò di poco la fronte.
Era intento a prepararsi la valigia; gesto che dava leggermente sui nervi alla mora.
«Qualche giorno.»
«Oh» fu l’unica reazione di lei, delusa da quella risposta vaga. «E dove andate?»
«In Norvegia.»
La giovane inarcò un sopracciglio. «A fare cosa?»
«Ehm, beh, ecco…» ciangottò a quel punto il figlio di Efesto, visibilmente in difficoltà. «Niente di importante.»
Con quell’affermazione non era riuscito a convincere neanche sé stesso, e intuì quanto fosse stato poco credibile non appena scorse l’espressione imbronciata dell’amica, che con un luccichio di risentimento nello sguardo incrociò le braccia sotto il seno.
«Da quando ci sono segreti tra noi?» esclamò, senza celare minimamente il proprio disappunto.
«Non ce ne sono.»
«E allora perché non mi dici cosa dovete fare?»
Microft sospirò, stropicciandosi gli occhi con aria afflitta. «Perché non posso, Rose.»
«Che significa che non puoi?» sbottò quindi lei, indignata. «Sono la tua migliore amica!»
«Ho promesso ad Andrea che non ne avrei fatto parola con nessuno» si giustificò mestamente lui. «Non posso tradire così la sua fiducia.»
«Così come?»
«Parlandone con te!» Il moro si rese conto di aver alzato la voce solo quando vide la giovane sussultare. «È…» Esitò, consapevole che quanto stava per dire avrebbe solo peggiorato le cose. «È un segreto tra me e lei.»
Di fronte a quelle parole, Rose si irrigidì, conficcandosi le unghie nel palmo. «Quindi c’è un segreto.»
«Sì» ammise il figlio di Efesto, spostando il peso da un piede all’altro, a disagio. «Ma non quello che pensi tu» si affrettò a specificare, invano.
«Bastava dirlo prima, sai?» gli fece notare infatti la figlia di Poseidone. Dal suo tono, sembrava ferita.
«Che cosa?»
«Che non ero poi così importante come avevo immaginato.»
Il ragazzo ebbe la sensazione che la terra si stesse lentamente sgretolando sotto i suoi piedi. «Rose, tu sei più che importante per me» le ricordò.
Tese le braccia verso di lei, nel principio di un abbraccio; ma non appena fece un passo nella sua direzione, la mora ne fece uno indietro.
«Ma non abbastanza da avere la tua fiducia» constatò, con amarezza.
«Io metterei la mia vita nelle tue mani senza pensarci due volte, okay?» tentò di farle capire lui, mortificato.
«E allora perché non mi dici la verità?»
«Perché non posso! Io…» balbettò, sfinito. «Io gliel’ho promesso.»
Fu in quell’istante esatto – subito dopo aver mormorato quelle ultime tre sillabe – che qualcosa nello sguardo della ragazza cambiò. Le sue iridi (in quel momento di un azzurro cielo) si velarono di lacrime.
Qualcosa dentro di lei si spezzò – forse l’illusione che qualcuno fosse stato veramente in grado di vedere di più di un bel faccino, in lei.
«Wow» fu tutto ciò che riuscì ad espirare, con voce tremante. Tirò su col naso, accarezzandosi tristemente la base del collo. «N-Non…» Strizzò le palpebre, sforzandosi di non farsi tradire dalle emozioni. «Non pensavo che sarebbe arrivato il momento in cui mi avresti escluso così dalla tua vita.»
Quell’ammissione fu per Microft come un pugno all’altezza dello stomaco. 
«Rose» la implorò, dispiaciuto. «Cerca di capi-» Ma nell’attimo in cui provò ad afferrarle una mano, lei lo scansò bruscamente.
«Va al diavolo, Microft!» gli urlò contro, divincolandosi dalla sua presa. «Tanto ormai non hai più bisogno di me.»
Al figlio di Efesto fu tolta anche la possibilità di replicare. La mora uscì dalla Casa Nove, sbattendosi furiosamente dietro la porta, e lui era così devastato da ciò che gli era stato detto da non trovare il coraggio di correrle dietro.
Sarebbe stato quello il suo più grande rimpianto, e lo capì qualche secondo dopo, mentre dava frustrato un calcio al piede di legno del proprio letto.
Si lasciò andare stancamente sul materasso, prendendosi amareggiato la testa tra le mani e dandosi mentalmente dello stupido.
Aveva fatto la cosa giusta?
Sì, anche se continuava a chiedersi come perdere la propria migliore amica potesse essere ritenuto giusto, in quell’universo.
Rose era decisamente una delle persone più impostanti della sua vita (se non la.)
E ora lui aveva tradito quella promessa che si erano sempre fatti, lasciandole credere che lei non meritasse la sua fiducia – quando invece era tutto il contrario.
Aveva giurato ad Andrea di essere muto come un pesce, ed era intenzionato a mantenere quella parola a costo di portare quel segreto che aveva acconsentito a custodire con sé nella tomba.
Eppure, una parte di lui rimpiangeva ancora per prezzo che era stato costretto a pagare.
Nessuno gli aveva detto che sarebbe stato costretto a scegliere, un giorno.
O meglio, nessuno gli aveva anticipato che sarebbe stato così dannatamente logorante e difficile.
 
Ω Ω Ω
 
Skyler non aveva ancora parlato con nessuno dell’esito della Profezia.
Un po’ perché non ce n’era stata propriamente l’occasione; un po’ perché non aveva idea di come spiegare ai propri amici che stava per morire.
Dato che sì, ormai era fin troppo chiaro.
Aveva esaminato quegli ultimi versi una miriade di volte. Aveva trascorso notti in bianco, ragionando su quali avrebbero potuto essere le diverse interpretazioni, giungendo sempre alla stessa conclusione: non sembrava esserci scampo, per lei.
Perciò, la maggior parte del tempo cercava di non pensarci. Rimuovere quel tarlo dalla testa era l’unico modo per non impazzire.
Sarebbe riuscita a dirlo a Michael, Emma e John, prima o poi. Solo non in un futuro molto prossimo.
Sapeva che non avrebbe fatto altro che preoccuparli, con una tale notizia. Loro non avrebbero potuto di certo cambiare le carte in tavola, e poi si parlava pur sempre della sua papabile morte, no?
Doveva pur esserci una regola che le conferiva il diritto di gestirsela come meglio voleva.
Entrando nella Casa Nove, si ripeté silenziosamente quella frase, quasi fosse lei la prima a dubitarne.
Il che spesso era vero.
Era una serata piuttosto umida, quella, e la mora si era offerta di andar a prendere qualche coperta per tutti nella propria Cabina, prima di raggiungere gli altri al falò.
Qualche attimo prima di andare via, però, notò che le luci della fucina erano rimaste accese. Scese con circospezione le scale, decisa a spegnerle. Ma non appena ebbe una visuale completa della stanza, si accorse che c’era qualcuno.
Microft era seduto alla sua postazione, giocherellando svogliatamente con un cacciavite sul tavolo. Non aveva l’aria di qualcuno intenzionato ad applicarsi su un progetto.
Anzi, pareva più che si fosse rifugiato lì nella vana speranza di non incontrare nessuno.
«Ehi» lo chiamò con accortezza la ragazza, distogliendolo dal flusso dei suoi pensieri.
«Ciao» la salutò di rimando lui, con scarso entusiasmo.
La giovane gli andò accanto. «È successo qualcosa?» gli domandò, con apprensione.
«No, tranquilla» mentì il moro, mordendosi distrattamente l’interno della guancia.
Skyler lo squadrò, sospettosa. «Hai litigato con Rose?» azzardò, chiedendosi cosa potesse farlo stare così male.
«Noi non abbiamo litigato!» scattò subito lui, sulla difensiva. Dal tono che usò, per la figlia di Efesto non fu difficile capire di aver colto nel segno. «Lei ha solo… solo…» Il ragazzo titubò, rimuginando su quanto accaduto. «Ha solo frainteso le mie parole» convenne poi, mordicchiandosi la nocca del pollice in un gesto nervoso.
«Micky, so che non sono affari che mi riguardano» considerò quindi la semidea, dolcemente. «Ma ultimamente ti vedo più stanco del solito.»
«Sto bene» borbottò il figlio di Efesto, a denti stretti.
«Sai, ho l’impressione che tu ti stia impelagando in una situazione più grande di te» osservò a quel punto lei. «Sono tua sorella, voglio aiutarti.»
«Apprezzo il tuo interesse, Skyler, ma ormai sono grande» obiettò lui, leggermente stizzito. «Sono in grado di prendermi le mie responsabilità.»
«Si ma non permettere a queste “responsabilità” di allontanarti dalle persone che ami» lo riprese dunque la mora; e a quelle parole, il semidio non replicò.
La giovane gli posò una mano sulla spalla, con fare protettivo, per poi intimargli teneramente di guardarla negli occhi. Quando lui obbedì, lei gli sorrise confortante.
«Microft, crescere non vuol dire rinunciare alla tua vita.»
Inutile dire che il ragazzo continuò a riflettere su quell'ultima affermazione anche dopo che la sorella se ne fu andata, lasciandolo nuovamente solo.
Aveva ragione? Con la convinzione di essere ormai abbastanza ‘adulto’ da fronteggiare alcune situazioni, dimenticava di prestare la giusta attenzione ad altre?
Crescere voleva dire essere onesti a proposito di ciò che si voleva, di ciò di cui si aveva bisogno, di ciò che si sentiva; di ciò che si era.
Ma Microft non era ancora sicuro di averlo capito.
E per un solo, intenso instante, intuì perché in quella favola Peter Pan non aveva alcuna voglia di diventare grande. 

Angolo Scrittrice
Eccomi di nuovo qui, guys! Non in tempo come speravo, ma tra meno di una settimana cade il mio diciottesimo compleanno, io ancora moltissime cose da organizzare e mi sto rendendo conto che questi pomeriggi estivi sono molto più straripanti di impegni di quelli invernali. 
In più, sto avendo continui problemi con internet. 
Whatevah, questo a voi non interessa. 
Parliamo del capitolo, piuttosto. 
All'inizio abbiamo un
John molto... come definirlo? Geloso? Iperprotettivo? 
Fatto sta che le intenzioni di
Aren nei confronti di Rose non sono esattamente delle migliori, e questo il nostro figlio di Apollo non può proprio accettarlo. Ma d'altronde, lui cosa potrebbe mai fare?
Secondo voi dovrebbe intervenire in qualche modo? O è meglio che si tenga fuori da tutta questa faccenda? 
Certo è che durante questo 'ballo' avremo delle risposte a tutte le domande lasciate in sospeso; anche se non credo che saranno esattamente come ve le aspettate. 
Anyway... anche se può sembrare strano, la scoperta da parte dei ragazzi del loro spirito animale è davvero molto importante, nella storia. 
Perché sì, ora capite il motivo del leone nella copertina; e sì, la luce che essi emettono è esattamente quella che i nostri eroi hanno visto poco prima di morire/resuscitare. 
Come ripeto spesso, nelle mie storie nulla è mai dato al caso, e spero di essere riuscita a dimostrarvelo con questo capitolo. 
Ad ogni modo, trovate che le personificazioni animali dei nostri quattro ragazzi siano coerenti?

Emma è una pantera, simbolo di coraggio, femminilità e contrasto interiore. 
John è un elefante, simbolo di altruismo, bontà e gentilezza. 
Michael un'aquila, simbolo di nobiltà, grandezza d'animo ed eroismo. 
E
Skyler il tanto discusso leone, simbolo di forza, leadership e saggezza. 
Non male, per quattro ragazzi apparentemente sprovveduti. Ma d'altronde, se non fossero stati speciali ora non saremmo qui a parlare di loro. 
Comunque sia, non c'è da sorprendersi della lite tra
Microft e Rose. I due si sono sempre detti tutto. Avevano giuranto di essere sempre sinceri l'uno con l'altra, indipendentemente dalle circostanze. 
E ora lui accetta di mantenere il segreto di
Andrea a qualunque costo, e la figlia di Poseidone si sente tradita da quella che è forse la persona più importante per lei. 
Morale? Una bella lite con i fiocchi. 
Riusciranno a fare pace, che dite? 
Per fortuna arriva
Skyler, che ricorda al figlio di Efesto che solo perchè sta crescendo, ciò non vuol dire che debba rinunciare al proprio passato.
Inoltre, quest'ultima non ha ancora parlato ai propri amici dell'esito della Profezia. Sta sbagliando? In fondo, è pur sempre del suo destino che stiamo parlando.  
Mi auguro davvero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Bien, bien... è arrivato il momento di ringraziare i miei dolcissimi Valery's Angels per aver commentato lo scorso capitolo. Sapere che dopo nonostante la mia grande assenza, voi continuiate a sostenere ed apprezzare questa sotria è stato commovente, davvero.
Grazie infinite a:
Anna in Black, LaFilleTerrible, ArchaonTheEternal, Black Truth, Madame_Bovary, Amy_demigod e LoveDragon02. Siete speciali, sul serio.  
Farò del mio meglio per non deludere mai le vostre aspettative, e spero con tutto il cuore di conoscere i vostri pareri anche questa volta. 
Che dire... ci vediamo la prossima settimana, con un nuovo capitolo!
Peace & Love
Sempre vostra,

ValeryJackson

P.s. Ho aperto da poco un nuovo profilo instagram nel quale pubblico le mie AU inerenti ai fandom più svariati, e sarei onorata se gli deste un'occhiata. Il nome è itsjusta_script, e lo riconoscete dall'icon di Dylan O'Brien che fa un cuore con le mani! 




 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***



ATTENZIONE! Questo capitolo contiene accenni ad argomenti molto delicati. Non voglio urtare la suscettibilità di nessuno; per cui, chi vuole può saltare l'ultima parte. Grazie. 


Quando Astrid gli aveva chiesto per favore di accompagnarla ad una passeggiata al lago, Leo non era stato in grado di rifiutare.
La verità è che anche lui aveva bisogno di staccare la spina, ogni tanto. Tutto quell’aggiustare cose, e frequentare le lezioni giornaliere, e comportarsi da buon capocabina… il figlio di Efesto aveva sempre fatto fatica a gestire troppe responsabilità tutte insieme.
Lui era uno spirito libero; una testa calda — nel vero senso della parola. Sapere quanto gli altri contassero spesso su di lui non solo lo destabilizzava, ma lo metteva anche in soggezione.
E poi, si poteva anche dire che quello non fosse il suo periodo più roseo, da quando viveva al Campo.
Le cose non sembravano andare al meglio, per lui, e i pensieri non facevano altro che divorargli la mente come un tarlo – soprattutto subito dopo aver parlato con gli Stoll.
Non faceva che rimuginare incessantemente su quello che i due figli di Ermes gli aveva rivelato, incapace di impedire al proprio stomaco di contorcersi dalla frustrazione ogni qualvolta gli capitava di incrociare Larsen Snivel per strada.
Mr. Stealyourgirl; ecco come l’aveva rinominato. Non che lui gli avesse davvero ‘rubato’ Emma, dato che la ragazza non era mai stata realmente sua. Ma insomma, i dettagli non contavano!
Oramai era diventato impossibile, per lui, togliersi quel chiodo fisso dalla testa. Per questo aveva sperato che magari, passando un po’ di tempo con la figlia di Frigg, sarebbe riuscito perlomeno a distrarsi per qualche attimo.
Per il momento, il tutto sembrava funzionare. Seduti sull’erba – a meno di un metro dalla riva del lago – i due amici stavano parlando tranquillamente del più e del meno, godendosi il timido sole di quel pomeriggio.
Ad un certo punto Leo si era anche alzato, cercando dei sassolini a terra per poterli far rimbalzare sul pelo dell’acqua.
Era appena riuscito a far fare cinque salti ad uno, quando la bionda commentò.
«Sono tutti in fibrillazione per il ballo.»
Il moro sbuffò sarcasticamente dal naso. «Lo so» ghignò. «Mi sembra di essere finito per sbaglio in mezzo ad un gruppetto di ragazzine in piena crisi ormonale ad un concerto di Justin Bieber.»
La giovane corrucciò leggermente le sopracciglia, divertita. «Pensavo ti piacessero, le sue canzoni» osservò.
«Solo perché a volte mi senti cantare delle musiche pop commerciali, non vuol dire che queste mi piacciano.»
Astrid sembrò confusa. «Leo, questo non ha alcun sens-»
«Sono orecchiabili, okay?» scattò quindi lui, sulla difensiva. Si lasciò cadere al suo fianco con un tonfo, chiudendo gli occhi e lasciandosi cullare dai raggi solari che gli accarezzavano il viso.
Lei, seduta a gambe incrociate, aveva sfilato distrattamente un filo d’erba dal terriccio, e se lo stava rigirando tra i polpastrelli del pollice e dell’indice.
In quei pochi secondi di rassicurante silenzio, Leo ricordò improvvisamente di doverle comunicare una novità.
«Ehi, guarda cosa mi hanno venduto i fratelli Stoll» esclamò, cercando qualcosa nella tasca posteriore dei pantaloni. Ne estrasse un lungo pezzo di stoffa completamente nera, porgendoglielo perché lei potesse tastarlo.
Seguendone il contorno con la punta delle dita, la figlia di Frigg inarcò stupita le sopracciglia. «È una cravatta!»
«Già» confermò lui.
Ad essere sincero, si era ritrovato a comprarla un po’ per caso. Dopo che uno dei suoi fratelli, Jordan, aveva egregiamente aggiustato la spada di un figlio di Ermes, il giovane si era immediatamente offerto di andare a riportargliela personalmente.
A tutti era sembrata una cosa un po’ strana, a dir la verità; ma alla fine avevano dovuto assodare che era meglio non darvi troppo peso, dato che il moro aveva lasciato la Casa Nove senza essere costretto a rispondere a nessuna domanda.
Da dove fosse nato un tale desiderio di giungere alla Cabina Undici?
Ma è ovvio, no? Sperava che magari (essendo quella un’ora di buco per tutti i mezzosangue) vi avrebbe trovato Emma, all’interno, intenta a riposarsi.
Purtroppo, era stato decisamente sfortunato sotto quel punto di vista – non solo perché la bionda non era in casa, ma anche perché nessuno dei suoi fratelli sapeva dove fosse.
Amareggiato e deluso, il figlio di Efesto stava per andarsene con la coda tra le gambe, quando era stato fermato da Travis e Connor. I due gemelli avevano allestito una sorta di bancarella di roba usata davanti la loro Cabina, in vista del ballo.
Un’idea geniale, se si considerava che la maggior parte dei greci faceva fatica a procurarsi tutto il necessario – non avendone mai festeggiato uno.
Dove avevano trovato tutta quella mercanzia? La gente non si prendeva neanche la briga di chiederselo. Che importanza aveva, d’altronde? Erano gli Stoll, meglio noti come due dei migliori ladri del Campo. Non sarebbe stata una novità, se fosse saltato fuori che nulla di tutto ciò apparteneva realmente a loro.
Ad ogni modo, i due mori avevano proposto a Leo di comprare qualcosa, e buttando una rapida occhiata tra tutte quelle cianfrusaglie, il ragazzo aveva ragionato che in effetti un particolare gli serviva.
Per cui aveva scelto quella semplice ma elegante cravatta nera, e il prezzo per lui si era abbassato anche da quattro dracme a tre.
«Solo perché sembri essere l’unico a non averci mai provato con una delle nostre sorelle!» gli aveva fatto l’occhiolino Travis.
Ah, se solo avessero saputo!
«Ti facevo più tipo da papillon» sorrise sovrappensiero Astrid, al ché lui parve perplesso.
«Perché, la cravatta è troppo elegante per me?»
«È molto più…» La giovane cercò il termine giusto. «Seria, sì.»
«Ma io sono serio!» ribatté il moro, fingendosi indignato. «Cioè, non nel senso letterale del termine» convenne, con un cenno della testa. «Ma so fare dei ragionamenti molto maturi.»
«Su questo non ci piove» assentì d’accordo lei.
«Infatti» fece dunque lui, quasi più a sé stesso, che all’amica. «Altro che quel Larsen
Si accorse di aver fatto quella riflessione ad alta voce solo quando la bionda inclinò il cappo di lato, interdetta. «Larsen?» fece infatti, sorpresa. «Intendi Larsen Snivel?»
Il ragazzo fece una smorfia, contrariato. «Lo conosci anche tu?»
«Lo conoscono tutti.» La figlia di Frigg fece spallucce. «Fa parte del clan degli Waegmund, è un figlio di Balder…»
«Sì, lo so» la interruppe lui, irritato. «Ed è un galantuomo, di stirpe reale… il principe azzurro che tutte sognano, insomma.»
Alla ragazza non doveva essere sfuggito la punta di risentimento che Leo aveva nella voce, perché aggrottò la fronte, sconcertata. Arricciò di poco il naso, e notandolo il figlio d Efesto inarcò a sua volta un sopracciglio.
«Che c’è?»
«Niente» ammise lei, disorientata. «Solo non riesco a capire perché lo odi tanto. Voglio dire, è un così bravo ragazzo.»
Facendo schioccare la lingua, il semidio abbozzò un sorrisetto sghembo, malinconico. «A sentir parlare te, dovrei ritenermi pazzo a dubitare del perché Emma ne sia così invaghita.»
Quelle parole valsero più di qualunque spiegazione, per la nordica, che sospirò, annuendo lentamente tra sé e sé.
«È di questo che si tratta?» dedusse, con fare gentile. «Ti dà fastidio che sia lui a portarla al ballo?»
«Non capisco cosa quel ragazzo abbia più di me» confessò a quel punto il moro, in preda allo sconforto misto a furia. «Okay, lo so: lui è perfetto e io sono… io. Ma tra me ed Emma c’è sempre stato qualcosa che andava oltre il superficiale» rivelò poi, nostalgico. «Oltre la semplice attrazione fisica. C’era anche quella, naturalmente – dei, se c’era! Ma in più qualcosa di… di vero, e puro, e stupendo. E quando la guardo, percepisco ancora quel bruciore nella bocca dello stomaco che ho sempre provato solo con lei.»
Si passò nervosamente le dita tra i ricci capelli, prima di premersi i palmi contro gli occhi, con aria afflitta. «Il fatto è che… al di là di tutto quello che è successo, ho come la sensazione che ci sia qualcosa di intenso, tra noi. Di irrisolto. Qualcosa di non detto.»
«Beh» intervenne Astrid. «Questo è esatto, dato che tecnicamente voi non vi siete mai neanche detti un “ti…”»
«È che mi pare impossibile che abbia scelto uno come lui!» la interruppe Leo, non rendendosi neppure conto di averla ignorata senza volerlo. «Un damerino.»
Le frasi lasciavano incontrollate le sue labbra, senza che lui potesse sperare di bloccarle. O forse non era questo che voleva. Magari non si era accorto di quanto necessitasse di sfogarsi con qualcuno, fino a quando non aveva iniziato a condividere con l’amica i propri tormenti.
«Più li guardo insieme e più io… io…» Si prese la testa tra le mani, sconsolato. «È complicato.»
«L’amore non è mai complicato» lo corresse la bionda, con un tenero sorriso. «Siamo sempre noi a renderlo tale.»
«Credo di non aver mai accettato l’idea che fosse giunta l’ora di rinunciare definitivamente a lei» riconobbe, con una lieve ma palpabile tristezza. «Lei sembra essere andata avanti e avermi già rimpiazzato, mentre io… io non ce la faccio a non pensarla, Astrid.» Guardò la figlia di Frigg, in cerca di conforto. «Io ho bisogno di lei.»
«A volte però non si tratta solo di questo, Leo» gli fece notare quindi la nordica, scrollando il capo con aria solenne. «Dici di aver tanto bisogno di lei, ma… ti sei mai chiesto di cosa lei abbia bisogno?»
Quel quesito arrivò al figlio di Efesto come uno schiaffo in pieno volto. Prese fiato per parlare, certo di saper come ribattere; e mi piacerebbe davvero molto poter dire che la sua risposta fu sicura ed esaustiva.
Ma mentirei.
Perché la verità è che appena la sua bocca si schiuse, dalle sue corde vocali non fu emesso in benché minimo suono.
Boccheggiando impietrito, solo in quell’istante il giovane capì che molto probabilmente fino ad allora non aveva fatto altro che sbagliare ogni cosa.
Tutte quelle volte in cui, steso sul suo letto, non aveva potuto evitare di pensare a quanto lei fosse un toccasana, per lui. A quanto la sua presenza lo rallegrasse. A quanto il suo sorriso riuscisse ad illuminare anche le sue giornate più buie.
Ma poi? Quante volte si era domandato quali fossero le esigenze di Emma?
Avrebbe tanto voluto affermare che quello fosse un suo problema fisso. Ma solo in quel momento intuì che l’unico motivo per cui fino a quell’attimo aveva creduto di non capire affatto la figlia di Ermes, era perché in fondo non l’aveva capita davvero.
O almeno, non come avrebbe dovuto.
 
Ω Ω Ω
 
Microft doveva essere onesto: non era mai stato in un paese che non appartenesse agli Stati Uniti d’America.
Cresciuto in una piccola cittadina della Florida, poteva dire che il viaggio più lungo che avesse mai fatto fosse stato quello per andare a Long Island, al fine di raggiungere il Campo Mezzosangue.
Non un granché, in effetti. E se ne rese conto solo quando quella mattina Andrea si presentò da lui con due biglietti andata e ritorno per Oslo, in Norvegia.
Non sapeva come avesse fatto a procurarseli, e non gli era sembrata un’informazione di rilevante importanza, in quel momento. Tutto ciò a cui era riuscito a pensare dall’istante stesso in cui avevano superato la barriera magica del Pino di Thalia era quanto fossero vulnerabili, nonché esposti.
Dei mostri potevano attaccarli da un momento all’altro – era questo che si era nervosamente ripetuto durante tutto il tragitto nel taxi che li aveva condotti all’aeroporto John F. Kennedy, lì vicino.
Una volta salito sull’aereo, si era convinto che il pericolo più grande fosse stato scampato.
Questo era stato prima che quella macchina decollasse.
«È il tuo primo volo?» gli aveva chiesto la figlia di Tyr, accorgendosi che il moro stava stringendo talmente tanto le dita attorno ai braccioli da avere le nocche bianche.
«No» aveva mentito lui, sforzandosi di fingere noncuranza. Ma poi l’aereo era stato vittima di una leggera turbolenza, che l’aveva portato a strizzare le palpebre, spaventato. «Sì», aveva confessato.
La rossa si era lasciata andare ad un’intenerita risata. «Il trucco è pensare a qualcos’altro» gli aveva suggerito quindi, dandogli una giocosa gomitata.
«Tipo cosa?»
«Non lo so. Facciamo un gioco?»
«Ho portato le carte» aveva assentito lui.
«Hai portato delle carte da tavolo?» aveva ribattuto lei, scettica.
«Hai idea di quanto tempo dovremo stare su questo… coso? Avevo pensato di dilettarmi in qualche solitario, prima di ricordare a me stesso che ho una paura boia di volare.»
«D’accordo» aveva dunque annuito la giovane, abbozzando un lieve sorriso. «Tirale fuori. Ti insegno a giocare a Whist.»
Inutile dire che il figlio di Efesto aveva capito ben poco le regole di quel vecchio gioco norvegese; ma dopo era riuscito a salvarsi la faccia divertendo la ragazza con qualche elementare trucchetto di prestigio.
Avevano trascorso così le prime due ore di viaggio, fino a quando Andrea non si era addormentata sulla sua spalla per le restanti sei – mentre lui non riusciva a distogliere lo sguardo carico di tensione dal finestrino.
Una volta arrivati ad Oslo, erano giunti fino alla piccola città di Sandvika grazie al passaggio di un vecchio uomo barbuto – che lavorava sì in nero, ma che aveva chiesto loro la metà di un comune mezzo di trasporto.
Stava ormai già calando il tramonto, quando erano giunti ad un vecchio motel. Per quanto si fosse impegnato, Microft non era stato in grado di capire una singola parola in norvegese fino a quando la semidea non si era voltata a disagio verso di lui, spiegandogli che “avevano libera solo una matrimoniale”.
Facendo fatica a celare il suo evidente imbarazzo, il ragazzo aveva acconsentito a condividere la stanza con lei, solo per quella notte.
Per cui dopo aver preso le chiavi erano saliti in camera, avevano abbandonato lì i loro miseri bagagli, e la figlia di Tyr l’aveva condotto a piedi verso la loro ultima destinazione.
Lottando contro un freddo al quale non era affatto abituato, il moro l’aveva seguita in religioso silenzio, stringendosi nel giubbino più pesante che fosse riuscito a procurarsi e aspettando che fosse lei la prima a parlare.
Ma la rossa non doveva essere in vena di inutili chiacchiere, perché aveva le iridi azzurre vacue, perse in un punto indefinito davanti a sé.
Entrare in quel cimitero aveva infuso al giovane un misto di tristezza e timore reverenziale.
La ragazza aveva raccolto distrattamente una rosa color fuoco dal banchetto del fioraio che lavorava lì, troppo assorta per rendersi conto che aveva dovuto essere Microft a dargli in corone ciò che gli spettava.
Lei continuava ad avanzare come uno zombie tra le varie tombe, senza guardare neppure dove metteva i piedi. Come se fosse attratta da una calamita naturale; il semidio non poteva perderla d’occhio, se voleva sperare di starle dietro.
Andrea si fermò quasi di scatto, all’improvviso. Si lasciò cadere in ginocchio davanti ad una piccola lapide bianca, prendendo un profondo respiro tremante.
Il figlio di Efesto aveva avuto la cauta accortezza di non avvicinarsi troppo, restando circa quattro passi dietro di lei. Non voleva invadere i suoi spazi, ovviamente; e poi non poteva fare a meno di avere la sensazione di essere un intruso, di fronte a quella scena.
Sentendosi di troppo, cercò di focalizzare l’attenzione su altri piccoli dettagli che lo estraniassero dal resto. Come la precisione con la quale era stato levigato il marmo; o la semplicità con la quale era stato intagliato.
Incise vi erano solo due date – una di nascita e l’altra (a poco più di un anno di distanza) di morte – e un nome: Nikolaj.
Come la ‘N’ del suo tatuaggio…, si ritrovò a pensare, un attimo prima che le spalle di lei fossero attraversate da uno spasmo.
Aveva adagiato dolcemente il fiore sulla neve sciolta, e all’inizio aveva tentato in tutti i modi di trattenere le lacrime. Ma poi era stato un singhiozzo a tradirla; e poi un altro ancora, in seguito al quale si era accorta di avere le guance completamente bagnate.
Tirò mestamente su col naso, oramai incapace di governare le proprie emozioni, e si portò una mano al petto, come se anche il solo respirare le provocasse delle fitte al cuore.
Per qualche attimo, il ragazzo restò ad osservarla, ripetendosi che in quel momento l’unico vero regalo che potesse farle era un po’ di privacy. Ma poi la vide poggiare un palmo a terra, il peso della sofferenza a gravarle sulla schiena, e non poté sottrarsi all’impulso di inginocchiarsi accanto a lei.
Le accarezzò teneramente la nuca, per poi attirarla a sé e stringersela al petto. La figlia di Tyr si accasciò letteralmente tra le sue braccia, sfogandosi in un pianto disperato e avvilito. Si aggrappò con un pugno al suo cappotto, lasciando che il calore di lui la cullasse rassicurante; che le impedisse di tremare.
Restarono in quella posizione per un tempo che parve dilatarsi in eterno – lei al sicuro nell’abbraccio di lui; lui con le iridi scure fisse sul nome scritto sulla lapide.
C’erano tante cose che ancora non sapeva della giovane dai capelli color fragola, eppure qualcosa gli suggeriva che era sulla buona strada per conoscerle tutte.
Lei lo aveva avvertito: entrare a far parte della sua vita significava aiutarla a sorreggere il peso che la opprimeva, e che la teneva prigioniera da anni.
Ma lui non aveva paura. Ce l’avrebbe messa tutta, ormai era pronto.
Anzi, in fondo al suo subconscio era consapevole di esserlo sempre stato.
 
Ω Ω Ω
 
 
Il motel che avevano trovato non era certo dei migliori, ma Microft aveva visto di peggio.
Da quando se n’erano andati dal cimitero, lui e Andrea non avevano più sillabato neanche una parola. Erano tornati nella loro stanza in religioso silenzio; poi lei si era chiusa in bagno ed era rimasta sotto la doccia per quaranta minuti, mentre il moro chiedeva all’uomo della reception di ordinare una pizza per loro.
Pessima idea, considerato che l’impasto norvegese aveva la stessa consistenza di una gomma da masticare. Ma in quel momento erano talmente affamati che sarebbero stati capaci di ingurgitare qualsiasi cosa.
Una volta che lei fu uscita dal bagno, si diede una rinfrescata anche lui. I suoi muscoli si rilassarono sotto il torpore dell’acqua calda, e il ragazzo rimase lì per quello che parve un tempo infinito – prima di infilarsi un paio di pantaloni e una maglietta puliti e raggiungere la giovane.
Non appena aprì la porta per uscire, se la ritrovò di fronte, a meno di un metro di distanza.
Era seduta sull’unico letto matrimoniale della stanza – e sì, il figlio di Efesto aveva accettato di cederglielo e di dormire sulla poltrona. Aveva i capelli ancora un po’ umidi, gli occhi arrossati per via del pianto nel quale si era liberata poco prima. Indossava una t-shirt scolorita e un paio di shorts neri.
Quando lo vide, abbozzò un sorriso tirato.
«Presumo sia giunta l’ora di ringraziarti» esordì, torturandosi le mani imbarazzata.
Il semidio si accomodò accanto a lei, grattandosi distrattamente una tempia. «Per cosa?»
«Non fare il finto tonto, Microft» lo riprese la figlia di Tyr, con una punta di sarcasmo. «Quello che hai fatto… che fai per me…» Esitò, prendendo un grande respiro. «Cosa ho fatto per meritarmelo?» chiese infine, incrociando il suo sguardo.
Il moro allungò una mano, spostandole dolcemente una ciocca rossa dietro l’orecchio. «Mi hai permesso di far parte della tua vita» le ricordò, come se fosse ovvio. «Un po’ controvoglia, certo. Ma so che non è stato semplice, per te.»
Passarono alcuni secondi, prima che Andrea prendesse coraggio. Si mordicchiò agitata il labbro inferiore, chiudendo le palpebre e sospirando, con aria stanca.
«Si chiamava Nikolaj» confessò dopo un po’, e la sua bocca si distese in un sorriso malinconico. «Ma lo chiamavamo tutti Nykko. Nella nostra lingua significa “amato da tutti”, sai? Ma a quanto pare non era affatto così.»
«Non sei tenuta a raccontarmi queste cose» le assicurò lui, massaggiandole teneramente la schiena.
«Ma voglio farlo» ribatté lei, per poi incatenarsi alle sue iridi scure. Fece intrecciare le loro dita, un gesto dal suo punto di vista tanto strano; eppure in quel momento le venne naturale.
«C’è una cosa che non ti ho mai detto di me» proseguì, stavolta con tono più deciso.
«Il tuo colore preferito?» azzardò Microft, inarcando un sopracciglio.
«Il mio cognome.» Quella notizia lo colse leggermente alla sprovvista. Tenne gli occhi fissi su di lei, attento. «Faccio parte della famiglia degli Wingalf. Sai questo cosa significa?»
«Immagino di no.»
«Wingalf era il figlio di Weohsten, uno svedese del clan dei Waegmund. Voglio fartela breve, quindi ti dirò soltanto che dopo aver ereditato la spada dal padre, egli combatté al fianco di Beowulf contro il famigerato drago che aveva attaccato Gӧtaland. Era definito “un guerriero con lo scudo degno di lode”, dal suo popolo. Un vero eroe.» Fece una breve pausa. «Dopo quella battaglia, la sua arma fu tramandata dalla nostra famiglia per generazioni. E i discendenti dei due compagni d’azione strinsero un patto di fratellanza che dura tutt’ora.»
«Frena un attimo» la interruppe lui, sollevando la mano libera per bloccarla e aggrottando la fronte perplesso. «Hai detto che il tuo antenato era un membro dei clan dei Waegmund. Non capisco, voi non avete una sorta di “regola di successione”? Tu non dovresti…»
«Farne parte a mia volta?» lo precedette la giovane. «Sì, è così. Ma ci arriverò, a quel punto.»
Si sgranchì la voce, riprendendo con aria solenne, assorta: «Come ti dicevo, i Wingalf e i Beowulf sono stati alleati per anni – anzi, millenni. Quando ero piccola, era abituata alla loro presenza nel palazzo in cui vivevo. Organizzavano balli, e feste…»
«Non sembra tanto male» commentò il figlio di Efesto, in un sussurro.
«I Beowulf avevano un figlio, Aleksander, di circa otto anni più grande di me. La mia matrigna non faceva che ripetermi che un giorno ci saremo sposati. Organizzavano il nostro matrimonio praticamente da quando io ero nata.» Sbuffò tristemente, prendendosi il suo tempo per continuare.
«Avevo 14 anni, quando successe» disse, con tono grave. «Lui quasi 23. Era la sera del Thorrablot. Lui… mi ha trascinata con l’inganno nel bosco sotto casa, il più lontano possibile dai festeggiamenti. All’inizio pensavo che volesse solo fare una passeggiata con me – insomma, ero pur sempre la sua promessa sposa! Ma ad un certo punto mi ha bloccata contro un albero. Poi si è avventato su di me, e…»
Un singhiozzo sfuggì al suo controllo, e lei si premette un palmo sulla bocca per evitare che ne seguissero altri. Respirò affondo, nel tentativo di calmarsi.
«Ho cercato di oppormi» giurò, con voce tremante. «Ho provato con tutte le mie forza a scappare. Ma non ce l’ho fatta. Lui è stato… è stato più furbo di me. Per quanto urlassi, o mi dimenassi… alla fine ero comunque vittima della sua irruenza. Dopo aver abusato di me, mi ha lasciata lì, da sola a piangere e tremare. Due mesi dopo, ho scoperto di essere incinta.
«Quando l’ho raccontato ai miei, loro non potevano crederci. Quando poi la notizia è arrivata anche ai Beowulf, loro hanno tentato di convincermi ad abortire. Ma io non ho ceduto. Potevo anche non aver voluto io quel bambino, ma era pur sempre mio figlio. E non potevo lasciarlo morire.
«Nykko ha…» Si illuminò in volto, fissando un punto imprecisato dinanzi a sé con aria sognante. «Mi ha riempito la vita. Era il bambino più dinamico e felice che io avessi mai incontrato. Aveva grandi occhi celesti, e lentiggini su tutto il naso. Non somigliava affatto ad Aleksander. Né fisicamente, né tantomeno caratterialmente. Ma ciò non sembrava fare differenza. A-Aveva…» Le si spezzò la voce, ma si impose di andare avanti nel racconto. «Avevo solo un anno, quando dei servitori dei Beowulf hanno fatto irruzione in casa nostra, e me l’hanno portato via. Lui aveva appena imparato a camminare. Non era ancora in grado di difendersi da solo. Ed io ero ancora troppo debole. Sono riuscita solo a ferire i nostri aggressori, ma non a fermarli. Me l’hanno strappato dalle braccia senza il minimo ritegno. L’hanno ucciso sotto il mio sguardo, e io non ho potuto fare nulla per impedirglielo. E il tutto per evitare che una simile storia infangasse il nome della loro famiglia» osservò, disgustata. «Ma la cosa peggiore è stata scoprire che la mia, di famiglia, aveva intenzione di lavarsene le mani. Un’altra volta. Non possiamo iniziare una guerra contro i nostri più fedeli alleati”, è stata questa la loro motivazione.
«Da quel momento, ho smesso di essere una Wingalf per sempre. Ho chiuso ogni rapporto con loro. Non volevo più saperne niente di quelle persone. Sono scappata di casa, mi sono rifugiata all’Halvgud Campo e ho iniziato una nuova vita. Nessuno pareva conoscere il mio passato, lì, quindi ero solo… Andrea.
«Attraverso il ping sono entrata a far parte del clan degli Scylding. A quanto pare, mi ritengono molto saggia e matura, per la mia età» ridacchiò, non riuscendo però a celare una punta di amarezza.
Per tutta la durata della storia, Microft era rimasto in silenzio.
Si era limitato ad ascoltarla, deciso a capire di più, della figlia di Tyr che aveva di fronte. La ragazza gli aveva appena parlato a cuore aperto – cosa che, come aveva già ammesso, non aveva mai fatto con nessuno.
E adesso gli era chiaro il perché. Aveva sofferto e patito moltissimo, per avere soltanto sedici anni.
Tutto l’odio, e la tristezza, e la cattiveria di cui era stata vittima durante l’infanzia, avevano fatto sì che si creasse una corazza, attorno; e che non permettesse a nessuno di scalfirla.
Aveva giurato a sé stessa di non far parola ad anima viva di tutta quella faccenda che l’aveva portata ad essere così fredda e distaccata.
Eppure adesso si era confidata con lui. Tra tanti, lei si era fidata di lui.
Incapace di impedire ad un sorriso di incurvargli le labbra, il ragazzo si portò le loro mani ancora intrecciate all’altezza della bocca, lasciando un bacio sul dorso di quella di lei.
«Grazie» mormorò, con tono sincero.
La rossa sembrò confusa. «Per cosa?»
«Per avermelo raccontato.»
A quella frase, la semidea arricciò il naso, imbarazzata. Anche lei gli era grata per essere rimasto lì ad ascoltarla fino alla fine; e soprattutto per non averla giudicata subito dopo.
Era in momenti del genere che si rendeva conto di quanto in realtà quel figlio di Efesto fosse speciale. Tirandolo lievemente per un braccio, lo invitò a stendersi per qualche attimo sul letto, accanto a sé, e Microft non poté rifiutare.
Le cinse con accortezza le spalle, e Andrea posò istintivamente il capo sul suo petto, l’orecchio teso ad avvertire il tamburellare del suo cuore.
Gli disegnò dei piccoli cerchi con l’indice 
sullo sterno, e nonostante fosse sovrappensiero i suoi lineamenti erano distesi; il suo viso, rilassato.
«E tu, invece?» gli domandò poi, incuriosita. «C’è qualcosa che dovrei sapere di te?»
Il ragazzo gonfiò le guance, riflettendovici su. «Vengo da una famiglia numerosa» disse, facendo spallucce. «Mi madre… lei ha sempre fatto sì che crescessimo per i fatti nostri. Non dico che noi sia stata brava, solo che… avrei voluto che fosse stata più presente.»
«Ti manca?»
«Non molto» riconobbe, con noncuranza. «Ho una nuova famiglia, al Campo Mezzosangue. Una famiglia che mi piace, fatta di gente che adoro.»
«Tipo Rose?» fece quindi lei. Era difficile giudicare che espressione avesse, dato che il moro non riusciva a guardarla in faccia.
Titubò per qualche istante. Poi annuì.
«Ci tieni molto a lei, non è vero?»
«Più di quanto immagini» dichiarò lui, con un’onestà disarmante. «Lei è… è tutto, per me. È la mia migliore amica.»
Ripensò a come si erano lasciati; al «Va al diavolo» che lei gli aveva urlato in faccia.
Non le aveva mai detto quanto fosse importante per lui. Non se ne era mai presentata l’occasione, suppongo. O forse Microft non ne percepiva semplicemente l’esigenza. C’erano e ci sarebbero sempre stati l’uno per l’altra, no? Ciò voleva dire che il bene che li legava fosse scontato.
A ragionarci ora, il figlio di Efesto non ne era poi così sicuro.
«Tra voi non c’è mai stato…» La figlia di Tyr indugiò, con un po’ di vergogna. «Sì, insomma.»
Non appena intese dove volesse andare a parare con quel quesito, il giovane si lasciò scappare una sommessa risata. «No» rispose, scuotendo la testa. «Lei ha una cotta per John praticamente da una vita.»
«E tu, per lei?»
Fu a quel punto che, inavvertitamente, il moro arrossì – ringraziando gli dei perché la nordica non potesse vederlo.
E lui, per lei?
Doveva ammettere con sé stesso di non essersi mai posto quella domanda, prima di allora.
«Io…» Non riuscì a trovare il modo giusto per replicare.
Aveva mai pensato a Rose in quel modo?
Beh, no. Non che lui ricordasse, almeno.
Solo all’inizio, magari.
Quando era entrato per la prima volta in quella stanza dell’infermeria – sedendosi al suo fianco davanti al letto di un Percy malato – aveva pensato che fosse molto bella, giusto?
Erano stati i suoi occhi, i primi a colpirlo. Quelle iridi cangianti del colore del mare che lo squadravano con circospezione.
E poi?
Avevano condiviso moltissimo, insieme. Delusioni, vittorie, risate, abbracci.
Lei era stata la sua prima amica, la sua prima confidente, il suo primo alleato.
Anche il suo primo bacio, in realtà – ma quello era un episodio che non avevano mai raccontato a nessuno.
Non scherzava, quando diceva che lei era tutto, per lui. Ma addirittura esserne innamorato?
Era davvero possibile che arrivassero a tanto?
Lanciò di traverso un’occhiata alle ciocche rosse di Andrea, che restavano lì, adagiate delicatamente sul suo petto.
Aveva il suo profumo nelle narici, il suo respiro a vibrare simultaneamente con quello di lui; come stretti in unico corpo, Microft parve rendersi conto solo in quel momento di quanto tutto quello fosse unico ed irripetibile.
La prima volta in cui si erano visti, il semidio mai avrebbe pensato di poterle stare così vicino. Ma ora avrebbe potuto rimanere in quella posizione per tutta la vita.
Il suo iniziale colpo di fulmine si era trasformato in molto, molto di più. In un sentimento più vero e intenso.
Forse anche più puro.
«Vedi, il fatto è che al momento sono invaghito di un’altra» concluse, con aria di sufficienza. «Una certa ragazza nordica con dei grandi occhi azzurri e i capelli biondo fragola. Sai, lei non mi dà corda, ma sento che prima o poi riuscirò a conquistarla.»
Quell’affermazione strappò un sorriso alla figlia di Tyr, che gli passò a sua volta un braccio attorno alla vita, accovacciandosi ulteriormente contro di lui.
Chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dai regolari battiti del cuore del figlio di Efesto, che premette dolcemente il naso sui suoi capelli, inspirando a fondo quasi volesse inebriarsi maggiormente del suo odore di pulito.
«Microft?» chiamò ad un tratto lei, in un tono tanto lieve che lui a malapena lo udì.
«Mh?»
«Verde» fu l’unico commento della ragazza, al ché lui corrugò la fronte, interdetto.
«Come?»
«Il mio colore preferito» disse dunque la giovane, un leggero ghigno ad incurvarle le labbra. «È il verde.»
Quella notte, alla fine, Microft dormì lì.
Con lei, sullo stesso materasso. Protetti in un abbraccio che venne sciolto solo dalla sveglia della mattina seguente.
E non ci fu cosa più bella, per lui, che sollevare le palpebre all’udire quel suono orribile e ritrovarsi ad un palmo di distanza il volto di Andrea; e a quelle sue bellissime iridi del colore del cielo. 



Angolo Scrittrice. 
Ehi, fanciulloschi!
So di essere in ritardo di un giorno anche stavolta, ma l'importante è che io sia riuscita comunque ad aggiornare, no? 
Che dire di questo capitolo? 
Finalmente
Leo ha ammesso di essere geloso di Emma! Che ne pensate delle sue motivazioni? Giustificano il suo atteggiamento scorbutico e infastidito? 
Non essere riuscito a rispondere alla domanda di
Astrid, però, gli darà sicuramente da pensare. Che credete che succederà, durante il ballo? 
Leo farà un'altra delle sue cavolate? O deciderà finalmente una volta per tutte di farsi da parte? 
Ma parliamo adesso di
Andrea, e della sua storia che finalmente viene alla luce. 
Devo ammetterlo, non mi ero mai messa tanto in gioco come con questo personaggio. Il suo passato è così tormentato e i suoi sentimenti così difficile da interpretare che per me è stato molto difficile rendere al meglio ciò che provava e che prova tutt'ora. 
Spero di essere riuscita nel mio intento, comunque, e di aver reso al meglio tutta la situazione. 
Che opinioni avete riguardo la sua storia? Che ve ne pare, adesso, di lei? 
Il rapporto tra lei e
Microft, tra l'altro, va via via consolidandosi sempre di più. Riuscirà il nostro figlio di Efesto a conquistarla, alla fine? 
E c'è un altro legame sul quale voglio aprire una piccola parentesi, ed è quello tra
Microft e Rose. MICROSE, come l'avete definita voi lettori. 
Una ship che non è mai diventata canon, ma che... avrebbe le carte in regola per diventarlo? O forse no? Voi che dite? 
E per chi se lo stia realmente chiedendo: sì, Rose è stata il primo bacio di Microft. 
Come? Quando? Dubito che quest'episodio venga chiarito in questa storia, ma aveva una mezza idea di scriverne una one-shot a parte. 
Vi piacerebbe l'idea? Sareste disposti a leggerla?
Bien bien, ora è arrivato il momento di ringraziare i miei dolcissimi Valery's Angels, per aver commentato lo scorso capitolo:
LaFilleTerrible, ArchaonTheEternalTheNew, Black Truth e LoveDragon02
Ringrazio inoltre tutti voi che state leggendo questa parte in viola, e mi auguro di poter conoscere le vostre opinioni in merito al capitolo. 
Alla prossima settimana! Ily
Sempre vostra,

ValeryJackson

 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***



La sera del ballo era finalmente arrivata, e Rose non stava più nella pelle.
Sin dall’istante in qui quell’evento era stato annunciato, non aveva fatto altro che fantasticare su come sarebbe stato, immaginando una miriade di scenari diversi riguardanti lo svolgimento della serata.
L’intero Campo Mezzosangue era letteralmente in fibrillazione; per non parlare dei ragazzi nordici, che pareva avessero organizzato tutto nel minimo dettaglio.
La figlia di Poseidone voleva fare le cose in grande, quel giorno, a partire dalla preparazione iniziale. Doveva essere tutto perfetto e speciale; per questo aveva deciso di cacciare dalla Casa Tre Michael e Percy, così da poter invitare alcune delle sue amiche e vestirsi tutte insieme.
«Non mi interessa che non abbiate un posto dove andare» li aveva sviati, e i due fratelli le avevano rifilato un’occhiata indignata e sconvolta. «Raggiungete John. Sono certa che nella Cabina Sette c’è spazio anche per voi.»
Le prime ad arrivare erano state Annabeth e Piper, seguite a ruota da Katie, Melanie e Iris.
Rose aveva pensato di chiamare anche Kara, che le aveva raggiunte subito dopo Emma e Skyler. Nell’ultimo periodo aveva stretto un buon rapporto con la figlia di Ecate. Era una tipa sveglia, sarcastica e decisamente simpatica, e la mora si era sentita onorata quando lei aveva accettato con entusiasmo di unirsi a loro.
Dopo circa due ore di tulle, risa, eyeliner e piastra per i capelli, erano già tutte pronte.
Con i boccoli corvini leggermente racconti sulla nuca, la figlia di Poseidone si aggirava distrattamente per la stanza, un sorriso ad illuminarle il viso.
La figlia di Afrodite stava tentando di convincere Annabeth ad usare un piegaciglia. Indossava un abito color anguria, con una scollatura a cuore. Sul davanti la gonna arrivava poco al di sopra del ginocchio, mentre dietro si allungava in uno strascico lungo fino alle caviglie.
Il vestito della figlia di Atena era molto simile, solo decisamente meno… elaborato. Era di un bianco perla, con lo stesso gioco di gonne di quello dell’amica. Con le ciocche bionde raccolte in una treccia morbida, sembrava davvero la reincarnazione di una dea greca.
Mentre le osservava bisticciare, Rose vide con la coda dell’occhio Iris scuotere il capo sconsolata nel notare le converse che Kara aveva abbinato al proprio abito arancione. Dal canto suo, la figlia di Iride aveva optato per un verde acqua molto brillante, che le metteva ancora più in risalto i capelli blu. Il suo vestito le lasciava una spalla scoperta, e i tacchi vertiginosi le stavano d’incanto – e non solo perché sembrava essere l’unica in grado di camminarci senza sembrare un elefante in una cristalleria.
La figlia di Poseidone si specchiò con un sospiro, ravvivandosi un boccolo ribelle dietro l’orecchio. Aveva scelto per sé una semplice mise senza bretelle, con il corpetto tempestato di piccoli diamantini.
Alla fine aveva seguito il consiglio di John, si disse lisciandosi la gonna a balze viola e celesti. Il figlio di Apollo aveva ragione, quel colore riusciva ad evidenziare i suoi occhi del colore del mare – che in quel momento erano di un azzurro molto acceso.
Sorrise al proprio riflesso, domandandosi che cosa avrebbe indossato il biondo, quella sera. Molto probabilmente avrebbe messo una cravatta proprio come tutti gli altri; ma chissà perché la mora sentiva che a lui avrebbe donato un fascino diverso. Un’aria più elegante.
Si morse la lingua, maledicendosi per quel pensiero. Sarebbe stato Aren il suo accompagnatore, non John. Lui sarebbe andato lì con la sua ragazza, che era proprio…
Rose non si era accorta di averla avuta alle spalle per tutto questo tempo. Melanie era seduta sul bordo del suo letto, intenta a giocherellare con l’orlo del proprio abito giallo.
Non aveva alcunché di particolare o artificioso, ma non si poteva negare il fatto che pareva essere stato cucito appositamente per lei, con una scollatura all’americana molto raffinata.
Dava l’impressione di essere a disagio, accucciata in un angolo tutta da sola. Come se si sentisse fuori posto, in quell’ambiente pieno di ragazze emozionate e ben curate.
Con un po’ di esitazione, la figlia di Poseidone le si avvicinò, rivolgendole un caloroso sorriso.
«Ehi!» esclamò; forse con un po’ troppa enfasi, dato che la figlia di Demetra sobbalzò, spaventata.
«Ciao» mormorò di rimando, incurvando appena un angolo della bocca all’insù.
«Bel vestito» si complimentò la mora, al ché lei abbassò lo sguardo, imbarazzata.
«Ti ringrazio. Anche il tuo è molto bello.»
L’altra fece una piroetta, così che i volant svolazzassero. «Sceglierlo è stato un parto» confessò, divertita.
«Però ti sta davvero bene.»
Buttandole una rapida occhiata, Rose intuì che lo pensava sul serio. Si sentì lusingata da quel complimento. Chissà perché aveva sempre avuto l’inconscio desiderio di piacere a quella ragazza.
Forse semplicemente perché si trattava della fidanzata di John. Insomma, era riuscita in poco tempo a fare ciò per il quale lei aveva lottato per anni: conquistarlo.
E doveva per forza trattarsi di una persona speciale, per essere stata in grado di rubare il cuore d’oro del figlio di Apollo.
«Come mai hai deciso di lasciare i capelli sciolti?» le chiese con innocenza, notando come le ciocche color grano le ricadessero fastidiosamente sul viso, andando a volte a coprirle gli occhi.
«Oh, ehm» balbettò Melanie, spostandosele velocemente dietro l’orecchio. «Io, ehm… per me è un po’ difficile, sai…»
Quella frase restò in sospeso, ma dopo un po’ per mora fu tutto più chiaro. Non doveva essere facile farsi un’elaborata acconciatura, quando si ha un braccio solo.
Per quanto all’apparenza forte e determinata, la bionda soffriva ancora molto, per quella sua mancanza.
Nell’immediato, provò una forte compassione ed empatia nei suoi confronti. Il suo sguardo si addolcì, mentre le porgeva gentilmente una mano.
Sotto il cipiglio interrogativo di lei, la figlia di Poseidone fece spallucce.
«Ti andrebbe di farti pettinare da me?» le propose, conducendola verso lo specchio. «Sai, potrei legarteli in qualche modo un po’ strano, così da dargli un po’ di movimento.»
«Non sei costretta a…» fece per assicurarle la figlia di Demetra, ma l’altra la interruppe sollevando una mano.
«Se non ci si aiuta tra amiche» le fece notare, incontrando le sue iridi color nocciola nel riflesso. Le spostò i capelli dal viso, facendole un complice occhiolino.
«Fidati di me» le intimò, con tono deciso. «Farò in modo che guardandoti John resti senza fiato.»
Ridacchiarono insieme; dopo di ché, Melanie accettò con un cenno d’assenso.
Rose era sincera – voleva seriamente farle fare bella figura. In fondo, poteva anche averle sottratto l’opportunità di guadagnarsi l’amore di John.
Ma era pur sempre un’anima pura. E in quanto tale, era impossibile non amarla.
 
Emma era chiusa in bagno da un po’.
Non era mai stata un’amante della moda e delle feste, ma quella sera era decisa a farsi notare.
Voleva che Larsen la trovasse bellissima, quando la vedeva.
Larsen… sarebbe stato l’accompagnatore perfetto, non c’era alcun dubbio. Sarebbe riuscito a farla sentire una principessa, e lei si sarebbe sforzata di comportarsi da tale.
Voleva che il figlio di Balder pensasse che nonostante le sue umili origini, non avesse nulla da invidiare a tutte le altre ragazze altolocate che in passato aveva frequentato.
Terminando con accortezza di definire la linea dell’eyeliner, osservò soddisfatta il proprio lavoro allo specchio, per poi afferrare il mascara ed iniziare ad imbrunirsi le ciglia.
Skyler entrò proprio in quell’istante, facendo capolino dalla soglia.
«Sei pronta?» le domandò, chiudendosi la porta alle spalle e raggiungendola accanto al lavandino.
«Non ancora» rispose la bionda, senza distogliere l’attenzione dal proprio meticoloso lavoro. «Voi andate pure senza di me. Io vi raggiungo.»
La figlia di Efesto incrociò le braccia al petto, studiandola distrattamente da capo a piedi. Sentendo le sue iridi mogane fisse su di sé, l’amica interruppe il proprio gesto a metà, inarcando un sopracciglio nella sua direzione.
«Che c’è?» indagò, con aria circospetta.
«Niente» scosse il capo la mora, stringendosi nelle spalle. «Stavo solo pensando.»
La figlia di Ermes assottigliò lo sguardo, poco convinta; ma poi decise di lasciar correre, riprendendo ciò che aveva lasciato in sospeso.
Passarono alcuni secondi di totale silenzio, prima che Skyler prendesse un profondo respiro, inclinando la testa di lato.
«Tu lo sai che a me puoi dire tutto, vero?» fece, al ché Emma sbuffò dal naso, divertita.
«Ovvio che sì» replicò, come se fosse scontato.
«Intendo proprio tutto tutto» ci tenne a precisare lei. «Sono la tua migliore amica.»
La bionda si voltò, così da poterla guardare direttamente negli occhi. «È successo qualcosa?»
«Vorrei saperlo da te.»
«Io sto benissimo.»
La figlia di Efesto annuì, incerta. Giocherellò sovrappensiero con il braccialetto di cuoio che portava al polso – quello che le aveva regalato Michael l’estate precedente.
«Lo so che a te non fa piacere parlarne con me» esordì in un mormorio, quasi volesse assicurarsi che nessuno potesse origliare. «Non ti va di parlarne mai con nessuno, in realtà.»
La figlia di Ermes abbassò quindi le palpebre, capendo solo in quel momento dove volesse andare a parare. «Sky…» sussurrò, ma l’altra continuò comunque.
«Voglio solo che tu sappia che… è okay, se in questo momento stai pensando a lui.»
«Io non penso a lui» ribatté quella, a denti stretti.
«Non c’è niente di male» la rassicurò l’amica. «Anzi, è del tutto normale. Tra voi è finita in un modo molto… brusco.»
«Non è mai iniziata.»
«Come vuoi. Il punto è che… forse c’è ancora qualcosa di irrisolto, tra voi due. Lo vedo da come ti comporti, Emma. Da quello che fai. Tu non speri di fare colpo di Larsen, stasera. Tu ti auguri che lui capisca che cosa si è per-»
«Non farlo» la pregò la semidea, affondando i denti nel labbro inferiore così tanto da farsi male.
Detestava il fatto che Skyler riuscisse a leggerle dentro così bene. Come aveva fatto a capirla meglio di quanto lei avesse inteso sé stessa?
Era vero, non le sarebbe dispiaciuto se Leo fosse rimasto a bocca aperta nel vederla.
Era di lui che si parlava. Sempre di lui; solo di lui.
Come un’allergia che continuava a manifestarsi quando lei meno se l’aspettava.
Era infetta da Leo Valdez, e non riusciva a trovare una cura per liberarsene.
«Lars è un ragazzo meraviglioso» dichiarò, ma sembrava cercasse di convincere più il proprio subconscio, che la mora. «Lui mi rende felice.»
Accarezzandole teneramente i ricci ribelli, la figlia di Efesto le rivolse un sorriso gentile. «Me lo auguro» disse, avendo la giusta premura di non aggiungere altro.
Emma sospirò, prima di indicare il riflesso dell'altra con un cenno del mento. «E tu?» le chiese, tirando su col naso. «Come stai?»
«Ho una strana sensazione» ammise la ragazza, mordicchiandosi nervosamente l’interno della guancia. «Non so cosa sia, ma non mi piace affatto.»
«Hai paura per Michael?» azzardò quindi la bionda, che alla sua espressione perplessa chiarì: «Sai, tu e lui potreste…»
Non fece in tempo a terminare quell’allusione, che ricevette un indignato pugno sul braccio.
«Che c’è?» replicò, con un sorrisetto malandrino. «È un ballo pieno di alcool e adolescenti in preda agli ormoni. Non dirmi che non ci avevi pensato.»
«Io e Michael stiamo aspettando il momento giusto.»
«Che potrebbe essere stasera» sottolineò la giovane.
«O magari no.»
«Dubito che la cosa ti dispiacerebbe.»
«Oh, ma smettila!»
Risero entrambe, proprio nell’attimo in cui la porta si aprì. «Ragazze, andiamo?» le esortò Rose, scintillante nel suo outfit impeccabile.
Skyler guardò la figlia di Ermes, che arricciò il naso. «Vi raggiungo tra qualche minuto» giurò, invitandole ad incamminarsi senza di lei.
La mora fece un cenno d’assenso, seguendo il resto delle ragazze fuori dalla Cabina Tre. Prima di uscire dal bagno, però, si girò a guardare l’amica un’ultima volta.
«So che provi un sentimento molto forte per lui» affermò, senza titubare. «Non so se sia odio, o qualcos’altro. Ma posso dirti che qualsiasi cosa sia, non puoi continuare a reprimerlo così per sempre. Io voglio solo che tu non abbia rimorsi» aggiunse poi, con voce dolce. «Fidati, è più facile convivere con i rimpianti. E Leo potrà anche essere mio fratello, ma… te l’ho detto, tu sei la mia migliore amica. Ed io voglio solo il meglio, per te.»
Detto questo, andò definitivamente via.
E in quel silenzio rintronante, Emma si ritrovò nuovamente sola con sé stessa.
Sbuffò rumorosamente, stringendo le dita attorno ai bordi del lavandino e posandovici contro tutto il proprio peso.
Sollevò il capo, guardando negli occhi la propria immagine riflessa nello specchio.
Rimorsi o rimpianti? Cosa sarebbe stato peggio da sopportare per il suo povero cuore?
Si passò una mano tra i capelli, focalizzando tutta l’attenzione sulle proprie iridi argentate. E in quel frangente le tornò in mente il proprio spirito animale.
Le parve di ritrovarselo di fronte, a muoversi sinuoso nella sua forma lucida e brillante.
Dahl le aveva spiegato che era simbolo di femminilità e potenza. Di forza ed eleganza allo stesso tempo.
Bello, proprio come ciò che lei sperava di essere quella sera.
Si sporse ulteriormente verso il vetro, stringendo le palpebre a due fessure con aria di sfida.
Rimorsi o rimpianti?
Sarebbe stata lasciata alla sua natura felina, l’ardua sentenza.
E nello schiudere leggermente la bocca, la giovane ebbe l’impressione che il ruggito che udì rimbombare nella sua scatola cranica provenisse direttamente dalle proprie corde vocali.
 
Ω Ω Ω
 
Michael si allontanò con due dita il bavero dal collo, sbuffando nervoso.
Stava sudando davvero molto – troppo! – in quella camicia, e la colpa era solo di John che l’aveva convinto ad indossarla.
«Ti darà un tono, vedrai», gli aveva assicurato. Ma ora come ora l’unica cosa alla quale riusciva a pensare era a quanto fastidioso fosse quel tessuto a contatto con la sua pelle.
«È normale che pruda?» aveva chiesto distrattamente a Percy, che in piedi al suo fianco si era limitato ad una sonora risata.
Come da manuale, la festa era stata allestita all’interno della tenuta nordica, in un enorme salone sotterraneo che la Gunvor aveva fatto costruire proprio in vista di quel giorno.
Le luci soffuse conferivano alle pareti una tonalità dorata, e bisognava scendere una grande scalinata, prima di potersi trovare nell’atrio che precedeva l’entrata nella sala.
Mentre la gran parte dei ragazzi aveva già occupato la pista da ballo, l’altra metà sostava nell’androne con grande aspettativa, fissando ansiosa i gradini di marmo.
Tutti maschi, aveva constatato il figlio di Poseidone stupito – molto probabilmente in attesa che le rispettive dame facessero il loro ingresso trionfale.
Il moro aveva osservato impaziente tutte le giovani in ghingheri passargli davanti per raggiungere i propri cavalieri.
Tra non molto sarebbe arrivata anche la sua, di ragazza; e chissà perché la cosa gli faceva sudare le mani.
«Non essere così agitato» gli sussurrò cautamente Percy, lanciandogli un’occhiata di traverso.
«Non lo sono» mentì il minore, asciugandosi i palmi contro la stoffa lucida dei pantaloni. Entrambi avevano scelto un abito blu scuro, solo che mentre la sua cravatta era a tinta unita, quella del maggiore aveva sopra delle righe trasversali.
«Skyler non ti giudicherà solo perché stai indossando lo stesso le tue Converse» fu preso in giro il moro, che storse la bocca con disappunto.
«Lo so» mormorò semplicemente, gonfiando le guance quasi quel gesto potesse aiutarlo ad alleviare la tensione.
«E allora che c’è?»
«Io…» esitò qualche attimo, misurando attentamente le proprie parole. «È il mio primo ballo, ecco.»
Il fratello soppesò con un cipiglio interrogativo quell’affermazione. «E quindi?»
«Non ho idea di come comportarmi.»
Solo a quel punto Percy gli si parò davanti, posandogli le mani sulle spalle e rivolgendogli un sorriso rassicurante. «Non é difficile» lo incoraggiò, con un cenno del capo. «La porti in pista, la fai ballare. Flirtate un po’. Poi vi allontanate per fare una passeggiata romantica sotto le stelle, e il resto viene da sé.»
«È proprio questo che mi preoccupa» borbottò sommessamente Michael, e quando il maggiore assottigliò lo sguardo, interdetto, lui fece roteare gli occhi.
«Io e Skyler non abbiamo mai…» Si bloccò, arrossendo. «Insomma, hai capito.»
Al figlio di Poseidone ci vollero alcuni secondi, prima di comprendere cosa volesse intendere. E quando lo intuì, inarcò le sopracciglia – e le sue labbra si piegarono a formare una ‘o’ perfetta.
«Oh» fu il suo unico commento; ma prima che potesse aggiungere altro furono affiancati da John, che dando di gomito al suo migliore amico fece un occhiolino.
«Non vorrei interrompervi» li avvisò, indicando le scale con un rapido movimento del mento. «Ma le ragazze sono arrivate.»
Sollevando lo sguardo a quella notizia, il cervello di Michael andò definitivamente in panne.
Piper, Iris, Annabeth, Melanie e sua sorella Rose stavano scendendo tutte insieme, ridacchiando tra loro emozionate. Ma per quanto potessero essere belle, lui non riusciva ad avere occhi che per la sua Skyler.
Indossava un abito di una semplicità disarmante, che però addosso a lei assumeva un’eleganza e una bellezza mozzafiato.
Era di un rosso fuoco, senza spalline e con una fascia a malapena visibile che le metteva in risalto il punto vita. La gonna le arrivava poco sopra il ginocchio, e reggeva nell’incavo del gomiti una stola che si abbinava egregiamente alla stoffa del vestito.
Era perfetta. Il moro non riusciva a trovare altro aggettivo per descriverla.
Quando suo fratello andò spedito verso la figlia di Atena, accogliendola con un tenero bacio, il giovane si riscoprì incapace di muovere un passo – troppo esterrefatto per farlo.
La figlia di Efesto dovette accorgersi della sua espressione estasiata, perché gli sorrise raggiante; gesto che lui non esitò a ricambiare.
La semidea lo raggiunse, stringendosi nelle spalle con un po’ di timidezza.
«Ciao» lo salutò.
«Sei…» Il figlio di Poseidone boccheggiò qualche istante, stupito. «Wow
La ragazza rise piano, per poi prendergli il volto tra le mani e premere dolcemente le labbra contro le sue.
«Belle scarpe» scherzò, riuscendo a strappargli un ghigno compiaciuto.
«Modestamente» si vantò infatti lui, guadagnandosi pugno sul braccio.
Poco distante da loro, Melanie aveva avanzato eccitata verso John, che annullò i metri che li separavano con una camminata sicura.
Aveva scelto per sé uno smoking bianco, che non solo metteva in risaluto i suoi naturali colori chiari, ma gli donava una lucentezza ed una regalità più uniche che rare.
Afferrò con gentilezza la mano della figlia di Demetra, baciandole il dorso con fare galante.
«Sei splendida» si complimentò, al ché lei arrossì lusingata.
Alla fine, Rose aveva pensato bene di raccoglierle i biondi capelli su un lato, così che ricadendole sulla spalla rendessero il suo moncone meno evidente. Una scelta più che azzeccata, e che le aveva permesso di smettere di preoccuparsi di quella che sarebbe stata la reazione degli altri quando l’avrebbero vista.
«Ti ringrazio» gli sussurrò, grata, prima che lui le accarezzasse la linea della mascella con l’indice, e poi giù fino al mento; glielo sollevò appena, facendo incontrare le loro labbra in un casto e amorevole bacio.
Nel frattempo, Piper era andata vicino a Leo, che nello scorgerla aveva fischiato, sarcastico.
«Quanta bellezza!» si era congratulato, e lei gli aveva fatto una linguaccia.
«Allora» continuò poi il figlio di Efesto, dondolandosi con nonchalance sul talloni. «Che programmi hai per questa notte?»
«Nessuno, dato che anche il mio migliore amico ha deciso di darmi buca.»
«Oh, andiamo!» replicò lui, sorpreso. «Non dirmi che non hai ricevuto neppure un invito.»
«Un paio, in realtà» confessò lei, con aria triste. «Ma li ho rifiutati tutti.»
«Proprio tutti?»
«Già.»
«Però» assentì il moro.
«È che non ho voglia di ballare con nessuno, stasera» fece spallucce la figlia di Afrodite.
Fu allora che il ragazzo si lasciò sfuggire un sorriso sghembo. «Beh» cantilenò, con aria complice. «Forse conosco qualcuno che può farti cambiare idea.»
Dinanzi alla fronte corrugata della giovane, lui le fece l’occhiolino, indicando con un cenno un punto imprecisato alle sue spalle.
La mora si voltò, confusa. E quando riconobbe colui che si stava avvicinando a loro, un urlo di stupore fu liberato dalle sue corde vocali.
Si portò una mano a coprire la bocca, sentendo i propri occhi imperlarsi di lacrime di gioia.
Jason non fece neanche in tempo a sorriderle, che lei gli corse incontro, saltandogli al collo con talmente tanto impeto che il figlio di Giove minacciò di cadere a terra.
La strinse forte a sé, sollevandola da terra e nascondendo il viso nell’incavo del suo collo.
«Neanche tua madre è mai stata così bella» le disse, e Leo gli indirizzò un doppio pollice all’insù, fiero del suo più caro amico.
Era stato lui a contattarlo, la sera prima. Grazie ad Annabeth era venuto a sapere della volontà di Piper di andare da sola al ballo, e aveva riflettuto che molto probabilmente quella sarebbe stata l’occasione giusta per i due di riunirsi.
Negli ultimi tre mesi si erano visti di rado, dato che il biondo era stato surclassato dal propri impegni al Campo Giove.
Vederli così felici riempiva il cuore di Leo di contentezza e soddisfazione. Erano pur sempre i suoi migliori amici, d’altronde. Le prime due persone delle quali si era ciecamente fidato.
Scrollò leggermente il capo, lasciandoli alla loro intimità. Gli diede infatti le spalle, rivolgendo nuovamente la propria attenzione alla grande scalinata.
Ma non appena le sue iridi scure si posarono sul gradino più alto, il suo cuore perse un battito.
Il mondo sembrò fermarsi nell’istante stesso in cui la vide.
Emma risplendeva così tanto di luce propria da offuscare tutto il resto intorno a sé.
Indossava un abito senza spalline, con un corpetto nero ricamato in pizzo. Il vestito si apriva poi in una gonna di tulle bianco lunga fino a metà coscia.
Aveva i capelli ricci ritirati in una coda alta, in modo da lasciare il viso scoperto e mettere maggiormente in risalto i suoi grandi occhi da cerbiatto.
Sorrise, e per un attimo il figlio di Efesto ebbe l’impressione che stesse guardando proprio lui.
La scena si svolse a rallentatore, quasi si trovassero in un film.
Lei scese con cautela le scale, e il moro si riscoprì incapace di distogliere lo sguardo da lei – mentre faticava a ricordare come si respirasse.
Era bellissima; una visione celestiale in grado di smorzargli di netto il fiato in gola.
Sorrise inconsapevolmente, con uno sguardo un po’ ebete e trasognante.
E la figlia di Ermes parve ricambiare, illuminando così tutta la stanza.
Scese l’ultimo scalino, incamminandosi verso di lui.
Gli fu accanto in poche grandi falcate.
Dopo di ché lo ignorò, superandolo per dirigersi da qualcuno che l’aspettava proprio dietro di lui.
Leo la seguì con lo sguardo, perplesso, finché non la vide congiungersi con Larsen – che la accolse a braccia aperte.
Che rumore fa, un cuore, quando si spezza?
Di certo il moro ne ebbe una dimostrazione in quel momento.
Per un attimo, era come se avesse creduto che ogni tassello fosse tornato al proprio posto nel puzzle, e che stesse andando tutto esattamente come avrebbe dovuto. 
Emma che andava da lui, con la consapevolezza che fosse l’unico ragazzo giusto per lei.
Lui che finalmente le posava un palmo dietro la nuca, attirandola a sé e ottenendo quel bacio che tanto aveva bramato, come a voler recuperare tutto il tempo perduto nell’ultimo anno.
Ma la vita non era un teen movie, e il giovane se ne rese conto quando vide il figlio di Balder posarle un giocoso bacio sulla gota, e lei ridacchiare divertita – per poi prenderlo per mano ed allontanarsi con lui in direzione della sala da ballo.
Il figlio di Efesto si massaggiò meticolosamente le tempie, sforzandosi di rimuovere quell’immagine dalla propria mente.
«Falla finita» si rimproverò a denti stretti, maledicendo il nodo allo stomaco che appariva deciso a tormentarlo per l’intera serata.
Che cosa c’era, in lui, che non andava?
Per quale motivo non riusciva a togliersi quella ragazza dalle iridi argentate dalla testa?
Era come avere una ferita aperta sul cuore, e sapere già in partenza che non si sarebbe mai cicatrizzata.
Perché era così difficile non soffrire per lei, nonostante sapesse già di non poterla mai avere?
Cosa aveva fatto di male ad Afrodite per meritarsi una simile tortura?
Qualcuno gli picchiettò timidamente sulla spalla, distogliendolo bruscamente dai propri pensieri.
«Leo?» domandò Astrid, incerta; e il moro prese un profondo respiro, grato che lei non potesse vedere quanto il suo sorriso fosse forzato.
«In persona, milady» confermò, squadrandola da capo a piedi. Stava molto bene, nel suo vestito color lilla lungo fino ai piedi e i capelli biondi raccolti in una treccia che le ricadeva sulla schiena.
La figlia di Frigg rise, mordendosi l’interno della guancia. «Pronto per il nostro non-ballo?»
«Mai quanto te» esclamò lui. «Sembri davvero una bellezza greca.»
Lei fece una smorfia divertita, sollevando poi una mano per potergli sfiorare i lineamenti.
Leo la lasciò fare, attendendo paziente che lei valutasse al tatto il tessuto del suo smoking nero e toccasse con i polpastrelli il nodo un po’ impreciso della sua cravatta.
«E tu sembri un vero cavaliere nordico» lo derise, al ché il ragazzo le prese delicatamente il polso per intimarle di metterglisi a braccetto.
«Andiamo?» le chiese.
La giovane gonfiò il petto, annuendo emozionata. «Dopo di te.»
 
Ω Ω Ω
 
Essere un figlio di Ermes aveva i suoi vantaggi.
Innanzi tutto, possedevi un’abilità nel mentire invidiabile.
Poi, potevi rubare qualsiasi cosa a chiunque ti si parasse davanti senza che quest’ultimo neanche sapesse di essersela portata dietro.
E infine, nessuno si accorgeva di te.
Eri come invisibile, in un certo senso; e questo giocava a tuo favore ogni volta che volevi organizzare degli scherzi.
Quello di Travis Stoll quella sera era indirizzato ad una sola persona: Brage Hagen.
Chi era questo ragazzo?
Semplicemente un figlio di Vàli appartenente al clan dei Vӧlsung, con dei lunghi capelli neri che sembravano costantemente unti e delle spalle troppo larghe per i gusti del moro.
Oh, era anche colui che aveva accompagnato Katie al ballo.
Ma non era stato questo a far nascere nel figlio di Ermes una profonda avversione nei suoi confronti, no.
In fondo, a lui cosa importava? Katie non era la sua ragazza; né tantomeno sua amica, giusto?
Era libera di fare ciò che voleva.
Solo non con lui.
Il ragazzo aveva calcolato tutto nei minimi dettagli. Dopo aver “gentilmente preso in prestito” delle erbe altamente lassative dal giardino dei figli di Demetra, si era recato dai figli di Ecate – disposto a pagare ben cinque dracme, purché questi gli preparassero in infuso purgante entro quella sera.
Connor era stato suo complice in tutto quello, ovviamente, ma aveva fermamente specificato che durante la festa non sarebbe stato disposto a dargli una mano.
Preferiva passare il proprio tempo con Iris, e Travis non poteva dargli torto.
L’espressione che il fratello aveva assunto quando l’aveva vista scendere le scale era stata impagabile, quasi avesse appena scorto un angelo pararglisi davanti.
Che era un po’ lo stesso sguardo che aveva sempre quando la osservava. Era troppo invaghito di lei perché Travis potesse capacitarsi del fatto che non l’avesse ancora baciata.
Comunque sia, il figlio di Ermes era riuscito perfettamente nel proprio intento anche senza l’aiuto nell’altro.
Senza farsi notare, era stato in grado di versare alcune gocce di quella pozione nel punch del nordico. Quello si era sgolato la propria bibita tutta d’un sorso. Ed era bastato aspettare qualche minuto prima che la fiala facesse effetto, e che lui piantasse in asso Katie nel bel mezzo della pista per correre in bagno e non fare più ritorno.
Il moro non poteva che dirsi soddisfatto di quel risultato.
Questo però solo in un primo momento.
Perché quando scorse la figlia di Demetra tutta sola – lì, a braccia incrociate in un angolo della sala – non poté fare a meno di sentirsi un po’ in colpa.
Indossava un abito verde lungo fino al ginocchio, con una fascia ad evidenziarle il punto vita. Le spalle erano lasciare scoperte, con però nelle maniche a tre quarti di pizzo che le avvolgevano le braccia.
Aveva pettinato i capelli castani all’indietro, in una sorta di chignon spettinato, e Travis non riuscì a trattenersi dal ritenerla bellissima.
Si morse con forza la lingua, maledicendosi mentalmente per il proprio pensiero. Dopo di ché prese un gran respiro, ed infilando le mani nelle tasche dei pantaloni si avvicinò a lei, con aria spavalda.
La guardò di sottecchi, faticando a celare un sorrisetto malandrino.
«Bella festa, eh?»
«Sì…» mormorò con poco entusiasmo lei, stringendosi nelle spalle.
«Come mai sei tutta sola?»
«Brage, lui ha…» La giovane esitò, corrucciando le sopracciglia. «Si è sentito poco bene» annunciò.
«E ti ha piantata qui?» Travis riuscì a mettere su il suo miglior cipiglio indignato.
«Già» borbottò tra sé e sé lei, per poi affrettarsi ad aggiungere: «Ma insomma, non è un gran problema. A me neanche piacciono, le feste.»
Il moro assottigliò lo sguardo, sarcastico. «Ti sta crescendo il naso.»
Fu allora che la ragazza sbuffò, facendo roteare le proprie iridi color nocciola. «Che cosa vuoi, Travis?» sbottò, infastidita.
«Io? Niente!» giurò lui, mostrandole i palmi con fare innocente. «Bazzicavo intorno al tavolo e… ti ho vista qui tutta sola, per cui ho pensato…» Lasciò la frase in sospeso, non sapendo esattamente come continuare.
Era l’unica a fargli quest’effetto, Katie. In sua presenza, spesso si riscopriva a corto di parole.
E la cosa lo irritava, ma gli dava anche da ragionare.
Che cos’aveva, lei, di tanto speciale? Era come se quando si trovasse insieme a lei cercasse sempre di trovare la cosa giusta da dire per fare bella figura, ma non vi riuscisse mai.
«Tornerà» affermò ad un tratto la semidea, lasciando trapelare il proprio tono speranzoso.
«Mh?»
«Brage» chiarì quindi lei. «Appena si sentirà meglio tornerà qui e danzeremo insieme.» Poi si voltò finalmente a guardando, incontrando le sue iridi scure quasi avesse bisogno di un’ulteriore conferma. «Sarà così, vero?»
Nonostante sapesse già che così non sarebbe stato, quando Travis aprì la bocca per mentirle le sue corde vocali non emisero alcun suono. «Beh, ecco, io…» balbettò, non sapendo come fare a dirle che era stato proprio lui a sabotarli. Sospirò, abbozzando un sorrisetto piantagrane. «Non conosco questo Birger…»
«Barge» lo corresse la figlia di Demetra.
«“Barge”» assentì lui, scimmiottando di poco la sua voce. «Ma so che io al posto suo tornerei qui di corsa. Ne varrebbe la pena» ammise poi. «Se ciò volesse dire passare un po’ di tempo con te. Tu ne vali la pena.»
A quella confessione, Katie non replicò.
Si limitò ad incontrare i suoi occhi, e a dispetto di tutte le altre volte in cui i loro sguardi si erano incontrati, in quell’istante ci fu qualcosa di… diverso.
Il figlio di Ermes ebbe l’impressione che la sala intorno a loro fosse sparita, e che la musica fosse stata sostituita dal rimbombare incessante del suo cuore che aumentava la propria corsa nel suo petto.
Fu colpito da scioccanti rivelazioni che fino a quel momento aveva ignorato – come le quasi invisibili lentiggini che lei aveva sulla punta del naso; o la leggera fossetta che le si formava sulla gota sinistra quando sorrideva.
Fu proprio lui il primo a distogliere l’attenzione dalle iridi caramellate di lei, sgranchendosi la voce nonostante non ne avesse davvero bisogno. Buttò un’occhiata sulla pista da ballo, massaggiandosi la nuca imbarazzato.
«Senti, io non so ballare» esordì, spostando il peso da un piede all’altro. «Davvero, sono un pezzo di legno. Ma se vuoi potrei… ecco, potrei abbracciarti ed ondeggiare un po’.»
Le labbra di Katie si stesero in un radioso sorriso. «Mi sembra perfetto» annuì, dopo averci pensato un po’ su.
Travis le porse quindi una mano, che stavolta la ragazza afferrò senza esitazioni.
Il moro intrecciò le dita alle sue, rivolgendole uno scherzoso cenno del capo per intimarle di trascinarlo al centro della pista.
«Fammi strada, Kity-Kat

Angolo Scrittrice.
Hello, guys!
Sì, lo so. Avrei dovuto pubblicare questo capitolo la settimana scorsa.  
Ma purtroppo non sono riuscita a trovarne il tempo - dato che non solo ho compito io 18 anni, ma mio padre 50!
Spero che possiate perdonarmi, e che il capitolo sia valsa l'attesa. 
Bien, che dire?
Finalmente è la sera del ballo!
Che ne dite delle coppie che si sono formate? C'era da aspettarselo, in effetti. But whatevah. 
Abbiamo una
Rose che continua a pensare a John, ma che comunque poi aiuta Melanie ad apparire bellissima agli occhi del figlio di Apollo. 
Un
Michael che è un po' preoccupato per come potrebbe "continuare la serata" con la sua ragazza; e una Skyler che, dal canto suo, sembra avere un brutto presentimento, anche se non sa a cosa e duvuto. 
E' tornato poi il nostro
Jason! (Jasper is the way)
E che dire della rezione di
Leo mentre Emma scendeva le scale? 
La nostra figlia di Ermes è riuscita nel suo intento, eh? Il figlio di Efesto è rimasto a bocca aperta. 
Ed è impossibile negare la sua delusione nel vederla andare via con
Larsen
Infine, ho voluto dedicare una parte del capitolo ad una delle coppie a parer mio più belle e sottovalutate di questo fandom: la Tratie. 
Non so voi, ma io ce lo vedo
Travis a sabotare quel povero ragazzo pur di allontanarlo dalla sua Kity-Kat. E poi ballano anche insieme, wah **
Okay, ora avete un piccolo quadro iniziale di cosa si prospetterà a questa festa. 
Ma sono curiosa, secondo voi cosa accadrà a chi? Oppure chi combinerà cosa?
Avete delle supposizioni?
Ora devo scappare, ma voglio prima ringraziare i miei bellissimi angeli
Anakin Solo, ArchaonTheEternalTheNew e LoveDragon02 per aver commentato lo scorso capitolo!
Spero che mi facciate conoscere le vostre opinioni in tanti!
Sempre vostra,

ValeryJackson

P.s. Avete voglia di vedere come ho immaginato gli abiti delle nostre ragazze? Perchè se sì, nel prossimo capitolo ve li potrei mostrare! 



 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***



Quella era di sicuro la peggior serata della sua vita, per Leo Valdez.
Non si era mai sentito tanto… furioso.
Ovunque andasse, qualsiasi cosa facesse o da qualunque parte si voltasse – loro erano sempre lì, a ricordargli quanto fossero felici, senza di lui.
Come se il fato si divertisse a prenderlo in giro.
Non aveva neanche bisogno di cercarli, per ritrovarseli di fronte ogni volta.
E la cosa lo imbestialiva, corrodendogli la bocca dello stomaco; mentre al contrario Emma e Larsen non sembravano neanche essersi resi conto della sua presenza.
Vedere il modo in cui volteggiavano abbracciati sulla pista da ballo, o le braccia del figlio di Balder a cingerle la vita, o le dita della bionda che giocherellavano con i capelli di lui… per il figlio di Efesto era troppo da sopportare.
Ma che ti prende?, si rimproverò, mordendosi la lingua con forza.
Che cosa importava, a lui, di ciò che facevano quei due ragazzi?
Perché d’un tratto sentiva montare in sé questo senso di ‘appartenenza’ nel confronti della figlia di Ermes?
Ma chi voleva prendere in giro… Leo sapeva benissimo il perché.
Si era arreso; aveva permesso che la ragazza cedesse alle avance di un altro senza neanche lottare.
E ora rimpiangeva amaramente il giorno in cui aveva preso quella decisione – aveva la costante sensazione di aver perso una delle cose più belle della propria vita senza neanche essersi sforzato di tenersela stretta.
Nel vano tentativo di allontanare tutti quei pensieri maligni dalla propria testa, il giovane aveva pensato bene di chiedere ad Astrid di ballare.
Quest’ultima aveva accettato, lasciandosi condurre al centro della pista.
Ma per quanto cercasse di distrarsi, il moro non riusciva proprio a reprimere l’impulso di sporgersi oltre la spalla di lei, alla ricerca di un’inconfondibile e ribelle chioma bionda.
Anche Emma e Larsen erano intenti a danzare; parlottavano a bassa voce tra loro, scambiandosi dei complici sorrisi, ed erano talmente vicini che nel farlo le loro labbra arrivavano quasi a sfiorarsi.
Il figlio di Efesto si lasciò sfuggire una smorfia, disgustato.
Passarono alcuni minuti, prima che la figlia di Frigg sospirasse leggermente, inclinando il capo di lato.
«Va da lei» gli intimò, al ché lui sobbalzò, colto in contropiede.
«Come?»
Ma nell’istante stesso in cui formulò quella domanda ad alta voce, capì quanto la propria interdizione fosse stupida. Era ovvio che l’amica avesse percepito la sua inquietudine!
Per lei era sempre stato un gioco da nulla interpretare le sue emozioni.
«Noi puoi continuare a vivere in questo stato» gli fece quindi notare la bionda, con tono compassionevole e severo allo stesso tempo. «Devi parlare con lei; dirle come ti senti.» Gli posò una mano sul petto, sorridendogli gentile. «Lotta per ciò che ami come solo un leone sa fare.»
Leone. La prima volta che si erano incontrati, la nordica gli aveva rivelato che era quello il vero significato del suo nome.
Solo che a lui era sempre mancato il coraggio, la determinazione e la forza di combattere fermamente per ciò in cui credeva.
Fino a quella sera.
Lanciò un’ultima occhiata verso Emma, che ora aveva preso per mano Lars e stava abbandonando insieme a lui la pista da ballo. Rivolse nuovamente la propria attenzione ad Astrid, corrucciando le sopracciglia sconsolato.
«Non posso» affermò, massaggiandosi la nuca.
«Perché?»
«Sono venuto qui insieme a te. Tu…»
«Starò alla grande» lo interruppe lei, accarezzandogli un braccio. «Smettila di preoccuparti per me e va a prenderti ciò che desideri. Okay?»
Il giovane esitò, prima di abbozzare un lieve sorriso. «Okay.»
«Perfetto. E ora va
Leo non se lo fece ripetere due volte. Le afferrò una mano, scoccandole un sonoro bacio sulla guancia.
«Sei la migliore!» le urlò, euforico, riuscendo così a strapparle una divertita risata.
Poi si allontanò da lei, facendosi velocemente strada tra la miriade di corpi danzanti – così da crearsi un varco per poter raggiungere Emma, ormai scomparsa dal suo campo visivo.
Ma quando finalmente fu uscito dalla calca, un sentimento del tutto nuovo esplose nel suo petto, facendolo titubare.
Si voltò a guardare ancora Astrid, percependo il senso di colpa prendere il sopravvento.
Era ancora ferma al centro della pista, forse consapevole del fatto che finché non sarebbe sfollata, per lei passare sarebbe stato un po’ complicato.
Aveva le mani congiunte in grembo ed un’espressione soddisfatta, ma anche un po’… triste.
Questo era il suo primo ballo, ricordò a sé stesso il moro, dandosi mentalmente dello stupido.
Non poteva lasciarla così. Eppure era conscio di non essere delle migliori compagnie, quella sera.
Però magari poteva impedire che restasse sola.
Facendo vagare rapidamente le proprie iridi scure intorno a sé, si ritrovò a vedere la persona giusta in un ragazzo poco distante.
«Ehi, tu!» lo bloccò per un braccio proprio mentre questo gli passava davanti per raggiungere il buffet. «Sei Locke, giusto?»
Il figlio di Ecate inarcò un sopracciglio, squadrandolo con circospezione. «Sì.»
«Grandioso» esultò Leo prendendolo per le spalle e costringendolo a voltarsi come fosse una bambola di pezza. «La vedi quella ragazza laggiù?» disse, indicando Astrid con un dito. «Voglio che tu vada lì e le chieda di ballare.»
A quelle parole, il biondino sbuffò dal naso. «E perché dovrei farlo?»
«Perché te l’ho chiesto per favore. Non è un motivo abbastanza valido?»
«Mi dispiace, amico» replicò lui, mostrando i palmi con sfacciataggine. «Ma se non c’è guadagno, non contare su di me.»
«Senti un po’, ragazzino» si infuriò a quel punto il figlio di Efesto, fronteggiandolo con aria di sfida. «Quella lì è la ragazza più dolce e gentile che io abbia mai conosciuto. Questo è il suo primo ballo, e io voglio che passi la serata più bella di tutta la sua vita; perché se lo merita. E perché ha il diritto che qualcuno la renda felice tanto quanto lei rende felice gli altri. Per cui porta quel tuo bel culetto sulla pista» lo minacciò. «O farai meglio a dire addio a tuoi capelli.»
Fece schioccare le dita, e una fiammella vi divampò all’istante, restando in equilibrio sui suoi polpastrelli.
Un gesto decisamente teatrale ed efficace, ma che non parve scalfire minimamente Locke.
Al contrario, quest’ultimo incrociò le braccia al petto, assottigliando lo sguardo e provocandolo, con strafottenza.
Inizialmente, Leo sostenne con risolutezza l’insolenza di quelle iridi verdi. Ma all’ultimo finì per reprimere un gridolino di frustrazione, facendo roteare stancamente gli occhi.
«Ti pagherò» tentò di nuovo, e solo allora il figlio di Ecate si sfregò le mani.
«Ora sì che iniziamo a ragionare» ghignò, compiaciuto.
«Cinque dracme.»
«Dieci.»
«Sette» obiettò il moro.
«Andata!»
I due si strinsero la mano, prima che il biondo gli rivolgesse un sarcastico occhiolino e si incamminasse con passo spedito verso la figlia di Frigg.
Il figlio di Efesto seguì attentamente ogni suo movimento.
Il giovane si avvicinò a lei, mormorandole qualche mellifluo complimento; e, nel sentire la sua voce, la ragazza aggrottò di poco la fronte.
Parve rispondergli a tono, ma Leo era troppo lontano per poter sperare di leggere il loro labiale. Qualunque cosa gli avesse detto, però, fu evidente che il ragazzo era rimasto spiazzato.
Spostò infatti il peso da un piede all’altro, passandosi imbarazzato una mano tra i capelli.
Il moro temette che stesse per fare dietrofront e rinunciare, quando scorse lei sciogliersi in un a malapena trattenuto sorriso, mordicchiandosi leggermente il labbro inferiore.
Gli disse qualcosa, al ché lui ghignò, divertito. Poi Locke sembrò chiederle il permesso di prenderle la mano; e appena lei glielo concesse, lui le avvolse i fianchi con un braccio, iniziando a farla dondolare lentamente.
Senza neanche accorgersene, per Leo fu impossibile non concedersi un sorriso.
Annuì tra sé e sé, rassicurandosi di aver lasciato la propria amica in buone mani.
In fondo, quei due parevano andare d’accordo. E lui aveva una cosa molto importante da fare, che ormai non poteva più aspettare.
Si passò due dita sulla base del collo, così da allentare di poco il nodo della cravatta e renderlo più comodo.
Doveva allontanare Emma da Larsen, ma aveva bisogno di un piano.
E c’erano solo due persone di sua conoscenza alle quali rivolgersi quando si aveva bisogno di consigli del genere.
I fratelli Stoll.
 
Ω Ω Ω
 
Per quanto si impegnasse, John non riusciva a godersi appieno quei momenti di spensieratezza.
C’era qualcosa che lo turbava; il presentimento che non avrebbe dovuto rilassarsi tanto invece di tenerla sott’occhio per assicurarsi che non le accadesse nulla di male.
Sì, la sua più grande preoccupazione era Rose.
Non tanto lei, quanto l’imprevedibilità di un tipo come Aren. Non si fidava affatto di quel ragazzo, e questo di certo non aiutava a tranquillizzarlo.
«Rose sa badare a sé stessa», si era detto, mentre si concedeva un ballo con la propria fidanzata. «Non ha bisogno di me.»
E allora perché continuava a cercare tra la folla, nella speranza di vederla? Perché avvertiva un così forte senso di protezione nei suoi confronti nonostante lei gli avesse intimato di non immischiarsi?
Anche Melanie doveva aver percepito il suo turbamento, perché gli aveva chiesto più volte che cosa ci fosse che non andava – impensierita che il biondo si sentisse poco bene.
Il figlio di Apollo le aveva solo accennato il suo essere contrario a quell’invito da parte del nordico, ma egli stesso non si era reso conto di quanto peso vi avesse dato fino a quella sera.
Quando aveva visto il capoclan condurre la figlia di Poseidone fuori dalla sala, lontano dagli occhi di tutti, la tentazione di seguirli era quasi riuscita a vincerlo.
Si era però imposto di infischiarsene, avvicinandosi con la figlia di Demetra al tavolo del buffet per assaggiare qualcuno degli stuzzichini norvegesi.
Le aveva poi chiesto di unirsi a lui in un tenero valzer, e lei gli aveva sorriso con occhi pieni di dolcezza e dedizione.
Stavano proprio volteggiando sulla pista, quando con la coda dell’occhio il giovane scorse qualcosa di strano.
Aren Waegmund se ne stava in bella vista in un angolo, attorniato da altre cinque ragazze che tentavano di adularlo con carezze e sguardi languidi. Aveva un brutto taglio sul labbro inferiore che continuava a torturarsi con la lingua, e si era cambiato d’abito – passando dallo smoking scuro con il quale era arrivato ad uno di un azzurro pastello.
Tutto ciò non aveva senso.
Dov’era Rose? Perché non era con lui?
John allungò di poco il collo, sperando di scorgere i suoi boccoli mogani in mezzo alla folla. Non sembrava essere da nessuna parte.
Che fine aveva fatto?
Divincolandosi gentilmente dall’abbraccio di Melanie si scusò con lei, per poi corrugare la fronte.
Cercò di trovare la mora in ogni metro quadro della stanza. Non era accanto al cibo, o sulla pista da ballo.
Neppure in bagno, a dir la verità.
Sentendo montare l’apprensione dentro di sé, vide da lontano la figura di Microft – che parlottava con una ragazza dai capelli rossi.
Andrea, ricordò che si chiamava. Skyler gli aveva parlato a grandi linee di lei.
I due giovani erano partiti qualche giorno prima per una meta a tutti sconosciuta, e avevano poi deciso di tornare giusto in tempo per indossare il primo vestito elegante che avevano nell’armadio e recarsi insieme alla festa.
Il figlio di Apollo si avvicinò a loro, annullando le distanze che li separava a grandi falcate.
«Microft?» chiamò, interrompendoli nel bel mezzo di una risata. «Scusate, non volevo disturbarvi» giurò, mostrano i palmi. «È solo che… hai visto Rose, per caso?»
Quella domanda parve stupire il figlio di Efesto, che corrucciò le sopracciglia confuso. «No» ammise, trascinando lentamente le parole. «Perché? È successo qualcosa?»
Ma il biondo era troppo preso dal non farsi prendere dal panico, per potergli rispondere.
«Maledizione» imprecò a denti stretti, i muscoli tesi dall’agitazione.
C’era solo una soluzione a quell’enigma; e i piedi del ragazzo si mossero nella sua direzione prima che lui potesse dar loro l’ordine di farlo.
Conficcò le unghie nei palmi, così tanto da crearvisi dei piccoli segni a forma di mezzaluna.
Aren non sembrò notarlo finché non entrò nel suo campo visivo.
Gli indirizzò un piccolo ghigno, strafottente; e la sua rabbia esplose.
Afferrandolo per la calotta dell’abito, lo inchiodò al muro con tale brutalità che le semidee che erano con lui urlarono.
Circa metà della sala si voltò a guardarli, allibita, ma a John non importò.
Lo folgorò con lo sguardo, digrignando i denti tanto da rischiare di spezzarseli.
«Lei dov’è?» ringhiò, furioso.
Ripresosi dallo shock, il figlio di Odino assunse un’espressione piantagrane, sostenendo la minaccia dei suoi occhi verdi.
«Non so di cosa tu stia parlando» mentì, con un teatrale sospiro.
«Sì, invece» ribatté il figlio di Apollo, sbattendolo ancora una volta contro la parete. «Dov’è Rose? Che cosa le hai fatto?»
«Oh, la brunetta!» finse di ricordare solo allora quello, sollevano le mani con fare innocente. «Non so dove sia. Io non esco con persone al di sotto della mia portata.»
«Anche la mia pazienza ha un limite, Waegmund.»
«Che cosa pensi di ottenere così, eh? Superman da quattro soldi» lo prese quindi in giro il moro, assottigliando lo sguardo con aria di sfida. «Invece di startene qui ad accusare me, dovresti preoccuparti di cosa stia combinando lei, adesso.»
Con quell’affermazione capì di aver toccato proprio il tasto giusto per far vacillare John, per cui continuò. «Quella ragazza è imprevedibile; il classico tipo di persona che ha bisogno di qualcuno che la sorvegli, per impedirle di commettere qualche idiozia. Quindi ti chiedo, biondino: che cosa credi che sarà in grado di fare, ora che è sola?»
Il figlio di Apollo avrebbe voluto deglutire, ma la sua gola era troppo secca per poter produrre saliva. Esitò qualche istante, soppesando con accortezza le parole di Aren.
Dopo di ché lo lasciò andare con un strattone, affrettandosi verso l’uscita mentre il figlio di Odino si accarezzava la base del collo, con aria soddisfatta.
In un certo senso aveva ragione: che cosa sarebbe successo a Rose, ora che non c’era nessuno con lei?
L’ira lasciò spazio ad un altro sentimento, nel suo petto: una leggerissima ma bruciante paura.
Prima però che potesse tentare di allontanarsi troppo, una voce riuscì a bloccarlo sul posto.
«John!» gli urlò dietro Melanie, raggiungendolo a fatica sui tacchi alti.
Il ragazzo chiuse gli occhi, passandosi le dita tra i capelli amareggiato.
«John, ma che succede?» chiese lei, costringendolo a voltarsi senza neanche il bisogno di toccarlo.
«Melanie, io ti amo» esordì quindi lui, incapace di celare il proprio stato d’ansia. «Davvero. Ti amo come non ho mai amato nessun altro in tutta la mia vita. E… e sei bellissima stasera. E non sai quanto vorrei passare tutto il tempo con te, e danzare al tuo fianco, e portarti a fare una passeggiata in riva al lago per poi restare svegli tutta la notta a guardare le stelle abbracciati. Però non posso.»
Fece un passo verso di lei, incatenando il proprio sguardo triste al suo, perplesso. «Rose è lì fuori, da sola; e ha bisogno di me. Non riesco a starmene con le mani in mano sapendo che potrebbe succederle qualcosa di brutto. Io devo trovarla» insistette poi, e la sua voce si ridusse ad un mortificato sussurro. «Mi dispiace.»
Per un po’, la figlia di Demetra mantenne il proprio silenzio. Lo squadrò in viso, con un cipiglio indecifrabile.
John temette di averla ferita, confessandole i propri timori in quel modo.
Ma poi lei fece un cosa che lo lasciò letteralmente di stucco.
Si sollevò sulle punte.
E posandogli il palmo dietro la nuca lo baciò.
Le sue iridi color nocciola brillavano di orgoglio, quando gli sorrise.
«Sei il mio eroe» mormorò, e dal suo tono si capiva che era sincera. «Va e assicurati che torni a casa intatta.»
Il biondo sentì una nuova energia pompargli il sangue di adrenalina.
Sapeva che avrebbe capito; Melanie lo conosceva meglio di chiunque altro, o non l’avrebbe mai obbligato a sottrarsi al suo bisogno di salvare la gente.
Era l’unica che non vedeva il suo cuore d’oro come un difetto; ma anzi, che lo riteneva una qualità meravigliosa.
Annuendo brevemente, il giovane si allontanò da lei per imboccare il primo corridoio che gli si parava davanti alla ricerca di un’intuizione.
Quel posto era pieno di camere; un labirinto infinito di posti in cui nascondersi.
Si morse l’interno della guancia, determinato a non arrendersi finché non l’avrebbe trovata.
Dove sei, piccola Rose?
 
Ω Ω Ω
 
All’inizio, il piano di Leo era molto semplice: andare da Emma, confessarle la propria gelosia nei suoi confronti, prenderla per mano e portarla via – lontano da Larsen.
Ma gli era bastato ragionarvici un po’ su per capire che non avrebbe funzionato.
Non poteva solamente piombare lì e pretendere che i due l’avrebbero ascoltato.
Doveva cercare di separarli; magari convincendo Lars che la figlia di Ermes non fosse il partito giusto per lui. Aveva già constatato quando la bionda fosse cocciuta, quindi perché non tentare di persuadere lui a lasciarla stare?
Prima però aveva bisogno di allontanare la ragazza. Dopo di ché, sabotare il figlio di Balder.
Facile, no?
Per questo aveva pensato bene di rivolgersi ai fratelli Stoll. Purtroppo, però, aveva trovato solo Travis.
Era intento a chiacchierare con Katie – cosa strana, dato che nessuno ricordava che i due fossero andati al ballo insieme.
Quando il figlio di Efesto lo aveva chiamato per un attimo in disparte e spiegato a grande linee la situazione (senza fare nomi, ovviamente), quello si era lasciato sfuggire un sorrisetto compiaciuto.
«Ho proprio quello che farebbe al caso tuo» si era vantato, estraendosi dalla tasca interna della giacca una fialetta poco più grande di un indice.
Leo se l’era rigirata nel palmo, confuso. «Che cos’è?»
«Un lassativo. Ne basta una goccia, e il tuo amichetto passerà i prossimi tre giorni chiuso in bagno.»
Al quel punto, il moro aveva inarcato un sopracciglio, dubbioso. «L’hai già testato?»
Il figlio di Ermes aveva fatto vagare il proprio sguardo fino a Katie, arricciando di poco le labbra. «Può darsi.»
Il giovane Valdez aveva annuito, osservando quel liquido fluido galleggiare nella boccetta. «Beh, grazie tante.»
«Woah! Dove credi di andare?» lo aveva fermato Travis nell’istante in cui quello aveva fatto per andar via. Gli aveva sfilato la pozione di mano, guardandolo con aria di sufficienza. «Non ho mai detto che era gratis.»
«Oh, andiamo!» si era lamentato Leo, con un’espressione indignata. Ma l’altro aveva fatto spallucce.
«Sono cinque dracme.»
«Davvero?» aveva quindi ribattuto il figlio di Efesto, incrociando le braccia al petto e sollevando di poco il mento. «Quindi non ti dispiace se – non so – magari dico a Katie che fine ha fatto l’altra metà dell’infuso.»
Travis aveva assottigliato gli occhi, scrutandolo. «Non oseresti.»
«Ehi, Miss Gardner!» aveva esclamato allora il moro, attirando così l’attenzione della figlia di Demetra. «Come sta andando la serata? Vieni qui, devo dirti una co-»
«Okay! Va bene. Falla finita» lo aveva implorato il figlio di Ermes, preoccupato. Aveva poi fatto schioccare la lingua, porgendogli di nuovo la fialetta e andandosene sdegnato. «È tutta tua.»
Leo se la rigirò attentamente tra il pollice e l’indice, studiandone il contenuto. La sua idea iniziale era stata quella di utilizzarla per sviare solo momentaneamente Larsen, così da poter parlare in tutta tranquillità con Emma.
Ma… e se avesse avuto la possibilità di allontanarlo da lei per sempre?
Era una tentazione alla quale non aveva saputo rifiutare.
Mettendosi un bicchiere di una bevanda che i nordici chiamavano Lysholm Linie, vi aveva poi versato dentro una, tre, sette gocce di quel lassativo.
Se l’era nascosto in tasca, guardandosi intorno per accertarsi che nessuno vi avesse fatto caso.
Dopo di ché era andato alla ricerca dei due, trovandoli prima di quanto avesse sperato.
Si erano messi in disparte in un lato della sala. Lei aveva la schiena premuta contro il muro; lui, gli avambracci posati ai lati della sua testa.
La figlia di Ermes stava giocherellando con la cravatta del ragazzo, ridendo sommessamente subito dopo, probabilmente per una sua battuta o complimento.
Nell’attimo in cui vide il figlio di Balder baciarle la punta del naso, lo stomaco di Leo fu attanagliato da una morsa d’acciaio.
Si dipinse in viso il sorriso più tirato e forzato che riuscisse a metter su, ostentando spavalderia mentre li raggiungeva in pochi passi.
«Ehi!», li interruppe un secondo prima che le loro labbra potessero incontrarsi. I due si voltarono a guardarlo – lui interdetto, lei stizzita.
«Finalmente vi ho trovato!»
«Che cosa vuoi?» lo redarguì bruscamente la bionda, evitando volutamente di incontrare il suo sguardo.
«Skyler ti stava cercando» mentì dunque lui, sperando di suonare il più convincente possibile. «Credo avesse qualcosa di molto importante da dirti, non so.»
Emma corrucciò le sopracciglia, perplessa. «Ti ha detto di cosa si trattasse?»
Il figlio di Efesto si strinse nelle spalle, non sapendo esattamente che scusa metter su. Per un istante, temette che la giovane non ci sarebbe cascata. Ma poi quella abboccò all’amo; e con il tono più dolce che Leo le avesse mai sentito usare si scusò con Larsen, lasciandogli un tenero bacio sulla guancia e promettendogli che avrebbe fatto presto.
Si dileguò, senza neanche degnare il moro di un’occhiata.
I due ragazzi la seguirono con lo sguardo, finché la sua figura non scomparve nella folla.
Squadrando di sottecchi il biondo, Leo notò che era… deluso.
Sogghignò tra sé e sé, avvolgendogli le spalle con un braccio come se fossero amici d’infanzia.
«Ah, le donne!» lo compatì, sospirando teatralmente.
«Non importa» mormorò lui, comprensivo. «È la sua migliore amica. È giusto che si assicuri che stia bene.»
Cavolo, allora la figlia di Ermes aveva ragione, quando diceva che era perfetto. Se possibile, con quell’affermazione il figlio di Efesto lo detestò ancora di più.
«Allora» cantilenò, grattandosi distrattamente il naso. «Tu e lei state… insieme?» Porre quella domanda gli costò molta più fatica di quanto credesse.
«Non ancora» rispose onestamente il figlio di Balder. «Non ufficialmente, almeno.»
Ci fu un momento di silenzio, prima che il moro fischiasse, con finta ammirazione. «Certo che sei proprio un tipo coraggioso.»
Il nordico aggrottò la fronte. «Perché?»
«Metterti con lei nonostante tutto? Non tutti i ragazzi l’avrebbero fatto.»
«Non capisco. Emma è una ragazza molto affabile.»
Leo approfittò del suo sconcerto per dargli di gomito, con aria seria.
«Dimmi un po’: tu credi nelle maledizioni?»
A quella domanda, Lars esitò. «S-Sì» balbettò, temendo di non capire dove volesse andare a parare.
«Beh» continuò Leo, inarcando le sopracciglia con fare accondiscendente. «Gira voce che Emma abbia questa specie di malaugurio addosso sin da piccola. Nessuno sa come né perché; so solo che il suo l’hanno soprannominato ‘Il bacio del diavolo’.»
«Il bacio del diavolo?»
Il figlio di Efesto ghignò. «Ehi, non lasciarti spaventare dal nome» lo prese in giro, con un pugno sul braccio. «Non sono i suoi baci, il problema. È più qualcosa di correlato alla sua…» Ragionò in fretta, indeciso su cosa dire. «Saliva.»
«Eh?»
«Vedi, il fatto è che chiunque sia entrato in contatto con la sua saliva presto o tardi ha iniziato a sentirsi male.» Il moro allargò le braccia. «Che lei ti abbia baciato, o che tu abbia semplicemente bevuto dal suo stesso bicchiere, non fa differenza. Il primo sintomo è sempre una forte indigestione che ti costringe al bagno per parecchi giorni» rivelò poi, chinandosi minaccioso verso i biondo. «E chiunque abbia sperimentato gli stadi successivi, non è mai stato in grado di raccontarli!»
A causa del tono urgente con il quale aveva sussurrato quelle ultime parole, il figlio di Balder si era riscoperto a titubare, interrogandosi se potesse essere o meno la verità.
Si portò le dita a sfiorare il punto in cui la figlia di Ermes l'aveva baciato, un attimo prima.
Ma dopo un po’ scosse il capo, quasi volesse scrollarsi di dosso quello sciocco pensiero.
«Non ha senso» decise, al ché Leo inarcò le sopracciglia.
«Suvvia! Non ti sei davvero mai chiesto perché quando l’hai conosciuta, Emma non avesse nessuna relazione? Voglio dire, è una bellissima ragazza.»
Okay, stava parlando troppo, adesso. Meglio chiuderla lì, prima che la situazione potesse degenerare e il biondo potesse insospettirsi.
«Vedila un po’ come ti pare» pattuì infatti il figlio di Efesto, dandogli una pacca sulla schiena con fare amichevole. «Io ho voluto solo avvertirti. Ehi, ma l’hai assaggiato questo?» cambiò poi volutamente discorso, porgendogli il bicchiere che ancora stringeva in una mano. «Cavoli, è delizioso!»
Larsen lo accettò, un po’ titubante; e appena ne ebbe bevuto un sorso, i suoi lineamenti si contorsero in una smorfia.
«Non lo ricordavo così amaro» commentò.
«Fidati, dopo il settimo sorso non ti accorgerai neanche più del sapore» insistette il moro, inclinandogli il bicchiere con la punta delle dita per costringerlo a tracannarselo tutto d’un fiato.
Il nordico arricciò il naso, disgustato, ma non si lamentò.
Fu solo un attimo – una breve e insignificante frazione di secondo – in cui il giovane Valdez percepì un guizzo nel petto; una sensazione del tutto inaspettata, in quel frangente.
Di nuovo senso di colpa, forse?
Beh, ormai il danno era fatto.
Sperò solo di non aver incasinato troppo le cose. Magari aveva esagerato un po’, è vero.
Ma, ehi! Che non si fa per ottenere la ragazza?
 
Ω Ω Ω
 
Skyler non poteva negare di divertirsi molto, in compagnia di Michael.
Avevano ballato; avevano assaggiato le ‘prelibatezze’ nordiche che c’erano sul buffet. Si erano anche concessi un po’ di privacy lontano dalla folla, per poi tornare nella sala e godersi il ballo.
Una serata perfetta, insomma.
Eppure, continuava ad avere l’impressione che ci fosse qualcosa di sbagliato.
Non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione di essere osservata. Il che – in mezzo a tutta quella gente – era un po’ un eufemismo.
Rimasta sola per un attimo mentre il figlio di Poseidone andava a prendere da bere per entrambi, la ragazza fece vagare le proprie iridi scure intorno a sé, con nervosismo.
Cosa c’era che non andava?
Tutti sembravano divertirsi, e nessuno pareva badare a lei più del dovuto.
E allora qual era il problema? Perché non riusciva a scacciar via il timore che ci fosse un dettaglio che le sfuggisse?
La risposta le giunse prima di quanto immaginasse, raggiungendo il suo timpano in una serie di sibili sconnessi e melliflui.
Un brivido si arrampicò su per la schiena della figlia di Efesto, facendole rizzare i peli sulla nuca. Corrucciò le sopracciglia, emettendo un sospiro tremante.
Quei sussurri appartenevano a talmente tante voci diverse da accavallarsi, rendendo così impossibile capire che cosa stessero dicendo.
C’era solo un particolare che la mora colse con poca difficoltà: provenivano tutte dalla stessa direzione.
Voltandosi lentamente da quella parte, valutò le proprie possibilità.
La prima era quella di correre da Michael e cercare Chirone, così che il Consiglio potesse interrompere il ballo e occuparsene personalmente.
La seconda, seguire quelle voci e vedere dove l’avrebbero condotta, di modo da constatare se fosse o meno il caso di allarmare tutti per quella che a conti fatti era solo una sua supposizione.
Senza che se ne rendesse neanche conto, i suoi piedi avevano già cominciato a muoversi da soli, trascinandola fuori dalla stanza nella quale si teneva la festa – lontano da occhi indiscreti.
Concentrandovisi con la paura di perdere le loro tracce, la ragazza si sforzò di capire cosa quei bisbigli le stessero intimando.
Ma tra tutte quelle parole che si sovrapponevano senza sosta, riuscì a coglierne solo tre. Solo allora intuì che quelle, in realtà, erano le sole pronunciate da tutte le voci – seppur con toni, marcature e velocità diversi.
Un invito, graffiante e provocatorio al tempo stesso per chiunque l’avesse ascoltato.
Una sfida a seguire l’istinto, tanto da lasciare tutto il resto indietro.
Un richiamo. Un’istigazione.
Una richiesta sussurrata tra i denti.
“Vieni da me”.


Angolo Scrittrice. 

Salve a tutti! Sorpresi che io sia così puntuale? Beh, c'è un motivo più che valido. 
Sabato partirò per due settimane di vacanza in cui dubito di avere la possibilità di aggiornare. 
Ergo, nell'eventualità di lasciarvi per due martedì senza capitoli nè risposte, voleva che almeno questo non si facesse desiderare. 
I protagonisti indiscussi stavolta sono
Leo e John
Quest'ultimo, decisamente preoccupato per l'incolumità di
Rose. Che cosa le è successo? Che cosa le avrà fatto Aren
Avete già qualche supposizione?
Per fortuna che
Melanie è consapevole del cuore d'oro del proprio ragazzo, e che quindi non si ingelosisce - anzi, lo appoggia!
Secondo voi il nostro figlio di Apollo riuscirà a trovarla? E sarà incolume?

Andrea e Microft poi sono tornati in tempo per il ballo, yay.
Ma parliamo invece del nostro figlio di Efesto, e del gran casino che sta combinando. 
Mai chiedere aiuto ad uno
Stollmai. E poi povero Larsen! In effetti rifilargli tutta quella bugia della maledizione da parte di Leo è stato un po' meschino. 
Ma come già annunciato, ormai è disposto a fare di tutto, pur di riprendersi la ragazza. 
Solo che... come la prenderebbe,
Emma, se lo scoprisse?
E che dire di
Skyler? Il suo presentimento era giusto: c'è qualcosa che non va, e quei sussurri spietati che ha sentito ne sono la prova. 
Che cosa credete che succederà, adesso? 
Sono aperte le scommesse!
Bien, ora voglio ringraziare
ArchaonTheEternalTheNew, LaFilleTerrible, Anakin Solo e LoveDragon02 per aver recensito lo scorso capitolo come solo degli angioletti sanno fare. 
Spero che mi facciate conoscere in tanti le vostre opinioni. 
E se tutto va male, ci si sente tra due settimane!
Sempre vostra,

ValeryJackson

 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***



ATTENZIONE: LEGGERE L'ANGOLO AUTRICE

John non avrebbe mai immaginato che in quella fortezza ci fossero così tante stanze.
Aveva avuto la premura di controllarle tutte, dalla prima all’ultima.
Ignorando le varie coppiette che limonavano, quei pochi giovani che avevano preferito giocare a carte e tutti i semidei che continuavano a folgorarlo con lo sguardo per via del suo modo brusco di passare – il figlio di Apollo si era fatto lentamente largo tra la folla, addentrandosi sempre più all’interno di quel luogo, lì dove le persone cominciavano a scarseggiare.
Non c’era traccia di Rose da nessuna parte, e ciò aveva tenuto stretto il suo stomaco in una morsa d’acciaio per tutto il tempo.
Non si avevano notizie di lei da quasi un'ora, ormai.
Dove si era cacciata? Che cosa le era capitato?
Quei quesiti iniziavano a logorarlo come acido all’interno. Spalancò l’ennesima porta, per poi scusarsi solo distrattamente con i due ragazzi che si erano appartati in quello sgabuzzino.
Il maschio gli urlò dietro un’imprecazione, che però il biondo ascoltò a malapena.
Ne aprì un’altra, questa volta del tutto vuota. Quando infine giunse all’ultima anta in fondo al corridoio, scoprì che questa era chiusa a chiave. Tentò di forzarla, invano. Dopo di ché bussò.
«Occu… pato…» bascicò sommessamente una voce all’interno, e il cuore di John ebbe un fremito.
«Rose?» chiamò, non ricevendo in cambio nessuna risposta. Batté le nocche contro lo stipite ancora una volta, provando di nuovo a far pressione sulla serratura.
«Ho detto… che è… occupato» obiettò la persona all’interno, infastidita.
«Rose, sei tu?» insistette invece il figlio di Apollo, con tono un po’ più alto. «Maledizione, apri la porta!»
Diede un calcio contro il legno chiaro, frustrato. Si guardò intorno, alla disperata ricerca di qualche oggetto di ferro che gli permettesse di entrare in quella camera.
Ma cosa avrebbe mai potuto aspettarsi, da quella che era un'ala del palazzo quasi completamente vuota? In fondo, erano tutti al ballo.
Prendendo un profondo respiro, decise che non poteva permettersi di perdere altro tempo. Optò per una misura decisamente più drastica, dando una spallata al cardine – che all’impatto cigolò appena.
Abbatté di nuovo tutto il proprio peso contro quel legno ostile. E poi ancora, e ancora.
Alla quarta volta, la porta si spalancò con un tonfo sordo, e il ragazzo si precipitò all’interno, guardandosi intorno spaesato.
Dovette assottigliare lo sguardo perché i suoi occhi si abituassero alla luce fioca che aleggiava in quella stanza. Quando però riuscì a distinguere meglio le figure, ciò che si ritrovò di fronte non gli piacque per niente.
Girava voce che Chirone si fosse liberato di circa la metà della collezione di vini del Signor D, approfittando della sua assenza per regalarne un po’  alla Gunvor come una sorta di offerta di pace.
John però non immaginava che ciò fosse vero – né tantomeno che la perfida donna avesse preferito tenerle, piuttosto che gettarle nella spazzatura.
Eppure ora eccolo lì, circondato da vini d’annata degli anni ’30 palesemente costosi anche per qualcuno inesperto in materia come lui. Nell’aria regnava il sapore acre dell’uva, unito allo stantio del chiuso e alla polvere. Seduta in un angolo, con un fiasco di Brunello in mano, c’era Rose.
Era a piedi nudi, con i capelli scompigliati e il bel vestito tutto stropicciato. Aveva delle profonde occhiaie,le pupille dilatate e le gote arrossate – più del normale.
Nello scorgere le quattro bottiglie vuote abbandonate sul pavimento, al biondo venne un colpo al cuore.
«Dei» imprecò a denti stretti, facendo un passo verso la giovane con i muscoli tesi, irrigiditi.
La figlia di Poseidone inizialmente arricciò di poco il naso, scrutandolo con circospezione. Ma non appena lo riconobbe, le sue iridi azzurre appannate dall’alchool parvero illuminarsi.
«John!» esultò, agitando il fiasco nella sua direzione. «Vuoi favorire?»
Biascicava terribilmente, facendo fatica a parlare come se non fosse più padrona della propria lingua.
«Rose, maledizione!» la rimproverò quindi lui, furioso ed confuso. «Che cosa ci fai qui?»
«Dioniso non potrebbe berle comu-nque» si giustificò la mora, come fosse scontato. «È un peccato che vadano… sprecate.» Quell’affermazione fu seguita da un involontario singulto, subito accompagnato da un’isterica risatina.
Il figlio di Apollo scosse il capo, il viso contratto in un’espressione affranta.
«Cos’è successo?» le domandò cautamente, avvicinandolesi con calma.
La ragazza aggrottò la fronte, come se per un attimo l’avesse completamente dimenticato. Ma poi dovette tornarle in mente, perché il suo volto si tese in una smorfia.
Dopo di ché fece spallucce. «Avevi ragione» confessò, con la leggerezza con la quale si discute di cose poco importanti. «Sarebbe stato meglio se non fossi venu-ta.»
Un cipiglio interrogativo si dipinse sul volto di John, al ché lei sospirò rumorosamente.
«Aren non aveva nessunissima voglia di venire al ballo con me. Mi ha invitata solo…» Rise tra sé e sé, quasi quel pensiero la divertisse. «Per una scommessa.» Sollevò l’indice in aria, recitando solennemente. «Lui sarebbe riuscito a portarmi a letto prima della fine della serata. Il ché mi lusinga. Vuol dire che mi trova attraente, no?» Vi rifletté un po’ su, facendo poi schioccare la lingua intorpidita dal vino. «Ci era quasi riuscito. Eravamo nel corridoio che ci stavamo baciando, e poi lui… ha allungato le mani. E all’inizio era anche piacevole, sono sincera.» Ghignò amaramente, un panno di tristezza a velarle gli occhi chiari. «Ma poi è diventato invadente. E fastidioso. Ho provato a dirgli di smetterla, ma lui non mi ascoltava. E così gli ho - » Singhiozzo. «Gli ho versato del vino addosso. Sì, sai, con i miei poteri ho percepito le bottiglie in questa stanza e le ho usate per farmi scudo. Era rosso; di uno dei più pregiati.» Si corrucciò. «Lui non l’ha presa molto bene.»
Ecco spiegato il cambio d’abito di quel verme, quindi.
«Ha detto che me l’avrebbe fatta pagare» proseguì la figlia di Poseidone, leccandosi distrattamente le labbra. «Che avrebbe fatto credere a tuuutti che sono io la “poco di buono”» e detto ciò mimò le virgolette con le dita, ridacchiando subito con uno sbuffo rassegnato dal naso.
«Addio vita sociale!» brindò poi con falsa allegria, tracannandosi tre grandi sorsi direttamente dalla bottiglia.
Il biondo strinse i pugni fino a che le sue nocche non divennero bianche. Quel discorso gli aveva liberato nel petto un vortice di emozioni contrastanti quali rabbia, disgusto, malinconia, rimpianto.
Quanto avrebbe voluto vendicare Rose e sfogare il proprio furore contro quel figlio di buona donna.
Come aveva potuto fare una cosa del genere? Aveva cercato di approfittare di lei, per tutti gli dei! Di una quindicenne sola, ingenua ed indifesa.
Beh, forse non troppo indifesa, dato che aveva saputo schermirsi molto bene – e il ragazzo non riuscì a frenare un leggero moto d’orgoglio, nei suoi confronti.
Questo fu però subito sostituito da un senso di colpa soffocante. Ricordò il giorno in cui aveva sentito Aren parlare di quella scommessa con i propri amici; poi pensò a ciò che aveva fatto alla mora, e non poté fare a meno di ritenersi colpevole dell’accaduto.
Perché non l’aveva affrontato allora, quando ne aveva avuto l’occasione? A che pro starsene con le mani in mano, per poi rendersi conto che le conseguenze erano state orribili?
Avrebbe potuto evitare che ciò succedesse.
Avrebbe dovuto proteggere Rose prima che lei fosse costretta a salvaguardarsi da sola.
E mentre l’istinto lo spronava a tornare in quella sala da ballo e darle di santa ragione a quel figlio di Odino dei suoi stivali, le sue iridi non potevano fare a meno di soffermarsi sul corpicino fragile della ragazza, che seduta ancora a terra aveva preferito sfogare il proprio rammarico nell’alcool, piuttosto che chiedere aiuto.
Testa o cuore.
Chi dei due aveva ragione?
Quando la giovane fece per dare un altro sorso a quel rosée, il figlio di Apollo non ebbe più alcun dubbio.
«Basta così» ordinò, strappandole la bottiglia di mano prima che lei potesse sfiorarne l’anello con le labbra.
«Ehi!» replicò infatti quella, infastidita. Mise il broncio, cercando di riprendersela – ma il suo equilibrio… beh, non era esattamente dei migliori. «Ridammela!»
«Coraggio, alzati» le intimò con autorevolezza lui, afferrandola per un polso ed issandola in piedi. «Ti accompagno nella tua Cabina.»
«Non ci voglio venire» obiettò la figlia di Poseidone. Impuntò i piedi a terra, facendo leva sui talloni per opporre resistenza. «No-oh!»
Fu dopo il terzo tentativo fallito – in seguito al quale lei era riuscita a divincolarsi dalla sua presa – che John si spazientì e l’attirò a sé con uno strattone, passandole un braccio nell’incavo delle ginocchia e coricandosela di peso in spalla.
«Mettimi giù!» esclamò la semidea, battendogli invano il debole pugno sulla schiena.
Il ragazzo prese un profondo respiro, incamminandosi deciso per l’androne, fuori da quella fortezza che aveva tramutato la loro ‘serata perfetta’ in un enorme disastro.
Ma forse faceva ancora in tempo a concludere qualcosa di buono.
Non avrebbe lasciato Rose da sola.
Non un’altra volta.
 
Ω Ω Ω
 
Emma avrebbe ucciso Leo, prima o poi. Poco ma sicuro.
Non aveva fatto altro che cercare Skyler per tutta la sera, per poi trovarla insieme a Michael e scoprire che in realtà non l’aveva mai mandata a chiamare.
Tutta colpa di quello stupido figlio di Efesto. E lei sciocca che gli aveva anche creduto!
Si divertiva tanto a prenderla in giro? Che cosa aveva fatto di male, lei, per meritare una simile condanna?
Sforzandosi di mantenere la calma per evitare che il suo ballo andasse rovinato, riempì lentamente i polmoni – incamminandosi per tornare da Larsen.
Aveva immaginato di ritrovarlo lì dove l’aveva lasciato, ma lui non c’era.
Si guardò intorno spaesata, facendo vagare le proprie iridi argentate sulla sala alla ricerca del suo ciuffo biondo. Del figlio di Balder, però, nessuna traccia.
La cosa la insospettì. Che cosa gli era successo? Lui non era di certo il tipo che piantava in asso una ragazza così, senza la minima spiegazione.
Dovette chiedere informazione a ben cinque ragazzi, prima di incontrarne uno che le rivelasse di averlo visto correre in bagno circa mezz’ora prima.
La figlia di Ermes corrucciò le sopracciglia, ma non ci pensò due volte a seguire le indicazioni di quel figlio di Magni e dirigersi verso le toilette, con la speranza e il timore di trovarlo ancora lì.
Non prestò neppure troppa attenzione al simbolo sulla porta, quando entrò repentinamente nel bagno dei maschi, tra gli insulti e le proteste di tutti quei poveri semidei che avevano dovuto assecondare le loro urgenze.
Fortuna volle che le ante dei gabinetti fossero in sospensione, per questo la bionda si chinò a guardare all’inizio sotto una, poi sotto un’altra; fino a ché non le si pararono davanti un paio di mocassini neri dall’aria familiare.
Bussò con cautela, avvicinando l’orecchio all’uscio.
«Lars?» chiamò. Ma in principio tutto ciò che ricevette in risposta fu uno lamento strozzato.
Batté nuovamente le nocche contro il legno, portandosi il dorso dell’altra mano alle narici per coprire il nauseante odore che aleggiava in quel bagno.
«Lars, sono io: Emma. Va…» Esitò, i lineamenti contratti in una leggera smorfia. «Va tutto bene?»
Dovette aspettare qualche secondo (accompagnato da un leggero colpo di tosse e il tonfo sordo di una tavoletta che viene abbassata). La porta si aprì con un cigolio, e la ragazza fece un passo indietro, spaesata.
L’aspetto del figlio di Balder era tutt’altro che decente: aveva la fronte imperlata di sudore, e il nodo della cravatta sciolto alla meno peggio; i suoi capelli erano arruffati, e il colorito della sua pelle così verdognolo da far intendere a chiunque che stesse per vomitare.
«Ehi» mormorò Emma, visibilmente preoccupata. «Cos’è successo?»
Quando però allungò una mano accarezzargli teneramente una guancia, il giovane si scansò bruscamente, portandola così a corrucciare le sopracciglia. Aveva un’espressione strana, sul volto; quasi fosse… spaventato.
«Sc-Scusa» balbettò lui, al ché la semidea inclinò il capo di lato.
«È tutto okay?»
«Io…» Il nordico si guardò intorno, come se cercasse disperatamente un aiuto esterno. Ma una volta resosi conto di essere rimasto da solo con lei, prese un bel respiro, appoggiandosi di peso con la schiena al muro.
«Mi dispiace» si scusò.
La giovane era confusa. «Per cosa?»
«Io ci ho provato!» giurò Larsen, mostrando affranto i palmi delle mani. «Ma… non credo di poter continuare oltre.»
«Di che cosa stai parlando?»
«Ho saputo della tua maledizione.»
A quel punto, la figlia di Ermes sgranò gli occhi, scioccata. «La mia che?»
«‘Il bacio del diavolo’» chiarì dunque lui, arricciando il naso. «Per un attimo ho creduto di esserne immune. Ma dopo stasera…  non ne sono più tanto sicuro.»
Che cosa stava farneticando?
Maledizione? Bacio del diavolo?
Cos’era successo, mentre lei era via?
«Tu mi piaci molto, Emma» continuò imperterrito il biondo, con tono dispiaciuto. «Però Leo mi ha avvertito su quali potrebbero essere le conseguenze e…»
«Frena, frena, frena» lo interruppe allora Emma, con un cenno. «Leo? Che cosa c’entra lui, adesso?»
«È stato lui a rivelarmi del tuo… ‘problema’.»
Di fronte a quelle parole, la ragazza percepì il proprio sangue gelarsi nelle vene. Il figlio di Balder stava dicendo qualcos’altro, ma la sua voce le arrivava ovattata ai timpani; troppo lontana.
Ripensò al modo in cui il figlio di Efesto li aveva interrotti mentre stavano per baciarsi; al bicchiere che stringeva in una mano mentre la costringeva ad andarsene con l’inganno.
Ragionò su ciò che il biondo le aveva riferito, e ogni tassello trovò improvvisamente il proprio posto nel puzzle.
Si precipitò frettolosamente fuori, una rabbia accecante a corroderle la bocca dello stomaco.
In un primo momento, Lars provò anche a seguirla. Ma non fece in tempo a dare un passo, che un crampo alla pancia lo vincolò di nuovo in bagno, impedendogli di fermarla.
La giovane tornò come una furia alla sala da ballo, digrignando i denti e guardandosi intorno, finché non individuò colui che stava cercando.
Leo Valdez era intento a parlare spensierato con Annabeth e Percy, mentre giocherellava distrattamente con uno stuzzicadenti.
Prima che potesse anche solo decidere di farlo, Emma gli si era già avventata contro.
«Ti piace rovinarmi la vita, eh?» sbraitò infatti, spintonandolo con forza. «Ci provi gusto, a vedermi soffrire!»
Il ragazzo barcollò all’indietro, colto alla sprovvista. Non sapeva perché la figlia di Ermes stesse dicendo così, ma non ci mise molto ad intuirne il motivo.
«Emma, calmati» le intimò autoritario il figlio di Poseidone, frapponendosi tra i due ed afferrandola per i fianchi prima che potesse saltargli addosso. «Coraggio, sta calma.»
«Sarà meglio che vada» annunciò quindi il figlio di Efesto, allontanandosi da loro senza aggiungere altro.
«Oh, no» replicò la bionda, con sarcasmo. «Non ho ancora finito con te.»
Gli corse dietro, faticando a tenere il passo a causa dei tacchi alti. Nonostante avesse udito le sue minacce, il moro non pareva intenzionato a fermarsi.
«Dove credi di andare?» gli urlò dunque lei, conficcandosi le unghie nei palmi tanto da farsi male. «Dì un po’, è così divertente per te mandare la mia vita a puttane?»
«Non so di cosa tu stia parlando» si limitò ad affermare lui.
Erano arrivati nell’androne principale, ormai, proprio davanti alla scalinata che conduceva all’uscita. Non c’erano che un paio di ragazzi, lì – vale a dire quasi nessuno che potesse sentirli discutere così animatamente.
«Lo sai benissimo, invece» ribatté Emma, furibonda ed indignata. «Mi hai allontanata da Larsen con l’inganno. Hai mischiato qualcosa nel suo punch che l’ha fatto stare male e gli hai fatto credere che fosse colpa mia.»
Fu solo allora che Leo si bloccò all’improvviso, girandosi verso di lei per fronteggiarla. La ragazza per poco non andò a sbattergli contro, ma ciò non mutò in alcun modo il suo sguardo – che avrebbe potuto folgorarlo in ogni istante.
«Perché avrei dovuto fare una cosa del genere?» rise amaramente il giovane, al ché lei allargò le braccia.
«Ah, non lo so! Perché vuoi vedermi star male?»
«Non capisco perché ti importi tanto di quel… damerino da strapazzo» obiettò a quel punto lui, il volto contratto in una smorfia di sdegno.
«Tu non hai idea di che ragazzo speciale sia» lo accusò lei, puntandogli un dito contro il petto. «Non hai il diritto di rivolgerti a lui in questo modo.»
«Vi siete baciati?»
Quella domanda sorprese più del previsto la figlia di Ermes, che però fu in grado di non lasciarsi tradire dalle proprie emozioni.
«Sì, e allora? Qual è il tuo problema?»
«Nessuno» mentì indispettito il figlio di Efesto, mentre avvertiva un’acida gelosia divampare nella propria cassa toracica. Fece schioccare la lingua, abbozzando un sorrisetto ironico. «Pensavo solo che ti prendessi un po’ più di tempo, prima di avventarti sulle labbra di qualcuno.»
«A meno che questo qualcuno non sia degno del mio affetto» gli fece notare lei, con tono pungente. Dopo di ché strinse gli occhi a due fessure, annullando la distanza che li separava con un passo per poterlo affrontare ancora meglio.
«Sai qual è la cosa che mi piace di più di Larsen?» domandò, retorica. «Il rispetto che nutre nei miei confronti. Ma deve trattarsi di un argomento del tutto nuovo, per te.»
«E quindi questo vi dà il diritto di bruciare subito tutte le tappe?» ribatté indispettito lui, sostenendo il rancore dei suoi occhi grigi. «Ma certo! Non fa una piega. E dimmi, ci sei anche andata a letto, per caso?» la interrogò, mostrando i palmi con un verso di scherno. «Perché a questo punto non mi sorprenderebbe.»
«E se anche fosse?» obiettò dunque la giovane, irritata. «A te che importa?»
«Niente, hai ragione!» eruppe il figlio di Efesto, il risentimento a fargli vibrare le note vocali. «Assolutamente niente!»
Il volto di Emma si tinse di disprezzo. «La tua falsità ti sta logorando» lo tacciò infatti,  disgustata. «Critichi tanto me, ma tu non sei altro che un ipocrita che continua a nascondersi dietro la maschera di ciò che non sarà mai!»
«Disse la figlia dell’escort.»
Il palmo della ragazza si posò contro la guancia di lui prima che quest’ultimo potesse anche solo rendersi conto di aver pronunciato quelle parole ad alta voce.
Costretto a voltare il capo, il giovane si portò stupito una mano ad accarezzarsi il segno rossastro che quello schiaffo gli aveva lasciato.
Tornò a guardare la bionda, pentendosene subito dopo.
Tutto l’ardore e lo sdegno e il rancore che fino a quell’istante l’avevano portata ad inveirgli contro erano immediatamente stati sostituiti da un profondo… dolore. Come se il ragazzo l’avesse appena pugnalata con un coltello.
E ripensando a ciò che aveva detto, il figlio di Efesto capì che in realtà era proprio così.
«Come hai potuto…» riuscì a sussurrare debolmente lei, la vista offuscata dalle brucianti lacrime che minacciavano di solcarle il volto.
Leo avvertì un’emozione soffocante – vergogna, forse – incombere su di lui quasi tentasse di schiacciarlo al suolo.
Cosa gli era saltato in mente? Perché esclamare cose che in realtà neanche pensava?
Aveva appena infranto quella muta promessa che tra loro due c’era sempre stata; e se ne rendeva conto solo adesso, mentre incontrava le sue iridi argentate e non poteva fare a meno di paragonarle a dei pezzi di vetro scheggiati.
La delusione nello sguardo della figlia di Ermes era talmente tanta, che il moro avrebbe preferito mille volte morire dissanguato, piuttosto che vivere con la consapevolezza di averle tirato un colpo tanto basso.
«Devo andare» si dileguò flebilmente, distogliendo gli occhi a disagio e dandole le spalle.
Fu solo il vederlo andare via così a risvegliare la bionda dallo stato di shock in cui era piombata.
«È così?» gli urlò infatti contro, adirata. «Batti in ritirata come un codardo?»
Ma lui non si voltò, né fece cenno di voler rispondere a quella provocazione. Iniziò al contrario e risalire imperterrito le scale, il peso del senso di colpa a gravargli sulle spalle.
E se in altre circostanze Emma l’avrebbe seguito, ora aveva perso tutta l’energia per raggiungerlo. Si limitò a stringere i pugni tanto da avere le nocche bianche – un nodo ad otturarle la gola, opprimente e bruciante.
Lo osservò allontanarsi, consapevole di non avere le forze per fermarlo.
«Io ti odio, Leo Valdez!»
Dinanzi a quel grido disperato, il ragazzo interruppe bruscamente la propria salita, quasi l’avessero appena colpito con un raggio congelante.
Quelle parole si insinuarono lentamente nei suoi timpani, arrivando al suo subconscio e togliendogli di netto il fiato.
Qualcosa dentro di lui si spezzò. Magari proprio il suo cuore, che lacerandosi gli apriva una voragine nel petto tanto grande da dargli le vertigini.
Avrebbe potuto replicare. Avrebbe potuto spiegarle che invece no, per lui era tutto il contrario! Che se aveva fatto ciò che aveva fatto, era solamente perché aveva paura di perderla.
Avrebbe potuto confessarle quello che provava per lei; liberarsi finalmente di quel peso che si portava dietro da fin troppo tempo.
Ma non lo fece.
Al posto di tornare sui propri passi e baciarla con tutto l’ardore e la passione di cui fosse capace, proseguì verso l’uscita – esalando un sospiro tremante e facendo del proprio meglio per contenere le proprie emozioni.
Emma aveva ragione: era solo un codardo.
Non aveva fatto altro che scappare – dai propri sentimenti, dalle situazioni, dalle occasioni.
L’aveva ferita, e non si sarebbe mai perdonato per questo.
Nell’istante in cui lo vide sparire dal suo campo visivo, la ragazza si accasciò su sé stessa, crollando a terra.
Seduta su uno dei gradini, si lasciò andare a quel pianto e quei singhiozzi che aveva trattenuto fino a quel momento.
Se c’era stata anche solo una piccola speranza, per loro, di tornare quelli di una volta, ora si era volatilizzata insieme all’affermazione di lui.
Quella era la prova lampante che non c’era più alcun Leo per Emma; alcuna Emma per Leo.
La dimostrazione nuda e cruda che non avrebbe mai più potuto esserci un ‘noi’, per loro.
 
Ω Ω Ω
 
Rose si era lamentata della presa di posizione di John per tutto il tempo che quest’ultimo, continuando a tenerla in spalla, aveva impiegato per giungere alla Cabina Tre.
Non aveva fatto altro che protestare durante l’intero tragitto – biascicando quanto ciò fosse ingiusto e di come fosse in grado di camminare da sola.
Ma il figlio di Apollo non demorse, e non la lasciò andare finché non si ritrovarono di fronte a quella porta di mogano scuro con un tridente intagliato sul davanti. La aprì senza pensarci, permettendole di posare di nuovo i piedi a terra solo quando furono all’interno.
Finalmente libera di poter procedere sulle proprie gambe, la giovane strinse gli occhi a due fessure, guardandosi intorno con aria contrariata.
«Ci stiamo ancora muovendo?» domandò, al ché lui si accarezzò la fronte.
«No. Siamo nella tua Cabina.»
«Ah» fu l’unico commento di lei, prima di corrucciare le sopracciglia. «E allora perché gira tutto?»
Il biondo prese fiato per replicare, ma qualunque cosa avesse sperato di dire gli morì in gola nell’istante in cui la ragazza si tolse sgraziatamente orecchine, bracciale e il fermaglio che aveva tra i capelli, scagliandoli dall’altro lato della stanza senza ritegno.
«È per questo motivo» puntualizzò, indicandoli. «Che volte vorrei essere un maschio.»
«Dovresti metterti a letto» le intimò allora lui, con fare pratico. «A volte una bella dormita è il modo migliore per…» Ma non fece in tempo a terminare quell’affermazione, che la figlia di Poseidone cominciò a sfilarsi il vestito, lottando contro la cerniera.
«Woh… oh…» balbettò lui, imbarazzato. Si voltò nell’immediato, avvampando visibilmente ed imponendosi di continuare a darle le spalle. Aveva già visto Rose… beh, in biancheria. Involontariamente, ovvio! Eppure nonostante questo aveva ancora la sensazione che guardandola avrebbe violato la sua privacy.
Un classico, per un bravo ragazzo come lui. Non poteva non provare disagio dinanzi ad una ragazza seminuda – figuriamoci, poi, se si trattava della sorella del suo migliore amico.
«Un aiutino?» lo pregò ad un tratto la mora; e, lanciandole un’occhiata di sfuggita, John si rese conto che le si era incastrata la zip del vestito. Represse quell’istinto maschile che lo spingeva a far cadere lo sguardo sul suo reggiseno di pizzo azzurro, mentre prendeva un profondo respiro.
«Ehm… s-sì, certo» ciangottò. Fu più difficile del previsto aiutarla con quella cerniera; ma alla fine riuscì a farla scivolare morbidamente fino alla fine della chiusura, e lei si lasciò andare ad un sorrisetto soddisfatto.
«Ecco Super John pronto a salvarmi dal mio vestito cattivo» esclamò, ridendosela tra sé e sé.
Il figlio di Apollo arrossì di poco, spostando l’attenzione sull’armadio di lei.
«Hai mai pensato ad un nome in codice?» continuò Rose, imperterrita. «O ad un soprannome figo?»
Fu allora che il biondo ghignò divertito, porgendole una maglietta di tre taglie più grandi che avrebbe potuto fungerle da pigiama.
«Non l’ho mai vista come una priorità, no» ammise, sentendosi sollevato non appena le curve della giovane furono coperte da quell’indumento scolorito.
«Che ne pensi di Occhio di Falco?» propose quindi la ragazza, arricciando il naso. «Oh. No. Quello è già stato preso.» Si grattò una tempia, pensierosa. «Potrebbe essere qualcosa di legato al sole. O magari al fatto che sei sempre molto disponi-»
Si interruppe così, a metà frase. Il volto pallido ed un’espressione urgente in viso.
«Che c’è?» scattò subito lui, cambiando repentinamente tono.
La figlia di Poseidone deglutì, incontrando le sue iridi chiare. «Non mi sento molto bene.»
Il ragazzo parve intuire in un secondo, perché annullò con un unico passo la distanza che li separava.
«D’accordo, andiamo» affermò, posandole una mano dietro la schiena per condurla verso il bagno.
La giovane fece appena in tempo a varcare la soglia che fu colpita da una tremenda nausea. Si piegò in due sul lavandino, iniziando a vomitare un instante dopo.
John le resse i capelli, mentre lei rimetteva tutto l’alcool che – si scoprì poi – aveva ingerito a stomaco quasi vuoto. Lui aprì poi il rubinetto, bagnandosi la mano con l’acqua ghiacciata e posandole il palmo contro la fronte, così da darle un leggero sollievo (seppur fittizio). Fece lo stesso anche con la base del suo collo, ed ebbe la premura di accarezzarle la schiena, di tanto in tanto, mormorandole frasi gentili come «Brava, così», oppure «È quasi finito, ancora un ultimo sforzo».
Per un corpicino così esile, quei conati dovevano essere decisamente spossanti.
Una volta finito di dare sfogo al proprio stomaco, Rose fu colpita da improvvise vertigini. Si accasciò contro il petto di lui, priva di forze; e il giovane la sorresse, impedendole così di perdere i sensi.
Trovò istintivo il prenderla in braccio, stringendola a sé e portandola verso il suo letto. La adagiò con accortezza sul materasso, rimboccandole le coperte e poi accovacciandosi accanto a lei per potersi ritrovare all’altezza del suo viso.
Le passò teneramente le dita tra i capelli leggermente sudati.
«Riposati, okay?» le ordinò.
La mora schiuse dunque gli occhi, stringendosi nelle spalle e premendo la guancia contro il suo palmo. «Grazie per stasera» mormorò dopo un po’, con un fil di voce.
Il figlio di Apollo, quindi, le rivolse un cenno del capo. «Quando vuoi» le assicurò. «Tu però bevi tanta acqua.»
«Sei sempre così gentile con me» lo ignorò però lei, tirando su col naso.
«Mi viene naturale» fece spallucce lui.
«Perché?»
«Come?»
«Perché lo fai?» chiarì allora la figlia di Poseidone. «Aiutare le persone. Non ti stanchi mai di… essere l’eroe di tutti?»
C’era ancora alcool in circolo nel suo metabolismo, questo era evidente. Le parole venivano soffiate via dalle sue labbra senza che lei riuscisse a controllarle. Era come se il vino le avesse tolto ogni filtro, e quindi parlasse a vanvera di tutto ciò che le veniva in mente senza ragionarvi su.
«Sei molto stanca, Rose» le fece notare dolcemente John, accarezzandole la spalla.
«Dico sul serio» ribatté invece la ragazza, lottando contro le palpebre che pesanti minacciavano di chiudersi. «Tu… tu sei fantastico. Sei sempre nel posto giusto al momento giusto. Lotti per chiunque. Tu salvi ciascuno di noi, John» aggiunse poi, in un sussurro. «Ma chi salva te?»
Quel quesito gli tolse ogni parola, e si sorprese nel riscoprirsi incapace di darvi una risposta.
Forse la giovane aveva ragione. Chi salvava lui?
I suoi amici? Melanie? Aveva sempre dato tutto, senza mai pretendere nulla in cambio. Credeva nella giustizia, nella solidarietà, nel rispetto.
Ma non aveva ancora mai provato la sensazione di essere riportato a galla da qualcuno.
Magari perché era stato tanto fortunato da non aver mai toccato il fondo. Ma qualora fosse successo? Chi gli avrebbe funto da salvagente?
Chi sarebbe stato il suo eroe?
Rose sbadigliò, distogliendolo bruscamente dai suoi pensieri. Mordendosi l’interno della guancia, il ragazzo le sistemò meglio le coperte.
«Buonanotte» le augurò, sporgendosi per posarle un lieve bacio sul capo. Ma quando si rimise in piedi e fece per andarsene, la giovane lo trattenne per una mano.
«John?» lo chiamò.
«Mh?»
«Resteresti con me finché non mi addormento?»
Lo guardò in attesa, scrutandolo con quelle sue iridi del colore del mare, che in quel momento erano di un blu profondo – come le sfumature dell’oceano in piena notte. Sembrava così piccola ed indifesa, nascosta sotto quelle lenzuola; come un cucciolo troppo fragile per poter essere lasciato esposto in balia dei cacciatori.
In quell’attimo, John si sentì uno stupido anche solo per aver pensato di lasciarla da sola.
Annuì con decisione, sedendosi sul bordo del letto, proprio al suo fianco. E continuò a tenerle la mano fino a ché lei non sospirò beata, chiudendo sfinita gli occhi.
Il figlio di Apollo la osservò cadere tra le braccia di Morfeo; e in quel silenzio quasi religioso che si era creato, si ritrovò a studiare i lineamenti del suo viso.
Il modo in cui arricciava le labbra mentre dormiva; la dolce curva del suo naso leggermente all’insù. Le spostò un boccolo mogano dal volto con una delicatezza inaudita, quasi fosse fatta di porcellana e avesse paura di sfregiarla.
Sembrava un angelo, illuminata dal bagliore della luna che filtrava dalla finestra. Era semplice, e al contempo bellissima.
E forse era proprio questa la sua più grande particolarità – anzi, meglio dire problema: il non capire quanto potesse essere eccezionale, senza il bisogno di artefatti o di inutili compromessi.
Il fatto era che dietro quella maschera di maturità e fierezza si nascondeva, in realtà, una grande insicurezza.
John non seppe quanto tempo trascorse lì, intento a guardarla dormine.
Ma fatto sta che non andò via, neanche quando il suo respiro si fece pesante e fu palese che fosse entrata nel mondo dei sogni.
 
Ω Ω Ω
 
Skyler aveva continuato a seguire quelle voci senza riflettervici troppo, non rendendosi neppure conto che queste la stavano conducendo verso un’ala pressoché deserta della tenuta.
Quasi fosse in uno stato di trance, non riusciva a concentrarsi su altro che quei sussurri concitati, che parevano intensificarsi sempre di più ad ogni passo in avanti che lei faceva.
Era consapevole di aver fatto la scelta sbagliata, a dar retta al puro istinto. Ancora una volta, la sua curiosità la stava portando dritta tra le braccia del pericolo; eppure non riusciva a fermarsi.
C’era qualcosa, dentro di lei – una parte inconscia della sua anima che le suggeriva di lasciare il resto del mondo fuori da quella storia. Fondamentalmente era sempre stato un problema più suo, che di altri.
E doveva rimanere tale.
Specialmente in seguito a tutti quei sacrifici compiuti a causa sua, aveva deciso di non voler mettere a rischio la vita di nessun altro (in primis, di quelli che amava).
Quella era la sua battaglia. La sua guerra.
Era iniziato tutto per colpa sua; e quindi con lei doveva finire.
Qualunque cosa quelle voci rappresentassero, era chiaro che non fosse nulla di buono. Ma lei sapeva badare a sé stessa, no?
Insomma, si trovava comunque nel posto al mondo più sicuro per un semidio. Che cosa avrebbe mai potuto trovare, di tanto temibile?
Ma poi fu un attimo – una frazione di secondo in cui i sibili si interruppero. All’improvviso, tutti insieme.
Cessarono di esistere così come erano nati, tanto che la figlia di Efesto si domandò se non li avesse soltanto immaginati.
Riscossasi da quello stato ipnotico di cui era stata vittima fino a quel momento, si guardò intorno, facendo vagare le proprie iridi scure sulle pareti.
Si trovava in una stanza a lei del tutto sconosciuta. Niente mobili, niente affreschi. Sembrava quasi si fossero dimenticati di finirla, lasciandola lì in attesa di dedicarvisi in tempi migliori.
Le pareti erano di un neutro color crema, e doveva essere situata molto lontano dalla sala del ballo, visto che non di sentiva neanche l’eco della musica e della festa.
Come ci era arrivata, fin lì? Ma soprattutto, come tornava indietro?
Era in procinto di ripercorrere i propri passi, convinta che tutto ciò che aveva udito fino a quell’istante fosse solo un’ennesima illusione della sua mente stressata.
Ma prima che potesse farlo, qualcosa la bloccò. Era stata così concentrata sul capire cosa stesse succedendo, da non accorgersi di non essere più sola.
Fu una voce alle sue spalle a confermarglielo.
Sarcastica, manipolatrice e decisamente inconfondibile.
«Ci si rivedere, Ragazza in Fiamme.»
Il fiato di Skyler le si smorzò in gola, seguito da una molesta sensazione di soffocamento. Deglutì a fatica, girando lentamente su sé stessa con in muscoli in preda alla tensione.
Inizialmente, sperò di essersi sbagliata. Ma quando il suo sguardo incrociò un paio di occhi verde smeraldo, purtroppo non ci fu più alcun dubbio. 
Le labbra di Matthew si incusvarono all'insù, in un ghigno ironico e sadico.
La mora sentì le ginocchia cedere. Lui era lì, di fronte a lei, a scrutarla con quella sua aria di superiorità. E questo poteva significare soltanto una cosa.
Prometeo era tornato. 
E stavolta, anche fisicamente.


Angolo Scrittrice.
Non ci sono parole giuste per iniziare a dirvi quanto mi dispiace. Non dopo tutto questo tempo.
Avrebbe dovuto trattarsi soltanto di qualche settimana, e invece siamo arrivati a... quanto? Quasi due mesi?
Sono mortificata, davvero. Soprattutto perché consapevole che - a causa di questo ritardo immane - molto probabilmente ora non avrò più neanche quei pochi lettori che mi rimanevano. 
Non starò qui a raccontarvi dell'ultimo periodo della mia vita, anche perchè so che non vi interesserà. Voglio solo che sappiate che non ho abbandonato questa storia, e che ho intenzione di portarla a termine anche se (l'ho capito a mie spese) purtroppo non potrò garantirvi la costanza di una volta. 
Però ho scelto questo martedì di novembre per tornare all'attacco in modo simbolico. Oramai questo giorno della settimana lo sento un po' mio, e ho voluto che questa pubblicazione fosse un vero e proprio ritorno a casa.
Ma andiamo per gradi. 
Beh, che dire? Spero perlomeno che il capitolo sia stato di vostro gradimento. Vi accadono cose molto importanti per l'andamento della storia. Ad iniziare da
John e Rose
Il rapporto tra questi due semidei non era mai stato approfondito più di tanto fino a 'Il Dono', ma piano piano vi renderete conto di come il loro legame avrà molta importanza proprio per - udite, udite - il nostro figlio di Apollo preferito.
Sappiamo tutti che lei ha una cotta per lui; ma lui è innamorato di
Melanie. E (chiariamo questo punto prima che qualcuno si preoccupi) non la tradirebbe mai, neppure sotto tortura. Ma prova comunque un innato istinto di protezione, nei confronti della figlia di Poseidone - e ne abbiamo la prova lampante in questo capitolo. 
Come solo un vero galantuomo sa fare, non solo la riporta a casa dopo una sbornia, ma le regge i capelli mentre vomita e le rimbocca le coperte. Senza sbirciare la sua biancheria intima, ragazzi!
Ebbene sì, esistono anche loro. E mentre lei gli chiede di restarle accanto mentre si addormenta, lui rimane con quella domanda che io adesso rigiro a voi: quando lui toccherà il fondo, chi sarà il suo eroe?
Qualche idea? Suggerimenti?
Cosa credete che accadrà, invece, quando Rose si sarà ripresa?
Ma parliamo adesso di
Emma e Leo, che... beh, potete intuirlo da soli. Per chi li shippasse questo non deve essere stato un bel capitolo, ne sono consapevole. Leo l'ha fatta grossa, questa volta: non per aver allontanato Larsen da lei, no. La cosa più grave è stata quello che ha detto. 
Tirare in ballo la madre era colpo che non doveva infliggerle. Lui è l'unico a sapere l'intera storia, e ad essere conscio di quanto la figlia di Ermes abbia sofferto. Ed usando questo fatto solamente per ripicca ha tradito la sua fiducia (in modo irreparabile, direi). Pensate che avranno la possibilità di chiarire?
Oppure, conoscendo Emma, non vorrà saperne più niente di lui?
Secondo voi, il figlio di Efesto che cosa potrebbe dirle, per farsi perdonare? Avete delle proposte?
Ultima, ma tra i primi, la nostra
Skyler - che dopo aver seguito l'istinto si è ritrovata faccia a faccia con Lui. Ebbene sì, proprio Prometeo. Ma come ha fatto ad imbucarsi alla festa? E che cosa le succederà, adesso?
Provate a rispondere a queste domande e fatemi sapere se siete ancora con me, semidei. 
Ditemi se avete ancora voglia di seguire questa storia. Fatemi sapere se siete interessati a sapere come andrà a finire. 
Come già detto, non posso garantirvi una periodicità fissa, ma vi avviso che tenterò comunque di pubblicare una volta ogni due settimane (preferibilmente di martedì). Ma fatemi sapere se ci siete ancora, perché altrimenti tutti i miei sforzi sarebbero inutili.
Grazie anche per aver letto questo messaggio. E grazie soprattutto a
Amy_demigod e LoveDragon02 per aver commentato l'ultimo capitolo. Fatemi sentire, Valery's Angels!
E ditemi cosa ne pensate.
Di nuovo vostra,

ValeryJackson

 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***





Le labbra di Matthew si incurvarono all’insù, in un ghigno ironico e sadico.
La mora sentì le ginocchia cedere. Lui era lì, di fronte a lei, a scrutarla con quella sua aria di superiorità. E questo poteva significare soltanto una cosa.
Prometeo era tornato.
E stavolta, anche fisicamente.
 
Skyler avrebbe tanto voluto avere la forza di scappare. O di tenere testa alle avversità. O meglio ancora, di chiedere aiuto.
Ma chissà per quale arcano motivo, non era mai stata brava a fare la scelta giusta.
Il titano sostenne il suo sguardo consapevole della sua fragilità. Si era presentato di nuovo con le sembianze di un diciottenne.
Magari perché sapeva quanto ciò la rendesse vulnerabile. In fin dei conti, si era fidata davvero di quella persona.
Aveva creduto in lui; aveva creduto a tutte le bugie che le aveva raccontato. E in un modo o nell’altro, vedere quel volto non faceva altro che ricordarle quanto fosse stata ingenua e stupida.
Come aveva fatto ad entrate, tra l’altro?
I confini erano protetti da una barriera magica. E consapevoli che questo non l’avrebbe comunque fermato, Chirone e la Signora Gunvor avevano raddoppiato la sicurezza – assicurandosi che nessuno avesse accesso al Campo senza che loro lo venissero a sapere.
Dov’erano, adesso? Dov’erano tutti?
Era di nuovo sola contro di lui, si rese conto con un groppo in gola.
E Matt dovette accorgersi di come il suo viso fosse sbiancato, dato che abbozzò un sorrisetto sghembo, inarcando le sopracciglia piantagrane.
«Sorpresa?» domandò retorico.
«C-C…» balbettò lei, maledicendosi mentalmente per il tremitio della propria voce. «Come…»
«Come faccio ad essere qui?» la precedette il moro, facendo spallucce. «Beh, dolcezza, dopo tutto questo tempo dovresti aver capito che ho i miei assi nella manica.»
Detto ciò, si azzardò a fare un passo verso di lei; ed inconsciamente, la figlia di Efesto ne fece a sua volta uno indietro. Si portò una mano al petto, lì dove poggiava la sua spada ora sotto forma di collana.
«Che cosa vuoi da me?»
Prometeo fece scivolare i suoi occhi verdi su di lei, continuando a mantenere quel suo irritante cipiglio indecifrabile.
«Il rosso ti dona molto, sai?» si complimentò, ignorando bellamente il suo quesito. «Risalta il tuo incarnato. Suppongo sia proprio il tuo colore.»
«So che ti sto solo immaginando» eruppe allora la ragazza, chiudendo gli occhi e stringendo il ciondolo azzurro nel pugno. «Questo è solo un'altra delle tue stupide illusioni. Ti diverti così tanto a giocare con la mia mente che…»
«Mi spiace contraddirti» la interruppe sfrontatamente lui, con un cenno della mano. «Ma purtroppo per te, questa volta non è così. Sono davvero qui, Skyler.» Dopo di ché allargò le braccia, avanzando lentamente verso di lei. «Non sei felice?»
La giovane indietreggiò a tal punto che ben presto si ritrovò con le spalle alla parete, la schiena premuta contro di essa quasi potesse affondarvici dentro e scomparire.
Matthew approfittò di quella situazione per pararlesi davanti, posando i palmi sul muro a sua volta, proprio ai lati delle spalle di lei.
«Ti sono mancato, mh?» la provocò, con tono basso e roco. Ma non appena fece per sfiorarle il viso con la punta delle dita, la mora fece uno scatto repentino con la testa, sfuggendo bruscamente al quel tocco indesiderato.
«Non mi toccare» sibilò a denti stretti.
Però invece di intendere quelle parole come un avvertimento, il titano ne parve divertito – tant’è che ridacchiò sommessamente.
«Uuh…» la prese in giro, con un verso di scherno.
Fu sorprendente la rapidità con cui i suoi lineamenti cambiarono smorfia, passando da un sogghigno ironico ad uno sguardo penetrante e tagliente. Chiuse le dita sul braccio della figlia di Efesto con così tanta forza che quest’ultima non ebbe neanche il tempo di opporsi.
«Credi di essere nella posizione di sollevare minacce?» soffiò, quasi fosse sconvolto dalla sua sfacciataggine. «Tu sei sotto il mio controllo. Ti ho in pugno, Ragazza in Fiamme» le ricordò, fingendo un sorriso innocente. «Non trovi anche tu? Mila Arnold. Elvi Petterson. Emily Bulter.» Contò quei nomi su ogni dito della mano sinistra, come a volerne sottolineare lo spessore.
Skyler non avrebbe mai potuto dimenticarli. Quelli erano i tre ragazzi vittime degli indovinelli di quell'assassino.
Coloro che avevano perso la vita per un sacrificio del quale non conoscevano neppure il motivo.
«Il tuo amichetto Michael è stato intelligente» continuò Matt, imperterrito. «Ha capito il mio schema prima che io potessi prendermi ancora gioco di voi. Ma pensi davvero che questo basterà a fermarmi?»
Si chinò verso di lei, avvicinando talmente tanto il volto al suo che le narici della ragazza furono invase dalla sua pungente acqua di colonia. «Ben tre morti, piccola. Non sono un po’ troppi?»
La mora tentò di divincolarsi dalla presa sul suo bicipite, invano.
«E tutti a causa tua» le fece notare sadico lui.
«No…» La voce di Skyler si incrinò a quel sussurro, mentre sentiva gli occhi ardere per via delle imminenti lacrime.
«Quante vite mi costringerai ancora a sacrificare, prima di capire che è solo una quella che voglio?» La provocò dunque Prometeo, sfiorandole la guancia con le labbra con fare voluttuoso. «Tu sei mia, Ragazza in Fiamme. Il tuo fuoco mi appartiene, e non esiste modo in cui tu possa sfuggirmi. Ti è stata già rivelata la profezia, no?»
A quella domanda, la giovane non replicò, stringendo gli occhi e soffocando un singulto.
Matthew si lasciò andare ad un ghigno soddisfatto. «Oh, certo che sì» constatò, alquanto compiaciuto. «Allora saprai anche che nulla mi fermerà dall’ottenere ciò che mi spetta. Il mio messaggio è stato chiaro» continuò poi, afferrandole il mento per costringerla violentemente a guardarlo negli occhi.
Soffiò sulle sue labbra tremanti quelle parole, mentre lo stomaco di lei si contorceva per la paura ed il disgusto.
«Sto vedendo a prenderti. Questa non era altro che una battaglia in confronto alla guerra che sta per cominciare.»
La figlia di Efesto era sicura di poter svenire da un momento all’altro. Fu pervasa da delle moleste vertigini che le diedero il capogiro, e la nausea provata dalla vicinanza con il corpo di quel mostro di certo non era d’aiuto.
Qual era il suo scopo? Che cosa aveva intenzione di fare?
Era già palese di cosa fosse in grado. Ma se ciò che aveva visto fino ad allora non fosse che una minima parte delle tragedie che avrebbe potuto compiere?
Chi sarebbero state le prossime vittime? I suoi parenti? I suoi amici?
Michael, forse?
Perché solo ora si rendeva conto di quante persone si trovassero a rischio solo affinché lei continuasse a vivere ancora per un po’?
«Non rispondi?» inarcò un sopracciglio il moro, prendendosi gioco della sua evidente vulnerabilità. «Sei spaventata?»
Ma la sua voce arrivava ovattata ai timpani di lei, quasi fosse intrappolata in una bolla che non riusciva a far scoppiare. Tutto intorno a lei girava, in un vortice stomachevole dove il suo più grande nemico era anche l’unico punto nella stanza a restare fermo.
In altre circostanze si sarebbe convinta che fosse tutta un’illusione di Prometeo, che tentava di destabilizzarla. Ma purtroppo nell’ultimo periodo era stata vittima di troppi attacchi di panico per non accorgersi di quando stava per averne uno.
«Ti ho già spiegato che mi nutro della tua paura, no?» mormorò sommessamente il ragazzo, toccando con il pollice il suo labbro inferiore, con fare lussurioso. «Io vivo grazie al tuo terrore. Ciò che temi tu è anche ciò che alimenta me. E devo ammettere di essere leggermente affamato.»
Le sue dita le afferrarono con prepotenza il collo, mentre il respirio della mora diventava sempre più irregolare.
«Coraggio, fiammella mia» la invitò, lascivo. «Urla per me. Fammi sentire quanto può essere potente il grido di una persona in preda al panico.»
I suoi occhi persero qualsiasi tonalità di verde, per essere sostituiti da due iridi dorate. Le stesse che l’avevano guardata prima di provare a toglierle la vita.
Le stesse che continuavano a tormentarla ogni notte, insinuandosi negli angoli più reconditi della sua mente.
«Che aspetti?» sbraitò lui, e la figlia di Efesto si sentì definitivamente soffocare. «Fallo. Urla, Skyler» insistette di nuovo, prima di trasformare quella frase in un ordine.
«Urla!»
E stavolta, lei lo fece davvero.
Si lasciò andare a quel grido che fino a quel momento aveva serbato in un angolo recondito del proprio cuore. Lasciò fluire in esso tutta la propria paura, e il tormento, e quella sensazione d’inadeguatezza che ormai faceva parte di lei.
Urlò così forte che le sue corde vocali presero a dolerle; talmente tanto, che persino Matthew barcollò all’indietro, stupito.
Per un attimo, la vista della ragazza si tinse di un rosso intenso, ed ebbe l’impressione che la sua pelle stesse involontariamente prendendo fuoco. Incontrò gli occhi flavi del moro, fissi su di lei in un’espressione di pura perplessità.
Dopo di ché – quasi nello stesso istante – lui si piegò su sé stesso, afferrandosi la testa in un lamento strozzato, e lei fu colpita da una lancinante fitta alla cassa toracica.
Si portò una mano al petto, accasciandosi contro il muro e sentendo i battiti accelerare sempre di più – fino all’inverosimile.
Che si trattasse di un attacco di panico le era ben chiaro… ma non era mai stato tanto devastante.
Non riusciva letteralmente a respirare; e per quanto si sforzasse di fare qualche affannoso respiro, ogni suo tentativo sembrava vano.
La stanza intorno a lei prese a vorticare vertiginosamente, fino a farle perdere il senso dell’equilibrio. Cadde sulle ginocchia, mentre la minaccia indispettita di Prometeo arrivava ai suoi timpani solo come un’eco distante.
Era andato via, dissolvendosi in un lampo di luce con la stessa velocità con la quale era sbucato fuori. Ma ora Skyler non si trovava nelle condizioni giuste per pensarci.
Faceva sempre più fatica a riempire a sufficienza i polmoni. Dei violenti brividi le correvano per tutto il corpo, e aveva perso qualsiasi sensibilità di braccia e gambe.
La sua retina fu d’improvviso invasa da dei puntini neri, che rendevano il mettere a fuoco ulteriormente più difficile.
Quel dolore straziante tra le sue costole non diminuiva neppure di un po'.
Doveva aggrapparsi a qualcosa e stringerla con quanta più forza potesse, ma purtroppo in quella stanza non c’erano altro che lei e il suo malessere infrenabile.
Che cosa le stava succedendo? Perché questa volta quell’attacco sembrava non volersi dissolvere più?
Qualcuno entrò dalla porta, esclamando a gran voce il suo nome. Ma la figlia di Efesto non capì chi fosse finché i lineamenti di Michael non entrarono nel suo campo visivo.
Avrebbe voluto dirgli che andava tutto bene; di stare tranquillo, e che non c’era nulla di cui preoccuparsi.
Ma riusciva a malapena a mettere insieme quei pensieri nella propria testa, figuriamoci a dar loro suono.
«Skyler!» la chiamò allarmato il figlio di Poseidone, chinandosi immediatamente accanto a lei e sollevandole il busto dal pavimento. La strinse tra le braccia, afferrandole il volto con una mano per costringerla a guardarlo.
«Skyler, sono qui. È tutto okay» la rassicurò, una palese tensione ad incrinargli la voce. «Aiuto! Qualcuno vada a chiamare aiuto!» strillò, nella speranza che qualcuno gli desse retta. «Presto! Chiamate Chirone!»
In altre circostanze, la mora avrebbe notato il piccolo gruppetto che osservava la scena dalla soglia, o che in seguito all’ordine del ragazzo alcuni di quei giovani si fossero affrettati per andare dal centauro.
Ma il tutto le appariva così distante, che le sembrava quasi che la sua mente e la sua anima non condividessero più lo stesso corpo.
Con il respiro sempre più irregolare, aveva iniziato a sudare freddo e a tremare convulsamente contro il petto del giovane semidio.
«Oh miei dei» fu l’unico mormorio impaurito che riuscì ad udire.
Era di Melanie. Anche lei si era inginocchiata al suo fianco.
«Skyler, guardami. Non mi mollare» le intimò Michael, che poté giurare di non essersi mai sentito tanto impotente in vita sua. «Che cos’ha?» domandò poi alla bionda, in una richiesta disperata di soccorso. «Che cosa le sta succedendo?»
«Ha un attacco di panico» la tranquillità con la quale quella gli rispose sorprese anche la stessa figlia di Demetra.
«Dov’è John?» sbraitò allora il figlio di Poseidone, furioso. «Fallo venire qui. Lui saprà cosa fare. Lui sa sempre cosa fare! Digli… fallo….»
«Deve stringere con forza qualcosa» lo interruppe quindi la ragazza, tentando di mantenere a propria volta la calma.
«EH?»
«Me l’ha spiegato una volta John. È un metodo efficace. Funziona. Facciamole stringere qualcosa.» Ma lanciandosi una rapida occhiata tutt’intorno, i due giovani si resero conto che non vi era nulla a cui la mora potesse aggrapparsi.
Melanie inspirò dunque a fondo, afferrandole una mano e sporgendosi verso di lei.
«D’accordo, Skyler. Ora voglio che tu ti concentri. Fa forza sulla mia mano.» Ma inizialmente, tutto ciò che percepì fu una debole pressione. «Coraggio, Skyler. Concentrati. Focalizzati sulla mia voce, d’accordo?»
La figlia di Efesto strizzò le palpebre, digrignando i denti ed impegnandosi nel controllare il proprio respiro.
«Adesso conterò fino a dieci secondi, durante i quali tu dovrai stritolare la mia mano più forte che puoi.» Lanciò di sfuggita un’occhiata al moro, che la supplicò con lo sguardo di andare avanti, se fosse servito realmente a qualcosa.
«Okay. Pronta. Uno, due, tre, quattro…»
Skyler strinse a tal punto le dita della bionda da sentirle scrocchiare dentro il suo palmo.
«Cinque, sei…»
Quei numeri erano scanditi in modo lento e regolare, e la mora cercava di far coincidere quel ritmo costante con i propri profondi e faticosi respiri.
«Sette, otto…»
Melanie non mollò la presa, e di questo la ragazza gliene fu grata. Non la lasciò andare neppure quando la mora sentì di farle davvero male.
«Nove…»
I battiti del suo cuore stavano gradualmente rallentando. La vista tornava a farsi più nitida.
«Dieci.»
Skyler si accasciò sfinita contro il petto di Michael, e le braccia le scivolarono inerti lungo i fianchi, sul pavimento. Al di là della fronte imperlata e il fiato grosso, sentì di aver ripreso pieno possesso del proprio corpo.
Il figlio di Poseidone l’accostò dolcemente a sé, passandole le dita tra i capelli sudati e baciandole protettivo il capo.
«Va tutto bene» le sussurrò, mentre lei continuava a tremargli tra le braccia. «È tutto finito. Va tutto bene.»
La figlia di Demetra buttò fuori tutta l’aria che per l’ansia aveva trattenuto, chiudendo gli occhi in un gesto sollevato.
«Va tutto bene» continuò ad assicurare il moro alla figlia di Efesto.
E nonostante avesse tanto voluto credergli, la giovane sapeva che non c’era proprio nulla – in tutta quella situazione – che potesse anche solo minimamente avvicinarsi all’andare bene.
 
Ω Ω Ω
 
Skyler ci aveva messo un po’ prima di calmarsi abbastanza da fare mente locale e rendersi conto di ciò che era successo.
Gli occhi dei presenti fissi su di lei la facevano sentire impotente; quasi nuda.
Quello che aveva avuto non era altro che uno degli innumerevoli attacchi di panico di cui era vittima da un anno a quella parte, eppure questa volta era stato devastante.
Non era riuscita a fermarlo da sola, come aveva sempre fatto. Ne era stata sopraffatta, e questo era soltanto l’ennesima dimostrazione di quanto fosse diventata debole.
Si era accorta delle calde lacrime che le bagnavano le guance solo quando aveva percepito un sapore salato in bocca, e Michael le aveva posato una mano dietro la nuca – facendole nascondere il viso nella sua camicia e rassicurandola che fosse tutto okay.
«La porto nella sua Cabina» l’aveva udito mormorare a Melanie, di modo che solo la bionda potesse ascoltarlo. «Cerca John, e digli di raggiungerci lì. Ma non far venire nessun altro.»
«In realtà lui sta…» La figlia di Demetra aveva esitato, titubante. Poi aveva emesso un breve sospiro. «Non so se potrà correre da voi.»
«Beh, se lo vedi, digli lo stesso dove trovarci.»
A quelle ultime parole la giovane aveva annuito, chinando tristemente il capo. Il figlio di Poseidone non aveva neanche perso tempo ad indagare su che fine l’amico avesse fatto.
Al contrario, si era limitato a passare un braccio nell’incavo delle ginocchia della mora, sollevandola da terra e conducendola fuori da quella stanza. L’aveva tenuta stretta al proprio petto per tutto il tragitto, e la figlia di Efesto si era rifiutata di aprire gli occhi – troppo spaventata da ciò che si sarebbe potuta ritrovare davanti.
Eccola lì, di nuovo vinta dall’astuzia di Prometeo. Piccola, fragile, indifesa.
Un ingranaggio arrugginito inserito nella macchina sbagliata.
Aveva mantenuto un tale silenzio fino ad allora, che per un attimo Michael credette che si fosse addormentata.
Varcò con cautela la soglia della Casa Nove, assicurandosi che al suo interno non vi fosse nessuno. Dopo di ché, evitò di accendere le luci, lasciandosi guidare dal fioco bagliore dei raggi lunari che filtravano tra le persiane.
Raggiunto il letto della ragazza, ve la adagiò con una delicatezza disarmante, quasi temesse che anche il minimo movimento brusco potesse ferirla. Quando però fece per alzarsi e rimboccarle le coperte, lei lo trattenne per la camicia.
«Ti prego, non mi lasciare» lo supplicò, e il suo tono disperato non lo fece dubitare neanche per un secondo.
Si sdraiò con accortezza accanto a lei, tirando le coperte su entrambi e sistemandosi su un fianco, in modo tale che i loro visi fossero l’uno di fronte all’altro.
Fu solo a quel punto che la giovane sollevò finalmente le palpebre. Aveva le iridi rosse di pianto; e tirò su col naso non appena lui le accarezzò con l’indice il profilo della mascella.
«Mi dispiace» si scusò in un sussurro strozzato.
Il figlio di Poseidone abbozzò un tenero sorriso. «Non preoccuparti.»
«Avrei dovuto dirtelo» continuò imperterrita Skyler, con voce tremante. «Continuo a rovinare sempre tutto, e invece avrei dovuto… a-avrei…»
«Ehi» la interruppe con premura il moro, cercando si incontrare il suo sguardo. «Ne parliamo domani, d’accordo? Abbiamo avuto tutti un brutto quarto d’ora.»
La figlia di Efesto non aveva mai saputo resistere a quelle iridi del colore del mare. Così gentili, e limpide, e vive. In quell’istante erano di un intenso blu scuro, e non avevano nulla di diverso dal modo in cui l’avevano sembra guardata.
A farle brillare non c’era rancore, o delusione, o amarezza. C’era solo puro amore.
Non poteva continuare a dirgli altre bugie. Non capiva come Michael facesse a non odiarla, ma sapeva di dovergli molto di più delle proprie scuse.
«Ho iniziato ad averli circa un anno fa» ammise, con tono basso. «Dopo che mi sono risvegliata dal coma… beh, sono arrivati più o meno insieme agli incubi di Prometeo. Sognavo lui, e l’attimo dopo mi svegliavo di soprassalto, e non riuscivo a respirare. E le pareti della stanza sembravano volermi soffocare. Era orribile.»
Si concesse una breve pausa, prima di proseguire. Il ragazzo pendeva dalle sue labbra in un religioso silenzio, attento a qualsiasi suono fosse emesso dalle sue corde vocali.
«All’inizio pensavo fosse normale. Ma poi è capitato ancora. E ancora. E ancora. Così ho fatto le mie ricerche su internet.» Deglutì, vergognandosi della propria accidia. «Ho giurato a me stessa di non rivelarlo a nessuno finché non avessi capito come fare a controllarlo. Ma tu non sei ‘nessuno’. E non hai idea di quanto mi senta in colpa per averti tagliato fuori un’altra volta.»
Lì per lì, il non replicare di Michael le fece temere di aver perso completamente la sua fiducia, con quella confessione.
Lui le squadrò il volto, un’espressione indecifrabile a stirargli la faccia. Poi allungò una mano, spostandole una ciocca di capelli dalla fronte ed attorcigliandosela attorno al dito.
Skyler si rese conto di aver trattenuto il fiato solo in quell’istante, mentre lui si mordeva l’interno della guancia.
«Tutti commettiamo degli errori» le fece notare, con fare pacato. «E so che questo ti fa rabbia, Sky. E so che sei convinta di farne più degli altri, ma… non è così. Sei fin troppo combattiva, considerate tutte le responsabilità che hai. Per non parlare poi di quelle che neanche volevi.»
Le pulì una lacrima dallo zigomo con il pollice. «Il tuo spirito animale era azzeccato, sai? Tu sei un leone» le ricordò. «Un leone che però crede ancora di potercela fare senza il resto del branco. Ma la verità è che nessuno può sopravvivere da solo. Prima o poi imparerai a confidare negli altri tanto quanto gli altri confidano in te.»
«Quando?»
«Con i tuoi tempi» la tranquillizzò lui, con un’alzata di spalle. «Non c’è fretta. Ma posso assicurarti che – per quanto mi riguarda – abbiamo già fatto passi da gigante.»
La ragazza avrebbe tanto voluto aprirsi in un sorriso, ma purtroppo non ci riuscì. Ripensò a quello che era accaduto; a come tutto sarebbe andato diversamente, se ci fosse stato qualcuno con lei.
E non poté fare a meno di chiedersi se fosse stato meglio o peggio.
«Lui era lì, Michael» confessò, rabbrividendo al solo pensiero.
Il moro parve perplesso. «Intendi…»
«Intendo lì lì. In carne ed ossa. Davanti a me. Mi ha minacciata, e mi ha toccata, ed era troppo vero per poter essere un sogno.»
Dalla sua espressione, le fu palese quanto il figlio di Poseidone si stesse sforzando di non crederci. Non voleva crederci. Anche se sapeva che non avrebbe comunque potuto fare nulla, contro il titano, un moto di rabbia gli incendiava il petto all’idea che lui avesse osato sfiorare la figlia di Efesto.
Il suo primo istinto fu quello di esplodere, di fiondarsi fuori dal letto e di mettersi alla disperata ricerca di quel figlio di Era. Ma tutta la sua furia scemò nel momento in cui incontrò le iridi screziare d’oro di lei – che lo guardavano in preda alla solitudine e ad un disperato bisogno di conforto.
«Okay, senti» esordì, spostandosi sul materasso così da potersi accostare di più alla giovane. Quando le posò un palmo contro la guancia, i loro nasi erano tanto vicini da scontrarsi.
«So bene di non essere invincibile. E che ci sono moltissimi combattenti migliori di me. E che non sono il massimo, come eroe. Ma ti prometto che non permetterò mai a nessuno di toccare la mia ragazza.» Si incatenò a lei con il proprio sguardo intenso, deciso.
«Io so proteggerti» affermò, senza timore.
«Non posso chiederti di farlo.»
«Non c’è bisogno che tu me lo chieda. È quello che farò, perché è così che deve andare. Indipendentemente dall’eventualità che ci lasciamo, o che uno dei due se ne vada, o che l’universo ci remi contro» dichiarò. «Ti proteggerò, perché so che quello è il mio destino.»
La mora tirò nuovamente su col naso, con amarezza. «E qual è invece il mio, di destino?»
Michael si strinse nelle spalle ingenuamente, prima si attestare: «Essere il nostro leader.»
Skyler rimase atterrita nell’udire quelle parole.
Leader. Proprio come era stato predetto dalla profezia.
Dopo aver sentito quella frase, divenne molto più difficile sostenere quegli occhi blu senza che il senso di colpa la logorasse dall’interno.
Lo stava facendo ancora: non riusciva a raccontargli tutta la verità.
Perché non gli diceva ciò che le Parche avevano predetto? Cosa ci avrebbe risolto, se lui comunque avrebbe dovuto scoprirlo lo stesso, prima o poi?
Michael non meritava le sue menzogne. E lei non meritava un tale rispetto da parte sua.
Non meritava il rispetto di nessuno, ad essere sinceri. Non meritava di essere il loro punto di riferimento.
Non lei, che non era più neanche certa di che aspetto avesse un punto, figuriamoci se sapesse come guidare una massa di semidei.
Il figlio di Poseidone dovette interpretare il suo mutismo come una stanchezza emotiva dovuta all’onere che le era stato affibbiato – non potendo minimamente immaginare che invece fosse dato solo dall’eccessiva colpevolezza che l’affliggeva.
«Vieni qui» le intimò infatti, sollevando un braccio e permettendole di nascondere il viso nell’incavo del suo collo, per poi posarle un dolcissimo bacio sulla fronte. La strinse a sé, sperando che percepisse in quell’abbraccio tutta la protezione che lui era seriamente pronto a darle.
E Skyler non poté fare a meno di sentirsi al sicuro, accoccolata tra le sue braccia. E pregò gli dei affinché la facessero restare così per sempre, in quello stato di quiete in cui tutto il resto pareva dissolversi introno a loro – lasciando spazio solo al calore del loro amore.
«Ti amo» le sussurrò piano lui, prima di posare un casto ma intenso bacio sulle sue labbra.
La figlia di Efesto sospirò, chiudendo gli occhi per assaporare appieno quell’istante.
«Ti amo anch’io.»
 
Ω Ω Ω
 
Skyler non aveva idea di dove si trovasse, per il semplice motivo che intorno a lei era tutto, inesorabilmente, dannatamente buio.
C’era un unico occhio di bue, ed era puntato su di lei.
La ragazza si guardò intorno, sconcertata. Doveva tentare di mantenere il controllo, perché se era uno dei suoi soliti sogni, sapeva sia che era tutto frutto della propria immaginazione, sia che stava per succedere qualcosa di terrificante.
È opera di Prometeo, pensò, facendo dei grandi respiri.
Come desideroso di dare una conferma a tutti i suoi dubbi, un suono fendette l’aria, riecheggiando in quella che ora aveva tutta l’aria di essere una stanza. Una stanza molto piccola.
Ma non era il solito suono. Non era una risata, malefica e capace di farle accapponare la pelle.
No.
Quello era un grido.
Un grido di dolore.

Arrivò all’orecchie di Skyler con un fischio così acuto che la giovane temette che da un momento all’altro il suo cervello potesse scoppiare.
Solo quando il grido si ripeté, Skyler riconobbe quella voce.
«Mamma?» mormorò, senza fiato. Sgranò gli occhi, e un altro urlo esplose alle sue spalle.
Skyler si voltò di scatto. «Zio!» esclamò.
Che stava succedendo? Perché tutte le persone a cui voleva bene stavano urlando di dolore?
Le stavano torturando?
Skyler provò a muoversi, nella speranza di correre verso l’origine di quella richiesta di aiuto. Ma le sue gambe non risposero al cervello.
Era come bloccata; intrappolata in quel dannatissimo occhio di bue.

Altri lamenti si susseguirono, straziati.
«Michael!» urlò. Si guardò intorno freneticamente, sforzandosi di muovere qualche passo. «Zio! Michael!» Le risposero solo altre strilla lancinanti.
Di suo zio, di Michael, di Emma, di John, di sua madre, di Leo.
Arrivarono ad accalcarsi, lacerandole i timpani.

Non è reale, si ripeté, in preda al panico. Tutto questo non è reale, è solo un’illusione.
Ma se non era reale, allora che cos’era? Un altro scherzo meschino di Prometeo? Se si, come faceva a riprodurre quelle urla così bene, in modo così realistico?
Non avrà mica…
Cercò di restare avvinghiata alla propria sanità mentale, ma la cosa divenne più difficile, quando quel coro di orrore perfettamente orchestrato si fece più forte, più intenso, tant’è che ora non passava neanche un secondo senza che quelle grida fendessero l’aria.
Cadde in ginocchio, tormentata. Ormai evitarle era impossibile. Si accucciò a terra, premendosi le mani sulle orecchie con così tanta forza che avrebbe potuto benissimo rompersi il cranio.
Ma loro non se ne andavano. Erano ancora lì, riusciva a sentirle.
E fu a quel punto che temette che non sarebbero svanite più.

Iniziò a singhiozzare, scossa dai brividi. «No…» mormorò, con voce incerta, mentre i suoi occhi si strizzavano e il cervello le sanguinava di dolore.
La gola le bruciava tremendamente. «No» esclamò, stavolta con più forza. Scosse violentemente la testa, rifiutandosi di aprire gli occhi. «No. No! No!»
Ci fu una grossa esplosione. E non nel senso che la terra tremò e il soffitto raggiunse la terra.
No.

L’occhio di bue si espanse, ricoprendo tutto introno a lei di una luce abbagliante. Le grida cessarono immediatamente.
Skyler era ancora accucciata a terra, tremante, le mani sulle orecchie e gli occhi chiusi.
Quando si accorse che intorno a lei c’era solo silenzio, però, focalizzò i pensieri.
Lentamente, schiuse le palpebre e si tolse i palmi dalle orecchie, guardandosi intorno.
Lo scenario era cambiato.
Era in un laboratorio, o almeno così le sembrava. Grossi tavoli erano ricoperti di torni per metallo, seghe da banco, attrezzi. C’erano molte più cose di quanto le fucine della Casa Nove avrebbero potuto contenere.
Skyler si guardò intorno, basita. Faceva caldo, lì. E dov’erano finite le grida?
Si alzò in piedi, circospetta, e quando alzò lo sguardo, per poco non le venne un infarto.
«Mamma mia!» esclamò, sobbalzando.
Davanti a lei c’era l’uomo più grosso e malandato che avesse mai visto.
Era robusto, con braccia forti e possenti, e mani piene di calli. Indossava una tuta da lavoro tutta sporca, ma era stato il suo viso a spaventarla. Quell’uomo aveva una barba incolta, arruffata e sporca d’olio. Le sopracciglia erano così folte da coprirgli quasi tutto il volto, che, tra l’altro, era bitorzoluto e coperto di lividi, come se fosse stato pestato più volte, e poi ripestato di nuovo.
L’uomo la guardò, ghignando sotto la barba. Poteva sembrare Babbo Natale. Un Babbo Natale brutto e sporco, ma pur sempre Babbo Natale.
Ok, forse un po’ più muscoloso. Ma il suo sguardo era gentile.

«Papà mio, figliola» la corresse l’uomo. «Dovresti conoscere la differenza.»
Skyler aggrottò la fronte, squadrandolo dall’alto in basso. «Efesto?»
Il dio allargò le braccia, sorridente. «In persona.»
La mora fu scioccata. «M-ma…ma… ma come hai… perché hai… dove…» balbettò.
«Oh, scusa per quell’incubo di prima» disse il dio, buttando una mano in aria con noncuranza. «Morfeo non è riuscito a connettermi in tempo. Avrei voluto interromperlo, davvero, ma quel tizio è troppo forte.»
La semidea aprì la bocca per replicare, ma inizialmente non ne uscì alcun suono, così la richiuse.
Efesto fece un passo avanti, squadrandola dolcemente; poi sospirò. «Mi dispiace» mormorò.
Skyler abbozzò un sorriso. «Non preoccuparti, non è colpa tua. Lui lo fa di continuo. Ormai ci sono…»
«No, non per quello» la interruppe il dio del fuoco. «Io… è colpa mia, lo so. L’ho sempre saputo.»
La ragazza corrucciò le sopracciglia, confusa. «Che vuoi dire?»
Lui sospirò. «Tu non dovresti essere mai nata.»
Quell’affermazione fu come uno schiaffo in faccia.
Skyler era indignata. Suo padre — il potente dio del fuoco che non si era mai fatto vivo per diciassette anni — le appariva ora in sogno per dirle che non era contento della sua nascita?
Era pronta a replicare, ma lui la precedette.

«Tua madre lo sapeva, ma non ha voluto rinunciare.»
Alla mora mancò il fiato. «Che cosa centra mia madre?»
Efesto incrociò le braccia al petto, sospirando. «Credo che non ti abbiano raccontato tutta la storia.»
Skyler esitò. Beh, le avevano raccontato molte cose. Della profezia, del piano del titano; e poi ancora della guerra imminente, e del suo dono.
Ma dalla sua espressione capì che forse il dio non stava alludendo a nulla di tutto ciò.

Davanti al suo sconcerto, Efesto sorrise. «Ti sei mai chiesta perché Prometeo ha puntato proprio te?»
La giovane decise che non avrebbe fatto di nuovo scena muta. «Beh, io… lui ha… ha detto che voleva impadronirsi del mio fuoco» ciangottò. «Anche se non so esattamente cosa questo voglia dire.»
Lui annuì mestamente. «Ora te lo racconto io» disse. Si diresse verso uno sgabello lì vicino e, dopo essersi seduto, si voltò a guardarla.
In quel momento, Skyler si rese conto di quanto in realtà fosse vecchio. Aveva un’espressione vissuta, stanca, e, a differenza di tutti gli altri dei, portava sulle spalle tutti i suoi anni come se fossero un peso troppo grande da sopportare.
Quando iniziò a raccontare, la sua voce era segnata dal tempo.
«Iniziò tutto quando le Parche scrissero quell’assurda profezia» spiegò. «Noi… sapevamo che era una cosa insensata. Noi dei dell’Olimpo, intendo. Avevamo affrontato migliaia di mostri, durante gli anni, e i semidei ci erano sempre stati accanto. Vedi, all’inizio eravamo molto più egoisti, e qui non si parlava di noi. C’era in gioco la sopravvivenza dei nostri figli, non la nostra. Insomma, diciamocelo, noi procreiamo ogni anno. Un figlio in più, un figlio in meno, non fa differenza. Per questo, quando l’Oracolo predisse la caduta dell’Olimpo per mano del figlio di uno dei Tre Pezzi Grossi, ci siamo preoccupati di quello, e la profezia delle Parche é stata dimenticata. Ma non da me.»
Schioccò la lingua.
«Quando conobbi tua madre, ne rimasi estasiato. Lei… lei era bellissima, ed io non ho potuto fare a meno di innamorarmi. Non so se te l’ha mai detto, ma rimase incinta di te dopo soli sei mesi.» Fece un sorriso malinconico. «Quando nascesti, però, c’era qualcosa che non andava. Qualcosa di sbagliato. Tu eri… diversa dagli altri miei figli; io riuscivo a sentirlo.
«Quando ti portarono per la prima volta da tua madre, i medici dissero che non ce l’avresti fatta. “Ha il cuore troppo debole” dicevano. “Non reggerebbe lo sforzo”. Tua madre era distrutta. Quella sera andai da lei, per consolarla, ma quando arrivai all’ospedale, quest’ultimo non c’era più. E al suo posto, solo fiamme.
«Tua madre ti stringeva fra le braccia, in un impeto di protezione; ma a dispetto di tutti i presenti, lei non era spaventata. E tu non piangevi come tutti i bambini. Quando mi vide, fece una cosa che non mi sarei mai aspettato. Sorrise. “È stata lei” mi disse, orgogliosa. “La fiamma è partita dal suo cuore”. Ma anche se lei era felice, io sapevo cosa questo poteva significare.

«Le spiegai tutto. Le spiegai che quell’avvenimento non era un buon segno; le dissi che facevi parte di un disegno più grande di te, ma lei non volle ascoltarmi. “È mia figlia” continuava a ripetere. “Io non la lascio”. Lei sapeva che tenerti con sé non era la cosa giusta da fare, eppure faceva finta di niente.
«Ti crebbe, proprio come vengono cresciuti tutti i semidei normali: con tanto amore e all’oscuro del mondo divino. Ma io ti osservavo, e sapevo che qualcosa c'era non andava. Il tuo cuore, il tuo spirito, il tuo potere… stavano diventando troppo potenti!»

Alzò lo sguardo verso Skyler, gli occhi coperti da un velo di tristezza.
La ragazza era rimasta in silenzio fino ad allora. Non aveva osato parlare, troppo destabilizzata ed incuriosita da quella storia per trovare il coraggio di interromperlo.
Efesto irrigidì la mascella. «Così ho fatto ciò che era necessario.»
La giovane aggrottò la fronte, intuendo dal suo tono che si trattasse di qualcosa di grave. «C-Che cosa hai fatto?»
Il dio abbassò quindi lo sguardo, cpon fare pentito. Non riusciva a guardarla negli occhi, e questo non prometteva nulla di buono.
«Quando avevi sette anni» mormorò mestamente lui. «Ho bruciato l’officina.»
Skyler si sentì mancare la terra sotto i piedi. Barcollò all’indietro, come se qualcuno le avesse appena tirato un pugno nello stomaco. «Tu…» disse sommessamente, incredula.
«Era necessario» continuò il dio. «Per te e per tutti quanti.»
«Tu!» Skyler sentiva gli occhi bruciare. «L’hai uccisa!» strepitò. Si portò alla bocca una mano tremante, singhiozzando disperata.
Sua madre. La dolce, innocente madre...
«Perché?»

Efesto digrignò i denti, tanto che lei riuscì a vedere i muscoli della sua mascella contrarsi. «Sai perché il tuo potere continuava ad accrescere, Skyler?» le chiese, ma la ragazza non aveva le forze di rispondergli.
«Il fuoco!» sbottò lui, buttando le braccia al cielo. «Tu generavi fuoco! E non come Leo, che sembra un prototipo di torcia umana. No! Tu avevi il fuoco dentro, Skyler. Nel cuore.» Si passò una mano fra gli sporchi capelli. «È per questo che non sei morta, come i medici avevano detto. Il fuoco ti ha salvata, capisci? Viveva dentro di te. Avevi questa cosa qui — questa fiammella — che bruciava nel tuo petto e ti teneva in vita.
«Ti stava salvando, è vero. Ma ti stava anche distruggendo. Perché semmai avessi usato quella fiamma con troppa forza e troppo a lungo, si sarebbe consumata; e a quel punto il tuo cuore non avrebbe davvero retto lo sforzo.»
Si sfregò la faccia con le mani, il senso di colpa ad inasprirgli i lineamenti. «Dovevo fare qualcosa. Dovevo fartelo temere, in modo che ogni volta che l’avresti visto ti saresti spaventata a tal punto da non volerne più sapere.»

Skyler non sapeva se essere arrabbiata o sconvolta. «È per questo che l’hai uccisa?» esclamò, con le lacrime agli occhi. «Solo per farmi avere paura del fuoco?»
Efesto incontrò il suo sguardo, prima di ribattere. «Lei lo sapeva» disse.
Notando lo sconcerto di lei, lo ripeté.
«Lei lo sapeva. Non l’avrei mai uccisa, figliola! Sono un dio, non un serial killer. No, io… le ho detto di uscire, di salvarsi, ma lei si è opposta. Lei lo sapeva.»
«Che cosa sapeva?»
«Che non ce l’avrebbe fatta.»
Quando gli occhi di Skyler si sgranarono, il dio capì di non poter più tornare indietro. Si stropicciò le palpebre con il pollice e l’indice.
«Skyler, tua madre aveva un tumore al cervello» mormorò. «Lei… sarebbe morta di lì a poco. Sarebbe morta comunque.»
La semidea non riusciva a credere alle proprie orecchie. «Cosa?» sussurrò, con un filo di voce tremante.
«Aveva capito che quella era la cosa giusta da fare per te. Non ti è… non ti è mai sembrato strano il fatto che lei avesse già scritto un testamento a soli trent’anni?» domandò il dio.
In effetti, non ci aveva mai pensato.
«Skyler, lei sapeva già di dover morire. Ma sapeva anche che se fosse deceduta in un letto d’ospedale, i tuoi nonni avrebbero fatto di tutto per ottenere la tua tutela, senza leggere neanche il suo testamento. Però non era questo che tua madre voleva. Lei voleva che tu stessi con tuo zio, Ben. Lui era l’unico in grado di poterti allenare. Un giorno, quando lei era ancora incinta, lui le aveva promesso che si sarebbe preso cura di te. E lei era sicura che l’avrebbe fatto.
«Tuo zio ti ha insegnato a lottare. E ad essere forte, e a non arrenderti mai. Era questo che tua madre gli aveva chiesto di fare. Per questo, quando le dissi di lasciare l’officina in fiamme, lei mi rispose che lo stava facendo per te. Ti stava dando tutto ciò che altrimenti non avresti mai avuto. Un buon addestramento, una casa, e l’amore sigillato da una promessa che non poteva essere spezzata.» Efesto la guardò nelle iridi scure, sorridendole dolcemente. «L’ha fatto per te.»

Skyler era incapace di credere a ciò che stava udendo. Tutte quelle informazioni si accavallavano nella sua mente come troppi fogli in una stanza durante un uragano.
Si accasciò a terra, abbracciandosi le ginocchia mentre si sforzava con tutta sé stesa di non piangere.
Suo padre la guardò per un po’, in silenzio. Dopo di che sospirò. «Sai… sai qual è stata l’ultima cosa che mi ha sussurrato tua madre, prima di morire?»
La giovane non aveva le energie sufficienti a rispondere, ma riuscì a scuotere la testa.
Efesto abbozzò un sorriso malinconico. «“Abbi cura di lei”» citò, con nostalgia. «“Perché non ha idea di che cosa è in grado di fare”.»
Skyler alzò lo sguardo, per incontrare quello del padre; ma lui lo teneva basso, mentre fissava il pavimento.
«Ci ho provato, sai?» le disse il dio del fuoco. «Ho sempre vegliato su di te. Quando a dieci anni il tuo scuolabus ha avuto quell’incidente stradale. Quando a tredici stavi per essere investita da quella macchina. Io c’ero sempre, e ho provato a proteggerti.»
Per un motivo che neanche a lei era chiaro, la ragazza sorrise. «Lo so» sussurrò.
Ed era vero. Skyler aveva sempre avuto il sentore di avere un angelo custode.
Aveva sempre pensato che si trattasse della madre; e invece ora scopriva che per tutto quel tempo era stato il padre a difenderla dalle avversità.

Il dio la guardò. «Tua madre aveva ragione» disse. «Non hai idea di ciò di cui sei capace. Ma ti conviene scoprirlo presto.»
La mora corrucciò le sopracciglia. «E come?»
Efesto ghignò. «Sai, mi rendo conto di non aver ancora risposto alla prima domanda» rammentò. «Perché Prometeo ce l’ha tanto con te?»
Lei fece spallucce, al ché lui si riassestò sulla sedia, con fare solenne. «Prometeo è il titano dell’umanità, della preveggenza. Sa sempre ciò che accadrà un minuto prima che questo realmente accada. Lui pensa di sapere tutto. Ma non è così. È accecato dal proprio ego, dalla propria sete di progresso. Tanto da non rendersi conto dei propri errori. L’ho incatenato io stesso, quando rubò il fuoco di Pandora.» Grugnì. «Quel fuoco… Che cosa non avrebbe fatto per quel fuoco. Ha sopportato anni di torture e dolore. Si è fatto infliggere ferite mortali, notte dopo notte. Credevamo tutti che fosse amico dell’umanità, ma la sai una cosa? Gli uomini non hanno mai visto neanche una scintilla di quella fiammella. E gli dei non l’hanno più trovato.»
Skyler aggrottò la fronte, pensierosa. «E che fine ha fatto?»
Il volto di Efesto si incupì. «Ce l’ha lui, ovvio.»
«Cosa? L’ha nascosto?»
«E ha rubato anche il suo potere.»
Skyler si strinse le ginocchia al petto. «Ma se sapete la verità, perché non l’avete mai ripreso?»
«Non potevamo. Prometeo aveva occultato il fuoco dentro di sé, per questo è in grado di generarlo. Non avremmo modo di liberarlo dal suo corpo, e poi non ha mai rappresentato un problema per cui gli dei dovevano scomodarsi.»
La ragazza scosse la testa, incredula. «Beh, adesso invece è un bel problema, non credi?»
Efesto fece spallucce. «Non per noi. Questa guerra non ci riguarda, te l’ho detto.»
Skyler sentì un moto di rabbia corroderle la bocca dello stomaco. Era infuriata — con gli dei, ma soprattutto con suo padre. «E che cosa dovremmo fare, secondo te? Se è immortale, come lo battiamo?»
«Come lo batti, vorrai dire» la corresse lui. E quando lei aggrottò la fronte. Il dio sospirò. «Questa guerra dipende solo da te, Skyler.»
«In… in che senso?» balbettò la ragazza.
Efesto si alzò dalla sedia e le andò incontro, con passi misurati. «Vuoi sapere perché Prometeo ce l’ha con te?» le chiese per l'ultima volta. Skyler annuì. «Lui ti vuole, Skyler. Lui vuole il tuo fuoco. Lo vuole, perché è diverso da quello degli altri.»
La guardò negli occhi, con un velo di tristezza.
«Il tuo fuoco non viene dalle tue vene, o dal tuo corpo. Il tuo fuoco viene direttamente dal tuo cuore. Per questo è tanto potente. E per questo, se vuole diventare invincibile, Prometeo ha bisogno di averlo.» Si inginocchiò di fronte a lei. «Il tuo fuoco è speciale, Skyler, e anche pericoloso. Forse troppo. Ti mantiene in vita, è vero, ma è anche in grado di ucciderti.»
Skyler trattenne il fiato. «Per questo quando lui stava per portarmelo via, ero in fin di vita. Mi stava uccidendo?»
Efesto abbassò lo sguardo. «Senza di lui, saresti morta. Ma lo saresti anche se lo sfrutti per troppo tempo. Sai, a volte dobbiamo compiere delle scelte, nella vita, che non ci piacciono, ma che sono necessarie.» Si mise in piedi, pulendosi i pantaloni, con il solo risultato di sporcarli di più. «Farle spetta a te. Ma sta attenta. Deve essere quella giusta, perché avrai solo una possibilità.»
La semidea gli squadrò il vlto con le sue iridi scure, e lui le sorrise. Poi, parve ricordarsi di una cosa.
«Ah! Quasi dimenticavo» esclamò, schioccando le dita. Andò verso uno dei tavoli ed iniziò a frugare fra le varie carte e i bulloni. «Oh, ma dove l’ho messo?» imprecò, facendo ancora più disordine, mentre Skyler lo osservava con un sopracciglio inarcato.
«Eccola!» esultò infine, entusiasta. Si voltò verso di lei, con un'espressione raggiante. «Ecco, tieni» le disse, facendole cadere qualcosa nel palmo della mano.
«È un Peridot.» spiegò. «La pietra della vita. Si dice che aiuti a rinforzarla, alleviando la paura.» Le sorrise. «Non so, potrebbe essere un buon portafortuna.»
Skyler osservò la pietra che aveva fra le mani. Era piccola, di uno strano verde limone, e sembrava essere stata appena lavorata con cura. Se la portò davanti al viso per studiarla.
Un portafortuna, aveva detto il padre? Proprio come gli spiriti indiani dello zio Ben. Sogghignò. «Sì, conosco il genere» mormorò. Poi sollevò lo sguardo, incontrando quello allo stesso tempo burbero e dolce del padre.
«Grazie, papà» disse, con un sorriso appena accennato.
Gesto che Efesto non tardò a ricambiare.
«Ora devi andare» le intimò, a malincuore. «E ricordati ciò che ti ho detto. La scelta dipende solo da te, ed hai una sola possibilità.»
Skyler si alzò di scatto la testa, colta alla sprovvista. «Come andare? Aspetta! Dimmi che cosa posso fare per fermarlo!»
«Le somigli così tanto» mormorò invece il dio, ammirandola. «Tua madre sarebbe stata fiera di te.»
La sua immagine cominciò a sfocare. Ma la ragazza non era ancora pronta a svegliarsi nella sua stanza. «Aspetta!» esclamò, balzando in piedi. «Dimmi almeno che scelta!»
Ma Efesto non le rispose. I suoi contorni diventarono sempre più indistinti, mentre i suoi colori si fondevano con quelli degli oggetti nella stanza.
Skyler stava per riformulare di nuovo quel quesito, pronta ad urlarlo a gran voce.
Ma prima che potesse riuscirci, fu inghiottita da una profonda oscurità.

Angolo Scrittrice.
Okay, gente. Eccomi di nuovo qui, dopo un mese esatto. 
Speravate di non vedermi più? Beh, mi dispiace per voi, ma so essere davvero fastidiosa, quando voglio.
Dunque, che dire di questo capitolo?
Innanzi tutto, parliamo di
Michael e Skyler, e di come il loro rapporto maturi ogni giorno di più — anche se continuano ad esserci alcune cose non dette, tra loro.
Finalmente il figlio di Poseidone viene a sapere degli attacchi di panico di lei, e vi anticipo già che questo sarà un elemento fondamentale nella crescita del loro rapporto.
Le giura poi una cosa molto romantica, e cioè che farà tutto ciò che è in suo potere, pur di proteggerla. 
Ma la parte più importante di tutte è sicuramente quella del sogno, che... beh, si spiega un po' da solo, non trovate? Finalmente ecco le risposte a tutte quelle domande che fino ad ora erano state lasciate in sospeso.
Ma non voglio essere io a commentarlo, stavolta. Sono curiosa di sentire le vostre opinioni.
Mi sono resa conto che lo scorso capitolo non vi ha entusiasmato molto, e da un lato lo capisco. Ma spero vivamente che questo qui abbia stimolato la vostra curiosità, e che abbiate voglia di farmi sapere cosa ne pensate — o se approvate la piega che sta prendendo questa storia. 
Ringrazio col cuore
Amy_demigod per aver lasciato un commento l'ultima volta. 
In attesa di vostri pareri, vi auguro una buona lettura e vi ringrazio con tutta l'anima per essere arrivati fino a qui.
Sempre vostra,

ValeryJackson

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3261700