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Autore: ValeryJackson    15/09/2015    9 recensioni
[Seguito de La Pietra dei Sogni]
Dicono che non ci è dato scegliere la cornice del nostro destino, ma che siamo noi a decidere cosa mettervici dentro.
Skyler, però, non è affatto d'accordo. A diciassette anni si è ritrovata al centro di una profezia millenaria dettata dalle Parche, e non sa come venirne a capo.
Gli dèi hanno nominato lei, Michael, John ed Emma come i prescelti; custodi di doni che potrebbero salvare o peggiorare le sorti del Campo. E loro non possono tirarsi indietro.
Perché Prometeo è in agguato, deciso a tornare. Ma la figlia di Efesto non è sicura di essere pronta a fronteggiarlo.
Lui le ha rubato il fuoco, strappandole con la forza qualcosa di cui ora sente inspiegabilmente la mancanza, e lei avverte il peso di tutte le responsabilità che incombono su di lei.
Attraverso amori, dolori, amicizie, litigi, lacrime, promesse, delusioni e alleanze del tutto impensate, la ragazza dovrà ritrovare nel profondo della propria anima le fiamme che ha in sé, e prepararsi per la battaglia.
Perché Prometeo le ha già portato via tutto ciò per cui vale la pena vivere.
Ed ora è pronto a toglierle anche ciò per cui vale la pena morire.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Stoll, Leo Valdez, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Sorpresa, Travis & Connor Stoll
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Girl On Fire'
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Non era così che Skyler aveva sempre immaginato la sua vita.
Certo, non era mai stata perfetta; ma nell’ultimo anno la figlia di Efesto non aveva capito quanto ciò che avesse prima fosse speciale, finché non l’aveva perso.
La tranquillità. La routine. Il non avere ulteriori problemi al di fuori delle note disciplinari a scuola. Erano tutte cose che la ragazza non avrebbe riavuto mai più; non con la stessa facilità, almeno.
Mark Twain aveva detto che i giorni più importanti nell’esistenza di un uomo sono quello in cui sei nato, e quello in cui capisci il perché.
Ma per lei? Quand’è che sarebbe arrivato, quel giorno?
Da quando aveva scoperto di essere una semidea non aveva fatto altro che porsi delle continue domande su quale fosse il proprio scopo, senza mai trovare le giuste risposte. E il non sapere l’aveva inesorabilmente cambiata, rendendola più vulnerabile, più impaurita; più insicura.
Dopo ciò che era stata costretta a subire l’estate precedente, poi, si sorprendeva di come avesse fatto (nonostante tutto) a restare in piedi.
Era iniziato tutto la volta in cui aveva permesso a MatthewPrometeo (dei, faceva ancora fatica a chiamarlo così) di posare le sue labbra voluttuose sulle proprie, portandole via qualcosa di cui solo ora sentiva inspiegabilmente la mancanza.
Il suo fuoco, l’aveva chiamato il titano. Ma per quanto si sforzasse, la mora non riusciva ancora a dare un senso a quella frase. Certo, l’eredità di suo padre le permetteva di manipolare – con le dovute eccezioni- quell’elemento come più le piaceva; ma questo non spiegava come mai quell’essere avesse scelto proprio lei, tra i tanti. Perché volesse proprio il suo, di potere.
Ad ogni modo, con un po’ di fortuna Skyler era riuscita a non morire, quel giorno; ma la perdita di quel qualcosa che non sapeva neanche di avere l’aveva condotta prima ad un coma irreversibile, e poi ad un arresto cardiaco in piena regola.
Come aveva fatto a sopravvivere? Non ne aveva idea.
Perché era stata risparmiata? A questo sapeva replicare anche meno.
Le cose avevano cominciato a precipitare, però, solo due settimane dopo il suo risveglio, quando la figlia di Efesto aveva deciso di abbandonare con un po’ di anticipo il Campo Mezzosangue per poter tornare da quella famiglia che aveva rischiato di non vedere più.
Inutile dire che l’accoglienza non era stata affatto come lei se l’aspettava.
Innanzitutto, aveva dovuto fare i conti con la furia dei propri parenti, che dall’istante in cui era fuggita non avevano avuto più sue notizie.
E poi con la polizia di San Diego, alla sua ricerca da quasi due mesi. Con il pronto soccorso, le reti locali, e i servizi sociali che una volta finito tutto, si erano messi all’opera per far sì che lo zio venisse allontanato da lei.
In seguito all’accaduto, la nonna non aveva più voluto sentire alcuna ragione: Ben non era pronto ad occuparsi di una ragazzina; non lo era mai stato, e il fatto che la nipote avesse pensato che fuggire fosse stata la cosa giusta da fare – come scritto nella sua lettera- ne era l’inconfutabile prova.
La lettera. Come aveva potuto pensare che quell’inutile pezzo di carta avrebbe calmato le acque?
Voleva proteggerli, allontanandosi da quel faro per i mostri. E invece aveva solamente peggiorato le cose.
Se all’inizio di quella ‘vacanza’ Skyler aveva rischiato di non rivedere più lo zio, al termine era diventata una certezza.
Nell’arco di un mese, l’uomo era stato trascinato in tribunale, e la nonna, con l’aiuto della figlia Carmen, aveva ottenuto l’affido della minore. Ma non era finita lì, perché in seguito aveva affermato di non avere la benché minima intenzione di permettere che la ragazza fosse continuamente influenzata dalla negativa presenza del figlio, e così si era mobilitata affinché quest’ultimo avesse un’ordinanza restrittiva nei loro confronti, impedendogli di sostare a meno di tre metri dalla loro abitazione.
La notizia era stata così devastante, per la figlia di Efesto, che quando aveva nuovamente messo piede in quella dimora non aveva toccato cibo per circa tre settimane. Si rifiutava anche solo di masticare qualcosa che fosse stato cucinato da quell’anziana donna.
Nell’arco di sette mesi, era arrivata a perdere decisamente troppo peso. Le poche volte in cui la nonna non controllava ogni suo singolo spostamento, la ragazza si rimpinzava di nascosto di hamburger e patatine. Neanche il giorno del proprio compleanno accettò di mangiare il pollo al curry che le era stato preparato.
«Devi mangiare, mi hija» le aveva intimato quindi quella, con tono quasi esasperato. «O diventerai tutta pelle e ossa.»
«Tu non hai alcun diritto di chiamarmi così, chiaro?» era sbottata a quel punto la mora, cogliendola così alla sprovvista da farla sussultare. «Io non sono affatto tua figlia. Io non sarò mai la tua bambina! Tu mi hai rovinato la vita, te ne rendi conto? Mi hai portato via tutto ciò che di bello mi restava. E non ti perdonerò mai per questo, capito? Mai!»
Quel discorso sputato fuori con più disprezzo del necessario aveva forse sortito l’effetto voluto. In seguito a quell’episodio, la nonna aveva smesso di monopolizzare le giornate della ragazza. Le permetteva di cenare con quello che voleva, non si intrometteva nelle sue scelte di stile e le aveva anche dato il permesso di uscire oltre il coprifuoco da lei stessa imposto.
«Fa in modo che io mi fidi di te» le ricordava ogni volta, quando la giovane si prendeva le sue dovute libertà.
Ma nonostante questo, continuava a mancare qualcosa. E il nonno Pepe era stato l’unico ad accorgersene quando, la domenica di Pasqua, aveva trovato la nipote in un mare di lacrime, chiusa in camera sua.
«Echas de menos a tu tìo, ¿no es asì?»
Skyler si era pulita il naso con il dorso della mano, annuendo mestamente perché sì, lo zio le mancava da morire; e sì, voleva andarsene da quella casa.
«Forse posso fare qualcosa per te» le aveva quindi proposto l’anziano, con il suo scaltro sorrisetto sghembo. «Ma tu devi promettermi di non dirlo a nessuno, ¿claro?»
La ragazza non era sicura di aver assentito per sigillare un tacito accordo, oppure per semplice curiosità.
Quell’uomo era sempre stato tanto limpido quanto misterioso, nei suoi confronti. Essendo il suo unico alleato in quella casa, lei pendeva dalle sue labbra; ma alle volte continuava a far fatica ad interpretare i suoi contorti ragionamenti.
Così, in quel primo lunedì di Maggio, si era limitata a seguirlo, e prendendo l’autobus insieme a lui – che a malapena si reggeva sul proprio bastone- non aveva fatto altro che domandarsi dove la stesse portando.
Era il Memorial Day, quel giorno. Ergo, molte strade sarebbero state chiuse per via delle innumerevoli parate. Si commemoravano tutti gli americani caduti nelle varie guerre Mondiali e Civili, e ciò comportava molteplici persone che sfoggiavano le più variopinte uniformi.
Dopo essere scesi alla dodicesima fermata, il nonno l’aveva condotta per altri sei isolati (con le molteplici pause che la sua artrite gli imponeva), fino a raggiungere un enorme edificio; un vero e proprio albergo a cinque stelle.
«Che cosa ci facciamo qui?» aveva chiesto la figlia di Efesto, confusa e stranita.
«Siamo giusto in tempo, sbrighiamoci!» l’aveva liquidata il vecchio, affrettando il passo per quanto potesse.
Una volta dentro, Skyler aveva udito i cori dell’inno nazionale, e sollevandosi sulle punte per poter vedere oltre la calca di persone aveva scorto una serie di divise militari.
Conosceva troppo bene quei colori, quella fantasia; e mentre i soldati si esibivano in una marcia fiera e trionfale, lei aveva sgomitato per poter raggiungere le prime file, lasciando indietro il nonno con un luminoso sorriso stampato fra le rughe.
Con il cuore che batteva all’impazzata, la ragazza aveva atteso che il corteo si fermasse con diligenza, circa una decina di metri davanti a lei. Ed era stato allora che, cercando tra le prime file, era stata in grado di avvistarlo.
Ben ci aveva messo un po’ perché il suo sguardo sorpreso si posasse finalmente su di lei, ma non appena si era reso conto che quella della nipote non fosse soltanto una visione non aveva fatto in tempo a metabolizzare quell’informazione, che la mora si era precipitata a perdifiato verso di lui.
Aveva annullato con una corsa tutto lo spazio che li separava, buttandogli le braccia al collo e avvolgendogli le gambe attorno alla vita, mentre lui l’afferrava al volo.
Dalla folla si erano levati dei rumorosi applausi di gioia, palesando la convinzione dei presenti secondo la quale una figlia aveva rivisto il padre dopo innumerevoli mesi di lontananza.
Il che – a dirla tutta- non era neanche propriamente errato.
Ciò che era avvenuto dopo era solo uno stringersi con tutta la forza che possedevano, con lei che piangeva nell’incavo della sua spalla e lui che incredulo le accarezzava i capelli.
«Te quiero, mi hija» era tutto ciò che era riuscito a sussurrarle dopo che il nonno li aveva avvisati che rischiavano di perdere l’ultima corsa.
«Voglio tornare a casa con te» aveva singhiozzato lei, in un disperato tentativo. «Fa qualcosa, ti prego. Puoi anche rapirmi!»
Lo zio aveva riso, posandole un tenero bacio tra i capelli. «Vedrai che prima o poi ce la faremo. Ce l’abbiamo sempre fatta, dico bene?»
Skyler avrebbe voluto fargli notare che ‘no, non era possibile averla vinta, stavolta’; ma d’altronde, chi era lei per poter dubitare dell’impossibile?
Non era forse una semidea? Non aveva combattuto contro mostri di ogni genere e raccolto una pietra che esaudiva i desideri? Non portava con sé una collana che poteva tramutarsi in una spada? Non aveva sfidato con coraggio un millenario titano?
«Ti vedo dimagrita, comunque» aveva osservato in seguito lo zio, squadrandola con disappunto.
«E a te è cresciuta la barba» aveva ribattuto lei.
«Non sto scherzando, signorinella. Devi mangiare, se vuoi avere sempre le giuste energie.»
«E tu devi comprare un nuovo rasoio, ma questo non vuoi dire che lo farai.»
Ben aveva corrucciato le sopracciglia, cupo. «Promettimi che ci proverai.»
«A fare cosa?»
«Ad andare d’accordo con tua nonna.»
«Io non le devo assolutamente nulla!» aveva sbottato la mora, allibita. Come poteva chiederle una cosa del genere? Quella donna era stata capace di trascinarlo in tribunale!
«Fallo per me» aveva quindi replicato lui. «Non posso saperti infelice mentre io non posso essere lì per consolarti. Sei ancora troppo piccola per cavartela da sola.»
Piccola? Quell’aggettivo era un eufemismo. Se l’uomo avesse saputo tutto ciò che aveva affrontato negli ultimi tre anni, l’avrebbe pensata ancora così? Lei era cambiata, e di questo se ne rendeva conto ogni giorno. Era più matura, più forte e molto più consapevole delle proprie capacità.
Ma era anche più debole; più titubante, più fragile.
Ma di questo lui non poteva esserne al corrente. Non finché continuava ad essere convinto di avere sempre davanti la sua dolce ed ingenua nipotina.
Durante il viaggio di ritorno sull’autobus, la figlia di Efesto aveva rimuginato a lungo sulle sue parole, chiedendosi se le cose sarebbero andate diversamente, se solo lui avesse conosciuto da subito la verità. Ma tutte quelle domande erano state poi cancellate dall’immensa felicità che aveva provato nel poterlo riabbracciare ancora.
Si era voltata quindi verso nonno Pepe, e d’impulso l’aveva stretto a sé, facendolo sussultare.
«Gracias» aveva mormorato, commossa, prima che di comune accordo decidessero di non dire nulla alla nonna di quell’uscita improvvisata.
Dopo quell’avvenimento, Skyler era sicura di potersi fidare ciecamente del vecchio, e di essere libera di condividere con lui tutte le proprie gioie e i propri malumori.
Quello che non avrebbe mai potuto immaginare, però, è che sarebbe stata costretta a dirgli addio solo poche settimane dopo.
Tutto il tabacco che José Garcia per anni aveva fumato sulla poltrona di quella piccola stanza gli si era improvvisamente rivoltato contro sotto forma di ictus, che l’aveva ucciso prima che moglie e nipote fossero in grado di chiamare i soccorsi.
La mattina del suo funerale quasi tutto il quartiere si era presentato in chiesa, per assistere alla messa; e quando tutti avevano fatto il segno della croce e avevano rivolto una benedizione al povero defunto, la figlia di Efesto non aveva potuto fare a meno di crogiolarsi sul perché le Parche avessero tessuto per lui quel destino.
Era ingiusto, e completamente sbagliato.
E se era vero che ogni avvenimento era stato deciso per uno specifico motivo, lei non riusciva a trovarlo.
Con tutti riuniti nell’imponente salone della casa intenti a rivolgere delle poco sincere condoglianze, la ragazza si era sentita scomodamente fuori posto. Di tutta la gente che era lì, non ne conosceva nemmeno la metà, e questo dopo un po’ l’aveva portata a rifugiarsi al piano di sopra, in cerca di tranquillità e silenzio.
Ma non era riuscita ad arrivare alla propria camera, che aveva notato qualcosa di insolito: la porta dell’aula di musica dove soleva stare il nonno era semiaperta, segno evidente che qualcuno vi era entrato.
Accostandovisi in punta di piedi per non fare rumore, la mora aveva sbirciato oltre la soglia, distinguendo una figura scura accomodata sulla poltrona dell’anziano.
Skyler l’aveva riconosciuto solo dopo aver stretto gli occhi a due fessure, e gli era andata incontro senza più preoccuparsi di essere notata.
Lo zio non aveva avuto bisogno di sollevare lo sguardo per intuire che fosse lei, e aveva continuato a focalizzare la propria attenzione su ciò che si stava rigirando tra le mani mentre la nipote si inginocchiava elegantemente accanto ai suoi piedi.
Era la pipa del padre, che stava meticolosamente scrutando; quasi che se l’avesse sfregata abbastanza, questa si sarebbe trasformata in una lampada magica, capace di farlo tornare in vita.
«Diceva di fumarla perché voleva colorare il proprio respiro» aveva ricordato dopo un po’, sommessamente. «Così poi riusciva a vederlo, e sapeva di essere ancora vivo.»
«Lo so» aveva annuito la ragazza, con la gola che cominciava a bruciare. «Lo so. Si rinchiudeva qui dentro per ore. Soffiava via nuvole di tabacco ed ascoltava a ripetizione vecchie canzoni in vinile. La maggior parte delle volte, credo fossero quelle che tu e la mamma di solito suonavate.»
Ben si era lasciato sfuggire una risata, ma era suonata molto più amareggiata e forzata di quanto avesse sperato. «Non dovresti essere qui» l’aveva ammonita dopo.
«Perché?»
«C’è un ordine restrittivo, lo sai.»
«Ben, io non me ne andrò» si era impuntata quindi lei, risoluta.
«Dovresti.»
«Ma non lo farò.»  Aveva cercato le sue iridi scure, ma queste erano sfuggenti, quasi non volessero che lei vi leggesse tutta la loro sconfinata tristezza. «Non mi importa quello che diranno gli altri, okay? E se me lo chiederanno, dirò che è stata colpa mia, e che sono stata io a venire da te perché cavolo, non ne posso più. Non ne posso più. Mi manca la nostra casa a Baltimora; e mi manca il non potermi rifugiare tra le tue braccia ogni volta che faccio un brutto sogno. Mi distruggere il dover convivere con l’idea di non poterti vedere più, e odio tutti quelli che ripetono che tu non eri pronto ad occuparti di me. Vorrei rompere il naso a tutti loro perché dei, tu sei stato il migliore. Capito? Non hai sbagliato assolutamente nulla. E nonno Pepe l’aveva capito, perciò quel giorno mi ha accompagnato da te. Lui sapeva quanto valevi. L’ha sempre saputo» aveva aggiunto, per poi convenire: «E sarai stato assente. Mi avrai abituato a mangiare solo il cibo dei fast-food e ti sarai presentato solamente a tre colloqui genitori/insegnanti in tutti i miei anni di scuola…» Aveva preso un tremante respiro. «Ma non avrei mai potuto desiderare un padre migliore di te.»
E detto questo una lacrima le aveva rigato la guancia; e senza preavviso lo zio l’aveva attirata a sé, stringendosela al petto mentre sfogava un silenzioso pianto tra i suoi capelli. Si erano abbracciati con impeto, e per un attimo nulla aveva avuto più molta rilevanta. Perché non importa quanto tempo sia passato, quanto tu sia cresciuto e quanto il mondo, intorno a te, sia cambiato. Ci sono persone che, quando te le ritrovi davanti, riprende tutto dall’stante preciso in cui vi eravate interrotti.
Non avevano neanche fatto caso a nonna Rosa che, dal ciglio della porta, aveva assistito a tutto il discorso della nipote. L’aveva raggiunta per poterla rimproverare di essersene andata così con tutti quegli ospiti al piano di sotto, e quando li aveva visti insieme aveva fatto per dare di matto, perché tra tutta quella confusione non si era neanche resa conto che l’uomo avesse assistito al funerale.
Ma prima che avesse potuto irrompere nella stanza, quelle parole l’avevano colpita come un pugno dello stomaco; e avevano continuato a tormentarla per giorni, e nel frattempo ripensava a tutti i torti che era stata in grado di fare al suo stesso figlio.
Aveva poi ricordato a sé stessa perché inizialmente l’affido della mora fosse andato a lui. Era stata proprio Maria, a volerlo. Aveva ritenuto Benjamin la persona più idonea ad occuparsi di Skyler, e forse in un certo senso aveva avuto ragione.
Era sempre stata convinta che sua nipote fosse una ragazza dalle mille risorse, ma non aveva mai ragionato sul fatto che – molto probabilmente- quello era stato tutto merito di lui.
Quando circa una settimana e mezzo dopo il funerale l’aveva ricontattato per chiedergli di raggiungerla a San Diego, inizialmente lui era rimasto interdetto.
Ma mai quanto la figlia di Efesto, che ritornando da scuola aveva visto lo zio seduto su uno degli sgabelli della cucina.
«Ho bisogno di parlare» aveva quindi esordito la nonna, con tono fiero. «Con tutti e due.»
La giovane si era seduta a sua volta, squadrandola con un cipiglio interrogativo. L’anziana aveva fatto scivolare una busta giallognola sul tavolo, tenendovi sopra una mano come se volesse impedir loro di aprirla prima che lei finisse di parlare.
«Devo ammettere di aver pensato molto, dalla morte di José» si era quindi spiegata, con un’espressione seria in viso. «E di essermi fatta un lungo esame di coscienza, già.»
«E questo in che modo ci riguarda?» l’aveva interrotta Skyler, ma quella l’aveva zittita con lo sguardo.
«Fammi finire, tesoro» l’aveva ripresa. «Ho sempre ammirato il tuo coraggio, sai?» aveva ammesso poi. «Quella tua… scintilla, che si accende ogni volta che devi farti sentire, quando vuoi difendere quello che ami. Tu non parli mai perché vuoi dire qualcosa; tu parli sempre perché hai qualcosa da dire. E queste sono tutte delle ottime qualità, mia cara. Delle bellissime, fantastiche qualità.»
La ragazza non aveva idea di dove volesse andare a parare, con quel discorso, ma non poteva non ammettere che quelle sue parole l’avevano colpita. Perché le stava dicendo ciò? Cosa stava cercando di dirle?
Ma prima che potesse decidersi a porre quelle domande ad alta voce, la nonna si era voltata verso lo zio, soppesandolo con i suoi grandi occhi marroni.
«Mi sono sempre chiesta da chi avesse ripreso» gli aveva confessato. «Secondo te?»
L’uomo aveva già capito che a quel quesito vi era un’unica risposta.
«È tutta sua madre» aveva mormorato con una punta di amara dolcezza.
«Sì, è vero. Maria era identica a lei.» Aveva fatto una breve pausa, quasi il ricordo della figlia, dopo tutto quel tempo, fosse ancora una ferita aperta. «Io… non avevo mai capito perché nel proprio testamento avesse voluto affidare la bambina a te. Era una cosa insensata. Tu non eri in grado di badare neanche a te stesso, come avresti potuto prenderti cura di una ragazzina di sette anni?»
A quella provocazione, i due avevano taciuto, dandole quindi la possibilità di continuare. «Sono ancora convinta che portare il peso di una nipote da accudire sulle spalle non abbia mai fatto al caso tuo; e che tu sia la persona meno indicata per un compito del genere. Ma poi la guardo» E qui era tornata ad osservare la mora. «E vedo in lei tutto ciò che una giovane donna della sua età dovrebbe possedere. Di certo, non può aver imparato tutto da sola.»
La semidea aveva aggrottato la fronte, confusa. Era forse un complimento, quello?
«Mamma, credo di non seguirti» le aveva fatto educatamente notare Ben, al ché la donna aveva sospirato.
«Voglio solo il meglio, per la mia piccola Skipi. E… penso che dopo la morte di Maria mi sono così concentrata sul modo barbaro in cui la stavi crescendo, da perdere di vista tutte le bellissime cose che le stavi insegnando: la forza d’animo, l’amore per il prossimo, il rispetto.»
Dopo di ché aveva incastrato le proprie iridi scure a quelle di lui, e a farle brillare non vi erano più tutti i sentimenti negativi che l’avevano condizionata nel corso degli anni, ma solo un profondo, genuino orgoglio.
«Tu non sarai mai un vero padre, Benjamin» gli aveva infine palesato, prima di sorridere teneramente in direzione della figlia di Efesto. «Però adesso ho capito quanto tu lo sia stato per lei.»
E detto questo, gli aveva finalmente passato quella busta ingiallita che bloccava con il palmo, permettendogli di aprirla per scoprirne il contenuto. Dentro vi era una pila di fogli che apparentemente a Skyler erano sembrati inutili, seppur avessero un’aria molto legale. Ma dall’espressione meravigliata che si era dipinta sul volto dello zio, aveva intuito trattarsi di scartoffie molto importanti.
«Ho annullato l’ordine restrittivo» le aveva chiarito quindi l’anziana. «E ho spiegato ai servizi sociali le ragioni per cui io non potrei essere un buon tutore. Ritirando poi tutte le accuse fatte in tribunale contro tuo zio – e superato lo sconcerto, ovviamente- sono riuscita a passare nuovamente a lui il tuo affido.»
«Ma questa firma è…» aveva fatto per notare l’uomo.
«Mia» aveva annunciato una voce alle loro spalle, e solo allora la ragazza si era resa conto che la zia Carmen, durante il notevole discorso della nonna, li aveva raggiunti. «Mi sono occupata io di tutte le pratiche» aveva annuito con fierezza.
«Ma…» Lo zio sembrava davvero incapace di trovare le giuste parole. «Perché?»
La sorella aveva fatto spallucce. «Perché no?»
«Ho sempre voluto che la mia famiglia fosse perfetta» aveva asserito Rosa, per poi puntare un tenero sguardo sulla nipote. «Ma a volte perfetta non vuol dire per forza felice. E avere una famiglia felice è di gran lunga la cosa migliore per un’anziana donna come me.»
La figlia di Efesto non aveva nemmeno aspettato che terminasse quella frase; aveva allontanato con uno scatto la sedia dal tavolo, e l’aveva stretta a sé con forza, mentre tra le lacrime continuava a ringraziarla per quel gesto tanto bello quanto inaspettato.
«Non pensate di cavarvela così facilmente!» aveva scherzato la donna a quel punto, mentre era evidente che si sforzava di trattenere l’emozione. «Voglio vedere la mia sobrinita almeno due volte al mese. E le vacanze di Natale le passerete tutti gli anni da me, ¿claro?»
E mai come allora, a Skyler era parso un compromesso fantastico.
Circa cinque giorni dopo, era nuovamente a Baltimora, e era rincuorata dallo scoprire che la loro piccola casa sul lago era esattamente dove e come l’aveva lasciata.
Con le temperature che continuavano a salire ed un sorriso radioso ad incurvarle le labbra, la semidea si sentiva finalmente - e dopo molto tempo- di nuovo felice. Di quella felicità sana, rincuorante.
Ma la sera in cui si era ritrovata con cibo cinese d’asporto sul divano e a ripensare a tutti gli avvenimenti dell’inverno che si stava per concludere, avava capito di non potersi permettere più errori del genere.
Trascinarsi dietro il peso di tutti quei segreti e quelle bugie l’aveva logorata fin troppo, e anche se poteva essere rischioso aveva bisogno di raccontare a qualcuno la verità.
Di raccontarla a lui.
Ma non era stato così semplice, e tra il dirsi e il farsi c’era un abisso fatto di incertezze, tentennamenti, paure e ripensamenti.
Era quindi riuscita a trovare il coraggio necessario per compiere quel grande passo solo in un pomeriggio particolarmente assolato, quando si era finalmente convinta che se non l’avesse fatto allora, non ci avrebbe provato più.
Aveva dunque pregato lo zio di abbandonare ogni sua mansione o impegno per potersi sedere al tavolo con lei, l’uno di fronte all’altra. Inizialmente l’uomo non aveva fatto caso al tono grave della nipote, e si era reso conto che qualcosa non andasse solo alla sentenza: «Ho bisogno di dirti una cosa.»
La ragazza gli aveva riferito dunque – con la giusta cautela – tutto ciò che c’era da sapere riguardo la sua vera natura: come aveva scoperto di essere quel che era; che cosa comportasse la vita del semidio; quello che le insegnassavano al Campo Mezzosangue; persino tutte le sue imprese (nonostante avesse bellamente omesso le parti nelle quali rischiava di morire).
Partendo da come fosse possibile che gli dei abitassero a New York e chiudendo con tutte le motivazioni per cui quella che stava raccontando non potesse esser altro che la verità, la mora aveva osservato con attenzione ogni reazione dello zio, dandogli, tra un racconto e l’altro, il tempo di assimilare tutte quelle nuove e assurde informazioni.
All’inizio era stato scettico, ovviamente; ma man mano che la storia proseguiva sul suo volto si era andata dipingendo un’espressione sempre più sorpresa, mentre intuiva che la figlia di Efesto non stava inventando tutto, e che il mondo che gli stava presentando era tutt’altro che immaginario.
Dopo quella conversazione durata circa un paio d’ore, Skyler aveva dovuto aspettare due giorni perché l’uomo si abituasse a quell’inaspettata realtà. Gli aveva quindi concesso i suoi spazi e il suo tempo, rivolgendogli solo lo stretto indispensabile di parole e ordinandosi da sola la cena quando lui, la sera, si chiudeva in camera per meditare.
Avrebbe dato di matto? Com’era solito reagire, chi non apparteneva a quell’universo ma vi si trovava comunque di fronte?
La risposta le era arrivata solamente una mattina, poco dopo essersi svegliata. Era scesa in cucina a fare colazione, presupponendo che, molto probabilmente, lo zio stesse ancora dormendo; ma non appena si era versata una manciata di cereali nella ciotola, quest’ultimo aveva fatto il suo ingresso dalla soglia, studiandola con attenzione. Aveva le iridi cerchiate di rosso, segno evidente che era rimasto in piedi tutta la notte a pensare.
«Devo farti una domanda. Ma voglio che tu sia sincera con me» aveva poi esordito, lo sguardo preoccupato. «Totalmente, completamente sincera, d’accordo?»
La ragazza, per un istante, aveva temuto il peggio. Ma poi si era fatta forza, dicendosi che doveva all’uomo tutte le risposte che voleva.
«Okay» aveva annuito, sforzandosi di avere un’aria sicura.
Ben a quel punto aveva fatto una pausa, spostando nervosamente il peso da un piede all’altro. Aveva esitato, indeciso; poi aveva deglutito.
«Tu viaggi anche nel tempo?»
Lei aveva corrucciato le sopracciglia, sconcertata. «Aspetta, come
Lui aveva mostrato i palmi. «Perché giuro che se i viaggi nel tempo sono reali, sai, io… io ho chiuso. Ho chiuso. Ti prego, accompagnami in una clinica psichiatrica.»
La mora ci aveva messo un po’ per metabolizzare quel quesito, e per qualche minuto tra i due era aleggiato un silenzio carico di tensione, quasi palpabile.
Ma a spezzarlo c’era stata la squillante risata della figlia di Efesto, che aveva permesso allo zio di rilassare le spalle, mentre lei si rendeva conto di aver appena trovato un alleato.
E così, eccoli lì, a circa due settimane di distanza da quel giorno, mentre con il suo pick-up di seconda mano l'uomo guidava lungo le coste di Long Island.
Aveva accettato di portarla a questo fatidico Campo nonostante non gli andasse molto a genio l’idea di allontanarsi così tanto da lei per tutta l’estate.
«Si tratta solo di una stagione!» aveva replicato Skyler, che ora aveva un gomito che sporgeva fuori dal finestrino, il mento posato sul dorso della mano e un’aria assorta.
«Quindi, ricapitolando» fece Ben, per la settima volta da quando erano partiti. «Tu hai molti altri fratelli.»
Con i raggi del sole che le riscaldavano le guance, la ragazza sospirò. «Fratellastri» lo corresse, di nuovo. «Sono tutti figli di Efesto, ma non abbiamo la stessa madre. E sono ventitré, per la precisione.»
«Ventitré…» ripeté lui tra sé e sé, quasi facesse ancora fatica a credere in quei dettagli. «Mentre il tuo ragazzo è un figlio di Apollo.»
«Il mio migliore amico è un figlio di Apollo» chiarì quindi lei. «Il mio ragazzo è figlio di Poseidone.»
«E la tua migliore amica…»
«Figlia di Ermes» gli suggerì.
«Come il dio dei ladri.»
«No, Ben, lui è il dio dei ladri.»
«Ah.» Lo zio sembrava sconcertato, mentre fissava la strada. «E invece il direttore di questo Campo è… Dioniso.»
«Esatto!»
«Il dio del vino.»
«Proprio lui.»
«E l’organizzatore di tutte le attività è un satiro…»
«Un centauro.»
«Un centauro, giusto. Com’è che si chiama?»
La mora abbozzò un sorrisetto divertito, raddrizzando la schiena per potersi voltare a guardarlo. «Non devi ricordarti proprio tutto, sai?» lo tranquillizzò, con tono gentile.
«Oh, no! Io devo sapere» ribatté lui, deciso. «Sto per portarti in un posto che più di tre quarti della popolazione non riesce neanche a vedere per via di questa bruma…»
«Foschia.»
«Quella» annuì. «Voglio essere sicuro che starai bene, e di non lasciarti nelle mani di mostri psicopatici…»
«Zio, non devi temere per me» gli assicurò a quel punto Skyler, incrociando le gambe sul sedile. «Starò alla grande. Quel posto è come una seconda casa, per me. Lì sono al sicuro.» E detto questo, spostò lo sguardo sul paesaggio circostante. «Svolta a destra, siamo quasi arrivati» gli intimò.
Ben presto gli alberi assunsero delle sembianze sempre più familiari, finché il vello d’oro che avvolgeva i rami del Pino di Thalia non rifletté la luce del mattino, brillando come un faro in pieno giorno.
Lo zio volle accompagnarla fino ai limiti consentiti dalla barriera protettiva, giusto davanti l’arcata formata da due colonne di pietra e sormontata da un’incisione in greco antico.
«Eccoci qui» annunciò l’uomo, guardandosi intorno con interesse.
«Eccoci qui» mormorò sommessamente lei, più a sé stessa che a lui. Si sporse per poter vedere dal finestrino. Vi erano altre quattro macchine, parcheggiate lì davanti, tutte appartenenti a dei genitori in procinto di lasciare andare i loro figli per i successivi tre mesi.
In piedi accanto ad una decappottabile rossa la figlia di Efesto riconobbe Drew Tanaka, intenta ad aggiustarsi il trucco nello specchietto retrovisore mentre il padre tirava fuori dal bagagliaio cinque enormi valige.
Da un fuoristrada grigio metallizzato, invece, scesero tre ragazzi molto emozionati, e mentre la mamma di uno di loro abbracciava per l’ultima volta il figlio, gli altri due respiravano a pieni polmoni l’aria di casa.
In una Volkswagen c’erano due figlie di Demetra, sorelle anche da parte di padre.
Poco più in là, invece, a frugare nel bagagliaio di un’Audi decisamente vecchiotta, la mora riconobbe una figura familiare.
Percy passò un trolley azzurro a Rose, che intanto stringeva in un forte abbraccio una Sally con le lacrime agli occhi. Skyler sapeva che, nonostante il figlio di Poseidone avesse già la patente, la donna si ostinava a volerli accompagnare di persona. Da quando aveva adottato anche l'alltra ragazza, i figli da dover abbandonare erano due, e questo la rattristava immensamente, anche se i due fratelli le inviavano più volte alcuni messaggi Iride.
Anche Paul Stockfis era con loro, ed aiutò Percy a scaricare le valigie mentre egli attirava nuovamente a sé la mamma.
I due giovani raccolsero i loro averi e si incamminarono oltre la barriera, non facendo neanche caso alla figlia di Efesto che con un lieve sorriso li osservava da lontano.
«Sei pronta?» le chiese lo zio, distogliendola bruscamente dai suoi pensieri.
«Sì» assentì lei, uscendo dalla macchina insieme a lui.
Aveva con sé soltanto un bagaglio ed un enorme borsone, dato che l’estate precedente aveva deciso di lasciare alcune delle sue cose nella Cabina Nove.
Quando si girò distrattamente verso l’entrata del Campo si accorse che Chirone stava avanzando proprio verso di lei. Era sulla sua magica sedia a rotelle, e la mora si riscoprì a ringraziare gli dei, perché non era sicura di che reazione avrebbe avuto Ben se si fosse ritrovano davanti alla sua forma equina.
Ma forse il centauro aveva già calcolato quell’inconveniente; Skyler si chiese se qualcuno dei suoi amici lo avesse aggiornato delle ultime novità.
«Sono felice di vedervi qui» annunciò con la sua voce imponente, lanciando alla mora uno sguardo complice e significativo. «Bentornata, figliola.»
«Lei lavora qui?» gli domandò quindi lo zio, scrutandolo con attenzione.
«Sì, in un certo senso sì.»
«E cosa fa, di preciso?» volle sapere, interessato.
«Addestro eroi.»
L’uomo sembrò pensarci un po’ su. «In effetti ha senso» convenne, con un’alzata di spalle.
«Perché non lasci me e tuo zio parlare un po’ in privato, Skyler?» propose allora Chirone, con un cenno del capo. «Potrei illustrargli tutti i nostri programmi mentre tu inizi a sistemarti.»
La figlia di Efesto annuì leggermente, ma non appena si voltò per poter salutare Ben, tutta la sua voglia di superare quel confine sottile tra divino e mortale svanì come se non fosse mai esistita.
Quest’ultimo allargò istintivamente le braccia, permettendole di posare il capo sul suo petto.
«Si tratta solo di una stagione» le ricordò poi, dolcemente. «L’hai detto tu, no?»
«Sì» confermò lei con un risolino, le lacrime che brucianti minacciavano di solcarle il viso.
«Abbi cura di te, tesoro» la pregò dunque lo zio, al ché la ragazza sollevò il mento per guardarlo negli occhi.
«Ci proverò» gli assicurò, e in quel momento capì di non potergli promettere di più.
Ma a lui sembrò bastare, perché le prese con cura il volto tra le mani e le lasciò un tenero bacio sulla fronte, concedendosi un sospiro.
«Te quiero, mi hija» le sussurrò, per far sì che solo lei potesse sentirlo.
«Te quiero, tìo.»
E detto questo, Skyler raccolse le proprie cose e si avviò, allontanandosi dai due uomini che, dopo qualche minuto, erano già intenti a parlare animatamente.
Il Campo era esattamente così come lo ricordava, anche se sembravano esserci alcune novità. Passando accanto ai campi di fragole, proprio parallelamente alla Casa Grande, alcuni semidei, ninfe e satiri erano intenti a costruire una nuova struttura.
Si trattava di un palazzo, decisamente imponente, che svettava verso il cielo con maestosità.
La ragazza non si soffermò a lungo a guardarlo, troppo intenta a domare le contrastanti emozioni che albergavano in lei.
Era felice di essere tornata lì, ma per quanto si sforzasse non riusciva a togliersi di dosso la sensazione che restando in quel posto non avrebbe fatto altro che essere sovrastata dal corso degli eventi.
E sapeva anche il perché. Dopo la scorsa estate, tutto era diverso. Lei era diversa.
Prometeo era stato rallentato, certo, ma non di certo sconfitto, e per tutto l’inverno la figlia di Efesto non aveva convissuto l'orribile sensazione di essere continuamente osservata. Come se lui fosse lì, in ogni istante. Come se si divertisse a guardarla cedere al panico mentre lui attendeva con ansia il momento di fare la prossima mossa.
E se l’avesse attaccata da lì ad una settimana? E se l’avesse fatto il giorno dopo?
Era davvero al sicuro come credeva, lì? O la sua era soltanto una mera speranza?
Skyler caccio un grugnito di frustrazione, scrollando il capo per togliersi di mente quei brutti pensieri.
Era già iniziato un nuovo anno, ormai, e il suo proposito era quello di non lasciarsi trasportare dalle emozioni. Buttò un’occhiata intorno a sé, gonfiandosi il petto di quell’aria fresca, conosciuta.
«Miss Garcia» si disse ad alta voce, bloccandosi sul posto per potersi concedere un attimo di contemplazione.
«Bentornata al Campo Mezzosangue.»  

Angolo Scrittrice.
Siamo pronti? 
-Sì...
Siete sicuri? 
-Ce lo hai chiesto già tre volte.
Ed ora anche la quarta! Tutto questo è molto importante, d'accordo? Ci siamo preparati per questo momento per tutta l'estate!
-Valery, respira e non preoccuparti.
Okay...
-Sei pronta? E in onda tra tre... due... uno...

*ON AIR*
Credete di star sognando? Ebbene no, non siete stati catapaltuati nel vostro peggior incubo. Sono veramente io, sono veramente qui, e dopo mesi di prepararazione durante i quali ho curato in ogni minimo dettaglio quest'ultima, gloriosa storia, ho finalmente deciso che questo era il giorno giusto per pubblicare. 
Ho qualche problema mentale? Forse sì. 
Sto correndo nuovamente un rischio? Probabile. 
Ma questo non mi impedirà di dare inizio a questo terzo capitolo con un caldo, caloroso grazie a tutti voi che ora state leggendo questa parte in grassetto. 
Dite un po', vi sono mancata? Scommetto di no, ma spero comunque che vi abbia fatto piacere sentir parlare di nuovo della nostra dolce
Skyler ahaha
Scherzi a parte, vi va se prima di parlare di questo prolgo riepiloghiamo un po' la storia precedente? Così da non perdere il filo e fare mente locale...
Dunquo:
Poco prima di ritornare al Campo Mezzosangue per l'intero periodo estivo, Skyler è costretta dallo zio a far visita alla nonna che non vede da più di sette anni, e con la quale non nutre dei sentimenti di bene ed affetto. L'anziana donna, infatti, era sempre stata convinta che Ben non fosse in grado di occuparsi di lei, e la figlia di Efesto è convinta che nell'istante in cui li ha invitati nella sua dimora, il suo unico intento sia quello di dimostrare a tutti che aveva ragione ed ottenere finalmente il tanto agoniato affido della nipote. 
Come se non bastasse, a complicare le cose arriva anche Madison, la cugina vanitosa e viziata di Skyler, che  dopo averla infastidita per tutto il tempo la fa finire in grossi guai, facendola di conseguenza litigare con lo zio. 
Dopo aver scoperto che San Diego, il posto in cui si trovano, pullula di mostri, la ragazza è costretta a tornare al Campo di nascosto in compagnia di Connor e Travis per non mettere in pericolo la propria famiglia. Lascia per i parenti una lettera, con la speranza che loro non fraintendano le sue intenzioni, e trova rifugio nella sua seconda casa. 
Due arrivi, però, scombussolano la pace del Campo: quello di Melanie, giovane figlia di Demetra che ha perso un braccio, e che nonostante le difficoltà si innamora perdutamente di John; e quello di Matthew, figlio di Eris che stringe subito amicizia con Skyler, scatenando la gelosia di Michael. 
Mentre Leo ed Emma diventano sempre più intimi, fin'anche a baciarsi, Skyler e Michael si allontanano sempre di più. Alla fine i rapporti di entrambe le coppie si sfalderanno, ma la più devastata sarà la figlia di Efesto, soprattutto quando scopre che, qualche giorno dopo il loro litigio, il figlio di Poseidone è sparito. 
La voce che la tormenta nei suoi peggiori incubi è tornata, e ha rapito Michael. 
Ma c'è solo un modo per poter scoprire dove lo tiene prigioniero: la Pietra dei Sogni. 
In grado di esaudire ogni desiderio, si trova su un'isola nell'Oceano Atlantico, che riserverà a John, Skyler ed Emma innumerevoli sorprese. 
Come l'intervento di Alex, un ragazzo che è rimasto bloccato lì per così tanti anni da non ricordare neanche quale fosse il suo genitore divino. 
Dopo una serie di disavvenutre dove i ragazzi rischiano la vita -e, nel caso di Alex ed Emma (che però riesce a sopravvivere) la perdono anche-, i tre giovani semidei trovano finalmente la Pietra, scoprendo che Michael si trova a Stonehenge. 
Lì però nulla va secondo i piani. Salta fuori che in realtà è sempre stato Matthew il vero nemico, e che ha finto di essere un semidio solo per potersi avvicinare alla ragazza e poter ottenere ciò che vuole: il suo fuoco. Ma per riuscirci, ha bisogno di un bacio. 
Pur di salvare i suoi amici, la figlia di Efesto glielo concede, ma nel farlo rischia di perdere la vita. 
Grazie al coltellino che le era stato regalato da Alex, riesce ad allontanarlo, ma non è ancora finita, e lei lo sa bene.
Quando Chirone le svela la verità, Skyler fa ancora fatica a farsene una ragione. 
Matthew non è affatto un figlio di Eris, bensì Prometeo, l'unico e solo tiano della mente e della preveggenza. 
E sta cercando vendetta. 

 
Bon bon! Credo di aver detto tutto ahah 
Che cosa vediamo in questo primissimo prologo?
Beh, innanzi tutto scopriamo cos'è successo una volta che Skyler è tornata a casa. Molti di voi mi avevano chiesto che cosa fosse successo allo zio, e spero di aver dato tutte le risposte ai vostri quesiti. Siamo passati da un ordine restrittivo all'esame di coscienza della nonna, che finalmente sembra aver capito, fino ad arrivare al momento clou: Bejamin Garcia ora è a conoscenza della verità. Tutta la verità. 
Ve l'aspettavate? Ora che lui sa tutto sulla vera natura della nipote, credete che il loro rapporto cambierà? In meglio o in peggio? 
Pensate che Skyler abbia fatto bene? Let me know. 
Ora è finalmente tornata al Campo, ma le novità non sono ancora terminate. 
Perchè continua ad avere la sensazione di essere osservata? 
E cos'è quell'enorme struttura che stanno costruendo di fronte alla Casa Grande? 
Si accettano scommesse di ogni genere, ovviamente. Ma detto questo, devo fare una premessa. 
Voglio solo il meglio per questa storia, e giuro solennemente di dedicare tutta me stessa affinché questo sia l'ultimo capitolo che tutte le trilogie vorrebbero. Sono motivata, e ho tanta volgia di fare; quindi spero di non deludervi mai durante questo -ultimo- viaggio che mi auguro intraprenderemo insieme.
Riusciremo ad arrivare ad un epilogo definitivo? Cavolo, uccidetemi se non sarà così! 
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo inizio, se vi è piaciuto o se vi ha fatto schifo.
Gli aggiornamenti ci saranno come sempre ogni martedì, perchè ormai quella è una tradizione.
Per quanto riguarda il banner in alto, invece, è tutta roba mia. Ci ho lavorato molto su, perchè volevo qualcosa che colpisse a prim'occhio. Il perchè delle frasi e del leone? Eheh, lo capirete solo leggendo c: 
But anyway: Che ne dite? Può andare? Posso sempre cambiarlo, of course, ma se mi dite che tutto sommato non è male, può anche restare così com'è. Si accettano suggerimenti! ahah
Oookay, ora è arrivato proprio il momento di andare. 
Ho tanti assi nella manica, per questa storia, e spero di riuscire a mostrarveli tutti, fino alla fine. 
Un bacione enorme, semidei, e grazie a te che ora stai leggendo questa parte in viola, perchè sigifica che hai scelto di darmi ancora una volta un'ultima chance. Non ti deluderò, lo giuro!
A martedì prossimo!
Nuovamente vostra -yee-,

ValeryJackson 
  
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