This much I know, all ends well di emmevic (/viewuser.php?uid=131809)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chi siamo? ***
Capitolo 2: *** Siamo uomini ***
Capitolo 3: *** Siamo mortali ***
Capitolo 4: *** Noi siamo ***
Capitolo 1 *** Chi siamo? ***
This much I know,
all ends well
Chi siamo?
Il
destino è una cosa che ci siamo inventati per non affrontare
il fatto che tutto succede in modo assolutamente casuale.
Insonnia d'amore, di Nora Ephron
«Tu
credi nel destino, Erik?» azzarda Charles. Lo chiede con
finta noia, fra le pieghe delle lenzuola, mentre osserva il soffitto
dal letto sfatto e scaccia una zanzara senza schiacciarla. Quando nota
lì sopra, proprio nell’angolo, una ragnatela e il
suo disegno geometrico, sospira senza speranze. Tutt’intorno
libri accatastati e fogli, poi vetusti vasi dalle tinte porpora, che
sanno di esotico, e ancora libri, vecchi tomi dalle pagine ingiallite.
«Questa casa è un
mausoleo». Raven non ha tutti i torti, le volte
in cui lo dice, e il Professore sospira di nuovo perché sa
che è in parte vero, ma allontana il pensiero di lei proprio
come ha fatto con l’insetto: adesso è con Erik e
non vuole concentrarsi su altro.
La
zanzara riprende a ronzare molesta, mentre l’altro, intanto,
rimane in silenzio. Gli volge le spalle e al telepate verrebbe quasi da
pensare che stia dormendo, se solo non captasse il brulicare vivace
della sua mente. Sarebbe quasi tentato di sondargli i pensieri, ma non
entra in quel caotico mondo, non si intromette; preferisce attendere
fuori, lasciandosi il lusso di interpretare quel silenzio.
Charles
aspetta la risata beffarda con le braccia strette ai fianchi, rigido
senza volerlo, già pronto a maledirsi per aver posto una
domanda di siffatta natura, ma, quando questa tarda ad arrivare, si
passa una mano tra i capelli e si gira sul fianco, fissando la schiena
dell’uomo che Raven ha ribattezzato Magneto.
«Perché?
Tu credi forse in una forza superiore, Charles?»
Non
c’è ironia nell’intonazione, nemmeno nel
pronunciare il suo nome. Nella mente gli riecheggiano parole non troppo
remote che non riesce a collocare nel tempo, bisbigliate o forse urlate
durante una delle loro chiacchierate pomeridiane. «Siamo noi gli dei, noi plasmiamo il
mondo» ricorda Erik sentenziare, con quello sguardo
amareggiato di chi non riesce a riappacificarsi col passato.
«Io»
comincia Charles, titubante «preferisco credere che siamo qui
per uno scopo».
È
la verità. Sperare che ci sia un fine a tutto questo, per
quanto oscuro e celato, gli permette di andare avanti anche quando le
certezze si sfaldano e l’umanità mostra il volto
più crudele.
«Avere
uno scopo non significa ammettere l’esistenza di un qualche dio falsamente
benevolo» replica Erik e questa volta il suo tono
è aspro di recriminazioni. Perché il passato gli
brucia ancora sulla pelle, attraverso quei numeri.
«Sono
tutte stronzate» continua. «Ogni decisione che
prendiamo è solo nostra, non di qualche dio».
«Allora
sono ancora più soddisfatto che quella volta tu non abbia
ammazzato Shaw».
Erik
si alza, continuando a dargli le spalle, ma non dice niente e prende
posto sul bordo del letto.
Se
c’è una qualche divinità nella sua
vita, potrebbe giurare sia Charles. E non per il suo straordinario
potere, ma per ciò che è riuscito a fare, per
aver tenuto duro, per aver creduto in lui.
Un
attimo può cambiare molte cose e, per quanto
l’aver risparmiato Shaw sia stato difficile, la
consapevolezza d’essere per una volta sfuggito ai vecchi
schemi è un barlume di speranza.
Fanfiction scritta in occasione della Corsa
delle 48 ore organizzata sul forum Torre di
Carta; partecipa fuori gara ed è stata betata da
Mokochan ♥ (ringrazio anche _Branwen_
che si era offerta per
betarla, gentilissime entrambe! A lei si deve anche il titolo della
raccolta, tratto dalla canzone All ends well degli Alter Bridge)!
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Capitolo 2 *** Siamo uomini ***
This much I know,
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Siamo uomini
Il vero potere non è
poter uccidere, ma avere tutti i diritti per farlo, e trattenersi!
Oskae Schindler, Schindler’s List
Fuori
fa freddo e le cime degli alberi si piegano sotto i colpi del vento,
come immense spighe. I vetri delle finestre sono opachi di condensa e
la pioggia, obliqua, picchietta contro di essi; è difficile
vedere cosa vi è oltre e il ticchettio ritmico – a
volte più intenso, a volte più dolce –
estrania dalla realtà.
Erik affonda nella poltrona con gli occhi chiusi e la fronte
aggrottata, mentre fa scivolare nell’aria, tra un dito e
l’altro, una moneta. Quella
moneta.
Sente la porta aprirsi con un cigolio, ma finge di non accorgersene,
sapendo già chi è appena entrato:
l’unico in quella casa a non temerlo oltre alla sfacciata
Raven, che in quel momento è troppo impegnata a ridere di
gusto per venire a cercarlo. Una risata piena che penetra timida nella
stanza e lo affossa; facendolo cadere in pensieri ancora più
tetri.
«La giornata perfetta per stare davanti a un camino,
no?» comincia Charles, poggiandosi con le mani alla scrivania
in mogano lavorato, mentre osserva senza vederlo il fuoco morente nel
caminetto.
Silenzio. Il
sopravvissuto ha ancora gli occhi ben serrati, immobile come poco
prima, ma ora la mano si chiude di scatto sul piccolo disco di metallo.
«È da stamattina che sei chiuso qui dentro, Erik.
Potresti venire a cenare con noi, ci farebbe piacere»
continua il Professore, prendendo a camminare a lunghi passi per la
stanza, una delle molte della villa.
«Ho bisogno di stare da solo».
Semplicemente gelido; il tono di Erik non ammette repliche.
«Sai, Hank ha anche avuto un piccolo incidente con un
pelapatate, ma poi si è sistemato tutto» riprende
il discorso il mutante, ignorando l’ultima affermazione
dell’altro. «Peccato che il purè che lui
e Raven avevano intenzione di preparare si sia praticamente trasformato
in uno sformato di peli blu e bucce di patate. Sarebbe stato utile
averti lì».
Erik glissa sulle parole del telepate, fingendo di non aver colto una
nota di divertimento, e apre di scatto gli occhi quando sente la sua
voce farsi vicina. «Pensi che mi ci vorrà molto
per convincerti a venire di là?».
Un sospiro rassegnato.
«Mi chiedo come tu faccia a non temermi, dopo avermi guardato
dentro» commenta lapidario Magneto. «Sai di cosa
sono capace» conclude, senza nascondere un velo di amarezza.
Perché Charles ha visto il suo vero io, quella parte
più tormentata, più terribile; ciò che
sarebbe potuto essere se solo si fosse lasciato divorare dalla rabbia e
dalla vendetta.
«Quindi è questo che ti tormenta?»
chiede il Professore con un sorriso dei suoi, uno di quelli sghembi,
sotto i baffi. Sembra sempre che sappia più cose di quanto
rivela; Erik si chiede se non gli stia leggendo i pensieri anche ora.
«Credi che io abbia scorto in te qualcosa che non
c’è?»
«Charles... È da settimane che continuo a
ripensare a quel giorno. Se tornassi indietro, ammazzerei Shaw. Avrei
voluto ucciderlo con le mie mani. – Avrei voluto vedere il suo
sangue tingere di rosso ogni cosa – La
verità su di me la conosciamo entrambi, sai chi
sono».
«Quando ti ho toccato la mente la prima volta, non ho visto
solo ciò che pensi tu. Non ho visto solo la rabbia,
l’odio e la vendetta. Oltre al dolore ho visto un uomo
altruista, a cui interessa il futuro di altri. È per questo
che hai deciso di aiutarci. Non solo perché volevi ammazzare
Shaw, volevi aiutare anche tutti quelli come noi». Il
telepate parla con convinzione, con gli occhi cerulei che brillano.
«C’è del buono in te, Erik, ma adesso
vieni di là» lo esorta infine, porgendogli la mano.
Ed Erik si chiede se Charles non sia troppo ottimista, come al solito,
mentre accetta la sua stretta.
Fanfiction scritta in occasione della Corsa
delle 48 ore organizzata sul forum Torre di
Carta
Partecipa fuori gara ed è stata betata da
Mokochan ♥
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Capitolo 3 *** Siamo mortali ***
This much I know,
all ends well
Siamo mortali
Le
mani di Charles sono calde. Lo sono sempre, come se in qualche modo
anche dalle dita irradiasse fiducia, quella stessa che riesce a
conquistarsi con una parola soltanto.
Fa sembrare semplici anche le situazioni più difficili, ed
Erik non sa spiegarsi se sia a causa di tutto
quell’ottimismo, quell’eccessiva speranza che
ripone nel lato buono del prossimo, o per la sua abilità
nell’accaparrarsi la piena lealtà degli altri,
riuscendo a trarne l’inaspettato, il meglio. Cosa che gli
è riuscita anche con lui, rammenta Magneto con un mezzo
sorriso.
Le mani di Charles sono calde anche quando scivolano sul corpo
dell’altro. E quando si baciano, ogni volta,
c’è un moto di disperazione nel modo in cui lo
stringono, come se entrambi intuissero che il tempo a loro disposizione
è limitato: un’amara verità, lo sanno
già.
Finisce tutto sempre troppo in fretta, con il fiato corto e il sudore
dell’uno sull’altro, e non parlano in quei momenti,
non lo fanno mai. Perché certe cose non hanno bisogno di
essere dette e non necessitano di ulteriori conferme.
Poi, qualche volta, prima di lasciarsi cadere nel sonno, Erik sente il
tocco di Charles tra i propri pensieri, un sentimento amico in un
inferno di ricordi, e si lascia cullare dalle sensazioni positive che
il telepate gli instilla; condividendo paure e orrori e sostituendo a
essi armonia e quiete.
Ma la prima volta che è accaduto non l’ha presa
così bene: sorride al ricordo della propria reazione.
L’intrusione inaspettata l’aveva colto alla
sprovvista e l’aveva fatto sentire in qualche modo
defraudato, portandolo ad alzarsi di scatto dal letto e a stampare le
sue nocche sulla guancia dell’altro. Il pugno di Charles era
partito in risposta, allora, e il tutto era poi degenerato in una rissa
a due – una banale scazzottata portata avanti più
per orgoglio che per vera rabbia – conclusasi con del sesso
frenetico sul tappeto indiano nel corridoio.
Non si era aspettato che rispondesse al colpo, quella volta, ma
l’aveva in qualche modo rincuorato vedere che Charles lo
conosceva così bene da non aver tentato di intavolare un
discorso – a parole o mentale – quando era palese
che, se avesse aperto bocca, l’avrebbe solo fatto incazzare
di più.
E così si erano ritrovati su un tappeto che puzzava di
umidità ad amarsi e detestarsi come non mai.
Fanfiction scritta basandomi su un prompt della
Corsa delle 48 ore organizzata sul forum Torre di Carta; è
stata betata da
Mokochan (a cui propino le mie Cherik nella speranza siano
IC, ahaha) e la ringrazio ancora! ♥
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Capitolo 4 *** Noi siamo ***
This much I know,
all ends well
Noi siamo
Il mio nome è
Sarebbe-potuto-essere;
mi chiamo anche Non-più,
Troppo-tardi, Addio.
Dante Gabriel Rossetti
Non
ha bisogno di usare Cerebro per avere la certezza che Erik se ne sia
andato davvero.
Non ha nemmeno bisogno di aprire i bassi cassetti del comò
per scoprire che i vestiti del
signore dei metalli sono spariti, lasciando un vuoto che
non è solo fisico.
È semplicemente così, lo sa –
l’ha sentito prendere quella decisione, accarezzarla giorno
dopo giorno e plasmarla.
Se n’è andato di notte, con la compagnia del buio
e le stelle testimoni. Come un codardo o un ladro.
Avrebbe potuto fermarlo, ma non l’ha fatto: è
rimasto immobile a guardarlo raccogliere la sua valigia da terra e
scendere i gradini dell’ingresso con una calma che tradiva
quasi indecisione. Non si sono detti nulla, non una parola, solo un
silenzio che si ingrandiva sempre di più.
Avrebbe potuto impedirglielo, convincere Erik che non desiderava
veramente andarsene.
Avrebbe potuto addirittura fargli dimenticare Shaw, se solo avesse
voluto.
Ma a quale prezzo?
Charles si siede e il mondo gli sembra improvvisamente più
freddo del solito, ma è solo un momento; così
come sa che Erik non è più lì, sa
anche che le loro strade si incroceranno di nuovo: il grande quesito
è quando.
Fanfiction betata da
Ilarya Kiki, grazie! ♥ Concludo in
questo modo la raccolta, perché è così
che me li immagino, sempre a rincorrersi e ritrovarsi, due
facce della stessa medaglia, e perché voglio provare a
dedicarmi a qualcosa di più impegnativo, di più
ampio respiro. Grazie per avermi letto capitolo dopo capitolo (lettori
silenti e non), spero possa piacervi anche quest'ultimo.
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