This much I know, all ends well

di emmevic
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chi siamo? ***
Capitolo 2: *** Siamo uomini ***
Capitolo 3: *** Siamo mortali ***
Capitolo 4: *** Noi siamo ***



Capitolo 1
*** Chi siamo? ***


This much I know, all ends well
Chi siamo?

Il destino è una cosa che ci siamo inventati per non affrontare
il fatto che tutto succede in modo assolutamente casuale.
Insonnia d'amore, di Nora Ephron



«Tu credi nel destino, Erik?» azzarda Charles. Lo chiede con finta noia, fra le pieghe delle lenzuola, mentre osserva il soffitto dal letto sfatto e scaccia una zanzara senza schiacciarla. Quando nota lì sopra, proprio nell’angolo, una ragnatela e il suo disegno geometrico, sospira senza speranze. Tutt’intorno libri accatastati e fogli, poi vetusti vasi dalle tinte porpora, che sanno di esotico, e ancora libri, vecchi tomi dalle pagine ingiallite.
«Questa casa è un mausoleo». Raven non ha tutti i torti, le volte in cui lo dice, e il Professore sospira di nuovo perché sa che è in parte vero, ma allontana il pensiero di lei proprio come ha fatto con l’insetto: adesso è con Erik e non vuole concentrarsi su altro.
La zanzara riprende a ronzare molesta, mentre l’altro, intanto, rimane in silenzio. Gli volge le spalle e al telepate verrebbe quasi da pensare che stia dormendo, se solo non captasse il brulicare vivace della sua mente. Sarebbe quasi tentato di sondargli i pensieri, ma non entra in quel caotico mondo, non si intromette; preferisce attendere fuori, lasciandosi il lusso di interpretare quel silenzio.
Charles aspetta la risata beffarda con le braccia strette ai fianchi, rigido senza volerlo, già pronto a maledirsi per aver posto una domanda di siffatta natura, ma, quando questa tarda ad arrivare, si passa una mano tra i capelli e si gira sul fianco, fissando la schiena dell’uomo che Raven ha ribattezzato Magneto.
«Perché? Tu credi forse in una forza superiore, Charles?»
Non c’è ironia nell’intonazione, nemmeno nel pronunciare il suo nome. Nella mente gli riecheggiano parole non troppo remote che non riesce a collocare nel tempo, bisbigliate o forse urlate durante una delle loro chiacchierate pomeridiane. «Siamo noi gli dei, noi plasmiamo il mondo» ricorda Erik sentenziare, con quello sguardo amareggiato di chi non riesce a riappacificarsi col passato.
«Io» comincia Charles, titubante «preferisco credere che siamo qui per uno scopo».
È la verità. Sperare che ci sia un fine a tutto questo, per quanto oscuro e celato, gli permette di andare avanti anche quando le certezze si sfaldano e l’umanità mostra il volto più crudele.
«Avere uno scopo non significa ammettere l’esistenza di un qualche dio falsamente benevolo» replica Erik e questa volta il suo tono è aspro di recriminazioni. Perché il passato gli brucia ancora sulla pelle, attraverso quei numeri.
«Sono tutte stronzate» continua. «Ogni decisione che prendiamo è solo nostra, non di qualche dio».
«Allora sono ancora più soddisfatto che quella volta tu non abbia ammazzato Shaw».
Erik si alza, continuando a dargli le spalle, ma non dice niente e prende posto sul bordo del letto.
Se c’è una qualche divinità nella sua vita, potrebbe giurare sia Charles. E non per il suo straordinario potere, ma per ciò che è riuscito a fare, per aver tenuto duro, per aver creduto in lui.
Un attimo può cambiare molte cose e, per quanto l’aver risparmiato Shaw sia stato difficile, la consapevolezza d’essere per una volta sfuggito ai vecchi schemi è un barlume di speranza.



Fanfiction scritta in occasione della Corsa delle 48 ore organizzata sul forum Torre di Carta; partecipa fuori gara ed è stata betata da Mokochan ♥ (ringrazio anche _Branwen_ che si era offerta per betarla, gentilissime entrambe! A lei si deve anche il titolo della raccolta, tratto dalla canzone All ends well degli Alter Bridge)!

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Capitolo 2
*** Siamo uomini ***


This much I know, all ends well
Siamo uomini

Il vero potere non è poter uccidere, ma avere tutti i diritti per farlo, e trattenersi!
Oskae Schindler, Schindler’s List



Fuori fa freddo e le cime degli alberi si piegano sotto i colpi del vento, come immense spighe. I vetri delle finestre sono opachi di condensa e la pioggia, obliqua, picchietta contro di essi; è difficile vedere cosa vi è oltre e il ticchettio ritmico – a volte più intenso, a volte più dolce – estrania dalla realtà.
Erik affonda nella poltrona con gli occhi chiusi e la fronte aggrottata, mentre fa scivolare nell’aria, tra un dito e l’altro, una moneta. Quella moneta.
Sente la porta aprirsi con un cigolio, ma finge di non accorgersene, sapendo già chi è appena entrato: l’unico in quella casa a non temerlo oltre alla sfacciata Raven, che in quel momento è troppo impegnata a ridere di gusto per venire a cercarlo. Una risata piena che penetra timida nella stanza e lo affossa; facendolo cadere in pensieri ancora più tetri.
«La giornata perfetta per stare davanti a un camino, no?» comincia Charles, poggiandosi con le mani alla scrivania in mogano lavorato, mentre osserva senza vederlo il fuoco morente nel caminetto.
Silenzio. Il sopravvissuto ha ancora gli occhi ben serrati, immobile come poco prima, ma ora la mano si chiude di scatto sul piccolo disco di metallo.
«È da stamattina che sei chiuso qui dentro, Erik. Potresti venire a cenare con noi, ci farebbe piacere» continua il Professore, prendendo a camminare a lunghi passi per la stanza, una delle molte della villa.
«Ho bisogno di stare da solo».
Semplicemente gelido; il tono di Erik non ammette repliche.
«Sai, Hank ha anche avuto un piccolo incidente con un pelapatate, ma poi si è sistemato tutto» riprende il discorso il mutante, ignorando l’ultima affermazione dell’altro. «Peccato che il purè che lui e Raven avevano intenzione di preparare si sia praticamente trasformato in uno sformato di peli blu e bucce di patate. Sarebbe stato utile averti lì».
Erik glissa sulle parole del telepate, fingendo di non aver colto una nota di divertimento, e apre di scatto gli occhi quando sente la sua voce farsi vicina. «Pensi che mi ci vorrà molto per convincerti a venire di là?».
Un sospiro rassegnato.
«Mi chiedo come tu faccia a non temermi, dopo avermi guardato dentro» commenta lapidario Magneto. «Sai di cosa sono capace» conclude, senza nascondere un velo di amarezza.
Perché Charles ha visto il suo vero io, quella parte più tormentata, più terribile; ciò che sarebbe potuto essere se solo si fosse lasciato divorare dalla rabbia e dalla vendetta.
«Quindi è questo che ti tormenta?» chiede il Professore con un sorriso dei suoi, uno di quelli sghembi, sotto i baffi. Sembra sempre che sappia più cose di quanto rivela; Erik si chiede se non gli stia leggendo i pensieri anche ora. «Credi che io abbia scorto in te qualcosa che non c’è?»
«Charles... È da settimane che continuo a ripensare a quel giorno. Se tornassi indietro, ammazzerei Shaw. Avrei voluto ucciderlo con le mie mani. – Avrei voluto vedere il suo sangue tingere di rosso ogni cosa – La verità su di me la conosciamo entrambi, sai chi sono».
«Quando ti ho toccato la mente la prima volta, non ho visto solo ciò che pensi tu. Non ho visto solo la rabbia, l’odio e la vendetta. Oltre al dolore ho visto un uomo altruista, a cui interessa il futuro di altri. È per questo che hai deciso di aiutarci. Non solo perché volevi ammazzare Shaw, volevi aiutare anche tutti quelli come noi». Il telepate parla con convinzione, con gli occhi cerulei che brillano. «C’è del buono in te, Erik, ma adesso vieni di là» lo esorta infine, porgendogli la mano.
Ed Erik si chiede se Charles non sia troppo ottimista, come al solito, mentre accetta la sua stretta.




Fanfiction scritta in occasione della Corsa delle 48 ore organizzata sul forum Torre di Carta
Partecipa fuori gara ed è stata betata da Mokochan

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Capitolo 3
*** Siamo mortali ***


This much I know, all ends well
Siamo mortali



Le mani di Charles sono calde. Lo sono sempre, come se in qualche modo anche dalle dita irradiasse fiducia, quella stessa che riesce a conquistarsi con una parola soltanto.
Fa sembrare semplici anche le situazioni più difficili, ed Erik non sa spiegarsi se sia a causa di tutto quell’ottimismo, quell’eccessiva speranza che ripone nel lato buono del prossimo, o per la sua abilità nell’accaparrarsi la piena lealtà degli altri, riuscendo a trarne l’inaspettato, il meglio. Cosa che gli è riuscita anche con lui, rammenta Magneto con un mezzo sorriso.
Le mani di Charles sono calde anche quando scivolano sul corpo dell’altro. E quando si baciano, ogni volta, c’è un moto di disperazione nel modo in cui lo stringono, come se entrambi intuissero che il tempo a loro disposizione è limitato: un’amara verità, lo sanno già.
Finisce tutto sempre troppo in fretta, con il fiato corto e il sudore dell’uno sull’altro, e non parlano in quei momenti, non lo fanno mai. Perché certe cose non hanno bisogno di essere dette e non necessitano di ulteriori conferme.
Poi, qualche volta, prima di lasciarsi cadere nel sonno, Erik sente il tocco di Charles tra i propri pensieri, un sentimento amico in un inferno di ricordi, e si lascia cullare dalle sensazioni positive che il telepate gli instilla; condividendo paure e orrori e sostituendo a essi armonia e quiete.
Ma la prima volta che è accaduto non l’ha presa così bene: sorride al ricordo della propria reazione. L’intrusione inaspettata l’aveva colto alla sprovvista e l’aveva fatto sentire in qualche modo defraudato, portandolo ad alzarsi di scatto dal letto e a stampare le sue nocche sulla guancia dell’altro. Il pugno di Charles era partito in risposta, allora, e il tutto era poi degenerato in una rissa a due – una banale scazzottata portata avanti più per orgoglio che per vera rabbia – conclusasi con del sesso frenetico sul tappeto indiano nel corridoio.
Non si era aspettato che rispondesse al colpo, quella volta, ma l’aveva in qualche modo rincuorato vedere che Charles lo conosceva così bene da non aver tentato di intavolare un discorso – a parole o mentale – quando era palese che, se avesse aperto bocca, l’avrebbe solo fatto incazzare di più.
E così si erano ritrovati su un tappeto che puzzava di umidità ad amarsi e detestarsi come non mai. 



Fanfiction scritta basandomi su un prompt della Corsa delle 48 ore organizzata sul forum Torre di Carta; è stata betata da Mokochan (a cui propino le mie Cherik nella speranza siano IC, ahaha) e la ringrazio ancora! ♥ 

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Capitolo 4
*** Noi siamo ***


This much I know, all ends well
Noi siamo

Il mio nome è Sarebbe-potuto-essere;
mi chiamo anche Non-più,
Troppo-tardi, Addio.
Dante Gabriel Rossetti




Non ha bisogno di usare Cerebro per avere la certezza che Erik se ne sia andato davvero.
Non ha nemmeno bisogno di aprire i bassi cassetti del comò per scoprire che i vestiti del signore dei metalli sono spariti, lasciando un vuoto che non è solo fisico.
È semplicemente così, lo sa – l’ha sentito prendere quella decisione, accarezzarla giorno dopo giorno e plasmarla.
Se n’è andato di notte, con la compagnia del buio e le stelle testimoni. Come un codardo o un ladro.
Avrebbe potuto fermarlo, ma non l’ha fatto: è rimasto immobile a guardarlo raccogliere la sua valigia da terra e scendere i gradini dell’ingresso con una calma che tradiva quasi indecisione. Non si sono detti nulla, non una parola, solo un silenzio che si ingrandiva sempre di più.
Avrebbe potuto impedirglielo, convincere Erik che non desiderava veramente andarsene.
Avrebbe potuto addirittura fargli dimenticare Shaw, se solo avesse voluto.
Ma a quale prezzo?
Charles si siede e il mondo gli sembra improvvisamente più freddo del solito, ma è solo un momento; così come sa che Erik non è più lì, sa anche che le loro strade si incroceranno di nuovo: il grande quesito è quando



Fanfiction betata da Ilarya Kiki, grazie! ♥  Concludo in questo modo la raccolta, perché è così che me li immagino,  sempre a rincorrersi e ritrovarsi, due facce della stessa medaglia, e perché voglio provare a dedicarmi a qualcosa di più impegnativo, di più ampio respiro. Grazie per avermi letto capitolo dopo capitolo (lettori silenti e non), spero possa piacervi anche quest'ultimo.

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