People on the edge of the night

di Sissi Bennett
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The boys are back in town ***
Capitolo 2: *** Right from the start ***



Capitolo 1
*** The boys are back in town ***


People on the edge of the night

 

Capitolo primo: The boys are back in town

Lily Evans trascinò il suo baule fino a uno scompartimento vuoto e con un gesto della bacchetta lo fece levitare fino a sistemarlo sulla rete sopra i sedili.

Si sedette in attesa che qualcuna delle sue amiche la raggiungesse, ma si rese conto di essere parecchio in anticipo rispetto al solito, e lei era già solita arrivare ampiamente in anticipo.

Onestamente non vedeva l’ora di tornare a Hogwarts e quella mattina aveva costretto suo padre a portarla in stazione molto prima rispetto all’orario di partenza. Non aveva senso rimanere in quella casa per un minuto di più.

Ormai litigava con sua sorella tutti i giorni ed era stufa di sentire le solite accuse. A peggiorare la situazione i loro genitori cercavano sempre di mettere un po’ di pace tra le due, con il risultato di fare arrabbiare ancora di più Petunia che finiva per esibirsi in un pianto elegiaco, lamentandosi di essere l’esclusa della famiglia.

Il che rasentava il paradosso dato che gli Evans, lei compresa, smuovevano mari e monti per renderla contenta, per consolarla.

In fondo a Lily faceva anche un po’ pena, nonostante il fastidio per tutti gli insulti che sua sorella le vomitava addosso con l’intento di sminuirla. Non che questo le desse il permesso di chiamarla mostro, o stramba, o scherzo della natura ogni volta che si accennava alla magia.

Severus non aveva torto a dire che non si meritava le sue lacrime e che era soltanto invidiosa. Ma Lily non piangeva da tempo per le parole di sua sorella, il più delle volte la ignorava o le mostrava casualmente la bacchetta per levarsela di torno.

Così quella mattina, appena finita la colazione, aveva pregato suo padre di accompagnarla a King’s Cross il più in fretta possibile, perché per quanto salda anche la sua pazienza si era esaurita.

Petunia l’aveva salutata con un grugnito che Lily aveva trovato davvero buffo, ed era ritornata in camera sua più allegra del solito, allietata dalla prospettiva di non avere più la sua strana sorella tra i piedi, almeno fino a Natale.

Sentimento reciprocato dalla rossa che, chiusa in quello scompartimento da sola, percepiva finalmente un’aura di pace attorno a sé.

Nemmeno gli schiamazzi di Potter, ancora sul binario a saltare in braccio ai suoi migliori amici, potevano scalfirla in quel momento. Per starne certa, si appiattì maggiormente contro lo schienale del sedile per evitare che lui la scorgesse e si precipitasse sul treno a tormentarla.

Venne distratta da un chiacchiericcio familiare, da una parlantina veloce e entusiasta, e poco dopo sulla soglia dello scompartimento apparvero due ragazze con i rispettivi bauli.

La prima le schioccò un’occhiata spazientita e alzò gli occhi al cielo, palesemente annoiata dalla voce della sua compagna alle sue spalle; la seconda si zittì per un momento poi si lanciò oltre l’amica e stritolò Lily in un abbraccio fin troppo potente per una ragazza così minuta.

«Santo Cielo, Mary, datti un contegno. Non è andata in guerra» la rimproverò l’altra, lasciandosi cadere su un sedile e agguatando un libro dalla sua borsa.

Mary McDonald la ignorò completamente e continuò a tenere stretta Lily «Sono così contenta di rivederti!» esclamò «Erin non mi dà mai una soddisfazione. Pensava che non la vedessi mentre faceva le smorfie» svelò a raffica.

Erin non alzò lo sguardo dalle pagine, ma tirò un mezzo sorriso compiaciuto, per niente turbata di essere stata beccata in pieno da Mary.

Questa comunque non diede segno di essersi offesa e liberò Lily dalla sua stretta per sedersi accanto a lei.

«Lieta di vederti, Erinyes» la prese in giro la rossa con un tono di finto disappunto per non aver ricevuto da parte sua un saluto degno di quel nome.

«Sì, sì, anche io» borbottò Erin, liquidando in fretta la faccenda con un gesto della mano «Mi fa piacere che nessuna di voi due sia saltata per aria durante l’estate» disse noncurante.

E nello strano mondo della sua altrettanto strana vena umoristica, quel commento apparentemente infelice significava “Mi siete mancate anche voi. Sono contenta che nessuno vi abbia fatto del male”.

Una cosa molto probabile di quei tempi per due Nate Babbane.

Erin lanciò uno sguardo alle altre due, senza che queste se ne accorgessero. Sembravano entrambe felici e in buona salute, e lei tirò mentalmente un sospiro di sollievo.

Le veniva difficile esternare i suoi sentimenti di preoccupazione, non ci era proprio abituata: nella sua famiglia si aveva la tendenza a prendere tutto con un po’ troppa leggerezza, a non valutare bene i segnali di pericolo.

Non che la sua famiglia appoggiasse quelle assurdità sulla purezza del sangue, ma come tanti altri preferivano voltarsi dall’altra parte fingendo che non fosse reale, che fossero solo incidenti.

Ma le sparizioni, gli omicidi e il terrore erano veri, anche se la maggior parte della comunità magica continuava a sperare che presto tutto sarebbe finito.

Inquieta riportò l’attenzione sul libro e finse come al solito una perfetta e indifferente calma.

I suoi sensi si allertarono nuovamente in fretta, non appena Mary le aggiornò del nuovo gossip che circolava tra gli studenti.

«Avete sentito di Sirius Black?»

Erin non diede segno di ascoltarla, ma strinse leggermente i bordi della copertina.

«Che cos’ha combinato questa volta?» s’informò distrattamente Lily, mentre si sporgeva verso il finestrino per guardare un’ultima volta il binario 9 e ¾ che si faceva sempre più piccolo, man mano che il treno prendeva velocità.

«Sembra sia scappato di casa».

Lily si voltò subito verso l’amica, sconcertata dalla notizia, e lanciò un’occhiata circospetta a Erin, seduta di fronte a loro.

«Chi te l’ha detto?» replicò questa senza scomporsi più di tanto.

«Ne parlavano tutti sul binario» raccontò Mary «E non ha nemmeno rivolto un cenno di saluto a suo fratello. Da che mi ricordassi si trattavano almeno civilmente».

Erin con uno sbuffo girò la pagina del libro e non commentò ulteriormente. Sapeva già tutto, la notizia era vera, ma non la confermò.

Sebbene in quel momento non provasse sentimenti granché positivi nei confronti di Sirius, rimase comunque in silenzio perché in fin dei conti non erano davvero fatti suoi da raccontare.

«Era da tempo che voleva farlo» ragionò Lily.

«Sì, ma un conto è dirlo, un conto è…metterlo in atto. È scappato dalla sua famiglia e ha solo sedici anni. È una cosa grave, no?» disse Mary.

«I Black se potessero ti eliminerebbero dalla faccia della Terra, o in alternativa ti userebbero come elfo domestico. Per quanto sia un cretino, mi sembra ovvio che le loro vedute fossero totalmente inconciliabili con quelle di Sirius».

Lily e Mary si scambiarono uno sguardo dubbioso, non sapendo come interpretare quella che sembrava la considerazione più gentile che la loro amica aveva rivolto al ragazzo negli ultimi mesi.

«T-tu…» cominciò Mary un po’ titubante «Gli hai parlato?»

«No» fu la riposta asciutta e definitiva.

L’argomento Sirius Black venne dimenticato in fretta non appena Mary annunciò di avere finalmente deciso di provare le selezioni per la squadra di Quidditch di Grifondoro per il ruolo di Cacciatrice.

«Mi sembra un’ottima idea» si complimentò Lily «Sono anni che ti dico di tentare. Mi stupisco che tu ci abbia messo così tanto a darmi retta».

«Questa volta è diverso» si giustificò Mary giocherellando con i suoi ricci chiari «Paciock e Vane si sono diplomati l’anno scorso. Erano Cacciatori formidabili, non avrei avuto speranza contro di loro. Adesso i loro posti sono liberi, quindi ho davvero una possibilità. Sempre che James mi accetti».

Lily fece un verso insofferente «Potter non è il proprietario della squadra di Quidditch di Grifondoro. È solo uno dei Cacciatori».

«Uno bravo» specificò Erin beccandosi un’occhiataccia dall’amica.

«Talmente bravo che è diventato Capitano» osservò Mary.

Le altre due la guardarono sorprese.

«Non lo sapevate? Ho sentito alcune ragazze parlarne sul binario, mentre aspettavo di salire sul treno. È l’argomento più popolare, be’…dopo la fuga di Sirius, ovviamente».

«Ovviamente…» riprese Lily «…facevano parte del fanclub di Potter. Non dovresti ascoltare i loro pettegolezzi. Dubito che Silente possa affidare la sorte della squadra a quel tronfio…» prima che potesse concludere, Mary la bloccò con foga «Ho visto i loro allenamenti: James lavora bene insieme agli altri, tira sempre su di morale tutti, ed è un leader nato».

«A quanto pare in questa scuola più sei arrogante, più sei apprezzato» berciò Lily, incrociando le braccia al petto.

Mary continuò a difendere con energia James Potter «Non è così male, alla fine. Sa essere gentile quando vuole, è divertente e farebbe di tutto per i suoi amici, lo sai che è coraggioso».

«E il suo bel visino non guasta» aggiunse Erin, ancora immersa nella lettura del suo libro, e nel contempo attenta alla conversazione.

Lily alzò le sopracciglia «Stiamo parlando della stessa persona?»

Niente a che ridire con l’affermazione di Erin, in realtà: l’aspetto di Potter era decisamente piacevole; tutto resto d’altra parte…

Lily non si considerava una ragazza noiosa o rigida, sapeva apprezzare un bello scherzo e ridere di gusto. Essendo un Prefetto non poteva lasciare molta libertà agli studenti, ma non aveva nulla contro un’innocente burla.

Peccato che in Potter niente fosse innocente e tutto trasudasse spocchia.

La battuta pronta, la bravura nel Quidditch, il suo talento negli incantesimi non lo eleggevano automaticamente padrone del mondo e avrebbe fatto bene a imparare un po’ di umiltà.

Purtroppo Lily sembrava l’unica disposta a non accettare la sua condotta, a non lasciarsi ingannare da quell’espressione strafottente. Be’, anche Severus

Scosse la testa, come per scacciare un pensiero indesiderato.

«Comunque pensavo che noi fossimo immuni al suo fascino» le rimproverò «Soprattutto tu» mormorò in direzione di Erin.

Questa abbassò il libro per la prima volta da quando si era seduta e rispose candidamente «Non ho mai detto che Potter mi affascina, ma non mi dà così fastidio come a te. E se mi permetti, il fastidio che provi nei suoi confronti è un po’ troppo considerando che stiamo parlando di uno che dovrebbe solo darti fastidio e nient’altro».

«Significa?» chiese Lily, corrugando la fronte.

«Che ti scaldi troppo quando parliamo di lui. Ci tieni veramente tanto a far sapere che non ti piace. Dicono che la linea tra l’odio e l’amore sia sottile» considerò Mary con un sorrisino furbo.

«Frenate le vostre fantasie» le stroncò Lily «Mi state paragonando a uno stupido cliché, mi sento offesa» e proseguì «Non odio James Potter, ma è un viziato e un arrogante. È il genere di persona che la fa franca anche se non se lo merita. È questo che non sopporto. Se lui mi lasciasse in pace, io forse potrei dimenticarmi della sua esistenza».

«Leggendo fra le righe, è interessato a te» le fece notare Mary.

«Non credo di avergli mai dato qualche speranza» obiettò Lily.

«Suppongo che sia questo il punto» disse Erin, riprendendo la sua lettura, improvvisamente disinteressata al discorso in atto.

«Quindi sono la sua questione di principio? E questo dovrebbe farmelo piac-» non poté concludere la frase perché si alzò un gran vociare dal corridoio del vagone e qualcosa di grosso picchiò contro la parete accanto al loro scompartimento.

Mary e Lily si guardarono confuse, Erin non si degnò neanche di alzare gli occhi dalle pagine del suo libro.

Ma prima che la cosa potesse preoccupare le altre due, si udì un gran insulto esplodere come un ruggito e Lily riconobbe la voce all’istante.

Si affrettò a uscire dallo scompartimento, la bacchetta sguainata e pronta all’uso. Non che fosse incline a lanciare incantesimi sul treno per Hogwarts con il rischio di guadagnarsi una punizione, ma quella volta avrebbe più che volentieri infranto le regole della scuola.

La scena che le si presentò davanti era pressoché quella che si era aspettata: il suo ex migliore amico Severus Piton inchiodato al muro, e il suo odiato compagno di Casa James Potter con la bacchetta puntata e l’aria strafottente.

Non era cambiato molto durante l’estate, stessi capelli neri arruffati, stessi occhiali, stessa smorfia di compiacimento.

Come sentì la porta dello scompartimento richiudersi, James si voltò, seccato che qualcuno stesse interrompendo uno dei suoi tanti momenti di gloria, e incrociò lo sguardo adirato della sua strega preferita.

«Evans!» esclamò entusiasta, i suoi occhi brillarono di una tale gioia che qualunque ragazza si sarebbe sentita lusingata.

Lei no.

«Che cosa pensi di fare?» abbaiò Lily di rimando, quasi infastidita dall’allegria con cui era stata accolta.

«Io? Cos-?» si era completamente dimenticato della presenza di Piton attaccato al muro, e questo la diceva lunga sulla poca considerazione che aveva di lui. Seguì con lo sguardo la direzione indicata dalla bacchetta di Lily e improvvisamente si ricordò di quel povero sventurato che cercava inutilmente di ricoprirlo d’insulti, bloccati da un incantesimo silenziatore.

«Oh sì, lui» disse storcendo il naso «Non farci caso».

Lily, com’era prevedibile, non lasciò correre «Perché è lì?» domandò minacciosa, gli occhi ridotte a due fessure.

James la fissò vacuo, quasi si fosse reso conto di non avere una risposta adeguata per giustificarlo. O almeno una ce l’aveva, ma sapeva che lei non sarebbe stata contenta.

«Era in mezzo al corridoio» spiegò con un’alzata di spalle.

Lily ebbe un fremito. Affermazioni come quella erano così tipiche di James Potter, della serie “mi dà fastidio che sia nato” oppure “è più il fatto che esiste, non so se mi spiego”.

«Mettilo giù» ordinò con una calma inquietante «Ora».

«Evans…»

«O toglierò cinquanta punti a Grifondoro non appena ne avremo guadagnati abbastanza» odiava punire la propria Casa, ma James Potter le istigava un istinto omicida che doveva essere placato in qualche modo.

Avrebbe rinunciato alla Coppa del Quidditch e alla Coppa delle Case pur di togliere quel sorrisino impudente dalla sua faccia.

«Non fare la guastafeste, Evans! Non siamo nemmeno a scuola» urlò una voce dal fondo del vagone.

Solo allora Lily si accorse della presenza degli altri tre amici di Potter, che arrancavano a fatica portandosi dietro i bauli.

Sirius Black, a capo della fila, ne stava trascinando due e appariva parecchio contrariato «Ehi tu, principessina, invece di giocare con la bacchetta, che ne dici di portarti almeno il tuo gufo?» inveì in direzione dell’amico. L’animale in questione stridette in segno di assenso dalla gabbia in cui era rinchiuso.

«Non chiamarmi così!» s’indignò James, arrossendo fino alla punta dei capelli, mortificato che Lily stesse ascoltando.

«Allora prenditi i tuoi bagagli» sbottò Sirius quando si fu avvicinato, posando con forza la gabbia sul baule – cosa non apprezzata dall’uccello che schioccò minacciosamente il becco verso di lui – «Oh Mocciosus, è sempre un dispiacere incontrarti. Evans, lieto di vedere che non hai ancora compreso il significato di “divertimento”» la salutò bruscamente, per poi oltrepassarli entrambi alla ricerca di uno scompartimento vuoto.

«Potter» lo richiamò Lily che alle parole di Sirius si era indispettita come non mai «Giù!» gli ribadì, mimando il gesto con un dito «E restituiscigli la voce».

James si trovò costretto a cedere e con uno schiocco di bacchetta Piton si ricongiunse brutalmente con il pavimento, la sua ultima imprecazione rimbombò per tutta la carrozza.

«Non lamentarti se la usa per insultarti di nuovo» le disse con un tono improvvisamente scocciato James, per poi afferrare il suo baule e il suo gufo e superarla per seguire Sirius.

Peter Minus le passò davanti troppo imbarazzato per guardarla in faccia e Remus Lupin le sorrise a mo’ di scuse.

Lily li osservò precedere verso il vagone successivo e scosse la testa rassegnata, poi si piegò per raccogliere la bacchetta di Severus, caduta a terra durante lo scontro con Potter.

Gliela porse, mentre lui si scrollava di dosso la polvere e continuava a ingiuriare sottovoce il suo rivale, ormai lontano.

«Grazie» le sussurrò mesto e teso.

«Giusto, adesso puoi ringraziarmi, non c’è nessuno in giro» constatò Lily, più freddamente di quanto avesse voluto.

Perché per quanto James Potter fosse un imbecille, aveva ragione: in una situazione simile, quello che doveva essere il suo migliore amico, l’aveva oltraggiata con il peggiore degli insulti nel mondo dei maghi.

Si voltò per tornare dalle proprie amiche, ma si bloccò con una mano sulla maniglia.

«Lily, mi dispiace».

«Lo so» soffiò lei in un moto di momentanea comprensione. Con un immenso sforzo per non girarsi, aprì la porta dello scompartimento e rientrò, prima che i suoi ricordi dell’amicizia con Severus potessero riaffiorare, convincendola a tornare indietro per sistemare le cose.

 

«Come ti è venuto in mente di chiamarmi così davanti a una ragazza?! Ho una reputazione, io!» si sdegnò James, una volta trovato uno scompartimento libero per loro quattro.

«Reputazione?» replicò Sirius scettico, mentre caricava il suo baule sulla rete sopra i sedili e aiutava l’amico a fare altrettanto «Non me n’ero accorto».

«Lascia perdere, Felpato» disse Remus, già seduto accanto a Peter «Il problema è che non l’hai detto davanti una ragazza qualunque, l’hai detto davanti a Lily».

«Non so che cosa tu stia blaterando» sminuì James che nel frattempo si era praticamente arrampicato su Sirius per sistemare il suo baule.

«Ma davvero?» ribatté questo cercando di levarselo di dosso «Eppure ci era parso di capire che fossi più o meno ossessionato da lei. Ma in effetti non abbiamo nessun motivo concreto per crederlo, solo due anni di inviti rifiutati a Hogsmade…»

«E cinque di scherzi stupidi, battutine provocatorie…» gli diede man forte Remus «…fatture a qualunque essere maschile che le parlasse per più di cinque minuti in un mese».

«Si è perfino ingelosito di Lumacorno» rincarò Sirius.

«Vi ricordate quella volta che ha provato a farsi mettere in punizione con lei?» aggiunse Peter.

«E ci sono finito io» completò tetro Remus che non aveva ancora dimenticato tutti i trofei che aveva dovuto pulire per colpa di James Potter e delle sue grandi idee del cavolo.

«Avete finito?» chiese James indispettito «Io non ho un’ossessione per la Evans» dichiarò altezzosamente «Solo non la capisco. Io piaccio a tutti, perché lei deve fare la diversa?»

«Mi sbaglierò, ma appendere il suo migliore amico per le mutande non credo che sia la via più diretta per il suo cuore» azzardò Remus.

«Questa ovviamente è solo un’ipotesi» commentò sarcasticamente Peter.

«Che cosa ha fatto Mocciosus questa volta?» domandò Sirius «Non dovresti fare certe cose senza di me» si offese.

«Niente di particolare in realtà. Se ne stava lì vicino allo scompartimento da cui è uscita la Evans» solo in quel momento si rese conto che probabilmente non si era trattata di una coincidenza e che quel viscido serpente si era appostato dietro le porte per spiarla. Questo pensiero rese ancora più velenose le parole che pronunciò un attimo dopo per spiegare il suo gesto. Sapeva che non vi era nulla di nobile, ma proprio non riusciva a evitarlo «Era in mezzo al corridoio. M’intralciava».

«Per me è un ottimo motivo» concordò Sirius, ancora in parte seccato per non avere partecipato all’azione dato che era occupato a fare da facchino al suo migliore amico.

«Hai ragione, James» osservò Remus «Davvero non capisco perché Lily ti disprezzi tanto. Sei talmente uno zucchero».

«E ti lamentavi di “principessina”» scherzò Sirius.

«D’ora in poi non ci sarà più nessun “principessina” o “zucchero”» intimò James con sguardo eloquente.

«Solo Ramoso!» esclamò Peter.

«Ben detto, Codaliscia!» si congratulò James e gli tirò una pacca sulla spalla «Noi siamo i Malandrini» continuò «Noi ci sosteniamo l’un l’altro, senza stupidi nomignoli da femminucce».

«Vedi non hai capito niente! Lo scopo di noi Malandrini è tenerti con i piedi per terra, che poi ti sarà solo utile con la Evans. Mi è parso di capire l’ultima volta che non apprezzi i tuoi modi un po’ esibizionisti» lo prese in giro Sirius.

«Esibizionista? Io? E tu dovresti essere il mio migliore amico?»

«Bene, Malandrini» s’intromise Remus frugando nella sua borsa «Tirate fuori i vostri G.U.F.O., dobbiamo scegliere le materie da seguire quest’anno».

«Remus Lupin, lo studioso. Saresti quasi lo studente modello se non fosse per…» lo apostrofò Sirius.

«Il mio piccolo problema peloso?» concluse Remus con un mezzo sorriso.

«Oh no, quello va bene» gli assicurò Sirius «Ma qualcuno non approverebbe il tuo scorrazzare nei boschi con tre dei tuoi amici trasformati in animali. Gente senza senso dell’umorismo, aggiungerei».

«Preferirei pianificare la nostra prossima gita notturna, invece che le lezioni» osservò James, mentre lisciava la sua lettera con i risultati degli esami, tutta spiegazzata «Mi è venuta un’idea geniale per la Mappa».

«Eccolo che ricomincia…»

«Sirius sta’ zitto. Scommetto che a loro piacerà» lo sfidò James e poi si rivolse agli altri due «Dovremmo usarla anche per le persone».

«Per le persone?» ripeté Remus «E come?»

«Gliel’ho detto anche io. Sono sempre pronto a esplorare le nuove frontiere della magia, ma…»

«Noi siamo diventati Animagi l’anno scorso» obiettò James.

«L’abbiamo studiato. Non ci siamo inventati un incantesimo di sana pianta».

«E da quando è un limite per te?» domandò Remus, stupido dalla reticenza di Sirius che di solito era in prima fila in situazioni come quella.

«I babbani lo fanno» disse Peter, sorprendendo tutti.

Gli altri tre lo guardarono in attesa di spiegazioni.

«I babbani possono rilevare oggetti e persone con la tecnologia. L’ho visto in un film».

«Film. È una di quelle cose con le immagini che si muovono, giusto?» chiese James in conferma. Aveva sempre trovato buffo che i babbini considerassero quel “cinema” come la scoperta del secolo, quando i maghi usavano immagini in movimento da che era stata inventata la pittura.

Peter annuì.

«Visto! Te l’avevo detto che si poteva» James fece la linguaccia a Sirius «Se sono capaci i babbini e loro non hanno queste» disse sventolando la sua bacchetta.

L’altro ragazzo distolse lo sguardo e perse totale interesse nella discussione. Remus e James si scambiarono un’occhiata sconcertata, impensieriti dal comportamento improvvisamente distaccato – e prudente – di Sirius.

«Oltre Ogni Previsione in Trasfigurazione» annunciò allegro Peter, riportando l’argomento G.U.F.O. all’attenzione degli amici.

Perfino Sirius si voltò e accolse la notizia con piacere. Peter non era mai stato una cima a scuola, se la cavava, ma rimaneva sempre appena al di sopra della sufficienza. Quel voto in una della materie più difficili era sicuramente un traguardo.

D’altro canto avevano passato anni a cercare di capire come trasformarsi in Animagus e per quanto Peter avesse avuto delle difficoltà, alla fine ci era riuscito come lui e James. Tutti quegli esperimenti, ricerche e studi in Trasfigurazione alle fine avevano dato i loro frutti.

«Anche in Incantesimi» continuò Peter «Eccellente in Cura delle Creature Magiche», era evidente che non vedesse l’ora di sfoggiare il suo votone «Accettabile in Erbologia, Difesa contro le Arti Oscure e Storia della Magia. Bocciato nel resto» aggiunse con un tono più abbattuto.

Sei G.U.F.O. non era un risultato malvagio, soprattutto per Peter.

«Aspetta un momento! Quindi non farai con noi Pozioni, quest’anno?» realizzò James. Per la prima volta dall’inizio della scuola, i Malandrini venivano divisi in una delle materie fondamentali.

Peter scosse la testa sconsolato. Aveva sperato fino all’ultimo di poter accedere alla carriera di Auror, di seguire le orme di James e Sirius, ma doveva guardare in faccia la realtà e accettare di non essere nato con le loro stesse capacità.

Non chiese nemmeno agli altri come fossero andati i loro esami, già sapeva che sicuramente avevano passato tutto, quasi certamente con voti di molto sopra la media.

«Non ti è andata male, Codaliscia. Pozioni è una delle materie più noiose» commentò Sirius, un po’ per consolarlo, ma la sua voce venne sovrastata da quella di Remus Lupin.

«Non ci credo!» scoppiò a ridere proprio mentre leggeva i risultati di Sirius, dopo averglieli fregati dalle mani «Ti sei fatto bocciare in Astronomia. Hai il nome di una stella!»

«Ah sì? Guarda qua sapientone» lo ribeccò Sirius «Come puoi aver preso solo Accettabile in Cura delle Creature Magiche? Fai parte della categoria».

«Com’era prevedibile sono io il migliore del gruppo: promosso in tutto, da Oltre Ogni Previsione in su» si gongolò James, esibendo la pergamena con i suoi risultati «E mi hanno anche nominato Capitano della squadra di Grifondoro» e si gonfiò il petto.

«Merlino, non farai che ripeterlo per tutto l’anno» si lamentò Remus.

James arricciò le labbra e alzò il mento, sdegnato «Tu e Evans avete istituito una coalizione contro di me? È una cosa da Prefetti?»

«O no» sorrise furbo Remus, da vero Malandrino «Mi sto solo divertendo a prenderti in giro».

«Questa è la brutta influenza che abbiamo su di lui, Ramoso» osservò Sirius «Un giorno si farà persino mettere in punizione senza di noi».

«Silente e la McGrannitt pensano che ci tenga d’occhio, quando è il peggiore di tutta la scuola» stette al gioco James «Quell’Accettabile in Cura delle Creature Magiche è solo la punta dell’iceberg. Se solo sapessero…»

«Che pessimo elemento che sei, Remus John Lupin».

Remus cercò di sorridere, ma la verità era che Sirius aveva involontariamente toccato un tasto dolente: lui era davvero un pessimo elemento. Molto più di quanto la gente pensasse, esattamente come sosteneva Piton.

Far parte dei Malandrini non era il problema principale, e anche la sua licantropia pareva cosa da niente in confronto. Tutti elementi trascurabili, paragonati all’abuso che aveva fatto della fiducia di Silente, alle sue scorrazzate notturne in giro per la foresta e per Hogsmade durante la luna piena, e al ruolo d’istigatore che aveva giocato nella trasformazione dei suoi amici in Animagi. Se non fosse stato per lui, non avrebbero mai rischiato un incantesimo tanto potente quanto pericoloso.

O forse sì, considerando i soggetti.

«Spero ci sia l’arrosto» se ne uscì Peter, distraendolo dai suoi crucci «Mia madre non lo fa mai bene come quello di Hogwarts».

L’arrosto non c’era. Gli elfi avevano cucinato l’inimmaginabile, tranne l’arrosto. Peter non se ne rattristò molto dopotutto e trovò nel pasticcio di carne un ottimo sostituto. Essere tornato nel luogo che più amava lo rendeva sicuramente più felice di qualunque pietanza.

Sentimento condiviso da tutti gli studenti, che aleggiava nell’aria mescolandosi con il profumo del cibo, il chiacchiericcio della Sala Grande e i sorrisi dei suoi occupanti.

Perché Hogwarts era sì una scuola, ma non solo quello. I compiti, i libri, le regole e gli esami venivano facilmente oscurati dal fuoco scoppiettate della Sala Comune, dai letti caldi e accoglienti dei Dormitori, dal Quidditch, dai ricchi banchetti, dai dodici alberi di Natale, dai gufi che ogni mattina inondavano le tavolate di lettere, dalle partite a Gobbiglie e dal sole scaldava le rive del Lago Nero in primavera.

Perché Hogwarts era anche una casa in cui tutti sentivano il bisogno di tornare.

E i ragazzi non consideravano il primo settembre un giorno triste, un semplice giorno di inizio scuola. Per loro era tempo di tornare a casa.

I piccoletti del primo anno ancora non sapevano che cosa li aspettasse, non erano abituati a quella grandiosità, alle candele sospese, alla brocche di succo di zucca che continuavano a riempirsi e alternavano una forchettata di quel ben di Dio a un’occhiata per la Sala Grande e il suo magnifico soffitto.

Avevano anche cominciato a fare conoscenza tra loro, nonostante la bocca piena di ogni cosa su cui riuscivano a mettere le mani per paura che finisse prima di averla assaggiata.

Tutti impegnati ad abbuffarsi e chiacchierare, eccetto un ragazzino biondo, dalla guance tonde, seduto di fronte a Erin, con il piatto vuoto davanti a sé, che la fissava incantato.

La ragazza se ne accorse quasi subito e cercò d’ignorarlo, ma non fu facile. Sentiva quei grossi occhi azzurri puntati su di sé, come l’obiettivo di una macchina fotografica. Non era uno sguardo discreto, era una spudorata radiografia, inquietante e fastidiosa insieme.

Infine Erin poggiò delicatamente le posate ai lati del suo piatto e si piegò verso Mary, alla sua sinistra, sussurrandole «Perché il barilotto qui di fronte mi sta fissando?»

La sua amica distolse l’attenzione dalle patate al forno e alzò gli occhi verso il nuovo studente di Grifondoro.

Questi, già arrossito alla parola “barilotto” che non gli era sfuggita, divenne se possibile ancora più rosso e cominciò freneticamente a mettere pietanze nel suo piatto, cercando di camuffare l’imbarazzo.

«Forse vuole presentarsi» suppose Mary «Ehi tu!» lo chiamò con entusiasmo «Congratulazioni per essere entrato in Grifondoro, sei senza dubbio nella Casa migliore, sai? Io sono Mary McDonald e lei è Erin Fawley» disse allungando la mano fino all’altro lato del tavolo.

«B-Bernie Duvall» balbettò lui, stringendole con titubanza la mano, senza però guardarla in faccia. Si concentrò subito su Erin, come se non vedesse l’ora di poter ripetere il gesto anche con lei.

La ragazza corrugò la fronte e lo squadrò con sufficienza per poi voltarsi verso Mary «Non volevo fare amicizia» commentò bieca.

«Quando mai» fu la replica sarcastica dell’altra, mentre tornava serenamente a gustarsi la sua cena e a fare domande a Bernie, quasi a voler rimediare ai modi sgarbati e presuntuosi della sua amica.

Erin arricciò le labbra seccata e lasciò vagare lo sguardo lungo tutta la tavolata dei Grifondoro, soffermandosi su un quartetto in particolare.

I Malandrini non erano le sue persone preferite a Hogwarts, sempre troppo esibizionisti, sempre troppo piantagrane, ma non li mal sopportava nemmeno come Lily, in qualche occasione li aveva trovati pure simpatici.

A onor del vero, due non erano poi così molesti: Lupin aveva un’indole piuttosto calma e di norma mostrava di aver un certo buon senso, sebbene non spesso lo applicasse. Minus per quanto la riguardava non era pervenuto. Erin non capiva proprio la sua utilità nel mondo.

Potter e Black erano i veri casinari, fin troppo consapevoli del loro potere sulla massa di pecore che pascolava tra quei corridoi.

Doveva ammettere, però, che non le urtavano i nervi più di tanto. Certo, avrebbe preferito poter studiare in Sala Comune con più tranquillità o godersi i pomeriggi sulle rive del lago senza vedere gente appesa a testa in giù con i pantaloni calati.

Chiunque con un po’ di senno lo avrebbe preferito, era scontato.

Fatta eccezion per quei dettagli, riusciva a convivere benissimo con i loro scherzi, il loro chiasso e anche con il loro ego smisurato.

Guardare Potter divertirsi con i suoi amici e pavoneggiarsi con Lily la metteva sempre di buon umore, e Black…

Con Black avrebbe fatto i conti più tardi, in Sala Comune, da soli, perché era giunto il momento di mettere fine a quella ridicola faccenda.

«Se vuoi posso parargli io» si offrì Mary, cogliendola di sorpresa.

«Con chi?» chiese Erin confusa, mentre velocemente riprendeva a tagliare la sua carne, convinta che nessuno si fosse accorto di niente.

«Con Sirius» rispose Mary, cui evidentemente non era sfuggita l’espressione impensierita che Erin aveva rivolto al ragazzo «Avevo comunque intenzione di chiedergli come andava, sai dopo il fattaccio…» chiarì con un’alzata di spalle che voleva simulare indifferenza, ma non ci riuscì molto bene «Voi non vi parlate. Ti posso dire io se sta bene o no» concluse.

Erin mandò giù un sorso d’acqua e trasse un bel respiro «Nonostante tu e Lily vi ostiniate a non credermi, non me ne può importare di meno di quell’imbecille. Se ha deciso di inimicarsi tutta la comunità magica, sono fatti suoi» dichiarò con forza, mentendo spudoratamente.

Era preoccupata e aveva già deciso che si sarebbe comportata da persona matura. Questo non era necessario farlo sapere agli altri, neanche alle sue due migliori amiche.

«Aveva i suoi buoni motivi, lo hai detto tu stessa» replicò Mary.

«Perché dobbiamo continuare a parlare di Black?» sbuffò Erin «Non ti sono bastati tutti i discorsi che abbiamo fatto su di lui l’anno scorso?»

«L’anno scorso era una questione diversa» si rabbuiò Mary, improvvisamente restia a continuare la conversazione.

«Appunto, non dimenticarlo» le raccomandò Erin, forse troppo duramente «Di lacrime ne hai già versate abbastanza».

Mary tacque e si concentrò sul suo cibo.

Erin si sentì una vera strega per il tono con cui l’aveva rimproverata e si ripromise di smettere di attaccarla per quella storia, come se avesse avuto il diritto di decidere quanto uno poteva o no soffrire.

Probabilmente era l’affetto che provava per Mary che la spingeva a essere così acida, convinta che in qualche modo le avrebbe aperto gli occhi. E probabilmente Mary non l’aveva ancora mandata a quel paese perché aveva capito che cercava solamente di darle una scossa e un conforto.

Certo, in un modo contorto e sfuggente che solo Erinyes Fawley, la campionessa del menefreghismo, poteva concepire.

La cena proseguì senza altre discussioni indesiderate. Lily s’intromise in fretta nel discorso e finirono a chiacchierare di tutt’altro, dimentiche della tensione.

Al termine del banchetto, Lily radunò i ragazzi del primo anno – compreso Bernie il barilotto Duvall che non sembrava affatto contento di lasciare il suo posto di fronte a Erin – e insieme a Remus li scortò verso la Sala Comune, cominciando a esporre le regole essenziali della scuola.

«Ehi voi due! Lasciateli in pace almeno la prima sera» li riprese James Potter, alzandosi dalla panca per seguirli «Tanto è fiato sprecato. C’è ancora qualcuno che segue il regolamento?» domandò allegro, facendo largo tra la fila dei Grifondoro fino a raggiungere Lily.

«Sì, Potter» rispose lei gelida.

«Parola mia, non conosco un solo studente che non abbia mai infranto una regola» insistette lui imperterrito.

«Se a te e ai tuoi amici piace passare l’anno in punizione, non significa…» la ragazza provò a riprendere il controllo, ma James la interruppe di nuovo, rivolgendosi questa volta al gruppetto di Grifondoro ancora in fila.

«Onestamente, vi dimenticherete di qualunque cosa Evans vi dirà in due settimane. Se volete sapere qualcosa d’interessante su Hogwarts chiedete a Remus» suggerì indicandolo e beccandosi un’occhiataccia di rimando «O a me» aggiunse con fierezza.

Sarebbe andato volentieri avanti a elogiare se stesso, se Lily non lo avesse preso sgarbatamente per un braccio e non lo avesse spinto più in là, lontano da orecchie indiscrete.

«Che cosa credi di fare, Potter?» lo aggredì livida in volto «Sei qui da neanche due ore e già cerchi di traviare quei poveri ragazzini? Sminuire la mia autorità?» lo accusò sdegnata.

«O Evans, non potrei sminuire la tua autorità nemmeno se lo volessi» disse James in un misto di orgoglio e rispetto verso la sua compagna di Casa. Lily interpretò quel commento come l’ennesima presa in giro, non colse affatto la stima che vi era sottesa. E in effetti, James Potter aveva un modo tutto suo di mostrare ammirazione.

Lo sguardo di Lily si fece se possibile ancor più tagliente e la sua figura sembrò erigersi sopra quella di James «Non m’importa se ti ritieni superiore al resto del mondo. Sei solo uno studente, sei come tutti gli altri e non ti devi permettere di interferire nei miei affari. Stai alla larga da quelli del primo anno. E anche da me!» gli intimò con voce sempre più alta, prima di tornare indietro e guidare la fila di Grifondoro su per le scale. Qualcuno si girò a guardare con curiosità James, ma nessuno osò disubbidire a Lily e presto svanirono sulla seconda rampa.

«Perché non la lasci in pace?» gli chiese esasperato Remus.

«Perché è divertente» rispose James con il suo solito sorrisetto compiaciuto.

Remus sbuffò con disappunto e si affrettò a raggiungere il gruppo e accompagnarlo verso la torre.

A quel punto James si fece improvvisamente serio e le parole di Lily gli tornarono alla mente come era accaduto l’anno precedente quando lei aveva pubblicamente espresso il disgusto che provava nei suoi confronti.

Ancora una volta, scoprì che la sua opinione lo infastidiva più di quanto avrebbe desiderato. E forse non era solo una questione di principio.

Perché non ci riesco.

 

Erin lanciò per l’ennesima volta un’occhiata nervosa al quartetto, poi in giro per tutta la Sala Comune. Ma perché erano ancora tutti in piedi? Improvvisamente nessuno aveva sonno? Normalmente la Sala si svuotava a mezzanotte al massimo, e se proprio rimaneva qualcuno, erano un paio di studenti mezzi addormentati che provavano a finire i loro compiti, ma quella sera tutta Grifondoro aveva deciso che dormire era evidentemente troppo sopravvalutato.

Perfino i pivellini del primo anno erano seduti vicino al fuoco, per niente spaventanti dalle lezioni del giorno dopo, come avrebbe dovuto essere.

Tutti in vena di conoscersi, di parlare, di aggiornarsi dopo aver passato l’estate separati. Perché non continuavano nei loro Dormitori?

Lei aveva faccende da sbrigare – per Merlino! – e non poteva farlo con tutta quella gente attorno, con gli occhi puntati addosso.

Sapeva perfettamente che qualcuno si sarebbe voltato incuriosito, che avrebbe teso l’orecchio per ascoltare. Nessuno in quella scuola si faceva mai gli affari propri.

Soprattutto si rifiutava di andare a parlargli mentre gli altri tre erano presenti.

Un conto era comportarsi da persona matura, un conto era prendere il proprio orgoglio e sotterrarlo.

Certo, la notizia che era stata lei a fare la prima mossa si sarebbe diffusa comunque, ma preferiva non avere testimoni attorno.

Che poi non capiva nemmeno perché ci tenesse così tanto, con quello che le aveva detto l’anno prima! Non che lei fosse stata proprio carina…

Entrambi avevano esagerato, i toni si erano alzati troppo. Era colpa di tutti e due, ma qualcuno doveva esporsi per primo. E quella volta toccava a lei.

Lily e Mary si alzarono per ritirarsi nel loro Dormitorio. Erin s’inventò una scusa e rimase raggomitolata sul divano, a fingere di leggere.

All’una la Sala Comune si era quasi svuotata: quelli del primo anno incredibilmente erano ancora seduti accanto al fuoco, un paio di ragazzi del quarto stavano finendo una partita a scacchi e quei quattro disgraziati erano seduti attorno a un tavolino, piegati su quella che sembrava una grossa pergamena.

Erin cominciava a sentirsi davvero stanca e davvero stupida.

Non doveva per forza farlo quella sera, poteva rimandare anche al giorno dopo, o alla settimana dopo. Ottobre anche non sembrava una cattiva alternativa, oppure Natale, a Natale erano tutti più buoni, più comprensivi.

Abbandonò tristemente la testa sul bracciolo. Se avesse temporeggiato ancora un po’, avrebbe trovato mille scuse per aspettare fino ai M.A.G.O.

Nel suo rimuginare, quasi non si accorse che i quattro stavano raccogliendo le loro cose. Ci fece caso solo quando le passarono davanti, diretti verso le scale dei Dormitori maschili.

Erin buttò il libro da parte e si alzò di scatto. Si mosse in fretta e lo fermò proprio mentre lui metteva il piede sul primo gradino.

«Sirius!» pronunciò il suo nome con talmente tanta foga che gli ultimi sopravvissuti in Sala Comune cessarono ogni attività e si voltarono curiosi.

Era proprio ciò che Erin temeva, ma adesso che aveva catturato l’attenzione di chi le importava, gli sguardi degli altri passarono in secondo piano.

Sirius la fissava in silenzio e in attesa, già spazientito ancora prima che lei cominciasse a parlare. Non gli piaceva aspettare e non gli piaceva perdere tempo. Se non era interessato a qualcosa o a qualcuno, non si preoccupava per niente di nasconderlo.

Non era la prima volta che Erin vedeva quella smorfia di sufficienza, di tanto in tanto la assumeva lei stessa, ma non era abituata a esserne la destinataria.

Non poteva dire di conoscere Sirius Black meglio dei Malandrini, di sicuro lo conosceva da più tempo di tutti però.

Casa sua si trovava a poche strade da Grimmauld Place numero dodici, le loro erano le uniche famiglie magiche del quartiere e naturalmente avevano stretto buoni rapporti, specialmente nei primi anni quando Walburga Black non era ancora diventata una completa pazza isterica e riusciva a portare avanti un discorso senza inneggiare alla purezza della razza ogni cinque minuti e senza scoppiare a urlare peggio di una banshee indemoniata.

A Regulus e a Sirius non era permesso giocare con gli altri bambini babbani della zona, quindi capitava che Erin fosse invitata a casa loro, sebbene non le piacesse molto: l’atmosfera era tetra e soffocante, c’erano assurde teste di elfi domestici appese alle pareti e uno ancora in vita che metteva i brividi.

Sirius provava lo stesso sentimento spiacevole nei confronti della sua stessa casa e a nove anni aveva scoperto come uscire di nascosto e correre al parco giochi. Erin aveva tenuto il segreto, non tanto per aiutare Sirius, quanto per evitare quelle terribili visite alla villetta.

Ricordava ancora quando Orion lo aveva scoperto a dondolarsi sull’altalena accanto a un bambino babbano. Erin non aveva visto Sirius per tutto il mese successivo, e aveva perfino sospettato che la sua testa fosse finita accanto a quella dei vecchi elfi domestici.

Non erano mai stati particolarmente affiatati, la loro era una di quelle amicizie trainata dalla circostanze. Per una serie di coincidenze – le case vicine, qualche cena con i genitori, il loro status di maghi – si erano ritrovati uno accanto all’altra e si erano accettati, ma non scelti.

In fin dei conti, arrivare Hogwarts insieme a qualcun altro, qualcuno che già conosceva, l’aveva confortata molto, si era sentita meno sola, meno lontana dalla sua famiglia.

Ma fin dal primo viaggio in treno era stato chiaro a entrambi che le loro strade si sarebbero parzialmente divise, perché finalmente avevano la possibilità di scegliersi i propri amici senza interferenze esterne.

Sirius aveva trovato i Malandrini, Erin le sue compagne di stanza.

Il bambino dall’aria ribelle, la peste della porta accanto era cresciuto ed era diventato uno dei ragazzi più popolari di Hogwarts, per motivi ancora ignoti alla stessa Erin che proprio non capiva come si potesse ammirare tanto un tale scavezzacollo, incosciente e abbastanza sfacciato.

Non approvava la gran parte dei suoi comportamenti, ma non si curava di renderglielo noto. Non era il tipo da immischiarsi, da esporsi. Una caratteristica ereditata dalla sua famiglia.

Ma nessuno dei due aveva dimenticato gli anni trascorsi assieme: si ritrovavano a parlare davanti al fuoco e non staccavano per ore. Non era raro vederli punzecchiarsi come fratello e sorella. Potevano stare anche settimane senza rivolgersi la parola, semplicemente perché non ne sentivano il bisogno.

In caso, sarebbe bastato attraversare la Sala Comune e bussare alla porta del Dormitorio. Dopotutto, non era cambiato molto rispetto ai tempi in cui dovevano attraversare la piazzetta che li divideva e bussare a casa dell’altro.

L’idillio si era infranto qualche mese prima, alla fine del quinto anno, quando Sirius aveva avuto la brillante idea di rivelare a Severus Piton come entrare nel tunnel sotto al Platano Picchiatore, rischiando non solo la vita del ragazzo, ma anche la sua propria espulsione.

Erin, tra tutte le volte in cui avrebbe potuto prendere una posizione, aveva scelto quella. Era esplosa, gli aveva vomitato addosso tutto ciò che riteneva sbagliato nei suoi comportamenti, tutto quello che non aveva tollerato gli anni passati, ma che aveva taciuto per quieto vivere.

Sirius non aveva gradito.

Non era stata una discussione piacevole.

Nessuno dei due si era degnato di scusarsi nelle settimane successive. Non si erano più parlati, non si erano neanche più guardati in faccia.

Finché un giorno di metà estate, Walburga Black era piombata a casa loro starnazzando che suo figlio aveva svuotato l’armadio ed era scappato di notte come un ladro.

Non era ben chiaro se la strega si fosse recata da loro solo per lamentarsi o per controllare che Sirius non fosse nascosto lì, ma alla fine di tutta la sua invettiva se n’era andata urlando che i Black avrebbero avuto un solo e unico erede da quel giorno in poi: Regulus.

Sirius non aveva neppure avuto la decenza di informarla della sua fuga. Sarebbe bastato anche un biglietto, due righe, un segno di vita, giusto per non farle passare i due giorni successivi a chiedersi dove diamine fosse finito. Con un mago oscuro a caccia di babbani e traditori del proprio sangue, non era propriamente sicuro per un ragazzo di sedici anni andarsene a spasso di notte, senza avvisare nessuno.

Erin aveva scoperto che se si era rifugiato da James Potter, com’era prevedibile. E a lei non era restato altro che venire a sapere tutto per vie traverse. Neanche fosse una totale sconosciuta.

Aveva compreso soltanto in quell’istante quanto il loro litigio fosse grave: Sirius aveva finalmente messo in atto il suo piano, aveva mandato all’inferno l’antichissima e nobilissima casata dei Black, aveva reciso ogni legame con la sua famiglia. E non le aveva detto nulla.

Era una sensazione nuova per Erin, mai provata prima. Non credeva di aver mai litigato seriamente con nessuno, proprio per la sua abitudine a tenersi fuori da ogni conflitto.

Se Sirius non aveva pensato nemmeno di avvisarla, significava che doveva essere molto arrabbiato.

Forse in circostanze diverse avrebbe aspettato un segnale da parte del ragazzo, ma data la situazione particolarmente grave, poteva anche fare uno sforzo e provare a sistemare le cose.

«Possibilmente entro la fine del semestre Fawley, sappiamo che quando vuoi sai essere molto comunicativa» la pressò Sirius, ancora fermo sul gradino a fissarla seccato.

In una frase sola l’aveva chiamata per cognome e le aveva tirato una frecciatina. Non cominciava per niente bene.

Erin aveva sperato che dopo tutti quei mesi si fosse calmato, ma evidentemente si era dimenticata con chi aveva a che fare. Perché Sirius Black era una dannatissima e cocciutissima testa calda.

Momentaneamente intimorita, Erin riuscì solo a dire in un tono un po’ sommesso «Ho saputo quello che è successo quest’estate».

Sirius s’irrigidì e le schioccò un’occhiata di avvertimento «Wow, le notizie girano davvero veloci in questa scuola».

«Tua madre è venuta a casa nostra. Lo so per questo» si affrettò a precisare Erin, quasi a volersi giustificare.

Sirius arricciò le labbra «Mi spiace che abbiate dovuto subire le lamentele di quell’adorabile don-».

«Ha detto che sei scappato di notte» lo interruppe Erin.

Walburga non si era risparmiata nessun dettaglio, pensò amaramente il ragazzo. Sì, era scappato di notte. Non aveva usato la metropolvere per paura di svegliare i suoi e non poteva ancora smaterializzarsi. Così si era recato da James alla babbana, usando i mezzi pubblici.

Alzò le spalle per liquidare la faccenda «Un viaggio un po’ lungo fino a Godric’s Hollow…»

Erin lo incalzò di nuovo «Potevi venire da noi, almeno per quella sera. Casa mia è a pochi metri dalla tua» gli fece notare un po’ delusa.

«Non volevo che la mia incoscienza pesasse su di voi».

Frecciatina numero due.

«Dovevi dirmelo» replicò Erin, amareggiata questa volta.

«Dovevo?» lui alzò scettico le sopracciglia «Non ci rivolgiamo la parola da mesi, non credevo volessi essere informata sulla mia vita».

«Qui c’è in ballo qualcosa di più grave».

«Io sto bene. Va tutto bene» le assicurò con tono annoiato. Era chiaro che non volesse continuare quella conversazione e seppure cercasse di nasconderlo, si sentiva a disagio a parlarne proprio con lei.

«No, non va bene» s’inviperì Erin «Hai sedici anni e sei scappato di casa. Tua madre ha bruciato il nome sull’arazzo di famiglia. Non-va-bene» ribadì seriamente per poi osservarlo con disappunto: un velo di sorpresa mista a smarrimento calò sugli occhi del ragazzo.

Fu fugace, ma non sfuggì a Erin che con orrore realizzò di aver appena svelato inconsapevolmente – e indelicatamente – a Sirius che i suoi genitori lo avevano addirittura eliminato dall’albergo genealogico, come se non fosse mai stato un Black, come se non fosse mai stato figlio loro.

«Non lo sapevi» intuì dispiaciuta.

«No, ma sembra qualcosa che mia madre farebbe» considerò Sirius, con un tono molto più vulnerabile e disorientato di quanto avesse mostrato prima.

A Erin si strinse il cuore e provò una gran pena per lui.

«Volevo scriverti» gli rivelò, convinta di riuscire a sollevarlo un po’ di morale, provando a trasmettergli la sua solidarietà e comprensione.

Ma Sirius si era di nuovo messo sulla difensiva e si guardava intorno con fare disattento, comportandosi come se non gliene importasse niente, come se non fosse una cosa così grave e soprattutto come se la sua presenza e insistenza lo infastidissero.

«Hai fatto bene a non sprecare inchiostro. Non c’era granché da dire. Non dovresti farti guidare dai sensi di colpa. Io sto bene».

Erin si accigliò «Smettila di trattarmi come se avessi secondi fini. Qui la mia coscienza non c’entra niente e non sto cercando di ritirare quello che ti ho detto alla fine dell’anno scorso. Ti considero ancora un idiota» sbottò «Ma mi sono sul serio preoccup-».

Prima che potesse concludere, Sirius alzò una mano «Abbiamo stabilito qualche mese fa che non siamo compatibili e che non abbiamo una grande opinione l’uno dell’altra. Rimaniamo così. Continua pure a fregartene del resto del mondo. Ti viene così bene».

Terza frecciatina.

«Ma grazie del tentativo» la gelò.

Erin non ebbe nemmeno il tempo di registrare quelle parole che Sirius era già sparito su per la tromba delle scale e lei si trovò a fissare i gradini di pietra.

Sentì gli occhi pizzicare, le lacrime affollarsi sull’orlo della ciglia. Strinse i pugni lungo i fianchi, serrò le labbra.

Non c’era niente in quella conversazione che non fosse andato storto, ma ciò che la sconvolse maggiormente fu la scostante freddezza con cui l’aveva trattata. E lo sguardo con cui l’aveva inchiodata per tutta la discussione, come se fosse un piccolo scarafaggio.

Erin capiva il turbamento per la situazione famigliare, capiva la rabbia che ancora – evidentemente – nutriva nei suoi confronti per quello stupido litigio dell’anno prima, ma proprio non capiva la necessità di umiliarla in quel modo. Come fosse stata un’estranea che cercava di impicciarsi nei suoi affari.

Solo allora si rese conto di trovarsi in Sala Comune, di aver appena fatto la figura della sciocca e di non essere l’unica presente.

Un piccolo pubblico se ne stava accovacciato vicino al fuoco a fissarla con occhi curiosi e impertinenti: i due del quarto anno erano spariti, ma il gruppo del primo anno si era gustato con piacere la scena, compreso quel Barney, Bernie, Barilotto o come Morgana si chiamava.

Erin riacquistò in un secondo la sua superbia, la sua indifferenza. Lanciò ai poveri marmocchi un’occhiata di fuoco e li minacciò di trasformarli in concime per mandragole se ne avessero fatto parola con qualcuno.

 

«Quello era il mio piede» brontolò Remus sottovoce, tirando una leggera spallata a Sirius.

«Scusa» rispose quello «Non è proprio comodo camminare qui sotto, sai?»

«Felpato un corno» borbottò Remus «Hai il passo di un elefante».

«La smettete voi due? È un mantello invisibile, non insonorizzato» bisbigliò James, piegato e pressato contro gli altri due in modo da non sgusciare oltre il tessuto «Com’è la situazione là, Codaliscia?» chiese.

Il topo fermo all’angolo del corridoio, si alzò sulle zampe posteriori e squittì quello che parve un “via libera”.

I tre nascosti sotto al mantello procedettero, tranquillizzati dal segnale.

Avevano l’abitudine di muoversi in quel modo nel castello, di notte, da quando avevano eseguito con successo la trasformazione in Animagi.

Ormai il mantello non riusciva più a coprirli tutti e quattro. Così Peter si trasformava in topo e li precedeva controllando che il percorso non fosse pattugliato da insegnati o Prefetti.

Era un metodo che avevano collaudato alla fine dell’anno precedente e si era rivelato più che efficiente. Non che non li avessero mai beccati gironzolare per la scuola dopo il coprifuoco, ma con il mantello bisognava sempre essere molto più prudenti.

James temeva che una volta scopertolo, gli insegnanti glielo avrebbero sequestrato proprio per evitare le loro scorribande notturne.

Gli anni precedenti non avevano avuto nessun problema, ma dato che ora disponevano di una precauzione in più, erano ben felici di usarla.

A mappa ultimata, sarebbe stato ancora meglio.

Scivolarono silenziosi per il resto del tragitto, non incontrarono nessuno. Avevano più o meno individuato le zone più controllate e avevano studiato alcuni percorsi alternativi per essere certi di non inciampare in sorprese indesiderate.

Oltre al passaggio segreto per arrivare alla Stamberga Strillante, ne avevano scoperto un altro durante l’anno precedente: si trovava dietro uno specchio al quarto piano e si snodava lungo una serie di cunicoli che conducevano appena fuori le mura della scuola, con un’uscita a metà strada intersecata a un canale di scolo verso il Lago Nero.

I quattro scelsero questa strada e sbucarono sul fianco di una collinetta, oltrepassando una grata, dalla quale si poteva vedere chiaramente la rimessa per le barche su cui sopraggiungevano quelli del primo anno e la capanna di Hagrid, ai piedi della collina opposta, i cui pendii si allungavano e appianavano dolcemente fino alla Foresta Proibita.

Peter si trasformò di nuovo nella sua forma umana e si sedette insieme agli altri sulla cima, attento a non calpestare il mantello che James aveva piegato con cura accanto a sé.

Passarono qualche minuto senza parlare. Il che era strano considerati i soggetti, ma capitava spesso quando si perdevano a contemplare l’immensità di quel paesaggio notturno.

Era una loro tradizione, dal quarto anno ormai, sgattaiolare via dal Dormitorio la prima sera e godersi in santa pace la magia di Hogwarts.

Il castello torneggiava oltre le rive del lago, a sinistra del parco, come una vecchia signora segnata dal peso dei suoi anni e delle sua sapienza, ma che rimaneva comunque ancora maestosa e bellissima.

I Malandrini si sentivano un po’ come i suoi veri guardiani. Gli unici che la capivano davvero, gli unici che la conoscevano davvero.

«Vi avviso che quest’anno sono un po’ a secco» disse James cominciando a frugare dentro una borsa «Non ho fatto in tempo a fare la spesa, ho preso quello che ho trovato in casa. Cioccorane, Zuccotti di Zucca, Gelatine Tutti i Gusti+1, ho tolto quelle cattive, non ci dovrebbero essere brutte sorprese. Giù le mani dai miei Calderotti, Peter, ne ho pochi!» gli ordinò riprendendosi le tre scatole di dolci azzurrognoli e nascondendole nella sua borsa, mentre passava agli altri il resto dei dolci.

Peter si consolò con una Cioccorana «O no!» esclamò sconsolato «Ancora Hengist il Folletto» si lamentò quando si trovò in mano la figurina del mago.

«Dallo a me. Mi manca» lo esortò Remus, con le dita già allungate ad afferrare la figurina.

«State ancora facendo la collezione? Io l’ho già finita due volte!» si stupì James.

«Grazie! I tuoi genitori te ne prendevano dieci pacchi a volta» commentò Remus accovacciato sull’erba nel tentativo di riprendere la Cioccorana che gli era sfuggita di mano.

«Ma da bere?» domandò Peter impaziente.

Fu Sirius a mettersi a frugare nella borsa questa volta. Estrasse alcune bottiglie di burrobirra e succo di zucca e un grosso sacco di quelli che parevano giganteschi bignè alla crema «Sono dovuto scappare dalle cucine prima che mi regalassero tutta la dispensa. Sapete che Tippy ha un debole per me» si vantò sornione, una volta stappata una bottiglia di burrobirra «Tra l’altro la pera è stata un po’ ritrosa. Ho dovuto convincerla a lasciarsi solleticare. Continuava a spostarsi per tutto il cesto».

«Stai perdendo il tuo tocco, Sirius» lo prese in giro James.

«Allora la prossima volta vacci tu, invece di importunare la Evans come al tuo solito. Inutilmente tra l’altro».

«Perché inutilmente?»

«Non ti sopporta, nel caso non l’avessi notato».

«È solo confusa».

«A me è sempre parsa molto chiara, specialmente l’anno scorso dopo il G.U.F.O. di Difesa, quando hai appeso Piton per aria» rincarò la dose Remus.

«Non ricordo bene» finse James con un’alzata di spalle.

«Qualcosa riguardo la tua mania di scompigliarti i capelli e di giocare con il boccino…e anche riguardo la tua arroganza…»

«Taci un po’, Peter» lo zittì Sirius «Abbiamo capito il concetto» lo troncò notando che James aveva cambiato espressione.

«Dovreste vergognarvi» commentò questi, fingendo di essersi offeso «Credere così poco nelle mie capacità. Io sono un Malandrino e voi avete il compito di sostenermi. Vedrete, entro la fine dell’anno Evans cambierà completamente opinione su di me!»

«Se ne sei convinto tu, Ramoso» gli diede il contentino Remus.

«Ah sì? Sentiamo, qual è la tua ambizione quest’anno?» lo punzecchiò James per sviare il discorso.

Remus scrollò le spalle «Quella di tutti gli anni. Cercare di non mangiarmi qualcuno durante la luna piena. Sempre che il tizio qui presente non decida di mettermi i bastoni tra le ruote di nuovo» e indicò Sirius con un cenno del capo.

«Ancora con questa storia! Piton è vivo, no? E poi, detto sinceramente, visto l’unto che si porta appresso, era più probabile che ti attaccasse lui qualche malattia e non viceversa» considerò con un ghigno prima di addentare uno dei bignè alla crema che gli esplose praticamente in mano da tanto era ricolmo.

«Sì be’, la prossima volta che ti infastidisce, limitati a tirargli una Caccabomba» gli suggerì James, alla sua ultima confezione di Calderotti «Tornando a parlare di obiettivi da raggiungere…»

«Eccellente in Trasfigurazione. Voglio raggiungere il massimo» si gonfiò il petto Peter che dopo il suo Ogni Oltre Previsione si era evidentemente esaltato.

Gli altri lo fissarono un po’ incerti. Aveva già raggiunto un ottimo risultato, forse si sarebbe dovuto preoccupare di mantenere quello e non allargare troppo gli orizzonti.

«Un’ambizione molto più credibile di quella di Ramoso, comunque» gli diede man forte Sirius.

«La tua fiducia nelle mie capacità mi commuove» ironizzò James.

«E tu che vorresti fare?» gli domandò Peter quasi contemporaneamente, ansioso.

«Dimenticarmi di essere un Black e assicurarmi di non rivedere mia madre, se non al giorno del suo funerale e solo se mi sentirò magnanimo».

Il gelo calò tra gli altri tre. James non proferì parola, avevano già avuto modo di parlarne quando Sirius si era presentato in casa sua in piena notte. Sebbene fosse stata una conversazione molto breve e in pieno stile Sirius Black: un riassunto dell’accaduto, due frasettine per sminuirlo, un momento di silenzio in cui aveva serrato gli occhi e poi aveva già cominciato a programmare le fantastiche vacanze che avrebbero trascorso assieme. E James aveva rispettato la sua volontà di non affrontare di nuovo il discorso.

Remus e Peter restarono in silenzio. Non avevano toccato l’argomento e non sapevano bene come approcciarvi.

«Il primo che mi chiede come sto si becca una Fattura Orcovolante in mezzo agli occhi» li minacciò il ragazzo.

«Mi sembra giusto» lo assecondò Peter.

«Basta saperlo» disse Remus «Ma la risposta sarebbe positiva?» aggiunse titubante.

«Più positiva dei miei G.U.F.O.» gli assicurò l’altro.

Remus alzò gli occhi al cielo «Sei più presuntuoso di Ramoso quando fai così».

«Ancora con questo “presuntuoso”?» si sdegnò James rubandogli per dispetto la Burrobirra dalle mani.

«Non avevi detto di aver tolto quelle cattive?» si lamentò Peter con una smorfia schifata in volto e una gelatina appena sputata sulla mano «Era al gusto di cipolla! Io odio le cipolle!»

Da dietro la bottiglia, James esibì un sorrisetto diabolico.

Ci cascava ogni volta.

 

Il mio spazio:

Qualche mese fa, prima dell’estate, mi è capitata tra le mani una mia vecchia storia (che è ancora presente sul mio profilo autore, incompiuta) sui Malandrini.

Rileggendola mi sono ricordata quanto mi fossi divertita a scriverla, ma ho anche notato parecchi difetti che, probabilmente a livello inconscio, mi avevano spinto ad abbandonarla, tra cui la personalità un po’ troppo Mary Sue del personaggio originale. Abbiate pietà di me, all’epoca avevo quindici anni, ero giovane e ingenua.

Ho deciso di riprenderla e stravolgerla completamente, nel tentativo di conferirle una veste più matura e più coerente.

In questa sezione ci sono centinaia di storie sulla vecchia generazione. Non pretendo che la mia sia più originale o più coinvolgente di altre.

Ho solo sentito il bisogno di condividere la mia versione – dato che la Rowling pare che si sia messa a scrivere di tutto tranne che di James&Co con mio grande dispiacere – e ho cercato di rimanere il più possibile fedele a tutte le notizie che ci sono state fornite per creare un mondo compatibile con quello che ci è stato detto in Harry Potter.

Molte informazioni sono prese da Pottermore, altre dai siti che mi sono sembrati più attendibili in materia. Nelle note, comunque, spiegherò sempre i motivi delle mie scelte e riporterò le fonti quando possibile.

Per adesso vi ringrazio di essere arrivati fino a qui e spero di avervi incuriosito abbastanza da indurvi a leggere anche il secondo capitolo che è già pronto.

Una menzione speciale va a Christine23 senza la quale non avrei mai trovato il coraggio di pubblicare questo capitolo.

Per ora vi saluto e vi lascio qualche nota per chiarire la visione che ho io dei Malandrini. Vi consiglio di leggerle per capire meglio come funzioneranno le cose in questa storia.

 

1)   People on the edge of the night è un verso di Under Pressure di David Bowie e i Queen.

The Boys Are Back in Town è una canzone dei Thin Lizzy, pubblicata nel 1976. Il titolo di ogni capitolo sarà o un verso o il titolo di una canzone uscita nell’anno in cui si svolge la vicenda. Per questo primo semestre del sesto anno, per esempio, saranno tutte del 1976.

2)   Per quanto riguarda i nomi, ho deciso di mantenere quelli della prima edizione italiana perché è quella con cui sono cresciuta e penso sia il modo migliore per non creare confusione.

Il Whomping Willow rimarrà Platano Picchiatore. Lo so che la traduzione corretta di willow è salice, ma per me l’opzione scelta dalla nuova edizione italiana – Salice Schiaffeggiante – non si può sentire.

3)   Due parole anche sui ruoli del Quidditch: James Potter era un Cacciatore, lo dichiara la Rowling stessa in un’intervista che potete trovare qui http://www.accio-quote.org/articles/2000/1000-scholastic-chat.htm

Ho pensato che anche Frank Paciock potesse aver fatto parte della squadra durante i suoi anni a Hogwarts. La nonna di Neville gli ripete spesso quanto sia diverso dai suoi genitori e Neville non va molto d’accordo con le scope, mi sembra una cosa plausibile. In questa storia Frank si è già diplomato e ha due anni in più dei Malandrini, Alice uno. Vi anticipo che Alice sarà Caposcuola.

4)   Sempre rimanendo in tema di “ruoli istituzionali”, sappiamo che Lily e Remus vengono nominati Prefetti al quinto anno. Hagrid in Harry Potter e la pietra filosofale dice che James e Lily sono stati Capiscuola, sebbene quest’informazione si sia persa nell’edizione italiana per un errore di traduzione (Headgirl e Headboy sono stati resi con “i primi della scuola”). Sarà così anche nella mia storia, per questo ho scelto di assegnare a James il titolo di Capitano della squadra. Non essendo un Prefetto, non saprei come giustificarlo in altro modo e nel sesto libro si dice che un Capitano ha gli stessi privilegi dei Prefetti. Ma questa è totalmente una mia supposizione.

5)   «È più il fatto che esiste, non so se mi spiego» è una diretta citazione da Harry Potter e l’Ordine della Fenice.

6)   I Malandrini riescono a creare e a completare la Mappa del Malandrino proprio grazie alle loro scorribande notturne. Nel terzo libro, Remus racconta che James, Sirius e Peter si trasformano per la prima volta in Animagi durante il quinto anno. Immagino, quindi, che la Mappa venga arricchita e ultimata durante i mesi successivi e anche durante il sesto anno perché è a questo punto che i quattro hanno piena libertà di esplorare il castello e i dintorni. Anche questa è una mia ipotesi.

Fred e George in Il prigioniero di Azkaban accennano al passaggio segreto al quarto piano, dietro lo specchio, ora bloccato da una frana.

7)   Hengist il Folletto è una figurina menzionata in Harry Potter e la pietra filosofale.

8)   Peter Minus. Chiunque abbia provato a scrivere una storia sulla vecchia generazione, sa che questo personaggio crea dei problemi, perché è davvero difficile non dipingerlo come un inutile stupido. Temo che cadrò anche io in questo cliché, purtroppo dettato dall’antipatia che provo. In ogni caso, m’impegnerò per cercare di spiegare che cosa lo ha portato a tradire i suoi amici e come mai non è riuscito a distinguersi come un vero Grifondoro.

Dato che comunque fa parte dei Malandrini e totalmente idiota non deve essere – qualche qualità ce l’avrà pure anche questo disgraziato – ho preferito “premiarlo” almeno dal punto di vista scolastico: ecco il perché di quel bel voto in Trasfigurazione (ricordiamoci che è anche un Animagus), in Incantesimi (che non deve essere troppo complicata come materia). L’Eccellente in Cura delle Creatura Magiche mi è uscito così, non c’è un motivo se non, appunto, quello di non farlo apparire come un completo inetto.

 

 

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Capitolo 2
*** Right from the start ***


Capitolo secondo: Right from the start

 

Sala Grande. Primo giorno di scuola. Colazione.

Lily Evans aveva già mal di testa.

Per una volta non era stato provocato da James Potter e dalla sua banda di scalmanati, era semplicemente il risultato di una notte insonne, passata a osservare le tende del proprio baldacchino mentre nel letto accanto Erin si rigirava a intervalli regolari in un continuo e fastidioso fruscio di lenzuola e coperte, disturbando il suo già fin troppo leggero riposo.

Lily non aveva mai avuto il sonno pesante, nemmeno da bambina. Riusciva ad addormentarsi facilmente, ma si destava per qualsiasi rumore, in particolar modo nell’ultimo periodo segnato dall’inquietudine e dal crescente timore per gli attacchi sempre più frequenti ai danni dei babbani.

Il Ministero ancora manteneva un certo riserbo, centellinava le informazioni e rilasciava comunicati con molta prudenza, paventando una minima, seppur inesistente nei fatti, sicurezza.

Ma era chiaro a tutti chi fossero i responsabili e le motivazioni che si celavano dietro gli atti violenti e incontrollati. Il panico non era ancora esploso e rimaneva una parvenza di normalità, la Gazzetta ripeteva che si trattava di eventi isolati e monitorati, e che il Dipartimento per l’Applicazione delle Leggi Magiche lavorava giorno e notte per assicurare i criminali alla giustizia. Criminali sempre definiti come lupi solitari, movimenti passeggeri e non organizzati, azioni scollegate tra loro. Teste calde in cerca di guai, insomma, nulla che potesse preoccupare l’ordine costituito, un fuocherello che si sarebbe presto spento.

Le voci di corridoio erano ben diverse. Nonostante la gente comune cercasse di non pensarci e di fidarsi del Ministero, tutti attendevano con paura la vera esplosione, perché quella miccia prima o poi si sarebbe consumata, portando via con sé ogni cosa, distruggendo l’assetto del mondo così come era stato fino a quel momento. Non “se” dunque, piuttosto “quando”.

Hogwarts era un luogo sicuro, Lily lo sapeva, non le poteva accadere niente di male finché restava a scuola. Le vecchie abitudini erano comunque dure a morire e l’agitazione che aveva provato ogni notte durante le vacanze estive, l’aveva seguita fin lì. Col tempo sarebbe diminuita.

Certo, avrebbe potuto dormire meglio, se la sua compagna di stanza non avesse deciso di muoversi come se fosse stata punta da una tarantola.

A quanto sembrava non era l’unica crucciata da qualche preoccupazione, anche se dubitava seriamente che Erin Fawley e il suo antichissimo lignaggio purosangue potessero affliggersi per le sue stesse ragioni.

In altre condizioni le avrebbe chiesto quale fosse il motivo, ma quel mal di testa la stava uccidendo e non aveva la forza o la pazienza di sobbarcarsi altre complicazioni.

Conoscendo il soggetto, abbastanza restio a un qualsiasi tipo di coinvolgimento emotivo, era probabile che non avesse digerito bene la cena. Tutto lì, nulla di grave o di eclatante.

Erin non era il genere di persona da lasciarsi turbare. Normalmente era imperturbabile, a tratti quasi annoiata o infastidita dai problemi, in particolare quelli che riguardavano le altre persone. Non le piaceva essere tirata in mezzo, se poteva si teneva lontanissimo da qualunque conflitto.

Per questo Lily credeva che l’amica avesse soltanto avuto qualche difficoltà ad addormentarsi, una nottataccia di quelle che potevano capitare a tutti, forse per colpa del materasso nuovo.

Quale fosse la ragione, anche Erin aveva un aspetto sciupato, con due grossi cerchi scuri sotto agli occhi e l’aria di chi con il pensiero era ancora nel letto, al calduccio tra le coperte. Fissava con espressione vacua il piatto vuoto.

«Il cuscino era scomodo?» chiese Lily, mentre le passava un toast imburrato. Aveva l’impressione che l’amica ne avesse bisogno più di lei.

Erin la guardò senza registrare bene la domanda, prese il pezzo di pane e lo addentò, annuendo distrattamente «Cosa darei per avere una Giratempo in questo momento» disse con uno sbadiglio «Ti prego, dimmi che abbiamo Incantesimi alla prima ora, così me ne torno a letto».

Lily ridacchiò «Vuoi già saltare la prima ora del primo giorno?» e lanciò una fugace occhiata a foglio che la McGranitt le aveva appena consegnato «Ti è andata male, due ore di Erbologia».

Erin imprecò a bassa voce. In Incantesimi era una delle migliori della classe e Vitious non era un professore che di norma faceva storie per un’assenza, ma non si poteva permettere di perdere nessuna lezione di Erbologia, non dopo quel misero Accettabile nei G.U.F.O. e la conseguente sfuriata di sua madre. Era una delle materie fondamentali per intraprendere la carriera di Guaritrice al San Mungo e doveva decisamente impegnarsi ad alzare i suoi voti, se voleva avere qualche possibilità di entrare nel corso di specializzazione.

Erin non capiva perché facesse così fatica: Erbologia non era una materia così complicata come altre in cui riusciva molto meglio. Nella parte teorica di solito se la cavava, nella pratica era un disastro.

Probabilmente non era nata con il pollice verde. Combinava sempre qualche casino e il più delle volte finiva in Infermeria per farsi medicare. Morsicature, abrasioni, punture e ustioni erano all’ordine del giorno quando metteva le mani nei vasi, anche con il modello di guanti di drago più resistente che vendessero in Farmacia a Diagon Alley. Era negata.

Odiava quelle piante, quei germogli, quelle dannatissime radici.

Non le capiva e le odiava.

«Non è meraviglioso?» trillò allegra una voce alle sue spalle «La McGranitt mi ha appena dato l’orario. Erbologia alla prima ora. Temevo qualcosa come Trasfigurazione o Pozioni, e invece ci possiamo rilassare» gioì Mary, mentre prendeva posto accanto a Erin sulla panca e si versava del latte nella tazza pulita di fronte a lei «Odio quando la settimana comincia con una materia difficile. Questa volta ci è andata bene, vero?»

Erin si riempì la bocca di pane tostato per non parlare e tirò un sorriso forzato con le guance gonfie di cibo.

Non le bastava avere a che fare con l’entusiasmo di Mary – l’unica che era riuscita a dormire profondamente, a quanto sembrava – doveva pure sentirsi un’incapace per la sua inettitudine nella materia considerata tra le meno complicate. Con un po’ d’impegno tutti riuscivano a Erbologia e chi andava male, semplicemente non era interessato.

Lei era l’eccezione. Voti pessimi e necessità di ottenere un buon M.A.G.O. per il suo futuro lavorativo. Proprio la combinazione perfetta.

«Poi che cosa avete?» continuò Mary.

«Trasfigurazione, due ore» rispose Lily.

«Uccidetemi» commentò Erin, appoggiando la fronte sul tavolo.

«Io Divinazione» replicò Mary.

«Perché la continui?» si stupì Lily.

L’altra alzò le spalle «È facile. Non si può predire il futuro con esattezza. Mi basta inventare qualcosina. Dopo abbiamo un’ora di Cura delle Creature Magiche, giusto?»

«Proprio prima di pranzo» confermò Lily.

«Giusto in tempo per farci ammazzare da una delle adorate bestie di Kettleburn. Sarò fortunata se arriverò a cena tutta intera» brontolò Erin, alzando di nuovo la testa in cerca del caffè «O guarda, concludiamo la giornata in bellezza: due ore di Pozioni con i Serpeverde. Almeno le due ore prima sono libere. Se non recupero un po’ di sonno, potrei affatturare qualcuno».

«Io no» si lamentò Lily «Ho Babbanologia. L’abbandonerei subito se non fosse una delle materie necessarie per entrare nell’Ufficio di Cooperazione con la Comunità Non-Magica».

«Lily sei sprecata per quella sezione del Ministero» le fece notare Mary «Hai ottimi voti, sei un Prefetto, probabilmente ti nomineranno Caposcuola, tutti i professori sono più che disposti a scriverti una lettera di referenze. Avessi io le tue capacità, farei richiesta per un lavoro più importante e soprattutto meglio retribuito».

La ragazza la guardò stupita «Proprio tu che sei babbana come me fai questo discorso? Sensibilizzare l’opinione pubblica è l’unico modo per aiutare la causa babbana contro chi sostiene la “superiorità della razza”. Maghi e babbani non sono così diversi, siamo persone, esseri umani. Preferisci che la comunità magica si schieri contro questi fanatici o che si rinchiuda in se stessa?»

«Ottima idea, Lily. Predichiamo l’amicizia tra maghi e babbani mentre un mago spietato e pazzo porta avanti la sua campagna per eliminare il gene non-magico dalla faccia della Terra. Continua a esporti e prima o poi ti farai ammazzare» fu l’ironico intervento di Erin, evidentemente inacidita dalla notte insonne.

Lily le fulminò entrambe «Il vostro menefreghismo è vergognoso».

«A me importa!» precisò Mary «Se c’è da schierarsi pubblicamente sono in prima linea, ne va anche del mio interesse. È Erin che se ne lava le mani, tanto lei è ricca e Purosangue» la punzecchiò.

Erin non si preoccupò di negare l’accusa. In fondo, un pochino, era anche vero.

«Ma non devi per forza infilarti in un ufficio pieno di scartoffie, non avrai credibilità altrimenti. Puoi aiutare noi nati babbani anche da altri dipartimenti, tipo quello del Ministro delle Magia» proseguì Mary che aveva trascorso metà dell’estate a raccogliere informazioni sul Ministero per valutare i possibili lavori alla sua portata e decidere quali M.A.G.O. le sarebbero serviti.

Lily aprì la bocca per ribattere, ma venne distratta dal fastidioso chiacchiericcio di un paio di ragazze del quarto anno, sedute lì accanto, che bisbigliavano, ridacchiavano e lanciavano occhiate ai nuovi arrivati in un vano tentativo di attirare l’attenzione.

I nuovi arrivati e ritardatari erano ovviamente i Malandrini, gli unici che avrebbero potuto provocare tali reazioni soltanto entrando in una stanza. Non tutte erano come quelle due del quarto anno, per fortuna. Alcune ragazze sapevano apprezzare in silenzio, altre non si curavano nemmeno di loro, ma quelle poche che li adoravano come se fossero rockstar bastavano e avanzavano per turbare la quiete collettiva, o almeno di Lily Evans.

La rossa osservò quei quattro sedersi in fondo al tavolo, tra di loro, come al solito. Pur essendo uno dei gruppi più ammirati di Hogwarts, se ne stavano molto per conto proprio, lontano dal resto degli studenti. Avevano buoni rapporti più o meno con tutti i Grifondoro, qualche Tassorosso e Corvonero – Serpeverde neanche per sbaglio – si trattava però di conoscenze piuttosto superficiali, compagni di scuola e niente di più.

La loro era un’amicizia esclusiva.

Forse era proprio per quella ragione che tutti provavano a entrare nelle loro grazie: nessuno avrebbe voluto far parte di un club aperto a chiunque.

Potter si voltò nella sua direzione e intercettò il suo sguardo. Il suo volto si aprì in un allegro sorriso e lui si alzò dalla panca.

Lily sbiancò. Si girò in fretta dall’altra parte e sperò con tutto il cuore che quel gran rompiscatole non avesse intenzione di importunarla già di prima mattina.

«Evans!»

Lily sbuffò e continuò a mangiare il suo pane tostato, nella speranza che capisse l’antifona e sparisse.

Ma era James Potter e James Potter non capiva mai niente, almeno non quando si trattava di lei. Il che rasentava l’assurdo, dato che da uno degli studenti più brillanti di Hogwarts ci si sarebbe aspettato un po’ più di perspicacia.

Eppure i suoi costanti rifiuti non sembravano sortire effetto, nonostante lei fosse sicura di aver espresso il suo parere molto chiaramente, più e più volte.

«Evans!» ripeté il disturbatore accomodandosi nel posto lì a fianco.

Lily non rispose né diede segno di aver fatto caso alla sua presenza.

James appoggiò un gomito sul tavolo e si piegò per guardare oltre i capelli della ragazza che le facevano da barriera.

«Va tutto bene? Nessun “evapora, Potter” o “sei insopportabile, Potter”? Comincio per caso a starti simpatico?»

Niente. Non capiva niente. Mai.

«Ora mi sto seriamente preoccupando» insistette lui «Se vai avanti così, ti chiederò ancora di venire a Hogsmade con me e lo prenderò come un “sì”. Dopotutto, chi tace acc-».

«Assolutamente no» dichiarò Lily risoluta «Non sembri arrivarci da solo, quindi te lo spiego io: ti sto ignorando».

«Non ci stai riuscendo molto bene» la stuzzicò James, mentre allungava una mano per prendere un muffin e si sistemava meglio sulla panca.

«Che stai facendo?» berciò Lily.

«Colazione» fu la candida risposta.

«Qui?» chiese lei con una nota a metà tra lo stizzito e l’intimorito.

James scrollò le spalle «È un posto come un altro. È il tavolo dei Grifondoro, io sono un Grifondoro. Penso di essere autorizzato a sedermi ovunque mi aggrada. Poi qui ci sei tu» aggiunse con un sorriso innocente.

Prima che Lily potesse dire la sua in proposito, Erin s’intromise con voce esasperata e supplicante allo stesso tempo «Potter, non ho dormito tutta notte. Tra poco qualche pianta cercherà di strangolarmi o di cavarmi un occhio. Sono stanca, sono irritata e non ho la pazienza di ascoltare i vostri battibecchi né la forza di alzarmi e andarmene. Per favore, per favore: potresti rimandare questo impacciato e infruttuoso corteggiamento a stasera?»

Anche all’anno prossimo. Pensò Lily.

«Bastava chiedere» acconsentì James sportivamente, afferrando tre muffin «Ma per tua informazione io non sono impacciato e in me non c’è niente di infruttuoso» ci tenne a precisare, prima di tornare dai suoi amici.

«Come hai fatto? Perché quando gli chiedo io di andarsene non mi ascolta mai?» si sdegnò Lily, scioccata che fosse bastato così poco per liberarsi di lui.

«Avrà usato la Maledizione Imperius» scherzò Mary, ma la sua curiosa battuta gelò le sue due amiche che smisero di mangiare e attesero una sua reazione.

Non osarono ridere per paura di turbarla, nonostante avesse sollevato lei l’argomento con nonchalance, come se fosse una cosina da niente.

Mary non diede segno di voler aggiungere altro e le altre non la pressarono.

In fondo al tavolo, nel frattempo, Sirius riaccoglieva il suo migliore amico «Tempo record. Ti ha silurato in meno di due minuti» lo prese in giro spostandosi per fargli spazio.

James scivolò accanto a lui «Non Evans, la Fawley» raccontò «Ha un aspetto orribile. Sai che cos’ha? Le hai parlato?»

«No» rispose immediatamente Sirius con quel tono che non ammetteva repliche, segno inconfondibile della fierezza dei Black.

James nemmeno provò a insistere, con Sirius non sarebbe servito: forzarlo a fare qualcosa era il modo migliore per ottenere l’effetto contrario.

«Qualcuno ha gli orari?» chiese invece.

«No, dobbiamo chiederli alla McGranitt quando abbiamo finito. Così le puoi anche chiedere come organizzare i provini per la squadra» rispose Remus.

«Oh giusto!» esclamò James pulendosi le mani dal cioccolato del muffin «Bravo che me l’hai ricordato» e con grande stupore dell’amico salì sul tavolo rivolgendosi agli studenti che stavano ancora facendo colazione «Grifondoro mi serve la vostra attenzione!» li richiamò.

Sirius ridacchiò senza alzare gli occhi sull’amico, a differenza di Peter che fissava James adorante. Remus stava lentamente sprofondando sotto al tavolo incredulo e imbarazzato.

«Sono James Potter, ma questo ovviamente lo sapete già. Sono il capitano della vostra squadra di Quidditch e…ehi, voi laggiù, sto parlando io!» un paio di ragazzini del secondo anno si zittirono all’istante e arrossirono «Devo ancora fissare la data delle selezioni, ma troverete il foglio delle adesioni sulla bacheca in Sala Comune. Siete tutti invitati ad assistere, anche chi non partecipa. Nessuno si dovrebbe perdere la nascita della squadra migliore di Hogwarts,  sarà un bello spettacolo, anche se non potrete vedere in azione il Cacciatore migliore di Hogwarts, ma mi perdonerete: devo valutare le performance gli altri» si auto-elogiò raccogliendo subito il favore di tutta la tavolata. Anche qualcuno delle altre Case lo fissava interessato.

Lily si trattenne dal tiragli in testa la sua tazza. Tutti gli altri erano, come al solito, incantati.

«Io verrò di sicuro a vederti, James!» urlò una ragazza del quinto anno con la mano alzata per rendersi visibile.

«Ottima scelta» si congratulò lui «Ti dedicherò il primo centro della stagione».

Remus a quel punto era arrivato al pavimento e Lily Evans era pronta a rimettere ordine in quel caos.

«Io posso iscrivermi ai provini?» si sollevò una vocina sopra le altre.

James si voltò verso il ragazzino che aveva parlato, ad appena qualche posto da dove si trovava lui. Zizzagando tra piatti, tazze e teiere, lo raggiunse piegandosi leggermente in avanti «Come ti chiami?»

«Edward».

«Be’, Edward le selezioni sono aperte a tutti» gli disse «In che ruolo giochi?»

«Battitore».

«Ramoso, guardalo è uno scricciolo» intervenne Sirius «Sarà del primo anno di sicuro e poi con quelle braccine come può competere con i bolidi?»

James spostò lo sguardo dall’amico a Edward che aveva abbassato il capo colpevole, beccato in flagrante.

S’inginocchiò davanti a lui e sussurrò agitato «Ma sei bravo? Perché se sei bravo, con una Pozione Invecchiante sistemiamo il problema dell’età».

«Potter».

Due persone a Hogwarts pronunciavano il suo nome con quella vena autoritaria e inflessibile, tipica di chi non rimaneva abbindolato da un sorriso affascinante o una battuta sarcastica, ancor meno dal suo atteggiamento sprezzante.

La Evans lo stava incenerendo con gli occhi e brandiva il coltello da burro minacciosamente, ma era ancora lontana, dall’altra parte del tavolo.

Rimaneva quindi una sola opzione.

«Professoressa McGranitt la trovo in gran forma!»

«Scendi da lì, Potter. È un tavolo, non un palcoscenico» gli ordinò con le labbra serrate e la fronte segnata da una serie di rughe «Limitati a un avviso in bacheca la prossima volta» gli suggerì mentre James balzava sul pavimento davanti a lei «Tu e i tuoi amici non avete l’orario».

Non era una domanda, era un rimprovero.

Lo consegnò ai quattro e si piegò verso James rimproverandolo «Ti pregherei di non incitare i tuoi compagni a compiere atti contro le regole della scuola» e poi aggiunse abbassando la voce «Se è davvero bravo, vieni da me», lasciò la Sala Grande con un’ultima occhiata di avvertimento rivolta al ragazzo.

«Erbologia» esultò quest’ultimo «Si comincia dal facile».

«E si finisce ancora meglio. Guarda con chi abbiamo Pozioni all’ultima ora» gli consigliò Sirius con aria compiaciuta.

Entrambi si voltarono verso il tavolo dei Serpeverde con una smorfia perfida.

«Non il primo giorno» intimò Remus, puntando il dito verso i due.

 

Ricordava di odiare Erbologia, ma non così tanto. Così come non ricordava di essere una tale incapace.

Osservò la sua mano fasciata, ancora un po’ gonfia e irritata per colpa di quelle dannatissime spine gialle che si erano conficcate all’altezza del pollice.

Prendere quelle foglie senza i guanti protettivi non era stata proprio l’idea del secolo, ma Erin non credeva che potessero causare danni una volta staccate dalla pianta madre.

Forse avrebbe dovuto intuire dal nome – Agave Lottatrice – che si sarebbe vendicata in qualche modo. Stupida lei a pensare che si riferisse semplicemente alle spine retrattili, pronte a dar man forte alle spine già normalmente in vista per proteggere tutta la pianta.

La lezione non era andata nemmeno così male, almeno all’inizio. Erin se l’era cavata abbastanza bene, considerata la sua scarsa predisposizione al giardinaggio. Sapeva che c’era in gioco la sua possibile carriera nel campo della guarigione magica e non voleva comprometterla fin dal primo giorno.

Aveva ascoltato con attenzione la spiegazione della professoressa Sprite – cosa che le era costata una non indifferente fatica, dato che la trovava noiosa quasi quanto Ruf – aveva seguito le istruzioni passo per passo, meglio di Lily quando si trattava di Pozioni.

In un attimo di distrazione, dopo aver pulito la pianta dalle foglie in eccesso evitando tutte le spine che con tenacia avevano dato battaglia e dopo essersi tolta i guanti, si era accorta di aver dimenticato una foglia.

Convinta che il peggio fosse passato, l’aveva cautamente presa tra le dita: in meno di un secondo, questa si era attorcigliata attorno a suo pollice come un tentacolo e aveva conficcato le sue spine nella carne.

Ciliegina sulla torta: Erin aveva scoperto che la funzione retrattile funzionava anche nella sua pelle e quando aveva provato, istintivamente, a estrarre quegli aghetti gialli, questi non avevano fatto altro che arricciarsi su se stessi e scavare in profondità, causandole un bruciore insopportabile.

Madama Chips aveva dovuto applicare una pomata puzzolente ed eseguire un incantesimo per “sradicarli”. L’aveva avvertita che con molta probabilità avrebbe sofferto per tutto il giorno di vertigini e nausea.

Mai diagnosi fu più azzeccata: Erin non era riuscita a toccare cibo durante il pranzo e la sua testa non aveva smesso di girare nemmeno per un attimo.

Erbologia era considerata all’unanimità una delle materie più facili, raggiungere la sufficienza era davvero facile, così come superarla. Chi si fermava sull’Accettabile o non s’impegnava abbastanza oppure aveva in generale problemi con lo studio.

Erin aveva ottimi voti in tutte le materie che aveva deciso di continuare per quegli ultimi due anni, come poteva andare così male in Erbologia?

Un vero neo nella sua famiglia di geniacci, quasi tutti finiti a Corvonero, fatta eccezione per qualche parente alla lontana smistato in Serpeverde.

A sua madre era preso un colpo quando aveva visto nella lista dei G.U.F.O. passati, tra le tante “E” ed “O”, quella misera “A” in Erbologia.

E se il concetto non fosse stato chiaro, Erin era pronta a ripeterlo: Erbologia!

«Che cosa hai fatto alla mano?»

La ragazza sobbalzò per la sorpresa e si voltò verso quella voce che non stentava a riconoscere. Allora almeno un Black continuava a parlare.

Regulus era più basso di suo fratello e un po’ meno attraente, ma aveva lo stesso portamento, la stessa fierezza negli occhi. Sul piano fisico la loro parentela era inequivocabile. Le somiglianze si fermavano lì.

«Mi ha morso una pianta» rispose Erin con tono sommesso, mentre poggiava tristemente il mento sulle ginocchia tirate al petto.

«Il Cavolo Carnivoro?» domandò il giovane senza essere veramente interessato, mentre si sedeva accanto a lei sul prato.

«No, Agave Lottatrice. E non ridere, voglio vedere come te la cavi l’anno prossimo» lo ribeccò appena scorse un sorrisino derisorio sulle sue labbra.

Lasciò vagare lo sguardo per il parco semideserto, fatta eccezione per loro due e un gruppetto di Serpeverde e Tassorosso che ritornavano verso il castello.

«Non dovresti avere lezione?» gli chiese.

«Abbiamo avuto qualche problema a Cura delle Creature Magiche: un idiota dei Tassorosso ha strappato una piuma di un Ippogrifo».

Rimasero in silenzio ancora un po’. Erin non capiva perché Regulus fosse lì. Capitava che si fermassero a chiacchierare se si incontravano per i corridoi o in Sala Grande, ma lui non l’aveva mai cercata di proposito.

«Quest’estate non ti ho vista in giro. Nemmeno una cena con i nostri genitori».

«Ci è parso di capire che non eravate in vena di festeggiare» spiegò lei.

O forse sì aggiunse mentalmente vista la considerazione che i Black avevano di Sirius. La sua fuga doveva essere stata una liberazione.

«Oh giusto» Regulus arricciò le labbra «La defezione».

Erin inarcò le sopracciglia «Addirittura?»

«Tu come lo chiami? Non farne parola con nessuno, scappare di notte, rinnegare tutto ciò che gli è stato insegnato, gettare la famiglia nella vergogna, spezzare il cuore della propria madre…»

«Tua madre ha un cuore?». Si era posta più volte quella domanda ed era anche arrivata a credere che Walburga compisse qualche sorta di rito usando babbani come vittime sacrificali per mantenersi in vita. O forse era solo per puro dispetto, come sosteneva Sirius.

Regulus la incenerì con un’occhiata e strinse la mascella «Sembra di sentire parlare lui. Tanto lo sapevo che saresti stata dalla sua parte, come al solito».

«Sei geloso?» lo stuzzicò con finto compiacimento.

Le piaceva punzecchiarlo su quella cotta che anni fa aveva avuto per lei, quando ancora erano bambini. Una volta le aveva anche chiesto di sposarlo con un anello di Walburga, poi Sirius li aveva sorpresi e li aveva spaventati a morte raccontando la storia di una maledizione legata a quel gioiello. Con il senno di poi, considerando le inclinazioni della donna, forse non era solo una bugia inventata per prenderli in giro.

«Scommetto che se ne sarà vantato con tutta Grifondoro. Ne sarà felice, no?» non vi era acidità in quel commento, quanto un velo d’interesse, malcelato da indifferenza e nonchalance.

Erin rimase in silenzio e osservò il profilo del ragazzo, improvvisamente a disagio per la posizione in cui si stava mettendo. Le era chiaro perché Regulus si fosse avvicinato: voleva solo qualche informazione su suo fratello.

Si sarebbe tagliato un dito piuttosto che chiederlo a qualcuno dei Malandrini, quindi rimaneva solamente lei. Sirius evidentemente non lo aveva aggiornato sul loro litigio.

Non le capitava spesso di rimanere senza parole, ma in quel caso Erin non sapeva proprio che cosa dire. Regulus le faceva quasi tenerezza, impettito in tutta quella freddezza, troppo orgoglioso e arrabbiato per esternare la sua preoccupazione e il dispiacere. Le sarebbe piaciuto rassicurarlo; d’altra parte non sapeva bene come approcciare l’argomento senza dare l’impressione di compatirlo. Ecco perché preferiva stare lontana dai problemi altrui.

«Sollevato più che felice» azzardò.

«Certo, ci ha eliminati tutti in un colpo. Mi sorprende che sia resistito così tanto tra di noi se ci odiava tanto» dalle sue parole traspariva un percettibile risentimento.

Erin sospirò, intuendo che si stavano addentrando su un percorso accidentato. Si trattenne dal precisare che in realtà era stata Walburga a eliminare il figlio maggiore con un colpo di bacchetta dall’albero senza tante remore.

Era difficile rimanere neutrale quando si era già fatta un’opinione ben precisa di tutta la faccenda «Non rientrava nel vostro schema, c’era da aspettarselo».

«Non pensa alle conseguenze, non ci ha mai pensato. A novembre diventa maggiorenne, gli costava tanto rimandare invece di dare scandalo come sempre? È una macchia che non ci toglieremo mai».

Una qualsiasi altra persona lo avrebbe mandato a quel paese per un discorso così meschino e ottuso. Molti consideravano Sirius Black un esempio per il suo gesto che non meritava altro che rispetto.

Erin no. Erin poteva capire le obiezioni di Regulus e il suo rancore. Il valore della famiglia e del suo buon nome della famiglia era un principio che le i suoi genitori le avevano insegnato per tutta la vita.

Le loro posizioni non erano così radicali come quelle dei Black, ma anche i Fawley appartenevano alla famosa lista delle sacre ventotto famiglie purosangue e le tradizioni occupavano il primo posto nella scala delle priorità.

«Stai davvero mettendo nella stessa frase Sirius e le convenzioni sociali?» la buttò sul ridere per cercare di stemperare la tensione.

«Un Black dovrebbe avere più criterio» affermò Regulus, seriamente.

«Lui non è un Black. Tu lo sei, tu sei il Black perfetto».

«Devo esserlo. Io voglio bene ai miei genitori, è forse un crimine?» scattò, quasi stesse cercando di difendere le sue origini e la sua natura.

Erin scosse la testa, sebbene non comprendesse come qualcuno potesse voler bene a Walburga e per quanto riguardava Orion, a volte si domandava se avesse mai provato un’emozione in vita sua.

L’obiezione di Regulus aveva un senso, ripensandoci. Perché mai Sirius aveva deciso di scappare di casa a pochi mesi dal suo diciassettesimo compleanno? Li aveva sopportati per anni, qualche settimana in più che differenza faceva?

«Hanno litigato pesantemente?» chiese di getto, avida di informazioni. Sirius si rifiutava di dargliele, doveva pur prenderle da qualche parte «Tuo fratello e i tuoi genitori, intendo».

Regulus la guardò strano, quasi deluso, sicuramente stupito che lei non fosse già a conoscenza di ogni dettaglio «Prima della grande fuga? Una discussione come tante. Di sicuro voleva dare spettacolo» ipotizzò con disappunto «Mio fratello non dimenticava mai di ricordarci del suo amore per i Sangue Sporco».

Erin si tese accanto a lui infastidita «Le mie migliori amiche sono Nate Babbane, ti pregherei di moderare i termini».

Regulus ghignò beffardo «Chiamale come ti pare, il significato non cambia. Non sono come noi, Erin. Questo “amore” per i babbani potrà anche andare bene per mio fratello, o per i Potter, quelli sono sempre stati particolari. O i Weasley – qui il disprezzo si percepì chiaramente – ma su di te non è credibile. Qui a scuola è solo una questione di convenienza, sono tue compagne di Casa, sei costretta a frequentarle. Nel mondo reale non le degneresti di uno sguardo».

«Non sono proprio il tipo da accettare le persone solo perché appartengono alla mia stessa Casa» replicò Erin piccata, con lo stesso tono di quando erano ragazzini e lei gli diceva che non potevano giocare insieme perché era troppo piccolo «Onestamente non mi importa delle loro origini. Ho diviso con loro il Dormitorio per cinque anni, ti assicuro che sono esattamente come noi».

Regulus alzò le spalle, scettico e seccato «Questa amicizia sopravvive solamente tra queste quattro mura e tu ti stai illudendo di poter continuare così per quieto vivere. So che non ti piace schierarti, ma temo che sarai costretta.  Stanno preparando una guerra là fuori per difendere i nostri diritti. Dobbiamo pur proteggere ciò che è nostro».

Erin ebbe l’impressione che stesse ripetendo a pappagallo le frasi di altri. Era convintissimo di ciò che affermava, troppo convinto e il suo discorso era fin troppo studiato, al limite del banale per poter persuadere qualcuno. Il problema, quando si trattava di Regulus e di tanti altri nelle sue condizioni, era capire quanto quelle idee fossero effettivamente sue e quanto dei suoi genitori. Se fosse cresciuto in una famiglia diversa, avrebbe sostenuto lo stesso simili argomenti?

«Come? Uccidendo e seviziando innocenti?» domandò ironicamente «Le senti anche tu le voci, Regulus, questa non è tradizione, è fanatismo».

«Dovrai decidere da che parte stare, prima o poi» l’avvisò «Io so già qual è la mia scelta» a differenza di tutto ciò che aveva dichiarato precedentemente, quest’ultima battuta sembrò molto più risoluta.

Qualcosa nella sua voce, nella sua determinazione indusse Erin a voltarsi per incrociare i suoi occhi: lo sguardo di Regulus ero fisso su di lei, la trafiggeva e la sfidava, senza pudore, senza nascondersi.

Le sorse un dubbio atroce «Non starai suggerendo che…»

«Black, datti una mossa! Dobbiamo ancora finire il progetto di Astronomia, non stare lì impalato!» lo richiamò una sua compagna di Serpeverde, ansiosa di cominciare a lavorare a una ricerca di gruppo, evidentemente assegnata alla classe dalla professoressa Sinistra.

Erin stava per fulminare quella povera malcapitata che l’aveva interrotta, ma Regulus si era già alzato in piedi per raggiungere la giovane «Ti saluto, Erin».

«Ehi, aspetta!»

Il ragazzo non aspettò e la lasciò lì a bocca secca.

Certo, prima sgancia la bomba e poi se ne va.

Neanche lei e tutta la sua indifferenza potevano ignorare un’ammissione del genere, che sottintendeva risvolti ben più inquietanti. 

Si alzò con altrettanta fretta, intenzionata a seguirlo, ma venne colta da un giramento di testa più forte degli altri.

Sbuffò sonoramente e rinunciò a rincorrere Regulus. Sarebbe finita per terra dopo pochi passi. Quello non era proprio il giorno per una maratona.

Con molta più calma si diresse verso il castello per l’ora di pozioni. Oltrepassò il portone e si portò avanti tirando già i libri fuori dalla borsa. Sospettava di essere in ritardo, ma la cosa le importava poco: non aveva la forza di affrettare il passo, per Pozioni poi!

A differenza sua, qualcuno aveva molta fretta di arrivare in tempo in aula. Erin si accorse appena della figura che, caracollandosi giù dallo scalone principale, la travolse come un treno.

Lei finì a terra con tutti i suoi libri e schioccò, stesa sul pavimento, un’occhiataccia all’individuo in piedi lì di fronte.

Era l’ultima persona che voleva vedere in quel momento, non era dell’umore.

Una persona sempre allegra, sempre ottimista, con un perenne sorriso a trentadue denti e la tendenza a considerare sempre il lato positivo di tutto.

Quella carica, quell’energia in quel frangente le davano sui nervi più della nausea causata dal morso dell’agave.

«Potter».

«Erin Fawley, che cosa ci fai lì a terra?»

Voleva scherzare?

Il ragazzo s’inginocchiò a raccogliere i suoi libri e glieli porse. Si tirarono in piedi nello stesso istante ed Erin barcollò lievemente.

«Ti senti bene?» le chiese James con premura, afferrandole le spalle per stabilizzarla e impedire che le sue ginocchia cedessero.

Erin strizzò gli occhi e si appoggiò involontariamente a lui «Veleno di Agave Lottatrice. Mai provato? Meglio del Whiskey Incendiario» la buttò sul ridere.

James si offrì di prenderle la borsa e la tenne saldamente per un braccio «No, ma mi hai dato un’idea per il prossimo scherzo ai Serpeverde. Ti scoccia se ti uso come scusa per il mio ritardo? Possiamo dire a Lumacorno che non ti sei sentita bene e io mi sono fermato ad aiutarti» suggerì per coprire le spalle a entrambi.

«Di’ quello che ti pare» acconsentì Erin «Non ti facevo uno che si giustifica con gli insegnanti».

«Si fa quel che si può» commentò James, mentre scendevano verso i sotterranei «Mi hai appena servito una motivazione valida su un piatto d’argento. Chi sono per rifiutarla?»

«Non oso nemmeno pensare a che cosa ti saresti inventato altrimenti».

«Non è così difficile, devi solo stare attento a non presentare la stessa giustificazione per due volte. Avrei potuto dire che sono stato inseguito dal Barone Sanguinario, o che le scale mi hanno portato dall’altra parte della scuola. Qui dentro ne capitano di tutti i colori, hai l’imbarazzo della sc…»

James lasciò la frase in sospeso e guardò meravigliato davanti sé. L’espressione di Erin mimava la sua.

La scena che si presentò loro rientrava negli splendidi e tragicomici imprevisti che Hogwarts amava riservare ai suoi abitanti.

 

Era in ritardo.

Di già.

Non sapeva nemmeno come fosse possibile, dato che aveva lasciato la biblioteca in largo anticipo proprio per arrivare puntuale all’ultima lezione del pomeriggio.

Tutta colpa di quel ragazzino del primo anno con cui aveva parlato durante il banchetto per compensare la maleducazione di Erin.

L’aveva placcata a metà del corridoio d’Incantesimi con domande assurde e inutili, solo per pavoneggiarsi con i suoi amici del primo anno e mostrare di aver fatto amicizia con una studentessa più grande.

Ci fosse stata Erin lo avrebbe zittito con un incantesimo e sarebbe passata oltre, ma il suo buon cuore glielo aveva impedito e lei lo aveva salutato cordialmente, aveva risposto alle sue domande e poi era scappata via velocemente, scusandosi per la fretta.

Procedeva con passo spedito perché era in ritardo, ma non solo.

La verità era che i sotterranei le davano i brividi. Non le erano mai piaciuti, ma dall’incidente dell’anno prima provava un certo timore per quel luogo e le poche volte che aveva dovuto tornarci prima delle vacanze estive, si era sempre fatta accompagnare da qualcuno.

Dopo quasi tre mesi pensava di aver superato il trauma, di poter affrontare una semplice camminata per quei lugubri corridoi da sola.

Si sbagliava.

Si sentiva osservata, spiata, in pericolo, nonostante non ci fosse nessuno in giro. Il che non era per forza un buon segno.

Come se davvero qualcuno stesse aspettando dietro un’armatura per farle di nuovo uno scherzo sinistro. Forse stava diventando paranoica.

Anche se chiamarlo scherzo era riduttivo. Mary preferiva definirlo “tentato omicidio”. Non conosceva altri modi per descrivere quella spiacevole gita sui tetti di Hogwarts sotto Maledizione Imperius. Era rimasta per un tempo interminabile sull’orlo di un cornicione, con le gambe che tremavano e le lacrime lungo le guance, senza sapere quanto avrebbe potuto resistere o se qualcuno sarebbe andato a riprenderla prima o poi.

Alla fine erano ritornati, Mulciber e i suoi amici. L’avevano lasciata lì ancora, mentre loro discutevano la prossima mossa: tormentarla ancora un po’, cancellarle la memoria, oppure darle una spintarella ed eliminare il problema.

Mary era convinta che avrebbero scelto l’ultima opzione.

Alla fine avevano scommesso: se fosse riuscita a saltare sul terrapieno di fronte, le avrebbero semplicemente modificato la memoria e poi liberata.

Prima che potesse muovere un piede – e sfracellarsi al suolo, perché in nessun modo avrebbe potuto raggiungere il lato opposto – qualcuno l’aveva vista dal parco, attirando l’attenzione su tutti loro e Mary, colta da un improvviso istinto di sopravvivenza, era riuscita a sottrarsi per un momento al giogo della maledizione e a chiamare aiuto.

Mulciber, l’esecutore materiale dello scherzo, era al suo ultimo anno e aveva appena concluso i suoi M.A.G.O. In condizioni normali sarebbe stato espulso per aver eseguito una delle Maledizioni senza Perdono su uno studente, ma le testimonianze a suo favore da parte degli amici presenti e l’influenza del padre sia al Ministero sia al consiglio della scuola gli avevano evitato la punizione peggiore.

Silente aveva espresso la sua contrarietà a lasciare la bacchetta a un soggetto evidentemente pericoloso, lo aveva sospeso per quei pochi giorni che mancavano alle vacanze estive, pago almeno della certezza che il ragazzo non sarebbe più tornato a Hogwarts, mettendo a repentaglio la sicurezza dei suoi alunni. Magra consolazione per Mary.

Mulciber era ormai fuori dai giochi. I suoi compagni che lo avevano aiutato ancora frequentavano Hogwarts e chissà se un giorno avrebbe cercato di farle ancora del male.

Mary non si era mai considerata una Grifondoro fatta e finita: leale e coraggiosa nei confronti dei suoi amici, ma non per se stessa. Non aveva mai avuto la forza di Lily o la fierezza di Erin. Non le piaceva attaccar briga come ai Malandrini.

Era una ragazza tranquilla, allegra e a tratti impacciata, un po’ fifona per certi aspetti. Sentiva di aver ancora tanta strada da percorrere prima di crescere, diventare una persona pienamente consapevole delle proprie capacità e dei propri meriti. Aveva imparato a riconoscere i suoi limiti, a non oltrepassarli imprudentemente da sola. Non si vergognava a chiedere aiuto per superarli.

La sua stessa insicurezza era un ostacolo con cui si era abituata a convivere, poteva accettarla senza sentirsi fragile o incompleta.

Eppure la paura di quel giorno sui tetti di Hogwarts aveva rovinato tutto. L’aveva resa davvero piccola e debole e Mary era terrorizzata all’idea di riprovare quella sensazione: indifesa, incapace, spacciata.

Era capitato una volta. Che cosa gli impediva di accadere di nuovo? Dopotutto, lei aveva dimostrato di essere una facile preda.

Andarsene in giro da sola nel territorio del nemico non era stata proprio la pensata migliore. Ormai non poteva più tornare indietro e nemmeno voleva fare la figura della bambina piagnucolona; sarebbe stato come darla vinta a Mulciber e quel branco di idioti.

Non mancava molto all’aula di Pozioni, Lily ed Erin la stavano sicuramente aspettando e anche Lumacorno doveva essere nei paraggi.

Niente da temere, dunque.

Non si vedeva nessuno in giro. Mary sospettò di essere più in ritardo di quanto credeva. Mettersi a correre non sembrava più una scelta da codarda. Anzi aveva un’ottima scusa e sarebbe stato stupido non approfittarne. Al contrario sarebbe stato ancor più irresponsabile rischiare di indispettire Lumacorno per una questione di principio. Avrebbe testato il suo coraggio un’alta volta.

Strinse, perciò, la mano lungo la tracolla della sua borsa per assicurarla meglio sulla spalla e allungò il passo.

Ora stava solamente pensando alla gigantesca lavata di capo che si sarebbe beccata per il suo ritardo, quella sì che era una possibilità concreta.

Svoltò l’angolo e si caracollò giù da una scala. L’aula era alla fine di quel lungo corridoio a forma di “L”, costeggiato da archi incastonati nel muro. Non le mancava molto.

Posò il piede sull’ultimo gradino e sentì una mano artigliarle il gomito.

Tutta la paura che aveva lasciato spazio all’ansia per la lezione, tornò prepotentemente, pompandole il sangue come una scarica elettrica, facendole pulsare le orecchie. Mary si sottrasse a quella presa e cacciò un urlo.

«Perché stai gridando?»

La ragazza, appiattita contro la parete umida, si sporse leggermente per osservare la figura che l’aveva bloccata.

Non si trattava di un Serpeverde.

Peggio.

Era Sirius Black.

Niente gita sui tetti per quel giorno. Semplicemente un alto rischio di infarto.

Forse erano meglio i tetti.

Perché Sirius Black aveva l’abilità di provocarle scompensi emozionali pericolosi almeno quanto una Maledizione senza Perdono.

E quello sguardo di preoccupazione rivolto a lei non aiutava certo a mantenere una certa calma, una certa dignità.

«Ti hanno ancora dato fastidio?» indagò lui, con una nota rabbiosa, cogliendo al volo il motivo di tanta agitazione.

«N-no» rispose Mary ancora stordita «Mi hai solo spaventata».

Si prese qualche secondo per contemplarlo, complice la semioscurità dei sotterranei. Un’estate intera senza vederlo era davvero troppo lunga.

Averlo lì davanti, tutto per sé, lontano dalle attenzioni delle altre, era un’occasione che forse non le sarebbe più capitata.

La lontananza lo aveva reso ancora più bello ai suoi occhi, il che rasentava l’impossibile dato che la bellezza di Sirius era di per sé imbarazzante.

Le faceva lo stesso effetto di un piatto a lungo agognato, assaggiato per la prima volta dopo tanto tempo, il cui sapore era reso ancora più buono dall’attesa.

Le si stringeva il cuore a pensare che fino a qualche mese prima era stato suo.

Una storia con la data di scadenza, breve come un battito di ciglia. Una cotta non tanto segreta diventata realtà durante una sera di primavera e finita nemmeno due mesi dopo in una nuvola di fumo.

Mary ci aveva creduto fino in fondo, benché avesse cercato in tutti i modi di non illudersi. Non perché Sirius fosse un cattivo ragazzo o un donnaiolo, come dicevano in tanti; solamente non era adatto agli impegni troppo seri.

Era stato onesto con lei fin dal principio su ciò che voleva, non l’aveva mai ingannata. Sirius non aveva grandi colpe.

Si era impegnato a comportarsi bene, ce l’aveva messa tutta per farla funzionare, ma alla fine non era riuscito ad andare contro la sua natura.

Quando l’aveva lasciata, le aveva parlato in maniera sincera e delicata tanto che Mary si era trovata d’accordo con tutto ciò che le aveva detto: era inutile continuare una storia che avrebbe solo rovinato la loro amicizia.

Mary non gli aveva serbato rancore, non avrebbe potuto neanche se lo avesse voluto. Gli era troppo affezionata.

«Sei sicura di stare bene?» si accertò ancora, poco convinto.

Quella era la parte peggiore. Sarebbe stato molto più semplice scordarselo, se l’avesse trattata con freddezza. Ma Sirius Black la adorava – come amica, s’intende – e aveva sempre un occhio di riguardo per lei, soprattutto dopo la sua disavventura con Mulciber e i Serpeverde.

Il primo istinto di Mary fu quello di vuotare subito il sacco e pregarlo di accompagnarla fino all’aula per evitare spiacevoli incontri.

Frenò la lingua appena in tempo: non era affatto incline a mostrare la sua più grande debolezza – così poco Grifondoro – proprio davanti a lui.

«Be’, la prossima volta salto io fuori dal nulla e mi attacco al tuo braccio, poi vediamo come reagisci» replicò con sarcasmo, cercando di camuffare il disagio di averlo così vicino.

Sirius la guardò divertito «Probabilmente saresti appesa al soffitto adesso».

«Grazie del suggerimento! Non dimenticarlo la prossima volta che provi a spaventarmi a morte» lo avvisò con finto tono di minaccia «Che cosa ci fai qui, comunque?» gli chiese per rompere il silenzio, dato che lui continuava a fissarla con quel suo sorriso beffardo senza proferire parola.

«Ho dimenticato il libro di Pozioni. Ne avrei fatto a meno, ma Remus mi ha spedito a prenderlo» spiegò annoiato.

Mary ricordò improvvisamente il motivo della corsa nei sotterranei.

«Pozioni! Sono in ritardissimo!» esclamò pronta a volare verso l’aula più veloce della luce.

Sirius la bloccò di nuovo, questa volta per il polso.

«Mancano ancora cinque minuti e Lumacorno ancora non si vede. Non è arrivato neppure James».

La giovane corrugò la fronte: eppure era certa che la lezione fosse cominciata già da un quarto d’ora.

Lanciò un’occhiata all’orologio allacciato al polso che Sirius teneva in mano e constatò che in effetti la lancetta dei minuti aveva già compiuto un quarto del giro, ma quella delle ore era ferma alle due.

«Mi sa che bisogna aggiustarlo» le consigliò Sirius «Comunque è un bene che tu sia qui. La Evans ti dava già per dispersa, stava organizzando una squadra di ricerche».

Mary sbuffò infastidita dall’apprensione che la sua amica mostrava spesso nei suoi confronti, neanche fosse una bambina di cui prendersi cura.

Va bene, fino a cinque minuti prima aveva pregato di incrociare qualcuno di fidato con cui dirigersi in aula, però era una sua decisione, una sua preoccupazione. Sentirsi controllata da qualcun altro le faceva scattare l’istinto opposto, per orgoglio, per principio.

«Le ho detto che te la sai cavare benissimo da sola».

Ecco perché era difficile togliersi Sirius Black dalla testa: sapeva sempre dire la cosa giusta al momento giusto.

Le dita del ragazzo ancora strette attorno al suo polso non l’aiutavano certo a darsi un contegno. Non riusciva a pensare ad altro. Da una parte non vedeva l’ora che la lasciasse per riappropriarsi delle sue facoltà mentali, dall’altra sperava che quel contatto durasse in eterno.

«Devo dedurre che la coppia più improbabile della scuola sia tornata insieme?»

Come l’aveva chiamata prima? Paranoia, suggestione?

A volte le streghe avevano semplicemente un sesto senso. Forse la sua non era stata proprio una premonizione, ma ci aveva azzeccato.

Thorfinn Rowle, Serpeverde del settimo anno e grande amico di Mulciber, se ne stava a nemmeno due metri da loro, i capelli biondi appiccicati in testa e l’espressione di chi aveva appena vinto alla lotteria.

Mary avvertì la presa sul suo polso allentarsi e la mano del ragazzo scivolò tra le pieghe della sua divisa in cerca della bacchetta.

Lei lo imitò per precauzione. Non aveva assolutamente voglia di venire coinvolta in un duello magico, ma quando Sirius Black si trovava faccia a faccia con un Serpeverde in un corridoio deserto la sfida era inevitabile.

Meglio tenersi pronta.

«Suppongo che questo sia il corso naturale delle cose: metà dei tuoi migliori amici sono Mezzosangue, sei scappato di casa rinnegando i valori che la tua famiglia ti ha insegnato. Il passo successivo poteva essere solo tornare dalla tua ex ragazza Sangue Sporco» lo provocò Rowle avanzando di qualche passo.

«È curioso questo tuo improvviso interesse per la mia vita, considerando che non ci siamo mai rivolti più di tre parole di fila. Ti sei per caso innamorato di me?» lo sbeffeggiò Sirius.

Rowle assottigliò le labbra «Dicono che quel posto sia già occupato da Potter. Due egocentrici come voi dovrebbero trovarsi bene insieme».

«Come si potrebbe non essere egocentrici con tutte le attenzioni che ci riservate?» disse Sirius compiaciuto, per niente intimorito dalla stazza dell’altro ragazzo e dalla sua aria minacciosa.

Mary lo fissò apprensiva: era chiaro come il sole che il suo compagno di Casa non aspettasse altro che un motivo per attaccarlo, glielo si leggeva negli occhi.

«Siamo in ritardo Sirius» gli fece notare «È meglio se andiamo».

«Sì, Black, da’ retta alla tua fidanzatina Sangue Sporco. Non vorrai che qualcuno finisca quello che Mulciber ha cominciato?» lo sfidò squadrando Mary con una lunga occhiata disgustata.

«Pronuncia un’altra volta quella parola e ti accompagno direttamente da Madama Chips. Peccato che non ci sia Mulciber a indicarti la strada, l’anno scorso mi sono preoccupato di insegnargliela per bene» lo avvertì con una pericolosa luce negli occhi.

Mary ricordò le parole di Erin, quando un giorno le aveva detto che Sirius era sì un bravo ragazzo, ma a volte faceva paura perché non era assolutamente capace di controllare i suoi scatti ed era spinto sempre a misurarsi con situazioni pericolose per scacciare la noia.

«Che cosa sta succedendo qui?» chiese una voce autoritaria alle spalle di Rowle. Remus Lupin avanzò verso di loro, superò il Serpeverde e affiancò Sirius «C’è qualche problema?» aggiunse, allarmato dalla vista delle bacchette che i due avevano puntato l’uno contro l’altro.

«Insegnavo solo un po’ di educazione al nostro compagno. Niente di cui preoccuparsi» rispose tagliente il suo amico senza distogliere lo sguardo dal suo avversario.

«Mancavi giusto tu per completare il quadretto, Lupin» lo schernì Rowle senza accennare a voler abbassare la bacchetta «Ancora Prefetto, vedo» commentò notando la spilla appuntata sulla divisa «Mi piacerebbe sapere che cosa passa per la testa di Silente. Lo sai che cosa dice Piton di te? Chissà che cosa ha visto quella notte alla Stamberga».

«Alla prossima giuro che…»

«Sirius!» lo rimproverò Remus nel vano tentativo di calmarlo, ma anche lui aveva estratto la bacchetta. Non tanto per attaccare Rowle, quanto perché ormai aveva capito che lo scontro era inevitabile.

«Siete un bel terzetto» non si arrise quello «Il traditore, il mezzo mostro e la Sangue Spo-» non riuscì a terminare l’insulto: un fascio di luce lo colpì in pieno petto e Rowle finì schiantato sul pavimento.

«Lo avevo avvisato» disse Sirius con un’alzata di spalle.

Mary liberò un lungo sospiro di sollievo: con Rowle fuori gioco, le possibilità di finire in mezzo a una zuffa si erano ridotte notevolmente.

L’aveva scampata. Ora non restava che raggiungere la classe e fingere che non fosse successo niente.

Aveva cantato vittoria troppo in fretta. Una piccola porta si aprì in uno degli archi alla parete in pietra e dal passaggio segreto spuntò un gruppo di quattro Serpeverde del loro stesso anno, diretti probabilmente a lezione di Pozioni.

Mary istintivamente si ritrasse nel riconoscere, tra gli altri, Philip Avery e Evan Rosier, entrambi presenti allo scherzo di Mulciber.

Non era sola, Sirius e Remus erano accanto a lei e si trovavano a pochi metri dall’aula di Lumacorno. Per nessuna ragione sarebbe potuto capitarla qualcosa di male come l’anno precedente. Eppure quel pensiero non riusciva a calmarla e tremò visibilmente, scossa da quel ricordo sgradevole che i volti dei due ragazzi le avevano sbattuto violentemente in faccia, come se potesse rivivere quei momenti, vedere le loro risa di scherno e la perversione nei loro occhi.

I quattro non fecero caso a lei e si concentrarono sul corpo privo di sensi del loro compagno, poi furenti spostarono l’attenzione su Remus e Sirius.

«Dovevi proprio farlo, vero? Non potevi aspettare almeno fino a domani?» sussurrò seccato il primo in direzione dell’amico, mentre stringeva la presa sulla sua bacchetta e non perdeva un singolo movimento dei loro rivali.

«Che cos’è il primo giorno di scuola senza un bel duello? Forza, facciamogli il culo rosso e oro» lo incitò Sirius eccitato di sentire finalmente il brivido del combattimento dopo mesi trascorsi a stare lontano dai guai.

Mary non vide chi fu il primo tra Avery, Rosier e Sirius a lanciare la prima fattura. La scorse solo schizzare contro al muro e svanire in una marea di scintille prima che si scatenasse il putiferio.

«Questa la spieghi tu alla McGranitt» udì Remus urlare mentre eseguiva un Incantesimo Scudo per coprire l’azione del suo amico.

Mary assistette sbalordita alla scena: nonostante i Malandrini – James e Sirius in particolare – fosse famosi per ingaggiare duelli magici nei corridoi, lei non aveva mai avuto il piacere di goderseli all’opera.

Sembravano una macchina perfettamente oliata ed erano soltanto in due: Sirius mandava incantesimi con una precisione e abilità impressionante, Remus parava e rispediva al mittente, gli dava la possibilità di agire.

Mary non osò immaginare che cosa potessero fare in quattro, se già così in pochi erano capaci di mettere in posizione di difesa un gruppo di Serpeverde numericamente superiori e per nulla sprovveduti in fatto di arti magiche.

Quello le diede una nuova carica e impugnò la bacchetta. Non poteva permettere alla paura di paralizzarla e quel caso era molto diverso da ciò che le era accaduto qualche mese prima: non doveva affrontarli da sola, Sirius e Remus le stavano accanto e inconsapevolmente le trasmettevano la loro forza.

Era al sicuro, nessuno avrebbe osato toccarla in loro presenza.

Soprattutto Sirius – impossibile dire se fosse una cosa voluta o meno – le si era messo davanti e deviava tutti gli incantesimi che viaggiavano nella sua direzione, come se inconsciamente avesse capito di averla trascinata in una situazione rischiosa e stesse cercando di rimediare i danni.

Mary a quel punto avrebbe voluto entrare nel duello, ma credeva di essere di troppo. Quei due se la stavano cavando fin troppo bene.

Finché un Incantesimo di Disarmo non colse di sorpresa Remus che riuscì a respingerlo appena in tempo senza però controllarlo.

L’Expelliarmus colpì di ribalzo Sirius troppo preso dalla sua sfida personale con Avery per preoccuparsi del “fuoco amico”.

Il ragazzo guardò esterrefatto la sua bacchetta volargli via dalle mani e atterrare in un angolo buio.

«Ottimo tiro, Lunastorta! La prossima volta prova a colpire anche gli altri» lo riprese con sarcasmo, mentre abbassava la testa per evitare un fiotto rosso «Così sai, giusto per non rischiare di mettere fuori gioco i tuoi amici».

«Vuoi sapere un ottimo modo per non rischiare?» gli rispose a tono Remus che nel frattempo era stato costretto ad alternare incantesimi di difesa e attacco a una velocità impressionante «Non cominciare una rissa».

«E dove sta il divertimento, scusami?», il sorriso sfacciato di Sirius svanì all’improvviso, non appena un incantesimo gli sfiorò la guancia graffiandogli lo zigomo.

«Che cosa succede, Black?» lo canzonò Avery con il braccio ancora teso «Non sei più tanto tronfio senza la tua bacchetta».

«O Avery, non mi serve un bastoncino di legno per stenderti» gli assicurò Sirius, impudente come al solito nonostante in quel momento lui e Remus fossero finiti in una posizione di svantaggio.

Il problema non era affrontare Avery senza magia, il problema era arrivare a mettere le mani su Avery; e con tutti quegli incantesimi che zizzagavano per il corridoio sembrava un’impresa impossibile.

«Remus mi serve un aiutino» lo chiamò con urgenza, nell’atto di ripararsi dietro a una colonna sporgente dalla parete di pietra grigio scuro.

«Sono un tantino occupato» lo informò l’altro «Ma appena mi libero, sono subito da te» gli promise.

«Non preoccuparti, ho tutto il tempo del mondo» ironizzò Sirius, appiattito contro il muro, mentre cercava di scivolare verso il Serpeverde.

Mary non poteva credere che quei due non avessero perso il sarcasmo neanche in una circostanza come quella.

Assodato che, dati i recenti sviluppi, il suo intervento si sarebbe rivelato davvero utile, si decise ad agire e puntò la bacchetta verso Travers schiantandolo con facilità. Nessuno aveva fatto caso a lei fino a quel momento, nessuno si era preoccupato di tenerla d’occhio e il suo incantesimo non aveva incontrato ostacoli, arrivando dritto al petto del ragazzo.

Gli sfidanti cessarono per un momento ogni mossa e si fermarono a fissarla sconcertati, come se solo allora si fossero accorti della sua presenza, tranne Sirius che la scrutava soddisfatto e fiero della sua presa di posizione, quasi non avesse aspettato altro fino a quell’istante.

Mary affiancò Remus, la bacchetta ben salda tra le dita «Ti copro io».

Non era molto brava nelle formule di attacco, ma in difesa se la cavava decisamente meglio. Almeno avrebbero dato il tempo a Sirius di togliersi dal fuoco incrociato e in due avevano sicuramente più possibilità di mettere fuori gioco i restanti Serpeverde. Inoltre aveva anche l’occasione di prendersi una piccola rivincita dopo quello che aveva patito per mano loro. Chi era lei per non approfittare di una tale opportunità?

«Che cosa sta facendo quel disgraziato?» chiese Remus che finalmente era riuscito a disarmare il quarto componente del gruppetto di cui Mary non ricordava il nome, e a immobilizzarlo «Vuole farsi ammazzare?»

La giovane seguì lo sguardo di Remus fino a individuare Sirius, uscito dal suo nascondiglio, che gattonava sempre di più verso Avery fortunatamente troppo concentrato a combattere con loro due per accorgersene.

«Dovrei pietrificare lui» continuò a denti stretti. Con un movimento veloce del polso sistemò anche Rosier, legandogli i piedi con una corda invisibile e facendolo ruzzolare a terra.

«Abbassa la bacchetta, Avery!» gli ordinò «Siamo in tre contro uno. È finita».

«Questo qui è disarmato» disse il Serpeverde con tono sprezzante, indicando Sirius «E quella lì non sa nemmeno non sa nemmeno mirare in maniera decente. Per come la vedo io siamo pari» lo provocò per nulla intenzionato ad arrendersi, tenendoli sotto tiro tutti e tre.

«Sono un Prefetto» gli ricordò Remus «Sei già abbastanza nei guai».

«Farai rapporto?» domandò scettico Avery «Il tuo amico è dentro fino al collo, tanto quanto noi. Ma dopotutto a lui non importa non è vero? A Black piace infrangere le regole, è una questione di vanto» osservò con una smorfia di disgusto «Lasciare la famiglia per passare il tempo con una banda di squinternati come voi, rifiuti della società e Sangue Sporco».

«Sciacquati la bocca, grandissimo figl-».

«Gran prova di eleganza, Black. È questo quello che si ottiene ad andarsene in giro con certa gente?»

«Mary, se vuoi maledirlo fingerò di non aver visto niente» acconsentì Remus, indurendo lo sguardo. A quel punto gli importava poco del suo ruolo istituzionale: Avery era un gran bastardo e meritava una lezione. Sirius quella volta aveva pienamente ragione.

«Potrei appenderlo a una di quelle torce e calargli i pantaloni» ipotizzò la ragazza con un ghigno che ricordava fin troppo quello dei Malandrini.

Avery non aveva perso la sua prepotenza. Per quanto gli costasse caro, avrebbe anche potuto cedere davanti a Sirius Black, ma mai nella vita avrebbe permesso a una Nata Babbana, inferiore e indegna, di minacciarlo.

«Le persone cambiano davvero quando sono circondate da amici più potenti, no? Non eri così sfacciata l’anno scorso: non facevi altro che piagnucolare e supplicarci di lasciarti andare».

«Rictusempra

A sette anni un bambino della sua classe delle elementari le aveva appiccicato una gomma da masticare tra i capelli, durante una gita al lago. Mary lo aveva spinto in acqua per vendicarsi. Aveva dovuto sopportare due settimane di punizione, ingiustamente a sua detta, perché in realtà non lo aveva nemmeno sfiorato con un dito. Aveva solamente desiderato buttarlo dentro e un attimo dopo quel piccolo sbruffone annaspava in mezzo metro d’acqua neanche si fosse trovato in pieno mare aperto.

Era stata la prima vera manifestazione della sua magia.

In quel momento provava la stessa identica sensazione: un calore lungo tutto il corpo, i residui della scarica di rabbia, la percezione tangibile del suo potere.

Le parole erano praticamente uscite dalla sua bocca, la bacchetta si era mossa da sola. Un atto quasi inconscio, uno sfogo terribilmente soddisfacente.

Avery era stato sbalzato indietro contro la parete ed era scivolato per terra, scioccato pure lui da quello scatto.

Mary non lo degnò di uno sguardo e non aggiunse altro. Stringendosi nervosamente un labbro tra i denti, raccolse la borsa che le era caduta e marciò verso l’aula di pozioni.

Sirius la scrutò per qualche istante, poi si volse verso il Serpeverde, si inginocchiò di fronte a lui e rigirò un’asticella di legno tra le mani.

Solo allora Remus capì che l’amico aveva cercato di strisciare, durante il duello, per recuperare la sua bacchetta calciata accanto a un grosso vaso in marmo, forse da uno dei loro rivali nella foga del duello.

«O Avery. Sei tanto stupido quanto appari» gli sibilò Sirius punzecchiandogli la punta del naso con la bacchetta.

Il ragazzo sul pavimento sbiancò visibilmente.

Remus gli posò una mano sulla spalla e lo invitò ad alzarsi prima che potesse infilargliela in una narice. La situazione sembrava essersi sbloccata senza grandi incidenti, era arrivato il momento di finirla lì.

«Sveglia i tuoi compagni» gli intimò «E vattene a lezione».

I due Malandrini gli diede le spalle – Sirius aveva l’aria un po’ delusa per il mancato scontro diretto – e imitarono Mary.

Per precauzione, Remus lanciò un’ultima occhiata per controllare che Avery stesse eseguendo i suoi ordini. Si rivelò una mossa intelligente.

Afferrò Sirius e lo spintonò di lato appena prima che una fattura passasse tra le loro figure, colpendo una delle torce che mandò scintille verdi.

Un secondo dopo Avery era stato disarmato e Sirius incombeva su di lui con la medesima sinistra luce negli occhi con cui aveva fulminato Rowle.

«Tutti uguali voi serpenti».

Gli tirò una gomitata tra le costole e lo atterrò, ben felice di scaricargli addosso tutta la collera che aveva represso fino a quel momento.

Fu così che li trovarono James e Erin: Avery steso a pancia in giù, Sirius che gli storceva un braccio e Remus che cercava di dividerli.

Mary aveva già svoltato l’angolo e non si era accorta di niente, ma non se ne sarebbe resa conto in ogni caso. Era troppo impegnata a pensare a altro.

Continuavano a ronzarle nella testa le parole velenose di Avery e con crescente preoccupazione stava realizzando quanto fossero vere: se si fosse trovata da sola davanti a tutti loro, non avrebbe avuto scampo.

 

«Come hai potuto? Schiantare i Serpeverde senza di me! Stendere Avery senza di me! Finire in punizione senza di me! Con lui, per giunta!» inveì James contro Sirius puntando il dito in direzione Remus Lupin, mentre attraversavano il ritratto della Signora Grassa.

«No, io non sono in punizione» lo corresse quest’ultimo.

«Solo perché sei un Prefetto, sei un raccomandato» replicò James ancora incredulo e arrabbiato «Il punto è…fate largo, marmocchi – un paio di ragazzi del primo anno si spostarono dal divano per lasciare il posto ai tre – è che voi due, soprattutto tu – Sirius alzò gli occhi al cielo – le avete suonate ai Serpeverde senza di me e Peter, soprattutto senza di me e i Malandrini non si separano mai» concluse stringendo un cuscino come un bambino capriccioso.

Sirius allargò le braccia «Tu non c’eri e io mi sono dovuto arrangiare» si giustificò spazientito.

«Arrangiare? Per poco non gli staccavi un braccio» precisò Remus contrariato.

«Era solo un po’ di stretching» sminuì Sirius ancora soddisfatto della piega che aveva preso quella giornata cominciata all’insegna della noia.

Dopo che Remus lo aveva finalmente staccato da Avery, con l’aiuto riluttante di James e sotto gli occhi basiti della Fawley, Lumacorno era sopraggiunto attirato dalle urla da donnicciola del Serpeverde e aveva trovato cinque dei suoi alunni schiantati e uno ancora cosciente e visibilmente isterico.

Remus, vista la sua posizione di Prefetto, se l’era cavata con una lavata di capo per essere intervenuto a sedare la situazione invece di chiamare subito un insegnante; a Sirius era andata peggio: due settimane di punizione (cui era fin troppo abituato) e un richiamo ufficiale, cosa più grave, che sarebbe finita sul suo curriculum scolastico come nota di demerito, ma che al momento non gli interessava granché.

Non riusciva a togliersi quel sorriso appagato dalle labbra, poteva ancora sentire l’adrenalina nelle vene e una magnifica sensazione di sollievo, quasi si fosse tolto un peso dalle spalle.

«Devi darti una calmata, Felpato» lo riprese Remus «Ti hanno dato un richiamo ufficiale, significa che non tollereranno più gesti come il tuo. L’anno scorso hanno chiuso un occhio con Mulciber perché avevi un motivo, ma non ti giustificheranno più».

«Avery è un Serpeverde, mi sembra un motivo più che valido» obiettò lui.

«La McGranitt e Silente non ammettono risse alla babbana, comprensibile» ragionò James «Nessuno ha detto niente sugli incantesimi. Problema risolto, Felpato, non servono le mani per fare un occhio nero, ci basta la bacchetta».

«Certo, scherzateci su. L’espulsione è una così rosea prospettiva» commentò con sarcasmo Remus, spostando i piedi di James dal divano così da potersi sedere anche lui.

«Ammettilo, Lunastorta. È stato divertente» lo stuzzicò Sirius.

Remus si sforzò di non ridere, nonostante fosse davvero difficile non dargliela vinta. Dopotutto, era stato più che divertente e il gruppo di Avery si meritava tutto ciò che aveva ricevuto per il brutto tiro che aveva tirato a Mary.

«Si può sapere dov’è Peter?» domandò James d’un tratto.

«Indovina! Sarà di sopra a dormire. Aveva le ultime due ore libere» rispose Sirius mentre richiamava con un incantesimo di Appello un piccolo pouf per stenderci sopra le gambe «Quanto pagherei per essere al suo pos…»

«Ti devo parlare».

Il ragazzo si zittì e liberò un sospiro scocciato. Gli altri due si voltarono indietro, verso chi aveva parlato e si scambiarono un’occhiata d’intesa. Considerata la mascella contratta di Sirius, l’espressione tremendamente seria che Erin gli stava rivolgendo e la tensione improvvisamente calata su di loro, sembrava una buona idea volatilizzarsi nel più breve tempo possibile.

«Noi andiamo a svegliare Peter. Bisogna aggiornarlo su quello che è successo, vero Remus?» lo incalzò James, già in piedi ancora prima di aver terminato la frase, seguito a ruota dall’amico.

«È una notizia che non può aspettare due secondi di più» confermò quest’ultimo ed entrambi si dileguarono così velocemente su per i gradini che Erin, spostando l’attenzione su di loro per un breve attimo, riuscì solo a scorgere l’orlo delle loro tuniche serpeggiare in aria prima di sparire su per la tromba delle scale.

Fece il giro del divano e si posizionò di fronte a Sirius che si ostinava a non guardarla, forse nella speranza che svanisse nel nulla.

Erin si chiese perché ci stesse ricascando per la seconda volta nel giro di poche ore. Non le era bastato il trattamento della sera precedente?

Le era bastato eccome e non l’aveva ancora digerito, ma la rivelazione più o meno velata che Regulus le aveva fatto intendere era di gran lunga più grave di qualunque divergenza intercorresse tra lei e Sirius.

«Se è ancora per la questione di ieri sera…» cominciò il giovane, rompendo infine il silenzio, desideroso di liberarsi in fretta di quella seccatura.

«Ieri non c’entra» negò Erin.

Sirius si tirò indietro i capelli con fare nervoso «Allora è per oggi pomeriggio? La ramanzina me l’ha già fatta la McGranitt. Grazie tante».

«Non è nemmeno per oggi».

A quel punto Sirius puntò i suoi occhi grigi su di lei, sorpreso e incuriosito. Che cosa diamine poteva esserci d’altro?

«Ho incontrato tuo fratello, oggi nel parco. Abbiamo parlato» cominciò a raccontare senza avere, però, possibilità di continuare.

D’istinto Sirius era scattato in piedi «Di che cosa?»

Erin parve colta alla sprovvista da quella domanda, posta con così tanta urgenza, ma si riprese in fretta e rispose con calma «All’inizio di te e della tua…fuga» la parola “defezione” ancora le ronzava in testa «Poi Regulus ha detto qualcos’altro. Forse sto esagerando io…»

«Quale parte non hai afferrato di “stai alla larga dai fatti miei”?» la interruppe Sirius per la seconda volta, con voce bassa e furente «Pensavo che ieri sera avessimo stabilito che noi due non abbiamo più nulla a che spartire. E tu che fai? Corri da mio fratello?»

«Ho afferrato tutto alla perfezione, ti ringrazio» obiettò tagliente lei.

«Allora smettila di perseguitarmi! Non faccio tempo a mettere piede in Sala Comune che tu mi sei già addosso. Ti è venuta improvvisamente la sindrome della crocerossina? Non te n’è mai fregato niente di nessuno e adesso vuoi risolvere in un giorno i problemi del mondo?»

«Credimi, mi basterebbe che i tuoi problemi mi lasciassero in pace» replicò Erin che invano stava cercando di trattenersi e di non rimetterlo al suo posto all’istante. Aveva un compito più importante da sbrigare, ma lui non le stava rendendo la vita facile «Se solo tacessi per un secondo e mi ascoltassi…»

Sirius la ignorò spudoratamente e proseguì il suo attacco «Lascia che te la renda più chiara: non ti devi intromettere negli affari miei. Non devi parlarne con me, non devi di sicuro permetterti parlarne con mio fratello. Se volete trovarvi e discutere di quanto sia bello essere ricchi e Purosangue, fate pure. Ma non tiratemi in mezzo. Stai diventando pesante e impicciona. E soprattutto nessuno ti ha chiesto niente, quindi stai fuori dalla mia vita!»

Le diede le spalle, intenzionato a raggiungere i suoi amici nel Dormitorio e a disfarsi di lei una volta per tutte. Non poté muovere un passo, richiamato dalle parole di Erin.

«Soffocati con la Polvere Volante, Sirius Black» gli augurò con astio, mentre il ragazzo si voltava nuovamente a guardarla «Per quello che m’interessa!» sbottò al limite della sopportazione, punta nell’orgoglio una volta di troppo «Cacciati la bacchetta in un occhio, strozzati con la Burrobirra, sai che me ne importa! Sono stufa dei drammi della tua famiglia! Ma non azzardarti a venire a lamentarti da me, quando tuo fratello diventerà un Mangiamorte».

Sirius era ammutolito e con lui tutti i Grifondoro presenti, pietrificati nell’udire il nome dei seguaci di colui che si faceva chiamare Signore Oscuro.

Erin non aveva urlato, ma non aveva neanche abbassato il tono di voce, troppo presa dalla sua discussione per controllarlo.

Adesso tutti gli occhi erano puntati su di lei e non solo quelli smarriti di Sirius. C’era un motivo se evitava le complicazioni più del vaiolo di drago: non sapeva gestirle, non aveva pazienza e non aveva tatto. Non le era mai piaciuto cercare la via più delicata per dire qualcosa, non era proprio il suo forte.

In quel caso, però, avrebbe fatto meglio a mordersi la lingua sei volte prima di scoppiare come un vulcano, prima di annunciare a un numero considerevole di orecchie indiscrete una confidenza che definirla scomoda era un eufemismo.

Non che le posizioni estremiste di Regulus fossero un gran mistero e si sapeva bene o male che molti Serpeverde avrebbero intrapreso quello strada terminata la scuola, ma erano voci sottobanco, nessuno ne parlava apertamente.

Come passare dalla ragione al torto alla velocità della luce.

Avvertì di nuovo le vertigini di quel pomeriggio e il senso di nausea che l’aveva tormentata ininterrottamente si fece all’improvviso più forte, più fastidioso. Erin si toccò la pancia con crescente preoccupazione, mentre brividi di freddo cominciarono a risalire su per il suo corpo.

Capì di dover raggiungere il bagno o almeno la sua stanza prima di dare spettacolo. Purtroppo non riuscì neppure a raggiungere i primi gradini della scala che portava al suo Dormitorio. I conati la sorpresero prima e lei fu costretta a piegarsi su uno dei tanti tappeti della sala, in piena vista.

Vomitò davanti a Sirius, ancora stordito dalla notizia.

Vomitò davanti a tutta la Sala Comune attonita.

Aveva appena reso indimenticabile il primo giorno di lezioni. Per se stessa.

E per tutta la scuola.

 

 

Il mio angolo:

Eccomi a tornata con il secondo capitolo.

Scusate la lunga assenza, ma purtroppo in questo periodo non ho molto tempo per scrivere. Spero che qualcuno si ricordi di questa storia.

Ringrazio tantissimo chi ha commentato e inserito la storia nelle seguite/preferite/ricordate.

Fatemi sapere se vi sta piacendo come procedono gli eventi, anche le critiche negative sono sempre ben accette per crescere come “scrittori”.

Vi lascio con un paio di note e mi auguro di postare il prossimo capitolo in tempi più ragionevoli.

 

1)   Right from the start è un verso della canzone Don’t go breaking my heart di Elton John e Kiki Dee pubblicata nel 1976.

2)   La Rowling ha pubblicato su Pottermore un elenco delle ventotto famiglie considerate Purosangue al cento per cento e tra queste ci sono i Fawley. Ho scelto questo cognome per due motivi: primo perché è uno dei pochi della lista a non essere legato ai Mangiamorte; secondo perché non ci sono molte informazioni su questa famiglia e ho potuto sbizzarrirmi di più.

3)   Su Pottermore ci sono anche varie informazioni sul professor Kettleburn, insegnante di Cure della Creature Magiche prima di Hagrid, anche lui particolarmente interessato alle creature più pericolose.

4)   Il Cavolo Carnivoro è una pianta citata in Harry Potter e l’ordine della Fenice. Agave Lottatrice è una mia invenzione.

5)   In Harry Potter e il calice di fuoco viene detto che Mulciber si specializzò nella Maledizione Imperius. Ho pensato quindi che anche lo scherzo ai danni di Mary potesse essere legato a questo incantesimo, dato che si parla in generale di “magia oscura” senza specificare che cosa sia realmente accaduto. È una mia licenza.

 

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