Certe cose non cambiano mai.

di kitsune999
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Paturnie e cameratismo. ***
Capitolo 2: *** Bonus - Preludio al Capitolo 2: Chi di rutto ferisce... ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Al peggio non c'è mai fine. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - L'ingrediente segreto. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Verso la fine dei giochi? ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - The day after. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Mine vaganti e suicidi verbali. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - The peacemaker (?) ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - Granate inesplose e crucci imperiali. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Paturnie e cameratismo. ***


-Ridimensionati

Salve a tutti,

 

questo é il mio esordio qui su EFP, wow che emozione^^;

 

Per quanto concerne la stesura di questa fanfic mediocre e senza pretese mi sono ispirata ad un episodio di CT (il ventunesimo della serie “Road to 2002” e la sua controparte cartacea, i volumetti 26-27 dell’edizione italiana) e ci ho ricamato un po’ sopra; non é niente di che, sono io la prima a riconoscerlo, per cui non massacratemi con le critiche e siate clementi xD

Perdonate il gergo un po’ scurrile di certi dialoghi, ma non mi andava di girare troppo intorno alle parole e sinceramente lo ritengo adatto al contesto e ai personaggi, in quanto é bene non dimenticarsi che si tratta pur sempre di ragazzi adolescenti che non si esprimono certo come il Manzoni. Spero che possa essere un minimo di vostro gradimento anche cosí.

Ah, altra cosa. Io tendo ad abusare degli avverbi. In questa fic ho cercato di limitarmi, spero non ce ne siano ancora troppi. Non posso farci niente, è piú forte di me, per cui è inutile farmelo notare nel caso ce ne fossero, sto cercando di smettere xD

 

*Piccolo appunto sugli accenti*


Lo so che gli accenti sono tutti al contrario, ma ho la tastiera spagnola impostata e ormai mi sono disabituata ad usare quella italiana, e ritenendo la cosa un dettaglio piuttosto insignificante ai fini della narrazione non li ho corretti.

 

*Piccolo appunto sul titolo*


Dal momento che quando scrivo raramente penso ad una trama ben precisa e tutto si snoda nella mia testa strada facendo, non escludo che il titolo di questa fic possa cambiare nel corso dei capitoli (che comunque non credo saranno piú di tre o quattro).

 

 

 


• CAPITOLO 1 – Paturnie e cameratismo.

 

 

 

-Ridimensionati.-

 

Fu tutto ció che disse Kojirō sibilando sprezzante, mentre oltrepassava il portiere urtandogli volontariamente e non troppo delicatamente una spalla.

Genzō non proferí parola, ne aveva giá dette fin troppe, e si limitó a rimanere immobile, impassibile, con lo sguardo adombrato dalla visiera del suo sempiterno cappello.

Se non fossero intervenuti Jitō e Takasugi probabilmente il loro diverbio sarebbe sfociato in una sonora scazzottata, con l'ovvia conclusione che si sarebbero fatti subito riconoscere anche all'estero. D'altra parte, non sarebbe stata la prima volta che arrivavano alle mani, il loro rapporto era sempre stato piuttosto sul filo del rasoio; con Kojirō i casi erano due, o si imparava ad ignorarlo oppure sul serio ogni pretesto era buono per suonarsele di santa ragione. In tutta la sua vita, mai aveva incontrato una persona che lo irritasse di piú: la semplice sua presenza gli faceva prudere le mani, non poteva farci niente. Tuttavia, Genzō doveva riconoscere che stavolta se l'era proprio cercata.

 

Non che la cosa lo infastidisse, al contrario, provava sempre un sottile piacere nello stuzzicare l'eterno rivale; si sentiva solo un tantino colpevole nei confronti del resto della squadra,  in effetti ci aveva davvero calcato un po' troppo la mano. Aveva preso alla lettera la richiesta di Mikami, e non aveva fatto nessuna fatica a calarsi nei panni dell'arcigno rompipalle per spronare la squadra, anzi, quel ruolo gli calzava a pennello, dopotutto era un lato del suo carattere spigoloso che, per quanto si fosse molto smussato nel corso degli anni, non sarebbe mai scomparso del tutto. Era stato semplicemente, puramente odioso con i ragazzi, né piú né meno.

 

E poi Tsubasa era ancora semi-infortunato ed era stato tutto il tempo in panchina a fremere dalla voglia di entrare in campo; senza di lui non avevano nessuna speranza di vincere, non soltanto contro di loro, ma contro i campioni europei in generale. In fondo gli aveva detto semplicemente la veritá, era quello che pensava anche lui, non soltanto il suo coach. E si sa che la veritá poteva fare molto male.

 

Ovvio poi che l'idrofobico Kojirō sempre pronto alla rissa non avesse preso di buon grado il fatto che Genzō si fosse praticamente rifiutato di parare il suo tiro. Un affronto simile, e per giunta proprio da lui, il suo piú acerrimo nemico! Era una vita che provava a segnargli da fuori area, e stavolta ne avrebbe avuto forse una buona occasione, tanto il Giappone era sotto di 5 goal e ormai non avevano piú nulla da perdere. Peró lui aveva cercato di non farsi sconfiggere con disonore, segnando almeno una rete, e preso da questo obiettivo in quel momento aveva preferito non rischiare, accantonando la loro sfida sempre aperta.

 

Ed era stato questo che aveva infastidito l'SGGK piú di ogni altra cosa. Le parole che aveva detto a Kojirō erano 100% farina del suo sacco, non gli erano certo state imboccate da Mikami, viste le circostanze le avrebbe dette in ogni caso. In quel momento gli era sembrato semplicemente troppo un codardo e un vigliacco, era rimasto profondamente deluso da lui e si stava chiedendo se valesse davvero la pena considerarlo un avversario degno di questo nome.

 

Non lo sopportava, punto e basta. Tempo sprecato quello passato a crederlo il suo rivale di sempre.

 

Forte di questa rinnovata certezza, a fine partita si avvió verso gli spogliatoi seguito a ruota da un Kaltz la cui curiositá stava toccando quasi i massimi storici.

-Bé, si puó sapere che é successo? Ancora un po’ e vi scannavate...dai, racconta tutto allo zio Hermann!- Esordí ormai del tutto incapace di trattenersi oltre, mentre faceva roteare lo stecchino con la lingua fremendo di impazienza. Genzō non aveva per niente voglia di parlarne, e togliendosi la maglietta rispose fra i denti con un evasivo -Mah, storia vecchia.- Sperava che l'amico afferrasse l'antifona e si facesse i fatti propri, almeno per quella volta. Speranza vana, avrebbe dovuto immaginarlo.

-Eh no, non ti sognare di potermi liquidare cosí! Non tenermi sulle spine, lo sai che sto morendo dalla curiositá...non ci ho capito una cippa di quello che vi siete detti!-

Ovvio, pensó il portiere, avevano parlato in giapponese -Ci manca solo che adesso debba farti anche da interprete, scimmiaccia!- Scherzó, gettandogli in faccia il calzino sudato che si era appena sfilato e scappando lesto sotto la doccia. Kaltz, schifato, gli urló dietro senza smettere di sputacchiare e passarsi le mani sul viso colpito dall'immondo oggetto -Ohi sfinge! Non c'é bisogno che condividi con noi poveri mortali i tuoi soavi olezzi post-partita, ho rischiato l'asfissia, io...e voialtri che avete da ridere? Ne volete un po’ anche voi?- E cosí dicendo si tolse rapidamente calze, scarpe e pantaloncini lanciando il tutto addosso ai suoi compagni di squadra che si stavano ribaltando alla vista della scenetta di poco prima, ma che non esitarono un istante a riprendersi schizzando rapidamente in tutte le direzioni per evitare le armi batteriologiche dirette a tutta velocitá verso di loro.

 

Genzō sogghignó leggermente tra sé e sé, mentre lasciava che l'acqua calda della doccia gli scorresse sulla schiena allentandogli a poco a poco la tensione muscolare. Com'é che l'aveva chiamato il buffone? Sfinge?

Era da parecchio che non se lo sentiva dire, l'ultima volta doveva risalire a qualche anno prima. L'aveva coniato Kaltz (e chi sennó?) in “onore” alla sua riservatezza e imperturbabilità  e non l’avrebbe mai ammesso con lui, ma trovava che quel nomignolo gli calzasse a pennello. Sapeva di essere piuttosto criptico e sapeva anche che nascondere le proprie emozioni era un'ottima strategia di difesa; si era abituato a rinchiudere l'emotivitá in un angolino del suo cuore da cosí tanto tempo ormai che non si ricordava neanche piú quando avesse iniziato a farlo.

 

Tre anni prima, Kaltz era stato il primo a capire ció che si nascondeva sotto quella scorza dura e l'aveva aiutato non poco ad integrarsi, prendendolo sotto la sua ala. Dopo una prima impressione tutt’altro che positiva (che non si discostava poi troppo dalla realtà, in effetti) in cui Genzō non si era certo sprecato a socializzare e anzi era passato per lo sborone di turno, era stato grazie al contributo del fido prode Hermann che i compagni avevano imparato a conoscerlo e, capendo come era fatto, lo avevano accettato per quello che era, anche se un buon terzo di loro tutt'ora faceva fatica a filarselo e lo riteneva solo uno sbruffone presuntuoso. Bravo, senza dubbio, ma sempre sbruffone rimaneva. Logicamente non tutti avevano la pazienza ed il sesto senso di San Kaltz che si preoccupava per lui e che percepiva sempre quando qualcosa lo turbava; e c’era anche naturalmente qualcuno a cui non importava un tubo di quello che gli passava per la testa, bastava che stesse in porta e parasse quanti piú tiri possibile. A pensarci bene, era strano che due persone con due caratteri cosí diametralmente opposti andassero tanto d’accordo, ma forse ció era dovuto al fatto che proprio questa diversitá gli permetteva di compensarsi a vicenda.

 

All' inizio dei suoi giorni in terra tedesca aveva fatto non poca fatica ad abituarsi alla nuova condizione di studente straniero, vuoi per la lingua cosí differente e per le difficoltá a comprendere e a farsi comprendere, vuoi per il carattere tendenzialmente piuttosto schivo. Lo infastidiva enormemente che gli altri potessero giudicarlo, ma d'altra parte in quel frangente non fremeva certo dalla voglia di farsi conoscere; non aveva mai amato straparlare di sé, né amava dare aria ai denti sprecando il fiato in uno sterile blablabla. Voleva solo essere lasciato in pace a metabolizzare quella situazione nuova secondo i suoi ritmi, non gli sembrava di chiedere troppo, era un suo diritto, dopotutto...e invece NO, Kaltz era atterrato a pié pari e senza troppi complimenti nella sua vita, riuscendo a scalfire la sua corazza dalla solidità comprovata quel tanto che bastava per arrivare a leggergli un po' dentro e capire che tipo di persona fosse in realtá.

In breve tempo i due erano diventati inseparabili e finalmente Genzō poteva dire di aver trovato un amico vero, ruolo che nessuno aveva mai ricoperto prima di allora nella sua vita, e perfino il rapporto che aveva con Tsubasa non era nemmeno lontanamente paragonabile a quello che si era instaurato fra lui e il difensore tedesco.

Il “duo” era presto diventato un “trio” con l'ingresso di Schneider, l'impassibile e autoritario capitano della squadra amico di Kaltz da una vita che, al di del tipico piglio imperiale che lo faceva apparire snob e strafottente, era una persona leale dotata di un brillante senso dell'umorismo ma soprattutto di uno spiccato sarcasmo, dato le frecciate che soleva lanciare a destra e a manca.

“Sfinge” era  nato agli albori della loro amicizia, quando Hermann si divertiva a punzecchiarlo spesso con quel nome; anche altri, sentendoli, avevano preso a chiamarlo cosí, finché non era diventato di pubblico dominio. Ma inevitabilmente anche quella “moda” era tramontata, e a distanza di tre anni ormai quasi nessuno lo chiamava piú cosí.

 

-Ma che gli é preso a Wakabayashi oggi? Ha mangiato un leone? Non ha fatto altro che urlare dietro ai suoi connazionali e a momenti lui e quell'altro mulatto si sbranavano in campo...- commentó Klaus ficcando l'uniforme sudicia usata in partita dentro la sacca, mentre aspettava che venisse il suo turno per la doccia.

-Che vuoi farci, avrá le sue cose...- replicó un Brigel per nulla interessato alla questione, scatenando l'ilaritá generale. Perfino l’algido Schneider si lasció scappare una risatina.

 

In quel momento, dalla doccia dove Genzō stava finendo di asciugarsi si involó una bottiglietta di shampoo diretta verso la testa di Brigel, che muguló dal dolore. -Avete finito di fare cameratismo alle mie spalle?-

Un secondo dopo l'SGGK, con un ghigno sinistro stampato in faccia, emerse dalla sua postazione brandendo l'asciugamano che si abbatté a di frustino sul didietro del Kaiser, che gli dava la schiena mentre si allacciava placidamente una scarpa. E ovviamente questi, colpito a tradimento, non tardó a rispondere al fuoco.

-Si usa cosí al tuo paese? Colpire la gente alle spalle?! Adesso facciamo i conti, muso giallo!- Tuonó massaggiandosi la Reale Chiappa colpita, mentre afferrava il suo asciugamano e mandava a segno una frustata sui polpacci del portiere la cui faccia, sghignazzante fino ad un attimo prima, si  contorse in una smorfia di dolore.

-Bé, ma che riflessi da pensionato...non lo sai che non si deve mai abbassare la guardia, bifolco?- Neanche il tempo di finire la frase che gli erano giá arrivate altre tre frustate dai compagni, frementi di dare il loro contributo, ed al grido di “AMMUTINAMENTO!!” si innescó definitivamente la battaglia. Il povero capitano ebbe appena il tempo di pronunciare un indignato  -Bastardi, cos'è questa coalizione contro di me!- che venne letteralmente investito da una pioggia di scudisciate proveniente da tutte le parti. Cercó di difendersi alla bell’è meglio, ma alla fine fu costretto a soccombere; stremato e dolorante, riuscí sfuggire alle grinfie dei suoi aguzzini strisciando sotto ad una panca, da dove chiese una tregua al gruppo.

-E adesso che siamo rimasti senza capitano, a chi potremmo rivolgere le nostre amorevoli attenzioni?- esclamó sarcastico Genzō, ormai eletto leader della rivolta, mentre si guardava intorno in cerca della prossima preda. In quel momento nove paia di occhi si posarono su Kaltz che stava allegramente arrotolando l'asciugamano, preparandosi al nuovo scontro che certo non immaginava avrebbe avuto lui come vittima designata.

-Proprio no, non sognatevelo neanche!- E cosí dicendo la scimmia si diede alla fuga in una frazione di secondo, portandosi dietro tutta la squadra tranne Karl, che approfittando del nuovo capro espiatorio poté uscire dalla sua tana e andare a sdraiarsi a pancia in giú sulla panca, perché per il momento di appoggiare il martoriato sedere su di una superficie solida non se ne parlava neanche.

-Dai Kaltz, tesoro, esci da dentro, mica ti facciamo niente!- Cinguettó Genzō con voce suadente, mentre Meier cercava di forzare la serratura della porta del bagno dove l'amico si era barricato.

-Taci, Giuda! Proprio tu, dopo tutto quello che ho fatto per te!- Esclamó l'altro di rimando in tono fintamente offeso, mentre saliva in piedi sul water per cercare di uscire dalla finestrella. Il passaggio era piuttosto stretto, ma ad occhio e croce calcoló che sarebbe dovuto passarci. Calcolo errato, ovviamente.

-Zitti tutti!- Intimó Genzō appoggiandosi con l'orecchio alla porta, subito imitato da chi aveva vicino. Si udiva un rumore di sfregamenti e sbuffi, e quando Kaltz imprecó a mezza voce il portiere decretó:

-Sta cercando di uscire dalla finestra! Bracchiamolo dall'altra parte, presto!- Fece cenno agli altri di allontanarsi, e facendo un gran baccano giunsero fino alla porta dello spogliatoio, che aprirono e chiusero ma non si mossero da . Genzō si mise un dito sulle labbra per intimare il silenzio assoluto e, cercando di trattenere le risate, si riavviarono tutti in punta di piedi verso il bagno.

Kaltz, rimasto con i piedi sospesi mezzo fuori mezzo dentro, sospiró di sollievo e si caló di nuovo a terra. Si accostó alla porta: nessun rumore. Fece scattare la serratura con prudenza e aprí uno spiraglio per dare una sbirciata, che non si sa mai...ed in quel momento la porta venne quasi scardinata e nove leggiadre figure si abbatterono su di lui, trascinandolo fuori di peso.

-Certo che anche tu, farti fregare in quel modo...é il trucco piú vecchio del mondo!- Sghignazzó Schneider dalla panca dove si era regalmente svaccato e da cui si stava godendo lo spettacolo.

-Vá a farti fottere, Imperatore del Kaiser!- Strepitó l'altro furente, mentre la punizione del branco iniziava inesorabile; si difese strenuamente calciando, sputando e mordendo al grido di -Venderó cara la pelle!-, ma a salvarlo dal linciaggio sicuro a suon di asciugamanate intervenne l'allenatore, allertato dagli schiamazzi che si udivano fin quasi dal centrocampo.

-Maccheccazzo state facendo, razza di somari?!- Tuonó irrompendo nella stanza, rimanendo basito di fronte alla scena. Lanció un'occhiata a Schneider, sempre spalmato sulla panca, che alzó le spalle dicendo: -Io non c'entro niente, se la sono presa anche con me...- e gli indicó i segni rossi che aveva sulle gambe, aggiungendo -...eviteró di farle vedere in che condizioni si trova il mio didietro.-

 

Il bollettino di guerra a fine sommossa fu tragico; nonostante il “pestaggio” di Hermann fosse durato relativamente poco grazie al salvataggio dell'allenatore, era molto piú malconcio rispetto al Kaiser che le aveva prese ben piú a lungo.

-Cristosanto ragazzi, cosa avete? Sei anni? Ma vi sembra il caso di comportarvi cosí?- Genzō e compagni si scambiarono un'occhiata sghignazzando, aspettandosi di vedere la vena pulsante sulla sua fronte esplodere da un momento all'altro. L'allenatore si accorse di star parlando ad un muro e sospiró scuotendo il capo, rassegnato. Bah, pensó, in qualche modo dovevano pur scaricare la tensione.

-Visto che avete fatto bella figura nell’amichevole di oggi, per stavolta passi. Ma che non si ripeta piú. Non siete all'asilo! E datevi una mossa a cambiarvi!- Detto questo uscí sbattendo la porta. Definirla bella figura era un eufemismo, pensó Genzō. Avevano stravinto per 5 a 1, un risultato esaltante per l’Amburgo ma a dir poco infamante per la Nazionale giapponese, considerando anche che il loro unico goal era stato praticamente un suo regalo. Kojirō, dopo aver subito le sue parole pesanti come macigni e dopo aver soffocato l’istinto di ucciderlo, si era sfilato la fascetta di capitano e l’aveva passata a Matsuyama, dimettendosi da quell’incarico. Doveva avergli proprio mandato l’orgoglio in frantumi per fargli prendere una simile decisione, si disse compiaciuto.

-Evvai, niente strigliata...dev'essere in buona oggi!- Esclamó Himmel allegramente, finendo di infilarsi un maglione e distraendo Genzō dai suoi pensieri.

-Giá, peró la prossima volta castigheremo anche la volpe, non solo il gatto!- disse Klaus ridacchiando, usando uno dei soprannomi con cui erano noti Genzō ed Hermann all'interno della squadra.

-Ma che razza di dementi...- borbottó il gatto in questione, mentre richiudeva il borsone con un gesto stizzito. Dal collo in giú era tutto un dolore, domani sarebbe stato un livido vivente.

-Non ti sarai mica offeso per cosí poco!- Esclamó Genzō alias la volpe, apparendogli di fianco. I due si guardarono per un attimo e poi attaccarono a sghignazzare in sincrono.

-La prossima volta te la faccio pagare, sfinge del cazzo!-

-Vedremo, nano malefico!- Lo scambio di affettuose battute venne interrotto da uno scazzatissimo Schneider che, sacca in spalla, li aspettava con la mano giá sulla maniglia della porta.

-Avete finito di flirtare? Possiamo andare?- Per tutta risposta gli arrivarono addosso una scarpa del portiere e la sacca di Kaltz, in quest'ordine.

-Ahia, ma perché? Io ho giá subito abbastanza per oggi!- Si lamentó lui, rinviando gli oggetti ai mittenti e massaggiandosi un braccio. Poi aggiunse, alzando la voce per farsi sentire anche dagli altri -domani vi massacreró tutti agli allenamenti, capito, voialtri bastardi?- Al che i “loraltri” bastardi si misero in assetto da guerra pronti a scagliargli contro borsoni e quant'altro capitasse a tiro, ma Schneider fu lesto a imboccare la porta, gridando: -Ci vediamo domattina alle sei! Sono proprio curioso di vedere se farete ancora gli smargiassi, non avró pietá!-

La squadra sbuffó e si levó una protesta.

-Cheppalle Karl, per festeggiare la vittoria non potremmo riposarci un ? Ti ricordo che io e te siamo anche stati presi a frustate e saremo due stracci domani...- si lagnó Hermann, ma il capitano lo zittí dicendo - , e guardacaso tu eri uno di quelli che mi menavano, mentre ti ricordo che io non ho partecipato al tuo pestaggio...tu e Wakabayashi domani sarete i miei, di bersagli!- E se ne andó con una risata sadica, lasciando i due estremamente contrariati.

-Bella mossa, genio!- Lo apostrofó Yara seccato, tirando un grattone sulla nuca del portiere.

-Che cazzo vuoi, tu?- Si rigiró lui, ringhiando.

-Ti dobbiamo ricordare che l'idea delle frustate é stata tua? Quello domani ci fará il mazzo!-

-La volete piantare? Voi non vi siete mica tirati indietro, mi sembra...e poi ha detto che se la prenderá principalmente con noi due, perciò ritenetevi fortunati!- Esclamó lui di rimando, sbuffando.

-Sí, ma ci tocca lo stesso presentarci in campo alle sei...e io che speravo di poter dormire!- Bofonchió Linz, trovando il consenso degli altri sette, che annuirono convinti.

-E non credere che quel negriero ci andrá leggero con noi, conosco i miei polli...tanto lo so che ci dovranno raccogliere tutti col cucchiaino alla fine!- Continuó Meier con disappunto, immaginando la sfacchinata che gli sarebbe senz'altro toccata. Kaltz alzó gli occhi al cielo ed esclamó, buttandosi la borsa in spalla -Mio Dio come siamo delicati, eh, signorine? Ben vi sta, é la giusta punizione per avermi picchiato a sangue! Almeno non saró l'unico a rimetterci!- Poi, cacciando una pedata al deretano di Genzō che si stava infilando la scarpa precedentemente lanciata addosso al Kaiser, aggiunse: -Ti dai una mossa? Quanto ci metti, sei peggio di una donna!-

L'amico gli rispose tirandogli una manata sul coppino che gli lasció il segno di tutte e cinque le dita, poi accelleró un po’ i tempi rendendosi conto che effettivamente ci stava mettendo un secolo e, salutando gli altri, imboccarono la porta.

 

-Waah! Mi sento meglio adesso.- Esclamó Genzō stiracchiandosi. La guerra di asciugamani era servita da pretesto a scaricare l'adrenalina che si sentiva in circolo per l'incontro con l’ “amato” Kojirō, ed ora si sentiva notevolmente piú rilassato.

-Grazie al cazzo, a te nessuno ti ha preso a frustate! Io invece mi sento a pezzi...- borbottó Hermann di rimando, massaggiandosi la nuca arrossata.- E comunque non mi hai ancora detto il motivo di tanto astio fra te e quel tipo!-

E ti pareva, se n'è ricordato” pensó Genzō schioccando la lingua. -Non é che mi vada tanto di rivangare vecchi rancori. E poi é una storia che puoi fare benissimo a meno di conoscere, per quello che vale. Guarda, c'è Schneider in fondo!- E indicó col dito il ragazzo che si era fermato ad allacciarsi una scarpa.

-Bah, lascia giudicare a me se é o non é importante...tu intanto inizia a dire!- Replicó Stecchino imperterrito, lanciando subito dopo un fischio per attirare l'attenzione di Karl e fargli capire di aspettarli.

-Che palla che sei Hermann. Lascia perdere, non ora, é inutile che insisti.- Schneider li attese dov'era piuttosto di malavoglia e quando lo raggiunsero li apostrofó con il consueto garbo:

-Di che parlate, finocchi?-

-Delle paturnie di Genzō.- Rispose Hermann sputando lo stecchino ormai logoro sui piedi del portiere che si ritrasse istintivamente.

-Eh certo che sei proprio un poeta tu, fai venire voglia di confidarsi- commentó lui sarcastico mentre osservava l'amico che ne pescava uno nuovo dalla tasca e se lo infilava in bocca -quegli stecchini per te sono peggio di una droga, ma giri sempre con la scorta dietro?-

-Bel tentativo di cambiare argomento, ma con me non attacca, amore. Guarda che te lo sputo in faccia, se non mi dici qual'è il problema.-

-Problema? E con chi, con quel tizio di colore?- Intervenne Karl incuriosito, mentre fissava schifato Kaltz che ciucciava tutto contento il suo nuovo stecchino.

-Bé, certo che rispetto a te sono tutti “di colore”, o mio diafano Imperatore ariano- sogghignó Genzō -e comunque io e lui non ci siamo mai sopportati. E' da quando abbiamo 11 anni che ci stiamo vicendevolmente sulle palle, quindi non c'è molto da spiegare.-

-Come no? Ci sará un motivo se vi odiate tanto!- Insistette Karl, al che Genzō scrolló le spalle.

-Boh. A pelle, credo. E poi fondamentalmente lui é un vigliacco. Oggi non ha neppure tentato di segnarmi da fuori area, nonostante ne avesse avuto l'occasione. E' una cosa che si é ripromesso di fare da quando eravamo piccoli, e che non ha mai messo in pratica. Voglio dire, non ci é mai riuscito anche se ci ha provato in passato, dopotutto sono l'SGGK…- e qui Karl ed Hermann si scambiarono un'occhiata roteando le pupille al cielo -…peró cristo, non ti puoi arrendere cosí. Che persona inutile.-

-Mi pare di capire che peró ti stimola il confronto con questa “persona inutile”- osservó Kaltz, e poi aggiunse, un po’ risentito: -Certo che sei proprio un fenomeno tu, io ti faccio una testa cosí per sapere cosa c'è che non va e tu non mi caghi di striscio, poi arriva questo pirla qui- e indicó Schneider –che ti fa una domanda a caso e finalmente ti decidi a vuotare il sacco, come se niente fosse!-

-Che ci vuoi fare scimmia, colpa del mio ascendente...non vedi come sono carismatico?- Si pavoneggió il Kaiser mentre si spostava una ciocca di capelli dalla fronte con fare civettuolo.

-Occhio Schneider, guarda che ti sputo...- minacció Hermann preparandosi all'espulsione del suo stecchino direttamente sulla bella faccia del capitano.

-Ero giá sul punto di cedere- si giustificó Genzō sghignazzando -Schneider ha fatto la domanda giusta al momento giusto.-

-Sí certo, ma quello che si é interessato prima di chiunque altro sono io...e guarda come viene ripagata la mia solerte amicizia...-

-Ehm, posso avere un po' d'attenzione dai coniugi Kaltz? E non riprendete il corteggiamento, che non se ne puó piú- sbuffó spazientito Karl -E' tutto qui, Wakabayashi? Lo odi solo perché ha rinunciato a segnarti da fuori area visto che sa che non ci riuscirebbe comunque?-

-Cos'è, mi stai facendo un complimento, Schneider?- Disse l'altro, facendo la ruota come un pavone -Lo so che sono insuperabile da fuori area, mi fa piacere che tu l'abbia finalmente riconosciuto!-

-Ma piantala, razza di montato...hai pure il soprannome da megalomane- ironizzó lui, riferendosi all'acronimo di SGGK e rimediando da Genzō un “ah , ha parlato l’Imperatore” -...e comunque no, non era quello il punto, scimunito.-

-L'avevo capito, stordito che non sei altro. No, non è solo per quello. E' un odio atavico, va bene? E non ti ci mettere anche tu a rompere come quest'altro!- Esclamó indicando col mento Kaltz che gli mostró affabilmente il dito medio.

-Che risposta del cazzo, ci deve essere una ragione, Wakabayashi.- Continuó Schneider, che quel giorno sembrava voler battere il suo record personale di loquacitá.

-Mah, forse mi fastidio la sua boria- Genzō si interruppe udendo Kaltz sibilare -...disse il Signore dei Boriosi...- e poi continuó, dopo averlo fulminato con lo sguardo -...e comunque é talmente irritante che se lo conosci lo eviti.- Il suo tono era definitivo e a quel punto Schneider scrolló le spalle, intuendo che non ci sarebbe piú stato modo di cavargli altro.

-Bah, allora chi se ne frega...- disse sbadigliando, ormai annoiato dalla discussione. -Donzelle, io vi saluto qui, ci vediamo domani puntuali alle sei. E vedete di non sgarrare neanche di un minuto, vi conviene.-

Kaltz fece per salutarlo con un’amorevole pedata ma il Kaiser fu piú veloce e scappó girando l'angolo. Borbottó qualcosa sommessamente e poi udendo il trillo di un cellulare si voltó a guardare il portiere, che dopo l'ultima risposta si era chiuso in un ostinato mutismo e sembrava perso nei propri pensieri; era davvero stanco di pensare alle vecchie conoscenze riviste in quell’ amichevole, tutto ció che voleva era infilarsi in un letto e dormire fino a domani.

-Ehi ci sei, bellezza? Ti sta squillando il cellulare.- Genzō si riscosse e affondó le mani in tasca per recuperare l'oggetto, chiedendogli nel frattempo che fine avesse fatto Schneider.

-Ma sei proprio svanito allora, ci ha salutato due minuti fa, e ci tengo a sottolineare che eri presente quando l'ha fatto...-

-Mi ero solamente distratto, idiota...- Replicó lui alzando una mano per mollargli l’ennesima cinquina sulla nuca, ma quando lesse il nome della persona che lo stava chiamando rinunció e cambió totalmente espressione, sbuffando stizzito. Lo rispettava come giocatore, riconosceva e apprezzava il suo valore e gli voleva pure bene in fondo, ma certo che ne aveva di tempismo a rompere i coglioni, quel ragazzo. Esitó un istante per raccogliere le ultime briciole di forza di volontá che gli restavano e sforzarsi di rispondere con la solita nonchalance.

-Ehilá capitano, a cosa devo il piacere?- Esclamó infine, rassegnato.

-Smettila di chiamarmi capitano, per te non lo sono piú da un pezzo ormai- ridacchió Tsubasa dall’altra parte, e l’allegria che traspariva dalla sua voce gli urtó lievemente i nervi.

-Volevo invitarti ad una piccola rimpatriata con la vecchia squadra. Che ne dici, sei dei nostri?-

Ecco lo sapeva, doveva aspettarselo. Tipico, per cos’altro avrebbe dovuto chiamarlo, sennó? Che avessero da festeggiare dopo l’umiliazione subita, poi, proprio non se lo spiegava.

-Mhm ah, ma che idea carina- disse pensando l’esatto contrario e preparandosi giá una scusa per evitare l’incombenza –per quando sarebbe?-

-Stasera…piú precisamente fra tre ore e mezzo.-

-Non so Tsubasa, domani ho gli allenamenti alle sei e sono piuttosto fiacco, sinceramente preferirei andare a dormire presto…- non dovette neanche sforzarsi piú di tanto per trovare un pretesto, in fondo quello che aveva detto era vero.

In quel momento Matsuyama strappó di mano il cellulare a Tsubasa e gridó:

-Non fare il rompipalle come sempre e vedi di esserci, chiaro? Dobbiamo tutti spaccarti la faccia per come ti sei comportato oggi!-

Genzō ridacchió esclamando: -Ah, adesso che ho voglia di venire! Non sará che siate un po' masochisti? Avete sul serio voglia di vedermi dopo che, lo ammetto, sono stato un vero stronzo con voi?- Non sapeva perché ma lo scazzo di poco prima gli stava passando, forse un salto avrebbe anche potuto farlo.

-Sinceramente non ho visto molta differenza rispetto al solito- rispose pungente Hikaru, a metá tra il serio ed il faceto –e comunque , me lo sono chiesto anch’io se fosse il caso di chiamarti, ma lo sai che abbiamo un Santo per capitano…ringrazia lui se sei stato avvertito, per me avresti potuto benissimo restare dov’eri!- Dio, quanto amava la schiettezza di quell’uomo.

-Wakabayashi? Lascia perdere questo zotico, è fatto cosí…allora, vieni?- Gli chiese Tsubasa dopo essersi reimpossessato del proprio cellulare. Genzō esitó un istante e infine accettó con un sospiro.

-E sia…vi faró questo onore. Dove?-

-Ecco, a proposito. Non è che hai qualche bel localino da consigliarci? Non conosciamo bene la cittá, e cosí ci chiedevamo se…-

-Ho capito, ho capito. Mi consulto un attimo con il mio consulente personale e ti richiamo, ok?- Riattaccó sbuffando, lasciando uno Tsubasa dubbioso a chiedersi chi mai fosse questo consulente, e lanció uno sguardo a Kaltz che lo stava fissando interrogativo.

-Bé, chi era?- Incalzó subito lui, gingillandosi lo stecchino fra le dita.

-Tsubasa.- L’amico fece una faccia perplessa e chiese:- E sarebbe?-

-Il mio ex-capitano. Quello che non ha potuto giocare oggi per un infortunio alla spalla.- Spiegó l’altro pazientemente.

-Ah , rimembro. Sai che sono negato a ricordare i vostri nomi impronunciabili- difatti lui aveva rinunciato fin da subito ad imparare lo spelling del suo cognome, pensó Genzō - …e che voleva?-

-Ma chi sei, la mia ragazza?- Ridacchió l’altro, scuotendo la testa. Non conosceva nessuno pettegolo ed impiccione quanto lui, nemmeno Ishizaki arrivava a tanto.

-Ti ricordo che convoleremo a nozze il mese prossimo, cava- scherzó Hermann scimmiottando l’erre moscia- e suppongo che tu mi debba tenere informato sui tuoi spostamenti.-

-Io sposato a una scimmia nana? Giammai! Un adone come me si merita di meglio- Esclamó il portiere con una risata, guardandolo strafottente dall’alto delle sue due spanne di vantaggio.

-Bé, non lo sai che nelle botti piccole c’è il vino buono?-

Genzō rise e gli spiegó la situazione, chiedendogli un consiglio su dove sarebbero potuti andare. Non se ne intendeva molto neanche lui di locali e non aveva nessuna voglia di scervellarsi.

-Hmm.- Kaltz riprese a succhiare lo stecchino e disse ridendo -Forse è una trovata del tuo acerrimo nemico per coinvolgerti in una rissa e farti nero di botte...magari quando vai li trovi tutti col coltello fra i denti in missione punitiva!-

-Ma piantala, dimmi piuttosto un posto decente dove posso portarli! Capirai se non mi toccava anche questa rogna, l’unica cosa che desidererei adesso è di potermi infilare in un letto e dormire fino a domani…-

-Non fare l’asociale come sempre, non ti fa piacere vedere la tua vecchia squadra?-

-E’ una domanda retorica, dopo come li ho trattati oggi? Non mi aspettavo neanche che mi chiamassero, a dirla tutta. Devono proprio essersi bevuti il cervello.-

-Perché, come li hai trattati?- Genzō si ricordó che l’amico non poteva aver capito quello che gli aveva detto in campo e si morse la lingua, in effetti avrebbe potuto anche stare zitto. Adesso avrebbe dovuto spiegargli tutto,  e lui era giá arcistufo di quella storia.

-Mikami mi ha chiesto di spronare la squadra, e io sono stato…diciamo "incisivo" con loro, ecco.- Spiegó sospirando, riassumendo il piú possibile.

-Insomma hai fatto lo stronzo.- Concluse Kaltz, senza smettere di giocherellare con l’amato stecchino.

-Come sei sagace. Forse un tantino, . Per questo mi ha un po’ sorpreso che mi abbiano chiamato.-

-E dove sta il problema? Se ti hanno invitato, evidentemente non gli sarai stato poi cosí tanto sul cazzo. Tranne forse a quello “di colore”, come dice Karl. Ma magari non verrá stasera, se fossi in lui non avrei nessuna voglia di vedere ancora la tua faccia da schiaffi…-

Genzō rifletté un attimo sulle sue parole, e si auguró che davvero Kojirō non ci fosse. Non era proprio giornata e la sua presenza sarebbe bastata a rovinargli la serata, ma dal momento che probabilmente anche lui provava le stesse cose, dopo quanto successo in partita magari non si sarebbe fatto vivo, come aveva ipotizzato Kaltz. Scrolló le spalle dicendo:

-In fondo chi se ne frega. Dimmi piuttosto ‘sto locale, cosí telefono a quel rompicoglioni di Tsubasa e la facciamo finita.-

 

 

 

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Capitolo 2
*** Bonus - Preludio al Capitolo 2: Chi di rutto ferisce... ***


Rieccomi qui, a distanza di meno di ventiquattro ore, a pubblicare il mediocre seguito della mia fic senza pretese. Questa volta si tratta di un capitolo bonus, che ho voluto inserire come prologo a ció che succederá (prima o poi, dipende dal mio tempo e dalla mia ispirazione, che sono incerti come il domani) piú avanti nella “storia”.

Ringrazio infinitamente la mitica Silen per il bellissimo commento che mi ha lasciato e per aver fatto una visitina sul mio sito, per me è un vero onore dal momento che sono una sua grandissima fan…aaah queste che sono soddisfazioni^^

 

 

 

 

CAPITOLO BONUS - CRONACHE DA UNA SERATA INFAUSTA

 

 

PRELUDIO:

 

Chi di rutto ferisce...

 

Era scontato. Figurarsi se quei due imbecilli non avrebbero provato ad imbucarsi. Anzi, a dirla tutta dal Kaiser non se lo aspettava proprio, era Kaltz il piú prevedibile, per cui il suo stupore fu genuino e sincero quando l’amico, che era passato a prenderlo, gli annunció che anche il loro capitano avrebbe preso parte alla serata.

-Ma chi, Schneider?-

-Quanti altri capitani abbiamo? Uno basta e avanza, e richiuditi quella mascella. Mi ha detto che tanto non aveva nient’altro di meglio da fare stasera, e che veniva volentieri a scrutare i musi gialli di quelle schiappe dei tuoi compatrioti che hanno perso 5 a 1.-

Genzō scosse il capo, abbozzando un mezzo sorriso. In fondo non gli dispiaceva affatto, in loro compagnia non si annoiava mai e poi avrebbe avuto qualcuno con cui divertirsi a sfottere Kojirō senza che lui capisse un’acca di quello che dicevano. Sempre che ci fosse stato anche lui, chiaro. Ma a quel punto non aveva piú molta importanza.

Dopo aver chiamato Tsubasa, si erano dati appuntamento per le nove al “Bar Rossi*, un pub-birreria in zona Sternschanze che il suo ex-capitano aveva dichiarato di saper raggiungere da solo, senza bisogno che li passassero a prendere.

-Ho capito la zona, e poi ho con me la cartina…mal che vada chiameremo un taxi- Aveva detto  baldanzoso al telefono e Genzō, sapendo quanto potesse essere orgoglioso e testardo quando si impuntava, non aveva osato contraddirlo. Tuttavia, si era preparato a vederseli arrivare con un bel po' di ritardo, Amburgo non era poi cosí semplice da girare se non ci si era mai stati, senza contare che quegli sprovveduti non sapevano una vocale di tedesco nel caso in cui avessero dovuto chiedere informazioni. “Che palle” si era detto “mi toccherá andarli a raccattare da qualche parte, lo sento.

 

Appena preso posto al tavolo che avevano fatto riservare per diciassette, Kaltz dichiaró di voler prendere qualcosa di diverso dalle solite bibite da poppanti, beccandosi un’occhiataccia da Schneider che gli ricordó, guardando il proprio orologio da polso, che fra circa 9 ore avrebbero avuto gli allenamenti e che per allora lo voleva sobrio e nel pieno delle sue facoltá motorie e mentali.

-Anche se per quanto riguarda quelle mentali non c’è niente da fare, cambia poco che beva o no- sghignazzó Genzō, mentre buttava un occhio al menu che Hermann stava sfogliando, alla ricerca di qualcosa che lo ispirasse.

-Massí, massí, capirai…per un goccetto di birra, e che sará mai- borbottó lui che era troppo impegnato a leggere e non aveva ascoltato la battuta del portiere.

-Che vi porto, ragazzi?- Squittì una cameriera i cui capelli erano talmente biondi da sembrare bianchi, arrivando dal nulla e facendo sobbalzare i tre che erano immersi in una fitta discussione per decidere che cosa prendere.

-Ordiniamo solo per noi?- Fece Kaltz, indeciso.

-Si capisce genio, come sappiamo i gusti dei musi gialli? Magari con un sorso di birra quelli vanno k.o., o si mettono a svomitazzare per tutto il locale…- replicó il Kaiser, facendo una faccia insofferente davanti all’ottusitá dell’amico.

-Fai poco lo splendido, che anche noi abbiamo la birra, e lo sai- puntualizzó Genzō piccato, pensando che tuttavia era vero che i suoi compagni non reggevano molto qualsiasi tipo di alcolico, almeno stando ai ricordi che aveva dell’ultimo tragico festino a cui aveva partecipato in Giappone. La triste serata era finita con Matsuyama riverso sul tavolo a blaterare assurdità con la bava alla bocca, Ishizaki che per poco non si metteva a ballare nudo, Kojirō che attaccava briga con innocenti lampioni sferrando fendenti, Misaki che mandava baci di qua e di appollaiandosi alla schiena di chiunque gli capitasse a tiro mentre rideva come un malato di mente, i gemelli che facevano le prove per la catapulta infernale lanciandosi addosso agli astanti, insomma, gli unici che ricordava completamente sobri e che alla fine si erano ritrovati a fare le infermierine erano Misugi, che tanto non poteva bere, e Tsubasa, che per dare il buon esempio non aveva voluto toccare nulla. E lui…, lui si era ubriacato un po’, ma solo un po’, e poi aveva bevuto molto piú degli altri senza andare fuori di testa. E di questo c’era di che andarne fieri, si disse risoluto.

Comunque no, non credo che apprezzerebbero la birra di qui.- Concesse infine, pensando che fosse meglio per loro se quei pazzoidi dei suoi connazionali non gli facevano fare delle figure barbine. Aveva una reputazione da difendere, lui!

Tuttavia, in barba ai buoni propositi del Kaiser che avrebbe voluto mettere un paletto al consumo di alcolici per quella sera, alla fine il loro tavolo venne invaso da tre boccali di birra da un litro e mezzo l’uno (per Genzō e Kaltz) e da un paio di lattine di Coca-Cola (per lo stoico Schneider che quando diceva NO era veramente NO.)

 

Ore nove e un quarto, primo messaggino di Tsubasa: “tra un po' siamo , scusa per il ritardo.”

Ore nove e venticinque, secondo messaggino: “siamo quasi arrivati”.

Genzō rispose scrivendogli “non c’è bisogno che mi informi ogni dieci minuti, non ti stavo dando per disperso”.
Seguí
il silenzio stampa.

 

Verso le dieci meno un quarto si era ormai costretti ad urlarsi nelle orecchie per capirsi, visto che il volume della musica di sottofondo del locale era stato alzato notevolmente, come pure l’atmosfera al tavolo del trio, riscaldata dalla birra che iniziava ad entrare in circolo.

-Senti portiere mezzasega, ma a che ora hai detto che dovevano arrivare i tuoi amici?- Fece uno Schneider completamente sobrio a differenza degli altri due, che iniziavano a dare segni di instabilitá mentale, mentre buttava un occhio all’orologio tra un sorso di Coca e l’altro.

-Mhm, alle nove, se non ricordo male…- bofonchió il portiere mezzasega staccando il boccale di birra dalle labbra per rispondergli.

-Ebbene, sono quasi le dieci, non ti sembra il caso di sentire che fine hanno fatto?- Continuó lui saggiamente, muovendo una mano su e giú davanti agli occhi di Kaltz mentre si chiedeva se non fosse il caso di confiscargli il resto della birra, visto il sorriso ebete che aveva stampato in faccia e lo stato catatonico in cui sembrava caduto, dopo che aveva continuato imperterrito a sparare cazzate a raffica fino ad un attimo prima.

-Naaah, Tsubasa è in gamba, ce la fará.- Taglió corto lui, impigrito dalla birra al punto che tirare fuori il cellulare e mettersi a cercare nella rubrica il suo numero gli sembrava un’impresa titanica.

-Fá come vuoi…dopotutto sono i tuoi amici, non i miei- concluse, facendo spallucce.

Genzō sbuffó rumorosamente e fu costretto ad ammettere a sé stesso che il Kaiser quella volta aveva ragione, per cui infiló una mano in tasca per ripescare il cellulare e chiamare quel deficiente che, evidentemente, si era perso nei meandri di Amburgo.

-Chi chiami?- Chiese un redivivo Kaltz, destandosi improvvisamente dalla catalessi.

-Quella piattola di Tsubasa. Non ce la possono proprio fare, sono in ritardo di un’ora…sono degli autentici casi clinici- mugugnó lui stropicciandosi la faccia per cercare di darsi un tono e conferire almeno alla sua voce una parvenza di normalitá, mentre aspettava che dall’altra parte della linea qualcuno rispondesse.

-Wakabayashi? Stiamo arrivando, non preoccuparti- disse la voce tranquilla del suo ex-capitano, dopo pochi istanti di attesa. – Scusa se non ti abbiamo piú avvertito, ma ci sono stati dei contrattempi. Abbiamo avuto un piccolo…problema tecnico, per cosí dire.-

-Vabbé, ammettilo che vi siete persi- fece Genzō, sorridendo sornione mentre immaginava che doveva essere proprio lo stesso Tsubasa il contrattempo di cui parlava, dato che probabilmente nella sua ottusa testardaggine si era rifiutato di chiedere aiuto a qualcuno -…e che io nella mia infinita magnanimitá ve l’avevo pure offerta, una mano.-

-Non osare provare a rinfacciarmelo- rise l’altro –e comunque almeno intanto abbiamo avuto l’occasione di visitare un po’ la cittá, non è stato tutto tempo sprecato! Tra dieci minuti saremo , porta pazienza. Non sarai mica tutto solo soletto al locale, vero?-

-No, ho due grulli che mi tengono compagnia. Oltre chiaramente a un bel boccale di birra.-

-Perfetto, allora sei in buone mani. A dopo!- E detto questo Tsubasa interruppe la conversazione.

Genzō ripose il cellulare nella tasca dei jeans sospirando, e aggiornó i due “grulli” sulla situazione. Schneider scosse la testa borbottando qualcosa circa la stupiditá di certa gente e Kaltz scoppió in una fragorosa risata ad immaginare i quattordici allocchi nipponici che vagavano senza una meta per Amburgo.

Ad un certo punto Stecchino, togliendosi il sorriso beota dalle labbra, disse con tono solenne e una serietà davvero inusuale per lui: -Sai…c’è una cosa che mi tengo dentro da un po'. E’ giusto che tu ora lo sappia, poi stará a te prendere una decisione in merito. Ma ti prego di ascoltarmi senza interrompermi.-

Genzō fissó accigliato il volto dell’amico che, con un’espressione serissima, si stava avvicinando pericolosamente al suo, infrangendo il limite dei 10 centimetri minimi di distanza. Poi, dopo attimi di silenzio carichi di tensione in cui il portiere meditó seriamente di tirargli un pugno sui denti, Hermann ruppe il pathos che si era creato cacciandogli un rutto da guinness in faccia.

-Oddio, mi hai fatto prendere un colpo, ma quanto sei fesso- esclamó Genzō mettendosi una mano sul cuore a sottolineare la frase –per un attimo ho temuto che volessi baciarmi, ho davvero sudato freddo.-

-Baciarti? Ma quando mai, il nostro è un amore platonico, stellina!- Lo canzonó lui soddisfatto per la bella prestazione, che gli era valsa un plauso da Schneider.

-Ok, l’hai voluto tu. Non posso farti diventare biondo con un rutto dato che per tua fortuna lo sei giá, ma almeno proveró a farti qualche meches. Che colore preferisci, scimmia?-

Genzō ridacchiando si riattaccó al boccale per bere alla goccia la poca birra rimasta e, non contento, afferró una delle lattine di Coca del Kaiser bevendone un paio di sorsate, ben deciso a rendergli la pariglia. Non era certo avvezzo alle competizioni a suon di rutti, nessuno dei suoi amici in Giappone si sarebbe mai sognato di fare una cosa simile, ma di sicuro non voleva subire quell’onta in silenzio. Era giunto il momento di darsi da fare.

 

Il destino volle che, proprio mentre si concentrava per esprimersi al meglio in ruttese, affascinante e mistico idioma compreso in tutto il mondo, la Nazionale giapponese facesse il suo ingresso nel locale, e che la musica che era sempre stata a palla fino a quel momento fosse sostituita da un breve ma fatale silenzio mentre il gestore cambiava il cd. E, neanche a dirlo, lui non se ne accorse minimamente se non dopo aver giá cantato il suo poema direttamente nell’orecchio di un recalcitrante Kaltz che aveva cercato invano di scrollarselo di dosso, quando cioè ormai l’aveva giá visto (o per meglio dire, sentito) sia la squadra al gran completo, sia i due terzi del locale.

 

-Buonasera anche a te, Wakabayashi! Ma che bella voce baritonale, non me la ricordavo mica cosí quando eri in Giappone!- Fece Ishizaki sghignazzando senza ritegno, mentre metá dei suoi compagni si rotolava e l’altra metá scuoteva la testa, costernata.

Genzō per poco non cadde dal divanetto e si voltó a guardarli con gli occhi sgranati, notando solo in quel momento che la musica era appena ripartita. Ergo, l’avevano sentito tutti i presenti.

Giappone-Germania 1 a 0, che figura di merdapensó nella sua testa, mentre si ricomponeva e si alzava per salutarli e presentarli a Kaltz e Schneider, che se la ridevano della grossa.

-Notevole, un benvenuto che entrerá negli annali della storia, senza dubbio…- stava cercando di dire Stecchino fra le risate, quasi con le lacrime agli occhi, mentre il Kaiser si passava una mano sulla faccia e con un sorrisetto sarcastico commentava –Un vero esperto nella raffinata arte dell’accoglienza…Wakabayashi, ma sei sicuro di essere giapponese? Non eravate noti per i modi gentili e la compostezza?-

Genzō li fulminó con uno sguardo e li fanculizzó in tedesco,  poi passó di malavoglia a fare le presentazioni. No, decisamente la serata non cominciava al meglio, ma almeno –cosí gli parve- Kojirō non sembrava essere tra i presenti.

 

 

 

NOTE:

 

 

*Non fatevi ingannare dal nome apparentemente nostrano: il Bar Rossi è un pub realmente esistente allocato a Sternschanze, ovvero il quartiere giovane e “trendy” (Dio solo sa quanto odio questa parola, ma tant’è) di Amburgo.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Al peggio non c'è mai fine. ***


Siamo cosí giunti al terzo capitolo di questa mia fic mediocre e senza pretese (ci tengo a ribadirlo nel caso qualcuno se lo dimentichi).

La serata della vergogna procede in quel di Amburgo. Quali altre atroci umiliazioni attendono i nostri eroi? Ma allora è vero che non c’è mai fine al peggio? E soprattutto, la giá vacillante dignità del buon S.G.G.K. (ribattezzato in un’azzeccatissima battuta della sempre brillante SilenSuper Great Goal Burper”) riuscirá a mantenersi integra? E Kojirō, davvero non sará presente per dare man forte allo scempio?

Ma soprattutto, il dubbio che attanaglia le menti di intere generazioni di fan di Capitan Tsubasa: Tarō Misaki è veramente gay?

Lo scoprirete solo leggendo, e grazie a tutti coloro che mi hanno lasciato (o che lasceranno, speriamo^^;) un commentino.

 

 

 

 

CAPITOLO 2 – Al peggio non c’è mai fine.

 

 

 

 

Ecco, magnifico. Adesso che gli giravano a mille e lo scazzo stava per raggiungere proporzioni bibliche.

La Nazionale giapponese si accomodó nei posti vuoti accanto al trio dei pagliacci,  fra cui ne spiccava uno in particolare che credeva di aver giá toccato il fondo, ed avendone abbastanza di quella situazione aveva elaborato celermente un piano. E fortuna che non avrebbe dovuto sopportare le prese per il culo di quegli sfigati troppo a lungo, perché sarebbero ripartiti per il Giappone a Campionato terminato, anche se era sicuro che la sua performance non sarebbe mai caduta definitivamente nell’oblio. Non esisteva proprio, se lui aveva fatto quella figura squallida almeno non doveva essere l’unico, avrebbe fatto in modo di trascinare quei perdenti giú con sé. Infatti, la diabolica strategia che aveva in mente per riscattarsi  consisteva, manco a dirlo, nel far ubriacare TUTTI (tranne Misugi che non voleva avere sulla coscienza in caso di decesso), e l’obiettivo principale era far capitolare il virtuoso capitano della Nazionale astemio e salutista convinto, tanto per gli altri tredici babbei dalla testa vuota non c’era problema, era quasi certo che ci avrebbero pensato da soli ad imbottirsi d’alcool.

E comunque no, grazie a Dio Kojirō la Nullitá non si era presentato, si disse sollevato. Lungi da lui chiedere a qualcuno il perché, non gliene poteva fregare di meno.

 

Il primo a notare i boccali di birra vuoti sul tavolo e le varie sfumature di rosso ciliegia che tingevano le guance dei componenti del trio guardacaso fu Misugi, che si sentí la schiena percorsa da un brivido sinistro.

-Vi sembra il modo migliore per festeggiare la vostra vittoria? Con un festino alcolico?- Disse alzando un sopracciglio, preoccupato per la piega che gli eventi rischiavano di prendere.

-Eccome- Bofonchió Genzō, scuotendo la mano come se dovesse scacciare una mosca fastidiosa –voi invece di solito per cosa bevete? Per dimenticare le sconfitte?-

Jun serró la mascella e si impose di contare minimo fino a trenta prima di riaprirla, altrimenti l’avrebbe mandato a quel paese.

-Lascialo perdere Misugi, ormai questo se la fa col nemico…- Intervenne Matsuyama, aggiungendo subito dopo –piantala di tirartela tanto e sappi che dopo il tuo autogoal epico abbiamo deciso di graziarti, Wakabayashi…nessuno di noi ti gonfierá di botte stasera, ci hai giá pensato tu stesso ad infamarti come si deve, di piú non potevamo sperare!- La squadra annuí convinta ridacchiando e a Genzō non restó di meglio da fare che mostrare a tutti il dito medio.

-Si è giá fatto sfottere da questi minchioni appena arrivati, che ridere…- sghignazzó Kaltz che, sebbene non avesse inteso una parola, aveva afferrato benissimo il senso dell’eloquente gesto del portiere.

-Ma taci, scimmia ignorante e sbevazzona! Che cosa vuoi saperne di quello che mi hanno detto, rompicoglioni- e accompagnó l’epiteto al solito manrovescio sulla nuca del difensore che non si scompose minimamente, abituato com’era alle sue manifestazioni d’affetto.

 

La tavolata si divise quasi automaticamente in due fazioni, quella dei bevitori e quella dei non bevitori. Quest’ultima aveva come unici membri Tsubasa e Misugi, ma in teoria vi sarebbe dovuto far parte anche Schneider, che peró aveva ovviamente preferito restare con i due terzi del trio Medusa*. Misaki sembrava riluttante ad unirsi sia all’una sia all’altra fazione, ma infine decise senza troppa convinzione di aggregarsi a quella di Tsubasa.

-Diamo il via alle danze, ragazze- cinguettó Ishizaki dopo che gli immensi boccali che avevano ordinato erano giunti al loro tavolo e tutti, anche quelli che non l’avevano chiesto, si erano ritrovati davanti due litri di fresca birra schiumante 100% made in Germany. Gli sguardi allarmati di Tsubasa e Misugi si incrociarono, intuendo che se non avessero fatto qualcosa per far contenere i ragazzi sarebbe stato lo sfacelo totale della Generazione d’Oro del calcio giapponese.

 

Misaki fissava il boccale che aveva davanti con aria corrucciata. Bere o non bere? Essere o non essere ubriaco? Questo era il dilemma esistenziale che lo tormentava e a cui non riusciva a dare una risposta. Memore dell’ultimo festino alcolico della Nazionale, in cui si era guadagnato il soprannome di “zecca” per la sua straordinaria capacitá di incollarsi letteralmente alla schiena di poveri malcapitati mentre cercava di avventarsi sul loro collo per fare succhiotti (…particolare che aveva praticamente confermato anche un’altra ben piú nota diceria su di lui), in teoria non avrebbe dovuto assolutamente neanche bagnarsi le labbra, per cui l’argomento “alcool” avrebbe dovuto essere fuori discussione. Ma com’è che si diceva, chi non beve in compagnia…la veritá era che a Tarō l’alcool non dispiaceva affatto, anzi. Era un bevitore eccezionale, un’autentica spugna, in quanto a velocitá nel trangugiare liquidi non era secondo a nessuno. Peccato solo che il suo fisico entrasse in sciopero e si rifiutasse di metabolizzare anche il piú piccolo sorso di bevanda alcolica, fosse anche a bassissima gradazione.

Tsubasa gli diede di gomito riportandolo alla realtá e gli sibiló, vedendolo incantato ad osservare il boccale quasi in uno stato di trance:- Tu non reggi neanche un boero, Tarō. Non pensarci nemmeno.-

-Lo so, ma mi fa cosí gola.-

-Falla finita, non dovresti neanche vederli in fotografia, gli alcolici- lo ammoní in tono perentorio, mentre si portava istintivamente una mano sul collo, memore del grave rischio che aveva corso durante quell’ultimo famigerato festino. Per una frazione di secondo si rivide assediato da Misaki che gli si era abbarbicato sulla schiena e, cogliendolo di sorpresa, era quasi riuscito a conquistare un lembo del suo preziosissimo collo per fargli un succhiotto in piena regola. Rabbrividì al solo pensiero.

-Mi si drizzano i peli sulla nuca a pensare a come ti trasformi quando sei ubriaco. Se sei veramente mio amico, NON-BERE.- Il suo tono non dava spazio a repliche, e a Tarō scappó un sospiro.

-Ma io sono tuo amico- disse lui lagnoso- peró scusa, quando mai mi ricapiterá di assaggiare la birra tedesca? E’ un’occasione piú unica che rara…ne assaggio solo un po’, va bene? Meno di metá.- A quella promessa supplicante il capitano alzó gli occhi al cielo e sbuffó sonoramente. Tarō sapeva essere veramente molesto quando si incaponiva su qualcosa, e quella sera non si sentiva dell’umore adatto per sopportare i suoi pallosissimi piagnistei.

-E sia, rompipalle. Ti concedo di berne meno di metá, intesi? E centellinala, perché piú di cosí non ne avrai.-

-Puoi contarci.- Il volto del numero undici si illuminó,  galvanizzato da quella notizia.

Misugi, che era seduto all’altro lato di Tsubasa e stava sorseggiando la sua tristissima Diet Coke, gli diede di gomito bisbigliando: -Sei sicuro di aver fatto bene a permetterglielo? Sappi che se stavolta cercherá di violentarti nessuno verrá in tuo aiuto.- Tsubasa non rispose e si limitó a trarre un profondo sospiro scuotendo la testa, mentre si massaggiava le tempie. Poi si voltó di nuovo verso Tarō.

Per quanti minuti aveva parlato con Jun? Mezzo, uno al massimo? Ebbene, in quel ridicolo lasso di tempo in cui si era distratto, l’altra metá della Golden Combi era quasi arrivata a fine boccale.

-Testa di cazzo…- sibiló il capitano strappandoglielo dalle mani  –ma parlo arabo?-

Misaki lo guardó con la vista giá un po’ annebbiata, poi si tiró una manata sulla fronte e con aria innocente disse: -Ops…mi sono fatto prendere la mano come al solito, scusami tanto.-

-Ti sei fatto prendere la mano ‘sto cazzo! Che è, diventi incapace di intendere e di volere davanti all’alcool?- Strepitó inviperito, poi vedendo che Tarō l’aveva platealmente ignorato e si stava giá allungando verso il boccale di Matsuyama seduto accanto a lui, alzó le mani in segno di resa esclamando: -E va bene, non sono la tua balia. Arrangiati, sei una boccia persa!- Misaki non proferí verbo, era troppo occupato a bere la birra di un ignaro Hikaru intento a parlare con Wakashimazu (che si era sistemato ben lontano da Genzō) e Tsubasa, stizzito dal sommo menefreghismo del suo presunto migliore amico, giocó l’ultima carta, dicendo serissimo la frase ad effetto –e adesso so quanto valgono le tue promesse.- Se non rinsaviva con questo, pensó, avrebbe lasciato perdere.

La mezza Golden Combi lo guardó e fece spallucce, emettendo un piccolo rutto.

Tsubasa, facendo appello alla sua grande volontá, represse l’impulso di strozzarlo.

 

Nel frattempo, dalla fazione bevitori, Genzō non si era perso neanche un nanosecondo dello pseudo-litigio della Coppia d’Oro, scrutandoli da sotto la sua visiera provvidenzialmente calata sugli occhi. Bene, pensó, meno uno, e lui non aveva neanche dovuto muovere un dito. Piú grassa di cosí non poteva andargli. Adesso restava solo da far capitolare l’osso duro, poi poteva anche ritenere compiuta la sua missione.

In nemmeno un quarto d’ora Tarō si era tracannato quasi due litri di birra e si era giá preso una sberla da un indignato  Matsuyama, accortosi che gliene aveva fregata mezzo boccale abbondante, e poi (forse sperando che lo picchiasse ancora, si disse Genzō che aveva sempre sospettato che la sua aria da santarellino nascondesse in realtà una specie di erotomane sadomasochista) gli si era nuovamente attaccato al braccio miagolando per convincerlo a lasciargliene un altro pochino. -Senti, ma quel tipo che fa le fusa laggiú…- fece Kaltz indicandolo -…non sará un po’ gay?-

-Solo un po’?- Rispose il portiere, sardonico. Quel quesito serpeggiava da tempo immemore all’interno della Nazionale, ma dal momento che Misaki non aveva mai fatto outing, non lo si poteva dire con certezza…fatto sta che il dubbio si insinuava puntualmente in tutti quelli che lo conoscevano. Hermann, facendo il buffone come d’abitudine, fece l’occhiolino e mandó un bacio a Tarō che aveva incrociato il suo sguardo. Non l’avesse mai fatto.

Sfoderando riflessi felini davvero inaspettati date le sue condizioni precarie, in un attimo Misaki scavalcó i compagni seduti vicino a lui e si precipitó fra le sue braccia, implorando un di birra dato che “quello stronzo di Matsuyama non me ne piú”. Kaltz, nauseato, lo buttó letteralmente addosso a Genzō che si scansó appena in tempo. Non aveva neanche finito di fanculizzare l’amico per la bella trovata che la zecca era riemersa e si era sistemata fra loro due, impossessandosi del primo boccale che si era trovato davanti.

-Non mi dirai che avete fatto bere un astemio…- fece Schneider, che si era coperto gli occhi con una mano di fronte alla patetica scenetta di poco prima, dissociandosi completamente.

-Macché astemio, questo imbecille adora bere anche se non regge l’alcool e non sa fermarsi quando inizia- rispose esasperato il portiere tirando uno scappellotto sulla testa del povero numero undici, che finí col viso immerso dentro il boccale da cui stava bevendo.

-E mi raccomando, voi non fatelo smettere, eh…- continuó il Kaiser, stranamente pervaso dalla pietá.

-Cos’è, ti fa compassione? Piglia, se lo vuoi te lo regalo!- Esclamó Genzō, afferrando Misaki per la maglia e minacciando di gettarglielo addosso. Fortunatamente, con un sospiro di sollievo del Triumvirato dei Fessi ma con una smorfia di scazzo di Tsubasa a cui non mancava affatto, la mezza Golden Combi li oltrepassó goffamente incespicando un paio di volte sui piedi prima di Kaltz poi di Schneider, per tornare a raggiungere l’altra sua metá, ormai stufo di sentire chiacchiere in una lingua assurda che non capiva. Messo com’era comprendeva a stento il giapponese, figuriamoci il tedesco.

-Ne faccio a meno di un souvenir simile dal Giappone…piuttosto, chiedi a Kaltz se lo vuole, che prima mi sembrava avessero un certo feeling...- il Kaiser si interruppe per schivare lo sganassone di Stecchino, poi riprese -…mi sa che hai un rivale Wakabayashi, io starei attento se fossi in te.-

Genzō lo spernacchió senza prestargli troppa attenzione mentre si toglieva il cappello per far circolare un d’aria, passandosi una mano tra la chioma corvina perennemente arruffata. La temperatura all’interno del locale doveva essersi alzata, oppure, piú probabile, era l’effetto della birra. Inizió a lambiccarsi il cervello alla ricerca di un sistema per far cedere Tsubasa, che coraggiosamente non aveva ancora toccato nulla; non gli era certo sfuggito, peró, che il suo sguardo indugiasse sempre piú a lungo sul boccale, evidentemente stava iniziando a farci un pensierino. Doveva solo dargli una spintarella  e sarebbe precipitato giú nel baratro. Senz’altro l’impresa non sarebbe stata piú ardua che far ubriacare Schneider, con lui aveva rinunciato fin da subito; il suo ex-capitano, invece, alla fine era un sempliciotto e con un di astuzia lo si poteva rigirare a piacimento.

Decise di entrare in azione con la tattica piú ovvia, che solitamente era anche la piú efficace.

 

-Dai Tsubasa, prova questa birra, è spettacolare…ah, come la fanno qui non la fanno da nessun’altra parte!- Esclamó il portiere, viscido come una serpe, mentre allungava a Tsubasa il boccale dal quale aveva appena finito di tracannare avidamente.

-No Tsubasa, almeno tu, non puoi farmi questo…- piagnucoló Jun con le mani nei capelli mentre osservava atterrito l’amico che senza fare troppi complimenti assaggiava con cautela un sorsino di birra. Non voleva neanche pensare all’eventualitá di restare l’unico sobrio in mezzo a sedici alcolisti per nulla anonimi. Per l’appunto, aveva notato che qualcuno all’interno del locale li aveva riconosciuti, sia loro che i due tedeschi, e si stava levando un brusio che non prometteva nulla di buono. Ci mancava solo che qualche fan venisse a chiedere autografi proprio mentre erano talmente fuori da non riuscire a connettere neanche quel tanto che bastava per reggere la penna in mano. Non sarebbero passati inosservati per molto, questo era certo, e prima o poi l’allenatore lo sarebbe venuto a sapere, e allora che sarebbero stati cazzi amari…ah giá, anche Schneider sembrava completamente lucido perché si stava drogando solo di Coca-Cola, ma tanto, si disse sconsolato, il suo livello di interazione con il bel biondino rasentava lo zero, dal momento che le uniche parole che sapeva dire in tedesco erano “Danke” e “Guten Tag”, vocaboli indubbiamente insufficienti ad intavolare un qualunque tipo di discussione. E non credeva proprio che Genzō si fosse preso la briga di insegnargli qualche rudimento di giapponese durante il suo soggiorno.

 

Mentre Misugi si perdeva nelle sue congetture appoggiato con la fronte sul tavolo maledicendosi perché aveva accettato di esserci, “l’astemio salutista convinto” Tsubasa, dopo aver declamato -mmmh hai proprio ragione Wakabayashi, è davvero squisita- si era letteralmente attaccato al boccale, interrompendosi solo per domandargli -ma non è troppo alcolica, vero?-

Al che il portiere, con un ghigno che definire allegorico era poco, rispose in tono mielato –ma certo Tsubasa, è una pils, non si è mai ubriacato nessuno per una pils, vai tranquillo!- Se solo avesse saputo che quella che stava bevendo, non solo lui ma tutti gli altri, era in realtà una potentissima Doppelbock, un tipo di birra tedesco altrimenti noto come “birra da sbronza”…il sapore non era cosí buono come quello delle pils, ma era solo questione di farci l’abitudine e dopo un paio di sorsi diventava un piacere farsela scivolare giú per il gargarozzo. Genzō si ricordó che la prima volta che i due scimuniti gliel’avevano fatta assaggiare non aveva voluto saperne, dicendo che non riusciva a mandarla giú, e poi aveva finito col prendersi una vergognosa sbornia da paura; in effetti il fatto che Tsubasa l’avesse gradita fin da subito lo portó a chiedersi se non celasse un lato sopito da alcolista latente. E comunque, era consapevole di essere in una botte di ferro, i compagni non avrebbero mai potuto scoprire la sua colossale menzogna perché nessuno di loro ne sapeva una sega di birre, probabilmente l’unica che avevano bevuto in tutta la loro esistenza era soltanto la Asahi, che era acqua fresca rispetto a quella che stavano buttando giú in quel momento.

 

Come avesse potuto lasciarsi convincere rimaneva un mistero anche per lui, fatto sta che, dopo aver fatto tanto il moralista con Tarō, rischiava di fare una figura ben peggiore.

Non si riconosceva piú, dove erano finiti la sua integrità ed il suo equilibrio?

Chissenepensó “finisco sempre per fare la bambinaia di tutti. Eppoi ne bevo solo un goccetto, giusto per sentire che sapore ha. Per una volta non sará mica la fine del mondo. ”

 

“Ostia, beve come una spugna” pensó Genzō fissandolo con gli occhi a palla “…e chi se lo sarebbe mai aspettato?” Mentre si sfregava le mani dalla soddisfazione, una smorfia di auto-compiacimento gli si dipinse sul viso e la cosa non passó inosservata agli occhi di Misugi, che era tutto fuorché cretino. Al sesto –va bene, solo questo sorso e poi basta, lo giuro- di Tsubasa che continuava a dribblare i suoi ammonimenti, si alzó sbuffando dal suo posto scavalcando i vicini e raggiunse il portiere, sibilandogli: -Senti un po’, credi che io sia scemo?- Al che Genzō lo guardó con un’espressione angelica dicendo –visto che sei l’unico che non si sta divertendo, , forse un tantino lo sei. Ah no aspetta, c’è anche quest’altro coglione qua- e terminó la frase in tedesco per farsi capire da Schneider che rispose, mostrandogli il dito medio –Non raccolgo le provocazioni di un ubriacone, io.-

-Forse sono io o forse sará la compagnia a non essere delle migliori, e comunque non prendermi per il culo, lo sai benissimo che NON posso bere- riprese stizzito Jun, ormai sull’orlo di un travaso di bile. –Ti chiedo solo per favore di dirmi che cavolo hai dato agli altri, con mezzo boccale a testa sembrano giá tutti vicini alla sbronza, e vabbé che sono boccali da due litri- osservó dando una fugace occhiata al capitano che aveva quasi tracannato tutto il suo –peró quella non è birra pils, vero?- Genzō, che per nulla al mondo avrebbe rivelato il suo segreto, sbatté piú volte le palpebre mentre alzava il boccale e disse con la faccia piú serafica che riusciva a fare, mezzo ubriaco com’era:

-Se non puoi bere non è un mio problema, e poi certo che è birra pils, per chi mi hai preso? Ci tengo ai miei amici, io!- Si poggió il bicchiere alle labbra e bevve un sorso socchiudendo gli occhi, e forse per questo non vide che qualcuno gli si stava avvicinando minaccioso. Proprio mentre la birra iniziava a scendergli lenta e rinfrescante giú per la gola e sembrava prossimo ad uno stato di beatificazione e di pace dei sensi, la misteriosa figura gli sferró una gomitata dritta dritta nelle costole che per poco non gli fece andare tutto di traverso.

 

-Ooooh, habemus Koji?- Proruppe un Wakashimazu dal volto trasfigurato ormai quasi del tutto andato, riconoscendo il suo grande amico che aveva fatto un ingresso trionfale ed inconfondibile.

-Hyūga!! Sei venuto allora!!- Strepitó Tsubasa con una voce stridula piú alta di un paio di ottave, subito imitato da Misaki che gli aveva messo un braccio intorno al collo e stava agitando il suo boccale per salutarlo, annaffiando di birra chi gli stava seduto di fianco e di fronte. Peccato che di fronte avesse il belligerante Jitō, che gli bloccó saldamente il polso minacciando di spezzarglielo come un Kit-Kat se non la faceva finita. Le sue sbronze erano sempre rissose, e conveniva stargli alla larga in quei frangenti, o quantomeno non farlo incazzare piú del dovuto. Il poverino, sebbene piú brillo che sobrio, intuí che non fosse il caso di mettersi contro quell’energumeno e giuró piagnucolando che l’avrebbe piantata.

-Sono venuto a vedere se il portinaio si stesse rendendo ridicolo, e mi sa che non sono passato per niente…- sghignazzó Kojirō sfoggiando il suo tipico sorriso sghembo da sfottó, notando che peró c’erano anche altri che si stavano facendo compatire, in primis Tsubasa che cercava di intonare le note di una canzone enka* a dir poco deprimente, allacciato a Tarō che rideva come un mentecatto cercando di stargli dietro. Che pena, pensó coprendosi gli occhi con una mano.

Tempo di riprendersi dal cazzotto che Genzō schizzó in piedi incazzoso come non mai, trovandosi faccia a faccia con il suo eterno nemico. Peccato solo che la mossa fosse stata un po' troppo rapida per i suoi sensi obnubilati, portandolo a barcollare e a sbilanciarsi per poi cadere rovinosamente addosso a Kaltz che, ormai giá al suo terzo boccale e piú di che di qua, gli cinse il collo stampandogli un bacio sulla guancia. Quella visione doveva aver completamente risvegliato la squadra nelle cui vene circolava ormai piú alcool che sangue, perché in quel momento spuntarono chissà da dove quattordici cellulari quattordici che scattarono la foto praticamente in sincrono, mentre quel beota di Hermann si metteva pure in posa facendo il segno della vittoria con due dita.

-Ahpperó, ti sei fatto la ragazza eh, Wakabayashi?- Esplose Kojirō con una fragorosa risata, subito imitato da tutto il gruppo –in Giappone non ti si filava nessuna e adesso capisco perché, ma vedo che almeno qui ti sei riscattato e fai strage di belle donzelle!-

Genzō, che per poco non si ficcava due dita in gola, raccogliendo le ultime forze si divincoló dalla presa del numero otto dell’Amburgo e fece partire una scarica di legnate sulla sua testa che, se non fossero servite a farlo riprendere dalla sbornia, forse sarebbero bastate almeno a mandarlo in coma, liberando finalmente il festino dalla sua nefasta presenza.

Perfetto, e con questo aveva totalizzato una bella doppietta. L’aveva detto sin dall’inizio, che quella serata era partita male, e questa ne era l’ennesima riconferma. Valutó seriamente l’ipotesi di alzare i tacchi e di mandarli tutti a cagare.

 

 

 

 

 

NOTE:

 

*, se non conoscete il Trio Medusa vergognatevi e googlizzate cospargendovi il capo di cenere.

 

*L’ Enka (演歌) è un genere di musica tradizionale giapponese.
E’ molto caratteristico, ed è apprezzato soprattutto da persone di una certa etá, ma non si puó certo dire che manchino gli estimatori fra i giovani. La melodia è di solito abbastanza lenta e i testi non fanno riferimento alle gioie dell'amore,  bensí al  suo lato negativo e struggente, al dolore del distacco e alla lontananza. Insomma, in generale sono piuttosto avvilenti, anzi alcune sono proprio da taglio delle vene, almeno per me. Le parole che comunemente appaiono nelle canzoni enka sono uomo, donna, lacrime, mare, porto, neve, pioggia, etc.

Per fare un paragone forse piú comprensibile, il genere potrebbe essere circa l’equivalente di canzoni popolari italiane un nostalgiche come ad esempio “Romagna Mia”, la prima che mi viene in mente visto che è della mia zona, ma che comunque è mooolto piú orecchiabile e allegra di una vera canzone enka^^;

 

 

 

 

 

E anche questo capitolo demenziale è andato. Mi sono dopata di M&m’s per  trovare la forza di finirlo senza che la stanchezza si impadronisse del mio corpo e devo ancora far interagire il trio con un sacco di personaggi, quindi la mia “opera” è tutto meno che completa; sono in periodo esami ma GUARDACASO mi sento particolarmente ispirata, va sempre a finire cosí. Piú ho da fare piú il mio cervello sforna idee o pseudo-tali, salvo poi dovermi fare il mazzo per riuscire a realizzare tutto destreggiandomi fra i tanti impegni. E vabbé che nessuno me lo fa fare di scrivere fanfic del cazzo come questa, ma si sa com’è in questi casi, quando l’ispirazione chiama io rispondo…meno male che  posso contare sui miei fidi M&m’s e sugli Smarties, che sono la mia ancora di salvezza.

Il mio cervello pompato dagli zuccheri ringrazia, le mie arterie pompate dai grassi dei suddetti snack un po’ meno.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - L'ingrediente segreto. ***


Ridendo e scherzando, siamo arrivati al quarto (OMG) capitolo di questa mia fic mediocre e senza pretese. Mai avrei pensato di farla durare cosí a lungo, e il punto è che ci sto prendendo gusto e per il momento non ho proprio nessuna intenzione di concluderla, anche perché non so ancora come xD

Anzi, a dir la veritá non so neanche quello che succederá nel prossimo capitolo…^^;

 

Il festino continua, e con l'ingresso di Kojirō la vicenda si arricchisce di nuovi e mirabolanti colpi di scena, come no. Vi avviso subito che il finale sará un po’ schifoso, in senso letterale, non mangiate o bevete nulla mentre leggete, mi raccomando.

 

Rinnovo la mia imperitura gratitudine a tutti quelli che continuano a commentare. Non potete neanche immaginare quanto la cosa mi faccia piacere, ogni volta che vedo il numerino delle recensioni aumentare salto dalla sedia per la contentezza xD

 

 

 

 

CAPITOLO 3 – L’ingrediente segreto.

 

 

 

 

Kojirō era deliziato. Un ridacchiante Matsuyama mezzo brillo, cercando di non farsi vedere da Genzō ancora in pieno litigio/scazzottata con Hermann, gli aveva raccontato dell’altra figura da chiodi di cui il portiere si era reso protagonista e a cui purtroppo lui non aveva assistito.

-Ma bene, vedo che non ci facciamo mancare niente!- Esclamó a voce volutamente troppo alta, apposta per farsi sentire anche da quel citrullo che, come previsto, drizzó prontamente le antenne, interruppe la punizione di Stecchino e gli chiese, digrignando i denti con gli occhi fiammeggianti d’ira: -Che vorresti dire, deficiente?-

-Non ci arrivi? Allora sei proprio tarato.- Fece l’attaccante senza aggiungere altro, lanciandogli uno sguardo di commiserazione mentre scuoteva la testa, sogghignando.

-Ma vai a dar via il culo, ci mancavi solo tu stasera a rompere i coglioni!- Esplose l’altro che invece ci era arrivato eccome, senza risparmiarsi sul fraseggio particolarmente fine e ricercato. Era davvero troppo per lui che, complici i fiumi di birra in circolo nelle vene, aveva perso giá da un pezzo il suo proverbiale self-control. Quel dannato era l’ultima persona che aveva voglia di sentir blaterare.

Battendo le mani, Kojirō disse –complimenti per la parafrasi, eh…ma che vocabolario forbito che hai, da vero signore!- Genzō si sentí salire il sangue alla testa.

Come sapeva urtargli lui il sistema nervoso non lo sapeva fare nessuno, e se Schneider non fosse intervenuto a placcarlo afferrandolo saldamente per le spalle, gli sarebbe saltato alla gola finendo per passare probabilmente dalla parte del torto, visto che Kojirō si era mantenuto piuttosto controllato fino a quel momento. Senza contare che lui era piuttosto alticcio (per usare un eufemismo), mentre la sua nemesi era del tutto sobria.

-Diamoci una calmata, intesi? Piantala di fare l’isterico.- Lo ammoní il Kaiser, pronto anche a prenderlo a sberle se fosse stato necessario a farlo tornare in sé.

-Kojirō, stai gettando benzina sul fuoco.- Dal fronte nipponico invece era intervenuto Misugi, che si era ripromesso di piantarli in asso senza troppi complimenti nel caso in cui fosse scoppiata pure una rissa. Passassero i nove decimi della squadra ubriachi, ma non era disposto a fare buon viso anche a quello, meglio cercare di sedare gli animi rivoltosi prima che fosse troppo tardi. Da quanto aveva visto, poi, condivideva con il capitano tedesco che stava cercando di far rinsavire Genzō non solo la medesima inclinazione a non bere (anche se a dire il vero lui aveva fatto di necessitá virtú, dati i suoi problemi di salute), ma anche la stessa attitudine a temperare le atmosfere surriscaldate. Peccato che non parlassero la stessa lingua, gli sarebbe piaciuto conoscerlo un po’ meglio, avrebbero avuto molte cose da raccontarsi.

Kojirō lo guardó nello stesso modo in cui avrebbe guardato uno scarafaggio nel piatto e replicó:

-Perché, lui si è comportato in maniera diversa con me, e con tutti voi? Sarete mica sordi, non avete sentito cosa ha avuto il coraggio di dire quel bastardo oggi in campo?- Jun sospiró e allargó le braccia. –Non sto cercando di redimerlo, ma possibile che tu non veda com’è ridotto, anzi, come sono ridotti tutti? Ti pare saggio mettersi a discutere con degli alcolizzati, vuoi forse metterti al loro stesso livello?- L’attaccante sbuffó e incroció le braccia, rendendosi conto che purtroppo aveva perfettamente ragione. Non c’era nessun gusto a prendersela con un Wakabayashi non nel pieno delle sue facoltá mentali, sebbene ne fosse tentato perché conciato cosí sarebbe stato davvero il punching-ball ideale.

-E va bene, buon samaritano- ringhió infine, schioccando la lingua –lo lasceró in pace, ma alla prossima parola sbagliata che dice lo stendo, non mi frega se è ubriaco o no.-

Jun sospiró mentre si massaggiava la fronte, sentendo che di a poco gli sarebbe venuto un gran mal di testa. Era soddisfatto dell’esito della sua mediazione, anche se non poteva permettersi di perderlo di vista un solo istante perché conosceva, come tutti del resto, il suo carattere altamente infiammabile. E questa peculiarità messa in combinazione con il suo antagonista preferito avvinazzato voleva dire solo una cosa, ovvero una zuffa in piena regola.

 

Schneider, la cui forza di persuasione non risiedeva principalmente nelle parole bensí nei fatti, si alzó da tavola e con fiero cipiglio afferró per la collottola sia Genzō sia Hermann, trascinandoseli dietro in bagno. Chiuse la porta, poi con gesto rapido si impossessó dell’amato cappello del portiere e, senza tante cerimonie, gli ficcó la testa sotto il getto gelido del rubinetto per rinfrescargli un po’ le idee. Quello saltó su quasi subito, resuscitato dal freddo pungente dell’acqua e, mentre si scrollava intirizzito i capelli bagnati sibilando improperi a mezza voce, Schneider agguantó per la nuca Kaltz che stava cercando di scappare e gli fece fare la stessa fine.

-Ti sei brasato il cervello?- Sbottó il difensore ribellandosi alla sua presa e schizzandolo d’acqua mentre riemergeva dal lavandino.

-Siete svegli, beoni? Possiamo tornare di senza che ci sia il rischio di macchiarsi la fedina penale?- Guardó Genzō che si stava stropicciando la faccia con una salvietta per asciugarsi, dicendo –ce l’ho con te, pezzo di cretino. Sei sobrio?- Sobrio era una parola grossa, pensó lui, ma si sentiva giá un po’ piú lucido rispetto a prima.

Il Kaiser, per testare i suoi riflessi, gli lanció il cappello che riuscì miracolosamente ad intercettare al volo. Il portiere lo ringrazió con la mente perché aveva avuto l’accortezza di non farlo bagnare e si diede una riassettata alla chioma scompigliata e ancora umidiccia, mugugnando –Sto bene, sto bene. Per stasera non lo faró a pezzi, stai tranquillo.-

Kaltz, starnutendo, si infiló in bocca uno stecchino che aveva riesumato dalle tasche dopo essersi accorto di aver perduto quello vecchio poco prima, durante la colluttazione (o rituale d’accoppiamento, come lo definiva Karl) con Genzō, e si disse pronto a rientrare in sala.

-Bene, vi siete ricomposti, teste di rapa? Andiamo allora, e sappiate che vi tengo d’occhio.-

-Sí, mamma…- bofonchiarono i due quasi all’unisono, alzando gli occhi al cielo con un ghigno beffardo scolpito in faccia.

 

Quando rientrarono, notarono che l’allegra combriccola era diventata ancor piú allegra e che i boccali vuoti presenti sul tavolo fino a poco prima erano stati sostituiti da altri, belli traboccanti. Si entrava cosí ufficialmente nel secondo girone, si disse Schneider, mentre incrociava lo sguardo di Misugi che scrolló le spalle con aria sconsolata, come a voler dire “ho provato a fermarli, ma hanno ordinato lo stesso. Il fatto che non parlassero tedesco era un dettaglio, non ci era voluto molto per dare a intendere alla cameriera che volevano farsi riempire di nuovo i bicchieri.

Con disappunto scoprirono peró che purtroppo i cambiamenti non riguardavano solo la sostituzione dei boccali, ma anche la disposizione dei posti, e non si sa come Genzō e Kojirō si ritrovarono seduti fianco a fianco, senza che nessuno dei vicini volesse accettare di scambiarsi con uno di loro.

-Questa cosa puzza di cospirazione…- borbottó Genzō adirato, scrutando di sottecchi le facce sornione dei compagni.

-Credo anch’io, e comunque visto che ci tocca vedi di rigare dritto.- Lo redarguì l’altro, imbronciato quanto lui.

-Chi se ne frega di te. Tu non spaccarmi i coglioni che io non li spacco a te, va bene?-

Suggellarono quel monito scambiandosi un’occhiata truce e misero mano ai boccali.

 

Intanto, Tsubasa era sempre piú sulla via della perdizione ormai quasi totalmente consacrato ad un promettente futuro da etilista, accompagnato dal sempre fido Tarō e pure da Ishizaki, che quando si trattava di bere era sempre in prima linea. Quest’ultimo richiamó l’attenzione di Genzō, dicendo: -Ehi Wakabayashi! Me lo fai un favore?- Il portiere si voltó a guardare la sua faccia da pirla inebetita dall’alcool e, sopraffatto dalla compassione, annuí sospirando.

-Mi dici alcune frasi da rimorchio in tedesco? Quella cameriera è un vero schianto!- E si passó la lingua sulle labbra in modo sensuale, o almeno cosí credeva.

Genzō, soffocando un conato di vomito davanti a quel gesto, stava per rifiutare la sua assurda richiesta quando gli si accese la lampadina della bastardaggine.

-Ma ceeeerto, mio caro- disse subdolamente –vieni qui che ti illumino.-

Ishizaki si sistemó lungo disteso a pancia in giú sulle ginocchia dei tre compagni che lo separavano dal portiere (ovvero Kojirō, Wakashimazu e Izawa che mugugnarono infastiditi, concedendogli di stare 2 minuti al massimo in quella posizione scomoda per loro) e, poggiando il mento sulle mani, gli si fece vicino allungando il collo, tutto orecchi.

L’occasione era troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire, pensó Genzō con un lampo diabolico negli occhi mentre insegnava al difensore giapponese una tipica frase da abbordaggio, du bist eine grosse Schlampe*.

-Ok, non dirmi altro, faccio giá fatica  a ricordarmi solo quella, quant’è difficile ‘sta lingua- piagnucoló Ishizaki mentre tornava al proprio posto, e Sōda esclamó –Tu sei tutto scemo, cosa credi di fare sapendo dire una sola frase?- In quel momento si intromise Izawa, centrando il punto della discussione: -Meglio ancora, cosa credi di fare in generale, tedesco o non tedesco…tu sei proprio un caso patologico- e giú a ridere sguaiatamente, mentre il povero Ryō faceva una faccia offesa borbottando –adesso vi faccio vedere io…-

Kaltz, seduto alla destra di Genzō, aveva sentito la frase che aveva pronunciato l’amico e gli diede di gomito con le lacrime agli occhi dal ridere, chiedendogli quali cavolo fossero le sue intenzioni. Genzō gli fece un sorriso complice indicandogli col mento la cameriera indaffarata a pulire uno dei tavoli vicino al loro, e quando l’altro realizzó rischió di strozzarsi col sorso di birra che stava bevendo. Mise subito al corrente il Kaiser, che gli sedeva di fianco, il quale assunse un’espressione costernata cercando di contenersi, mentre soffocava il ghigno che gli stava involontariamente apparendo sul viso.

Il gruppo osservó col fiato sospeso l’eroico Ishizaki, abituato ad immolarsi a suon di pallonate in faccia, mentre beveva un bel sorso di birra per darsi coraggio e partiva alla conquista della fauna femminile amburghese.

Ebbe solo un unico, piccolo tentennamento prima di portare a termine la sua missione. Si voltó verso il portiere chiedendogli: -Che vuol dire quella frase, Wakabayashi?-

-Significa “mi piaci molto, usciamo insieme?”- Disse prontamente il numero uno dell’Amburgo e dei bastardi, che si era preparato la risposta, prevedendo la possibile domanda. Ryō annuí risoluto e per poco Genzō non gli scoppió a ridere in faccia.

 

Era peró accaduto un altro fatto inquietante poco prima, quando l’ignaro portiere si era distratto per rispondere alla domanda di Kaltz e aveva lasciato incustodito il suo boccale. Kojirō aveva provato a resistere alla tentazione (non che si fosse sforzato poi piú di tanto), ma alla fine senza troppi rimpianti aveva permesso alla sua indole fetente di prendere il sopravvento, lasciando cadere un copioso sputo dentro il proprio boccale e sostituendolo poi rapidamente con quello del rivale. Matsuyama seduto di fronte a lui aveva visto tutto e, tentando di reprimere una risata mezzo schifato e mezzo divertito, per poco non si fece uscire dal naso la birra che si stava tracannando.

 

Dal tavolo si levarono improvvisamente dei fischi, poi degli applausi e delle risa. Due terzi del Triumvirato dei Fessi era letteralmente rotolato in terra tenendosi la pancia dal ridere, mentre il restante terzo era finito con la fronte poggiata sul tavolo, cercando di dare un contegno agli Imperiali sghignazzi. Il resto della cricca si stava sganasciando agitandosi scompostamente sui divanetti.

Era accaduto l’immaginabile, ovvero il flop del povero Ishizaki, il cui penoso tentativo era culminato con la prevedibile reazione della bella camerierina dai capelli cosí biondi da sembrare bianchi che, sentendosi dare della donna dai facili costumi (per usare una parafrasi) gli aveva versato in testa il contenuto della pinta che avrebbe dovuto servire ad un tavolo, concludendo il capolavoro con un bello sberlone a dita larghe.

-Ishizaki, sei un coglione da competizione- stava ridendo Izawa –l’avevano capito tutti che quello che ti aveva detto Wakabayashi non era quello che credevi!-

-Giá, c’era da aspettarselo, da lui- rincaró Wakashimazu, asciugandosi una lacrima. Per una volta, si ritrovó a constatare, quell’idiota di Wakabayashi l’aveva fatto ridere di gusto.

Ryō, abbattuto, andó a darsi una rinfrescata in bagno, accompagnato da Misugi che ormai si era rassegnato a dover fare da crocerossina per quella sera e, una volta tornato al tavolo, si rintanó in un angolino isolato chiedendo che gli “amici” rispettassero il suo lutto.

-Perché, chi è morto?- Fece uno Tsubasa storditissimo, che aveva capito meno di metá di quello che era successo ma aveva riso lo stesso.

-La mia dignità.- Rispose lui con un muso chilometrico, facendo esplodere delle risa ancor piú grasse. Una cosa era certa, non si sarebbe mai potuto mettere contro Wakabayashi perché quello era capace di smontarlo con un pugno, si disse. Meglio lasciar perdere, tanto era abituato ad essere allegramente sfottuto e la cosa ormai non gli facevá piú né caldo né freddo.

Comunque, non essendo proprio insito nel suo carattere lo stare troppo a piangersi addosso, dopo appena cinque minuti che se ne stava imbronciato e solo in castigo in un angolino buio, pensó “che due palle peró fare lo scazzato, mi sto perdendo tutto il divertimento.”

Giusto il tempo di finire di formulare il pensiero che si ributtó nuovamente nella mischia, piú gasato di prima, come se nulla fosse successo.

 

e Genzō? Aveva bevuto la birra “corretta” da Kojirō?

Ebbene, .

E sotto lo sguardo estasiato dell’artefice del misfatto, che peró non sospettava minimamente che il portiere, pur restando all’oscuro di tutto, aveva giá provveduto a ricambiarlo con la stessa moneta.

Era accaduto che all’SGGK, poco prima, scappasse uno starnuto, probabilmente a causa della doccia fredda che gli aveva fatto fare Schneider. Il suddetto starnuto era partito senza che potesse fermarlo, e indovinate dove? Ma sul proprio boccale, ovviamente.

Che schifo…” aveva pensato disgustato, mentre osservava la fresca e genuina produzione di bollicine di saliva e muco galleggianti sulla birra, che ora poteva vantare una nuova “schiumina” apparentemente invitante sulla sua superficie. Poteva forse berla? Giammai, e si guardó rapidamente intorno per vedere con chi scambiare il boccale. Provate a indovinare con chi effettuó la sostituzione.

 

E cosí Kojirō, che credeva di star bevendo la sua pulitissima birretta, se ne stava invece tracannando una variante inedita, a cui lui stesso aveva dato un prezioso contributo appena un quarto d’ora prima.

 

I due antagonisti si guardarono in cagnesco posando i boccali con una smorfia sadica, ognuno convinto di aver fregato l’altro. Ma solo uno di loro era uscito trionfante da questa silente battaglia, ed era meglio per il bene collettivo che  lo sconfitto continuasse a credere di essere il vincitore.

 

E in tutto ció, la serata era ancora lunga.

 

 

 

 

 

 

 

NOTE (stavolta assolutamente superflue):

 

*Letteralmente “sei una gran bagascia”. Il folkloristico termine “bagascia” si presta agevolmente alla sostituzione con tutte le altre ben note espressioni equivalenti.

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Verso la fine dei giochi? ***


Il rutilante festino accenna forse a una conclusione? Chi lo sa. Non lo so nemmeno io che sono l’autrice.

Quinta parte della mia fic mediocvabbé, ormai lo sapete xD

A fine capitolo ho scritto “qualche” appunto (ehm…a momenti sono piú lunghi della fic, mea culpa. Sono troppo prolissa.)

 

 

 

CAPITOLO 4 – Verso la fine dei giochi?

 

 

 

Era scazzato. Scazzato e annoiato. Stava entrando nella fase deprimente della sua sbornia, anche se ancora gongolava per essere riuscito a tramutare la birra di Kojirō in un ricettacolo di batteri. Il godimento che aveva provato mentre osservava il pollo tutto intento a trincarsela beato era stato un qualcosa di trascendentale. Ma adesso sentiva il bisogno impellente di inventarsi qualcos’altro per pungolare un altro po’ quel burino, che come al solito aveva avuto il coraggio di presentarsi con  una truzzissima maglietta blu e gialla dalle maniche arrotolate fino alle spalle e dei jeans da straccione sdruciti alle ginocchia. Puah. Genzō si chiese se non si vestisse al buio perché anche il suo senso della moda, se mai ne avesse uno, lo ripugnava.

E intanto, comunque, gli era venuta un’altra idea delle sue.

 

In quel momento, Kojirō stava pensando piú o meno le stesse cose. Congratulandosi con sé stesso per la bella sputazzata che credeva di avergli aggiunto alla birra, si soffermó un attimo a squadrare come cazzo si era vestito quel damerino: da fighetto inamidato, come sempre. Ingessato nella sua giacca di velluto grigio antracite a costine, nella camicia nera trendy di Armani (o di Cavalli, boh, che gliene fregava a lui degli stilisti) e nei suoi jeans Richmond tenuti su da una cintura in pelle very fashion, piú naturalmente l’immancabile cappello Adidas, che girava voce indossasse anche nelle docce. Un vero fagiano, insomma. Non poté fare a meno di pensare che probabilmente con i soldi che aveva speso per quella cintura griffata di non sapeva chi, lui ci si sarebbe comprato minimo tre maglie. Si impose di smetterla di rosicare e si concentró sulla conversazione con Ken e Izawa, finché non sentí il testadicazzo pronunciare le fatidiche parole.

 

-Allora Matsuyama, sei contento di essere il nuovo capitano della Nazionale?- Ahia, tasto dolente. A quella domanda inaspettata e inopportuna di Genzō caló il gelo su un terzo della compagnia, perché il resto era talmente sbarellato che non si ricordava neanche di essere al mondo.

Hikaru per la sorpresa risputó la birra nel boccale da cui stava bevendo e lanció uno sguardo impanicato a Kojirō che, giá schiumante di rabbia, si era voltato lentamente verso il portiere valutando se  cavargli gli occhi in loco o se farlo piú tardi in separata sede. L’attaccante, cercando di riacquistare un tantino di autocontrollo, trasse un profondo sospiro gonfiando i pettorali e se la sua maglietta tamarra fosse stata appena un po’ piú aderente, probabilmente si sarebbe sbrindellata alla Hulk.

-Non credo di aver capito bene…- ringhió scandendo minacciosamente le parole con gli occhi ridotti a due fessure, mentre appoggiava il mento su una mano e si metteva di tre quarti verso il portiere per fissargli meglio quella bella giugulare invitante, che in quel momento avrebbe azzannato tanto, tanto volentieri.

Non ci poteva credere, allora voleva proprio essere picchiato. Il bastardo aveva infranto il “patto del silenzio”, ma era troppo chiedergli un po’ di omertà, ogni tanto? La lingua proprio non ce l’aveva incollata, pensó aggrottando la fronte e mostrando i canini.

A Misugi (fino ad un attimo prima colto da un attacco di ridarella per aver visto Tsubasa che veniva montato da Tarō, mentre cercava di insucchiottargli una porzione di collo) si spense il sorriso e tossicchió imbarazzato, pregando che Hikaru si togliesse d’impiccio con una risposta diplomatica e intelligente, senza dare corda al malefico portiere che non si era neanche voltato a guardare Kojirō, snobbandolo con la consueta disinvoltura.

La tensione si tagliava con il coltello e nessuno fiatava. Le risate sguaiate, le grida isteriche e le chiacchiere etiliche dei decerebrati seduti dall’altra parte del tavolo sembravano giungere alle loro orecchie in sordina come echi lontani e ovattati. E che di casino ne facevano.

Matsuyama, il carismatico uomo del Nord forgiato da allenamenti a temperature talmente proibitive che manco in una cella frigorifera, in quel frangente non appariva poi cosí carismatico e  non sapeva che cavolo rispondere.

Poteva dire (che poi era la veritá, in fondo). Ma non era scemo e non aveva nessun interesse a fomentare la collera dell’attaccante, poiché sussisteva l’alta probabilitá che, rispondendo cosí, il suo istinto omicida per il momento focalizzato solo su Genzō si spostasse anche su di lui. Sapeva che il suo orgoglio quel pomeriggio era stato sbraciolato per bene, e giá lo immaginava mentre gli annodava il collo abbaiando “allora dillo che non aspettavi altro, pezzente”.

Oppure poteva dire no, che era come ammettere che non gliene poteva fregare di meno di essere il capitano, facendolo incazzare anche di piú e sferrandogli una stilettata forse ancora peggiore.

Hikaru deglutì, soppesando velocemente quale fra le due alternative sarebbe stata la meno deleteria per la sua salute.

Nessuna.

Perché quando Kojirō aveva le palle girate, qualunque risposta era quella sbagliata.

 

Ma il buon Matsuyama doveva essere nato sotto una stella fortunata, perché il miracolo avvenne e la cosa si risolse senza feriti. Stava per aprire bocca, fregandosi probabilmente con le sue stesse mani, quando si sentí vibrare una tasca e, con gli occhi sbrilluccicanti dalla gioia, vi infiló subito una mano per recuperare il cellulare.

“Che culo” pensarono contemporaneamente tutti quelli che stavano assistendo alla scenetta.

-Amore sei tu?!? Ma ciao!!! Che ore sono da te, marmottina?....ah, le otto di mattina? , qui è mezzanotte e mezza. Ma lo sai che mi manchi tantissimissimo? - Fece Hikaru con gli occhi a cuoricino, in tono melodrammatico e con voce quasi stridente, provocando conati di vomito agli astanti specialmente dopo il “marmottina”. Si stavano tutti chiedendo perché diamine quando parlava con Yoshiko il 70% delle parole che uscivano dalla sua bocca dovesse terminare con -ina”. E poi non è che volessero origliare la sua conversazione, anzi, per non rischiare il diabete mellito ne avrebbero fatto volentieri a meno, ma dire che il ragazzo strillava peggio di un mercante in fiera era poco. –Come? C’è casino perché sono in un pub con i ragazzi. Oggi? Ecco …abbiamo perso l’amichevole, peró…- Hikaru alzó ulteriormente il proprio tono di voce, mentre Misugi trattenne il fiato, sperando che non dicesse quello che credeva stesse per dire. Era consapevole del fatto che l’amico cambiasse quasi personalitá azzerando cervello e dignitá quando c’era di mezzo la sua adorata fidanzata. –…c’è una bellissima notizia birillina, non ci crederai ma sai che sono diventato capitano? Síííí sono tanto felice anche io!-

 

Les joeux sont fait. Tutto quel tempo sprecato a scervellarsi per niente, pensó Misugi sospirando.

 

A Kojirō quasi caddero le braccia e represse un moto di puro schifo, sbollendo all’istante. Tutte quelle smancerie gli facevano cariare i denti e gli smorzavano ogni proposito bellicoso.

Lui, il guerrafondaio della Nazionale, era decisamente allergico a quelle cose.

 

Mioddio, se divento cosí smieloso giuro che mi taglio le palle da solo” si disse Genzō, scuotendo il capo disgustato. A quanto pareva la sua perfida domanda sobillatrice di violenza sarebbe caduta nel vuoto, che peccato.

 

In quel momento arrivarono altre birre, richieste da non-si-sa-chi-non-si-sa-quando e la cameriera, che ormai li odiava tutti senza distinzioni, sbatté sgarbatamente le loro ordinazioni sul tavolo trattenendosi per non tirargliele in testa. Ishizaki si fece piccolo piccolo sperando che lei non lo notasse, cosa che, per sua fortuna, avvenne.

Adesso che si sentiva una saracinesca al posto delle palpebre, pensó Genzō e, sbuffando, si stropicció gli occhi per riprendersi. Tutto secondo copione, dopo lo scazzo ecco ora anche l’abbiocco. Ma, si disse impavido, mai e poi mai sarebbe crollato prima di Tsubasa, che era ancora bello arzillo e seguitava a cantare angoscianti canzoni enka assieme alla zecca; quest’ultima non era ancora riuscita ad attaccarsi al suo collo soltanto grazie al provvidenziale salvataggio di un misericordioso Takasugi che, interrotto il suo virile duello a braccio di ferro con Jitō, gliel’aveva levato dal groppone sollevandolo di peso. Non si capacitava, in effetti, di come mai i molesti numeri dieci e undici non fossero stati ancora soppressi da quei due energumeni di difensori che, di sicuro, non erano famosi per la pazienza certosina.

Guardandosi meglio intorno notó che un gemello era collassato, ma non avrebbe saputo dire quale. A distanza di anni ancora nessuno di loro era in grado di distinguerli, grazie anche al vizio che avevano di vestirsi e pettinarsi allo stesso modo.

-Ehi, Zanna Bianca…come sta la tua metá?- Domandó mezzo spalmato sul tavolo ormai con le palpebre a mezz’asta, rivolto verso quello sveglio.

-E non mi chiamare cosí, cagacazzo- inveí il gemello ancora vivo, che era poi Kazuo il Fine –lo sai che non lo sopporto.-

-Appunto.- Replicó caustico l’altro, sbadigliando –Ti ho fatto una domanda, quindi vedi di rispondere.- E che non rompesse, non era mica colpa sua se non avevano mai voluto portare l’apparecchio ortodontico. Probabilmente si trascinavano dietro quel nomignolo dall’asilo, li chiamavano cosí giá ai tempi della Hanawa; nessuno sapeva chi fosse il cabarettista che l’aveva inventato, altrimenti sarebbe andato di persona a congratularsi con lui.

-Boh, è semisvenuto- disse Kazuo mentre sollevava dal tavolo la testa del fratello tirandola per i capelli, aggiungendo in un sibilo –che impedito…-

Genzō annuí e si strinse nelle spalle, pensando sollevato che per quella sera non ci sarebbero state catapulte infernali ad incombere sulle loro schiene. All’ultimo festino, ricordó, stava quasi per mangiarselo quel gemello bastardo che si era fiondato sulla sua scapola.

Guardó alla sua sinistra e vide il Triangolo Toho Kojirō-Ken-Takeshi immerso in una fitta conversazione. Anzi, avevano quasi fatto capannello, pareva volessero tagliare fuori il Resto del Mondo. “Ma che emigrassero” pensó infastidito il portiere che, non trovando nulla di meglio da fare, si riattaccó al boccale e bevve qualche altro sorso, stilando un rapido resoconto mentale di quel grottesco festino.

 

Bilancio della serata alle ore 00.43

 

-Finti sobri: 3 (Jitō, Takasugi, lui)

-Veri sobri: 2 (i soliti noti, Misugi e Schneider)

-Moderatamente allegri: 6 (Izawa, Sōda, Kazuo, Wakashimazu, Takeshi e Kojirō) 

-Fuori come dei balconi: 4 (la Golden Combi, Ishizaki, Kaltz)

-Coma etilico profondo: 1 (Matsuyama, che dopo aver parlato con la sua bella si era depresso perché erano lontani e si era attaccato al boccale per dimenticare)

-Deceduti: 1 (Masao)

-Figure di merda totali: 3 (di cui ben due sue, pensó mentre la pelle gli si accapponava, e una soltanto di Ishizaki)

 

A distrarlo dai suoi calcoli intervenne per l’appunto quel bischero giulivo di Ryō, che in quel momento lo scavalcó e si mise fra lui e Kaltz, attaccando a gesticolare col numero otto dell’Amburgo per farsi capire. Drizzó le orecchie per sentire, in tutta quella gazzarra, che cavolo volesse da lui, osservandolo mentre agitava le mani per spiegarsi e usava le dita per contare; quando, in mezzo a tutta quella mimica esagerata, captó le parole in giapponese –tu…dire…me…contare, uno due, tre, quattro- intese che voleva farsi dire come si contava in tedesco. Si era proprio appassionato all’ostico idioma, evidentemente.

-A te non chiederó mai piú niente- sibiló poi lanciandogli un’occhiataccia di sbieco, con il tipico occhio a mezz’asta del beone (che, per inciso, aveva anche lui). Genzō fece spallucce, esclamando con aria sinceramente indifferente -sai che dispiacere…- Uno scassaballe in meno, si disse, e poi chiedere ad un madrelingua era meglio.

Inaspettatamente, Kaltz capí quasi subito cosa voleva e si mise a dargli corda, letteralmente berciando i numeri e ridendogli in faccia senza tanti complimenti per la sua infima pronuncia, anche se il poverino ce la stava mettendo tutta. Solo che Stecchino era talmente strafatto che, arrivato all’otto, saltó direttamente al dieci (di cui si era ricordato probabilmente perché era il numero di Schneider) e da in poi fu tutto un susseguirsi di cifre a casaccio, le prime che gli venivano in mente.

 

Forse fu da quello che l’austero Kaiser capí che fosse giunto il momento di levare le tende. Lanció un’occhiata a Genzō, che si era accoccolato con la testa sul tavolo e le mani sulle orecchie per non sentire le urla dei due imbecilli che si stavano sgolando, e intuí che anche lui, come l’altro pirla, doveva essere ormai arrivato alla frutta. Sbirció l’orario e, vedendo che era quasi l’una, lo fece presente al portiere.

-Credo che domani io e Kaltz diserteremo- fece quello per tutta risposta. Schneider lo guardó con aria di sufficienza e replicó, irreprensibile –non ci provare. Io vi avevo avvertito di non ubriacarvi, perciò adesso sono cazzi vostri. Se domani entro le sei e cinque non vi fate vedere, verró personalmente a buttarvi giú dal letto.-

Genzō sbuffó e, scansando Ishizaki che non la finiva piú di sbraitare numeri a vanvera, tiró un coppino a Kaltz per attirare la sua attenzione.

-Teliamo? Tu sei cotto come una pera e quel rompiballe del tuo capitano mi sta stressando per mandarci a nanna presto.-

-Ma come?- Trasalí lui, con una faccia allucinante –E’ appena l’una!- Poi proseguí, rivolto a Schneider -Perché non te ne vai tu, se ti stai rompendo?-

-Non mi tentare…- fece quello in tono intimidatorio con gli occhi stretti in due fessure glaciali –ti sei dimenticato degli allenamenti, faina? Vi voglio entrambi in campo, e freschi come due rose.-

-Oddio, adesso non esageriamo…- Genzō sorrise sardonico a quelle parole -…mi sa che non sarai tanto fresco neanche tu, pallone gonfiato. Vedrai le occhiaie, domattina.-

 

 

 

 

 

 

Ecco gli appuntini che vi dicevo. Armatevi di pazienza, sará una cosa lunga e contorta…

 

1- Non ho spuntato subito la voce “parodia” (come mi ha giustamente fatto notare Eos75) principalmente perché nella mia immensa bakaggine tale termine mi era sfuggito quando ho selezionato il genere (e che era appena sotto  “commedia”, che stordita) ma è stato il primo a cui ho pensato mentre scrivevo, giurin giurello. Cosí come garantisco che il sospetto di stare andando OOC un pochettino mi era venuto. Se non l’ho ancora aggiunto è solo perché non so se continueró la storia su questa falsariga o se i prossimi capitoli (se mai ci saranno) seguiranno una linea differente, piú “seria”.

Lo ammetto, non è sempre una caratterizzazione fedele la mia (LOL, immagino che si fosse capito, che puntualizzazione inutile), anzi, con i personaggi di contorno che non conosco bene improvviso proprio.

 

2- Sempre in merito all’OOC, c’è una cosa che mi preme chiedere alle veterane di fanfic e che una neofita come me fatica a comprendere. Magari è una domanda stupida ma non cazziatemi vi prego: il genere parodia/demenziale implica SEMPRE l’OOC? Mi spiego, per fare una parodia o presunta tale, è abbastanza ovvio che vadano enfatizzati e ridicolizzati certi aspetti del carattere dei personaggi. In effetti se mi soffermo a pensarci mi sembra impossibile fare delle caricature decenti senza doverli prendere bonariamente per il culo snaturando comunque la loro indole, e cosí facendo si va fuori dalla normale caratterizzazione. Ergo, TUTTE le parodie sono OOC? E quali sarebbero i limiti che non bisognerebbe oltrepassare? Illuminatemi, pleeeease xD

 

3- Il punto è che (come ho giá detto) scrivo quello che mi viene in mente al momento, difficilmente pianifico qualcosa. Quello che butto giú è pesantemente influenzato dal mio umore del giorno, e ció non vuole essere una mera giustificazione. Potrebbe darsi che un bel mi venga voglia di fare la persona seria e che caratterizzi in tal modo i personaggi, sfornando un capitolo un po’ meno bislacco del solito, anche se di indole sono piuttosto cazzara; oppure, e sarebbe la scelta piú saggia me ne rendo conto, potrei pensare direttamente anche ad un’altra fic piú “impegnata”, e dividermi tra le due scrivendole alternativamente a seconda del mio stato d’animo. Mmmh , compromesso interessante, chissá.

 

Mah. Questa cosa è partita come un gioco, e tale rimarrá almeno per ora, anche se non precludo nessuna possibilitá per il futuro^^

Comunque, per me è stato (ed è) un vero piacere scrivere di questi giocondi buffoni. Non potete neanche immaginare quanto mi diverta la stesura di queste storie cazzute! (^o^)

 

E ora, come di consueto rinnovo i ringraziamenti per i commenti e i consigli.

Eos, grazie per avermi rinfrescato la memoria, mi sfuggiva proprio che “po’” si scrivesse con l’apostrofo e non con l’accento, ma a ben pensarci è ovvio essendo la contrazione di “poco”…che sveltona che sono xD

Per ció che riguarda Gamo…ops^^; Mi incasino a volte con gli allenatori, comunque controlleró meglio e correggeró l’imprecisione, thank you^^

Ultima cosa a proposito del fatto che Genzō nella mia fic cazzuta non ami particolarmente Tsuby a differenza del manga. Per ora lascerei la chiarificazione di questo punto in sospeso (dipende se aggiungeró o no l’OOC, in base alle risposte che riceveró) ma mi sento di dire che non apprezzo tutta quell’adorazione che viene ostentata nella storia originale, quindi l’avrei comunque caratterizzato cosí. Non lo odia incondizionatamente, ma neanche è il suo migliore amico, almeno nella mia testa bacata…ma pensandola in questo modo vado comunque OOC, vero? Oddio è un cane che si morde la coda, aiutatemi^^;

Silen, è vero, ho rischiato il coma diabetico a forza di M&m’s, quei dannati sono la mia croce e la mia delizia. Spero di disintossicarmi un giorno. Quanto capisco L di Death Note…SUGAR POWA!

 

Quanto blablabla. Saró stata chiara? Si sará capito ció che voglio dire? Ai posteri l’ardua sentenza^^;

 

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - The day after. ***


Ebbene , la festa è finita. Quali conseguenze porterá mai questo fatto? Ma poi, ne porterá? Chi lo sa, io no di certo.

Sesta parte della mia fic mediocre etc etc che doveva finire dopo appena tre capitoli, ma mi sa che qua le cose forse tireranno ancora un po’ per le lunghe. Purtroppo per voi continueró ad ammorbarvi con questo abominio per un tempo ancora imprecisato xD

Stavolta parlo un po’ anche della Nazionale. Pensieri estemporanei, niente di profondo ovviamente. La solita accozzaglia di cazzate, insomma. Peró mi è piaciuto scrivere qualcosa anche di Tarō e Tsubasa, mi sentivo in colpa dopo averli bistrattati nei capitoli precedenti, porelli ;_;

Inutile dire che mi sono divertita ancora di piú a raccontare del Triangolo Toho. C’ho la fissa con triangoli e triumvirati io xD

 

  

 

CAPITOLO 5 – The day after.

 

 

 

Kaltz sembrava titubante ad accogliere la richiesta/ordine del Kaiser, nonostante fosse ormai abbastanza schiantato dagli ettolitri di birra bevuti sino a quel momento e dalla giornata in sé, che tra partita ed allenamenti non era stata proprio all’insegna del fancazzismo. Difatti, malgrado tutto ció, ebbe il coraggio di avanzare una proposta dinnanzi alla quale Genzō e Schneider rimasero spiazzati e lo guardarono con la stessa compassione con cui si potrebbe guardare un infermo mentale.

-Che ne dite di un bel festino all-night long?-

-Dico che sei proprio grave, te lo puoi anche scordare- fece il portiere seccato, scuotendo la testa –io ne ho abbastanza.-

-Idem. E poi tra un po' ci sbatteranno fuori, credo che chiudano alle due. Allora, si va?- Disse il capitano iniziando ad alzarsi, seguito da Genzō che si tiró su barcollando.

-Ve ne andate di giá?- Esclamó Ishizaki contrariato perché voleva finire di “imparare” a dire i numeri in tedesco –Ma è ancora presto!-

-Parla per te nullafacente, noi domani abbiamo gli allenamenti alle sei- biascicó Genzō, con voce impastata dal sonno. –E’ stato un piacere ragazzi, ma per noi la festa finisce qui.-

-Eh no, non potete andarvene senza un brindisi di commiato!- Strepitó Tsubasa, che pareva aver finalmente esaurito il suo vasto repertorio di canzoni enka assieme ad una parte della sbornia. Genzō, nel corso della serata, si era chiesto piú volte come diavolo facesse a conoscerne cosí tante, dopotutto non era un genere che interessasse molto la gente della loro etá. L’unica spiegazione che si era riuscito a dare era che magari, non si sa come, gli tornassero in mente solo sotto gli influssi nefasti dell’alcool.

-E facciamo ‘sto brindisi, allora- rispose lui rassegnato afferrando il boccale mezzo vuoto, subito imitato da tutti coloro ancora in possesso delle facoltá di coordinazione motoria. Rimase muto con il bicchiere a mezz’aria per un attimo, in attesa che qualcuno dichiarasse un motivo per brindare, ma vedendo che nessuno apriva bocca esclamó –Allora? Qualche suggerimento?-

Non ottenne risposta, qualcuno fece spallucce, tutti erano troppo sbroccati per mettersi a pensare a qualcosa. Ci volle la tracotanza di Kojirō per riuscire  a spezzare il silenzio.

-Io brindo alla tua testa di cazzo- dichiaró con un ghigno beffardo, toccando con il proprio boccale quello del rivale. Genzō fece una smorfia a metá tra lo stizzito ed il sarcastico e ricambió il suo gesto, dicendo –ed io alla tua faccia da culo.- Il gruppo ridacchió e Ishizaki se ne uscí con un commentino dei suoi che gli valse un’occhiataccia dal portiere e uno sberlone dall’attaccante:

–Si vede che siete proprio fatti l’un per l’altro, voi due…-

 

Dopo aver salutato gli altri ed essersi trascinati dietro un inerte Kaltz ormai ridotto ad un relitto umano, i tre si avviarono verso la cassa per pagare la loro parte. Fu allora che accadde un evento assolutamente imprevedibile, che nessuno fu mai in grado di spiegare.

C’era chi, sotto gli effetti dell’alcool, snocciolava vecchie canzoni malinconiche che il mattino dopo avrebbe negato di conoscere, come Tsubasa.

C’era chi si tramutava in una specie di vampiro gay, come Tarō.

C’era chi diventava ignominiosamente patetico regalando uno spettacolo da taglio delle vene, come Matsuyama che si disperava per il suo amore lontano.

C’era chi riusciva a divenire ancor piú scoppiato di quanto non fosse giá di suo, come Ishizaki o Kaltz.

Genzō, invece, pagó il conto a tutti.

Anche quello di Kojirō.

 

La mattina successiva fu un tripudio di occhi pesti e nasi gocciolanti, tranne il Kaiser, ovviamente, che sembrava davvero fresco come una rosa; delle occhiaie predette dal portiere non vi era alcuna traccia sul suo volto riposato.

-Sei odioso- disse Kaltz con la voce roca e baritonale che si era ritrovato al risveglio, mentre si soffiava il naso –sembra che tu abbia dormito per venti ore consecutive, bastardo.-

-Ma quanto sei conturbante con quella voce sexy…mi attizzi, lo sai?- Cercó di esclamare Genzō, che per farsi sentire era costretto a parlare con un tono insolitamente stridulo e agonizzante. Da quando si era svegliato aveva scoperto con disappunto che riusciva ad emettere solo rantoli, vittima di un pesante abbassamento di voce.

-A te invece sembra che ti abbiano castrato…- rise l’altro di rimando, poi si rivolse al capitano -dannato Kaiser, è tutta colpa delle tue docce fredde!-

-Macché, è colpa vostra che vi siete sbronzati- Replicó quello, con la consueta spocchia –non dite che non vi avevo avvertiti.-

Nonostante avessero dormito non piú di quattro ore erano miracolosamente riusciti ad essere in campo per le sei, ma erano presenti soltanto fisicamente, con i dovuti acciacchi, e non certo mentalmente. Kaltz in particolare era tutto un livido, come previsto le frustate prese il pomeriggio antecedente avevano lasciato il segno.

-Senti, ma dobbiamo proprio? A quest’ora ci sono ancora i gufi…- Sbuffó lui, rabbrividendo per il freddo pungente del primo mattino amburghese.

-Ovvio. Vedi di ripigliarti.- Fu la concisa risposta del sempre logorroico Kaiser, mentre salutava con un cenno della mano il resto dei compagni che iniziavano ad arrivare in ordine sparso.

A dir la veritá neanche Genzō aveva molta voglia di allenarsi, malgrado di solito fosse piuttosto stoico e difficilmente si lamentasse. L’ameno festino e la birra trangugiata dovevano averlo decisamente rammollito.

Il gatto e la volpe si scambiarono un’occhiata sospirando, rassegnati al destino che li attendeva inesorabile, e con passo incerto seguirono il loro capitano che si era messo a trotterellare vispo come un grillo, iniziando il riscaldamento con i giri di campo.

-Sai, non sono male i tuoi amici- Disse a un certo punto Stecchino mentre “correvano” praticamente a passo d’uomo, cacciando subito dopo uno sbadiglio a bocca talmente spalancata che a momenti gli si slogava la mascella. –Tranne un paio, che mi sono sembrati un po’ dei rompimaroni, gli altri erano ok.-

-E chi sarebbero i rompiballe, secondo te?- Chiese l’altro incuriosito, lanciando nel contempo un’occhiata al Kaiser che capitanava la fila un po’ piú avanti. Sicuro di non essere visto, rallentó ulteriormente la sua andatura, e Kaltz lo imitó seduta stante; se avessero decelerato ancora, si sarebbero fermati.

-Oddio, nomi e cognomi mica me li ricordo, e lo sai che non sono molto fisionomista neanche da sobrio…distinguere i vostri musi tutti uguali, poi- qui Genzō lo fulminó con lo sguardo -...peró diciamo che forse ho capito perché odi tanto quel tizio, a pelle ha dato fastidio anche a me, ma non posso giudicare la cosa obiettivamente perché non ne so abbastanza. Se ti decidessi a parlarmene!- E cosí dicendo gli tiró un cartone sul braccio, a cui il portiere contrattaccó con il solito schiaffo sul coppino, apprestandosi a rispondergli a tono. Peró non fece in tempo ad aggiungere altro perché Schneider li cappelló di brutto (parlando parlando erano finiti in fondo alla fila e mentre gli altri iniziavano il terzo giro loro dovevano ancora terminare il primo) e li spedí dritti dritti ad allenarsi ai rigori per un tempo indefinito, anzi piú precisamente “finché non vi si secca la lingua”.

“Ah, allora stiamo freschi” pensó Genzō, fermamente convinto che dovessero ancora inventare un sistema per far diminuire la parlantina dell’amico, che guardacaso stava continuando a borbottare fra sé e sé una sequela di maledizioni per il Kaiser, non sia mai che tacesse un attimo e corresse il rischio di disimparare ad usare il muscolo piú allenato del suo corpo.

Con una flemma che gli era del tutto inusuale, Genzō si infiló i guantoni e si sistemó tra i pali, levando una silenziosa preghiera al cielo affinché non perdesse la faccia e riuscisse a parare quanti piú tiri possibile; anzi, trattandosi di Kaltz, doveva riuscire come minimo a pararli TUTTI, non c’erano alternative se voleva salvare l’onore. Non si sentiva per niente in forma e il rischio sfondone era pericolosamente in agguato dietro l’angolo ma fortunatamente, si disse per consolarsi, avendo lui come rigorista forse poteva stare abbastanza tranquillo.

 

Anche la Nazionale giapponese, reduce dal famigerato festino, quella mattina non era messa molto meglio; sfoggiavano tutti un corredo di occhiaie che definire scandalose non rendeva sufficientemente l’idea, oltre naturalmente all’immancabile cerchio alla testa post-sbornia, ma almeno nessuno si era buscato un raffreddore. L’unico ad essersi salvato dalla strage fu naturalmente il solito Misugi, che tentó di svegliare gli altri alle otto, ma non ci fu verso di buttarli giú dal letto prima delle dieci. Jun decise di graziarli solo perché effettivamente non avevano un granché da fare, quella mattina.

Dopo la dipartita del “Trio dei Crucchi”, come ormai li chiamavano segretamente anche se uno di loro non lo era affatto, l’allegra brigata aveva seguitato a far baldoria fino all’orario di chiusura del locale. La cosa, il giorno dopo, li aveva lasciati alquanto basiti, perché non si capacitavano di come fossero riusciti ad essere cosí spensierati nonostante la tragica amichevole e la pessima figura che ci avevano fatto. Ma almeno, si disse Misugi, nessun fan era venuto a chiedere autografi, malgrado fosse pressoché certo che li avessero riconosciuti. Chissà, forse avevano avuto pietá di loro per lo stato in cui versavano e non avevano osato disturbarli.

“Magra consolazione” si disse sospirando “saremo crollati agli occhi di chi ci aveva idealizzato e ci vedeva come miti da raggiungere.

 

Il primo a resuscitare dal coma senza l’intervento di Jun fu Tsubasa che, dopo aver fatto uno sforzo immane per riuscire a districarsi dalle coperte che gli si erano aggrovigliate addosso, entró in bagno per darsi una rinfrescata e, guardandosi allo specchio, quasi non riconobbe la sua orrenda faccia stravolta. Si diede una lavata sbuffando disgustato e tornó nella stanza da letto per vestirsi.

-Mio Dio, ma che muso hai?- fece Tarō, svegliatosi anche lui in quel momento, mentre lo guardava da sotto le coperte con il viso appoggiato sui palmi delle mani. Tsubasa lo squadró con aria di sufficienza, replicando –Anche tu non scherzi, ti sei visto allo specchio? Sei un qualcosa di veramente abominevole, stamattina. Ishizaki ancora non segni di vita?-

-No, sembra di no- rispose l’altro voltandosi verso il letto dove il difensore se la dormiva ancora della grossa, con il volto sprofondato nei cuscini –povero, ho solo dei vaghi ricordi di ieri sera, ma la figura che ci ha fatto con la tipa ce l’ho impressa a fuoco nel cervello…lasciamolo sonnecchiare ancora un po’, !-

Il capitano attaccó a ridere sommessamente ripensando a quell’episodio, ma si interruppe di colpo quando un brivido gli elettrizzó la spina dorsale. In una sorta di flash mentale gli tornó alla memoria il comportamento dell’amico la sera prima, e subito corse in bagno davanti allo specchio per scrutarsi attentamente il collo alla ricerca di eventuali succhiotti. Notato che non ve ne era nemmeno uno, sospiró di sollievo e disse:

-Tu fattene poco caso, hai idea di quello che diventi quando bevi? Comunque vedo che mi sono salvato anche stavolta dal tuo assedio, che culo.-

-Che intendi dire?- Boccheggió Tarō, tirandosi su a fatica. Evidentemente a lui le sbronze cancellavano parzialmente la memoria a breve termine, si disse Tsubasa. Come poi anche a lui, che per il momento era ancora all’oscuro delle esibizioni canore con cui aveva “intrattenuto” il pubblico.

-Niente, se non te ne ricordi è meglio, ma sappi che per te è davvero compromettente alzare il gomito- gli rispose –ti comporti in modo inequivocabile, dissipando ogni dubbio a chi li nutre su di te.- La risposta del numero dieci era abbastanza criptica, e difatti Misaki si fece ancora piú curioso, incalzando: -Non capisco una parola di quel cazzo che dici, ma ti vuoi spiegare? Che tipo di dubbi dovrebbero avere su…- la sua frase restó incompleta perché in quel momento ebbe anche lui un flash e si rivide abbarbicato sulla sua schiena a di koala. Ammutolì all’istante e si mise una mano sulla faccia, mormorando: -Oh, Signore…-

-Hai realizzato finalmente, sottospecie di zecca? Ecco perché è meglio che tu non beva, quante volte te lo dovró ripetere ancora prima che tu recepisca il messaggio?-

-Non ci posso credere, ma sul serio faccio cose simili?- Continuó lui scuotendo la testa, sinceramente esterrefatto.

-Ebbene . Fatti vedere da uno bravo, potrebbe essere sintomo di un lato dormiente della tua personalitá che ancora non conosci- “ma che sospettano tutti” aggiunse mentalmente, ghignando.

 

In un’altra stanza poco lontana da quella di Tsubasa, Misaki e Ishizaki dormiva saporitamente il Triangolo Toho, almeno fino a quando l’insistente bussare di Misugi non aveva ridestato Kojirō dal sonno. Questi sollevó a fatica la faccia dal cuscino e imprecó mentalmente, notando la pozzangherina di bava che aveva inumidito quella parte di federa e di imbottitura, e portandosi una mano alla guancia per asciugarsi si tiró a sedere.

-Che hai da rompere?- Ringhió aprendo bruscamente la porta e rischiando di farsi bussare sul naso da Jun, che era rimasto con la mano sospesa a mezz’aria.

-Sono quasi le dieci, non vi sembra il caso di riprendervi?- Fece lui, buttando un occhio all’interno della camera e scorgendo gli altri due che ancora ronfavano beati.

-Perché, che abbiamo da fare? Vedi di cavarti dalle palle- Rispose Kojirō amabilmente sfoggiando la ben nota proprietà di linguaggio, mentre gli sbatteva la porta in faccia pensando stizzito che ormai non sarebbe piú riuscito a riprendere sonno. La testa gli pulsava e si sentiva in bocca un sapore disgustoso, per cui si avvió con passi pesanti in bagno per lavarsi viso e denti, maledicendo quello scrotoclasta di Jun.

Ma, essendosi alzato molto storto, decise che se non dormiva lui non avrebbero dovuto farlo neanche gli altri. Appena uscito dal bagno camminó a tentoni nella semioscuritá dirigendosi verso la finestra e, bestemmiando fra i denti una sfilza di anatemi per aver inciampato nella valigia di Wakashimazu rimasta bellamente aperta in mezzo alla stanza, tiró con malagrazia le tende e alzó rumorosamente le tapparelle, inondando improvvisamente di luce l’ambiente.

Spazió un attimo lo sguardo e, notando le condizioni in cui si trovava la loro camera, fu colto da un moto di repulsione. Nonostante le inservienti dell’albergo l’avessero risistemata meno di ventiquattro ore prima e loro ci fossero stati dentro non piú di mezza giornata da quando erano arrivati, sembrava un campo di battaglia. Non si sarebbe detto, forse, ma lui era un tipo piuttosto ordinato e pratico, a differenza di Wakashimazu che da solo era capace di fare piú casino di un contingente intero.

Da una stima approssimativa sembrava che gli altri due fossero morti, perché non mossero un muscolo. Kojirō allora passó alle maniere forti e si impossessó delle loro coperte, costringendoli ad un brusco risveglio.

-Siamo cafoni fin dal mattino, vedo…- biascicó Ken stropicciandosi gli occhi, mentre sbadigliava sonoramente.

-Sai la novitá…- gli fece eco Takeshi coprendosi la testa col cuscino, senza muoversi dalla sua posizione.

-Io vado a fare colazione, venite o no?- Esclamó l’attaccante ignorando i loro commenti, mentre si infilava i pantaloni della tuta. Sawada agitó una mano mugugnando un “dopo” ad occhi chiusi, ripiombando nel sonno nonostante fosse mezzo scoperto e infreddolito, ma Wakashimazu annuí alzandosi in piedi e stiracchiandosi. –Dammi un minuto e sono da te- disse, e notando l’amico che lo fissava sghignazzando, inarcó un sopracciglio, stupito: -Tu che ridi di prima mattina? E per cosa poi, sei sicuro di stare bene?- Kojirō, che era stato il primo a sorprendersi per il suo riso spontaneo, gli indicó i capelli esclamando –Sono mezzo tentato di chiamare un esorcista, se ti vedessi allo specchio capiresti. Sembri un’ananas.-

Ken fece una faccia agghiacciante e si catapultó in bagno, dove inizió a pettinarsi freneticamente le chiome ribelli imprecando a mezza voce, perché sembrava sul serio che avesse infilato due dita nella presa di corrente. Aveva anche lui, come tutti del resto, reminiscenze piuttosto confuse della serata appena trascorsa, ma si ricordava distintamente di quel disgraziato di Ishizaki che si era trastullato a giocare al parrucchino con la sua inestimabile capigliatura, tirandoseli sulla testa e pavoneggiandosi come un perfetto imbecille. Doveva essere tutta colpa sua. Poche altre volte, infatti, gli era capitato di ritrovarsi al mattino con una simile indecenza al posto dei capelli, dal momento che era dedito riservargli sempre cure e attenzioni che gli altri definivano quasi maniacali.

-Ma dai Ken, sei bello lo stesso…- lo canzonó Kojirō dalla camera, ghignando. –Io mi avvio, se ti conosco bene ci metterai un secolo. Ci vediamo giú.-

 

Doveva conoscerlo davvero bene, perché dopo un quarto d’ora di attesa l’amico ancora non si vedeva. Nel frattempo, si era seduto al tavolo dove c’erano giá anche Tsubasa, Tarō e Misugi (Ishizaki non c’era stato modo di svegliarlo) che erano piuttosto silenziosi e si scambiavano di tanto in tanto sguardi a dir poco allucinati, sbocconcellando chi un biscotto chi un panino.

-Io mi sento uno straccio…- farfuglió un Tarō apatico senza alzare lo sguardo dal suo tè. Si stava ancora vergognando come un ladro per quello che aveva appreso sulle sue imbarazzanti avventure etiliche ai confini dell’eterosessualitá, e si augurava ardentemente che nessuno girasse il coltello nella piaga, ma vedendo arrivare Kojirō perse presto ogni speranza di cadere nell’oblio. Quello di sicuro si sarebbe divertito a sfotterlo fino alla morte, si disse sconsolato.

-Tira aria di cimitero qui, cos’è? Un circolo anziani?- Esordí l’attaccante esibendo per l’ennesima volta la sua caratteristica convivialitá, mentre addentava una fetta di pane tostato. I numeri dieci e undici lo guardarono con delle occhiaie profonde che piú profonde non si poteva e nei loro occhi serpeggiarono lampi di invidia.

-Come cacchio fai ad essere cosí arzillo, e poi non hai neanche una ruga- osservó Tsubasa, che quella mattina si era sentito di colpo dieci anni in piú addosso.

-Ma che siete, educande? Per un goccetto di birra e mezza notte in bianco?- Li sbeffeggió lui, imburrando un’altra fetta di pane.

-Chiamalo goccetto…ho perso il conto dei litri che avró bevuto- rispose allora il capitano perfettamente conscio della sua condotta riprovevole, di cui peró non si era ancora pentito al cento per cento. Era la sua prima vera sbornia, e nonostante non avesse nessuna intenzione di allungare la lista delle sue imprese, ecchecavolo, si era detto, almeno una in tutta la vita.

A interrompere quell’insensato botta e risposta intervenne Takeshi, che sopraggiunse visibilmente stravolto e si posizionó di fianco a Kojirō,  nascondendo il volto fra le mani con fare teatrale.

-Che hai?- Gli chiese l’attaccante guardandolo con aria insofferente e un sopracciglio alzato, abituato com’era alle sue pantomime. Ci avrebbe scommesso che c’entrava Wakashimazu, e difatti l’amico mugugnó in risposta: -E’ per Ken. Tu non puoi neanche immaginare, sono stato svegliato da un’orribile trance tamarra* della peggior specie…non dico che era a tutto volume, se no l’avrebbero sbattuto fuori dall’albergo a calci in culo, ma poco ci mancava.- Gli altri scoppiarono a ridere di fronte a quella spiegazione tragicomica perché cozzava terribilmente con la sua faccia spiritata, che induceva a pensare a  tutt’altro genere di motivi ben piú seri.

-Non ce la puó proprio fare a smettere di ascoltare quella robaccia…ma che sta facendo ancora? Sempre quei cazzo di capelli?- Alla domanda di Kojirō Takeshi annuí e rispose –ha detto che Ishizaki gli aveva combinato un disastro ieri sera e che ci avrebbe messo almeno mezz’ora a rifarsi la piega.- A quell’affermazione tutti si scambiarono occhiatine eloquenti, sghignazzando. Era proprio fissato, peggio di Tsubasa col pallone.

-L’ho lasciato che ballava come un tarantolato mentre preparava il suo balsamo speciale. Sai, quello che ottiene mescolando almeno tre prodotti diversi. Se non sfonda come portiere, quel ragazzo ha un futuro assicurato come hair-stylist.- Concluse Takeshi, sorridendo sardonico e suscitando nei presenti una sincera risata sguaiata. Decisamente, le “prodezze” del Triangolo Toho a volte erano un toccasana per l’umore.

-Sentite- fece in quel momento Misugi cambiando argomento -io stamattina andrei volentieri a fare un giro in centro a comprare qualche souvenir, c’è nessuno che ha voglia di venire con me?-

Gli altri lo guardarono con delle facce che la dicevano lunga su quanto fossero entusiasti della sua proposta, finché Tsubasa ci ripensó e disse, malizioso:

-Massí, vengo io con te, cosí ti aiuto a scegliere qualcosa di carino per Yayoi, sei contento?-

Jun arrossí leggermente e gli frecció di rimando, piccato –tanto lo so che è una scusa per comprare un regalo a Sanae, mica sono deficiente che non l’ho capito!-

Il capitano sbuffó visibilmente imbarazzato e glissó abilmente la questione, chiedendo: -A proposito di denaro, a chi devo dare i soldi della mia parte per ieri sera? Perché non mi risulta di aver pagato qualcosa a qualcuno.-

-Ci credo se non te lo ricordi, ancora un po’ e ti perdevamo- sghignazzó Kojirō –e comunque non ne ho la minima idea, neanche io ho pagato niente a nessuno.-

-Io nemmeno.- Si accodó Tarō, scrollando le spalle.

-E io pure- Concluse Takeshi, scuotendo la testa.

Rifletterono un istante e si resero conto di essere usciti dal locale con la massima noncuranza verso quel “dettaglio”, sfasati com’erano; e anche chi magari se n’era ricordato aveva lasciato correre, supponendo che ci avesse giá pensato qualcun altro e che si sarebbero aggiustati in un secondo momento.

Misugi, il solo a conoscere la veritá, si schiarí la voce per un po’ prima di decidersi a dire –ehm, ragazzi…Wakabayashi ha saldato il conto a tutti, ieri sera.- L’aveva scoperto quando si era alzato per andare a chiedere a quanto ammontasse la cifra da pagare, essendo l’unico completamente sobrio che fosse in grado di adempiere a quel compito. Parlando in un inglese strascicato e concludendo la frase a gesti, il gestore gli aveva fatto intendere che aveva sopperito alla cosa “il moretto con gli occhi a mandorla” in mezzo ai due tedeschi che erano andati via prima.

Quando aveva appreso la notizia a Jun per poco non cadeva la mascella dalla sorpresa, e gli amici ebbero la stessa identica reazione, meravigliati soprattutto del fatto che avesse disimpegnato anche Kojirō. Doveva proprio essere stato ubriaco perso.

-Ha fatto cosa?!- Berció subito lui, con un’espressione trucida in volto –Chi si crede di essere quel fighetto? I miei debiti me li pago da solo, io!- Doveva dargliene atto, quel bellimbusto riusciva sempre a stupirlo. Vabbé che a pecunia stava messo bene e si sapeva, ma se gli altri vedevano la cosa come una cortesia gradita, per lui equivaleva praticamente ad un insulto: era una questione di orgoglio personale, la Tigre della Toho non accettava l’elemosina da nessuno. Men che meno da uno come lui.

-Eddai, Hyūga- fece Tsubasa, risistemandosi la mandibola mezza slogata –che problema c’è? E’ un gesto gentile, non prendertene a male.-

Purtroppo, peró, si era fuori tempo massimo per tentare di ammansirlo perché ormai l’embolo gli era partito, e aveva giá preso la ferma decisione di andare a pescare il portiere per sbattergli in faccia senza tanti convenevoli la propria parte di soldi. -Me la prendo eccome! Chi gli ha chiesto niente? Io non ho bisogno  della caritá di nessuno, specialmente della sua!-

Gli altri si guardarono alzando gli occhi al cielo, pensando che quando ci si metteva Kojirō sapeva essere una Vera Palla.

-Ascolta, Hyūga- proseguí l’ardito Tsubasa, evidentemente poco interessato alla propria incolumitá –ho pensato di ringraziare Wakabayashi da parte di tutti noi. Lo faró anche da parte tua e tutto morirá , d’accordo? Non c’è bisogno di risolvere questa faccenda con uno spargimento di sangue.- Tarō, Takeshi e Jun lo fissarono allibiti, pensando che fosse proprio l’ultima cosa che dovesse dire. Kojirō che ringraziava Genzō per qualcosa? Pura fantascienza.

-Cos’è, ti ha svaporato il cervello?- L’attaccante si alzó di scatto facendo quasi cappottare la sedia e si avvicinó minacciosamente al volto del capitano, puntandogli l’indice sul petto a sottolineare le sue parole.

-Stammi a sentire, splendore…tu non farai proprio niente da parte mia, chiaro? Azzardati a dirgli qualunque cosa e ti sparecchio la faccia.-

 

 

 

NOTE (futili come al solito):

 

*Che poi è quella che ascolta anche la sottoscritta xD

Apprezzo moltissimi generi musicali diversi, e ahimé la trance-trash rientra(va) fra questi. Ne ho abusato negli anni della gioventù, sigh, che bei ricordi; peró, sempre parlando di questo filone musicale, ormai è da parecchio che mi sono votata alla sola hime-trance nipponica, che piú o meno è la stessa cosa, ma alle mie orecchie è maggiormente sopportabile solo perché i testi dei motivetti scemi e tutti uguali sono cantati in giappo^^;

Ma non sono truzza. Ballo questa roba solo quando DEVO sfogarmi e non posso pogare con nessuno. Lo giuro xD


Mi sembra doveroso poi aggiungere un piccolo appunto anche su un’altra cosa, come qualcuno mi ha fatto giustamente notare.
Trottola mi ha scritto dicendosi perplessa circa il fatto che i J-Boys si sbronzassero cosí alla svelta, perché non le sembrava molto realistico. Ebbene, esiste una spiegazione logica piuttosto semplice che ho omesso finora perché per me era scontata, anche se effettivamente a pensarci bene non lo è affatto. Provvedo subito a delucidare in merito.
I J-Boys si ubriacano cosí in fretta perché gli asiatici hanno una differente tolleranza verso l’alcool rispetto agli europei, causata dall’assenza di un enzima chiamato “Aldeide Deidrogenasi 2”, uno di quelli che serve appunto alla metabolizzazione di tali bevande. Oppure, anche laddove l'enzima é presente, é comunque difettoso e non fa il proprio dovere. Tradotto in parole povere, hanno una scarsa capacitá di assimilazione degli alcolici e tendono a sbronzarsi nella metá (se non meno) del tempo che ci metterebbe una qualsiasi altra persona di etnia non asiatica. Per cui, se vi sembra che nella fic vadano fuori di testa troppo velocemente sappiate che succede davvero cosí, se poteste bere in compagnia di giapponesi ve ne rendereste conto^^
Esistono ovviamente delle eccezioni, ma in linea di massima è una cosa che hanno di “default” nel loro corredo genetico. Va considerato poi che i boccali di cui parlo sono da un litro e mezzo-due di birra, e di un tipo particolarmente peso. Anche Kaltz alla fine é fuori come un balcone pur non essendo giapponese, ma se si calcolano i litri che ha ingerito la cosa si spiega, credo xD

 

 

 

Visto che avevo del tempo da perdere a esami terminati, ho provato a fare un banale disegnuzzo senza senso del Triumvirato dei Fessi, perché io AMO questi tre, li amo sul serio. Se volete vederlo cliccate QUI, ma siete avvertiti, è fatto in fretta e furia e colorato anche peggio (Tempus Fugit, e poi io odio colorare xD) Potevo fare di meglio, ma poco male, non ho certo intenzione di smettere di disegnarli^^

 

Grazie mille a Silen (carissima, mi fa sempre un piacere immenso leggere i tuoi commenti, lo sai^^) e a Berlinene (ragazze, voi due mi avete fatto sghignazzare come una stordita con i vostri BOT, CCT e PROT xD) che si prendono la briga di commentare questa specie di fic. Non deve essere facile, e apprezzo davvero molto il vostro sforzo.

Un sentito grazie anche a tutti i lettori silenti^^

Un ringraziamento speciale va poi a Pucchyko_Girl, che sostiene di essere stata ispirata da me (!) per la stesura della sua toccante e malinconica “Avevo un sogno…che ora ti affido”, incentrata su quella sagoma di Mr.Stecchino.

Sono a dir poco commossa e lusingata, nonché ancora sconvolta, da questa cosa *__*

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 - Mine vaganti e suicidi verbali. ***


I tiri di kaltz di certo non smerigliavano le mani ai portieri, ma erano ugualmente insidiosi

Ariecchime qua con l’ormai settima parte di questa storia senza capo né coda, perché io proprio non so cosa sia la vergogna xD

Stavolta é presente una piccola parte introspettiva sulle paturnie del Kaiser di Germania, che si riallaccia agli eventi della storia originale, piú un paio di altri paragrafetti forse un po’ pallosi, ma non temete, le cavolate riprenderanno in men che non si dica. E come potrebbe essere diversamente.

 

 

 

 

CAPITOLO 6 – Mine vaganti e suicidi verbali.

 

 

 

 

I tiri di Kaltz di certo non smerigliavano i guanti dei portieri, ma erano ugualmente insidiosi.

Neanche finito di constatarlo che per poco Genzō non se ne fece passare uno in mezzo alle mani; lo paró all’ultimo soltanto grazie alla sua prontezza di riflessi e perché no, grazie anche ad un pizzico di autentico Fattore C. Peró cosí non andava proprio. Stava peccando di superbia, non doveva sottovalutare l’amico solo perché non era in grado di tramutare i palloni in supernove infuocate come riusciva a fare Schneider. Stecchino in campo era imprevedibile e con certe giocate di fino persino potenzialmente pericoloso, ormai avrebbe dovuto saperlo.

-Uuuh, che pelo- ululó lui, squadrandolo con la sua tipica espressione sorniona e le mani sui fianchi –hai avuto culo stavolta, eh? C’ero vicino tanto cosí.-

-E va bene, ammetto che non mi aspettavo il pallonetto, contento? Fai poco lo sborone, intanto mica ci sei riuscito a segnarmi- sogghignó Genzō rinviandogli la palla, che Kaltz stoppó di petto esclamando -Fai poco lo sborone tu, vedremo se non ti bucheró almeno una volta!-

Era giá da un’oretta e mezza che i due consorti si stavano cimentando nei rigori imposti dal capitano, che nel frattempo si allenava con il resto della squadra nell’altra metá campo. Il sottile dubbio che il Kaiser si fosse voluto bellamente liberare di loro gli si era insinuato piú di una volta nel corso di quella mattina; benché lo nascondesse egregiamente, era probabile che anche  l’infaticabile Schneider fosse in realtà piuttosto ammosciato dalla serata appena trascorsa. Non aveva bevuto, ok, ma neanche lui a lungo andare avrebbe retto all’allenamento senza cali di prestazione, considerati gli strascichi dell’impegnativo pomeriggio dell’amichevole e le quattro ore scarse di sonno alle spalle. E poi, a pensarci bene, anche nella partita contro i suoi connazionali gli era sembrato in piú di un’occasione che avesse la testa da un’altra parte, nonostante la solita figura eccelsa che aveva fatto. Genzō conosceva bene i suoi scazzi silenti, e quello aveva tutta l’aria di esserlo.

 

La sua perspicacia come sempre non sbagliava, perché in effetti il capitano era impensierito da qualcosa, e lo stress fisico non era che uno soltanto dei motivi che lo avevano spinto a spedirli ai rigori per non essere costretto a doverseli sorbire.

Quella mattina si era sentito fiacco ancor prima di cominciare, benché l’avesse dissimulato benissimo e praticamente nessuno se ne fosse accorto. Al pensiero che avrebbe dovuto sopportare la logorrea di Kaltz e la boria di Genzō si era sentito mancare le forze; per quanto fossero amici, c’erano momenti in cui non li tollerava e quel giorno, per tutto un insieme di ragioni, era uno di quelli.

 

Quando qualcosa lo turbava non era certo avvezzo a confidarsi con qualcuno, anzi, in quei frangenti riduceva al minimo indispensabile i rapporti umani preferendo isolarsi a rimuginare in santa pace, soprattutto se aveva un tarlo fastidioso come quello che lo preoccupava da un po’: i suoi erano in rotta e lui, essendo un tantino in apprensione per la sua situazione familiare, non si sentiva di avere intorno nessun rompicoglioni.

La sera prima aveva accettato di uscire con loro giusto perché non voleva restare in casa con sua madre che, esattamente come il figlio, si crucciava in segreto per ció che stavano passando, cercando al contempo di non fargli pesare troppo quella situazione. Solo che lui non era un cretino e capiva bene quanto lei ne soffrisse, ma sapendo che non ci sarebbe stato modo di instaurare un qualsivoglia tipo di dialogo, aveva preferito cambiare aria e cercare di distrarsi un po’. E grazie a quel gruppo di squinternati c’era riuscito, per qualche ora si era svagato e non aveva pensato affatto alle proprie vicissitudini.

 

Era tassativo seguitare a comportarsi come il capitano di sempre perché solo cosí non gli avrebbero fatto domande indiscrete, e finora neanche quei due beoti si erano impicciati troppo, evidentemente se l’era costruita proprio bene la maschera che indossava. Peró, anche se aveva sempre potuto contare sulla sua recitazione impeccabile, quella mattina si sentiva forse un po’ piú vulnerabile del solito a causa della stanchezza fisica ed emotiva che cercava in tutti i modi di celare da giorni, e temeva che potesse trapelare qualcosa agli occhi di chi lo conosceva meglio degli altri.

Cosí, era stato ben felice di cogliere la palla al balzo quando li aveva sgamati a cazzeggiare senza ritegno, allontanandoli da sé quel tanto che bastava per non essere scrutato dagli occhi indagatori del portiere e non udire il chiacchiericcio inesauribile di Kaltz, capace di blaterare a vanvera anche mentre tirava, correva, dribblava, rimetteva, passava…insomma, sempre e comunque.

 

E difatti era  questo l’unico sottofondo che si udiva nella metá campo del gatto e la volpe. Genzō, non potendone piú, aveva deciso di spremerlo come un limone, cosí almeno se avesse esaurito il fiato se ne sarebbe stato zitto.

-Senti, ma non riesci proprio a concentrarti anche senza parlare in continuazione?- Gli disse per provocarlo, pochi istanti prima di tuffarsi per parare l’ennesimo tiro. Ad onor del vero piú che un’esclamazione si era udito solo un flebile rantolo, perché gli costava fatica parlare e doveva sforzare la voce per farsi sentire, ma mai e poi mai avrebbe rinunciato a mettere in atto la sua raffinata strategia di intimidazione verbale.

-Stai forse insinuando che ti fastidio?- Rispose Hermann che ci aveva sentito benissimo, preparandosi a scagliare un nuovo rigore.

-Macché, affatto. E’ un piacere ascoltare le tue facezie perché sono soavi componimenti che arrivano dritti al cervello, peggio del trapano del dentista.- Ghignó l’altro, sistemandosi la visiera del cappello col suo solito fare strafottente.

-Questa non me la dovevi dire, sfinge del cazzo. Occhio che ti segno per carica sul portiere, e chissefrega se è fallo- ribatté il centrocampista sputando lo stecchino con aria minacciosa.

-Sai che paura. Sarebbe proprio ora che mi mostrassi tutta la tua teutonica grinta, perché fino adesso non ne ho visto neanche l’ombra.- Era sicuro che avrebbe colpito nel segno con questa tagliente e mefistofelica uscita, perfettamente nel suo stile. Man mano che proseguiva negli allenamenti si stava caricando sempre piú, e solitamente piú era carico lui piú si spompavano gli avversari; ergo, un Hermann sfiancato se ne sarebbe stato buono e zitto ad usare il poco fiato rimasto solo per tirare e basta, senza sproloquiare inutilmente.

Peccato peró che alla sua stoccata l’amico rispose sganasciandosi con una bella risata.

-Dai, ma ti ascolti quando parli? Proprio non riesco a stare serio, con quel rantolo di voce che ti ritrovi sembri sul punto di tirare le cuoia, vuoi fare lo smargiasso ma non sei credibile neanche un po’!- E come dargli torto, pensó il portiere infastidito. Forse la sua comprovata tattica sovversiva questa volta non avrebbe sortito l’effetto sperato. Ma possibile che a lui non venisse mai un fottutissimo abbassamento di voce?

Leggermente infumanato per l’ineluttabile fallimento del suo piano, effettuó per vendicarsi una potente rimessa che sfrecció a pochi centimetri dal viso di Kaltz, il quale sobbalzó inorridito e gridó, portandosi le mani sulle guance: -Ohi! Hai rischiato di sfigurare il mio faccino perfetto, razza di idiota!-

-Ah, per quello non c’era pericolo, scimmia- ribatté il portiere, sorridendo sarcastico –semmai hai corso il rischio di diventare bello.-

-Ma senti questo con che coraggio…- borbottó Stecchino, metá serio e metá divertito, mentre si massaggiava il “bel faccino”, la cui scimmiesca perfezione era stata messa seriamente a repentaglio. Genzō doveva riconoscerlo, l’amico era capace di non prendersi mai troppo sul serio e se c’era un lato del suo carattere che apprezzava era proprio quella spiccata auto-ironia, cosa che non era certo da tutti.

-Oh, mi viene in mente- fece lui, senza smettere di carezzarsi la mascella squadrata –non ti ho ancora ringraziato per ieri sera, finocchio. Vuoi che ti esprima la mia gratitudine con un bacino?-

Genzō rabbrividì all’idea ed esclamó, cadendo dalle nuvole:- E per cosa dovresti ringraziarmi?-

Kaltz lo guardó lievemente perplesso e replicó, gingillandosi fra i denti il nuovo stecchino che aveva appena pescato dalle tasche: -Bé, hai pagato per tutti, no? Vabbé che ero piuttosto cotto, ma questo me lo ricordo.-

Il portiere si prese il mento fra le dita, pensieroso. Si spremette un po’ le meningi e finalmente gli venne in mente che , effettivamente le cose stavano come diceva lui.

-Non hai bisogno di ringraziare, fa niente- disse infine, alzando le spalle –non è stato un problema.- E non lo era veramente, in fondo per lui i soldi non avevano mai costituito una fonte di preoccupazione. Per meglio dire, in altre condizioni mentali si sarebbe limitato a pagare solo la sua parte o al massimo quella dei due imbecilli, ma l’essersi ricordato di aver pareggiato i conti anche agli altri non lo scosse piú di tanto. Ripensó un attimo al delirante festino e ad una delle parti che aveva preferito in assoluto, ovvero quando aveva sfogato le sue frustrazioni elaborando quello scherzo malefico ai danni del povero Ishizaki; al pensiero sghignazzó fra sé e sé, ma il riso gli morí in gola quando si ricordó anche di un altro piccolo, tragico particolare.

-Senti, Hermann…ho pagato proprio per tutti tutti?- Gli chiese con voce tremula, quasi temendo la risposta.

-Che domanda deficiente, ovvio che …anche per il tuo amico preferito, se è questo che ti stai chiedendo.-

Il suo cuore mancó un battito.

 

Nel frattempo, il neo-capitano in carica Matsuyama aveva proprio toccato il fondo. Del barattolo di Nutella che si stava compulsivamente sbafando, nel tentativo di arginare la crisi di nostalgia amorosa che non dava segni di miglioramento, nonostante ci avesse dormito su e ora fosse completamente sobrio.

Era seduto al tavolo della colazione con i compagni, che oramai erano scesi quasi tutti, e ascoltava vagamente tediato i loro discorsi. La depressione che gli era calata sul groppone la sera prima, circa da quando aveva salutato Yoshiko, pareva non volerne sapere di andarsene. Gli mancava indicibilmente, e in quel momento si sentiva quasi un alieno in mezzo agli amici, che sembravano distanti anni luce dal poter comprendere anche solo la metá di quello che provava.

D’accordo, non era l’unico ad avere la ragazza, ma non si poteva neanche fare un paragone con gli altri due elementi in questione.

 

Tsubasa e Sanae, l’eterna pseudo-coppia, si barcamenavano in una situazione quanto mai contorta e sconclusionata, benché risultasse lampante agli occhi di tutti che la ragazza nutrisse una bella scuffia per il capitano, mentre quest’ultimo…, di sicuro la manager non gli era indifferente, ma nessuno finora aveva capito esattamente entro quali termini. La vedeva solo come un’amica preziosa? O c’era dell’altro? Quando glielo si provava a chiedere, il diretto interessato era quanto mai elusivo, e dire che di solito non era un tipo particolarmente riservato. Eppure, su questo argomento, era davvero un osso duro e non si scuciva con nessuno, per cui fino a quel momento non c’era stato modo di venirne a capo.

Proprio questo suo comportamento, in netto contrasto col suo modo di essere, insospettiva chi lo conosceva bene: possibile che alla fine si trattasse solo di un problema di timidezza all’ennesima potenza?

Quando si toccava l’argomento, all’interno della squadra si poteva assistere ad un curioso fenomeno, definito “la divisione del Mar Rosso”: da una parte si schieravano tutti quelli convinti che Tsubasa “ci fosse”, dall’altra tutti quelli che pensavano che “ci facesse”, benché nessuno di loro in fondo lo ritenesse ottuso fino a quel punto. Che il capitano fosse un fanatico del calcio e che quando ci fosse di mezzo il pallone non vedesse nient’altro non era un mistero, ma di certo non era l’ultimo dei polli. Magari ingenuo, per certi versi, o beota, come avrebbe detto Genzō, ma Sanae trasudava talmente tanto amore da tutti i pori quando c’era lui in giro che se ne sarebbe accorto chiunque, e risultava difficile credere che fosse l’unico a non esserci ancora arrivato.

Su una cosa peró si trovavano tutti d’accordo: se quei due avessero continuato ad andare avanti su quel binario, Sanae sarebbe stata  beatificata a breve.

 

Invece, Jun e Yayoi erano di tutt’altra pasta, e come tipologia differivano parecchio dalle altre coppie. A dirla tutta sembravano sposati da anni, i loro sguardi di intesa erano leggendari cosí come i loro silenzi mai imbarazzanti ma pregni di significato, quelli tipici di due persone che sono talmente sulla stessa lunghezza d’onda da non aver bisogno di usare le parole per capirsi.

Si percepivano lontano mille miglia la totale fiducia e l’amore incondizionato che facevano da perno alla loro relazione, stabile ormai da parecchio tempo; per gli altri risultava impossibile pensare a Jun senza che gli venisse associato automaticamente anche il nome di Yayoi, agli occhi di tutti erano praticamente due corpi ed un’anima sola. Se mai un si fossero lasciati, la squadra era certa che in quello stesso giorno l’Apocalisse sarebbe giunta.

 

E poi c’era lui. Lui che s’illuminava d’immenso ogni volta che si nominava la SUA Yoshiko. Loro due formavano sicuramente la coppia piú melensa del gruppo, quella da due dita in gola per intenderci, anche se lo Sdolcinato per Vocazione era senza dubbio lui, il freddo uomo del Nord che si scioglieva come neve al sole quando si trattava della sua bella. Freddo poi mica tanto, Matsuyama aveva un temperamento piuttosto emotivo e sanguigno, e spesso la sua faccia era come un libro aperto.

 

In quel frangente, insomma, si sentiva un po’ isolato perché non c’era nessuno all’interno di quella comitiva di spostati che potesse capirlo fino in fondo. Vuoi perché uno alla fine non era ancora fidanzato a tutti gli effetti, vuoi perché l’altro sembrava avesse giá una relazione da trentenne maturo neanche confrontabile con quelle dei suoi coetanei.

Nemmeno il fatto di essere diventato il nuovo capitano riusciva a consolarlo piú di tanto, ma si ridestó dall’atarassia quando captó il proclama di Kojirō.

 

Era da quando si era unito agli altri, circa una ventina di minuti prima, che lui e Tsubasa continuavano a discutere abbastanza animatamente sulla questione del conto che un Genzō inciuccato aveva saldato per tutti. Era arrivato quando erano a metá della loro conversazione e perciò si era perso qualche dettaglio antecedente, che gli era peró stato raccontato da Takeshi, seduto vicino a lui.

Udendo l’attaccante che, sbuffando stizzito, asseriva di voler andare a fare due passi perché ne aveva le palle piene di quei discorsi, al buon Matsuyama si drizzarono le antenne e sentí suonare un campanellino d’allarme nella sua testa.

Non ci voleva un genio per capire che le sue intenzioni consistessero nell’andare a trovare il portiere prediletto per sistemare le cose a modo suo, prima che Tsubasa facesse danni parlando in sua vece e finendo col dire eresie che lui mai si sarebbe sognato di pronunciare.

-In qualitá di capitano, ho il dovere di seguire quella mina vagante per accertarmi che non combini dei casini.- Dichiaró allora al gruppo con fare risoluto, mentre si alzava e si apprestava a tallonarlo a distanza, perché non voleva certo farsi nasare mentre lo pedinava, avrebbe ottenuto solo di farlo innervosire di piú. Sarebbe intervenuto solo se lo avesse ritenuto opportuno.

-Vengo con te, Matsuyama- fece Tsubasa alzandosi a sua volta, ma l’amico lo freddó esclamando: -No, basto io. Non facciamo il trenino eh, che poi ci sgama tutti.-

 

Dopo aver metabolizzato la drammatica notizia ed essersi dilettato a picchiare un po’ Stecchino, accusandolo di non avergli impedito di compiere quel gesto sconsiderato, Genzō si disse pronto a riprendere gli allenamenti, ma la cosa gli rodeva ancora. Se c’era una persona a cui non voleva fare favori era proprio quello spiantato che peró, pensó, magari non voleva neanche riceverne. Da lui, poi. Era quasi certo che la cosa non sarebbe finita , Kojirō non avrebbe lasciato cadere la questione, poco ma sicuro. Ma perché cacchio aveva bevuto cosí tanto…

Si stropicció la faccia con una mano imponendosi di smetterla di pensarci e si preparó a parare il fetentissimo tiro di Hermann, che non si insaccó solo per un soffio.

-Ma che calo di forma, tesorino- constató lui –mi sa che se continua cosí riusciró ad andare in rete molto presto.-

-Tzé, ti piacerebbe- ribatté l’altro, sistemandosi i guanti –non ricordi piú chi sono io?-

L’amico alzó gli occhi al cielo sbuffando – senti, non farmi dire che significa secondo me l’acronimo del tuo ridicolo soprannome perché sarei capace di smontartelo in due secondi, e lo sai.-

 

Tsubasa, dopo la dichiarazione d’intenti di Hikaru che si era messo alle calcagna del numero nove, stava aggiornando gli ultimi arrivati, i gemelli Tachibana, sui recenti sviluppi dell’eterna diatriba Kojirō-Genzō; ad aiutarlo nella narrazione c’erano Misaki e Jun, che contribuivano ad arricchire il discorso con utili precisazioni circa quello che l’amico avrebbe voluto fare per appianare la questione.

-Cioè, secondo te bastava ringraziare Wakabayashi da parte di Hyūga per evitare contrasti?- Fece sconcertato Masao, poi come d’abitudine fu il fratello a terminare la frase, scuotendo la testa –Ma quando la finirai con questo buonismo? Quei due se si pigliano si scotennano, non c’è Santo che tenga. Fattene una ragione.-

-Non è buonismo, è buonsenso, ragazzi- replicó Tsubasa, punto sul vivo. –Dovrei lasciare che si sgozzino a vicenda, secondo voi?- Nella tavolata si susseguirono delle occhiatine abbastanza eloquenti.

-Forse se si scannassero un po’, ma soltanto un po’- precisó Takeshi, perforato dallo sguardo minaccioso del numero dieci –...credo che potrebbe fargli persino bene.-

 

La pallonata atomica del Kaiser schizzó inavvertitamente nella metá campo del gatto e la volpe, sibilando a pochi centimetri dalla nuca di Hermann.

-Eh , allora ditelo che ce l’avete con me oggi- Proruppe quello, indignato –è giá la seconda volta che tentate di farmi fuori, carogne.-

-Sei una pippa, dovevi mirare con piú precisione- Bofonchió Genzō rivolto al capitano, che era corso verso di loro per recuperare il pallone.

-Senti, ma non è il tuo “amico” quello che sta arrivando?- Esclamó lui indicando un punto all’orizzonte e sottolineando con particolare enfasi la parola “amico”.

-Lupus in fabula…- commentó Hermann, schermandosi gli occhi per riuscire a intravedere meglio la figura che si stava avvicinando.

-Eccapirai…- sibiló Genzō fra i denti, schioccando la lingua.

In un attimo si infiló il suo collaudato scafandro dell’imperturbabilitá e con espressione indecifrabile fissó Kojirō, che per raggiungerlo stava attraversando il campo a grandi falcate. Figurarsi se avrebbe perso tempo a rifarsi vivo. Non che la cosa lo sconvolgesse, non era certo la paura del confronto che lo stava innervosendo, dopotutto era abituato ai loro alterchi; peró aveva il vago sentore che il rivale stavolta non l’avrebbe preso troppo sul serio con quella vocetta da eunuco che si ritrovava, e lui non ci teneva proprio a diventare l’oggetto di scherno di quel morto di fame. Giá lo sfotteva quando si trovava in condizioni normali, ma cosí poi era come servirgli comodamente la sua testa su un piatto d’argento.

Poco male, pensó infine, se si fosse fatto beffe delle sue parole avrebbe preso sul serio almeno i suoi montanti.

A parte il mordicchiarsi di tanto in tanto il labbro inferiore, null’altro nel suo viso lasciava trasparire le sue reali emozioni, ma Kaltz, all’erta come un segugio, osservandolo attentamente di sottecchi si era accorto di quel piccolo gesto che tradiva la sua inquietudine, e gli disse per sdrammatizzare:

-Se vuoi ti doppio io.- Genzō si voltó a guardarlo con gli occhi a palla sinceramente sorpreso, esclamando:

-Ma che sei, telepatico? E comunque, peccato che tu non sappia il giapponese, altrimenti potrei anche prendere l’idea in seria considerazione.-

-Senti, noi ci eclissiamo. Cercate di non dare troppo spettacolo e, nel caso avessi bisogno, sai dove cercarci- disse Schneider, lanciandogli un’occhiata esausta mentre si allontanava verso l’altra metá campo. No, decisamente non doveva essere tanto in forma neanche lui, pensó il portiere per una frazione di secondo prima di essere distratto da Hermann, che gli ricordó di cacciare un urlo per chiamare aiuto, aggiungendo poi -…anche se prima che ti senta qualcuno avrá tutto il tempo di gonfiarti come una zampogna.- Coppino canonico da parte di Genzō e finalmente pure la scimmia evaporó.

 

Kojirō l’aveva ormai raggiunto, e gli si era parato davanti a gambe larghe con una faccia che non prometteva nulla di buono.

-Chi si vede, non ti sei ancora dato fuoco?- Lo accolse affabilmente il numero uno dell’Amburgo, maledicendosi l’attimo dopo aver parlato. Non riusciva proprio a dare un tono dignitoso a quella voce abominevole.

-Cosa stai farneticando?- Trilló Kojirō, giá con un sopracciglio alzato e un mezzo ghigno che iniziava ad increspargli le labbra.

Caló il silenzio per un istante. Il portiere non si azzardava ad aprire bocca, nonostante avesse le parole sulla punta della lingua, dal momento che farlo con quella voce equivaleva ad una specie di suicidio verbale.

L’attaccante, dal canto suo, aspettava incuriosito la sua prossima mossa, perché quello che aveva sentito l’aveva divertito non poco. I due si guardarono di traverso e Genzō, sospirando, decise di sacrificarsi e parlare, dopotutto quel silenzio era ancora piú snervante.

-Che sei venuto a fare? Se cerchi rogne sei nel posto giusto.-

Kojirō trattenne a stento una risata. Ringrazió mentalmente l’entitá celeste che quel giorno aveva dotato il suo acerrimo nemico di una parlantina tanto comica, perché probabilmente ci avrebbe messo piú  del previsto a farlo sclerare, consentendogli magari di mantenersi compassato addirittura fino alla fine. Chissà, quell’imprevisto poteva rivelarsi un aiuto provvidenziale  per controllare i nervi e reprimere le sue attitudini violente, permettendo alla sua parte “diplomatica”, se mai esistesse, di prendere il sopravvento.

-Para un po’ questi, surrogato di portiere, e dammi una ragione per cui non dovrei pestarti.- E cosí dicendo si infiló una mano in tasca afferrando alcune banconote, che gli gettó letteralmente addosso. Genzō non si mosse di un millimetro lasciando che il denaro frusciante gli atterrasse ai piedi, e replicó:

-Senti, voglio darti un consiglio. Fatti una vita, non stare sempre appresso a me e piantala di atteggiarti. Non me ne frega un cazzo dei tuoi soldi, se sei venuto fin qui solo per questo vedi di prendere il largo.-

Sotto il suo sguardo sprezzante e quell’aria da mitomane la vena sulla fronte di Kojirō inizió a pulsare pericolosamente. Voce cazzuta o no, iniziava giá ad irritarlo. Come non detto, alla fine non ci aveva messo molto. Altro che lato diplomatico. Mera illusione quella di trovarne uno in lui.

-Atteggiarmi, io? Senti da che pulpito…se non vuoi che ti smonti, raccoglili.- Gli disse in tono perentorio, scrutandolo con gli occhi a fessura. Ormai la sua collera stava scalando inesorabilmente i livelli di guardia.

-Sei ininfluente, Hyūga. Come i tuoi soldi. Riprenditeli e vattene.-

Benché avesse pronunciato quelle parole in un tono piuttosto ameno, in stile “esalazione dell’ultimo respiro”, a Kojirō non fecero ridere affatto e si sentí improvvisamente salire il sangue alla testa; prima che potesse rendersene conto, aveva giá caricato un gancio in direzione della sua intollerabile faccia da schiaffi.

Genzō peró fu piú veloce, e in quello stesso momento il pugno che aveva in cantiere da quando lo aveva visto arrivare si infranse sul suo zigomo, prima che l’altro facesse in tempo anche solo a vederlo.

 

 

 

 

 

Stavolta, stranamente, non ho note particolari da aggiungere, ma come di consueto ci tengo a ringraziare Zia Silen (adesso che mi hai autorizzato a chiamarti cosí non la finiró piú, lo sai, vero?), Berlinene e Pucchyko_Girl per le loro scoppiate recensioni a me graditissime^^

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - The peacemaker (?) ***


Finalmente ce l’ho fatta ad aggiornare la mia mediocre fic di cui nessuno sentiva la mancanza xD

Finalmente ce l’ho fatta ad aggiornare la mia mediocre fic di cui nessuno sentiva la mancanza xD

Questa ottava parte lascia il tempo che trova e, nel tentativo di risollevarne un po’ le sorti, l’ho corredata da qualche disegnuzzo che ho fatto nel tempo libero invece di pensare a delle idee migliori da scrivere, peró mi sa che alla fine il risultato sia ancora peggio, mah…^^;

I link per vederli sono nelle note finali.

 

Sapete, credo che tra poco vi libereró da questa rogna, perché ho idea che questo sará il penultimo capitolo. Ebbene , non avete capito male, vi toccherá sorbirvene ancora uno prima di poter vedere (forse) l’agognata parola FINE xD

Comunque, nella puntata precedente, abbiamo lasciato Genzō e la sua nemesi all’inizio del loro tafferuglio, ma il prode Matsuyama se ne sta imboscato da qualche parte pronto ad intervenire. Oltre naturalmente ai soliti due crucchi, anch’essi preparati a scendere in campo in caso di necessitá.

Insomma…ce la faranno i nostri eroi a farsi una salubre scazzottata in santa pace?

 

 

 

CAPITOLO 7 – The peacemaker (?)

 

 

 

Eppure non era andato con  propositi bellicosi, nossignore. Le sue intenzioni erano pacifiche, e per quanto quella parola potesse stonare associata a lui, stavolta non si trattava altro che della pura e semplice veritá.

Kojirō Hyūga non voleva fare a botte, almeno non inizialmente. Se quella testa di cazzo di un portiere avesse accettato la sua parte di soldi senza piantare dei casini, probabilmente la cosa sarebbe anche potuta finire in modo incruento.

Peró poi le condizioni si erano imposte, e lui alle provocazioni proprio non riusciva a non rispondere. Specie se arrivavano da lui.

 

-Vuoi sapere cosa penso?- Abbaió Kojirō un po’ stordito dal colpo ricevuto a tradimento, mentre indietreggiava di qualche passo per schivare un altro destro -Penso che tu ti sia montato la testa. Vedi di scendere dal trono su cui per altro ti sei auto-insediato, che non hai proprio il diritto di sentirti superiore a nessuno.-

-Ma chi ti credi di essere per giudicarmi? Non metterti a sputare sentenze gratuite se non sai proprio un cazzo di me!- Replicó l’altro preparandosi a sferrargli un montante rabbioso, che venne peró  intercettato e bloccato dall’avversario.

-Ne so abbastanza per intuire quello che suppongono le persone arroganti come te.- E cosí dicendo gli restituì il pugno di poco prima con gli interessi, poi si allontanó un po’ e rimase sulla difensiva aspettandosi il contrattacco.

Che non arrivó mai, o meglio, non fu lui a subirne le dirette conseguenze.

 

Fino a quel momento, infatti, l’impavido Matsuyama se ne era stato infrascato poco distante, a vigilare su ció che aveva sperato potesse risolversi con un bucolico chiarimento. Peró, non appena vide volare cazzotti, li raggiunse di corsa e si paró temerariamente in mezzo ai due contendenti, giusto in tempo per ricevere in pieno viso il gancio di un imbesuito Genzō a cui si erano un attimo ottenebrati i sensi dopo il pugno incassato.

Evidentemente, non era sempre vero che tra i due litiganti il terzo gode.

-Matsuyama?! Che cacchio ci fai qui?- Trasalí Kojirō strabuzzando gli occhi, dopo che per la sorpresa aveva cacciato un bestemmione irripetibile suggellato da un “Amen” di Genzō.

-Ops…- Fece quest’ultimo, asciugandosi col bordo della manica un rivolo di sangue dal labbro -…eri sulla mia traiettoria e non ti avevo visto, certo che peró potevi anche evitare di pararti in mezzo.-

-Chiedere scusa magari no, eh?- Sbottó quello, tamponandosi il naso con una mano –Cos’è, adesso passo anche per deficiente perché le ho prese?-

-Deficiente non è il termine giusto…com’è che si dice in questi casi? Rompiballe? Dai, scostati e fatti gli affari tuoi, abbiamo una questione da sistemare.- Di fronte alla superbia del portiere anche Hikaru si accorse di essere molto vicino alla perdita delle staffe, e si appelló a tutti i santi del Paradiso per mantenere la calma. Si sentiva prossimo ad una pantagruelica incazzatura, incattivito anche dalle lancinanti fitte di dolore al setto nasale, e se le circostanze fossero state diverse non ci avrebbe pensato due volte a rendergli il simpatico omaggio di benvenuto. Peccato solo che non si trovasse certo nella posizione adatta a fomentare risse, e poi dopotutto se l’era cercata; sapeva a cosa andava incontro frapponendosi tra i due, anche se aveva sperato proprio di riuscire ad evitarselo, quel pugno.

Per non lasciarsi sopraffare dalla sua tempra tutt’altro che mite, si ripeté mentalmente che era il capitano ed in quanto tale doveva dimostrare di avere polso, senza mai venir meno alle responsabilità a cui era tenuto a far fronte. Cosí, raccolti i cocci della propria pazienza, esclamó:

-E piantatela una buona volta con questa storia! Cosí non risolverete proprio niente. Kojirō, almeno tu dammi retta!- Questi, a riprova della sua celebre signorilitá, sputó a terra con fare sprezzante un grumo di sangue che gli si era formato in bocca, poi fece spallucce e replicó, glaciale:

-Levati di torno, Matsuyama. Giá solo il fatto di essere stato pedinato mi urta parecchio, fossi in te non aggraverei la tua posizione.-

Hikaru lo incenerì con lo sguardo mentre si frugava velocemente in tasca alla ricerca di un fazzoletto con cui aiutarsi a tamponare il sangue, e smadonnó sottovoce notando che chiaramente non ne aveva con sé. L’unica cosa che assomigliasse vagamente a ció che bramava era la sua hachimaki, che come sempre conservava nella tasca sinistra dei pantaloni, e colto dalla disperazione per un attimo valutó se non fosse il caso di usare quella, salvo poi darsi del cretino per avere anche solo osato pensarci.

Quei due erano degli ossi duri, rifletté, autentiche teste calde. Di solito i placatori d’animi tumultuosi erano o Tsubasa o Jun, ma ora quell’ingrato compito toccava a lui e decise audacemente di giocarsi il tutto e per tutto, malgrado fosse consapevole che rivangando l’episodio del giorno prima rischiasse quasi la vita.

Ormai mezzo rassegnato all’idea di dover fare da cuscinetto attutisci-busse in quell’assurda piazzata, disse: -Senti, lo so benissimo che la cosa ti brucia, e se vorrai pestarmi piú tardi per quello che ti sto per dire accomodati, ma fino a prova contraria ora sono il tuo capitano anche se non l’ho chiesto io di diventarlo…– qui Kojirō gli lanció un’occhiata assassina -…e tu sei tenuto ad obbedirmi. Specialmente se si tratta di una stupida rissa senza senso che puó solo ledere alla tua salute.-

-Eh, non c’è gusto se ci pensi tu ad istigarmelo, Matsuyama- sghignazzó a quel punto Genzō con il consueto muso strafottente, su cui faceva bella mostra di un labbro spaccato nuovo di zecca –cosí mi togli tutto il divertimento. Piuttosto, qualcosa per quel naso, non vorrei che mi morissi dissanguato.-

In effetti, anche se il dolore era diminuito, la copiosa emorragia nasale del neo-capitano non accennava ad arrestarsi, ed ormai aveva imbrattato un terzo della manica con cui stava cercando di arginarla. Lui, peró, era fermamente intenzionato a non muoversi da senza Kojirō, avesse anche dovuto trascinarlo via a forza.

Cosa di cui comunque dubitava sarebbe stato in grado, vista la sua caratteristica indole poco propensa al patteggiamento: domare il numero nove della Nazionale era un privilegio per pochi e capaci eletti, e lui non era sicuro di rientrare fra questi.

-Ascoltami bene- ringhió sommessamente l’attaccante, che non aveva controbattuto subito alle sue parole ma anzi se ne era stato un attimo in silenzio, come a voler soppesare ció che intendeva dire –la questione che ho in sospeso con questo imbecille non c’entra un cazzo con la squadra, sono affari fra me e lui. Non provare a venire a dirmi come mi devo comportare nella mia vita privata, intesi? Altrimenti potrei accantonare i riguardi che ho verso di te.-

-Toh, mi trovo d’accordo con lui, per una volta- rantoló Genzō con la solita voce precaria, accennando un piccolo plauso –in quale altro idioma vuoi sentirtelo dire di toglierti dalle palle?-

Hikaru ignoró totalmente il commento del portiere e si rivolse a Kojirō, replicando caustico: -Wow, ma che vita privata esaltante, andarsene in giro a fare a cazzotti con la gente…esistono anche altri metodi per appianare le divergenze, sappilo. Non ci posso credere, vi siete trattenuti da ubriachi e non riuscite a farlo adesso?-

Non appena finí di divulgare il suo predicozzo notó qualcosa di anomalo. Doveva essersi sbagliato, non c’era altra spiegazione, cos’era ció che aveva scorto per un secondo? Uno sguardo di intesa? No, non era possibile che i due acerrimi nemici si fossero scambiati una simile occhiata complice. Sicuramente aveva visto male.

Peccato che ció che credeva di avere equivocato venne invece confermato dalle parole di Kojirō, prontamente supportate da un cenno di assenso di Genzō.

-E’ questo il punto. Adesso che c’è gusto a prendersela con lui! a farti medicare e piantala di fare il Messia, che ne abbiamo giá abbastanza di Tsubasa quando ci si mette.-

 

Nel frattempo, dall’altra parte del campo, l’illustre Kaiser e la sua spalla li stavano seguendo attentamente, fingendosi concentrati sugli allenamenti. Poiché il litigio stava iniziando ad attirare l’attenzione, il capitano aveva intimato agli altri di non cercare di intromettervisi, che al massimo ci avrebbe pensato lui se lo avesse ritenuto il caso.

-Strano che Wakabayashi faccia a botte, eh?- Esclamó ironicamente Brigel rivolto a Kaltz, indicando col mento l’animato trio nipponico.

-Hai ragione,sta cosa mi sa di déjà vu…- Asserì lui, mentre con la memoria ritornava agli avvenimenti di tre anni prima.

Al tempo, Genzō era l’ultimo arrivato e manco a dirlo stava sugli zebedei praticamente ai nove undicesimi della squadra, se si escludevano ovviamente Hermann e Schneider; quest’ultimo, anzi, si sentiva addirittura stimolato dal confronto con lui, ed avevano preso l’abitudine di allenarsi insieme, in quelli che il resto della formazione aveva definito con una punta di acredine “allenamenti privati”. Forse era stata proprio questa sorta di gelosia, sviluppatasi nei suoi confronti, a spingere quei geni a prendere la brillante decisione di fargli fare un po’ di gavetta, pestandolo nel corso di una rissa non molto regolamentare, in stile tutti contro uno.

Purtroppo per loro, peró, non avevano ancora ben capito di che pasta fosse fatto il portiere giapponese, il quale aveva provveduto a farsi giustizia da solo giá il giorno seguente utilizzando metodi ben piú ortodossi, ovvero affrontandoli in scontri singoli.

E gonfiando sistematicamente ognuno di loro.

Schneider, anche se naturalmente non lo diede a vedere, era rimasto piacevolmente colpito dal carattere che l’allora futuro numero uno dell’Amburgo aveva dimostrato di possedere e, benché non condividesse in pieno il sistema che aveva scelto per farsi rispettare, vi passó sopra classificandolo come una forma lecita di autodifesa, a patto che non si ripetesse piú. Lo stesso aveva pensato Stecchino, che si era prodigato in sermoni sperticati con quegli imbecilli dei suoi compagni di squadra ma ci aveva pure un po’ goduto, perché avevano avuto la lezione che si erano meritati: occhio per occhio, dente per dente.

-Che facciamo, Karl? Pare che non vada molto bene, anzi, mi sembrano sul punto di mettersi a menare pure il nuovo arrivato…- Borbottó Kaltz, risvegliandosi dai suoi ricordi e stringendo gli occhi leggermente miopi per mettere a fuoco meglio la scena.

-Mmmh.- Fu il laconico commento del Kaiser mentre lanciava anche lui uno sguardo ai tre, senza smettere di palleggiare.

-Che nella tua lingua vuol dire…?- Incalzó l’altro lievemente spazientito, perché proprio non si sentiva in vena per calarsi nel ruolo di interprete dei suoi pensieri.

-Vuol dire che penso sia meglio se ci facciamo gli affari nostri ancora per un po’. Stiamo a vedere come si evolve la cosa.-

Al che Hermann ribatté sarcastico, mentre si grattava pensoso una tempia: -Come vuoi che si evolva, a me sembra palese…intenderai mica aspettare che ci scappi il morto?-

 

-Io mi chiamo fuori.- Fece Jun irremovibile, scuotendo il capo. Era arcistufo di quei due e poi lui il suo contributo l’aveva giá dato nelle ore precedenti, quando il suo talento per la negoziazione era stato largamente adoperato.

In quel momento si sentiva un po’ come Paganini.

Uno che non ripete.

-Io pure. Che se ne occupi Matsuyama, visto che ha tanto insistito per andare solo- convenne un accigliato Tsubasa, malcelando un lieve risentimento e aggiungendo mentalmente “se ha cosí tanta voglia di suicidarsi chi sono io per impedirglielo?”

-Mi associo. Tra le mie passioni non annovero di certo fare il paciere.- Esclamó Tarō, annuendo convinto.

-Sí, anche perché verresti pestato a tua volta…- lo scherní Ishizaki, carezzandosi la panciotta gonfia e rotondeggiante che gli era spuntata nella notte, in seguito ai bagordi della sera prima.

-Ha parlato il piú grande paraculo di tutti i tempi- Biascicó in risposta l’altro a bocca piena, masticando l’ultimo pezzo del suo panino alla Nutella.

-Embé, che male c’è a voler salvaguardare la pelle sempre e comunque? Che qualcuno mi contraddica, se ne ha il coraggio- ridacchió Ryō, lanciando un’occhiata di sfida ai presenti.

Nessuno fiató. In effetti il suo ragionamento non faceva una piega.

All’improvviso Kazuo, terminato di sorseggiare il suo tè, ebbe il coraggio di fare una proposta che lasció molti esterrefatti, ma che incredibilmente incontró anche parecchi consensi.

-Che ne direste di andare al Mac? Io un bel panino al bacon e formaggio me lo farei anche…-

Jun, reprimendo un conato di vomito, replicó: -Ma come sei messo, hai mangiato per due fino adesso…ti devo ricordare che fra un paio d’ore si pranza?-

Kazuo fece spallucce, ed il fratello rincaró prontamente la dose, esclamando:

-Massí dai, chi si unisce a noi? Io ho ancora un buchino nello stomaco e ho proprio voglia di una qualche schifezza da fast-food.-

Tsubasa e Tarō si scambiarono un’occhiata perplessa, chiedendosi dove diavolo mettessero i chili di roba che si sbafavano ogni giorno, visto che a tavola erano praticamente due pozzi senza fondo. La cosa aveva dell’inverosimile, considerato che i gemelli avevano sempre dato l’impressione di essere stati strappati ad un circo per le loro non certo comuni doti funamboliche e l’incredibile agilità, che mantenevano invariata nonostante la dieta non esattamente da fame.

-Io sono dei vostri- proruppe allegramente Ishizaki –devo aver cura della mia panza da birra, è il caso di nutrirla un altro po’. Non vedete quanto è tenera?- E cosí dicendo si sollevó la maglietta e prese a schiaffeggiarsi il pingue ventre come se stesse suonando un tamburo, suscitando in alcuni risa divertite ed in altri smorfie di compatimento.

Takeshi, dopo aver udito l’irragionevole idea dei Tachibana ed aver assistito al siparietto comico del difensore che non perdeva mai l’occasione per fare il buffone, decise che ne aveva avuto abbastanza e si defiló quatto quatto.

 

Intanto l’ignaro Ken, ancora barricato in camera, ballicchiava sulle note tunzettare dell’ultimo “successo” di Skazi*, con la chioma raccolta in una cuffia da doccia, mentre aspettava che scadesse il tempo di posa della sua maschera capillare personalizzata.

-Per l’amor di Dio Ken, spegni quel cesso di musica- fece disgustato Takeshi entrando nella stanza in quel momento, non sapendo se gli facesse piú ribrezzo lo stato patetico in cui versava il portiere oppure l’orrida trance che stava ascoltando.

-E non darmi il tormento, ora la abbasso…- sbuffó l’altro, diminuendo il volume quel tanto che bastava perché non ci fosse bisogno di urlare per farsi sentire -…che c’è? Giá finita la colazione?-

-Come giá? Sono sceso tre quarti d’ora fa abbondanti…la tua flemma mi lascia basito- disse l’amico in tono volutamente melodrammatico, sedendosi sul letto dopo aver agilmente scavalcato sia cumuli di vestiti ammucchiati alla rinfusa sul pavimento, sia la solita valigia spalancata di Ken, talmente in disordine che pareva essere esplosa su una mina.

-E comunque ho tagliato la corda quando Ishizaki si è messo a disquisire della panza da birra con cui si è risvegliato stamattina, dovevi vederlo mentre se la prendeva a sberle come fosse un tamburo…figurati poi che i gemelli stavano parlando di andare a fare un salto al Mac- bofonchió, mentre si mangiucchiava senza pietá le unghie, come non mancava mai di fare quando era in pensiero per qualcosa. Naturalmente, tale pensiero era rivolto a Kojirō che non accennava a rientrare e, anche se riteneva che una bella zuffetta avrebbe potuto far bene a quei due balenghi, ora cominciava un po’ a preoccuparsi.

-Al Mac?!- Per poco a Ken non scappó di mano il CD che voleva sostituire a quello in riproduzione nello stereo portatile –Con tutto quello che avranno mangiato qui e dopo il festino di ieri sera?-

-Cosa vuoi che ti dica, forse dopo l’alcool ora vogliono provare a sfogarsi anche sul cibo…pure per me non sono normali.- Si scambiarono un’occhiata di intesa ed entrambi alzarono lo sguardo al cielo quasi nello stesso momento, poi Takeshi ricominció impietosamente la malsana manicure fai-da-te.

–In realtà- riprese dopo qualche secondo di silenzio, sputacchiando un pezzettino di unghia -sono venuto a dirti che ci sarebbe da andare a “salvare” il tuo migliore amico.-

-Che è poi anche il tuo…e comunque credo che si sappia salvare benissimo da solo- precisó lui, poi aggiunse sospirando –che ha combinato stavolta?-

-Lo so che in teoria non ha bisogno di aiuto, ma si tratterebbe solo di andare a dare un’occhiata, cosí, giusto per stare tranquilli…sai, é andato a ringraziare alla sua maniera Wakabayashi per aver pagato anche il suo conto, ieri sera.-

Ricevette in risposta uno sguardo bovino e la gentile richiesta di sapere se lo stesse prendendo per il culo.

-Eh, magari…addirittura ha saldato quello di tutti. Ti puoi immaginare come l’ha presa Kojirō-

-Non dirmelo…- grugní il portiere, passandosi una mano sul viso -…è uscito da molto?-

-Non da tantissimo, sará una mezz’oretta. Ma lo sai com’è fatto, dubito che sia riuscito a mantenersi freddo per piú di due secondi…Matsuyama l’ha seguito, ma onestamente non credo che potrá fare molto se le cose si mettono male.-

Takeshi, come tutti del resto, sapeva perfettamente che per ovvie ragioni Genzō era da sempre una presenza fissa nella black list di Ken, ma per qualche oscuro motivo che nessuno si spiegava, non si era mai tolto la soddisfazione di massacrarlo a colpi di karate.

Il futuro hair-stylist borbottó qualcosa  e gli chiese di aspettare alcuni minuti, poi entró in bagno per sciacquarsi i capelli, resi lisci e setosi dal balsamo. Quando lo vide uscire poco dopo con la testa avvolta in un asciugamano, esclamó:

-Sai, stavo pensando…mi pare che ieri sera Wakabayashi abbia detto che avevano gli allenamenti stamattina, quindi probabilmente saranno in uno dei campi qui dietro. Mi chiedo se Kojirō l’abbia preso da parte o se come sempre abbia reagito impulsivamente e si sia messo a scazzottare davanti a tutta la squadra…perché in quel caso magari li avranno giá divisi.-

Ken annuí pensieroso e rispose –, forse è inutile che io vada…-

-O forse no, non possiamo saperlo- continuó Takeshi dopo aver riflettuto un istante -quello ancora non torna, e credo che si siano pestati giá abbastanza. Tu sei uno dei pochi che riesce a tenergli testa in qualunque situazione…e poi dai, cerca di vederla sotto un’altra luce, se ti capita potresti finalmente vendicarti dandole a Wakabayashi, non ti alletta l’idea?-

Il portiere sghignazzó con un’espressione inquietante sul volto, pettinandosi i capelli bagnati per prepararli alla “messa in piega” dell’asciugatura che, per cause di forza maggiore, sarebbe stata ben diversa dal solito, ovvero ultra-rapida.

-Credi che non sia stata la prima cosa a cui abbia pensato? Comunque non andró con queste intenzioni, useró il karate solo come arma di difesa, se sará necessario.-

-Seeh, come siamo zen…ma a chi vuoi darla a bere- lo punzecchió Takeshi ghignando, anche se da lui se l’aspettava proprio una risposta del genere, era sempre stato un uomo di sani principi che mai sarebbe ricorso alla violenza ingiustificata.

Appunto, ingiustificata.

 

 

 

NOTE (doverosamente farlocche):

 

*Non conoscete Skazi? NON CONOSCETE SKAZI?! Orsú, è tempo che vi facciate una cultura di musica trance-trash, allora xD

 

, avete notato che in questo capitolo alla fine non é successo assolutamente nulla? Chissà se si capisce che ho temporeggiato perché non mi andava di proseguire seriamente nella storia…come dite, sono stata poco furba a rivelarlo? xD

Comunque, come promesso, ecco qui i linkuzzi.

Siccome me la canto e me la suono, ho disegnato una scenetta del cavolo molto approssimativa, tratta da un dialogo a caso. QUI vediamo Jun che si esibisce nel tipico gesto nipponico dal significato traducibile all’incirca con l’idiomatica espressione nostrana “non c’è trippa per gatti”. In Giappone tale movenza suole essere accompagnata dall’esclamazione “dame”, una specie di “assolutamente no”.

Invece questo è un breve fumettino banalissimo che per il momento non ho voglia di colorare, il cui senso di lettura è come quello dei manga, da destra verso sinistra. Sarebbe piú corretto definirlo una bakata fatta e finita che non si ricollega a nessun episodio avvenuto nella mia fanfic, ed in realtà non è stato altro che un mero pretesto per disegnare qualcosa sul mio amato Triumvirato, di cui ero un po’ in astinenza. Come al solito non avevo l’ispirazione per fare cose piú impegnative, e mi chiedo se mai l’avró U_U

Infine c’è LUI, il vero eroe della storia, il beniamino di tutti noi. Almeno nella mia testolina piomba xD

Mi fermo qui perché se no diventa una gallery di fanart piú che di fanfic^^;

Passiamo ora ai ringraziamenti di rito (mi sembro un TG).

Zia Silen e Berlinene, devo ringraziarvi per l’ennesima volta? Facciamo che sia sottinteso? Scherzi a parte, lo sapete che i vostri commenti sono delle vere e proprie mani sante, mi fanno un piacere che voi non avete neanche idea. Riuscite addirittura a recensire con cognizione di causa le cavolate che scrivo, la cosa ha dell’incredibile xD Grazie, grazie e ancora grazie.

Lady Snape, Trottola, Edvige86, un sentito grazie anche a voi per i vostri graditissimi commenti^^

Per ultimo, ma non meno importante, un sincero grazie di cuore va a quelle nove (NOVE!) anime pie che si sono messe la fic nei preferiti, ussignur...le vostre epiche gesta verranno da me ricordate per tempo immemore O__o

 

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 - Granate inesplose e crucci imperiali. ***


Questo capitolo lascia il tempo che trova, ma almeno è corredato da qualche disegnuzzo che ne risolleva un po’ le sorti

Mi sono persa dietro alla descrizione di cazzate e mi sono fatta trascinare dagli eventi,  quindi purtroppo per voi questa non sará l’ultima parte della mia mediocre fanfic. Mi dispiace di avervi illuso, e a questo punto non mi pronuncio piú sulle mie intenzioni, quando i personaggi mi intimeranno di smetterla la smetteró xD

Anzi, vi trovate di fronte ad un capitolo che è piuttosto bakascemeggiante in alcuni punti^^

Matsuyama è morto dissanguato?

Kojirō e Genzō ce l’avranno fatta a darsele di santa ragione?

Lo scoprirete solo leggendo.

Invece, per quanto riguarda il titolo…dopo le mine vaganti, eccoci ora alle prese con le granate inesplose xD

 

 

 

CAPITOLO 8 – Granate inesplose e crucci imperiali.

 

 

 

Che la dieta dei gemelli non fosse propriamente fra le piú leggere ed equilibrate era cosa risaputa, ma prima di allora nessuno aveva avuto modo di comprendere fino in fondo la sua reale abbondanza.

Ragion per cui inorridirono alla vista dei due che si facevano fuori uno dopo l’altro ben due hamburger a testa, con le relative porzioni extra-large di patatine e Coca-Cola.

-Aaah…sono sazio adesso- bofonchió Masao, che si abbandonó sulla sedia appoggiandosi allo schienale con un tonfo, mentre si allentava i jeans prima che il bottone partisse e schizzasse negli occhi a qualcuno dei presenti. Il fratello fu lesto ad imitarlo e due floride pancette fecero capolino da sotto le maglie, palesandosi in tutta la loro maestosa opulenza.

-Alla buon’ora! Siete disgustosi- commentó Jun storcendo il naso, mentre osservava lo sfacelo in cui versava la loro parte di tavolo, che pareva reduce da una scorreria vichinga. Nel guardarli ciancicare il pasto a bocca aperta, come era loro abitudine fare, il poverino aveva rischiato che gli affiorasse sulle labbra pure la cena della Vigilia dell’anno prima, oltre alla colazione.

-Vi servisse almeno per crescere in altezza…- li stuzzicó Ishizaki ridacchiando con le fauci piene di patatine, ma i gemelli non raccolsero, ammutoliti ed intontiti dalla pesantezza di stomaco.

-Fossi in te smetterei di mangiare quel ciboide, se non vuoi avvelenarti la salute in un lento stillicidio.- Intervenne allora Tsubasa il Predicatore rivolto al difensore, lanciandogli un’occhiataccia.

-Ma va , ci mancherebbe solo che me ne privassi, è uno dei piaceri della vita…e poi senti chi parla, quello cos’è?- fece lui per tutta risposta, indicando con un cenno del mento il paninazzo unto e bisunto dalla tripla farcitura di bacon e formaggio che l’amico aveva nel vassoio davanti a sé.

-Ma questo mica lo mangio io…Izawa mi ha chiesto di prendergli l’ordine mentre andava in bagno- replicó l’altro con una smorfia, bevendo subito dopo un sorso della sua fresca e salubre acqua naturale. “Il mio corpo è un tempio” pensó, forte della sua rinnovata volontà granitica “e mai e poi mai lo contamineró con simili schifezze”.

-Eh, ma come siamo schizzinosi…stai guardando quel panino come se fosse la personificazione di Satana! La cosa mi fa sorridere assai, visto che pensavi circa lo stesso anche del consumo di alcolici, e poi lo sappiamo tutti com’è finita- continuó Ishizaki imperterrito, mentre dalla tavolata iniziavano a levarsi degli implacabili sghignazzi.

Nonostante le proteste iniziali di alcuni, avevano finito con l’andare in massa al Mac, inclusi coloro ai quali le pietanze di tale locale non stuzzicavano particolarmente l’appetito, se non altro per sincerarsi che nessuno venisse stroncato da una combinazione mortale di cibi malsani. Fra questi vi era appunto Tsubasa che, messo alle strette dalle constatazioni di un Ishizaki che pareva stranamente piú sveglio del solito, rispose piccato:

-E vabbé, è stata la prima e unica volta, non menatemela all’infinito! Capita anche ai migliori, qualche sbaglio di tanto in tanto.- A salvarlo, e a salvarsi, da quella spinosa situazione ci pensó peró il fedele Tarō che provvide a cambiare rapidamente argomento, poiché tutto voleva fuorché il ripescaggio di quel vergognoso festino decadente in cui aveva dato bella mostra del suo lato “sopito”.

-Piuttosto, qualcuno sa dove si sono cacciati Wakashimazu e Takeshi? Non li vedo piú da un po’. Anzi, a pensarci bene Wakashimazu non lo vedo da ieri sera, non si è degnato neanche di scendere per la colazione…-

-Ci scommetto le palle che sono andati a raccattare Hyūga- farfuglió Kazuo, coprendosi la bocca con una mano per nascondere lo sbadiglio dell’abbiocco post-abbuffata.

Tsubasa estrasse dalla tasca dei pantaloni il cellulare per assicurarsi che non ci fossero messaggi o chiamate senza risposta.

“In fondo” rifletté “se non ho ancora sentito niente forse non ci sono stati imprevisti, prima o poi qualcuno si fará vivo.”

Il gruppo si scambió un’occhiata eloquente e, facendo spallucce, lasció svogliatamente cadere la questione.

 

Ken e Takeshi erano fermamente convinti del fatto che, sotto sotto, Kojirō il Riottoso fosse in realtà un pezzo di pane e che, oltre tutti quegli strati di corazza, nascondesse un animo generoso; difatti, come sosteneva il portiere, il segreto stava essenzialmente nel saperlo prendere, senza lasciarsi prevaricare o intimorire da quel caratteraccio che ostentava piú che altro come arma di difesa. Il numero nove non era un attaccante solo sul campo, lo era nella vita, prendeva ogni questione di petto e non si sottraeva mai alle difficoltà.

Una volta compreso questo suo lato, si poteva quasi dire di avere in mano la chiave di lettura della sua complessa personalitá. Per riuscirci era necessaria una buona dose di impegno ma soprattutto di pazienza, nonché di una certa predisposizione personale, e non c’era dubbio che i permalosi o le cosiddette “primedonne” non avessero alcuna possibilitá di legare con lui. Anzi, ció che lo imbestialiva al di sopra di ogni altra cosa era proprio l’aria saccente di certe persone, quelle che sembravano non mettersi mai in discussione.

Esattamente come colui che aveva di fronte in quel momento, e che non fece in tempo a gonfiare come un Sofficino a causa dell’intervento di troppi guastafeste. Il testosterone presente nell’aria aveva ormai raggiunto livelli ragguardevoli quando si vide arrivare anche i restanti due terzi del Triangolo Toho, e per poco non gli caddero le braccia, perdendo all’istante ogni speranza di poter portare a termine la sua missione: a malincuore dovette disattivare la modalità Kenshiro, perché arrivati a quel punto non aveva piú ragion d’essere.

-Cos’è, vi siete tutti messi d’accordo per controllarmi? Uno non ha neanche piú diritto ad avere un po’ di privacy, mi stanno proprio esplodendo le palle!- Tuonó lui esasperato, fissando gli amici con occhio omicida. Lo sguardo dei due si calamitó invece sul prode Matsuyama, ormai prossimo alla perdita dei sensi, ma che nonostante tutto non aveva smesso un minuto di placcarli ed aveva proseguito intrepido nel suo tentativo di farli ravvedere.

Si erano sentiti sollevati nel notare che almeno si erano scapicollati per qualcosa, riuscendo ad arrivare in tempo prima di trovarli tutti esanimi, ed immediatamente Takeshi diede fondo alla sua scorta di fazzoletti correndo ad aiutare Hikaru a tamponare l’emorragia nasale.

-Bah, questa cosa sta diventando una pagliacciata- inveí Genzō impermalito –non ci si puó nemmeno fare i cazzi propri in pace. Perché dovete sempre essere cosí rompiballe? Avete forse visto qualcuno dei miei compagni di squadra intervenire?- I tre rompiballe in questione, per evitare di dargli ragione, non osarono aprire bocca, cosí il portiere fu costretto a rispondersi da solo -No, perché è gente che sa stare al proprio posto, al contrario di voi! Vi saluto- concluse rabbiosamente, voltandogli le spalle e cominciando ad allontanarsi.

-Non credere che te la faccia passare liscia, ti aspetto al varco, intesi?- Gli urló dietro Kojirō, quasi dispiaciuto nel vederlo andare via.

-Massí, quando vuoi- replicó seccato Genzō fra i denti, mentre scuoteva una mano con fare stizzoso senza nemmeno girarsi a guardarlo in faccia.

Fine primo round. Per quella volta, il regolamento di conti si era concluso con un nulla di fatto.

 

-Chi si rivede, il figliol prodigo- frecció l’arguto Schneider scorgendolo ricomparire –Allora? Avete dovuto accantonare i vostri intenti distruttivi?-

-Oh, non ti ci mettere anche tu adesso- sibiló l’altro accigliato facendo una smorfia di dolore, dopo aver seguito l’impulso di mordersi per il nervoso il labbro inferiore tumefatto. L’ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento era di una ramanzina del Kaiser.

-A volte non riesco proprio a sopportarli, non sia mai che si facciano gli affari loro. , voi che avete da guardare? Non vi stavate allenando?- Li incitó lui incazzoso, notando i dieci paia di occhi incuriositi che gli si erano puntati addosso.

-Cerca di capirci, Genzō…eravamo tutti qui in trepidante attesa di vedere come si sarebbe risolto il match, e ci siamo rimasti male nel vedere che è stato un mezzo flop- ridacchió il solito Stecchino per blandire un po’ la situazione, suffragato dai cenni di consenso dei compagni.

-Ma stai zitto, sottospecie di nano da giardino- borbottó l’altro, accompagnando l’esclamazione col tipico papagno sulla nuca.

-Oh che gaudio, come mi mancavano le tue sberle…picchiami ancora dai, con quella vocetta sfumata poi mi fai impazzire- disse quello in tono lascivo, riuscendo a strappare un mezzo sorriso di compatimento al portiere e una scrollata di spalle al resto della squadra, che si rimise sotto con gli allenamenti, intuendo che il peggio era passato.

 

Per quanto si stesse sforzando di occultarlo, Ken era un po’ deluso. Non aveva potuto attingere un bel niente dal suo archivio privato di mosse di karate, e dovette ammettere a sé stesso che, mentre raggiungevano il luogo dell’incontro, qualche viaggio su quale colpo letale usare per stendere l'esimio collega se l’era fatto.

Matsuyama invece, oltre che irritato, si sentiva anche un filino soddisfatto, perché tutto sommato si poteva dire che avesse raggiunto il suo scopo, almeno era riuscito a temporeggiare un po’ ed evitare cosí spiacevoli conseguenze.

Da una decina di minuti avevano fatto ritorno in albergo, non trovandoci nessuno dei loro compagni perché erano ancora in ritiro al Mac, e si erano rifugiati tutti e quattro nella stanza del Triangolo Toho, dove Takeshi era occupato nell’assistenza dell’ingiuriato neo-capitano; Kojirō, invece, era impegnato a farsi delle vasche passeggiando avanti e indietro per la camera, sbandierando un certo malcontento.

-E voi due si puó sapere perché siete venuti a ficcare il naso? Era giá sufficiente lui- proruppe infine sferrando un bilioso calcio alla catasta di vestiti sul pavimento, mentre indicava Matsuyama che, per fermare definitivamente il sangue, si era infilato due pezzetti di fazzoletto nelle narici ed aveva assunto un aspetto abbastanza ridicolo.

-In effetti potevamo lasciarti crepare- commentó questi velenoso, facendo attenzione a non respirare troppo forte per non far volar via i due tamponi improvvisati –mica mi sono divertito a ritrovarmi fra due fuochi, la prossima volta me ne guarderó bene dal venire a prenderle al posto tuo.-

-Ma volesse il cielo! E’ che non dovevi proprio metterti in mezzo- ribadì l’attaccante, schioccando la lingua ed alzando gli occhi al soffitto.

-Sí, e come facevo?- Borbottó l’altro, risistemandosi uno di quegli pseudo-assorbenti che rischiava di dislocarsi dalla sua posizione ogni due per tre. –Era un mio dovere, mi pare. Ma comunque hai ragione tu, non avrei dovuto impicciarmi. Quando vi darete appuntamento per scazzottarvi di nuovo stá pur tranquillo che non verró a metterti i bastoni fra le ruote, ma ti consiglio di farlo in modo meno plateale, altrimenti avrai sempre qualcuno che si immischierá in mia vece.-

Ken e Takeshi fino a quel momento non avevano proferito verbo e si erano limitati ad ascoltare in silenzio il suo sfogo, perché sapevano che non c’era molto altro da fare quando l’amico aveva i coglioni girati. Ogni parola di troppo poteva essere potenzialmente pericolosa per alimentare ulteriormente la sua ira, e trattennero il fiato aspettandosi una sfuriata epocale.

Kojirō rimase zitto qualche secondo e poi, inaspettatamente, esclamó:

-Devo riconoscerlo, hai fegato, Matsuyama. Questa è una delle ragioni per cui ti ho passato quella dannatissima fascia.-

Hikaru, che non avrebbe mai sperato di udire una simile dichiarazione proprio da lui, lo guardó con la faccia stranita dicendo: -Wow, stai attento a non lusingarmi troppo, che poi mi emoziono…bel contentino, mi pare il minimo da dire dopo che mi sono preso un pugno sul naso per te.-

Kojirō fece un mezzo ghigno di compiacimento e si rintanó in bagno per farsi una doccia, essendo ormai inaccostabile, ed effettuare frattanto la conta dei danni subiti che, dato lo scarso tempo avuto a disposizione per suonarsele, ammontava ad un unico livido sullo zigomo.

E comunque Matsuyama non aveva tutti torti, si disse, avrebbe dovuto dare meno nell’occhio. La prossima volta doveva sforzarsi di tenere bene a mente questo punto, anche se gli risultava tutt’altro che facile contenere la propria impulsività.

-Cerca di scusarlo per i casini che é in grado di combinare…in questo momento, per aver represso la sua collera, credo che si sentapiú né meno come una granata inesplosa. Piuttosto, va meglio?- Chiese nel frattempo Ken a Hikaru, dopo aver tirato un sospiro di sollievo per la reazione civile dell’attaccante, mentre affastellava alla meno peggio gli abiti sparpagliati sul pavimento dal suo calcio di poco prima.

-Sí, niente di rotto, direi…peccato solo che non ci sia la mia Yoshiko a medicarmi- rispose lui sospirando e facendo schizzare via un tampone, prontamente recuperato e ricollocato da Takeshi, il quale replicó, ridendo:

-Eh, mi spiace ma dovrai accontentarti di me…dai, in fondo non sono piú bello io?- Hikaru lo fanculizzó simpaticamente, poi mise mano al cellulare intenzionato a chiamare la fidanzata e creò nel giro di un nanosecondo il nulla intorno a sé, perché nessuno aveva voglia di ascoltare le sue pucciose conversazioni con la dolce metá.

 

Se a detta di Ken Kojirō si poteva definire una granata inesplosa, lo stesso discorso valeva per Genzō, anche se lui aveva decisamente meno problemi a darsi un tono. Difatti, ad allenamenti conclusi, l’ermetico portiere aveva giá recuperato la sua freddezza, ed ora si trovava con i due scimuniti sulla via del ritorno verso casa. Kaltz, a cui Genzō stava augurando che prima o poi gli si staccasse la lingua, erano dieci minuti buoni che gozzovigliava senza sosta, mentre il Kaiser era meno comunicativo che mai e pareva aver indotto uno sciopero della parola.

-Che hai, Karl? Oggi ti sento addirittura meno del solito, se non ti vedessi qui accanto a me giurerei che tu non ci fossi.- Esclamó ad un certo punto il numero otto interrompendo la ciarla, forse accorgendosi finalmente del suo indefesso silenzio. Anche il numero uno si voltó a guardarlo, ricordando che era da tutta la mattina che gli sembrava strano. Che qualcosa lo tormentasse era abbastanza evidente ai suoi occhi, ma bisognava vedere se gli avrebbe concesso il privilegio di metterli al corrente.

-Mmh.- Fu la sua succinta risposta, ed Hermann sbuffó insofferente. Quando l’amico si chiudeva a riccio era davvero difficile cavargli fuori ció che si teneva dentro, lo sapeva bene, ma non si sarebbe arreso cosí presto.

-Guarda che se hai qualche problema ce ne puoi parlare.- Tentó Genzō, al che il Kaiser minimizzó scrollando le spalle e replicando –Niente di che, state tranquilli.-

-Sai perché mi piaci, Karl?- Fece Stecchino ad un certo punto, armandosi di pazienza.- Perché sai ascoltare, ed é una cosa rara di questi tempi. Riconosco che io sono uno che non parla poco- qui Genzō sorrise sardonico fra sé e sé -peró stavolta faró un’eccezione e ti ascolteró, se vuoi. Anche il qui presente portiere tutto-d’un-pezzo si è detto pronto a starti a sentire, cosa vuoi di piú dalla vita? Ambiti come siamo, stiamo dando la nostra preziosa disponibilità proprio a te, renditene conto! Dai, sputa il rospo…che ti passa per la testa?-

Schneider si voltó a guardare Gianni e Pinotto con un’espressione indecifrabile, poi le sue labbra si incresparono in un ghigno appena accennato.

-Che razza di bragheri* che siete…non avete proprio nient’altro di meglio da fare, vero?-

-In questo momento no, per cui vedi di dirci cos’hai.- Rispose Genzō, lanciandogli un’occhiata perentoria.

Il Kaiser sospiró. La sua accurata opera di dissimulazione sembrava essere proprio giunta al termine, dopo che era riuscito a portarla avanti indisturbato per parecchi giorni. Non ne era ancora del tutto convinto, ma magari chissà, forse parlarne con qualcuno avrebbe potuto addirittura aiutarlo a sentirsi meglio, e quei due erano gli unici a cui si sarebbe fidato di rivelare qualcosa. Forse, concluse, era quasi un bene che l’avessero cappellato, perché era un po’ stufo di continuare con quella pantomima.

 

 

 

 

NOTE

 

*Non sono sicura che sia il caso di spiegarlo, ma è meglio farlo per ogni evenienza.

 Dare del “braghero” a qualcuno è molto diffuso dalle mie parti, e come si sará capito significa impiccione, ficcanaso. Credo che derivi direttamente dal mio dialetto, e siccome è un termine che mi piace molto, ho pensato di usarlo senza sostituirlo con altre espressioni magari piú corrette dal punto di vista linguistico^^

 

 

Stavolta niente scarabocchi, ma colgo l’occasione per auto-pubblicizzare il nuovo sitarello che ho creato, interamente dedicato a CT, contenente le mie fanarts e le mie fanfictions. Mi farebbe piacere se ci faceste una capatina^^ (e grazie a chi, dietro mia velata richiesta, l’ha visitato in anteprima xD)

 

Segue ora una serie di sentitissimi ringraziamenti personalizzati *TG mode ON*

 

@Silen, lo sai che ti adoro, e mi fa piacere vedere che non sono l’unica  ad avere una vaga idea di chi sia Wanda Osiris…anche se non sono vecchia come te, MWAHAHAH xD

 

@Lady Snape, visto che alla fine non è morto nessuno? Per ora…xD In effetti ho bistrattato un po’ il povero Matsu, e dire che è uno dei personaggi che preferisco! Ma si sa, adoro prenderli amorevolmente per il culo xD

 

@Trottola, le tue “preghiere” sono state esaudite xD La storia continuerá ancora per un po’, anche se non saprei dire con esattezza per quanto^^

 

@Berlinene, ahpperó, e chi pensava che fossi una maniaca depravata che gode nel farsi pestare da Koji xD Grassie mille cara, mi piace molto scrivere del Triangolo Toho, quei tre meritano uno spin-off, prima o poi!

 

@Pucchyko_Girl, se mi scrivi certe cose poi mi monto la testa eheheh xD Spero che ti piacerá altrettanto anche questo capitolo^^

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