Only if you don't forget tonight

di martyki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo1

Voglio dedicare questa fanfiction a Jessica. Anche se non conosci il mondo di Shingeki no Kyojin, mentre la scrivevo pensavo a te e al tuo modo dolcissimo di trattare l’amore. Se mai dovessi leggerla spero ti emozioni quanto mi sono emozionata io a scriverla. Ti voglio bene, Tesoro.

Only if you don’t forget tonight

Capitolo 1

Non vedevo l’ora di finire il mio turno di pattuglia e di andare a stendermi sul mio letto. Era dalle sei del mattino che non mi fermavo: avevo preparato la colazione per tutti i membri dell'armata ricognitiva, pulito un intero piano del quartier generale, compresi gli spazi che non erano di mia competenza ma di Auruo (che era un vero e proprio portento nell’ammazzare i giganti, quasi più di me, ma che peccava decisamente in fatto di pulizie domestiche), mi ero allenata per più di quattro ore in vista della ricognizione che ci attendeva due giorno dopo, avevo scritto una lettera a mio padre tra un boccone e l’altro durante la cena ed in fine, ora, stavo svolgendo l’ultimo controllo pre-dormita.

Sospirai esausta scendendo le scale che portavano in una stanza vicino ai sotterranei che chiamavamo amichevolmente “la biblioteca”, utilizzata il più delle volte dal tenente Hanji per mettere in ordine i dati ottenuti dagli studi fatti sui giganti che usavamo come cavie.

Attraversai il lungo corridoio illuminato da poche torce e aprii la porta della stanza che cigolò in maniera quasi impercettibile. Per un instante rimasi sull’uscio, immobile. Proprio davanti a me, qualche metro più avanti, c’era il caporale maggiore Levi con la testa poggiata su un tomo enorme e dall’aria antica, profondamente addormentato.

Facendo attenzione a non svegliarlo, mi avvicinai: i capelli corvini erano stranamente disordinati, le sopracciglia corrugate nella sua classica espressione austera, gli occhi serrati e la bocca schiusa. Mi abbassai all’altezza del suo viso e gli scostai delicatamente un piccolo ciuffo ribelle che gli ricadeva sull’occhio destro.

“Dev’essere davvero stremato per addormentarsi in una posizione del genere”.

Lo fissai ancora, incantata. Lo fissavo spesso in realtà, stando ben attenta a non farmi scoprire da nessuno, specialmente da lui. Era passato un anno da quando mi aveva scelta per far parte del suo gruppo d’elite e ne erano passati cinque da quando l’avevo incontrato la prima volta prendendomi un’irrimediabile cotta per lui. Era un sentimento che covavo in segreto, ma che allo stesso tempo cercavo di soffocare ogni giorno. Era una regola non scritta, ma tutti i soldati sapevano che era altamente sconsigliato innamorarsi di un proprio compagno ed in particolare tra membri del Corpo di Ricerca. La motivazione era piuttosto ovvia: le probabilità di morire in battaglia superavano il novanta per cento e chi perdeva la persona amata rischiava di impazzire mandando all’aria l’intera ricognizione mettendo il resto del gruppo in pericolo. Purtroppo era successo più di una volta. E io di chi mi ero infatuata? Ma della persona più inavvicinabile di tutte, naturalmente. L’ammazza giganti, l’uomo più forte del mondo. Il mio capitano. Fosse stato una persona affabile e gentile avrebbe potuto avere anche senso, ma lui era esattamente il contrario: scontroso, burbero, maniaco ossessivo compulsivo della pulizia e spesso arrogante e cinico. Un uomo di ghiaccio. Era praticamente impossibile sapere cosa si nascondesse dietro quegli impenetrabili occhi grigio-azzurri, nonostante questo io sentivo che c’era molto più di quello che dava a vedere; ero certa che quella fosse solamente una maschera che indossava ogni mattina per proteggere il suo cuore. Nonostante il suo sguardo freddo e il suo modo di fare apparentemente insensibile, lui…

«Cosa stai facendo, Ral?».

Sgranai gli occhi e scattai sull’attenti mettendo la mano destra sul cuore e la sinistra dietro la schiena nel classico gesto di saluto. «Nulla, Signore! I-io la stavo solo guardando dormire».

«E sei solita arrossire quando guardi qualcuno dormire?».

«No, Signore! Mi capita solo quando penso che il soggetto in questione abbia un’espressione particolarmente dolce».

Il caporal maggiore inarcò un sopracciglio. «Quando trovi che il soggetto abbia un’espressione… che accidenti stai blaterando?».

Ma si poteva essere più idioti? Mi maledissi mentalmente dandomi ripetutamente dell’imbecille.

«N-no… cioè, volevo dire…». Non riuscivo a smettere di balbettare. I suoi occhi mi stavano perforando da parte a parte. Mi serviva un diversivo per cercare di attenuare il mio maledetto rossore. «Comunque cosa ci fa qui a quest’ora, Capitano?», domandai alla fine non trovando nulla di meglio da dire. «Dopo una giornata stancante come quella di oggi dovrebbe andare a risposare nella sua stanza».

«È tutta colpa di quella rompi palle di Hanji», replicò lui alzandosi in piedi, passandosi una mano sulla fronte con aria stanca e annoiata. «Mi ha lasciato un sacco di scartoffie da leggere in merito alle sue ultime ricerche e come al solito è stata un’inutile perdita di tempo».

«Capisco». Mi piegai incuriosita verso il quaderno scritto nella grafia pulita, fitta e ordinata di Zoe. «Sicuro che non ci sia scritto niente di utile? Dalle parole elettrizzate di Hanji a cena mi era sembrato di capire che questa volta avesse trovato qualcosa di davvero…».

«Ral, ti capita spesso di portare l’equipaggiamento con te quando fai il bagno?».

Il mio cervello impiegò qualche secondo ad immagazzinare quella frase. Non avrei mai immaginato che potesse pormi una domanda del genere. E poi che senso aveva in quel momento?

Mi si riversò il sangue su tutta la faccia che andò subito a fuoco.

Calma. Era una domanda come un’altra, in fin dei conti.

«Oggi sì, Capitano», risposi. «Questa sera mi è stato affidato l’ultimo turno di pattuglia, quindi ho pensato che fosse meglio fare il bagno prima del solito. So che non avrei dovuto, ma sapendo che avrei finito molto tardi ho preferito farlo nell’unico momento libero che avevo. Le chiedo scusa».

Allungò una mano verso i miei capelli cominciando a giocare con una ciocca girandosela tra le dita. «Capisco», commentò. «Comunque non devi scusarti per una cosa del genere. Avrei fatto la stessa cosa».

Più continuava a giocare con la mia ciocca di capelli, più mi sentivo in imbarazzo. Non era un atteggiamento normale da parte sua. Non che fosse sgradito, anzi, ma il mio cervello si stava surriscaldando così come i miei ormoni e la mia immaginazione romantica e non andava affatto bene. Se avessi iniziato a dare spago ai miei pensieri avrei solamente finito per ferirmi. Il caporale non era quel tipo di uomo, non si interessava di certe cose. Dovevo mettere la giusta distanza tra noi e cercare di rimanere la Petra Ral di sempre anche se il mio cuore non era affatto d’accordo.

«Ad ogni modo», aggiunse lui dopo un po’ avvicinandosi di più lasciando scorrere la punta delle sue lunghe dita affusolate sul mio collo. «Hai davvero un buon profumo».

Inavvertitamente cominciai a tremare. Probabilmente sarei stata meno agitata se mi fossi trovata di fronte ad un branco di giganti classe quindici metri. Era strano. Troppo strano. Il cuore sembrava volesse schizzare fuori dalla cassa toracica. Era una situazione intima alla quale non ero abituata. Non potevo permettere che continuasse.

«Capitano, lei… lei non può fare questo», mormorai cercando di tenere la voce il più ferma possibile. «Dire queste frasi ad una donna può essere causa di fraintendimenti tanto che quest’ultima potrebbe pensare che nutriate dei sentimenti d’amore nei suoi confronti».

«Ah sì?», domandò allontanando immediatamente la mano dai miei capelli. «Quindi cosa ti aspettavi esattamente, Petra?».

Le mie guance s’imporporarono ancora di più, ma sostenni fieramente il suo sguardo rimanendo con le labbra serrate. Avevo parlato fin troppo. Maledetta boccaccia mia! Dovevo porre immediatamente rimedio al mio errore.

«Io la rispetto e l’ammiro moltissimo, Capitano», cominciai scandendo ogni singola parola. «Lei è un esempio da seguire, una persona che sacrifica sé stessa per la salvezza dell’umanità e dei suoi uomini, però…». Sentii gli occhi pizzicare. Mi maledissi per l’ennesima volta e ricacciai indietro le lacrime di frustrazione ed imbarazzo prima che potessero uscire, tradendomi. «Però non ho intenzione di cedere a questo genere di giochetti, perciò non risponderò alla sua domanda».

“Addio, amore mio. Questa è la volta buona di sotterrarti per l’eternità negli angoli più reconditi del mio cuore”.

Sospirò. «Proprio come immaginavo avrei dovuto porti la domanda in un altro modo. Colpa mia», osservò con la sua solita voce incolore richiudendo il quaderno degli appunti di Hanji.

Il caporale maggiore Levi che si scusava? Praticamente un miracolo! Il giorno dopo sarebbe sicuramente piovuto per un evento del genere.

Prese il quaderno ed altri documenti e li buttò malamente su una sedia.

«Capitano, perché ha spostato gli appunti di Hanji su…?».

Ma non mi diede il tempo di finire la frase. Senza quasi accorgermene mi ritrovai distesa sul tavolo. Torreggiava su di me, il suo viso incredibilmente vicino al mio come non lo era mai stato. Aveva posato una mano sulla mia coscia e l’altra sul tavolo per rimanere in equilibrio.

Se qualche minuto prima pensavo di sapere cosa volesse dire sentirsi in imbarazzo non era niente paragonato a quello che stavo provando in quel preciso momento.

«C-ca-capitano, cosa sta…?».

«Cercherò di essere più chiaro chiedendotelo in questo modo, allora», m’interruppe accostando maggiormente il suo viso al mio. «Mi permetterai di tenerti stretta a me? Lascerai che ti tocchi come un uomo desidera toccare una donna, oppure no?».

Ma che fine aveva fatto il capitano freddo e distaccato che conoscevo? Chi era l’uomo che si trovava ad una spanna dalle mie labbra e mi parlava con quella voce roca e dannatamente sexy? Di chi erano quegli occhi color temporale che mi stavano inchiodando lasciandomi senza fiato annebbiandomi la mente? Che cosa significavano quelle parole?

«Questo modo di domandare non è corretto», soffiai talmente piano da riuscirmi a sentire a malapena io. «Lei è un idiota, Capit…».

Ancora una volta non mi diede possibilità di replica. Mi bloccò delicatamente il polso destro con una mano e abbracciò le mie labbra con le sue.

Il mio cervello andò completamente in tilt. Fuso da quel contatto inaspettatamente dolce.

Mi assaporò lentamente, gustando ogni angolo della mia bocca. Non impiegò troppo tempo a fare schiudere le mie labbra con la lingua cercando immediatamente la mia. Non riuscivo a credere che lui volesse me, ma soprattutto che mi volesse in quel modo. Era surreale. Forse un sogno.

Il caporale approfondì il bacio. Lo lasciai fare abbandonandomi a lui. Le nostre lingue giocavano insieme in maniera dolcissima, accarezzandosi l’un l’altra.

La mano che m’immobilizzava il polso si spostò sul collo scendendo poi velocemente all’altezza del seno, sui bottoni della mia camicia. Li sfiorò per qualche istante, senza abbandonare mai le mie labbra, e con un gesto rapido sbottonò il primo.

«Capitano, che sta facendo? Non avrà intenzione di fare certe cose qui, vero?!», gridai schiaffeggiandogli la mano coprendomi il più possibile con la giacca della divisa. «Voglio dire, se qualcuno scendesse potrebbe…».

«Eri l’unica di pattuglia questa sera quindi se non fai chiasso non verrà nessuno, perciò calmati», ribatté guardandomi serio.

«Sì, però…».

Mi sbottonò il bottone subito sopra il seno lasciando in bella mostra il mio bustino. Mi fissò per qualche instante con occhi ammaliati e ardenti, poi, come un leone sulla preda, scese giù, andando a baciare e marchiare con piccoli morsi la parte di pelle non coperta.

Sapevo che avrei dovuto respingerlo non sapendo quali fossero i suoi veri sentimenti per me, se non una forte attrazione fisica a quanto pareva, e che lasciandolo fare avrei solo alimentato delle fantasie sbagliate che era bene distruggere sul nascere, però, allo stesso tempo, era bello ed eccitante stare tra le sue braccia, sentire la sua bocca su di me ed essere desiderata da lui.

Dopo troppo poco tempo mi afferrò nuovamente per il polso tirandomi a sedere. Chiuse i due bottoni aperti e mi sistemò la giacca lisciando le pieghe con la mano.

Era già tutto finito? Che mi avesse letto nel pensiero e avesse deciso di non andare oltre? Non ci capivo più niente. E in cuor mio non potei che sentirmi delusa.

«Petra».

«Sì, Capitano?», squittii con voce acuta.

«Quando avrai finito il tuo giro vieni nella mia stanza». Spostò lo sguardo di lato e per un secondo mi sembrò di vederlo addirittura arrossire un po’. Impossibile. Il caporale maggiore Levi non arrossiva. «Tuttavia questo non è un ordine, perciò decidi tu cosa credi sia meglio fare. La mia è solo una proposta, ma sappi che se deciderai di venire da me…», proseguì guardandomi nuovamente e poggiando un dito sul seno, in corrispondenza del punto in cui mi aveva baciata, «continueremo ciò che abbiamo iniziato poco fa».

Spalancai gli occhi rimanendo a bocca aperta, senza parole.

Mi lanciò un’ultima lunga occhiata per poi prendere gli appunti di Hanji e uscire dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.

Rimasi con lo sguardo perso nel vuoto per diversi secondi. Abbassai la testa mettendomi le mani nei capelli emettendo un suono tra un ringhio e una risata. Ragionare. Avevo bisogno di ragionare ed analizzare bene la situazione. Ero brava in questo.

“Ma non quando si tratta di quello che provi per il capitano Levi”, mi stuzzicò la mia coscienza con fare malizioso.

Ah, dannazione! In realtà c’era ben poco da ragionare. Era così ovvio: probabilmente quella sera il caporale doveva avere gli ormoni impazziti per chissà quale motivo, in fin dei conti anche lui era un uomo, il più forte del mondo certo, ma pur sempre un uomo, perciò era normale che ogni tanto venisse assalito da quegli impulsi e desideri e in quel momento, dato che la sottoscritta era stata la prima donna che gli era capitata a tiro, aveva deciso di sfogarli con me.

“Se vai da lui darai vita ai tuoi sogni passando probabilmente la notte più bella e passionale della tua vita, non sei contenta?”, continuò a punzecchiarmi la mia coscienza. “Non è quello che hai sempre desiderato?”.

Desideravo che mi amasse, non diventare un oggetto con il quale passare qualche ora di sesso fine a sé stesso.

“Ma tanto alla fine ci andrai perché tu gli hai donato tutta te stessa quando ti ha scelta come membro del suo gruppo, non è forse così?”.

Se mio padre avesse saputo cosa stava passando nella testa della sua adorata, dolce, piccola, ingenua Petra… che razza di idiota ero! Stupida, Petra! Stupida, stupida, stupida, stupida!

“Sì, sono proprio una stupida”. Mi alzai dal tavolo sul quale ero seduta e uscii dalla biblioteca per completare i miei ultimi compiti e poi sarei andata da lui. In realtà l’avevo deciso nel momento in cui me l’aveva chiesto.

Continua...

Note dell’autrice

Ciao a tutti! Sono un po’ emozionata perché è tantissimo che non pubblico su EFP e ancora di più perché questa è la mia prima fanfiction su “L’attacco dei giganti”.

Da quando ho visto l’anime mi sono follemente innamorata del paring Rivetra (o Levetra. Vah beh, penso che nonostante tutti i post letti in merito rimarrò sempre con il dilemma sul qual è il vero nome, e pronuncia, del mio tanto amato caporale maggiore).

Forse qualcuno se ne sarà accorto, ma questa fanfiction, nonostante sia scritta davvero con il cuore, non è una mia idea, ma è tratta da una dolcissima doushinji che ho trovato online della quale mi sono perdutamente innamorata (mi è piaciuta talmente tanto che l’ho scaricata sull’ipad... spero che nessuno guardi mai quella cartella o si potrebbe pensare che sono un po’ pervertita! xD). Ho provato a calarmi più che mai nei panni di questa Petra cercando di mantenerla il più possibile IC con l’originale del manga di Isayama e lo stesso ho provato a fare con Levi anche se ho qualche serio dubbio di esserci riuscita. Non sono una traduttrice, anzi, oserei dire tutt’altro, ma con il mio piccolo bagaglio d’inglese, l’ausilio del vocabolario e qualche licenza personale spero di aver trasmesso il più fedelmente possibile l’idea e le emozioni di chi ha disegnato questa doushinji e magari anche qualcosina in più.

Sarà una storia molto breve, infatti il prossimo capitolo sarà l’ultimo. Non mi sembra di aver letto in rete altre fanfiction simili a questa, ma se dovessero esserci mi scuso in anticipo. Non era mia intenzione copiare qualcuno. :)

Detto questo spero che il primo capitolo vi sia piaciuto e che leggerete anche quello conclusivo che pubblicherò la prossima settimana. Mi vorrei anche scusare in anticipo se dovessero esserci degli errori; l’ho riletta più volte, ma si sa che i maledetti infami si nascondono e a volte, a furia di correggere, non si trovano. Ringrazio in anticipo chiunque lascerà un commentino per farmi sapere che cosa ne pensa. Per me significa davvero tanto.

Un bacio e al prossimo capitolo.

Marty

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Only_if_you_don't_forget_tonight

Capitolo 2

Ero di fronte alla porta della stanza del caporal maggiore Levi ormai da più di cinque minuti. Il mio pugno era chiuso e alzato, pronto a bussare.

“Che ti prende? Vuoi tirarti indietro? Non è che per caso hai paura?”, domandò la mia vocina interiore in tono beffardo.

Certo che avevo paura. Avevo paura di farmi coinvolgere dai miei sentimenti più di quanto non lo fossi già sapendo che a lui non interessava altro che passare una notte di sesso. E quel pensiero mi uccideva.

“Non puoi essere così sicura che per lui sia solo sesso”, mi consolò un’altra voce nella mia testa, più dolce e comprensiva. “Magari anche il Capitano prova i tuoi stessi sentimenti e questo è il suo modo per dirtelo”.

Lo speravo veramente, ma ero certa che nel migliore dei casi quell’ipotesi fosse altamente improbabile.

Basta. Ero lì, avevo fatto la mia scelta e l’avrei portata avanti fino alla fine. Andando lì mi ero detta che andava bene così, che l’avrei amato abbastanza per entrambi, anche se fosse stato solamente per quella notte. Meglio quel poco piuttosto che niente.

Nessuna illusione.

Trassi un ultimo profondo respiro e battei il pugno sulla grande porta di mogano massiccio. Come se fosse stato lì dietro ad aspettare il mio richiamo, il caporal maggiore Levi aprì immediatamente la porta. Ci fissammo per alcuni lunghissimi istanti. Teneva la camicia un po’ aperta lasciando intravedere parte del suo torace e i suoi occhi, in quel momento di un colore più tendente all’azzurro che non al grigio, erano così intensi da somigliare un mare in tempesta. Era bello tagliere il fiato.

Nel vedermi, solo per una frazione di secondo, mi sembrò di scorgere sul suo viso l’ombra di un sorriso.

Probabilmente era solo un altro scherzo della mia immaginazione.

«Prego, accomodati», disse mettendosi di lato per lasciarmi entrare.

«Grazie», mormorai.

Conoscevo bene quella stanza grandissima e quasi completamente vuota, eccezion fatta per un letto, un antico divanetto di pelle rossa e una piccola scrivania sotto la finestra. Spesso mi capitava di portargli il tè prima che andasse a dormire o il caffè quando non riusciva a venire nella sala da pranzo a fare colazione con il resto della squadra.

Il caporale mi fece strada e si lasciò cadere pesantemente sul divano. Rimasi a guardarlo, in piedi, fin quando non mi fece segno di sedermi accanto a lui. Nessuno dei due proferì parola per diversi minuti. Che cosa imbarazzante! Sembravamo due ragazzini al primo appuntamento piuttosto che due adulti!

Cominciai a torcermi le mani nella speranza che il mio cervello trovasse qualcosa di sensato e non troppo stupido da dire, perché dovevo dire qualcosa.

«Prima che tu possa fare una cosa di cui potresti pentirti, voglio essere sincero con te», esordì lui. La sua voce era bassa e più roca del normale. «Io non posso diventare il tuo innamorato, è bene che tu lo sappia».

Diretto, chiaro, conciso e onesto. Tipico di lui.

Sorrisi appena, tenendo lo sguardo basso, ben attenta a non incrociare il suo. «Sì, lo so, Capitano e la capisco», ribattei in un sussurro. «Lei non prova quel genere di sentimenti per me e io…». Strinsi le mani sul grembo per impedirmi di tremare, «non ci ho mai pensato nemmeno per una volta».

Bugiarda.

Ma era meglio che non lo sapesse e che rimanesse tutto così com’era.

Mi guardò con la coda dell’occhio per poi tornare a fissare come me il pavimento di fronte a sé. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia reggendosi il volto con le mani. «Essere l’innamorato di qualcuno significa promettere all’altro di vivere una relazione che possa durare nel tempo; significa mettere le basi per un futuro e io non posso farlo perché potrei morire anche domani». La sua voce era calma e ferma, il tono basso tradiva dell’amarezza. «Ovviamente non ho alcuna intenzione di morire, ma nessuno sa cosa potrebbe accadere nelle prossime missioni. Una cosa è certa: io sono colui che deve sterminare tutti i giganti; l’unico che ha le carte in regola per farlo», proseguì a voce leggermente più alta. Ridacchiò. «Mi sento un po’ un idiota: sono pronto ed epurare il mondo da quei dannati mostri per la salvezza del genere umano, ma non riesco ad aprirmi più di così e mostrare la parte più profonda di me stesso. Sono solamente un vigliacco».

Mi voltai e l’osservai: la sua fronte era attraversata da una ruga e i suoi occhi ardenti che tanto amavo erano spenti e tristi come non li avevo mai visti.

«Capitano, non deve…».

«Tutto quello che ho detto non significa che io non provi nulla per te», continuò senza badare a me. «Penso che tu sia davvero una persona speciale. Se non fosse così non ti avrei mai chiesto di venire qui questa sera. Non sono il genere di uomo che fa certe proposte tanto per fare».

Il mio cuore perse un battito per poi cominciare a martellare talmente forte da far male. Sembrava una dichiarazione d’amore. In chiave levesca, certo, ma pur sempre una dichiarazione.

“Quindi anche lui prova dei sentimenti per me? Mi sta aprendo il suo cuore?”.

Mi torsi nuovamente le mani tornando a guardare il pavimento lucido e perfettamente pulito. «Beh, una volta sterminati tutti i giganti non sarebbe affatto giusto se lei rimanesse da solo, Capitano», sussurrai. «Quindi quando arriverà quel momento… mi sposi!».

L’uomo alzò la testa e mi fissò con aria sorpresa ed incredula.

Arrossii fino alla punta dei piedi. Oh, bene. La mia lingua aveva deciso di staccarsi definitivamente dal cervello e fare di testa sua. Tanto valeva essere ancora più diretta e dire: «Capitano, sono innamorata di lei fin dal primo istante in cui l’ho vista!». Stupida, Petra! Stupida, stupida, stupida…!

«Cioè, quello che volevo dire è…», farfugliai grattandomi la testa nel tentativo di riparare il mio errore.

«Va bene», disse lui alzandosi in piedi.

Eh?”.

«Quando arriverà quel momento sarò pronto a dirti di sì, ma solo ad una condizione». Si piegò in ginocchio di fronte a me e mi prese delicatamente la mano destra portandosela alle labbra.

«C-cioè?».

«Solo se tu non dimenticherai questa notte». I suoi occhi erano dolcissimi così come quel piccolo sorriso che si stava aprendo sul suo viso. Il primo che gli avessi mai visto rivolgere a qualcuno. E quel qualcuno ero io.

Non riuscivo a crederci. Non era possibile. Se fossimo riusciti a sopravvivere a quell’inferno, lui mi avrebbe…

«Io… io non dimenticherò questa notte», barbugliai. Sentivo le lacrime di commozione salirmi agli occhi, pronte ad appannarmi la vista. «Finché avrò vita, io non la dimenticherò. Mai». Senza volerlo le lacrime presero il sopravvento sfociando in un vero e proprio pianto. Era così assurdo che lui mi ricambiasse, anche solo un po’.

Il capitano Levi rimase fermo in ginocchio a guardarmi piangere per diversi minuti. Mi prese il volto con le mani asciugandomi una lacrima con il pollice. «Penso che tu abbia pianto abbastanza per oggi», soffiò ad una spanna dal mio viso. Il suo respiro sapeva di menta, ma era incredibilmente caldo e rassicurante.

“Piango perché sono felice, Capitano”.

Mi mise una mano dietro la nuca e mi attirò a sé per baciarmi. Fu un bacio lento. Un bacio dolce. Casto.

Adesso volevo che sentisse quello che provavo per lui. Volevo che avvertisse la mia gioia e la paura di quei sentimenti che avevo cercato inutilmente di soffocare.

Allacciai le mie braccia dietro il suo collo per stringermi di più a lui e godere del sapore delle sue labbra.

Mai come in quel momento lo desiderai. Mai come in quel momento pregai di sentire la sua bocca sul mio corpo.

Mi fece stendere sul divano senza smettere per un solo istante di baciarmi sulle labbra, sul collo, sugli occhi e sul viso. Le sue dite scorrevano tra i miei capelli lisci mentre la mano destra era scesa lentamente all’altezza del seno sbottonando i primi bottoni della camicia lasciando intravedere il mio bustino come quando ci trovavamo nella stanza biblioteca. Mi contemplò per qualche secondo lasciando scorrere un dito dal collo all’ombelico per farlo poi nuovamente risalire fin sulla guancia baciandomi di nuovo sulle bocca, questa volta con più ardore, come se avesse voluto mangiarmi. Mi aggrappai alla sua camicia emettendo qualche mugolio.

«Cap-capitano Levi?».

«Cosa c’è?».

«Le sue labbra hanno un buon sapore. Davvero buono», risposi. «Non immaginavo che oltre ad essere l’uomo più forte del mondo fosse anche il miglior baciatore del mondo».

Per un attimo lo vidi irrigidirsi. Forse non avrei dovuto dire una cosa del genere, avevo osato troppo. Qualche istante dopo, però, mi prese in braccio, costringendomi ad aggrapparmi al suo collo, e mi portò sul suo letto. Mi spostò la frangetta dagli occhi e sorrise.

Avrebbe dovuto sorridere sempre. Il suo volto s’illuminava.

Ero contenta che avesse deciso di mostrare soltanto a me quel suo lato nascosto. Mi faceva sentire importante.

Avvicinai il mio viso al suo, sfiorandogli la punta del naso con il mio, in attesa di un altro bacio che non tardò ad arrivare. Nel frattempo con una mano sbottonò la mia camicia e spostò verso il basso la coppa sinistra del bustino, scoprendomi il seno. La sua mano era fredda a contatto con la mia pelle. Rabbrividii. Reclinai la schiena indietro e gemetti quando le sue dita cominciarono a giocare con uno dei capezzoli, inarcandosi di più quando la sua bocca cominciò a dedicarsi all’altro seno.

Era una sensazione strana, bellissima, ma che per un attimo mi terrorizzò. «Fermo, aspetti…», farfugliai a mezza voce sentendo la sua mano scendere verso il mio io più intimo e nascosto.

«Cosa c’è?», chiese guardandomi confuso.

«Ecco, io…». Non completai la frase. Girai il volto di lato incapace di sostenere la forza dei suoi occhi.

«Oh», fece lui mettendosi seduto. «Non hai mai avuto rapporti sessuali, vero?».

Colpita e quasi affondata.

Continuai a guardare altrove, sempre più imbarazzata. «Durante il mio primo anno d’arruolamento, un cadetto del terzo anno…».

«Hai ancora una storia con questa persona?», mi bloccò lui allontanandosi un po’ da me.

«No». Sorrisi mesta. «È morto per difendere la sua squadra durante un allenamento un mese dopo esserci messi insieme».

«Capisco», disse il Caporal Maggiore. «Mi dispiace. Non volevo rievocarti certi ricordi. Se solo avessi saputo una cosa del genere…».

«Quindi non ho avuto il tempo di imparare come si fanno certe cose», lo interruppi io questa volta mantenendo inalterato il mio sorriso. «Mi dispiace solamente che non rimarrà soddisfatto da me come poteva immaginar…».

«Petra». Mi accarezzò il viso con la punta delle dita. «Non essere così dura con te stessa. Non ce n’è bisogno». Si sedette sulle ginocchia e mi abbracciò facendomi poggiare la testa sul suo torace. «Non importa quello che fai. Io ti apprezzerò sempre. Da questo momento cercherò di alleviare questi tuoi pensieri dolorosi provando a non provocartene altri. Combatterò per sempre al tuo fianco in modo da poterti difendere quando ce ne sarà bisogno. È l’unica soluzione». Mi strinse maggiormente a sé accarezzandomi la testa. «Purtroppo non posso prometterti più di questo. Perdonami».

«Capitano, non deve fare tutto questo per me. Non lo merito».

«Sì, invece», ribatté poggiando delicatamente indice e medio sotto al mio mento alzandolo in modo che in nostri sguardi s’incontrassero. «Tu meriteresti molto più di questo».

«Capitano…». Mi buttai tra le sua braccia affondando il viso nel suo petto aggrappandomi alla sua camicia.

«Questa sera non darmi del lei. Chiamami solamente Levi». Non era un comando e nemmeno una richiesta. Sembrava più che altro una preghiera.

«Ai tuoi ordini, Levi», soffiai nel suo orecchio.

Non so se fu colpa del mio tono di voce o il fatto di chiamarlo per nome, fatto sta che mi stese sul letto e cominciò a ricoprimi di baci con una foga che non mi aveva ancora mostrato. Sfilò con calma i lembi della camicia che erano rimasti nei pantaloni facendo per spogliarmi e lasciarmi solo con il corpetto.

«No! Si fermi! Non mi tolga la camicia!», esclamai bloccandogli il polso.

«Perché non dovrei?», chiese con fare neutro e serio.

«Il mio corpo è coperto da numerose contusioni e non sono belle da vedere, perciò non ho alcuna intenzione di togliermi i vestiti», replicai sulla difensiva stringendo le braccia al petto, cercando di coprirmi il più possibile.

«Nonostante sia un maniaco della pulizia, non penso affatto che le ferite di guerra sia sporche».

«Non è questo il punto!», scattai stringendomi ancora di più nella camicia aperta. «Il fatto è…», cominciai incerta. «Il fatto è che a causa di tutte queste cicatrici il mio corpo è brutto. Inguardabile».

Mi fissò per alcuni secondi rimanendo in silenzio. «Petra, voglio vederlo», disse dopo un po’ posandomi un dito sulle labbra. «Permettimi di guardarti. Ti prego».

Non era leale tutta quella dolcezza.

Disobbedire ad un suo comando sarebbe stato difficile, ma ad una richiesta posta con quel tono dolce e roco allo stesso tempo era del tutto impossibile.

Restai per qualche altro istante con le braccia chiuse al petto, poi le abbassai posandole sul grembo. «Va bene», mormorai alla fine. «Se vuole p-può toccarmi».

Il caporale annuì. Si avvicinò e molto lentamente mi sfilò la camicia passando successivamente al bustino. Quando fui completamente nuda, si allontanò per osservarmi da lontano. Sentivo i suoi occhi su ogni centimetro di pelle martoriata. Il suo sguardo bruciava.

«Capitano…».

In una frazione di secondo, mi ritrovai distesa sotto di lui.

«Come puoi pensare che il tuo corpo sia inguardabile?», domandò bloccandomi le braccia con forza, impedendomi qualsiasi movimento. «Tu sei bellissima, Petra». Scese lungo l’addome ricoprendomi completamente di baci e carezze, specialmente sulle cicatrici.

«Capitano, la prego, lasci andare le mie braccia. Mi sento così in imbarazzo e…».

«Ma cosa stai dicendo? Non stiamo per fare cose ben più imbarazzanti?», sbottò portandomi le braccia sopra la testa tenendole ben ferme con una mano. «E poi ti avevo chiesto di non darmi del lei e chiamarmi solo per nome. Questa sera non siamo il capitano con la sua sottoposta, ma soltanto Levi e Petra». Intrappolò le mie labbra in un bacio facendosi subito spazio nella mia bocca con la lingua alla ricerca della mia che lo cercò con lo stesso desiderio.

Un mano continuava a tenere immobilizzate le mie braccia sopra la testa, mentre l’altra era tornata a stuzzicare il seno come quando eravamo ancora sul divano.

Mi sentivo accaldata e se una parte di me si sentiva molto imbarazzata ad ogni suo tocco, l’altra pregava che non smettesse mai. Inoltre ci sapeva dannatamente fare, molto più di quanto mi aspettassi.

Mi baciava, mi leccava, mi accarezzava, mi mordeva, mi abbracciava. A tratti con irruenza, rozzamente quasi, in altri con una calma esasperante permettendo al piacere di propagarsi in ogni cellula del mio corpo. Era come arrivare alle porte del paradiso per essere subito dopo avvolti nelle fiamme dell’inferno.

Io lo spogliai piano, timorosa di vedere cosa si nascondesse sotto gli indumenti dell’uomo più forte della terra. Non sapevo da dove cominciare. Avevo paura di non fargli sentire tutto l’amore che provavo per lui, di non essere all'altezza.

«Non avere paura. Non trattenerti», m’incoraggiò mentre con mani tremanti gli toglievo la camicia. «Segui il tuo istinto come in battaglia».

E lo feci, imitando le premure e le attenzioni che lui aveva usato con me valutando quale gli piacesse di più. In alcuni momenti fu lui stesso a guidarmi.

Quando ci ritrovammo entrambi completamente nudi, l’una sotto l’altro sapevo che era arrivato quel momento tanto atteso. Però, avevo paura. Che ironia; non mi spaventava un gigante alto dieci o quindici metri, ma il solo pensiero di perdere la verginità sì.

«Petra… posso?», chiese aprendomi delicatamente le gambe.

Per un secondo esitai e in quel preciso istante la mia femminilità gridò il bisogno di sentirlo dentro di me, subito.

«Sì», risposi alla fine.

Mi baciò sul collo accarezzandomi dolcemente la coscia. «Se ti faccio male, dimmelo», sussurrò al mio orecchio.

Annuii e mi aggrappai alle sue spalle. Non entrò subito. Mi massaggiò e baciò sul mio io più sensibile per un po’ in modo da essere sufficientemente pronta ad accoglierlo evitandomi il più possibile di sentire dolore. Quando iniziò ad entrare lo strinsi più forte di quanto non stessi già facendo. Lo sentivo battere con delicatezza e forza allo stesso tempo.

«Lev…». Le mie unghie gli graffiarono la schiena trattenendo a stento un urlo quando riuscì a rompere il mio muro interno.

Mi tenne stretta, sorreggendomi la nuca e rimanendo fermo il tempo necessario per farmi abituare ad averlo dentro di me. «Tutto bene?», domandò premuroso posandomi un bacio sulla tempia.

Feci segno di sì con la testa rimanendo avvinghiata a lui.

Una volta scomparse le smorfie di dolore dal mio viso cominciò a muoversi. Piano. Pianissimo, senza mai smettere di accarezzarmi e sussurrarmi frasi dolcissime che non avrei mai pensato potessero uscire dalle sue labbra.

Passato il male iniziale un fiume di sensazioni presero a correre per tutto il mio corpo. Non riuscivo a credere che quello che stava succedendo fosse reale. Non riuscivo a credere che fossi un tutt’uno con l’uomo che amavo. In quel momento realizzai quanto fosse importante per me, che lui era la mia vita e il motivo per il quale vivevo.

«Dì… dì il mio nome», ansimò quando era ormai arrivato quasi al limite.

«Levi».

«Dillo ancora».

«Le-Levi», ripetei a voce più alta. Anche io ero al limite.

«Il mio nome non mi è mai sembrato così bello. Potrei anche sentirlo all’infinito, se a pronuncialo sei tu».

«Per me è lo stesso, Levi».

Mi fissò negli occhi per un istante e nel momento in cui mi riempì di sé unì le sue labbra alle mie, come a voler rendere quelle parole ancora più vere e dense di significato. Venni anch’io fondendomi completamente con lui.

Ero consapevole che il giorno successivo sarebbe tornato il solito, freddo e distaccato caporal maggiore di sempre, ma era indiscutibile che quella notte fosse stato incredibilmente dolce e che mi avesse fatta sentire amata, bella e preziosa come non era mai successo in tutta la mia vita mia.

***

Mi svegliai avvolta dalle braccia di Levi qualche ora dopo. Fuori era ancora buio pesto. Doveva essere notte fonda. Il castello era silenzioso. Mi sciolsi dalla sua stretta gentile facendo attenzione a non svegliarlo. Raccolsi i miei vestiti sparsi qua e là sul pavimento e mi rivestii.

«Ehi, vai già via?». La sua mano strinse la mia costringendomi a voltarmi verso di lui. «Non pensavo che mi abbandonassi subito. Sei senza cuore».

Sentii il volto andarmi in fiamme. Con quei capelli scompigliati, lo sguardo un po’ intontito dal sonno, il corpo coperto solamente dal piumone, ben consapevole di cosa nascondesse, era se possibile ancora più bello di quando avevamo fatto l’amore. Sembrava anche più giovane dei suoi trent’anni.

«Oh… beh… ecco…», balbettai distogliendo lo sguardo. «Pensavo che preferissi riposarti un po’ da solo senza avermi tra i piedi».

«Non posso crederci», borbottò mettendosi seduto. «Nonostante quello che abbiamo fatto ti senti ancora in imbarazzo?».

«Beh, non è questo…».

“Sì, certo, Petra, come no!”, commentò divertita la mia coscienza.

«E allora qual è il problema? Guarda che non mi dà affatto fastidio se resti a dormire qui».

«E se domani mattina ci vedesse qualcuno?».

«Diremo che se venuta a portarmi il caffè». Mi prese la mano e facendomi stendere accanto a lui mi coprì con la coperta pesante. «Adesso dormi tranquilla».

Chiusi gli occhi sperando di riuscire a prendere sonno facilmente. Praticamente impossibile con lui così vicino.

«Ah, Petra», aggiunse. «Ho intenzione di mantenere fede alle parole che ci siamo detti prima, però se vuoi dimenticarti di me non te ne farò una colpa. So bene che puoi ambire a ragazzi migliori e più giovani di me».

Spalancai gli occhi, esterrefatta.

«Buonanotte», finì chiudendo gli occhi.

«Levi, ti stai sforzando di apparire indifferente, non è vero?».

«Ho detto buonanotte».

Il mio caporal maggiore riusciva ad essere una persona davvero austera e spaventosa, ma anche la più gentile e romantica del pianeta.

«E comunque sappi che non potrei mai ambire ad un uomo migliore di te», mormorai in maniera così flebile da farmi appena sentire. «Buonanotte».

Fine

Note dell’autrice

Ed eccoci arrivati alla fine di questa mini-fic.

Ho adorato scriverla e penso che sia una delle più belle nelle quali mi sia mai cimentata dal 2001 ad oggi. Il mio unico timore è che essendo una storia nata da un soft hentai possa aver deluso le aspettative di chi l’ha letta. Mi dispiace, ma io non ce la faccio proprio a scrivere cose erotiche con troppi dettagli sull’atto in sé per sé (alla Cinquanta Sfumature, giusto per rendere l’idea di quello che intendo). È più forte di me, veramente. Cerco sempre di lasciare più spazio al romanticismo e alle sensazioni dei protagonisti perché credo che sia la cosa più bella di cui parlare. Spero quindi di essere riuscita ad aggiungere qualcosa a questa storia già bellissima nella sua versione disegnata ed avervi emozionate/i tanto quanto mi sono emozionata io a scriverla.

Come per il capitolo precedente, non essendo una traduttrice, ho cercato di essere fedele alla doushinji di base prendendomi però qualche licenza e aggiungendo delle piccolissime parti che non c'erano e mi auguro che vi siano piaciute.

Detto questo, voglio mandare un mega bacio a Zunika, happily ever after e ladykaito96 che hanno recensito il primo capitolo (spero davvero di non avervi deluse con questo dove c'è la vera "ciccia") e anche a tutte quelle persone che l'hanno solamente letto. Grazie ^_^

Perdonatemi se dovessero esserci degli errori all'interno nel testo: si nascondo, sappiatelo. Per quante volte uno possa controllare, rileggere e correggere, almeno uno c'è sempre (maledetti infami! xD).

A questo punto vi mando un mega bacio e... tremate! Potrei tornare con qualche altra Levetra prima di quanto possiate pensare (paure, eh? xD)!

Alla prossima!

Martina

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