Hoar Frost Stomper

di Nata_dalla_Tempesta_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologue. ***
Capitolo 2: *** one. ***
Capitolo 3: *** three. ***
Capitolo 4: *** two. ***
Capitolo 5: *** four. ***
Capitolo 6: *** five. ***
Capitolo 7: *** six. ***
Capitolo 8: *** seven. ***
Capitolo 9: *** eight. ***
Capitolo 10: *** nine. ***
Capitolo 11: *** ten. ***
Capitolo 12: *** eleven. ***
Capitolo 13: *** twelve. ***



Capitolo 1
*** prologue. ***


zero.


 

Guardian down – You are forever lost in the dark corners of time

Rimase a bocca aperta, con il controller della PlayStation ancora stretto tra le dita.  La sigaretta si era quasi del tutto consumata da sola nel posacenere che teneva tra le gambe incrociate.

Una voce maschile all’auricolare le rise nell’orecchio: “Abbie, ma sei morta?”

“Sì, deficiente d'un Gabs, ve lo stavo agrando da mezz’ora!”

Sbatté il controller sul letto, scaraventò l’auricolare dalla parte opposta della stanza, sbuffò e si accese un'altra sigaretta. Era infuriata: non era possibile aver a che fare con degli imbecilli di tale portata, talmente inetti da non riuscire a completare una missione banalissima.

Suo fratello aprì la porta, con la solita faccia da bravo ragazzo: “Abbie, puoi venirmi a dare una mano in cucina?”

“Senti Mike o Gabs.”

“L’ho chiesto a te.” Cain aveva sempre un modo mellifluo di dire parlare, e se c’era una cosa che Abbie odiava ancora più di tutto il resto, erano i begli occhi azzurro pallido del fratello, che poi erano anche i suoi. C’erano tante cose che rivedeva di se stessa in lui, ed erano tutte cose che detestava del proprio aspetto:  le sopracciglia e le ciglia troppo chiare, che si doveva calcare con la matita e impiastricciare con il mascara ma che su di lui stavano bene; quella manciata di centimetri in più rispetto alla norma che facevano sembrare lui proprio un gran figo, come dicevano le sue compagne di classe del liceo, e lei una ragazza poco aggraziata (non che se fosse stata più bassa di statura le cose sarebbero cambiate, sapeva come vestirsi e come truccarsi da signorina per bene...ma talvolta tendeva ad essere un po’ originale, negli atteggiamenti).

“Fammi finire la sigaretta e arrivo”, disse Abbie allungando le braccia sopra la testa e tirandosi la schiena.

“Alza il sedere. E dammene una, intanto.” La ragazza lanciò il pacchetto in direzione della porta e suo fratello si servì. Dal fondo del corridoio, la voce di Raph, uno dei fratelli della seconda ondata, risuonò squillante: “Posso una?”

“Non mi chiamo Philip Morris!” esclamò Abbie.

“Quando le compro te la restituisco, promesso.”
"Non credo proprio che le comprerai, accontentati di questa." Cain allungò il pacchetto a Raphael e il ragazzo estrasse una sigaretta. “Ricevuto."

“Magari non dirlo alla mamma…”, sussurrò il fratello maggiore facendo accendere a Raphael.

“Ho vent'anni, mica cinque”, scosse la testa il ragazzo castano. Raphael  non aveva ereditato i colori dei Normanni tipici del capofamiglia. Michael era stato esteticamente il più fortunato: capelli castani e occhi azzurri. Gabriel era uno slavatino come Cain e Abbie, ma aveva il naso e le guance costellati da una miriade di lentiggini che lo rendeva del tutto particolare: i due gemelli maggiori nati da madre diversa, invece, dovevano accontentarsi di essere l’uno la versione maschile dell’altra. Nulla di originale.

Avevano fatto il giro lungo, quegli uomini del nord: arrivati in Sicilia, i loro tratti somatici erano sopravvissuti nei secoli fino ai giorni nostri. Quando il padre si era trasferito in Inghilterra come corrispondente estero di un quotidiano, sembrava più inglese di un inglese quando teneva la bocca chiusa: il figlio era nato e cresciuto come un italo-britannico a tutti gli effetti. Una grande ironia per un fervente religioso portare un cognome così insolito.

"Scusate se disturbo il vostro amabile capannello da fumeria d'oppio, ma dovrei cenare in fretta perché ho un appuntamento alle nove", disse Gabriel finendo di annodarsi la cravatta con i suoi soliti capelli pettinati perfettamente.

"Se sei abile a usare le dita come con il controller, povere ragazze", sbottò Abbie. Gabs le mostrò dito medio  condito con un glorioso sorriso.

 Quando arrivarono in branco al piano di sotto, trovarono Michael seduto a tavola con la testa abbassata su Cuori in Atlantide. Raph gli corse incontro e gli diede un abbraccio alle spalle: "Ah, il mio sociopatico preferito!"

Mike sbuffò in risposta e proseguì con la lettura. Cain porse il pentolone colmo di pasta ad Abbie e la ragazza cominciò a servire gli altri tre fratelli: Michael si mise a mangiare senza alzare gli occhi dalle pagine stampate, Gabriel mangiò in fretta ma facendo estrema attenzione a non sporcarsi i vestiti griffati e stirati alla perfezione, Raphael non stette zitto un secondo intento a spiegare a Cain qualcosa di cui non gliene importava assolutamente nulla, ma che non smetteva di annuire fingendo interesse. Cain aveva preso fin troppo seriamente il ruolo del fratello maggiore, e tutto ciò per lei era eccessivo; Abbie, per quanto la facessero arrabbiare o innervosire circa un milione di volte ogni singolo giorno e nonostante avesse messo in chiaro fin da subito con suo fratello di sangue che non avrebbe mai fatto da mamma a nessuno di loro perché una madre almeno loro ce l'avevano, riuscì a comprendere tutti gli uomini della sua vita in un solo sguardo.

 

Avevo in mente questa storia da un po' di tempo: inutile negare che ci sia dentro un po' di Shameless, un po' di Malcolm in the Middle e un po' di Weeds. Per i nomi, ho preso spunto piuttosto pesantemente dal manga Angel Sanctuary. Dopo aver provato l'esperienza di scrivere di pochi personaggi fortemente caratterizzati, voglio cimentarmi nella gestione di un grande gruppo di persone (che non si fermerà al nucleo famigliare principale): il mio intento è di dare solo apparentemente l'effetto sit-com con protagonisti che hanno un paio di tratti distintivi e che diventano delle macchiette. Ho visto che sono presenti storie simili in questa sezione e ammetto di non averle lette oltre l'introduzione ma, come al solito, il mio modus operandi è partire con qualcosa che sembri già visto per poi tentare qualche innovazione. 
Insomma, non fatevi ingannare da questo prologo, si tratta solamente di una panoramica e di un fantomatico brodo primordiale e, se avrete pazienza, vedremo di aggiustare un po' la messa a fuoco.
Per qualsiasi critica o appunto, sempre a disposizione!
A presto!
C.
P.s.: L'epilogo della mia storia precedente è ormai completato, se lo troverete in sospeso, è solo perché forse quel libro non si chiuderà così facilmente!

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Capitolo 2
*** one. ***


one.

Quello dove Abbie si confida




 

A cena finita, quando i tre giovani si alzarono, Abbie sparecchiò e si mise ad aiutare Cain con il lavaggio delle stoviglie. Raph e Gabs insistettero per mezz’ora con Mike per convincerlo a uscire con loro, ma come al solito, preferiva chiudersi in camera a rileggere ossessivamente romanzi che aveva già terminato più volte. Gabriel sembrava essere nato un paio di secoli in ritardo e quando non era impegnato a giocare ai videogiochi faceva strage di cuori in giro per il paese come un vero dandy. Dato che con Mike era impossibile avere un dialogo e Gabs era troppo impegnato a pavoneggiarsi, Raphael era il più piacevole dei tre: forse troppo chiacchierone, ma essendo il fratello di mezzo della triade era diventato il più responsabile. Era una specie di Cain in miniatura, e infatti a Gabriel era permesso andare in giro per locali solo sotto la supervisione di Raphael nonostante avesse due anni in meno.
 
Quando riuscivano a trovarsi da soli, la ragazza provava a gettare l’amo nelle vicinanze del fratello nella speranza che abboccasse: lo vedeva sempre più stanco e sempre meno motivato a farsi una vita sua. Abbie prendeva sempre in giro i tre fratelli per essere una versione bigotta delle Tartarughe Ninja: non erano abbastanza ganzi da avere i nomi degli artisti del Rinascimento Fiorentino e si dovevano accontentare di chiamarsi come gli arcangeli. Losers.
 
“Sono un po’ stanca, Cee-Jay. Sono stufa di tutto questo: siamo troppo grandi per fare da fratelli maggiori e siamo troppo giovani per essere genitori. Capisco che tu voglia fare di tutto per tenere unita la famiglia, però dovremmo anche pensare a noi stessi, al nostro futuro.  Ne avessero realmente bisogno, sarei la prima a offrirmi per dare una mano ai ragazzi. Ma sono grandi, ormai. Perfino Mike ha diciotto anni, ma sembra che  tu non te ne voglia rendere conto.”
 
“Mi chiedo come tu possa essere così stanca dato che non fai assolutamente nulla.”
 
“Vedi come sei? Lo vedi? Vuoi prenderti tutte le responsabilità e poi ti lamenti pure. Da quando quella zoccola ti ha mollato sei diventato ancora più stronzo.”
 
“Parliamo di te, che ti lagni della situazione eppure continui a rimanere qui. Ti fa comodo, questo è il motivo.”
 
“Mi fa davvero comodo avere tre persone in casa nostra che non ne hanno realmente bisogno e  non sono nemmeno del tutto miei fratelli? Questa non è carità, è egoismo: vuoi tenerti tutti intorno per far finta di essere papà, ma non lo sei e non lo sarai mai.”
 
“Abelia, ne abbiamo già parlato milioni di volte e ti ripeto ancora la mia risposta a tutto: se non ti sta bene, quella è la porta. A me piace così, ai ragazzi piace così, alla zia piace così. Per te è un problema stare tutti insieme? Bene, grazie e arrivederci.”
 
Zia Molly – che non era realmente loro zia bensì la seconda moglie del padre, nonché madre biologica dei tre ragazzi, nonché matrigna dei due gemelli – era una brava donna: talmente buona da non aver mai provocato il minimo astio nei suoi confronti da parte di Abbie e Cain, ma anche così svampita da non essere in grado di gestire tre figli maschi da sola. Era sempre stata più un’amica che una matrigna, forse l’unica vera amica di Abbie nonostante la differenza d’età (e il fatto che andasse a letto con suo padre). Quando Abbie era nata, Molly aveva quindici anni e non aveva ancora idea di quello che avrebbe fatto della sua vita; quando si era sposata con il padre dei gemelli a vent’anni, Abbie ne aveva cinque. Facevano tranquillamente serata insieme, e più di una volta Abbie le aveva tenuto i capelli in occasione di bevute esagerate. Non aveva esattamente la vocazione da genitore, nonostante avesse sfornato tre bambini nel giro di sei anni: forse ci sono persone che proprio non ci sono portate.
 
“Se me ne andassi, con chi litigheresti?”, disse Abbie attorcigliando il canovaccio che aveva in mano e frustando suo fratello sulla gamba. Odiava la situazione, ma si divertiva più di quanto riuscisse ad ammettere con i ragazzi e non avrebbe mai abbandonato il fratello, nonostante non approvasse le sue decisioni. Conosceva Molly e sapeva quanto fosse una figura genitoriale discutibile, paradossalmente più di quanto fosse Cain: tra i due mali, meglio optare per il minore.
 
Loro padre li aveva educati con un ben chiaro rigore cattolico: erano belle storielle, ma lui per primo era stato il peggior cristiano sulla faccia della terra e il messaggio non era mai stato poi così efficace. Inutile negare che era stato anche decisamente sfortunato: la prima moglie era scappata di casa per unirsi a una misteriosa setta wicca o druidica, la seconda era stata l’unica donna della zona ad avere accettato sulla carta di accollarsi due gemelli di un’altra moglie. Nella pratica non l’aveva mai fatto, ma questo è un altro discorso. In sostanza, i propositi del padre erano ottimi: una famiglia numerosa, benestante e felice. La realtà dei fatti consisteva in un matrimonio annullato con tutte le problematiche che ne derivavano, una seconda moglie che non era mai diventata mentalmente una madre, una muta di figli e, ciliegina sulla torta, il nome di uno dei diavoli dell’Inferno dantesco: Calcabrina. Un fallimento già dal principio.
 
Cain le rispose tappando il rubinetto con il pollice e dirigendo lo schizzo verso la faccia della sorella. Abbie si mise a ridere, ed era un avvenimento più unico che raro: sempre pronta ad attaccare briga e imbronciata com’era, a Cain metteva di malumore.  Abbie era sia la sua spina nel fianco che il suo unico appiglio: l’avrebbe spesso e volentieri presa a calci, anche un po’ per vendetta dato che per tutta l’infanzia era lei ad essere quella forzuta dei due. Nonostante tutti i problemi che potessero avere tra di loro e benché dovesse prendersi cura di lei e seguirla tanto quanto gli altri ragazzi, non avrebbe mai voluto se ne andasse davvero. Aveva un caratterino insopportabile, ma per quanto si lamentasse in continuazione non aveva mai smesso un istante a modo suo  di supportarlo. Cain sapeva benissimo che Abbie lo provocava per spronarlo, perché era consapevole di aver sprecato gli anni migliori della sua vita per il benessere altrui. Se c’era ancora qualche possibilità di recupero, avrebbe dovuto farlo in quel momento. Cain aveva più bisogno degli altri fratelli di quanto loro ne avessero di lui.
 
Abbie prese due bottiglie di birra e trascinò il fratello sul divano in modo che non si mettesse a pulire la cucina da cima a fondo come ogni sera.
 
“Domani devo andare a casa della signora Marsh, credo che sia l’ultima volta. Stanotte non riuscirò a chiudere occhio, non mi ci abituerò mai. Odio questa parte del mio lavoro”, disse Abbie. Cain le mise una mano attorno alle spalle e la strinse a sé.

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Capitolo 3
*** three. ***




three.

Quello dove Cain si fa dare uno strappo



 


 Kane

Scritto in un elegante corsivo  nonostante la superficie curva del contenitore, come ogni mattina. Gli sarebbe dispiaciuto dopo tutti quegli anni dire alla ragazza che serviva i caffè da portare via che lo spelling era sbagliato, dopotutto il suo non era dei nomi più diffusi. Era ormai una tradizione sentirsi come il personaggio più celebre di Orson Welles fintanto che la bevanda non fosse terminata.
 
“Grazie, Cindy. Buona giornata”, le sorrise Cain.
 
“Buona giornata a te, Cain.” Se nella realtà le fossero potuti venire gli occhi a forma di cuoricini, lo avrebbero fatto. Due giganteschi cuori pulsanti appena sotto la frangetta.
 
Cain attraversò la strada ed entrò nel piccolo market alimentare cittadino: in una famiglia composta da cinque membri era necessario fare la spesa ogni giorno, soprattutto se uno di essi si chiamava Raphael.
 
Cain ed Abbie qualche anno prima avevano pensato per mesi interi che il fratello soffrisse di disordini alimentari: furti dal frigorifero, dispensa saccheggiata, abbuffate notturne e buste piene di schifezze nascoste in ogni angolo della stanza.  Erano arrivati perfino ad accostare le orecchie alla porta del bagno per sentire se si inducesse il vomito. Un ragazzone dal fisico invidiabile, non troppo magro e robusto, e non sembrava fosse particolarmente ossessionato da proprio aspetto, al contrario di Gabriel.
Quando si erano decisi a cercare di parlargli, Raphael aveva confessato candidamente le sue ragioni. Il motivo della sue mangiate frequenti e gargantuesche era, sotto un certo punto di vista, meno preoccupante di quanto preventivato: era un consumatore del tutto non occasionale di cannabis.
Tanto valeva, vista la situazione, che lui desse a Cain una lista della spesa  a parte con elencate una miriade di schifezze:  dato che la sua brillante carriera liceale e accademica non veniva intaccata dalle sue abitudini ricreative, si poteva chiudere un occhio.
 
Passò in farmacia come ogni settimana a comprare i preservativi a Gabs, che sembrava li usasse per fare i palloncini vista la velocità con cui li faceva fuori. In realtà alcuni li rivendeva a Raphael, ma la maggior parte li stoccava negli scatoloni delle stoffe in camera propria in attesa di un futuro migliore.
Gabriel era il classico caso di tutto fumo e niente arrosto nelle questioni amorose e, come spesso capita, era fondamentalmente insicuro. Apparentemente era intimorito dal sesso femminile e troppo innamorato di se stesso, ma la verità era che aveva paura del futuro, di quello che il tempo può fare al corpo, e lo vedeva spesso con i propri occhi. Il lato che teneva nascosto di se stesso per paura di venire deriso (soprattutto da Raphael) era in realtà di una dolcezza inaudita.
Quando aveva il giorno libero nel piccolo salone dove lavorava, trasferiva la propria attività a settimane alterne nella residenza per anziani a poca distanza dal paese e nel reparto di malati oncologici del piccolo ospedale cittadino.  Sia le signore anziane che le pazienti chemioterapiche avevano tutto il diritto di sentirsi bene con se stesse, anche solo per andarsene con un po’ di dignità. Una messa in piega o una parrucca ben acconciata possono davvero cambiare la giornata. La loro felicità nel sentirsi ancora belle come un tempo era la soddisfazione più grande, oltre al fatto di stracciare tutte le signore a canasta quando lo obbligavano a rimanere per il tè pomeridiano.
 
Mike aveva chiesto a Cain se potesse passare in biblioteca a prendergli qualche libro, ma visto che spesso suo fratello finiva con  il prendere in prestito a più riprese lo stesso titolo, tanto valeva comprargli delle copie che potesse disintegrare senza infastidire il prossimo. In più, la ragazza ipovedente che lavorava alla biblioteca in quel periodo lo metteva parecchio in difficoltà.
Tra Tolstoj, Proust e Joyce si ritrovò a dover trasportare una borsa che sembrava riempita di mattoni, invece che di libri.
 
“Cain, vuoi una mano?” sentì esclamare alle sue spalle. Quando si girò a fatica per il peso delle cinque borse stracolme che stava trasportando, vide il viso sorridente di Simon Wallace - detto Rusty per via dei capelli rossi – in divisa da corriere espresso.
 
“Dovrò comperare un mulo o assumere uno Sherpa: dici  che verrebbe visto come sfruttamento della schiavitù?”
 
“Se lo tratti bene, non credo. Vuoi montare sul furgone? Devo fare un paio di consegne prima, ma poi ho un pacco per Abbie da recapitare a casa tua, quindi posso scaricare anche te.”
 
“Sarebbe meraviglioso, Rust. Mi si stanno disarticolando le spalle.”
 
Avevano fatto le scuole assieme dalla materna al liceo e benché  non fossero diventati amici per la pelle si erano sempre stati simpatici a vicenda: nonostante i tentativi, Rusty aveva sempre malcelato la sua cotta per la sorella di Cain, anche lei loro compagna di classe. Essendo Abbie una spendacciona compulsiva per gli acquisti online, Rust aveva almeno un incontro assicurato alla settimana.
 
“Cos’ha preso stavolta?”, disse Cain dando un’occhiata oltre lo sportello aperto del furgone. “Spero non sia quel pacco immenso.”
 
“No, quello è per i Forrester. Secondo me tua sorella ha preso dei DVD o un videogioco, a giudicare dalla forma e dalle dimensioni sarà un cofanetto o una limited edition. Sbatti pure le borse sul retro e monta sul bolide.”
 
Cain caricò i propri averi scuotendo la testa e fece il giro salendo al posto del passeggero.
 
“Come sta andando con Chris?”, gli chiese Rusty subito dopo aver messo in moto. Christopher era il suo fratellino adolescente che andava a ripetizioni da Cain.
 
“Il francese non lo sopporta, non c’è verso che studi. Per quel poco che fanno, però, in matematica è un mago.”
 
“L’avevo detto a mia madre di non fargli fare una scuola che non gli piaceva, ma lei dice che le lingue sono il futuro. Lui voleva fare l’istituto informatico ma non c’è stato verso di convincerli, ci ho provato pure io. Sai le litigate…”
 
“Se vuoi posso chiedere a Raph, lui ci sa fare. Tutto da autodidatta, si intende, ma è il tecnico informatico di casa. Potrebbe dargli qualche infarinatura, ha messo online il sito del negozio dove lavora e ha pure creato un modulo per gli ordini online… Non credo che quella di un negozio di fiori possa essere la pagina più visitata del web, ma funziona.”
 
“Sul serio?”, chiese Rust sorridendo. “Credo proprio gli farebbe piacere.”
 
“Certo, ti lascio il numero di Raphael così ti metti in contatto con lui.”
 
“Grazie, Cain. Sei un amico.”

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Capitolo 4
*** two. ***




two.

Quello dove Cain si arrabbia



 


“Sembri proprio uno sfigato con quella pipa in bocca”, disse Raphael fissando suo fratello. Era un vecchio arrapato imprigionato nel corpo di un ragazzo lentigginoso arrapato.
 
“Parla quello che si deve bere la Coca-Cola di venerdì sera”, rispose Gabs con supponenza.
 
“Fammi bere un goccio di birra, dài.”
 
 Gabriel mosse il dito indice a destra e a sinistra, portando il boccale fuori dalla portata di Raph: “La legge è la legge. E questa, mio caro, si chiama essere di classe.”
 
“Si chiama essere  froci.”
 
“Allora siete come i neri che possono usare la N-word soltanto tra di loro?”
 
Da quando Gabriel l’aveva beccato a sbaciucchiarsi con il suo compagno di classe del liceo non perdeva occasione per sfotterlo: un bel fratello maggiore di merda, non si aspettava certo che sarebbe stato comprensivo ma sperava in un’accettazione omertosa. Raphael sospettava che a Gabriel sotto sotto bruciasse: passava la sua vita a cercare di sedurre ogni ragazza che incontrava ma era talmente pieno di sé da non riuscire ad amare nessun oltre se stesso. Se avesse potuto auto-scoparsi, l’avrebbe fatto: dato che ciò non era possibile, nonostante avesse un intero parterre femminile ai propri piedi, era ancora vergine a ventidue anni. In quel momento a Raphael non interessava più di tanto quell’aspetto della vita, così come non sentiva il bisogno di impegnarsi seriamente non era nemmeno in grado di decidere se preferisse maschi o femmine. Andava a periodi, senza troppi pregiudizi o remore del caso. Non ci vedeva tutta quella grande importanza, comunque: quello che contava era dar fastidio a quel fighetto di Gabs e Sibilla, la piantina speciale che stava facendo crescere in un armadio vecchio in un anfratto dello scantinato. Poco per volta in modo da non destare sospetti, era riuscito a procurarsi tutto il necessario approfittando del proprio lavoro.
 
“Mike ha la ragazza”, disse Raphael giusto per indispettire ancora di più il fratello maggiore.
 
“E’ impossibile, l’unica cosa che ha è la Sindrome di Asperger.”
 
Raphael lo fulminò con i suoi occhi castani: “Non dire queste cose.”
 
“Ma se tu gli continui a dare del sociopatico?”
 
“Io scherzo, tu lo pensi  sul serio. Comunque, indovina? E’ Meredith Flanagan.”
 
Gabriel tossì e tolse la pipa dalla bocca: “Quella Meredith Flanagan?”
 
“Proprio lei. Sta facendo volontariato in biblioteca in questo periodo, pare che si siano conosciuti lì.”
 
“Questa è l’unica cosa che non mi stupisce. Chi te l’ha detto?”
 
“Sua nonna, si è fermata in negozio solo per dirmelo.”
 
“Faccio il parrucchiere e sono l’ultimo a venire a conoscenza delle cose: la signora Flanagan, quella dannata vecchia, non poteva spettegolare quando le ho fatto la messa in piega?”
 
“La gente del posto ha più confidenza con me, Gabs, dopotutto sono il ragazzo che consegna i fiori e porto sempre e solo felicità – se non si tratta di un funerale.”
 
“Sei l’emblema dell’omosessualità, non mi stancherò mai di dirlo.”
 
“Gabs, tu hai fatto una scuola per fare il sarto e un corso per diventare parrucchiere, non farei troppo il furbo.” Per non parlare del fatto che sei ancora vergine, concluse mentalmente Raphael. “Non dovevi avere un appuntamento?”
 
“Alla fine, no. Carol Marsh ha detto che domani mattina sopprimono il suo gatto quindi voleva stare con lui, per l’ultima volta. Questa cosa è fottutamente triste, non posso offendermi perché mi ha dato buca.”
 
“Abbie sarà più nervosa del solito, domani sera. Da un lato la capisco, io non sarei mai in grado non solo di farlo, ma soprattutto di mantenere un distacco professionale in quel momento. Però rimane il suo lavoro, ha scelto lei di essere veterinaria, e purtroppo ha i suoi lati negativi. Secondo me tra poco scoppia.”
 
“Raph, lo sai: Abbie è  una tipa cazzuta.”




 
Abbie era avvolta nelle coperte sul divano a occhi spalancati, fissando le immagini sul televisore con il volume al minimo e con una sigaretta fra le dita. Quando lo sguardo le si spostava sulla valigetta con l’attrezzatura vicino alla porta d’ingresso, le saliva alla gola l’urto del vomito. Aveva visto cose terribili sia all’università che durante il corso di apprendistato, ma non c’era nulla di più straziante per lei di sentirsi addosso lo sguardo di un animale che per quanto sofferente fosse ignaro di addormentarsi per l’ultima volta. In aggiunta, abitando in un paese in cui tutti conoscevano tutti, spesso erano animali che aveva conosciuto da bambina o da ragazza andando a giocare o studiare a casa dei propri amici. Aveva sempre paura che i padroni, conoscendola di persona, segretamente reputassero lei colpevole. Il sogno di quasi tutte le bambine è diventare una veterinaria da grande, del tutto inconsapevoli di che cosa si tratti effettivamente. Forse nemmeno lei era portata per quel lavoro, così come Molly non era portata per essere una madre. Non le faceva impressione nulla e le piaceva visitare, curare, perfino operare. Era farli addormentare che la destabilizzava.
Cain dormiva con la testa sulla sua spalla. Lui non aveva terminato gli studi per curare i ragazzi, che al tempo erano tutti adolescenti: si era però fatto un buon giro di ripetizioni private per ragazzini dalle medie alle scuole superiori. Guadagnava bene, molto più di lei in rapporto alle ore di lavoro, e dichiarava tutto al fisco: poteva occuparsi della casa in tutti i sensi, con quell’impiego. Loro padre si degnava di alleggerirli delle spese per la casa e Molly rubava di nascosto gli scontrini della spesa versando sul conto di Cain la somma corrispettiva. Da quel punto di vista erano genitori decisamente zelanti, considerando il fatto che non stavano facendo i genitori e che avevano in pratica assunto i due fratelli maggiori come sostituti. Non aveva mai visto suo fratello così adirato come la sera di anni prima, quando cambiò tutto a seguito della rottura con il padre.
 
Abbie sentì la serratura della porta d’ingresso scattare e nella penombra vide la sagoma di Raphael e quella un po’ più smilza ma molto impettita di Gabriel. Si sedettero entrambi sul divano, Raph si accoccolò addosso a Cain e Gabs si mise accanto ad Abbie accavallando le gambe, ancora stretto nel suo doppio petto. Ora che erano tornati, era più tranquilla.
 
“Cosa stai guardando?” chiese Gabs a voce bassa.
 
“Non lo so”, rispose Abbie con un sussurro. Generalmente non andavano troppo d’accordo quando erano a contatto di persona: riuscivano a intendersi solo quando una parete li divideva e giocavano in cooperativa ai videogiochi. Abbie non sopportava la nuvola di profumo che aleggiava intorno a Gabriel e lui odiava l’essere perennemente trasandata di lei: per il resto, erano caratterialmente simili e quindi, o facevano scintille o si respingevano.  Gabriel le diede un bacio sulla guancia, lei lo guardò con diffidenza: “Sei ubriaco?”
 
“No, volevo darti un bacio.”
 
“Raph, cos’hai fatto fumare a tuo fratello?”
 
“Non si merita nulla di buono finché continua a usare la sua pipa di merda”, rispose Raphael.

“E la tua sorellina si merita qualcosa?”
 
“Ho della Jack Herer fresca fresca per te.” Raphael si frugò nella tasca dei jeans e passò una bustina di plastica ad Abbie da sopra la testa di Cain.
 
“Tossico leccaculo”, sibilò Gabriel fra i denti.
 
“Con questa, hai i vestiti lavati e stirati per due settimane.”
 
“Questo sì che è un affare”, disse Raphael ritornando ad abbracciare Cain.
 
“Complimenti per l’esempio educativo, Abbie.” Cain si alzò dal divano togliendosi dalla stretta del fratello: gli altri tre rimasero paralizzati dal gelo che aveva inondato la stanza. “Uno si fa in quattro per dare una parvenza di serietà e responsabilizzazione e poi arrivi tu a vanificare tutto.”
 
“E’ della cazzo di erba, Cee-Jay, mica eroina”, disse Abbie facendo per alzarsi a sua volta.
 
“Resta lì. Non è questo il problema, è il tuo atteggiamento. Comunque ne parliamo domani, ora vado a dormire. Chiudete la porta con il chiavistello prima di salire in camera. Buonanotte.”
 
“Merda!”, disse Raphael appena sentirono il fratello maggiore sbattere con forza la porta della propria camera al piano di sopra.
 
“L’avete fatto incazzare”, gongolò Gabs.
 
“Tanto se la prenderà solo con me, un classico. Chi se ne importa se Raphael possiede della droga, il vero problema sono io che sbaglio ad accettarla.”


 

Care lettrici e cari lettori,
stiamo cominciando a conoscere meglio i nostri protagonisti e ad accennare ad altri personaggi di contorno. Metto subito le mani avanti per alcuni dettagli: non sono del tutto sicura che l'età per consumare alcoolici nei pub inglesi sia 21 anni, su internet i pareri sono discordanti e personalmente quando ci sono stata sotto i 21 non sono mai andata in un pub, e sopra i 21 ho bevuto senza problemi. Mi manca fatalmente l'esperienza diretta in un pub tra i 18 e i 21 per capire nella pratica come funzioni. Se qualcuno sa qualcosa di più certo, batta un colpo. Non escludo che sia un dato variabile da pub a pub!
Per il resto, qualsiasi cosa abbiate da dirmi, fatevi sotto! ;)

Stay tuned!

C.

 

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Capitolo 5
*** four. ***




four.

Quello dove Gabriel sbaglia approccio



Quel Sabato mattina di metà Giugno ci fu un raro caso di autogestione nella casa al numero 5 di Highwind Lane, Stonemill-on-the-green, Inghilterra, Regno Unito: Cain era fuori per le commissioni ed Abbie aveva alcune visite a domicilio per lavoro.
 
Ellie Thompson-Suterland avrebbe dovuto interpretare il ruolo di Satine nella rivisitazione del musical Moulin Rouge! della compagnia teatrale giovanile del paese, la settimana seguente. Problema: abito di scena non pervenuto, niente splendido vestito paillettato con le code per Ellie (in realtà il vestito c’era eccome ma a lei ne serviva uno su misura: non era mai stata una modella e si era lasciata un po' andare negli ultimi tempi, forse a causa dello stress all'idea di doversi trasferire a Londra per iniziare l'università, a Settembre). Sapendo che Gabriel Luke Calcabrina, l’affascinante vicino di casa, realizzava vestiti su commissione, decise di prendere appuntamento per quel sabato mattina in modo da farsi prendere le misure.
 
Ad aprirle la porta fu Raphael, che l'accolse con un sorrisone nonostante avesse gli angoli della bocca sporchi di cioccolata, un vasetto di Nutella in mano e un manuale di Diritto Penale stretto sotto il braccio.

"Ciao Ellie! Gabs ti aspetta di sopra, seconda porta sulla destra."
 
La camera di Gabriel era la più estesa in metratura rispetto a quella degli altri quattro membri della famiglia, con un lato dedicato alle console e ai videogiochi e il lato opposto adibito a piccola sartoria: il letto, che faceva da spartiacque tra quei due mondi così incompatibili, era perfettamente in ordine.
 
"E' permesso?" chiese la ragazza affacciandosi alla porta: Gabriel si alzò di scatto dalla scrivania dove stava  disegnando e si scusò per non averla sentita arrivare. Prese in mano il foglio e mostrò lo schizzo ad Ellie: "Da quello che sono riuscito a dedurre dalle immagini su internet, il davanti dovrebbe essere così e il retro... così. Ora ti devo misurare, rimani lì dritta in piedi. Sarò rapido e indolore."
 
"E' bellissimo, Gabriel."
 
Le cinse seno, poi vita e infine i fianchi con un metro da sarto, poi fece altre misurazioni in verticale e appuntò le cifre su una piccola lavagna appesa alla parete. Durante le operazioni non la toccò più del necessario e rimase in silenzio con espressione concentrata. Si sedette su uno sgabello e si appese il metro dietro al collo.
 
"Bene, allora: il vestito in sé non è complicato e posso metterci davvero poco. Anche se diventerò matto ad applicare tutti quei lustrini... Ti posso dire che Giovedì sera canterai, ballerai e sarai ancora più bella di Nicole Kidman."
 
"Non esagerare, con quelle misure, poi...", disse lei dando un'occhiata ai numeri scritti con il gesso sulla lavagna, dove il primo e il terzo erano a tre cifre e ampiamente oltre il cento. "Ho paura di essere ridicola e che mi prenderanno tutti in giro."
 
"Un abito così sensuale addosso a una ragazza senza forme? Sei perfetta, sia per la parte che in generale. Con il seno che ti ritrovi, sarebbe solo invidia da parte delle donne e... per gli uomini, frustrazione, direi." Ellie incrociò istintivamente le braccia davanti al petto, benché non si fosse mai sentita bella come in quel momento. Gabriel vide il viso di Ellie diventare più rosso della stoffa che pendeva alle sue spalle: "Credo di aver esagerato, scusami."
 
"No, é solo che... Non avrei mai pensato di ricevere dei complimenti da... Te."
 
"Nonostante quello che faccio e benché alcuni vestiti stiano innegabilmente meglio su un certo tipo di fisicità... Sono un maschio. Preferirei guardare e toccare te rispetto a un manichino ambulante."
 
Non le stava mentendo: quel vestitino estivo nero metteva in risalto tutte le forme morbide della ragazza. L'avrebbe toccata volentieri, l'avrebbe spogliata e le avrebbe fatto di tutto. Il problema era che ogni volta che si mostrava per com'era davvero, le persone non gli credevano: il bacio affettuoso ad Abbie la sera precedente, i complimenti a Ellie, la ragazza pienotta che abitava dall'altro lato della strada... Tutti credevano che li prendesse in giro costantemente. Ogni volta che si toglieva la maschera, il suo reale volto veniva scambiato per un'altra maschera.
 
"Ora dovrei andare."
 
"Ti chiamo quando è pronto. Ci si vede."
 
La ragazza scappò letteralmente fuori dalla casa. Raphael e Michael, seduti al tavolo del salotto, alzarono gli occhi dai propri manuali e romanzi, seguirono con lo sguardo la sua rapida fuga per poi ritornare a leggere con una scrollata di spalle.
Gabriel rimase seduto sullo sgabello, con lo sguardo perso nel vuoto e un’espressione desolata sul volto, torturando il metro  con i denti. Dopo essersi convinto a scendere al piano di sotto, qualche minuto più tardi, si fermò davanti allo specchio fissato alla porta che dava sul corridoio della zona notte. Si abbottonò il gilet a fantasia scozzese e si lisciò i capelli ai lati della testa che scappavano dal codino basso. Una ciocca di capelli mossi lunga quasi fino alla fine del naso gli cadeva sul lato destro del viso.
Gabriel si sedette di fronte ai due fratelli minori, chiedendosi come un mezzo tossico e un mezzo matto riuscissero a combinare più di lui. Stronzate. Non credeva realmente che i suoi fratelli fossero drogati o pazzi, si sentiva solo inferiore. Voleva bene ad entrambi più di ogni altra cosa al mondo.
 
"Vi posso chiedere una cosa?" Raph e Mike alzarono nuovamente la testa all'unisono. "Cos'ho che non va secondo voi?"
 
"Spesso fai lo stronzo", rispose Raphael facendo annuire Mike.
 
"Alle ragazze non piacevano gli stronzi?"
 
"Anche se fosse, il problema è che tu non lo sei ma lo fai."
 
"Cosa vorrebbe dire?"
 
Raphael si sporse sopra il tavolo e si mise ad accarezzare il fratello maggiore in cima alla testa: "Sei come un volpino: tanto carino da guardare, con questi capelli biondi perfettamente pettinati, l'occhio di ghiaccio e le lentiggini... ma appena ci si avvicina cominci a fare casino perché hai paura e vuoi fingerti coraggioso, e invece di abbaiare fai il furbo. Il risultato è che tutti odiano i volpini a parte i loro padroni, ergo, tutti ti odiano a parte noi. Ti atteggi da farfallone supponente, Gabster, come puoi pretendere che il mondo ti prenda sul serio se tu per primo non sembri prendere nulla sul serio?"
 
“Tu sei molto peggio di me, in questo”, rispose Gabriel.
 
“Hai ragione. Però c’è una cosa che ci distingue: io non voglio essere preso sul serio, tu sì; eppure, tutti hanno fiducia in me e non in te. E qui si ritorna al discorso iniziale: tu hai un carattere difficile, esattamente come Abbie, e ti assicuro che è davvero molto, molto complicato avere a che fare con voi. Potreste avere i più nobili intenti e i più profondi sentimenti, e io sono stra-certo che li abbiate. Il problema è che vanificate tutto con i vostri comportamenti. Dovete solo aspettare di trovare quella buona anima scesa direttamente dal cielo che, armata di santa pazienza, riesca a stare al vostro fianco senza prendervi a mazzate dopo i primi due minuti.”


 
°*°*°*°*°*°*°

 
Harper aprì la porta, stupendosi di trovare davanti a sé Abbie con la faccia più sbattuta di quelle che sfoggiava all’alba del nuovo giorno dopo le devastanti serate alcoliche al Clover.

“Oggi è stata una giornata di quelle che vorresti non aver mai vissuto, quando ti ritrovi a pregare che qualcuno cominciasse a indicarti le telecamere nascoste dicendo Benvenuta su Candid Camera, stronza!. E non è nemmeno mezzogiorno”, esordì Abbie lanciando la sigaretta nel vaso di fiori posizionato a lato della porta d’ingresso.

“Vieni dentro, randagia”, grattandosi una natica da sopra i pantaloni del pigiama.

Abbie sapeva di poter trovare in qualsiasi momento un’isola felice tra le braccia di Harper Morgan: le piaceva perdersi in quei begli occhi verde muschio e accarezzare i suoi capelli rossi (che sapeva benissimo essere in realtà biondi quasi quanto i suoi, ma che Harper tingeva da prima di conoscere Abbie). La differenza d’età non era mai stata un problema: se quei tre anni di differenza potevano avere un certo tipo di peso quando Abbie aveva quindici anni e Harper diciotto, il divario era diventato ben presto inintelligibile.
Poter stare con Harper anche solo un minuto alla settimana aveva un effetto terapeutico su Abbie: non era necessario che facessero l’amore, era semplicemente il suo dolce e caldo rifugio nel gelo perenne della sua vita. Erano più di dieci anni che si prendevano e mollavano, consapevoli di non poter resistere più di tanto insieme: avevano imparato a calibrarsi e sapevano per quanto tempo era possibile rimanere a contatto prima di fare il botto. Con Harper, Abbie riusciva perfino ad essere tenera: le smuoveva qualcosa nel profondo dell’anima, qualcosa di essenzialmente positivo.
Harper era l’essere umano perfetto: di bell’aspetto, con un ottimo lavoro e un carattere fantastico.  Però, al padre di Abbie non piacque mai.
Cain ruppe i rapporti con il padre accollandosi un’intera mandria di ragazzini appena avesse compiuto diciotto anni proprio per  garantire la possibilità di un futuro felice alla sorella: se non avesse funzionato, pazienza. Non tollerava però che il loro rapporto venisse impedito fin dall’inizio solo perché Abbie e Harper erano due ragazze.

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Capitolo 6
*** five. ***




five.

Quello dove il fuoco cammina con Abbie



Cain ed Abbie avevano vissuto splendidamente l’inizio degli anni del liceo: essendo un paese piccolo, si erano ritrovati in classe quasi tutti i compagni che conoscevano dalle materne, fatta esclusione per quelli che avevano scelto l’istituto di avviamento professionale o per i ragazzini che erano stati in sezioni diverse dalla loro, ma che comunque conoscevano per amicizie in comune o per rapporti esterni all’ambito scolastico.
 
Era il primo anno per Harper Morgan come rappresentante degli studenti, e l’idea di accogliere i nuovi arrivati la entusiasmava: poteva scegliere se terrorizzarli oppure istruirli a modo suo, e optò per la seconda possibilità.
 
Cain era un ragazzo posato e aveva ricevuto una forte educazione famigliare improntata alla  disciplina, ma perse la testa per Harper dal primo istante in cui la vide entrare nella loro classe e sedersi sulla cattedra accavallando le gambe: lunghi capelli di un rosso troppo brillante per essere naturale raccolti in una treccia, rossetto cremisi sulle labbra e unghie smaltate dello stesso colore. Fu la stessa cosa per Abbie, ma sapeva che certe sue tendenze erano sbagliate secondo l’educazione che aveva ricevuto.
 
“Bene, scoiattolini: il mio nome è Harper Nathalie Morgan e sono la vostra portavoce nei consigli d’istituto e altre cose assolutamente noiose di cui non dovrete preoccuparvi. Avrete modo di conoscermi meglio più avanti, non ho intenzione di tediarvi il vostro primo giorno. Al termine di questi cinque anni finirà anche la parte più semplice della vostra vita, quindi non c’è motivo di viverla male: farò di tutto perché questo periodo sia memorabile, almeno finché non arriverà il mio ultimo anno. Per qualsiasi cosa, potete rivolgervi a me. Ora, l’unica cosa che vi chiedo è: se volete fumare, non fatelo nei bagni, rischiate di venire beccati. Domande?”
 
Dopo qualche istante di silenzio generale, David Lee alzò la mano.
 
“Prego.”
 
“Vuoi sposarmi?”
 
Tutti si misero a ridere, Harper compresa: “Devo declinare l’offerta a malincuore, ma non per demerito tuo. Se avessi un paio di taglie in più di reggiseno, potrei farci un pensiero. Ora vado dai vostri colleghi dell’altra sezione. Ci vediamo!”
 
Se ci fosse stata una telecamera all’interno dell’aula, sarebbe stato possibile scorgere una netta divisione tra l’espressione abbattuta ma incuriosita dei maschi e quella confusa delle femmine: l’unica persona con un sorriso che le partiva da un orecchio e le arrivava all’altro era una quindicenne bionda e spettinata di nome Abbie.
 






 
Cain era stato il primo a sapere di Abbie e Harper.
 
Se paragonata alla sua relazione casta e pura con l’italianissima e religiosissima Claudia della Rocca, Abbie aveva scelto una direzione che non avrebbe mai portato a nulla di buono. Il problema, e Cain ne era consapevole, era che Abbie non aveva scelto proprio nulla: era successo e basta. Per quanto sua sorella fosse un inguaribile Bastian contrario, Cain sapeva benissimo che Abbie in quell’unico aspetto della sua vita aveva agito con il cuore.
 
“Sarà un fottuto disastro”, disse Abbie con voce tremante, che di una ragazzina diciassettenne aveva solo il piercing all’ombelico e un tatuaggio sulla parte frontale della coscia sinistra: Fire walk with me. Per il resto, poteva passare tranquillamente per una coetanea di Harper.
 
“Lo so. Suono io o suoni tu?”, chiese Harper stringendole la mano mentre fissavano il legno scuro della porta.
 
“Tu.”
 
Harper suonò per una frazione di secondo, togliendo immediatamente il dito come se il campanello fosse arroventato.
 
Zia Molly aprì la porta con espressione contrita e gettò immediatamente le braccia al collo di Abbie, sussurrandole all’orecchio che non era necessario farlo, che era ancora in tempo per ripensarci e che qualunque cosa sarebbe successa, lei sarebbe stata dalla sua parte anche se non avrebbe potuto esternarlo.
 
“Molly, più aspetto, peggio sarà”, disse Abbie.
 
La donna si ricompose asciugandosi una lacrima, poi fece una carezza sul viso di Harper e le guardò entrambe: “Siete stupende.”
 
Claudia, che in genere ad Abbie non era neanche troppo antipatica per essere una suora di clausura del medioevo, fissava il contenuto del proprio piatto come se fosse la visione più interessante del mondo; Molly e Cain si lanciavano occhiate preoccupate, mentre i tre fratellini mangiavano tranquillamente un po' confusi dal silenzio che non accennava a dileguarsi. Il padre, che se fosse stato in un film sarebbe stato interpretato da Christoph Waltz su un paio di trampoli, non aveva toccato cibo e fissava la figlia e la sua ragazza con espressione annoiata.
 
Gabriel, non capendo che ci fosse un problema in quanto convinto che Harper fosse la migliore amica di Abbie ed essendo sempre stato incantato dalla sua bellezza, cercò di rompere il ghiaccio: “Harper, hai dei capelli stupendi.”
 
Super-stupendi”, ripeté Raphael per imitare suo fratello più grande.
 
Lei li ringraziò e sorrise facendoli arrossire all’istante.
 
“Signorina Morgan, i suoi genitori lo sanno che frequenta  minorenni?”, chiese il padre di punto in bianco.
 
"Deve perdonarmi, ma per quanto la sua affermazione sia corretta mi sembra un po' fuorviante."
 
"Come può essere corretta ma fuorviante?"
 
"Non prendiamoci il giro. Il problema è che  ho una relazione con sua figlia, e continuerebbe ad esserlo anche se avessimo la stessa età. Inoltre..."
 
"Molly, porta di là i bambini", intervenne il padre interrompendo Harper.
 
La donna si alzò a malincuore e lasciò la stanza con i propri figli, che si guardarono a vicenda ancora più straniti dalla situazione. L'uomo fece segno ad Harper di riprendere a parlare con un cenno svogliato delle dita.
 
"Inoltre, non voglio essere una paladina della giustizia che difende a spada tratta l'Amore e il buonismo sopra ogni razionalità. Abbie è giovane, potrebbe benissimo essere confusa riguardo la propria sessualità: la storia con me potrebbe essere un'esperienza con la stessa probabilità che sia io l'amore della sua vita. Nessuno può saperlo, ma con tutti i problemi che ci sono al mondo... Non c'è nulla di male nello stare bene con una persona."
 
Cain avrebbe voluto mettersi alle spalle del padre e fare il gobbo per Harper, suggerendole quello che doveva dire: con la sua sincerità stava sbagliando tutto, dalla prima all'ultima sillaba. Partendo dal presupposto che loro padre non avrebbe mai cambiato idea, Harper stava facendo leva su quelli che lei credeva punti di forza e che per l'uomo erano gli elementi più lontani dalla propria mentalità: confusione sessuale, rapporti giovanili solo per sperimentare, ammissione che sarebbe potuto trattarsi di una semplice esperienza, relazioni che hanno per unico scopo il divertimento fine a se stesso senza possibilità di procreazione...  Anche Abbie lo sapeva, ma non aveva ancora trovato il coraggio di parlare.
 
"Non ho intenzione di indottrinarla in nessun modo, signorina Morgan: per rispetto ai suoi genitori, che hanno evidentemente fallito in quanto tali, ma non ho volontà di sostituirmi a loro. La pregherei di mantenere le distanze da mia figlia. Ci ha già ingannati a sufficienza in questi anni presentandosi tra queste mura e fingendosi amica di Abelia, quando in realtà consumavate atti contro natura."
 
"Le chiedo cortesemente di non tirare in ballo i miei genitori con intenti denigratori: lei ha dei problemi con me, quindi sia maturo e rivolga le sue offese alla sottoscritta."
 
Abbie prese la mano di Harper da sotto la tovaglia e la strinse per calmarla: stava tremando.
 
"Papà, se dev'essere un problema così insormontabile, io me ne posso andare. Tra qualche mese avrò diciotto anni e..."
 
"Non puoi lasciare la tua famiglia. Non andrai da nessuna parte per aver la possibilità di vivere nel peccato. Sono tuo padre e non posso permetterlo, non lascerò che questa lurida reietta di Dio ti trascini con lei all'Inferno."
 
Harper scoppiò a ridere. Cain sbatté il pugno contro al tavolo, zittendo tutti e ignorando lo sguardo di rimprovero del padre: "Stronzate. Siamo tutti uguali al cospetto di Dio, perché tutti noi siamo stati creati a sua immagine e somiglianza: siamo tutti perfetti allo stesso modo. Dovresti amare Harper perché riesce a rendere felice Abbie, non odiarla per questo. Per l'ennesima volta dimostri incoerenza tra parole e azioni: per l'ennesima volta l'idea mi fa uscire di testa. Ci hai insegnato cose bellissime, e io ti sono grato per questo. Cerca di metterle in pratica, di avere un po' di pensiero critico... Lascia che Abbie sia felice, per una volta nella tua e nella sua vita."
 
La fidanzata di Cain sembrava una statua di cera.
 
"Cain, per favore. Tu sei quello perfetto dei due, dovresti aiutarmi a far rinsavire tua sorella," riprese il padre.
 
"Oh mio Dio, lei è senza pudore! Se le tenga per lei queste cose!", esclamò Harper.
 
"Signorina Morgan, la invito a uscire da questa casa se desidera nominare il nome di un dio che non le appartiene."
 
"Sai cosa ti dico? Basta con questi bei discorsi sull'essere felici o meno, ho avuto la prova tangibile che le parole sono solo parole. Tu sai benissimo che Abbie è contenta di stare con Harper, è questo che mi fa incazzare. Ti rifugi in una qualche linea di pensiero che hai assorbito passivamente e che tu stesso non hai mai messo in pratica, usandola come pretesto. La verità è che Abbie ti sta sul cazzo senza motivo e qualunque cosa faccia non ti andrà mai bene, tu la odi. Io potrei prenderti a pugni in faccia che lo accetteresti senza battere ciglio. Credo che tu, nella sostanza sotto l'apparenza, sia un pessimo padre, un pessimo uomo di fede e un pessimo esempio per i tuoi figli."
 
"Ottimo, Cain. Non posso che apprezzare la tua franchezza. Forse farebbe bene sia a te che a tua sorella un periodo lontani da questa famiglia: giusto per non contaminare gli animi dei vostri fratellini per i quali c'è ancora qualche speranza."
 
"Abbie, vai a preparare le valigie", disse Cain senza distogliere gli occhi dal padre. 
 
"Cee-Jay, resta, tu che puoi...", disse Abbie con le lacrime agli occhi, anche se non fu possibile capire se fossero di gioia o di tristezza.
 
"Vai, per favore."
 
"Credo che sia inutile dire che non dovrete mai più chiedermi nulla", intervenne allegramente il padre, dando una pacca sulla spalla a Cain.
 
"Uno schizzo di sperma, qualche bella parola e i tuoi soldi... Queste cose per noi hanno lo stesso valore, non ci hai mai dato nulla di veramente importante. Sono quasi sicuro che arriverà il momento in cui tu avrai bisogno di noi, e noi ci saremo solo per farti rendere conto di quanto tu sia imbecille."
 
 
 

NdA
 
Non avevo fatto segreto del riferimento a un personaggio di Orange is the New Black (Nicky Nichols) nella mia storia precedente. In questa l'ho voluto evitare: ho cambiato il colore dei capelli a Harper nel precedente capitolo dopo averlo pubblicato  in modo di cercare di sviare l'effetto Piper-Alex. La somiglianza era stata involontaria e spero di riuscire a evitare questo richiamo non voluto perché non sopporto proprio quelle due... Proprio non ce la faccio e non voglio che entrino nemmeno per sbaglio in una mia storia.
Questo cambiamento ha portato all'inserimento di un'ulteriore citazione da Twin Peaks (il tatuaggio di Abbie), che al di là del significato all'interno della serie televisiva credo possa essere carino in riferimento al rapporto tra Harper ed Abbie.
Ho presentato un evento chiave della vita dei due protagonisti senza averli ancora approfonditi troppo: se le reazioni vi sono sembrate esagerate, vi assicuro che c'è un motivo!
 
A presto!
 
C. 

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Capitolo 7
*** six. ***




six.

Quello dove Raphael ha ospiti



Il giorno seguente Raphael si svegliò di ottimo umore: appoggiò i piedi sul parquet della mansarda e si tirò in piedi stiracchiandosi vistosamente, completamente nudo. Si voltò verso il materasso matrimoniale dal quale si era alzato piazzato per terra alle sue spalle e,  afferrando penna e taccuino dalla scrivania, annunciò: “Vado a preparare la colazione, ultima chiamata per le ordinazioni!”
 
 
Harry Schmidt si mise a sedere e, grattandosi la testa, disse: “Un caffè è sufficiente.”
 
 
“Io mi preparo uova e pancetta, posso farne di più”, rispose Raphael .
 
 
Curtis O’Connor alzò a fatica un braccio da sotto il lenzuolo:  “Ucciderei per un piatto di pancetta fumante.”
 
 
“Oook! Estelle, tu?”
 
 
“Succo d’arancia, per favore.” Anche la ragazza rimase sepolta sotto il lenzuolo, tra le braccia di Curtis.
 
 
“Dovresti mangiare qualcosa, sai, per l’acidità di stomaco…”
 
 
“Se ci sono dei biscotti, sarebbe perfetto.”
 
 
Mais oui ma cherie. Quando volete vi aspetto giù. Magari vestitevi, ci sono i miei fratelli in casa.”
 
 
Indossò velocemente una t-shirt e un paio di shorts e andò al piano terra. Raphael adorava avere ospiti.
 
 
Gabriel odiava quando Raphael aveva ospiti, dato che il pavimento della mansarda e il soffitto della sua camera erano la stessa cosa, sentire tutta notte le performance moleste di suo fratello minore lo faceva impazzire.
 
 
Appena Raphael si mise ai fornelli canticchiando, Gabriel abbassò il giornale che stava leggendo seduto al tavolo della cucina mettendo in mostra le sue vistose occhiaie.
 
 
“Raphael, tu hai dei fottuti problemi. Quanta cazzo di gente c’è in camera tua?”, ringhiò.
 
 
“Sono i ragazzi di Londra, i miei compagni di Università: tra poco li conoscerai, sono forti. Dovevamo fare un lavoro di gruppo e abbiamo finito tardi, non potevo certo lasciarli andare a casa di notte. Ti anticipo sui tempi, non c’è bisogno di alludere al doppio senso su lavori di gruppo.”
 
 
“Me ne sono accorto, deficiente.”
 
 
Raphael congiunse devotamente le mani davanti al petto e chiuse gli occhi: “Non agitarti, Gabster. Oggi è il giorno in cui il Signore si è riposato e anch’io, dopo tanto duro lavoro per spargere le mie sementi in ogni luogo pronto ad accoglierle, ho bisogno di relax. Amen.”
 
 
Michael arrivò in silenzio e aprì il frigorifero.
 
 
“Buongiorno, raggio di sole! Posso prepararti qualcosa?” esclamò Raph. Michael scosse la testa e si allontanò con uno yoghurt in mano.
 
 
“Abbie non si fa viva da ieri mattina”, disse Gabriel ritornando a leggere il giornale.
 
 
“Conoscendola, sarà da Harper. Cain?”
 
 
“E’ andato a correre. Ci stanno lasciando parecchia indipendenza ultimamente, e gli esiti si vedono.”
 
 
Due ragazzi e una ragazza che Gabriel non aveva mai visto prima si sedettero al tavolo con lui. Avrebbe voluto fare i complimenti alla signorina per la sportività, ma una specie di pudore per la situazione inquietante lo fece desistere. Com’era possibile che Raphael fosse quello preferito da tutti? Era sicuramente spassoso ed estroverso, disponibile, amichevole, affettuoso… Però era responsabile in tutto ad esclusione della sua persona. In sostanza, era un vero coglione, ma nessuno sembrava accorgersene.
 
 
Raphael aveva vissuto molto male il fatto di essere il fratello di mezzo: da che aveva memoria, era stato ignorato costantemente con la motivazione che tanto Raphael è quello maturo, se la sa cavare da solo . Trovandosi tra i due fuochi costituiti da Gabriel 'Shirley Temple' Primadonna e Michael che era problematico, nessuno aveva mai tempo per Raphael, ed era stato costretto a procacciarsi da solo l’affetto e la compagnia, finendo con l’eccedere a causa del suo essere stato lasciato allo sbaraglio.
 
Sarebbe stato forzato dire che il suo unico interesse era quello di procurarsi qualcuno per non dormire da solo: era sì alla costante ricerca di un contatto fisico di qualsiasi natura, ma non schifava certo gli aspetti più carnali che ne derivavano. Qualsiasi cosa andava bene, gli bastava sentirsi tranquillo: l’importante era che tutti si divertissero e si volessero bene. L’amore per il prossimo, l’amore per il mondo intero, un mondo dove tutti sono uguali e senza distinzioni: in tutto questo, Raphael ci credeva fermamente. La vita è troppo breve per non spargere il proprio amore. Sempre sia lodato.
 
Ad aggravare il senso di solitudine congenito di Raphael, l'anno precedente si era iscritto all'Università e si era trasferito a Londra da Settembre agli inizi di Giugno, tornando prima dell'estate solo per le vacanze natalizie. La Facoltà di Giurisprudenza era la sua croce e la sua delizia: con le straordinarie capacità mnemoniche che si ritrovava, non aveva difficoltà a passare gli esami. Quello che odiava era la concreta possibilità che la sua vita lavorativa si costruisse sopra le sue stesse menzogne, in quanto futuro avvocato. Si era reso ben presto conto che avrebbe campato sul fomentare le dispute invece che sull'appianarle, e questo non era proprio da Raphael. Ciò che lo motivava era la prospettiva di poter diventare giudice dopo poco più di una decina d'anni da barrister.

Invidiava Gabriel sotto un certo punto di vista: lui aveva smesso di studiare anni prima, cominciando subito a lavorare e riuscendo a fare esattamente quello che gli piaceva. Raphael avrebbe dovuto passare secoli a studiare, fare per anni un lavoro che non gli sarebbe piaciuto nella speranza di un passaggio di livello non proprio scontato.

Il lavoretto come fiorista gli piaceva, fin dal primo anno del liceo era la sua occupazione (una delle sue occupazioni) parallela allo studio. Considerando che i fiori erano i genitali delle piante e che la gente andava pazza nel ricevere assortimenti di peni e vagine, si sentiva decisamente in sintonia con l'ambiente. Inoltre, quell'estate si era fissato con l'Ikebana ed era riuscito ad avere un'intera scaffalatura a parete per le sue creazioni all'interno del negozio, e andavano davvero forte tra le signore di mezz'età. Trovava estremamente rilassante realizzare le composizioni: quelle che creava da fatto erano le più apprezzate. Forse non corrispondeva proprio alla filosofia spirituale originaria e se la sua maestra di ikebana l'avesse saputo, l'avrebbe probabilmente fustigato.

Minako non era proprio proprio giapponese, anche perché tutti la chiamavano Mina ed era nata in Inghilterra: però
a Raphael sembrava carina l'idea di farsi insegnare parte delle tradizioni dai suoi genitori e tentare di diffonderle. Era un po' come spargere una certa forma d'amore, dopotutto. Anche se non sarebbe stata esattamente come l'originale e nemmeno recepita nel migliore dei modi, pazienza.

Mina era proprio una brava ragazza, ed era pure carina. Avendoci riflettuto su per lungo tempo, Raphael si convinse mentre serviva la colazione ai tre compagni di classe con i quali aveva passato la notte: un giorno o l'altro le avrebbe chiesto di uscire, a quella Mina. 

 
 
Grande Giove!
 
Abbiamo una splendida novità, miei adorati lettori: sono sbarcata su Facebook! Non verranno pubblicati solamente gli aggiornamenti ai capitoli, ma anche curiosità, approfondimenti e... molto altro! Ho pensato non solo di creare una vetrina dove condividere quello che mi passa per la testa, ma anche un posto dove potermi confrontare con voi più agevolmente! Sto anche valutando l'ipotesi di creare un vero e proprio gruppo nel caso la pagina funzioni!
Ci vediamo (anche) su Facebook!

C.

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Capitolo 8
*** seven. ***




seven.

Quello dove si è ingabbiati, curati e resi scemi dall'amore



La mattina delle domeniche d’estate a Stonemill-on-the-green aveva un fascino tutto particolare: nessuno studente abbattuto e assonnato che si dirigeva verso la scuola, nessuna macchina che transitava pigramente scivolando sull’asfalto, nessuno che portava a passeggio il cane prima dell’inizio dell’orario di lavoro. Le uniche persone che si vedevano in giro erano gli sportivi o presunti tali che approfittavano delle sette di mattina per fare un po’ di movimento, quando le temperature erano ancora clementi.
 
La musica dei Franz Ferdinand usciva dalle cuffiette ma sembrava essere diffusa in tutto il quartiere tramite altoparlanti nascosti: come genere forse non era il massimo per andare a correre, ma era stato il primo iPod che aveva trovato in casa, probabilmente di Mike a giudicare da tutte le tracce dei Radiohead e dei Joy Division che aveva dovuto saltare per non addormentarsi.
 
Cain vide avvicinarsi in lontananza Clara Shane nel suo attillato assetto sportivo nero e rosa shocking, che si era rovinata con un cocktail letale di diete, sport compulsivo e botulino. Era sempre stata la donna più bella del paese, ma non si era mai realmente piaciuta: se anni prima era una quarantenne che sembrava  una trentenne, si era trasformata in una cinquantenne che sembrava una settantenne, con sopracciglia tatuate, faccia innaturalmente gonfia e un fisico asciutto ma tutto fuorché tonico. Non avendo potuto controllare i tradimenti del marito si era consolata con il controllo totale del proprio corpo, con risultati disastrosi. Cain era stupito dal fatto che Clara sembrasse piacersi ed essere convinta di piacere agli altri così com’era diventata: quando si incrociarono, come sempre, lei lo salutò con un occhiolino fin troppo eloquente. Il ragazzo si aspettava che un giorno o l’altro l’avrebbe trascinato in una delle siepi che costeggiavano il marciapiede e l’avrebbe violentato.
 
Passò di fronte alla casa di Harper e non riuscì a evitare di scuotere la testa con un sorriso nel vedere la Mini Cooper verde scuro di Abbie parcheggiata di fianco al maggiolone rosso di Harper. Harper arrivava solo d’estate e, come con il caldo, se ci fosse stato un notiziario apposito avrebbero detto che si trattava del ritorno di fiamma più torrido degli ultimi cinquant’anni. Sempre la stessa storia.
Nonostante tutto, Cain aveva un’adorazione viscerale per Harper: forse perché un pochino gli era sempre piaciuta. Com’era possibile non sbavarle dietro? Oltre a essere una sventola pazzesca, era anche sveglia, spiritosa e con quel pizzico di malizia provocatoria che bastava a far perdere la testa. In poche parole, Harper era come sarebbe stata Abbie se fosse stata un po’ più sicura di se stessa: purtroppo, parte della grinta di Harper era dovuta sua bellezza, mentre Abbie non era esattamente quel genere di ragazza che ha l’approvazione degli uomini. Non era un maschiaccio e non era nemmeno eccessivamente trasandata: fin dai sedici anni faceva fuori confezioni di mascara come se le mangiasse, e i suoi occhi così chiari contornati da quelle ciglia nerissime erano oggettivamente splendidi; aveva un bel seno piccolo ma sodo nonostante fosse piuttosto magra. Era come se alcuni dettagli del viso e del fisico su Cain stessero bene e su di lei stonassero se presi nell’insieme.
Cain era felice che sua sorella potesse avere con Harper la tranquillità che non riusciva a trovare altrove: riusciva a capire esattamente quando la ragazza tornava in città solo guardando Abbie in viso.
 
Dopo una ventina di minuti di corsa leggera raggiunse l’altro capo del paese, il suo capolinea: il quartiere dove una volta abitava Claudia. Quando lei lo aveva messo di fronte all’ultimatum classico o lei o loro, Cain non aveva esitato a fare la propria scelta. Non era stato il migliore dei compagni e ne era perfettamente consapevole: sette anni senza sfiorarsi nemmeno nell’età in cui un maschio non farebbe altro dal mattino alla sera l’avevano provato fisicamente e mentalmente. Era arrivato a chiederle di sposarla per esasperazione, stanco di essere costretto a tradirla. Che poi, si trattava davvero di tradimento? In fondo, erano solo due buoni amici che passavano giornate intere a passeggio o a guardare la televisione sul divano. Aveva detto migliaia di volte a Claudia che era tutta una stupidaggine, che lui non era d’accordo e l’aveva pure lasciata in diverse occasioni. Nemmeno i più convinti lo facevano davvero: Gabriel era davvero un ragazzo in salute per essere nato così tanto prematuro come dicevano i suoi genitori, che avevano organizzato un matrimonio in fretta e furia all’insegna della semplicità. Una strana coincidenza di tempistiche quella di un bambino prematuro ma che non lo sembrava e un matrimonio raffazzonato, davvero molto singolare. Abbie e Cain non avevano neppure cinque anni, ma i pianti di Molly non ancora ventenne se li ricordavano bene.
 Però, quando lei tornava da lui in lacrime, Cain non riusciva a resistere: per lungo tempo non aveva avuto voglia di affrontare le difficoltà di rompere una relazione destinata a sfociare nel matrimonio. Era stato un autentico ipocrita, e in quello era esattamente identico a suo padre: l’unica differenza tra i due era che Cain se ne rendeva conto e aveva cercato di rimediare in altri modi.
 
Alcune mattine, quando si stancava di correre e non aveva impegni impellenti, prima di tornare a casa andava al parco e si coricava sull’erba, rilassando i muscoli delle gambe e guardando il cielo azzurro che si scorgeva tra le foglie verdi degli alberi. In quei momenti, anche se la funzione casuale era attiva e la scelta ricadeva su un brano dei Radiohead o dei Joy Division, Cain non cambiava la traccia: Karma Police, per quanto celeberrima, era un pezzo grandioso. Sotto un certo punto di vista, quella canzone parlava di Abbie e lui, che erano riusciti a scampare alla Psicopolizia di 1984 portando in salvo anche tre persone in più: qualche ferita all’anima l’avevano ancora, ma Cain confidava che si sarebbe rimarginata con le giuste cure e il giusto impegno.

 
°*°*°*°*°*°
 
Abbie allungò il braccio verso il comodino e cominciò a tastare il legno in cerca del proprio cellulare che aveva iniziato a squillare e vibrare insistentemente.
Appena lo trovò se lo portò davanti al viso e aprì a fatica un occhio per leggere il nome del chiamante.
 
“Dimmi.”
 
“Non sei a casa”, disse suo fratello minore. “Quando torni?”
 
“Per pran-…”
 
Michael chiuse la telefonata prima che potesse concludere la frase. Appoggiò di nuovo il cellulare sul comodino e rotolò verso Harper che stava ancora sbavando sul cuscino con in testa un gigantesco nido di cicogna fatto con una strana paglia rosso fuoco. Abbie aveva voglia di fare una doccia più di ogni altra cosa: erano state a letto quasi senza interruzione dal pomeriggio precedente, era estate e non avevano certo giocato a carte o dormito più di tanto. Decise di svegliarla con la sua tecnica preferita: infilandole un dito nel naso. Harper grugnì e la cercò di spingere giù dal letto con le gambe, ma Abbie riuscì ad abbracciarla così saldamente da diventare inamovibile.
 
“Facciamo la doccia?” le chiese Abbie.
 
“Ma io stavo dormendo!” piagnucolò Harper infilando la testa sotto il cuscino.
 
“Sono quasi le undici, tra poco devo tornare dai ragazzi. Non voglio starti lontana fino a quel momento, quindi decidi: mi vuoi far tornare a casa puzzolente stando a letto o bella profumata andando a fare la doccia?”
 
“Letto.”
 
 
*°*°*°*°*°*
 
Minako Tachibana (che Raph chiamava Mina Ikebana per semplificare) aprì la porta e si trovò davanti Raphael Matthew Calcabrina, con un gigantesco mazzo  di camelie bianche tra le braccia e un sorriso ancora più immenso sul volto.
 
“Per me?” chiese stupita, sia per il fatto di aver ricevuto dei fiori, sia perché era Domenica mattina. Non aveva un viso come quello della ragazzina di Wasabi, nella forma ricordava più quello della tizia di Grey’s Anatomy e gli occhi erano abbastanza tendenti allo strabismo come quelli di Lucy Liu. Fortunatamente Raphael non aveva mai espresso quel parere, perché sentirsi paragonata alle prime attrici asiatiche che erano venute in mente al ragazzo non le avrebbe fatto troppo piacere. Insomma, non era quel tipo di ragazza giapponese che piace tanto anche agli occidentali, che si vede sulle riviste o su internet. Era più austera, meno infantile, raramente capace di un sorriso per carattere. Aveva un anno in più di Abbie e Cain, quindi otto anni in più di Raphael.
 
“Da un tuo ammiratore”, sentenziò lui porgendole i fiori.
 
La ragazza aprì il biglietto reggendo a fatica l’intero omaggio floreale, rimanendo interdetta nel leggere proprio il nome di Raphael.
 
“Non saprei dire se questa cosa sia più tenera o stupida.”
 
“Lo dicono spesso anche di me. Hai voglia di andare a mangiare qualcosa insieme?”
 
La ragazza rimase a fissarlo da sopra la spessa montatura degli occhiali, dato che era così bassa e minuta nonostante i capelli corvini permanentati.
 
"Raphael, sei davvero molto carino ma... Sei un po' troppo piccolo per me."
 
"Non mi arrivi nemmeno alla spalla e io sarei quello piccolo?" rise lui. "Dài, ti porto a pranzo e poi sei libera di decidere quello che vuoi fare e io - te lo giuro, mano sul cuore - accetterò qualsiasi cosa senza ribattere."
 
"... E ultimamente girano parecchie voci sul tuo conto. Non gradirei entrare a farne parte anch'io."
 
"Ti prego, Mina. Accontentami. Prometto che se non riuscirò a farti stare bene, non mi vedrai più... A parte alle lezioni, però davvero, non ti infastidirò in nessun modo. Ti scongiuro."
 
°*°*°*°*°*°
 
Gabriel spalancò la porta con una faccia stravolta dalla stanchezza e dalla rabbia.
 
“E’ bello venire accolti con il sorriso caloroso dei propri cari quando si torna a casa”, disse Abbie con tono sarcastico, guardando suo fratello.
 
“Lo sai quanto rumore fanno quattro persone che scopano tutta notte?”
 
“In realtà, non proprio. Arrivo al massimo a due.”
 
“Te lo dico io: molto. Per fortuna se ne sono andati poco fa, e Raph mi ha lasciato detto di dirvi che è fuori a pranzo. E tu puzzi da far schifo.”
 

D'ora in poi, tutti gli sproloqui, gli avvisi e gli altri deliri che abitualmente inserivo come parte finale dei capitoli verranno trasferiti sulla pagina Facebook in modo da aver più libertà di condividere materiali multimediali e simili. Se vorrete fare un salto, vi aspetto!

C.

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Capitolo 9
*** eight. ***





eight.

Quello dove alla fine arriva Michael



<Michael era un ragazzo nella norma: niente colpi di testa e carriera scolastica nella media (dettaglio in realtà stupefacente dato che non esisteva volta in cui si fosse messo a studiare davanti a un libro di testo).

Non era del tutto consapevole che le persone attorno a lui avessero forti sospetti che soffrisse di qualche disturbo comportamentale: alcuni problemi li aveva, ma si trattava di un vizio caratteriale e di una mancanza di attenzione. Nulla che rientrasse nel patologico, in sostanza. Era convinto fosse inutile parlare senza aver niente da dire e che le storie su carta fossero decisamente più interessanti dei pettegolezzi e dei problemi quotidiani.

Era indiscutibilmente più carino degli altri due fratelli ma, non essendo affascinante come Gabriel o estroverso come Raphael, nessuno sembrava accorgersene; era il più sensibile della combriccola, ma non essendo in grado di dimostrarlo, sembrava quello meno empatico.

Quando a otto anni aveva visto i suoi due fratelli maggiori sparire di casa senza averne minimamente compreso il motivo aveva sofferto più di Gabriel e Raphael. Dopotutto, Cain ed Abbie erano stati per lui come due genitori: quando aveva gli incubi era da Abbie che andava a dormire e quando era malato era Cain che si prendeva cura di lui. Aveva sempre avuto ben chiaro in mente l’immagine dei suoi due fratelli maggiori che ogni mattina lo guardavano entrare a scuola dopo averlo accompagnato e ogni pomeriggio lo andavano a prendere: erano poco più che bambini ma dal suo punto di vista erano le figure più adulte della famiglia. Non aveva alcun ricordo, ma dalle fotografie e dai loro racconti Abbie e Cain gli avevano cambiato più pannolini e gli avevano dato più biberon di quanto avesse fatto quella che chiamava mamma e che loro chiamavano zia. Per lunghi anni – dato che non era l’argomento dei più graditi in casa -  era stato all’oscuro del fatto che fossero figli di madri diverse: era convinto che arrivati a una certa età fosse normale chiamare zia la propria madre e avere un rapporto più di amicizia che di parentela.

Si era sempre sentito un po’ escluso dal rapporto che avevano Gabriel e Raphael: per quanto litigassero e si picchiassero almeno cinquecento  volte al giorno, vedeva un certa ammirazione reciproca nel modo in cui si dimostravano astio. Volevano dimostrare chi fosse il migliore in quanto si temevano a vicenda, senza rendersi conto di essere troppo diversi per poter realmente venire visti come rivali. Non entrando a far parte delle loro dispute aveva finito con il convincersi di non aver niente per cui essere ammirato. In realtà, soprattutto con il passare degli anni, sia Gabriel che Raphael avevano cominciato a invidiarlo eccome, per motivi dei quali lui non aveva responsabilità e che colpivano entrambi nelle loro debolezze: il primo era consapevole fosse il più bello e il secondo che fosse il più coccolato della famiglia.

Gabriel non lo coinvolgeva mai nei propri giochi e doveva sempre intervenire Raphael per convincerlo: Michael si sentiva spesso di troppo. Quello che non riusciva a recepire - la presenza di Abbie e Cain eclissava ogni altra autorità famigliare -  era il fatto che anche Raphael e Gabriel lo adorassero e che a loro modo fossero i fratelli maggiori migliori che potesse desiderare: Raph aveva picchiato tutti i bambini che prendevano in giro il suo fratellino e Gabs aveva fatto la stessa cosa a parole, non avendo la prestanza fisica del fratello. Michael si era sempre stupito di quante gite organizzassero le classi degli altri due fratelli e non capiva proprio perché loro non volessero mai andarci, non sapendo che fosse tutta una bugia per non dirgli che erano stati sospesi da scuola. In quell’anno scarso in cui Abbie e Cain erano stati fuori di casa le classi degli altri due erano andate in gita almeno dieci volte.

Quella che per Abbie e Cain era stata una punizione inflitta dal padre e che avevano accettato inizialmente solo per orgoglio, nell’ottica di Michael era il regalo più bello che avesse mai ricevuto: appena diventati maggiorenni loro padre aveva consegnato loro le chiavi immaginarie della gestione della famiglia, dicendo che dato che erano così tanto maturi da rifiutare l’autorità paterna e talmente responsabili da poter decidere di fare ciò che volevano nella loro vita non avrebbero avuto problemi a coordinare anche quelle dei loro fratelli minori. Erano legalmente adulti e da quel momento avrebbero avuto modo di dimostrarlo anche con i fatti.
Michael, così come Gabriel e Raphael, erano così felici ed esaltati della situazione nella loro ingenuità da bambini e adolescenti da non capire quanto fosse in realtà drammatica e forzata. Ogni decisione che per Abbie e Cain era uno stratagemma cercare di arginare le difficoltà, per gli altri tre era benzina sul fuoco dell’adolescenza più fantastica del mondo: davanti alla stessa proposta, Claudia aveva declinato con la sua solita cortesia, mentre Harper aveva accettato di trasferirsi temporaneamente da loro per dare una mano.

L’ufficialmente migliore amica strafiga ormai studentessa universitaria della sorella maggiore che li accompagnava a scuola in macchina, con gli Aerosmith a massimo volume e il braccio fuori dal finestrino? Uno spettacolo. Cain aveva dovuto scendere a compromessi con se stesso: oltre ad avere un debole irrazionale per Harper ed essendole grato fino alla morte per tutto quello che stava facendo per dargli una mano, poteva passare sopra al fatto che le ragazza non avesse molto ben chiaro il fatto di essere in una casa con tre maschi nella fase dello sviluppo in tre stadi differenti ma ugualmente bombardati dagli ormoni e lui stesso imprigionato in una relazione senza nessuna valvola di sfogo. Non se la sentiva di dirle di non andare in giro per casa in mutande e di cercare di indossare il reggiseno con più frequenza, perché anche a lui non è che dispiacesse più di tanto. Fu uno dei rari casi in cui Abbie fu più pragmatica di suo fratello e le fece notare i problemi che avrebbe potuto creare a delle menti primitive come quelle dei maschi.

Quei primi anni furono fantastici e la triade Cain-Abbie-Harper dove ognuno smussava i lati eccessivi dell’altro aveva trovato il proprio equilibrio. Quando Harper ed Abbie si lasciarono definitivamente, un terremoto cambiò l’assetto stabile e quello che ne fu più colpito risultò essere Michael, trovandosi di nuovo in balia di eventi che non poteva controllare a soli quattordici anni.
Si chiuse ancora più in se stesso rispetto a quanto era successo qualche anno prima, rifugiandosi sempre più spesso nella solitudine artificiale della propria stanza e sognando mondi alternativi come una specie di Monsieur Bovary.

Meredith Flanagan lo colpì dal primo istante in cui la vide, anche se lei non vide lui.
Non gli faceva l’effetto di Harper, ma era un qualcosa di più profondo e mai provato, un sentimento del quale aveva letto solo sui libri ma che, per quanto descritto magistralmente dai più grandi scrittori che il mondo abbia mai conosciuto, non era mia riuscito a comprendere appieno se non nel momento in cui l’aveva sentito.

Michael si era innamorato di Meredith al primo sguardo, anche se lo sguardo di lei puntava leggermente troppo a destra rispetto alla reale posizione del viso di Michael, come se avesse qualcosa di più interessante del suo viso sulla spalla. Toccando tutta una serie di spessi fogli in rilievo costellati di puntini, Meredith riusciva a dargli indicazioni sull’ubicazione di qualsiasi libro cercasse. Come fosse possibile, per Michael era un mistero: era un procedimento più lento della normale ricerca a computer, ma la ragazza non sembrava imbarazzata e lui poteva ammirare ogni dettaglio del suo viso senza che lei se ne accorgesse. Quei lunghi minuti di silenzio erano per Michael un Paradiso Perduto, dove non c’era traccia delle urla di casa, delle discussioni dei fratelli maggiori, delle stupidaggini di Raphael e delle cattiverie di Gabriel.

Dalla prima volta in cui riuscì a convincerla ad andare a casa sua, cominciarono a passare interi pomeriggi estivi in camera, coricati sul letto, a fissare il soffitto lui e a guardare nell’oscurità lei. Quando non stavano in silenzio o non condividevano gli auricolari dell’iPod, Meredith chiedeva a Michael di raccontarle una storia. Michael prendeva un libro a caso di quelli impilati sul proprio comodino e cominciava a leggerle a voce alta: lei chiudeva gli occhi e, con la testa appoggiata al petto del ragazzo, rimaneva in ascolto.
Quel pomeriggio quando Gabriel irruppe nella sua stanza con lo sguardo più sconvolto che Michael avesse mai visto sul viso del fratello, le stava leggendo il Faust di Goethe. Il Prologo in Cielo gli piaceva particolarmente.

Il SIGNORE, le LEGIONI CELESTI, indi MEFISTOFELE. I tre ARCANGELI precedono.
RAFAELE. Il Sole risuona, come da antico, fra l'emula armonia delle sfere fraterne, e compie il prescritto suo viaggio coll'andamento della folgore. Il suo aspetto dà vigore agli angeli, ma niuno può scrutare il suo profondo. Le alte, incomprensibili opere del Signore sono splendide come nel primo lor giorno.
GABRIELE. E veloce, incomprensibilmente veloce si rivolve nella sua magnificenza la terra. Il luminoso sereno del cielo si alterna coll'immenso orrore della notte; il mare leva spumando le sue larghe correnti sul vertice inaccesso degli scogli; e gli scogli e il mare sono via rapiti nell'eterno, infaticabile corso delle sfere.
MICHELE. E a gara le procelle fremono dal mare alla terra e dalla terra al mare, e imperversando fecondano intorno intorno le forze generatrici delle cose. Là giù il corrusco sterminio balena innanzi le vie del fulmine. Ma i tuoi messaggieri, o Signore, adorano il placido cammino del tuo giorno.
A TRE. Il tuo aspetto dà vigore agli angeli, ma niuno può scrutare il tuo profondo; e le grandi tue opere sono splendide come nel primo lor giorno.
MEFISTOFELE. Poiché, o Signore, ti ci fai un po' da presso, e domandi come vanno le cose di laggiù, e solevi già un tempo star meco volentieri, — ecco, ti appajo innanzi io pure fra la torma de' tuoi servidori. Scusami, io non saprei dire alte cose; non se avessi a tirarmi addosso le beffe
di tutto il corteggio…


Gabriel aprì la porta di scatto, guardandolo con occhi identici ai suoi ma sconvolti dall’agitazione e con un filo di voce alterata dal fiatone.

“Mike, ho bisogno di parlarti. C’è una cosa che devi sapere.”

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Capitolo 10
*** nine. ***





nine.

Quello dove il passato non è mai passato




Il secondo anno di università Abbie aveva dovuto intraprendere un tirocinio formativo della durata di tre mesi che prevedeva una trasferta di una decina di giorni per assistere ad alcuni convegni in un'università gallese all'avanguardia negli studi di un ceppo virale che negli ultimi anni si era diffuso nei bovini della zona.

Harper e Cain si erano trovati da soli: essendo la ragazza molto più flessibile di sua sorella, Cain aveva vissuto quel periodo come una breve vacanza dallo stress aggiuntivo che gli procurava quella nevrotica di Abbie... Anche se già dal primo giorno aveva cominciato a sentire la sua mancanza. Harper non si lamentava se le veniva chiesto di fare la spesa o di aiutare a pulire in casa, anzi. Però non era Abbie, su quello non ci pioveva.

Ogni anno, a metà Agosto, nella cittadina di Stonemill-on-the-green si svolgeva la festa di paese: era un evento che soprattutto i giovani aspettavano con ansia per tutto l'anno ed Abbie era furente per non poter partecipare per la prima volta nella sua vita. Si mangiava tutti insieme in enormi tavolate, c'erano musica e spettacoli per tutta la sera con bancarelle alimentari e di oggettistica artigianale... E si beveva, tanto. Era una tradizione. A fiera finita, una volta sbaraccato il parco dalle tavolate e dalle strutture, l'intera cittadina spegneva le luci e si rimaneva a guardare il cielo e, a fuochi d'artificio conclusi, si cominciava la caccia alle stelle cadenti.
I bambini e gli adolescenti del paese erano coinvolti nell'organizzazione: Raphael e Michael, come ogni anno, si occupavano del servizio ai tavoli mentre Gabriel coordinava la parte artistica.

Tutti sapevano: della situazione in casa, di Abbie e Harper, qualcuno aveva qualche sospetto sulle scappatelle di Cain... Tutti sapevano tutto. Ma andava bene così, non c'era nulla di male. Chiunque aveva un figlio che era stato almeno per un anno in classe con uno dei cinque fratelli o che li aveva conosciuti per altri motivi: chi aveva ricevuto un mazzo di fiori da Raphael, chi era stato a farsi tagliare i capelli da Gabriel, chi era stato a ripetizioni da Cain o chi aveva incrociato Abbie in uno dei suoi mille lavoretti da studentessa universitaria. Sulla carta, quella famiglia avrebbe dovuto essere il catalizzatore d'odio per eccellenza: stirpe di immigrati arricchiti con un vago sentore di famiglia Camden di Settimo Cielo. Nella realtà dei fatti, tutti li adoravano. Non per compassione: nonostante la situazione atipica era innegabile stessero economicamente  meglio di molte altre famiglie, nonostante si sapesse che Raphael, Cain e Abbie avessero abitudini relazionali non proprio ortodosse (Gabriel compreso, il quale era riuscito a spacciarsi per una vera e propria leggenda a parole), a tutti stavano simpatici. 

"Ti stai divertendo?" 

Cain si voltò verso Claudia, che gli stava sorridendo dolcemente, seduta accanto a lui: "Sì, molto."

Con il pretesto di un abbraccio, riprese a cercare Harper tra la folla con lo sguardo. Vide spuntare la sua lunga coda rosso fuoco da un gruppo di ragazzi con i quali si era fermata a chiacchierare, reggendo due bicchieroni di plastica ricolmi fino all'orlo di un liquido marrone chiaro con una sigaretta all'angolo della bocca come i migliori camionisti... Benché nel suo aspetto non avesse nulla di rude. Indossava una semplice canotta bianca con una gonna nera lunga a vita talmente alta da partire proprio sotto il seno, che sobbalzava a ogni passo. Non correva buon sangue tra Harper e Claudia, e appena quest'ultima si accorse dell'arrivo della ragazza, si staccò da Cain con un sospiro stizzito. Harper sbatté uno dei bicchieri sul tavolo davanti a Cain, facendo traboccare un po' del contenuto sulla propria mano e pulendosi le dita nella gonna in modo non troppo regale.

"Cos'è?" chiese Cain osservando il bicchiere.

"Tè freddo", rispose Harper sedendosi accanto a Cain, dalla parte opposta rispetto a Claudia. 
    
"Dall'odore non si direbbe."

"Tè freddo di Long Island, è una qualità particolare. Negli anni del proibizionismo americano, come si poteva consumare alcolici senza essere arrestati? Semplice, mischiando le peggiori schifezze in modo da fargli assumere l'aspetto di un bel bicchiere di té rinfrescante. Questa è storia, mio giovane padawan."

Dalla nonchalance con la quale Harper bevve una lunga sorsata del cocktail si sarebbe detto fosse davvero té freddo. La ragazza porse il proprio bicchiere sporco di rossetto a Claudia: "Vuoi un po'?"

Claudia lo guardò schifata: "No, grazie. Anzi, credo proprio di dover andare, adesso. I miei si stanno alzando."

"Ma come? La festa deve ancora iniziare!" esclamò Harper, segretamente felice che quello straccetto di ragazza levasse le tende. Benché fosse esteticamente decente, non l'avrebbe sfiorata nemmeno per scherzo: era l'essere femminile meno sensuale e più frigido sulla faccia della terra.
Esattamente il contrario di quello che pensava Cain riguardo a Harper.

"Ora mi devi spiegare una cosa", disse Harper quando Claudia si fu allontanata. "Ma è vera la leggenda che per arrivare illibate al matrimonio le tizie come Claudia si fanno scopare nel culo?"

"Harper, ti prego..."

"Non starai facendo il vergognoso con me, vero?"

Cain sospirò alzando gli occhi al cielo: "So di gente che lo fa."

"Compreso tu?"

"No."

"E vorresti?"

"Dobbiamo proprio affrontare questo argomento?"

"E di cosa dovremmo parlare? Fai finta che io sia un uomo e comportati come fai con i tuoi amici."

Si trattava di uno sforzo mentale troppo complicato per Cain, già impegnato a non fissarle insistentemente il seno o la bocca contornata dal suo solito rossetto rosso fuoco. Aveva sognato di essere al posto di Abbie così tante volte da perdere il conto.

"Hai una visione un po' distorta dei tipici discorsi tra maschi. Siamo molto più riservati di voi donne su certe tipologie di discussione. Non è che pensiamo sempre e solo a quello."

"Devo crederci? Come sei noioso, sbottonati un po'. Questa è la nostra serata, dobbiamo sbronzarci e divertirci in memoria di Abbie. Forza, svuota quel bicchiere così iniziamo il secondo giro."

Fecero un brindisi e bevvero a martello: Cain dovette combattere l'urto del vomito che gli salì alla gola tossendo e deglutendo, e Harper gli piazzò davanti un altro bicchiere pieno non appena si riprese.

Continuarono per tutta sera: Harper, approfittando della poca lucidità del ragazzo, riuscì a convincere Cain a ballare con lei l'intera scaletta di una band locale che suonava rockabilly. Dopo che le tavolate furono spostate lasciando esposta l'erba verde del prato,  si sedettero per terra una di fronte all'altro con una bottiglia di Jack Daniels trafugata dal bar con la complicità di Raphael. Quando iniziarono i fuochi artificiali, Harper si trascinò accanto a Cain e gli offrì una sigaretta. Lo guardò come se si trattasse della trattativa più pericolosa del mondo, e con voce impastata gli disse: "Non dire ad Abbie di questa. Sarà il nostro segreto, ok?"

Benché avesse la matita nera sugli occhi sbavata e l'elastico della lunga coda perfettamente pettinata fosse scivolato via durante i balli lasciando liberi i capelli che del passaggio di piastra di qualche ora prima non avevano più niente, il rossetto era ancora pressoché intatto. Forse lo metteva così tanto spesso da essere diventato parte integrante delle sue labbra. Dopo qualche minuto Harper collassò a terra, riuscendo ad addormentarsi nonostante i botti assordanti: Cain rimase a osservarla ignorando completamente quello che avveniva in cielo. Il vero fuoco era sulla terra: approfittò dei bagliori e dei lampi per guardare la chioma di Harper sparsa sul prato, per seguire la linea morbida del seno e per indovinare quella delle gambe nascoste dalla gonna. Ritornò in sé e la scosse per una spalla nel tentativo di svegliarla, ricadendo in stato catatonico quando vide la porzione scoperta del seno sballonzolare. Sarebbe bastato spostare una spallina del reggiseno e abbassare la stoffa della canottiera per scoprirle il seno. Se avesse voluto, erano abbastanza isolati per potersi slacciare i jeans senza essere visto. Gli sarebbe bastato restare a guardare, anche senza toccare.  L'aveva già fatto tante volte pensando a Harper, ma in quel momento avrebbe potuto farlo con lei davvero presente. Avrebbe voluto baciarla sulle labbra: si abbassò verso di lei fino a sentire il profumo dei suoi capelli.

Gabriel, una ventina di metri alla loro destra, trattenne il respiro mentre la ragazza che abbracciava, ignara di tutto, gli stava baciando il collo. Accanto a lui, Michael, che aveva assistito a tutta la scena fin dal principio, diede una gomitata a Raphael facendogli cadere la cartina con tutto il contenuto sul prato: quest'ultimo fece cadere anche il filtro che teneva tra le labbra una volta alzati gli occhi.

"Dite che lo fa?", disse Raphael.

"Lui è Cain, non può farlo", cercò di autoconvincersi Michael.

"La sta guardando da mezz'ora, secondo me cede. E se lo fa, fidatevi: verrà fuori la tempesta di merda del secolo", sentenziò Gabriel.

Cain si bloccò, tirando un pugno sulla terra dura sotto la soffice erba. Scosse la testa e si alzò, barcollando verso l'albero più vicino e appoggiando la fronte alla corteccia. Si slacciò i pantaloni ma fu impossibile pisciare date le sue condizioni: chiuse gli occhi e picchiò un paio di volte la fronte contro l'albero, come se potesse servire a liberarsi la mente da quel pensiero disgustoso. Quella era la ragazza di sua sorella... e poi c'era Claudia, per quello che contava. Era causa sua se si trovava a pensare a quelle porcate da maniaco.
Sentì il rumore di un getto di pipì, ma non fu sicuro si trattasse della sua.

"Niente male, mio giovane padawan!"

Aprì gli occhi di scatto e vide Harper chinata accanto a lui, intenta a urinare osservando con grande interesse il pene stoicamente eretto che Cain teneva in mano.
Cain, nel panico del momento, riuscì solo a chinarsi sulle proprie gambe e coprirsi tirando la t-shirt verso il basso, trovandosi nella stessa identica posizione di Harper.

"Ma che cazzo fai?" esclamò lui. Harper rise e si tirò su le mutande con una mancanza di femminilità da manuale.

"Claudia non sa cosa si perde!"

 

*°*°*°*°*°*
 

Mentre accompagnavano Meredith a casa in auto, Gabriel continuò a telefonare a Raphael senza ricevere risposta. Mike era amareggiato per aver dovuto interrompere l’appuntamento con la sua ragazza, ma era anche preoccupato per lo stato d’animo di suo fratello: sembrava totalmente in preda al panico. Quando arrivarono davanti a casa di Meredith, Michael l’aiutò a scendere e la accompagnò fino alla porta d’ingresso, salutandola con un bacio sulla guancia.

“Domani finisco alle quattro”, disse lei sorridendo timidamente con gli occhi fissi all’altezza del mento di lui.

“Ti passo a prendere in biblioteca”, rispose Michael accarezzandole i capelli. Gabriel stava ancora tentando di rintracciare loro fratello, mordendosi l’unghia del pollice e continuando a insultarlo. Dopo un quarto d’ora circa, appena prima di chiudere la chiamata per non far scattare la segreteria, Gabriel sentì la voce di Raphael attraverso il cellulare.

Howdy!

“Dove cazzo sei?”

- Da un amico. Hai bisogno?

“Sì che ho bisogno, non ti avrei chiamato duecento volte, altrimenti. Dove posso passarti a prendere?”

- Mi faccio trovare davanti alla pasticceria all’incrocio tra River Lane e Jensen Road tra dieci minuti. Volete qualcosa?

“Ti dò cinque minuti. Per me una ciambella, tu prendi qualcosa dalla pasticceria, Mike? Due ciambelle. Muoviti.”

Raphael saltò sul sedile posteriore tenendo e si infilò subito un croissant in bocca, passando poi la busta a Michael che si girò a prenderla.

“Gabs, ti vedo un po’ intesito. Tutto bene?”, disse Raphael sollevandosi gli occhiali da sole sulla fronte e toccando una spalla a suo fratello.

“No. Appena arriviamo vi spiego.”

Parcheggiò vicino alla riva del lago, dove nei weekend estivi decine e decine di famiglie si riunivano nella zona attrezzata per fare pic-nic o barbecue nella natura. Anche loro erano soliti andarci da bambini, e quando c’era particolarmente caldo facevano perfino il bagno. Erano bei tempi, quelli: sembravano quasi una famiglia normale.

Raphael e Michael si sedettero al tavolo di legno, mentre Gabriel rimase in piedi posizionandosi al lato opposto, arrotolandosi le maniche della camicia come se servisse davvero a rinfrescarsi.
Faceva caldo e lo stridío dei grilli invadeva l'aria profumata di erba appena tagliata.

“E’ strano vederci tutti e tre insieme in un posto che non sia casa”, disse Raph cominciando a rollare una canna, con i gomiti appoggiati al legno chiaro del tavolo. Le braccia muscolose che uscivano dalla canotta dei Los Angeles Lakers avevano una lieve abbronzatura.

“Mi fai fare un tiro, dopo?”, chiese Michael osservando i gesti del fratello.

“Che facciamo, Gabs? Sei il maggiore, a te la parola.”

Gabriel guardò gli occhi leggermente socchiusi e arrossati del fratello, che solo conoscendo le sue abitudini potevano essere collegati agli stupefacenti: ormai era diventata la sua espressione perenne e non dava nessun segno di alterazione delle percezioni. Nelle ore diurne era sempre vigile e presente, anche se costantemente affamato. Il basso dosaggio aveva nel suo organismo assuefatto quell'unico effetto collaterale. Quella roba non doveva avere quei grossi risvolti negativi.

“Sì, lascialo fumare. Servirà anche a me.”

“A saperlo ne portavo di più!” rise Raphael, felice come un bambino.

Michael si rivolse al fratello più grande: “Di cosa ci devi parlare, Gabriel?”

Dovette farlo: dovette spiegare ai suoi fratelli ciò di cui si vergognava tanto, perché si era reso conto che erano ben altre le cose di cui era davvero necessario vergognarsi. Non era la prima volta che gli capitava di conoscere persone che venivano da fuori: il reparto di cure palliative per i malati oncologici a poca distanza dal loro paese era piuttosto rinomato, non tanto per l’efficacia delle cure ma per la tranquillità che offriva. Dopotutto, le stanze-alloggio si liberavano con molta frequenza.

Da qualche mese era arrivata una signora sulla cinquantina scarsa di nome Lorna Lewitt che per settimane intere aveva rifiutato ciò che Gabriel aveva da offrirle: prima taglio e piega, poi parrucche della migliore qualità. Diceva di non aver bisogno della carità di nessuno, tantomeno di un ragazzino che avrebbe potuto godersi la vita invece di prendersi cura di morti viventi. Gabriel le diceva che a lui faceva solo piacere, ma la donna continuava a rifiutarsi stoicamente. Quel maledetto giorno in cui era riuscito a convincerla, Gabriel si era reso subito conto che c’era qualcosa che non quadrava, ma aveva deciso di far finta di nulla. Era una donna splendida nonostante stesse perdendo i capelli e le fossero rimaste poche ciocche coperte da un foulard azzurro: non sembrava nemmeno malata, aveva l’aria di essere una semplice signora con l’abitudine di indossare foulard come copricapo; anche il fisico era tutt’altro che deperito. Il modo in cui l’aveva guardato, il tono con cui si era messa a parlargli l’avevano fatto sentire come se si conoscessero da sempre, come se fosse una persona che vedesse tutti i giorni. Lorna era scoppiata a piangere quando si era rivista con la folta chioma di capelli biondi che aveva fino a poco tempo prima: non le importava che il colore non fosse esattamente lo stesso, si sentiva bella. Bella e desiderabile.
Disse a Gabriel che gli ricordava qualcuno che aveva conosciuto quando era ancora ragazza, qualcuno dal quale si era allontanata da fin troppi anni per seguire qualcosa che le sembrava importante al tempo, ma che nella sua condizione di quel momento si era resa conto essere una stronzata. Aveva già perso tutto ancora prima di ridursi in quel modo: forse era stata una punizione giusta per i suoi comportamenti.

Gabriel si mise a piangere dal nulla, cominciando a parlare in modo sconclusionato e stringendosi i capelli con le mani come sempre volesse strapparseli.
 
“Mi ha detto di essere tornata nel posto dove aveva vissuto un tempo e dove aveva lasciato parte di se stessa… Cazzo. E’ tutto così stupido e sembra che qualcuno goda nel vedermi in difficoltà, è per questo che ho bisogno di voi. Dovete aiutarmi. Mi ha detto che vorrebbe rivedere qualcuno prima di andarsene, e io me ne sono reso conto troppo tardi perché lei non mi ha detto nulla di inconfutabile ma io lo so, ne sono certo, mi guardava in un modo che avevo già visto perché ce l'ho davanti tutti i giorni. Dovrei dire quello che so per far soffrire qualcuno? Dovrei fare finta di niente? E' già successa una cosa simile e abbiamo deciso di stare zitti. Ha funzionato, è andato tutto bene perché ci eravamo accordati di non dire niente. Io credo che quella donna sia la madre di Cain e Abbie e non so cosa cazzo dovrei fare.”

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Capitolo 11
*** ten. ***



“I ragazzi dove sono?” chiese Abbie abbandonandosi sulla sedia della cucina dopo aver cacciato il camice nella cesta dei panni sporchi nel bagno del piano terra.

Cain posò il bicchiere che aveva appena asciugato sul tavolo: “Hanno detto che avevano una festa di compleanno. E’ palesemente una bugia, ma ho fatto finta di crederci. Come faccio finta di credere che Raphael sia in grado di tenere d’occhio gli altri due.”

Abbie sorrise scuotendo la testa e si accese una sigaretta: “Questo silenzio è quasi assordante.”

“Già. Sei stata molto in giro in questi ultimi giorni. Mi è quasi sembrato che non avessi voglia di stare faccia a faccia con me.”

“Non ce l’ho tutt’ora, ma sono stanca di evitarti. E’ più faticoso di quanto possa sembrare.”

“Abbie, io so che non hai più voglia di aiutarmi. Vorrei solo che non mi mettessi i bastoni tra le ruote. Conosco tutti quanti i miei polli, dal primo all’ultimo, so anche cose che non si immaginerebbero mai: questo perché sono i miei fratelli, non i miei figli. Il mio ruolo, però, assomiglia più a quello di un padre, e devo io stesso comportarmi di conseguenza. Sono tutte menzogne: devo fingere di credere alle loro balle, devo far finta di essere ingenuo… Da fratello non avrei tutta questa autorità: il motivo per il quale me la sono presa con te è perché tu ti comporti da sorella e loro ti vedono come tale. L’altro giorno ho trovato decine di confezioni di preservativi intatte in camera di Gabriel, mi piacerebbe chiedergliene un paio, ma significherebbe che so che non li usa. Sai quante volte avrei voluto chiedere anch’io dell’erba a Raphael? Ma non l’ho mai fatto. Mi limito a rubagliene un po’ quando trovo dove la nasconde.”

Abbie strabuzzò gli occhi: “Tu fai cosa?”

“Non sono perfetto, non lo sono mai stato. Non pretendo che nessuno di voi lo sia… Ma io devo fingere di esserlo. A volte, si tengono segreti e si dicono bugie per il bene delle persone, e non credo che sia del tutto sbagliato. Se non vuoi recitare con me, se vuoi fare la parte della sorella, per me non c’è problema, me la posso cavare anche da solo. Devi però fingere di rispettare la mia autorità, in questo caso: altrimenti rischi di mandare in fumo tutto quello che ho costruito in questi anni. Credo che abbiamo fatto un lavoro decente dato che nessuno dei tre è ancora morto, finito in prigione, abbia messo incinta qualche ragazzina o abbia contratto qualche malattia venerea. Oserei quasi dire che da adolescenti sono stati decisamente migliori di quanto fossimo noi, e stanno diventando degli adulti degni di questo nome.”

La ragazza si girò la sigaretta tra le dita, guardando la cenere cadere nel posacenere con il mento appoggiato al palmo della mano: “Io ti voglio aiutare, Cee-Jay. Sono stanca e spesso non so nemmeno come dovrei comportarmi, però non ti lascerei mai da solo. Vorrei solo che tu la prendessi con più tranquillità: è passato il tempo in cui dovevamo impiccarci per stare attaccati al sedere di quei tre scalmanati. Ora sono grandi e l’hai detto anche tu: molto probabilmente sono migliori di noi. Potresti cercarti una ragazza, tanto per cominciare. Ci metteresti un minuto dato che fuori dalla porta ci si deve fare largo con lo sfollagente.”

“Intraprendere una relazione sarebbe un’ulteriore responsabilità, non credo di riuscire a gestire il tutto.”

“Allora sai cosa potremmo fare? Un viaggio, io e te. Io prendo le ferie, tu dici ai bambini di farsi un po’ di vacanza, è estate. Ce ne andiamo in Italia a trovare i nostri antenati, come ha fatto Tony Soprano. Ci godiamo un po’ il mare, mangiamo come dei maiali, guardiamo le cose artistiche… Minchia! Oppure, se sei troppo noioso per prenderti una vacanza, potremmo andare a cercare la mamma, sono riuscita a trovare diverse coven sparse per il Regno Unito. Un viaggio on-the-road nella follia pura, solo noi due."

“Potrebbe essere un'idea, ma Harper è qui, dovresti approfittarne.”

“Nemmeno duemila Harper mi stanno a cuore quanto te.”

“Da quando sei così carina con me? Cosa ti è successo?”

“Nulla. Ho messo da parte per un attimo il copione da sorella scorbutica."

Abbie si alzò dopo aver spento la sigaretta e si avvicinò a Cain. “Forza”, disse sospirando. “Abbracciami in fretta prima che cambi idea.”

Cain la strinse forte al proprio petto e le diede un bacio sulla fronte: “Potranno averci dato i nomi più infelici del mondo, ma in questo istante sono abbastanza sicuro che non ti ucciderò mai.”

“Nemmeno se ti faccio cadere di nuovo il cellulare nella tazza del water?"

"In quel caso, potrei fare un'eccezione."

Abbie sorrise, chiuse gli occhi e rimase a godersi l'abbraccio tenero di suo fratello.

"Stavo pensando di chiamare Wyatt a cena qui, stasera", disse la ragazza.

"Una rimpatriata in onore dei vecchi tempi? Ci sto."


 
*******

 
Sean era felice. Raphael era entrato in pasticceria e aveva acquistato alcuni prodotti da forno: fin lí, tutto normale. L'occhiolino che gli aveva fatto prendendo la busta accanto alla cassa dopo aver pagato era stato però fin troppo eloquente. Si sentiva più emozionato di una ragazzina che riceve un messaggio dal tipetto che le piace.

Era così bello, quel Raphael: spesso per i matrimoni di paese degli anni precedenti si erano trovati fianco a fianco nell'allestimento dei saloni prima dell'arrivo degli invitati, ed era sempre stato uno spasso. Solo pochi spavaldi decidevano di sposarsi in estate, e siccome Raphael per un anno accademico intero era stato assente, Sean non aveva più lavorato nello stesso posto con lui.

A piacergli particolarmente era il suo sorriso splendido e la sua risata ancora da adolescente: aveva anche due belle spalle e un sedere di tutto rispetto, ma era il suo essere perennemente allegro ad attrarlo. Rimase a fissarlo attraverso la vetrina, mentre mangiava uno dei cinque croissant che aveva comprato: era vestito come un giocatore di NBA con tanto di calzoncini coordinati con la canottiera, fatta eccezione per le ciabatte infradito.

Raphael salì in macchina con suo fratello Gabriel: Sean lo conosceva molto bene dato che aveva dovuto farsi tutte le scuole con lui prima che finalmente si levasse dalle scatole andando a fare l'Istituto Professionale. Aveva dei modi di fare irritanti, sempre fintamente impostato e pronto a sparare cattiverie su chiunque non gli andasse a genio. Si credeva il più bello e il più furbo della nazione, e riusciva perfino a convincere tutti gli altri di esserlo. Non era possibile avesse dei geni in comune con Raphael, che dispensava sorrisoni e belle parole a tutti.

Sean approfittò dell'assenza di clienti per tirare fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni e andare sul profilo Facebook di Raphael. Mise un paio di mi piace su post recenti, non riuscendo a trovare il coraggio di scrivergli un messaggio privato. 

Sean Merryweather aveva una talpa all'interno della famiglia di Raphael: Wyatt Williams, suo cugino da parte di madre nonché migliore amico di Abbie e Cain. Era stato lui a dirgli che a quanto sembrava, Raphael non aveva grosse preferenze in campo sentimentale. 
Cugino Wyatt era stato per anni compagno di classe, confidente, migliore amico e per un certo periodo - quando le cose avevano cominciato a cambiare - coinquilino di Abbie e Cain. Se ogni ragazza sogna di avere il classico amico gay , Wyatt per Abbie era l'amico etero totalmente disinteressato che fungeva da spalla per essere consolata che per rimorchiare. Perché Wyatt lo era davvero disinteressato, in modo fin troppo sincero: non riusciva proprio a capire l'inclinazione di Cain che lo portava a sbavare dietro al sedere di Harper e Cain, da parte sua, avrebbe pagato oro per non trovarsi in quella situazione. Per quanto il sedere di Harper fosse degno di nota, così come molte altre parti del suo corpo, rimaneva una lesbica, e stessa cosa valeva per Abbie. Inutile perdere tempo a sognare relazioni impossibili: anche se quelle due si scannavano a giorni alterni, non si sarebbero mai innamorate di nessun'altra, figurarsi di un uomo. Cain non riusciva ad essere razionale come Wyatt, e fu soprattutto grazie a lui che riuscì a darsi un freno per non compiere la più grande cazzata della sua vita: lo fece ragionare sul fatto che per Harper non poteva provare altro al di fuori dell'attrazione fisica dato che era molto simile a un uomo senza l'uccello. Un uomo molto bello, con un paio di tette davvero interessanti e delle labbra che sembravano create apposta per accogliere protuberanze maschili varie ed eventuali, ma pur sempre un uomo che dagli altri maschi non cerca nulla.

Wyatt aveva chiaramente interesse nel dissuadere Cain: se fosse stato la causa delle sofferenze di Abbie non avrebbe esitato un istante a picchiarlo a morte, per quanto fossero amici. Anche perché, conoscendolo, sapeva che Cain non era cattivo. Era solo un essere umano e, in nome di un bene superiore, Wyatt agì da vero amico: lo convinse che la soluzione migliore per tutti era lasciare Claudia, dato che la relazione non solo lo rendeva infelice, ma rischiava di fare esplodere una bomba che era già pericolosamente vicina alla fine del conto alla rovescia.

Qualche anno prima, Gabriel, Raphael e Michael erano stati gli unici testimoni oculari di quella quasi-esplosione. Avevano preso una decisione da infami per tutelare la propria famiglia: stare zitti e far finta di nulla. Egoisticamente non volevano fare cambiare nulla della situazione; altruisticamente, far soffrire Abbie per un nulla di fatto sarebbe stato un accanimento bello e buono. Non sapevano che da un altro fronte, Wyatt Williams aveva giocato ugualmente sporco, indirizzando Cain pur di non fargli commettere un errore ancora più disastroso. L'omertà aveva funzionato bene a quei tempi, e il polverone non aveva nemmeno fatto in tempo ad alzarsi prima di essere cacciato sotto il tappeto. 

I tre fratelli si trovavano però in una situazione ancora più delicata di quella precedente: non si trattava dei soliti tradimenti che per quanto dolorosi rientrano in una sfera dell'esistenza molto più frivola. Si stava parlando di una madre malata che per Cain e Abbie non aveva significato nulla per un quarto di secolo.

"Stavolta non possiamo tacere", disse Raphael. "Per loro è stata sempre morta e sepolta. E' giusto che sappiano a titolo informativo."

"Potrebbe significare farli soffrire per niente, non possiamo sapere quello che pensano, non ce ne hanno mai parlato", rispose Gabriel.

"Quanto le resta?" chiese Michael dopo aver tossito per il tiro di erba.

"Non ne ho idea, so che ha un tumore al cervello e l'hanno bombardata di chemio senza risultato. Ora credo la lasceranno spegnere nei suoi deliri. Potrebbe anche darsi che quando la incontreranno lei non si ricorderà nemmeno di avere avuto dei figli, quindi direi di risparmiargli questa pena aggiuntiva."

Raphael incrociò le braccia aggrottando le sopracciglia, con un'aria seriosa inusuale per lui: "Partiamo da un presupposto: Abbie e Cain non ce lo direbbero a parti invertite, lo sappiamo tutti. Noi abbiamo loro come punto di riferimento e se seguissimo il loro esempio senza spirito critico, dovremmo davvero far finta di niente..."

"... Tuttavia sappiamo bene che non sempre chi ha l'autorità ha anche la ragione: abbiamo visto come si sono ribellati Abbie e Cain con nostro padre", intervenne Gabriel.

"Dobbiamo capire se agire come Abbie e Cain visti come fratelli o visti come genitori. Oppure trovare una terza via, alla nostra maniera...", concluse Michael.

Gabriel sbuffò, strofinandosi nervosamente le mani: "Per quanto mi dolga ammetterlo, Raph non ha tutti i torti, anche perché stiamo dimenticando un dettaglio. Consideriamo che rivedere i propri figli sarebbe l'ultimo desiderio di una donna che se ne sta andando e, per quanto probabilmente non se lo meriti, negarglielo potrebbe essere un gesto orribile."

"Giusto! Andiamo da lei, diciamole tutto e vediamo come va. Siamo tutti d'accordo su questo, no?" esclamò Raphael.

Michael passò la canna a Gabriel e scosse la testa: "No, siamo confusi e in panico. Ci stiamo girando intorno perché non vogliamo ammettere la verità. Sappiamo cosa sarebbe la cosa migliore da fare anche se è difficile accettarlo, stiamo volutamente ignorando il passaggio chiave. "

"Se facessimo una cosa del genere sarebbe come ammettere che Abbie e Cain hanno fallito", disse Gabriel.

"O forse no, sarebbe ciò che loro non avrebbero mai fatto al nostro posto e quindi sarebbe al contrario la prova che ce l'hanno fatta a farci diventare adulti responsabili, forse migliori di loro in quanto capaci di scendere a compromessi. Facciamolo meglio e facciamolo alla nostra maniera", fece Raphael.

Gabriel si strinse nelle spalle: "Andiamo a dirlo a papà? E' il motto meno esaltante della storia." 

"Cosa ne dite  Meglio regnare all'inferno che servire in cielo del Paradise Lost? Dopotutto siamo tre arcangeli che si fanno una gitarella nelle Malebolge dell'Ottavo Cerchio."

"Ma guarda un po', esattamente quello dei consiglieri fraudolenti. Le premesse sono ottime", rise Raphael.

"Scendere a compromessi con un diavolo è pericoloso. Dobbiamo solo fare attenzione a non scivolare ancora più in basso, nel Cerchio dei traditori," concluse Gabriel.

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Capitolo 12
*** eleven. ***








Benché fosse autunno inoltrato, il sole continuava a tenere prepotentemente lontane le nuvole uggiose dal cielo: gli imponenti aceri del giardino scolastico non si erano lasciati ingannare, tingendo le proprie foglie di rosso corallo e lasciandole cadere pigramente, di tanto in tanto, sull’erba verde. Abbie guardò sconcertata la ragazza dai capelli rossi tinti seduta sul muretto che delimitava il cortile della scuola dal parcheggio interno riservato ai docenti: era intenta a fissare da vicino con aria concentrata la propria gamba destra stesa lungo il cemento, con la calza parigina nera abbassata sulla caviglia a formare un groviglio di stoffa. Si stava davvero controllando la ricrescita dei peli?
Harper era assurda: poteva passare da momenti di femminilità spiazzante ad atteggiamenti che avrebbero messo in imbarazzo il peggior campagnolo di tutta l’Inghilterra. Il problema – Abbie l’aveva intuito dopo solo tre settimane di conoscenza - era che non si comportava in quel modo forzatamente per rientrare nel cliché della lesbica-camionista. Harper era fatta così e lo esternava semplicemente perché non le importava di fingere di essere una ragazza posata. Sedendosi a gambe aperte le si vedevano le mutande sotto la gonna della divisa scolastica? Pazienza, significava che per quel giorno le aveva indossate; un concetto era più persuasivo se al posto delle virgole inseriva delle parolacce? Sì, lo era eccome; le migliaia di litri di Coca-Cola che beveva ad ogni ora del giorno la facevano ruttare? Bisogna sempre esprimere ciò che si ha dentro; l’abbinamento capelli rossi-rossetto rosso era di pessimo gusto? Su qualsiasi altra persona, lo sarebbe stato.

Le ragazze che fingevano di scandalizzarsi per i suoi atteggiamenti erano false, non lei: era più facile dire che i suoi eccessi erano dovuti all’orientamento sessuale invece di ammettere che tra le mura di casa qualsiasi ragazza si sedeva scomposta o ruttava. Semplice e pura gelosia con un pizzico d’invidia: se l’avessero fatto loro in pubblico sarebbero sembrate squallide, mentre Harper riusciva a mantenere con disinvoltura l’aura di sensualità che la caratterizzava.

“Ho dato un’occhiata ai risultati degli spogli. Hai un’aria allegra per essere appena stata eletta rappresentante di classe di riserva”, disse Harper continuando a esaminarsi la gamba. “Dicono che chi arrivi secondo sia il primo dei perdenti.”

“Mio fratello è troppo maniaco del controllo per farsi scappare un’occasione del genere.”

“Sono i difetti della democrazia… Avrei preferito interfacciarmi con qualcuno di più flessibile rispetto a quel bigotto di Cain John Calcabrina. Ci ho parlato solo un paio di volte ma ho già intravisto il manico di scopa che gli spunta dal culo.”

“E’ solo un’impressione. Imparerai a conoscerlo, è meno puntiglioso di quanto possa sembrare.”

“Lo spero, ho trovato così poetico che il nuovo apprendista Jedi sotto la mia ala  non fosse uno Skywalker ma un Hoarfrost-stomper: non cammina in cielo ma calpesta la brina. Fottutamente poetico. Ce l’hai una paglia?”, chiese Harper puntando gli occhi verde smeraldo su quelli azzurro pallido di Abbie. I suoi capelli rossi erano accarezzati dalla leggera brezza che profumava d’autunno.

“Me n’è rimasta solo una. Smezziamo?”

“D’accordo.”

Abbie si accese la sigaretta e la passò a Harper dopo aver fatto un paio di tiri. Guardò come le sue labbra carnose avvolgevano il filtro in un delicato abbraccio per poi staccarvisi, lasciando un residuo di rossetto rosso sulla carta arancione, in un accostamento che ricordava quello delle foglie d’acero che svolazzavano brevemente prima di posarsi a terra alle spalle di Harper.

“Avresti voglia di uscire con me per conoscerci meglio?”

Meglio parlarsi chiaro con una come lei che sembrava amare le persone dirette. Harper la guardò sollevando un sopracciglio e soffiando il fumo verso il cielo: “Sono già fuori, sono con te e ci stiamo conoscendo.”

“Sai cosa voglio dire.”

Il blazer verde scuro dell’uniforme scolastica faceva risaltare per contrasto il colore innaturalmente acceso dei capelli di Harper.
 
“Intendi tutto l’iter burocratico dove bisogna rispettare certi paletti sociali per iniziare una relazione? Dobbiamo scambiarci qualche sguardo, scriverci messaggi che sembrino vaghi ma che palesemente sappiamo entrambe che non lo sono dove io faccio l’elusiva quel tanto che basta per intrigarti ma farti vedere uno spiraglio di luce, farti qualche questione perché sei più piccola di me e sono troppo figa per uscire con una del primo anno per poi confessarti che l’età è solo un numero e per me non conta perché tu sei matura per avere sedici anni, fingere di essere amiche per trovarci ed esplorare i nostri corpi dietro una porta chiusa a casa dapprima innocentemente e poi peccaminosamente, uscire di nascosto insieme con l’ansia che capiscano che siamo lesbiche un numero x di volte prima di baciarci e un numero y per andare a letto? Hai davvero voglia di fare tutta questa tiritera?”

“A me non dispiacerebbe”, rispose Abbie con sincerità.

Harper si tirò la calza fino a sopra il ginocchio sollevando la gamba, noncurante del fatto di aver dato ad Abbie una gloriosa anteprima delle sue mutande nere: “Come desideri, tanto non avrei potuto combinare nulla oggi. Sai, primo giorno di marchese… Mi piace uno scambio di favori reciproco. Do ut des. Ah, ma guarda chi arriva! Cain John e William Wilson Wallace Wells*!”

“Non so se mi offenda di più essere paragonato a uno scozzese, a uno schizofrenico di un racconto di Poe oppure a un personaggio gay di un fumetto. Scherzo, ovviamente la risposta è lo scozzese”, disse Wyatt Williams appoggiando un braccio sulla spalla di Abbie, la quale tratteneva a stento il sorriso che fremeva per comparirle sul volto. Suo fratello la guardò con espressione contrita, sentendosi in colpa per averle soffiato da sotto il naso l'elezione a rappresentante di classe per undici voti contro otto. Abbie avrebbe tanto voluto dirgli di godersela pure a cuor leggero quella carica, perché a lei non interessava per niente l'idea di accollarsi sulle spalle la responsabilità di una manciata di adolescenti arrapati nella fase dello sviluppo: la vita era già abbastanza complicata così. Cercò di comunicargli telepaticamente il messaggio che aveva per lui, ma quello che recepí in risposta fu l'immagine mentale di Harper nuda. Non capí se si trattasse davvero di un'interferenza con il pensiero di Cain oppure di una propria fantasia. Forse entrambe le cose.

Cain si schiarì la voce e guardò l’orologio da polso: “Harper, tra cinque minuti inizia la riunione, dovremmo andare in aula professori.”

Harper buttò la sigaretta finita tra i piedi di Cain e scese la muretto. Ad Abbie non importò nulla anche se di quell'ultima sigaretta aveva fatto sì e no due tiri.

“Primo giorno da rappresentante per te e primo giorno di ciclo per me: pessima, pessima accoppiata. Andiamo mio giovane padawan, così smetti di stare in ansia. Wilson, i miei sono scozzesi, preparati alla mia ira funesta e alla tua imminente dipartita.”

“Per mano tua e di quale esercito? I tuoi poteri non hanno effetto su di me. Vade retro, maliarda!” urlò Wyatt mentre Harper e Cain si allontanavano a braccetto verso l'ingresso dell'edificio scolastico. Appena sparirono oltre il portone, Abbie cominciò a ridere, battere le mani e saltellare attorno a Wyatt.

"Stai bene?" chiese il ragazzo afferrandola per un braccio e appoggiandole una mano sotto la frangia  spettinata per controllare la temperatura. Era poco più basso di Cain e, di conseguenza, poco più basso di Abbie: aveva quegli occhi e quel sorriso di uno che sembra pronto a prendere in giro e adorare chiunque, indistintamente. Da bambino era stato cicciottello, ed erano davvero ridicoli tutti e tre insieme: due stecchini spilungoni e un bimbo rotondetto. Nel giro di un paio d’anni, era riuscito a crescere in altezza, non diventando mai propriamente magro ma portando via meglio i suoi ottanta chili: a sedici anni si ritrovava un paio di spalle così larghe da fare invidia ai ragazzi più grandi di lui e sarebbe migliorato ulteriormente con il passare del tempo. Se le fossero piaciuti gli uomini, Wyatt sarebbe stata la prima scelta di Abbie, con quei bei capelli neri mossi e gli occhi castano chiaro. Dopo suo fratello, se non fossero stati fratelli.
 
Abbie prese Wyatt per le spalle e lo scosse energicamente: "Harper vuole uscire con me, come se fossimo una coppia etero!”

“Oh mio dio, ma è grandioso! Per un attimo ho quasi creduto di essere nei primi anni del ventunesimo secolo, ma per fortuna mi hai dato conferma che siamo nel Medioevo. Essere un Dottore a volte confonde le idee. Tra qualche anno potrai addirittura mostrarle la tua sensualissima caviglia”, esclamò Wyatt esagerando sarcasticamente l'entusiasmo.

“Non intendevo questo, Wyatt. In una cittadina così piccola, le persone che ti passano per le mani sono sempre le stesse, che si tratti di lesbiche comprovate o ragazzine indecise. Sai già che ci staranno, non c’è nient’altro che possano fare. Harper me la devo conquistare, almeno formalmente: forse potremo fingere di essere normali.”

Wyatt la guardò esterrefatto: "Ti stai davvero lamentando perché trovi da scopare troppo facilmente? E' questo che stai intendendo? A me lo stai dicendo, Abbie?"

"Guarda che non è tutta quella gran cosa: ho sedici anni e sono già stata con tutte le omosessuali della mia età, ovvero tre. Anche se viviamo in un piccolo paese, tu puoi scegliere, puoi dire di no, puoi prendere qualche due di picche... Io no. Non sottovalutare l'importanza del rimanere delusi. Sapevo già che in qualunque punto avessi gettato l'amo, qualcuna avrebbe abboccato; quando mi sono lasciata con Ruth Coleridge, sapevo già che avrei dovuto riscaldare una delle altre due minestre della portata. Un po' come quando arrivi agli ultimi turni di Cluedo: ti trovi a dover rimescolare le poche carte che sono rimaste in tavola. È una sensazione  soffocante quella di essere imprigionata qui: non vedo l'ora di diventare maggiorenne e traslocare in un acquario più grande. Con Harper non funzionerà mai, anche lei si trova nella mia situazione ed è matematicamente impossibile che la tua anima gemella sia nata e cresciuta nel tuo stesso minuscolo buco di culo del mondo... Almeno fingiamo di lottare un po' per vincere qualcosa di effimero che sappiamo essere già nostro."
 
"Ragionamento catastrofico - e anche un po' del cazzo, se permetti. Cain e Claudia sembrano fatti apposta per stare insieme, anche se sono nati e cresciuti qualche chilometro di distanza. Tu tendi sempre a vedere del marcio dove in realtà non c'è. Sii positiva, Abbie, e goditela come viene: non sei stata bidonata da una bella figa, come al contrario succede sempre a me. Anche se non sarà la storia della tua vita, un paio di capitoli interessanti li puoi sempre scrivere."
 
Con il passare degli anni, le cose erano decisamente cambiate rispetto alle previsioni adolescenziali: era stata l'apparentemente indistruttibile relazione di Cain e Claudia ad essere crollata. Abbie, nonostante tutte le avversità, era riuscita a mantenere per più di dieci anni un legame con Harper, poco importava che non fosse una relazione ortodossa: dopotutto, la loro non la era mai stata. La relazione tra Abbie e Harper era come una fenice: rinasceva ogni anno dalle proprie ceneri, che prendevano immediatamente fuoco senza passare dalle stadio di brace e scompariva con altrettanta rapidità. Wyatt non era stato costretto a interrompere gli studi come Cain, ritrovandosi a  non essere fisicamente presente sul suolo albionico nel momento in cui i suoi migliori amici avevano bisogno di lui nel momento di maggior difficoltà: non se l'era mai del tutto perdonata, benché né Cain né Abbie avessero mai provato il minimo rancore nei suoi confronti. Ogni aiutante ha il proprio compito, e Wyatt li aveva spalleggiati nella calma prima della tempesta costringendoli ad andare a vivere con lui e passando in seguito il testimone a Harper.
Wyatt aveva sempre deriso - e segretamente invidiato - Abbie per i suoi  capricci riguardanti il fatto di dover sempre ritornare su strade già battute in campo sentimentale, di non poter assaporare il gusto dolce della conquista e quello amaro della delusione. Quelle di Abbie erano davvero lamentele fini a se stesse, ma la problematica aveva colpito una parte della famiglia di Wyatt con ripercussioni molto più catastrofiche. Avevano scelto di non dire nulla, dato che suo cugino Sean aveva cominciato a lavorare nella pasticceria di famiglia già da ragazzino e l'ignoranza della gente avrebbe potuto costringerlo a cambiare strada senza che ce ne fosse realmente necessità. Sean era risultato sieropositivo all'età di diciotto anni, ma non erano riusciti a individuare da chi o come avesse contratto il virus dell'HIV: la famiglia di Wyatt non aveva sparso la voce per evitare il panico generale e per tutelarsi nella consapevolezza che Sean era un ragazzo responsabile e non meritevole della lapidazione in pubblica piazza. 
Abbie e Cain sapevano tutto, e non avevano fatto ai tre fratelli minori il discorsetto dell'usare le protezioni, sapendo che i ragazzini avrebbero preso quelle parole come raccomandazioni sterili e obbligatorie per il ruolo da genitori. Avevano fatto il nome di Sean con il benestare di Wyatt: significava che Raphael sapeva di Sean, ma Sean non sapeva che Raphael sapesse.
 

William Wilson, protagonista dell'omonimo racconto di Edgar Allan Poe

William Wallace, il condottiero scozzese interpetato da Mel Gibson in Braveheart
Wallace Wells, coinquilino e migliore amico di Scott Pilgrim nell'omonimo fumetto

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Capitolo 13
*** twelve. ***



Avevano ancora margine di tempo per definire il piano nei dettagli: dato che la notte avrebbe proverbialmente portato consiglio, tanto valeva approfittare dell'occasione di trovarsi tutti e tre insieme fuori di casa. Gabriel e Raphael facevano spesso serata - non uno appiccicato all'altro ma perlomeno nello stesso edificio. Tendevano a mal digerire la vicinanza prolungata, ma per quella sera avrebbero potuto fare un'eccezione in onore della guest star inattesa e da poco maggiorenne chiamata Michael. La spocchia di Gabriel da un lato e la frivolezza di Raphael dall'altro sarebbero potute essere tollerate reciprocamente per qualche ora.

Il Neverland era una sorta di porto franco nella cittadina di Stonemill-on-the-green: negli anni, si erano avvicendate generazioni di ragazzi che raggiungevano l'isola sotterranea per vivere notti di svago, illudendosi di bivaccare in una discoteca degna di una grande città. Non girava roba pesante, trovare qualche bomba e un po' di bamba era un evento più unico che raro e dei due fratelli maggiori era Gabriel a preferire gli eccitanti per trovare quella sicurezza di sé che ostentava solamente.

Raphael riusciva a battere cassa lì dentro, ma nulla di paragonabile agli anni di liceo e alla quantità industriale di erba che smerciava in università a Londra: i ragazzetti del paese preferivano sentirsi alternativi sbriciolando pezzi di copertone nel tabacco delle sigarette piuttosto che godersi un bel purino con i fiocchi, usanza che Raphael trovava riprovevole. Più erano giovani i compratori, più era probabile che Raph mentisse dicendo di aver già venduto tutto nonostante avesse ancora le mutande piene di erba. Non ne erano degni.

Nonostante gli irrisori flussi sotterranei di sostanze stupefacenti, ciò che scorreva più copiosamente tra le mura del Neverland era l'alcool della peggior qualità, che veniva consumato solo per gli effetti e non per il sapore: Gabriel, abituato a degustare whiskey e assenzio nonostante le prese in giro di Raphael, preferiva consumare le duecento sterline che investiva ogni mese in Jade PF 1901 e Johnny Walker Blue Label nella propria stanza, mentre era impegnato a rompere il sedere a qualche coreano nei videogiochi online. Quando si trovava in quei postacci, si limitava alla birra.

Appena Raphael fece scattare con una spallata la porta che aveva più l'aria di un'uscita di sicurezza che si trovava in fondo a una scalinata in una piazzetta isolata della periferia della zona sud-est di Stonemill-on-the-green (oltre la quale cominciava la campagna), tutti i sensi di Michael vennero annullati dalle luci stroboscopiche e dalla musica assordante che lo investirono come un'ondata, provocandogli un senso di disagio opprimente. L'istinto lo portò quasi a girarsi e fuggire a piedi fino a casa, nella sua camera, dove avrebbe potuto rifugiarsi nel silenzio che tanto amava.
Rivolse lo sguardo sul viso di Raphael, nel quale riuscì a trovare un po' di conforto grazie al suo sorriso dolce e tranquillo, come spesso gli accadeva. Un sorriso dolce, che gli ricordava Cain in maniera spiazzante.
Gabriel, che rifuggiva il contatto fisico affettuoso come se tutto il mondo fosse appestato, gli mise un braccio sulle spalle e gli sorrise a sua volta, cosa che invece non accadeva mai. Come aveva potuto quella donna non riconoscere in lui gli stessi occhi slavati ma intensi di Abbie? Semplicemente perché quella donna non aveva mai conosciuto realmente Abbie. 

"Benvenuta all'Isola che non c'è, Wendy."

Fecero un passo ed entrarono in quella strana bolla fatta di lampi e frastuono che sembrava un varco dimensionale apertosi sotto il suolo del piccolo paese: a Mike bastò un'occhiata generale per riconoscere i visi di persone che vedeva tutti i giorni o conosceva di sfuggita, ma che in quel luogo sembravano trasfigurati in volti sconosciuti. Ebbe la sensazione che si prova al risveglio dopo un sogno, quando si è sicuri di chi si ha davanti ma le fattezze non corrispondono mai a quelle del mondo reale.

Sentì la mano di Raphael scendere lungo l'avambraccio e afferrare saldamente la sua. Spesso suo fratello esagerava con il contatto fisico e le dimostrazioni di affetto o di goliardia, arrivando vicino al confine con l'ambiguità: fortunatamente aveva smesso da qualche anno di appoggiare i propri genitali al suo sedere ogni volta che si chinava, di sbaciucchiarlo anche sulle labbra o abbracciarlo indipendentemente dal fatto che uno dei due fosse nudo o vestito. Con Gabriel invece non aveva mai smesso, ed era addirittura peggiorato dopo l'anno passato fuori casa per gli studi (abitudine presumibilmente rafforzata dal fatto che suo fratello maggiore andasse fuori di testa più del dovuto). Con Cain ed Abbie non osava fare gesti ambigui, limitandosi a baciarli e abbracciarli teneramente ogni volta che ne aveva l'occasione.

Nonostante anche Michael tollerasse poco le effusioni di Raphael, in quel momento sentire le sue dita intrecciate alle proprie fu un sollievo: lo condusse verso la zona dei tavolini facendo da ariete in mezzo alla folla. Gabriel rimase indietro, già intento a dover divincolarsi dalla prima tizia che lo aveva intercettato.
Raph si abbandonò sulla sedia a gambe spalancate: fortunatamente in quel locale il dresscode non era previsto, dato che sembrava fosse appena tornato da una partitella di basket al parco con gli amici. Era tornato da Londra con il doppio dei muscoli, e non era mai stato troppo esile. Sembrava cresciuto di cinque anni in uno: i lineamenti del viso si erano leggermente affilati, rendendolo ancora più simile a Cain e facendolo apparire ancora più adulto rispetto a Gabriel, il quale era sempre stato tradito dalle proprie lentiggini. Per quanto si vestisse e atteggiasse da grande uomo, le minuscole macchioline gli davano quell'aria da  eterno adolescente che non riusciva a scrollarsi di dosso, ed erano ancora più evidenti in estate quando per sbaglio prendeva anche un singolo raggio di sole. Dimostrando meno dei propri anni, assumendo atteggiamenti esageratamente raffinati e mantenendo dunque un sentore da giovane effeminato, Michael si chiedeva come suo fratello riscuotesse tutto quel successo tra le ragazze: non c'era un singolo aspetto in lui che non fosse riconducibile all'omosessualità, fatta eccezione per il suo orientamento. 

Erano tutti e cinque troppo simili esteticamente per non cercare di differenziarsi per reazione opposta: se non avessero potuto estremizzare le proprie peculiarità, sarebbe stato un vero disastro. Se fossero rimasti la famiglia che loro padre aveva progettato di crescere non sarebbero probabilmente stati felici: Abbie e Cain erano stati magnifici in quello. Avevano mostrato la strada a tutti e tre, mettendoli in guardia dei pericoli ma senza precludergli la possibilità di prendere qualche via laterale, di impiegare meno tempo del necessario oppure di negargli di fare quello che desideravano durante il percorso. Erano stati dei veri rompiscatole, ma non abbastanza per spingerli a ribellarsi di conseguenza.
Non che fossero onniscienti, avevano anche loro commesso degli errori: Gabriel era stato massacrato di divieti, Michael di sproni e Raphael, come buon fratello di mezzo, era stato ritenuto responsabile quando in realtà era l'unico dei tre ad aver bisogno di attenzioni e paletti.

Gabriel appoggiò energicamente tre pinte di birra sul tavolo; sollevò il proprio boccale e parlò a voce alta nel tentativo di sovrastare la musica: "A noi tre, contro il resto del mondo."

"Mi siete mancati da morire in questi mesi", disse Raphael dal nulla. "Senza di voi mi sento perso. Non saprei come esprimermi in modo carino data la situazione, ma... Sono contento di poter fare qualcosa con voi. Non si tratta più di difenderci a vicenda per una pallonata all'argenteria sapendo di finire per prenderle tutti e tre, di uscire di nascosto la sera o altre cose da ragazzini. Ora siamo adulti e non c'è scusa che tenga, se commettiamo un errore non ci aspetta solo una ramanzina o il castigo. Questa è una faccenda più grande di noi, ma siamo tre contro uno. Non dobbiamo dimenticarlo. Niente, ci tenevo a dire questo. Pensiamo a goderci la serata, adesso. Cheers!"

Si misero a bere, relegando i cattivi pensieri ma anche i sentimentalismi in una parte a tenuta stagna della coscienza: non avevano mai avuto bisogno di dirsi a chiare lettere quanto si volessero bene, preferendo invece dirselo a suon di pugni o insulti.

Harper impiegò qualche istante a convincersi che quei tre ragazzi che ridevano a crepapelle davanti a nove boccali vuoti che occupavano tutta l'area del tavolino fossero realmente i tre fratelli minori di Abbie. Li osservò a distanza con circospezione e incredulità: era da un paio d'anni che non li vedeva ed erano cresciuti a dismisura.
Michael, che era sempre stato il più carino e che anche da ometto non aveva perso la sua bellezza, eclissato ingiustamente dalle personalità degli altri due; Raph, scazzato proprio come lei ma un po' troppo appiccicoso per le sue corde; e infine, girato di spalle, quel damerino di Gabriel, con il quale aveva stretto un legame fortissimo nonostante i pochi anni di convivenza. Assomigliava troppo ad Abbie per non apparire adorabile agli occhi di Harper.

Aspettò che Gabriel si alzasse per ordinare il quarto giro per avvicinarsi al bancone e posizionarsi accanto a lui. Anche il ragazzo dovette darle un paio di occhiate per assicurarsi che fosse Harper: la sua chioma era inconfondibile, ma i sensi di Gabriel erano rallentati dall'alcool.

"Harper?" le chiese con un'intonazione attraverso la quale non fu possibile capire se si trattasse di una domanda o di un'esclamazione. Era totalmente sbronzo.

"In persona", sorrise lei.

Gabriel si tirò indietro il ciuffo di capelli che teneva al lato del viso con un leggero gesto della mano, come se servisse a inquadrarla meglio: "E' da un secolo che non ci vediamo!"

"E' colpa mia. Quando non sto con Abbie sono impegnata a evitarla, in un modo o nell'altro mi tocca stare lontana da casa vostra. Sono pessima, lo so."

"Immagino che ora siate nella fase in cui tu la eviti."

"Puoi dirlo."

"Siete proprio assurde."

"Puoi dire anche questo. Sei da solo?"

"No, ci sono anche Mike e Raph, sarebbero felici di salutarti. Prima, però... Mi concedi questo ballo?"

Le porse la mano destra e mise l'altro braccio dietro la schiena, piegandosi leggermente in avanti: Harper rise e appoggiò la propria mano su quella di Gabriel. Appena arrivarono in mezzo alla pista, Gabriel mise le braccia attorno alla vita di Harper e la strinse a sé: accostò la sua guancia a quella di lei e fece per dirle qualcosa all'orecchio, ma esitò.

"Gale, va tutto bene?" chiese la ragazza stranita dalla situazione. Era l'unica a chiamarlo con quel soprannome, ed era decisamente migliore di Gabster. Gabriel deglutì e strizzò gli occhi per cercare di non mettersi a piangere, ma Harper non ebbe modo né di sentire, né di vedere: inspirò a lungo, respirando il profumo dei capelli di lei. Non c'era posto migliore di quello per liberarsi del peso che straziava Gabriel: nei luoghi isolati e silenziosi ci può sempre essere qualcuno che ascolta. Lì, in quel momento, con la creazione di qualche Dj sconosciuto che rimbombava nell'aria pesante e tutta la calca di corpi che si muovevano frenetici, nessuno li avrebbe mai sentiti. Era impossibile: statisticamente, matematicamente, fisicamente impossibile. 

"Ho perso la verginità con la madre malata terminale dei miei fratellastri."

Non fu troppo difficile pronunciare quelle parole dato che Gabriel non  riuscì a sentire la propria voce, un po' come se avesse dovuto praticare un'incisione su un arto del suo corpo completamente anestetizzato: dalla reazione di lei capì che erano giunte a destinazione. Aveva deciso di omettere quel particolare con i propri fratelli, ma a qualcuno avrebbe dovuto confessarlo. Non si palesò però nessuna delle scene drammatiche che si era immaginato: nessuno sguardo accusatorio o sconvolto, nessuna fuga plateale, nessuno schiaffo o calcio nelle palle, niente di niente. 

Davanti agli occhi smeraldini di Harper, tutto il Neverland si fermò per una frazione di secondo, durante la quale svolse mentalmente l'ermetica equazione che nascondeva la frase di Gale,

lui era vergine a ventidue anni ma questo non ha molta importanza sicuramente raphael lo sta già prendendo abbastanza in giro per quello dunque ora calma riflettiamo i suoi fratellastri sono cain ed abbie quindi sta parlando della madre di cain ed abbie quella sparita quando loro erano troppo piccoli per ricordarsela andando a unirsi a una setta druidica o di wicca o quel cavolo che è se gale l'ha incontrata si trova presumibilmente in città ed essendo malata terminale si trova al centro di cure palliative dell'ospedale se abbie l'avesse saputo me l'avrebbe comunicato anche se abbiamo litigato ma perché poi abbiamo dovuto litigare sempre per quella cazzo di storia del guardare il cellulare dell'altra io non ho niente da nascondere ma se ti fidi non lo guardi se non hai niente da nascondere lo posso guardare e allora significa che non hai fiducia in me e bla bla bla cristo santo ci perdiamo anche tempo a discutere su quelle stronzate invece di goderci qualche ora insieme siamo due imbecilli cretina io e cretina lei e quindi dopo venticinque anni di assenza la madre di abbie era a un tiro di schioppo da lei a sua insaputa moribonda ma ancora abbastanza in forze per scoparsi il suo figliastro ma che cazzo gabriel cosa cazzo hai combinato ora come facciamo a risolvere questo casino complimenti signora le faccio davvero i miei più sentiti complimenti mi dispiace per i suoi problemi di salute sono davvero totalmente affranta ma le posso garantire una cosa ovvero che lei è in grado di rovinare ogni singola forma di vita che venga in contatto con lei intanto che ci siamo mi consenta di farle una domanda non è che la posso mettere nel mio giardino quegli stupidi afidi mi stanno disintegrando il cespuglio di rose ora capisco perchè si è sposata con il signor bigotto dei miei coglioni siete due metà della stessa mela marcia that's amore e io giuro su quel dio che tanto adorate ma che scommetto il culo non approverebbe nessuna delle vostre scelte io lo giuro che se prova a far qualcosa ad abbie io la uccido o la tengo in vita o qualunque cosa non sia quella che preferisce 

Se la sua mente avesse avuto dei polmoni, avrebbe preso fiato prima di concludere, sia per dare più pathos che per non rischiare il soffocamento: questa storia è fottutamente eccessiva.

"Sarebbe un ottimo incipit per la tua autobiografia!" esclamò Harper fingendo di non essere sconvolta. "Sto scherzando. E' davvero il caso di parlarne con calma, in realtà."

"Non stasera. Domani", disse Gabriel in stato catatonico, come se un automa avesse preso il suo posto.

"Ok, allora domani mattina ti aspetto da me. Adesso facciamo finta che non sia successo nulla, ti va?"

"Sono disgustoso", mormorò lui, appoggiando la fronte alla spalla di Harper.

"No, sei solo stupido e impulsivo, ma credo sia un gene tipico della tua famiglia. Se sapessi tutto quello che hanno combinato tuo fratello e tua sorella quando voi eravate più piccoli ne saresti rincuorato. E la sottoscritta, giù a mettere le pezze ai loro disastri. Lo vedi? E' una tradizione."

Lasciare Abbie perché sei andata a letto con Cain rientra in questa tradizione?
Non ebbe il coraggio di chiederlo. Non gli importava della risposta, non l'avrebbe scandalizzato in nessun modo. Solo, non era nelle condizioni di poter fare il supponente con nessuno, figurarsi con Harper. E poi, non era nemmeno sicuro che fosse vero.

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