I razziatori dell'isola di Skye di Yellow Canadair (/viewuser.php?uid=444054)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: buchi nell'acqua ***
Capitolo 2: *** Mugiwara do it better ***
Capitolo 3: *** Nel nero dell'oceano ***
Capitolo 4: *** Una cornamusa ***
Capitolo 5: *** Fuori dall'acqua ***
Capitolo 6: *** Father and son 2 ***
Capitolo 7: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 8: *** Scomparsi! ***
Capitolo 9: *** Contro il Rosso ***
Capitolo 10: *** La valle tragica ***
Capitolo 11: *** Epilogo: una nuova partenza ***
Capitolo 1 *** Prologo: buchi nell'acqua ***
[zipedit] Prologo Buchi nell’acqua
Shanks si passò una mano
fra i capelli vermigli e scoppiò a ridere. – Scusatemi ragazzi! – disse.
Benn
Beckman gettò la vanga di lato facendole fare un volo di un paio di metri, poi
accese una sigaretta e se la incastrò fra i denti. Sbuffando fumo come un
drago, si girò verso la montagna che dominava l’isola, concentrandosi sulla sua
cresta per non spaccare la faccia a quello che da pochi mesi considerava il suo
capitano.
“Il
profilo del poeta”, stava scritto sulla mappa che i pirati avevano consultato
per giorni e giorni, rigirandola in ogni direzione: la cima del monte ricordava
un profilo umano e non c’erano dubbi che fossero sull’isola raffigurata nel
cartiglio. Il problema, però, è che non c’era alcun tesoro, e molti punti di
riferimento disegnati non c’erano, mentre a rigor di logica nemmeno la più
estrema delle erosioni li avrebbe dovuti intaccare.
–
Un viaggio a vuoto – fece laconico il pistolero andando a recuperare il
mantello tolto per scavare senza impiccio.
–
Non del tutto – ragionò Curtis, il cuoco, smilzo e con i capelli chiari legati
in un rigido codino in cima al capo – Le stive sono più piene che in partenza!
–
Il
resto della ciurma si sentì un po’ rinfrancata a quella considerazione: vero,
avevano passato gli ultimi tre giorni a scavare buche come becchini in tempo di
peste, ma nel raggiungere quell’isola avevano incrociato dei mercantili niente
male, quindi tutto sommato un tesoro l’avevano racimolato comunque.
Adesso che finalmente
quel mulo di giovane capitano si era arreso all’evidenza che quell’isola non
nascondesse alcun tesoro, potevano abbandonare quel luogo lugubre.
Vi erano sbarcati cinque
giorni prima, per metà dei quali non avevano potuto mettersi al lavoro perché o
diluviava o c’era una nebbia così fitta che non avrebbero visto il tesoro
nemmeno se sopra avesse avuto una croce rossa con le lucine al neon a comporre
la scritta “tesoro”. Shanks, ottimista fino alla stupidità, continuava a dire
che era un luogo ottimo per nascondere un tesoro.
I suoi compagni di
ciurma, alcuni dei quali arruolati da poco, si fidavano di lui e l’avevano
seguito, e gli avrebbero perdonato di buon grado quell’infruttuosa avventura:
era un ragazzo giovane ma dotato, con un ottimo intuito e un eccellente
curriculum, quindi chissà, nel giro di qualche anno sarebbero potuti diventare
abbastanza conosciuti nella pirateria. A tutti poteva capitare un errore, e finché
a bordo c’era da bere e da divertirsi non era pericolo di ammutinamento.
Una ciurma meno rilassata
avrebbe senz’altro risentito dell’atmosfera cupa dell’isola: nella nebbia
mattutina emergevano strenui degli alberi bassi e sottili, dai rami
faticosamente volti al cielo come ad implorarlo di un po’ di sole; il
sottobosco era fitto di sterpi e di rovi, fra i quali serpeggiava un fiume che
sembrava sempre lì lì per rompere l’argine naturale. Oltre la nebbia, come
un’isola nel cielo, si intravedeva il basso e tozzo monte che dominava l’isola,
“il profilo del poeta”, come scritto sulla cartina. A circa metà altezza i
pirati avevano scorto, quasi con fatica, l’unica costruzione dell’isola: una
villa.
Si trattava di una casa
in rovina di almeno cent’anni prima, tre piani tozzi e dall’intonaco fatiscente
una volta bianco, con le finestre spalancate quasi che i padroni fossero
scappati senza nemmeno badar di sbarrarle: i pirati vi erano entrati ma, non
trovando nulla di decente da saccheggiare, si erano rapidamente chiusi alle
spalle i pesanti battenti rosi dai tarli ed erano tornati a valle, per cercare
il tesoro che doveva custodire quel fazzoletto di terra.
–
Di questa che ne facciamo? – domandò distratto Benn, sventolando la cartina
stretta tra due dita.
Lucky
Lou smise di sbocconcellare il cosciotto di un caprone di montagna che si era
incautamente avvicinato a loro la sera prima e propose: – Accendino! –
–
No, niente accendino – intervenne Shanks recuperando la propria autorità. – La
metto nel diario di bordo, a monito futuro –
– E aggiungi “non accettare mappe del tesoro
dagli sconosciuti” – lo prese in giro Lucky.
I
pirati risero, sparpagliandosi nell’umida radura per recuperare gli arnesi da
scavo con i quali avevano rivoltato mezza isola.
Quella
storia era cominciata circa un mese prima: si trovavano in una cittadina della
Rotta Maggiore, luogo tranquillo e con pochi Marine; loro, anche se erano
all’inizio della loro avventura, erano ben noti alle forze dell’ordine che
tuttavia, in attesa di rinforzi, avevano deciso per una ben più cauta
osservazione da una distanza di sicurezza.
Non
tutti, però, avevano riconosciuto quei pirati: saettava tra la folla, lesto e
macilento, un uomo di età indefinibile, più simile ad un topo nei movimenti che
ad un essere umano; era coperto da un mantello grigio che andava dai polpacci
al capo, infagottato da un cappuccio, e i piedi nudi erano avvolti da panni
lerci. Pescava con le mani magre in tutte le tasche del frequentato mercato
dell’isola, cercando soldi e roba da mangiare. La sua attività giornaliera
però, quel giorno, era stata interrotta da una mano di Benn Beckman che non era
stato affatto felice di trovarsi le dita di un borseggiatore nella tasca
posteriore dei pantaloni.
–
Hai scelto il pollo sbagliato, amico – tuonò.
–
Nnnno no no no, vi prego… vi prego… vi prego lassssciatemi! –
Stretto
nel pugno robusto del pistolero, il polso del taccheggiatore sembrava sul punto
di spezzarsi; si dibatteva per provare a scappare da quella morsa, ma il pirata
non aveva la minima intenzione di lasciarlo andar via.
–
Benn, forse hai l’aria da persona per bene. Per questo ti ha preso di mira –
aveva detto Shanks, perfettamente a suo agio.
–
Mi sa che questa la dobbiamo tagliare, sai? Hai provato a derubare i pirati del
Rosso – aveva sibilato Curtis estraendo i coltelli e indicando l’arto del
ladro.
L’uomo
catturato, stravolto, aveva cominciato a piangere terrorizzato.
–
Su, su – aveva detto il Rosso conciliante – Sei un collega tutto sommato,
quindi potremmo farti un trattamento di favore… Curtis? Solo due dita, via. –
–
Quali? –
–
Medio e anulare –
Shanks
stava scherzando, ma l’uomo era così in preda al panico che non colse la
sfumatura di sarcasmo e cominciò a balbettare: – Nnno! Per favore! Per favore!
Sono vecchio, sono vecchio… sono così vecchio… io conosco un tesoro! Conosco un
tesoro! C’è un tesoro! Se mi lasciate andare… io vi darò il tesoro.
I
pirati si guardarono tra loro. Non sembrava avere tutte le rotelle a posto,
poveretto. Provarono pena. Benn un po’ meno in realtà, ma non era mai stato il
tipo da mozzare arti a persone così indifese, tanto più se avevano detto la
parola magica: tesoro.
–
E dove sarebbe questo tesoro? – aveva domandato gentilmente Shanks.
–
Miguel… Miguel ha la mappa. Ha la mappa del geologo. La mappa del geologo con
tutti i rilevamenti! Papà era il geologo. Tanti anni fa… tanti anni fa…
–
È una bugia? –
–
Miguel non dice le bugie!! – scoppiò in lacrime, così forte che Beckman non
potè fare altro che mollare la presa e lasciare che si accasciasse al suolo.
Diamine, dovevano avergli fatto una paura tremenda. – Miguel vuole vivere… –
–
Ci vuoi dare la mappa? –
–
È nel primo cassetto del comò di Miguel! Nel primo cassetto… – poi sembrò
spegnersi. – Miguel vi da la mappa, e voi non tagliate un braccio a Miguel. –
aveva detto serissimo, alzando il capo. La voce era profonda, scrutava Shanks
con degli opachi occhi azzurri che dovevano aver visto giorni migliori.
–
Miguel ha la parola del capitano – accordò il Rosso.
Seguirono
il borseggiatore in un dedalo di vicoli bui, dove puttane brutte oltre ogni
dire si affacciavano e li salutavano, gli uomini si chiudevano dietro porte
sverniciate, i bambini erano magri e pallidi. Sarebbe stata una trappola?
Improbabile, aveva detto Beckman. E, anche se lo fosse stata, difficile che dei
pirati come loro non riuscissero a cavarsene fuori.
La
mappa fu consegnata loro dalle mani tremanti di Miguel, che aveva fatto loro
strada fino a dentro la sua casa, un monolocale sotto il livello della strada
dove c’erano solo un letto, una cucina a gas e un comò. L’odore di urina era
rivoltante, il lerciume si accumulava negli angoli e i pirati non vedevano
l’ora di uscire all’aria aperta.
Una
volta che la mappa fu in mano a Shanks, Miguel li aveva sbattuti fuori casa
senza degnarli di un’altra parola.
–
Ma questa non è una mappa – aveva subito notato Lucky Lou prendendola in mano.
In
verità la mappa c’era, sull’ultimo dei cinque fogli spillati insieme che erano
stati loro consegnati. Fogli pieni di numeri, di grafici, di schemi e di
relazioni. Erano timbrati, e sembravano avere carattere ufficiale.
–
È una perizia geologica – aveva letto Lucky. – La perizia geologica di una
concessione mineraria! – aveva esplicato.
–
Una miniera di cosa? –
–
Diamanti!
E
invece niente. O quella perizia era decisamente errata, o era uno scherzo
arrivato per chissà quale destino nel primo cassetto del comò di Miguel. I
ragazzi del Rosso salparono da quell’isola quella sera stessa, ben intenzionati
a cercare qualche isola estiva dove smaltire la delusione.
~
Dieci anni dopo…
Quindici uomini in fila
per uno formavano una colonna che si snodava lentamente su un antico sentiero
di montagna. Il primo in testa era un grosso quarantenne calvo e scuro di
carnagione che faceva strada al resto del gruppo a colpi di machete, tagliando
le piante che coprivano la via. Ogni tanto nella fila qualcuno notava i sassi
del selciato messi lì dagli abitanti dell’isola prima che morissero tutti
improvvisamente. Trasportavano pale, picconi, casse di attrezzi; con loro
marciavano muli e cavalli che trasportavano viveri e medicinali.
Yama Sabmei arrancava
lungo il sentiero impervio, aggrappato al suo bastone. Certo le sue gambe non
erano quelle di sessant’anni prima, e forse avrebbe potuto concedersi una pausa
ma no, aveva atteso troppo, voleva soltanto riprendere il posto che gli spettava
e riscuotere il suo debito col passato. Le sue magre ginocchia urtavano
mollemente la lunga barba candida che si ostinava a non tagliare, e si
impigliava nei cardi e negli arbusti bassi che invadevano il percorso non
sgombrato a sufficienza dai machete della sua squadra di recupero.
–
Padron Yama! – fece un uomo alto e forte, dall’accento del Mare Meridionale –
Siamo sicuri che questa sia la strada giusta?
–
Certo che lo è – rispose sicuro Yama. Poi guardò verso l’alto: il “profilo del
poeta” li guardava superbo. – Vedi quella costruzione a metà della montagna?
Tieni gli occhi fissi su di essa, ragazzo. È la nostra meta. –
Dietro le quinte... Bentornati all'ascolto cari putrescenti amici di Radio Canadair, qui è l'autrice che vi parla dal suo oscuro antro! Grazie per aver aperto la mia nuova long (non sarà tanto long, però: sono preventivati meno di 15 capitoli). Questo è solo il prologo, un assaggino, un boccone, non un pasto completo, ed è ambientato, almeno nella prima parte, una manciata di anni dopo l'esecuzione di Gol D. Roger, agli inizi della carriera di Shanks come capitano, ma dal prossimo capitolo ritorneremo al futuro! Appuntamento con il primo capitolo la prossima settimana! Grazie ancora e a risentirci! Yellow Canadair
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Capitolo 2 *** Mugiwara do it better ***
[zipedit] Mugiwara do it better
Si
diventa pirati per sete di libertà. Per voglia di avventura. Per amore del mare
e del vento, per vivere con i propri amici e cantare tutte le sere, combattere
spalla a spalla, prendersi cura l’uno dell’altro quando qualche maledetto
proiettile è più veloce di uno scudo.
Si
diventa pirati perché ormai non si ha più una famiglia da cui tornare, perché
quelli che sono garanti del bene sono le stesse persone che hanno sterminato
tua madre e tuo padre, si diventa pirati perché ti accorgi che vivere su un’isola
non basta più: vuoi tramonti rossi e oro, vuoi sere nere in cui lasciarti
cullare dal suono malinconico dell’armonica, vuoi chiamare casa una nave che ti porterà in capo al mondo, vuoi vivere tutta la
vita.
E si
diventa pirati perché certe cazzate, quando hai un gruppo di amici, riescono
meglio.
Usop
si era appena svegliato e, come ogni mattina, era in piedi davanti allo
specchio ad aggiustarsi la grande massa di ricci che lo contraddistingueva.
Accidenti se si erano fatti lunghi! Durante i due anni di allenamento non aveva
avuto proprio il pensiero di tagliarli, e ora si ritrovava con un cespuglio che
però, nonostante tutto, gli piaceva. Era bello scorrere le dita fra i ricci
scuri e sentirli molleggiare ad ogni movimento del capo.
Ma
era un cecchino, e non poteva permettersi ostacoli davanti allo sguardo, così
per la maggior parte del tempo li portava raccolti.
E
mentre era intento a legarli, l’occhio gli cadde sulla maglietta che usava come
pigiama, senza riuscire a reprimere un sorriso: sul petto campeggiava la
scritta “Mugiwara do it better”. Ognuno
ne aveva una, avevano deciso di farsele stampare su una piccola isola su cui avevano fatto tappa poche settimane prima. Nami l’aveva reputato uno spreco di soldi, ma
visto che persino Nico Robin aveva sorriso a quella goliardata aveva finito con
l’acconsentire.
– “Fanno meglio” cosa? – aveva chiesto Rufy
spaesato, inclinando la testa di lato e accudendo con amore le proprie caccole.
I suoi amici si erano trovati molto spesso davanti
alla sua ingenuità, ed era stato Sanji a risolvere la questione – Mangiare, no?
– aveva detto con un bel sorrisone.
Inutile insistere, l’argomento non era tabù, erano
tutti belli grandi, però… lui non lo capiva. E sì che durante i due anni di
allenamento era stato con quel grandissimo dongiovanni di Silvers Rayleigh!
Motivo in più, oltre alla faccenda delle Amazzoni, che aveva il povero cuoco
per rodersi il fegato: non solo aveva la pratica a disposizione, ma pure la teoria
di un luminare del settore!
Usop si lavò la faccia con l’acqua concessa dalla
brocca che ognuno di loro aveva a disposizione per la propria giornata e uscì
sul ponte, felice in cuor suo per quella tranquilla giornata di navigazione
dopo la loro ultima avventura su un’isola che ormai era un lontano ricordo.
Se solo ci pensava, gli si rizzavano i peli sulla
schiena dalla paura! Paura per i suoi compagni, eh! Mica per la propria
incolumità. Questi lettori, sempre a pensar male di un onesto cecchino!
Sulla Sunny nessuno dormiva moltissimo; era uno
degli aspetti negativi dell’essere solamente in nove: tra chi doveva manovrare
la nave e chi doveva stare di vedetta, i turni si avvicendavano rapidamente e
non sempre era possibile dormire per una notte intera, anche se grazie ad una
tabella oraria studiata con criterio da Nami era stato fatto in modo che ognuno
avesse, a rotazione, una nottata libera da turni da poter passare in
tranquillità.
Andare per mare era difficile e la navigazione non
sempre tranquilla, ma grazie a Franky lo spazio vitale, seppur comunque
ristretto, si era decisamente allargato rispetto a quando vivevano sulla Merry.
Guardò una foto della loro prima caravella che aveva attaccato accanto allo
specchio del bagno, sospirando al ricordo. Era stata una compagna, per lui. Una
vera amica, un’entità di cui potersi fidare, e sembrava di poterle parlare in
quelle lunghe ore passate a ripararla, dove non aveva idea di cosa stesse
facendo mentre impeciava assi e batteva chiodi… ma lo faceva, sentiva il dovere
e il bisogno di fermare con le proprie mani il tempo che scorreva inesorabile
lungo i fianchi malmessi della nave che il domestico Merry aveva messo nelle
loro maldestre mani.
Era stato il momento peggiore in quella strana
famiglia. Non avrebbe mai voluto combattere contro Rufy, ma per la Going Merry
l’aveva fatto. E poco c’era mancato che vincesse anche, ma si sa che molto
spesso non conta chi esca vittorioso dallo scontro: conta solo combattere, e
far capire all’avversario che non mollerai finché avrai un grammo d’energia in
corpo.
Poi era bastato poco a chiarirsi; del resto tra
compagni ci si capisce subito.
Ormai erano tre anni che quel meraviglioso
brigantino era la loro casa, e la bravura di Franky era stata anche nel
prevedere le loro esigenze non solo come naviganti, cosa che comunque ci si
aspetta da un carpentiere degno di tale nome, ma anche e soprattutto come
persone.
La palestra di Zoro era efficiente, e il pavimento
rinforzato per i bilancieri più pesanti.
La cucina di Sanji era ben ponderata, con le
“isole” per appoggiare le pentole e abbastanza lavelli per lavarle tutte. I
pensili, poi, non si contavano, così come i fornelli, e un grande frigo e un
bel congelatore garantivano una scorta sufficiente per nove… pardon,
otto stomaci.
La biblioteca era meravigliosa, ma anche la camera
di Robin (e solo la sua) aveva uno scaffale speciale per riporre i libri, con
tanto di listello per farli star buoni sulle mensole anche durante le boline
più strette.
Lo studiolo di Nami era impressionante, con il
tavolo da disegno professionale, inclinabile ed enorme che campeggiava sotto un
oblò gigantesco. Nessuno aveva mai avuto l’onore di vederla al lavoro, in
quanto preferiva assoluta tranquillità e guai a non garantirgliela, ma non era
difficile immaginarsela immersa nei propri disegni seduta a quello spettacolare
tavolo degno di uno studio di architetto.
L’infermeria era un prodigio della tecnica,
insonorizzata come la camera di Brook per far riposare in tranquillità i
convalescenti, armadietti erano in materiali facili da pulire e disinfettare,
il tavolo operatorio dall’altezza era regolabile, e ci erano voluti giorni
perché Chopper smettesse di ringraziare Franky in lacrime.
Ma la cosa più bella, nonostante la perfezione che
aveva reso l’ambientarsi più semplice, era il concetto stesso di vivere in
quella che consideravano una vera casa. Svegliarsi la mattina e andare in
cucina. Sapere dove trovare pentolini per il latte e macchinetta per il caffè
anche se Sanji non era disponibile, e cucinare disastri nucleari improponibili
(o ottimi lassativi?) che venivano gettati fuoribordo. Aprire un armadio
sapendo che le lenzuola per il cambio fossero lì. Ritagli di giornale attaccati
ai letti, l’odore di rhum sul tappeto dell’acquario per quella volta che Chopper
lo volle provare ma rovesciò il bicchiere, le coperte riposte in un baule sul
ponte che si portavano a vicenda la notte, quando faceva freddo e le vedette
erano in difficoltà.
La Sunny era il posto sicuro dove tornare alla fine
di un’avventura.
Era casa.
Il Cecchino salì in coperta, trovandosi sul tappeto
erboso del ponte centrale.
– PALLA! –
Prima di quell’esilio forzato a Greenstone si
sarebbe preso una sonora pallonata in faccia che gli avrebbe dato un naso di
dimensioni comuni, adesso però i riflessi allenati dalla permanenza nella
giungla gli permisero di afferrare il pallone di cuoio con le mani quasi senza
danni.
– Rimessa laterale! – gridò Sanji sotto l’albero
maestro, invitandolo ad unirsi al gioco. Usop fece un paio di palleggi di
destro e poi rispedì la palla al cuoco. In porta, sotto al cassero, c’era Rufy:
era un portiere formidabile, anche se durante le partite cercava di non usare
il suo frutto: sarebbe stato imbattibile, e anche scorretto. Dal canto suo,
Sanji si asteneva dal suo micidiale Diable Jambe, che avrebbe irrimediabilmente
rovinato il pallone. E poi va’ a convincere Nami a comprarne un altro!
Chopper faceva il tifo per tutti sbocconcellando
dei pancake messi da parte la sera precedente. Esultava per i gol di Sanji
nella porta immaginaria disegnata col gessetto contro la paratia di legno, e gioiva
per le parate di Rufy; tratteneva il fiato quando la palla non diventava che
una macchia d’arancione in mezzo al blu, finché le braccia elastiche del
capitano non la riportavano in lidi più sicuri.
Si erano finalmente riuniti dopo un’avventura,
quella a Dressrosa, che li aveva visti separati per un periodo relativamente
breve ma che a loro sembrava essere durato più di un biennio. Quello che
volevano era continuare per la loro rotta fino all’isola successiva, l’ennesima
tappa per raggiungere Raftel.
Nami controllava la rotta. Era così sovrappensiero
quella mattina che non era uscita dal suo studiolo nemmeno una volta per
minacciare i “calciatori” di bucar loro il pallone per l’ennesimo violento e
rumoroso rimbalzo. Troppi conti non le tornavano nemmeno un po’: come al
solito, una volta nella Rotta Maggiore, la rotta da seguire era a discrezione
dei naviganti che la decidevano a seconda dei movimenti dei Log-Pose. Rufy
aveva scelto la strada più turbolenta, quella che preannunciava morte e
distruzione, ma la navigazione per il momento era tranquilla: zefiri dolci
sospingevano il brigantino, le vele erano pigramente gonfie, dall’acqua con
salti gioiosi facevano capolino delfini argentei e pesci colorati, nemmeno
fossero stati nell’All Blue di Sanji. “Tutto troppo bello”, pensava la
navigatrice, sospettosa per natura.
Controllava e ricontrollava le cartine, ma essendo
lei stessa un pioniere della topografia non aveva esempi illustri con i quali
paragonare il proprio lavoro e doveva procedere a tentoni; stava ultimando la
cartina di Dressrosa e aggiungendo Zou al suo atlante personale quando un grido
la distrasse più di quanto avrebbero fatto le pallonate:
– Terra! Terra a dritta! –
La voce baritonale di Zoro sembrava scuoterle le
spalle, come a ridestarla, e si precipitò all’aperto. Con il mollettone per i
capelli in bocca salì le scale che portavano al ponte di prua e, giunta accanto
a Rufy, si sistemò la chioma in una crocchia disordinata, con le ciocche
ondulate e ribelli che danzavano attorno alla testa. Appena vide che aveva le
mani libere, Franky le passò il cannocchiale d’ottone.
– Mi sembra ancora lontana – azzardò il cyborg,
serio.
– Con questo vento arriveremo lì per domani
mattina, sul tardi – confermò Nami. – Il vento non è a sfavore, ma le correnti
ci portano troppo verso est. – disse.
– E se la raggiungessimo con la Mini Merry? –
propose Rufy. – È più veloce della Sunny!
– No! – esclamò categorica Nami, irritandosi e
rifilando a Rufy una botta in testa con il giornale del giorno arrotolato – Hai
scelto la rotta più pericolosa, ti ricordi?! Arriveremo in quell’isola tutti
insieme, qualsiasi cosa ci sia laggiù io non intendo rischiare la vita perché
mezzo equipaggio non poteva aspettare qualche ora! Chiaro?! –
Come arringa parve a tutti convincente, e Rufy non
obbiettò, limitandosi a fissare l’isola in lontananza dal suo punto
d’osservazione preferito, la testa della grande polena a forma di leone.
Ognuno, in vista dello sbarco che sarebbe avvenuto
l’indomani, si preparò al meglio: Sanji in cucina si stava organizzando per
preparare i suoi famosi cestini, Nami osservava il profilo dell’isola
imprimendoselo in memoria per i successivi disegni. A tendere l’orecchio, si
sarebbe potuta sentire la mola che affilava le lame di Zoro e di Brook, e
Franky in officina che batteva e batteva chissà qualche chiodo, perfezionando
qualche arma che avrebbe sorpreso tutti di lì a poco. Usop controllava i
rifornimenti di semi velenosi con le mani tremanti (ma era per uno sbalzo di
pressione, mica per la paura!).
– Chi scenderà a terra, oltre a Rufy? – domandò nel pomeriggio
Usop, che già si era messo a capo del drappello che avrebbe sorvegliato la
Thousand Sunny mentre altri sarebbero andati in esplorazione. Il sole si
abbassava placido sul mare, e si erano tutti ritirati sottocoperta perché fuori
spirava un vento gelido, segno che si stavano avvicinando ad un’isola autunnale
o addirittura invernale.
– Io, Zoro e Nami. – rispose Franky accordando la
propria chitarra, seduto su uno dei divanetti della sala dell’acquario.
– Come tieni le dita? – domandò lo scheletro
canterino, indicando le dita del carpentiere sulla tastiera della chitarra. O
meglio: indicando le dita delle manine bioniche che uscivano dalle enormi
mani metalliche che il carpentiere si era impiantato, che premevano
le corde formando un accordo che nemmeno lui, musicista, aveva mai visto.
– Oh, questo – arrossì Franky – È il sol…
non sono mai riuscito a farlo come tutti!
Brook era il musicista, su questo non ci pioveva, e
il suo talento era indubbio; ben pochi erano gli strumenti che non sapesse
suonare e la sua età avanzata gli dava un’esperienza in merito che nessun altro
compagno poteva vantare. Però anche Franky sapeva suonare la chitarra, e spesso
succedeva che suonassero insieme, anche se la formazione accademica dello
scheletro spesso cozzava contro l’autodidattismo del cyborg.
– Oh, Franky! – gioì Chopper – Sei stato bravissimo
ad imparare da solo… sei un genio! io senza il Dottor Hillik e la Dottoressa
Kureha sarei riuscito a combinare ben poco!! – disse estasiato.
– Autodidatta vuol dire che sai poco, e quel poco
che sai probabilmente è pure sbagliato! – rispose schivo il carpentiere
arrossendo di nuovo come un bambino al complimento.
– Sciocchezze – si intromise Robin, di passaggio
verso la cucina dove avrebbe messo su del caffè. Franky sollevò lo sguardo in
direzione dell’archeologa, ma lei era già sparita.
– Esattamente, Robin cara! Ora se cortesemente
potrei vedere le tue mutan-
– Com’era l’accordo, Brook? – domandò il cyborg con
voce leggermente più alta. Ci fosse stata Nami, un bel pugno in testa non
gliel’avrebbe levato nessuno, ma Franky era decisamente più pacato; senza
contare che un suo pugno avrebbe polverizzato quelle ossa.
D’un tratto, la nave fu scossa da un sobbalzo che
fece andare a tutti il cuore in gola dalla sorpresa; Robin tornò nella sala dell’acquario
dov’erano gli altri, ma nessuno ebbe tempo di aprir bocca che un secondo
sussulto, più forte, fece cadere dalla sedia Usop e Brook.
– Un Re del Mare! – esclamò Franky alzandosi –
Stasera super-grigliata! – e infilandosi gli occhiali da sole corse in coperta.
Quando il carpentiere fu all’aperto, vagò con lo
sguardo per il mare attorno alla Sunny senza però scorgere pinne né squame.
– L’hai sentito?! – gli urlò Sanji scendendo agile
dalla sartia della vela maestra.
– Certo! – rispose Franky – Dov’è? – chiese,
immaginando che grazie all’Ambizione dell’Osservazione i suoi compagni avessero
già individuato il nemico.
– Non lo vedo! – dichiarò Zoro arrivando da poppa e
fermandosi al centro del ponte. Il terzetto fu raggiunto da Rufy.
Il Capitano aprì la bocca per dire qualcosa, ma la voce
gli morì in gola quando un potente “crack” arrivò da sotto i loro piedi,
facendo tremare il robustissimo legno della nave.
– Non è un Re del Mare – ringhiò Sanji
affacciandosi al parapetto di prua.
– E secondo te che sarebbe?? – rispose Zoro
cercando di prendere in mano la situazione.
Rufy avrebbe dato battaglia all’istante, di
qualsiasi cosa si fosse trattato, ma combattere contro qualcosa che non si può
vedere e che per di più è sotto il mare era un tantino al di sopra anche delle
sue capacità.
– E se fosse un sottomarino come quello di Traffy? –
azzardò il capitano.
– Sarebbe un super-problema perché non abbiamo
cannoni che puntino in basso – si rammaricò Franky.
– Rufy, l’Ambizione, cazzo! – risolse Sanji.
Cappello di Paglia annuì, e l’attimo dopo quel raro
potere che lo caratterizzava scosse il mare come un’onda sismica; qualche
secondo più tardi, vennero a galla pesci più o meno grandi che avevano
risentito dell’urto.
I pirati si guardarono a vicenda rilassandosi, ma
un altro colpo sordo investì la nave, facendola beccheggiare violentemente
verso tribordo.
– Non ha funzionato?! – esclamò sorpreso Zoro.
Nami uscì sul ponte furibonda: la nave le
continuava a scricchiolare sotto i piedi, il mare si stava increspando all’improvviso
senza che il vento fosse minimamente cambiato.
– Franky! Coup de burst! Dobbiamo levarci da qui!! –
prese le veci del capitano.
– Agli ordini – il carpentiere corse ad azionare il
meccanismo richiesto, quando un sinistro scricchiolio percorse la nave dalla
poppa alla prua, e improvvisamente il mondo per i ragazzi sembrò inclinarsi,
erano sul punto di ribaltarsi.
All’interno della nave Nico Robin aveva intessuto
con i propri poteri una rete di braccia e di mani che Chopper, Brook e Usop
stringevano gridando di terrore.
Il pavimento della sala si era spaccato e l’acqua
zampillava dalle crepe, la parete dell’acquario minacciava di cedere inondando
tutta la sala.
– Cercate di risalire in coperta! – disse imperiosa
l’archeologa sovrastando le voci isteriche. Altre mani e altre braccia
spuntarono in un turbinio di petali, trasportando tutti ai piani superiori.
Arrivarono sul ponte inclinato ormai quasi di
quarantacinque gradi, tra grida di disperazione e di rabbia; la Sunny sembrava
sconvolta da un terremoto che proveniva da sotto al mare, e la prima cosa che
Robin sentì quando fu all’aperto fu la voce di Franky che diceva: – IL SISTEMA
DI COMANDO È ANDATO! – il che, pensò, significava che sarebbero morti tutti.
– Spieghiamo le vele! –
Ma proprio mentre Zoro e Usop stavano salendo su
per le sartie, con un crepitio assordante l’albero maestro si spezzò a metà
altezza e cadde all’indietro, sull’osservatorio, con un’esplosione di vetri che
graffiarono il cuore dei Mugiwara.
– Il dock system! – risolse Franky – Lo Shark Submerge
e la Mini Merry hanno abbastanza potenza per fare da rimorchiatori. Se
raggiungiamo quella zona – indicò con il dito un punto verso est, dove il mare
era molto più calmo – Possiamo salvarci! –
In quel momento, con un rumore sordo di travi spezzate
e metallo incrinato, l’erboso ponte principale si spezzò in due, la prua e la
poppa si allontanarono, il mare mugghiava minaccioso intorno a quella che da
brigantino stava diventando una bara.
Monkey D. Rufy decise, all’improvviso e d’impulso
come suo solito; una decisione che mai avrebbe voluto dover prendere, e che mai
si sarebbe aspettato di dover affrontare. Non così presto almeno, e non contro
un nemico invisibile che stava facendo a pezzi la loro nave sotto i loro occhi,
senza che riuscissero a farci niente. Lui amava viaggiare libero, e amava
rincorrere il suo sogno; la Thousand Sunny era l’unico mezzo al mondo che gli
avrebbe permesso di arrivare a Raftel. Ma altrettanto preziosi erano i suoi
amici, senza i quali non avrebbe avuto senso arrivare alla fine della Rotta
Maggiore. Allungò un braccio verso la cima del moncone dell’albero maestro,
strappando la vecchia bandiera dal pennone.
– ABBANDONARE LA NAVE! –
Tutti si voltarono di scatto verso di lui, ma il
giovane capitano strinse i denti e continuò: – Manovra d’emergenza! Tutti nel
dock system! ABBANDONATE LA NAVE! –
– Rufy, non possiam-
balbettò Nami spaventata.
– Nami. – Zoro le
mise una mano sulla spalla, interrompendola. Sapeva che Rufy stava accantonando
qualsiasi sogno per dare la precedenza alle loro vite. – Ognuno prenda il
proprio compagno! – tuonò lo spadaccino.
Quella che Rufy
aveva chiamato “manovra d’emergenza” era qualcosa ideato di notte, quasi in
segreto, per timore che chissà qualche forza sovrannaturale lo venisse a sapere,
forse per antica scaramanzia, forse perché i Mugiwara non avevano nessun
piacere nell’affrontare la questione. In caso di naufragio, ogni membro che non
aveva mangiato un Frutto del Diavolo doveva occuparsi di un compagno che,
invece, non era refrattario all’acqua di mare. Zoro, sia per una questione di
fisicità che per la propria lealtà, si sarebbe fatto carico di Rufy; Sanji,
nonostante avrebbe voluto soccorrere una delle sue dee, alla fine acconsentì ad
occuparsi di Brook; Chopper, che era il più leggero, sarebbe stato aiutato da
Usop mentre a Nico Robin avrebbe pensato Franky. Nami rimaneva spaiata, ma
Franky e Sanji si erano accordati affinché fosse aiutata da loro. Insomma,
nessuno doveva rimanere isolato.
Purtroppo era venuto
il momento di usare quel piano.
Mentre tutti
prendevano per mano il compagno assegnatosi, il sole ad occidente si oscurò, e
una grande ombra venne proiettata sui pirati.
Tutti si girarono
all’improvviso e videro un’immensa parete d’acqua che torreggiava sulla nave.
– È un’onda di maremoto
– sussurrò Nami pallida.
– Non ce la faremo… –
le fece eco Usop.
Si estendeva per
chilometri, e nel panico generale non si erano accorti della profondità del
mare che si era improvvisamente ridotta. La sua cresta era bianca e lontana,
più in alto del pennone superstite, il suo colore blu petrolio. Un velo di
acqua e di morte che avrebbe avvolto i corpi dei naviganti come un sudario.
Un silenzio di tomba
gelò la nave, Zoro corse a prua, sguainò le spade, saltò.
– NO! ZORO! –
Le spade lacerarono l’onda,
ma non poterono nulla contro le due cortine d’acqua che si abbatterono
pesantemente a destra e sinistra della nave. Il legno si spezzò, le vele si
lacerarono e tutto si tinse di nero davanti agli occhi dei coraggiosi pirati.
Dietro le quinte... Yeee sono tornata! Ce l'ho fatta ad aggiornare! Mi scuso per il ritardo, purtroppo sono in periodo d'esame e ho altre -troppe altre- fanfiction per la testa.Spero che il capitolo vi sia piaciuto, se notate errori o refusi non vi fate scrupolo a farmelo notare nelle recensioni. Se l'affondamento della Sunny vi sembra forzato e innaturale, e non avete capito cosa diavolo sia successo, siete in buona compagnia perché nemmeno i poveri Mugi l'hanno capito. Ma tutto si spiegherà a tempo debito, non preoccupatevi: una ragione c'è, e tiene conto della famosa resistenza dell'Albero Adam. Vi dò la buonanotte! Yellow Canadair Edit: l'idea della maglietta con la scritta "Mugiwara do it better" e la conseguente scena iniziale con Usop è ispirata a questa fanart, la cui autrice è Screaming_Banshee.
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Capitolo 3 *** Nel nero dell'oceano ***
Nel nero dell’oceano
Calava la notte su un mare tenebroso e liscio come olio, al
termine di una giornata tragica come poche. Il cielo si tingeva di rosso e di
viola, il sole scomparso all’orizzonte ancora illuminava fiocamente l’oceano
che diventava sempre più nero. I naufraghi venivano sollevati dai marosi, le
mani si serravano tra loro in attesa che quel movimento dell’acqua simile ad un
respiro cessasse.
Nessuno osava parlare. I piedi si dibattevano sott’acqua per
rimanere a galla, i ragazzi nuotavano sovrastando un abisso nero di cui non si
vedeva il fondo.
L’unico rumore che si sentiva era il continuo e penoso
piangere di un uomo che aveva appena visto morire sua figlia. Disperato, se
l’era vista portare via da un mostro che nessuno comprendeva bene, che nessuno
era riuscito a vedere, che nessuno era riuscito a combattere.
Era successo tutto così in fretta che non avevano nemmeno fatto
in tempo a scendere nel soldier dock system per scappare via con la Mini Merry
II. La nave si era spezzata in due e, prima che cominciasse ad inabissarsi,
Franky aveva visto i canali, ormai scoperti, perire agonizzanti mentre il mare
li inghiottiva.
Aveva visto la sua vita scivolare nel buio del mare assieme
allo Shark Submerge.
E al Waver di Nami.
E alla Mini Merry II.
La Thousand Sunny riposava, violentata, in un mare nero e
profondo. Non l’avrebbe vista mai più. L’avventura era finita e la
responsabilità di quella tragedia era solo sua: non solo la sua creatura non
sarebbe più diventata la nave del Re dei Pirati, ma aveva messo a repentaglio
la vita della sua famiglia a causa della sua superficialità.
Franky non se lo sarebbe mai perdonato.
Il grande cyborg piangeva aggrappato al relitto più grosso
che erano riusciti a trovare. Sopra erano stati deposti Nico Robin e il corpo
di Brook, la cui anima vagava lì attorno per cercare i dispersi. Rufy non aveva
voluto saperne di mettersi al riparo dai flutti, ed era aggrappato al rottame
galleggiante accanto a Franky, sorretto da Sanji.
Chopper, nella sua forma più piccola, si stava occupando dei
feriti: le onde che, nonostante l’intervento di Zoro, li avevano travolti,
avevano scaraventato loro addosso legno, metallo e detriti. Il piccolo dottore
era riuscito a proteggersi sfruttando il suo guard-point, almeno fino all’ingresso in acqua. Poi,
fortunatamente, Franky l’aveva acchiappato al volo assieme a Nico Robin, ed
erano riusciti in qualche modo a cavarsela nonostante la donna avesse riportato
un brutto colpo alla spalla destra nel tentativo di evitare che una trave
travolgesse tutti e tre. La renna la stava medicando, con quel poco che c’era
con loro, togliendole la stoffa lercia dalla ferita e facendole vento con
l’hawaiana di Franky.
Quando aveva realizzato che la “Manovra d’Emergenza” era fallita
miseramente, Sanji si era gettato alla ricerca disperata di Nami, ma la visione
del suo capitano che perdeva le forze in mezzo all’acqua lo aveva fatto desistere
dalla ricerca ed era corso in suo aiuto prima che il mare avesse la meglio sul
Frutto del Diavolo. L’albero di mezzana gli era franato in testa ed era stato
medicato con la bandiera, ma tutto sommato era vivo.
– Yoho! Eccomi! – una voce
proveniente dall’alto fece voltare la testa a Chopper e Sanji. Non era una
risata, quanto un richiamo: Brook era tornato.
– Ehi! Ci siete tutti? – la voce
di Zoro arrivò, e stavolta persino Sanji fu felice di sentirla.
Dopo essere saltato verso prua per
tagliare l’onda anomala che stava per travolgerli, dello spadaccino non era
stata vista l’ombra. Quando Rufy, Sanji, Chopper, Franky e Nico Robin si erano
riuniti era stato deciso di mandare l’anima di Brook in giro per cercare di
recuperare gli assenti.
Lo spadaccino, sovrastato
dall’anima fluorescente di Brook, nuotava verso di loro a stile libero.
Sembrava illeso, e aveva con sé persino le spade che non sembravano
appesantirlo più di tanto, mentre invece si era sbarazzato dello yukata
fradicio.
– Manca qualcuno? – tuonò
avvicinandosi.
– Dove sono Nami e Usop? – capì
immediatamente lo scheletro, sussurrando con la sua voce spettrale – Torno a
cercarli –
– Ce la fai ancora? – si accertò
Sanji.
– Sono stato cinquant’anni
separato dal mio corpo… qualche ora non farà differenza. Trattatemelo bene – disse
Brook prima di volare via, brillando fioco nella notte che si avvicinava.
– Franky – sussurrò cauto il cuoco
– Se accendi le luci, per Brook sarà più semplice tornare indietro.
– Rufy! – esclamò lo spadaccino
nuotando fino al suo capitano – Cerca di issarti su! Via dall’acqua!! – lo
spronò il vicecomandante.
– No, Zoro – sussurrò debole Rufy
con un sorriso spento – Va bene così, non ti preoccupare! –
– Teme che, se sale, si ribalti il
relitto – spiegò Sanji in vece di Cappello di Paglia – Preferisce dare la
precedenza a Robin, Chopper e Brook –
– Allora a lui penso io – tuonò lo
spadaccino portandosi al fianco del capitano, aiutandolo a reggersi al precario
pezzo di legno.
– Andrà tutto bene – sorrise
indomito Cappello di Paglia, sorridendo e mostrando il pollice alto – Siamo
pirati! Ce la faremo! Ce la faranno anche Nami e Usop, ne sono sicuro! –
Il sole aveva ceduto il passo
all’oscurità più totale.
Una brezza fredda si era sollevata
insistente e increspava l’acqua.
I ragazzi rabbrividirono,
stringendosi vicini. Nico Robin, sul relitto, si era addormentata seduta contro
Chopper in guard point, e Rufy, stremato, era stato issato vicino a loro
quando ormai non poteva più nemmeno ribattere.
Zoro e Sanji galleggiavano vicini,
la voglia di litigare sembrava essere affondata con la nave. La piccola renna
aveva svolto la bandiera che cingeva la testa di Sanji per dare un’occhiata
alla sua ferita e ora il drappo copriva Nico Robin addormentata.
Avevano pensato di procedere verso
oriente, in fondo seguendo il log pose stavano andando in quella direzione, ma
cominciare a muoversi avrebbe significato abbandonare Nami e Usop. Anche se, a
causa delle correnti, loro si stavano già muovendo.
– Aspettiamo che torni Brook – disse
Rufy con un filo di voce, ma indubbiamente deciso – E poi andiamo verso la
prossima isola.
Tutti sospirarono pesantemente,
senza ribattere. Faceva freddo, si era sollevata una brezza fresca che faceva
arricciare le onde dell’oceano. Franky galleggiava sulla schiena, reggendo il
corpo di Brook e le katane di Zoro, con la testa svuotata di ogni pensiero. Aveva
acceso i suoi capezzoli come un faro per Brook, che era ancora in giro a
cercare Nami e Usop.
Il peggio, lo sapevano tutti,
sarebbe arrivato quando, l’indomani, il sole avrebbe arso spietato sulle loro
teste.
~
– Nami! Nami dove sei?? – la voce
terrorizzata del cecchino corse sul mare, disperdendosi nel nulla.
– Sono qui, calmo – riemerse la
ragazza, che non aveva fatto altro che andare per un attimo sott’acqua con la
testa reclinata all’indietro per togliersi dal viso ciocche di capelli
incollate dall’acqua.
– Non andare da nessuna parte!! –
la pregò Usop afferrandola per le spalle e scuotendola.
– Dove accidenti vuoi che vada???
– si arrabbiò la navigatrice.
– Che facciamo, Nami? – piagnucolò
il ragazzo.
C’era poco da fare; prima che la
nave si spezzasse in due sotto i furiosi colpi di una sorte misteriosa, uno
degli alberi si era abbattuto sul laboratorio di Nami, che si trovava lì
vicino; la ragazza, per evitare che il pesantissimo pennone la travolgesse,
aveva fatto un salto all’indietro sulla scala dove si trovava ma, nel ricadere
per terra mentre il suo osservatorio veniva schiacciato, si era retta alla
balaustra delle scale; suddetta balaustra però, danneggiata, aveva ceduto sotto
il peso della ragazza, e Nami era caduta in mare.
Usop colto dal panico era corso
nella sua camera per recuperare tutto ciò che poteva prima dell’inevitabile
inabissamento che il suo pessimismo aveva già previsto con ampio anticipo.
Sulla strada per tornare in coperta era passato per la sala dell’acquario,
invasa dall’acqua a causa di crepe sul pavimento, e anche il vetro della vasca,
seppur rinforzato, era prossimo al cedimento. Cedimento che arrivò esattamente
mentre il cecchino era in mezzo alla stanza: sotto la pressione dell’acqua che
cadeva, il pavimento che già zampillava da parecchio ebbe il suo colpo di
grazia, e il ragazzo dovette ritenersi fortunato se aveva mantenuto i sensi
mentre veniva coperto da tonnellate d’acqua. Era riemerso pochi metri a poppa
della nave, aveva visto una macchia di capelli arancioni vicino a lui e aveva
fatto appena in tempo a raggiungerla prima che fossero travolti e spazzati via
dall’onda di maremoto che aveva distrutto la Sunny.
Nami, cercando di liberarsi dalla
mano dell’amico che le stringeva le dita in una morsa disperata, si guardò
attorno. – Eravamo in vista di un’isola, prima di naufragare – ragionò –
Seguendo il log pose possiamo tentare di raggiungerla. – concluse mostrando al
compagno lo strumento che aveva al polso.
– Ma senza una nave è impossibile…
– Qui però rischiamo di farci
mangiare dai Re del Mare, sai?
Usop cominciò a nuotare, lento ma
deciso, e Nami si avviò seguendolo sorridendo soddisfatta. Però era una
felicità destinata a durare non più di pochi secondi, il tempo perché nella sua
mente si facesse strada l’idea che aveva appena perso la sua casa, la sua
famiglia e il suo capitano.
~
Conoscendo la genialità di Franky
come carpentiere, per di più con una propensione particolare per modificare il
proprio corpo e renderlo più simile ad una macchina che ad una creatura
biologica, nessuno si stupì nel vedere che era attrezzato anche perché le sue
gambe, piegate, diventassero due eliche e che lui stesso, una volta distesosi
sulla pancia, potesse diventare il “Franky Warship I”. Aveva composto anche una
canzone per quando avrebbe mostrato quella prodezza agli amici, ma adesso il
cyborg non sapeva nemmeno se l’avrebbe mai più cantata.
Le luci dei capezzoli, adesso che
Brook era tornato a mani vuote, erano spente e sommerse.
Aveva navigato trascinando dietro
tutti, sia quelli che galleggiavano in autonomia sia i ragazzi che, dotati di
frutto del diavolo, erano stesi su un infimo relitto per non affogare. Avrebbe
voluto morire anche lui con la Sunny, e affondare con il suo sogno: il senso di
colpa per il fatto che la sua creatura non avesse retto a quelle misteriose
sollecitazioni che l’avevano distrutta era devastante. Ma come poteva lasciarsi
morire e abbandonare al loro destino i suoi amici, come poteva dire a Rufy “mi
dispiace, ma io mi fermo qui”? Come poteva stare inerme a sentire Chopper che
singhiozzava dicendo che a Robin stava salendo la febbre, e sotto il sole non
avrebbero avuto nemmeno dell’acqua per farla bere?
Aveva navigato finché aveva avuto
Cola in corpo. Aveva fenduto le onde finché le eliche non avevano smesso di
girare, con la sola idea che ad Oriente ci sarebbe stata una terra dove
depositare i suoi amici. Dopo cinque ore di corsa forzata, anche Sanji e Zoro
si erano messi ad aiutarlo, spingendolo con le gambe e andando avanti ancora
per due ore. Poi il sole era salito ancora, la Cola si era esaurita, e i
naufraghi si erano dovuti arrendere.
– Come sta? – domandò Sanji a
Chopper, riferendosi alla donna che respirava a fatica stesa sulle assi del
relitto. Le avevano arrangiato, con la giacca del cuoco, un piccolo riparo
perché almeno la testa rimanesse all’ombra.
– Posso fare poco – disse il
piccolo medico cercando di rimanere impassibile, ma i suoi occhioni erano pieni
di tristezza – È forte, e sicuramente riuscirà a sopravvivere… ma dobbiamo
portarla subito su un’isola! –
Quelle parole, unite al fatto che
la renna nel dirle si sforzava di non tremare per non spaventare la diretta
interessata, colavano come piombo fuso e bollente nel cuore degli uomini.
Erano in mare da quasi venti ore,
senza mangiare e senza bere. Parte della Cola era servita per alleviare la pena
di Robin, ma nessuno osava intaccare l’ultimo mezzo bicchiere che Franky aveva
conservato.
La notte che scese fu un balsamo
per i ragazzi, ma il freddo pungente che li colse fece loro quasi rimpiangere
di non essere stati uccisi dalla calura diurna. Al mattino continuarono con
ostinazione a nuotare quando furono raggiunti all’improvviso da un banco di
nebbia.
– E adesso? – fece Zoro.
– Rimanete vicini. – dispose Rufy –
Datevi la mano. Non dovete perdervi! –
Era come stare in una grande
nuvola densa.
– Ehi! Avete sentito? – Brook alzò
il capo dalla spalla di Franky che lo sorreggeva.
– Cosa? – fece il Zoro, con la
bocca impastata per la sete.
Tutti tesero le orecchie, in
attesa. Una nave di passaggio? Gabbiani? Se fossero stati gabbiani, avrebbe
voluto dire che erano vicini alla costa! E avrebbero potuto mangiarli,
considerò Rufy.
La nebbia cominciava a farsi
sempre più gelida, sembrava quasi penetrare nella pelle arsa di sale mentre i
ragazzi cercavano in quella coltre umida qualcosa che giustificasse
l’esclamazione del musicista.
– Brook, non si sente niente… –
sussurrò Chopper sudando freddo per la paura.
– Eppure io… – lo scheletro si
guardava attorno, ma non vedeva altro che grigio, e un disco bianco, il sole,
sopra la sua testa.
Thug thug thug…
– Ecco, di nuovo! – lo scheletro
si illuminò.
Tutti sollevarono la testa.
Stavolta era un rumore chiarissimo, veniva da nord ed era impossibile non
udirlo: sembravano…
– Rumore di pale – mormorò Franky
allarmato.
– Pale? – fece eco Zoro.
Robin sollevò una mano, e un suo
dito affusolato indicò un punto alle spalle di Sanji.
Una sagoma scura, non più alta di
due metri, si avvicinava verso di loro lenta e inesorabile. Zoro afferrò le
spade, Sanji si posizionò davanti al gruppo sul relitto, decisi a vendere cara
la pelle nonostante la debolezza, la fame e la disidratazione.
Poi però dall’oscurità emerse un
ventre rotondo, un lungo collo bianco, delle corna tondeggianti e un sorridente
muso di legno.
Franky pianse, coprendosi il volto
con le enormi mani. Se Sanji avesse avuto una sigaretta in quel momento, gli
sarebbe sicuramente caduta di bocca. Chopper, saltellando pericolosamente,
comunicava la notizia a Nico Robin che sorrideva con educazione, persino Zoro
non potè esimersi da un sorriso di gioia. Il sorriso di Rufy si aprì da orecchio
ad orecchio mentre il ragazzo gridò: – MINI MERRY! –
~
L’isola di Skye era immersa nel
suo solito cielo bigio, sotto la costante minaccia di nuvole cariche di pioggia
che facevano crescere rigogliosa una vegetazione di selci e sempreverdi. Nel
maniero sul crinale del monte che sovrastava l’isola, un uomo anziano stava
mangiando lentamente della cacciagione, fredda e sminuzzata, in una grande sala
da pranzo polverosa e spoglia, sebbene scaldata dalle fiamme di un camino.
L’uomo batté due volte la
forchetta sul fondo di porcellana del piatto.
– Pipe, dove vai? – muggì
voltandosi verso la porta di accesso alla sua destra.
Era un uomo alto e magro, avvolto
in un chimono bianco. Sulle spalle portava però una pesante coperta che
sembrava un mantello. Portava una lunga barba bianca, forse per compensare la
totale latitanza dei capelli dal cranio lucido.
– Sono appena tornata, signor Yama
–
– Brava ragazza – si complimentò
l’anziano cincischiando con la forchetta nel piatto freddo – Cosa stanno
facendo?
– Sono sbarcati. Hanno cominciato
a mangiare la sabbia della spiaggia. Io non credo sia buona… volevo dirglielo…
ma non mi hanno creduta, hanno continuato a mangiare la sabbia…
– Sei uscita dalla tua stanza?
– No, signor Yama. – ammise
serissima Pipe.
Pipe era una ragazza di forse
trent’anni. Era pallida e magra, aveva i capelli neri che crescevano
rigogliosi, legati con un nastro rosso poco al di sopra della nuca. Gli occhi,
di uno strano arancione, erano grandi e a volte sembravano velati, distanti,
opachi. Era vestita con abiti femminili, ma pesanti e adatti al clima umido e
rigido dell’isola. Appesa alle spalle aveva quello che sembrava un otre da cui
uscivano delle canne collegate fra loro da un cordino. Si aggiustò la gonna
sovrappensiero, prima di continuare: – Non sono uscita dalla stanza… ho paura
degli Altri. –
– Fai bene. Però adesso devi
andare a prenderli, vuoi? – le disse gentilmente Yama.
– Quali di loro? Quelli che
mangiano la sabbia o quelli della Baia del Morto? –
– I mangiatori di sabbia quanti
sono? – si informò Yama.
– Sono sette – contò lenta la
ragazza sulle dita – Anzi, sono sei: uno è già morto.
– Come fai a saperlo?
– Perché… – la ragazza si
intristì. – Ci sono solo le ossa –
– Valli a prendere, portali qua.
– Non voglio! – gridò Pipe – Ho
paura! Sono armati, vogliono ucciderci! Sono sbarcati dalla nave enorme, non
hanno bisogno di aiuto! Sono pirati… noi arrestiamo i pirati…
– Ma no, mia cara, tu parli dei
pirati alla Baia del Morto adesso! – la rimproverò Yama bonario – Devi prendere
quelli approdati in fin di vita che hai visto sbarcare ieri! Te li sei già
dimenticati?
– Quelli che mangiano la sabbia?
– Esatto, Pipe. Su, va’ prima che
cali la sera. –
Pipe, nell’uscire dalla stanza,
abbracciò l’otre che portava con sé e cominciò a suonare in una delle canne.
Yama sorrise mentre il suono della cornamusa riempì la casa di una melodia
malinconica e nostalgica.
Dietro le quinte... Ciao! Benritrovati e scusate il ritardo! Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, tragedia immane a parte. La storia è ispirata alla fanart che apre il capitolo, di SybLaTortue che trovate qui. Come avete trovato Rufy? Ammetto di aver avuto parecchi problemi a gestirlo, se lo trovate OOC o il comportamento vi sembra strano, non esitate a farmelo notare! Grazie mille! Ritroviamo inoltre Yama, che era già stato citato nel prologo, e Pipe. Loro sono i due OC di quest'avventura. Come avrete senz'altro notato, Pipe si comporta in maniera un po' strana, i suoi dialoghi appaiono confusi. Cosa ci sarà dietro alle sue frasi? Appuntamento al prossimo capitolo! Grazie mille, Yellow Canadair
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Capitolo 4 *** Una cornamusa ***
[zipedit] Una cornamusa
La Mini Merry II era apparsa dalla nebbia come una visione.
Inizialmente ognuno di loro aveva pensato che fosse un’allucinazione, il
desiderio che la loro antica nave venisse di nuovo a salvarli come era già
successo in passato.
Ogni pirata aveva guardato i compagni, per assicurarsi che
non fosse solo un personale miraggio dettato dalla pazzia che coglieva i
naufraghi dopo giorni sotto il sole. Ma i sorrisi, gli sguardi increduli e la
speranza che illuminava i volti dei sette ragazzi erano la migliore conferma
per quell’apparizione miracolosa: scampata chissà come al disastro, la Mini
Merry II era tornata a salvare i suoi compagni di ciurma.
In fondo, a Water Seven, Franky l’aveva detto chiaramente: «L’anima
intrepida di quella nave rivivrà nella Thousand Sunny»; l’idea che fosse stata
la nave madre morente a mandare quel satellite in loro aiuto non era da
scartare a priori: di miracoli legati alle loro navi ne erano già accaduti.
– Merry! – aveva gioito Chopper abbracciando il collo sinuoso
della scialuppa. Sanji con un agile balzo si era issato sulla Mini Merry II e
stava aiutando Franky con il trasferimento di Robin in un luogo più accogliente
e riparato dalle onde.
– Come hai fatto a trovarci? – aveva chiesto Rufy, che aveva
preso il suo posto sul sedile di prua e aveva recuperato le energie che l’acqua
di mare gli succhiava via.
La piccola barca dipinta di bianco era rimasta muta però, e stava
girando su se stessa come in balia di un debole mulinello. Franky, messo al
sicuro anche Brook, aveva notato quello strano movimento e il suo sguardo aveva
intercettato quello attento del cuoco.
Non era una corrente sottomarina a far muovere la barca.
– Non starà mica… – era impallidito Sanji, seduto accanto a
Robin e chino verso il carpentiere nell’acqua, sussurrando quelle parole perché
fosse solo l’amico a sentirle.
– Usop e Nami sono dispersi, Merry – aveva mormorato il
carpentiere accarezzando la prua della sua creatura.
La rotazione della barca si era fermata.
– Ehi! Franky! – la voce bassa di Zoro aveva interrotto
quella strana conversazione. – Proseguiamo? –
– Puoi salire anche tu –
Zoro aveva guardato dentro la scialuppa: erano già in cinque
a bordo. Sanji era sul sedile posteriorre, cavaliere per una principessa
ferita, e sulle sue ginocchia c’era Chopper, che faceva da morbido cuscino
all’archeologa. Davanti erano seduti Brook e Rufy.
– Ma Brook e Chopper non arrivano a pesare quanto un uomo
normale. Reggerà, tranquillo. Io rimango in mare.
~
Due giorni dopo, stravolti dal sole e dalla sete, i sette
pirati sbarcarono sull’isola di Skye, che era già stata avvistata da Nami nelle
loro ultime ore sulla Thousand Sunny prima che le correnti li mandassero fuori
rotta. Quando Franky vide in lontananza il profilo della montagna che ricordava
vagamente un volto umano, aveva strabuzzato gli occhi e aveva creduto fosse
soltanto un miraggio, un sogno. Aveva allertato Rufy, e poi si era unito anche
Sanji alla loro incredulità, e infine si era svegliato persino Zoro, ma non
c’erano dubbi: erano davvero arrivati vicino ad una terra emersa, finalmente
avrebbero potuto riposarsi senza la minaccia dei Re del Mare o di temporali improvvisi
che avrebbero ribaltato senza pietà la Mini Merry II.
– Siamo arrivati!! – esultò debole Rufy svegliando Brook e
Chopper – Scendiamo a terra! Scendiamo a terra! – con un entusiasmo smorzato
dalla grande stanchezza.
– Non può essere vero… – rantolò lo scheletro.
– Invece che annegati, potremo morire assaltati dagli
abitanti dell’isola – asserì debole Nico Robin con un sorriso.
– Come se glielo lasciassimo fare. Andiamo. – mormorò Zoro. Saltò
giù dalla Merry e, tuffatosi in mare, si portò sulla poppa dell’imbarcazione.
– Posso spingere esattamente come lui – ringhiò Sanji
lasciando Robin alle cure di Chopper e raggiungendo lo spadaccino.
Il rumore del fondale sabbioso che grattava contro la pancia
della Mini Merry II suonò a tutti più dolce della migliore canzone d’amore di
Brook. Zoro, Sanji e Franky aiutarono gli amici a sbarcare e trascinarono in
secca la barca poi, esausti, franarono per terra abbracciando la sabbia e
baciando il suolo, quasi impazziti per la felicità di essere, almeno per il
momento, salvi.
Qualcuno, dall’alto di un maniero sulle pendici del Profilo
del Poeta, li vide e pensò che, impazziti, stessero mangiando la sabbia.
Chopper assunse la sua forma animale e fiutò l’aria del luogo
mentre i suoi amici riprendevano fiato ed energia.
– Faaa-me... – rantolò Rufy, ormai completamente
inutilizzabile.
– Chopper – tuonò Zoro facendo quasi sobbalzare la piccola
renna – Hai sentito qualcosa? –
– C’è qualcosa di strano in quest’isola… – rispose il medico.
Annusò ancora l’aria e mosse qualche passo verso il bosco.
L’atmosfera era pregna di umidità che si incollava alla pelle
arsa dei pirati. Davanti a loro, oltre pochi metri di spiaggia di sabbia e
ghiaia grigia, cominciava un bosco cupo e fitto, irto di piante verdi e
abbondanti. Erano in una piccola baia silenziosa e dai colori bigi, regnava una
tranquillità innaturale. Guardando fra le piante, nel fitto sottobosco, si
poteva intuire la nebbia che esalava dal terreno.
– Pericoli? – domandò Zoro incamminandosi verso sinistra,
proprio dove dalla boscaglia emergeva, arrogante e satollo, un grosso salice.
Poi per la fortuna di tutti, lo spadaccino si fermò, scrutando la zona. Sondò
la zona con l’Ambizione della Percezione, ma non scorse nessun essere in
avvicinamento.
– No, non saprei… c’è qualcosa di strano – rispose Chopper,
guidato dal suo istinto.
Roronoa sospirò, stringendosi nelle spalle. Tornò verso la
Mini Merry II e prese le sue fedeli katane. Si lasciò alle spalle il gruppo di
amici e disse semplicemente: – Vado a prendere da mangiare –
– Vengo anche io! – alzò la mano Rufy cercando di tirarsi su:
il pensiero di mangiare il prima possibile con qualche belva della foresta gli
dava forza a sufficienza.
– Mi servono le erbe per curare Robin e Sanji – disse Chopper
con ansia unendosi al duo.
– Almeno siamo sicuri che riusciranno a tornare – considerò
Sanji guardandoli allontanare – Robin, tesoro, ti senti bene? – fece,
sforzandosi di sorridere.
Nico Robin era stata deposta da Franky sotto l’albero più
vicino alla spiaggia, dove la ghiaia si trasformava in roccia e il muschio
copriva la pietra; era riparata dal vento fresco che sferzava la spiaggia e
avvolta nella giacca di Sanji, la cui camicia era stata fatta a pezzi per
bendarle la spalla. La ferita era seria, ma nulla cui Chopper non potesse porre
rimedio, a patto di avere un minimo di strumenti a disposizione. Ma negli
ultimi tre giorni gli uomini sulla Mini Merry non avevano avuto che acqua di
mare, sole e i loro abiti per aiutare l’archeologa che scottava di febbre.
Sanji, nonostante la preoccupazione e i sensi di colpa per
Nami, non si era mai mosso dal fianco di Nico Robin, e adesso era seduto
accanto a lei, sul muschio, con la testa fasciata dalla manica della sua
camicia. Il Jolly Roger col Cappello di Paglia era stato issato sulla Mini
Merry, per caparbio orgoglio da pirati.
– Sto bene – sorrise educatamente la donna.
Brook vagava sulla spiaggia alla ricerca di legna abbastanza
secca per poter essere accesa. In quell’isola c’erano alberi a perdita
d’occhio, ma trovare legna da ardere si rivelò più difficile del previsto.
Tuttavia il musicista in capo a mezz’ora riuscì a radunare abbastanza
materiale, che venne poi acceso dal carpentiere con una pietra focaia.
– Speriamo che l’Alga torni con qualcosa di commestibile! –
commentò Sanji – Meno male che lui e Rufy hanno Chopper, altrimenti erano
capace di tornare con sassi e funghi velenosi! –
Brook intanto si era avvicinato all’acqua del mare che
accarezzava la sabbia della spiaggia quasi senza far rumore; lo scroscio delle
onde era lento, il mare in quella baia sembrava una distesa di olio, nonostante
il vento.
– Tre passi in
leggerezza… –
Lo spadaccino era pericolosamente vicino al mare, ma non
sembrava aver paura di beccarsi schizzi.
– Colpo Cocca di
Freccia! –
– Brook! – Sanji scattò in piedi, allarmato da quella frase.
Robin incrociò le braccia sul petto, pronta all’attacco.
– Tranquilli… – disse il musicista riponendo l’arma – Credo
che avremo qualcosa da mangiare, durante l’attesa.
Due pesci, lunghi non più di due palmi, si alzarono docili
sull’acqua calma, galleggiando ormai privi di testa. Brook si girò verso Sanji –
Potresti, per favore…? – disse indicandoglieli. Li avrebbe raccolti lui, ma non
poteva entrare nell’acqua.
Sanji prese al volo l’invito alla grigliata e in pochi minuti
il falò era diventato un’ottima cucina da campo.
– Brook, per favore – sussurrò Nico Robin mettendo da parte
parecchi bocconi della sua porzione, che era la più abbondante di tutte – Li
porti a Franky? –
Cutty Flam era rimasto seduto, immobile e solitario, dove le
onde si sporgevano sulla sabbia fredda di quell’isola autunnale. Teneva una
mano sulla poppa della Mini Merry II, issata sulla terraferma, e un’altra in
grembo, e così era rimasto da quando si era allontanato dopo aver deposto Nico
Robin al riparo. Si era allontanato dagli amici ma non era andato via, e i
ragazzi avevano preferito lasciargli un po’ di spazio dopo la tragedia cui
aveva assistito. Dava le spalle all’entroterra e l’azzurro delle sue componenti
strideva con il grigiore e il freddo dell’isola.
Perdere la propria creatura doveva essere stato un colpo
tremendo, e come aveva detto Sanji a Chopper, che si stava precipitando dal
carpentiere per dirgli di andare con lui a cercare da mangiare, era meglio
lasciarlo solo in quel momento, se aveva deciso di non confidarsi con nessuno.
Il cuoco ogni tanto gli lanciava rapide occhiate, giusto per assicurarsi che
fosse ancora lì vicino e che non prendesse iniziative pericolose, ma il Cyborg
rimaneva immobile, immerso nel suo silenzio e nella sua angoscia.
Franky era morto.
Il suo corpo era vivo, il suo cuore pulsava, il sangue e la
cola erano ancora in circolo, gli occhi mettevano a fuoco il mare azzurro e
grigio, ma lo spirito che animava i suoi ingranaggi era morto assieme a sua
figlia, trascinato sul fondo del mare da una sorte misteriosa, schiacciato
dalla pressione degli abissi.
Non pensava che al vecchio Tom, a suo padre, a quello scemo
di Fessoburg. Davanti agli occhi vacui gli scorrevano immagini confuse, vaghi
ricordi di una vita che non c’era più, il suo apprendistato da carpentiere. Non
era stato all’altezza di Tom, non era stato all’altezza della fama dei
carpentieri di Water Seven, non era stato all’altezza dei sogni del suo
Capitano.
Non era stato all’altezza di nulla.
Aveva sottovalutato i rischi, preso sottogamba il suo
incarico, valutato male i rischi del Nuovo Mondo, messo in pericolo la vita dei
suoi amici e anzi, forse, aveva ucciso due di loro. La “nave più robusta del
mondo” non era stata neppure in grado di resistere a delle correnti marine, non
era durata che una manciata di minuti, forse anche meno, prima di aprirsi come
una scatoletta di tonno e sparire sul fondo dell’oceano.
E adesso? Lui se la sarebbe potuta cavare, sarebbe
sopravvissuto, ma come poteva guardare in faccia le persone cui aveva regalato
una casa debole e fragile, le persone che si erano fidate di lui e della sua
arte?
Come aveva potuto produrre qualcosa di così dannoso?
Franky sorrise macabro. Come
aveva potuto produrre qualcosa di così dannoso? Come se fosse una novità.
Era sempre.
Stato.
Così.
– Franky? – una voce gentile si insinuò nei suoi pensieri.
Voltò lievemente la testa e vide Brook, che reggeva tra le falangi dei pezzi di
pesce sopra una foglia che faceva da piattino.
Il musicista non arretrò davanti allo sguardo che il cyborg
levò su di lui: era vuoto, senza vita, velato. Paradossalmente, erano occhi più
vuoti di quelli di Brook.
– Questi te li manda Nico Robin – disse lo scheletro
sottovoce.
Franky non rispondeva.
Dall’alto dei suoi bei novant’anni Brook sapeva che qualsiasi
parola sarebbe stata superflua, in quel momento. Non è stata colpa tua? Franky
gli avrebbe riso in faccia. Se la nave non aveva retto la responsabilità era
del carpentiere, ma certo nessuno gli avrebbe mai rinfacciato una cosa del
genere. Sanji stesso aveva detto che non aveva mai visto né sentito di una cosa
simile, e nel suo ristorante ne aveva ascoltate di tutti i colori su bestie
marine che distruggevano le navi. Ma appunto, erano bestie marine, non entità
invisibili che spezzavano il legno più robusto del mondo.
– Sai – cominciò Brook pescando nei propri ricordi – Io ho
vissuto cinquant’anni sulla mia nave. Ogni tanto mi toccava riparare qualcosa,
ma la nave ha galleggiato tranquilla nel triangolo Florian per un sacco di
tempo.
– Era stata costruita da un bravo carpentiere – mormorò
Franky atono.
– Forse – affermò Brook senza dare troppo peso alla
considerazione – Avevo ancora la mia nave, ma ho dovuto deporre nelle bare
tutti i miei amici. Tutta la mia famiglia.
Qualcosa cambiò nell’espressione vuota di Franky: stavolta
stava davvero ascoltando.
– Li ho dovuti riconoscere dagli abiti. Dai loro strumenti.
Alcune ossa erano rotolate lontano da loro con il rollio della nave. – Brook si
sedette, stancato da quei ricordi terribili. La sua voce era un sussurro
spettrale – Alcuni di loro non si erano decomposti del tutto. Il ponte era
sporco di macchie scure. L’odore per fortuna si era disperso da tempo, ma… –
Lo scheletro si prese la testa tra le mani.
– Siamo rimasti insieme per cinquant’anni, tutti scheletri
ormai… –
Chissà qual era l’espressione di Brook in quel momento. Chissà
se avrebbe avuto gli occhi lucidi, chissà se avrebbe sorriso amaramente oppure
sarebbe rimasto impassibile. La sua voce tremava mentre la mente tornava a quei
terribili momenti.
– Quindi non credere che avere una nave robusta sia la cosa
più importante. – concluse lo scheletro alzandosi e tornando dagli altri
compagni.
~
Un cavallo scivolava nella boscaglia. Macinava sotto di sé sterpi
e rami secchi mentre procedeva lento ed inesorabile tra gli alberi verdi nella
penombra di quel pomeriggio autunnale. La luce del tramonto pallido riluceva
sul suo freddo e immobile pelo mentre il suo cavaliere, aggrappato alla dura
criniera, lo conduceva con aria sicura lungo quel sentiero abbandonato. Gli zoccoli
posteriori erano ben saldi nel pesante basamento, mentre le zampe anteriori
erano sollevate rendendo l’animale eternamente rampante. La bardatura che
copriva la sua groppa scintillava di umidità, le pesanti redini di nappa
pregiata aderivano al collo robusto, la sella da parata mostrava lo splendore
di antichi intarsi.
Era un cavallo di bronzo, che con la testa arrivava a sfiorare i due metri di altezza.
In groppa a lui stava seduta a cavalcioni la giovane Pipe, che
sembrava impartire al pesante animale la direzione semplicemente col pensiero. Era
perfettamente a suo agio su quell’eterna cavalcatura, con i piedi infilati
nelle staffe di bronzo e le mani che accarezzavano il collo del cavallo. Si fermò
in una radura della foresta e si guardò attorno: i rami ondeggiavano lievi nel
vento, la bruma che si sollevava dal terreno umido nascondeva le zampe
posteriori del cavallo fino a metà altezza. La ragazza sfilò il piede destro
dalla sua staffa e si sedette all’amazzone sulla sella; si sfilò dalle spalle
il suo grosso strumento musicale che portava sempre con sé e se lo mise in
grembo, accarezzandone le canne e l’otre.
Si aggiustò la pesante gonna verde scuro, che coprì tutta la
groppa dell’animale, e si legò nuovamente i capelli con il suo nastro rosso.
Mise in bocca una delle canne, prese fiato gonfiando il petto
e il suono della cornamusa riempì l’aria.
~
I pirati di Cappello di Paglia alzarono la testa a quell’insolito
suono. Il capitano, rinfrancato dalla scorpacciata di carne, balzò in piedi e
mosse qualche passo verso la foresta. Zoro strinse le mani attorno alle else
delle sue katane, Sanji si piazzò davanti a Nico Robin con fare minaccioso.
Franky, che si era riavvicinato al gruppo, si sollevò lentamente in piedi e si
posizionò alle spalle degli amici.
– “Scotland the Brave”
– disse Brook.
– Cosa? – fece Sanji.
– È il suono di una cornamusa – spiegò il musicista
sollevando un indice con fare saccente – E la canzone che sta suonando è molto
antica, si chiama “Scotland the Brave”
–
– Si sta avvicinando – tuonò Zoro sguainando le armi.
– Sì, ma viene da quell’altra parte, idiota – lo corresse
Sanji indicandogli la parte opposta.
Un paio di spallate giusto per ricordare l’uno all’altro chi
è che comandasse, e lo spadaccino e il cuoco avanzarono fino al limitare della
foresta.
– Una sola persona – ringhiò Zoro con tono minaccioso,
rivolto a Sanji.
– Non sembra ostile – rispose Sanji digrignando i denti. Era
nervoso, avrebbe dato una gamba per una sigaretta, gli sarebbe davvero piaciuto
sfogare l’acredine polverizzando quella testa d’alga.
Il cavallo di bronzo avanzava nel sottobosco umido, mentre
Pipe ancora suonava quell’antica melodia. Emerse dalla boscaglia davanti al
drappello di naufraghi che increduli la guardavano e ascoltavano quello
spettrale concerto. Non erano nuovi a poteri legati a strumenti musicali, come
quello di Scratchmen Apoo che avevano visto all’opera anni prima, e nessuno di
loro abbassava la guardia nonostante le prime notizie fornite dall’Ambizione.
La canzone risuonava sul mare, riempiva la spiaggia
silenziosa e si depositava sui loro animi, lasciandoli in uno stato di
tranquillità e tristezza.
Franky, mordendosi le labbra per nascondere i singhiozzi,
piangeva senza ritegno; Rufy, alla vista di un cavallo di pietra che si muoveva
come per magia, aveva sgranato gli occhi e si godeva lo spettacolo senza alcuna
paura; Sanji sorrideva beato alla vista di quella talentuosa ragazza sbucata
dal nulla, come un angelo mandato dal Cielo apposta per lui, mentre Chopper era
già in fibrillazione al pensiero della sua futura prossima epistassi. Nico
Robin si issò leggermente a sedere appoggiandosi alla schiena di Franky, dietro
di lei; Zoro ascoltava, con la mandibola contratta, in attesa di un possibile
attacco anche se, ammetteva, non sembrava che quella donna rappresentasse un
pericolo.
La musica finì con una lunga e straziante nota, lasciando
tutti con il fiato sospeso. Improvvisamente la spiaggia sembrò più vuota, più
triste, più cupa.
– Ciao – esordì Pipe guardando fisso le braci del falò che
stava vicino a Nico Robin. – Voi mangiate la sabbia – affermò.
I pirati si guardarono tra loro, spaesati.
– Scendi da cavallo, mani in vista – ordinò Zoro deponendo
due katane.
– Screanzato del cazzo! – lo rimproverò Sanji arrabbiato – Ti
sembra il modo di rivolgerti ad una signorina? –
– Dovrei rendermi ridicolo come te?! – rispose irato il
vicecapitano.
– Questo cavallo è bellissimo!! – esclamò Rufy estasiato
toccando il pelo freddo e liscio dell’animale di bronzo. – Come fai a muoverlo?
Come si chiama? Vuoi unirti alla mi-
– RUFY! – lo fermò Zoro prima di irreparabili danni.
– Prego signorina, la aiuto a scendere – disse affabile Sanji
porgendo il suo aiuto a Pipe, che accettò la mano che il cuoco le porgeva e
smontò con grazia da cavallo nonostante fosse seduta parecchio in alto.
– Siete feriti – affermò la ragazza guardando la testa
fasciata di Sanji – Mi dispiace – scuoteva la testa, ignorando del tutto il
fatto che il suo interlocutore perdesse sangue dal naso. Aveva gli occhi
spalancati e fissava il petto nudo del pirata, ma sembrava assente, persa in
pensieri tutti suoi mentre gli toccava le mani come cercando qualcosa.
– Chi sei? – la voce di Zoro raggiunse le sue orecchie. Pipe
si voltò e rispose: – Mi chiamo Pipe. Abito sul Profilo del Poeta. Yama mi ha
mandato a prendervi. – scosse la testa, come a negare qualcosa. – Vi vogliamo
aiutare. Yama non è della Marina… nessuno è della Marina… –
– Che vuoi dire? – quasi gridò Rufy – C’è la Marina su quest’isola?
– Rufy… – lo fermò Nico Robin impietosita – Io… credo che
Pipe faccia fatica a capirci. –
– Guardiamarina Pipe! – sorrise la suonatrice di cornamusa.
– Vuole che la seguiamo – riassunse Chopper mentre si
occupava di Sanji.
– Che ne dici, Rufy? – lo interrogò Zoro.
– Andiamo con lei – risolse il capitano – Ci aiuterà e
potremo cercare Nami e Usop anche con il suo aiuto! –
I pirati rimasero silenziosi a soppesare l’ordine del
comandante.
– È una scelta sensata – disse Zoro.
– Mi scusi, signorina…– si avvicinò Brook a Pipe – Potrei
cortesemente vedere le sue mu-
Pipe si voltò verso lo scheletro e scoppiò in lacrime,
abbracciando il mucchio di ossa e lasciando tutti senza parole: – NONNO! –
gridò.
Dietro le quinte... Ho poco da dire a questo giro, e non credo che a qualcuno interessi sentirmi lamentare per il caldo, cosa che non ho mai fatto in vita mia in realtà ma quest'estate mi sta davvero mettendo alla prova. Spero che Pipe vi piaccia e che i personaggi vi sembrino coerenti con il canon! Quando Brook dice il titolo della canzone che sta suonando Pipe, il titolo è cliccabile e si apre la relativa pagina Youtube (in altra scheda). Buone vacanze, Yellow Canadair |
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Capitolo 5 *** Fuori dall'acqua ***
[zipedit] Fuori dall’acqua
Un’onda più forte delle altre li scaraventò verso una
spiaggia che spariva nel buio del tramonto. Non si erano lasciati neanche per
un istante, la corda che li univa sarebbe stata quasi superflua davanti al
pensiero che li guidava: sei mio
compagno; non ti lascerò morire.
– Nami, forza! – la spronò Usop.
Il caso volle che nessuna malattia gli impedisse di toccar terra, quella volta.
Nami tossì, le sue gambe
cominciarono debolmente a nuotare spingendola, al fianco del cecchino, verso
l’isola che avevano davanti.
La risacca dell’onda li allontanava,
quasi che l’isola non li volesse sulle sue rive.
– Nemmeno per sogno – mugugnò Nami
respingendo quell’idea, quando ormai sentiva i sassi sotto ai piedi. Carponi,
con la sola forza della disperazione, puntò le mani in avanti lasciandosi
cadere, arpionò con le unghie le pietre del fondale e riuscì a contrastare la
corrente fino ad arrivare al bagnasciuga, trascinandosi dietro anche l’amico.
Si lasciarono cadere sulla battigia,
senza nemmeno più la forza di sollevare lo sguardo l’uno verso l’altra.
Usop immerse le mani nella ghiaia
e baciò i sassi umidi fra l’onda del mare che andava e veniva.
Nami pianse. Non aveva più liquidi
in corpo per versare lacrime, ma pianse.
Trascorsero minuti. Nessuno dei
due pirati aveva idea dello scorrere del tempo, martoriati com’erano dalla
lunga permanenza in mare e dalle privazioni vissute. Alla fine, quando si
resero conto che sui loro corpi spirava una brezza gelida, si avvicinarono l’un
l’altra e il ragazzo, senza commenti, strinse a sé Nami per darle riparo e
ricevere calore.
– Non possiamo rimanere qui –
sussurrò la navigatrice.
– Se mi muovo da qui, morirò… – si
lamentò il cecchino.
– Moriremo tutti e due se non ce
ne andiamo –
Nami aveva ragione, e Usop non
potè che rendersene rapidamente conto: erano bagnati fradici, deboli, senza
armi, e quella era come minimo un’isola autunnale. Senza contare che correvano
il rischio, esposti com’erano, di essere attaccati da chissà chi. Dovevano cercare
un riparo alla svelta, prima che calasse la notte rendendo invisibili ostacoli
e ricoveri, o prima che le nuvole basse e cupe che minacciavano pioggia
tenessero fede a quella promessa.
Quasi a dar ragione alla ragazza,
i brividi si presentarono puntuali e violenti per entrambi; allora i pirati si
trascinarono, un po’ carponi e un po’ aiutandosi a vicenda, fra le piante basse
della foresta che avevano davanti.
L’isola era umida e spettrale, a
quell’ora quasi crepuscolare; i fusti degli alberi si stagliavano cupi e magri
contro il tramonto, dal terreno si levava l’umido che avvolgeva come un sudario
le piante. I bassi sterpi graffiavano le gambe dei due, che venivano mosse a
fatica, mentre rumori di bestie che volavano e strisciavano lontane
serpeggiavano tetri inquietando i due naufraghi.
Arrivarono infine in una desolata
radura dove gli alberi lasciavano intravedere in lontananza, oltre una buia
valle piena di nebbia, una collina che a quell’ora aveva preso le tinte
del viola; su quel colle, a diversi chilometri da loro, rilucevano delle
finestrelle illuminate. Una casa.
– Non ce la faremo mai ad arrivare
lì… – boccheggiò Usop.
Nami aveva poco da essere testarda
e ottimista, in proposito.
–
Non adesso – rispose – Cercheremo di raggiungerla domani. Andiamo avanti
–
Volevano un luogo dove lasciarsi
cadere, dove il vento non li raggiungesse, dove potessero smettere di tremare,
dove potessero tentare di accendere un fuoco. Un anfratto tra le rocce, una
grotta, una vecchia tana di tasso, le radici di un albero secolare, qualsiasi
cosa.
Usop scivolò in avanti sul terreno
pregno d’acqua, ma invece di rialzarsi rimase lì in terra, senza nemmeno la
forza di opporsi. Nami si portò vicino a lui, gli passò il braccio in vita e si
mise quello del ragazzo sulle spalle, facendogli riprendere il faticoso
cammino.
Fecero altri passi, ormai la
tentazione di fermarsi lì, in mezzo a quella foresta, era sempre più forte e,
con l’avanzare delle tenebre, sarebbe diventata l’unica soluzione possibile.
– Fermati – ordinò lui in un
sussurro. Nami per una volta non si fece pregare.
Usop tese
l’orecchio, facendo un immane sforzo per concentrarsi – È acqua! – disse
eccitato.
Nami si
mise in ascolto, il volto le si illuminò mentre sentiva le forze tornarle per
arrivare prima possibile a quel meraviglioso tesoro.
Camminarono
senza parlare per altri duecento metri, facendosi guidare docili dallo scroscio
e stringendosi la mano con caparbietà, per esser sicuri che anche l’altro
stesse procedendo lì accanto.
Un
ruscello non più largo di tre passi aveva scavato il terreno per un paio di
metri, e nel fosso l’acqua scorreva felice e veloce verso il mare. Nami si
lasciò cadere verso il torrentello, trascinandosi dietro Usop, ed entrambi si
fermarono sul greto, e senza esitazioni immersero le proprie teste nell’acqua
gelida, bevendo furiosi e lasciando che l’acqua dolce spazzasse via il sale che
li disidratava, spaccando loro la pelle e facendoli sanguinare.
Nami fu la
prima a riemergere, col fiatone, e afferrato il compagno per i capelli lo tirò
fuori dall’acqua prima che, nella foga di bere, morisse annegato in quella
pozzanghera.
Usop si
passò la lingua sulle labbra, guardando fisso davanti a sé.
–
Fermiamoci qui – disse pratica la navigatrice – Più avanti non cambia nulla –
Ma il
cecchino puntò con l’indice destro davanti a loro, oltre il torrente.
Pietre.
Una
costruzione fatiscente li aspettava dall’altra parte del fiumiciattolo,
illuminata malamente dall’ultima luce del giorno che era riuscita a filtrare
fra le nuvole, e appariva loro come il più bello dei miraggi.
– Non ce
la farò mai ad arrivare fin lì – biascicò Usop, ma Nami lo arraffò per la
maglietta fradicia e lo trascinò nel ruscello per guadarlo. Era basso, l’acqua
non arrivava loro nemmeno alle ginocchia. Caddero, si tirarono su, ma alla fine
raggiunsero quel riparo.
Forse era
stato un ricovero per le pecore, o forse un capanno di qualche contadino almeno
un secolo prima. Una sola stanza quadrata che fu stimata dal cecchino essere
circa di quattro metri per lato, per metà invasa dalle tegole e dalle travi del
tetto crollato e per metà lurida e piena di foglie secche.
Nami si lasciò cadere lì per terra, seguita da Usop,
finalmente al riparo dal vento sferzante.
I brividi però non si arrestavano, il freddo continuava a
tormentare i due pirati.
– N-Nami… – la richiamò il
cecchino – Lo sai, vero, qual è un modo per scaldarsi? –
– A-accendere un f-fuoco? –
– Anche… m-ma soprattutto… i
vestiti b-bagnati… –
Ah, sì. Nami ci aveva pensato
eccome, però era -come dire?- imbarazzante. Anche se, vivendo assieme da anni e
anni, ormai il suo amico era abituato a vederla in ogni situazione e con ogni
vestiario, anche quello che lasciava poco all’immaginazione. Ma tra vedere e
toccare ne passa.
– Te lo metterò in conto – promise
irosa – E azzardati solo a pensare di mettere le mani in certi posti… –
Ma Usop la stava a mala pena
ascoltando, si era già slacciato le bretelle e stava per calarsi le braghe
senza tante cerimonie. Nami sospirò, appressandosi a liberarsi dei suoi jeans,
intrisi d’acqua fredda e appiccicati alla sua pelle.
Una volta con la sola biancheria
intima, si voltò verso l’amico.
Usop, in ginocchio e con nulla
addosso salvo i boxer, rovistava all’interno della pesante borsa che aveva con sé.
Quando erano in mare, e Usop stava
per svenire dalla stanchezza, quella borsa era stata una vera e propria mela
della discordia: Nami insisteva perché il cecchino se ne disfacesse,
poichè lo appesantiva inutilmente, ma il ragazzo non ne voleva
sapere, a costo di morire in mare.
– Nami, aspetta! – aveva
protestato il cecchino – Potrebbero esserci utili! – e l’aveva aperta tra le
onde, ben attento a non rovesciarne il contenuto.
– Ma q-quelli s-sono… – aveva
detto incerta la ragazza.
– Dial! – aveva sorriso Usop
– E t-tu avevi questi con te e non
li abbiamo usati per chiedere aiuto?! – aveva fatto Nami indicando un Lamp Dial
e un Flame Dial, prima di pestare il suo compagno con uno dei suoi pugni.
– Sono completamente zuppi! –
aveva spiegato il cecchino premendosi le mani sul bernoccolo – Forse quando
saremo su un’isola potremo usarli.
E adesso erano su un’isola. Un’isola
nebbiosa e fredda.
– Il Lamp Dial, Usop! – sollecitò
Nami – Dobbiamo lanciare un SOS! –
– Rischiamo di renderci visibili!
– si lamentò il povero ragazzo.
– È questo il senso di una
richiesta d’aiuto!! –
– Visibili a chi, Nami? – si
difese lui tremebondo – Non sappiamo da chi sia abitata l’isola, p-potrebbero
essere mostri spaventosi, cacciatori di taglie, zombie, qualsiasi cosa!
– Ai nostri amici… – impallidì
Nami, rendendosi conto della pericolosità di una richiesta d’aiuto da parte
loro.
– Non abbiamo la certezza che
siano approdati qui anche loro – fece Usop sconsolato, combattendo contro i brividi.
La tristezza parve calmare Nami, mentre stringeva tra le mani
la maglietta zuppa che si era appena tolta di dosso.
– Potevi a-almeno usarne uno per
accendere un fuoco – tentò, come ultima munizione per quel discorso,
stringendosi le spalle con le mani per tentare di racimolare da sola un po’ di
calore. Paradossalmente, tolti i vestiti bagnati, aveva meno freddo, anche se
era quasi nuda.
– Senza un riparo rischiamo che il
fuoco attiri altre persone – spiegò ancora il cecchino. Il suo carattere pavido
e pessimista, in quell’occasione, si stava rivelando provvidenziale. Valutava i
rischi con precisione e discernimento.
– Tra p-poco lo accenderò. Ma solo
qui dentro, e s-solo con i buio, altrimenti si noterebbe il fumo – sussurrò –
Cerco della legna q-qui fuori – disse; se fosse scesa la sera, non sarebbe
riuscito a veder nulla, mentre sarebbe stato necessario alimentare le braci.
Nami lo seguì stancamente.
Insieme, riuscirono a trovare
legna e sassi per formare un piccolo falò. Era stato difficile trovare rami che
non fossero fradici, ma alla fine tornarono nel rifugio con combustibile a
sufficienza per le ore della notte.
Le foglie secche ammucchiate nella
parte della stanza libera dal cedimento del tetto offrivano un giaciglio
tiepido. Usop vi si stese su e Nami al suo fianco fece altrettanto, lasciando
che l’amico, imbarazzato, la abbracciasse per scaldarla e scaldarsi.
Quando si furono abituati a quella
strana e intima situazione, i due tirarono un sospiro di sollievo. Erano vivi.
Erano all’asciutto. Le loro gambe si rilassarono, finalmente libere da quel
continuo dibattersi per mantenersi a galla, la testa di Nami si abbandonò sul
petto di Usop e quella del cecchino si adagiò su quella della navigatrice. I
capelli lunghi e bagnati di entrambi erano spaventosamente gelati.
Nami
socchiuse gli occhi, guardando attraverso l’uscio aperto il cielo prendere lentamente
la tinta del nero, le ombre divorare la nebbia che li circondava, il freddo
della notte strisciare anche fra quelle vecchie pietre. I brividi fecero
sentire i loro ultimi colpi, e lei intrecciò, quasi inconsapevolmente, le gambe
a quelle di Usop.
Poi sentì, lento ma inesorabile,
qualcosa di duro premerle contro il ventre, quasi che una talpa avesse deciso
di mettere il capo fuori dalla sua galleria proprio fra il bacino suo e quello
del compagno.
Poi realizzò che non era una
talpa.
E che non veniva da nessuna
galleria.
– Usop – ringhiò.
– Mi dispiace, Nami! – si
giustificò il povero ragazzo – Sto pensando a tutt’altro, ci sto provando in
ogni modo – piagnucolò, allontanando il proprio bacino da quello della
navigatrice – Dammi un attimo, cerco di calmarlo –
– Metterò in conto anche questo –
dichiarò furibonda.
Quando i buio non permise più
nemmeno di guardarsi in volto, Usop si decise ad utilizzare il Flame Dial.
I legnetti ammucchiati entro il
cerchio di sassi presero rapidamente fuoco, dipingendo spaventose ombre sulle
pareti che intimorirono il coraggioso ed impavido Usop.
Nami, mentre il ragazzo era
accovacciato ad alimentare il fuoco, lo abbracciò da dietro cingendogli le
spalle. Faceva troppo freddo per separarsi, e il fuoco non aveva ancora
cominciato a scaldare l’ambiente.
– Questa va tra i debiti? – fece
mogio Usop, sentendo le bombe dell’amica premere sulle sue spalle, e trovando
sempre più difficile pensare a cose disgustose per distrarsi.
– Certo – concesse comprensiva
Nami.
Il fuoco si appiccò vincendo
l’umidità della legna e finalmente un piccolo tepore si sparse attorno al falò;
i due pirati tesero le mani verso le fiammelle.
– I capelli – disse Nami all’improvviso;
quelli erano le prime cose da asciugare se non volevano trovarsi, oltre che
nudi e sperduti, anche con la febbre alta.
Si misero seduti vicini vicini,
davanti al falò, e rovesciarono le chiome in avanti per esporle al calore.
– Ti immagini se ci vedesse
qualcuno? – dovevano sembrare ben strani: due ragazzi in biancheria, seduti
gomito a gomito e con i capelli ribaltati in avanti.
– Districateli con le dita, si
asciugheranno prima – lo rimbeccò Nami.
Per la prima volta notò quanto
fosse lunga e crespa la criniera del compagno. Prima che a Sabaody si
dividessero gli arrivavano appena alla nuca, ed erano sempre coperti dal
cappello. Poi, dopo i due anni di separazione, erano ben evidenti, lunghi e
crespi dietro le sue ormai forti spalle, ma era raro che non avesse il capo
coperto. Nami afferrò con due dita l’estremità di una ciocca nera,
attorcigliata su se stessa nonostante l’acqua che la appesantiva, e la tirò
verso il basso distendendo il ricciolo.
– Abbiamo i capelli più lunghi
della ciurma? – considerò la ragazza all’improvviso.
– Uh? – Usop guardò i tendaggi che
avevano davanti agli occhi – Pare di sì! –
Quelli di Robin erano lunghi, ma
meno di quelli di Nami.
La ciurma.
Usop e Nami si guardarono negli
occhi, colti dallo stesso pensiero.
– Staranno bene.
– E se sono morti?
– Le correnti portavano da questa
parte.
– E se un Re del Mare li avesse
inghiottiti in un boccone?
– L’isola era in vista, quando ci
siamo separati.
– O era un banco di nuvole?
– Usop, smettila! –
Era la loro famiglia. Era tutto
ciò che avevano. Si strinsero di nuovo fra loro mentre i capelli, lentamente,
si asciugavano.
Anche se asciutti grazie al calore
del fuoco, i loro vestiti non erano neanche lontanamente sufficienti per
scaldarsi in quel clima rigido e umido, così per passare la notte i due si
abbracciarono nuovamente e si coricarono poco distante dalle fiamme.
Usop rimase sveglio, di guardia
per la notte, seppur a malincuore. Ma in fondo, con tutte quelle presenze che
percepiva fuori dal rudere, non sarebbe riuscito facilmente a prendere sonno;
però da sveglio avrebbe potuto accorgersi di un pericolo e scappare. Nami,
distrutta dalla permanenza in mare, si addormentò immediatamente, raggomitolata
sul suo petto.
Il cecchino non potè che sentirsi
importante, adesso che la vita di Nami non dipendeva dai “mostri” della ciurma
ma unicamente da lui. Immediatamente dopo però cadde nel nervosismo più totale
pensando all’ira di Rufy, Zoro e Sanji se alla loro navigatrice fosse successo
qualcosa per causa sua.
E con la morte nel cuore si guardò
intorno e tese le orecchie, sperando che non succedesse nulla in quella notte
fredda e spettrale, con la nebbia che avvolgeva i colli e gli alberi spogli e
la notte che amplificava ogni rumore mentre, ne era sicuro, attorno a quel rudere
giravano bestie d’ogni genere attratte dal loro invitante odore.
~
– Fermi! Quella che roba è? –
berciò una voce maschile.
– Una rimessa per maiali del
secolo scorso? – azzardò una seconda voce.
– Ci hanno messo un po’ troppo
impegno, per un porcile – tuonò una terza.
Tre pirati stavano attraversando
il sottobosco, facendosi strada tra gli arbusti falciandoli via a colpi di
scimitarra e machete. Erano vestiti pesantemente, i mantelli frusciavano
attorno alle loro caviglie e le armi tintinnavano cupe sulle loro spalle
possenti. Non sembravano aver paura di essere scorti da chicchessia, e procedevano
spediti tra motteggi e battute.
Si guardavano attorno con avidità,
prendendo mentalmente appunti sul territorio che stavano attraversando.
– Ha troppe porte… – considerò quello
che doveva essere a capo del piccolo drappello.
– Ce ne sono tre – notò un uomo
dalle spalle massicce e i dreadlocks in testa.
– Hai mai visto un porcile con tre
porte? E guarda – l’uomo che aveva parlato per terzo fece il giro della costruzione
– Qui c’è la quarta, tappata da un crollo! Una per lato! –
Usop sbarrò gli occhi,
stringendosi inconsapevolmente alla ragazza. Voci. Voci che non aveva mai
sentito prima. Trattenne il respiro, divenne mortalmente pallido di paura. Non
poteva scappare. Non poteva chiamare nessuno in soccorso. Nami dormiva stremata
e diventava sempre più gelida, respirava pianissimo. Strinse i denti, si passò
una mano sugli occhi. Magari erano brave persone. Magari erano gli abitanti
dell’isola. Forse li avrebbero aiutati. O magari erano stupratori, assassini,
mercanti di schiavi, cacciatori di taglie. O Marine, e li avrebbero portati
senza sforzo ad Impel Down.
Lo scalpiccio dei loro piedi
danzava attorno alla costruzione.
Usop pensò di scappare, irrigidì i
muscoli delle gambe per tirarsi in piedi, ma l’acido lattico accumulato le
aveva rese dei pezzi di legno pesanti come il piombo, i muscoli si rifiutarono
di sorreggere il peso di due persone.
– Il tetto è fuori uso – disse uno
di loro. Il Re dei Cecchini lo sentì varcare una delle tre soglie e si preparò
all’inevitabile.
Curtis rimase di sasso. Gli occhi
di un ragazzo di vent’anni lo fissavano, pieni di paura e di rassegnazione. Un
ragazzo abbronzato e atletico, coperto di lividi, dal volto scavato e scosso da
tremori. Stringeva una ragazza nelle stesse condizioni, che però era pallida, e
sembrava dormisse. Entrambi erano quasi nudi e sporchi di terra, sangue e
salsedine.
– Benn! C’è gente! – gridò. – Ho
interrotto qualcosa? – sussurrò sarcastico.
– Gente? – Benn Beckman si
affacciò all’uscio.
Dietro le quinte... E dopo la pausa estiva, ben ritrovati all'ascolto di "La Valle Tragica"! Qualcuno ricorda di che ciurma fa parte il citato Benn Beckman? Sì signori, sta per arrivare una personalità piuttosto importante dell'universo di One Piece! Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e che abbia reso abbastanza bene la Nakamaship tra Nami e Usop. Se ho fatto errori logistici o grammaticali vi prego di farmelo notare nelle recensioni, provvederò immediatamente ad una correzione! Grazie mille, Yellow Canadair
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Capitolo 6 *** Father and son 2 ***
Father
and Son 2
La voce del cecchino uscì più tremula di quanto avesse voluto: – Siamo
disarmati – alzò la mano libera in segno di resa – Non uccideteci, per
favore... –
– Chi siete? – Curtis non si fidava, fece scattare il caricatore della
sua pistola e la puntò dritta alla testa di Usopp.
– Naufraghi –
Benn li stava sondando con l’Ambizione dell’Osservazione per vedere se
la donna nascondeva sorprese. Ma era genuinamente sprofondata in un abbandono
simile al sonno. Sembravano davvero due disperati.
– E di che equipaggio fareste parte? – rise Beckman, puntando anch’egli
il suo fucile sui due.
– Che cazzo avete trovato? – disse una voce dall’esterno.
– Vieni un po’ qui, Yasopp. Sei bravo negli interrogatori, no?
– Yasopp… Yasopp di Shiropp? – Sogeking allargò a dismisura gli occhi,
e non si rese nemmeno conto di aver pronunciato quelle parole. Benn lo guardò
con più attenzione, ma il ragazzo non se ne accorse: la sua attenzione era
calamitata sull’uomo alto, dal torace immenso e la testa piena di dreadlocks
biondi che era appena entrato: suo padre.
– Io… io sono Usopp. –
Silenzio. Benn e Curtis squadravano il ragazzo, registrando tutti quei
dettagli che non rendevano nemmeno necessario un test del DNA. Usopp e Yasopp
si osservavano senza emettere un fiato, il minore sorridendo nonostante le
labbra screpolate e disidratate, finalmente vicino al suo idolo, il padre che
non vedeva da dieci anni. Il maggiore era incredulo e confuso; era davvero Usopp?
La somiglianza era tanta ma di cialtroni e di sosia il mondo è pieno, lui lo
sapeva. Che ci faceva lì? Perché era nudo? Chi era la donna svenuta con lui?
– Sono… sono il figlio di Banchina… sei diventato pirata perché mamma…
voleva che tu seguissi il tuo sogno… – la voce di Usopp diventava sempre più
flebile, vinta dal panico. Perché non gli credevano? E se si stesse sbagliando?
Era diverso rispetto alla foto che Banchina aveva sul comò della sua camera da
letto, certo, ma Usopp aveva visto gli avvisi di taglia negli anni… possibile
che non fosse lui? – Vi siete sposati nella chiesetta fuori Shiropp, tu eri in
ritardo, la mamma dovette calmare il prete…! Il tuo testimone era Weakjean, il
tuo compagno di banco! –
Yasopp ascoltava immobile quei dettagli che solo Banchina, o almeno
qualcuno a lei molto vicino, poteva conoscere.
– Yasopp – disse Beckman riponendo il fucile – Se è davvero tuo figlio,
lo toglierei da quella merda e gli darei un sorso di rhum. Non ha una gran
cera. E intanto, ragazzo – si rivolse ad Usopp – Complimenti: sei riuscito a
farlo stare zitto –
Qualche ora dopo Ftoros, il medico di bordo della Red Force, uscì
dall’infermeria con la sua tipica espressione imbronciata. Gli occhi
perennemente nascosti dagli occhiali da sole a mosca e l’umore nero per la
maggior parte del tempo riuscivano ad ingannare persino l’Ambizione
dell’Osservazione di Shanks, che fu così costretto a chiedergli direttamente notizie
dei due naufraghi.
– Cosa vuoi che ti dica? Sono giovani, si riprenderanno. Erano in stato
di ipotermia, secondo grado lui e terzo lei. La ragazza ha una bella bronchite,
ma è il minimo dopo quello che hanno passato.
– Sono svegli? – domandò l’imperatore.
– Solo il ragazzo. Ma… Shanks! – Ftoros richiamò il capitano che si era
già avvicinato alla porta dell’infermeria e aveva la mano sul pomello, pronto
ad entrare. Le ultime notizie davano Usopp come appartenente alla ciurma del
suo protetto, Monkey D. Rufy: lui dov’era? La nave che era affondata era la
sua? Il Rosso si girò verso il medico.
– È a pezzi. Lascialo riposare. –
All’interno, il Cecchino udì i passi del capitano e del medico
allontanarsi, e tirò il fiato, sollevato. Sapeva che il capitano gli avrebbe
fatto domande, chiesto che ci facessero lì, quale fosse la loro nave, chi fosse
Nami, dove fosse Rufy. Il pensiero della ciurma perduta era fisso nella sua
testa, ma non se la sentiva di rispondere, di parlarne. E il fatto che il suo
interlocutore sarebbe stato uno dei Quattro Imperatori o il padre che non vedeva
da dieci anni non faceva che aumentare la sua disperazione. Si strinse nelle
coperte, infossandosi sotto di esse fino a sparire. Con gli occhi che facevano
capolino dalla stoffa sbirciò Nami stesa nel letto accanto al suo: respirava
piano, a fatica, ma il dottore di bordo l’aveva medicata e avvolta nelle
coperte. Ora le stava salendo la febbre a causa della bronchite, ma il pirata
era stato rassicurante: non era in pericolo, lui era in grado di curarla
tranquillamente. Le aveva messo in testa il proprio berretto di lana per farla
stare ancora più calda ed era andato via, lasciandoli soli a leccarsi le ferite
e a rassicurarsi a vicenda.
Usopp vedeva nero. Solo con Nami, cosa sarebbe successo? Senza
compagni, senza nave e senza casa. Erano spacciati. Suo padre non sembrava
particolarmente felice di vederlo ma era solo grazie a quella parentela se l’omaccione
dai capelli grigi e la sigaretta in bocca non gli aveva sparato subito, ponendo
fine alle loro sofferenze.
Ma questo non significava che non lo avrebbe fatto in un secondo
momento, no?
Non ricordava bene il momento in cui era stato condotto alla Red Force.
Per un po’ aveva camminato nel sottobosco sulle sue gambe, con il mantello
stellato del padre addosso; aveva un vago ricordo di Nami, svenuta, in braccio
all’uomo con la sigaretta, poi doveva esser caduto… doveva aver perso i sensi…
Il suo corpo esausto lo trascinò in un sonno profondo senza che quasi
se ne accorgesse, strappandolo al tetro universo delle sue paure.
Benn Beckman guardò cupo il proprio capitano, che era seduto su del
cordame a poppa e guardava distrattamente verso la costa poco distante. Erano
sbarcati all’ora di pranzo e quella che doveva essere una semplicissima
ricognizione su un’isola disabitata era terminata prima del previsto per
soccorrere due persone, una delle quali il figlio del buon Yasopp. “Piccolo il
mondo”, pensò Beckman. “Piccolo e affollato”. A parte quest’imprevisto, avevano
scoperto che l’isola non era più disabitata: si levava un filo di fumo dal
camino di una casa apparentemente abbandonata sul fianco della collina più
alta.
Il capitano si girò verso il suo Vice. Era stranamente taciturno, ma
non sembrava troppo preoccupato per la situazione: sapeva benissimo che uno
come Rufy avrebbe potuto cavarsela anche in un naufragio, e comunque
arrovellarsi era inutile perché, al momento, non avrebbero potuto fare nulla
nemmeno volendo.
– Per una volta che non scendo a terra per primo, andate a incontrare
proprio il figlio di Yasopp! – sorrise scanzonato.
Beckman sorrise.
– Era da un po’ che non avevamo ospiti. – lo stuzzicò Shanks.
– Preferirei non raccoglierli in fin di vita, però! – rispose Benn,
senza prendersela per l’allusione dell’amico; guardò sovrappensiero l’anello
che gli cingeva l’anulare e si lasciò scappare un sorriso mentre serrava il
pugno.
– Yasopp è ancora sotto shock? – si informò il capitano senza
abbandonare il tono ilare.
– Magari – sospirò il pistolero – Sta raccontando per la terza volta di
quando il figlio si arrampicò sull’albero per salvare quattro uccellini da
un’aquila reale.
– Oh, è diventata un’aquila? Qualche anno fa era un cuculo –
Benn scosse la testa. Era un vizio, quello di Yasopp, col quale
convivevano da anni.
Una folata di vento freddo fece sventolare le falde dei pesanti
mantelli e arruffò i capelli dei due uomini. Shanks annusò l’aria, e tirò su
col naso.
– Mette al brutto – disse.
– La rada è riparata –
– Veramente pensavo al naufragio… domani, quando andremo alla villa
sulla collina, chiederemo se hanno raccolto dei resti o se c’è una spiaggia
dove si depositano.
Beckman annuì, accendendo una sigaretta con le mani a coppa per
difenderla dal vento. Ebbe qualche difficoltà, ma alla fine la brace prese
fuoco. Si affacciò al parapetto, guardando il mare che spariva all’orizzonte
inghiottito da una bassa nebbia.
Erano tornati su quell’isola dopo la bellezza di quindici anni, dopo
aver insultato Shanks in lungo e in largo per il grandissimo buco nell’acqua
fatto all’epoca; lui, il Rosso, era agli inizi della sua carriera da capitano
ed era convintissimo di aver trovato la tipica isola del tesoro.
Benn ricordava benissimo la moltitudine di buche scavate da cui erano
uscite, nel migliore dei casi, ossa di animali. Da allora, prima di
intraprendere una qualsiasi ricerca, le mappe venivano passate al vaglio di
Benn, Lucky e soprattutto di Vanja, il navigatore.
E invece il giovane Shanks, fresco di gavetta con il Re dei Pirati, non
si era sbagliato; semplicemente, come tutti loro, non aveva capito.
A tale conclusione erano arrivati pochi mesi prima, a Foosha, grazie ad
una frase pronunciata per caso da Juls, la giovane moglie di Beckman, nel
piccolo pianterreno dove abitava, in fondo alla strada principale del paesino.
Un caso, uno strano scherzo del destino, ma una singola frase di quella
donna aveva risvegliato la memoria di Benn, che senza perdere tempo aveva
ribaltato la cabina del capitano alla ricerca dei diari di bordo dell’epoca e
delle vecchie cartine che avevano utilizzato.
Per fortuna che Shanks era un tipo nostalgico, che ci teneva
particolarmente ai souvenir e non buttava mai niente!
Dopo quella rivelazione inaspettata lui e Vanja avevano girato
parecchie biblioteche, ma finalmente quell’avventura di quindici anni prima
aveva preso senso: avevano davvero trovato l’isola del tesoro, ma non l’avevano
trovato perché non erano stati in grado di vederla.
Shanks aveva gongolato come non mai, avrebbe rinfacciato loro a vita
che aveva ragione.
La caccia al tesoro poteva ricominciare.
~
A sera fatta, Usopp scivolò fuori dal letto per andare in bagno. Aveva
appena finito di parlare con Nami riguardo la loro situazione ed erano concordi
su una cosa: avevano avuto una fortuna sfacciata nell’imbattersi nel padre del
ragazzo. Vero che, dai racconti sconnessi di Rufy, Shanks sembrava un buon
diavolo, ma era pur sempre un pirata e loro facevano parte di una ciurma
avversaria.
Usopp nonostante ciò era spaventato, e non era molto convincente il
fatto che si ostinasse a dire che avrebbe portato in salvo Nami mentre tremava
di paura al pensiero di incontrare di nuovo l’omaccione con la sigaretta.
«Quello è Benn Beckman» lo aveva istruito Nami sottovoce, prima di
tossire forte. «Pistolero, è con il Rosso da anni. Esperto tiratore e accanito
fumatore. Ha una taglia di…»
«Non voglio nemmeno saperlo!» aveva piagnucolato Usopp. «Ma tutte
queste informazioni…?»
«I giornali» aveva sorriso la ragazza.
Adesso però, nonostante l’infermeria accogliente che occupava con Nami,
aveva proprio bisogno di sbrigare una faccendina in privato.
Trovò il bagno in fondo al corridoio, come gli aveva indicato alcune
ore prima il medico di bordo. Bussò con precauzione, pregando che non fosse
occupato per non affrontare spiacevoli faccia a faccia.
Non rispose nessuno.
Usopp sorrise, girò la maniglia e tirò la porta verso di sé.
Divenne prima bianchissimo e poi rosso acceso nel trovarsi davanti il
padre, completamente nudo salvo un’asciugamani sui fianchi.
~
– Vi chiedo scusa per Pipe – disse il vecchio Yama, seduto sulla comoda
poltrona del salone della sua villa – Spero non vi abbia spaventati, e mi
dispiace molto per l’equivoco con il vostro amico… – continuò volgendosi verso
Brook.
– Non mi ha disturbato – rispose il musicista, con le falangi che
stringevano delicatamente la mano pallida di Pipe – Mi dispiace molto non
essere… la persona che lei crede –
Sulla spiaggia, Pipe aveva abbracciato Brook con trasporto e viva
emozione, come se davvero si fosse appena ricongiunta al nonno dato per morto,
sommergendo lo Scheletro di nomi di parenti e aneddoti passati a lui
completamente estranei. Guardando spaesato i suoi amici altrettanto confusi,
aveva deciso su due piedi di assecondare quella povera ragazza che sembrava
così felice di averlo ritrovato.
Pipe era vicino a lui e gli teneva la mano con affetto e devozione, ma
il suo sguardo era distante, e la ragazza era con la mente ben lontana da quel
salone dove si trovavano i padroni di casa con i pirati.
– La povera Pipe ha difficoltà a separare quello che vede con i suoi
occhi da quello che vede solo nella sua mente – sospirò tristemente Yama –
Forse qualche dettaglio le ha ricordato suo nonno, o forse è stata
unassociazione casuale. Non saprei dirlo –
Finalmente i superstiti della ciurma di Cappello di Paglia erano al
sicuro e all’asciutto, nella grande casa che sorgeva sulle pendici del Profilo
del Poeta, il colle che dominava la boscosa isola di Skye. Chopper era intento
a prestare il suo aiuto a Sanji e Nico Robin in una stanza appartata, grazie
specialmente a garze, bende e medicinali che Pipe gli aveva portato per curare
i due compagni; in realtà per aiutare Sanji aveva offerto anche un tubetto di
colla e un ventaglio di cartone, e il cuoco aveva accettato quegli strani doni
con un sorriso galante e gentile.
Il resto della ciurma, Rufy, Zoro, Franky e Brook, erano nel grande
salone del pianterreno, illuminato malamente da candele e dai pirati intenti a
mangiare quello che la ragazza e il vecchio erano riusciti a mettere in tavola.
La casa era molto grande, di
forma squadrata, a due piani con una mansarda. Le stanze, a giudicare dal
numero delle finestre, erano molto numerose e dai soffitti molto alti, ma ben
poche ne venivano effettivamente usate: solo il grande salone con il camino che
fungeva anche da sala da pranzo e la cucina al pianterreno e due camere da
letto al primo piano; il resto dell’edificio era silente e abbandonato, i
corridoi in disuso erano bui e quasi tutte le stanze erano chiuse a chiave o
addirittura sbarrate con delle assi di legno.
– Siete il padre di Pipe? – domandò Zoro al vecchio.
– No, non siamo parenti. L’ho trovata alcuni anni fa sulla spiaggia
nord-ovest di quest’isola, e già versava in condizioni mentali… instabili. Sì, instabile
è la parola giusta.
Franky guardò meglio Yama e sollevò la testa, dicendo: – Era su una
barca? O era naufragata?
– Naufragata. C’era stata una tempesta la notte precedente, c’erano
anche i rottami di una nave –
– Noi siamo sbarcati nella zona sud – collegò Franky, come se una
lampadina gli si fosse appena accesa nella testa.
– Quindi è probabile che Nami e Usopp siano stati trasportati a
nord-est! – completò Brook.
– Speriamo – disse Yama sospirando – Mi dispiacerebbe molto se fosse
successo qualcosa ai vostri amici.
– Usopp è un pirata, figlio di pirata – ribatté Rufy con un gran
sorriso – Sa benissimo come comportarsi in queste situazioni! –
Tutti temevano per i due ragazzi, ma quello che aveva mostrato più
preoccupazione per le sorti dei due era stato Chopper, la cui natura ingenua e
schietta rendeva più evidenti i suoi sentimenti. Era stata Nico Robin,
spalleggiata da Zoro, a ricordare a tutta la ciurma che i due compagni avevano
dimostrato di avere una spiccata capacità di svincolare dalle situazioni
difficili usando sotterfugi e senso pratico: sicuramente Nami era riuscita a
trovare le correnti migliori per guadagnare terra, e c’era anche la bella
fortuna che nessuno dei due fosse un possessore di Frutto del Diavolo. Di
sicuro erano vivi, e Usopp avrebbe trovato il modo di contattarli.
– Andiamo subito alla spiaggia! – incitò Rufy alzandosi dalla sedia. Ma
non fece in tempo a fare due passi che crollò per terra, profondamente
addormentato.
– Che razza di capitano – bofonchiò Zoro guardandolo critico, stappando
una bottiglia di sakè.
– Immagino fosse stanco – disse Yama sorridendo. – Poco male; ormai è
sera tardi, e le correnti che riportano i relitti sono quelle della mattina
presto: domani andremo a vedere.
– Faccio un salto adesso – disse lo spadaccino prendendo le katane e
avviandosi verso la porta.
– Non te lo consiglio – ammonì Pipe sorridendo – I relitti arrivano
solo la mattina… e poi di notte sull’isola… –
I pirari fissarono la ragazza; i suoi occhi si riempirono di lacrime, che
le rigarono le guance. – Di notte… le persone vanno via, non ci sono più… anche
io dovevo, ho rischiato… tenente, la prego, mi lasci qui… si salvi… – fece il
saluto militare, portandosi la destra tesa alla fronte, senza smettere di
piangere. – È stato un onore navigare con lei. –
Pipe piangeva commossa e inconsolabile, pur rimanendo fieramente nella
posa del saluto, con la mano destra tesa sulla sua fronte. Guardandola,
sembrava di poter vedere la divisa bianca e blu di una fiera Marine, e non l’abito
pesante di tartan verde e rosso che la riparava dall’umido e dal freddo.
– Pipe – sussurrò Brook avvicinandosi e sedendosi vicino a lei. La
ragazza guardò nelle orbite vuote dello scheletro e nascose il volto contro il
suo petto scarno, continuando a singhiozzare disperata fra le braccia del
vecchio pirata.
Yama intervenne: – Non so cosa ci sia nel passato della povera Pipe –
disse. – Non so nemmeno se ha questa confusione in testa dalla nascita o no,
anche se credo di no. Da alcune frasi io credo avesse a che fare con la Marina,
forse era una recluta, ma non ne so molto.
– Ha un Frutto del Diavolo, però – intervenne a sorpresa Franky.
– Ah, l’ha usato davanti a voi? Sì, ha mangiato uno di quei Frutti. –
spiegò Yama – Motus Motus, mi pare si chiami. È in grado di spostare con
il pensiero tutto ciò che tocca… è il potere della telecinesi.
~
– Io… – balbettò Usopp, emozionato. Non trovava le parole, in realtà
voleva scappare ma… quello era suo padre! Suo padre!!
Sollevò il capo stringendo i denti, cercando coraggiosamente di non
correre a rifugiarsi in infermeria.
– S-sono contento di conoscerti… – tartagliò tendendo la mano destra.
Yasopp troncò la frase a metà, sorprendendo il figlio con un abbraccio
commosso.
Due anni prima gli era andato di traverso il sakè nel leggere di
“Sogeking” sul giornale… come poteva dimenticare quella vecchia storia che lui
e Banchina raccontavano al loro bambino, appena nato, nelle notti in cui lui si
ostinava a non addormentarsi? E pochi mesi prima, quando si era quasi strozzato
con una bistecca nel leggere del “Dio Usopp” a caratteri cubitali, su un avviso
di taglia che per di più grondava sangue?
Usopp ricambiò quell’abbraccio cingendo l’uomo e serrando i denti per
non scoppiare a piangere davanti a Yasopp, l’uomo che fin da piccolo aveva
ammirato come il suo eroe, senza nemmeno conoscerlo: era suo padre, il più
coraggioso tiratore del mondo, il migliore di tutti i pirati, e tanto gli
bastava.
– Mi sei mancato – sussurrò.
Yasopp sospirò; era disabituato a simili gesti d’affetto, ma era così
orgoglioso di quanto aveva fatto suo figlio come pirata che l’unica cosa che
voleva, in quel momento, era sapere tutti i dettagli delle sue avventure e
stringerlo come sognava di fare da quasi due decenni.
– Mi devi raccontare tutto – esclamò il padre sciogliendo l’abbraccio
ma senza lasciare le spalle del figlio. – Voglio sapere di Sogeking, dell’incidente
delle Sabaody, e… come diavolo hai fatto a diventare “Dio”?! –
Usopp ridacchiò, modesto: – Oh, solo qualche parola al momento giusto… anzi,
in realtà Sogeking è stato un lampo di genio, ero a Water Seven con la mia
ciurma, e i giganti ci avevano accerchiati… – cominciò a narrare.
Ore dopo erano tutti e due a poppa, sotto il palmizio, a raccontarsi
fitto fitto di avventure meravigliose che forse non erano avvenute che nella
loro testa, o forse no. Sicuramente le cicatrici sul corpo di Yasopp
testimoniavano una realtà meno colorita di quanto il pirata raccontasse, e il
fisico del ragazzo nascondeva bene il difficile percorso dell’Arcipelago
Boeing.
A notte fonda il discorso cadde su Shiropp, il piccolo villaggio
dimenticato nel Mare Orientale.
– Era il momento di fare una scelta, Usopp… la tua unica colpa era
quella di essere troppo giovane, altrimenti ti avrei chiesto se… se avresti
voluto venire con me. –
– È lo stesso motivo per cui Rufy non è andato via con Shanks. –
sorrise il ragazzo.
– Già! – rise Yasopp – Era un vero discolo! A Foosha ce lo ritrovavamo
ovunque, sulla nave! Persino quando andavamo in bagno non potevamo stare
tranquilli!
– Perché te ne sei andato? – domandò Usopp dopo qualche lungo secondo
di silenzio.
L’assenza del padre era stato il rovescio della medaglia dell’ammirazione
cieca che provava. Da un lato l’orgoglio di essere il figlio di un valoroso
guerriero del mare, facendosi vanto tra la folla di avere sangue pirata nelle
vene, dall’altro c’era una donna sola che moriva in un letto troppo grande per
lei, e un grido che riempiva le vie del paesino…
«Arrivano
i pirati!»
Yasopp sospirò. Guardò verso l’alto, dove nel buio sventolava un
vessillo sfregiato. – La bandiera pirata mi stava chiamando. –
– E perché non sei mai tornato? – domandò ancora Usopp. Ripensava alla
mamma, così serena nel letto mentre lui era disperato, un bambino spaccato in
due dalla speranza e dalla morte.
Nella mente di Yasopp si disegnò una bugia perfetta.
Forse, però, quello era il momento per una semplice verità.
– Banchina non ha mai parlato molto bene di me, vero? –
Usopp levò di scatto la testa, meravigliato. – No… cioè, sì, no, non ha
mai parlato male di te…! Mi raccontava… – ingoiò un groppo. – Mi raccontava che
eri per mare… che saresti tornato… che saresti diventato il più coraggioso dei
pirati... –
Yasopp sembrò sorpreso. – Che donna straordinaria… – strinse i denti e
guardò verso babordo, dove il mare nero inghiottiva i pensieri dei naviganti.
– Il matrimonio con Banchina è finito quando avevi tre anni. –
Dietro le quinte... Buonasera (o buonanotte?) a tutti i lettori! Grazie per aver letto quest'ultimo capitolo e scusatemi tantissimo per il ritardo! A causa degli impegni ho dovuto rimandare per un bel po' la permanenza su EFP e limitare il tempo da dedicare alle storie, ma spero di riprendermi! Alcune cose sul capitolo. Il titolo, "Father and Son 2" fa riferimento ad una OS su Yasopp e Usopp da me precedentemente scritta che si intitolava, appunto, "Father and Son", e aveva come colonna sonora la più famosa "Father and son" di Cat Stevens. Qui il link. L'immagine l'ho composta io sulla famosa vignetta di Oda della ciurma di Shanks a Marineford. I nomi e i ruoli dei personaggi nella seconda riga sono inventati da me perché dove Oda non si esprime un'autrice si deve pur arrangiare. Il nome di Usopp da questo capitolo in poi sarà scritto con la doppia P, visto che il personaggio stesso, scrivendo il suo nome in uno degli ultimi capitoli, ha usato questa traslitterazione. Cercherò di cambiarlo anche nel resto della storia, ma è probabile che mi dimentichi. Anche la moglie di Benn, Juls, esce da un'altra mia storia. Il link è qui e c'è pure un seguito qui, entrambi a rating rosso a causa dei temi forti trattati. Di lei, comunque, si parlerà un pochino nei prossimi capitoli, anche se certo non è il fulcro della storia. Grazie per l'attenzione, (spero) a presto! Yellow Canadair |
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Capitolo 7 *** Ritorno a casa ***
Ritorno
a casa
Il mattino dopo, sulla Red Force, c’era movimento: era ora di
accompagnare Usopp alla villa della collina, per chiedere se anche i suoi
abitanti avessero visto dei naufraghi.
– Hai fretta di rivedere Rufy, capitano? – domandò Curtis a mensa.
– Non rivedrò Rufy. – rispose Shanks agguantando un grosso cornetto
caldo che stava su un piatto al centro del tavolo con altri numerosi e
fragranti fratellini. – Abbiamo fatto una promessa… ci rivedremo quando sarà
diventato un vero pirata.
– Senza nave, non è nemmeno un capitano. – sospirò tristemente Lucky
Lou mentre mangiava un grosso cosciotto di mucca, per cominciare con sprint la
giornata.
– Non sarà capitano, ma è certamente un valido pirata! – lo difese
Yasopp sventolando un manifesto da ricercato fresco di stampa. – Dressrosa
distrutta e Flottaro sconfitto! Carta canta! Mio figlio non è certo nella
ciurma del primo novellino che passa! –
– Certo! – sorrise Shanks. – Ma non è un gran momento per lui, avremo
tempo di vederci quando sarà un vero pirata… completo di nave! Benn, te ne puoi
occupare tu? –
Il vice fece un cenno d’assenso con la testa, poi si andò a sedere
accanto al suo capitano.
– Non è il ragazzo il problema, vero? – disse in un sussurro, mentre si
versava del caffè. Shanks annuì.
Si erano accorti che la ragazza di nome Nami era gentile con loro,
rispettosa e tranquilla. Ma era anche un tipetto sveglio, e fin troppo svelto.
Si perdeva sulla Red Force con troppa facilità per essere un navigatore, e
Shanks avrebbe giurato che stesse cercando di capire che cosa avesse spinto un
imperatore su un’isola come quella. Da sola non avrebbe potuto fare molto,
anche volendo, ma la prudenza non era mai troppa, specie nella Rotta Maggiore.
Per questo avevano deciso di risolvere la faccenda dei due ragazzi nel
minor tempo possibile.
Mezz’ora dopo, infatti, Usopp camminava dietro quegli uomini grossi e
muscolosi, sforzandosi di tenere il loro passo e di non far sentire loro i
denti che gli battevano e il cuore che tremava al pensiero di cos’avrebbero
potuto incontrare in quell’orribile e umida isola. Oltretutto era sicurissimo
che quei pirati riuscissero a percepire le sue emozioni con l’Ambizione della
Percezione, cosa che contribuiva al suo nervosismo e gli faceva sudare le mani
anche se faceva un gran freddo! Accidenti! Sarebbe morto di paura prima del
tramonto, se lo sentiva!
Bastava guardarli in faccia, quei tre tipacci, per morire di terrore!
Gli anfibi militari, i fucili più alti di loro, i mantelli scuri e i volti
devastati dalle cicatrici, testimoni di chissà che orribili carneficine! E la
cosa che lo sconcertava di più era che uno di quei tipacci… era suo padre
Yasopp.
Non era come se lo immaginava. Certo, aveva letto sul giornale degli
articoli sulla ciurma di Shanks, e aveva guardato con ammirazione il suo avviso
di taglia, ma in realtà quando lui pensava “mio padre”, gli veniva in mente lo
Yasopp magrolino e un po’ provinciale che abitava in una fotografia sbiadita
sul comò della camera da letto di Banchina. Era così che aveva imparato a
conoscerlo, era così che lo immaginava quando, troppo piccolo per leggere i
giornali, raccontava alla madre morente che il suo amato pirata stava tornando
da lei, l’avrebbe abbracciata e l’avrebbe curata.
Usopp strinse i denti al ricordo di sua madre, e al ricordo di tutte
quelle bellissime avventure che lei gli raccontava. Diceva sempre che il papà
era lontano, è vero, e che li aveva lasciati soli, però gli diceva anche che
l’aveva fatto per inseguire il suo sogno, per essere libero, e che non era
giusto tenerlo prigioniero su un’isola piccola piccola, era come tenere un
uccellino in gabbia sul balcone di casa.
Il risultato era… quella situazione. Il padre davanti a lui che
camminava spedito nella boscaglia e suoi amici altrettanto inquietanti che lo
spalleggiavano e che ogni tanto lo prendevano in giro per istigarlo a parlare.
Invece Yasopp e Usopp rimanevano in silenzio, imbarazzati.
I tre pirati si fermarono all’improvviso: la boscaglia era finita e
loro erano arrivati in una radura in mezzo alla foresta, invasa da alti sterpi
che rendevano impossibile proseguire senza un buon lavoro di lame. Benn Beckman
ne approfittò per accendersi una sigaretta mentre Yasopp e Vanja studiavano la
posizione in cui si trovavano.
– Ehi, ragazzo, vieni un po’ qui. – tuonò il Vice di Shanks.
Usopp, colto alla sprovvista, sobbalzò. Avrebbe tanto voluto girare i
tacchi e mettersi a correre più veloce del vento, ma era rigido come un pezzo
di legno e difficilmente avrebbe percorso più di qualche metro. Si avvicinò
lentamente a Benn, notando che armeggiava con qualcosa che era andato ad
incastrarsi nella tasca sinistra dei suoi pantaloni.
Yasopp e il colossale Vanja gesticolavano a qualche metro più in là e
sembravano nel bel mezzo di una discussione.
Tra le dita di Beckman brillò un bagliore sinistro.
Voleva ucciderlo! L’avevano trascinato fuori dalla nave con la scusa di
andare a cercare notizie di Rufy ma in realtà volevano solo sgozzarlo come un
capretto senza sporcare la nave!!
Forse allora Nami era già morta!!! L’avevano fatta in mille pezzi
mentre lui era in mensa a fare colazione e l’avevano buttata a mare, oppure
l’avevano mangiata!
Usopp deglutì a vuoto, ma sembrava che la saliva fosse sparita dalla
sua bocca. A fatica mise un piede davanti all’altro e riuscì ad arrivare ad un
paio di metri dal pirata. Chissà, forse sarebbe riuscito ad evitare la
coltellata, forse l’adrenalina avrebbe fatto il miracolo… forse sarebbe stato
così rapido da non sentire il dolore.
– Vuoi? –
In una mano Benn aveva un accendino scintillante; nell’altra, tesa
verso Usopp, un pacchetto di sigarette aperto.
Usopp fissava i filtri arancioni e bianchi nella scatoletta.
– Rilassati, ragazzino. – sorrise ironico Beckman. Il tempo
dell’offerta era evidentemente scaduto, e il pacchetto di sigarette era
sparito. – Se avessimo voluto farti fuori l’avremmo fatto prima. Yasopp! –
chiamò.
Il cecchino si voltò.
– Manca poco alla casa, vero? –
Yasopp si voltò verso Vanja, il navigatore. Questi gesticolò
animatamente verso Benn.
Siamo vicini, un’ora al massimo
e ci saremo.
La grande scimmia che accompagnava Vanja sottolineò la frase con alti
strilli.
Usopp non si sarebbe mai abituato a quei dialoghi muti, ma era
incantato dall’abilità di segnare non solo di Vanja, ma anche dei suoi amici:
non c’era un solo compagno della sua ciurma che non lo capisse. La scimmia,
Roccia, non lo perdeva mai di vista, tanto che a volte sembrava essere una sorta
di balia, per il pirata; Usopp non sapeva se ridere o meno quando, a colazione,
la scimmia si era arrabbiata perché Vanja non usava il tovagliolo.
– Un’ora e ci siamo – ripetè Yasopp a beneficio del figlio.
– Andiamo avanti, Vanja – disse Benn alzandosi e battendo una pacca
sulla spalla del navigatore.
I due uomini si incamminarono facendosi largo tra la macchia umida con
spade e katane, e Yasopp rimase indietro con suo figlio.
– Mi dispiace non essere stato… molto diplomatico, ieri sera. Ero
convinto lo sapessi. – mormorò Yasopp.
– Mamma non me l’aveva mai detto. – rispose il ragazzo sorridendo
tristemente. – Come mai… insomma, perché è finita? – Usopp aveva paura nel
porre quelle domande, significava infrangere il sogno che Banchina aveva cucito
per lui, bambino. Ma chissà se e quando avrebbe rivisto il padre, e quella era
una bugia che stava vivendo da diciassette anni.
– Voleva che vivessi il mio sogno, senza legami ad ostacolarlo. –
rispose con sincerità Yasopp.
Usopp si fermò in mezzo al sentiero. – Ma… è esattamente quello che mi
diceva lei. Diceva che era orgogliosa di te per la tua scelta, e non avrebbe
impedito a nessun legame di ostacolarti…
– …lei cosa? –
– Era orgogliosa della tua scelta… – sussurrò Usopp chinando la testa. –
E non avrebbe impedito a nessun… –
Yasopp di Shiropp abbracciò suo figlio, ma in realtà stava stringendo a
sé quello che di Banchina rimaneva sulla Terra.
– …non avrebbe impedito a nessun legame di ostacolarmi… quindi
decidemmo di sciogliere il matrimonio, di comune accordo. – completò il padre.
Banchina non aveva mai mentito; aveva solo deciso di non dire a suo
figlio un particolare trascurabile.
~
– Sanjiiii!! – strillò Rufy – Sono pronti i cestini da pirata? –
– Vuoi abbassare la voce?! – fu il repentino rimprovero del cuoco,
consegnato con un aggraziatissimo calcio nelle gengive del capitano. – La mia
dolce Robin e la piccola Pipe stanno ancora dormendo! –
Era da poco sorto il sole e Rufy, Zoro e Franky erano pronti ad andare
in ricognizione su una spiaggia indicata loro da Yama, dove a suo dire era lì,
che in caso di forti mareggiate, andavano a depositarsi rottami e scarti del
mare. I Mugi adesso si trovavano nel grande salone della casa dove vivevano
Yama e Pipe, un salone ampio dalle pareti di pietra scura che ricordava quelli
dei castelli medievali, soprattutto a causa del grandissimo camino che dominava
una delle pareti brevi e il lungo tavolo di legno massiccio che occupava gran parte
della sala. Ai lati del camino si aprivano due porte: una conduceva ad una
piccola stanza che a sua volta portava in cucina, e varcando l’altra si
arrivava alle scale, da dove si saliva ai piani superiori, dove c’erano le stanze
di Yama e di Pipe, o, tramite un’altra porta, si andava in un corridoio dove
affacciavano le stanze del pianterreno. Sulla parete opposta a quella del
camino si apriva il portone d’ingresso. Non c’erano finestre, salvo un rosone
sopra la porta principale e due bifore ai lati della porta. L’illuminazione era
dovuta tutta al grande lampadario su cui brillavano dei grossi ceri,
amplificati poi da un gioco di specchi posizionati tra i ferri che componevano
il lampadario stesso.
I pirati di Cappello di Paglia dormivano in una stanza in disuso al
pianterreno, una camerata una volta destinata alla servitù della grande casa,
che Pipe aveva aperto con una chiave pescata in un grande e tintinnante mazzo.
In realtà Yama aveva offerto loro due o tre delle camere padronali del primo
piano, ma i pirati avevano preferito una soluzione più spartana, dicendo che
non era loro intenzione arrecare troppo disagio e che sarebbero ripartiti
appena Franky fosse riuscito a costruire un’imbarcazione con la quale tornare
all’isola precedente o andare a quella successiva, per trovare i materiali
adatti ad una nave che avrebbe sostituito la Thousand Sunny. In realtà tutti
loro, al di là di una sensazione di inquietudine che li aveva colti dal momento
in cui, sulla spiaggia, avevano sentito le note di Scotland the Brave,
preferivano rimanere sulla difensiva e non abbassare la guardia; coloro che si
erano ripresi, inoltre, facevano muro attorno a Sanji e Nico Robin,
assicurandosi che Chopper avesse tutta la tranquillità necessaria per
rimetterli in sesto il prima possibile.
– Ma sono pronti o no? – insistè Rufy, abbassando di qualche decibel la
sua richiesta.
– Non ho cestini, primo; secondo, l’isola è così piccola che per pranzo
tornerete sicuramente qui, e probabilmente anche prima.
– Ma se mi viene fame prima? – piagnucolò il capitano.
– Resisti! – ringhiò il cuoco.
– Possiamo prendere qualche animale nella foresta. – ovviò Zoro. –
Andiamo? –
In quel momento, dalla stanza dove dormivano tutti i Mugi, uscì Nico
Robin, avvolta in una calda vestaglia verde scuro con gli orli di tartan verde
e rosso. Avanzò tranquilla fino al grande tavolo da pranzo e si sedette accanto
a Chopper. Sanji, che aveva ormai un radar incorporato per le sue signore, si
voltò e andò verso di lei, sorprendendosi di trovarla già in piedi.
– Robin cara – esordì abbandonando la lite con il suo capitano, vassoio
di biscotti in mano e tovagliolo appeso al braccio. – È un piacere vederti di
nuovo in piedi! – cinguettò.
– …non è che adesso ci diresti di che color- – Brook cercò di
intromettersi ma Sanji gli consigliò tramite calcio di rimandare la questione.
Nico Robin rise sommessamente, e accettò i biscotti che Sanji aveva con
sé. Quel ragazzo era davvero un cuoco straordinario, era riuscito a tirare
fuori dalla frugale credenza di Yama una colazione da hotel di lusso!
– Noi andiamo – annunciò Zoro ai presenti prima di seguire Rufy verso
il portone d’ingresso.
– Aspettate… – Nico Robin sollevò la testa all’improvviso, come colta
da uno strano sesto senso. – Dov’è Franky? –
– Era ancora in camera, quando sono uscito a preparare la colazione. –
fece Sanji.
– Non c’era più, quando io mi sono alzata. – rispose l’archeologa.
– Qui non l’ho visto… – sussurrò Pipe, anche se nessuno seppe bene come
interpretare la sua frase.
– Di sicuro non è passato per di qui, a meno che non sia stato
incredibilmente silenzioso. – disse Sanji.
– Stavi usando l’Ambizione? – chiese Zoro, pratico.
– No. – si rammaricò il cuoco. Non poteva avere la certezza, dunque,
che Franky non fosse uscito alla chetichella dalla casa. – Ma avrei sentito
chiudersi il portone dell’ingresso. – disse.
– Allora è tutto a posto. – risolse Rufy. – Sarà andato a vedere il
resto della casa!
– Potrebbe essere andato ai piani superiori – notò Chopper. – Una volta
usciti dalla nostra stanza, o si salgono le scale o si arriva nel salone.
– Sarà… – disse Sanji affacciandosi ad una delle finestre che davano
sulla facciata della casa.
Erano tutti abbastanza preoccupati per il carpentiere, in realtà.
L’affondamento della Sunny era stato un duro colpo per tutti, ma lui l’aveva
accusato particolarmente. Non poteva essere altrimenti: quella nave era la
materializzazione non solo del suo orgoglio come carpentiere e come artista nel
suo settore, ma anche il modo per realizzare il suo sogno.
– Dovremmo cercarlo…? – domandò Brook.
– La precedenza a Nami e Usopp, potrebbero essere in pericolo. – ruggì
Zoro, col consenso di Rufy.
– Forse è andato a dare un’occhiata in giro, non è il caso di
preoccuparsi. – disse Robin sorseggiando del caffè. – Semmai sentiremo delle
urla, o rumore di metallo sventrato, forse…
– Torneremo il prima possibile. – troncò il lugubre discorso Zoro.
Era un compito che di solito aveva Usopp, quello di frenare le
tenebrose fantasie di Nico Robin.
– Ehi! Gente in avvicinamento – avvertì Sanji, che era ancora
affacciato ad una delle finestre.
– Quanti sono? – Zoro sguainò le spade e uscì dalla casa; poi tornò sui
suoi passi perché era entrato in uno sgabuzzino per le scope invece di varcare
l’ingresso principale.
– Quattro – rispose il cuoco aguzzando la vista. – È USOPP!!! – gridò.
Immediatamente tutti i Mugi si affacciarono alle finestre della
facciata, spintonandosi increduli.
– Speravo che Nami fosse con lui. – ringhiò Zoro. – E chi sono quei
tre? –
– Benn Beckman, Vanja la Chiacchiera e Yasopp da Shiropp. Ciurma di
Shanks il Rosso. –
Tutti si voltarono verso Nico Robin; a lei non serviva affacciarsi alla
finestra, due occhi erano silenziosamente apparsi sopra al davanzale dove si
era affacciato Sanji.
– Shanks?! – esclamò Rufy
– Shanks il Rosso è su quest’isola?! – si spaventò Chopper.
– Hanno preso Usopp come prigioniero? – domandò Brook sporgendosi verso
Sanji.
– Non sembra proprio – rispose lui stringendosi nelle spalle. – Non è
legato, né lo stanno minacciando. E poi, diamine! – guardò lo scheletro. –
Yasopp è suo padre! Forse erano nei paraggi e l’hanno raccolto. –
– Che facciamo, Rufy? –
– Rufy? –
Una scheggia impazzita era saltata giù dal davanzale ed era atterrata
davanti all’ingresso della tenuta. Benn, Vanja e Yasopp si schierarono
immediatamente in posizione di difesa, ma fortunatamente Usopp li sorpassò
correndo e si buttò tra le braccia di Rufy, evitando che i tre pirati
passassero dalla difesa all’attacco.
~
– Shanks ti manda i suoi saluti, capitano dal cappello di paglia! – esordì
Benn, in qualità di vice, una volta che fu fatto accomodare da Pipe, che
intanto si era svegliata per il trambusto, al tavolo del grande salone, mentre
accendeva una sigaretta facendo scattare il suo accendino blu.
– Come sta? È su quest’isola? – domandò subito Rufy.
– Sta benone, è sulla nave. Siamo alla fonda sulla costa opposta.
– Che ci fate qui? – Yama, in vestaglia da camera accanto al camino, non aveva proferito parola per tutto il tempo; era piuttosto seccato che degli ospiti fossero stati fatti entrare in casa sua senza chiedergli il benché minimo parere, salvo delle scuse da parte della donna dai capelli mori. Adesso sembrava molto attento alle parole del pirata appena arrivato.
Benn Beckman non si fece cogliere impreparato: – L’isola era sulla
nostra rotta, ne abbiamo approfittato per riposarci e fare provviste. –
– Purtroppo c’è poco da recuperare. – s’intromise Sanji pensando alle
difficoltà nel preparare la colazione.
A Rufy bastò quella breve frase per distrarsi e andare a sentire cosa
raccontasse Yasopp, che infervorato dagli occhioni sognanti di Chopper stava
raccontando ai presenti di come, da ragazzo, avesse sconfitto la grande Tribù
dei Piedi che Ballano, una popolazione di nobili guerrieri pirati
contrabbandieri cannibali schiavisti che vivevano nel Mare Occidentale.
– Ohhh, Usopp, tuo padre è fenomenale!! – urlettava la renna.
– È un mito!! – caldeggiò subito Rufy.
– Allora è una cosa ereditaria… – brontolò Zoro, in disparte, verso
Lucky Lou.
– Noi ci abbiamo fatto il callo. – rispose il pirata del Rosso,
sogghignando e sgranocchiando un cosciotto che aveva portato con sé come
merenda di metà mattina.
– Signor Yasopp, la prego, racconti di quando ha sbaragliato il Grande
Capo Gigante delle Piovre Nere!! – supplicò Pipe.
– Anche tu?! – si rigirarono all’unisono Sanji e Zoro.
– Ehi, Yasopp! – lo richiamò Benn ciccando in un bicchierino pieno
d’acqua. – Dobbiamo tornare indietro. Grazie per il caffè. – concluse, rivolto
a Sanji. Yama si offrì di far loro strada.
– Ehm… – fece Sanji un po’ esitante, rivolto al pistolero. – È da
quando sono naufragato che non fumo una sigaretta… ecco… –
– Sei fumatore?
– È una ciminiera. – disse Zoro passando vicino a loro diretto
all’ingresso.
Benn Beckman sospirò, poi si frugò nelle tasche del pantalone. – Tieni,
ragazzo. Fattele bastare. –
– Grazie! – rispose emozionato Sanji, prendendo una sigaretta dal
pacchetto che Benn gli porgeva.
– Prendilo tutto, io ho la scorta alla nave. – concesse Beckman
alzandosi in piedi e prendendo per sé solo una sigaretta per il viaggio di
ritorno. – Allora… – disse rivolto ai pirati di Cappello di Paglia – Chi viene
con noi a prendere la piccola Nami? –
~
Nami era stesa nella brandina dell’infermeria della Red Force.
Respirava a fatica, ogni tanto tossiva, ma la febbre stava scendendo e Ftoros,
il medico di bordo di Shanks, entrava di tanto in tanto a controllare che tutto
fosse sotto controllo.
La navigatrice però, nonostante la debolezza, aveva sempre le orecchie
e gli occhi ben spalancati, e raccoglieva tutti gli indizi che poteva su quella
ciurma che la ospitava, un po’ per curiosità e un po’ per prudenza: era grata a
Shanks, ma non si fidava completamente di pirati a lei ancora estranei.
Chiedeva a Ftoros informazioni sulle medicine che le somministrava, e faceva
domande senza troppi scrupoli persino allo stesso capitano, una volta abituatasi
all’idea che quell’imperatore non faceva davvero paura, e Rufy aveva ragione a
descriverlo come un buon diavolo.
“Ma sempre diavolo rimane”, pensava Nami, che si arrovellava su come
quell’uomo potesse essere diventato un imperatore: sembrava che gli articoli di
giornale che parlavano di lui descrivessero un’altra persona, perché il
capitano della Red Force tutto sembrava fuorché spietato e pericoloso, con
quell’aria da eterno ragazzo, pronto al bere e dalla battuta facile.
Da quando Usopp era andato via per cercare informazioni sulla loro
ciurma, Nami era rimasta sola nell’infermeria, a guardare le venature di legno
delle travi sul soffitto e a sentire gli uomini che cantavano sul ponte della
nave, sopra la sua testa.
In fondo, pensava, non volevano ucciderla né farle del male, o
l’avrebbero fatto ben prima. Shanks le aveva detto chiaro e tondo che, se non
fossero riusciti a trovare notizie della loro ciurma su quell’isola, avrebbero
lasciato lei e Usopp su quella successiva, e naturalmente in un luogo sicuro,
non sulla soglia di una base militare!
E se non li avessero trovati mai più? Pensò Nami. Se il mare li avesse
inghiottiti tutti? Se non avrebbe sentito mai più le loro voci? Uno ad uno
richiamò alla memoria i suoi amici, la loro voce suonava limpida nella sua
testa. Erano tutti fortissimi, pirati valorosi e naviganti esperti. Non
potevano essere morti! Ma alcuni di loro avevano un Frutto del Diavolo, e se
erano…?
No, non poteva essere. Zoro e Sanji non l’avrebbero mai permesso. E se
anche loro fossero…? Se non avessero trovato un relitto cui aggrapparsi?
La ragazza sospirò, si passò una mano sotto la gola sentendola ancora
bruciare per la febbre, e si inabissò sotto le coperte. Sparì dalla vista, e di
lei non rimase altro che un rigonfiamento sotto le coltri. Sporse una mano
fuori dalle coperte, arraffò il cuscino, e trascinò pure lui sotto le coperte.
– Nami! Dov’è Nami?! –
– Shhh! Siamo sulla nave di un imperatore! Ci uccideranno!!
Nami spalancò gli occhi sotto le trapunte, non vedendo altro che nero.
Le voci dei suoi compagni nella sua testa erano ancora più vivide di
quanto credesse.
All’improvviso l’uscio si spalancò con un botto, e la porta sbattè
contro la parete.
– NAMI! –
La navigatrice si alzò a sedere di scatto sul letto, e vide sulla
soglia dell’infermeria Sanji e Chopper.
Nei ricordi di Nami non sarebbe mai rimasto il momento in cui medico e
cuoco coprirono la distanza tra porta e letto: un attimo prima erano sulla
porta a fissarla sorridenti, e l’attimo dopo erano stretti in un abbraccio, tra
lacrime e risate.
– Nami, tesoro! – Sanji emanava cuori che si disperdevano nella stanza;
Benn Beckman, affacciatosi all’uscio, avvicinò la brace della sigaretta ad uno
di essi, e il cuoricino scoppiò come una bolla di sapone.
Chopper, nella solita forma ibrida, era salito sulle coperte e l’aveva
abbracciata di slancio, sedendosi tra le sue gambe e affondando il viso nella
grande felpa da uomo che la copriva, singhiozzando e piangendo senza freni, e
quasi rischiava di essere soffocato da Sanji, sopraggiunto subito dopo, che
seduto sul letto stringeva la compagna, non permettendole di vedere nient’altro
che il blu scuro del suo completo.
Nami per un istante pensò di quantificare in Berry il valore di
quell’abbraccio, ricattare Sanji e farsi cucinare le ricette più complicate a
base di agrumi, ma poi strinse i denti mentre con un braccio stringeva il
biondino e con l’altro la renna e ringhiò:
– Perché diavolo ci avete messo tanto?! –
Soffocò le lacrime e si aggrappò al compagno, e Sanji molto
coraggiosamente rimandò l’epistassi e continuò ad accarezzarle la testa.
– Oh, Nami! – singhiozzava Chopper – Nami, eravamo tutti preoccupati…!
–
– Stiamo tutti bene. Siamo tutti vivi, mancavate solo tu e Usopp. – si
affrettò a dire il cuoco.
– Che spettacolo patetico. – tuonò una voce facendosi largo tra i
cuoricini.
– Zoro! – esclamò Nami sollevando la testa.
– Non dovevi aspettare a terra, stronzo? – marcò il territorio Sanji.
– No. – rispose semplicemente lo spadaccino, ghignando a Nami. – Se te
la senti, posso portarti dagli altri anche subito – le disse spiccio,
stringendo rudemente la mano che la navigatrice gli tendeva.
– “Posso portarti” le tue palle, Marimo! – s’infuriò Sanji, che già si
era programmato una romantica passeggiata nella foresta con Nami tra le sue
braccia che gli giurava amore eterno.
Un’ondata di Ambizione li investì in pieno.
Non li tramortì, ma fece loro drizzare i peli sulla schiena.
– Che ci fa. Tutta questa gente. Nella mia. Infermeria?! –
Ftoros era molto geloso della sua zona di lavoro.
Dietro le quinte... Bentornati a tutti i lettori e grazie per aver letto anche questo capitolo! Eroici!! Un sentito ringraziamento alle ragazze della pagina Facebook "EFP - Fandom One Piece" che mi hanno aiutato a sbloccare la scena del ricongiungimento di Nami con i suoi amici! Grazie mille! Non sapevo davvero che pesci pigliare, chi mi legge da un po' sa che Nami non è proprio "materia mia", e che anche quando la tratto in coppia con Zoro mi faccio scudo del "non sappiamo bene come reagirebbe in situazione xy, quindi posso andare a naso". Qui no. Oda poi nell'ultimo capitolo *no spoiler* mi ha dato un altro po' di materiale quindi... viva Nami. Chiedo scusa a tutti gli studenti di architettura, design di interni e roba simile per la cartina da me disegnata: spero renda l'idea della casa in cui si stanno muovendo i protagonisti. Come da titolo, la pianta si riferisce al solo pianterreno. Mi farebbe molto piacere se voi lettori mi faceste sapere se la storia vi sta piacendo, se avete qualche teoria su quello che sta succedendo, anche se avete delle recriminazioni o se ho fatto errori, siete del tutto in libertà di farmeli notare! Grazie a tutti quanti e a prestissimo!! Yellow Canadair
|
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Capitolo 8 *** Scomparsi! ***
[zipedit] Scomparsi!
Quando alla casa sulla collina Nico
Robin avvistò sul sentiero Sanji, Zoro e Chopper in versione Guard Point, con
Nami affondata nel morbido e caldo pelo della groppa, immediatamente il portone
si spalancò e Rufy fece festa alla sua navigatrice stritolando lei -e quindi Chopper-
in un abbraccio gommoso. Sanji protestò dicendo che stavano
facendo prendere freddo alla sua dolcissima dea, facendola uscire dal bozzolo
di pelo in cui stava, ma nessuno gli diede molta retta, allora Zoro non si fece
scappare l’occasione per ricordargli che non aveva avuto l’onore di portarla in
braccio come sperava, ma la sfiorata rissa fu interrotta da Brook, che separò i
litiganti superandoli e domandò a Nami di che colore avesse l’intimo, e un
sonoro pugno sul cranio del musicista convinse Chopper che la navigatrice,
tutto sommato, era ben lungi dal tirare le cuoia. Fu portata nella camera da
letto comune tra le grida emozionate di tutti, mentre Pipe e Yama guardavano un
po’ in disparte tutte quelle effusioni. Fu Nico Robin a spezzare quel loro
imbarazzo e a presentarli alla navigatrice. – Lui è Yama, il proprietario della villa. – disse l’archeologa. – E la
ragazza si chiama Pipe. – Yama sorrise e chinò brevemente il capo, Pipe sgranò gli occhioni e
strinse di più la cornamusa che portava sempre con sé. – Lei è veramente
bellissima – sospirò. – Vero? La mia Nami è sempre meravigliosa! – gongolò Sanji, come se
l’aspetto di Nami fosse merito suo. La cartografa lo spostò di lato e ridacchiò rivolta a Pipe: – Ma cosa
dici! Sei davvero un tesoro! – disse con falsa modestia. – Ha mai provato a lucidare candelabri da corsa? – terminò Pipe
estatica. Nami aggrottò le sopracciglia e aprì la bocca per rispondere, confusa,
ma Nico Robin, alle spalle di Pipe, le suggerì silenziosamente di assecondarla,
con una muta promessa: “Ti spiego dopo”. Tutti rientrarono in casa e si chiusero il portone alle spalle. Yama si
ritirò nella piccola biblioteca della casa, al secondo piano, e Pipe rimase in
compagnia dei pirati; Nami era con Chopper nella camerata e la rimanente comitiva
si era riunita nel salone principale, chi seduto al tavolo e chi per terra,
davanti al camino nel quale ardevano fiamme basse. Ora che la sparizione di Nami e Usopp aveva avuto un felice epilogo,
c’era da affrontare un problema più grave: Franky era ancora latitante. – Non è ancora tornato? – domandò Zoro. – No. E siamo andati in giro per tutta la villa, niente da fare. Non
c’erano nemmeno tracce all’esterno, ed è strano perché il terreno è umido! Le
orme nel fango le avremmo notate subito. – ragionò Usopp. – Non avrà creato qualcosa che lo faccia volare? – si domandò Sanji. Usopp scosse la testa: Franky, che lui sapesse, non si era ancora
modificato fino a questo punto (anche se, conoscendolo, sarebbe stata solo
questione di tempo). – Lo vado a cercare. – risolse Rufy alzandosi dal pavimento, dove stava
mordicchiando un cosciotto di gallina. Si diresse quasi di corsa verso
l’ingresso, reggendosi con una mano il cappello di paglia sul capo. – Vengo con te. – si accodò lo spadaccino alzandosi da capotavola. – Arrivo anche io. – si propose Sanji, ma Zoro fece dietro-front e lo
afferrò per una spalla, costringendolo a tornare sui suoi passi. – Rimani qui e bada agli altri, Sopracciglio. Non mi fido di questo
posto. – ruggì basso l’allievo di Mihawk. Sanji annuì senza guardarlo negli occhi, e i due si separarono. Il cuoco sospirò, affondò le mani nelle sue tasche e si girò verso
l’interno della casa mentre Zoro e Rufy uscivano; quando sentì il rumore del
portone che si chiudeva espirò e si avviò verso la loro camera da letto. Se Zoro gli aveva detto di rimanere alla villa, pensò, era perché
intuiva che Franky non se ne fosse affatto andato di sua volontà, e anche se al
cuoco riusciva difficile immaginare che qualcuno riuscisse a rapire Franky,
decise di fidarsi dell’intuito dello spadaccino e non abbassare la guardia,
specie con tre membri della ciurma assenti. Meglio informare gli altri del pericolo, però. Magari quella stupida
testa d’alga s’era fatta solo condizionare dall’aspetto tetro dell’isola, ma
Sanji sapeva che Zoro non era certo il tipo che si faceva impressionare da
qualche albero scheletrico. Attraversando il salone si passò una mano tra i capelli, socchiudendo
gli occhi mentre sotto le dita sentiva la benda ruvida che gli cingeva la
fronte; l’albero di mezzana aveva fatto un gran male, ma tutto sommato era
ancora in piedi, e sebbene Chopper gli ripetesse spesso di non strapazzarsi, il
cuoco non si sottraeva ai suoi compiti: erano tutti stanchi e demotivati in
quel momento, era importante preparare da mangiare e dare alla ciurma, per quel
poco che poteva, una parvenza di normalità in quella tragica emergenza. Spinse la porta della stanza, che era socchiusa. Sorrise guardando la
loro bandiera che Yama aveva permesso di appendere sul legno: Rufy l’aveva
salvata all’ultimo secondo, prima che la Sunny si inabissasse, e poi era
servita per medicarlo mentre erano ancora in mare. Il cuoco sfiorò la stoffa
nera dove, sapeva, c’era ancora il suo sangue, poi entrò deciso nella camera. Nami era già sotto le coperte, nel letto che sin dalla prima notte i
suoi amici avevano destinato a lei. Chopper era lì vicino, le stava misurando
la febbre e controllando il suo stato generale, anche se aveva subito detto che
Ftoros era un bravissimo medico e l’aveva trattata con riguardo. Nella stessa
stanza c’era Nico Robin, che stava sfogliando un libro che le aveva prestato Yama.
La sua spalla non era ancora guarita del tutto, ma grazie alla piccola renna
stava recuperando velocemente. – Posso portarvi qualcosa da bere, dolci Veneri? – si offrì il ragazzo,
seguito da un codazzo di cuori nati appena aveva posato lo sguardo su Robin e
Nami. – Grazie Sanji, sono a posto così. – sorrise Robin, accennando ad una
tazzina di caffè ormai vuota sul suo comodino. Sanji così aspettò la risposta di Nami, che però non arrivava. Il cuoco
si sedette sul letto della ragazza, sul margine ai suoi piedi. – Sta risalendo
la febbre? – chiese a Chopper sottovoce. – È stabile poco sotto al trentotto. Si è addormentata poco fa. –
rispose la renna. – Non abbassare la guardia, Chopper. – sussurrò il cuoco. – Ora che tre
di noi sono via, non voglio che succeda qualcosa. – Siamo in pericolo?! – rabbrividì la renna. – L’avevo intuito. – commentò serafica Nico Robin senza scomporsi. – Non lo so. Ma meglio rimanere sulla difensiva finché non saremo tutti
ritornati. – concluse Sanji prima di tornare sui suoi passi e dirigersi verso
la cucina, deciso a mettere in guardia anche Usopp e Brook. La cucina era silente a quell’ora di dopopranzo: la mattina era
trascorsa rapidamente, tra il ritorno prima di Usopp e poi di Nami, e Rufy
aveva preteso il suo pranzo subito dopo mezzogiorno. Ora che il capitano era
andato via, trascinandosi dietro il troglodita, e non si sentiva né
l’armeggiare di Franky né il violino di Brook, sembrava una di quelle notti
alla fonda su isole vergini in cui tutti dormivano felici sulla Thousand Sunny.
Seduti al tavolo della cucina, ancora calda, c’erano Usopp e Brook che
giocavano a carte, e Pipe teneva loro compagnia, seduta vicino al musicista;
stringeva la sua cornamusa e guardava le carte in mano allo scheletro con aria
assente. La mano di Sanji, nella tasca, sfiorò il pacchetto di sigarette
datogli da Benn, con una gran voglia di fumarne una. Ma, lo sapeva, quelle
sigarette dovevano bastargli per chissà quanto tempo quindi decise di resistere
finché poteva. – Puoi usare quella. – disse all’improvviso Pipe, senza staccare lo
sguardo dalle carte di Brook. Lo scheletro rispose: – Ma così faccio vincere Usopp… – credendo che la
ragazza si riferisse alle carte. Pipe però scosse la testa. – Al posto delle sigarette… – continuò, voltandosi finalmente verso il
suo reale interlocutore, cioè Sanji. – Nel terzo cassetto, sotto il prato
verde, c’è un barattolo… ci sono i bastoncini di cannella! – Il cuoco andò ad aprire il terzo cassetto, rimanendo un po’ esitante a
causa del “prato verde”. Ma sotto una tovaglia color clorofilla trovò davvero
un barattolino pieno di bastoncini. Non si seppe mai se i cuoricini gli uscirono per amore di un palliativo
al desiderio di nicotina o, più probabilmente, per gratitudine verso Pipe, ma
la ragazza guadagnò immediatamente un baciamano, un dissetante succo di frutta
appena spremuto e la promessa di avere per merenda qualsiasi pietanza
desiderasse. – Sanji – pigolò lei. – Come stai? – chiese indicando la fasciatura che
ancora cingeva la fronte del biondo. Il cuoco sorrise. – Meglio, stellina. Ho la testa dura! E tu? – – Sto bene… – la voce le si incrinò, e sorrise vaga. La mente aveva
cominciato ad inseguire qualcos’altro. Sanji le accarezzò i riccioli mori e si
rivolse serissimo ai due compagni: – State in guardia e non rimanete mai da
soli. – Brook lo guardò gravemente, comprendendo. Usopp invece si girò di
scatto verso di lui con il terrore negli occhi: – C-c-che vuoi dire?! Siamo in
pericolo!?! – gli caddero le carte di mano e lo scheletro ne prese mentalmente
nota. – Siete in pericolo? – si allarmò Pipe. Sanji sfoggiò il sorriso più elegante e rassicurante del suo
repertorio. – Ma no, piccola Pipe. – disse. – Siamo solo preoccupati per il
nostro amico Franky. – – Padron Yama non gli vuole fare del male. – – …cosa? – dissero all’unisono Sanji, Brook e Usopp. Un urlo agghiacciante però sospese la conversazione, i tre uomini
balzarono in piedi e Pipe si nascose istintivamente dietro lo scheletro. – Era la voce di Chopper! – riconobbe il cecchino con le ginocchia che
già facevano giacomo-giacomo. Subito i quattro uscirono dalla cucina e arrivarono nel salone comune,
e dalla porta del dormitorio dove avevano lasciato Chopper si affacciava Nico
Robin. – Dov’è Chopper? – gridò Sanji. Anche Yama arrivò, scendendo le scale trafelato. – Padron Yama, gli spiriti…! – gli corse incontro Pipe sull’orlo delle
lacrime. – No, Pipe, forza. Non prenderanno noi. Usopp alla parola “spiriti” diventò bianco come un fazzoletto. – Dov’è Chopper? – ripeté il cuoco alla ragazza della ciurma. – Era andato in cucina a prendere dell’acqua… – cominciò Robin. – Non è mai arrivato in cucina! – la contraddisse Brook. – Robin! Che sta succedendo? – si aggrappò Nami all’archeologa,
svegliata dall’improvviso trambusto. – Vediamo… – cominciò a ragionare costei. – Franky è scomparso in
circostanze misteriose, seguito da Chopper… io dire che potrebbero essere
caduti in qualche trabocchetto. Questa è una casa molto antica, vero? Non mi
meraviglierei né se gli antichi proprietari avessero inventato qualche mortale
trappola contro i ladri, né se fosse maledetta… Yama, sa se è morto qualcuno
qui? – – CHE RAZZA DI DISCORSI FAI??? – pianse Usopp disperato. – Brook, rimani con le ragazze. Usopp, vieni con me, dobbiamo cercare
Chopper. – e se lo trascinò verso la buia tromba delle scale mentre il cecchino
recitava strane preghiere in lingue solo a lui note. In quel momento la porta del maniero si spalancò, ed entrò un
trafelatissimo Monkey D. Rufy. – Ehi! – esclamò rivolto ai presenti. – Zoro è
qui!? – ~ – Pendagli da forca! – ruggì Shanks il Rosso alla sua ciurma di bucanieri.
– Siete pronti a prenderci il tesoro che ci spettava di diritto già vent’anni
fa?! Siete pronti a mettere le mani sul tesoro minerario dell’isola di Skye?! Siete
pronti a riportare alla luc- – Dacci un taglio. – fece scocciato Benn Beckman, già con pale e
picconi in spalla. – Andiamo, Benn! – rispose gioviale il capitano. – Non sei contento?
Siamo finalmente sulla pista giusta! Abbiamo trovato i classici due piccioni
con una fava! – Già, il tutto nell’unico giorno in cui non sei sceso a terra in avanscoperta.
Dovrei lasciarti a smaltire la sbornia da solo più spesso. – Non prendetevi meriti che non avete! – s’intromise Yasopp. – È solo
grazie a mio figlio che abbiamo trovato l’ultima traccia della città mineraria,
ricordate? – “Il leggendario fattore C del sangue di Yasopp”. – sospirò Benn,
recitando a memoria e alzando gli occhi al cielo. Nami e Usopp erano stati trovati rintanati in un piccolo edificio
quadrato con quattro porte, una per lato, e il tetto mezzo crollato. Del
pavimento, ingombro di macerie e terra, non si vedeva più nulla, ma quando
Vanja e Lucky Lou erano tornati sul posto qualche ora dopo, senza i due
naufraghi, guardandolo alla luce forte del mezzogiorno non avevano avuto dubbi:
quello non era un ricovero per animali, non era una stalla, e nemmeno una casa.
Era un campanile. Per esattezza, la cella campanaria di un antico campanile,
anche se ormai priva di campane. – E comunque – puntualizzò il pistolero – È grazie a Juls che siamo
riusciti a far luce su questa faccenda. Curtis sorrise. – Sembra ieri che l’avevamo a bordo! Ancora mi fa
strano entrare in mensa e non trovarla sul divano, davanti alla stufa! – Gli omaccioni della ciurma borbottarono una risata bassa. La storia di
Juls era una vera e propria tragedia, ma aveva avuto un epilogo felice. Era una
ex-schiava che Benn e Shanks avevano liberato quasi per caso ma, dopo averla
portata a bordo, strappata alla casa del Drago Celeste dove viveva, avevano
scoperto una storia di violenze e torture, con tutte le conseguenze fisiche e
psicologiche che comportava. Venirne fuori era stata una battaglia lunga e
dura, però Beckman e il Rosso erano riusciti a trascinarla fuori da un tunnel
che sembrava non avere uscite. L’incontro tra Juls e Benn, anni dopo, dette
luogo alla fortuna del fioraio di Foosha che si trovò commissionato il compito
di coprire di fiori l’intera Red Force per un matrimonio e, altri mesi dopo,
quell’incontro giovò alla ciurma del Rosso la soluzione di un indovinello che
avevano accantonato da anni… Era scesa la sera sul porto di
Foosha. Il mare luccicava calmo sotto il terso cielo stellato, un vento fresco sfiorava
le vele ammainate, e il vessillo sfregiato sulla bandiera urlava contro la
notte il nome del suo padrone. Le palme sul cassero ondeggiavano tra loro con
un fruscio di frasche, i flutti si
infrangevano contro la carena e sotto il dragone rosso dal collo affusolato; da
lontano sembrava piccino, ma quando Juls si avvicinò potè notare quanto in
realtà fosse enorme, con le corna bianche che svettavano contro il cielo e il
lungo collo sul quale si arrampicava un fregio scolpito nel legno tinto di
rosso. Il vento le accarezzava i capelli biondi, sfatti in morbide onde, il
manto nel quale era avvolta sfiorava il tavolato nonostante la ragazza fosse
tutt’altro che di modesta statura. Qualcuno suonava un’armonica a
bocca, da qualche parte, forse l’uomo di guardia arrampicato sulla coffa, ad un
passo dal cielo blu. Ogni tanto arrivava qualche parola della canzone che
cantava, anche se per farlo smetteva per qualche istante di suonare. “Guarda
quel castello È
tuo, è tuo se lo vuoi...” Juls arrivò fin sotto all’albero
maestro, attirata dal suono dolce e malinconico dell’armonica che si perdeva
nella sera. Si era addormentata subito dopo la grande cena sulla Red Force sul
divano della sala comune, davanti alla stufa semispenta. I pirati, compagni di
suo marito, l’avevano invitata a bordo per festeggiare il loro ritorno e
brindare insieme, e a tarda notte invece di rincasare nella sua casetta di
Foosha era crollata, e al risveglio si era trovata sola con un mantello
stellato a coprirla; la stanza, salvo Shanks che russava alla grossa seduto al
grande tavolo, abbracciato ad una bottiglia vuota, era deserta. Aveva pensato bene di lasciar
dormire il Rosso lì dov’era e in punta dei piedi aveva seguito la musica dell’armonica
che veniva dall’esterno, fino a trovarsi sotto l’albero maestro. Salire per andare a vedere chi
suonasse era fuori discussione, visto che l’albero era spaventosamente alto e
lei non aveva alcuna voglia di tentare la scalata con quel buio e quel freddo,
quindi decise di fare qualche passo lì attorno, stretta in quello che aveva
riconosciuto essere il mantello di Yasopp. Aveva il suo odore, che era un po’
dopobarba e un po’ polvere da sparo. Ad essere onesti anche sudore, ma Juls non
vi si soffermò più di tanto. D’un tratto nell’oscurità del
ponte di prua, sul parapetto proprio di fianco al collo del dragone, una fugace
fiammella illuminò il volto di un pirata seduto, nell’atto di accendere una
sigaretta. «Buongiorno!» sorrise ironico
alla ragazza. «Benn» lo salutò discreta Juls
avvicinandosi «Che ore sono?» domandò sottovoce. Si era svegliata stralunata, e
con il senso del tempo passato completamente perduto; se Beckman le avesse
risposto che era mezzogiorno, avrebbe anche potuto credergli. Ma il pistolero rispose: «Le due
di notte, passate da un pezzo» Juls si appoggiò esitante all’albero
di trinchetto, il più vicino alla prua. Guardò il pirata mentre stringeva le
scotte, regolando le vele. Era sempre rapita da quelle manovre, e si chiedeva
quanta esperienza ci volesse per effettuarle in maniera così naturale e rapida,
senza pensarci due volte. L’uomo sparì alla sua vista andando verso poppa, poi
tornò nel giro di pochi secondi, scrutando l’orizzonte a prua in cerca di
qualche nave. “E
dentro i viali di quel giardino Ti
ci ritroverai. Ci
hai vissuto per ore ed ore nei sogni tuoi” Continuava la voce in
lontananza. Juls si voltò per ascoltarla meglio, rilassata. Il vento le
scompigliava i capelli, si strinse di più nel mantello. «È Yasopp che canta» ruppe il
silenzio Benn. «Ha una bella voce» rispose
lieve Juls «E un mantello caldo» aggiunse. Beckman sorrise, e cinse le
spalle della ragazza con il suo braccio. O almeno dal tono di voce pareva
avesse sorriso, perché il buio non permetteva a Juls di vederlo bene in volto
«Ti sei addormentata così in fretta che Shanks temeva ti fossi sentita male!
Abbiamo preferito lasciarti dormire lì, piuttosto che rischiare di svegliarti.» «Mi dispiace…» cincischiò la
ragazza chinando la testa «Ero un po’ stanca…» «Non ci pensare» fece indulgente
il pistolero. Figurarsi se per loro era un problema, dove crollava
addormentata. Purché stesse bene, purché si sentisse tranquilla. Anche se erano
passati anni da quando l’avevano liberata, per tutti era ancora la piccola Juls
da salvare, accudire e far sentire al sicuro. «Caffè, Benn?» una voce fece
voltare all’improvviso Juls, ma non la spaventò; la conosceva e aveva capito
che portava sempre cose buone con sé: era Curtis, il cuoco. In realtà non era
un cuoco vero e proprio, ma su una nave pirata ci si deve arrangiare e lui ai
fornelli era il più bravo. «Forse ne prende anche Juls»
ruggì Benn accettando la tazza fumante che gli era stata offerta. «Buonasera signorina!» sussurrò
bonario il nuovo arrivato, dai i capelli biondi legati sulla nuca che formavano
uno scopettino rigido e teso. «Vado a prenderne un’altra tazza» annunciò. «Grazie» sussurrò, ma il pirata
era già andato via per preparargliela. Tornò nel giro di qualche minuto,
e la ragazza lo ringraziò tantissimo prima che lui se ne tornasse sottocoperta
per i fatti suoi. Sospirò, gustandosi il caffè zuccherato e scivolando con la
schiena lungo l’albero maestro fino a sedersi per terra. Il caffè rimaneva in
bocca per qualche istante per poi scivolarle nel cuore, lasciando una scia
forte e calda dentro di lei. Juls riconsiderò meglio l’idea
di tornare a casa sua. Era tardi. C’era vento. L’aspettava il suo letto con la
promessa di scaldarla finché lei avesse voluto, e Benn certo non l’avrebbe
lasciata sola. «Volevo ridare il mantello a
Yasopp prima di andare a dormire.» disse d’un tratto al vice alzandosi pian
piano in piedi «Tira molto vento lassù?» domandò quasi sovrappensiero,
riferendosi alla coffa dove, a lei invisibile, il cecchino faceva la guardia
alla nave mentre suonava l’armonica. Si sfilò mantello e lo porse al
filibustiere, preoccupandosi che fosse restituito al proprietario. «Noi siamo abituati» spiegò Benn
avvicinandosi e rimettendoglielo sulle spalle. Poi incrociò di nuovo le braccia
sul possente petto. Guardarono insieme verso l’alto
da dove proveniva il suono del piccolo strumento, e il vento faceva ondeggiare
i loro mantelli e la gonna di Juls. Ancora due minuti e la ragazza sarebbe
andata a dormire. Ancora due minuti e si sarebbe fatta accompagnare a casa. Solo la fine di quella canzone. Yasopp continuava a cantare: “Favole sì, ne ho contate ma tante, tante sai… detto tra noi, io non sono un gigante, draghi non ne ho ammazzati mai!” Un’ora dopo Benn Beckman, di
ritorno da un rapido consulto con il navigatore che si trovava a poppa, sospirò
con fare rassegnato guardandola dormire ai piedi dell’albero di trinchetto,
raggomitolata come un gattino nel mantello di Yasopp. E adesso? un conto era
che si addormentasse in mensa, sul divano e al caldo, un conto era crollare nel
mondo dei sogni sul ponte, dove si manovrava la nave e dove tirava vento. Il pistolero si mise pollice e
indice della mano sinistra in bocca e lanciò un lungo fischio cui seguì simile
risposta nel giro di pochi attimi, proveniente dall’alto della coffa. Annunciata la sua assenza per
qualche minuto dal turno di guardia, l’uomo aspirò le ultime due boccate dalla
sigaretta e buttò in acqua il mozzicone; raccolse da terra Juls che dormiva
profondamente e se l’accomodò in braccio. Diavolo, se era leggera. Se la
sistemò come al solito, quasi eretta, con il capo posato sulla sua spalla e le
sue braccia a sorreggerla dietro la schiena e sotto le gambe. Benn si avviò sottocoperta
diretto verso la sua cabina con la ragazza che dormiva quieta fra le sue
braccia; ormai doveva essersi quasi inconsciamente abituata a stare lì. Certo
però Benn non pensava che Juls fosse così a suo agio lassù da allacciargli le
braccia al collo per dormire più comoda nell’incavo del suo collo taurino.
Sgranò gli occhi a quel movimento e per qualche istante rimase interdetto e
vagamente imbarazzato. Cosa diamine stai sognando,
ragazza? Il mattino dopo Juls si svegliò
nella cabina del marito, nel letto che sapeva più di uomo che di bucato, ma
niente a cui lei non avesse fatto il callo, con un sorriso. Al suo fianco c’era
Benn, anche lui sotto le coperte ma seduto, che sfogliava un libro. «Quello è il mio libro» protestò
Juls, con appena i capelli biondi e gli occhi pesti di sonno che sporgevano
dalla trapunta. «Lo so» rispose il marito
«Sporgeva dalla tua borsa, e non ho resistito. Avevi fatto tardi per leggerlo
già ieri notte, vero? Per questo stanotte sei crollata nel mondo dei sogni già
dopo le due!» sorrise, il detective dei poveri. «Complimenti.» bofonchiò Juls,
trascinandosi vicina a lui e abbracciandolo. Beckman ricambiò la stretta,
posandole un bacio del buongiorno tra i capelli scarmigliati. Gli risultava
sempre strano arrendersi all’idea di essere il marito di quella ragazza alta,
bionda e timida, un angelo sceso in terra. Anzi, come gli doleva ricordare, un
angelo che si era trascinato su da un inferno orribile, e che era vivo solo per
miracolo. « “Pompeji” » lesse il pirata
sulla quarta di copertina. « “La storia dell’isola distrutta da un’eruzione
vulcanica e ritrovata dopo un silenzio di settecentonovant’anni” » «Proprio così!» sorrise
compiaciuta Juls. «È una storia particolarissima! Pompeji sorgeva vicino ad un
vulcano attivo, ma i suoi abitanti non lo sapevano. Un giorno il vulcano si
risveglia, erutta, e la lava copre la città. Secoli dopo la storia viene
dimenticata, e un’altra città viene costruita sopra lo strato di lava, mentre
sotto esisteva ancora quella vecchia! E il libro spiega come hanno fatto a
scoprire che sotto c’erano ancora le macerie, gli edifici antichi, hanno persino
inventato un metodo per ottenere dei calchi di gesso dalle persone morte lì, e…
Benn?» Benn Beckman aveva gli occhi
luccicanti e uno strano sorriso in volto. «Ripeti la parte del vulcano.»
disse. Juls lo guardò stranita, poi
ripetè: «Il vulcano eruttò e la lava coprì la vecchia città. Quando si
solidificò, venne eretta una nuova città sulla vecchia, che intanto era stata
dimenticata.» Benn afferrò la moglie per le
spalle e le schioccò un sonoro bacio sulla bocca. Poi saltò giù dal letto e
corse via imboccando la porta della cabina, portandosi via il libro e
dimenticando persino il pacchetto di sigarette sul comodino. – La città che cerchiamo è sotto i nostri piedi. – ricordò Shanks
scendendo dalla Red Force. – Ci voleva Juls per capirlo… andiamo. – concluse Benn Beckman
caricandosi di pala e piccone.
Dietro le quinte... Non potevo non pubblicare, oggi: è il compleanno di Benn Beckman!! Auguri, Benn!!! :D e ironia della sorte, nonostante non sia che un personaggio secondario in questa storia, il capitolo ha lui come protagonista per praticamente metà. Metà per la quale serve una spiegazione: Juls non arriva dal nulla, già sposata e impacchettata per il pistolero; la sua storia è raccontata qui e non è delle più allegre, ma spero che, anche senza leggerla, il suo personaggio non risulti compromesso. Ho cercato di curarlo meglio che potevo nonostante la presenza in un solo flashback. Specifico che Juls non fa parte della ciurma del Rosso e non è un pirata né un fuorilegge, e come tale non è una presenza fissa sulla Red Force, se non quando, occasionalmente, essa è ormeggiata a Foosha, come nel flashback che avete appena letto. La "Pompeji" di cui sta leggendo Juls è sfacciatamente ispirata Pompei (senza nemmeno che io mi sia presa la briga di mascherare un po' meglio la fonte), la città sepolta dall'eruzione vesuviana del 79 d.C.; anche qui, dunque, ci sono due realtà sovrapposte: la prima, quella su cui camminano i protagonisti della storia, e la seconda sotto i loro piedi, ancora inesplorata. Precisazione: l'analogia che coglie Benn riguarda solo il concetto di sovrapposizione dei due livelli (quello del tesoro, di cui fa parte il campanile in cui si trovavano Nami e Usopp, e quello attuale, dove camminano i personaggi); la profondità del livello del tesoro non è eccessiva, 20 m al massimo, e al momento non è precisato se questa situazione sia stata causata da un vulcano. Lo scopriremo solo vivendo. La canzone che canta Yasopp nel flash-back è "Detto tra noi" di Edoardo Bennato. Una prima versione è del 1973, un'altra (che mi piace di più, ed è quella del link) del 1990 e infine l'ha cantata anche Jovanotti, che ne ha fatto una versione veramente bellissima! Una confessione, cantata, del cecchino? Forse... Mugiwara del mio cuore! Sembrava che ormai fossero tutti felici e contenti (a parte Franky depressissimo) e invece le cose hanno ricominciato a precipitare! Franky sembrava essersi solo allontanato per un po' e invece è irreperibile, Chopper non ha mai raggiunto la cucina e ora sembra sparito, e anche Zoro sembra disperso! Opera del suo proverbiale senso dell'orientamento o c'è qualcosa sotto? Ovviamente la barra delle recensioni è a vostra disposizione, anche -e soprattutto- per le critiche e i suggerimenti! Grazie infinite per la lettura! A presto, Yellow Canadair
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Capitolo 9 *** Contro il Rosso ***
[zipedit] Contro Shanks il Rosso
Gli uomini di Shanks il Rosso
avanzavano in fila per uno, procedendo spediti nel sottobosco nebbioso e freddo
dell’isola. Si facevano strada abbattendo i rovi e gli sterpi a colpi di katane
e spade perché, anche se quella stessa strada era stata da alcuni percorsa solo
un giorno prima, la vegetazione aveva già cominciato a riprendersi il suo
territorio, strisciando e prosperando sulla terra umida.
Cominciò a piovigginare. Benn volse
lo sguardo al cielo, pensando che erano giorni che minacciava, ma le nuvole
parevano trattenere il fiato.
Intanto, nella casa del Profilo del
Poeta, dove fino a pochi giorni prima abitavano solo il vecchio Yama con la
stranita Pipe, i pirati di Cappello di Paglia erano precipitati nel caos più
totale: prima era scomparso Franky, poi Chopper aveva alzato un urlo micidiale
che era riecheggiato in tutta la casa, e infine Rufy era ritornato al maniero
chiedendo notizie di Zoro, che era uscito con lui in cerca di Franky.
I superstiti erano riuniti nella
sala da pranzo, dove il grandissimo camino era acceso d’un fuoco troppo piccolo
per scaldare tutto l’ambiente, così per trovare un po’ di calore tutti i pirati
erano nei pressi delle modeste fiamme.
– Sono stati gli spiriti, sono stati gli spiriti!! – pianse Usopp
inginocchiandosi in un angolo e cominciando a pregare, mentre agitava una croce
di legno con una mano, e una corona di aglio con l’altra.
– Mi rifiuto di credere una cosa simile! – s’infuriò Sanji.
– Zoro non è qui? Sicuro? Non è che è passato e non l’hai visto,
vecchio? – chiedeva intanto Rufy a Yama.
– Può essersi perso anche da solo, indipendentemente da Chopper e
Franky. – intervenne Nico Robin, pensierosa. Gli amici convennero.
– Sì, ma bisogna fare qualcosa! – si lamentò Nami, innervosendosi. –
Non possiamo cominciare a sparire tutti quanti!!
– È colpa della casa… – mormorò Usopp – È maledetta! –
– Tornerei nella casa della foresta se non fosse così malridotta! –
disse la navigatrice tossendo. – Almeno non sembrava maledetta, ed era anche
vicino all’acqua! –
Yama si incuriosì, a quella frase. – Quale casa nella foresta, giovane
Nami? – interloquì.
– Che ne so… – rispose Nami, dando poca importanza alla cosa. – Io e
Usopp, dopo essere naufragati qui, ci siamo riparati in un rudere nella
foresta, una vecchia rimessa di contadini, credo. – poi s’illuminò. – E se
anche Zoro ci fosse arrivato? In che direzione siete andati? –
– Di là. – indicò Rufy puntando un indice verso quello che, riconobbe
Nami, era Ponente.
– Allora quell’idiota sarà dall’altra parte. – sbuffò Sanji. Che
voglia di accendere una sigaretta! Una sola, solo una! Ma sapeva benissimo che
a disposizione ne aveva nove, e gli sarebbero dovute bastare forse per un mese.
Sarebbe diventato pazzo.
– Visto che non è qui, torno a cercarlo! – annunciò il capitano.
– Tu non vai da nessuna parte!! – dichiarò iraconda Nami atterrando il
ragazzo con un sonoro pugno che lo piantò nel pavimento fino alle reni. –
Nessuno si muoverà da questo salone finché non avremo capito che accidenti sta
succedendo, sono stata chiara? – esclamò.
– Nami dolcissima, amo quando prendi il comando! –
– Io… io credo di non sentirmi troppo bene… – rantolò Yama. Pipe,
allarmatissima, lo sostenne e con il suo potere gli avvicinò una sedia,
depositandolo su aiutata da Brook.
– Che succede? – si informò lo scheletro.
– Sembra un calo di pressione. – intuì Sanji portandosi vicino al
vecchio e tastandogli il polso. – Vado a prendere acqua e zucchero. –
Nami tossì e si accasciò contro il muro, assistita da Robin.
– Portiamo Yama in camera sua! – decise Brook. – Sul suo letto. –
Rufy e Brook accompagnarono il padrone di casa al primo piano, nella
sua stanza da letto, scortati da Pipe che faceva galleggiare un candelabro a
mezz’aria. Arrivati nella sua stanza, che era la prima all’inizio di un lungo
corridoio, la ragazza con un cenno del capo socchiuse le pesanti tende che
ornavano le vetrate della camera affinché la luce del giorno, anche se fioca a
causa delle nuvole, non infastidisse l’anziano. Subito dopo, mentre Rufy, Brook
e Yama attraversavano la stanza, con il suo potere divelse le coperte perché Yama
ci si potesse stendere sotto.
– Grazie mille, ragazzi. – sussurrò l’uomo. – Tornate giù dai vostri
amici, non lasciateli soli… è un’isola difficile questa, credevo che… credevo
che con tutte queste persone in giro gli spiriti non si facessero vivi ma… –
sembrò mancargli il fiato e Pipe sollecita gli fu accanto.
– Torniamo giù. – decise il capitano, lasciando ai padroni di casa la
loro privacy.
Al pianterreno era tutto tranquillo, a parte l’isteria di Usopp. Nami
era seduta su una sedia, e continuava a riposare con la testa sul tavolo,
avvolta in una coperta, e Nico Robin era vicino a lei. Usopp era seduti per
terra, a poca distanza dalle due. Sanji sembrava un cane da pastore attorno al
gregge, attizzava il fuoco e controllava a vista che nessuno si allontanasse. Tutti
erano vicini al grande camino acceso.
– Vado a cercare gli altri – decise Rufy.
– Fermi. – Nico Robin si era immobilizzata. Sembrava una statua di sale
seduta sulla sedia, e fissava il vuoto davanti a sé; era concentratissima, e
mormorò: – Oreja Fleur –
Stava origliando. Gli amici trattennero il fiato; molto spesso si
dimenticavano che lei, per anni, era stata in una compagnia di agenti segreti,
e carpire le informazioni era un settore in cui lei aveva vasta esperienza.
Stare al servizio di Crocodile era stato duro ma, come tutte le esperienze
difficili, l’aveva forgiata, dandole un metodo di lavoro che non avrebbe
dimenticato mai più.
«Pipe, cara, porta qui il lumacofono.» diceva la voce di Yama, con
rinnovata vitalità. «Oh, bene.» il rumore metallico della piccola ruota della
bestiola che girava per comporre il numero. Il silenzio di un’attesa. «Robot?
Sei tu? Sì, lo so.» Nico Robin non esitò nel riconoscere Franky in quel
“robot”. La voce di Yama riprese: «Seguite il corso del torrente salendo verso
la montagna. Troverete una vecchia costruzione diroccata sul lato sinistro.»
ancora silenzio, poi l’uomo continuò: «Oh.» una pausa. «L’avevo sospettato.
Uccideteli tutti.»
Il suono del ricevitore che veniva rimesso al suo posto, sul
lumacofono, sancì la fine della telefonata, ma Yama non aveva ancora finito.
«Presto, Pipe. Va’ a prendere la renna e portala qui.» ordinò Yama.
– Ojos Fleur – sussurrò Nico Robin.
Yama era seduto sul letto, vitale e arzillo. Pipe era in mezzo alla
stanza, in piedi, stringeva la sua cornamusa come un prezioso tesoro e, con una
mano, stringeva anche un lembo della lunga gonna.
«Ma lui… lui si decompone, Yama, io non posso… non posso… »
«Lo so, mia cara, ma basta prenderlo in braccio. Non è pesante, l’ho
trasportato io stesso.»
– Rufy. – Nico Robin non si spaventava mai, ma nella sua voce c’era una
nota di preoccupazione. – È stato Yama. C’è lui dietro le sparizioni. Sta
mandando Franky e Zoro a uccidere qualcuno nella foresta, ad una vecchia
costruzione diroccata sulla riva di un torrente. – elencò in fretta. – E
Chopper è morto. È già in avanzato stato di decomposizione. – aggiunse atona,
come se avesse appena ordinato mezz’etto di prosciutto dal salumiere.
– C-come, morto?!? – si disperò Usopp.
– Chopper è morto?! – esclamò Rufy a occhi sgranati.
– In effetti non capisco com’è possibile che si stia già decomponendo. –
ragionò l’archeologa. – Il clima dell’isola è freddo, e l’algor mortis
deve aver avuto un lungo decorso, e solo dopo comincerebbe l’autolisi e la
putrefazione… forse è stato sciolto in acidi… o forse è a causa dell’umidità
dell’isola… Usopp, hai notato se il terreno qui è acido o basico?
– La smetti di dire cose così terrificanti?!? – pianse
l’interpellato.
– Usopp! – esclamò Nami, cercando di mantenere bassa la voce. –
Vogliono uccidere gli uomini di Shanks! –
– Zoro e Franky vogliono attaccare Shanks?!? – si scandalizzò Rufy
prima di essere zittito da Nico Robin, che gli tappò immediatamente la bocca
con decine di mani.
– Non qui. – decise all’istante Sanji. – Nella dispensa! –
I pirati si spostarono in gruppo nella dispensa, da cui si accedeva
tramite una porta sul fondo della cucina. Sanji fece entrare tutto il branco
nella modesta stanzetta e chiuse la porta dietro di sé.
– Accendiamo la luce! – si lamentò Nami, ancora avvolta nel piumone. –
Sanji! – si lamentò. – Non mi sento bene, perché proprio qui dentro? –
– Per evitare che ci sentano. – rispose l’archeologa per il cuoco. –
State tranquilli, se scendono dal primo piano lo sapremo subito disse
incrociando le mani sul petto, come faceva sempre quando usava i suoi poteri.
– Appoggiati a me, Nami. – si offrì Sanji. – Aspetta, ti faccio sedere.
–
Alla luce fioca dell’anima di
Brook, parzialmente fuori dal suo scheletro, Sanji issò Nami a sedere su un
modesto tavolino all’interno della dispensa, facendola poi appoggiare sulla sua
spalla. La sua dolcissima Nami era sempre stata brava ad ammalarsi per bene, e
in quel momento un’emergenza del genere non ci voleva proprio. Ma che poteva
farci? Era comunque adorabile!
Rufy, giunto in dispensa, non potè
che notare che le uniche scorte della casa erano composte da… scatolette.
– “Solo Puffin ti darà forza e grinta a volontà” – lesse su una
lattina. – Ehi Sanji! Credi che potresti…
– POSALO. È merda. – lo fermò all’istante il cuoco. – Nami, Zoro e
Franky attaccheranno Shanks? –
Il capitano gettò via la scatoletta. – Bisogna fermarli! –
– Nami – disse Nico Robin – Come sai che stanno per attaccare il Rosso?
–
– Perché… uff, ve l’avrei detto subito, ma non ho avuto un attimo di
calma… su quest’isola c’è un tesoro!! –
– COSA?! –
– L’ho scoperto sulla Red Force. – spiegò la navigatrice sottovoce con
un ghigno, appoggiandosi meglio su Sanji (che era al settimo cielo, Nami
avrebbe anche potuto parlare delle suole del Marimo, ma sarebbe stato comunque
un prezzo ragionevole per sentire le sue candide braccia stringerlo per non
cadere dal precario trespolo). – Loro hanno cercato di tenermelo nascosto ma… –
Ma Nami era una ladra, era abituata
a mettere le mani in giro, a fare la carina con gli uomini per estorcere loro
piccoli dettagli o grandi segreti. Shanks e i suoi erano riusciti a mantenere
il segreto abbastanza bene, però con le parole di Nico Robin Nami aveva fatto
due più due.
– A bordo c’erano attrezzi da scavo usati da poco, e nella cabina del
capitano le carte dell’isola mostravano luoghi perlustrati e altri ancora
inesplorati. Ho capito che erano alla ricerca di qualcosa. – spiegò. – Ma gli
unici presenti sull’isola siamo noi e loro! Se Zoro e Franky uccideranno
qualcuno, e non siamo noi, per esclusione…
– …stanno per scontrarsi con Shanks e gli altri!! – concluse Rufy. –
Devo andare a fermarli! –
– Aspetta, accidenti!! – ringhiò Sanji bloccando la porta della
dispensa con un piede. – Anche noi siamo in pericolo, ricordi? Non
sappiamo come cazzo abbia fatto Yama a convincere Franky e l’idiota ad
attaccare Shanks, ma di sicuro c’è qualcosa sotto, magari un Frutto del
Diavolo. Neanche noi siamo al sicuro!! –
– Se Zoro e Franky attaccano Shanks – gridò Rufy. – Saranno morti nel
giro di un minuto!
– E la tua promessa di non vedere Sha…? – avversò Nami.
– FANCULO LA PROMESSA!! – urlò Cappello di Paglia. – NON SI TRATTA DI
VEDERE O NON VEDERE SHANKS… SI TRATTA DEI MIEI AMICI!!
Sfondò la porta con un pugno e corse verso l’ingresso della villa.
– Merda… – sospirò il cuoco, affacciandosi con tutti gli altri al
salone e guardando il portone principale lasciato aperto da Rufy. – Non sa
neanche dove andare! –
Il cecchino si apprestò ad attraversare il salone per raggiungere Rufy,
ma i battenti si chiusero di scatto davanti a lui e una voce rimbombò
nell’atrio: – Non andrete da nessuna parte, pirati. –
Usopp, svelto come una lepre, saltò di lato e si arrampicò su una delle
finestre.
– Fermalo, Pipe! – ordinò Yama, ma la ragazza non sembrò ascoltarlo e il
pirata, lesto, se ne andò a correr dietro al suo capitano.
~
– Non avrei mai pensato di arrivare a questo punto. – disse con
rammarico Benn Beckman – Non così presto, almeno. –
– Roronoa Zoro, è l’ultimo avvertimento. – tuonò Shanks avvicinandosi. L’aria
scanzonata da ragazzo era scomparsa, il volto dell’imperatore si mostrava al
Cacciatore di Pirati in tutta la sua gravità. – Ritiratevi. Non è ancora il
momento di uno scontro tra le nostre ciurme. –
I pirati di Shanks il Rosso erano tornati alla vecchia costruzione dove
avevano ritrovato Nami e Usopp; in realtà, come avevano compreso in un secondo
momento, quella non era una semplice stalla in rovina, ma una cella campanaria,
unico naufrago di un paesino sepolto proprio sotto i loro piedi.
Stavano scavando all’interno della cella, per cercare di arrivare al
livelli dell’antico paese scendendo attraverso il vecchio campanile, quando
all’improvviso erano stati attaccati da Zoro e da un altro individuo dai
capelli azzurri che non avevano mai visto e che, a quanto pareva, aveva
mangiato un Frutto del Diavolo che lo rendeva quasi del tutto meccanico.
Il primo attacco dei due, sferrato all’improvviso per cercare di
sfruttare l’effetto sorpresa, era stato vano: i colpi di Zoro erano stati
deviati con maestria dalla spada di Ftoros, medico di bordo, mentre Vanja aveva
respinto l’offensiva di Franky senza fatica.
La ciurma di Shanks si trovava adesso nella radura davanti alla cella
campanaria, schierata in cauta difesa. Gli stivali degli uomini affondavano
nell’erba alta dell’isola, attorno a loro gli alberi spogli ondeggiavano
cupamente al vento e il ruscello che scorreva a pochi passi rumoreggiava tra le
foglie e gli sterpi, correndo verso il mare grigio e freddo.
Shanks non era preoccupato per l’incolumità dei suoi uomini,
tutt’altro: era sospettoso più che mai per quell’attacco improvviso, e
un’occhiata del suo Vice bastò per confermare i suoi dubbi. Perché mai due sottoposti di Rufy, per di più isolati, li stavano attaccando?
Per il tesoro? Forse Nami era riuscita a scoprire i loro piani, ma allora
perché decidere di attaccare così sconsideratamente? Tanto più che loro, i
pirati di Rufy, al momento erano poco più che dei derelitti, sarebbe stato
molto meglio aspettare che il tesoro fosse stato allo scoperto, e solo allora
attaccare. Ma sarebbero stati davvero così pazzi da attaccare un imperatore? A
freddo, senza un pretesto, senza una provocazione? E infine… Rufy non avrebbe
mai ordinato a nessuno di attaccare lui, Shanks! Se proprio avesse voluto
farlo, sarebbe venuto di persona.
– Vi uccideremo tutti, maledetti razziatori. – gridò Franky.
– Notte insonne del Demone… –
– Non così in fretta, ragazzino. –
– Taglio dell’Orco –
Benn Beckman sospirò. Non gli piaceva quella situazione.
~
– Non andrete da nessuna parte. – disse Yama. Non aveva l’aspetto di un
malato, adesso.
Dalle scale che conducevano al piano superiore scese Chopper, in un
minaccioso Heavy Point.
Pipe comparve dietro di lui e, con il pensiero, chiuse tutte le porte
del salone.
Il vecchio si girò verso la renna. – Uccidili. –
Chopper si voltò verso Nami, che era la più vicina, e corse verso di
lei a testa bassa, ma Sanji l’afferrò per le spalle spostandola dalla
traiettoria dell’animale e portandola sulla destra del caminetto. La renna,
delusa per aver fallito il primo colpo, si girò, decisa ad aggredire di nuovo
la ragazza.
– Fleur! –
– Brava Robin! – esultò Nami. Chopper era costretto in una rete di
braccia che non riusciva a spezzare, mentre l’archeologa, sorridendo lieve, lo
bloccava senza fargli male. Il dottore, fuori di sé, cominciò a trascinarsi con
violenza contro il muro, ma Nico Robin teneva duro e non lo lasciava andare.
– Maledetto stronzo… – ringhiò Sanji, che non osava allontanarsi da
Nami.
– Ho aspettato troppo per togliervi di mezzo. – tuonò Yama, davanti
alla porta chiusa delle scale. – Sonda. –
Yama protese le mani davanti a sé, e dai palmi scaturirono due fasci di
luce fioca e pallida che, velocissimi e senza esitazione, puntarono verso Nico
Robin.
– Padron Yama, nooo!! – urlò Pipe.
– Robin! –
– Robiiin! –
Yama era a sinistra del grande camino, minaccioso e letale: aveva
appena svelato di essere in possesso di un Frutto del Diavolo, un Paramisha con
il potere della manipolazione mentale.
Chopper ancora si divincolava nella rete di mani alla destra del
camino.
Nami era accucciata per terra, poco distante da Chopper, e Sanji era
davanti a lei.
Nico Robin era a pochi passi da loro, con le braccia a croce sul petto
che manteneva salda la rete che avvinceva la renna.
Dietro di lei c’era Pipe, immobile e singhiozzante, con centrini e
sottobicchieri che le vorticavano attorno, sollevati dalla sua telecinesi.
Brook era davanti a lei, in ginocchio, rigido, con la spada sguainata e
i due fasci di luce di Yama dritti dentro alle orbite.
Il pavimento si coprì di ghiaccio, il fuoco si spense, il gelo invase
la stanza e negli animi di tutti risuonò un grido d’Oltretomba.
Lo scheletro cadde per terra, le articolazioni si piegarono in maniera
innaturale, la lama risuonò sul ghiaccio nel silenzio; quando smise di
rotolare, non rimase altro suono che il pianto di Pipe.
~
La bocca del lungo fucile di Benn Beckman fumava come il suo padrone. –
Va bene, è una bella tecnica. – riconobbe lui. – Ma si può ancora perfezionare,
ragazzo. –
Zoro atterrò pochi metri alle spalle di Beckman, i suoi pugni non
stringevano altro che aria e sangue. La spada di Kuina era ancora stretta tra i
suoi denti, ma le altre due lame giacevano nell’erba alle sue spalle. Livido di
rabbia, serrò i denti e si voltò verso il suo avversario, che a rigor di logica
doveva essere a terra in un lago di sangue.
La Shusui e la Sandai Kitetsu furono lanciate poco rispettosamente
ai piedi di Roronoa, mentre Benn Beckman era totalmente illeso, fumava
tranquillo e sembrava non avesse faticato nemmeno un po’ a schivare il colpo della
spada bianca e a disarmare, con due colpi di fucile, uno spadaccino del calibro
di Zoro.
– Ti pentirai di avermele restituite – ruggì lo spadaccino chinandosi a
raccogliere le lame.
Benn Beckman esplose un altro colpo, che colpì la terra a un pelo dalle
spade e fermò il gesto di Zoro.
– Ti pentirai di averle raccolte, se mi attacchi di nuovo. E ti
avverto: mirerò alla spada che hai in bocca. – disse gelido il pistolero
tenendo Zoro sotto tiro.
– Come andiamo laggiù, Vanja? – gridò Shanks.
Il colossale navigatore dei pirati del Rosso era intento a respingere
attacchi di ogni tipo provenienti da Franky.
– Franky Cannon –
Vanja indietreggiò al colpo, prese fra le mani l’enorme proiettile
scagliatogli contro e lo deviò, mandandolo ad esplodere a pochi metri dalla
cella campanaria.
– VANJAAA!! – gridò la voce di Curtis: lui e Yasopp erano dentro, a
scavare.
Roccia, la scimmia di Vanja, cominciò a urlare e a fare gesti con le
braccia pelose in direzione dei due uomini.
– Va bene, va bene. No! Non ci provare! – rispose Curtis, deponendo il
badile.
– Franky Rocket Laucher –
Vanja deviò il primo e il secondo razzo, ma il terzo deflagrò ai suoi
piedi e l’uomo fu costretto a un improvviso salto sulla destra.
– Franky Radical Beam –
Un’esplosione devastante fece tremare la terra.
– Cazzo! – Yasopp caricò il proprio fucile. – Sta’ buono! –
– Yasopp! – tuonò Shanks.
“Sì, sì” pensò il cecchino. “Non ucciderlo. Lo so”.
Una raffica esplose tra le gambe di Franky, e un ultimo proiettile
ostruì magistralmente il cannone della spalla destra.
– Franky Fireball –
– Shanks. – gridò Benn. – Non si ferma! –
– Maledetti razziatori… – ruggì Zoro. – 1080 Passioni Demoniache
della Fenice –
Shanks estrasse la spada, Beckman puntò il fucile verso lo spadaccino
mentre dietro di loro la cella campanaria saltava in aria in un gigantesco
fuoco d’artificio.
Una figuretta uscì di corsa dalla boscaglia.
– ZORO! FRANKY!!! FERMATEVI!!!!! –
Dietro le quinte... Solo Puffin vi darà forza e grinta a volontà.
ps. Credit: la scena di Benn che disarma Zoro è di mlegasy
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Capitolo 10 *** La valle tragica ***
[zipedit] La
Valle Tragica
Pipe piangeva disperata, abbracciando le ossa esanimi di Brook avvolte
nei vestiti.
– Diable Jambe amour shot! –
Il calcio di Sanji colpì Yama sotto il diaframma mandandolo a
sfracellarsi nella tromba delle scale. Marciò minaccioso verso di lui e lo
afferrò per il bavero, tirandolo su.
– Chi cazzo sei? –
Yama tossì e afferrò il polso del cuoco con le mani magre. – Sono il
padrone dell’isola… Ner-
Ma Sanji fu molto più svelto: – Ritenta, stronzo. Collier – e con un calcio lo rimandò sulle scale.
Yama si tirò in piedi tossendo e sputando sangue.
– Fermo! Ti prego! – Sanji non resistette al suono del pianto di Pipe e
si voltò. La ragazza si buttò ai suoi piedi e gli abbracciò le ginocchia. – Ti
prego smettila! Non fargli del male! Ti prego… – la voce era rotta dai
singhiozzi.
– Pipe, dolcissima Pipe, Yama ha cercato di ucciderci… – si difese il
ragazzo afferrando le mani della suonatrice.
– Ci puoi giurare, damerino. –
– SANJI, DIETRO DI TE! – urlò Nami.
– Sonda – Due fasci di luce scaturirono
dai palmi di Yama, diretti verso il cuoco.
Una lama brillò nel buio, il ghiaccio spezzò la luce.
– Quinte Tierce Fantasia – tuonò
Brook.
Yama crollò al suolo completamente esanime, e lo scheletro s’inchinò
lievemente.
– Nonno! – Pipe si strappò dall’abbraccio di Sanji e corse a perdifiato
tra le braccia del musicista.
Chopper, nella rete di Nico Robin, smise di combattere e tornò
addormentato nella sua solita forma ibrida.
– È un potere che agisce sulle cellule neurali… – spiegò Brook, vedendo lo
sguardo incredulo di Sanji. – Solo che io il cervello non ce l’ho! Yohoho! –
~
Franky e Zoro svennero, e fu una fortuna, perché difficilmente Shanks o
Rufy sarebbero riusciti a fermarli senza conseguenze.
– Zoro! Franky! Waaa questo è sangue?! – Rufy fu immediatamente accanto
ai suoi compagni, che giacevano al suolo. Erano quasi messi peggio di quando
erano naufragati, due giorni prima.
– Rufy. – era la voce di Shanks.
Il ragazzo si pietrificò e strinse i denti. Gli occhi gli si riempirono
di lacrime mentre sorrideva calandosi il cappello sugli occhi.
– Dovevamo incontrarci solo… solo quando sarei diventato un vero pirata.
– disse.
– Beh… tecnicamente non dovevamo vederci.
– rispose Shanks. E si sentiva che stava ridendo.
– L’ho sempre detto che sei fuori. – sorrise Beckman accendendosi una
sigaretta.
Zoro aprì l’occhio, strinse i denti. – Come cazzo ci sono arrivato, qui?
–
E vide il suo capitano chino su di lui che piangeva, Franky ancora
svenuto a pochi passi e il Rosso con un improbabile foulard a fiorellini
annodato sugli occhi.
~
Yama era legato, le mani gli erano state bloccate dietro la schiena e
messe in due sacchetti del pane, per maggior sicurezza. Sanji non lo perdeva
d’occhio un istante e ringhiava furibondo. Aveva sacrificato un’altra delle
sigarette di Benn perché chi se ne frega, quel bastardo aveva fatto fuori Zoro,
Franky, Chopper e poco ci era mancato che spacciasse anche Brook.
– Un Paramisha. – sputò il cuoco, nero di rabbia.
– Già. Frutto Neuro-Neuro. Controlla i neuroni delle persone. – spiegò
Nico Robin, chiudendo una copia dell’Enciclopedia dei Frutti del Diavolo
trovata nella biblioteca della casa. Tuttavia, un dito rimase infilato tra le
pagine per portare il segno.
– Ihihih – ridacchiò Yama. – Sareste diventati tutti schiavi! Schiavi
perfetti! E vi avrei fatto ammazzare dall’altra ciurma di balordi! Avreste
scavato per me fino alla città perduta! –
– Quale città perduta? – fece Nami interessatissima. Il suo cervello
aveva già fatto il due più due con il tesoro cercato da Shanks.
– E ti è andata male. Una Supernova e un imperatore. Non arrivano i
giornali, qui? – fece Sanji.
– Sareste diventati tutti come Pipe, alla fine… – sghignazzò l’uomo. –
Pipe avanti, piccola mia, perché non sleghi il suo signore? –
Pipe tentennò. Era seduta sulle ginocchia di Brook, e non dava cenno di
volersene staccare. – Non mi colpire di nuovo… ho trovato il nonno, adesso… –
gli occhi le si riempirono di lacrime, ma scese cautamente dal femore dello
scheletro e si avviò lenta verso Yama.
– Pipe, non farlo… – disse Gambanera un po’ apatico. Sapeva che per la
ragazza sarebbe stato impossibile sciogliere i suoi nodi, ma sapeva anche che
la mente della poveretta era… distorta, e gli era sempre difficile capire subito
come parlarle.
– Sanji… – attirò la sua attenzione Nico Robin, che aveva ripreso a
leggere l’Enciclopedia. – Ti ricordi degli effetti secondari del Frutto
Neuro-Neuro? – e gli porse l’enciclopedia che aveva ancora in mano.
– No… lessi questo libro molto tempo fa. – il cuoco sospirò e lesse da
dove gli indicava una mano fiorita tra le pagine.
“Neuro-Neuro; Paramisha. Manipolazione
della rete neurale.” Sanji saltò tutta la descrizione tecnica del frutto
e andò verso la fine. “È buona norma non
superare le dieci manipolazioni su ogni persona. Oltre si va ad accelerare il
naturale decadimento dei neuroni, portando la vittima a conseguenze quali
perdita della memoria a breve e lungo termine, allucinazioni, demenza, agnosia,
fino a compromettere le funzioni biologiche dell’individuo e portarlo alla
morte.”
La voce di Sanji diventava via via più flebile, e il suo volto più
pallido. Alzò gli occhi dal libro e li puntò su Yama.
– Tu hai fatto questo a Pipe. – sussurrò.
– Che animo nobile, per un pirata – lo schernì il vecchio. – Poteva
andarle molto peggio. Con lei mi sono trattenuto, non come con gli altri. Le ho
dato una casa, del cibo, un-
– L’HAI RIDOTTA COSÌ! – urlò il cuoco.
Yama non vide nemmeno il calcio che gli spezzò l’osso del collo.
– È andato? – domandò tetra Nami, seduta vicino a una finestra del primo
piano.
Chopper depose il polso dell’uomo sul materasso. Erano nella camera da
letto di Yama, dove era stato trasportato subito dopo il calcio fatale. Le
tende erano accostate, sembrava che tutta l’isola avesse smesso di respirare.
Non si sentiva più nemmeno il vento, il cui sibilo li aveva accompagnati fino
ad allora. Si sentivano solo, incessanti, le sottili gocce di pioggia che
ticchettavano sulla terra umida.
– Sì. – rispose tristemente il medico; poi tirò il lenzuolo ai piedi di
Yama fino alla cima della sua testa, coprendolo del tutto.
– E adesso? – riprese la navigatrice.
L’atmosfera era strana, come sospesa. Non c’era più tensione, solo… solo
un’enorme casa vuota con la sua ultima abitante.
– Bisognerà seppellirlo. – ovviò Chopper. – Ma è meglio aspettare che
spiova, o almeno che tornino Rufy e gli altri. Non succederà niente, per
qualche ora. Piuttosto, sei sicura di non voler tornare a letto? –
Nami scostò le tende e guardò il panorama: foreste, nebbia, un cielo
plumbeo e praterie di sterpi. Senza una nave, sarebbe stata quell’isola la loro
casa, almeno finché Franky non avrebbe arrangiato un’imbarcazione di fortuna.
– Non mi va. – disse la ragazza rabbrividendo. La testa le ronzava, però
in quelle ultime ore erano successe troppe cose per andare a infilarsi, inerme,
in un letto. Sospettosa per natura, Nami era ancora in allarme e preoccupata
per la mancanza di Rufy, Zoro e Franky.
– Meglio tornare giù, dagli altri. Forse Nico Robin ha trovato qualche
informazione nella biblioteca della casa! – disse la renna, andando vicino alla
ragazza.
L’idea di scoprire di più sul misterioso tesoro riscosse Nami, che prese
sorridendo lo zoccolo che l’amico le porgeva e insieme scesero le scale che
portavano al grande salone principale.
– Eccovi! Robin ha scoperto tutto il piano di Yama! – li accolse Sanji.
Aver ucciso in maniera così brutale Yama era una cosa che non sembrava
disturbarlo più di tanto, considerando quello che aveva fatto alla povera Pipe.
In più, le ricerche dell’archeologa avevano rivelato un vero e proprio vaso di
Pandora fatto di sparizioni e schiavitù.
– E Pipe l’ha aiutata! – completò Brook, sempre con la suonatrice di
cornamusa accanto.
– Di che si tratta, Robin!? – si accomodò Nami vicino a lei.
– Dunque… – cominciò la donna, raccogliendo alcuni appunti schizzati a
matita su un vecchio quaderno a quadretti. – Tanto per cominciare, su
quest’isola non esiste solo la casa dove stiamo, ma un intero paese minerario.
– Ma dalla casa non si vede nien… – Nami s’interruppe, poi riprese: – Il
paese è sotto terra! –
– Esatto. Ma è un paese morto, ormai. Circa duecentocinquanta anni fa –
cominciò a spiegare Nico Robin – Quest’isola era sfruttata per le sue miniere di
diamanti. –
Gli occhi di Nami divennero due gemme sfavillanti ed emisero un rumore
da registratore di cassa, ma i presenti soprassederono.
– …ma circa duecentoventi anni fa, i proprietari della miniera
cominciarono a ricevere delle lettere… sono tutte qui. – disse avvicinando a
Nami una decina di fogli da lettera, alcuni scritti a mano e altri a macchina. In
fondo alle lettere c’era sempre la stessa firma: Miguel Cassandres II.
La navigatrice li esaminò perplessa: – Ma… sono delle perizie
geologiche!
– Una società di geologi stava cercando di avvertire i proprietari della
miniera che, se non avessero fermato subito gli scavi nella montagna, questa
sarebbe franata travolgendo il paese sottostante.
Chopper divenne triste, e nel silenzio mormorò: – Ma i proprietari della
miniera non vi hanno mai dato peso. –
– Infatti, appena un mese dopo l’ultima perizia, la montagna è venuta
giù. – concluse Sanji sospirando. – Le miniere sono crollate, diventando
impenetrabili, ma ormai i proprietari sapevano che i filoni si erano esauriti,
e così hanno abbandonato l’isola. – disse il cuoco, passando a Nami un ultimo
foglio: disposizioni per abbandonare gli uffici e gli alloggi dei proprietari,
che abitavano la casa sulla collina del Profilo del Poeta.
Nami scorse ancora i documenti.
– Ma… e il tesoro? – protestò. – Perché nessuno l’ha mai recuperato? –
– Perché – tirò i fili Nico Robin. – La nostra città mineraria era
scomparsa dalle mappe, dopo la frana della miniera; rimanevano solo i documenti
ufficiali ma, come potete immaginare, sono ben pochi. Le persone che invece
conservavano il ricordo della miniera e del paesino sono morte da tempo.
– E in più nessuno era a conoscenza che ci fosse un tesoro! Solo i minatori
morti durante la frana e i proprietari della miniera, che però non sono tornati
a recuperarlo. Forse sono morti anche loro, o forse non avevano i mezzi. –
disse Brook.
– Quindi solo chi possiede i documenti ufficiali con l’ubicazione
dell’antica città mineraria può arrivare al tesoro. – concluse Nico Robin,
applaudita da Sanji. – Ma solo se tiene presente quello che succede in caso di
eruzioni o frane… altrimenti non troverebbe che un’isola selvaggia come quella
su cui siamo ora.
Nami ci rimase con un palmo di naso. – Quindi il tesoro cosa sarebbe…?
Un cumulo di macerie?? – si infuriò.
– E qui entra in gioco Pipe! – disse Brook. – A quanto pare, Yama era un
tipo molto preciso… e ha redatto un sacco di scritti, negli anni in cui ha
scavato qui! Senza Pipe non li avremmo mai trovati. Yama è il pronipote dei proprietari della
miniera!
– E grazie al suo frutto del Diavolo, ha rapito e schiavizzato diverse
persone affinché scavassero per lui. Ma nonostante tutto, non sono mai riusciti
ad arrivare alla miniera, forse perché nella sua pazzia non aveva gli attrezzi
giusti, o perché scavava nella zona sbagliata. Ecco perché era così interessato
a dove Shanks e i suoi hanno trovato te e Usopp! Per lui è stata un’epifania!
Sapeva che non poteva esserci nessun capanno di nessun pastore sull’isola, e ha
collegato quelle rovine a ciò che ancora emerge della città sepolta! – spiegò
Sanji.
– Sì, ma cosa cercava? – chiese Nami.
– L’ultimo carico della miniera di diamanti e le paghe degli operai, che
avrebbero dovuto essere distribuite il giorno dopo la frana. – l’archeologa
spinse due fogli dattiloscritti sotto il naso della navigatrice.
Il tesoro, oltre a circa un milione di Berry per le paghe, ammontava a 173
quintali di diamante grezzo; i soldi e diamanti grezzi erano custoditi nella cassaforte
della banca del paese, sotto metri e metri di terra e di roccia.
Nami era sbiancata, e un sorriso le correva da orecchio a orecchio.
– E adesso Shanks e i suoi stanno scavando lì? – domandò Chopper alla
navigatrice.
– Col cavolo!!! – rispose la ragazza, battagliera, brandendo una pala
che chissà come era finita tra le sue mani. – Il tesoro è di chi lo trova! –
Saltò sulla sedia, gettò a terra la coperta in cui era avvolta e si
precipitò fuori, sotto la pioggia, a cercare il formidabile tesoro della
miniera.
– Namiii!! – la chiamò Chopper protestando. – Non ti devi muovere dalla
casa! Namiii!!! Hai la febbreee! – la chiamò.
– Non tornerà indietro, Chopper. – disse Sanji accarezzando la testa
della renna. – Bisognerà fermarla.
– Accidenti! – il medico di bordo si trasformò completamente in renna e
corse all’inseguimento di Nami.
– Io vado ad assistere. – sorrise Nico Robin aprendo un ombrellino e
andando verso l’uscio spalancato. – Vieni con me, Sanji? –
Il cuoco si voltò verso Pipe.
– Rimango io con lei qui. – promise Brook. – Faremo in modo che il fuoco
del camino non si spenga. Ormai non c’è più pericolo. –
– Ma non la portare di sopra… – ammonì Sanji ripiegando la coperta che
Nami aveva lasciato per terra. Non voleva che Pipe vedesse il corpo di Yama; era
già stato abbastanza penoso, per lei, vederlo morire in quel modo così
violento, e non voleva che soffrisse ancora.
~
– Sei sicuro? Ftoros può dar loro un’occhiata subito. – disse Shanks,
mettendo a disposizione di Rufy il suo medico.
– Sì, grazie lo stesso! Dobbiamo tornare subito alla casa! – rispose
Rufy, anche lui con gli occhi coperti dalla bandana di Roronoa perché non
vedesse Shanks. Benn scuoteva la testa ogni volta che li guardava.
– Sto bene. – tuonò Zoro avvolgendosi le mani con due strisce di stoffa
ricavate dalla sua maglietta. Non ricordava di aver attaccato Shanks e i suoi.
Sapeva di essere andato nella foresta, con Rufy, e poi di aver incontrato Yama
che gli aveva detto che di seguirlo, perché stava andando dalla parte
sbagliata… e poi si era svegliato nel prato, sotto la pioggia, con Rufy accanto
e la ciurma di Shanks il Rosso che lo fissava torvo.
– Mi dispiace così tanto avervi attaccato… siete brave persone… –
singhiozzava Franky, assistito da Vanja che non sapeva più cosa gesticolare per
fargli capire che era tutto passato.
– Yama è con gli altri… dobbiamo assolutamente fermarlo! – esclamò Rufy.
– Arriva qualcuno. – Si mise in allarme Beckman.
– Ruuufy!! – si sentì chiamare dal folto umido del bosco.
Comparvero nella radura Nami, Nico Robin, Sanji e Chopper. La renna si
fermò di scatto alla presenza del Rosso e arretrò fin dietro alle gambe di
Sanji. Nami, predatrice, si stava però rendendo conto che la regola d’oro “il tesoro è di chi lo trova” sarebbe
stato difficile da applicare: tanto per cominciare, gli arnesi da scavo erano
tutti della ciurma di Shanks: a meno che non scavare con le unghie sarebbe
stato difficile arrivare fino al tesoro.
L’alternativa era farlo trovare a Shanks e poi rubarglielo… e per quanto
la Gatta Ladra fosse fiduciosa nelle sue capacità, non aveva difficoltà ad
ammettere che sottrarre qualcosa a un imperatore sarebbe stata una sorta di
dichiarazione di guerra.
Ma le sue elucubrazioni furono interrotte da una voce femminile:
– Mi chiamo Nico Robin, sono un’archeologa. – sorrise la ragazza
presentandosi a Shanks il Rosso, che era ancora bendato e stava nei pressi di
Rufy. – Vorrei seguire le vostre ricerche a scopo scientifico. – chiese
gentilmente alzando un indice come a chiedere la parola.
La risata di Shanks riecheggiò nella radura. – Certo che siete delle
grandissime facce toste! Rufy! Dove diavolo hai trovato un’archeologa!?
– Strada facendo! – rispose il ragazzino. – Allora? Può seguirvi?
– Certo che no! – fece Shanks con una linguaccia, facendo immediatamente
rilassare Benn.
– Come, no!? – si lamentò Cappello di Paglia – Che ti costa?
Sembrava una replica precisa di quanto avveniva dodici anni prima,
quando un Rufy alto come un barattolo chiedeva al giovane Shanks di portarlo
con lui in giro per il mare.
– Mi costa che voi siete pirati quanto noi. – spiegò il Rosso. – Non ho proprio
voglia di sorvegliare un branco di mocciosi per evitare che ci soffino il
tesoro.
E il suo sguardo volò verso Nami: lei faceva di tutto per rimanere
impassibile, ma purtroppo era tradita dagli occhi a forma del simbolo dei Berry.
Benn Beckman, come ai bei vecchi
tempi, stava per intervenire e perorare in maniera più diplomatica la causa del
suo capitano, ma Rufy lo precedette:
– Non tutti noi. Solo Nico Robin. È
una scienziata – e qui l’interessata s’illuminò – vuole solo capire di più del
nostro passato.
– Rufy, ma… – protestò Nami con
voce rotta.
– Lascia perdere il tesoro. – ruggì
basso Zoro, vicino a lei. – La situazione è già abbastanza delicata così. –
E la navigatrice rimase muta.
– Nico Robin e un altro dei nostri.
– Non la rossa. – tuonò Beckman
espirando una nuvola di fumo grigio.
Shanks il Rosso sembrò pensarci su,
con la mano si grattò distrattamente il pizzetto e infine disse: – Ci sto. Gli
altri aspettino alla casa della collina. –
– Neanche per sogno! – rise Rufy,
facendo scoppiare a ridere un’altra volta il Rosso.
~
– Attenti alla testa!
– Ci siete? Non lasciate la corda.
– Una luce! Passate la torcia!
Nico Robin sapeva di non essere
sulle tracce del suo sogno, scoprire cosa fosse successo nei Cent’Anni di
Grande Vuoto, ma era pur sempre un’archeologa e stava prendendo parte a una
vera e propria missione esplorativa: avrebbe messo piede in una città sepolta
da più di duecento anni e che forse nascondeva un tesoro. Anzi, per lei un
tesoro lo nascondeva sicuramente, e non era d’oro o d’argento: tutti gli
oggetti dell’epoca dovevano essere ancora lì, e forse gli edifici non sarebbero
stati troppo danneggiati e avrebbe potuto studiarli, fare qualche schizzo,
cercare di ricostruire lo sviluppo della cittadina… i pirati di Shanks non la
perdevano d’occhio per paura che combinasse loro qualche brutto scherzo, ma
tutto ciò che vedevano era una bambina la mattina di Natale, con gli occhi
luminosi come stelle e l’aria talmente curiosa da sembrare affamata.
Yasopp e Curtis avevano cominciato
a scavare in quel che emergeva della cella campanaria, fino ad arrivare, circa
due metri sotto i loro piedi, a quello che una volta doveva essere il pavimento
(ossia il soffitto della stanza sottostante); era stata proprio Nico Robin a
indicarglielo: le travi di legno si erano decomposte da tempo, ma erano rimasti
ben visibili nel muro i fori che le ospitavano. Ecco come l’archeologa si era
accorta che, in quel punto, doveva esserci un piano di calpestio.
« Probabilmente Nami e Usopp si
sono nascosti nell’ultima stanza del campanile, quella dove c’erano le campane,
per intenderci. » aveva spiegato l’archeologa. « E da qui in poi… si scende. »
Gli uomini avevano continuato a
scavare per altri tre metri, penetrando sempre di più nel campanile.
All’improvviso, però, la terra era finita, e Curtis per poco non era caduto di
sotto, nel vuoto.
Non c’era più terra da togliere, ma
solo una città da esplorare.
I pirati di Shanks si calarono nel
buco che avevano scavato. Scesero per diversi metri, e alla luce delle torce si
resero conto che, se nei primi metri avevano attraversato quello che doveva
essere la terra e la polvere accumulatesi nel campanile nel corso dei decenni,
poi erano passati attraverso la frana vera e propria, che si era insinuata
nella struttura distruggendo tetto, piani intermedi e finestre. Poi però il pavimento
tra pianterreno e primo piano, più solido, non aveva ceduto del tutto al peso
della terra sovrastante e i pirati si ritrovarono in quella che, due secoli
prima, doveva essere una sagrestia.
Era una stanza ampia, quadrata,
larga circa sei metri per lato, anche se un buon quarto era invasa dalla frana
che aveva fatto cedere il soffitto.
Poca roba era rimasta,
dell’arredamento: in un angolo delle assi scomposte e tarlate dovevano essere
state un modesto armadietto, alto non più di un metro e mezzo; al centro si
trovava un tavolo, che aveva resistito al tempo perché il piano era di ardesia
nera, ma i piedi in legno si erano miseramente consumati e avevano fatto cadere
l’ardesia spaccandola in due lastre; una lunga spranga di ferro, in un angolo,
doveva essere stata l’attaccapanni, e mucchi di polvere e stoffa ai suoi piedi
sembravano esser stati i paramenti sacri; vicino c’era una porta di metallo e
legno, abbastanza larga, serrata da una pesante serratura.
Anche vicino all’armadietto c’era
una porta di legno scura e malandata, piccina, chiusa.
– Per dove? – si domandò Shanks.
– La porta più grande probabilmente
dà sull’esterno, quella più piccola potrebbe mettere in comunicazione il
campanile con la chiesa principale, o con la canonica. – spiegò Nico Robin in
tono accademico.
I filibustieri la guardarono
stupiti, poi convennero che la spiegazione quadrava.
– Robin… – sussurrò Chopper, nella
sua piccola forma ibrida. – Non senti quest’odore? –
– Che odore? Gas? – si allarmarono
i pirati.
– No… sembra… dev’essere morto
qualcuno, qui! – rispose la renna.
– Sfondate la porta! – ordinò
Shanks.
– Piano! – s’intromise Robin; per
la fredda archeologa era comunque un trauma veder distruggere parti di quel
tesoro inestimabile: i pirati cercavano i diamanti ma lei, il tesoro, l’aveva
già trovato.
– Potrebbe esserci un altro muro di
terra, dietro. – ragionò cupo Benn.
Una mano femminile fiorì sulla
porta massiccia, e le nocche bussarono contro il legno.
Suonò vuoto.
Yasopp ci mise pochi attimi a
scardinare la vecchia e consunta serratura, e con precauzione tirò la porta
verso di sé, pianissimo.
La porta lentamente ruotò sui suoi
cardini, poi un sordo crepitio anticipò il collasso della stessa: Curtis
immediatamente riuscì a scansarla, e Nico Robin la resse grazie a uno stormo di
manine fiorite dal nulla e la depositò con precauzione vicino alla parete
nonostante dovesse pesare parecchio.
I pirati sospirarono. Cominciamo
bene!
Oltre la porta c’era l’oscurità più
totale. Non si vedeva un palmo dal naso.
– Non dovrebbe esserci la frana? –
tentò Beckman.
– Sì. – confermò Nico Robin. –
Forse… siamo in un’altra stanza…? – azzardò.
Yasopp raccattò un sassetto nella
sagrestia e lo lanciò nel vuoto buio, facendogli fare un volo di una decina di
metri in avanti.
– Qui è tutto sgombro. – disse il
cecchino.
– Procediamo. – risolse Shanks.
Il gruppo uscì con le torce dalla
stanza, e si ritrovò su quello che doveva essere il sagrato della chiesa.
Fuori dalla piccola stanza, le
torce illuminarono una piazza circondata da vecchi edifici: alle loro spalle
c’era la chiesetta, sulla destra Yasopp riconobbe l’insegna sbiadita di un
barbiere, in fondo si intravedevano case diroccate. In alto non c’era il cielo,
ma un’oscura volta fatta di rami e di terra che non era alta più di tre metri e che sembrava gravare sopra le teste dei
presenti.
Ma un dettaglio raggelò i passi dei
filibustieri: a terra c’era una distesa di scheletri. Tanti, tantissimi, così
tanti che non sarebbe stato possibile attraversare la piazza senza calpestarli.
Anneriti dagli anni, alcuni erano abbracciati, altri sparsi a terra, altri
ordinatamente in fila vicino alla fontana centrale. Altri ancora erano seduti
ai piedi delle case, e sembrava che scrutassero i nuovi arrivati con le loro
orbite vuote.
Le fiamme delle torce disegnavano
ombre cupe e minacciose tutt’attorno.
A Chopper si drizzò il pelo sulla
schiena, e si nascose dietro le gambe di Nico Robin.
Shanks e Benn Beckman non persero
tempo e scandagliarono la zona con l’Ambizione alla ricerca di nemici o forme
di vita: niente, non c’erano segnali da nessuna direzione.
Tutti si girarono verso Nico Robin.
– Io… – tentennò l’archeologa. –
Credo siano gli abitanti del paese… –
– Ma perché la frana ha coperto
così la piazza? Non avrebbe dovuto essere tutto -completamente- occupato dalla
terra? – ragionò Curtis.
– Non lo so… – ammise Robin.
– Shanks! Davanti a noi! – sibilò
Beckman.
I pirati spianarono le armi.
Dall’oscurità emerse una figura
umana esile, molto esile. Uno degli scheletri consunti che si trovavano sparsi
per la piazza si alzò in piedi come risucchiato lievemente verso l’alto, e si
voltò verso i pirati spiazzati.
Lenti, in un fascio tenue di luce
giallastra, comparvero sulle antiche ossa muscoli, tendini, brandelli di carne,
dalle orbite si affacciarono degli occhi neri dall’aria spenta, ombreggiati da
ciglia rade, e dal capo spuntò una capigliatura
di lunghi e radi capelli bianchi. Anche dei vestiti comparvero, una vecchia e
logora tunica di un colore indefinibile strappata in più punti.
– Dei vermi strisciano dentro, dei vermi strisciano fuori…
Quelli
che entrano sono magri e smilzi, quelli che escono sono grassi e pasciuti… – sussurrò l’uomo con voce profonda e
cantilenante, concludendo con un profondo gemito.
– Presentati. – ordinò Shanks
facendo un passo in avanti e parandosi davanti al drappello di pirati.
La strana presenza non guardava
l’imperatore in volto, né nessun altro dei presenti: i suoi occhi infossati,
che quasi non si riuscivano a scorgere, sembravano puntati verso l’alto, da
qualche parte alle spalle dei pirati. Le sue vesti e i suoi capelli
ondeggiavano cupi, nonostante non spirasse un alito di vento, lì sotto terra.
– I tuoi occhi rotolano dentro, i tuoi denti cadono di fuori, e il
cervello ti cola dal muso… – continuò a cantare lugubre. – Sii felice, amico mio, sii felice. – e
gemette di nuovo.
Shanks e i suoi si guardarono,
indecisi sul da farsi.
Per Nico Robin e Chopper, invece,
parlare con qualcuno che era regolarmente deceduto era normale amministrazione;
la renna, nonostante questo, sembrava però molto impressionata.
Poi finalmente l’inquietante
apparizione cominciò a parlare senza ricorrere a cantilene oscure: – Siete voi –
disse – Siete voi che, finalmente, siete giunti nella tragica valle dell’isola
di Skye. –
– Ci stavi aspettando, vecchio? –
rispose a tono il Rosso.
– Tutti noi stavamo aspettando. –
spiegò l’uomo allargando le braccia, indicando i miseri resti sparpagliati per
la piazza. – Aspettavamo qualcuno, voi o altri non fa differenza, qualcuno che
ci seppellisse. –
– Che cos’è successo, qui? –
domandò Nico Robin, assetata di risposte tecniche più che di chiacchiere.
La presenza, lentamente, si voltò
verso la ragazza come se si rendesse conto della presenza di più persone a mano
a mano che esse prendevano la parola. Dapprima sembrò non voler rispondere, poi
parlò, sempre tenendo alto lo sguardo: – Per molti millenni lo spirito di Skye
ha abitato questa remota isola, regalando agli abitanti i frutti del suo
sottosuolo. Nefasto fu il giorno in cui l’avidità del genere umano pugnalò lo
spirito di Skye per estrarre i suoi doni direttamente dal suo cuore. –
Fece una pausa, in cui gemette
profondamente e per un attimo sembrò volesse sparire; ma continuò: – La terra
dell’isola non resse per molto. Privata delle sue fondamenta, l’isola inghiottì
i suoi abitanti e Skye si riprese con la forza la terra che ospitava il suo
spirito. Gli uomini non possono più razziare quest’isola, questo comanda lo
spirito di Skye.
– Tu chi sei? – domandò a
bruciapelo Benn Beckman.
Anche stavolta la presenza si
dimostrò quasi sorpresa per la terza persona che prendeva la parola. Guardò
Beckman con curiosità e poi rispose: – Io sono Calander, l’ultimo sacerdote del
culto di Skye. – si presentò.
– È stato lo Spirito di Skye a
risparmiare questa parte del paese? – tornò a parlare l’archeologa.
Calander si fece triste. – No. –
Con solenne lentezza fluttuò verso
la fontana di pietra che stava al centro della piazza; voltandosi indietro,
controllò che il gruppo lo stesse seguendo e si fermò a pochi passi dalla
vasca, nel punto dove il soffitto della volta era più alto. Si chinò sopra uno
scheletro che era morto seduto sui gradoni su cui sorgeva la fontana. Nico
Robin, a occhio, stabilì che si trattava di una donna sulla quarantina.
– È stata lei. – spiegò infatti
Calander accarezzando il cranio della morta. – Per tutta la vita è stata
maledetta da Skye, e non poteva avvicinarsi al mare. –
“Un Frutto del Diavolo”, pensarono
tutti.
– Ma quando la frana si è abbattuta
sul paese, ha compiuto un miracolo… o forse ci ha condannati a una fine ancor
peggiore… ha creato una barriera di ghiaccio che ha impedito alla terra di
penetrare in questa zona...
“Il Gelo-Gelo” rimuginò Nico Robin.
“Una delle precedenti proprietarie del frutto di Aokiji.”
– …ci ha salvati momentaneamente,
ma ci ha condannati a morire di fame qui sotto. All’inizio abbiamo sperato che
qualcuno venisse a salvarci. –
I pirati si strinsero nelle spalle.
Era stata una tragedia incredibile, e la presenza del redivivo Calander rendeva
la silenziosa piazza ancora più cupa e più minacciosa.
– Perché ci stai dicendo queste
cose? – intervenne Shanks.
– Perché sia fatta la volontà dello
spirito di Skye. Cremare i miseri resti mortali di noi che un tempo popolavamo
questa valle. Da tempo lo spirito attirava persone su queste terre per compiere
i rituali funebri dei suoi seguaci, ora, finalmente, il tormento di queste
anime avrà fine.
Una lampadina s’illuminò nella
mente di Chopper.
– È stato… lo spirito di Skye a far
naufragare… la nave su cui viaggiavo? –
– Lo spirito di Skye si rammarica,
ma è felice di esser finalmente riuscito nel suo intento. E che l’equipaggio si
sia salvato. Poteva finire peggio.
Un moto di ribellione si accese in
Chopper: – Era la nostra casa! Non c’era un altro modo per richiamarci qui? E
perché ha fatto naufragare noi e non loro? – disse indicando con uno zoccolo
gli uomini di Shanks. – E perché… – gli venne in mente all’ultimo. – Ha fatto
naufragare la nave di Pipe e non quella di Yama? –
Calander rimase interdetto, ma non
perse la calma. – Lo spirito di Skye voleva assicurarsi il maggior numero di
possibilità, per compiere il destino dei suoi fedeli. Le navi che si dirigevano
spontaneamente sull’isola sono state risparmiate, quelle che sono entrate nelle
nostre acque per poi andarsene, sono state affondate perché i naufraghi si
rifugiassero sulle nostre coste. –
– Questo è ingiusto! – riuscì a
gridare la renna, prima che uno stormo di manine la zittisse.
– Era possibile che la nostra nave
si salvasse, nonostante la volontà dello spirito di Skye? – domandò fredda
l’archeologa.
Calander riflettè. – No. – disse
infine. – Lo spirito ha usato tutte le correnti marine e i soffi vulcanici che
spirano sotto la crosta terrestre, per affondare l’ultimo veliero. È stato
molto difficile, era costruita bene, ma non poteva resistere alle
sollecitazioni cui lo spirito l’ha sottoposta. Gli altri equipaggi nemmeno si
sono accorti, che qualcuno aveva attaccato la loro imbarcazione; voi avete
resistito più di ogni altro.
– Quindi non è stata colpa di
Franky, se siamo naufragati! – si rallegrò Chopper.
– Dei vermi strisciano dentro, dei vermi strisciano fuori…
Quelli
che entrano sono magri e smilzi, quelli che escono sono grassi e pasciuti… –
ricominciò a cantilenare l’uomo.
– Aspetta! – gridò Shanks. – Dove
possiamo… –
–
I tuoi occhi rotolano dentro, i tuoi denti cadono di fuori, e il cervello ti
cola dal muso… – lo ignorò Calander
diventando sempre più trasparente fino a sparire, risucchiato dal cono di luce
che alla fine scomparve, lasciando in terra le ossa dell’uomo prive di
qualsiasi anima.
–
Sii felice, amico mio, sii felice. – fu l’ultima cosa che si sentì.
Dietro le quinte... Benritrovati!!! Ciao! Spero non vi siate dimenticati di questa storia!! Mi scuso per il grandissimo ritardo, è stato un periodo no e non sono riuscita proprio a trovare l'ispirazione per scrivere... e purtroppo neanche per leggere, per cui mi scuso sia con i lettori, sia con gli altri autori di cui devo leggere (e recensire) i nuovi capitoli; non dipende da voi, tranquilli! Spero di riuscire a recuperare a breve. Ma passiamo a "I Razziatori dell'Isola di Skye"! Questo è il capitolo finale, il prossimo sarà l'epilogo. La "canzone" che canta Calander è la traduzione (anche se in questo caso è più un adattamento) di una breve (e inquietante) canzone dei Pogues, che si intitola appunto... "Worms", vermi. E siccome è cortissima (sono quattro versi), Calander la recita tutta. Il significato è che... bisogna essere felici, e vivere la propria vita, prima che i vermi mangino la nostra carcassa. Molto vero, poco allegro. Ringrazio tutti i pazientissimi lettori che non hanno mollato la storia, grazie, grazie davvero tantissimo! Appuntamento a tra pochissimi giorni per l'epilogo! Yellow Canadair
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Capitolo 11 *** Epilogo: una nuova partenza ***
Epilogo
Una
nuova partenza
– Davvero? Wooow!! – esclamò Rufy, seduto davanti
al camino della casa di Pipe quella sera, dopo le vicissitudini della giornata.
– Perché non l’hai fermato?? Potevamo portarlo con noi! –
– Abbiamo già il nostro morto che cammina in ciurma,
basta e avanza! – lo rimbeccò Nami suonandogli un pugno in testa.
– Quindi – continuò a raccontare Chopper in
equilibrio su una sedia a dondolo – Non è stato un comune nemico a far
affondare la Sunny! Anzi, Calander ha detto che lo spirito non riusciva a
distruggerla! –
– Era praticamente inevitabile che naufragassimo.
Non dipendeva né dalla qualità della nave né dall’abilità del carpentiere o del
navigatore. – concluse Nico Robin sorseggiando del tè al finocchietto.
– Sentito?? – gridò festoso Rufy rivolgendosi al
cyborg. – Hai messo in difficoltà uno coso soprannaturale! Ho il miglior
carpentiere del mondo! – urlò il capitano nelle orecchie di Franky, che faceva
del suo meglio per nascondere i singhiozzi; ma stavolta erano lacrime di felicità.
– Sapevo che non poteva esser stata colpa nostra! –
dette manforte Usopp indicandosi.
– Però qualcosa non torna. – ragionò Sanji. – Noi
prima di naufragare abbiamo visto Skye. Ci stavamo dirigendo verso l’isola. –
– No. – lo corresse Nami facendo cenno negativo con
l’indice. – Quella che abbiamo visto non era sicuramente Skye: il profilo della
montagna su cui siamo è molto caratteristico, ti posso assicurare che non è la
stessa isola su cui stavamo puntando. –
Zoro ruggì basso, piuttosto seccato dalla figura
fatta contro la ciurma del Rosso e dal fatto che fosse stato uno spirito,
qualcosa di intangibile (e impossibile da tagliare), ad avere la meglio su di
loro. In più, non c’era traccia di alcolici in quella casa, e sì che l’avevano
ribaltata come un calzino adesso che non c’era più l’inquietante presenza di
Yama a frenarli.
Ripensò all’eventualità di riuscire a fendere anche
uno spirito come quello di Skye, ma alla fine arrivò solo alla conclusione che
serviva comunque che lo spirito si palesasse, per poterlo squarciare. Ci
avrebbe lavorato su.
Quanto a Pipe, non sembrò prendersela molto per la
morte del padrone di casa. Un paio di volte aveva chiesto a Brook dove fosse, e
lo scheletro aveva risposto: “È andato via.” e lei: “Tornerà?”, ma alla
risposta negativa dello scheletro non aveva continuato con le domande.
Suonava la cornamusa, andava in giro in sella al
suo cavallo di bronzo, e poi se ne tornava in cucina dove Sanji provvedeva
sempre a prepararle qualcosa di buono nonostante le scarse materie prime. I
suoi discorsi erano ancora senza troppa logica, ogni tanto i suoi occhi
diventavano vacui e chissà in quali meandri della sua mente si era persa, però
almeno con i suoi nuovi coinquilini sembrava felice. Era andata con Brook a
fare una passeggiata dietro la casa, prima del tramonto, e da lì avevano visto
il fumo del rogo preparato dalla ciurma di Shanks.
– Fuoco… – aveva mormorato la ragazza, stringendosi
al pianista.
– Non ti preoccupare, Pipe. – l’aveva rincuorata lo
scheletro. – Finirà presto. – aveva concluso, conoscendo il significato di
quelle pire.
Erano rimasti a lungo, seduti nell’erba, a guardare
i fili di fumo che si fondevano con le nuvole basse del cielo grigio, senza
dire una parola. Il sole non era che un’ombra rossastra oltre le nuvole
dell’orizzonte, e colorava di rosa e di oro le nuvole ad ovest, dove sembrava
che si diradassero. Alla fine Pipe si era addormentata, e Brook l’aveva
riportata in braccio alla villa appena in tempo: una pioggia fitta e sottile
aveva cominciato a cadere sulle ceneri dei roghi, risparmiando a Shanks e ai
suoi la fatica di spegnere completamente i fuochi.
~
Le ancore della Red Force furono issate di buona
lena al suono di vecchie canzoni marinaresche il mattino successivo, dopo una
lunga festa che era durata fino a notte fonda. Nonostante il lugubre compito di
dare una sepoltura a tutti i morti di Skye, Rockstar e Yasopp erano riusciti a
forzare le casseforti trovate in paese e si erano impossessati di tutto ciò che
vi avevano trovato dentro, mettendo dopo vent’anni la parola fine alla
ricerca del tesoro dell’isola. Ci era voluta un’intera giornata per costruire
un montacarichi e portare tutto in superficie, ma alla fine i pirati erano
riusciti nel loro scopo.
– Non hai nemmeno salutato Rufy? – domandò Benn Beckman accendendo una
sigaretta, affacciato sul cassero di poppa, mentre guardava per l’ultima volta
il Profilo del Poeta e la casa che sorgeva sulle sue pendici.
– Tanto ci rivedremo presto! – sorrise il capitano, che invece dava le spalle
all’entroterra.
I due pirati rimasero ad osservare per qualche
istante Yasopp, intento a raccontare dei dettagli quanto successo a Dressrosa a
Ftoros, il medico di bordo; il cecchino si era incuriosito molto leggendo le
cronache di quei giorni sui giornali, e finalmente aveva potuto chiedere al
figlio maggiori dettagli.
Alla maggior parte della ciurma andava invece
benissimo il solo resoconto del quotidiano, però questo a Yasopp non importava.
– Sei sicuro che accetterà il tuo regalo? – domandò il Vice ignorando Ftoros che
decideva di addormentare il suo interlocutore con una siringa.
– Non è un regalo. – lo corresse Shanks. – È un prestito. Un altro prestito. – sghignazzò. – Del resto, come farebbe a diventare un grande pirata e a restituirmi
il cappello, se rimane senza mezzi su un’isola deserta? –
~
Il
mattino dopo Rufy uscì dal portone per
andare a caccia di qualche succulento cinghiale e trovò, sui gradini
all’ingresso della villa, un grande sacco di iuta con un fiocco rosso cremisi
con dentro tanti, tanti, tanti anonimi prismi trasparenti. Un bigliettino
recitava “da Shanks”, e sotto c’era scarabocchiato un omino con la lingua di
fuori.
– Shanks mi ha regalato… dei cubetti di
ghiaccio? – mormorò deluso
Rufy.
Meno male che intervenne Nami a evitare che se li
mangiasse o che li desse a Sanji per cucinare. –
Testone che non sei altro!! –
gridò estasiata. – Questi sono…
i diamanti della concessione!! Il tesoro dell’Isola di Skye!! –
– Ma no, i diamanti li conosco! – protestò Cappello
di Paglia. – Brillano molto di più! Come quelli dei tesori! Questi sono proprio
cubetti di ghiaccio…
Nami non lo stava più ascoltando: era caduta in
ginocchio davanti al sacco e vi aveva immerso le braccia fino ai gomiti: – Sono diamanti grezzi…! Ce ne saranno almeno… cinquanta chili!! –
~
– E se lo rifiutasse? – azzardò Benn Beckman mentre il profilo
dell’isola spariva all’orizzonte.
Shanks si strinse nelle spalle. – I diamanti sono comunque dei sassi. Affondano benissimo. –
~
– Rufy, aspetta un istante prima di sbarazzartene…
– lo pregò Sanji. – È vero che noi ce la caveremmo comunque, e
che tra qualche settimana Franky avrà finito la barca che ci porterà via da
Skye, però… – guardò serissimo
Pipe, che puliva la cornamusa in un angolo canticchiando “Dei vermi
strisciano dentro, dei vermi strisciano fuori…”
–
Ti rendi conto che Pipe non potrà vivere qui da sola, vero? – disse il cuoco.
Avevano
appena finito di pranzare; Sanji continuava a dimostrarsi un cuoco eccezionale
e dalle risorse infinite, per riuscire a tirare fuori dei manicaretti di
prim’ordine da una cucina spoglia e disorganizzata come quella. Una volta
andati via i pirati di Shanks, anche i Mugi avevano visitato la cittadina sotto
terra, ma finita l’esplorazione era rimasto ben poco da fare e si erano
ritirati nella grande casa perché, intanto, aveva ricominciato a piovere. Nico
Robin era stata portata via a forza e ora erano tutti riuniti attorno al fuoco,
chi seduto per terra e chi ancora al tavolo, dove si giocava a carte tra le
briciole del pranzo.
Rufy
non aveva pensato al destino della suonatrice, una volta che Yama era morto.
Aveva notato che Pipe si comportava in maniera strana, ma non vi aveva mai dato
troppo peso. Aveva incontrato tante persone svanite in vita sua! Non gli
sembrava che questo, per loro, fosse un problema. Però, ora che Sanji glielo
faceva notare, si ricordò della dispensa quasi vuota, e del fatto che Pipe non
fosse mai uscita a catturare qualcosa da mangiare come facevano lui e Zoro.
–
Rufy. – tuonò lo spadaccino. – Bisognerà lasciarla in una città.
–
Potremmo affidarla a qualcuno che conosciamo, no? – propose Nami.
–
Già, ma prima dovremmo riuscire ad andarcene di qui. – disse Usopp in tono
depresso. Pipe, con la forza del pensiero, gli fece arrivare vicino un cuscino
e un mestolo di legno, per consolarlo.
Usopp
guardò stranito i due oggetti, che fluttuavano davanti al suo naso per poi
depositarsi con delicatezza sulla tovaglia.
–
Pipe può recuperare la Sunny. – sussurrò afferrando il mestolo.
Franky
tirò su la testa dal tavolo, tutti si voltarono a guardare il cecchino.
Brook
intervenne: – Può spostare solo le cose che ha toccato in precedenza. Non ha
mai nemmeno visto la nostra Thousand Sunny.
Ma
Usopp scosse la testa, deciso: – La Sunny no… ma l’Albero Adam sì! – sorrise
raggiante. – Franky! – esclamò. – La Mini Merry II è fatta con lo stesso
materiale della Sunny, no? Hai usato lo stesso albero!
Il
carpentiere intuì dove volesse andare a parare il cecchino. – Sì, ho usato lo
stesso legno per entrambe…! –
–
Non ci sono limiti di peso, per spostare gli oggetti, vero, Pipe? – chiese
ancora il cecchino.
–
Non credo, sposta tranquillamente un cavallo di bronzo… non pesa quanto la
Sunny, ma… – rispose per lei Brook.
–
E allora che stiamo aspettando? – gridò Cappello di Paglia.
~
Per
un bravo carpentiere come Franky non fu difficile costruire lì per lì una
piccola zattera, che fu attaccata dietro alla Mini Merry II e trascinata da
essa fino al punto in cui Nami stimò essere affondata la Thousand Sunny. In
questo modo tutta la ciurma poteva assistere all’esperimento di cui Pipe era
protagonista.
Più
difficile fu spiegare alla suonatrice di cornamusa il suo ruolo nell’operazione:
Sanji e Nico Robin ci si misero con impegno e pazienza, e alla fine riuscirono
a far capire alla ragazza che dallo stesso albero erano state ricavate due
navi, una grande e una piccola, e lei doveva recuperare dal fondo del mare
quella più grande.
–
Lei non penserà di “recuperare la Sunny” – disse Nami a Rufy – Dovrà pensare di
“recuperare l’Albero Adam”. –
–
Anche se di fatto sono la stessa cosa. – completò Zoro, forse semplificando
eccessivamente.
–
Ci siamo attaccati a un cavillo tecnico, insomma. – concluse Chopper.
Era
il momento.
Era
mezzogiorno, nonostante il sole fosse coperto da un denso strato di nuvoloni
bigi.
Rufy,
Zoro con Chopper sulle ginocchia, Pipe e Brook si trovavano sulla Mini Merry
II, e rimorchiavano Franky, Nami, Robin, Usopp e Sanji che erano sulla barca
costruita il giorno precedente.
Siccome
sul mare faceva ancora più freddo che sull’isola, tutti si erano messi addosso
i vestiti più caldi che avevano trovato nei malmessi guardaroba della villa:
maglioni, golfini, camicie da lavoro di flanella, grandi gonne lunghe fino ai
piedi, scialli di lana, e Nami addirittura era avvolta in una grande coperta.
Era un po’ strano vedersi coperti da così tanti strati (e Sanji reputava che
fosse un terribile spreco, per le sue dee), però il clima dell’isola, dopo le
recenti piogge, era diventato ancora più rigido.
–
Sei pronta, Pipe? – mormorò Brook, seduto accanto alla ragazza sul sedile
posteriore dell’imbarcazione.
Pipe
si alzò in piedi, nel silenzio surreale del mare liscio come l’olio.
Si
aggiustò la cornamusa sulla spalla sinistra, badando che le tre canne che
andavano verso l’alto fossero ben allineate tra loro e che le nappine di stoffa
rossa non si fossero impigliate.
Portò
la canna della cornamusa alla bocca e cominciò a soffiare.
–
Highland Cathedral. – mormorò Sanji
all’orecchio di Nami.
Poi
tornarono muti ad ascoltare quella triste melodia, mentre il mare rimaneva
piatto.
Brook
tirò fuori un vecchio tamburo trovato nella casa di Pipe e l’accompagnò mentre
suonava.
Usopp
li guardava incantato, cercando di imprimersi quell’immagine nella testa: era
uno spettacolo emozionante, due suonatori eccezionali che stavano improvvisando
un concerto solo per loro in equilibrio sul mare grigio.
Uno
era alto, magro, vestito elegantemente con giacca e pantaloni di sartoria dalla
foggia antiquata, e le trine della camicia ondeggiavano al ritmo del vento e
dei movimenti che facevano vibrare la vecchia pelle del suo strumento.
L’altra
era minuta, avvolta in caldi vestiti di lana pesante, con la gonna in tartan
verde e blu e uno scialle dello stesso colore chiuso sulla spalla destra con
una grande fibbia d’oro, che spiccava sulla camicia di battista bianca. I suoi
capelli erano acconciati in una treccia, con qualche ciocca che disordinata che
sfuggiva nella brezza che sfiorava il mare, ma la testa era protetta dal freddo
da un berretto di lana che ricadeva floscio da un lato.
All’improvviso
un punto del mare a una decina di metri alla loro destra cominciò ad agitarsi e
ribollire tenue.
–
Guardate! – esclamò Rufy.
Pipe
soffiò con più forza e, pian piano, dall’acqua fredda uscirono prima i pennoni,
poi le sartie lerce di alghe, quindi i malandati mandarini, poi l’osservatorio
dal tetto sfondato e il cassero, e poi il ponte, con il manto erboso fradicio e marcio, e infine una grande polena sorridente, il cui colore giallo
vivo non si era scrostato neanche un po’, per chissà quale miracolo. Dal ventre
squarciato faceva capolino lo Shark Submerge III, incastrato tra le travi
spezzate.
Tra
la cornamusa e il tamburo si sentiva un cupo gorgoglio, come di un cyborg in
lacrime.
~
Una
settimana dopo, la ciurma dei pirati di Cappello di Paglia diceva addio senza
rimpianti all’Isola di Skye su una rinnovata Thousand Sunny. Portavano con loro
Pipe e una buona cinquantina di chili di diamanti grezzi, gentile concessione
di Shanks il Rosso. All’inizio Rufy non aveva voluto accettarli, ma i suoi
amici erano riusciti a farlo ragionare: se non servivano a loro, erano
indispensabili per assicurarsi che Pipe vivesse tranquilla e al sicuro quando
l’avrebbero salutata. Nami non era molto d’accordo, almeno all’inizio, ma poi
sembrò convincersi.
Mentre
le due ragazze stavano aiutando Pipe a fare i bagagli, era spuntato fuori dai
suoi armadi un oggetto interessante.
–
Il mio abito da sposa! – aveva sorriso Pipe correndo ad afferrare la stoffa
bianca che l’archeologa reggeva tra le mani.
–
Ma… – Nami era interdetta. Era un completo bianco, logoro e strappato. Non era
fatto di tulle o di taffetà come gli abiti da sposa che aveva visto lei in giro
per i negozi, era solo una camicetta di cotone bianco con il colletto a righe
blu, a mezze maniche.
Pipe
intanto se l’era appoggiato addosso e si guardava allo specchio, fiera.
Le
due donne si erano guardate tristemente: non era un abito da sposa, se non
nella mente della povera Pipe.
Era
un’uniforme da Marine. In fondo all’armadio c’erano anche dei pantaloni bianchi
fatti con la stessa stoffa, vecchi e rigidi di sale.
~
Dopo
che Nico Robin e Chopper gli avevano rivelato che lui non c’entrava nulla con
il naufragio, e soprattutto dopo il recupero della suo amato brigantino, Franky
era rinato: era tornato ad essere il cyborg dinamico e chiassoso che
conoscevano tutti, ed era un piacere guardarlo mentre eseguiva delicatissimi
lavori di carpenteria sulla tapina Thousand Sunny. Usopp gli dava volentieri
una mano, e spesso anche Rufy e Zoro si univano ai lavori per far ritornare il
loro brigantino agli antichi splendori.
Un
duro lavoro toccò a Nico Robin: tutti i libri della loro biblioteca erano
diventati un ammasso irrecuperabile di fanghiglia, e dovette suo malgrado
abbandonarli a Skye. Per fortuna la casa di Pipe era ben provvista di tomi, e
fu la stessa suonatrice di cornamusa a trasportarli, in un trenino ordinato,
fin dentro la nave dei suoi amici.
Compito
simile toccò a Chopper: le bende erano recuperabili, ma dovette sbarazzarsi di
erbe e medicine che conservava nell’infermeria della Sunny. Anche Sanji dovette
ammettere che la maggior parte delle sue scorte erano diventate cibo per pesci.
Nami
per poco non scoppiò a piangere: il suo lavoro di due anni era da rifare
completamente perché le mappe nautiche avevano preso poco bene quel periodo
prolungato di ammollo. Sanji le fece però notare che, per fortuna, ne aveva
fatte plastificare la maggior parte e, seppure danneggiate, erano recuperabili.
L’unico
felice era Zoro: i liquori si erano conservati perfettamente e lui potè
ricongiungersi con gioia al suo sakè.
Brook
ritrovò fra i corridoi della Sunny quel che rimaneva del suo povero violino, ma
si rifiutò di lasciarlo: lo mise da parte e si ripromise di cercare un bravo
liutaio sulle isole successive.
–
Non preoccupatevi! – li tranquillizzò Franky – Mettiamo in sicurezza la nave
per la navigazione e alla prossima isola faremo una suuuper-spesa per sistemare
tutti gli interni!
–
Dovremo tornare fino a Water Seven? Dallo zietto Iceburg? – chiese Rufy. Da un
lato gli sarebbe dispiaciuto compiere un passo all’indietro così lungo, ma
dall’altro gli avrebbe fatto piacere tornare a salutare i ragazzi della
Galley-La Company.
–
No, non sarà necessario. – rispose Cutty Flam – I migliori carpentieri del
mondo sono lì, certo, ma ci sono tanti super-cantieri in giro per la Rotta
Maggiore! Non avremo problemi a rinnovare la Sunny rimanendo nel Nuovo Mondo!
–
Rotta, capitano! – chiese Nami guardando il suo log-pose, che nel frattempo
aveva registrato il magnetismo di Skye e puntava dritto alle prossime tre
isole.
–
Andiamo dal Fumoso! – sorrise invece impavido Rufy.
–
Da Smoker!? – replicarono tutti in coro. Che razza di meta era??
–
O dal nonno. – ragionò Cappello di Paglia piazzandosi un indice nel naso. –
Oppure da quel tizio strano che ti conosce, Robin… –
–
Ma perché vuoi andare dalla Marina a tutti i costi?? – pianse Usopp.
–
Pipe era una Marine, no? – sorrise il capitano. – Sono i suoi amici. È da loro
che deve tornare!
–
Guardiamarina Pipe! – sorrise la ragazza facendo il saluto militare.
–
Appunto. – si compiacque Rufy. – Che stiamo aspettando? Andiamo! –
Dietro le quinte... È finita!! È finita!!! È finita!!! Grazie! Grazie a tutti quanti! A chi ha recensito, a chi ha suggerito, a chi semplicemente ha letto. Grazie a tutti voi e scusate per la lunga attesa per questi ultimi due capitoli. Spero che la storia vi sia piaciuta, mi piacerebbe sentire le vostre opinioni... l'ambientazione com'è stata? E il personaggio di Pipe vi è piaciuto, con tutti i suoi richiami alla Scozia e alle Highlands? E l'isola di Skye (ispirata... alla zona tra Frosinone e Latina)? E Yama come cattivo della storia? Ovviamente non è stato un cattivo potente come Crocodile, Ener, Rob Lucci, ma un cattivo abbastanza blando, però con la sua bella dose di bastardaggine... almeno spero! E la ciurma di Shanks? Era un sacco che volevo gestirla di nuovo, dopo le storie "Le Schiave" e "L'uomo che tornava dal mare", e spero di essere riuscita a renderla bene! Un messaggio agli altri autori di cui seguo le storie: mi sto rimettendo in carreggiata, recupererò i capitoli arretrati quanto prima! Scusatemi!! Ancora grazie a tutti coloro che mi hanno seguita fin qui (eroi!!). Buon fine settimana, Yellow Canadair
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