Love runs out

di alaskha
(/viewuser.php?uid=213278)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Not bad one ***
Capitolo 2: *** Big city ***
Capitolo 3: *** Don't stop ***
Capitolo 4: *** Begin again ***
Capitolo 5: *** Out of reach ***
Capitolo 6: *** Rockers ***
Capitolo 7: *** Just friends ***
Capitolo 8: *** Weakness ***
Capitolo 9: *** E resto, te lo giuro ***
Capitolo 10: *** Everyone leaves ***
Capitolo 11: *** Nothing without you ***
Capitolo 12: *** My heroine ***
Capitolo 13: *** Getaway ***
Capitolo 14: *** 5 seconds of summer ***
Capitolo 15: *** Hey angel ***
Capitolo 16: *** Presents ***



Capitolo 1
*** Not bad one ***


 


 
chapter one

not bad one

 



“Corri, John, dannazione a te ed alle tue gambe corte!”
Mio fratello Johnatan era sempre stato particolarmente basso, anche se aveva due anni più di me: esattamente 20, compiuti una settimana prima di quel giorno. E non era un giorno come gli altri, quello era il giorno.
Dopo cinque anni sudati, il giorno del diploma era arrivato, ed io non potevo essere più felice di quanto non lo fossi.  Non che il liceo non mi piacesse.. ma chi voglio prendere in giro? Odiavo la London High School con tutta me stessa e non vedevo l’ora di andarmene da lì.
“Ah, ce l’avete fatta”
Zayn buttò a terra la sigaretta ormai consumata, spegnendola del tutto con la sua Nike.
“Prenditela con Johnatan” berciai, con il fiatone.
“Ho l’asma, e lo sapete bene” si difese mio fratello.
Zayn rise, ed io lo guardai bene in viso, pensando che una cosa buona la London High School me l’aveva portata, alla fine.
Zayn Malik non era il mio ragazzo, non stavamo insieme, non eravamo innamorati e non ci attraevamo neanche fisicamente. Okay, no, forse un po’ di tensione sessuale correva tra di noi, ma niente di che, era una cosa totalmente controllabile.
Zayn aveva perso due anni scolastici ed aveva la stessa età di Johnatan. Ci eravamo conosciuti il primo anno di liceo, che per lui era il terzo ormai, e da lì non ci eravamo mollati più.
“Jenelle, vuoi restare a fissarmi per il resto della tua vita o ci diamo una mossa? Butterfield sarà già abbastanza incazzato con noi”
George Butterfield era il nostro preside: odiato, stronzo spergiurato ed inesauribile rompi coglioni. Ma che importava? Era finita, finalmente.
Prendemmo posto in ultima fila, dato che eravamo ormai gli ultimi. Mi guardai intorno, c’erano tutti i ragazzi del mio corso, salutai con la mano Jj Hamblett, uno dei pochi ragazzi con cui avevo legato durante il periodo del liceo.  
“Ehi Lou, alla buon ora” commentò Zayn.
“Cos’è oggi, sei fissato con l’orario?” domandai, spazientita, facendo spazio a Louis.
“Oh hai ragione, che rompi palle che sono, d'altronde dobbiamo solo diplomarci!”
Sbuffai, mentre Louis ridacchiava.
Louis Tomlinson era l’inseparabile compare di Zayn Malik, viaggiavano sempre in coppia e sembravano vivere in simbiosi: avevano persino perso gli stessi anni scolastici. Ma erano l’uno la salvezza dell’altro, per fortuna, altrimenti, con lo stile di vita che conducevano, si sarebbero uccisi con le loro stesse mani. Erano due avidi portatori di canottiere a maniche larghe, avevano ventisette tatuaggi per uno ed una matta voglia di vivere la vita fino all’ultima goccia.
Eravamo diventati un trio, Zayn e Louis erano gli unici amici che avessi.
Butterfield si schiarì la voce, ed iniziò un lungo monologo su quanto andasse fiero della classe di diplomandi del 2013/2014 e bla bla bla. Di sicuro non parlava di Zayn e Louis.
Finalmente iniziò a fare i nomi ed un fiume di ragazzi si affrettò sul piccolo palco allestito dal personale scolastico per l’occasione. Figo, per il ballo scolastico usavamo una palestra, ma potevano permettersi un palco e dei fotografi per il giorno del diploma. Dannazione, quanto eravamo arretrati.
“Zayn Malik”
Tuonò poi Butterfield.
“Vai amico, è il tuo turno, goditelo quel pezzo di carta”
Scossi la testa divertita, al sentire uno dei miei due migliori amici sminuire così tanto il diploma. Il fatto era che “Quel pezzo di carta”, come aveva detto Louis, rappresentava la mia vita: quello e solo quello sarebbe stato il mio passaporto per il King's College, a Londra
E di certo mio padre non mi avrebbe aiutata.
“Jenelle Stratford”
Sussultai, nel sentire il mio nome. Sospirai pesantemente, per mantenere la calma, fino a che non arrivò quella simpatica spinta sulle spalle da parte di Louis.
Lo fulminai, dopodiché scavalcai la coltre di studenti e parenti ammassati in ultima fila, per poi arrivare al palco, tremante.
Sorrisi, di circostanza.
“Sono orgoglioso di annunciare la migliore studentessa dell’intera London High School, complimenti signorina Stratford, questo se lo è meritato”
Seguirono applausi e grida di gioia, così mi appuntai di picchiare Zayn, una volta terminata la cerimonia.
Dopodiché, recepii l’occhiolino di Lou, ancora seduto al suo posto, così, rubai di mano il microfono al signor Butterfield.
“Ed io sono orgogliosa di annunciare il prossimo diplomando del corso 2013/2014 – dissi, sorridendo – signore e signori, accogliete calorosamente Louis Tomlinson, che dopo anni di gavetta, ce l’ha fatta!”
Le ragazze esplosero in urla di gioia, ed io roteai gli occhi al cielo, mentre Zayn rideva a crepapelle ed il preside recuperava indispettito il suo microfono, dalle mie mani.
“Ed è così che..” iniziò il preside, ma Zayn fu più veloce di lui, rubando a sua volta il microfono.
“Siamo uomini liberi, ragazzi, ce l’abbiamo fatta!”
E mentre tutti quanti i diplomandi del nostro corso festeggiavano, urlando e ridendo, io ed i miei due amici, posavamo con stupide smorfie per i fotografi ufficiali di quella giornata.
“Godetevi l’estate, ragazzi” ci disse il preside, andandosene.
“Senz’altro, signor Butterfield!” gli urlò Louis, dietro.
Rimanemmo a guardarci per qualche secondo, in silenzio, per poi scoppiare a ridere e vivere, stringendoci in un grande abbraccio di gruppo.
“Vedete di non fare troppe cazzate, a Londra” li ripresi.
I ragazzi sarebbero partiti per l’Inghilterra tra qualche settimana, per cercare fortuna, e, soprattutto, lavoro ed alloggio. Il college non avrebbe fatto per loro, né lì  a New York, né in qualsiasi altro luogo.
“Se solo venissi con noi, Jen” fece Zayn, ancora speranzoso.
“Non posso Zayn, lo sai com’è mio padre, non mi manderebbe con voi neanche dall’altra parte della città”
“Hai diciotto anni, ormai - riprese lui, accendendosi la sigaretta che teneva stretta tra le labbra – dovresti avere la piena facoltà delle tue scelte, no?”
“Quando parli così sembra che neanche lo conosci, mio padre” dissi io, arresa.
“E sarebbe meglio” sussurrò.
“Che cosa?” domandai, spazientita.
“Ragazzi, andiamo, volete davvero litigare il giorno della cerimonia del diploma? – ci chiese retoricamente Louis, e noi non rispondemmo – come pensavo. Allora, che ne dite di andare a fare un po’ di casino a Brooklyn? Potremmo bagnare l’intero quartiere e poi fermarci a Southwark da Joy”
“Da Joy vi ci fermate da soli, drogati che non siete altro” berciai.
Zayn ridacchiò, circondandomi le spalle con il braccio.
“Sei il solito angioletto, non è vero Jenny?”
Odiavo quando mi chiamava “Jenny”, ma riusciva sempre a farmi ridere.
 “Ehi, Jenelle?”
Mi girai subito, udendo quella voce.
“Noi togliamo il disturbo - disse Louis – vieni Malik, andiamo un po’ a rovinare la cerimonia a Butterfield, sono sicuro che sarà contento di averci ancora tra i piedi, nonostante la nostra permanenza qui sia finita”
Zayn spense la sigaretta, scoccandomi poi un bacio sulla guancia, e lasciandomi sola con l’ultimo arrivato.
“Jj! Ce l’abbiamo fatta, eh?” dissi, abbracciando il mio amico di slancio.
“Chi più faticosamente di altri” disse, alludendo a Zayn e Lou.
“E dai, lascia il momento di gloria anche a loro, se lo sono meritato” risposi, divertita.
“Grazie a te, certo, sei stata la loro benedizione”
“Pensala come ti pare”
Lui annuì, per poi cambiare argomento.
“Allora, cosa farai adesso?”
“Combatterò il sistema, e tu?”
Lui rise, e poi fece per rispondere, ma accadde qualcosa che non glielo permise.
“Jj, dannazione, sono arrivato solo adesso – lo interruppe una voce maschile – mi dispiace essermi perso il tuo momento, quel cazzo di furgone va sempre più lento! Maledetto Irwin!”
Lo guardai imprecare, nascosto dietro un paio di Rayban scuri.
“Ehi Luke, l’importante è che tu sia qui” disse Jj, comunque sereno.
“Luke” si tolse i Rayban e scoprì un paio di occhi che nelle mia vita non avevo mai visto. Rimasi a guardarli incantata, per qualche secondo. Dopodiché le sue labbra fini si aprirono in un mezzo sorriso, facendo tintinnare il piercing che le adornava.
Quando il suo iPhone squillò, mi resi conto di quanto dovessi essere sembrata stupida, così scossi la testa, riprendendomi da quel ridicolo stato di trance in cui ero caduta.
“È Ash, ti aspetto là, non ho voglia di parlare con mamma e Kyle – disse, sfilando il telefono dai suoi skinny jeans neri – godiamoci la tua festa oggi, d’accordo?”
Jj gli sorrise, e lui sparì.
“Quello è Luke, il mio fratellastro” mi spiegò.
“Oh” dissi, guardando la sua schiena allontanarsi e le sue mani gesticolare.
“È un tipo particolare, te ne sarai accorta” mi mise al corrente, ridacchiando.
“Solo un po’” scherzai.
“Non è cattivo, al contrario di quello che pensa papà” riflettè ad alta voce.
Così io mi limitai a guardarlo.
“Scusa Jen, non so neanche perché ti sto dicendo queste cose”
“Tranquillo, adesso torna dai tuoi, vorranno festeggiare insieme a te”
“Certo”
Mi sorrise, per poi allontanarsi di qualche passo.
“Jenelle?” ma poi Jj mi richiamò.
“Sì?”
“Vuoi venire con noi? Andiamo al Blue Hill, la tua presenza potrebbe smorzare un po’ di tensione familiare”
Gli sorrisi, ma poi scossi la testa.
“Grazie dell’invito Jj, ma credo che recupererò i due casi persi e tornerò a casa”
Così lui annuì, mi salutò con la mano e si allontanò verso i suoi genitori.
Cercai con lo sguardo una faccia conosciuta, come per esempio Zayn o Louis, ma non trovai nessuno: solo studenti su studenti che allegri e spensierati se ne andavano con le loro numerose e felici famiglie.
Qualcosa che io non avevo.
“Jenelle? Eccoti qui! Ti ho cercata dappertutto!”
Ma finalmente sentii quella voce, rallegrandomi a mia volta.
“Maribel – la strinsi forte in un abbraccio – eccoti qui, ti sei persa me ed i ragazzi sul palco a ritirare il diploma!”
Maribel Diaz era tutto ciò che c’era di buono al mondo: sorrideva sempre, non si abbatteva mai, aveva una buona parola per tutti quanti e profumava sempre di margherite.
Era la mamma che non avevo mai avuto.
“Mi dispiace piccolo fiore, ma non ho potuto fare altrimenti! – si scusò lei, cingendomi la vita – tuo padre e Daniel stasera hanno ospiti a cena”
“Oh” fu il mio articolato commento.
“Non fare così – mi rassicurò lei – adesso io e te ce ne torniamo a casa e festeggiamo per bene questo tuo bel diploma, fai un po’ vedere”
Le porsi il diploma che tenevo stretto tra le mani, e poi il mio sguardo incrociò quello del ragazzo di prima, il fratellastro di Jj Hamblett. Sembrava che stesse litigando con quello che doveva essere il padre di Jj, gesticolava animatamente ed aveva un’espressione corrucciata, fino a che i suoi occhi non incontrarono i miei.
Ma poi lui scostò lo sguardo ed infilò nuovamente i Rayban scuri, ed io fui costretta a riprendermi nuovamente dal solito familiare stato di trance in cui ero già caduta al primo incontro con quegli occhi.
“Jen, ci sei?” mi domandò Maribel.
Scossi la testa, e le sorrisi.
“Sono così fiera di te! – mi abbracciò ancora – avanti, andiamocene a casa adesso”
Già, casa..
Ma quale casa?







 
sounds good feels good 
ciao ragazze!
mi presento, io sono in arte alaskha, in realtà Simona.
questa storia la sto scrivendo da molto molto tempo, ma non ho mai avuto forse il coraggio di pubblicarla.
finalmente mi sono decisa a scrivere sull'amore più grande della mia vita, ovvero Luke.
so che può sembrare strano, idiota, infantile e tutto quello che volete, ma i 5 seconds of summer, seppur lontani, seppur con semplici sorrisi, canzoni, e tutto quello che mi hanno dato, mi hanno aiutata molto in un periodo della mia vita che non considero proprio il migliore, ecco. 
Loro, tutti e quattro insieme, ma soprattutto Luke, e quindi finalmente ce la faccio a scrivere qualcosa su di lui..
beh che dire? qui sotto questo mio monologo vi metto Jenelle, spero che vi piaccia, e che la mia storia vi incuriosisca.
come avete visto sono presenti anche Louis Tomlinson e Zayn Malik, i due migliori amici della protagonista. scusate, ma non ho potuto farne a meno ahahahah. E sì, se ve lo state chiedendo, Jj Hamblett è esattamnete quel Jj Hamblett degli Union J.
in conclusione vi dico che ci tengo davvero molto a questa storia, quindi fatemi sapere cosa ne pensate fiori.
alla prossima, baci grandi.
Simona

p.s: se volete seguirmi su twitter sono @COCOCHVANEL, ricambio tutti ovviamente 


 



 
Image and video hosting by TinyPic


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Big city ***



chapter two

big city

 
Steve Stratford era un avido lavoratore di Wall Street, più precisamente, faceva parte di quella categoria che in borsa chiamavano “speculatori”. Lui era un rialzista, in gergo economico, era un toro, comprava titoli quando le loro quotazioni in borsa erano basse, per poi rivenderle a prezzo più alto e lucrare sulla differenza. Gli piaceva fregare le persone che ne sapevano meno di lui, in due parole. E dato che Steve Stratford era mio padre, lo faceva anche con me, senza curarsi troppo del parere della sua unica figlia femmina.
Aveva provato a costringere mio fratello John ad iscriversi alla facoltà di economia della New York University, ma lui, in tutta risposta, dopo numerose litigate, scenate e promesse mai mantenute, aveva preso la sua roba, baciato me e Jai sulla fronte e se n’era andato a vivere da Sabine, la sua ragazza. 
E se non fosse stato proprio per Jai, me ne sarei andata con lui, cosciente del destino che mi aspettava. Ma non potevo lasciare il mio fratellino di otto anni lì da solo, in quella casa fredda e grigia, priva di amore e vita.
Toccava a me subire l’ira di mio padre, quello che non era riuscito a portare a termine con Johnatan, lo stava continuando con me. Aveva già pronta la mia lettera di raccomandazione per la New York University, ignorando il mio sogno di diventare scrittrice. Perché Steve Stratford conveniva che gli artisti fossero solo dei buoni a nulla e bla, bla, bla.. quanto fiato sprecava a sputare sui miei sogni.
Louis e Zayn mi dicevano di non arrendermi, ed io mi aggrappavo alle loro parole che mi dipingevano come una donna forte, perché dovevo esserlo anche per Jai, non potevo permettermi di farmi vedere triste ed abbattuta da lui. Lui che ancora idealizzava Steve, convinto che il suo papà fosse il migliore di tutti. 
“Jenelle! Sei tornata!”
Il mio fratellino mi corse incontro, arrampicandosi sulle mie spalle.
“Ciao scimmietta, com’è andata a scuola?”
“Benissimo, papà è venuto a prendermi!” cinguettò, felice.
“Che cosa..” dissi, confusa.
“Ciao, tesoro”
Mi voltai, mentre lasciavo delicatamente scendere Jai dalle mie spalle.
“Come mai sei a casa?”
“Non sei contenta?”
“Non lo so, semplicemente non ci sono abituata” ammisi, con un’alzata di spalle.
“Dov’è tuo fratello?” mi chiese, con amarezza.
Ma certo, gl’importava solo di lui, del suo perduto astro nascente di Wall Street.
“John è tornato a Brooklyn, al suo lavoro, alla sua ragazza, alla sua vita”
Lontano da noi.
“Aveva detto che ti avrebbe accompagnato” replicò Steve.
“E l’ha fatto, la cerimonia è stata uno spettacolo – dissi, con un sorriso amaro sulle labbra –io, Zayn e Louis eravamo su di giri, sai? Avresti dovuto vederci, ah no, aspetta, tu non c’eri.. strano, eh?”
“Jen, ti prego, non adesso – si mosse verso il suo ufficio – stasera io e Dan abbiamo ospiti a cena, ti prego di comportarti bene ed indossare un bel vestito”
Si chiuse lì dentro come faceva sempre, ed intorno a me percepii la voce candida di Jai e quella allegra di Maribel, l’odore di giornale, caffè solubile, e tanta, tanta solitudine.
Scossi la testa, per poi ricevere un messaggio.
Portai l’iPhone alla portata dello sguardo.
“Ho un regalo per te, amore”.
Il messaggio era di Daniel, il mio fidanzato, e non dico fidanzato tanto per dire, eravamo “promessi sposi”, come si suol dire. Lo avevo conosciuto per caso, a Times Square, eravamo entrambi in cerca di un Taxi, nell’affollata metropoli americana, nell’ora di punta. Quando lui, da bravo gentleman, , mi aveva ceduto il suo posto, ero letteralmente caduta ai suoi piedi come una povera stupida quattordicenne alle prese con la sua prima cotta.
Daniel Crawford mi piaceva, era un gran bel ragazzo: faccia pulita, sorriso smagliante e sguardo di uno che la sa lunga. Certo, mi piaceva prima che diventasse un altro schiavo della borsa e, ancora peggio, il protetto di mio padre. Aveva venduto la sua anima al diavolo e Steve era stato più che felice di accoglierlo sotto la sua ala protettrice: papà amava Dan, forse anche più di me. Era il suo più grande orgoglio, “La promessa di Wall Street”, lo stagista più talentuoso che la sede della borsa americana avesse mai visto.
Fosse stato per mio padre, avrebbe anche potuto scrivere un sonetto di elogi, al mio ragazzo.
Un altro messaggio.
“Amore, il tuo regalo è fuori dalla porta”.
Riposi l’iPhone nella tasca dei jeans, dirigendomi verso la porta d’ingresso del nostro attico in zona Wall Street, ovviamente.
Mi trovai davanti Dan, con un mazzo di fiori in mano a coprirgli la faccia ed un sacchetto che teneva nella mano destra, con difficoltà.
“Ciao, amore, mi fai entrare?”
Mi spostai, per permettergli di mettere piede in casa mia, dopodiché chiusi la porta dietro di lui.
“Jen, chi è?” mi domandò Maribel, dalla cucina, intenta ad aiutare Jai con i compiti.
“È Daniel - la avvisai, dopodiché tornai da lui – che hai in quel sacchetto?”
“È il tuo regalo, Jen, aprilo”
Mi consegnò quel pacco tra le mani, con un sorriso sulla faccia e lo sguardo sognante.
“Devi avermi regalato il cuore dell’oceano, per essere così felice e pieno di aspettative”
“Tu aprilo”
E così feci: all’interno del sacchetto immacolato trovai una scatola nera.
“Chanel..” sussurrai, a mezza bocca.
Ancora, pensai poi dentro di me.
Aprii quella scatola, accarezzando poi il tessuto del contenuto con le dita.
“È di seta, quella pregiata, arriva direttamente dall’Asia” m’informò, compiaciuto.
“E lo sai perché sei andato personalmente ad assicurartene, Dan?”
Il vestito era indubbiamente bello: blu a pois bianchi, da brava signorina diligente, esattamente quello che volevano loro da me.
“Che hai, Jen? Non ti piace?” mi chiese lui, trafficando con il suo iPhone (regalo di papà).
“No, solo.. – lo feci aderire al mio corpo – è proprio lo stile di mio padre, se non la trovassi una cosa troppo stomachevole ed estremamente sbagliata, mi verrebbe quasi da pensare che siate andati insieme, da Chanel”
“Oh, no – mi rassicurò lui – nessuno di noi è andato da Chanel, ci ha pensato Maribel”
“Oh” fu il mio arguto commento.
“Allora, che ne pensi?”
“Penso che un mazzo di fiori ed un bel vestito neanche comprato da te, non ripaghino il fatto che tu oggi non c’eri”
“Oggi?” domandò, spaesato.
“Dan! – sbottai – mi sono diplomata, oggi! Hai presente? Toga, cappello imbarazzante ed un foglio di carta che certifica la mia liberta, dannazione, ma chi sei tu e che ne hai fatto del mio ragazzo?”
“Amore, adesso calmati – disse lui, sempre con il suo maledetto iPhone in mano – fatti bella ed indossa questo vestito, credo sia perfetto per stasera”
“Vuoi spiegarmi chi diavolo abbiamo a cena, stasera?”
“Amici”
“Di Wall Street?”
“Solo gente che conta, amore mio”
“Ma certo” valutai, ironica.
Dovevo uscire di lì, se alla cena di quella sera non volevo rovesciare lo champagne sui pantaloni eleganti di ogni invitato e bruciare tutti gli Chanel che avevo relegato nel mio armadio.
“Dove vai?” mi chiese, guardandomi raccattare il mio cappello buttato sul divano e la mia borsa.
“A farmi un giro”
“Gli ospiti arriveranno alle nove in punto”
Roteai gli occhi al cielo, fingendo poi un sorriso.
“Ci sarò, d’accordo”
Lui annuì.
“Ti amo”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Fingere.
Ruotava tutto intorno a quell’azione, la mia vita.
Scossi la testa per scacciare quei pensieri, d'altronde quello era il giorno del mio diploma, avevo come tutti il diritto di spassarmela un po’. Così decisi di chiamare la coppia di festaioli più spassionati che gli interi Stati Uniti avessero da offrire.
“Ehi, Zayn – dissi – dove siete tu e Lou?”
Sentii Zayn aspirare, a cui seguì una leggera tosse.
“Ciao bimba – mi rispose – siamo da Joy”
“Fantastico, ed io che avevo bisogno di staccare dalla mia vita fatta di gente che si eccita quando le quotazioni in borsa salgono del 10 %”
“Buona questa – rise Zayn – finiamo qui e ti raggiungiamo, ti sento un po’ giù, e sai che non posso permettere che la mia bimba sia triste nel suo grande giorno”
“Prima delle nove, Zayn” gli raccomandai.
“Ci saremo, tu vedi di non suicidarti sotto un taxi, nel frattempo”
“E voi vedete di non morire, che se no siamo tutti fottuti, qui”
Chiusi la telefonata, buttando l’iPhone in borsa e passando da quello che era il mio negozio preferito. Non aveva un nome, ma io lo chiamavo paradiso: musica, dischi, libri ed anche un grande spazio ristoro, con il bar e tutto il resto, dove mi piaceva osservare la gente.
Mi diressi immediatamente al reparto letteratura inglese, cercando il mio classico preferito: Romeo e Giulietta. Shakespeare per me rimaneva il migliore in assoluto. Afferrai il piccolo libro e feci per dirigermi verso il mio solito tavolo, dove ormai, il barista, Chace, mi conosceva.
Ma alle mie orecchie arrivò una melodia, qualcuno stava suonando una chitarra, non conoscevo quegli accordi, non era una canzone che avevo già sentito da qualche parte.
Mi voltai, e con grande sorpresa, trovai quel paio di occhi azzurri di qualche ora fa, alla cerimonia del diploma. Il fratellastro di Jj, la pecora nera della famiglia Hamblett, sedeva su di uno sgabello alto, con una chitarra poggiata sulle ginocchia, fasciate da skinny jeans neri.
Rimasi a guardare le sue dita muoversi dolcemente sulle corde, e quando alzò la testa, desiderai morire.
Che cretina, me lo avevano insegnato a quattro anni che la gente non si fissa.
“Io ti ho già vista” sostenne.
Aveva una voce insolita, non saprei come catalogarla: né troppo roca e profonda, né troppo allegra o alta. Una voce giusta.
Ma che diavolo è una voce giusta?
“Probabilmente no, New York è grande, è facile sbagliarsi”
Cercai di tagliare corto, ma lui posò la chitarra a terra e mi seguì, verso il bar.
“No, sono sicuro di averti già vista” continuò.
Mi voltai verso di lui, che se ne stava lì di fronte a me, con una canottiera bianca e dei polsini discutibili alle braccia.
“Da che razza di band rock sei uscito, tu?” gli chiesi, senza pensare.
“Tu sei Jenelle Stratford! Ma certo! Come ho fatto a dimenticarmi di te?”
Come sapeva il mio nome?
“Chi ti ha detto il mio nome?”
“Mio fratello è cotto di te”
Cosa?
“Cosa? - diedi voce ai miei pensieri, stridula – cioè, volevo dire.. cosa?”
Non potei fare a meno di ripetermi, quella notizia mi aveva colta troppo di sorpresa. Probabilmente bluffava, ce l’aveva la faccia di un bugiardo, quello lì.
Lo vidi avvicinarsi a me e sentii le sue labbra posarsi sul mio orecchio.
Un contatto davvero molto azzardato, per i brividi sulla mia pelle.
“Amplia il vocabolario, piccola Stratford”
Vidi la sua schiena allontanarsi.
Mi lasciava così? Sedotta ed abbandonata?
“Aspetta..”
Lui si voltò nuovamente, con un mezzo sorriso ad increspargli le labbra.
“Ti piace leggere?” buttai lì.
Lui scosse la testa, contrariato.
“E allora perché sei qui?”
“Musica” rispose, semplicemente.
“Beh certo, suoni la chitarra”
“Sai già tante cose su di me, tu?”
“Prima stavi suonando la chitarra, io non so niente di te, neanche il tuo nome”
Bugia.
“Scommetto che te lo ricordi”
“Forse inizia per M o per L..”
Bluffai anche io, perché ero convinta che lo stesse facendo lui per primo.
“Sono Luke – si presentò - e no, se te lo stai chiedendo, non faccio Hamblett di cognome”
“E come allora?”
“Sono Luke Hemmings – ripetè – ma non mi va di parlare dell’albero genealogico della mia grande e bella famigliola felice” era ironico, e per me era davvero troppo.
“Io sono Jenelle – era stupido presentarsi, ma che avrei dovuto fare? – ma adesso devo andare, sono tremendamente in ritardo”
Ma in ritardo per cosa?
Cercai comunque di divincolarmi da lui, non so quale strano potere stesse esercitando su di me.
“No, aspetta – fui lui a fermarmi, quella volta – non ti va un caffè?”
 “Io non bevo caffè”
“Sei davvero newyorkese o bluffi? Non mi piace la gente che bluffa”
Avevamo usato lo stesso verbo, quindi probabilmente Luke Hemmings non era un bugiardo bluffatore.
“Sono newyorkese e non bluffo, semplicemente non mi piace il caffè ed io e te non ci dobbiamo piacere, non dobbiamo neanche mai più rivederci, quindi non importa”
“Giusto”
Rimanemmo a guardarci per qualche istante.
Istanti nei quali lui non si tolse mai dalle labbra quel sorrisino sfacciato.
“Quindi?” mi riscosse lui, dal mio stato pietoso di trance.
“Quindi addio, Luke Hemmings”
“Mi dici addio perché New York è grande ed è facile sbagliarsi?”
Annuii.
“Esatto”
“Speriamo non sia così grande come dicono, allora”.
 
 
 
 
 
 
 
 
“Zayn posso sapere dove diavolo siete? Avevo detto prima delle nove e sono le otto e quarantasei minuti! Mi dici che faccio io in quattordici minuti? Vi odio!”
Sbottai, al telefono, carica di adrenalina. Non sapevo esattamente cosa fosse, ma ero sicura non si trattasse dell’imminente cena con gli agenti di borsa di mio padre e del mio fidanzato.
Il fatto era che non riuscivo a non pensare a qualcosa che non fosse il mio incontro con il fratello di Hamblett. Aveva quei due occhi così azzurri e quel sorriso così tanto irritante quanto accattivante. Era impossibile dimenticarsi del sex appeal di quel tipo, era così affascinante che probabilmente l’immagine di lui che gioca con il suo piercing mentre pronuncia il suo nome per presentarsi a me, me la porterò nella tomba.
“Jen, tu hai bisogno di calmarti” disse Zayn, in tutta tranquillità.
“Certo! È per questo che mi servite voi!”
“Vuoi convertirti alla cannabis? Lo sai che c’è sempre spazio per te, bimba”
“Non sono così disperata, Zayn”
“Se lo dici tu”
Sbuffai.
“Dove siete?”
“Girati”
Detto fatto, li trovai dietro di me, entrambi con una sigaretta stretta tra le labbra e le mani in tasca. Zayn portava uno snapback rosso, al contrario, e Louis una canottiera nera. Erano belli, come il diavolo li aveva fatti.
“Siete sulla mia lista nera” li informai, camminando verso di loro.
“Scusa piccola – mi disse Lou, baciandomi la guancia – adesso però siamo qui, vuoi dirci che succede? Hai picchiato qualcuno? Dan per caso? Ti avevo detto che avrei voluto farlo io, per primo”
“No Lou, non ho picchiato nessuno e smettila di fare pensieri violenti sul mio ragazzo”
“Scusa” fece poi lui, alzando le mani in segno di resa.
“Allora, vuoi parlarne insieme a noi?” intervenne Zayn.
“Adesso non ho tempo, mio padre si arrabbierà così tanto che Londra finirò davvero per vederla solo sulla cartina geografica, se non arrivo in tempo a quella dannatissima cena”
“Per farlo incazzare davvero, dovresti portarci a questa dannatissima cena” mi citò testualmente, spegnendo la sigaretta sotto la sua Nike.
Pensai a quello che aveva detto e valutai seriamente l’idea di portarli a casa con me, e Lou se ne accorse.
“Non pensarci neanche, Jen”.
 
 
 
 


 
sounds good feels good 
ciao ragazze!
sono tornata con il secondo capitolo.
allora, intanto ringrazio tutte le ragazze a cui è piaciuto anche solo il primo capitolo e che mi hanno fatto i complimenti, grazie un sacco di tutto.
vi dirò che sono molto insicura su questa storia, perchè è la prima volta che scrivo qualcosa su Luke e boh, non so.. ho bisogno di voi, che mi diciate se sto facendo bene o se sta venendo una merda.
comunque sia, vi ho presentato meglio la situazione: il padre ed il fidanzato di Jenelle, il fratellino Jai ed il rapporto della protagonista con questi personaggi super importanti, soprattutto Steve e Jai.
dopodichè compare ancora Luke, che sì, c'è ancora molto poco ma già dal prossimo capitolo sarà più presente e si capirà sempre di più il suo personaggio.
per il resto nulla, fatemi sapere cosa ne pensate di questo continuo.
vi amo, grandi baci, Simona.
 



Image and video hosting by TinyPic Image and video hosting by TinyPic Image and video hosting by TinyPic


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Don't stop ***




 


quando trovate l'asterisco ascoltate "Don't stop" dei 5 seconds of summer



 
chapter three

don't stop

 

Sistemai un’ultima volta la cravatta a Louis, dopodiché stirai con le mani la sua giacca e feci per avvicinarmi a Zayn e fare lo stesso, ma lui si scostò.
“Non ci provare” ringhiò.
Sbuffai e roteai gli occhi al cielo, per poi suonare il campanello di casa mia ed aspettarmi la faccia sorridente di Maribel.
E infatti.
“Jenelle, eccoti qui! – ma cambiò subito espressione quando vide i ragazzi – hai portato Zayn e Louis? Ma sei impazzita?”
Maribel andava pazza per i miei due migliori amici, ma conosceva le regole di casa: mai portare Zayn e Louis all’interno del nostro poderoso attico.
Peccato che le stessi per infrangere.
“Lascia fare a me, Maribel”
“Tu sei fuori di testa, piccolo fiore”
Entrammo in casa e gli occhi dei presenti si focalizzarono subito su di noi, così Louis si schiarì la voce.
“Salve” azzardò.
“Amore – disse Dan – sei qui finalmente, ed hai portato Zayn e Louis, che bello”
Falsità portami via.
“Sì, ho pensato che avremmo potuto festeggiare tutti insieme, dato che oggi è il giorno del nostro diploma! Giusto papà?”
Steve stirò un sorriso, che comunque non bastò a mutare la sua espressione amareggiata.
“Certo, tesoro - si sforzò di dire – posso parlarti in privato?”
Annuii.
“Ragazzi, voi fate conversazione”
“Certo, siamo solo nella tana degli squali” sussurrò Zayn.
“Da quando qualche idiota in giacca e cravatta ti intimidisce?”
“Va’ al diavolo” mimò con le labbra, mentre io mi allontanavo con mio padre sulla terrazza.
Riuscivamo chiaramente ad ammirare la sede di Wall Street, da lì, ed era per questo che quello era il luogo preferito della casa di mio padre.
“Dov’è Jai?” gli chiesi, per prima.
“Non è importante, adesso”
“Tuo figlio non è importante?”
“Jenelle, sai cosa intendo”
“No, non lo so mai, Steve”
“Sai che non mi va che mi chiami così”
“Tranquillo, non ci sente nessuno qui, non la rovini la tua stupida sceneggiata della famiglia felice”
Papà sospirò, arreso.
“Perché diavolo hai portato qui quei due?”
“Perché oggi è il mio giorno papà, e non avevo voglia di passarlo con dei vecchi, noiosi ed arroganti agenti di borsa”
“E quindi preferisci passarlo con due tossicomani senza futuro?”
“Sono i miei migliori amici, papà”
“Non mi va che frequenti gente del genere – mi disse, duro – lo sai che figura fai fare a me e Daniel, in questo modo?”
Non dissi nulla, sapeva pensare solo all’apparenza, non gl’importava nulla di me.
“Va’ a cambiarti, per l’amor di Dio, sembri una profuga conciata in questo modo”
Filai nella mia camera, facendo un cenno con il capo a Zayn e Louis, che mi seguirono. Gli ospiti di papà e Dan ci guardarono straniti, così io feci loro un occhiolino.
“Promettiamo di essere silenziosi”
Loro ci guardarono sbigottiti, mentre Zayn ridacchiava.
Lo sguardo di Dan fu quello più allucinato.
“Scherzavo, amore”
“La mia ragazza è sempre così divertente, non si stanca mai!” disse poi Daniel sorridendo e prendendo un sorso del suo vino rosso, per sorvolare su quello che lui avrebbe chiamato “inconveniente”.
Chiusi a chiave la porta della mia camera, togliendomi velocemente la maglietta, mentre Zayn e Louis si accomodavano uno sul letto e l’altro per terra.
“Qui possiamo parlare”
“Sono simpatici, sai?” fece Louis.
“Stai scherzando, spero” dissi, lasciando scivolare i miei jeans sul pavimento.
“Ora so cos’è il “borsino” e qual è il mio posto nella società, figo no?”
Zayn scosse la testa, ed io ridacchiai.
“Sei sexy – mi disse poi Zayn – hai intenzione di uscire da qui così? In reggiseno e mutande? Non credo che Daniel reggerebbe anche questo sgarro”
“Non essere stupido – risposi, infilandomi il mio nuovo vestito – questo qui, è il regalo per il diploma da parte del mio fidanzato” spiegai loro.
“Fammi indovinare, un nuovo Chanel?” chiese Lou.
“Ah – ah” assentii io, pettinandomi velocemente i lunghi capelli allo specchio.
“Ormai li riconosco dalle cuciture”
Io e Zayn ci voltammo straniti verso di lui.
“Amico, mi sei diventato finocchio, per caso?”
“Attento Tomlinson, mio padre già fatica a sopportarvi così, figurarsi se foste pure omosessuali, sarebbe un sacrilegio per lui”
Mi passai l’ultima spennellata di mascara, mentre Zayn mi guardava incantato.
“Ne vuoi un po’?” gli chiesi, divertita.
“Stronza” berciò lui.
“Si può sapere che diavolo hai, Jen?” mi chiese poi, Louis.
“Okay – mi sedetti sul letto, accanto a Zayn, guardandoli entrambi negli occhi – vi devo raccontare una cosa”
“Sei incinta?” mi chiese Lou.
“Non sono stato io - si affrettò a dire Zayn – o forse sì?”
“Che cretino che sei! -  lo picchiai, poi Louis si mise in mezzo – se ve lo dico, promettete di non ridere?”
“Prometto solennemente, bimba -  scherzò Zayn, così io lo guardai male – no dai, davvero, puoi parlarci di tutto e lo sai”
“Oggi alla cerimonia del diploma ho conosciuto il fratellastro di Jj Hamblett”
“Ma poi si è più dichiarato?” chiese Louis.
“Ah già, a quando le nozze?” gli diede man forte Zayn.
“Va bene basta, non vi racconto più niente”
“E dai bimba, sai che scherziamo” mi fermò Zayn.
Sbuffai.
“E quando oggi sono andata al paradiso, indovinate un po’, chi ci ho incontrato?”
“Gesù Cristo?” fece Zayn.
Louis scoppiò a ridere, ed io lo presi a schiaffi sulla spalla.
“No, idiota – lo ripresi – Luke, che poi sarebbe il fratello di Hamblett”
“E..?” mi esortò Lou.
“E, non so, aveva questi occhi azzurri ed uno charme pazzesco, ho paura di non riuscire più a dimenticarmi di quegli occhi, capite?”
Zayn e Louis si guardarono per qualche istante, in silenzio, dopodiché scoppiarono a ridere.
“Avevate promesso! Vi odio!”
“La nostra piccolina si è presa una cotta, ma non mi dire” disse Lou.
“E come si fa con il fidanzato?” domandò Zayn.
“Ma non si fa nulla con il fidanzato, probabilmente non rivedrò mai più Luke, e questo non è altro che un bene”
“Sei troppo dura con te stessa” mi fece presente Louis.
“Dovrò sposarmi con Dan un giorno, Lou, e tu lo sai bene”
Seguirono alcuni secondi di silenzio, dopodiché Zayn pensò bene di fare il coglione.
“Che poi io ancora non ho capito cosa cazzo è, questo borsino”.
 
 
 
 
“Maribel, posso farti una domanda?”
Maribel stava piegando i vestiti, mentre io me ne stavo sul divano, con un libro di Oscar Wilde sulle ginocchia.
“Dimmi piccolo fiore”
“Dici che papà mi odia tanto, dopo quello che ho fatto alla sua cena?”
“Lui non ti odia affatto, piccolo fiore, non l’ha mai fatto”
“So che a lui non piacciono Zayn e Louis, ma non volevo passare il giorno del mio diploma in compagnia dei suoi uomini della borsa”
Maribel sorrise.
“Jen, lo sai com’è tuo padre, non ha tempo di arrabbiarsi con te”
“Già, non ha neanche quello”
Sospirai, chiudendo il libro.
“Non fare così piccolo fiore, lui ti vuole bene”
“Certo, come no”
Dopodiché sentimmo i passi pesanti della corsa di Jai, che si buttò addosso a me, sul divano.
“Jen! Andiamo ai giardinetti?”
“Hai finito i tuoi compiti?” gli chiesi, con un sorriso sornione.
Non riuscivo ad essere troppo dura con Jai, era la mia gioia quel bambino.
“Sì”
“Non dire bugie”
Lo riconoscevo bene il suo sguardo, quando mentiva.
“Ma c’è il sole fuori!” si ribellò lui.
“Ehi Jai – mi misi a gambe incrociate, facendolo sedere su di me – ma tu la conosci quella regola del ghiacciolo bonus?”
“Ghiacciolo bonus? – domandò lui, curioso – e che regola è?”
“Quando i bravi bambini finiscono i loro compiti, poi ricevono un ghiacciolo bonus” inventai, di sana pianta.
“Davvero? Anche alla menta?”
“Solo alla menta! Che domande!”
“Corro a fare i compiti!”
Lo guardai correre verso la sua camera, ridendo insieme a Maribel.
“Però, ci sai proprio fare eh?” mi disse, compiaciuta.
“Ho imparato dalla migliore, no?” dissi, alludendo a lei.
Dopodiché il mio iPhone prese a vibrare come impazzito, ed io, rispondendo alla chiamata di mio fratello, mi sdraiai sul divano.
“Ehi John, come va dalle parti di Brooklyn? Chi ha incendiato cosa?”
“Ehi sorellina – mi salutò – l’hai combinata grossa stavolta, eh?”
“A quanto pare”
“Resti la preferita di papà”
Scoppiai a ridere, di fronte a quella sua affermazione.
“Non farmi morire, John, lo sai che rido facilmente quando sento le stronzate”
“Come ti pare – mi liquidò – allora, come sta Jai?”
“Sta facendo i compiti, gli ho promesso un ghiacciolo bonus”
“Che diavolo è un ghiacciolo bonus?”
“Storia lunga”
E Daniel? Tutto bene a Wall Street?”
“Intendi la storia d’amore tra lui e papà? – chiesi retorica – oh, tutto a meraviglia, convoleranno a nozze questo agosto”
Sentii la risata di mio fratello, dall’altro capo del telefono.
“Come sta papà?”
“Al solito – risposi, sospirando – vive in ufficio o a Wall Street, ogni tanto va a prendere Jai a scuola con la limousine, così da non alimentare le fantasie del piccolo”
“Te l’ha detto ancora?”
“Ieri, dopo la cena  -spiegai – si è svegliato nel cuore della notte ed è sgattaiolato in camera mia, piangendo”
“Mi dispiace tanto non essere lì con voi, Jen – mi disse, sinceramente preoccupato – ma lo sai, quando ne sentirai la necessità, prendi Jai e correte qui, io e Sabine saremo più che felici di ospitarvi”
“Grazie, John, ma credo di essere abbastanza forte per entrambi”
“Questo lo so, sorellina”
Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, mentre Maribel mi guardava, sorridente.
“Allora – riprese poi lui – cosa stavi facendo di emozionante?”
“Leggevo Oscar Wilde”
“Jen, tu hai bisogno di uscire da quella prigione – mi consigliò – prendi la borsa e vai a fare due passi”
“Ma che vuoi? Ho diciotto anni, sono libera di fare l’asociale quanto mi pare” mi difesi.
“Appunto perché hai diciotto anni non puoi fare l’asociale – ribattè – stai sempre a casa a leggere o in quel posto per nerd, e quando esci, sei con quei due scalmanati di Zayn e Louis”
“John, smettila di preoccuparti per me, so badare a me stessa”
“Per esempio – cominciò – oggi è sabato, che farai stasera?”
“Ero indecisa tra Jane Austen e Thomas Gray, tu cosa mi consigli?” scherzai.
“Sei senza speranze, sorellina”
“E tu troppo apprensivo, fratellino”
“Come ti pare – concluse poi lui – adesso ti lascio, io che ho una vita, stasera vado al cinema con Sabine”
“Strafogatevi di pop – corn al caramello anche per me!”
“Senz’altro, ciao Jen”
“Ciao, John”
Neanche il tempo di chiudere la telefonata con Johnatan, che il telefono iniziò nuovamente a vibrare, con un nuovo nome sullo schermo.
“Ciao Zayn”
“Ciao bimba, preparati alla notizia bomba”
“Avete incendiato l’Empire State Building? Io non ve la do una mano ad uscire di prigione, scordatelo”
Perché ero fissata con gli incendi?
“Non dire cazzate, bimba – mi zittì – stasera, io, te, Provocateur, non accetto un no come risposta”
“Provocateur? Ma sta a Meatpacking! – chiesi, allibita – sei impazzito? È un posto per celebrità, quello”
“Tu sei Jenelle niente di meno che Stratford, bimba”
“Piantala, io non ci vengo”
“Ma non hai ancora sentito la notiziona”
“Se non me la dici, no”
“Louis farà la sua prima serata”
“Che cosa? Dobbiamo festeggiare!”
“Appunto – confermò – metti il vestito più corto che hai, possibilmente non Chanel, scorreranno fiumi di alcool stasera, bimba”
“Tu sei pazzo”
“Certo, di te”
Scoppiai a ridere, dopodiché lui mi mandò un bacio e chiuse la telefonata.
“Maribel?”
“Sì, piccolo fiore?”
“Ce l’hai un vestito da prestarmi?”.
 
 
 
 
 
Non credevo che Maribel avesse vestiti davvero così corti. Mi sentivo una prostituta minorenne, ed io avevo diciotto anni. Mi guardai nella portiera della macchina nera di Zayn, lucidata per l’occasione.
“Ti sta bene il verde, bimba”
Zayn si passò una mano tra i capelli, spettinati come al solito, e distrattamente mi posò una mano sul fianco, ancorandomi a lui, per trascinarmi all’entrata del locale.
Tentai invano di allungare un po’ quel dannato vestito, abbassandone i lembi con le mani.
“Smettila di dimenarti, non le fanno entrare le psicotiche, qua – mi riprese – quindi cerca di nascondere la tua natura, almeno per stasera”
Gli feci il verso, sistemandomi la treccia laterale che avevo fatto per l’occasione.  Dopodiché ci si avvicinarono due uomini enormi, davvero grossi. Vestivano entrambi di nero, erano dei perfetti buttafuori, come quelli dei film: auricolare, occhiali da sole in piena notte, braccia conserte ed espressione incazzosa.
“Siete con qualcuno?”
“Con il Dj” disse Zayn, tranquillo, incastrandosi una sigaretta tra le labbra, mentre mi stringeva sempre più forte.
“Zayn, così non respiro, mi molli o no?”
Lui non mi guardò neanche, fece come se non avessi neanche parlato.
“Nominativi” continuò poi il buttafuori.
“Zayn Malik e Jenelle Stratford” rispose il mio amico.
“Quello Stratford? Di Steve Stratford?” domandò sorpreso l’omone.
“Esatto amico, questa bella donzella è la figlia di Steve Stratford, ci fai passare adesso?” fece ancora Zayn, compiaciuto e sicuro di sé.
Io roteai gli occhi al cielo, disgustata.
“Certo, ragazzi – big man si spostò dall’entrata – divertitevi”
Una volta dentro, mi allontanai bruscamente da Zayn, tirandogli poi uno schiaffo sul petto.
“Che ti ho fatto, Jen? – domandò, stranito ma non preoccupato – stai diventando troppo manesca, tu hai bisogno di tranquillanti, bimba”
“La prossima volta che vorrai usarmi, sei pregato di avvisarmi” sbottai.
“Io non ti ho usata, ci avrebbe fatto entrare comunque” ribattè, duro.
“E allora perché hai dovuto dare anche il mio, di nominativo? – chiesi, vicina a lui – mi avrebbero fatta entrare solo perché sono con te”
“O perché ti si vede anche l’intestino”
“Sei stato tu a dirmi di mettere il vestito più corto che avessi”
“Non credevo l’avessi fatto veramente”
Rimasi in silenzio, odiavo Zayn quando s’intestardiva e faceva quell’espressione da vittima cronica.
“Smettila di fare il padre protettivo, non m’importa se non ne ho uno, non ne ho bisogno”
“Jen, mi preoccupo per te, d’accordo? – disse poi, passandosi nervosamente una mano tra i capelli – non provare ad allontanarti da me neanche per un secondo, stasera, non girano pochi pervertiti, qui dentro”
Stavo per mandarlo volgarmente a quel paese, quando, per fortuna, Louis ci salvò dall’imminente tragedia.
“Ehi, ragazzi – esplose, circondando le spalle di entrambi con le sue braccia tatuate – siete arrivati finalmente, il locale è già pieno!”
“Già, dillo a Malik, ci ha messo otto giorni solo per sistemarsi i capelli – dissi, indispettita – ed il risultato è sempre lo stesso: barbone classe A”
Zayn stava per rispondermi, ma Louis s’intromise nuovamente.
“Ho capito l’aria che tira – disse – forse è meglio se andiamo a prenderci da bere”
Zayn era sempre stato così con me, iper protettivo ed apprensivo fino alla luna. Si preoccupava troppo, così finivamo sempre per litigare.
“Spera solo che nessuno le offra da bere, Tomlinson”
Risi, a quelle parole di Zayn, che in teoria io non avrei dovuto sentire. Mi osservai le mani, anche un po’ compiaciuta, fino a che il barman non arrivò da noi.
“Ehi, piccola – fece a me – che ti offro?”
“Una coca – cola, grazie” dissi io.
“Ma come? – chiese, sorpreso – solo una coca – cola? Ti voglio bella carica per quando stacco, e fino alle quattro ne abbiamo di tempo”
Sentii Zayn affianco a me irrigidirsi, e mi aspettai di sentire la sua voce dirgliene quattro. Così mi preparai a prendere la mia roba ed alzare i tacchi da quel posto, insieme a Louis che teneva Zayn per le braccia, impedendogli di prendere a pugni quel tipo che ci stava palesemente provando con me.
“Credo che una coca – cola vada più che bene, grazie, prego, addio”
Ma accadde qualcos’altro.
Quella non era la voce di Zayn e neanche di Louis, ma la conoscevo, l’avevo già sentita, non mi era affatto nuova. E quella sua risposta funzionò, dato che il barman tornò al suo posto, probabilmente per darmi quella famosa coca – cola.
“Il clichè del barista non delude mai”
Mi voltai e, come sospettato, trovai il ragazzo del paradiso: il fratello di Jj Hamblett, quello per cui Zayn e Louis mi avevano tanto preso in giro, quello a cui avevo pensato nelle ultime ore.
“Un po’ come quello del chitarrista, che ci fai qui?”
Si guardò intorno, mentre io guardavo lui.
Portava una maglia a tre quarti nera, e mi domandai come diavolo facesse a non morire di caldo, in quella ressa di gente ubriaca fradicia e sudata da far schifo. Notai qualche buco all’altezza del collo, probabilmente gli Hamblett avevano un cane in casa e lui non sapeva cucire. Ed avevo già notato quanto le sue gambe fossero belle, fasciate da un paio di skinny jeans neri.
“Tu che dici? – domandò retoricamente poi, riscuotendomi dai pensieri – sono qui con i miei amici, è sabato sera, ci divertiamo”
“Giusto”
“E tu, invece? – chiese poi, mordendosi il labbro – non mi eri sembrata tanto tipo da posti come questo, oggi”
Risi leggermente.
“Infatti no – ammisi – anche io sono qui con i miei amici” mi voltai, indicando i ragazzi che ci stavano fissando.
Zayn e Louis si avvicinarono a me ed al fratello di Hamblett.
“Sono Louis” si presentò, con un sorriso.
“Luke” fece poi lui.
“Ed io sono Zayn Malik – si mise in mezzo, ed io roteai gli occhi al cielo – tu saresti?”
“Lui è Luke, non ci senti, Zayn?” m’intromisi io.
“Ah – si ricordò - sei il fratello di Hamblett, quello di cui ci parlavi l’altro giorno?” chiese poi, rivolto a me, con quel suo sorriso da stronzo cronico.
Mi portai una mano alla fronte, mentre Louis ridacchiava sommessamente.
“Io ti odio” dissi a Zayn tra i denti, in modo che non mi sentisse nessun altro.
“Questo tipo deve scollarsi da te, non mi piace” sussurrò.
“Strano”
“Io torno dai miei amici – disse poi Luke – divertitevi”
E rimanemmo noi tre.
“Io – pugno sulla spalla di Zayn – ti – altro pugno sulla spalla di Zayn – ammazzo!”
“Datti una calmata, Jen – disse, massaggiandosi la spalla – l’ho fatto per te, si vede lontano un miglio che non è un tipo raccomandabile”
“Perché, tu sì?” domandai, tagliente.
“Ragazzi, se vi lascio due minuti, mi promettete che nessuno chiamerà il 911 a causa vostra, qui dentro?” disse poi Louis.
“Dio, scusa Lou, ci siamo completamente dimenticati di darti l’in bocca al lupo!” mi ricordai poi io.
“Tranquilla piccola, sai che odio queste cose - disse, sorridendo – ora tocca a me”
“Ci vediamo dopo”
Lo abbracciai di slancio, e mentre Lou si dirigeva alla console, io rimanevo da sola con Zayn, che sorseggiava tranquillo il suo Cuba Libre.
“Che hai da guardare, bimba?”
“Cerco di frenare la voglia infinita che ho di spaccarti la faccia” dissi, incrociando le braccia al petto.
“Sei proprio una bambina – disse, ridendo – faccio bene a preoccuparmi così tanto per te”
“Va’ al diavolo”
Zayn buttò giù tutto d’un sorso il suo drink, per poi circondarmi le spalle con un braccio ed avvicinare le sue labbra al mio orecchio.
“Vado a procurarmi un po’ di roba, prometti di restare qui buona buona sul divanetto? – poi guardò dietro di sé - mi fido di questi due limonatori” disse, alludendo ai due ragazzi di fianco a noi.
“Vai un po’ dove ti pare, Zayn”
“A dopo, bimba”
Mi lasciò un bacio sulla guancia, ed io rimasi da sola. Sorrisi a Louis, che finalmente realizzava il suo sogno di diventare un Dj. Era molto bravo, e non lo dico perché era uno dei miei due migliori amici.
*“Ehi bellissima, posso dirti una cosa?”
Mi voltai, quando sentii quelle parole.
“Ma cos..?”
Un ragazzo sulla ventina, palesemente ubriaco, mi stava di fronte, e quando tentai di parlare, posò un dito sulla mia bocca, impedendomelo.
“Adoro come ti sta questo vestito – piccola pausa – ma credo che starebbe decisamente meglio sul pavimento accanto al mio letto”
Quando mi si avvicinò, iniziai a desiderare Zayn lì con me.
“Scontato – ma qualcuno s’intromise prima che le mani di quel tizio potessero essere davvero, sotto il mio vestito – ed anche molto patetico, amico”
“E tu chi diavolo sei?” fece quel tipo.
“Quello che ti prenderà a calci, se non te ne vai subito”
L’ubriacone sbuffò e girò i tacchi, intimidito dalla presenza del mio eroe, che era sempre lui, da qualche giorno a questa parte.
“Grazie” sussurrai.
“No, non ringraziarmi – disse poi lui – i tuoi amici ti proteggono dalle persone sbagliate”
Annuii, facendo poi per raggiungere Louis, ancora alla console.
“Aspetta – ma la sua mano afferrò il mio polso, fermandomi – sei sicura di star bene?”
La sua mano a contatto con la mia pelle.
I suoi occhi nei miei.
L’oceano sporcato dalla cenere.
“Sì – dissi, lasciandomi andare ad un sorriso – sono sicura, grazie”
Lui annuì, sorridendo a sua volta.
“Non ti va di ballare, Jenelle Stratford?” mi domandò poi.
“No, io non ballo”
Luke aggrottò le sopracciglia.
“Non ti piace il caffè, non bevi e non balli – elencò – c’è qualcosa che fai?”
“Io faccio un sacco di cose e tu non sai niente di me” ribattei, indignata.
“Per esempio?” continuò lui, provocatore.
“Per esempio non parlo con gli sconosciuti, quindi addio”
Feci per andarmene di nuovo, ma lui si piazzò davanti a me, senza la minima intenzione di spostarsi.
“Questa è un'altra cosa che non fai” mi ricordò.
“Okay, d’accordo – mi arresi – adesso mi lasci passare?”
“Vuoi andartene? Davvero? E poi io dovrei comparire nel momento più opportuno?  - domandò, retoricamente - magari quando qualche squallido coglione starà cercando di caricarti in macchina e portarti a casa sua, che ne dici?”
“Nessuno vuole caricarmi in macchina e portarmi a casa sua – negai – smettila di ritrarmi come la donna più appetibile di New York e dintorni”
“Sbagliato, piccola Stratford – fece lui, sicuro di sé – qui ti guardano tutti, e lo sai”
“No, che non lo so” ribattei.
“Come ti pare”
Si voltò e mi diede le spalle, pronto ad andarsene e lasciarmi stare, come gli avevo chiesto. Ma perché quel gesto mi stava dando così fastidio?
“Luke..” urlai, sovrastando la musica alta del locale.
Pronunciare il suo nome risultò strano, per la mia voce.
“Mh?”
Si voltò nuovamente, senza l’ombra di un sorriso.
Mi avvicinai a lui, forse un po’ troppo.
“Anche tu vorresti portarmi a casa tua, stasera?” domandai.
“Perché me lo chiedi?”
“Hai detto che vorrebbero farlo tutti, e tu rientri in questa categoria”
“Ti piacerebbe tornare a casa con quel soggetto? – m’indicò un ragazzo sui vent’anni, aveva i capelli verdi, era un po’ andato e rideva con altri due ragazzi – perché è con lui, che vivo”
Mi resi conto solo in quel momento di quanto dannazione fossimo vicini, riuscivo chiaramente a sentire il suo fiato caldo sulle labbra.
E la sua bocca, diavolo, che sia benedetta la sua bocca.
Socchiusi gli occhi solo per un secondo, dopodiché mi allontanai, velocemente.
Era troppo pericoloso.
“Devo andare” dissi, decisa.
“Ma non mi dire” rispose lui, ironico.
“Devo raggiungere Zayn”
“Quel tipo alto tre metri e settantacinque con la pelle scura e lo sguardo incazzoso, era Zayn?”
Annuii, trattenendo una risata, al sentire la sua descrizione del mio migliore amico.
“Era Zayn” confermai.
“Dammi almeno il tuo numero”
E adesso che gli dico?, pensai.
Andai in panico, ma poi sospirai.
“Non ho il telefono”
Camminai all’indietro, per continuare a guardarlo, ma cercando comunque di allontanarmi da lui e tornare nel mio porto sicuro, da Zayn e Louis.
“Sai che non ci credo neanche un po’, vero?”
“Ci rivedremo”
“E come? New York è grande, no?”
“Non così tanto, se ci siamo già rincontrati”.
 






 
sounds good feels good!
bonjouuuur ladies
come state? io non mi lamento, anche se boh l'università mi spezza.
ma fa niente, parliamo della storia.
allooooooooora cos'abbiamo.. beh, intanto, Zayn e Louis che conoscono Luke. Come vi sembra Zayn? 
poi si parla ancora del rapporto tra Jen e suo padre che beh sì sarà una tematica molto ricorrente nella storia.
e boh poi non saprei, non sono di molte parole oggi in realtà.
voglio solo dirvi che vi amo tutte e che siete la mia più grande gioia ed il mio motivo di orgoglio.
tanto amore, simona.


 



Image and video hosting by TinyPic


Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Begin again ***


quando trovate l'asterisco ascoltate se volete "Begin again" di Taylor Swift



 
chapter four

begin again

 
 
 “Stasera abbiamo una cena con il direttore subito dopo una riunione importante, vai a prendere Jai a scuola e non aspettarmi in piedi”.
Posai il foglietto sul tavolo in vetro della sala, dove l’avevo trovato. Guardai un po’ fuori dalla grande finestra, osservando Wall Street, pensando a quanto fossimo così vicini, ma in realtà lontanissimi, io e mio padre.
Sospirai, barcollando un po’ sul mio stivaletto, fino a che non vidi la figura sorridente di Maribel, con un mazzo di fiori tra le mani.
Il mio mazzo di fiori.
“Altri fiori?” domandai, stranita.
“Tieni – me li porse, senza smettere di sorridere – stanno arrivando da stamattina, abbiamo finito i vasi in cui metterli”
“Ma quanti sono?”
“Questo è il settimo mazzo, credo che il prossimo sarà l’ultimo”
“Otto mazzi di fiori per otto mesi di relazione, mi sembra giusto” dissi, accarezzando un petalo di quel tulipano bianco.
Ma quando lo avrebbe imparato, che i miei fiori preferiti erano le margherite?
Io e Daniel, quel giorno, il dieci giugno, facevamo esattamente otto mesi di relazione. Ci eravamo conosciuti ad ottobre, ed il mese dopo, il dieci novembre, ci eravamo messi insieme.
Osservai i fiori nelle mie mani, e sospirai.
“Non ti piacciono?” mi chiese Maribel, scostandomi una ciocca di capelli dal viso.
“Certo che mi piacciono, sono bellissimi..”
“Ma..?”
“Ma non lo so, ma c’è sempre qualcosa che non va – dissi, buttandomi a peso morto sul divano – perché lui non è qui? Dovremmo festeggiare i nostri otto mesi insieme”
“Daniel lavora molto, Jen, lo sai”
Maribel si sedette accanto a me, accarezzandomi i capelli lunghi, che ricadevano sulle mie spalle.
“Appunto, è questo il problema – riflettei – io non voglio un agente di borsa che sorride solo quando salgono quotazioni in mercato, dove sono finiti i gentiluomini di cui scrivevano  Shakespeare ed Oscar Wilde? Io voglio Romeo, non voglio il lupo di Wall Street”
“Devi ammettere che Leonardo Di Caprio aveva il suo fascino, in quel film” scherzò Maribel.
“Non abbastanza da ricevere un Oscar” le feci notare.
“D’accordo – fece poi Maribel, facendomi alzare – tu devi uscire, hai bisogno di prenderti una vacanza, che ne dici di andartene da qualche parte a prendere il sole con la tua migliore amica?”
“Io non ho una migliore amica” le ricordai.
“Appunto, forse è il momento di trovarsene una, signorinella” disse, con fare materno, spingendomi verso la porta.
“Credo che la cosa che si avvicini di più ad una migliore amica, per me, sia Louis”
“D’accordo allora, va’ da Louis e fatti portare un po’ in giro” mi consigliò.
“Ma dove?”
“Dove ti pare Jenelle, l’importante è che lasci questa casa grigia per almeno due ore”
Aprì la porta e mi spinse fuori.
“Mi stai cacciando, Maribel?”
“Lo faccio per il tuo bene, piccolo fiore”
Sbuffai, ma poi acconsentii.
“Okay, d’accordo – la assecondai, mentre lei mi guardava appoggiata allo stipite della porta – me ne vado, ma tu avvisami quando arriverà l’ultimo mazzo di fiori!”
Dissi, scendendo velocemente le scale.
“E tu ricordati di andare a prendere Jai, a scuola!” mi urlò lei, dietro.
“Io non sono Steve, me lo ricordo di avere un fratellino!”.
 
 
 
 
 
 
“Ehi Louis”
Ero già in strada quando, seguendo alla lettera le parole di Maribel, portai l’iPhone all’orecchio, immersa in una chiamata con Louis.
“Ciao innamorata pazza” mi salutò lui.
“Sei uno stronzo – berciai io – non mi fai gli auguri?”
“Auguri per cosa? Luke Hamblett ti ha già messa incinta?”
“Primo: non fa Hamblett di cognome, ma Hemmings – iniziai – secondo: vaffanculo, e terzo: dì a Zayn che le sue risate le sento da qui”
Louis scoppiò a ridere, ed io trattenni un sorriso.
“Otto mesi, eh?”
“Eh già, passa in fretta il tempo quando ci si diverte”
“Non credo sia il tuo caso, piccola”
“Non ho bisogno di questo tipo di negatività nella mia vita, passami Zayn”
“Ai suoi ordini”
Aspettai qualche secondo, giusto il tempo di fare cambio migliore amico coglione.
“Ciao bimba”
“Ciao Zayn, Maribel vuole che io esca un po’, quindi – presi fiato – cosa facciamo stasera?”
“Il solito, bimba – disse lui, tranquillo – un salto da Joy e poi al The Bank”
“D’accordo”
“Davvero? Vieni al The Bank sul serio?”
“Certo, per chi mi hai preso?”
“Per la brava ragazzina che sei – mi prese in giro – ci vediamo stasera, ti passiamo a prendere noi, vestiti bene e non da troia, ti voglio bene bimba”
“Sì, si percepisce”
Chiusi la chiamata quando sentii la sua risata e mi ritrovai magicamente davanti al mio paradiso. Altro che The Bank e The Bank. Sorrisi ed entrai nell’edificio, assaporando il profumo familiare delle pagine sfogliate.
Mi diressi come al solito al reparto letteratura inglese, ma quella volta mi soffermai sullo specchio alla parete proprio di fronte a me. Non l’avevo mai notato, così fissai il mio riflesso: i miei occhi blu erano spenti ed il mio viso sembrava triste. Ma dov’era finita, la Jenelle Stratford di otto mesi fa?
Dov’ero finita?
Scacciai quei pensieri ed estrassi le cuffie dalla mia borsa, per collegarle all’iPhone e permettere alla musica di far tacere la mia mente. “Firefly” di Ed Sheeran esplose nelle mie orecchie, ed io risi davanti al destino, perché quella canzone Dan non l’aveva mai capita e quando ero con lui, non potevo mai ascoltarla.
Iniziai a sfogliare il mio libro preferito, sempre lo stesso, sognando un amore di quel tipo. Un amore per cui si combatte, un amore che seppur sbagliato davanti agli occhi degli altri, è così tanto giusto per te, che non t’importa di nulla, affinchè vada avanti per la sua strada. Magari con un finale meno tragico, certo.
Sobbalzai, quando smisi di sentire la voce di uno dei miei cantanti preferiti dall’orecchio sinistro. Dov’era finita la mia cuffia?
“Ed Sheeran? – ma che diavolo? – mi piace”
Mi voltai, e la figura di Luke Hemmings, con una felpa nera, uno zaino in spalla e la mia cuffia tra le sue dita, appoggiata al suo orecchio, mi riscosse dai miei pensieri.
Mi ritrassi, facendolo sorridere.
“Che ci fai qui?”
“Non sai chiedermi altro?”
“Proverò a formulare la domanda in modo diverso, se ci tieni tanto – dissi – cosa diavolo fai in questo posto conosciuto da sì e no dieci persone in tutta New York?”
“Undici” mi corresse.
“Ti piace farmi innervosire?”
“Un po’, sì” disse, ridendo.
Roteai gli occhi al cielo, facendo per dirigermi verso l’uscita. Ma lui mi seguì, affiancandomi.
“Okay, lo ammetto - disse, mentre aprivo la grande porta in vetro – sono venuto qui per cercarti”
“E perché?”
Ci eravamo riversati nell’aria frizzate e caotica di New York, ma tra tutti i taxi, le persone, la confusione e le voci alte della gente, non riuscivo a guardare altro che non fossero i suoi occhi.
Lui sorrise, mordendosi poi il labbro, all’altezza del piercing, e distogliendo lo sguardo dai miei occhi.
“Volevo parlare un po’ con te – ammise – ti va qualcosa da Starbucks?”
Non so perché, ma scoppiai a ridere.
Lui mi guardò stranito, senza capire, ma comunque non perse il sorriso.
“Perché proprio Starbucks?”
“Non ti piace il caffè – si spiegò, gesticolando – e so che voi ragazze andate matte per Starbucks”
Restammo in silenzio per qualche secondo, dopodiché io annuii.
“D’accordo – dissi – ma lo faccio solo per Starbucks, che sia chiaro”.
 
 
 
 
 
 
*Arrivammo in pochi minuti allo Starbucks più vicino e lui, inaspettatamente, aprì la porta in vetro e mi fece entrare per prima. Non dissi nulla, ma accettai il gesto riconoscente.
Quando poi scostò la sedia di uno dei tavoli del bar, per farmici accomodare, la mia boccaccia non seppe resistere.
“Sei davvero un gentiluomo, per essere perennemente vestito come un barbone di classe A”
Si sedette di fronte a me, incrociando le mani davanti a sé.
“E tu sei gentile, per essere la figlia di uno dei più grandi agenti di borsa di tutta Wall Street”
“Ho imparato dal migliore, no?”
Luke scoppiò a ridere, gettando la testa all’indietro, come un bambino. Era innegabilmente bellissimo, ed io non trattenni un sorriso, davanti a quello spettacolo.
“Sei divertente”
“Ah sì? – domandai, stranita – il mio ragazzo, in otto mesi di relazione, non l’ha mai pensato neanche una volta”
“Stai con un ragazzo da otto mesi?” domandò, sorpreso.
Annuii.
“Ma non voglio parlare di lui”
Non fece in tempo a dire nulla, che una ragazza con un imbarazzante berretto verde si avvicinò a noi, pronta per prendere le ordinazioni.
“Cosa vi porto, ragazzi?”
Luke fece per aprire bocca, ma io lo anticipai.
“Due frappuccini al caramello, grazie”
La liquidai con un sorriso, e lei sparì.
“Era da dodici anni a questa parte che qualcuno non ordinava per me”
“Perché, quanti anni hai?”
“Venti”
“Sei già diplomato?” chiesi, facendomi curiosa sulla sua vita.
Scosse la testa, accigliato.
“No”
“Oh, scusa, non volevo..”
“No, niente scuse, questo è solo l’ennesimo argomento di perenne lite con il mio patrigno – mi spiegò – io non ho problemi con il fatto di non essere diplomato, so cosa voglio dalla vita, e non è certo un diploma in ragioneria per lavorare con lui nel suo ridicolo studio di commercialista”
Lo guardai incantata, da tutta quella sicurezza che mostrava.
“Non vai d’accordo con il padre di Jj?”
“No”
E mentre lui scuoteva la testa, arrivarono i nostri frappuccini.
“Come diavolo si beve questa cosa?”
Risi, davanti alla sua incapacità.
“Tieni, prendi la mia cannuccia”
Lo guardai assaggiare la mia bevanda preferita di Starbucks.
“Continuo a preferire il vecchio e classico caffè”
“Dovresti ringraziarmi, per farti provare nuovi piaceri della vita”
Lui mi guardò di sottecchi, mentre sorseggiava il suo frappuccino.
“Com’è la vita a Wall Street?” domandò, a freddo.
“Una noia mortale” ammisi.
“Ah, davvero? E pensare che mi piacerebbe, fare cambio con il tuo attico in zona residenziale”
“Tu dove abiti?”
“A Brooklyn, con uno dei miei migliori amici – mi spiegò – la vita lì non è facile, sai principessa?”
“Vorrei tanto saperlo, Luke” mi lasciai scappare, sognante.
“Cosa ti manca, nella tua vita perfetta?”
Sembrava saperla lunga sulla mia vita, ma non sapeva proprio un bel niente.
“La mia vita sarebbe perfetta? Ma tu che ne sai? Te ne vai in giro con i tuoi pantaloni strappati e le tue magliette da rocker a sputare sentenze sulla vita degli altri tutti i giorni, Luke Hemmings? – sbottai – mio padre si comporta come se non esistessi, il mio fratellino di otto anni piange una notte sì e l’altra pure a causa sua ed il mio fidanzato preferisce passare le sue serate in compagnia del signor Stratford piuttosto che con me, che dovrei dire? Di spassarmela? Beh, non credo proprio”
Avevo attirato qualche sguardo indiscreto verso di noi, ma a Luke non sembrava importare. Mi stava fissando, eloquentemente.
“Scusa, devo andare”
Uscii velocemente da quel posto, terribilmente in imbarazzo e con una voglia matta di sprofondare nel mio letto e non alzarmi mai più.
Ma sentii la sua mano afferrarmi il polso, ed io fui costretta a voltarmi.
“Perché te ne vai sempre? Hai così tanta paura di urlare al mondo che la tua vita non ti piace? Hai bisogno di qualcuno per cambiarla e stravolgerla del tutto, Jenelle?”
“Sì, Luke! – ammisi – è proprio questo il punto! Non ce la faccio più a lottare da sola, ho bisogno di qualcuno che non si stanchi della mia vita “perfetta”, come la chiami tu, e mi aiuti a scoprirne il vero sapore”
“Vuoi che ti insegni a vivere davvero, Jen?”
Lo guardai, mentre le sue mani mi stringevano le spalle, come a sorreggermi.
“Tu? Ma io non so niente di te”
“Non c’è molto da sapere, in realtà – disse, ridendo amaramente – ma a questo possiamo rimediare”.
 
 
 
 
 
 
“Dove siamo?” domandai, spaesata.
Avevamo camminato per dieci minuti, o giù di lì, lungo strade che non avevo mai percorso, se non nella Limousine di Steve.
“A Brooklyn, principessa” disse, spegnendo la sigaretta sotto le sue Vans completamente nere.
“Smettila di chiamarmi così”
Lui roteò gli occhi al cielo, stanco di quel mio atteggiamento da dura. Mi prese per la mia maglietta a mezze maniche azzurra e mi trascinò all’interno di un edificio.
“Che cos’è?”
“Una specie di paradiso”
Lo guardai allucinata.
“Che c’è? – mi chiese, stranito da quello sguardo – che ho detto?”
“No, nulla – dissi, scuotendo la testa – anche io chiamo paradiso il mio posto preferito, è solo una coincidenza”
“Già, una coincidenza” ripetè lui, lascivo.
Mi guardai intorno e mi sembrò di essere stata catapultata negli anni ’60, con tutti quei dischi.
“Questo è uno dei miei preferiti” disse poi, lui.
“James Taylor? Davvero?”
“Perché? Che ha che non va James Taylor?” mi chiese, sulla difensiva.
“Io ho la collezione dei suoi dischi!”
“Un’altra coincidenza, allora”
Annuii, osservandolo nel suo habitat naturale.
“Ora vuoi svelarmi il tuo segreto più grande?”
“E sarebbe?” mi chiese, voltandosi verso di me.
“Perché ti vesti come se fossi in una rock band anni ’70?”
“Io sono in una rock band – mi spiegò – non anni ’70, ma ci proviamo”
“Fai parte di una band? Sul serio?”
Lui annuì, portandomi fuori da quel negozio. Mi affiancò, stringendo una sigaretta tra le labbra.
“Suoniamo nel garage di Calum ma, io credo in noi”
“Chi diavolo è Calum?”
“Il bassista”
“E chi è il cantante?”
“Secondo te?”
“Tu? Tu canti?”
“Io e Cal ci diamo una mano a vicenda”
“E che mi dici della chitarra?”
“È il mio amore più grande”
Risi, mentre lui prendeva una boccata di fumo.
Non era male quel Luke Hemmings, quasi mi piaceva camminare insieme a lui, per Brooklyn, in un mercoledì qualsiasi.
“Scusami per prima” dissi, poi.
“È normale, a tutti capita di sbottare, prima o poi”
“Perché tu non vai d’accordo con il tuo patrigno?”
“Lui ha una visione distorta di me – iniziò – è convinto che io non abbia voglia di fare niente della mia vita, che la band sia una stronzata ed ha paura che porti Jj sulla cattiva strada”
“Ma tu non sei cattivo” mi lasciai sfuggire.
Lui mi guardò, sorridendo.
“Ti ringrazio” ironizzò.
“Cretino – lo ripresi – hai capito che intendo, tu mi sembri una brava persona, mi hai salvato da un coglione l’altra sera e adesso sei ancora con me, dopo aver subito quella mia scenata assurda, da Starbucks”
Lui si strinse nelle spalle.
“Non sei da lasciarsi scappare, tu – mi colse di sorpresa – l’ho capito quando ti ho vista per la prima volta alla cerimonia del diploma”
“Davvero? Non sembrava importarti molto, della mia presenza, comunque”
Lui rise.
“Ci sei rimasta male?”
Dio mio, quanto ero stupida.
“Ma no, certo che no” finsi.
“Irwin e Kyle insieme, hanno il potere di farmi incazzare più di chiunque altro”
“Kyle è il padre di Jj, il signor Hamblett, giusto?”
Lui annuì, senza smettere di camminarmi affianco.
“E Irwin?”
“Ashton Irwin è il coglione più coglione che incontrerai mai nella tua vita”
“Che ne sai che lo incontrerò?”
“Prima o poi diventeremo famosi e tu ti strapperai i capelli, per una nostra stretta di mano o un nostro autografo”
“È il tuo sogno più grande?”
“Quello di sfondare?”
“E diventare famosi, sì”
Lui annuì.
“Voglio fare musica nella mia vita, è l’unica cosa di cui sono sicuro – ammise – poi non lo so se ce la faremo, se avremo un migliaio di fan sparsi per tutto il mondo o se incideremo qualche disco d’oro..”
“L’importante è fare musica” conclusi, al posto suo.
“Esatto – annuì – che mi dici di te, sempre con un libro in mano?”
Sorrisi, guardando la strada davanti a noi.
“Il mio sogno più grande è Londra – iniziai – la facoltà di lettere al King’s College”
“Vuoi diventare una scrittrice?”
“Con tutto il cuore”
Restammo in silenzio qualche istante, dopodiché Luke si fermò.
“Siamo arrivati, questa è casa tua, no?”
Mi guardai intorno e mi stupii nel vedere che eravamo a Wall Street.
“Abbiamo camminato davvero così tanto?”
“Già, il tempo vola quando ci si diverte, no?”
Risi, insieme a lui.
“Tornerai a Brooklyn, adesso?”
Lui annuì.
“E quando ci rivedremo?” gli chiesi, senza mezzi termini.
“Presto, te lo prometto”.

 
 
 
 


 
sounds good feels good!
ciao ragazze!
rieccomi puntuale ogni tre giorni a pubblicare il seguito di questa storia.
allora, come vi sembra?
qui vi lascio John , Steve, Maribel e Daniel. tutti personaggi importanti per la storia.
in questo capitolo si nominano anche gli altri ragazzi che già dal prossimo saranno presenti.
e nulla, fatemi sapere se vi piace oppure no. qualche parere insomma, mi fa sempre piacere.
vi amo, Simona.

 
 
 
 
 



Image and video hosting by TinyPic Image and video hosting by TinyPic


Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Out of reach ***





chapter five

out of reach

 
 “E quindi ieri sera ti è improvvisamente venuta l’emicrania, ho capito bene?”
Che palle Louis quando si improvvisava Detective Conan.
“Sì, Lou, stavo poco bene”
“E perché non hai chiamato zio Zayn? Lo sai che questa – disse indicando la canna che teneva stretta tra l’indice ed il medio – sconfigge il mal di testa meglio di tutta quella merda che ingerite voi persone normali”
“Medicine, Zayn” gli ricordai.
“E io che ho detto? – fece – questa è tutta roba naturale”
“Potresti metterla via? Siamo nei pressi di una scuola elementare, ci sono dei bambini” lo ripresi.
“Come ti pare, bimba”
Roteai gli occhi al cielo, e guardai Louis di sottecchi, mentre sorrideva.
“Che hai da sorridere?”
“Ogni volta che dobbiamo uscire, andare da qualche parte, semplicemente a divertirci – cominciò Mr. Occhi oceano – ti scoppia l’emicrania, puoi spiegarmi com’è possibile?”
“Magia nera?” ipotizzai, stringendomi nelle spalle.
“Ti serve qualcosa o qualcuno, Jen – disse sempre Louis – io e Zayn non ti bastiamo più, e Daniel non fa altro che rovinarti la vita, è un attentato alla tua felicità quello là”
“Ha ventun’anni ma sembra più vecchio di tuo padre – intervenne Zayn – non è pedofilia, la vostra?”
“Piantala di fare il cretino – lo zittii – io non ho bisogno di nessuno”
“No invece, non più – disse Zayn, improvvisamente serio – tuo padre ed il tuo fidanzato, tutta questa situazione che si è creata, ti sta risucchiando la vita”
“Noi ci preoccupiamo per te, piccola” continuò Louis.
Sorrisi, riconoscente.
Pensai automaticamente a Luke, al modo in cui voleva insegnarmi a vivere sul serio. Quando sarebbe arrivato quel suo “Presto”?
“Che mi dici di Hemmings? Che fine ha fatto?” disse poi Louis.
“Che?   - sbottò Zayn – non se ne parla neanche, non do la mia bimba in pasto agli squali, ma l’hai visto quello? E dai, se ne va in giro con le magliette bucate ed un piercing degno di un ragazzino di quindici anni”
Intanto io arrossii di tipo quattordici tonalità.
“La pianti, Zayn? – dissi poi – voi dimenticate che io ho un fidanzato, a casa – ricordai loro – non posso andarmene in giro con il primo rocker che incontro a Soho”
“Non dico che te lo devi scopare – fece Louis, mentre Zayn storceva il naso – magari passaci un po’ di tempo insieme, diventate amici, no? Ho visto come lo guardavi, l’altra sera”
Stavo annegando nell’imbarazzo, quando una vocina petulante s’immise nel nostro discorso.
“Che vuol dire scopare?”
Non ci salutò neanche, ed io ed i ragazzi ci guardammo in viso, spaesati. Fino a che Louis non lo prese in braccio, con tutto lo zaino.
“Pulire il pavimento” improvvisai io.
“E tu devi pulire il pavimento, Jenelle?”
“No – disse Zayn, sbrigativo – Jenelle non pulirà il pavimento con nessuno, intesi?”
“Intesi” dissi io, imitando un saluto al generale.
“Louis?” fece Jai.
“Sì, piccolo?”
“Andiamo ai giardinetti?”.
 
 
 
 
 
 
 
Dopo tre ore sfiancanti ai giardinetti, io e Jai passeggiavamo per Soho, diretti a Wall Street, mano nella mano. Zayn si era strappato i pantaloni, Louis aveva litigato con una bambina e l’altalena era stata rotta: questo è un po’ il riassunto della nostra giornata.
“Andiamo a casa, adesso?” mi chiese Jai.
“Certo scimmietta – risposi – andiamo a casa”
Svoltammo nel nostro quartiere, per poi raggiungere casa. Di fronte a noi la celebre statua ritraente il toro di Wall Street, gente in giacca e cravatta, ed un ragazzo con uno snapback al contrario ed uno skate.
“Te l’avevo promesso, no?”
Luke si sistemò lo skate sotto il braccio, ed io dovetti trattenere un sorriso.
“Di che cosa parli?” finsi, stringendo la mano di Jai.
“Che ci saremmo rivisti presto”
Luke sorrise, avvicinandosi a noi e stringendosi nelle spalle. Portava una camicia a quadri, blu, ed i suoi soliti skinny jeans neri, strappati sulle ginocchia. Era bello, come al solito.
“Jen, così mi fai male” agonizzò il mio fratellino.
“Oh, già, scusa”
Luke rise di gusto, accovacciandosi di fronte a Jai.
“E tu chi saresti, ometto?” gli chiese, dolcemente.
Non scioglierti, mi ripeteva il mio buon senso.
“Sono Jai – si presentò, non era mai stato timido come bambino – e tu chi sei?”
“Sono Luke, tanto piacere”
Gli strinse la manina, e Jai sorrise sornione.
“Cos’hai sul labbro? – gli chiese, per poi rivolgersi a me – posso averlo anche io?”
Lo guardai stranita.
“Non credo che tuo padre sarebbe d’accordo”
“Non credo che papà se ne accorgerebbe”
Rimanemmo in silenzio per qualche istante, colpiti dalle sue parole.
“Però – intervenne poi Luke – così piccolo e già un uso corretto del condizionale?”
“Io non sono piccolo – s’indignò Jai – ho compiuto otto anni a febbraio”
“Oh – Luke alzò le mani in segno di resa – chiedo scusa, signore”
Jai scoppiò a ridere, e risi anche io.
Dopodiché Luke si mise in piedi, scompigliando i capelli del mio fratellino e guardando me, sorridendo.
“Ti va di venire con me? Voglio farti vedere un posto”
Feci per aprire bocca, ma Jai mi precedette.
“Che posto? – chiese curioso, con la sua vocina stridula – posso venirci anche io?”
Valutai l’ipotesi di fare una gita di famiglia con Luke e Jai, ma la scartai subito, per quanto i suoi sorrisi fossero belli ed accattivanti, ancora non mi fidavo al 100 % di quel tipo.
“Tu hai i tuoi compiti, va’ in casa scimmietta, e dì a Maribel che torno per cena – poi guardai Luke – perché torno per cena, non è vero?”
“Non ne sarei così sicuro”
Dannazione, dove diavolo voleva portarmi?
“Ma perché non posso venire anche io?” continuò Jai, petulante.
“Ed il tuo ghiacciolo bonus?” gli ricordai.
Così Jai sbuffò, arreso.
“E va bene – sentenziò – ciao Luke” lo salutò con la manina.
Luke ricambiò, sorridente.
“Sembra intelligente, per la sua età” disse poi, una volta che il piccolo sparì dietro il cancello di casa.
“Già” sospirai, non molto convinta.
“Jen? – mi richiamò – perché va ancora scuola, a giugno inoltrato?”
Lo guardai negli occhi, e lessi sincerità, così mi lasciai andare alle confessioni. Non so perché, ma quel tipo occhi azzurri m’infondeva parecchia sicurezza.
“Jai frequenta un corso di recupero, per bambini difficili”
“Oh – recepì lui – e perché? Insomma, è tipo un corso aggiuntivo o..?”
“No, è un servizio che attua la scuola, per i bambini a cui, a loro parere, non basta un interno anno scolastico” spiegai, un po’ risentita.
“L’ha presa tanto male?”
“No, a Jai piace la scuola – dissi, sorridente, nonostante tutto – più che altro è la nostra situazione familiare, la scuola crede che a lui serva qualcosa in più, per restare al passo con gli altri”
Forse Luke mi notò un po’ affranta, da questa storia, sta di fatto che mi accarezzò il viso, posando poi la sua mano dietro al mio orecchio, sorridendo a pochi centimetri dalle mie labbra.
“Tutti i migliori hanno iniziato così, sai? – mi rassicurò – prendi me, ho mollato la scuola a sedici anni e sono ancora qui”
Scoppiai a ridere, e lui con me.
“Scusami se desidero un futuro un po’ più pretenzioso, per mio fratello – considerai – a proposito, dove vuoi portarmi?”
“Vedrai”
“E come ci arriviamo?”
“Con questo, no?” disse ovvio, indicando il suo skate.
“Non pensarci neanche, Luke”
“Ti tengo io”
Lo guardai intensamente negli occhi, mentre lui si mordicchiava insistentemente il piercing al labbro. Così io sbuffai, e mi arresi. Come avrei potuto non arrendermi davanti al cielo nei suoi occhi?
“E va bene”
Ammirai il suo sorriso compiaciuto, dopodichè fece aderire il suo skateboard alla superficie ruvida del marciapiede.
“Prima le signore” disse, imitando un inchino.
Afferrai la mano che mi stava porgendo, e salii su quel maledetto aggeggio. Diciamo che non ero famosa per la mia innata coordinazione, ecco. Ero talmente impegnata a cercare di stare in equilibrio, che mi accorsi solo dopo della risata ovattata di Luke.
“Beh? – feci, indispettita – che hai da ridere?”
“Sei buffa – fece lui, di rimando – lo skate è fermo, Jen, come puoi non riuscire a mantenere l’equilibrio?”
Sentirlo chiamarmi “Jen”, come solo le persone vicine a me erano solite fare, sul momento mi destabilizzò. Ma poi mi impegnai per recuperare tutto il buon senso che mi era rimasto, e tornare in me stessa.
“E tu non sei gentile, se proprio lo vuoi sapere”
“D’accordo, ci penso io”
Con un movimento meccanico, segno che lo skateboard era un elemento fisso della sua vita, salì dietro di me. Quando mi cinse i fianchi con le mani, strabuzzai gli occhi, e sentii dei molesti brividi lungo tutta la schiena, come se delle piccole scariche elettriche partissero dalla punta delle sue dita.
“Come va?”
Mi chiese Luke, accostando le labbra al mio orecchio, facendo in modo che si scontrassero impercettibilmente. Solo in quel momento mi resi conto che stavo trattenendo il respiro. Mi diedi mentalmente della stupida e mi imposi calma.
“Non ce l’hai una cavolo di macchina?”
Perchè reagivo così a quel nostro contatto fisico?
Luke rise appena, stringendo ancora di più la presa sui miei fianchi.
“Se io avessi una macchina mi perderei tutta la bellezza della città – cominciò – e poi solo un pazzo avrebbe il coraggio di immettersi nel traffico di New York, hai idea di quanto ci metterei da Brooklyn a Wall Street?”
Non feci neanche in tempo ad accorgermi di quello che aveva detto, perché la curva che prese con lo skate mi terrorizzò a tal punto da coprirmi gli occhi con le mani, sicura che di lì a poco sarei caduta a terra.
“Ehi, Jen.. – cominciò Luke, tranquillo, con le labbra totalmente appoggiate al mio orecchio ed il suo respiro caldo che accarezzava la pelle del mio collo – non ti faccio cadere, ma tu fidati di me, okay?”
Fidarmi di qualcuno era diventato davvero troppo difficile, ma ancora non so perché, lasciai che le sue mani spostassero le mie dai miei occhi. Mi aggrappai totalmente alle sue braccia che stringevano delicatamente i miei fianchi.
“Ed apri gli occhi” mi ordinò.
“Come fai a sapere che li sto tenendo chiusi?” gli domandai, perplessa.
“È così?”
Non risposi.
“Come pensavo” dedusse lui.
Sbuffai.
“Dannazione a te Luke Hemmings”
Lo sentii ridere, e ringraziai il cielo, perché lui non avrebbe mai visto quel mio sorriso.
“Arrivati”
Rallentò gradualmente, per poi fermare lo skate con uno scatto improvviso. Prima che potessi finire davvero per terra, Luke mi afferrò prontamente, ed io finii tra le sue braccia. Riuscivo ancora a sentire il suo respiro caldo e dolce, ma quella volta sulle labbra.
“L’hai fatto di proposito, non è vero?” gli domandai, con un filo di voce.
Mi sentivo così ridicola, avrei voluto che una voragine si aprisse sotto i miei piedi, e mi risucchiasse in quell’esatto momento. Mentre il mio sguardo oscillava dalle sue labbra ai suoi occhi.
“Se ti dicessi di sì, risulterei troppo sfacciato?”
“Un tantino”
“Allora no, non avrei mai voluto”
“Che cosa?”
“Che finissimo così”
Abbassai del tutto lo sguardo, ritrovandomi a fissare i miei stivaletti e le sue Vans nere, completamente nere.
“Vieni, ti aiuto a scendere”
Luke scese per primo dallo skate, dopodichè mi tese la mano.
“Non sono così incapace”
“Ah no? Davvero?” mi prese in giro.
“No” ribattei io, decisa, ed anche un po’ risentita.
“Come ti pare” fece lui, stringendosi nelle spalle.
Una volta che anche io fui scesa da quel mezzo di trasporto infernale, Luke lo portò sotto il suo braccio, dirigendosi sicuro verso un edificio ricoperto di scritte colorate, opere dei writers di Brooklyn.
“Che c’è?” mi domandò, notando che non lo stavo seguendo.
“Nulla” risposi, pronta, scuotendo la testa.
Ma lui seguì il mio sguardo: ero rimasta incantata da tutti quei graffiti meravigliosi.
“Non ci sei abituata, eh principessa? – chiese, retoricamente – i muri di Brooklyn sono come tele bianche, per noi”
Luke aveva la capacità di ammaliarmi qualsiasi cosa dicesse. Ed io odiavo quella sua caratteristica, perché lo stavo seguendo, senza neanche volerlo.
“Dove siamo?” gli chiesi.
Si voltò nuovamente verso di me, per poi sorridere. Ma non era il suo solito sorriso, quello che avevo visto negli ultimi giorni: era un sorriso sincero, impeccabile, pulito, candido e beh, sì, bellissimo.
“Vieni”.
 
 
 
 
“Dove sono quei maledetti figli di puttana?”
Luke si fece avanti in una specie di garage, spalancato. L’odore di fumo e vernice m’invase le narici, obbligandomi ad arricciare il naso. C’era un grande divano, spinto contro il muro. Ma ciò che mi aveva colpito più di tutto erano, ovviamente, gli strumenti posizionati al centro di quella stanza.
“Oh, ho capito! – esclamai – questo è il garage di Calvin!”
“Calum” mi corresse lui, voltandosi per guardarmi.
“Già, giusto..” tentai, con un sorriso di circostanza.
“E quando pensi di mollarla? Giusto per sapere”
“Quando tu mollerai la tua Cherrie e la pianterai di fare l’uomo sposato, Hood, sei diventato di una noia mortale!”
Furono quelle le voci che sentii, prima di vedere palesarsi due figure alte più o meno un metro e ottanta, a testa. Uno era moro, con gli occhi scuri e delle labbra veramente grandi. L’altro era biondo, con una bandana rossa tra i capelli ed una sigaretta che gli pendeva dall’angolo della bocca.
“Hemmings! – urlò, quello biondo – potresti cortesemente dire anche tu a quel coglione di Hood che, dannazione, la sua relazione malata rovina la nostra reputazione da band?”
“Relazione malata, Ash? – riprese, quello che doveva essere Hood – l’unica cosa malata qui dentro sei tu, fattela diagnosticare, la ninfomania”
Luke si schiarì la voce, ed i due sembrarono accorgersi di me.
“Bene, abbiamo appena fatto fare una bella figura di merda ad Hemmings, con questo bel gioiello – disse, quello ninfomane, a quanto pareva – piacere, sono Ashton”
Mi rubò una risatina, mentre gli stringevo la mano, e Luke lo inceneriva con lo sguardo.
“Giù le mani” sussurrò, tra i denti.
Così, Ashton alzò le mani in segno di resa.
“Lindsay non me lo permetterebbe, comunque”
“E chi diavolo è, Lindsay? Ero rimasto a Molly” disse, Luke, prendendo una sigaretta dal pacchetto di Marlboro che Ashton gli stava offrendo.
“Molly è storia, ormai – disse il moro, mentre mi si avvicinava – piacere, sono Calum”
Mi rivolse un sorriso mozzafiato.
“Lei è Jenelle – fece Luke, presentandomi, ed io mi resi conto di non aver ancora spiccicato parola – dov’è Clifford?”
Ashton si strinse nelle spalle, e Calum si stese sul divano, con l’iPhone tra le mani.
“Dovrebbe arrivare tra..”
“Ho sentito il mio nome? – urlò, un’altra voce – chi di voi stronzi si permette di pronunciare il mio nome invano?”
Erano tutti strani, particolari, originali e divertenti, ma lui di più: portava i capelli verdi, e lo riconobbi subito come il ragazzo ubriaco con cui Luke mi aveva detto di vivere, l’altra sera, al locale dove suonava Louis.
“Mica sei Dio” fece Ashton.
“Bella, Cliff” disse Calum, alzando una mano per farsi dare il cinque.
“Guarda, guarda.. – disse poi il ragazzo dai capelli verdi, avvicinandosi a me e Luke – credevo di averle viste tutte, ma una principessa come te, in questo garage, giuro che mi mancava”
Si rivolse direttamente a me, ed io rabbrividii quando mi chiamò principessa: solo Luke mi ci aveva chiamato così, prima di all’ora.
“Sono Jenelle Stratford”
“Michael Clifford, al tuo servizio”
Mi baciò il dorso della mano, dopodichè Ashton battè le mani e si avvicinò a noi.
“Beh? – cominciò – cazzeggiamo o suoniamo?”
“Secondo te?” chiese Luke, retorico.
“Ehi, Jenelle – mi richiamò poi Calum, alzandosi dal divano – Hemmings ti ha detto che siamo il meglio in circolazione, non è vero?”
“Una cosa del genere, sì”
Lui ridacchiò, ed io li guardai mentre prendevano le loro postazioni: Calum al basso, Luke e Michael alla chitarra ed Ashton alla batteria. Guardai Luke sistemare il microfono, incantata.
“Facciamo “Try Hard?” ” chiese, Michael.
“Altro, no?” chiese, Luke.
“Negativo – sostenne Michael, deciso – ti vergogni, per caso, di cantarla davanti a lei?”

Luke stava evitando il mio sguardo, ma poi scosse la testa, ed iniziarono a suonare. Avevo preso posto sul loro divano, e fremevo dalla voglia di sentire la sua voce. Così, quando sentii le parole di quella canzone, capii il perché della domanda di Michael.
 
 
 
 
 
 
 
 
sounds good feels good!
ciao bimbe! come state? io discretamente bene, stamattina mi sono svegliata con un mal di testa anomalo e non sono andata in università.
voi tutto bene a scuola? che anno fate? sono curiosa! ahahah
io non sto studiando davvero nulla e la prima sessione di esami è vicina, che palle. ma comuuuunque, questa è la mia noiosa vita, who cares?
passiamo ai nostri Luke e Jen, che ve ne pare? quanto è dolce Luke con Jai? Io li adoro!
e nulla, sono comparsi anche gli altri 5 secs of idiots, che non ci scolleremo mai più di dosso. 
non so quanto la storia vi stia piacendo, dato che riscuote poco successo. 
io non voglio recensioni per fare numero, io vorrei sapere cosa ne pensate per sapere 1: se devo continuare, 2: i vostri pareri e 3: se posso migliorarmi in qualche modo.
per il resto vi amo un sacco e volevo fare un saluto speciale a Giulia, ciao Lolita <3<3<3, con la quale sto scrivendo una storia che si chiama: 5 a.m. la trovate sul mio profilo, se vi va di dare un'occhiata noi ne saremmo solo felici! Lei si chiama: ilpiercingdiluke, qui su efp, passate anche da lei è una scrittrice meravigliosa.
e nulla, alla prossima! Baci grandi, Simona.

 
 
 
 
 
 



Image and video hosting by TinyPic


Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Rockers ***



 
 
chapter six

rockers


 


“Sushi per tutti?”
 
 
E così era stato.
Tavolo per 5. Wasabi. Bandane nei capelli. Piercing al labbro. Tatuaggi sulle braccia. Capelli colorati. Sorrisi indosso. iPhone incollati agli occhi.
“Diventerai cieco, così”
Michael si sentì in dovere di avvertire Ashton, che tenendo lo schermo alla massima luminosità così vicino agli occhi, probabilmente si sarebbe danneggiato la vista. Io nel frattempo ero finita in mezzo a Luke e Calum.
“Vaffanculo – berciò Ashton – ho appena mollato Lindsay, la cosa si stava facendo troppo seria, voleva vedermi per la terza sera di seguito”
Luke alzò le sopracciglia, scettico, mentre io scoppiavo a ridere sotto lo sguardo divertito di tutti loro.
“Mi ricordi tanto un mio amico, lo sai? – feci, pensando a Zayn – credo che andreste molto d’accordo”
“Oh, no – s’intromise Calum – Ashton non va d’accordo con i ragazzi”
“E voi cosa sareste, allora?” chiesi, io, sfacciata.
“Colpito e affondato, amico” fece Michael, colpendomi il pugno.
Luke sghignazzò, affianco a me, mentre Calum gli faceva il verso.
“Come mai così silenzioso, Hemmings? – chiese ancora Ashton, quello che parlava di più – ci porti un così bel fiore del deserto e non ci degni nemmeno di una parola?”
Luke lo incenerì con lo sguardo, mentre Michael lo indicava con le sue bacchette cinesi, che stava usando per mangiare un po’ del suo riso.
“Già – convenne – sai, Jenelle – si rivolse poi a me – è un onore conoscerti”
“Un onore?” domandai, stranita.
Michael annuì, ingozzandosi.
“Sì, Jenny – fece Calum – Jj, il fratello di Hemmings, è ossessionato da te!”
Divenni rossa in viso, e Luke se ne accorse, così ridacchiò.
“Ha una cotta per te, principessa, te l’ho detto – fece poi – non ha fatto altro che elogiarti per tutta la durata dell’ultimo anno scolastico”
“Io e Jj siamo amici – ci pensai su – cioè, compagni di corso”
Luke annuì.
“Certo, e lui vorrebbe portarti al ballo scolastico – mi informò – ma non sa come chiedertelo”
“Povero Hamblett – intervenne Calum – lo state distruggendo davanti al suo unico amore”
I ragazzi scoppiarono a ridere, mentre io pensavo alla gentilezza di Jj Hamblett. Probabilmente, se io avessi accettato il suo invito al ballo di fine anno, che doveva ancora disgraziatamente tenersi, lui si sarebbe presentato con dei fiori abbinati al colore del mio vestito (dove le avrebbe trovate delle rose nere?), uno smoking perfetto ed una limousine laccata bianca. Maribel avrebbe scattato milioni di foto e Zayn e Louis mi avrebbero preso in giro fino alla fine dei miei patetici giorni. Era fuori discussione.
“Senza contare che ho un fidanzato” conclusi, ad alta voce.
“Oh – si lasciò scappare Michael – questo Luke non ce lo aveva detto”
“Luke? – domandai, stranita – ma non era Jj quello fissato con me?”
Michael scosse la testa, in negazione. Che diavolo stava dicendo quella testa verde?
“Adesso sono due, i fratelli ad essere ossessionati da te, piccola Stratford”
Strabuzzai gli occhi, mentre Luke tentava di frenare i suoi istinti omicidi verso il suo migliore amico e coinquilino, ed Ashton tirava uno schiaffo dietro la sua testa.
“Ehi! – s’indignò – che ho fatto?”
“Hai appena comprato un biglietto di sola andata per figuradimerdolandia ad Hemmings” lo informò Calum, fiondandosi sul suo ultimo maki di tonno.
“Esatto” confermò Ashton.
Ridacchiai, senza farmi vedere da Luke, dato che sembrava già abbastanza irritato. Cercai di reprimere quel moto di soddisfazione e nascondere quanto io mi stessi sentendo lusingata. Luke aveva parlato di me, con la sua band, i suoi migliori amici. Ed io ero patetica, ridicola e una volta sola mi sarei tirata uno schiaffo in piena faccia.
“Già, sei un amico, Cliff” concluse poi, Luke.
Michael si strinse nelle spalle, ed intavolò una conversazione con Calum, mentre Ashton riprendeva la sua corsa alla cecità, con il suo inseparabile iPhone.
“Mi è passata la fame – disse poi Luke, a me, guardando il suo piatto semi vuoto – hai mai provato l’uramaki california?”
Scossi la testa.
“Vado sul classico” dissi.
“Vedo – ammiccò lui, ai miei nighiri – non avevi mai mangiato sushi?”
“Sì, qualche volta – ammisi – mio padre non è un amante della cucina etnica, è abbastanza conservatore, diciamo così”
“Ma certo – convenne – Wall street non si abbasserebbe mai a del pesce crudo servito in vaschette di plastica, non è vero?” disse con una punta di ironia, facendomi ridere.
“Già, Wall street se potesse diventerebbe indipendente da tutti noi poveri comuni mortali, un po’ come il Canada”
Luke rise, torturandosi il piercing con i denti. Era come se, tutto d’un tratto, a quel tavolo, in quel locale, in quel mondo, ci fossimo solo noi. Io e lui.
“Cosa direbbe il signor Stratford se sapesse che la sua dolce ed innocente figlioletta se ne va in giro con un rocker di Brooklyn?”
“Noi non ce ne andiamo in giro – precisai – tu mi porti a sentire la tua band e a mangiare sushi”
“Così mi offendi”
“Mi dispiace”
La conversazione morì lì, fino a che lui non spinse la sua vaschetta verso di me.
“Uramaki california – annunciò – per vivere davvero, devi prima assaggiare questi”
Inarcai le sopracciglia, scettica.
“Che diavolo stai dicendo, Hemmings?”
“Sono serio” sostenne lui.
Mi guardava di sottecchi, pieno di aspettative. Se io non avessi avuto tutto l’autocontrollo di cui ero effettivamente dotata, non avrei mai smesso di sorridere, in compagnia di Luke.
“Cosa c’è dentro?”
“Niente domande, Stratford, metti in bocca, mastica, assapora, manda giù e chiamami unico ed inestimabile guru della tua vita”
Roteai gli occhi al cielo, ed un po’ spaventata e non del tutto convinta, feci come mi aveva detto lui. Masticai per un po’, ed un mix di sapori esplosero sulla mia lingua.
“Beh?” incalzò lui, con un sopracciglio inarcato.
“Li mangi quelli?”.
 
 
 
 
“Una paglia, Hood?”
Guardai Calum estrarre il tabacco dalla tasca dei suoi skinny jeans neri, per soddisfare la richiesta di Luke.
“È una specie di divisa la vostra?” chiesi.
Ashton ridacchiò, infilandosi un filtro in bocca.
“Cioè?” mi domandò Luke.
“Cioè portate tutti e tre gli stessi skinny jeans neri, la stessa camicia a quadri, le stesse magliette bucate e solo ed esclusivamente Vans – feci notare loro – è un requisito fondamentale, per far parte della vostra band?”
Michael ridacchiò, facendo una piroetta su ste stesso, atteggiandosi a ballerina.
“Non ti piace, piccola Stratford?” 
“Non dico questo – puntualizzai – dico solo che siete davvero poco originali, no?”
Calum annuì, poco convinto, comunque, consegnando la paglia a Luke.
“Ehi, così non vale! – s’indignò Ashton – io non porto nessunissima camicia, Jenny!”
Lo guardammo tutti male, dopodichè Luke gli diede una leggera spinta.
“Sta’ zitto, Irwin”
Mentre loro bisticciavano e fumavano, qualcosa di molto molesto prese a vibrare nella tasca dei miei jeans. Quando ne estrassi l’iPhone e lessi il nome di Dan sul display, tutta la pesantezza della mia vita mi cadde nuovamente sulle spalle, come un grosso macigno. Ma dov’era finito, quel macigno, nelle ultime ore?
Mi allontanai di qualche passo da quel gruppo di scalmanati rockers, e risposi al telefono.
“Pronto?”
“Amore? Ma che fine hai fatto? – cominciò Dan, più scocciato che preoccupato – è dalle quattro del pomeriggio che nessuno ha notizie di te, se non Jai”
Sbuffai.
“Beh, non basta?”
“Ha otto anni, Jenelle – puntualizzò, saccente – per quanto ne so potresti essere a drogarti con quei due poco di buono di Zayn e Louis”
“Hai veramente detto poco di buono, Dan? – mi sforzai di non ridere – quand’è che ti sei risvegliato nel corpo di un cinquantenne?”
“Non sei divertente, Jen – mi riprese – sono stato davvero in pensiero per te, si può sapere dove sei?”
Ma certo, immagino. Al 90% delle probabilità era andata esattamente così: finita la riunione, papà, Dan e tutti gli altri palloni gonfiati di Wall Street se ne erano andati a cena in un elegante ristorante di Times Square, ordinando vino rosso ed assaggiando diversi tipi di caviale. Avevano bevuto, riso, fumato sigari e parlato ininterrottamente di quotazioni e altre boiate simili, dopodichè, una volta tornati all’attico, Dan, e non mio padre, assolutamente fuori discussione, si era ricordato della mia esistenza.
“Ma tu non avevi quella cena con mio padre?”
Ma a lui non dissi tutte quelle cose.
“Finita”
“Ma che ore sono?”
“L’ora che torni a casa, non ti pare?”
“Sì, sì, arrivo”
Chiusi quella telefonata, e lottai contro l’istinto di lanciare il telefono per terra. M’imposi calma, respirai profondamente e tornai dagli altri. Era tutto più importante di me: le riunioni, le quotazioni in borsa, le cene, gli appuntamenti con i colleghi, le conferenze, i convegni.. dopo tutto questo, venivo io.
“Tutto apposto?”
La voce bassa di Luke mi risvegliò da quei pensieri, così alzai lo sguardo verso di lui, ed incontrai i suoi occhi. Quelli sì, che erano occhi a cui importava qualcosa. O almeno, così sembrava.
“Devo andare”
“Era tuo padre?”
Scossi la testa, spostando nuovamente lo sguardo sui miei stivaletti neri, lasciandogli intendere chi fosse realmente.
“Ho capito”
E così fu.
“Chiamo un taxi” dissi, spostandomi già verso la strada.
“No – ma lui mi fermò, afferrandomi il braccio – ti ci porto io, a casa”
“Con quello? - dissi, indicando lo skate scettica – vorrei arrivare prima di domani mattina, ma grazie lo stesso”
Luke roteò gli occhi al cielo, infastidito dal mio atteggiamento.
“Mi stai sul cazzo quando fai così”
Aveva già posato lo skate per terra, e mi stava già invitando a salirci, tendendomi la mano, come aveva fatto qualche ora prima.
Così io sbuffai, e mi ritrovai davanti a lui.
“Porto Jenelle a casa – avvisò gli altri – ci vediamo domani e Mike, ti prego, non approfittare della mia assenza per registrare altre puntate di Grey’s Anatomy, ne ho piene le palle di quella roba da gay”
Ashton scoppiò a ridere, e Michael gli mostrò con classe il terzo dito.
“Bella Hemmings! - urlò poi Calum – ciao Jenny, alla prossima!”
Con quel saluto, ci lasciammo alle spalle i ragazzi. Percorremmo la strada da Brooklyn a Wall Street in silenzio, e, con mia grande sorpresa, ci mettemmo sì e no quindici minuti scarsi.
“Allora? – cominciò lui, scendendo dallo skate – nulla da dirmi?”
“Tipo?” dissi io, scendendo a mia volta, aiutata da Luke.
“Tipo che avevo ragione io e che se avessi chiamato un taxi, probabilmente adesso saresti ancora lì a sperare che l’autista conosca una strada secondaria per evitare il traffico di New York City?”
Ma quanto dannazione parlava veloce, quel ragazzo?
“Non ti darò mai ragione, Luke Hemmings” sostenni.
Lo guardai lasciarsi andare ad una risata cristallina, buttando indietro la testa, come quel pomeriggio da Starbucks.
“È bella Try Hard” mi lasciai scappare, poi.
“Ti piace?”
Annuii.
 “Perché non volevi cantarla di fronte a me?”
“L’ho scritta da poco – cominciò – e, qualche pezzo, l’ho scritto pensando a te, non lo nego”
Gli concessi un sorriso. Ma lui non era per nulla in imbarazzo. Eravamo sotto casa mia, con le luci fioche dei lampioni, il suo snapback al contrario ed i miei capelli in disordine per la folle corsa sul suo skateboard, ma nessuno dei due era in imbarazzo.
“Oh, wow – feci, ironica – nessuno mi aveva mai scritto una canzone, ne sono lusingata”
“Frena, Stratford – mi bloccò, lui – io non ti ho scritto una canzone, ho semplicemente pensato a te mentre buttavo giù il testo..”
“Che in altre parole significa..”
“Come ti pare, okay?” m’interruppe, così scoppiai a ridere.
“Quindi scrivi tu, i testi delle canzoni?” cambiai argomento.
Lui annuì.
Non avevo voglia di salire, di vedere Dan, di fornirgli spiegazioni di cui in realtà non gli importava nemmeno. Volevo restare lì, con Luke Hemmings che parlava della sua band ed il suo skateboard sotto il braccio.
“Il più delle volte, sì”
“Figo, no?”
“Abbastanza, sì”
“Non è poi tanto diverso da quello che voglio fare io”
Restammo a guardarci, negli occhi, senza dire più nulla. Forse fu il momento, la situazione, quell’inevitabile scena da film in cui per una cosa o per l’altra, finisci per avvicinarti alla persona che ti sta di fronte, senza neanche accorgertene, e forse senza neanche volerlo. Succede e basta.
Io e Luke eravamo ormai a pochi centimetri di distanza, riuscivo a vedere le diverse tonalità di azzurro nei suoi occhi, i tagli sulle sue labbra e riuscivo a percepire il suo respiro dolce, con il suo profumo, misto a quello del tabacco.
“Hai fatto quel piercing per sentirti più figo?”
“Chiaro che sì – sostenne, facendomi ridere – a diciassette anni, per fare colpo sulle ragazze più grandi”
“E ha funzionato?”
Lui scosse la testa, divertito, fissando le mie labbra, ormai a pochi centimetri dalle sue.
“No, e in più, quando l’ha scoperto mia madre, mi ha messo in punizione per due mesi”
“Che tipo di punizione?”
“Lavori di casa”
“Hai fatto la casalinga?” domandai, mordendomi il labbro per non scoppiare a ridergli in faccia.
“Puoi dirlo forte”
Ma non resistetti, e ridemmo insieme. Ma a rovinare quell’atmosfera che si era creata, ci pensò il mio telefono, ancora. Declinai la chiamata di Dan, e lo risposi in tasca.
“Ci rivedremo?”
Lui annuì, giocando con il piercing.
“Come?”
“Ti vengo a prendere, cercare, rapire”
“Dovrei avere paura?”
“Vorresti che io venissi a prenderti, cercarti, rapirti?”
“Puoi dirlo forte”
“Allora no, principessa”.
 
 
 
 
La porta si chiuse con un tonfo secco, ed io mi mossi decisa verso la mia camera. Magari nessuno mi avrebbe notata, magari si erano dimenticati nuovamente della mia esistenza, magari..
“Jenelle”
Come non detto.
“Che ci fai ancora qui, tu? – chiesi, raggiungendolo e fingendo un sorriso – pensavo fossi tornato a casa, è tardi”
Magari se avessi fatto la carina, si sarebbe dimenticato del fatto che era l’01:35 AM ed io ero la sua fidanzata. Beh di quello se ne ricordava solo 2/3 giorni su 7 e il giorno del nostro mesiversario, quindi avevo grandi speranze di uscirne indenne.
“Ti ho aspettata”
Mi alzai in punta di piedi, per lasciargli un bacio sulle labbra: sapeva di acqua di colonia e scartoffie di Wall Street. Mi tornò in mente il profumo dolce misto a quello di tabacco di Luke, di poco prima. Dopodiché scossi la testa, obbligandomi a scacciare via quel tipo di ricordi.
“Non ce n’era bisogno, davvero – continuai – va’ pure a casa, domani la sveglia è presto ed io sono molto stanca” finsi uno sbadiglio.
Ma l’Oscar quand’è che me lo davano? No giusto per sapere.
Daniel sorrise, sarcastico.
“Jenelle, sono quasi le due del mattino, pensi davvero che ti lasci andare a dormire senza una spiegazione?”
“Non è così, di solito?” sputai, velenosa.
Non ce la facevo più a trattenermi e fare la fidanzata perfetta che lui aveva sempre voluto, e che stava cercando di costruire su di me.
“Jenelle, fa’ la finita una volta per tutte – disse, esasperato, lui, capite? – non sei mai tornata così tardi”
Ah beh, certo, non gli era mai importato dove fossi, prima di all’ora, perché non avevo mai sgarrato alle sue regole. Chiaro, no?
“Non ho controllato l’orario” mi giustificai.
“Con chi eri?”
Mi cadde il gelo addosso. Non avevo nessunissima intenzione di dirgli di Luke, né in quel momento e né mai.
“Con degli amici” così rimasi vaga.
“Louis e Zayn?”
“No, non loro”
Dan mi guardò stranito, accigliandosi.
“Ma tu non hai altri amici” sostenne, convinto.
Inarcai un sopracciglio, per poi sorridere sarcasticamente.
“Già, beh, ti ringrazio molto Dan..”
“Sai cosa intendo”
Roteai gli occhi al cielo, ed in quel momento si palesò mio padre, con la vestaglia di raso blu, una copia del “The wall street journal” ed una tazza di caffè in mano. Che tristezza la vita di quell’uomo: girava tutto intorno a Wall Street, ci mancava solo che se lo facesse tatuare sul petto.
“Oh, ciao tesoro – mi salutò, tranquillo, pacato e sereno – tornata ora? Passato una buona serata?”
Lo guardai, sconcertata, dopodichè tornai con lo sguardo a Dan, che stava allargando le braccia, improvvisamente rilassato, come per dire: “Che ci posso fare, amore mio? Il capo ha detto che è okay!”. Scossi la testa, arresa, e me ne andai in camera mia.
“Buonanotte a tutti”.

 
 
 
 
 
 
sounds good feels good!
ciao donne! come state? io sempre bene, sempre al solito.
prima di iniziare volevo dirvi una cosa: non rispondo alle vostre recensioni non perchè me la tiro o altro, semplicemente perchè non ho tempo. I corsi in università stanno finendo e questo significa che tra poco ci saranno gli esami, quindi sto studiando molto.
Ma il tempo per postare un nuovo capitolo lo trovo sempre, perchè sono molto legata a questa storia e spero che anche voi vi affezionerete ad essa ed ai suoi personaggi. 
volevo ringraziare una ragazza speciale: Letizia25, perchè leggere le tue recensioni mi ha fatto davvero davvero piacere e nulla, ti ringrazio dal profondo del cuore, sei meravigliosa e spero continuerai a seguirmi! Ho bisogno del tuo parere! 
io avrei finito, vi amo tanto tanto, la vostra Simona.

p.s: per chi volesse seguirmi su twitter vi lascio il nick: @COCOCHVANEL
p.p.s: messaggio per Giulia: NOLO!

 
 
 
 
 

 
 
Image and video hosting by TinyPic  
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Just friends ***



chapter seven

just friends


 
Alle volte mi sentivo rinchiusa, nelle mie quattro mura, nella zona residenziale di Wall Street. Mi sentivo come quella principessa, quella rinchiusa in una torre.. com’è che si chiamava? La principessa Fiona? Beh sì, in effetti io adoravo Shrek, era uno dei miei cartoni animati preferiti, ero stata io a costringere Jai a guardarlo più e più volte.
Oppure avrei potuto essere Raperonzolo, e dovevo solo aspettare che qualcuno si presentasse alla mia finestra, urlando: “Jenelle, sciogli i tuoi capelli!”. Oppure, molto più adatto alla mia situazione: “Jenelle, datti una mossa! Abbiamo solo un’ora e venticinque minuti prima che inizi la conferenza sulla geopolitica mondiale!”.
Scossi la testa, arresa a quella vita noiosa e grigia a cui avevo ormai fatto l’abitudine. Pensai a quanto fosse stupido paragonare una come me ad una principessa, e pensai anche a Luke, che aveva preso ad utilizzare sempre più spesso quel soprannome per riferirsi a me. Sorrisi istintivamente, torturando l’orecchio del mio tascabile di “Una notte di Don Giovanni” di Gustave Flaubert, che avevo finito per l’ennesima volta.
Stavo annegando nei miei pensieri, quando dei passettini piccoli ed al contempo pesanti come quelli di un elefante, si avvicinarono alla mia camera. Vidi aprirsi la porta ed in una raffica di vento, Jai si buttò sul mio letto assieme a me.
“Ehi, scimmietta..” lo salutai, abbracciandolo stretto.
“Jen – cominciò lui, con la sua dolce voce – dov’è Luke?”
Strabuzzai gli occhi, alzandomi con il busto sul letto, così il mio fratellino fece lo stesso.
“Ti ricordi di lui?” gli domandai, stranita, inclinando un po’ la testa.
“Certo che mi ricordo di lui!” esplose, felice.
Ridacchiai, pensando a quanto fosse strano il potere che Luke Hemmings era capace di esercitare su chiunque gli girasse intorno. Mi sedetti a gambe incrociate e feci accoccolare Jai su di me.
“Beh? Che vuoi da Luke?”
“Voglio salire sul suo skateboard – mi disse, girandosi per guardarmi – secondo te mi ci fa salire Jen? Eh?”
Scoppiai a ridere: Jai sapeva essere petulante ed innocente nello stesso momento.
“Non lo so, Jai” ammisi.
“Magari se glielo chiedi tu, mi ci fa salire!” gridò, speranzoso.
“Perché non glielo chiedi tu?”
“Ma io magari non gli piaccio, tu però sì”
Mi rabbuiai. Lo feci sedere di fronte a me, sulle coperte comode del mio letto.
“E perché mai non dovresti piacergli? Sei così piccolo e dolce, Jai, Luke ti adora!”
Jai inclinò la testa, ed io ingoiai le lacrime, ancora, ancora e ancora. Se Jai era così insicuro, a soli otto anni, era colpa esclusivamente di quello che si professava essere suo padre.
“Davvero?”
“Certo! – dissi, sicura di me – e ti farà fare un grandissimo giro di New York con il suo skateboard, ti va?”
Jai annuì, al limite della gioia.
“E quando?”
“Già – feci, improvvisamente pensierosa – quando?”.
 
 
 
“Maribel?”
Ero alla finestra, ad osservare Wall Street, quando mi venne un’idea.
“Dimmi, piccolo fiore”
Maribel arrivò dalla cucina, con in mano uno straccio ed i suoi capelli corvini che cadevano in onde disordinate sulle spalle.
“Mi manca Jonathan – iniziai – e se organizzassimo una cena? Qui?”
Maribel strabuzzò gli occhi, forse un po’ incredula, nel sentire pronunciare quella parole proprio da me.
“È una idea meravigliosa, Jenelle!”
Sapevo che Maribel ne sarebbe stata contenta, lei amava questo tipo di cose, era la gioia di quella casa, insieme a Jai. Loro due erano quel cuscinetto che permetteva a me e mio padre di vivere nella stessa casa/città/stato/pianeta/universo.
“Ehi, c’è qualcosa che non va?” mi chiese poi, avvicinandosi a me.
Scossi la testa, imitando un sorriso.
“Jai..” confessai.
“Che succede?”
“Sempre la stessa storia, Maribel” confessai, guardandola negli occhi, cercando di aggrapparmi a lei.
“Vuoi fare questo per lui, non è vero? – mi chiese, con dolcezza – hai avuto una magnifica idea, vedrai quanto ne sarà felice, non appena lo saprà”
“Dici che papà potrebbe farcela a trascorrere un’intera serata con noi?” chiesi.
Maribel mi sorrise, avvicinandosi, perché lei più di tutti sapeva che ancora un po’ ci speravo, per Jai, più che altro, che le cose potessero in qualche modo cambiare.
“Certo, piccolo fiore – mi rassicurò, scostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio – ed io cucinerò piatti buonissimi, i migliori!”
Scoppiai a ridere, insieme a lei, perché l’allegria di quella donna era contagiosa. Ed in quel momento, ci raggiunse anche Jai, che era stato confinato nella sua camera a svolgere i suoi compiti del recupero estivo.
“Perché ridete? Voglio ridere anche io!”
Mi avvicinai a lui, e lo acchiappai, mettendomelo in braccio.
“John verrà qui, a casa nostra – lo informai, scoccandogli un bacio sulla guancia paffuta – sei contento?”
“Sì! – urlò, battendo le piccole mani – e perché?”
“Mangeremo tutti insieme, con papà, Maribel, John e anche Sabine – dissi – e Maribel farà anche la torta al cioccolato, quella che piace a te, non è vero Maribel?”
“Ma certo che sì! – confermò, sorridendo a più non posso – questo ed altro per la scimmietta di casa!”
“Ehi! Io non sono una scimmietta!” s’indignò Jai.
“Oh, ho detto scimmietta? – finse Maribel, scherzando – beh, volevo dire ometto!”
Scoppiammo a ridere, tutti e tre insieme, e sembrò quasi che in quella casa regnasse un po’ di normalità in più. E, torno a ripeterlo, era solo merito loro.
“Possiamo invitare anche Luke?”
Strabuzzai gli occhi, colta di sorpresa. Lasciai che Jai scendesse dalle mie braccia, e mi diressi verso la cucina, per evitare le domande di Maribel.
“Signorina – ma fu tutto inutile – dove credi di andare?”
Mi voltai lentamente, colpevole, mentre lei mi guardava con quei suoi occhioni enormi e le braccia conserte.
“Beh? – sbottai – che c’è? Non ho ancora pranzato, okay? Stavo semplicemente andando a mangiare qualcosa!”
“Mh – mh – continuò lei, con quella sua espressione furba di una che ha capito tutto – e ti è improvvisamente venuta fame proprio ora, non è vero?”
Sbuffai, arrendendomi alle pressioni di Maribel.
“Allora? Ci può venire Luke?” continuò Jai ad insistere.
Io lo guardai, senza dire nulla.
“Si può sapere chi sarebbe questo Luke? – mi chiese Maribel – e perché Jai ne è già così follemente innamorato?”
“Lo sai che lui si innamorata di chiunque – dissi, con un movimento della mano, come a liquidarla in fretta – Luke non è nessuno”
“E perché Jai vuole che questo nessuno venga a cena da noi?” continuò, decisa ad ottenere una spiegazione.
Così io sbuffai, sfinita e con le guance in fiamme.
“Okay, d’accordo, tregua” implorai.
“Piccolo fiore, perché sei arrossita?”
Jai scoppiò a ridere, indicandomi.
“Jenelle è arrossita! Jenelle è arrossita!” mi ridicolizzò, quel nano.
“Dì un po’ – cominciai, autoritaria – hai finito i tuoi compiti?”
Jai scosse la testa, immediatamente zittito.
“E sai cosa succede a chi non finisce i propri compiti?”
“Niente ghiacciolo!” urlò, mentre stava già correndo verso la sua camera.
Così rimanemmo solo io e Maribel. Mi fiondai sul divano, afferrando il telecomando del nostro mega televisore a schermo piatto, e stesi le gambe coperte da leggere calze nere.
“Oh no, non se ne parla neanche! – disse Maribel, rubandomi il telecomando dalle mani – adesso tu mi racconti per filo e per segno di questo Luke – si sedette affianco a me – e levati le scarpe, l’ho appena lavato il divano”
Sbuffai, scalciando le Dr. Martens sul pavimento.
“Luke è il fratello di Jj, un mio compagno di corso del liceo, tutto qui”
“Ma certo, tutto qui  - riprese lei – non mi pare che Jai conosca nessun tuo compagno del liceo, figurarsi i loro fratelli”
“Ieri è venuto a prendermi, mentre io e Jai stavamo tornado dai giardinetti, con Zayn e Louis – spiegai – mi ha fatto una sorpresa, e Jai se ne è subito innamorato”
“E tu?”
“Io cosa?”
“Ti piace, questo Luke?”
La guardai intensamente, ragionando sulle sue semplici parole, per poi scuotere decisa la testa.
“Io ho Dan, giusto?”
Lei annuì, malinconica, prendendo ad accarezzarmi una gamba.
“Giusto”.
 
 
 
 
“Ehi, amico, dì un po’, hai intenzione di fumartela tutto da solo?”
Zayn era più scontroso del solito, quel giorno, ed il che era tutto dire. Louis passò svogliato la canna al suo braccio destro, che la accolse come una liberazione.
“Che succede a Malik? – chiesi rivolta a Louis, come se Zayn non fosse lì con noi – sindrome premestruale?” scherzai, scatenando le sue risate.
Eravamo a Southwark, seduti sull’asfalto di uno dei tanti lunghi marciapiedi. Joy ed un gruppo di ragazzi se ne stavano in piedi, con la schiena appoggiata al muro decadente di uno dei tanti edifici di Southwark. Mi stava simpatico Joy Finnegan, anche se si atteggiava a grand’uomo solo per il “lavoro” che faceva, lo apprezzavo molto, mi faceva ridere, il più delle volte. E poi era davvero figo.
“Simpatica, davvero” berciò Zayn.
Sbuffai, stendendo le gambe. Buttai la testa all’indietro, godendomi il sole dei mesi estivi di New York.
“Che hai, Zayn? – gli chiesi, voltandomi verso di lui e socchiudendo l’occhio destro, per la troppa luce – sei più stronzo del solito, oggi”
“Probabilmente dovrò rimandare la mia partenza per Londra – mi mise al corrente, prendendo un lungo tiro dalla sua canna, che stringeva possessivamente tra indice e pollice – mio padre ha ancora bisogno di una mano, in officina, e finché le cose non saranno totalmente a posto, bye bye Londra”
Il signor Malik aveva un’officina lì a Southwark, dove abitavano Louis e Zayn, e nell’ultimo periodo avevano avuto qualche problema economico, così anche il mio amico faceva la sua parte, nell’impresa di famiglia.
“Lo aiuterò io – intervenne Louis, accendendosi una sigaretta – un paio di mani in più non faranno male di certo, anzi, velocizzeranno solo le cose”
“Non ne se ne parla – tossicchiò Zayn – non voglio coinvolgerti, è un problema della mia famiglia, e per questo me ne occuperò solo e solamente io, intesi?”
Louis roteò gli occhi al cielo, così Zayn puntò i suoi su di me.
“Perché guardi me? – chiesi, alzando le mani in segno di resa – non ho nessuna intenzione di sporcarmi le mani di olio ed avere a che fare con tutta quella robaccia”
Zayn ridacchiò, finalmente, ammazzando la canna e lanciando il mozzicone da qualche parte, lontano da noi.
“Scusa tanto, principessina” scherzò.
Louis passò la mezza sigaretta a Zayn, mentre io annegavo ancora una volta in quella giornata, nei miei pensieri targati Luke Hemmings. Lo vedevo di più nei miei pensieri, che nella vita reale.
“Beh? – mi riscosse poi Lou – cos’è quella faccia? A che stai pensando?”
“A come farò una volta che voi sarete partiti per Londra, a cosa se no?”
“La verità” pretese, Louis.
Così io sbuffai, e Zayn mi strattonò per un braccio, facendo sì che appoggiassi la schiena sul suo petto, stendendomi tra le sue gambe.
“Avanti, principessina, a cosa dobbiamo quella stupida espressione da ragazzina innamorata?”
Gli tirai un colpo sul ginocchio, a cui lui reagì con una risata.
“Non chiamarmi così”
“E perché mai?”
“È come mi chiama Luke” ammisi, giocherellando con una ciocca dei miei capelli, evitando lo sguardo di Louis, che mi stava seduto davanti.
Zayn si raddrizzò con un movimento brusco, facendomi scostare di conseguenza da lui.
“Ehi! – sbottai – fai piano, mi hai fatto male!”
“Frena, bimba – disse, scuotendo la testa, confuso – manda indietro il nastro e ripeti quello che hai detto”
Che palle, pensai.
Sbuffai per l’ennesima volta, sfoderando il mio sguardo dolce ed innocente migliore, da utilizzare con Lou.
“Non guardarmi così, piccola – si difese, alzando le mani come a chiedermi scusa – sai che io posso soltanto esserne felice, è Malik, quello complicato”
“Complicato?! – ripetè Zayn, scioccato – spero tu stia scherzando Tomlinson, e tu, Jen, spero non intendessi Hemmings, con quella tua stupida frase da liceale con una cotta”
“Si può sapere che ti ha fatto?”
“Non è quello che mi ha fatto – mise in chiaro – è quello che farà”
“Ti dispiacerebbe essere più chiaro?” stavo per perdere la pazienza.
“Come preferisci – si strinse nelle spalle – quando dopo averti portata a letto ti scaricherà, non venire ad implorarmi di non riempirlo di pugni, intesi?”
“Datti una calmata, Zayn” intervenne Louis.
Io divenni rossa in viso, e nera di rabbia. Mi alzai di scatto, ed il vestito giallo che portavo svolazzò solo un po’.
“Stammi bene a sentire, razza di stronzo..”
Stavo per cominciare la mia invettiva contro Zayn, con tanto di dito puntato sul suo petto, dato che si erano alzati anche lui e Louis, quando una voce ormai troppo familiare si frappose tra me ed il malcapitato che stava per subire la mia ira funesta.
“Jenelle?”
Mi voltai di scatto, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Luke.. - sussurrai a mezza bocca – che ci fai qui?”
Mi portai una mano al fianco, rivolgendogli la stessa domanda che ero solita porgli, ogni volta che lo vedessi da qualche parte.
“Stavolta dovrei chiedertelo io, non credi?” domandò, retoricamente, avvicinandosi un po’ a me.
“Forse” concessi.
Guardai Luke esibire un mezzo sorriso, mentre si mordeva l’anellino nero al labbro. Sarei rimasta così per infinite ore, se qualcuno non si fosse chiarito teatralmente la voce.
Ci mancò poco che pestai un piede per terra, per l’irritazione. Mi voltai nuovamente nella direzione dei miei amici, fulminando Zayn, con la mascella contratta.
“Ciao Luke – lo salutò Louis, il più pacifico, grazie a Dio – anche tu qui?”
“Joy è il migliore, no?” chiese, ancora una volta retorico, con una risata sulla bocca.
Louis rise a sua volta, annuendo.
“Ovviamente”
E Zayn Malik avrebbe mai potuto perdere l’occasione di rovinare la calma che regnava tra quei due? Figurarsi, certo che no.  Era come se Louis e Zayn fossero lo sbirro buono e quello cattivo, ed io odiavo a morte, lo sbirro cattivo, sempre.
“E credi davvero che Jen si meriti di passare il suo tempo in compagnia di un patito della ganja come te?” si mise in mezzo, autoritario, con le braccia conserte.
Mi voltai lentamente verso Zayn, innalzando stranita un sopracciglio.
“Patito della ganja?” domandai, indecisa se scoppiare a ridere o prenderlo a pugni.
Luke si strinse nelle spalle, tranquillo, sembrava non cedere alle continue provocazioni di Malik.
“Siamo qui entrambi per lo stesso motivo, no?”
Ma io continuavo ad essere scandalizzata per ciò che aveva appena detto Zayn.
“Patito della ganja?”
Zayn mi guardò, sbuffando.
“Va’ avanti, bimba”
Scossi la testa, arresa, dopodiché Joy si avvicinò a noi, con uno snapback nero ed una collana d’oro che cadeva al centro del collo.
“Bella Hemmings – lo salutò, con un pugno bro – tieni, e dì ad Ashton che c’è una sorpresa per lui”
Luke gli fece un cenno col capo, ritirando ciò che gli spettava. Doveva essere un cliente molto affezionato, quasi quanto Louis e Zayn. Fantastico, ero circondata da “patiti della ganja”.
E ritornammo tutti e quattro appassionatamente, a fissarci.
“Beh?” sbottai io, per interrompere il silenzio.
“Beh, adesso ti accompagnamo a casa” fece, Zayn.
Roteai gli occhi al cielo, mentre Lou si accendeva una sigaretta, e Luke lo imitava.
“In realtà – s’intromise proprio lui, ringraziando Louis con un cenno del capo, per avergli appena acceso la sigaretta – pensavo che io e te, Jen, avremmo potuto fare due passi, che ne dici?”
“Jenelle passa, grazie mille, a mai più” rispose Zayn, al posto mio, cercando di prendermi per mano e trascinarmi via.
“Malik, piantala” disse ancora una volta Louis, calmo, come un padre assillato dal proprio figlio petulante.
Mi scrollai il braccio di Zayn di dosso, sorridendo poi impercettibilmente a Luke.
“Mi piacerebbe”.
 
 
 
 
 
“Zayn deve odiarmi molto”
Cominciò Luke, mentre camminava con le mani nelle tasche dei suoi skinny jeans neri, lungo le vie colorate e trafficate di Brooklyn.
“Non fare caso a lui” lo rassicurai.
“Gli piaci?” mi chiese, guardandomi di sottecchi.
“Che? – domandai, stranita – no, assolutamente no – negai, scuotendo la testa – Zayn ha solo il complesso del padre protettivo, nei miei confronti”
“Nei sei sicura al 100 %? – cercò conferma in ciò che avevo detto – non ho voglia di prendermi un pugno da quel tipo, detto sinceramente”
Aggrottai le sopracciglia, domandandomi perché gli importasse così tanto ciò che c’era tra me e Zayn. Comunque annuii, convinta.
“Sì, io e Zayn siamo solo amici, completamente”
Annuì anche lui, recependo ciò che avevo appena detto.
“Piuttosto – iniziai, per cambiare discorso – dov’è il tuo skate? Luke Hemmings senza skate è un po’ come mio padre senza il “The wall street journal” sotto il braccio”
Luke scoppiò a ridere, voltando lo sguardo verso di me.
“Allora ti piace, il mio skate”
“Mi ci stavo abituando”
Lui annuì, passandosi la lingua sul piercing. Perché doveva fare così? E perché io non potevo evitare di ammirarlo, in ogni suo minimo movimento?
“Vai spesso da Joy?” mi domandò poi.
“Se ci vado è per stare un po’ con Zayn e Louis, loro sì che sono dei veri patiti della ganja” spiegai, prendendo in giro il mio migliore amico.
Luke rise ancora.
“E tu? Credevo di averne abbastanza di drogati, intorno”
“Drogati? – mi domandò lui, scettico – principessa, la cannabis è la quinta essenza del paradiso, non puoi davvero considerarla droga, andiamo..” tentò di convincermi lui.
Alzai scettica un sopracciglio, ma prima che potessi dire qualsiasi cosa, Luke mi afferrò la mano, intrecciando le sue dita alle mie. Cercai di non dare a vedere che quel contatto mi aveva fatto perdere più di qualche semplice battito, invano, forse.
“Ehi, piccioncini..” ci accolse Michael, sdraiato al contrario sul divano, con le gambe in su.
“È arrivata la droga!” urlò Cal, palesandosi nel suo garage.
“Che cazzo urli, decerebrato? – lo aggredì Ashton – il tuo vicino fa parte dell’antidroga, non voglio guai”
Calum roteò gli occhi al cielo.
“È solo erba” si giustificò.
“Dirai questo, davanti al giudice?” continuò, Ash.
“Datti una calmata, Irwin – intervenne Luke, lasciando la mia mano e consegnando il pacchetto proprio a quest’ultimo – Joy ha una sorpresa per te”
“Dev’essere il fumo” proclamò, contento.
“Questo è il secondo modo per rendere felice Ashton Irwin” si intromise Michael.
“E qual è il primo?” chiesi io, curiosa.
“Ma come, Jenny, mi deludi così? – mi chiese Mike, scherzando – inginocchiarsi davanti a lui in un bagno pubblico, no?”
Scoppiarono tutti quanti a ridere, tranne Ashton, che lo mandò malamente affanculo, con il terzo dito.
“Beh, non ci penso nemmeno – disse Luke – posso andare da Joy a procurargli il fumo tutte le volte che vuole, ma per la seconda, passo volentieri”
Ashton gli sorrise sarcastico.
“Peccato, Hemmings – fece, fingendo dispiacere – pensare che ho sempre desiderato, una sveltina insieme a te in un sudicio bagno pubblico”
Luke fece schioccare le lingua, in un modo davvero sexy. Scossi la testa, incredula del fatto che sapessi davvero elaborare pensieri idioti come quello.
“Tutto bene?”
Dopodichè, Luke avvicinò di molto il viso al mio, ed ancora una volta, smisi di vedere Michael che lentamente tornava alla sua postazione, Calum che faceva su una canna ed Ashton che accordava gli strumenti.
C’erano solo i suoi occhi, profondi, come gli abissi, quelli dell’oceano.
“Mi piacciono i tuoi amici - annuii, sorridendo, convinta – mi fanno ridere”
Luke mi sorrise, ed era così bella quella sua espressione compiaciuta, felice di aver fatto qualcosa di buono, per me, Jenelle Stratford, la musona di Wall Street.
 “Ehi? Ragazzi? C’è nessuno?”
Una voce femminile s’infiltrò in quel groviglio di risate ed accordi di batteria, da parte di Ashton.  Dopodiché la vidi: sulle scale c’era una bellissima ragazza bionda, alta e magra. Io non avevo mai avuto un’amica femmina, neanche alle elementari, o all’asilo, le ragazze mi avevano sempre snobbata. Solo al liceo, qualcuna si era avvicinata a me, ma con il solo intento di arrivare a Louis o Zayn.
“Amore, ehi, siamo qui”
Vidi Calum avvicinarsi alla spilungona bionda, ma comunque più bassa di lui. Si scambiarono un tenero bacio sulle labbra, e quando vidi Ashton roteare gli occhi al cielo, mi sfuggì una risata.
Ed evidentemente attirai la sua attenzione.
“Già, va’ a farti fottere, Irwin” disse, lei.
Ashton non la degnò neanche di uno sguardo, ed a giudicare da quello che avevo sentito dirgli su di lei l’ultima volta che ero stata lì, non dovevano avere un gran bel rapporto.
“Ciao, Cherrie, come stai?” la salutò Michael.
“Bene Mike, grazie” gli sorrise, lei.
Era molto dolce, ed aveva una voce molto bassa e leggera. La guardai avvicinarsi a me, con le sue gambe lunghe, e provai un moto di invidia.
“Piacere, sono Cherrie, la ragazza di Calum – mi tese la mano, guardando poi Luke in piedi di fianco a me  - e tu devi essere Jenelle, la nuova ragazza di Luke, ho sentito molto parlare di te!”
Strabuzzai gli occhi, voltandomi verso Luke.
“Io non ne so nulla” disse, mantenendo comunque il suo sorrisino compiaciuto e strafottente.
Scossi la testa, stringendo la mano di Cherrie.
“Piacere – cominciai – sì sono Jenelle, e no, non sono la nuova ragazza di Luke”
Sentii Luke soffocare una risatina, forse ironica, ma non ci diedi molto peso.
“Oh, mi dispiace, credevo che..”
“No – la interruppi io, prima che la cosa diventasse ancora più imbarazzante – siamo solo amici”.
Ed intervenne anche Luke.
“Già, solo amici”.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

sounds good feels good!
buonasera/giorno/notte/mattina/pomeriggio/boh a tutte, donne!
inizio col dirvi che hi la febbre e sto male, quindi non so come si svolgerà questo spazio autrice.
allora, just friends, il titolo è già tutto un programma. cosa pensate dell'ultima frase di Lukins?
E Cherrie, per ora, come vi sembra? io adoro il suo personaggio e adesso ve la prento, Cherrie è questa splendida donzella: cliccate Qui.
e nulla, che dire di più? vi ringrazio per leggere/recensire/seguire questa mia storia.
ho un nuovo progetto, in realtà ho due nuovi progetti: uno è una mia nuova storia su Luke e l'altro è un'altra collaborazione con Giulia, mooooolto misterioso per cui siamo davvero molto esaltate. e nulla, vi saluterei.
vi amo da impazzì e viva er romano
 
 
 
 
 
Image and video hosting by TinyPic  
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Weakness ***


quando trovate l'asterisco ascoltate se volete "Locked away" di R City e Adam Levine



 
chapter eight

weakness



 
“Che idea del cazzo, Jen”
Odiavo Jonathan Benjamin Stratford con tutta me stessa, ed avevo una voglia matta di prenderlo a sberle e disconoscerlo come fratello.
“Va’ al diavolo, John”
Ero andata a trovarlo nel pomeriggio, indossando uno dei miei più pregiati vestitini di Chanel: quello di quel giorno era nero, e l’avevo abbinato a delle Dr. Martens. Davo sempre il mio tocco di stile.
“Ehi, voi due – si intromise Sabine, arrivando nel salotto con due tazze stra colme di the caldo – che succede?”
Guardai Sabine Thomas sedersi affianco a quello che era il suo compagno di vita da ben due anni, e ad oggi, non capisco come una ragazza dolce, carina e disponibile come lei, riuscisse a convivere con un decerebrato come mio fratello.
John inarcò un sopracciglio, voltandosi nella direzione di Sabine.
“Beh? - gli chiese lei – che hai?”
“The caldo? – domandò, stranito – mi stai davvero dando del the caldo? Sei seria, Sabine? Non ce l’abbiamo tipo una birra?”
Sabine lo assassinò con lo sguardo.
“John sono le tre del pomeriggio, dannazione”
Guardai entrambi, di sottecchi, con la tazza di the tra le mani, appoggiata alle mie ginocchia.
“Scusate? Vi siete dimenticati che esisto?”
Sabine scosse la testa, rivolgendomi poi un ampio sorriso.
“Scusa, Jen – cominciò, rivolgendosi poi a Jonathan – ma tuo fratello si sta trasformando in un alcolizzato, ultimamente”
John roteò gli occhi al cielo, ed io soffocai una risata.
“Che vita interessante – commentai, sarcastica e veloce – ma il punto è, Sabine, convincerai John il guastafeste a venire a cena da noi, sabato?”
La biondona mi guardò stranita, aggrottando le sopracciglia.
“E perché mai dovrei convincerlo io?”
“Chiedilo a lui – feci, appoggiandomi allo schienale della poltrona sulla quale ero seduta – ha deciso di fare il prezioso, persino con me, sua sorella”
Feci leva sul lato sensibile del suo carattere, anche se il più delle volte sembrava essere inesistente.
“Piantala di fare la vittima, Jenelle – s’intromise, subito – lo sai che ti adoro, ma un’intera sera con papà e Daniel è troppo anche per me, non se ne parla”
Lo guardai alzarsi dal divano: portava un paio di pantaloncini sportivi e non indossava la maglietta, facendo sì che i suoi tatuaggi su braccia e petto fossero esposti alla luce del sole.
Sbuffai, guardando Sabine, cercando di farle pena il più possibile. Sempre detto io, che mi merito un cazzo di Oscar.
“Jonathan, amore – iniziò Sabine – almeno ascolta le motivazioni di tua sorella, sono sicura che se lei, proprio lei, ha avuto quest’idea della cena, un motivo ci sarà”
“Ti ringrazio, Sabine, infatti è proprio così”
John roteò per l’ennesima volta gli occhi al cielo, e gliel’avrei detto prima o poi che continuando così si sarebbe danneggiato la retina.
“Cos’è, vi state alleando contro di me, voi due? – ci accusò, accendendosi una sigaretta – al diavolo la solidarietà femminile”
Mi alzai anche io dalla poltrona, raggiungendo mio fratello alla finestra. Guardai il suo profilo, ed una boccata di fumo uscì dalle labbra piene: non ci somigliavamo per niente, io e John, lui era la copia del nostro fratellino minore.
“È per Jai”
A quelle mie parole, John si voltò immediatamente verso di me, per cercare i miei occhi.
“Ancora?”
Annuii, abbassando lo sguardo sulle piccole crepe del parquet di casa Stratford - Thomas.
“Jen.. – cominciò, incerto – non so più cosa fare”
“Passa un po’ di tempo con noi – lo supplicai – Jai ti adora e gli manchi molto, ma credo capisca la situazione, sai che è molto sveglio”
Rubai un sorriso, a quelle labbra di ghiaccio.
“Molto più di te, comunque” scherzò.
Ridacchiai, per poi tornare seria, ancora occhi negli occhi con mio fratello maggiore.
“Verrai?”
John guardò prima me, poi Sabine, trovandola a sorridergli dolcemente. Lo guardai sbuffare, per poi scompigliarmi i capelli, come quando eravamo più piccoli.
“Riuscirò mai a dirti di no?”.
 
 
 
 
 
 
Soho non era molto distante da Brooklyn, così ne approfittai per farci un salto, prima di tornare a casa, a Wall Street. Mi infilai nelle strade trafficate, respirando un po’ di estate. Avevo dimenticato le cuffie a casa, ed avevo già imprecato più e più volte. Passai davanti al Paradiso, ed un sorriso istintivo comparve sulle mie labbra. Avevo voglia di sedermi ad un tavolino del bar di Chace, con un the freddo davanti ed il mio Romeo e Giulietta tra le mani. Stavo per spingere la piccola porta di vetro, quando sentii gridare il mio nome ad alta voce.
“Jenelle! Ehi!”
Mi voltai, sentendomi una schizofrenica, dato che non vidi nessuno. Iniziai a pensare che quelle voci esistessero solo nella mia testa.
“Da questa parte!”
E finalmente vidi il possessore di quella voce squillante, o posseditrice? Esiste? Boh, comunque, era Cherrie, la fidanzata di Calum. Con la sua lunga chioma di capelli biondi ribelli e le lentiggini sul viso.
“Ciao! – la salutai, insicura su come si facesse tra ragazze – come stai?”
Cherrie mi raggiunse, con un sorriso radioso sulle labbra. Che aveva da sorridere in modo così vistoso?
“Benissimo! – esclamò, su di giri - e tu? Che ci fai dalle parti di Soho? So che stai a Wall Street, non conosco nessuno di quelle parti!”
Aveva una voce così allegra e gioiosa, quella ragazza sarebbe stata capace di distogliere un suicida dalle sue intenzioni.
“Quante cose che ti dice Calum, di me” osservai.
Lei mi guardò stranita, stringendosi un po’ nella sua maglietta extra large di una band rock che non conoscevo.
“Non me l’ha detto Cal – rettificò – è stato Luke”
“Oh..” fu questo, il mio arguto commento.
“Sei sorpresa – notò, con un sorriso furbo – come mai?”
Gesticolai, in modo davvero patetico. Al solo sentire il suo nome, il mio cervello entrava in modalità blackout.
“Non lo so, io.. – balbettai – non mi aspettavo che Luke parlasse di me”
“Hemmings? – esplose poi in una risata – Hemmings parla solo di te, tesoro!”
Non riuscii a nascondere un sorrisino compiaciuto, e Cherrie se ne accorse.
“Senti – cominciò – io stavo per andare a fare un po’ di shopping sulla Broadway, se ti va, mi piacerebbe avere un po’ di compagnia”
Guardai il suo sorriso, dipinto alla perfezione sul suo bel viso, e pensai che Calum era davvero un ragazzo fortunato, ad aver trovato una tanto bella come Cherrie. Non che Cal fosse da meno, s’intende. Anzi..
“Allora?” mi richiamò lei, dai pensieri poco consoni che stavo facendo sul suo ragazzo.
Valutai le due opzioni: entrare nel Paradiso e continuare quella mia vita da ameba asociale che conducevo da diciotto tragici anni, oppure, approfittare dell’occasione e tentare, almeno per una volta, di farmi un’amica femmina. Che non avesse 27 tatuaggi per braccio, una canna sempre tra le dita ed una spiccata passione per rimorchiare ragazzine, per esempio. Ogni riferimento a Zayn e Louis è puramente casuale.
“Perché no?”.
 
 
 
Eravamo da American Apparel da una buona mezz’ora. Avevo sempre amato quella griffe, ma mio padre per me preferiva Chanel, Prada o Stella McCartney.
Cherrie stava provando dei deliziosi jeans chiari, strappati sulle ginocchia, come li portava il suo ragazzo ed il resto della sua band sgangherata, ma meno larghi. Ironia della sorte, Cherrie portava i pantaloni che avrebbe dovuto indossare Calum, e viceversa.
“Ho fatto milioni di regali, a Calum, qua dentro!” esclamò Cherrie, con la voce resa ovattata dal camerino.
“Gli piace molto?” mi informai, accavallando le gambe, seduta su un piccolo sgabello.
“Stai scherzando? – chiese lei, retorica – Calum e i ragazzi adorano American Apparel”
“Però – cominciai io – sai un sacco di cose, su di loro”
Beh certo idiota, mi dissi, Calum Hood, il bassista, è il suo fidanzato. Avevo bisogno di una vacanza, al più presto. Cherrie uscì dal camerino, interrompendo quei miei pensieri, facendo una piroetta su se stessa.
“Che ne pensi?” mi chiese, con un ampio sorriso.
Cherrie non aveva le sembianze di una principessa, come Luke diceva di me, ma era bella a modo suo, era particolare ed originale, quando Cherrie camminava per strada, ti giravi a guardarla, sempre, senza dubbio.
“Stai molto bene, Cherrie” le dissi, accennando un sorriso.
“Ti ringrazio, Jenelle!” fece per scomparire nuovamente nel camerino, ma dopo pochi secondo riemerse, con un vestito argentato tra le mani.
“Cos’è?”
Cherrie si morse il labbro, sorridendo sorniona.
“L’ho preso per te – fece, incerta – diciamo che mi è piaciuto da subito, ma se ti dicessi che su di me starebbe malissimo, sarei fin troppo gentile con me stessa”
Mi fece ridere, dopodichè mi alzai, raggiungendola allo specchio del camerino. Lei posò il vestito lungo e argento sulla mia figura, facendolo aderire alle mie (inesistenti) curve.
“Provalo, Jen, ti starà una bomba ne sono sicura”
Non seppi dire di no al suo sorriso, così mi ritrovai chiusa nel ristretto spazio vitale del suo stesso camerino, mentre lei parlava senza sosta di quanto fosse bello fare shopping con un’amica e dimenticarsi di tutto il resto.
Quando però uscii, Cherrie si zittì all’improvviso.
“Beh? – cominciai – faccio così schifo?”
Cherrie mi guardò come se avessi appena parlato in russo stretto.
“Schifo? Ma mi prendi in giro, Jenelle? – mi fece voltare verso lo specchio – non ho mai visto nessuno essere così sexy ed elegante allo stesso tempo, il tuo è un dono”
Le sorrisi, istintivamente, non ero abituata a sentirmi dire determinate cose.
“Non sapevo che American Apparel facesse articoli di questo tipo” ammisi.
“Oh sì, eccome, anche American Apparel ha i suoi assi nella manica” disse, facendomi l’occhiolino.
Continuai ad ammirarmi con quel vestito indosso: non ero il tipo da fissarmi ore ed ore davanti allo specchio, non ero una di quelle ragazze che meditava interi pomeriggi, su cosa indossare. Forse perché non avevo molta scelta, forse perché gli abiti di Chanel che avevo nell’armadio mi sembravano tutti uguali.
“Che ne pensi?” mi chiese Cherrie, guardandomi da sopra la mia spalla.
“Non credo di essere molto adatta per l’argento” le esternai i miei dubbi.
Lei schioccò la lingua sul palato, in disaccordo.
“Sembri una sirena”
“Una sirena?” le chiesi stranita.
“Sì! – urlò lei, convinta – le sirene sono creature bellissime e desiderabili!” mi spiegò.
Così risi, trascinandomi dietro anche lei. Mi piaceva la compagnia di Cherrie: era tremendamente dolce, divertente, vera, vivace e doveva anche essere una persona dedita ai casi sociali, dato che si apprestava a passare il pomeriggio insieme a me.
“Se lo dici tu, Cherrie” convenni, continuando ad osservarmi.
Si portò un dito alle labbra, improvvisamente dubbiosa.
“Sai già quando potresti indossarlo?”
Mi strinsi nelle spalle, ma senza neanche volerlo, mi venne in mente qualcosa che credevo non sarebbe mai nemmeno entrato nell’anticamera del mio cervello.
“Ci sarebbe il ballo di fine anno, ma è uno stupido evento – misi le mani avanti - non so..”
Era la prima volta che pensavo al ballo di fine anno come a qualcosa a cui avrei voluto partecipare. L’avevo sempre visto come una brutta copia di festa d’addio per la classe del 2014 e, non so, le farse non mi erano mai piaciute granché.
“Ma è fantastico! – Cherrie prese a battere le mani, entusiasta – e sai già con chi ci andrai?”
Mi voltai verso di lei, per guardarla in viso, portandomi le braccia conserte al petto.
“No – scossi la testa – in realtà non mi ha invitata ancora nessuno”
Lei annuì, mentre io pensavo a quanto drammatica e patetica fosse la mia situazione.
“Capisco – recepì lei – beh, so che Jj, il fratello di Luke, sarebbe più che felice di accompagnarti”
Aggrottai le sopracciglia, stranita.
“Non voglio andare al ballo con Jj!” le feci presente.
“È carino Jj, no?”
“Certo, è carino – non quanto il fratello – ma non voglio illuderlo, Luke ed i ragazzi mi hanno detto che ha questa strana ossessione per me, ed io gli voglio bene come un amico”
“Già, e poi Luke non glielo permetterebbe mai..” rimuginò.
“Come?” chiesi, confusa.
Cherrie si rianimò improvvisamente, puntando i suoi occhioni scuri nei miei, scuotendo poi freneticamente la testa e sfoggiando un sorriso perfetto.
“No, nulla, pensavo ad alta voce”
“Ah”
Cherrie sembrava ancora pensierosa, forse stava pensando al single più appetibile di New York da affibbiarmi per quella sera. Probabilmente non sapeva che, il miglior partito in circolazione, a detta di mio padre, me l’ero già accaparrato proprio io.
“Tu hai un fidanzato, giusto?” riemerse dai suoi pensieri.
“Sì – confermai, annuendo – ma è fuori discussione, Daniel non balla e tanto meno partecipa a questi eventi mondani per ragazzini”
Cherrie mi guardò sconcertata, ed anche un po’ divertita. Io liquidai la faccenda con un gesto della mano e guardando da un’altra parte.
“Lui li definisce così”
“Capisco..” disse.
“Quindi – ricapitolai – credo proprio che finirò accompagnata da due tossicomani convinti”
Il bel visino di Cherrie divenne un punto interrogativo.
“I miei migliori amici” spiegai.
“Oh! – fece lei, esibendo un sorriso divertito – almeno ti divertirai parecchio”
Stavo per risponderle che partecipare al ballo di fine anno con un vestito di quel tipo, in compagnia di Zayn e Louis che avrebbero passato tutto il tempo a fumare erba sul terrazzo della scuola e correggere il ponche con della tequila, non sarebbe stato proprio il massimo del divertimento, ma il mio iPhone vibrò, avvisandomi dell’arrivo di un messaggio.
 
05:27 PM
Luke Hemmings:
“Principessa, ti hanno rapita prima che potessi farlo io? Se così non fosse, e lo spero tanto, mi raggiungi al garage di Calum? Ho una cosa da farti sentire”.
 
Un sorriso idiota mi si dipinse sul volto. Avevo anche smesso di maledirmi, ormai non riuscivo più a controllare né i muscoli della mia faccia, né tanto meno i miei pensieri.
“Jen?”
La voce di Cherrie mi fece sussultare, e quasi mi cadde il telefono per terra.
“Cavolo Cher, mi hai fatto venire un infarto!”
“Rilassati – mi consigliò, ridendo appena – chi è che con un solo messaggio riesce ad estraniarti dal mondo?”
“Luke” risposi, incolore.
“Oh – si sorprese un po’ – e che vuole, Hemmings?”
“Dice di raggiungerlo al garage di Cal – raccontai – forse una nuova canzone della band”
Cherrie mi guardò stranita, scuotendo poi la testa, decisa.
“Ma Cal e gli altri sono a casa di Mike e Luke, non al garage”
Aggrottai le sopracciglia, confusa. Perché Luke voleva che andassi al garage di Calum per farmi sentire una cosa, se il resto della band non era lì?
 
 
 
 
Raggiunsi Brooklyn con un taxi, che pagai 13 dollari esatti. Mio padre mi avrebbe ucciso, se avesse saputo che prendevo ancora i mezzi pubblici, dal momento in cui avevo una Limousine tutta per me. Se avesse saputo che me ne andavo in giro sullo skateboard malandato di un rocker di Brooklyn, probabilmente mi avrebbe disconosciuta come figlia. O forse già per il fatto che me ne andassi in giro per Brooklyn.
Scossi le spalle, liberandomi di quei pensieri e mi avvicinai all’entrata del garage di Calum Hood. Entrai lentamente, godendomi poi lo scenario che vidi davanti ai miei occhi: Luke era seduto sul divano in pelle marrone, con le gambe fasciate da skinny jeans neri appoggiate ad un tavolino in vetro davanti a lui ed una maglia a mezze maniche bordeaux, semplice. Stava giocando con il labret, ed aveva la sua chitarra poggiata sulle gambe. Inclinai la testa, osservando le sue dita accarezzarne le corde, rimasi incantata da quell’immagine così pacifica e tremendamente affascinante.
“Jen – fece poi lui – sei qui”
Sorrisi, guardandolo alzarsi dal divano e poggiare la chitarra accuratamente al muro. Si avvicinò a me, azzardando un sorriso, anche lui.
“Beh? – cominciai io – perché mi hai fatta venire qui se gli altri non ci sono? Come fai a farmi sentire quella famosa cosa di cui mi hai scritto?”
Manifestai tutta la mia confusione, e lui ne rise, ovviamente.
“Quante domande”
“È solo che non capisco”
“Ho interrotto qualcosa di importante?”
“No – non avrebbe mai interrotto niente, lui – stavo facendo shopping con Cherrie”
Luke inarcò un sopracciglio, improvvisamente confuso.
“Tu? – chiese, retoricamente, indicandomi - tu, Jenelle Stratford, stavi facendo shopping con Cherrie Williams? Sto sognando? Se lo sapesse Ash, gli cadrebbe un mito”
“Ehi! – m’indignai, colpendolo su una spalla – Ashton può andare a farsi fottere, Cherrie è una ragazza meravigliosa” la difesi.
Luke mi mostrò un mezzo sorriso, ed io mi sforzai per non imbambolarmi.
“Ho una nuova canzone” proclamò.
“Fantastico – ne gioii io – posso sentirla?”
Lui annuì, tornando a prendere la sua chitarra, che aveva definito l’amore della sua vita, una delle prime volte in cui ci eravamo incontrati.
“Ho pochi accordi – mi avvisò, mentre si passava una mano tra i capelli e si sedeva su un alto sgabello nero davanti all’asta del microfono – ed una sola strofa, che però voglio farti ascoltare”
“Ne sono onorata, Hemmings” lo presi in giro.
Osservai ammirata il suo modo di sorridermi, guardando in basso, mentre accordava lo strumento.
“Pronta?”
“Quando lo sei tu”
Luke si schiarì la voce, sistemò il microfono davanti alla sua bocca, ed attaccò.
Quando suonava, Luke, era rilassato, molto più di quanto non lo fosse normalmente. Smetteva di giocare freneticamente con il suo piercing e si lasciava totalmente trasportare dalla musica, senza preoccuparsi di altro. Il suo sguardo, che mi rivolgeva mentre cantava, e le parole che aveva scritto, mi facevano sorridere, insieme a lui.
*“Allora?” mi chiese, una volta concluso.
Mi strinsi nelle spalle, sorridendo a più non posso.
“È bella Luke, mi piace”
Sorrise anche lui, alzandosi dallo sgabello e riponendo la chitarra al suo posto.
“Sono contento”
“Perché proprio io?”
Fu una domanda che mi uscì di riflesso, una di quelle cose che dici senza neanche pensarci. Luke mi guardò a lungo, senza dire una parola. Dopodiché si mosse verso la sua giacca di pelle nera, appesa alla batteria di Ashton, che se lo avesse saputo probabilmente un pugno non glielo avrebbe tolto nessuno, e ne estrasse dalla tasca sinistra un pacchetto di Marlboro.
“Ne vuoi una?”
“No – rifiutai – non fumo”
“Peccato”
“Vuoi che muoia?”
“Le sigarette hanno il potere di rilassarti – spiegò mentre si sedeva a terra, con la schiena appoggiata al muro – e chi più di te ne avrebbe bisogno?”
“T’ignoro”
Luke rise, e battè un colpo con la mano sul posto vuoto affianco a sé.
“Vieni qui” m’invito.
Mossi qualche passo nella sua direzione, sedendomi poi esattamente dove mi aveva indicato lui.
“Tutti moriremo un giorno”
Voltai il viso nella sua direzione, inarcando un sopracciglio, mentre lui increspava le labbra in un sorrisetto già vagamente divertito.
“Questa vena da pessimista cronico ti aiuta nella stesura dei tuoi testi?”
Luke si strinse nelle spalle.
“A volte”
Nessuno dei due aveva intenzione di distogliere lo sguardo dagli occhi dell’altro.
“Mi rispondi, ora?”
Indugiò qualche secondo, per poi annuire.
“Ho iniziato a scrivere questa canzone il primo giorno che ti ho vista” confessò.
Strabuzzai gli occhi, e lui non riuscì a nascondere una mezza risata.
“Alla cerimonia del diploma?”
Annuì, ancora, tirando con i denti il labret. Distolse per un secondo lo sguardo, mentre prendeva una boccata profonda di fumo dalla sua sigaretta.
“Portavi dei tacchi su cui non sapevi camminare, e mentre ti osservavo da lontano, per evitare Kyle, eri davvero divertente”
Non sapevo se offendermi per l’insulto, spaventarmi per la sua attitudine da stalker o restare lusingata, dal fatto che mi avesse osservata, quel giorno.
“Mi guardavi?”
“Non potevo non farlo, con quel rossetto rosso che avevi sulle labbra”
Sorrisi, distogliendo imbarazzata lo sguardo dai suoi occhi così tanto azzurri da mettermi soggezione. Lui abbozzò una risata, invece.
“Come pensi di chiamarla?”
Lui si strinse nelle spalle, senza sapere cosa dire.
“Non saprei proprio, sinceramente – confessò – tu hai qualche idea?”
Ci pensai su, mentre sentivo il suo sguardo addosso.
“You’re just a little bit out of my limit.. – canticchiai, mentre lui sorrideva – che ne pensi?”
Incontrai i suoi occhi, voltandomi.
“Out of my limit?”
Annuii, aspettando una risposta dal front man della band.
“Potrebbe andare?”
“Aggiudicato”
Mi sentii immediatamente soddisfatta.
“Vuoi un tiro?” mi chiese poi, avvicinandomi la sigaretta al viso.
Guardai lui, poi la Marlboro che stringeva tra pollice e indice, poi ancora lui.
“Non ti sto offrendo un’arma nucleare, Jen”
Sbuffai, afferrando con forza la sigaretta. La avvicinai alle labbra, incerta.
“Così?”
“Ah – ah” assentì lui.
Aspirai lungamente, ed al momento di buttare fuori il fumo, temetti di morire in quel preciso istante. Tossii per almeno due minuti buoni, sopra le risate di Luke, ed i suoi colpi sulla schiena.
“Omicida! – lo accusai – stavi per uccidermi!”
Praticamente gli lanciai la sigaretta addosso, ma lui non smise comunque di ridere.
“Adesso calmati – mi consigliò, mentre io incrociavo le braccia al petto, come una bimba capricciosa ed arrabbiata – la prima volta è normale, migliorerai col tempo”
“Tempo? – gli chiesi, retorica – non proverò mai più quella roba”
Luke scoppiò in una risata vivace, buttando la testa all’indietro, riuscendo a portarsi dietro anche me. Ma quella magia venne interrotta dal suo iPhone, che squillò all’improvviso. Lo guardai sbuffare, una volta letto “Kyle” sul display, e poi rispondere.
“Che c’è? – attaccò – no, non lo so, no Kyle – passò qualche lungo secondo in silenzio, ad ascoltare - non dire niente a mia madre, ci parlerò io dopo – scattò, con le spalle in avanti - fai un po’ come ti pare” concluse poi, chiudendo la chiamata.
Non dissi nulla, lo osservai solamente appoggiare la testa al muro, esasperato, socchiudendo piano gli occhi e torturandosi il labret.
“Ehi? – lo richiamai – tutto bene?”
Sembrò ricordarsi della mia presenza, quando alzò la testa, voltandosi poi verso di me. Finse un sorriso, ma non annuì, perché era chiaro: non andava tutto bene.
“Era Kyle – spiegò – il padre di Jj”
“Sì, l’avevo capito”
Luke accinse nuovamente al suo pacchetto di Marlboro, accendendosi avidamente un’altra sigaretta. Guardarlo fumare era un passatempo estremamente controproducente per le solite farfalle che avevano affittato un monolocale nel mio stomaco.
“Crede di potersi comportare come se fosse mio padre – continuò – ma non lo è e non lo sarà mai, ma credo proprio che non abbia intenzione di capirlo”
Lo guardai, mentre fumava a capo chino. Avevo voglia di accarezzargli una guancia, e dirgli che sarebbe andato tutto bene, ma che potere ne avevo io?
“Qual è il vero problema tra di voi?” azzardai.
Lui scosse la testa, continuando a non guardarmi.
“Kyle è un perfezionista ed io, evidentemente, tutto il contrario – cominciò a spiegare – ma non ho voglia di raccontarti queste cose”
“Perché? – gli chiesi, sinceramente – ti potrebbe fare solo bene, parlarmene”
Non ero mai stata così con qualcuno, ma per Luke sentivo davvero il bisogno di esserci. Gli toccai un ginocchio, per fargli capire che io ero lì, per davvero. E lui alzò lo sguardo nei miei occhi, mordendosi ancora una volta il suo lip piercing.
“Voglio essere io, quello forte dei due – disse, colpendomi – non voglio mostrarti la mia debolezza, voglio che tu ti senta al sicuro, almeno insieme a me”
Sfoderai il sorriso più sincero di tutta la mia vita, lì, con Luke, seduti per terra nel garage di Calum.
“Mostramela”
Lo guardai indugiare per un minuto, dopodiché fece un cenno col capo, decidendo di lasciarsi andare, con me.
“Quando mio padre è morto, tre anni fa, credevo che mia madre non si sarebbe mai risposata – raccontò, gesticolando più del dovuto – e invece, cinque mesi dopo, ecco Kyle alla porta di casa nostra”
“Come andavano all’inizio le cose tra di voi?”
“Lui cercava di farsi accettare, era un continuo volermi comprare, ed io non facevo altro che odiarlo maggiormente”
“Posso capirti”
Lui annuì, spegnendo la sua terza sigaretta nel posacenere affianco alle sue gambe.
“Mi ha anche regalato quella – disse, indicando la sua chitarra – forse l’unica cosa buona che ha fatto nella sua vita”
Abbozzai una risata, nonostante tutto, osservando il profilo della sua mascella contrarsi, mentre parlava.
“E poi?”
“E poi hanno annunciato il loro matrimonio, lui e Jj si sono trasferiti a casa nostra e, quando Kyle ha trovato un pacchetto di sigarette nella tasca del suo zaino – fece una pausa, per guardarmi – indovina di chi è stata la colpa?”
“Tua”
“Già – confermò – da quel momento in poi è stata una lotta continua, non mi farò mai trattare come un figlio, da lui – disse, convinto – Kyle non è mio padre, nemmeno lontanamente”
Appoggiai la testa sulla sua spalla, in un gesto meccanico.
“Per questo ti sei trasferito da Michael?” gli chiesi.
“Sì”
“Capisco”
“Non volevo annoiarti”
“Non l’hai fatto”
Luke inclinò la testa, appoggiando poi delicatamente la guancia ai miei capelli.
“Grazie”

“Quando vuoi”.
 
 
 
 


 
sounds good feels good!
ciao bimbe! come state? io sono reduce da ogni malanno di questa terra, ma sempre bene.
premetto dicendo che l'ultima parte del capitolo, è una delle mie scene preferite in assoluto. spero di aver reso l'idea.
e spero quindi che vi sia piaciuto, se viva, come sempre, vi chiedo di lasciarmi un parere, così per sapere cosa ne pensate.
io sono molto molto arrabbiata perchè avrei voluto che GionnyScandal entrasse ad Amici, ma okay, non c'entra un cazzo. però dovevo dirvelo, perchè dai cazzo, a me è sempre piaciuto e lo adoro. ma chiudo qui ahahahah scusate.
e nulla, BENJI E GIULIA SONO LA MIA NUOVA OTP IN ASSOLUTO.
un abbraccio grande da me, Benji, Giulia, Genn e NOLO. vi amiamo.
p.s: passate dalla mia nuova storia "21 grammi" dai dai dai vi amo da matti 

   
 
 
 
 
Image and video hosting by TinyPic Image and video hosting by TinyPic Image and video hosting by TinyPic  
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** E resto, te lo giuro ***


quando trovate l'asterisco ascoltate se volete "Human" di Cher Lloyd



 
chapter nine

e resto, te lo giuro

 


Ultimamente mi capitava di svegliarmi meglio, la mattina. Nei mesi precedenti, ogni piccola cosa, riusciva a mandarmi fuori di testa: ero irritabile, annoiata, scontrosa e non avevo voglia di fare nulla, non parlavo con nessuno, esistevano solo i miei libri.
Molto spesso mi ero ritrovata a chiedermi in seguito a che cosa, fossi riuscita a sentirmi così bene, così rinata, così in pace con me stessa ed il resto del mondo. E tutte le volte, riuscivo a rispondermi con un solo nome.
“Jenny! – la voce di Jai arrivò forte e chiara alle mie orecchie – John viene domani?”
Sorrisi al mio fratellino, portandomi i capelli sulla spalla destra.
“Certo, solo per te” lo misi al corrente.
Se John avesse visto il sorriso di Jai in quel momento, sono sicura che avrebbe pensato che decidendo di partecipare a quella cena, aveva senza ombra di dubbio preso la decisione giusta.
Lo guardai, seduto al tavolo della grande sala, con il suo libro degli esercizi di matematica davanti agli occhi. Mi sedetti affianco a lui, accarezzandogli dolcemente i capelli.
“Che ne dici di una KinderPausa?”
La KinderPausa era una cosa inventata dai fratelli Stratford al completo, quando ancora Jonathan viveva a Wall Street con noi. Gli occhi di Jai si illuminarono.
“Sì!” urlò, balzando giù dalla sedia.
Così lo seguii.
“Ehi, scimmietta, fai piano – dissi, notando un suo mancato scivolone sul pavimento lucido – ti voglio tutto intero domani, sarà la tua serata, e di nessun altro”
Lo presi in braccio, per avvicinarlo al mobile che conteneva la nostra scorta infinita di Kinder: kinder cereali, kinder bueno, kinder cioccolato.
“Quale vuoi?” gli chiesi.
“Mmmm – Jai ci pensò a lungo – kinder bueno!” e poi prese la sua decisione sofferta.
“Vada per il kinder bueno”
Ne afferrai due e posai il mio fratellino a terra. Nel voltarci per tornare in sala, incontrammo la figura di Maribel.
“Ehi, voi due! – ci riprese bonariamente – chi vi ha dato il permesso di ingozzarvi di cioccolato?”
“Ce lo siamo dati da soli” la informò Jai, leccando un po’ di crema.
Io ridacchiai, mentre Maribel mi guardava, intensamente.
“Che c’è? – chiesi, stranita ed anche un po’ divertita – mi stai facendo la radiografia, Mari?”
“Non lo so, piccolo fiore – iniziò lei, indagatoria – mi sembri diversa, c’è qualcosa in te..”
“Che cosa?”
Divenni improvvisamente nervosa, così divorai il mio kinder bueno, riempiendomi la bocca, impedendomi così di poter rispondere alle domande di Maribel.
“Sei più tranquilla – concluse poi – sei felice”
“E tu no?” le chiesi, di rimando.
“Certo, vederti così è una gioia – ammise – ma da un momento all’altro, questo cambiamento repentino di umore, sai, mi sembra un po’ strano”
Mi strinsi nella giacca di jeans che indossavo, aspettando che cambiasse argomento, perché conoscevo bene Maribel. Ma ci pensò Jai, purtroppo.
“E Luke viene domani?”
Strabuzzai gli occhi, guardando Jai come se fosse un alieno. Tentare nuovamente la fuga, sarebbe stato inutile. Rimasi inchiodata lì, cercando di non arrossire troppo, come l’ultima volta.
“Okay – fece Maribel, posando i piatti che stava maneggiando – adesso basta”
“Cosa?” domandai io, confusa.
“Venite con me”
Presi Jai per mano e, curiosa, seguii Maribel in sala.
“Sediamoci – ci invitò lei, sul divano – è da troppo tempo che sento il nome di questo Luke, adesso voglio sapere chi diavolo è”
Tirai un sospiro di sollievo.
“Sei pazza, Mari? – la accusai – mi hai spaventata a morte, pensavo dovessi annunciarci qualcosa di sconvolgente, non farlo mai più”
“Perdonami piccolo fiore – disse lei, sorridendomi – io non lo farò più, ma tu ora raccontami tutto di questo Luke”
Non ne potevo più di nasconderlo a tutti, soprattutto a Maribel. Ormai Luke Hemmings era entrato nella mia vita, ed io non avevo intenzione di mandarlo via ancora per un bel po’.
Diedi a Jai il mio iPhone, così che potesse giocare a Candy Crush, mentre io e lei parlavamo.
“Luke è, come ti dicevo l’altra volta, il fratellastro di Jj Hamblett”
“Quello innamorato di te?”
“Hai parlato con Zayn e Louis, per caso?” le chiesi, con fare indagatorio.
Lei alzò le mani in segno di resa.
“Sono stati loro a dirmelo, di loro spontanea iniziativa” si giustificò.
“Immagino” commentai io, sarcastica.
Quando Zayn e Louis venivano nel nostro attico, ovvero quando mio padre e Dan erano nel loro ufficio di Wall Street (sempre?), loro e Maribel facevano sempre salottino e vari confessionali, tra tazze di caffè e sigarette consumate in cucina.
“Beh?” mi riscosse Maribel.
Scossi la testa, concentrandomi nuovamente su Luke.
“Beh niente, Mari – dissi – Luke ed io passiamo il tempo insieme, lui ha una band, mi fa ascoltare la loro musica, siamo amici” spiegai, giocando distrattamente con un filo che fuoriusciva dalla maglietta verde di Jai.
“Solo amici?”
“Ti dimentichi così frequentemente di Daniel, Maribel?” le chiesi, retorica.
Lei sbuffò, passandosi una mano tra i capelli, per poi appoggiare il braccio allo schienale del divano. Maribel era bella, bella davvero.
“Allora è merito suo questa nuova Jenelle?”
“Sono sempre io, Mari, non c’è nessunissima nuova Jenelle”
Stavo minimizzando il suo ruolo nella mia vita, ma forse era solo un meccanismo di autodifesa, non volevo restare delusa, non da lui.
“Oh sì, invece, lasciatelo dire da una che ti conosce da tempo – mi disse, con fare materno – piccolo fiore, tu sei cambiata, sorridi molto, ascolti tanta musica, ridi, canti e balli per casa! Non avrei potuto chiedere di meglio, per te – continuò – forse dovremmo invitarlo davvero, domani sera”
“Cosa? No! – sbottai – noi non possiamo invitarlo qui, a casa nostra, per una cena di famiglia!”
“Okay, Jen, adesso calmati – tentò di tranquillizzarmi – qual è il problema? Jai ne sarebbe super contento”
Lo guardai, intento a battere il livello di Candy Crush. Mi dispiaceva non poterlo rendere ancora più felice, ma era fuori discussione, Luke non poteva assolutamente partecipare ad una cosa del genere.
“Lo so – confessai – ma non voglio che Dan e papà sappiano di lui”
Maribel stava per dirmi qualcosa, ma la porta dell’attico si aprì, mostrando proprio le ultime due persone che avevo nominato. E fu come se un velo grigio calasse su quella casa, su di me, su di noi.
“No, Steve, dobbiamo assolutamente accettare la proposta di Baley..” sentii dalla voce di Dan.
“Non lo so Dan, non ne sono sicuro al 100 % - replicò papà – voglio pensarci ancora un po’, ma grazie del tuo aiuto, come al solito, sei fondamentale per me”
Oh, che carini, non li avevo mai sentiti scambiarsi dolci parole d’amore.
“Ciao anche a voi” dissi.
“Oh, ciao amore!” mi salutò Dan, allegro.
Si avvicinò per baciarmi le labbra. Ormai ogni volta che Dan mi baciava, era inevitabile per me pensare a come sarebbero state, le labbra di Luke sulle mie.
“Ciao ragazzi - ci salutò papà, distratto, recuperando il suo iPad – Maribel, che fai sul divano? Il mio ufficio è totalmente in disordine”
Maribel scattò in piedi, ed io mi morsi la lingua, per evitare di dire qualcosa di disdicevole nei suoi confronti. Odiavo il suo modo di trattare Maribel, ma che potevo farci, io? Di sicuro non mi avrebbe dato retta.
La guardai, e lei mi restituì uno sguardo che voleva comunicarmi coraggio. Così presi un bel respiro, spostai Jai dalle mie gambe, ancora intento nel giocare con il mio telefono e mi alzai, raggiungendo mio padre.
“Ehi, papà..” lo richiamai, incerta.
“Sì, Jenelle? Che c’è?”
“Ecco, vedi  - cominciai, torturandomi la manica della mia giacca – starei organizzando una cena, per domani, qui, a casa nostra”
“Che tipo di cena? – mi chiese, alzando finalmente gli occhi nei miei – per l’amor del cielo, Jenelle, come diavolo ti sei vestita?”
Cercai di ignorare quell’ultimo commento, concentrandomi.
“Ho invitato John e Sabine – buttai lì – sto facendo qualcosa di carino per Jai, sai, si sente un po’ giù ultimamente”
“Perché dovrebbe sentirsi un po’ giù? – domandò, sorpreso – gli ho comprato il nuovo Nintendo proprio ieri”
Sorrisi, amaramente.
“Già, così ti senti a posto con la coscienza, giusto?” chiesi, ironicamente.
“D’accordo, Jen – concesse poi Steve, piuttosto che sentirmi avrebbe acconsentito anche ad una mia dipartita in Messico – facciamo come vuoi, okay?”
E sparì nel suo ufficio. Non riuscivo a capire come facesse a parlare del suo figlio più piccolo in quel modo, proprio davanti a lui.
Sentii tirarmi la manica della giacca, e quando mi voltai, incontrai il volto di Jai.
“La cena si fa?” mi domandò, speranzoso.
Gli mostrai il mio sorriso più sincero, ed annuii.
“Sì, amore, la cena si fa”.
 
 
 
 
“Capisci, Zayn? Sembra che non gl’importi nulla, di lui”
Ero seduta sul cofano di una vecchia macchina azzurra, forse presente nell’officina da tempi remoti.
“Sì capisco, bimba, ma non sfondarmi quella, d’accordo? – fece, indicando proprio la macchina su cui ero accomodata – è un pezzo di collezione, mio padre ci tiene molto”
“Ma mi stai ascoltando?” domandai, spazientita.
Lui sbuffò, comparendo dal basso di un furgone che, probabilmente stava cercando di sistemare. Comunque mi raggiunse, accendendosi una sigaretta: era parecchio sexy, in divisa da meccanico.
“Certo, oltre che lavorare come un dannato per riuscire a pagarmi la vita a Londra, riesco anche ad ascoltare le lamentele di una petulante principessa – si bloccò – oh no, scusa, principessa non ti ci posso chiamare, non è così?”
Ridacchiai, mentre lui soffiava un po’ di fumo sul mio viso.
“Sei geloso, Malik?”
Zayn si strinse nelle spalle, con un sorriso a dipingergli le labbra.
“Certo, bimba, che domande”
Lo mandai al diavolo, e mi guardai intorno.
“Dov’è Louis?”
“L’ho mandato a casa – spiegò – non voglio che butti tutte le sue giornate qui, in questa schifosa officina”
“Ti sento, Zayn!” urlò il signor Malik.
Io e Zayn ridemmo, insieme.
“Lui vuole aiutarti, Zayn” gli feci presente.
“Lo so – annuì lui, spegnendo la sua sigaretta nel posacenere – e sta facendo molto, per me”
“Come siete carini” scherzai, pizzicandogli una guancia.
“E fa’ la finita – fece lui, prendendomi la mano nella sua – piuttosto tu, che mi stavi dicendo di tuo padre e Jai?”
“Sto organizzando una cena a casa nostra, per domani sera..” cominciai, ma lui mi interruppe.
“Frena, bimba, e perché io e Tomlinson non siamo stati invitati?”
Roteai gli occhi al cielo, dondolando le gambe nel vuoto.
“Vuoi davvero replicare la cena dell’ultima volta?”
Zayn ci pensò su teatralmente, per poi scuotere la testa, convinto.
“Meglio di no – sostenne – non ho abbastanza soldi per prendere tutta l’erba di cui avrei bisogno da Joy, devo risparmiare per l’Inghilterra”
“Ecco, allora non rompere – conclusi velocemente – comunque, ho convinto John ad essere presente”
“Wow, sarà da almeno un anno che tuo fratello e Steve non passano un’intera serata insieme, sei sicura di esserci riuscita senza ricorrere a minacce di morte?”
Annuii, solennemente.
“John lo fa per Jai, e mio padre per non sentirmi petulare per ore – spiegai – Jai è molto felice, e noi con lui, certo, a Steve non sembra importare molto, come al solito..” rimuginai.
“Ehi – mi richiamò lui, sorridendomi dolcemente – Steve Stratford è uno stronzo – disse, facendomi ridere – e tu una splendida sorella maggiore, vedrai, Jai sarà il bambino più felice del mondo, domani sera”
“Lo spero tanto”
Guardai Zayn tornare sotto al furgone, ed i miei pensieri corsero dritti a Luke. Non mi stancavo mai di sorridere, pensando a lui. Non so quale strano incantesimo mi avesse fatto, ma da quando c’era lui, con me, mi sembrava di vivere una vita nuova. Anche parlare con Zayn e Louis, andare al Paradiso, litigare con mio padre, ridere con Jai, qualsiasi piccola cosa, mi sembrava diversa, da quando Luke Hemmings era magicamente entrato nella mia vita.
“E ci sarà anche il tuo nuovo principe azzurro?”
La voce di Zayn mi riscosse, ed io scivolai giù dalla macchina, avvicinandomi un po’ a lui.
“No, stronzo”
“E perché mai?”
Appoggiai le mani al furgone bianco, increspando un po’ le labbra.
“Mh, fammi pensare – finsi – forse perché il mio fidanzato e mio padre, saranno presenti?”
“Non sanno di Hemmings?”
“No – dissi ovvia – hai idea del casino? Steve non lo permetterebbe mai, e Daniel darebbe di matto, voglio evitare la tragedia ancora per un bel po’”
“Non vuoi proprio rinunciare a lui, eh?”
“Per niente al mondo”.
 
 
 
 
 
Stavo rispettando il mio appuntamento quotidiano nel garage di Calum, tutti i giorni da una settimana ormai. I ragazzi erano fantastici, non avrei potuto divertirmi di più, insieme a loro. Speravo che un giorno avrebbero potuto fare la conoscenza di Zayn e Louis.
“Buongiorno svitati fuori di testa!”
Così feci la mia entrata trionfale nella tenuta Hood.
“Ciao Jenny”
Il fatto che Cal e mio fratello di otto anni mi avessero attribuito lo stesso soprannome, la diceva lunga sul suo carattere ancora gioioso di bimbo.
“Ehi, Stratford, stavamo giusto per fare una pausa – esordì Ashton, che diavolo, quanto era sexy – ti va una sigaretta? Offro io”
Mi scoccò un occhiolino, e la manata di Luke sul suo petto non tardò ad arrivare. Mi venne da ridere, e Mike se ne accorse. Si avvicinò a me, e posò le labbra affianco al mio orecchio.
“Scontro tra galli” sussurrò, facendomi ridere.
Dopodiché il ragazzo con i capelli verdi si allontanò, vedendo Luke avvicinarsi a noi.
“Principessa” mi salutò.
“Luke Hemmings” feci io.
“Nome e cognome?” mi chiese, inarcando un sopracciglio.
“Mi viene automatico” dissi, stringendomi nelle spalle.
“Voi due – ci richiamò Ashton – non fate gli asociali, venite qui”
“In realtà, Irwin – iniziò Luke, caricandosi la chitarra sulle spalle – io e Jenelle leviamo il disturbo, ci si vede stasera, figli di puttana”
I ragazzi ci salutarono, e prima che potessi semplicemente dire qualcosa, mi ero già ritrovata fuori dal garage di Calum, trascinata dalla mano di Luke.
“Non puoi fare sempre così” dissi, liberandomi dalla sua presa.
“Così come?” chiese innocentemente, incamminandosi per Brooklyn.
“Avere mille idee in testa che mi comprendono e non mettermi al corrente”
Luke ridacchiò, estraendo una sigaretta dal pacchetto di Marlboro, che porse anche a me.
“Ti sei dimenticato dell’ultima volta?”
“Andiamo, non potrà mai andare peggio”
Mi strinsi nelle spalle accettando, in fondo aveva ragione. Accese la sua sigaretta e poi, con un gesto meccanico, avvicinò l’accendino alla mia, fermandosi per osservarmi.
“Pronta?”
“Pronta”
Accese anche la mia sigaretta, ed io seguii i suoi insegnamenti del giorno prima, aspirando lentamente. Il fumo mi bruciò la gola, e poi uscì lento dalle mie labbra.
“Com’è?” mi chiese, riprendendo a camminare.
“Beh, intanto non mi sono quasi strozzata”
“Te l’avevo detto”
Annuii, mentre fumavamo insieme.
“Se mio padre mi vedesse adesso..” pensai, ad alta voce.
“Non pensare sempre a tuo padre e a quello che direbbe di te, Jen – mi consigliò Luke – vivi e basta, senza pensare troppo”
Aveva ragione lui, a che pro pensare sempre a mio padre?
“Dove mi stai portando?”
“Non ti piacciono le sorprese?”
“Non particolarmente, direi”
“Già, mi ero dimenticato di tutte le cose che non ti piacciono, o non ti piacciono fare”
Sbuffai, facendolo sghignazzare.
“Questa è casa mia” disse, fermandosi davanti ad un grande cancello moderno, bianco.
Lo guardai stranita, buttando il mozzicone per terra e schiacciandolo con lo stivaletto.
“Tu e Mike potete permettervi questa?” chiesi, indicando quell’enorme casa.
“Cioè, casa di mia madre e Kyle” si spiegò meglio.
“E perché siamo qui?”
“Vieni, ti piacerà”
Lo seguii, e mentre mi camminava davanti, lo osservai meglio: quel giorno portava una camicia a quadri, ed i soliti skinny jeans neri. Iniziai a pensare che ne avesse almeno quindici paia tutti uguali, nell’armadio. Ma quando entrammo nell’atrio di casa Hamblett/Hemmings, rimasi così incantata, da spostare lo sguardo da Luke, a quella meraviglia.
Entrammo in un lungo corridoio, contornato da pareti bianche e piante verdi che salivano lungo di esse. Il contrasto dei colori era qualcosa di magico, ed una lanterna pendeva dal soffitto. Mi stavo perdendo nella bellezza di quel posto, quando la mano di Luke si posò sul mio braccio.
“È bellissimo qui, Luke”
“Te l’avevo detto che ti sarebbe piaciuto – cominciò – e non hai ancora visto il pezzo forte”
“Che intendi?”
Luke si posizionò dietro di me, e mi fece guardare in alto, indicandomi un grande terrazzo.
“È vostro?” chiesi, ancora col naso all’insù.
“Non mio – precisò – di mamma e Kyle”.
 
 
 
 
 
*“Wow, Luke, è bellissimo”
Ed era davvero bellissimo: la luce del sole stava tramontando e da lì sopra, riuscivamo a vedere tutta Brooklyn.  
“Ho proposto più volte ai ragazzi di venire a suonare qui – disse, sognante – ma loro sono troppo cagasotto per accettare, e in più Kyle mi ucciderebbe”
“È liberatorio” confessai.
Lui mi affiancò, annuendo.
“Sì, lo penso anche io”
Eravamo molto vicini, e me ne accorsi solo quando lui si voltò verso di me. Riuscivo ad osservare perfettamente i suoi occhi, che avevano tutte le tonalità del mare. Vidi il lato destro delle sue labbra alzarsi leggermente, ad imitare un lieve sorriso. Distolsi lo sguardo, sentendomi improvvisamente troppo a disagio, così vicina a lui, ed alle orecchie di entrambi arrivarono delle note di una canzone suonata al pianoforte, probabilmente da qualche vicino.
“Mi concede questo ballo, principessa?” mi chiese, imitando un inchino.
Ridacchiai, un po’ imbarazzata, ma poi accettai la mano che mi stava porgendo.
“Certo, signor Hemmings”
Luke mi avvicinò a lui, impossessandosi dei miei fianchi. Quella sensazione fu molto diversa, da quella che provavo quando andavamo insieme sullo skateboard. Era più intima, più sentita, ed io volevo che durasse per sempre. Muovemmo qualche passo, lungo il terrazzo, seguendo le note di quella canzone che nessuno dei due conosceva.
“Con chi andrai al ballo di fine anno?”
“E tu che ne sai del ballo di fine anno?”
“Jj è fissato”
Annuii, continuando a guardarlo negli occhi.
“E lui con chi andrà?”
“Spera di andarci con te”
“Ma non me l’ha ancora chiesto”
“Lo so”
“Dici che lo farà?”
“Non credo proprio”
Guardai le sue labbra distendersi in un sorriso beffardo.
“Che hai fatto, Luke?” gli chiesi, inquisitoria, con le mani allacciate al suo collo.
Fermai la danza, ma il nostro contatto non cessò con essa.
“Perché pensi che io abbia fatto qualcosa?”
“Non è così?” chiesi, retorica.
I suoi occhi erano magnetici, ed il suo mezzo sorriso ancora di più. Il mio sguardo oscillava dai suoi occhi, alla sua bocca, ed il suo anche.
“E va bene – ammise – gli ho detto che ci vai già con un altro”
“Sei perfido! – dissi, divertita – e perché l’avresti fatto?” chiesi, inquisitoria.
“Perché non voglio che rimanga deluso”
Finsi di crederci.
“E perché in realtà, spero davvero che sia così” aggiunse.
“Così cosa?”
Luke distolse per un secondo lo sguardo dai miei occhi, come per prendere coraggio.
“L’ingresso al ballo è aperto anche a chi non frequenta il liceo?”
“Sì, ma che..” tentai, ma lui non mi lasciò parlare.
“Ci verresti con me?”
Strabuzzai gli occhi, lasciando la presa sul suo collo.
“Ma che diavolo stai dicendo, Luke?”
Lui allargò le braccia, stringendosi poi nelle spalle.
“Perché no? – fece – sei la mia principessa, no? Non voglio che qualcun altro prenda il mio posto”
“Ma tu odi questo genere di cose”
“E anche tu – mi ricordò – potremmo divertirci insieme, che ne dici?”
Ci eravamo avvicinati, ancora, e la sue dita si erano lentamente intrecciate alle mie.
“Dico che è l’idea migliore che tu abbia mai avuto, da quando ti conosco”
Riuscivo a sentire il suo respiro dolce sulle mie labbra, ed il calore della sua bocca a pochi insignificanti centimetri dalla mia. Stavamo boccheggiando l’uno sulle labbra dell’altro, ed io ero in punta di piedi, sui miei stivaletti, quando il mio telefono squillò.
Scossi la testa, maledicendo tutto e tutti, per poi rispondere.
“Che vuoi? – risposi, senza guardare neanche di si trattasse – oh, scusami, no, tra poco sarò a casa per aiutarti, a dopo”
Riposi l’iPhone nella tasca della mia giacca di jeans, tornando da Luke.
“Problemi?” mi chiese, sinceramente interessato.
“No – scossi la testa – era Maribel”
“Chi è Maribel?”
“La domestica”
“Voi avete una domestica? – mi chiese, stranito – sei proprio una principessa, allora, avevo ragione”
“Ma piantala – dissi, scherzando – vuole che vada a casa a darle una mano per la cena di domani sera”
“Hai una cena in famiglia?” mi domandò, aggrottando le sopracciglia.
Annuii.
“L’ho organizzata io”
“Ah – recepì, stranendosi – credevo odiassi tuo padre”
“Già - feci, ridacchiando – me la dai un’altra sigaretta?”
Luke non rispose, estrasse il pacchetto dalla tasca posteriore dei suoi jeans e me lo aprì davanti agli occhi, lasciando che mi servissi da sola.
“Non esagerare” mi ammonì.
“Ipocrita” berciai io.
“Allora? – fece, accendendo prima la mia e poi la sua sigaretta – perché stai organizzando questa cena? Le nostre si tramutano sempre in drammi familiari, una volta io e Kyle abbiamo anche sfiorato la rissa” mi raccontò.
“Per Jai – spiegai – è triste, gli manca suo fratello e Steve non fa altro che peggiorare la situazione, dandogli ancora meno attenzioni del solito”
“Non se lo merita – disse – e nemmeno tu”
“Perché lo pensi?” mi feci curiosa.
“Perché sei meravigliosa, Jen – mi confessò – e lo so, perché lo so”
“Non posso più aggredirti, Luke, dicendoti che non mi conosci – ammisi – perché ormai è così, sai chi sono, e forse un po’ lo odio, perché non sono mai stata così con qualcuno”
“Dovrei sentirmi onorato?” scherzò, guardandomi di sottecchi, con un sorrisino sulle labbra.
“No, solo un coglione”
Luke scoppiò a ridere, giocando un po’ con il labret.
“Mostrare le proprie cicatrici a qualcuno ti fa sentire meglio” mi disse poi, improvvisamente serio.
Io annuii, completamente d’accordo, perché da quando conoscevo lui, non facevo altro che sentirmi meglio, ogni giorno che passava.
“La mia famiglia sembra perfetta, vista da fuori: mio padre, una personalità importante di Wall Street – mi misi ad elencare - io, giovane promessa della facoltà di economia all’università di New York e futura sposa di Daniel Crawford – continuai, con le lacrime agli occhi, rimuginando – Jonathan, che secondo i colleghi, stando ai racconti di mio padre, si è trasferito a Dubai per un importante incarico, ma in realtà vive a Brooklyn e mantiene lui e la sua ragazza con il suo lavoro da barista, e poi c’è Jai – mi fermai, scoppiando a piangere – e lui crede che Jai rovini tutto, ma non è così, Jai non rovina niente”
Sentii le braccia di Luke avvolgermi, e mi sembrò quasi che potessero proteggermi dal resto del mondo.
“Shh, piccola, non piangere – cercò di calmarmi – sono sicuro che tuo padre non pensa questo, di Jai, ha solo otto anni, è così piccolo, come potrebbe rovinare qualcosa?”
Appoggiai la testa alla sua spalla, ma non lo guardai negli occhi, mentre le sue dita accarezzavano delicate i miei capelli.
“Steve crede che mia madre se ne sia andata per colpa di Jai”
Non l’avevo mai detto ad alta voce, forse non l’avevo mai neanche voluto ammettere a me stessa.
“Non lo sapevo”
“E crede che sia solo uno stupido ragazzino – continuai – e Jai se ne accorge, è per questo che ogni notte sgattaiola nella mia camera, accucciandosi nella mia coperta, piangendo, convinto che suo padre, l’unico genitore che gli è rimasto, lo odi”
“È tremendo, Jen”
“Lo so – ammisi – sono stanca, Luke, non ce la faccio più, non da sola, almeno”
Voltò il viso, e sentii le sue dita spostarsi verso il mio mento, nel tentativo di alzare il mio sguardo nel suo, in un contatto dolce.
“Non sei più da sola – disse, serio – ci sono io adesso, e resto, te lo giuro”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

sounds good feels good!
ciao mie bimbe! come state? io sempre bene, lo sapete.
allora, eccoci arrivate al nono capitolo, che ha un titolo italiano. non chiedetemi perchè. cose a caso.
Luke chiede a Jen di andare al ballo con lui, nonostante il suo fratellastro Jj. cosa ne pensate?
e nulla, qui Jenelle si sfoga con Luke e capisce cosa lui significhi davvero per lei.
la mia idea era quella di salvezza. Luke è la sua ancora. si capisce?
fatemi sapere cosa ne pensate. vi amo da matti.
Simona 
 
 
 
 
 
Image and video hosting by TinyPic  
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Everyone leaves ***






 
chapter ten

everyone leaves


 

 
Erano le 03:01 PM, il sole splendeva, il cielo era azzurro e Cherrie mi aveva portato in un piccolo bar che non avevo mai visto in vita mia, a Brooklyn, dove abitava lei. Ed il resto dei ragazzi, avevo imparato.
“Qui fanno il miglior cappuccino di entrambe le Americhe!” esclamò la mia nuova amica.
“Sei stata in Sud America?” le chiesi, avvicinando il bicchiere di the freddo alla mia bocca.
“No – fece lei, versando la seconda bustina di zucchero nella sua tazza – era per dire”
Ridacchiai, davanti all’espressione pensierosa di Cherrie: quel giorno indossava un grazioso abitino bianco, accompagnato a delle Dr. Martens verdi. Aveva anche legato i capelli in uno chignon ordinato, era stupenda, rock, e stupenda.
“Beh, allora – introdusse lei una conversazione – adesso che siamo in confidenza, io e te, puoi raccontarmi tutto di Hemmings”
Lessi la curiosità nei suoi occhi, e sussultai, al solo pensiero del “quasi bacio” con Luke della scorsa sera.
“In effetti ci sarebbe una cosa..”
“Sì, finalmente! – esultò lei, alzando teatralmente le braccia al cielo – uno dei due che si lascia andare al confessionale di Cherrie, quanto sono contenta!”
Inarcai scettica un sopracciglio, cercando di nascondere un sorriso, davanti a tutta quella gioia. Cherrie Williams era un vulcano, con una scia di lentiggini sul bel viso ed il rossetto rosso a marcarle le labbra piene. Un vero spettacolo.
“Calma i tuoi spiriti, Cher – frenai il suo entusiasmo, che mi aveva anche un po’ spaventata, a dirla tutta – io e Luke siamo solo amici”
“Certo, se solo non fosse per il bel fidanzato..” vagò lei, con la fantasia.
“Saremmo comunque solo amici” sostenni io, giocando con le bustine di zucchero, nel loro apposito contenitore.
Fu Cherrie ad inarcare un sopracciglio, quella volta.
“Sì, come no”
“T’ignoro – dissi io, velocemente – comunque – passai oltre la sua mania di sposare persone – come ti dicevo prima, ci sarebbe una cosa di cui vorrei parlarti”
“Dimmi tutto, Jen”
Cher non avrebbe potuto essere più contenta di così, era al settimo cielo, di potermi dare qualche consiglio su Hemmings.
“Ieri sera Luke mi ha portata sul terrazzo di casa dei suoi..” iniziai, ma lei mi interruppe subito.
“Davvero? Luke adora quel posto! Dice di andare sempre lì, quando ha bisogno di ispirazione per scrivere i suoi testi!”
“Ah sì?”
Cherrie annuì, senza togliersi quel sorrisino dalle labbra.
“E deve tenerci molto, se ti ha portata proprio lì”
Guardai in basso, senza trattenere un sorriso compiaciuto.
“Jen, guardami – e così feci – sei arrossita di almeno venti tonalità!”
Cherrie scoppiò a ridere, di me, ed io la mandai al diavolo.
“Mi fai passare tutta la poca voglia che ho di raccontarti questa cosa”
“Ohmmioddio! No! – si rattristò subito – mi tappo la bocca, giuro!”
“Sarà meglio” commentai io.
“Allora?” mi esortò ad andare avanti, bevendo un po’ del suo cappuccino.
“Beh, mi ha chiesto di andare al ballo con lui” la accontentai.
“Che cosa? – domandò Cherrie, retorica – questo è davvero troppo, per il Luke Hemmings che conosco io!”
“Dici?”
“Lo so” sostenne, convinta.
Rimasi a pensare a quella sua affermazione, che voleva dire che “era troppo” per il Luke Hemmings che conosceva lei? Non riuscivo a capire.
“E tu che gli hai detto?”
Avrei voluto nascondermi per l’imbarazzo.
“Gli ho detto che era una grande idea..” confessai.
Cherrie si dovette trattenere, per non esplodere in grida di gioia ed improvvisare una danza là davanti a tutti.
“Sono così contenta, Jen!”
“Già, fin troppo” scherzai io.
“No, davvero – mi disse lei, improvvisamente seria – Luke ha avuto molte donne, è un tipo che non ama impegnarsi, ma non perché sia una testa di cazzo o altro, lui è uno molto esigente, anche con le ragazze”
Quelle parole mi colpirono, e Cherrie se ne accorse.
“Se con te si comporta così, evidentemente, vuol dire che ci tiene, te l’ho detto”
Annuii, recependo i colpi, mentre pensavo a ciò che mi ripeteva sempre Zayn. Ma Luke non era uno così, non mi avrebbe mai lasciata da sola, non dopo quel suo: “Resto, te lo giuro”.
“Non è finita qui” proseguii.
“Altri attacchi di cuore? – mi domandò, ed io annuii – okay, sono pronta”
Mi sporsi un po’, appoggiando le braccia al tavolo a cui eravamo sedute, e iniziai a gesticolare, un po’ troppo animatamente forse.
“Eravamo così vicini, Cher – iniziai a spiegare – riuscivo proprio a sentire.. beh.. io.. oddio, perché è così difficile?”
Cherrie rise, sinceramente divertita, e felice.
“Con Hemmings è sempre difficile”
Annuii, più che d’accordo.
“Io non lo so, cosa sarebbe successo, se il mio telefono non fosse squillato”
Quello era il dubbio che mi perseguitava da 24 ore, e sapevo che Cherrie Williams sarebbe stata in grado di chiarirmelo.
“Lo sappiamo entrambe, Jen”
E dopo quella sua frase emblematica, sentii il rumore di una sedia che strisciava per terra.
“Buongiorno, fanciulle! – ci salutò allegro Calum – di che parlate?”
Io e Cherrie ci guardammo, pietrificate.
“Beh, noi..”
“Ah, ma guarda un po’, la piccola Stratford e la Williams – salvata in corner da Ashton Irwin – non ti hanno insegnato a non fare le amicizie sbagliate, Jen?”
Si sedette affianco a me, scoccandomi un bacio sulla guancia, a cui io risposi con un sorriso. Quando Cherrie ed Ash si lanciavano questo tipo di frecciatine, nessuno di noi sapeva mai che fare, che dire, se intervenire, o meno. Soprattutto Calum.
“In effetti no, Ash – esordii io, guardandolo negli occhi – se no perché sarei qui con te, ora?”
Cal e Cherrie scoppiarono a ridere, ed Ashton fece schioccare la lingua sul palato.
“Touché – disse poi – è per questo che ti adoro”
“È per questo che ricambio”
Cal sorrise, ordinando due birre medie, per lui ed il suo amico.
“Beh? – riprese proprio lui – dov’è Hemmings?”
Mi strinsi nelle spalle, chiedendomi lo stesso.
“Non saprei – dissi, infatti – non risponde ai miei messaggi”
“Oh, povera piccola Jenny!” mi prese in giro Ash.
“Fottiti, Irwin” gli dissi, con un sorriso ironico.
Il nostro rapporto era un po’ così, ma adoravo Ashton Irwin, anche se finalmente capivo cosa intendesse Luke con “Il più coglione che incontrerai mai”.
“Stavate parlando di me?”
La voleva piantare di sbucare dal nulla?
“Hemmings! – urlettò Cherrie – in effetti sì, ci domandavamo dove fosse il tuo bel faccino”
“Sempre qui – si pavoneggiò Luke – non temete, amici”
Ashton scosse la testa, come arreso alla stupidità del suo amico.
“La nostra Jenny invece si lamentava del fatto che non le rispondessi al cellulare, insomma, amico, è questo il modo di comportarsi?”
Fulminai Calum, e poi anche Cherrie, dato che scoppiò a ridere, praticamente arpionata al suo braccio. Erano la coppia più bella ed innamorata che avessi mai incontrato, in tutta la mia vita. Avevo immaginato come sarebbe potuto essere un appuntamento a quattro, con loro due: Cal e Cherrie, belli e colorati, avrebbero riso tutto il tempo e lui avrebbe tenuto il braccio sulle spalle, lungo tutta la cena. Dall’altro lato, ci saremmo stati io e Dan, grigi, con un sorriso finto e 50 cm di distanza.
Avevo immaginato anche un altro, appuntamento a quattro. Ed era totalmente diverso, era divertente, giusto, coinvolgente e bello da morire.
“No, sono imperdonabile” sentii poi dire alla voce di Luke.
Incontrai il suo sguardo, e forse, avrei perdonato tutto, a quegli occhi.
“Forse, Luke Hemmings”
Rimanemmo a guardarci: i nostri sguardi incatenati, e le nostre labbra sorridenti.
“Che noia – intervenne poi Ashton – cos’è, la stagione degli amori? Io me ne vado”
“No, resta, depresso che non sei altro – feci, alzandomi dalla sedia – sono in ritardo, devo andare a prendere Jai a scuola”
Cal spostò le gambe per farmi passare, ed io mi chinai per lasciare un bacio sulle guance di Cherrie.
“E io?” si lamentò Ashton.
“E tu vai a farti fottere, Irwin” rispose Luke, prima che potessi farlo io.
Lanciai un bacio volante ai miei due nuovi amici, e mi voltai verso Luke, lì, a pochi passi da me, con una maglietta a mezze maniche nere ed uno snapback portato al contrario.
“Vuoi che ti accompagni?” mi chiese, sottovoce, lontano dagli schiamazzi di quei tre.
“Hai lo skate?”
“Che domande sono?” chiese, retorico.
“Meglio così, vedrai come sarà contento Jai!”.
 
 
 
 
In sella a quello che non era esattamente un nobile destriero, ma solo lo skate di Luke, eravamo arrivati alla scuola elementare di Jai in anticipo di un quarto d’ora buono.
“Tu e Cherrie siete amiche, adesso?” mi domandò lui, fermando lo skate con una vans.
Io mi strinsi nelle spalle, camminando un po’ lungo la fontana del giardino scolastico.
“Direi di sì – dissi poi – lei è fantastica”
Luke annuì, affiancandomi. Il suo braccio sinistro ogni tanto sfiorava il mio destro, ma a nessuno dei due sembrava infastidire molto, quel contatto.
“Non tutti la pensano come te”
“Già, Ashton”
Mi sedetti sul bordo della fontana, e lui mi seguì.
“Ma perché la odia? – gli chiesi, come una bambina, accettando la sigaretta che mi stava offrendo – a me sembra così innaturale, odiare Cherrie”
Luke rise leggermente, prendendo la prima boccata di fumo.
“Lui non la odia, Jen – mi fece presente, voltando il viso nella mia direzione – Ash ha semplicemente paura”
“Di che cosa?” domandai, curiosa.
“Del fatto che Cherrie possa in qualche modo distogliere Calum dai nostri progetti”
Mi piaceva ascoltarlo mentre parlava, aveva una voce piacevole e me ne ero accorta fin da subito.
“Ehi, a che pensi?” mi chiese, con un sorriso dolce ad increspargli le labbra.
Forse doveva essersi accorto della mia espressione da ebete imbambolata.
“A niente”
“Non è possibile” sostenne convinto, facendomi sbuffare.
“Odio quando fai così”
“Così come?” mi chiese, ridacchiando, con la sigaretta ben stretta tra le labbra.
“Così! - esclamai, facendolo letteralmente scoppiare a ridere – tu credi di sapere tutto, e non mi permetti di nasconderti neanche il fatto che stessi pensando a quanto mi piaccia la tua voce, prima”
Lo guardai intensamente negli occhi, e lui fece lo stesso.
“Quindi non mi ascolti, quando parlo, in realtà ti incanti ad ascoltare il suono idilliaco della mia voce” mi prese in giro, meritandosi uno schiaffo sul braccio.
“Sei un idiota, Luke Hemmings”
“E tu anche, se stai con me”
Ancora occhi negli occhi, con i suoi denti che giocano nervosamente con il piercing ed una manina che tira insistente la manica della mia maglietta.
“Jenny!”
Fui costretta a scuotere la testa, per riprendermi dalla sensazione paradisiaca che era guardare negli occhi Luke.
“Ehi, scimmietta! – lo salutai, scompigliandogli i capelli – com’è andata oggi?”
Jai esibì uno dei suoi migliori sorrisi, quando notò la figura che mi stava accanto.
“Luke!”
Guardai il mio fratellino corrergli incontro, e Luke alzarlo di peso, per prenderlo in braccio.
“Ehi, ometto! – lo salutò, sorridente – come andiamo?”
“Alla grande!” rispose entusiasta lui.
Luke rise, ed io anche: era una gioia vedere Jai così felice.  E tutto per merito suo.
“Ehi, Jen?” mi richiamò il mio fratellino, incerto.
“Che c’è, scimmietta?”
“Posso chiederlo adesso a Luke?”
Luke aggrottò le sopracciglia.
“Certo che puoi, avanti..” lo incitai io.
Jai si nascose nell’incavo del collo di Luke, vergognandosi.
“Puoi chiedermi tutto, Jai” lo rassicurò, poi.
Non scioglierti, non scioglierti, non scioglierti.
“Posso usare il tuo skateboard?”
Luke esplose in una risata e posò Jai a terra, recuperando poi il suo skate abbandonato affianco alla fontana.
“È tutto tuo” glielo consegnò, con un sorriso.
Jai gli porse la manina, per farsi aiutare da lui a salirci sopra. E così Luke fece, reggendolo poi per i fianchi.
“Quando sei pronto, ti lascio”
Jai si morse il labbro inferiore, concentrato.
“Sono pronto!” urlò poi.
Luke lo lasciò, ed io non riuscii a nascondere un sorriso.
“Grazie” gli dissi, senza smettere di guardare Jai, però.
“Non dirlo neanche”
Mi voltai verso di lui, e sentii le sue dita intrecciarsi alle mie. Eravamo vicini esattamente come quella sera del terrazzo.
“Per Jai significa tanto”
“Anche per me” ribadì, annuendo convinto.
“Guardatemi! Jen! Luke!”
Ci voltammo all’unisono, senza smettere di stringerci la mano. Ogni tanto pensavo a cos’avrebbe potuto fare Dan, se solo fosse passato di lì in quel momento.
“Fa’ attenzione, Jai!”
Ma non in quel momento. In quel momento, non stavo pensando a nulla.
“Anche a me piace la tua voce, comunque” fece poi Luke.
“Ah, ti ringrazio”
“Per così poco”
Ridemmo insieme, dopodiché Luke mi alzò il mento con l’indice ed il pollice, avvicinando le mie labbra alle sue. Vidi la sua lingua giocherellare con il lip piercing, e mi accorsi come il nostro sguardo oscillasse dagli occhi, alla bocca.
“Adoro lo skateboard! Ne voglio uno!”
Ma la voce squillante di quel nanetto, interruppe qualunque cosa stesse accadendo tra di noi.
“Jen, credi che papà me ne lascerebbe prendere uno?”
Lo guardai intensamente, pensando che probabilmente no, Steve non avrebbe mai acconsentito a quella sciocchezza. Perché Jai non se lo meritava uno skateboard, dal momento che doveva frequentare i corsi estivi. E poi uno skateboard era per i poco di buono, che nella vita non avrebbero combinato nulla. Era così che avrebbe giudicato Luke, sbagliando su tutta la linea, però.
“Io credo di sì” intervenne proprio lui, vedendomi in palese difficoltà.
Eravamo ancora molto vicini, io e Luke, e me ne accorsi da come Jai stava sorridendo, nel vedere le nostre mani ancora l’una stretta dall’altra.
“Stasera ci vieni anche tu a cena da noi?”
Sbiancai, tutto d’un colpo. Avevo più volte detto a Jai che non avrebbe dovuto neanche pensare, ad una cosa del genere. Ma avrei dovuto immaginarlo, faceva sempre tutto di testa sua: era uno Stratford, d’altronde, a tutti gli effetti.
“No, Jai – dissi subito io – ti ho già detto che Luke non ci può venire, stasera”
“Già – disse poi Luke – non vorrei mai rovinare la vostra splendida armonia”
Aggrottai le sopracciglia, alzando immediatamente lo sguardo nei suoi occhi. Ma non li trovai, perché Luke aveva già afferrato il suo skate e si stava allontanando dal giardino della scuola.
Si stava allontanando da me.
“Jenny, dove va Luke?”
 “Luke! – urlai, prendendo per mano Jai e raggiungendolo a grandi passi – ma dove vai? Fermati!”
Lo guardai voltarsi, svogliato.
“Cosa vuoi?”
Non mi aveva mai parlato così, faceva male, non mi piaceva, la sua voce non era più bella come gli avevo detto solo qualche minuto prima.
“Che ti prende?”
Luke sospirò, guardandomi dritto negli occhi, ed avvicinandosi di molto a me. Posò una mano sulla mia guancia, delicatamente. Sentii il suo pollice tracciare il contorno della mia mascella, e mi trattenni, per non inclinare il viso e lasciargli un bacio sul dorso della mano.
“Tu mi piaci, Jen – cominciò, soffiando le parole sulle mie labbra – ed io ci sto provando, davvero, ad avvicinarti solo un po’ di più di quello che tu mi permetti, ma finché ti importerà così tanto di che cosa pensa la gente, e soprattutto tuo padre, sarà tutto inutile”
“A me non importa di che cosa pensa mio padre” risposi, piccata.
Forse un po’ troppo.
Luke si scostò immediatamente da me, scuotendo la testa, con un cipiglio incazzato.
“Non te ne rendi neanche conto – sbottò – scommetto che il signor Stratford non è nemmeno al corrente della mia esistenza, scommetto che speri che quelle poche volte che lui è in casa, Jai non faccia il mio nome, per nessuna ragione al mondo”
Non risposi.
“È così, non è vero? – mi domandò, retorico, ed io continuai a non rispondere, con gli occhi velati da lacrime amare – come immaginavo” fece allora lui, ridendo amaramente e massaggiandosi le tempie, mentre guardava in basso.
Aprii la bocca per dire qualcosa, ma lui fu più veloce, riportando i suoi occhi nei miei.
“Sai una cosa, Jenelle Stratford? – continuò – mi dispiace di non essere alla tua altezza, mi dispiace che tu debba vergognarti di me, anzi, mi stupisco del fatto che tu ti faccia vedere qui con me”
“Adesso smettila, Luke! – sbottai a mia volta – cosa dovrei fare? Invitarti a cena a casa mia? Con Daniel? Beh, scusami se non posso farlo!”
“E perché mai? Noi siamo solo amici, no?”
Mi spiazzò, e mi tolse tutte le parole di bocca.
“Perché urlate?” fece poi Jai, ed io strinsi la sua mano, in un riflesso incondizionato.
Ma non riuscivo a staccare gli occhi da Luke, sconvolta.
Lo guardai scuotere la testa, arreso, ed in pochi passi avvicinarsi a Jai, per poi accovacciarsi proprio davanti a lui.
“Ci vediamo, ometto, d’accordo?”
Jai annuì, e Luke alzò una mano chiusa a pugno davanti al suo piccolo viso. Il mio fratellino fece lo stesso, facendo scontrare la piccola manina, con la sua.
Luke si alzò ancora in piedi, non mi guardò neanche e sparì, con il suo skate.
Avrei voluto lasciarmi cadere a terra, perché ancora una volta una persona della mia vita mi stava lasciando. Mentre il suo: “Resto, te lo giuro”, risuonava nella mia testa.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
sounds good feels good!
ciao bimbe
sapete quando siete innamorate di qualcuno che non potrete avere mai nella vita? ecco, benvenute nel mio modd
è la sensazione più brutta del mondo anyway come state? io sempre sempre bene
il decimo capitolo porta la prima discussione dei nostri Juke, come li avete definiti voi ahahah JUKE OTP
GIULIA E BEN OTP IO E GENNI OTP okay basta, momento degenero finito.
chiariranno? e come lo faranno?
comunque cioè boh io Jai e Luke li amo un sacco
lascio i commenti a voi, vi amo
Simona

 
 
 
Image and video hosting by TinyPic  
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Nothing without you ***




 
quando trovate l'asterisco ascoltate se volete "With me" dei Sum 41



 
chapter eleven

nothing without you



 
Avevo raggiunto il massimo della depressione a cui una ragazza di diciotto anni possa aspirare, ma non volevo darlo a vedere a nessuno. Mi ero rintanata nella mia camera, con una tazza di the inglese, un pacco enorme di biscotti con le gocce di cioccolato e mi ero maledetta più e più volte per non aver mai acquistato Romeo e Giulietta. Mi limitavo a leggerlo ogni qual volta andassi al Paradiso, quindi mi ero accontentata del mio secondo preferito: Orgoglio e Pregiudizio, perché Jane Austen non delude mai. Lei era un po’ il mio idolo, la vedevo come la paladina delle donne, una specie di eroina.
Ero tornata la copia esatta di quella che ero prima, e tante volte mi ero chiesta che cosa significasse, “prima” di cosa? Prima di Luke?
Stavo annegando nella storia complicata tra Elizabeth ed il signor Darcy, quando udii dei colpi forti alla mia porta.
“Va’ via” urlai, ma la mia voce uscì più come un lamento.
Non sapevo neanche chi fosse, ma per una volta in vita mia benedissi il lavoro a Wall Street di mio padre e Dan: in quelle condizioni non ce l’avrei fatta a reggere le pressioni di quei due noiosissimi agenti di borsa che si facevano le fusa.
“Piccolo fiore – quando neanche la voce di Mari riusciva a mettermi anche solo un minimo di allegria, capivo che la situazione era davvero tragica – ho una sorpresa per te, anzi due” si corresse.
Sbuffai, perché quella donna era riuscita ad incuriosirmi e quindi avrei dovuto alzarmi dal letto, per aprire la porta.
“Ma che ha?” sentii, da dietro la porta, e riconobbi subito la voce.
“Non ho nulla, d’accordo? – sbottai, aprendo la porta – entrate”
“Ah, buongiorno anche a te” continuò Louis, la voce che avevo sentito.
Li feci entrare velocemente nella mia camera, richiudendone subito la porta con un movimento veloce. Volevo avere a che fare con meno esseri umani possibili, quel giorno, e considerando che quella stessa sera avrei dovuto partecipare alla cena che io, avevo organizzato, non sarei di certo riuscita nel mio intento.
“Mi piace questo tuo nuovo stile – disse poi Zayn, stendendosi sul mio letto – collezione zombie autunno – inverno 2013/2014?”
Alluse al mio trucco sbavato sulle guance, i capelli arruffati e il piumone che tenevo sulle spalle, suppongo.
“Magari vuole partecipare ai casting per The Walking Dead” aggiunse Louis, prendendo posto sulla sedia della mia scrivania.
Zayn si strinse nelle spalle, afferrando i biscotti sul pavimento.
“Ma si può sapere che volete da me? – chiesi, poi- siete venuti fin qui da Southwark per prendermi in giro?”
“Esatto, bimba” assentì Zayn, facendo schioccare la lingua sul palato.
“E questi sono miei” replicai, antipatica, rubandogli i biscotti dalle mani.
“Ci ha chiamati Maribel, dice che te ne stai chiusa qui dentro da due ore” mi informò poi Lou, mentre faceva per accendersi una sigaretta.
“Non pensarci neanche” ringhiai, sfilandogli bruscamente la sigaretta dalla bocca.
La riposi accuratamente sul comodino affianco al mio letto, appuntandomi di non ridargliela e tenerla per me, nonostante Louis e Zayn non sapessero del mio nuovo vizio.
“Scommetto che Hemmings lo fai fumare, qui dentro” commentò Zayn, senza sapere cosa avrebbe scatenato dentro di me, solo pronunciando il suo nome.
Louis se ne accorse subito, del mio cambiamento visibile di espressione.
“Ehi, Jen? – mi richiamò infatti – tutto bene? Sembra quasi che Malik ti abbia detto che morirà tra sei mesi”
Zayn si toccò finemente le palle, alzandosi di scatto dal mio letto, molto indignato.
“Vaffanculo, Tomlinson!” berciò poi, facendomi vagamente ridere.
“Allora?” ma Lou non sembrava incline all’arrendersi.
Sospirai, per poi sedermi sul mio letto ed abbracciare il cuscino.
“Io e Luke abbiamo litigato”
Zayn sbuffò, mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore, dato che non poteva fumare.
“Stai davvero così per Hemmings? Non ho voglia di dirti te l’avevo detto ma, come dire – fece fina di pensarci su – te l’avevo detto”
 Louis gli lanciò uno dei piccoli cuscini del mio letto addosso, ed io lo fulminai.
“Così non l’aiuti di certo”
“Già, ti ringrazio, Lou”
Zayn continuò a sbuffare e torturarsi le labbra, mentre Louis mi si avvicinò, prendendo poi posto affianco a me, sul mio letto.
“Cos’è successo?” mi chiese, stringendomi dolcemente in un abbraccio.
Mi accoccolai sulla sua spalla, lasciandomi cullare da lui.
“Siamo andati insieme a prendere Jai e lui ha pensato bene di invitarlo alla nostra cena – iniziai – ma non ce l’ho con Jai, assolutamente, è così piccolo e voleva solo che la persona che gli sta restituendo un po’ di gioia e sorrisi fosse presente, questa sera”
Louis annuì, mentre Zayn vagava per la mia camera, facendo finta di non ascoltare e che quella storia non gli importasse.
“E poi?”
“E poi ho detto a Jai che no, Luke non sarebbe potuto venire, e lui se l’è presa da morire”
“Però, gran bel tipo questo Hemmings – commentò Zayn – dimostra quindici anni ma poi in realtà da come si comporta scopri che ne ha esattamente quattro, wow”
Mi limitai a guardarlo e stringere i denti, non avevo voglia di litigare anche con lui. E forse non avevo più voglia di difendere Luke.
“Ignoralo, ha i coglioni girati” mi consigliò Lou.
“Strano”
“Già” – liquidò in fretta Louis, la faccenda – perché se l’è presa così tanto, Jen? Che hai detto a Jai? Luke mi sembrava un tipo a posto”
“Infatti lo è, credo sia stata tutta colpa mia – cominciai, tracciando il contorno di uno dei suoi mille tatuaggi sul braccio – adesso pensa di non essere alla mia altezza, o meglio, crede che sia io a pensare una cosa del genere”
“Perché è così – intervenne nuovamente Zayn, avvicinandosi a noi – Luke Hemmings non ti merita, ed io te l’ho sempre detto”
“Va’ al diavolo Zayn” sussurrai io.
“Perché stai così male per lui, Jen?” ma lui non si fece abbattere.
“Non lo so, okay? Non lo so! – sbottai, puntando gli occhi addosso a lui, un po’ allucinata – non so perché io stia reagendo così e non so perché mi piaccia così tanto averlo intorno, io n – o – n  l – o  s – o!” scandii bene.
Calò il silenzio, per qualche secondo, dopodiché Louis si fece avanti per primo.
“Lo so io”
“Illuminaci, Tomlinson” lo prese quasi in giro Zayn.
“Luke ti distrae” disse, semplicemente.
Io aggrottai le sopracciglia, e Zayn roteò gli occhi al cielo.
“Io vado a farmi una sigaretta – comunicò poi – quando voi due avete finito il vostro pigiama party, mi trovate in cucina”
“Lo odio” sostenni, ancora tra le braccia di Lou, non appena Zayn si richiuse la porta alle spalle.
“Luke ti distrae dalla tua vita, piccola, pensaci bene - mi fece notare Louis – da quando c’è lui leggi un solo libro a settimana, non è così?”
Mi chiese, mentre giocava con una ciocca dei miei capelli.
“In effetti sì – riflettei io – e rispetto ai quattro che divoravo prima, direi che è un grande passo avanti per la mia vita sociale”
Louis ridacchiò.
“A parte gli scherzi, questo è solo un esempio ma tutti noi stiamo notando dei grandi cambiamenti in te”
“Anche Zayn?”
“Soprattutto Zayn”
“E allora perché fa così?”
“Perché ha paura che tutto questo possa finire, ha paura che Hemmings possa sparire dalla tua vita più velocemente di quanto ci è entrato e lui sa bene, che se dovesse accadere, tu ci staresti male, ma male per davvero”.
 
 
 
 
Sistemai per l’ennesima volta una piega che si era formata sul vestito color panna che avevo scelto per l’occasione. Dondolando sugli stivaletti, mi resi conto di essere un tantino agitata. Controllai l’orario sull’iPhone per tipo la trentesima volta, e sbuffai per la milionesima.
“Ma dove diavolo è quel ritardato di Jonathan?” sbottai.
“Si dice ritardatario” mi corresse Jai.
“Certo, a otto anni forse..”
Maribel mi guardò leggermente male, come per riprendermi, sfilando lungo la sala con indosso il suo miglior vestito rosso. Nei capelli portava una rosa, dello stesso colore, e dio mio quanto era bella.
Avevo convinto mio padre a farla partecipare alla cena, cioè, in realtà era andata più o meno così:
 
“Ehi papà, cosa diresti se Maribel cenasse insieme a noi, sabato?”
“Sabato? – domandò, alzando gli occhi dal suo giornale, stranito – e perché mai dovrebbe? Che succede di speciale? Non è il suo compleanno, li ho segnati tutti sul calendario dell’iPhone”
Ma dai, non mi dire: ricordarli troppa fatica?
Scossi la testa, cercando di mantenere la calma, mentre mi dondolavo sullo stipite della porta del suo ufficio.
“Ci sarà anche John, ricordi? Ceneremo tutti insieme, te ne ho parlato proprio ieri”
Al sentire il nome di mio fratello, gli brillarono gli occhi.
“Oh, sì, certo, la cena – rammentò, a fatica – fa’ come vuoi, Jenelle, e chiudi la porta quando esci”.
 
Ecco sì, più o meno così.
“Jen, non mi va che usi questi termini davanti a lui” disse Maribel, alludendo a Jai.
Alzai le mani, come a chiedere scusa e poi lanciai uno sguardo a Jai, che se ne stava alla grande finestra dell’attico, con il nasino premuto sul vetro.
“John arriverà” lo rassicurai.
“E Luke? – mi chiese speranzoso – è ancora arrabbiato con me?”
Aggrottai le sopracciglia, raggiungendolo, mentre mi stringevo nel golfino.
“Luke non è mai stato arrabbiato con te, scimmietta – dissi, guardando fuori dalla finestra insieme a lui – anzi, è molto invidioso di come vai sul suo skateboard meglio di lui”
Jai rise, compiaciuto. Capii che era per quei momenti, che continuavo a tenere duro.
“Ma non verrà?”
“No, piccolo, Luke non verrà”
Sospirai, osservando la grande sede della borsa, lasciando che i miei pensieri vagassero solitari. Ma proprio in quel momento, il campanello trillò.
“È John! È John!” urlettò Jai, correndo alla porta.
“Fa’ piano” raccomandai, standogli dietro.
Maribel andò ad aprire la porta e Jai travolse suo fratello, che per poco non perse l’equilibrio.
“Non sapevo che aveste preso una scimmia domestica, ragazze, non mi dite mai nulla!” scherzò John, rivolto a me e Maribel.
Lo vidi prendere in braccio il piccolo, facendolo volteggiare un paio di volte.
“Sei qui!” continuò ad urlare Jai.
“Che ti aspettavi?” disse, con un ampio sorriso sul volto.
Jai si accoccolò sulla spalla del fratello maggiore, ed io dovetti ingoiare il ricordo di quella scena, già vista precedentemente con Luke.
“Siete in ritardo” li accusai, andandogli incontro a mia volta.
“Quanto sei noiosa, sorellina – mi disse John – siamo qui, è questo l’importante no?”
“Sai, Jen, tuo fratello non sa più farsi una doccia in meno di cinquanta minuti” scherzò Sabine.
Risi insieme a lei e le baciai le guance. Mi piaceva Sabine, era l’anima gemella di John ed era stata il suo porto sicuro, in tempi di guerra con mio padre.
“Ciao Jonathan – lo salutò Mari – come va a Brooklyn?”
“Una meraviglia, Maribel!”
“Sono contenta”
Maribel e Jonathan erano come madre e figlio, esattamente come per me e Jai, era stato molto doloroso anche per lei dover dire addio al maggiore di casa.
“Piuttosto – cominciò poi John, posando a terra Jai, che non stava più nella pelle dalla gioia – dov’è Steve? Finché ci sarà lui, nessuno di noi sarà mai davvero in ritardo”
Sabine roteò gli occhi al cielo e Maribel sparì in cucina, seguita a ruota da Jai, il quale era l’addetto a spargere lo zucchero a velo sulla torta al cioccolato.
“Ti prego John, almeno per stasera facciamo finta di essere una famiglia normale – dissi, rendendomi conto che per mio padre non ci sarebbe stato alcun problema, era quello che faceva normalmente – e poi come ti sei vestito? Almeno lo snapback potevi evitarlo”
“Non rompere, Jenelle – mi liquidò – perché non hai invitato Zayn e Louis? Almeno ci sarebbe stata una buona dose di erba per reggere la serata”
Sabine lo colpì su una spalla, ed io sbuffai.
“Ecco un altro patito della ganja”
“Patito della ganja?” mi chiese John, aggrottando le sopracciglia, stranito.
“Lascia perdere”
Ed il campanello trillò nuovamente.
 
 
 
 
 
“E Sabine – cominciò mio padre, versandosi il terzo bicchiere di rosso - come va quel master in letterature antiche che stavi portando avanti?”
La cena stava proseguendo normalmente: tagliavamo, masticavamo, versavamo, bevevamo e conversavamo tranquillamente. Io ero seduta tra Daniel e Maribel, con di fronte John e Jai, tassativamente vicini.
Sabine ingoiò un pezzo di arrosto con le patate che aveva cucinato Mari, prima di rispondere.
“Oh, molto bene, grazie signor Stratford”
“E tu? Jonathan? – domandò poi al suo prediletto, incrociando le mani sotto al mento – come te la passi a Brooklyn? Ho sentito di qualche angheria commessa dalle gang locali..”
“Oh sì – rispose John, finendo d’un sorso il suo vino – l’altro giorno Sabine ha assistito ad una sparatoria, siamo stati molto fortunati che sia tornata a casa” ironizzò.
Steve imitò una risata, rivolgendosi poi a me.
“Sai, Jenelle, sono sempre più fiero di Daniel – iniziò, mentre io mi concentravo sulle mie patate arrosto – di questo passo, tra non molto, diventerà un vero e proprio rialzista con i fiocchi!”
“Che gioia!” finsi entusiasmo.
“Già, per me è un onore lavorare con tuo padre” intensificò la cosa Dan, rivolgendosi a me, ma guardando ovviamente il suo unico amore: Steve Stratford.
“Immagino..” continuai, incerta.
John se ne accorse e mi lanciò uno sguardo carico di apprensione, come per darmi coraggio.
“E poi tra poco comincerai i tuoi studi alla New York University, sai, il mio amico, quello di cui ti parlavo – fece mio padre, pulendosi la bocca con il tovagliolo – è stato molto felice di poter scrivere una lettera di raccomandazione per te”
“Almeno uno tra noi due lo sarà” dissi io, fingendo un sorriso.
Ma mio padre sembrò non accorgersene, dato che ricambiò. Il che fu davvero troppo per John.
“Non te ne rendi conto, non è vero, Steve? – sbottò mio fratello, sbattendo una mano sul tavolo – non ti è bastato allontanare me, adesso lo stai facendo anche con Jenelle”
“Di che cosa stai parlando, Jonathan?” gli chiese papà, composto.
“Hai mai provato a chiederle cosa realmente voglia fare, nella sua vita?” continuò, piccato.
“Scrivere non è un lavoro – rispose, deciso – ma un passatempo, e con questo chiudo il discorso, Dan, mi passeresti altro vino?”
E così fece, fregandosene del fatto che al centro della loro discussione ci fossi io, la sua fidanzata.
“Ma certo, il discorso è chiuso quando lo decidi tu, non è vero papà?”
John continuava a provocarlo, lui non era mai stato bravo a stare zitto, davanti al comportamento di nostro padre.
“Porto la torta?” ci pensò Maribel a smorzare la tensione.
Guardai John, mimandogli un grazie con le labbra, mentre Sabine gli accarezzava il braccio, nel tentativo di calmarlo.
“Stavolta è venuta proprio bene! – esclamò felice Mari – io e Jai ci abbiamo lavorato tutto il giorno!”
Maribel iniziò a distribuire piatti a tutti quanti, contenenti una mega fetta di torta, la preferita del piccolo di casa.
“Vediamo se abbiamo un futuro vincitore di Masterchef USA, tra di noi – disse John, assaggiando la torta – ah no, non ti andrebbe bene neanche questo, vero papà?”
“Io so cosa voglio fare da grande – ci comunicò Jai – voglio un piercing al labbro e viaggiare con lo skateboard, proprio come Luke, vero Jenny?”
Mi si gelò il sangue nelle vene. Sentii gli occhi di tutti puntati su di me, ma io cercai solo quelli di Maribel, l’unica a parte Jai a conoscere la realtà dei fatti. E, soprattutto, l’unica a sapere dell’esistenza di Luke Hemmings.
“Chi è Luke?” fu John il primo a parlare.
Tossicchiai, senza sapere realmente cosa dire.
“Luke è un mio amico” dissi, flebilmente.
Daniel aggrottò le sopracciglia, visibilmente confuso.
“Uno dei tuoi amici con cui eri quella sera che sei tornata alle due di notte?”
“Sì?” tentai.
“Jenelle, saresti così gentile da spiegarmi perché te ne vai in giro con una persona del genere e, soprattutto, perché tuo fratello vuole un piercing al labbro?”
La voce di mio padre tuonò per tutta la stanza, ed io mi ritrovai senza sapere cosa dire.
“Perché non sapevo dell’esistenza di questo Luke? - continuò John – tu mi dici tutto”
Io roteai gli occhi al cielo.
“È solo un mio amico, papà, e Jai vuole un piercing al labbro perché ce l’ha anche lui, si sa, i bambini a quest’età sono facilmente influenzabili” cercai di spiegare.
“È per questo che dovresti evitare la compagnia di certi elementi, soprattutto davanti a lui – tuonò ancora – dannazione Jenelle, ma non ti ho insegnato nulla? Non bastavano Zayn e Louis, adesso anche quello con il piercing al labbro” 
Risi amaramente, arrivata al limite della sopportazione. Scattai in piedi, sbattendo le mani sul tavolo, facendo tintinnare bicchieri e posate varie.
“Tu non sai niente, d’accordo? – sbottai, incontrollata – non lo conosci nemmeno, e questo vale anche per Zayn e Louis che, tra parentesi, sono gli unici amici che io abbia mai avuto!”
“Non voglio che tu lo riveda mai più” m’impose, autoritario.
“Lo vedi? Non mi ascolti neanche”
Sposai la sedia e mi diressi verso la porta d’ingresso, sbattendo il più possibile i piedi.
“Amore, ma dove vai?”
Mi voltai verso Dan, indispettita.
“A fare due passi, mi è concesso?”
“Se esci adesso da quella porta, non disturbarti a tornare, per questa notte” fece nuovamente mio padre.
Finsi un sorriso, con le lacrime agli occhi. Ma non gli avrei dato quella soddisfazione, così, con una mano già sulla maniglia, mi feci coraggio.
“Fantastico, buona notte a tutti e grazie della serata”.
 
 
 
 
 
*Presi a camminare, volevo andarmene da Wall Street il più velocemente possibile. Estrassi l’iPhone dalla tasca del golfino e mi asciugai una lacrima con la manica di esso, notando che non c’erano né messaggi e né chiamate, da parte sua.
Erano le 10:23 PM, ed io ero sola.
Aveva anche iniziato a piovere furiosamente ed io, forse involontariamente, o forse no, avevo raggiunto Brooklyn. Avevo bisogno di certezze, quelle che avevo perso da troppo tempo, ed in quel momento, mi venne in mente solo Luke.
Solo lui era stato in grado di restituirmi un po’ di vita e non avevo intenzione di rinunciarci solo perché mio padre aveva detto ancora una volta “No”.
Così cercai il suo nome nella rubrica e tentennai, sulla cornetta verde. Chiusi pesantemente gli occhi e non ci pensai più. Portai il telefono all’orecchio, con il cuore in gola e la paura che la segreteria attaccasse da un momento all’altro.
“Pronto”
Ma poi sentii quella voce, e le mie barriere crollarono una ad una. Scoppiai in singhiozzi, reggendomi a fatica sulle mie gambe. Attirai qualche occhiata, ma non mi importava. Non mi importava più di nulla, se non di lui.
“Jen? Ma dove sei? Perché stai piangendo?”
Avvertii preoccupazione, nella sua voce. Così respirai pesantemente e cercai di controllare i singhiozzi.
“Sotto casa tua”
Luke chiuse la chiamata, e questo poteva significare solo due cose: o non gl’importava nulla, e quindi sarebbe tornato alla sua vita di prima, quella senza di me, senza troppe complicazioni, oppure.. non riuscii a formularla neanche, la seconda ipotesi, quando lo vidi di fronte a me.
Non gli lasciai neanche il tempo di avvicinarsi, gli corsi incontro e gli gettai le braccia al collo. Lui, incerto, agganciò le sue braccia alla mia vita, senza capire cosa stesse succedendo.
“Jen, piccola..”
Mi scostò una ciocca di capelli dal viso, che avevo nascosto nell’incavo della sua spalla, dove stavo reprimendo i miei singhiozzi.
 “Che succede?”
Mi stava stringendo possessivamente i fianchi, in un abbraccio dolce. Ed io non riuscivo a placare il mio pianto disperato.
“Adesso mi stai spaventando” sussurrò sulla mia guancia, bagnata dalle lacrime.
Mi costrinsi a guardarlo negli occhi, anche se non volevo che mi vedesse in quello stato.
“Sono terribile..” sussurrai, con la voce rotta.
“Non m’importa”
Abbassai lo sguardo, prendendo a giocare nervosamente con le mie mani. Ma lui non me lo permise, mi alzò dolcemente il mento con le dita, costringendomi a guardarlo ancora negli occhi.
“Mi dispiace” gli confidai.
“Dispiace a me – ribatté – non avrei dovuto urlare con te, soprattutto non davanti a Jai”
“No Luke, me lo merito, non ne faccio una giusta”
Ripresi a piangere, non ne volevo sapere di calmarmi.
“Basta piangere, Jenelle – mi consigliò lui, sfregando il pollice contro la mia guancia – che ci fai qui? Perché non sei con la tua famiglia?”
Guardai da un’altra parte, abbozzando una risata amara.
“Ma quale famiglia? – chiesi, retoricamente – mio padre mi ha cacciata, non posso tornare a casa stanotte, dormirò sotto qualche ponte di Brooklyn”
“Cosa vuol dire che tuo padre ti ha cacciata?”
“Quanti significati ha questa frase, Luke?”
“E il tuo ragazzo? Non ha detto nulla?”
“Sei pazzo, per caso? – domandai retorica, cercando di pulirmi il viso dal trucco sciolto dalle lacrime – Daniel Crawford non si sognerebbe mai di contraddire il suo capo”
Luke mi guardò per qualche istante, senza dire nulla.
“D’accordo – disse, come se fosse arrivato al punto di una situazione immaginaria che esisteva solo nella sua testa – starai da noi, il mio letto è abbastanza grande per entrambi”
“No – scossi la testa – non voglio disturbare te e Michael”
“Non te lo stavo chiedendo” fece lui, deciso.
Mi strappò una risata, così tornai a gettargli le braccia al collo. Quella volta Luke seppe esattamente cosa fare, mi strinse forte dal primo momento, come se volesse trattenermi più tempo possibile insieme a lui. Ed io non potevo chiedere di meglio.
Mi scostai un po’, solo per guardarlo negli occhi.
“Luke..” sussurrai.
Eravamo tremendamente vicini e lui stava giocando con il suo piercing, mandandomi totalmente fuori di testa. Oscillavamo nuovamente con lo sguardo tra i nostri occhi e le nostre bocche, respirando l’uno sulle labbra dell’altro.
“Mh?”
“Non sono più niente senza di te”
“Non è vero” sostenne, con lo sguardo fisso sulle mie labbra.
“Non andartene”
“Te l’ho giurato”
“Dimostramelo”
In un secondo, mi ritrovai le sue labbra premute sulle mie, quasi con disperazione. Assaporai ogni secondo di quel bacio. La sua bocca era morbida e calda, in contrasto con il labret, freddo e d’acciaio. Ma non m’importava.
Non m’importava di nulla, io e Luke Hemmings ci stavamo baciando, sotto la pioggia, a Brooklyn, ma io non avrei desiderato essere in nessun altro posto, se non lì.
Con lui.

 
 
 
 
 
 
 
 
 

sounds good feels good!
ciao bimbe sono in ritardo per la cena quindi mi muovoooo
sono felicissima di pubblicare questo capitolo, finalmente Jen e Luke si baciano!!
i miei bimbi, voi non potete capire quanto io li ami, davvero.
e quanto è stronzo Steve dio mio, lo odio, è strozo quasi quanto Daniel è stupido
e nulla, devo davvero davvero andare. cercatemi su facebook, sono Alaskha efp.
io e Genn vi salutiamo, baci grandissimi a tutte, vi amo.
p.s: un saluto speciale alla mia Julietss, Benji e NOLO! e il loro Mucchino, ovviamente.  

 
 
 
Image and video hosting by TinyPic Image and video hosting by TinyPic
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** My heroine ***




 
quando trovate l'asterisco ascoltate se volete "My heroine" dei The Maine



 
chapter twelve

my heroine



 
Aprii svogliatamente prima l’occhio destro, quando notai un raggio di sole filtrare da un lembo della tapparella semi abbassata. Quelle erano altre lenzuola bianche, non erano le mie. Mi stiracchiai piano, tornando a chiudere gli occhi. Volevo cadere ancora in un sonno profondo, più profondo di quello della notte precedente.
Sentivo freddo alle gambe, scoperte, e alle mie orecchie arrivavano suoni ovattati: il getto della doccia, una canzone di sottofondo e la porta della camera in cui avevo dormito aprirsi, improvvisamente.
Adocchiai i capelli arruffati dal sonno di Michael e lo ascoltai fischiettare quella stessa canzone che suonava nel resto della casa, fino a che non mi vide.
“Oh mio dio! – esclamò, coprendosi gli occhi – scusa Jen, io non sapevo neanche che fossi qui!”
E scappò via.
Decisi di catalogare quello come uno dei momenti più imbarazzanti della mia vita, nonostante non fossi nuda né altro. Ma ovviamente, per Mike, vedermi nel letto di Luke, non doveva risultare proprio la cosa più normale del mondo. Perché in effetti non lo era, proprio per niente.
Il rumore del getto dell’acqua cessò, segno di una doccia appena finita. In pochi secondi, vidi la figura di Luke Hemmings varcare la soglia della porta di camera sua, con un asciugamani in vita, mentre si passava una mano tra i capelli ancora leggermente bagnati.
“Buongiorno” mi disse lui, con la voce più roca del solito.
Gli sorrisi, quasi impercettibilmente. Non volevo muovermi di lì, ci stavo così bene tra le sue lenzuola morbide e profumate.
“Ciao, Luke” risposi.
Lo guardai aprire il suo armadio e scegliere un paio di pantaloni della tuta grigi, abbinati ad una maglietta a mezze maniche nere, con il logo di una band rock che non riuscii ad identificare.
“Vado di là”
Feci per alzarmi, per lasciargli un po’ di privacy.
“No, resta – ma lui me lo proibì – vado io”
Forse dopo quel nostro bacio nessuno dei due sapeva più come comportarsi. Prima era tutto naturale, tra me e Luke. Non volevo che quella magia finisse solo perché ci eravamo dati uno stupido bacio sotto la pioggia.
Mi rintanai nuovamente tra le sue lenzuola vaporose, aggrottando le sopracciglia, mentre restavo da sola con i pensieri che avevo appena elaborato. Il nostro non era stato uno stupido bacio, bensì il bacio più bello che avessi mai dato a qualcuno. Da quando avevo dodici anni, fino a quel momento: Luke Hemmings si accaparrava così il primo posto nella mia classifica come miglior baciatore.
La porta si aprì nuovamente, mostrando Luke vestito degli indumenti che aveva scelto precedentemente. Non indossava i calzini, mentre mi guardava dalla soglia di camera sua.
“Vieni a fare colazione? – mi chiese – Mike è ancora un po’ turbato, forse è meglio che vada a spiegargli come sono andate le cose”
Ridacchiai e notai che Luke stava sparendo nuovamente, così lo fermai.
“Luke? – lo richiamai, e lui si voltò subito – vieni qui”
Mi spostai un po’ sul lato destro del letto, così da fargli spazio. Non era il letto più grande in cui avessi dormito, ma aveva ragione: ci si stava comodamente, io e lui.
Mi mostrò un sorriso, dopodichè si avvicinò al suo letto e si stese affianco a me. Allungò un braccio nella mia direzione, facendomi segno di appoggiare la testa al suo petto. E così feci, mentre mi stringeva forte a sé. Non volevo più rinunciare a quella sensazione di protezione che non avevo mai provato con nessun altro, prima di all’ora.
“Grazie per avermi fatta restare”
Lo sentii stringersi nelle spalle.
“Avrei dovuto lasciarti dormire sotto i ponti?” scherzò.
“Avresti avuto più spazio per te, almeno”
Luke si voltò verso di me, stendendosi su un fianco e facendo in modo che lo facessi anche io, così da ritrovarci occhi negli occhi.
“Non m’importa”
Lo ripeteva troppo spesso, che non gl’importava, ed io dovevo ancora capire di cosa, esattamente, non gl’importasse.
“Come stai tu, piuttosto?”
Percepivo il suo fiato caldo, mentre parlava soffiando sulle mie labbra. Chiusi gli occhi, stringendomi ancora di più a lui, incastrando le mie gambe alle sue.
“Adesso bene”
“Adesso che hai dormito?”
“Adesso che sono qui con te”
Le labbra di Luke si aprirono in un maestoso sorriso, così bello da illuminare la stanza.
“Daniel non ti merita”
Strabuzzai gli occhi, sconvolta per quello che aveva detto.
“E tu che ne sai? Neanche lo conosci”
“Lo so e basta – sostenne – se lui ti meritasse davvero tu adesso non saresti qui con me, ma lo ringrazio per questo”
Fui io a sorridere, quella volta.
“Per la prima volta nella mia vita, anche io”
Sentii il suo naso scontrarsi dolcemente con il mio, in una sorta di gioco.
“Puoi venire tutte le volte che vuoi”
“Qui?”
Lui annuì.
“Sicuro che non scandalizzeremo Michael?”
Luke scoppiò a ridere, e dio quanto era bella la sua risata di prima mattina.
“No se continueremo a limitarci a dormire”
Lo guardai mordersi il labbro, impegnato in un sorriso malizioso. Dovetti nascondere il viso nell’incavo della sua spalla, per non fargli notare quanto stessi arrossendo.
“Puoi giurarci, Luke Hemmings”
“Oh, io non ne sarei così sicuro, piccola Stratford”
Alzai lo sguardo nei suoi occhi, pronta ad insultarlo, ma quando mi ritrovai le sue labbra a pochi insignificanti centimetri dalle mie non resistetti, e me ne impossessai.
Lui fece durare il bacio più di quello che mi sarei aspettata, tenendomi saldamente a sé, mentre mi stringeva possessivamente i fianchi. Sorrisi sulle sue labbra, quando il suo piercing si frappose tra la sua bocca e la mia. Dopodiché, Luke appoggiò la sua fronte alla mia, guardandomi dritto negli occhi.
“Non riesci neanche più a guardarmi in faccia senza baciarmi, come speri di poter dormire ancora con me senza approfittartene?”
Luke Hemmings avrebbe potuto girare un tutorial su come rovinare momenti perfetti.
 
 
 
 
 
“E quindi voi vorreste farmi credere che avete solo dormito?”
Mike era ancora molto scettico, mentre ci guardava di sottecchi spalmando della marmellata sulla sua fetta biscottata.
“Perché porti uno snapback appena sveglio? Mentre fai colazione?” gli chiesi, sedendomi al tavolo con lui, dopo essermi preparante una grande tazza fumante di the.
Luke ridacchiò sotto i baffi, mentre ancora scalzo, con le gambe stese sul tavolino da caffè del salotto fumava la prima sigaretta della giornata.
“E tu perché svii l’argomento? Insomma, è chiaro che avete solo dormito, se no avrei sentito qualcosa, no?” continuò Michael, prendendo un morso della sua colazione.
Lo guardai sconcertata, mentre avvicinavo la tazza di the alle labbra.
“So essere molto silenzioso, se voglio” intervenne Luke, dalla sua postazione.
“Questo lo so” convenne Mike.
“Per esperienza diretta o..?” scherzai io.
Michael mi guardò male, mentre Luke scoppiava letteralmente a ridere, spegnendo la sigaretta ormai finita nella conchiglia che usavano come posacenere.
“Ehi Cliff, dì un po’ – fece poi, incrociando le mani al petto – perché ti interessi tanto alla mia vita sessuale? Siamo messi male?”
Mike rise, ironicamente.
“Tu non preoccuparti, Hemmings, ho i miei assi nella manica – si difese – dico solo che con una come Jenelle avrei saputo cosa fare e, amici miei, non mi sto di certo riferendo a dormire”
Roteai gli occhi al cielo.
“Ti ringrazio? – tentai – dovrei prenderlo come un complimento?”
“Oh, eccome Stratford” disse Mike, facendomi l’occhiolino.
Luke scosse la testa, con un mezzo sorriso ad increspargli le labbra.
“Era sconvolta, che avrei dovuto fare? – cominciò – approfittarmi di una dolce fanciulla?”
“Come minimo” convenne Michael.
Scoppiai a ridere e mi piaceva come insieme a loro, durante quella stramba colazione, riuscissi a sdrammatizzare su qualsiasi cosa.
Anche sulla mia pietosa vita.
Ma la risata mi morì sulle labbra, quando vidi il mio iPhone illuminarsi. Rimasi con la tazza di the incollata alle labbra, come se fossi stata ipnotizzata dalla luce dello schermo.
“Jen? – mi richiamò Michael – sembra che ti abbia scritto satana”
“Non satana – lo corressi, sbloccando il mio telefono – molto peggio”
Luke voltò la testa di scatto. Io rimasi con gli occhi fissi sul telefono. E Mike, accorgendosi di quello strano scambio, fece strisciare la sedia sul pavimento.
“Vado a farmi una doccia – annunciò – che ne dite di pranzare fuori? Oggi il tempo è una meraviglia, sembra quasi di essere a Los Angeles”
E sparì, creando un ottimo diversivo per lasciarci soli.
“Che succede?” mi domandò poi Luke, dalla poltrona.
Io scossi la testa, leggendo i messaggi che avevo ignorato per tutta la notte. Ed un ultimo, che mi era appena arrivato.
Così Luke, non udendo risposta, si alzò dalla sua postazione e mi venne incontro.
“È tuo padre?”
Annuii, in uno stato confusionario.
“Che vuole?”
“Non lo so, è solo strano..”
“Cosa?”
Scossi ancora la testa, non riuscivo a spiegarmi il fatto che mio padre mi avesse mandato un messaggio, probabilmente per chiedermi come stessi. Non l’avevo ancora letto, non avevo avuto il coraggio.
“Che a Steve Stratford importi dove sono, come sto, cosa faccio.. insomma, questa è la prima volta che succede”
“Leggilo, Jen” mi invitò Luke.
Ma rimasi tentennante, e lui se ne accorse. Si accomodò sulla sedia affianco alla mia, stringendomi la mano con la sua.
“Sono qui con te”
Annuii, strinsi un po’ la presa alla nostra stretta e: “Ciao Jenelle, come stai? Tuo padre è molto preoccupato per te, vuole sapere dove hai passato la notte e ti intima di tornare a casa molto presto. I miei saluti. Jack Davis”.
Lessi ad alta voce il messaggio che, ovviamente, non era di mio padre.
“Chi è Jack Davis?” mi chiese Luke, confuso.
“Jack è il suo segretario – gli chiarii, con un sorriso amaro sulle labbra, alzando la testa dal telefono ed incastrando i miei occhi nei suoi – capisci? Il suo segretario!” sbottai, alzandomi.
“Magari non ha avuto tempo, magari è in riunione e non poteva aspettare oltre per sapere dov’eri, come stavi, e quindi ha chiesto a Jack di farlo”
Provò Luke, che si era alzato insieme a me, seguendomi.
Mi fermai davanti a lui e gli gettai la braccia al collo.
“Grazie”
“Mi ringrazi troppo spesso”
“Te lo meriti troppo spesso, allora”
Luke sciolse il nostro abbraccio solo per guardarmi negli occhi.
Le sue mani ancorate ai miei fianchi provocavano in me una sensazione troppo bella, per poterci rinunciare. Mi scostò delicatamente una ciocca di capelli dal viso e sorrise.
Il sorriso di Luke Hemmings sarebbe riuscito ad oscurare una delle sette meraviglie, ad illuminare New York dopo un tornado, a far resuscitare i morti e cessare una guerra.
“Non ti lascio, Jenelle Stratford” sussurrò poi, sulle mie labbra.
“Bene, perché non ho nessuna intenzione di lasciartelo fare”.
 
 
 
 
“Ciao stronzi!” gridai, entusiasta, facendo il mio ingresso nel garage di Cal.
Ashton si stava rollando una canna e Calum agitò una mano in aria per salutare me, Mike e Luke, dato che aveva il telefono incastrato tra l’orecchio e la spalla.
“Con chi sta parlando Cal?” domandò Luke, ad Ashton.
Quest’ultimo si strinse nelle spalle, noncurante, mentre leccava la cartina lunga.
“Coglione” lo apostrofò così Luke.
Io ridacchiai, mentre Michael raggiungeva il drogato al tavolo che avevano recentemente spostato nel garage.
“Che palle, non ci voleva..” fece poi Calum, una volta chiusa la chiamata con il misterioso interlocutore.
“Chi era?” domandò ancora una volta Luke.
“Quanto sei petulante, Hemmings – lo prese in giro Ashton, accendendo la canna – che ti frega?”
“Dovrebbe fregare anche a te, invece – intervenne Cal – dovrebbe fregare a tutti quanti, qui dentro”
Calum era parecchio scocciato. Afferrò una sigaretta e se la accese con rabbia, andandosi a sedere sul divano in pelle. Lo raggiunsi, cingendogli le spalle con un braccio.
“Ehi, Cal, tutto apposto?”
Lui voltò il viso verso il mio, tentando di abbozzare un sorriso. Ma l’impresa fallì: peccato, Calum Hood aveva davvero un capolavoro, come sorriso.
“No, Jen – fece, prendendo una lunga boccata di fumo – ero al telefono con l’ennesimo locale che ci ha totalmente rimbalzati, poco prima”
“Oh..” recepii.
“Cosa? – scattò Ash, mollando la canna a Mike – e che aspettavi a dircelo?”
Calum si strinse nelle spalle.
“Stavolta ci credevo davvero – spiegò, lasciandomi una mezza – volevo farvi una sorpresa, tutto qui”
Luke scosse la testa, accendendosi a sua volta una sigaretta.
“Fa niente, Cal” rassicurò l’amico, appoggiandosi alla parete del garage.
Io intanto tentavo di non svenire, davanti a tutto quel fascino sexy.  Ultimamente provavo molte più pulsioni sessuali, verso quel tipo: gli sarei saltata molto volentieri addosso, esattamente in quel momento.
Ma chi volevo prendere in giro? Le avevo sempre provate.
“Jenny? – mi richiamò Mike – tutto bene? Ti sei incantata? Hemmings ti ha fatto un incantesimo?”
Dannazione, Michael si era accorto del mio sguardo da psicopatica maniaca sessuale.
“Perché diavolo non ti struggi come i tuoi compagni di band per il vostro ingaggio fallito al posto di preoccuparti di me e delle mie espressioni facciali?”
“Cosa stavi fissando?” chiese, malizioso.
Luke, rispose il mio inconscio.
Calum iniziò a ridere, ed io ad arrossire.
“Ma che diavolo state blaterando, voi teste di cazzo?” si lamentò Ash che, come al solito, non aveva capito di che cosa stessimo parlando.
Luke scosse la testa e mi regalò un sorriso sghembo, come a dire: “Piccola, non fa niente se mi fissi, so di essere irresistibile”. Per questo, iniziò a torturarsi il piercing al labbro, torturando contemporaneamente la mia sanità mentale.
“Beh, tanto, dopo aver dormito insieme..” cominciò Michael.
Ashton strabuzzò gli occhi, e Cal continuò a ridere come un bambino.
“Mike, fa’ la finita” gl’intimò Luke, continuando a sorridere, però.
Io mi coprii il viso con le mani, tremendamente in imbarazzo.
“Voi avete cosa? – chiese Ash, sconvolto - eddai Hemmings, volevo essere io il primo!”
Gli lanciai un’occhiata omicida, mentre Luke gli riservava un pugno sul braccio muscoloso.
“Ma che cazzo..?” disse Cal, guardandolo sconcertato.
“Ehi! Lo sapete che scherzo! - s’indignò Ashton – adoro Jen, come se fosse mia sorella, potrei mai davvero anche solo pensare di fare qualcosa con lei?”
Nessuno di noi rispose. Mike aggrottò le sopracciglia, scettico. Calum rise, stranamente, e Luke gli tirò l’ennesimo pugno.
“Ehi, dacci un taglio Hemmings! – si lamentò, accarezzandosi la parte colpita – è ovvio che la risposta è un no!”
“Sarà meglio così”
Fui io ad aggrottare le sopracciglia, quando sentii quella voce.
Che diavolo ci faceva Zayn Malik nel garage di Calum Hood?
Scattai in piedi e la figura di Cherrie Williams mi si palesò davanti agli occhi.
“Cherrie? – feci, troppo confusa – quando sei arrivata?”
“Sono sempre stata qui, tesoro – mi chiarì lei – ero di sopra con la madre di Cal, sai a breve sarà il compleanno di suo padre e le do una mano ad organizzare la festa”
“Ah” commentai, sempre confusa.
Sia dal fatto che Cherrie e la famiglia di Calum fossero così uniti, che dalla presenza di Zayn e Louis dietro di lei.
“Comunque – continuò lei – loro hanno suonato e chiedevano di te - disse, stringendosi nelle spalle – così li ho portati qui”
“Sì, grazie Cher” le dissi, sorridendole.
“Io allora torno di sopra!” annunciò poi lei.
“E menomale..” commentò Ash, sottovoce.
Calum si voltò minaccioso verso di lui, ma Luke gli si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla come a tranquillizzarlo. Forse aveva capito che non c’era tempo per altri drammi che non riguardassero Zayn e Louis, quel giorno.
“Beh? – feci io, rivolta ai due nuovi arrivati – che diavolo ci fate voi due qui?”
“Disturbiamo?” cominciò Zayn, ovviamente con il suo solito irritante cipiglio incazzoso.
“Non mettermi in mezzo – disse però Louis, avvicinandosi poi a Luke – bella, Luke”
Luke gli sorrise, dandogli la mano.
“Bella, Lou, tutto bene?”
Louis annuì, mentre Zayn li guardava sconcertato, come a dire: “Che diavolo fai Tomlinson, mi tradisci con il ragazzino con il piercing al labbro?”. Quel piercing era tipo il suo segno distintivo.
“Scusami? – fece appunto Zayn, indignato – ti sei dimenticato perché siamo venuti fino a Brooklyn?”
“Tu frequenti spessissimo Brooklyn, Zayn” gli ricordai.
Luke ridacchiò e, diavolo, non l’avesse mai fatto: Zayn partì in quarta.
“Che hai da ridere, tu?”
“Io? – fece Luke, alzando le mani – assolutamente nulla”
“Sarà meglio per te” continuò Malik.
“Perché, se no? Che fai?”
I due si erano avvicinati, minacciosamente, così Mike decise di mettersi in mezzo.
“Oh – cominciò – questo è un garage pacifico, sia chiaro ad entrambi”
Poi mise le mani sul petto di Luke, come a calmarlo e: “Luke, dammi retta, lascia perdere”.
Lo guardò profondamente, così decisi di intervenire.
“Cerchiamo di calmarci, tutti quanti – dissi, affiancando Louis, come se volessi infondermi sicurezza da sola – Louis, Zayn, questi sono Calum, Ashton, Michael e, beh, Luke lo conoscete”
“Ciao a tutti” fece Lou.
“Bella!” rispose Ashton, con la sua fedele canna tra le labbra.
“Quella è erba?” si fece curioso Zayn.
“Puoi dirlo forte, amico”
“Zayn! – lo ripresi – si può sapere perché siete venuti qui? E no, non lo dico perché disturbate, semplicemente perchè.. – mi fermai – come facevate a sapere che ero qui?”
“Maribel” si strinse nelle spalle.
“Quindi?”
“Quindi – riprese lui – volevamo avvisarti che abbiamo risolto tutto con l’officina di papà”
“Fantastico!” feci io, entusiasta.
“Già, non è finita qui..” intervenne Louis.
“Che significa?” mi incuriosii.
“Significa, bimba – riprese il discorso Zayn – che adesso siamo pronti per Londra e, a dirla tutta, spero davvero che Londra sia pronta per noi, perché partiamo tra due giorni”.
 
 
 
 
Quella notizia mi colpì come uno schiaffo.
Zayn e Louis erano sempre stati l’unica certezza della mia vita, escludendo i miei fratelli, ovviamente. Ecco, era esattamente come se loro fossero i cosplay di Jonathan e Jai: Zayn era incazzoso, protettivo, irritabile e sempre troppo poco ragionevole, proprio come John. Mentre Louis era dolce, sensibile, premuroso, un ottimo ascoltatore e sapeva portare allegria ovunque andasse, come il mio piccolo Jai.
Ed ora che se ne andavano, che avrei fatto io?
“Per te”
La voce di Luke mi distolse da quei pensieri tristi. Aveva appoggiato un boccale di birra sulla superficie del tavolo in legno a cui ero seduta, provocando così un tonfo secco.
“Questa è tutta per me? – chiesi, stridula – stai scherzando, spero”
Luke fece schioccare la lingua, scuotendo la testa in una risposta negativa.
“Mai stato più serio, principessa”
“Sei completamente pazzo”
Faticai a sollevare quell’enorme recipiente, scatenando una risatina di Luke.
“Alla tua, Stratford”
Facemmo tintinnare i nostri boccali e poi tracannammo quella che Calum aveva definito: “La miglior birra di tutti i tempi, ragazzi, persino l’Irlanda ce la invidia”.
Io e Luke eravamo andati al Brooklyn Public House, per concludere in bellezza la serata. I ragazzi non erano venuti, un po’ perché Ashton doveva vedersi con Selena che, a detta sua, era sulla buona strada per essere la donna della sua vita, Mike era troppo stanco per sentirsi le gambe, Calum aveva da fare con Cherrie e Zayn e Louis con me e Luke non sarebbero mai venuti a fare baldoria. Cioè, Louis era stato molto propositivo al riguardo, mentre Zayn si era limitato a storcere il naso ed accendersi una sigaretta. Un po’ perché Luke, era stato molto chiaro nell’invitarli ad unirsi a noi: “Vi chiederei di venire ragazzi ma, dovete proprio?”.
Comunque il Brooklyn Public House era esattamente il tipo di locale opposto a quello che mio padre avrebbe voluto che frequentassi. Magari con un abitino di tulle rosa, Daniel a stringermi la mano ed una banda di archi come accompagnamento musicale dietro di noi, assoldati personalmente da lui.
Sicuramente non sarebbe stato contento nel vedermi in questo pub irlandese con Luke Hemmings, un rocker di Brooklyn con il piercing al labbro ed i pantaloni strappati. Ed io portavo il vestito panna della scorsa sera, con la giacca di pelle di Luke ed i capelli legati in un brutto chignon, invenzione di Calum Hood in persona che: “Se non divento un bassista di fama mondiale, giuro che apro un saloon di parrucchieri”.
*“A cosa pensi?”
Luke mi riportò sulla Terra, ed io smisi di pensare a quanto deludere mio padre mi stesse facendo sentire bene con me stessa.
Probabilmente avevo bisogno di uno psicanalista.
“A te” gli dissi, con un occhiolino.
“Mi lusinghi così, piccola”
Mi morsi il labbro perché diavolo, Luke Hemmings doveva smetterla di chiamarmi piccola. Iniziavo a sentirmi un quattordicenne con eiaculazione precoce, in sua presenza. Dovevo darmi una seria calmata.
“Non chiamarmi così” gl’intimai, guardando da un’altra parte.
“E perché mai?”
Sentii il suo viso più vicino al mio, segno che si era avvicinato a me. Mi sedeva di fronte, con le grandi braccia appoggiate al tavolo ed i denti sempre perennemente incastrati in quel suo labret micidiale, per il mio controllo.
Voltai la testa verso di lui, trovandomi con quelle labbra belle quanto quelle degli angeli dell’inferno a pochi centimetri dalle mie.
Stavo fissando la sua bocca, e lui la mia. C’erano già stati baci, tra di noi, ma in quel momento c’era in atto un gioco di seduzione, attrazione, ed io non potei fare altro che balbettare confessioni senza capo né coda.
“Perché mi destabilizzi, dannazione, Luke Hemmings”
Lui scoppiò a ridere, e finì la sua birra con un sorso secco.
“Bevi quella – mi consigliò – abbiamo appena iniziato..”
Fece per alzarsi nuovamente, ma poi si avvicinò a me e portò le sue labbra al mio orecchio.
“..piccola”
Aggiunse poi, il bastardo.
“Va’ al diavolo!” gli urlai dietro, finendo la mia birra.
Mentre lo aspettavo, decisi di consultare il mio iPhone, trovando un altro messaggio di Maribel. Erano le 02:13 AM, ed io non avevo nessunissima intenzione di tornare a casa. Le scrissi di stare tranquilla, che ero con Luke e di dare un bacio a Jai da parte mia.
“Principessa? – mi urlò Luke, dal bancone – vieni qui!”
E così feci.
Lo raggiunsi, barcollando un po’ sui tacchi: non ero tornata a casa e, se non volevo indossare le Vans di Mike, quelle erano le uniche scarpe a mia disposizione.
“Che hai da strillare?” gli domandai.
Luke mi circondò le spalle con il braccio, avvicinando la bocca alla mia.
“Pronta per divertirti come mai in vita tua?”
Aggrottai le sopracciglia, confusa, spaventata e beh, sì, anche molto sconvolta per la nostra vicinanza.
“Sì?” tentai.
Luke sorrise, in un modo inquietantemente deciso.
“Ehi, Diego! – urlò (ancora) Luke, al barista dai tratti ispanici – due tequile sale e limone, e falle doppie, questa ragazzina ha bisogno di divertirsi”
 Fece, indicandomi.
“Arrivano subito, Luke!” rispose Diego, con un occhiolino.
Io intanto tirai uno schiaffo in pieno petto a Luke.
“Ma che ho fatto?” mi chiese, divertito.
“Ragazzina? – lo citai, indignata – ragazzina? Sul serio?”
Luke roteò gli occhi al cielo, stringendomi per la vita, ancorandomi così al suo corpo.
“Oh, e dai, sei la mia ragazzina”
Inarcai le sopracciglia, ma non feci in tempo a dire niente, perché Diego sbattè i nostri shot di tequila sul bancone umido di chissà quale alcolico.
Luke mi porse il mio bicchierino e mi invitò a leccare un po’ di sale steso precedentemente sulla mia mano.
“Pronta?” mi chiese.
Annusai la tequila e storsi il naso.
“No!” urlai per sovrastare il casino infernale del locale.
“Meglio così – fece Luke, convinto – tutto d’un fiato, intesi?”
Annuii, non troppo convinta.
Ma poi lui fece tintinnare i nostri bicchierini e io fui costretta a mandare giù, velocemente. Luke mi porse immediatamente il limone e, con una faccia molto schifata, me lo ficcai in bocca.
Fui colta dalle risate di Luke.
“Che hai da ridere, spilungone?” lo presi in giro.
“Sei divertente – mi disse – tutto qua”
“Divertente?”
“Divertente e bellissima, ovvio”.
 
 
 
5 shots di tequila sale e limone dopo
“A cosa brindiamo, Hemmings?”
Alzai il mio sesto bicchierino al cielo, pronta a farlo tintinnare contro quello di Luke. Eravamo entrambi ubriachi fradici, non facevamo altro che ridere, bere ed urlare.
“A noi”
Lo guardai mentre stava per leccare il sale dalla sua mano, ma poi lo bloccai.
“Aspetta!”
“Che hai?” mi domandò, curioso.
“Ho un’idea migliore”
Il suo sguardo rasentava la confusione.
Io sorrisi, per rassicurarlo. Presi il sale e gli feci cenno di abbassarsi. Mi alzai sulle punte dei piedi, aggrappandomi al bancone per evitare di cadere. Sparsi un po’ di sale sul suo collo, e lui, capendo le mie intenzioni, si voltò di scatto per guardarmi.
Mi morsi il labbro, e lui sorrise, malizioso. Avvicinai le labbra al suo collo, leccandone poi il sale che avevo versato io stessa. Mi soffermai, lasciandogli una scia di piccoli baci sulla pelle morbida e candida che aveva.
“Basta – ma lui mi fermò – mi farai impazzire, principessa”
Scoppiai a ridere, buttando la testa all’indietro e facendo sparire anche l’ennesimo shottino di tequila di quella sera. Succhiai uno spicchio di limone e mi appoggiai con le spalle al bancone. Avevo gli occhi chiusi, quando sentii le mani di Luke accarezzarmi i fianchi.
“Che fai, Hemmings?” gli chiesi, inarcando un sopracciglio.
In tutta risposta intensificò la presa sui miei fianchi, avvicinandomi con forza a lui. I nostri corpi combaciavano alla perfezione, io avevo una ciocca di capelli sul viso e lui stava giocando con il lip piercing.
“Sei dannatamente sexy”
“E tu troppo ubriaco”
Luke scosse la testa, avvicinando le labbra alle mie ed intrappolandomi contro il bancone. Faceva caldo, ma non era la temperatura del locale, era lui.
“Forse”
Sorrisi, sulla sua bocca benedetta dal Signore stesso in persona.
Schiusi le labbra e presi a giocare con il suo piercing, come faceva sempre lui.
“Sei peggio della droga, Jenelle”
Stavamo boccheggiando l’uno sulle labbra dell’altro, se uno dei due si fosse mosso anche solo di un impercettibile millimetro, sarebbe scattato inevitabilmente il bacio.
“Sei la mia eroina”
“Ti ho salvato?”
“Mi salvi tutti i giorni – disse – ma non intendevo quel tipo di eroina”
Ridemmo entrambi sulla bocca dell’altro, mentre i suoi sussurri mi davano alla testa.
“Non sei la brava ragazzina che paparino vorrebbe per sé”
“Tu che dici?”
Scosse la testa, stringendomi ancora di più a sé.
“Direi proprio di no”
Continuai a stuzzicargli le labbra, giocando con il labret.
Stava fremendo, ed io con lui.
“Ti dispiace?”
“Baciami, cazzo”.

 
 
 
 
 
 
 
sounds good feels good!
ciao a tutti fiori!
credo che se io avessi un canale su youtube inizierei così. ma comunque..
come state? io bene, tra poco è natale ed io sono tipo la regina del natale, quindi sono felice.
il dodicesimo capitolo l'ho scritto con una canzone che io amo, soprattutto una parte in particolare, che dice: "your hips, my hands, you swing and you dance"
adoro quella parte della canzone, e non lo so, Jenelle e Luke finalmente si lasciano andare e subentra anche la passione.
io li adoro, e so che non dovrei dirlo di una coppia che ho inventato io, ma è così, quindi ahahaha
niente, salutiamo come sempre la mia Julie, Nolo, Ben e Genn (che fa anche rima) e me ne ne vado.

vi amo fiori ciao
 
 
 
 
Image and video hosting by TinyPic
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Getaway ***






 
 


quando trovate l'asterisco ascoltate se volete "Disconnected" dei 5sos



 
chapter thirteen

getaway




Quando mi risvegliai nel mio letto, la prima cosa che mi chiesi fu: “Ma come diavolo ci sono arrivata io, qui?”.
La luce filtrava dalle tende, illuminando l’intera stanza. Mi sfregai gli occhi ancora truccati dalla sera precedente, senza trattenere una smorfia di dolore dovuta ad un terribile mal di testa. Cercai il telefono a tentoni, sul letto, e quando lo trovai me lo portai davanti al viso.
“Maledetta illuminazione dell’iPhone..” imprecai.
La mia voce sembrava provenire dall’oltretomba: quella era la mia prima sbronza a tutti gli effetti e la stavo odiando con tutta me stessa.
Aprii un messaggio:
 
11:34 AM
Luke Hemmings:
“Buongiorno principessa, se ti scoppia la testa o credi di dover vomitare l’anima, non preoccuparti, è tutto totalmente normale. Alzati dal letto, bevi un litro d’acqua e manda affanculo tutti quanti, ti sentirai molto meglio.
 
p.s.: tranne me, ovviamente.”
 
 
Luke Hemmings era un cretino, ma anche l’unico capace di farmi ridere appena sveglia. Così presi coraggio e seguii alla lettera il suo consiglio. Mi alzai dal letto, non senza fatica, e mi diressi in cucina, sicura di trovare Maribel intenta a preparare il pranzo.
Per questo quando spalancai la porta della mia camera, ciò che vidi davanti a me fu l’ultima cosa che mi aspettavo.
“Papà? - chiesi, stranita – che ci fai qui?”
Mio padre, che attento scrutava la sede di Wall Street dalla nostra grande finestra, si voltò verso di me non appena sentì la mia voce. Mi squadrò dalla testa ai piedi, e la sua espressione, da calma e pacata quale era, si trasformò in una smorfia di disapprovazione.
“Potrei farti la stessa domanda, da qualche settimana a questa parte – tuonò, autoritario – Maribel, potresti cortesemente lasciarci soli?”
La guardai, e lei mi restituì uno sguardo apprensivo ed un mezzo sorriso, prima di sparire in cucina. Come a dirmi: “Mi dispiace piccolo fiore, non posso farci nulla”.
“Non fare l’ipocrita, adesso, ti prego”
Dissi, per poi cercare di seguire Maribel, per bere quel famoso litro d’acqua di cui parlava Luke. Dannazione, ne avevo davvero bisogno, l’Africa nera era meno arida della mia bocca, in quel momento. Quante sbronze aveva preso Luke per sapere alla perfezione cosa fare in quei casi?
“Dove credi di andare?” ma mio padre mi bloccò per un braccio, tirandomi prepotentemente verso di lui.
“Lasciami, mi fai male” dissi io flebilmente, massaggiandomi il polso.
Lo guardai sospirare, dopodiché si massaggiò lentamente il viso, come se fosse sfinito. Sfinito dal mio comportamento.
“Non m’importa se ti faccio male, Jenelle – cominciò – sono tuo padre, dannazione”
“Ah, ogni tanto te lo ricordi allora” commentai, sarcastica.
“Ma ti sei vista? – mi schernì – hai quasi diciannove anni, sei una donna e te ne vai in giro conciata in questo modo, passando la notte chissà dove e non voglio neanche immaginare con chi”
“Se non ricordo male, papà, sei stato tu a dirmi di non tornare a casa, l’altra sera” marcai sulla parola “papà”, quella che meno riusciva a descriverlo.
“Non di certo per sempre!” sbottò.
Sgranai gli occhi, sconvolta.
“Ma ti senti quando parli? – urlai – un padre non dovrebbe mai rivolgersi ad una figlia nel modo in cui hai fatto tu, mai, per nessuna ragione al mondo”
“Che avrei dovuto fare, Jenelle? – si giustificò – sprechi il tuo tempo con gente poco raccomandabile, a Brooklyn per di più”
“Gente poco raccomandabile? – lo citai – papà, tu non conosci Luke”
“Non voglio neanche sentirlo pronunciare, quel nome”
“Siamo amici – continuai, piccata – qual è il problema?”
Steve scosse la testa, puntandomi un dito contro.
“Non farti mai più vedere in giro con quel tipo, Jenelle, sono stato sufficientemente chiaro? Non voglio che lo rivedi, e non dirò nulla a Dan in merito a questa notte”
“Sarebbe un ricatto? – chiesi, retorica – non m’importa, papà, dillo anche al padre eterno”
“No allora forse non ci siamo capiti – mi strattonò ancora per il braccio – tu non lo rivedrai e, soprattutto, non voglio che Jai lo riveda mai più”
“E da quando t’importa di Jai? – gli chiesi urlando, sull’orlo delle lacrime – che ne sai tu delle notti passate a piangere, nel mio letto, a causa tua! Che ne sai? Non te ne è mai importato nulla!”
“Non urlare e non dire queste cose, Jai è mio figlio ed è normale che mi importi di lui” mi rispose, pacato.
“Normale, ma certo, normale! – sbottai, nuovamente – non c’è nulla di normale, qui dentro e grazie mille, papà, per aver rovinato anche l’ennesimo tentativo da parte mia di rendere Jai felice”
“Ringrazia quel tuo amico, non me” si difese.
“Luke non rovina nulla”
Rimanemmo in silenzio per qualche istante, dopodiché papà si stirò la giacca con le mani ed indossò la sua solita maschera.
“D’accordo, sono in ritardo – annunciò – spero che questa chiacchierata sia servita a qualcosa, va’ a cambiarti e renditi presentabile per quella che sei, ovvero mia figlia”
Detto fatto, se ne andò, lasciandomi sola ancora una volta. Chiuse sbattendo la porta dell’attico dietro le sue spalle, io mi passai stanca una mano tra i capelli e: “Oh, ma vaffanculo!”.
 
 
 
 
 
Come se quella furiosa litigata non fosse bastata, quello stesso pomeriggio, mi trovavo al JFK International Airport per dire addio alle mie ancore di salvezza.
“Non state partendo sul serio” ripetevo, da venti minuti abbondanti.
“Cos’è, tipo un nuovo mantra quotidiano?” chiese Zayn, fermandosi davanti al gate, posando la valigia a terra.
“Tipo” feci io.
Louis e Zayn erano felici, stavano per diventare indipendenti a tutti gli effetti ma io, per quanto non volessi essere egoista, non riuscivo ad esserlo altrettanto.
“Ce lo farai un sorriso, prima di vederci sparire su un volo per Londra?” domandò Louis.
Così mi lasciai andare ad una risata, seppur debole.
“Posso provarci”
“Sali su quell’aereo” mi ripeté.
Zayn me l’aveva detto tante volte, nelle ultime settimane. Ed eccoci: loro stavano per partire, per realizzare il nostro sogno, con uno zaino in spalla, tanta voglia di farcela e senza di me.
“Non posso”
“Puoi eccome – continuò, deciso – non tornerai mai più a New York da tuo padre, sarà come un capitolo della tua vita totalmente chiuso, chissà quanti potresti aprirne a Londra, con noi”
Sorrisi, prendendo per un solo ed insignificante secondo in considerazione quell’idea malsana e totalmente da fuori di testa ma: “Non posso”, ripetei.
Zayn annuì, arrendendosi una volta per tutte.
“D’accordo” assentì poi.
“Ci mancherai” fece Louis.
Lo guardai negli occhi e, dannazione, non potei fare a meno di saltargli in braccio.
“Anche voi, non potete capire quanto, ragazzi!”
Cercai di trattenere le lacrime ma le braccia di Louis che mi stringevano forti a sé, mi impedirono di riuscire nell’impresa: “Non frignare come una bambina perché quei due tossicomani dei tuoi amici se ne vanno”.
“Come farò senza di voi?”
Louis e Zayn mi guardarono intensamente, senza sapere cosa dire, per qualche istante. Fino a che Zayn non mi afferrò per il braccio e mi strinse a sé, appoggiando la sua fronte alla mia.
“Non sei sola, okay?” mi chiarì.
“Ah no?” gli chiesi, con le lacrime che mi pizzicavano gli occhi.
“No, e non piangere, ho una reputazione da mantenere”
“Cosa centra la tua reputazione adesso?”
“Se ti metti a piangere scoppio anche io e dannazione non voglio farlo, quindi ascoltami bene, Jenelle Stratford - cominciò – non sei mai stata meno sola di adesso”
“Ma che stai dicendo? - domandai, spaesata – ho sempre avuto solo voi e tu lo sai”
“No, bimba – chiarì – non è più così, adesso hai Hemmings con te e non sai quanto mi pesi dire quello che sto per dire – chiuse gli occhi, senza scostarsi da me – mi fido di lui, so che tiene a te e so che non ti lascerà, per cui, non sei sola”
Riaprì gli occhi nei miei, ed io mi lasciai andare ad un sorriso. Lo abbracciai forte e stretto, respirando il suo profumo, imprigionata nell’incavo del suo collo.
“Sei il migliore, Zayn Malik, non dimenticartelo”
“Ce la farai senza di noi” mi rassicurò poi Lou.
Mi scostai da Zayn, per guardarli entrambi.
“E voi?”
“Ovviamente no” scherzò, mentre Zayn ridacchiava.
“Non bruciate nulla, assaltate il Big Ben anche per me e viva la regina!” dissi.
Loro risero, ed insieme ci stringemmo in un grande abbraccio di gruppo.
“Sei preziosa, Jen - mi confidò Louis – non troveremo mai una Stratford versione Regno Unito, puoi starne certa”
“Una principessina rompi coglioni come te? – fece Zayn – nah, non la troveremo mai nell’ interno mondo”
Scoppiai a ridere, mentre loro si allontanavano verso il gate, per imbarcarsi.
“Ciao coglioni – li salutai – fate buon viaggio!”
E così sparirono verso la loro avventura.
Feci per voltarmi e tornarmene a Wall Street ma, quando mi mossi, mi scontrai con qualcosa, o meglio, qualcuno.
“Credevi davvero che ti avrei lasciata sola in un momento come questo?”
E allora capii cosa intendesse Zayn, con quelle sue inaspettate parole. Alla fine l’aveva capito lui per primo che, nonostante lui e Louis stessero partendo per Londra, io non sarei mai stata sola, fino a che Luke Hemmings sarebbe rimasto nella mia vita.
 
 
 
 
“Che ne sapevi che ero al JFK?”
Ingoiai l’ennesima patatina con formaggio, antico rimedio contro la tristezza, seduta sul cofano del Range Rover di Luke.
“Me l’ha detto Zayn” disse, stringendosi nelle spalle.
Per poco non mi strozzai, quando sentii quelle parole.
Guardai Luke accendersi una sigaretta, seduto affianco a me.
“Come scusa?”
Luke sbuffò, voltandosi verso di me.
Eravamo ai piedi del ponte di Brooklyn, illuminato per la notte, con i piedi a penzoloni sull’East River, ed era un vero spettacolo. Non so cosa fosse più bello, se gli occhi di Luke, o quello scenario.
“Mi ha chiamato - continuò – non voleva che restassi sola una volta che loro sarebbero saliti su quell’aereo e, beh, nemmeno io”
Sorrisi, dandogli scherzosamente di gomito.
“Come siamo sentimentali” lo presi in giro.
“Sono serio, Jen – fece lui, guardandomi – sai di non essere sola, vero?”
Annuii, accoccolandomi a lui ed appoggiando la testa alla sua spalla.
“Lo so - confessai poi – ma non credevo che tu e Zayn.. ecco, insomma.. hai capito”
Luke rise, prendendo a sfregare il pollice sul dorso della mia mano.
“Io e Zayn vogliamo solo che tu stia bene” concluse, stringendosi nelle spalle.
“Sto bene” ammisi, poi.
“Sicura?” mi chiese lui, per accertarsene.
“Certo – lo rassicurai – sono sotto il ponte di Brooklyn con delle patatine al formaggio, un pacchetto pieno di Marlboro e con te, cosa potrei chiedere di più?”
Luke mi afferrò il mento con le dita, per guardarmi negli occhi e mostrarmi uno splendido sorriso.
“Quel pacchetto di Marlboro è mio”
Mi sarei aspettata un bacio, una frase solenne, qualsiasi cosa, ma non quello. Così scoppiai a ridere, e lui mi abbracciò stretta.
“Sei un idiota, Luke Hemmings”
“D’accordo, me lo sono meritato – disse – ma adesso, questo idiota, ti porterà un po’ in giro, ci stai?”.
 
 
 
 
 
*“Adesso vuoi spiegarmi perché te ne vai in giro con un macchinone, stasera?”
Camminavamo fianco a fianco sul ponte di Brooklyn, che io avevo sempre amato. Ci andavamo spesso, con John, ed ogni tanto ci portavamo anche Jai. Papà non ne era mai troppo contento ma, d'altronde, c’era qualcosa che rendesse Steve Stratford felice tanto quanto le quotazioni e Daniel? No, certo che no.
“È un regalo di Kyle”
Da come lo disse, dal suo stringersi nelle spalle e dall’avidità con cui estrasse una sigaretta dal pacchetto, capii che c’era qualcosa che non andava.
“Ehi – gli punzecchiai la spalla, guardandolo di sottecchi – che c’è che non va? Perché Kyle ti ha fatto questo regalo? Non sapevo fosse il tuo compleanno, Hemmings, non mi dici mai niente!”
Luke rise, porgendomi una Marlboro che accettai con gioia.
“Infatti non lo è – chiarì lui, passandomi il suo accendino acquamarina – dice che non vuole che io me ne vada in giro su quello skateboard sgangherato per tutta New York – fece una piccola pausa, per poi imitare la voce del suo patrigno – potrebbero investirti, non lo sai, Luke? Non pensi mai a niente!”
Scoppiai a ridere, malgrado tutto.
Strinsi la sigaretta tra le dita e Luke mi guardò, come meravigliato.
“Che c’è?” gli chiesi, con un sorriso.
“Non lo so – fece lui, con le mani nelle tasche dei jeans neri – mi piace la tua risata, quando sei con me”
Luke era carino quando si stringeva nelle spalle, prendeva un tiro dalla sua sigaretta e continuava a camminare, di fianco a me, con venti centimetri di differenza e le mani così vicine ma così lontane, che non osavano ancora sfiorarsi.
“Anche a me” confessai.
Quando ridevo con lui ridevo sul serio, non mi sforzavo di nulla, era tutto completamente naturale e spontaneo.
Poi Luke si fermò ad un estremità del ponte, guardando l’orizzonte.
“Dio, mette i brividi”
“Io lo trovo d’ispirazione, invece, potrei scrivere il mio primo romanzo, qui”
“E di che cosa parla? – mi chiese, muovendo qualche passo – di me?”
“Ovvio! – scherzai – di chi se no?”
Sentii le sue braccia circondarmi il collo, ma non perché mi stesse strozzando. Luke mi stava teneramente abbracciando da dietro, ed io riuscivo chiaramente a sentire il suo respiro caldo sulla pelle, con le labbra quasi premute sui miei capelli.
Mi aggrappai totalmente a lui.
“Un bellissimo ragazzo biondo, con gli occhi azzurri e la bellezza di Zeus che mi rubò il cuore al primo sguardo – continuò – questo sarebbe un ottimo prologo”
“Zeus? – domandai, stranita – perché proprio Zeus?”
Mi voltai, cingendogli i fianchi con le mani.
“Non lo so – rispose, stringendosi nelle spalle – è il primo dio greco che mi è venuto in mente”
“Io non credo in dio, nemmeno in quelli greci”
Luke scosse la testa, continuando a guardarmi negli occhi.
“Io non lo so – confessò – ogni tanto ho bisogno di credere in qualcosa, ma ancora non so in che cosa”
Annuii, era più che comprensibile. Il bisogno di dover credere in qualcosa, per potercisi aggrappare con tutte le forze, in caso le proprie venissero a mancare.
“Perché hai accettato il regalo di Kyle?” gli chiesi a bruciapelo.
Le mie mani intorno alla sua vita, la sua lingua a giocare con il piercing ed i nostri occhi incatenati. Eravamo solo io e lui, lontani dai suoni e dai rumori di quella città che sembrava non dormire mai.
“Avrei accettato quel regalo anche dal diavolo in persona – disse – solo un matto non accetterebbe un Range Rover per orgoglio”
“Ah ma allora sei umano anche tu” commentai, sarcasticamente.
Luke avvicinò il viso al mio, ed io increspai le labbra in un sorriso, a quel lieve contatto delle sue labbra sulle mie.
“Più di quanto immagini, ragazzina”
“Piantala di chiamarmi così - lo ammonii, comunque divertita dal suo atteggiamento – hai solo un anno più di me”
“Anagraficamente, forse”
Sbuffai, sfilandogli un’altra sigaretta.
“Mia madre dice che quando ho iniziato, a sedici anni – cominciò lui, vedendomi accendere la Marlboro – fumavo solo quando ero nervoso per qualcosa”
“Davvero?”
Annuì.
“Sei nervosa?”
Così collegò le due cose.
Lo guardai negli occhi, e ormai a Luke avrei detto qualsiasi cosa.
“Oggi ho litigato con mio padre, Luke – confessai, prendendo una veloce boccata di fumo – non vuole che io ti frequenti e bla, bla, bla..” liquidai, stringendolo un po’ di più.
“Tipico dei padri – mi disse – credono che in mia compagna le loro figlie non preserveranno a lungo la loro verginità, sarà il piercing” ragionò.
Lo guardai sconcertata. Insomma, che diavolo stava dicendo?”
“Jen, sto scherzando” chiarì poi, con un sorriso, notando la mia palese confusione.
“Credevo fossi diventato ancora più idiota di quello che sei in meno di un giorno”
“Sì dai, insomma, solo un cretino potrebbe pensare che a New York esistano ancora delle vergini”
Lo colpii su una spalla, e lui scoppiò a ridere, trascinandosi dietro inevitabilmente anche me.
“Sai, Luke – cominciai io – nonostante io abbia litigato con mio padre, oggi, e Louis e Zayn siano partiti per Londra senza di me, qui con te sto bene, non sono triste o depressa, nulla di tutto ciò, mi sento bene, davvero”
Luke sorrise, sinceramente felice di quelle mie parole, ed in quel preciso momento, un temporale ci colse alla sprovvista.
“Oh, dannato giugno!” mi lamentai io.
“A me piacciono le piogge estive”
“Sei gay?”
Luke mi fulminò, dopodiché mi prese per mano ed insieme corremmo fino al Range Rover.
“Sali, ragazzina”.
 
 
 
 
 
 
“Sai una cosa? – chiesi, sottovoce – preferisco quando mi chiami principessa”
“Non l’avrei mai detto, sai, ragazzina?”
Lo guardai male, mentre mi sistemavo una treccia sulla spalla.
Eravamo attenti a muoverci piano, nell’appartamento a Brooklyn, per evitare che Michael si svegliasse in piena notte ed ipotizzasse ancora una nostra romantica fuga d’amore.
“Okay, d’accordo, facciamo a modo tuo”
Mi voltai confusa, senza capire cosa quel cretino di Luke stesse farfugliando. Ma non feci in tempo a domandargli nulla, che due braccia forti mi sollevarono.
“Ma che diavolo fai?”
“Non urlare” mi riprese, papà Luke.
“Sto urlando sottovoce”
Luke, che mi stava tenendo in braccio come una principessa, si bloccò davanti alla porta di camera sua, guardandomi leggermente confuso.
“Che cazzo significa urlare sottovoce?”
Roteai gli occhi al cielo e lui spalancò la porta, adagiandomi poi sul suo letto. Indugiammo parecchio, l’uno con le labbra accanto a quelle dell’altro, fino a che Luke non si allontanò, per chiudere nuovamente la porta e sfilarsi la maglietta.
“Hai manie nudiste, Hemmings?”
“Ti disturba?” mi chiese, con un sorriso malizioso.
Gli conveniva smetterla di mordersi così il labbro, se non voleva che gli saltassi addosso da un momento all’altro senza preavviso.
“Affatto”
Mi sfilai gli anfibi e notai che stavo iniziando a vestirmi come lui: skinny jeans neri, Dr. Martens a tutte le ore del giorno, camicie a quadri, canottiere, insomma, una vera rocker degna della compagnia di Luke Hemmings.
Luke si sdraiò accanto a me, ed io mi accoccolai a lui, appoggiando la testa al suo petto. Stavo così bene, lì, con lui, abbracciati sul suo letto, tra le pieghe delle lenzuola bianche.
Ed il mio telefono pensò bene di vibrare, rovinando tutto.
Sentii Luke sbuffare, mentre estraevo l’iPhone dalla tasca posteriore dei jeans. Feci per leggere il messaggio ma Luke fu più veloce di me, strappandomelo dalle mani e buttandolo a terra.
“Ehi! – m’indignai, picchiandolo sul petto – mi è costato un sacco di soldi, quello!”
“A te o al tuo paparino?”
“Vaffanculo”
Sentii la sua risatina, e dopo un bacio delicato sui capelli.
Si voltò sul fianco, per far sì che lo facessi anche io, come l’altra mattina, l’ultima volta che avevamo dormito insieme.
“Stai qui solo con me” disse poi.
Lo guardai intensamente negli occhi, e dio solo sa come riuscì a renderli così azzurri.
“Non chiedo altro”
Mi avvicinai al suo viso, e gli lasciai un bacio dolce sulle labbra.
“Luke?”
“Che c’è, piccola?”
Non ragazzina e neanche principessa.
“Ti ricordi quando mi hai detto che ti piaccio, qualche giorno fa, a scuola di Jai? – chiesi, e lui annuì – beh, anche tu mi piaci..” confessai, come una ragazzina di 14 anni.
Forse aveva ragione lui.
Sentii le labbra di Luke dolcemente sulle mie, dopodichè lui intensificò il bacio, ancorandomi a sé.
E le sue mani intorno ai miei fianchi, sembrava avessero trovato il loro posto per tutta la vita.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
sounds good feels good!
god bless sunday
ciao bimbe, come state? è domenica e la domenica è il giorno del collasso
credo di essere abbastanza soddisfatta di questo capitolo, mi sono lasciata ispirare da una delle mie canzoni preferite dei 5 seconds in assoluto, ovvero: "Disconnected", perchè, quanto è bella?
Louis e Zayn se ne sono andati a Londra e Jen è rimasta a NYC, con Luke
vi aspettavate una reazione del genere da parte di Zayn?
okay, direi basta dai. spero vi sia piaciuto anche questo capitolo e nulla, vi rignrazio di seguirmi.
vi voglio bene, Simona.




 
Image and video hosting by TinyPic


Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 5 seconds of summer ***



quando trovate l'asterisco ascoltate se volete "Magnetic" di Jessie J
 
 


chapter fourteen

5 seconds of summer


 
Avevo dormito ancora da Luke, abbracciata a lui, nel suo letto. Le notti passate a Brooklyn con lui, scorrevano più dolcemente, che a Manhattan, nel mio letto, da sola, triste. Dormivo meglio, beata ed anche di più, senza pensieri.
Svegliarsi con il profumo della sua pelle, il suo braccio delicatamente appoggiato alle mie spalle, per stringermi a sé, era decisamente meglio che svegliarsi con l’odore di caffè solubile e le voci di Dan e mio padre.
Avevo trovato un altro paradiso, lì con lui.
Aprii gli occhi, godendomi la pace delle 10:00 AM e la luce del mattino che filtrava candida dalle tende bianche della finestra. Sorrisi, e dio, da quanti anni era che non sorridevo appena sveglia?
Guardai Luke ed attenta a non svegliarlo, dosando ogni mio movimento, scesi dal letto per dirigermi in cucina. Socchiusi la porta e camminai scalza lungo il piccolo corridoio. Sbirciai nella camera di Mike, e lo trovai addormentato, con la bocca semichiusa ed un’espressione beata. Ridacchiai sommessamente e raggiunsi la cucina, che dava direttamente sulla sala.
Misi a fare del caffè per le due rockstar ed un po’ di acqua calda per me, ‘che Luke aveva comprato le bustine di the caldo, ricordandosi che io il caffè non lo bevevo mai, nemmeno di mattina.
Sfilai una sigaretta dal pacchetto di Marlboro di Michael e mi stesi sul divano, con le gambe appoggiate al tavolino, scoperte dalla sola maglietta di Luke che portavo. Afferrai l’iPhone che stava su di esso, forse di Mike e composi l’unico numero che conoscevo a memoria.
“Ehi, John!” risposi, quando sentii la sua voce assonnata.
“Jen? – chiese, ancora mezzo addormentato – no, non puoi essere tu, sei troppo felice e sono solo le dieci del mattino, è fuori discussione che tu sia mia sorella”
Sbuffai, mantenendo comunque un’aria divertita. Era l’effetto che quella casa aveva su di me.
“E invece sono proprio io, Jonathan – chiarii – quindi fatti un caffè forte e ascoltami, devo dirti una cosa importante”
“Probabilmente sto sognando, ma visto che non posso fare altrimenti, ti ascolterò – iniziò – avanti, dimmi”
Ridacchiai, alzandomi per andare a spegnere il gas della caffettiera. I due rockers non avevano una pratica macchinetta, e quindi ero costretta a preparare il caffè alla vecchia maniera. Ma nulla che Maribel Diaz non mi avesse insegnato a fare.
“Il Root Hill fa ancora musica dal vivo?” mi informai, maneggiando la caffettiera.
“Sì, perché? – chiese mio fratello – sei entrata a far parte di una band? Figo, formato sogno di mia sorella”
“John, piantala di credere che sia un sogno, tirati un pizzicotto o buttai dalla finestra, ma renditi conto che è la realtà”
“Okay d’accordo, sono confuso – ammise John, mentre io ridacchiavo, appoggiandomi al piano cucina – sei entrata o no in una band?”
“No, non si tratta di me – misi in chiaro – è Luke che suona in una band, e vorrebbero esibirsi per la prima volta dal vivo” spiegai.
“Oh, ma certo, Luke..” il suo tono di voce si fece suadente.
Perché a me il fratello spastico?
“John, torna in te, giuro che la prossima volta chiamerò Sabine”
“E quindi vorresti che parlassi con Harry, giusto?” mi ignorò lui.
“Giusto – confermai – puoi farlo?”
“Certo, io ed Harry siamo ottimi amici, lo sai”
“Mi farai sapere?”
“Ovvio, sorellina – fece, scoccandomi un bacio – torno a dormire e svegliarmi da questo strano sogno”
Riattaccai, arresa alla sua stupidità patologica.
Il Root Hill era il locale in cui lavorava Jonathan da un anno, ormai. Oltre a fare drink da paura, ospitava anche band e cantanti solisti alle prime armi, così avendo assistito alla telefonata fiasco di Calum, ebbi il colpo di genio. Non l’avevo detto a Luke per il semplice motivo che non avevo voglia di illuderlo, prima volevo assicurarmi che Harry fosse disponibile e d’accordo.
Harold Edward Styles, più conosciuto come Harry Styles, era il giovane proprietario del Root Hill. Aveva solo due anni in più di John ed aveva preso il posto di suo padre. Harry era bello, alto, eccentrico, con i boccoli di Taylor Swift e le gambe di Kendall Jenner. Avevo sempre avuto una semi cotta per lui, ma tutte le newyorkesi e non che almeno una volta nella loro vita siano entrate al Root Hill, sono inevitabilmente cadute nella rete insidiosa del fascino di Harry Styles.
“È il mio compleanno, per caso?”
La voce di Mike mi riscosse dai pensieri, e mi voltai subito verso di lui. Lo trovai con una canottiera nera, dei pantaloncini sportivi ed i capelli verdi tutti scompigliati dal cuscino.
“Buongiorno, Clifford! - lo accolsi, porgendogli la sua tazza di caffè – con tre cucchiaini di zucchero, come piace a te!”
Michael guardò me, poi la tazza che reggevo tra le mani e poi ancora me. Dopodiché afferrò il suo caffè, con un’alzata di spalle e: “Una ragazza seminuda mi ha fatto il caffè senza che io glielo chiedessi – ragionò – è senza dubbio il mio compleanno”
Lo guardai dirigersi verso il divano, mentre io mi sedevo sul piano della cucina, sorseggiando il mio the caldo. Non feci in tempo a dire nulla, che i passi strascicati di Luke per il corridoio, avvisarono la sua entrata in cucina.
“Che avete da urlare di prima mattina, maledetti?” ci aggredì.
Deglutii pesantemente, quando lo osservai: aveva dei pantaloni della tuta grigi, era scalzo e non portava la maglietta. Beh, certo, la stavo indossando io la sua.
Si stava scompigliando ulteriormente i capelli con la mano, ed aveva ancora gli occhi assonnati. Aveva l’espressione idilliaca di un bimbo appena sveglio, mentre mi guardava.
“Prima mattina? – domandai io, retorica – Hemmings, sono le undici”
“Appunto”
Roteai gli occhi al cielo, guardando la sua schiena allontanarsi verso il pacchetto di Marlboro abbandonato sul tavolino della sala, da cui avevo accinto anche io, prima di lui.
“Non mi fai gli auguri?” gli chiese Mike.
“Auguri? E per cosa? – fece confuso Luke – hai messo incinta qualcuna?”
Michael lo guardò male, mentre il suo amico gli si accomodava affianco.
“È il mio compleanno, oggi” chiarì Mike, spegnendo la sua sigaretta nella conchiglia.
Luke lo guardò stranito.
“Cliff, tu compi gli anni a novembre – gli ricordò – e siamo a giugno”
Mike aggrottò le sopracciglia, improvvisamente confuso.
“E allora perché Jenelle mi ha accolto vestita così e con una tazza di caffè?”
Luke si limitò a tirargli uno schiaffo dietro la testa, mentre io afferravo la sua tazza di caffè e mi avvicinavo a loro.
“Jen non ti farebbe quel tipo di regalo neanche se tu vincessi un milione di dollari alla lotteria, amico, mettitelo bene in testa”
“Beh – intervenni io, porgendogli il caffè – in quel caso, forse potrei pensarci”
Mike ridacchiò, sorseggiando un po’ della bevanda calda.
“Per me?” mi chiese Luke.
“Senza zucchero, giusto?”
“Giusto, principessa”.
 
 
 
 
 
Era una giornata tranquilla, nel garage di Calum: Ashton e Michael stavano giocando a Shangai, ed io ancora dovevo capire perché, il padrone di casa si stava rollando una canna e Luke aveva un’espressione seria, mentre rifletteva con una penna in mano ed un foglio quasi bianco, davanti ai suoi occhi, sul tavolo.
Mi avvicinai a lui, cercando di sbirciare, ma non appena si accorse di me, accartocciò il foglio.
“Cos’era?”
“Nulla – si strinse nelle spalle – oggi non ho ispirazione”
“Stai scrivendo una nuova canzone?” m’informai, sedendomi affianco a lui.
“Ci sto provando”
“Di cosa parla?”
“Sorpresa” mi soffiò sulle labbra, con un sorriso sornione.
“Che palle che sei, Luke Hemmings, sai che odio le sorprese!”
Luke rise, quando mi vide incrociare le braccia al petto, come una bambina capricciosa.
“Quanto sei bella, quando metti il broncio”
Mi sussurrò all’orecchio, prima di sollevarmi e farmi sedere sulle sue gambe, circondandomi la vita con le sue grandi braccia.
“Piccioncini, quando avevate intenzione di dirmi che Jenelle si sarebbe trasferita da noi? – c’interruppe Mike – dovrò rivedere molte delle mie abitudini”
“Ma Jenelle non si è trasferita da noi” chiarì, Luke.
“Ah no? – si sorprese Michael – credevo fosse così, dal momento in cui tutte le mattine la vedo girare semi nuda per casa, non che mi dispiaccia, s’intende”
“Hemmings, posso trasferirmici anche io da voi?” fece Ashton.
Luke fece per dire qualcosa, ma io lo precedetti.
“Non vivo con loro, Ash – dissi – è capitato che qualche notte mi fossi fermata a dormire, ma per questioni di.. beh..”
“Non devi dare spiegazioni a nessuno – mi disse Luke, guardandomi negli occhi, sottovoce – puoi fermarti tutte le volte che vuoi, capito?”
In realtà a qualcuno dovrei darle, le spiegazioni..
Sapevo che quello che stavo facendo a Dan non era giusto, ma d'altronde, lui mi aveva mai chiesto qualcosa di queste notti? Insomma, probabilmente non sapeva nulla, del fatto che avessi passato la notte fuori ma, non gl’importava del fatto che ci stessimo vedendo molto di meno.
“Jen? – mi richiamò Mike, ed io mi voltai verso di lui – casa nostra è sempre aperta, per te”
“Grazie, Mike” gli sorrisi, sinceramente.
E mi strinsi un po’ di più a Luke, appoggiando delicatamente la testa alla sua.
“Che noia quando fate gli sdolcinati – intervenne Ashton, ragionando su Shangai – rovinate la nostra reputazione di band rock”
“Irwin, sta’zitto – disse Luke – stai giocando a Shangai, cazzo” lo prese in giro.
Ash lo mandò a quel paese, con il terzo dito, molto finemente, mentre Calum rideva.
“Ehi, Cal – lo richiamai – dov’è Cher?”
“Ecco l’altro motivo per cui non saremo mai credibili – disse Ashton – fottiti Clifford, tu e il tuo stecchino verde, chi è il campione adesso?”
“Certo – fece Calum, incerto, nel guardarlo – è per colpa mia, che nessuno ci prenderà mai sul serio, no?”
Luke rise, ed io con lui.
“Vai a farti fottere Ash – Mike si alzò indignato dal tavolo di Shangai – passa la canna, Hood”
Ed affogò i suoi dispiaceri nella marijuana.
“Cherrie arriva più tardi” mi disse poi Cal, mentre porgeva la canna a Michael.
Annuii, pensando poi ad una cosa che non so per quale motivo non mi fosse venuta in mente prima.
“Ragazzi? – feci, riflettendo – ma voi com’è che vi chiamate?”
“Ashton, Luke, Calum e Michael?” rispose, ovvio.
Mike, che era il più vicino a lui, si occupò di picchiarlo per la stronzata che aveva detto.
“Quanto sei stupido, Irwin – intervenne poi Cal – intende qual è il nome della nostra band”
Luke mi guardò e: “In effetti non ci abbiamo mai pensato”.
“Beh, non sarebbe ora di darvi un nome? – gli dissi – in caso qualcuno dovesse chiedervi di partecipare a qualche serata, avrebbe bisogno di annunciarvi..” buttai lì, sperando che John stesse adempiendo ai suoi doveri di fratello maggiore.
“Certo, come no” fece Calum, pessimista come al solito.
“Oh, e dai Hood – lo riprese Ash – piantala di fare sempre il porta sfiga, Jen ha ragione, abbiamo bisogno di un nome”
“Questo è lo spirito, Ash!”
Mi alzai in piedi per dargli un cinque.
“Michael ed i suoi ragazzi” disse la testa verde.
Luke lo incenerì con lo sguardo.
“Vaffanculo, Cliff”
“Vacci piano, oggi è il mio compleanno” si difese.
“Ma che cazzo dici, Mike?” gli chiese Calum.
“Storia lunga - s’intromise Luke – tu hai qualche idea, principessa?”
“Beh, in effetti, avrei pensato a qualcosa..” cominciai, incerta.
“Perfetto!” esplose Ash.
“Sarebbe?” m’invitò a continuare Mike.
“4 Seconds of Summer – dissi – voi siete quattro, e a tutti piace l’estate, quindi è come se portaste un po’ di sole ovunque andiate, con la vostra musica” spiegai, gesticolando.
Calum sorrise, soddisfatto, ed Ashton mi abbracciò.
“Sei una benedizione, Jenelle Stratford” mi scoccò un bacio sulla guancia.
“Vi piace?”
“Stai scherzando? – chiese retorico Michael – è perfetto!”
Sorrisi, compiaciuta.
“E tu Luke, che ne pensi?”
Luke era stato l’unico a non dire nulla.
Puntammo tutti e quattro gli occhi su di lui, aspettando il responso.
“Non mi fa impazzire, in realtà”
Calum sbuffò, e Michael si accese una sigaretta, scuotendo la testa.
“Che rompi cazzo che sei, Hemmings – disse Ash – cos’ha che non va il nome di Jenelle?”
“Noi non siamo in quattro – chiarì Luke – credo che 5 Seconds of Summer sia più appropriato, ormai tu fai parte di noi, no?”
Non seppi cosa dire, stavo addirittura per commuovermi, di fronte a quelle parole.
“Oh Lukey!” lo prese in giro Calum.
“Vai a farti fottere, Hood” rispose Luke, alzandosi per raggiungere le sue sigarette.
Ma io lo bloccai per il polso, costringendolo a voltarsi verso di me.
“Credo sia meraviglioso, Luke”
Lui mi sorrise, guardandomi negli occhi. Avrei voluto baciarlo. Mi alzai sulle punte, avvicinandomi alle sue labbra, ma Ashton lo afferrò per le spalle e lo portò via da me.
“E bravo Hemmings!”
E mentre i ragazzi davano fastidio a Luke complimentandosi per il nome, io mi accesi una sigaretta, pronta a consultare il mio iPhone che aveva appena vibrato.
Era Maribel, e quando aprii il messaggio vidi una foto di Jai, che faceva la sua “faccia gonfia”, ovvero gonfiava le guance, fingendosi un pesce palla. La didascalia diceva: “Ad un bimbo manca la sua sorellona”.
Sorrisi a 234724 denti e mi venne subito un’idea.
“Ehi, Luke? – lo richiamai – mi accompagni in un posto?”.
 
 
 
 
 
Suonai il citofono in oro, ultimo piano: Stratford.
“Sì, chi è?” risuonò la voce di Maribel qualche secondo dopo.
“Ciao Mari! – risposi io – sono Jen, mi mandi Jai? Ho una sorpresa per lui”
Maribel riattaccò, ed io guardai Luke.
“Puoi spiegarmi?”
Gli mostrai un sorriso, perché l’avevo trascinato fino a casa mia senza dirgli nulla. Avevamo attraversato per l’ennesima volta il ponte di Brooklyn con lo skateboard, fino a Manhattan, Wall Street.
“Una volta avevo promesso a Jai che tu gli avresti fatto fare il giro di New York con il tuo skateboard e beh, so che è impossibile farlo davvero, ma quando lo stava usando l’ultima volta io e te abbiamo litigato e..”
“Non dire altro – mi fermò lui – ho capito tutto”
Mi scoccò un occhiolino, ed io desiderai dare un nome a quello che eravamo. Ma la vocina eccitata di Jai non mi permise di dire nulla, così mi morsi la lingua e lo guardai correre in braccio a Luke, sorridendo come una scema.
“Ometto! – fece Luke, sollevandolo in aria – finalmente ci rivediamo!”
“Tu e Jenny avete fatto pace, vero?”
“Certo che sì”
Jai batté le piccole manine, rise di gioia e: “Allora? Qual è la mia sorpresa?”
Luke lo posò a terra e gli indicò lo skateboard, posandoci sopra un piede.
“Eccola qui - disse – facciamo un po’ di pratica e uno di questi giorni ti porto allo skate park che sta a Brooklyn, ci stai?”
Guardò prima Jai, poi me, che annuii, come per confermargli che sì, andava bene. Andava tutto bene, purché lui fosse felice.
“Sììììììììììì!”
E Jai non poteva essere più felice di così. Luke lo fece salire sullo skate e lo accompagnò per un po’, dopodiché lo lasciò andare da solo, nello spiazzo davanti casa, quello dove si innalzavano le statue del toro e dell’orso di Wall Street.
*“Beh, è felice, direi” disse poi Luke, affiancandomi.
“Eccome se lo è” assentii, guardandolo sorridente.
“E tu? – sentii i suoi occhi addosso – sei felice tu?”
Mi voltai verso di lui, e mi venne ancora voglia di baciarlo. Sentii le sue mani ancorarsi ai miei fianchi, facendo sì che mi avvicinassi a lui e che i nostri corpi si scontrassero.
“Sì” annuii.
“5 Seconds of Summer – fece poi lui, ridendo appena e mordendosi il labbro adornato dall’anellino nero – che colpo di genio, principessa”
“Io avevo detto 4 Seconds, il risultato finale è opera tua” lo corressi.
“Sì, ma è merito tuo, quindi sono io che ti dico grazie, stavolta”
Sorrisi, bramando le sue labbra. Ma quando lui si protese in avanti, verso la mia bocca, mi voltai dall’altro lato e mi scostai da lui, liberandomi della sua presa.
“Cosa fai?” mi chiese lui, allargando le braccia.
“Non credo sia il caso, siamo sotto casa mia..” provai, incerta.
“Ma certo – fece lui – potrebbe arrivare il tuo fidanzato o peggio, tuo padre, giusto?”
Annuii, mortificata.
E Luke rise, amaramente.
“Che hai da ridere?”
“Non lo so, Jen, non so niente”
Eravamo l’uno di fronte all’altro, con Jai che scorrazzava in giro con il suo skate e ci guardavamo, in silenzio.
“Luke io credo che..”
“Jenelle?”
Ma fui interrotta nuovamente, non da Jai, però.
“Dan?”
Mi allontanai ancora di più da Luke, ma lo sguardo di Daniel andò direttamente su di lui: lo stava squadrando, da capo a piedi.
“Cosa fai qui, giù? – mi chiese, più confuso che mai – e con questo tipo, per di più?”
Stavo per rispondere, Luke stava per avvicinarsi e Dan stava per dare di matto, ma tutti e tre non avemmo tempo di fare né dire nulla, perché: “Jen! Luke! Avete visto che ho fatto con lo skate?”
Jai ci raggiunse ed io lo avvicinai a me, così che potesse stringersi alla mia gamba. Era come se lo stessi proteggendo da qualcosa.
Gli occhi di Dan saettarono alla figura minuta del mio fratellino. 
“E lui? Non dovrebbe essere di sopra a fare i suoi compiti? – fece il mio fidanzato, autoritario – frequenta il corso estivo, Jen”
“Non spetta a te decidere cosa lui deve fare o non fare, Dan” chiarii.
“Che sta dicendo Daniel, Jenny?” mi chiese Jai ingenuamente, guardandomi dal basso.
Gli accarezzai la testolina e mi sembrò di rivivere i momenti con Steve.
“Niente, tesoro, va’ di sopra da Maribel – gli dissi – io arrivo tra un minuto”
Jai si avvicinò a Luke e gli fece cenno di abbassarsi, così lui si accovaccio di fronte al piccolo, che gli scoccò un grande bacio sulla guancia.
“A presto!” gli disse.
Luke gli scompigliò i capelli e non aveva voglia di sorridere, ma per lui lo fece.
“Ciao ometto!”
Rimanemmo io, Dan e Luke.
“Perché permetti che questo qui abbia dei contatti con lui?” si riferì a Jai, spezzando il silenzio.
“Almeno Jai è felice quando sta con lui – iniziai – Luke non gli ricorda quello che sta passando, come se non fosse già abbastanza difficile senza che qualcuno lo faccia di continuo”
“Ma come diavolo ti sei vestita?”
Ma mi ascoltava?
Luke rise, sommessamente, e per Dan quel suo gesto non passò inosservato.
“Che hai da ridere, tu?” gli chiese.
“Ma la ascolti, ogni tanto? – cominciò – o sai solo pensare a come si veste e con chi va in giro, Daniel Crawford?”
“Perché sai il mio nome?”
“Scommetto che tu sai il mio” lo sfidò.
“Ragazzi..” cercai di intromettermi.
“Jenelle, chi è questo tipo e perché sei con lui?” chiese, autoritario, con voce forte.
Mi sembrava di stare di fronte a mio padre.
“Beh, io..” boccheggiai.
“Rispondi, dannazione!” sbottò Dan, incontrollato, mettendo quasi paura.
Luke si mise in mezzo, andandogli sotto.
“Non parlarle così”
“Ma tu chi sei per dirmi come parlare o non parlare alla mia fidanzata?”
“Non m’importa se è la tua fidanzata, merita rispetto e rivolgendoti così a lei, non glielo stai di certo portando”
“Mi parli di rispetto? Tu? – fece, puntandogli un dito contro – tu che te ne vai in giro con la ragazza di un altro da mattina a sera, Luke Hemmings?”
“Allora avevo ragione – sostenne spavaldo – lo sai qual è il mio nome”
Vidi Daniel alzare un braccio e quando chiuse la mano a pugno, mi misi tra i due, dividendoli, con una mano sul petto di entrambi.
“Adesso basta!”
Luke guardò in basso, scuotendo la testa.
“Lascia che lo faccia – disse poi -  avrei solo un buon pretesto per continuare”
“Nessuno continuerà niente, qui, non voglio che vi prendiate a pugni – misi in chiaro – state facendo i ragazzini e nessuno di voi due lo è”
“Forza, andiamo a casa” disse Daniel.
Lui mosse qualche passo verso il grande portone in vetro del palazzo, ma io rimasi lì, di fronte a Luke, senza dire nulla.
“Cosa fai? Non vai? – mi provocò lui – non vorrai disobbedire agli ordini del capo”
“Luke, tu non capisci” sostenni.
“No, è vero, non capisco – confermò lui – e non voglio farlo, per cui va’ da lui”
Fece per salire sullo skateboard, ma io lo bloccai, tirandolo per un braccio.
“Non t’importa, giusto? – urlai, quasi – non t’importa di niente, perché dovrebbe importarti qualcosa di me?”
“La pensi realmente così?”
“Non lo so”
Luke sospirò, pesantemente.
“Vieni con me – mi disse – sali sullo skate, andiamo a Brooklyn e resta con me”
Tentennai.
“Non posso”
Luke annuì, sconfitto, e incazzato.
“Come ti pare, salutami Dan, spero siate felici insieme”.

 


sounds goos feels good!
Buon anno bimbe, da me, Genn, Ben e Giulia!
siamo arrivati al 2016, come avete passate il capodanno? io benissimo! sono tornata ieri da Roma con i miei amici. non potete capire quanto sia bella, l'avevo già vista ma ero troppo piccola per apprezzare a pieno. mi manca già.
anyway, scusate per l'assenza ma tra le feste e la partenza, ho avuto poco tempo.
che ne pensate del 14esimo capitolo? compare il nome di Harry che sì, è il proprietario del locale dove (forse) suoneranno i 5 seconds of summer.
la storia del nome me la sono completamente inventata ahahah non so nemmeno io come, ma vi piace? quanto è stato dolce Luke.
e per finire, abbiamo la semi-lite. Dan se li meritava i pugni di Luke e beh sì, anche Jenelle.
e nulla, fatemi sapere che ne pensate, alla prossima.
vi adoro e ancora buon 2016.



 
Image and video hosting by TinyPic


 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Hey angel ***




 
chapter fifteen

hey angel






Al diavolo Luke Hemmings, al diavolo i jeans strappati, al diavolo i piercing ed al diavolo anche e soprattutto il caffè solubile, che dio quanto mi faceva schifo. Mi buttai a peso morto sul divano, desiderando di sprofondare in un mondo parallelo fatto di zucchero filato e soffici gattini pelosi.
“Jenelle!”
La voce di Maribel arrivò dritta alle mie orecchie, ma non avevo voglia di parlare nemmeno con lei. Così, mi coprii il viso con uno dei cuscini del divano.
“Non ci sono per nessuno! – urlai – sono morta, oggi!”
I passi pesanti della messicana si fecero sempre più vicini, ed io capii che mi stava fissando quando la sentii sbuffare.
“Piantala di reagire così e rispondi al telefono, questo coso non la vuole smettere di suonare! - si lamentò, porgendomi l’iPhone -  si può sapere che ha?”
Mi raddrizzai, e lei si sedette affianco a me.
“Qualcuno mi sta chiamando in FaceTime” le spiegai.
“FaceChe?” mi chiese Mari, rubandomi un sorriso.
Cliccai sulla cornetta verde con l’indice, ed i visi rinati di Zayn e Louis comparvero sullo schermo del mio telefono. Sembravano due persone diverse, e sullo sfondo albergava Londra.
“Ciao sfigati!”
“Oddio Jenelle, perché sei in pigiama? – cominciò Zayn – sono le due del pomeriggio, che cazzo ti è successo?”
Roteai gli occhi al cielo, mentre Maribel mi lasciava sola con i due casi umani.
“Non ci vediamo da due settimane e tutto quello che sai dirmi è questo? Vai a farti fottere, Zayn Malik”
“E dai bimba, lo sai che ti amo, e per questo non vedo l’ora che ci raggiungerai qui – disse – sai, il nostro coinquilino ti piacerà molto, è irlandese e..”
“E hai rotto il cazzo – interviene Louis – come stai, piccola? Tutto bene lì in America?”
 “Tutto prosegue” dissi, con un sospiro.
“Sì, come no – continuò – conosco quello sguardo, cos’è successo?”
“Perché dovete fare i vostri pigiama party anche oltre oceano?” chiese Zayn, infastidito, mentre si accendeva una sigaretta.
Ne avevo voglia anche io, ma fumare implicava dover uscire di casa e non ne avevo per niente intenzione.
“Io e Luke abbiamo litigato, ancora” marcai sull’ultima parola.
“Hemmings sta iniziando a tornare a starmi sul cazzo” bercia Zayn.
“E perché avete litigato?”
“Per Daniel, ma non ho voglia di parlarne, avete trovato lavoro voi scansafatiche?”
“Io lavoro in un night club” mi fece l’occhiolino, Zayn.
“Non è vero – lo smentì subito Louis – Malik lavora da Tesco e io, beh, non per vantarmi ma sto facendo il Dj al Koko”
“Al Koko? – gli chiesi, meravigliata – Lou ma è fantastico!”
“Ehi! – s’indignò Zayn – perché non hai reagito così anche per Tesco?”
Ci fu un momento di silenzio, in cui Louis soffocò una risata ed io trovai un diversivo.
“Arrivo Maribel!”
“Ma io non ti ho chiamata, piccolo fiore” urlò lei, di rimando.
Zayn alzò un sopracciglio, scettico ed incazzato, mentre Louis scoppiava a ridere, incapace di trattenersi ulteriormente.
“Devo andare ragazzi, divertitevi anche per me, vi amo da impazzire!”
“Anche noi e chiarisci con Luke” disse Louis.
Chiusi prima che Zayn potesse insultarmi in qualche modo. Parlare con quei due casinisti mi metteva sempre di buonumore, che svanì, quando mio padre e Dan fecero il loro ingresso in casa.
“Ah, siete arrivati presto” dissi io, alzandomi dal divano per salutare Daniel.
“Sei contenta, amore?” fece lui.
Dan era felice, perché credeva di aver vinto una guerra contro Luke.
“In realtà Jenelle stiamo per andare ad una conferenza molto importante che ci terrà occupati per tutta la giornata” m’informò mio padre, cambiandosi la giacca.
Infilò quella delle buone occasioni, forse quella era una conferenza diversa dalle altre milleottocento a cui partecipavano otto giorni su sette a settimana.
“Terrò una conferenza tutta mia – disse Dan, orgoglioso – mi piacerebbe che ci fossi anche tu ma, sei ancora in pigiama a quanto vedo”
Mi squadrò anche papà, esibendo una smorfia quasi di disgusto.
“Sì, sono in pigiama, e allora?” sbottai.
“Allora, va’ a cambiarti, andrai tu a prendere Jai a scuola oggi – mi ordinò mio padre – e ricordati di comportarti in modo consono a chi sei – disse, comunque disinteressato - noi andiamo, passa una buona giornata, tesoro”
Sbattei la porta dietro di loro e andai da Maribel.
“Odio mio padre” dissi, lasciandomi cadere su di una sedia.
“Per questo ti sto preparando una sorpresa – fece lei, voltandosi verso di me, con un sorriso sulle labbra – molto dolce, aggiungerei”
“Di che parli?” mi feci curiosa.
“Guarda qua”
Mi mostrò una grossa ciotola gialla, che di solito usava per Jai.
“È quello che penso io?”
Mari annuì vigorosamente, ed io l’abbracciai stretta. Quando Maribel Diaz tirava fuori la ciotola gialla, poteva significare solo una cosa: gelato alla fragola per Jai, alla cannella per John e alla stracciatella per me.
“Sei la migliore!”
“E tu hai litigato con Luke, non è vero?” mi chiese di rimando.
“È così evidente?” domandai io.
“In realtà ho sentito che lo dicevi a Zayn e Louis” mi chiarì.
Sospirai, alzandomi dalla sedia.
“Sì, abbiamo litigato, ma adesso non ho voglia di..”
“Non hai voglia di parlarne, certo – concluse lei per me – è sempre così, Jen”
“E non ho tempo neanche per le tue sedute di psicanalisi, devo andare a prendere Jai”
“Magari prima vestiti, però”.
 
 
 
 
 
 
Jai stava stringendo la mia mano, mentre insieme prendevamo l’ascensore per arrivare al nostro attico. Avevamo fatto un viaggio in limousine, anche se non ce n’era bisogno, mio padre aveva tanto insistito per affidarne una ad ognuno di noi.
“E quindi oggi avete fatto un laboratorio di arte?” gli chiesi.
Il mio fratellino aveva tutte le mani sporche di vernice colorata.
“Sì! – urlettò lui, ancora entusiasta – la maestra Mary Jane ha detto che sono stato il più bravo” si pavoneggiò.
Aveva preso tutto dal fratello maggiore, persino la presunzione.
“Lo credo bene!” dissi, mentre uscivamo dall’ascensore.
Suonai il campanello, aspettando Maribel.
“E me lo fai vedere il tuo disegno?” gli chiesi.
Jai annuì e la porta si aprì.
“Ciao Maribel!” la salutò lui, catapultandosi in casa.
Mari sorrise, ed io chiusi la porta.
“E cos’hai disegnato di bello, Jai? Scommetto che..”
Non riuscii a finire la frase, quando lo vidi seduto sul mio divano. Ero confusa, sconvolta, sorpresa e, maledizione, anche felice.
“Che ci fai qui?”
Ma recitai comunque la parte di quella dura, tanto ormai mi veniva bene.
Luke si alzò, stringendosi poi nelle spalle.
“Sono venuto a cercarti, ma tu non c’eri – cominciò – così Maribel mi ha fatto salire”
Annuii, e lo guardai: portava i suoi skinny jeans neri, quelli strappati sulle ginocchia, ed una maglietta a maniche lunghe nera, con un beanie grigio sui capelli chiari.
“Luke!”
La vocina di Jai s’insinuò tra di noi, e la figura del mio fratellino che gli si gettava addosso non tardò ad arrivare.
“Ehi, ometto, come stai? – lo prese in braccio – hai disegnato, oggi?”
Jai annuì, guardandolo dritto negli occhi. Jai non era un bambino timido, ma non guardava mai nessuno negli occhi, doveva fidarsi, prima di farlo. Ed evidentemente di Luke si fidava.
“Vuoi vedere il mio disegno?”
“Ma certo!”
Luke lo posò a terra e mi guardò, avvicinandosi un po’, mentre Jai correva in cucina da Maribel, a recuperare dalla sua cartella il disegno che aveva fatto a scuola.
“Che ci fai qui?” ripetei.
“Te l’ho detto, ero venuto a cercarti ma..”
“L’ho capito, questo – lo interruppi – ma perché sei venuto a cercarmi?”
Luke si strinse ancora nelle spalle, allargando poi le braccia.
“Non lo so neanche io – disse, sincero – so solo che sono qui”
Lo guardai, senza dire nulla, con la voglia di baciarlo e non lasciarlo mai più.
“Luke! Jen! Venite qui!”
Luke mi sorrise impercettibilmente e si diresse verso la cucina, per raggiungere Jai, che ci aspettava seduto malamente.
“Non sederti così – gli ricordò Maribel – o cadrai”
“Allora, vediamo un po’ questo disegno..” dissi io.
“Preparati, piccolo fiore”
Aggrottai le sopracciglia, confusa.
“Perché?  -domandai – che intendi, Mari?”
Lei non disse nulla, si limitò a sorridere ed indicare il disegno con un cenno del capo. Luke era chinato su Jai, con le mani appoggiate al tavolo, ed io rimasi di sasso, quando guardai ciò che il mio fratellino aveva ritratto.
“Ma questi..”
“Siamo io e te”
Concluse Luke.
Ci guardammo per lunghi istanti, senza sapere cosa dire, ma per fortuna ci pensò Jai.
“Siete tu e la mia sorellina – disse, a Luke – siete fuori dalla mia scuola, alla fontana, io sto giocando con il tuo skate e voi vi tenete per mano, ma non litigate”
Mi portai una mano alla bocca, ricacciando le lacrime indietro, perché quando si parlava di Jai ero molto più sensibile di quanto volessi.
Luke se ne accorse e mi afferrò la mano, sorridendo. Ricambiai il sorriso e strinsi forte la presa, lasciandomi sorreggere da lui.
Maribel ci guardava di sottecchi, senza trattenere un sorriso.
“Ehi, voi due – ci disse – potreste lasciare soli me e Jai? Dobbiamo discutere di cose che voi non potete assolutamente sentire!”
Incuriosì Jai e trovò un perfetto escamotage per lasciare soli noi due. Così condussi Luke in camera mia e chiusi la porta.
“Carina” disse, guardandosi intorno.
“È la classica camera di una signorina per bene – ribattei io – ma non mi lamento, passo qui dentro gran parte del mio tempo”
Luke annuì e ci ritrovammo a pochi centimetri di distanza.
“Mi dispiace per ieri sera – cominciò, abbracciandomi alla vita – so come stanno le cose, e sono stato un cretino a credere di poterle cambiare”
Mi affrettai a scuotere la testa, non volevo starlo a sentire mentre si sminuiva così. Allora gli presi il viso tra le mani, esibendo il mio sorriso più dolce.
“Tu hai fatto tanto, forse anche troppo, per me – cominciai – e stai cambiando tutta la mia vita, Luke, e sei la cosa più bella della vita di Jai, ora come ora”
Luke sorrise.
“Parlavo di Daniel”
Mi scostai lentamente da lui, ma non me lo lasciò fare. Mi afferrò per il polso e mi attirò a sé, con forza.
“Mi piaci, Luke” gli confessai, ancora.
Lui annuì, accarezzandomi le labbra con le sue. Erano screpolate e morbide, insieme. Erano dolci, e sapevano di tabacco. Erano quelle di un angelo, ma lui non lo sapeva, che era il mio angelo custode.
“E mi piaci anche tu, Jenelle Stratford”
Ci lasciammo andare ad un bacio furioso, colmo di passione e di voglia di appartenersi.
“Significa che sono perdonato?”
“Ed io?”
Luke scosse la testa, sorridendo appena ed avvicinandomi ancora di più a lui, facendo sì che i nostri corpi formassero un’unica persona.
“Non è colpa tua – mi disse – sei incastrata in questa realtà, ed io ti ci voglio tirare fuori, ma piano piano, lentamente, non posso farlo tutto in una volta”
“Lo so - dissi, appoggiando le mani al suo petto – ma non sei costretto a farlo”
“Lo so” rispose a sua volta.
Le nostre labbra si aprirono in un grande sorriso, e qualsiasi cosa stesse accadendo, venne interrotto dall’aprirsi della porta di camera mia.
“Viva le persone che bussano prima di entrare! – esclamai, allontanandomi da Luke – quindi non tu, Maribel”
Luke rise, grattandosi una guancia, forse un po’ in imbarazzo. Non credevo che Luke Hemmings fosse in grado di sentirsi a disagio.
“Non sapevo che steste facendo cose vietate ai minori di 18 anni – ghignò lei – comunque, il minorenne in cucina, vorrebbe fare merenda con voi due, che ne dite?”
Luke fu il primo a muoversi verso la cucina, lasciandoci sole, mentre Maribel mi guardava di sottecchi, con un sorriso furbo.
“Mari, metti ansia”
“Mi piace Luke – cominciò – è gentile, educato, Jai è pazzo di lui..”
Annuii, sorridendo come una scema.
“..ed anche tu lo sei”
La fulminai, e lei scoppiò in una risata, cingendomi le spalle con un braccio, mentre insieme camminavamo verso la cucina.
“Lo sai, non dirò nulla a Dan”
Quando entrammo in cucina, Luke stava aiutando Jai a mettere il gelato in delle piccole ciotole di vetro. Erano adorabili, ed io mi innamorai di quella scena.
“Gelato per tutti!” urlettò il piccolo, su di giri.
Luke mi consegnò la mia ciotola di gelato, ed io lo ringraziai con un sorriso, a cui lui rispose con lo stesso.
“Perché non vi tenete per mano come nel mio disegno?” domandò Jai, con la sua vocina acuta e la bocca sporca.
Io quasi mi strozzai, mentre Luke continuava a mangiare tranquillo il suo gelato. Maribel intanto sbuffava.
“Oh, andiamo ragazzi, via quei bronci! – esclamò – so io cosa ci vuole, per tirarvi su, chiamate tutti i vostri amici ed avvisateli che stasera vi porto io, in un posto!”
“Sarebbe?” le chiesi, stranita.
“Vedrai!”.
 
 
 
 
 
E così ci trovammo ad una serata latino americana in compagnia di Maribel Diaz, l’idolo delle folle messicane. I ragazzi erano, come al solito, la brutta copia degli Oasis ed io, beh, Maribel mi aveva costretta ad indossare un suo vestito azzurro, che: “Ti sta divinamente, piccolo fiore!”. Io avevo imprecato ed eravamo usciti di casa, con Jai su di giri perché avrebbe passato un’intera serata con John e Sabine ed Ashton che non finiva più di fare i complimenti a Mari, e Luke che: “Ash, piantala, porca puttana”.
“Ecco! – Mike era già ubriaco – mojitos per i miei amici con i musi lunghi!”
Si riferiva a me e Luke, che non so che ci prendesse. Io ero seduta al nostro tavolo, in mezzo a Cal e Cherrie, che avevano già fatto fuori i loro cocktail a base di cocco e qualcos’altro di esotico, mentre Luke se ne stava vicino all’area fumatori, con una sigaretta perennemente tra le labbra. Michael e Maribel ballavano, ed Ashton rimorchiava anche le sedie.
“Ehi piccola, ci lanciamo?”
Cherrie sorrise a Calum, ma prima di sparire in pista, si fermò a guardare me.
“Jen, vieni anche tu, dai!”
Scossi la testa, accavallando le gambe.
“No, grazie Cher, magari dopo – dissi – adesso non mi va”
“Pretendo un ballo!” fece Cal.
Gli sorrisi ed i due innamorati pazzi si lanciarono in una bachata. Io guardai scettica il mio mojito, e ne presi un sorso. Storsi il naso e percepii la risatina di Luke, così alzai lo sguardo e lo trovai di fronte a me.
“Neanche io ci vado pazzo – disse – ma è il preferito di Mike”
Annuii, e la conversazione sembrò morta lì. Ma poi Luke mi porse la mano ed io lo guardai, scettica.
“Balli?”
Aggrottai le sopracciglia, confusa.
“Sai ballare il latino americano?”
“Credi che Clifford o Irwin lo sappiano ballare?”
Mi rubò una risata, ed accettai la sua mano e la sua proposta.
“Non ho la minima idea di come si faccia”
Luke si strinse nelle spalle, e portò le mie mani intorno al suo collo.
“Nemmeno io – disse, guardandosi i piedi – ma chissenefrega, no?”
Scoppiai a ridere ed insieme ci lasciammo andare a balli e risate, a non finire.
“Perché mi hai tenuto nascosto questo tuo talento, Hemmings? – scherzai – potresti fare i casting per Dirty Dancing 2”
“Guarda che Dirty Dancing 2 l’hanno già girato” mi mise al corrente lui.
“E io che ne so?”
Luke si morse l’anellino nero, avvicinando poi le labbra al mio collo.
“Luke, ma che diavolo..”
“Sei sexy stasera, Jenelle Stratford”
Mi lasciai andare ad una risata, mentre Luke lasciava dei baci languidi lungo il mio collo.
“Scambio coppie!” urlò Cherrie, afferrando le mani di Luke.
Mi sentii afferrare dalle braccia di Calum, ed insieme improvvisammo una salsa.
“Non sapevo che i rockers sapessero anche ballare su questa musica” iniziai.
Cal rise.
“I rockers sanno fare un sacco di cose, piccola Stratford”
“L’ho imparato”
“Come va con Hemmings?” sparò a freddo, cogliendomi totalmente di sorpresa.
“In che senso?”
“So che con Luke può essere difficile, lui è uno un po’ particolare – cominciò – ma quando ti dico che non l’ho mai visto così preso da una persona, non sono stronzate, Jen”
Annuii, sorridendo.
“Lo so, Cal”
“Sigaretta?”
La voce di Mike arrivò alle orecchie di tutti, e fummo lieti di accompagnarlo. Eravamo tutti lì, tranne Maribel che stava ballando con Miguel, il suo caro amico istruttore di latino. Io, con un evidente disagio ai piedi e per questo seduta sulle gambe di Luke, Mike, Cherrie, Ashton ed una ragazza di cui non sapevo assolutamente nulla.
“Ehi, ciao! – mi feci avanti – non credo che ci conosciamo, piacere, sono Jenelle”
La ragazza mi mostrò un sorriso meraviglioso, con le sue labbra colorate di un rosso sgargiante, in perfetta linea con il suo abitino di pelle nera ed i tacchi vertiginosi.
“Piacere mio! – mi strinse con prepotenza la mano, forse urlando un po’ troppo – sono Juliet Mars!”
Juliet Mars mi faceva ridere, e dal modo in cui Ashton stava dando di gomito a Calum, che lo guardava con un’espressione vagamente divertita, capii che cosa stesse succedendo.
“Il ragazzo su cui sono seduta è Luke, quello con i capelli verdi è Michael, il morettone con le labbra enormi è Calum e la bella donzella affianco a lui è la sua ragazza, Cherrie – mi soffermai su Ash, facendogli un occhiolino – ed Ashton, beh, credo tu lo conosca già!”
Juliet rise di gusto ed estrasse dalla piccola pochette rossa esattamente come le sue labbra, una piccola cipria nera su cui albergava la scritta MAC.
“Io vado ad incipriarmi il naso! – esclamò – ci vediamo dopo?” disse, poggiando una mano sul petto di Ash.
“Puoi giurarci”
Quando Juliet sparì, non ci astenemmo dallo scoppiare a ridere, in faccia ad Ashton.
“Irwin te lo devo dire – cominciò Mike – questa volta hai fatto proprio un ottimo lavoro”
“Ti ringrazio, amico mio” disse, con un inchino, di cui Cherrie rise.
Cherrie, che rideva ad una cosa fatta da Ashton: fantascienza o alcool?
“Sei il solito ninfomane! – fece Cal, senza trattenere una risata sguaiata ed un cinque al suo amico – ma ben fatto!”
“Ehi! - Cherrie picchiò il suo ragazzo, e lui la abbracciò, ridendo, insieme ad Ash – ti ricordo che io, la tua ragazza, sono ancora qui!”
Ash, che rideva di una cosa in cui c’entrava Cherrie? Alcool, decisamente alcool.
Io mi voltai verso Luke, che abbozzò un sorrisino, rilassato.
“Non dici nulla?”
“Hanno già detto tutto loro – si strinse nelle spalle – e poi che bisogno ne avrei? Hai visto che schianto di ragazza ho sulle mie ginocchia? Dio, scommetto che Irwin se la sogna una così!”
Gli tirai uno schiaffo sulla spalla, gettandogli poi le braccia al collo, fermandomi a pochi centimetri dal suo volto.
“Sì, Irwin se la sogna”
Gli schioccai un bacio sulle labbra, dopodichè sentii una mano fare pressione sulla mia spalla.
“Quando Jenelle e Luke avranno finito di risucchiarsi la lingua a vicenda – iniziò Ashton, con una sigaretta tra le labbra – dovrei porvi un quesito”
“Poni pure, testa di cazzo” fece Luke.
“Ho disperatamente bisogno di un posto dove andare” disse, disperato.
“I tuoi ti hanno sfrattato?” domandò Calum, ridendo.
“No, coglione – lo liquidò – ma non è che sia nella mia lista di cose da fare, scoparmi una ragazza nella stanza affianco a quella dove dormono i miei”
Mike scoppiò a ridere e: “Giusta osservazione”
“Idee?” buttò lì, Ash.
Silenzio.
“Io ne avrei una” continuò proprio lui.
“Sentiamo” lo invitò Cal.
“Che ne dite dell’appartamento di Brooklyn? – fece, riferendosi alla casa di Michael e Luke – sarebbe solo per una notte”
“Non ci pensare neanche, Irwin – disse Mike – è fuori discussione, e dove dovremmo andare io e Luke? A dormire con i tuoi?”
Ash si strinse nelle spalle e: “Ho qui le chiavi, se vuoi”
“Io potrei ospitare Luke” dissi.
“Sicura?” mi chiese.
“Certo – annuii, convinta – non se ne accorgerà nessuno, vedrai, e poi il mio letto è abbastanza grande per entrambi” conclusi, citandolo.
“Okay, io sono a posto, vedetevela voi due, mi chiamo fuori”     
“Vaffanculo, Hemmings” bercià Mike.
“E dai Cliff! Non ti chiedo mai niente!” cominciò a supplicare Ashton.
“Questa è una stronzata - sostenne Michael – e tu lo sai”
Ashton sbuffò e si inginocchiò, davanti al suo amico dai capelli verdi, sotto le nostre risate a non finire, davanti a quella scena.
“Andiamo Irwin, alzati! Sei davvero così disperato?”
“Lo sono! – urlò – quando mi ricapita una tipa come lei? Ma l’hai vista?”
Mike sbuffò, mostrando il primo segno di cedimento.
“Giuro che poi non ti romperò più il cazzo per minimo un mese”
“L’hai detto, Irwin” fece Mike, lanciandogli le chiavi dell’appartamento, che Ashton prese al volo.
“Sei il migliore!”
“Sì okay, frena gli entusiasmi e tienili tutti per la tua Juliet Mars”
E proprio in quel momento, la mora tornò da noi.
“Allora, dove hai detto che abiti?” fece, lasciandosi cingere la vita da Ash.
“A Brooklyn, piccola, non badare troppo al disordine – disse – ogni tanto questi cafoni vengono a trovarmi”
E la serata finì così: con Calum che tentava di trattenere Mike dal prendere a pugni uno dei suoi migliori amici ed Ashton che se ne andava, in compagnia di Juliet Mars.

 
 
 
 
 
 
 
sounds good feels good!
ciao bimbe
non scriverò molto perchè, anche se non so perchè, sono un sacco scoglionata oggi.
quindi, vi è piaciuto questo capitolo? ho pronti i capitoli fino al diciassette, dovrei darmi una mossa e scrivere..
a proposito, se vi andasse, ho iniziato una nuova storia: should envy us.
e nulla, vi lascio. grazie di tutto.
simo, genn, ben, giulia <3

 
 
 
Image and video hosting by TinyPic  
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Presents ***





Image and video hosting by TinyPic



 
chapter sixteen

presents


 

Svegliarsi di fianco a Luke, ormai la consideravo una delle cinque cose più belle di tutto l’universo. Lo scenario era diverso, però. Anche il mio letto era abbastanza grande per entrambi, l’iPhone segnava le 10:46 AM e la mia camera non era mai stata avvolta da un senso di pace, come quella mattina.
Mi voltai su un fianco, perché quando mi svegliavo prima di Luke, potevo guardarlo mentre dormiva, con quella sua espressione beata. Sembrava un bimbo, ed io mi sentivo un po’ una psicopatica, ma poco importava.
“Lo so che mi stai fissando”
Sobbalzai, al sentire la sua voce.
“No che non ti fisso”
Luke aprì impercettibilmente un occhio, per poi sorridere sornione.
“Lo faccio sempre anche io”
Sorrisi a mia volta, buttandomi su di lui e lasciandomi un po’ coccolare.
“Jai impazzirà quando saprà che sei qui”
“Non ha il recupero estivo?”
Mi chiese, accarezzandomi la schiena, lasciando piccoli brividi ovunque le sue lunghe dita si posassero.
Annuii, socchiudendo ancora gli occhi.
“Torna per pranzo”
“Allora dovrò farmi trovare in condizioni presentabili – disse – anche se ammetto che l’idea di passare un giorno intero a letto con te, non mi dispiace affatto”
Risi, avvicinando il mio volto al suo.
“Nemmeno a me, Luke Hemmings”
Chiamarlo per nome e cognome mi serviva per ricordarmi che era tutto reale, che lui affianco a me non era solo un bel sogno, che c’era davvero.
Luke sorrise sulle mie labbra, e sentii le sue mani scendere sulle mie gambe. Accarezzò ogni centimetro della mia pelle, ed in un secondo mi ritrovai sopra di lui.
“Sei uno spettacolo” sussurrò.
“Di prima mattina?”
“Sempre”
Il bacio furioso che ci legò pochi secondi dopo, correva il rischio di tramutarsi in qualcosa di molto più intenso. Qualcosa che non avevamo mai fatto, ma ormai il desiderio di spingerci più in là era evidente negli occhi di entrambi.
“Non possiamo”
Appoggiai la fronte alla sua, mentre lui si mordeva incessantemente le labbra.
“Lo so”
Luke si alzò dal mio letto, indossando solo i suoi boxer. Lo guardai, ancora sdraiata. Così lui si girò verso di me, allargando le braccia.
“Beh? – iniziò – vestiti dai, ti offro la colazione”.
 
 
 
 
Starbucks con Luke mi ricordava uno dei nostri primi incontri, e mentre lo guardavo armeggiare con il vassoio stracolmo di muffins ripieni al cioccolato caldo ed i due famosi frappuccini al caramello, mi sfuggì un sorriso.
“Ecco, Stratford – fece, sedendosi di fronte a me – strafogati pure”
Sorrisi ancora di più, battendo le mani come una bimba.
“Sei diventato l’uomo – frappuccino?” gli chiesi, addentando il mio muffin.
“Ebbene sì, principessa – confessò, sorseggiando la bevanda – quasi lo preferisco al classico caffè americano”
“Quasi” appuntai.
Luke annuì, guardandomi.
“Che vuoi?” gli chiesi, masticando.
Lui si strinse nelle spalle.
“Grazie per avermi ospitato stanotte” disse poi.
“Ma ti pare? – feci, ovvia – non avrei mai potuto privare Ash di una sana scopata con quella figa atomica”
Luke rise, come quella volta, buttando la testa all’indietro. Mi pulii la bocca con un tovagliolo e continuai a guardarlo, ‘che quant’era bello solo il Signore Dio che l’aveva fatto, poteva saperlo.
“Hai corso un bel rischio, Jen” mi fece notare, poi.
Annuii, lo sapevo.
“Non importa – dissi infine – mio padre non si accorge mai di nulla, e questo lo sai anche tu, potrei farmi un tatuaggio grande quanto tutta la mia schiena, non lo scoprirebbe mai”
“Ne vuoi uno?” mi domandò, giocando con il labret ed incrociando le braccia sul tavolo.
“Di cosa?”
“Di tatuaggio – spiegò – ne vuoi uno?”
Perchè quel ragazzo doveva sempre blaterare?
“Non lo so – ammisi – non ci ho mai pensato, tu ne hai?”
Luke scosse la testa, facendo schioccare la lingua sul palato.
“Potremmo farne uno insieme, il primo”
 Ci pensai un po’ su, stringendomi poi nelle spalle.
“Perché no? – dissi poi – hai qualche idea?”
Luke annuì, ma non parlò.
“Beh? Me la dici entro la fine del 2014?”
“Ah – ah – negò – sorpresa”
“Sorpresa? – domandai, retorica – dovrei tatuarmi qualcosa di cui non conosco nemmeno l’entità? Sei pazzo, per caso, Luke Hemmings?”
“Ti fidi di me?”
“Odio quando mi rispondi ad una domanda con un’altra domanda”
“Rispondi tu, dato che io non lo faccio mai – disse – ti fidi di me?”
Tentennai, ma poi pensai che sì, mi fidavo di quel ragazzo, più di chiunque altro.
“Sì – annuii – mi fido di te, Luke Robert Hemmings”
“È Lucas” mi corresse.
Scoppiai a ridere, davanti al mio frappuccino.
“Dio mio! – esclamai – forza, Lucas, andiamo a comprarci le sigarette!”.
 
 
 
 
 
Stavo fumando al fianco di Lucas Robert Hemmings, sul ponte di Brooklyn, quando gli arrivò un messaggio. Era da parte di Ashton.
“Che vuole Irwin?” gli chiesi.
Luke si strinse nelle spalle e: “Scopriamolo”.
Mi appoggiai con il mento alla sua spalla, sbirciando il messaggio. Luke aprì la foto che Ash gli aveva mandato su Whatsapp: c’era il letto di Michael, Juliet dormiva, ed Ashton a petto nudo faceva finta di dormire. La didascalia diceva: “After sex”.
Io e Luke scoppiammo a ridere, insieme.
“Mike lo ucciderà” dissi.
“Poco ma sicuro – concordò – Irwin è un uomo morto”
Ridemmo ancora, dopodichè ci guardammo, e fu inevitabile sorridere, per entrambi.
“Vorrei che non finisse mai” confessai.
“Cosa?”
“Noi due”
“Ed io nemmeno”
Mi scostò una ciocca di capelli dal viso, che sfuggiva dalla mia coda alta.
“Finirà?” gli domandai.
“Non lo so, piccola, non posso saperlo”
Annuii, perché aveva ragione. Che ne sapeva lui? Che ne sapevo io? Che ne sapevamo tutti noi? L’unica cosa certa, era che di Luke Hemmings non mi sarei mai stancata.
“Io non ti lascio” disse, infine, guardando dritto davanti a sé.
Io guardavo lui e solo lui, e le sue labbra muoversi, impegnate in un gioco con l’anellino nero.
“Ed io non me ne vado”
“Vorrei suonarti la chitarra”
“Vorrei che potessimo andarcene di qui”
“Vorrei una Ferrari”
“Vorrei che fossi meno idiota, Luke Hemmings!”
Lo picchiai su di una spalla, e lui rise, intrappolandomi tra le sue braccia.
“Mi piace vederti ridere”
“E quindi fai l’idiota”
“Una cosa del genere, sì”
Annuii, stretta a lui, ed un ragazzo passò con una piccola radio, con Rape me dei Nirvana a tutto volume.
“Adoro questa canzone” dissi.
“Ti piacciono i Nirvana?”
“La loro musica è una specie di religione, per me – raccontai – ma mio padre non ha mai voluto che ne comprassi i cd, così..”
“Okay, non dire altro”
Luke si alzò dal muretto e mi aiutò a scendere, prendendomi poi per mano.
“Ma dove andiamo?”
“Vieni, ti faccio un regalo”.
 
 
 
 
“Entro?”
“No, Jen, stai pure sulla porta”
Mi prese in giro, mentre girava le chiavi nella serratura di quella che era la casa di sua madre e di Kyle. Ero già stata lì, ma solamente sul terrazzo.
“Luke, che ci facciamo qui?”
“Tu seguimi”
Lo vidi muoversi a passo sicuro, lungo il corridoio. Si fermò davanti ad una porta chiusa, bianca. Lo guardai e lui accennò un mezzo sorriso, dopodichè la aprii e mi fece cenno di entrare per prima.
“Questa era camera mia, quando ancora abitavo qui”
Mi guardai un po’ intorno, mentre entrava anche lui.
“Sembra la cameretta di un ragazzino disagiato di quattordici anni che odia il mondo” dissi.
Luke mi guardò male, ed io scoppiai a ridere.
“Divertente, Stratford”
Mi strinsi nelle spalle ed iniziai a curiosare un po’, fino a che una vecchia chitarra non attirò la mia attenzione.
“E questa?” chiesi, indicandola, appoggiata al letto.
“Quella è la mia prima chitarra – disse Luke, avvicinandosi – non la uso più da anni, ormai, ma non mi va di buttarla o darla via, preferisco tenerla”
Sorrisi, tenerla come ricordo era una cosa carina.
“Il plettro?”
Indicai un piccolo plettro blu, appoggiato delicatamente su un cuscino nero di velluto. Quasi come fosse un santuario.
Luke annuì.
“Ti piace? Ci ero molto affezionato, ma non lo uso più, non voglio che si rovini”
“E come mai?” chiesi, inclinando la testa.
Luke abbozzò un sorriso, leggermente malinconico. Così mi avvicinai a lui e gli sorrisi a mia volta, quasi ad incoraggiarlo.
“Era di mio padre” confessò.
Aprii la bocca per dire qualcosa, ma aspettai solo un momento, durante il quale gli afferrai la mano, intrecciando le mie dita alle sue.
“È bellissimo – dissi – era un musicista anche lui?”
Luke annuì ancora, stringendo la presa alla mia mano.
“Mi ha insegnato tutto”
“È una cosa bellissima, Luke – feci, avvicinando il viso al suo – ogni volta che suoni la chitarra, è come se fosse lì con te”
Mi sorrise e posò l’altra mano, quella che non stringeva la mia, sul mio viso, avvicinando ancora di più le labbra alle mie.
“Ma dove sei stata, tutto questo tempo?”
“Nella torre di Wall Street, e tu?”
“A fare il coglione in giro per Brooklyn”
“Quello lo fai ancora”
“Almeno siamo insieme”
Le nostre labbra s’incontrarono finalmente in un bacio dolce, e per quanto il suo vecchio letto fosse invitante, trovai la forza di staccarmi da lui.
“Allora, questo regalo?” gli ricordai.
Luke mi guardò per un po’, dopodiché scosse la testa e tornò sul pianeta Terra. Si voltò verso una grande mensola, dove risiedeva una quantità innumerevole di vecchi album. Ne prese alcuni, tutti inseriti in una custodia personalizzata da lui, con piccoli graffiti.
“Ecco”
Guardai prima lui, poi osservai gli album e: “Ommioddio, mi stai prendendo in giro, vero?”
Luke scosse la testa, ridendo di me e della mia reazione.
“Io i Nirvana posso sempre suonarli, ma tu, come fai? – disse, stringendosi nelle spalle – la mia discografia è tutta tua, adesso, fanne buon uso e fai cadere i muri di Wall Street, piccola!”
Gli saltai in braccio e lo riempii di baci, ‘che quel coglione di Luke Hemmings ormai sapeva come rendere la migliore ogni mia giornata.
Ma quel nostro momento di gioia, venne interrotto da altre chiavi nella serratura. Luke mi guardò, e mi posò a terra.
“È tua madre?” gli chiesi.
Lui non rispose, ed uscì dalla sua vecchia camera. Dapprima non lo seguii, ma quando sentii delle voci, decisi di farlo. Mi trovai davanti una donna minuta, con lunghi capelli biondi e labbra rosse di rossetto. Gli occhi non erano quelli di Luke, probabilmente aveva preso da suo padre.
“Luke? - fece sua madre – non sapevo fossi qui, fatti abbracciare!”
Luke si lasciò andare ad un meraviglioso sorriso, e strinse sua madre in un abbraccio.
“In realtà non era programmato, mamma – spiegò – ma dovevo dare una cosa a Jenelle, e così ho usato le chiavi di emergenza sotto allo zerbino”
“Hai fatto bene – disse sua madre, per poi posare lo sguardo su di me – piacere cara, sono Elizabeth, la mamma di Luke, ma tu puoi chiamarmi Liz”
“Piacere mio, signora – dissi, con un sorriso, mentre Luke ci guardava, come se aspettasse qualcosa – sono Jenelle”
E mentre Liz Hemmings mi porgeva l’ennesimo sorriso, quello che aspettava Luke, si palesò dalla porta d’ingresso.
“Oh, Luke – fece colui che doveva essere Kyle Hamblett – non si usa più chiedere il permesso di entrare in casa nostra?”
Lo guardai un po’ stranita, mentre Luke stringeva i denti, per evitare una tragedia davanti a e sua madre.
“Papà? Queste buste dove le lascio?”
Riconobbi subito quella voce, e infatti, Jj Hamblett, fece il suo ingresso qualche secondo dopo. Rimase a guardarmi, ma non disse nulla, e Kyle fu più veloce di lui.
“Lei è la tua ragazza, Luke?”
Forse Jj aspettava impazientemente la sua risposta, più dello stesso Kyle.
“No – scosse la testa, Luke – lei è Jenelle, una mia amica”
Il signor Hamblett annuì, senza neanche presentarsi.
“D’accordo – disse, sbrigativo – chiudete la porta quando uscite”
Fece per andarsene, ma poi si bloccò davanti a lui.
“E fa’ che questo accada presto, Luke”
Liz non disse nulla, Jj lo seguì, sorridendomi appena, ed io guardai Luke. Stava stringendo i pugni, e lo capii subito, lo stava facendo per sua madre. Così presi in mano la situazione.
“Signora Hemmings, è stato un piacere – dissi, afferrando la mano di Luke – io e Luke andiamo, siamo in ritardo”
“In ritardo per cosa?” s’informo sua madre, curiosa.
Ed anche Luke, mi guardò stranito.
“Ceniamo insieme, ho una sorpresa per lui”
“Oh, d’accordo, divertitevi ragazzi! – disse lei, per poi rivolgersi solo a suo figlio – passa a trovarci più spesso, Luke”
Lui non disse nulla, se ne andò con un sorriso flebile. Quando chiuse la porta dietro le sue spalle, mi guardò, confuso.
“Di che diavolo stavi parlando? Per quale cena siamo in ritardo?”
Gli sorrisi, perché non si meritava l’odio di nessuno, soprattutto di Kyle Hamblett.
“Adesso te lo faccio io, un regalo”.
 
 
 
Il messaggio di John era arrivato mentre Luke stava abbracciando sua madre, e diceva esattamente: “Buone notizie, ceni da noi?”. Capii subito a cosa si stesse riferendo, e seppur avessi deciso di dirlo insieme, ai ragazzi, dal momento in cui Kyle aveva deciso di rovinare la giornata a Luke, pensai che forse avrei potuto dirglielo prima, così da sollevargli un po’ il morale. Motivo per cui, ci trovavamo insieme fuori dalla porta dell’appartamento di Jonathan e Sabine.
“Sicura che a tuo fratello non darà fastidio?”
Sbuffai, era la quarta volta che me lo chiedeva.
“No, a lui no” dissi, riferendomi a me.
“Carina come sempre, principessa” commentò.
Scossi la testa e suonai il campanello Stratford/Thomas. Guardai Luke, mentre aspettavo di vedere la faccia da scemo di mio fratello.
“Johnny! – lo abbracciai, non appena lo vidi, sulla soglia della porta – come stai?”
Mi strinse forte e: “Non c’è male, sorellina”.
Poi puntò lo sguardo su Luke, così mi affrettai a fare le presentazioni.
“Luke, lui è mio fratello Jonathan – iniziai – fratello Jonathan, lui è..”
“Luke Hemmings – concluse John al posto mio – è un onore conoscerti, finalmente”
“Davvero?” chiese Luke, sconcertato.
“Ma certo – continuò John – vieni, entra, il salvatore di mia sorella è più che il benvenuto in casa mia”.
 
 
Sabine aveva ordinato pizza margherita per tutti, e Luke e John stavano bevendo una Guinness a testa. Avevamo appena finito di parlare della finale di X Factor Italia, perché Sabine era metà italiana, per via materna, e lei e John stavano spiegando a me e Luke che cantare in italiano è molto più difficile, che cantare in inglese, nonostante non fosse la loro lingua madre.
“Non ho capito” dissi infine, Luke.
Sabine sbuffò e John rise, mentre io mi godevo la scena.
“Anche se loro sono italiani – ricominciò da capo – gli riesce molto più facile cantare in inglese, che in italiano”
“Ma perché?” mi aggiunsi io.
“Perché gli italiani sono coglioni – decretò Jonathan – ecco perché”
Ci voltammo tutti verso Sabine, aspettandoci una sua reazione distruttiva.
“John, ripeti, sei hai coraggio” sibilò tra i denti.
Mio fratello scoppiò a ridere, stringendola forte tra le braccia.
“Scherzo, bimba, lo sai che ti amo”
Luke sorrise, lanciandomi uno sguardo.
“Che hai?” gli chiesi.
“Nulla – disse, scuotendo la testa – grazie per avermi portato qui, mi sto divertendo”
Annuii, sorridendo, felice per una volta di essere io, quella a fare del bene a lui e non sempre e solo lui a me.
“Allora, ragazzi – iniziò poi John, accendendosi una sigaretta ed appoggiando i gomiti al tavolo – se volete fumare, è il momento giusto, ora che dobbiamo parlare di affari”
Luke mi lanciò uno sguardo confuso, mentre io accingevo al suo pacchetto di Marlboro. Avevo scoperto che io e Sabine avevamo iniziato a fumare nello stesso periodo, e per John quello non era di certo un problema.
“Affari?” mi chiese Luke.
Annuii, e Jonathan mi guardò.
“Non gli hai ancora detto nulla?”
“Volevo che fosse una sorpresa”
Luke fece un tiro profondo dalla sua sigaretta.
“No, okay, non ci sto capendo niente, ragazzi – disse – potreste essere un po’ più chiari?”
“John lavora al Root Hill – iniziai – fa anche musica dal vivo, e quando quella volta Calum ci era rimasto così male per quell’ingaggio non andato a buon fine, ho pensate di chiedere a lui” conclusi, stringendomi nelle spalle.
Gli occhi di Luke si illuminarono.
“Ho parlato con Harry, il proprietario – continuò John – ha detto che una band in più che suona nel suo locale, non fa mai male”
“E non vuole neanche sentirci?” domandò Luke.
“No – fece mio fratello – si fida di me, ed io ho garantito per voi”
Luke non ce la faceva più, a trattenere un sorriso.
“John, grazie, davvero.. – cominciò, al limite della felicità –non vedo l’ora di dirlo alla band, non so davvero come ringraziarti..”
Vederlo così felice mi riempiva il cuore.
“Solo una cosa, Luke – fece John, sorridendogli – non deludermi, okay?”.

 
 
 
 
 
 
 
 
sounds good feels good!
ciao donneeeeee
allora, l'ultima volta che ho aggiornato questa storia era il sette gennaio e oggi è il trentuno, giusto? bene, sono una brutta persona
no allora il fatto è che sono stata presa con gli esami in università e sto lavorando ad un nuovo progetto
per quanto riguarda il capitolo, ho amato scrivere la parte tra Luke e Jen, ed è da un sacco di tempo che non scrivo di loro, mi mancano
poi, Kyle è uno stronzo del cazzo e noi lo odiamo. invece John Stratford è tipo il mio personaggio preferito hahahah
che dire ancora? ringrazio Lily J McKenna per il banner e me ne vado.
90210 sta risucchiando la mia vita.
vi amo gioie


 
 
 
 
Image and video hosting by TinyPic  
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3312431