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“Andiamo!” Il principe le sorrise ammaliante.
“Sarà divertente e poi, chi non vorrebbe essere me?”
“E’ un’idea folle e ci metterà nei guai, non
voglio averci niente a che fare.” Scuotendo la testa Shira
cercò di raggiungere la porta.
“Non ti lascerò dire di no, dopo tutto tu mi
hai sfidato.” Mansur si era messo tra lei e la via di
fuga, un bagliore divertito negli occhi.
“Ho detto che non lo farò e questa è la mia
ultima parola.”
Shira
osservò l’abito maschile adagiato sul letto e sentì la gola stringersi. Perché
aveva ceduto?
Suo fratello, il principe Mansur,
sapeva essere dannatamente convincente e di sicuro non era abituato a ricevere
un no come risposta. L’aveva intrappolata in quella stanza fino a quando non
era riuscito a strapparle un sì ed ora eccola lì, davanti a un completo da
ballo nero intarsiato d’oro, innegabilmente da uomo.
“E sia…” Mormorò, iniziando a spogliarsi.
Shira
era la ventiduesima principessa del regno di Saharin,
figlia del re e di una delle sue spose, sorella dell’unico figlio maschio avuto
dal re, Mansur e delle altre ventuno figlie. Mansur era nato qualche ora dopo di lei, donando al re il
tanto desiderato erede. Entrambi avevano preso, dal comune padre, i capelli
castani e gli occhi verdi. Mansur era esile per i
suoi diciotto anni e non aveva ancora accenni di barba. Tutto ciò aveva giocato
a sfavore di Shira nella situazione che si era
creata.
La principessa si guardò allo specchio e
sospirò, nel riflesso c’era lei, malgrado gli abiti fossero quelli del
fratello. Raccolse i capelli in una coda bassa, come era in uso tra i giovani
nobili e aggiunse la maschera.
Sospirò, osservandosi un’ultima volta nello
specchio, non avrebbe dovuto provocare Mansur, non
doveva dirgli che il suo seguito di gonnelle era dovuto all’essere principe.
Eppure lo aveva fatto ed ora eccola lì, pronta ad impersonarlo al ballo in
maschera di quella sera. Pronta a danzare con le dame del regno e a sorridere
loro mentre il fratello avrebbe potuto aggirarsi sotto le spoglie di un
semplice nobile e dimostrarle che era il suo fascino a creargli un seguito di
fanciulle e non il suo titolo.
Era una pazzia. Shira
dovette raccogliere tutto il suo coraggio per avanzare tra la folla di nobili e
notabili presenti al ballo. Fin da subito si ritrovò gli sguardi di tutti
addosso, sorrisi e cenni di saluto le piovevano addosso ovunque posasse lo
sguardo. Continuò a camminare, non avrebbe potuto sostenere una conversazione quindi
doveva evitarlo a ogni costo, senza interruzioni raggiunse il grande spiazzo al
centro, là dove i musici suonavano. Le tremavano le mani, di certo presto
l’avrebbero smascherata. Invece nessuno la fermò mentre si inchinava a una dama
e le porgeva elegantemente la mano.
Si ritrovò a volteggiare e man mano che le
danze si susseguivano la sua agitazione si placò e Shira
iniziò a divertirsi. Dopo tutto le era sempre piaciuto danzare e anche se
doveva fare uno sforzo per eseguire i movimenti maschili, non poteva negare che
quella pazzia aveva dato una scossa alla sua monotona vita di palazzo.
Riuscì persino a notare che suo fratello
chiacchierava con un gruppo di fanciulle, tutte sorridenti. Dopo tutto Mansur aveva avuto ragione il suo fascino andava al di là
dell’essere principe.
Le grandi sale che ospitavano il ballo in
maschera davano sul giardino dove gli ospiti passeggiavano chiacchierando,
approfittando di un ambiente più calmo rispetto alla festosa e agitata sala da
ballo. Shira vi si diresse sperando di riposarsi un
pochino dopo tutti quei volteggi.
“Principe.” Si fermò, attirata da quel
richiamo, i suoi occhi si mossero e infine si fissarono su una giovane. La
ragazza indossava un lungo abito grigio, i capelli neri erano sciolti e le
ricadevano in una massa morbida sulle spalle, il naso dritto e le labbra
sottili davano serietà al volto, addolcito però da profondi occhi castani. Sul
suo volto c’era della curiosità e un accenno di sorriso. Shira
agì come aveva fatto in precedenza, tendendole la mano in un evidente invito al
ballo. La giovane sconosciuta esitò un istante, ma infine posò la mano sulla
sua. La principessa avvertì un brivido che le attorcigliò lo stomaco,
un’emozione forte che non aveva mai provato. Senza distogliere lo sguardo dagli
occhi di lei la accompagnò al centro della pista.
Danzare fu magico, stringere tra le braccia
quella donna la inebriò, il suo sorriso, i suoi occhi il suo calore, la
catturarono completamente.
Volteggiarono dimenticandosi di tutto quello
che le circondava, la stanza era vuota e silenziosa, perché la musica era nei
loro cuori. Ad un certo punto la giovane si fermò e, senza staccare le loro
mani intrecciate, la guidò nel giardino, fino ad un angolo isolato tra delle
fitte siepi.
“Ti ho trovato.” Mormorò la ragazza alzando le
mani verso il suo volto. Solo allora Shira si rese
conto di quello che stava succedendo. Tutto quello era un terribile inganno e
stava per essere smascherata. Con un deciso passo indietro si allontanò dalla
giovane che seppur stupita sorrise.
“Potresti anche essere luomo più brutto sulla
terra…” Con un deciso passo fu di nuovo vicinissima le sue mani le
accarezzarono il volto, delicate. Il cuore di Shira
era in subbuglio, ma era incapace di muovere un muscolo. La ragazza sorrise
dolcemente, chiuse gli occhi e le depose un delicato bacio sulle labbra. Mentre
Shira cercava di lottare con i suoi sentimenti la
giovane tornò ad aprire gli occhi e pronunciò parole che trascendevano il
semplice suono e che risuonarono nella mente e nel cuore della principessa.
“Tu sei
mio e io sono tuo, non siamo che uno.” La
sconosciuta si avvicinò e Shira seppe che sarebbe
stata baciata di nuovo, chiuse gli occhi, incapace di opporsi, incapace di
desiderare altro se non quelle dolci labbra.
“Shira!” La voce,
possente e autoritaria del padre la fece sobbalzare e separarsi bruscamente
dalla giovane. “Cosa sta succedendo qui?”
“Padre io…” Vedeva la rabbia del padre, ma
percepì l’orrore della giovane. Si voltò verso di lei cercando parole di scusa
che la sua bocca non riusciva a pronunciare.
“Padre, Shira non ha
nessuna colpa, è stata una mia idea e…”
“Taci!” Mansur, che
era apparso per difenderla rimase sbigottito da quell’intimazione, mai il padre
era stato così severo con il suo unico erede, almeno non in pubblico.
“Sacerdotessa Aki,
vi porgo le mie scuse. Spero che questo disguido non mini la possibilità che
mio figlio aveva di essere scelto.”
“Temo, Vostra Altezza, che la scelta sia già stata fatta e il legame posto.” A parlare era stata una
donna che Shira non conosceva. La dama era vestita di
un semplice abito verde e portava i capelli grigi raccolti in uno stretto
chignon che rendeva il suo volto ancora più severo.
“Perdonatemi, Cavaliere Kimi, ma non capisco.”
“Aki ha appena legato a sé questa giovane.”
Shira,
che aveva seguito lo scambio con confusione, ora posò lo sguardo su colei che,
ora sapeva, si chiamava Aki. L’orrore si era
trasformato in rabbia e quello che percepì fu un solido muro, una parete che
non avrebbe mai potuto oltrepassare.
“Volete dire che mia figlia diverrà un
cavaliere?” Chiese con circospezione suo padre, attirando di nuovo l’attenzione
della principessa sulla conversazione. Kimi aveva uno sguardo teso mentre
rispondeva con voce ferma.
Una
settimana e Shira si ritrovò in viaggio. Salutare la
sua famiglia era stato difficile, ma a tormentarla era l’abbandonare la sua
vita. Essere una principessa era monotono, ma anche rassicurante. Ora tutte le
sue certezze erano andate in fumo, e per cosa?
Le
era stato tributato un grande privilegio, i cavalieri di draghi erano onorati e
rispettati in tutte le terre e suo padre, passato l’iniziale stupore, si era
dimostrato molto fiero di lei. Shira però aveva
l’impressione che il suo mondo fosse crollato. Come poteva lei diventare il
cavaliere di un drago? Non aveva mai visto uno di quei possenti animali, di
essi sapeva molto poco, in genere solo dicerie e leggende. A complicare la
situazione c’era Aki. La sacerdotessa era chiaramente
furibonda e aveva eluso tutte le sue domande, per poi partire senza una parola.
Ora,
osservando le mura della città sparire dietro i carri con i suoi bagagli, Shira si chiese per l’ennesima volta perché non aveva
saputo dire di no a suo fratello.
Lei
e Kimi lasciarono la carovana nel primo pomeriggio. Shira
portava con sé una sacca con pochi cambi e il necessario per l’igiene personale
assieme ad un piccolo tesoro in pietre preziose, dono del padre. Il resto delle
sue cose l’avrebbe raggiunta alla Città dei Draghi, percorrendo la via
terrestre.
“Siamo
quasi arrivate.” Le spiegò Kimi mentre si inoltrava in un boschetto di acacie.
La donna aveva indossato un completo bizzarro: calzoni, giubba e stivali. Il
tutto fatto di un materiale simile al cuoio, resistente, flessibile e caldo. Shira ne aveva uno uguale, i suoi sarti avevano lavorato
l’intera settimana a loro disposizione per tagliarlo e cucirlo.
“Ci
siamo.” Nella voce di Kimi vi era un calore che Shira
non aveva mai percepito. Con lo sguardo spaziò all’interno della radura in cui
erano giunte. Vi era un fuoco e una tenda, sovrastati da una grossa pietra dal
colore stranissimo: un delicato azzurro. Kimi corse in avanti e la ‘roccia’ si
mosse. Shira sgranò gli occhi mentre la sua mente
dava un senso alla possente figura.
“E’…
è un drago!” Il lungo collo della bestia si abbassò mentre il cavaliere vi
gettava le braccia attorno in un abbraccio.
“Magnifico,
è evidente che hai un grande intuito.” La voce sprezzante di Aki la scosse dalla sua ammirazione e Shira
si voltò a guardarla. Indossava un abito bianco che scendeva lungo i fianchi
aprendosi e mostrando dei pantaloni grigio scuro. I capelli erano legati in una
treccia, era bellissima se non fosse stato per quello sguardo d’odio.
“E’
la prima volta che vedo un drago.” Cercò di giustificarsi.
“Non
ne dubito.” Il tono canzonatorio la ferì, ma non le rispose, incapace, ancora
una volta, di trovare le parole giuste.
“Shira, vieni avanti.” La principessa obbedì avvicinandosi a
Kimi e al drago.
“Questa
è la principessa Shira del regno di Saharin.” La presentò. “E questa è Ai, il mio drago.” Shira chinò il capo in segno di saluto, colpita dai
brillanti e dolci occhi verdi del drago. Alle sue spalle Aki
rise, facendola arrossire e vergognare di quel gesto fatto ad una bestia, bella
e possente certo, ma pur sempre solo un animale.
“Ora
che le presentazioni sono fatte è meglio partire, abbiamo molti giorni di
viaggio davanti a noi.”
Shira
sapeva che avrebbe volato su un drago, ma ora l’idea cominciò a spaventarla.
Ai
era lunga almeno venti metri, le ali distese dovevano essere il doppio e aveva
zampe grandi quanto il torso di un uomo. Il suo colore azzurro sfumava nel
bianco delle zampe e si infittiva diventando blu nei cinque artigli delle ali e
lungo le venature delle stesse. Era bellissima, ma anche terrificante.
Cercò
di non guardarla mentre faceva del suo meglio per aiutare a disfare il campo,
seguita dal disprezzo di Aki che non perdeva
occasione per criticare il suo operato o la sua ignoranza sugli argomenti più
disparati, come il disfare una tenda, sistemare l’imbragatura di Ai o l’equilibrare
il peso del carico sul drago.
Quando
fu il momento di partire, Ai abbassò uno degli unghioni con cui terminavano le ali
tendendolo a Kimi. La donna lo afferrò con una sola mano e il drago la sollevò
fino a portarla tra il suo collo e la schiena. Il cavaliere si sedette e si
agganciò all’imbragatura. Aki non attese oltre e,
rapida, salì lungo l’intelaiatura formata dalle strisce di cuoio fino a
sistemarsi sulla schiena dell’animale. Shira rimase a
terra, guardando all’insù incapace di fare altro. Ai non sembrava intenzionata
a tendergli l’unghione e di sicuro non poteva salire come aveva fatto Aki, non aveva né la sua agilità né la sua forza.
Fortunatamente il drago le venne in aiuto in un altro modo. Si abbassò sulle
zampe fino a coricarsi e poi Kimi le tese la mano. Aiutandosi con le strisce di
cuoio e afferrando infine la mano di Kimi riuscì a trovarsi al posto giusto,
cioè dietro le spalle del cavaliere. La donna la legò all’imbracatura e poi
annuì.
“Bene.”
Mormorò e guardò sorridendo verso il cielo. Fu sufficiente. Il drago aprì le
ali e fu come essere schiacciati a terra da una forza sovraumana. Shira poteva sentire i muscoli muoversi sotto di lei. Una,
due e poi tre colpi d’ala e la radura fu solo più un puntino in una macchia
giallastra, ma il drago non si fermò, i colpi d’ala si susseguirono fino a
quando non furono tra le nuvole. Infine Ai spalancò le possenti appendici e
planarono nel cielo.
Shira aveva il cuore
che batteva veloce.
Era
qualcosa di così possente e meraviglioso da dover essere comparato al timore
reverenziale che si provava davanti ad un dio.
Il frastuono dovuto al battito delle
ali ora era sparito, solo il sibilo del vento indicava che si stavano muovendo
e poi c’era il freddo. Un freddo pungente contrastato solo dal calore
proveniente dal drago, un animale a sangue caldo, malgrado le leggende che
dicevano il contrario. Gli occhi di Shira erano
incantati ad osservare le ali di Ai che vibravano appena, fendendo le nuvole e
l’aria.
Volarono a quel modo per una settimana.
Il paesaggio sotto di loro cambiò diventando verde e ricco di fiumi e laghi,
poi davanti a loro si innalzarono delle alti montagne incappucciate dalla neve.
Attraversarle costò loro fatica, sorvolarle era impossibile per un essere umano
e percorrere le valli significava uno sforzo doppio per il drago che doveva
sbattere le ali con una frequenza molto maggiore a causa delle bizzarre
correnti d’aria. La notte, mentre il drago riposava, lei e Aki
dormivano in una piccola tenda mentre Kimi era avvolta tra le ali di Ai.
Nel
vederla dormire così Shira aveva sentito una fitta di
solitudine, come se a lei quel contatto fosse negato.
Aki continuava ad essere sarcastica
e le sue battute si facevano sempre più pungenti, infastidita dall’assenza di
reazioni di Shira. Kimi invece era più disponibile e
aveva iniziato a spiegarle alcune cose sulla vita alla Città dei Draghi e sui
draghi stessi. Da una battuta rabbiosa di Aki aveva
poi intuito che la scelta del cavaliere
normalmente veniva fatta in tenera età, attorno ai sette anni. Infine aveva
compreso che un sacerdote maschio sceglieva un cavaliere femmina e viceversa.
Loro, dunque, formavano una coppia anomala in molti modi. Shira
però continuava a non comprendere la rovente rabbia che la giovane sacerdotessa
provava nei suoi confronti.
Quando
uscirono dalle montagne si ritrovarono a volare per un’altra settimana sulle
pianure dei Lords, abitate da litigiosi signori feudali
che eleggevano un re ogni sette anni e di cui furono ospiti di grande riguardo.
Sulla costa, ancora lontana, vi erano le Libere Città, cinque centri che
vivevano grazie al commercio sul mare.
Quando
Shira vide il mare per la prima volta ne fu
stupefatta, ancor più della vista della neve e delle montagne. Era così vasto
da sembrare infinito e il blu delle sue acque era ricoperto dalle pagliuzze
d’oro del sole.
“Non
mi piace il mare.” Commentò subito Aki e Kimi annuì
lasciando perplessa la principessa.
“Perché?”
Chiese allora.
“I
draghi non sanno nuotare, volare su di esso è portarli alla morte.” Fu la secca
risposta della sacerdotessa e Shira non osò
controbattere.
Sorvolarono
la costa per un giorno poi volarono sopra una foresta verdissima e intricata ed
infine giunsero alla loro destinazione: la Città dei Draghi. Posizionata su
un’ampia conca formatasi su di un’altura godeva della vista sulla foresta ed
appariva irraggiungibile da terra.
Kimi
e Aki sorrisero, finalmente erano tornate a casa.
Ai sorvolò la cittadina fino a raggiungere un
largo spiazzo posto davanti a un grande edificio di legno addossato alla roccia
della montagna.
“Casa.” Mormorò Kimi con un sorriso, poi
scivolò a terra e corse tra le braccia di un uomo dallo sguardo gentile che la
stava aspettando.
“Muoviti, devi incontrare il Maestro.” La
scosse Aki mentre lei, ormai scesa dal dorso del
drago, si guardava attorno spaesata.
Seguì la giovane all’interno del grande
edificio, incuriosita e intimorita da quell’ambiente estraneo. Molti uomini e
donne salutavano Aki e le lanciavano sorrisi, ma la
sacerdotessa non perse tempo a presentarla. Si fermò solo davanti a una porta
chiusa e si voltò a guardarla con quel misto di rabbia e frustrazione a cui Shira ormai si era abituata.
“Il Maestro è già informato della nostra
situazione, ma vedi di non farmi vergognare più del necessario.”
Shira arrossì, offesa da quel ingiusto trattamento, ma non poté rispondere.
Aki si era già voltata, aveva bussato alla porta ed
era entrata.
Il Maestro era un uomo anziano dal volto
solcato di rughe che si infittirono quando le sorrise.
“Benvenuta nella Città dei Draghi, principessa
Shira.”
“Grazie, Signore.”
“Maestro!” La redarguì con un sibilo Aki.
“Oh, non importa,” l’uomo sorrise ancora poi
indicò loro delle sedie e si accomodò. “La situazione in cui ci troviamo è
particolare, normalmente lasciamo che il neo cavaliere, un bambino nel novanta
per cento dei casi, comprenda da solo certi concetti, ma suppongo che ormai Aki vi avrà informato.”
“Io non… no Maestro.” Questa volta fu Aki ad arrossire sotto lo sguardo penetrante dell’uomo.
“Molto bene, allora sarò io ad accollarmi il
compito, partendo dal principio. Quello che sto per svelarvi è un segreto per
cui un cavaliere morirebbe.” Fece una pausa e congiunse le mani. “Siete pronta
ad udirlo?”
“Io…” Shira lanciò
uno sguardo ad Aki che non le venne in soccorso, così
annuì. “Sì.”
“I draghi sono degli esseri molto, molto
speciali.” Iniziò allora il Maestro. “La leggenda vuole che il primo uovo di
drago comparve ad una donna moltissimi anni fa. Questa donna fu il primo
cavaliere. La leggenda però non dice tutto. Il drago nel suo uovo non è nulla
di più che un involucro vuoto.” Shira sbatté le
palpebre perplessa e si voltò a guardare Aki, ma la
ragazza era rigida sulla sua sedia, lo sguardo fisso verso una finestra. Il
Maestro continuò a parlare catturando di nuovo l’attenzione della principessa.
“La donna a cui apparve il drago non era una donna qualunque, lei era incinta.
Suo marito l’amava sinceramente e così lei amava lui. Da questa felice unione
stava per nascere un bambino. Quel bambino si legò al drago alla sua nascita e
divenne il primo sacerdote dei draghi.” Shira annuì
ma il Maestro sorrise dolcemente. “So che credete di aver capito, ma non è
così, non ancora almeno: ascoltate. L’anima del bambino si era spezzata,
rimanendo nel corpo del fanciullo e al contempo riempiendo il corpo vuoto del
drago, solo così nasce un drago. Altrimenti il cucciolo muore poco dopo essere
uscito dall’uovo. Nel corso dei secoli il sacerdote ha acquisito la capacità di
creare un legame unico e speciale con
il cavaliere, facendo di esso il suo legame d’amore e quindi l’origine del
bambino che diventerà un sacerdote.” Shira arrossì
violentemente rendendosi conto solo adesso di quello che il suo travestimento
era costato ad Aki. “Ora abbiamo un problema, Aki non ha trovato un compagno nella sua infanzia e, Daiki, il vostro drago, ha deposto un uovo. Capite, adesso,
perché aspettavamo tutti con grande trepidazione un compagno adeguato a dare un
figlio ad Aki e quindi un bambino per l’uovo di Daiki?”
Shira si alzò, era furiosa: come aveva potuto Aki
metterla davanti alla verità in questo modo! Come aveva potuto farglielo
spiegare da un estraneo? La rabbia per il comportamento della sacerdotessa,
trattenuta per tutti quei giorni di viaggio, le esplose nel petto.
“So che questa notizia può essere fonte di…”
Il Maestro continuò a parlare ma Shira non lo
ascoltava più.
“Come hai potuto?” Sibilò fissando Aki dritta negli occhi. La donna non disse nulla e lei si
voltò per uscire dalla stanza.
Furibonda corse per i corridoi senza badare a
chi incrociava, uscì dal palazzo e continuò a camminare finendo per percorrere
un sentiero lungo la montagna.
L’aria spostata da due ali possenti la schiacciò
a terra mentre un gigantesco drago le calava addosso. Prima che toccasse terra
il drago proruppe in un forte ruggito, assordandola, ma lei non si lasciò
intimorire.
“Smettila!” Il drago atterrò con violenza, gli
artigli che la spingevano al suolo con forza. Shira
sapeva che sarebbe bastata una contrazione degli unghioni e lei sarebbe morta,
ma era troppo furiosa per badarci davvero. “Non sei neanche capace di
affrontarmi faccia a faccia! Codarda!” Urlò.
Il drago le ruggì addosso poi spiccò il volo
allontanandosi nel cielo.
Shira si tirò in piedi, i suoi abiti erano pieni di terra, ma non le
importava piena com’era di rabbia.
Daiki. Aveva appena incontrato il suo drago. L’aveva capito subito, aveva
sentito con lui un profondo legame, anche se le stava urlando addosso tutta la
sua furia e anche in quel frangente, non aveva potuto fare a meno di notare
quanto fosse bello. Era per lo più grigio fumo, le zampe però erano quasi nere
mentre le venature sulle ali e gli unghioni erano bianchi. Di un purissimo bianco
erano anche le numerose corna che aveva attorno alla testa, disposte come una
specie di corona.
“Tu!” Urlò Aki
attirando la sua attenzione. L’aveva presa in parola ed era venuta ad
affrontarla. “Tu mi hai ingannata! Ti sei finta tuo fratello e io ho posto il legame su di te, tu mi hai indotta in
errore! Erano anni che cercavo un compagno per la vita, un uomo da amare e che
mi avrebbe amato! Non osare giudicare la mia vergogna nei tuoi confronti!”
Shira sentì il sangue ribollirle nelle vene, aveva sopportato troppo, era
ora di finirla.
“Hai ballato tra le mie braccia! Hai toccato le mie
mani, guardato i miei occhi, baciato
le mie labbra! Vuoi dirmi che dentro di te non sapevi che fossi una donna? Hai
imposto il tuo maledetto legame senza
che io aprissi bocca! Che diavolo avevi visto in me? Un dannato erede al
trono?” Lo schiaffo arrivò sulla sua guancia con violenza. Aki
era furente, fuori di sé, ma nessuno si era mai permesso di picchiarla. La
guancia di Shira bruciava, ma mai quanto il suo
orgoglio. “Vattene,” sibilò la principessa. “Vattene!” Urlò poi con forza. Aki strinse i pugni, si voltò e andò via lasciandola sola e
tremante di rabbia. Lontano si udì il rabbioso ruggito di Daiki.
Shira avrebbe voluto urlare di rabbia, ma non c’era più nessuno contro cui
farlo. Sarebbe tornata a casa, non le importava quanto tempo ci sarebbe voluto,
non voleva rimanere lì un istante ancora. Si voltò, ma si trovò davanti Aki. La ragazza doveva essere tornata indietro per dirle
ancora una volta quanto fosse stupida o inutile. Shira
prese un profondo respiro pronta a spedirla all’inferno, ma la ragazza la
sorprese afferrandola e spingendo con forza le labbra contro la sua bocca. Fu
un bacio brusco e violento, ma fu un bacio. La sacerdotessa la lasciò e sparì
di nuovo abbandonandola lì, svuotata dalla rabbia e con mille domande
inespresse, il cuore che batteva con troppa forza nel petto.
L’aveva baciata. Aveva baciato lei, non un supposto principe
mascherato, lei. Rimase a guardare il
sentiero con un misto di timore e speranza, sarebbe tornata? Non lo fece.
Shira si sedette a terra, chiedendosi cosa fosse successo. Ricordò le
emozioni che aveva provato al ballo, ricordò il modo il cui gli occhi di Aki potevano diventare dolci e meravigliosi. Ricordò come
avesse sfiorato le sue labbra con un bacio dicendole che appartenevano una
all’altra. Era stato facile mettere da parte tutto quello, dopo il suo brusco
cambiamento di vita le emozioni non erano mancate. Aveva lasciato casa sua, la
famiglia che amava e aveva, letteralmente, spiccato il volo, scoprendo un mondo
completamente nuovo, diventando parte di qualcosa che era stato, per lei,
appena più di una leggenda.
Ora però non poteva più negare i suoi
sentimenti. Aveva provato qualcosa di forte per Aki,
ne era rimasta completamente conquistata. Una parola risuonava nella sua mente:
amore. Non poteva negare che Aki era stata terribile
con lei, non aveva mai smesso di provocarla e offenderla, non aveva mai smesso
di tenerla lontana e di farla sentire indesiderata e le aveva nascosto la
verità sul loro rapporto. Eppure… eppure l’aveva baciata scatenando in lei un
torrente di emozioni.
Shira si passò la mano sulla bocca. Se chiudeva gli occhi le sembrava di
sentire ancora le labbra di lei schiacciate con rabbia sulle sue. Cosa doveva
fare?
Rientrò nell’edifico di legno quando ormai il
sole era tramontato. Tutte le emozioni che aveva provato l’avevano spossata
eppure sentiva che doveva parlare con Aki. Invece
incontrò Kimi.
La donna la fissò a lungo, ma non commentò gli
abiti sporchi di terra. “Vieni.” Disse soltanto, accompagnandola per
l’edificio. Le mostrò la mensa, la stanza dei bagni e la sua camera.
Una volta rimasta sola Shira
si lavò, lasciando che la fatica del lungo viaggio e la tensione di quelle
ultime ore andassero via assieme allo sporco. Quando ebbe finito passò nella
sala mensa, ormai quasi vuota, e recuperò la cena, infine ritrovò la camera
indicatale da Kimi e si sdraiò sul letto. Chiuse gli occhi e in pochi istanti
si addormentò.
Quando si svegliò il sole era alto nel cielo.
Accanto al letto vi erano degli abiti e su un tavolino c’era una colazione
ormai fredda. Per un attimo si chiese se non fosse stata Aki
a portargliela, ma scosse la testa, più probabilmente era stato un gesto di
Kimi, molto più materna. Quel pensiero la bloccò. Aki
e Daiki erano dunque figli di Kimi? Scosse la testa
confusa. Dopo il litigio con Aki e il loro bacio, non
c’era più stato spazio nella sua mente per riflettere sulle parole del Maestro.
Un uovo. Sì, ricordava chiaramente che l’uomo
aveva parlato di un uovo deposto da Daiki, che però
era un drago maschio, ne era sicura, lo aveva sentito.
Doveva parlare con Aki.
Indossò uno degli abiti che erano stati
preparati per lei e uscì dalla stanza.
Si rese subito conto che non aveva idea di
dove fosse la sacerdotessa quindi raggiunse la sala mensa sperando di trovare
lei oppure qualcuno che avrebbe potuto darle delle indicazioni.
La stanza era affollata e Shira
cercò con lo sguardo Aki ma di lei non vi era
traccia, poi però vide Kimi, intenta a chiacchierare con l’uomo che aveva
abbracciato al loro arrivo. Il suo sacerdote, intuì Shira,
la metà umana di Ai. Quell’idea la lasciò ancora una volta perplessa, era un
concetto difficile da assimilare, un essere che è uno eppure due.
“Immagino che siate confusa,” il Maestro era
accanto a lei e le sorrise dolcemente. “Temo di essere stato troppo irruento
nel dirvi la verità.”
“Mi dispiace per il mio comportamento…” Shira imbarazzata fissò il pavimento, ma l’uomo sorrise
ancora.
“Non siatelo, se c’è qualcuno da biasimare
quella è Aki.”
“Oh, io credo che lei avesse le sue ragioni
e…” Il sorriso del Maestro si fece ampio e Shira capì
di essere stata sottoposta ad una prova.
“Bene, come immaginavo i vostri sentimenti
sono forti se la difendete ancora. La scelta
non è mai un errore, malgrado quello che crede la nostra impetuosa Aki. Venite, devo mostrarvi una cosa.”
Il
Maestro accompagnò Shira sullo stesso sentiero in cui
si era inoltrata il giorno prima, ma proseguì fino ad attraversare un piccolo
passaggio tra le rocce che li condusse in un vasto spazio aperto posizionato
alle spalle della Città dei Draghi. Shira osservò
meravigliata il gran numero di draghi radunati in quel pianoro. Stesi a godersi
il sole di mezzogiorno vi erano almeno una trentina di esemplari di tutti i
colori e le dimensioni.
“Venite.”
L’uomo la guidò, inoltrandosi in una caverna che sulle prime Shira non aveva notato, troppo presa ad osservare un gruppo
di giovani draghi giocare a pochi metri da lei.
Non
dovette fare molti passi prima di trovarsi davanti Daiki.
Il grosso drago la fissò per un lungo momento, mentre lei sentiva il cuore
battere veloce, infine si spostò lasciandola passare.
La
grotta non era molto profonda, ma sul fondo vi era un piccolo lago la cui acqua
era calda come quella della sala dei bagni. La luce proveniva da alcune fessure
sulla volta della caverna e Shira si guardò attorno
perplessa, la stanza era vuota.
“Guardate
meglio.” Le suggerì il Maestro interpretando senza difficoltà la sua
espressione perplessa. Shira si avvicinò al lago,
profondo solo una ventina di centimetri, e lo vide. L’uovo era più piccolo di
quello che si era immaginata: doveva essere appena più grande dei suoi due
pugni messi assieme. Il guscio era nero con appena qualche sfumatura grigia.
“E’…”
Era impossibile definire a parole quello che provava per quel piccolo uovo. Era
assurdo eppure era sommersa da una sensazione di affetto, come se stesse
guardando qualcosa che amava profondamente. Una singola lacrima le scese lungo
il viso. Ora capiva davvero la rabbia di Aki. Quell’uovo
si sarebbe schiuso e il drago sarebbe stato vuoto.
“So
quello che provate,” la voce del Maestro si era fatta triste. “Io sono un
sacerdote che non ha mai trovato un cavaliere.” Shira
si voltò a guardarlo, ma l’uomo aveva lo sguardo perso nei ricordi. “La mia
metà drago ha deposto un uovo quando avevo venticinque anni, il drago sarebbe
stato arancio, con sfumature rosse. Ho pianto per settimane, consapevole che la
sua morte era solo colpa mia,” si interruppe, gli occhi che mostravano tutto il
suo dolore si fissarono nei suoi. “Non voglio che questo piccolo muoia.”
“Cosa
devo fare?” Shira guardò con disperazione il vecchio
sacerdote che però scosse la testa.
“Non
lo so…”
Quando
uscirono Daiki ritornò nella caverna.
“Avrei
voluto parlare con Aki, ma non so come trovarla.” Disse
allora Shira al Maestro che la guardò perplesso.
“E’
partita questa mattina all’alba. Credevo che ne foste a conoscenza.”
“Partita?
Per andare dove?” Il Maestro corrugò la fronte.
“Non
la sentite?”
“Non
capisco cosa vogliate dire.” Confessò la giovane.
“Non
mi aveva detto che il vostro problema era così grave… testarda di una ragazza,
tiene sempre tutto dentro…” Nel vedere Shira
guardarlo senza capire le fece segno di sedersi. Shira
obbedì, accomodandosi sull’erba verde e appoggiando la schiena alla parete
rocciosa. L’uomo la imitò, prese un profondo respiro e iniziò a parlare.
“Il
legame tra sacerdote e cavaliere è per me estraneo, ma posso spiegarvi quello
che so. Quando il sacerdote sceglie il suo compagno e dunque il cavaliere per
il suo drago, crea un legame. Questo
rapporto si scioglie solo con la morte e permette ai vincolati di sentirsi. Quello che avete provato
guardando l’uovo di drago deriva dai sentimenti che Aki
e dunque Daiki provano per esso. Con un po’ di
allenamento dovreste poter comunicare a parole, ma fin da subito avreste dovuto
percepire i sentimenti una dell’altra. Allo stesso modo dovreste, senza il
minimo sforzo, sapere dove si trova l’altro.”
“Io
non ho mai percepito questo legame con Aki…” L’uomo
corrugò la fronte, riflettendo.
“Eppure
ho visto i vostri occhi esprimere gli stessi sentimenti di Aki
nel guardare l’uovo.”
“Non
capisco.” Ammise Shira, ormai era al di là dello
stupore e dello sconforto per quello che sapeva e non sapeva.
“Credo
che Aki abbia respinto il vostro legame e che questo
vi tenga lontane.”
“E
ora è partita, io avevo bisogno di parlare con lei di quello che…” Si
interruppe arrossendo, ma il Maestro stava osservando i draghi crogiolarsi al
sole e sembrava perso nei suoi pensieri. Proprio in quel momento scese a terra
un maestoso drago rosso. Era una femmina e quando si avvicinò al vecchio, Shira capì che era la sua metà.
“Ti
presento Cassandra.” Il drago la guardò con occhi gentili e sorridenti. Per la
prima volta Shira si rese conto di quanto fosse stata
stupida nel credere che fossero degli animali. “Io e lei condividiamo la stessa
anima e comunichiamo con la mente. Questo fa sì che io e voi, principessa,
possiamo parlare e comprenderci malgrado la vostra lingua mi sia sconosciuta.
Essere per metà drago mi permette di comprendere a fondo molte cose, ma non mi ha
permesso di accettarmi,” Shira guardava il drago e
percepì le parole come se arrivassero da due esseri diversi. “Mi sono rifiutato
di accettare che il mio compagno avrebbe dovuto essere un uomo, questo mi ha
impedito di aprirmi e di trovare un cavaliere per Cassandra…” Sospirò e alzò lo
sguardo verso il cielo. “Questo sta impedendo ad Aki
di lasciarsi andare, di abbracciare i suoi sentimenti.” Shira
scosse la testa.
“Non
ha importanza, il piccolo morirebbe comunque, ed è colpa mia.”
“No,
non è colpa di nessuna di voi due, ma Aki non lo
capirà mai. Rovescia il torto su di voi ma in realtà è profondamente convinta
che la mancanza sia sua.”
“Ditemi
Maestro, se io morissi lei potrebbe trovare un altro cavaliere per Daiki?” L’uomo si voltò bruscamente a guardarla. Gli occhi
nocciola che si stringevano in uno sguardo penetrante.
“Non
dite una sciocchezza simile! E’ vero, la vostra morte spezzerebbe il legame, ma annienterebbe Aki e Daiki. Un cavaliere muore
sempre assieme al suo drago. Anche quando si tratta di vecchiaia. Ho visto solo
una volta un legame spezzato e il
dolore ha reso folli il sacerdote e il drago.”
Shira rimase in
silenzio, riflettendo.
“Tra
quanto si schiuderà l’uovo?”
“Non
possiamo saperlo con certezza, forse un anno, probabilmente un po’ di meno.”
Non era molto tempo per trovare una soluzione.
Scoprì
che Aki era partita assieme ad un cavaliere di nome
Harry e il suo drago Sansone per una missione diplomatica. Non potendo fare
altro che aspettare si immerse nella vita della cittadina dei draghi.
Vista
la sua ignoranza su tutto quello che concerneva i popoli a cui erano più vicini,
Shira iniziò a seguire le lezioni che erano riservate
ai neo cavalieri e ai loro sacerdoti, così si ritrovò a studiare assieme a sei
bambini di cinque, sette e otto anni.
Passò
un mese ed ormai la vita aveva assunto una sua routine, eppure si sentiva sola.
Attorno a lei vi era comunione e comprensione, mentre Shira
viveva nella solitudine. Non si trattava di qualcosa di percepibile, infatti
aveva iniziato a conoscere e ad apprezzare molti cavalieri e sacerdoti, ma
questo non toglieva nulla al vuoto presente nel suo cuore. Aki.
Non
aveva notizia della ragazza ma Sun, la sacerdotessa
di Sansone nonché compagna di Harry, la teneva aggiornata sui loro spostamenti
attraverso le Libere Città grazie al loro legame mentale.
Il
sacchetto di gemme consegnatole dal padreiniziò a essere utile a Shira dopo la sua
prima esplorazione della cittadella. Un sarto le confezionò vari abiti adatti
al volo, con caratteristiche più consone ai suoi gusti, un taglio più femminile
delle giubbe e un ampio cappuccio che la proteggesse dal freddo. Inoltre
l’istruttore di volo Jia, il cavaliere di Costanza,
le aveva suggerito di far fare un’imbragatura per Daiki.
Il drago aveva collaborato mentre il maestro del cuoio della città gli prendeva
le misure, ma non aveva fatto capire in nessun modo a Shira
se desiderava portarla in volo, spingendola a chiedersi se mai avrebbero volato
assieme.
Shira
rientrò nella sua stanza con la sensazione di benessere e pulizia che le dava
sempre il passare una mezzora nella stanza dei bagni. Si stese sul letto,
incurante del fatto che avrebbe bagnato le lenzuola e chiuse gli occhi
rilassandosi.
“Shira!” L’urlo la fece sobbalzare e lei si alzò a sedere con
il cuore che batteva violentemente. Aki aveva urlato
il suo nome mentre fitte di dolore la sommergevano.
Indossò
degli abiti e corse fuori fino a raggiungere il piccolo studio del Maestro.
Entrò senza bussare, il respiro mozzato dal terrore.
“Aki, lei…” Prese un profondo respiro e cercò di calmarsi,
il dolore della ragazza che ancora aleggiava nella sua testa. “Aki è in pericolo, lei mi ha chiamato e…”
“Presto,
non c’è tempo da perdere.” Correndo alla velocità che gli permettevano le sue
vecchie gambe il Maestro uscì dalla stanza e raggiunse il giardino, proprio in
quel momento Daiki ruggì con forza calando sullo
spiazzo.
“Cosa
succede?” Chiese il Maestro e le immagini irruppero nella mente di Shira.
Aki era attorniata
da uomini, Harry accanto a lei lottava con una spada. Era un’imboscata. Un uomo
colpì Harry che cadde al suolo privo di sensi. Aki
cercò invano di recuperare la spada, ma due uomini si avventarono su di lei. Un
pugnale le trafisse il braccio: “Shira!” Dolore.
Buio.
“Shira, ti senti bene?” La principessa aprì gli occhi e
tentò di alzarsi, ma Kimi la trattenne. “Piano, hai appena condiviso con Daiki i ricordi di Aki, ricordi
molto violenti, devi dare alla tua mente qualche minuto per riprendersi.”
“Aki è stata presa, mi ha chiamato, ha chiamato me! Devo
andare.”
“Lo
so, Daiki ha trasmesso il ricordo a tutti i draghi e
loro lo hanno condiviso con i cavalieri.”
“Sun?” Chiese allora Shira, la
gentile ragazza doveva essere sconvolta almeno quanto lei.
“E’
priva di sensi. Sansone deve essere stato drogato, anche se non riesco ad
immaginare una sostanza tanto forte da poter fare una cosa simile.”
“Devo
andare da lei.” Ripeté allora Shira.
“Il
tuo è un impulso irrazionale derivato dall’urgenza insita nella comunicazione
di Aki. Non credo che sarebbe una buona idea, Aki è nelle loro mani, se le facessero del male allora Daiki ne sarebbe influenzato.” La principessa non capiva di
cosa stesse parlando Kimi e scosse la testa, ma la donna insistette. “Se Aki muore Daiki morirà con lei,
se succedesse mentre siete in volo moriresti anche tu.”
“Non
mi importa! Lei ha chiamato me.” Kimi guardò verso il Maestro, che fino ad
allora era rimasto un muto spettatore del loro scambio.
“E’
inesperta, lei e Daiki non hanno mai volato assieme e
Daiki deve occuparsi dell’uovo.”
“Sì,
questo prima di tutto. Kimi vai, porta con te tutti i cavalieri abili presenti
in città e richiama quelli assenti. Pagheranno caro il loro affronto.”
Shira
protestò e Daiki ruggì, ma nessuno dei due fu ascoltato,
in una decina di minuti una trentina di draghi si alzò in aria, volando verso Hellis, la Libera Città in cui si trovavano Aki, Harry e Sansone quando erano stati rapiti.
La
principessa tornò alla sua stanza, afferrò alcune tenute da volo e il minimo
necessario per cambiarsi e lavarsi, infilò tutto nella sacca con cui aveva già
viaggiato e raggiunse le cucine, qui la stava aspettando il Maestro.
“Non
potete partire.” Shira alzò il mento, gli occhi che
brillavano di sfida. Era una principessa, forse solo la ventiduesima della sua
casata, ma aveva del sangue reale nelle vene ed era stanca di obbedire.
“Ho
deciso. Aki ha chiamato me e io andrò a prenderla.”
Il Maestro sospirò.
“Voi
non capite. Daiki deve restare con il suo uovo, il
legame speciale che esiste tra ogni drago si forma quando il piccolo è ancora
nell’uovo, per questo è stata Kimi a portare Aki fin
nel vostro regno. Per questo vi ho impedito di partire.” Shira
strinse i pugni furiosa.
“Non
è giusto! Sarò sempre e solo inutile?” Arrabbiata non attese la risposta
dell’anziano sacerdote e uscì dalla mensa. Senza neanche rendersene conto
camminò fino alla grotta in cui era stato deposto l’uovo. Daiki
era lì. Senza parlare Shira si sedette accanto a lui,
guardando quel piccolo e lucente uovo nero e cercando in esso un conforto per
il suo cuore in tumulto.
Ci
vollero sei giorni affinché il gruppo di draghi e cavalieri raggiungesse Hellis solo per trovarla in cenere. Gli abitanti erano
stati uccisi, le case saccheggiate e un incendio aveva divorato tutto. Migliaia
di vite erano state prese. Un massacro privo di senso. Di Sansone, Harry e Aki vi era solo una debole traccia: alcuni sopravvissuti
avevano visto il drago trasportato verso Nord.
La
caccia proseguì mentre Sun rimaneva svenuta e Daiki muto. Il Maestro le disse che il drago aveva riferito
di aver perso il legame con Aki. Le era stato
spiegato che malgrado condividessero la stessa anima drago e sacerdote
sviluppavano un’autonomia uno dall’altro. Il fatto che Aki
avesse chiuso la sua mente poteva essere dovuto a molti motivi, più
probabilmente si stava difendendo e si era chiusa in se stessa.
Shira
passò i giorni in perpetua angoscia, mangiando e dormendo solo il minimo
necessario. Aveva disperatamente cercato di sentireAki, sotto la guida del Maestro che le aveva spiegato
come aprire la mente, ma era stato tutto inutile. Ora riusciva a percepire
meglio Daiki, ma questo non significava che il drago
le parlasse e Aki era solo un muro nero contro cui si
scontrava ad ogni tentativo.
“Roc!” L’urlò la riscosse dal libro che stava leggendo, il
Maestro, che scriveva poco lontano da lei, alzò la testa sorpreso. Dei passi
rapidi si udirono nel corridoi poi un giovane abitante della città entrò con il
fiato corto. “Un Roc, sta volando in direzione della
piana dei draghi.”
“Veloci!
I piccoli sono ancora prede facili!” Shira era già
balzata in piedi mentre il possente ruggito di Daiki
le risuonava nelle orecchie e il suo richiamo mentale la spingeva a muoversi.
Percorse
il sentiero correndo fino a raggiungere la piana, su di essa un’enorme aquila
volava in cerchio, gli artigli minacciosi che brillavano nel sole pomeridiano.
I piccoli draghi si erano spostati contro la parete di roccia, richiamati da
Cassandra. Il vecchio drago impediva loro di alzarsi in cielo, come gli
suggeriva di fare l’istinto. Daiki invece era su uno
sperone di roccia e ruggiva minacce al grande uccello. Shira
corse da lui, era senza imbragatura, ma non importava, sapeva che presto il
terrore dei piccoli draghi li avrebbe fatti alzare in volo e neanche Cassandra
avrebbe potuto trattenerli, allora il Roc sarebbe
calato su di loro uccidendoli. Daiki era l’unico
drago abbastanza grande e giovane da potersi confrontare con l’animale.
Senza
indugiare, il drago grigio le tese l’artiglio, gli occhi che non lasciavano un
attimo il Roc. Shira vi si
aggrappò, per la prima volta si sentì sollevare e si ritrovò a cavallo del
drago. L’emozione durò poco perché un piccolo sfuggì al controllo di Cassandra
e balzò nell’aria. Daiki spinse sulle possenti zampe
e in un secondo fu in volo. La principessa dovette aggrapparsi al suo collo, ma
non chiuse gli occhi. Daiki aveva bisogno di lei,
altrimenti avrebbe affrontato il Roc da solo.
La
grande aquila scattò verso il piccolo, ma dovette fermarsi e fuggire quando
sulla sua traiettoria trovò Daiki. Il drago si gettò
all’inseguimento con un possente colpo d’ali. Fu a quel punto che Shira capì a cosa sarebbe servita. La mente del drago si
aprì e lei vide attraverso i suoi occhi, così come lui poteva vedere con i suoi:
non avevano più punti ciechi.
“I Roc sono più
veloci di me, ma meno resistenti. Lo prenderò.” Il pensiero arrivò rapido e netto dalla mente di Daiki. Shira sentiva le lacrime
scenderle lungo il viso, non sapeva se per il rapido volo o per l’emozione di
quel primo vero contatto. Il Roc davanti a loro era
veloce e presto li distanziò, ma Daiki non si diede
per vinto mentre Shira fungeva da vedetta, guardando
il cielo tutto attorno a loro. Volarono per due ore poi Daiki
si fermò bruscamente. Shira dovette aggrapparsi al
suo collo per non cadere e un brivido di paura le attanagliò il ventre.
“Ti prenderei io.” Di nuovo lui, rapido e secco. Shira
sorrise, se solo Aki fosse stata parte del loro
legame…
“L’uovo.” La voce le era sconosciuta, ma la nota emotiva no, era
il Maestro, o meglio Cassandra. Il panico la avvolse, quello di Daiki e il suo. “Un
secondo Roc ha preso l’uovo, non sono riuscita ad
impedirglielo.” Questa volta Shira sentì la
sofferenza del vecchio drago, una sofferenza emotiva certo, ma anche fisica. Daiki tornò indietro, spremendo dalle ali tutta la velocità
possibile.
Quando
giunsero alla piana trovarono un ampio gruppo di uomini e donne della città
intenti ad occuparsi dei larghi squarci presenti sul corpo del vecchio drago.
Il Maestro era seduto accanto alla sua testa e la accarezzava sussurrandole
dolcemente. Nel vederli arrivare, entrambi alzarono gli occhi su di loro.
“Mi
dispiace, era un diversivo, tutto questo era un diversivo. Sansone, Harry, Aki, volevano solo allontanare i draghi e i cavalieri dalla
città, renderla indifesa per rubare un uovo.”
“Ma
i Roc sono solo animali!”
“Qualcuno
deve aver appreso come addestrarli. Non siamo stati in grado di difenderlo.”
Gli occhi dell’uomo si riempirono di lacrime, ma Shira
gli afferrò una spalla scuotendolo.
“Lo
riprenderemo!” Detto questo si voltò verso gli abitanti della città accorsi ad
aiutare e iniziò ad impartire ordini. Dieci minuti dopo Daiki
era bardato, varie sacche di cibo erano agganciate al suo corpo e lei indossava
una tenuta da volo.
“Andrà
bene, lo riporterò indietro.”
“Ricordate
quello che vi ho detto, il drago deve stare con il suo genitore! Ogni giorno
che passa potrebbe essere letale per lo sviluppo del legame.” Shira annuì poi corse da Daiki che fremente la sollevò fino al suo collo. Pochi
istanti e la città era sparita. Davanti a loro c’era solo il cielo azzurro.
Volarono per tre giorni fermandosi solo
per riposare e per cibarsi. Daiki cacciò un cervo e
lo divorò in pochi minuti poi ripresero la loro corsa. Fortunatamente il drago
riusciva a percepire l’uovo e la loro strada fu sempre chiara.
Il quarto giorno arrivarono davanti al
mare. Daiki atterrò sulla bianca spiaggia, gli
unghioni che artigliavano il suolo, fremente di rabbia per l’ostacolo.
“E’ solo acqua.” Gli disse Shira, osservando la placida distesa.
La testa di Shira
si rivoltò indietro mentre il drago stramazzava al suolo.
Aki era a terra,
il corpo nudo era ricoperto di lividi e ferite.
“L’uovo
sarà qui a breve, dimmi come si lega ad un uomo!” Aki
voltò la testa e uno schiaffo la colpì rapido e violento facendo gemere la
ragazza. “A quanto pare non ti è bastato quello che ti hanno fatto i miei
uomini, ne vuoi ancora?” Aki sputò addosso all’uomo e
i colpi caddero come pioggia sul suo viso già martoriato.
Shira urlò mentre il
contatto con Aki si spezzava. Rotolò dal drago e
cadde a terra, si alzò sulle ginocchia vomitando mentre lacrime calde le
scendevano sul viso. Daiki la raccolse e la attirò a
sé, prendendola tra le ali e richiudendola in un bozzolo grigio e caldo.
“Va
tutto bene.”
Mormorò il drago nella sua mente, come se non fosse la sua metà ad essere stata
riempita di botte e violentata.
“No.” Gemette lei, incapace di
cancellare quelle terribili immagini dalla sua mente. “Dobbiamo salvarla.”
“E
lo faremo, hai sentito, l’uovo e lei saranno presto nello stesso luogo.”Shira alzò gli occhi, ricordando le parole dette
dall’aguzzino di Aki.
“Ma, il mare…”
“Non
hai prestato attenzione, dietro all’uomo vi era una finestra da cui si poteva
vedere il mare. Deve essere un’isola e io posso arrivarci.”
“E se fosse stata una nave?”
“Non
c’era nessun rollio. Aki ha condiviso quel momento
con noi per una precisa ragione. Sa che stiamo seguendo l’uovo, sa di essere su
di un’isola e sa che io avevo bisogno di conoscere questo dettaglio per andare
a prendere entrambi.”
Era folle, eppure avrebbe fatto
qualsiasi cosa per salvare Aki. Sentì Daiki prendere un grande respiro, poi il drago spiccò il
volo, inoltrandosi sulla grande massa d’acqua.
Il primo giorno Daiki
volò altissimo, sfruttando le correnti d’aria e sbattendo le ali il meno
possibile. Il secondo Shira iniziò a sentire che il
suo respiro si faceva faticoso, la loro quota si abbassò a causa della
frequenza ancora più lenta dei battiti d’ala. Il terzo giorno Shira seppe che sarebbero morti. Il drago non comunicava
più, tutta la sua energia era concentrata nel battito delle ali. Ormai i suoi
respiri erano ansiti dolorosi e lei non poteva aiutarlo. Quella stessa notte
rinunciò a tutto il peso superfluo, gettando nel mare il cibo che le restava e
i suoi cambi d’abito. Non era molto, ma non sapeva come aiutare il drago in
altro modo. All’alba Daiki sussultava di dolore ogni
volta che sbatteva le ali Shira, si chiese se non
dovesse alleggerirlo anche del suo peso. Forse da solo sarebbe riuscito ad
arrivare all’isola che ormai sembrava un miraggio lontano e irraggiungibile.
“No.” Fu il secco
ordine che giunse da Daiki quando lei si staccò
dall’imbragatura.
“Sarai più leggero, devi pensare ad Aki e all’uovo.” Urlò, cercando di contrastare il rumore
del vento.
“Senza
di te vivere non ha nessun senso. Lo abbiamo capito, forse troppo tardi.” La voce era
doppia e Shira sentì la presenza di Aki.
“Non sono riuscita a salvarti.” Mormorò,
le lacrime che le scendeva lungo il viso.
“Mi
sembrava di aver appurato che avevi un ottimo senso dell’osservazione…” Anche se la
voce di Aki era venata di sofferenza e dolore Shira percepì l’ironia presente nel suo tono. Alzò gli
occhi e allora la vide.
Un piccolo promontorio si innalzava
fiero sul mare. Avevano trovato l’isola.
Le piccole casupole erano di legno e
paglia, quando Daiki piombò su di esse le distrusse
senza fatica. Shira era nella sua mente e condivideva
la furia della battaglia. Le fauci del drago trovarono la prima vittima in un
attimo e poi furono le sue zampe ad artigliare, strappare e squarciare. I pochi
soldati presenti non si aspettavano di dover combattere contro un drago e
furono massacrati o schiacciati in pochi istanti. Quando un’ombra passò sopra
di loro Daiki balzò di nuovo in volo, era stremato,
ma la rabbia gli dava energia. Con un grido Shira
avvisò Daiki che uno dei Roc
stava calando dall’alto, attaccandolo alle spalle.
Il possente drago chiuse le ali
lasciandosi cadere a picco e non appena il Roc lo
oltrepassò, fallendo il suo attacco, spalancò le ali bloccando bruscamente la
discesa a pochi metri dalle onde del mare.
I Roc, però,
non erano privi di esperienza in battaglia. Fallito l’attacco del primo Roc, il secondo
animale, con veloci colpi d’ali, si gettò sulla preda sfruttando la posizione
superiore. Shira si aggrappò all’imbragatura con
entrambi le mani, un secondo dopo Daiki protendeva
gli artigli delle zampe e delle ali verso il possente Roc
e lei si ritrovò a dover lottare con la gravità. Il drago proruppe in un
possente ruggito poi le due bestie si scontrarono. Di nuovo caddero verso
terra, Roc e drago erano impegnati a lacerarsi con
unghie e zanne o becco e nessuno dei due apriva le ali. Shira
urlò di nuovo un avvertimento: il primo Roc stava
attaccando. Daiki si disimpegnò con un terribile
colpo di artigli e riaprì le ali. Ebbe il tempo di girarsi e questo salvò Shira, il Roc infatti trovò il
collo del drago, ma non lei. Daiki ruggì dal dolore,
ma morse con tutte le sue forze, il sangue del Roc
inzuppò le fauci di Daiki che non lasciò la presa
finché l’animale non morì. Solo allora il drago lo lasciò cadere e senza
indugio raggiunse il secondo Roc che, ferito, stava
cercando di fuggire. I suoi unghioni colsero l’animale prima che potesse
sottrarvisi e Daiki lo lacerò senza pietà.
Quando la lotta finì il drago ruggì
verso la nave che cercava di fuggire.
“Hanno
l’uovo.”
Comunicò loro Aki che era sulla spiaggia con un uomo
che la teneva per la gola. Daiki rimase immobile
nell’aria indeciso su cosa fare.
“Mettimi a terra, tu pensa all’uovo.”
Il drago obbedì, atterrando poco lontano da Aki. Shira si lasciò cadere e qualche secondo dopo Daiki si avventava sull’indifesa nave.
“Quei codardi moriranno tutti, ma a me
non farete nulla, anzi, mi lascerete andare via con l’uovo, altrimenti ucciderò
la sacerdotessa.” Shira riconobbe l’uomo e percepì
quasi come uno schiaffo l’odio che Aki provava per
lui. Strinse i denti, la sua mente ancora connessa con Daiki
era pervasa da furia omicida. Poteva sentire i lividi di Aki,
come se fossero stati impressi sulla propria pelle.
“Lasciala andare.” Intimò, ma l’uomo
rise.
“Il mio Signore desidera quell’uovo, è
andato troppo oltre, ha distrutto Hellis per averlo, se
lo deludo sarà lui a uccidermi.”
“Dove sono Harry e Sansone?”
“Il cavaliere e il drago? Servivano da
diversivo, non hanno importanza, lasciatemi l’uovo.”
“Mai.” Sibilò Shira.
Non aveva armi e l’uomo stringeva Aki per il collo,
una semplice torsione e glielo avrebbe spezzato, eppure la rabbia era come un
fuoco caldo dentro di lei e le impediva di ragionare.
“Abbandonati
a noi.”
Nella sua mente Aki era una lama aguzza e Daiki una bufera di fuoco, Shira
fece come le aveva detto il Maestro, lasciando da parte tutto ciò che era, estinse
la propria volontà e nel suo corpo ci furono loro.
Quando riaprì gli occhi l’uomo era a
terra, la gola squarciata da denti umani.
Shira sputò il
sangue che le era rimasto in bocca, evitando di pensare a quello che il suo
corpo, guidato dalla mente di Aki e Daiki, aveva fatto.
Non pensò più a lui, invece corse da Aki che, riversa al suolo, era scossa dai singhiozzi. La
prese tra le braccia, ricordando la prima e unica volta in cui l’aveva fatto.
Quel giorno al ballo avrebbe dovuto dire di no a suo fratello eppure aveva ceduto
e così aveva trovato lei: Aki. La donna che ormai
sapeva di amare. Con estrema delicatezza le allontanò i capelli dal viso,
osservando con dolore lo scempio che era stato compiuto sui lineamenti che
tanto amava. Non parlò, non ce n’era bisogno, invece lasciò che Aki percepisse tutto ciò che provava: il suo amore, la sua
profonda gioia nel ritrovarla, il suo dolore e la sua rabbia. Sentì che la
sacerdotessa aveva paura di trovare in lei del disgusto per quello che le era
stato fatto così si piegò delicatamente su di lei e le depose un bacio sulla
fronte, poi due sugli suoi occhi, altri sulle sue guance coperte di lividi e
lungo gli zigomi, infine trovò le sue labbra e le baciò cercando di infondere
nella giovane tutto l’amore che provava.
Quando si separò da lei vide che
piangeva ancora, ma il dolore che proveniva da lei era attenuato. C’era però
ancora qualcosa.
“Aiutami ad andare da Daiki.” Chiese la voce, roca per le urla strappatele nella
tortura e nella violenza. Shira la sollevò tra le
braccia, stupita da quanto fosse leggera e fragile.
Daiki era atterrato
sulla spiaggia alle loro spalle, l’uovo nero al sicuro tra le sue zampe sporche
di sangue, ed era già profondamente addormentato, spossato dal lungo volo e
dalla battaglia, ma aprì un occhio e accolse entrambe tra le sue ali quando gli
si avvicinarono poi si riaddormentò. Shira sorrise,
consapevole che quello era il suo posto, che mai sarebbe stata sola. Aki però era tesa e Shira le
prese le mani, baciandole e cercando di darle il coraggio di dire quello che
aveva sul cuore.
“Qualsiasi cosa sia io sono qui e lo
sarò per sempre.”
“Shira…” La
voce le si spezzò e allora la ragazza usò la mente. “Il mio corpo era pronto. Quando… quello che mi è stato fatto…” La
principessa sentì il cuore accelerare, mentre il dolore di Aki
divampava di nuovo in lei, mescolato a ricordi orribili. Sulle prime volle
chiudersi ad essi, l’orrore di sentire il proprio corpo violato da quella massa
di uomini era insopportabile, ma poi comprese che doveva accettarli, lo doveva
fare per Aki. Forse se avesse condiviso quei ricordi
con la sacerdotessa avrebbe potuto aiutarla a portarli, a sopportarli e, magari
un giorno, a dimenticarli. Mentre si lasciava sommergere capì che quello che
voleva dirle Aki andava oltre. Aveva detto che il suo
corpo era pronto e ora Shira capì cosa volesse dire.
Una piccola vita stava crescendo in lei, una mente così fragile da essere
appena un abbozzo, ma che c’era già.
“Sono
sicura che con un’erba possiamo…”
“No!” La risposta veemente di Shira fece aprire un occhio a Daiki,
il drago strinse l’uovo un po’ più contro di sé e poi tornò a dormire.
“Shira…”
“Aki, amore
mio, questa vita è parte di te.” La ragazza arrossì e sorrise nel sentirsi
chiamare così, ma poi scosse la testa.
“E’
frutto di una violenza, non di un atto d’amore, se lasciassimo il bambino
nascere non abbiamo nessuna certezza che riuscirà a legarsi al cucciolo
nell’uovo.”
“Anche il draghetto è stato lontano da Daiki per, forse, troppo tempo, non sappiamo se il loro
legame si creerà, ma dobbiamo provare. Non voglio perdere entrambi, non posso
sopportare di perdere entrambi.” Shira sentiva le
lacrime salirle agli occhi e quando Aki le accarezzò
il viso dolcemente smise di cercare di trattenerle. “Daremo noi l’amore che
serve al bambino. Ce la farà, li salveremo.” Aki
rimase in silenzio a lungo, la mente che lottava tra le scene di violenza e
l’amore per Shira. La principessa seguì quella lotta
interiore senza intervenire, sapeva che la decisione ultima spettava ad Aki e al drago e qualsiasi essa fosse Shira
l’avrebbe appoggiata.
Una settimana dopo una nave con una
grande piattaforma improvvisata per il trasporto di Daiki
arrivò assieme a Kimi per riportarli a casa.
“E’
il momento.”
La voce di Daiki era venata di timore e trepidazione.
Aki si alzò dal letto, più sveglia di Shira che invece sbatteva ancora le palpebre, sorpresa da
quell’annuncio arrivato in piena notte.
La sacerdotessa si vestì in un attimo
per poi prendere il loro bambino, nato un mese e mezzo prima, che profondamente
addormentato non si accorse di nulla. Shira la imitò
anche se più lentamente.
Erano stati mesi duri per tutti alla
Città dei Draghi, l’oscura personalità che aveva orchestrato il rapimento di Aki e il furto dell’uovo era ancora avvolta nel mistero. Il
Maestro aveva tirato i fili di ogni sua conoscenza, nelle Libere Città, tra i Lords e persino tra i pacifici Clans
delle montagne, ma nessuno era stato in grado di fornire un indizio.
Hellis, la fiorente
città del mare, era stata distrutta e i sopravvissuti erano disperati e sotto
shock, i cavalieri avevano portato loro soccorso, aiutandoli a trovare una
nuova casa, giostrandosi, grazie alla loro posizione privilegiata, tra i poteri
politici affinché fossero accolti. Per mesi la cittadella era stata un via vai
di draghi, in arrivo e in partenza. La sicurezza della città era stata
rinforzata e così quella dei cavalieri, che ora portavano armi nelle loro
missioni.
Aki e Shira però non erano state coinvolte nelle ricerche, Daiki doveva rimanere con il suo uovo e la sacerdotessa
dovette prima riprendersi fisicamente e poi portare a termine la gravidanza.
Così come Harry, Sansone e Sun, che avevano
necessitato di mesi per riprendersi appieno dalla droga data loro.
Shira si chiese
ancora chi ci fosse dietro a tutti quegli eventi, di sicuro un uomo potente e
malvagio, qualcuno da temere. Con un sospiro allontanò quei pensieri per
concentrarsi sul presente.
Lei e Aki
stavano entrando nella grotta, l’unica luce era quella di una torcia. Daiki era accoccolato attorno al suo uovo, gli occhi fissi
su di lui.
Shira tremò mentre fissava
il lucido guscio nero dell’uovo. Tante cose potevano andare storte. Il loro
bambino poteva non riuscire a legarsi al drago, oppure il drago poteva essere
incapace di fondersi a causa dei giorni passati solo, lontano dal genitore. Con
tutta se stessa aveva voluto crederci, ma ora, al momento della verità un
piccolo brivido le percorse la schiena. Se non avesse funzionato Aki e Daiki ne avrebbero avuto il
cuore spezzato e così lei.
“Andrà
tutto bene.”
La voce possente di Daiki era piena di calore e Shira sentì la mano di Aki
scivolare nella sua in un gesto di conforto a cui erano abituate, ma che non
mancava mai di fare effetto.
Il loro bambino, ancora senza nome, come
voleva la tradizione per i futuri sacerdoti, fu deposto accanto all’uovo, i
suoi occhi si aprirono e si guardarono attorno curiosi.
Un colpo secco attirò l’attenzione di
tutti sull’uovo. Il guscio si fessurò.
Shira prese un
profondo respiro e strinse la mano di Aki. Doveva
andare bene, doveva! Lei amava con tutto il cuore quel bambino perché era parte
di Aki e lo avrebbe amato per sempre.
Con stupore percepì la mente del
neonato tendersi verso l’uovo. Un ampio sorriso si aprì sulle labbra di Aki e Shira seppe, in un momento
di chiara consapevolezza proveniente dalla mente ancora neonata di suo figlio, che
sarebbe stato bianco: un drago bianco con sfumature argentee. La principessa lo
seppe e sorrise a sua volta, mentre l’uovo si apriva rompendosi.
Note
Significato dei nomi:
Shira: poesia
Aki:
splendido/brillante
Daiki: grande
nobiltà/splendore/valore
Kimi: imperatrice
Ai: affetto/amore/indigo
Haru (sacerdote di
Ai e compagno di Kimi): sole/primavera