Big girls (don't) cry

di imunfjxable
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I.girls ***
Capitolo 2: *** II. i'm even better than Axl Rose ***
Capitolo 3: *** III. this band sucks. ***
Capitolo 4: *** IV.it's weird ***
Capitolo 5: *** V. Waste the night ***
Capitolo 6: *** VI. (im)perfect ***
Capitolo 7: *** VII.Prisoner ***
Capitolo 8: *** VIII. how can i not kiss you? ***
Capitolo 9: *** IX. rape me ***
Capitolo 10: *** X.Christmas ***
Capitolo 11: *** XI. is it your first time with a boy? ***
Capitolo 12: *** XII. Heroes ***
Capitolo 13: *** XIII. seven minutes ***
Capitolo 14: *** XIV. 23 grammi ***
Capitolo 15: *** XV.Letters ***
Capitolo 16: *** XVI. Tre passi e ventritre centimentri ***
Capitolo 17: *** XVII.July ***
Capitolo 18: *** XVIII.June ***
Capitolo 19: *** XIX.October ***
Capitolo 20: *** XX.April ***
Capitolo 21: *** XXI.Michael ***



Capitolo 1
*** I.girls ***


Big girls  don't cry


1. Girls

 

 

C'è l'acqua che bolle nella pentola, e July che fissa il muro sporco della cucina. Nessuna delle quattro ragazze era mai stata brava nelle faccende domestiche, quindi a pulire; né tantomeno si era mai preoccupata di farlo.
July si passa la mano tra i capelli biondi tinti, quasi per una sorta di capriccio. Il suo pittore preferito, Van Gogh sosteneva che il giallo fosse un colore felice, e per questo lei li aveva tinti di quel biondo accesso; felice.
Probabilmente amava Van Gogh solo perché volevano la stessa cosa: essere felici.
«July ma che cazzo fai» sbotta June irrompendo come una furia nella cucina. Scosta July bruscamente, e spegne il gas. L'acqua è uscita dalla pentola, e July non se ne è accorta, come succede quasi sempre.
«Non capisco ancora perché ci ostiniamo a farti cucinare» June ride, July si mordicchia le dita imbarazzata. Si sta rimproverando mentalmente per quello che ha fatto e June se ne rende conto, June sa quello che passa nella testa della bionda. Si avvicina a July e la avvicina a se, posando le sue labbra sulle sue; ma la bionda la spinge via e le fa sbattere la schiena contro la parete.
«Ancora non hai capito che non sono una cazzo di lesbica? Ero ubriaca quella sera June. Non mi piaci e non mi piacerai mai. Lasciami stare» le lacrime fanno capolino sugli occhi turchesi di July che urla con tutto il fiato che ha in gola. June e July erano finite a letto in una calda notte estiva. July si era ubriacata dopo aver lasciato James e June l'aveva consolata. Gli abbracci divennero carezze, le carezze divennero baci, e i baci divennero sesso.
Sesso. Per July si trattava solo di quello.
June arrabbiata esce fuori dall'appartamento delle ragazze, sbattendo la porta.
Ma June al massimo sta fuori due ore e poi torna chiedendo scusa, e con una busta di Oreo tra le mani. Era sempre stata così June, impulsiva, emozionale, arrabbiata.
Era una persona perennemente arrabbiata. April sosteneva che fosse a causa della musica metal che ascoltava, ma cosa voleva saperne April? Cosa può capirne di Ozzy e dei Metallica una ragazza che ascoltava solo Lou Reed e David Bowie?
Niente. E così June entra nel supermercato e prende un pacco di Oreo, con "suicide solution" nelle orecchie e si dirige alla cassa. Posa il pacco sul nastro e si sfila una cuffietta porgendo una banconota di 10 dollari a October, che lavora li da qualche mese.
Non appena la ragazza vede il pacco di Oreo fissa June.
«Avete litigato di nuovo?» chiede esasperata, portando uno dei tanti dread che le ricadono sul viso dietro la testa.
June annuisce.
«Secondo me tu non sei lesbica June. Tu pensi di esserlo solo perché hai avuto brutte esperienze con i ragazzi con cui sei stata. Tu non sei lesbica, sei solo distrutta. Come tutte noi» October diede il resto a June che afferrò i quarti di dollaro rabbiosa. October aveva ragione, come sempre.
October scosta il medesimo dread dal suo viso, ancora una volta. Si guarda attorno e studia attenta, con i suoi occhi marroni, gli scaffali per poi fissare le sue mani.
Annoiata afferra il suo cellulare e indossate le cuffiette imposta "Mr. Brownstone" dei Guns'n'roses. Gira sulla sedia, i suoi pensieri si confondo con la voce di Axl. Si alza e inizia a ballare nella sua postazione alla cassa. Il supermercato è piccolo e la sua è l'unica cassa attiva al momento, il negozio è vuoto; l'unico rumore percepibile è un leggero contatto tra i diverso fili del reparto dei surgelati.
October inizia a canticchiare, continuando a muovere la testa e il sedere a tempo di batteria, poi qualcuno le picchia la spalla destra. Vede una mano dalla pelle diafana, dalle unghie mangiucchiate. October stoppa la canzone e annoiata si gira vendendo un ragazzo quasi della sua età con delle bottiglie di Jack Daniels in mano. È alto quando lei, ha i capelli biondi tinti (peggio di quelli di July) scompigliati, gli occhi verdi sono rossi e gonfi. October guarda l'acool e le si stringe il cuore nel vedere qualcuno che si trova nelle condizioni in cui si riduce lei quasi ogni sera da ormai mesi.
Il ragazzo posa le bottiglie sul nastro e si guarda i piedi, cercando una banconota nella sue tasche.
«Devo chiederti i documenti» dice October meccanicamente.
«Ho diciannove anni, non puoi darmi le bottiglie e basta? Mancano solo due anni alla maggiore età*»
«Dammi un motivo per il quale dovrei dartele» gli occhi del ragazzo si stringono in due fessure per impedire alle lacrime di scendere. Le sue labbra rosse si schiudono, October riesce a percepire il suo flebile respiro, e un pianto soffocato nella gola.
«Non ti basta vedermi così?» chiede. Ha la voce strozzata il ragazzo. October dovrebbe riprendersi le bottiglie e mandarlo via a mani vuote, ma non lo fa.
«È il primo cuore spezzato, vero?» chiede la ragazza alzandosi e uscendo dalla sua postazione. Si porta le mani nelle tasche anteriori del suo logoro jeans largo, che è abbinato a una delle sue innumerevoli magliette nere dei guns'n'roses.
«Che ne sai?» chiede il ragazzo cercando invanamente di ricomporsi.
«Prendiamo tutti del Jack Daniels al primo cuore spezzato, pensando che sia così forte da poterci far dimenticare il dolore; sperando che il bruciore dello stomaco sia abbastanza forte da distrarci dal dolore del cuore. E invece sbagliamo» October parla sicura di se e il ragazzo la guarda stranito, ma allo stesso tempo prova una strana felicità, perché gioisce nel sentirsi compreso.
La ragazza si allontana e torna dopo pochi secondi con una bottiglia di assenzio.
«Un solo bicchiere di questo ti farà stare bene. Solo un bicchiere. Non dire che ti ho dato l'alcool» il ragazzo prende la bottiglia e ringrazia la ragazza che lo abbraccia.
October stringe saldamente le braccia attorno al ragazzo, che si sente più confortato; e ricambia l'abbraccio.
«Il lato positivo dei cuori spezzati è che si rompono una volta sola» dice October, e manda il ragazzo via, senza farlo pagare.
Scappa nel putrido cesso del supermercato e inizia a piangere, le voci nella sua testa sono più forti, urlano, strillano, la rimproverano. Si tappa le orecchie e ricaccia le lacrime dentro.
«Shh» si dice mentre si guarda allo specchio «shh. Cosa ti hanno insegnato in riabilitazione? Va tutto bene. Sono bella. Sono forte. Va tut...Va tutto a puttane» urla e colpisce il muro, sbucciandosi le nocche delle mani che si colorano di rosso lentamente. Apre il rubinetto e lascia che l'acqua scorra sulle sue ferite per alleviare il dolore. Perché non può essere così anche per quello mentale?
Quale è il rimedio per i dolori dell'anima?
October è stata in riabilitazione per due anni; fobia sociale.
Diventava paranoica a volte, era convinta che ci fosse qualcosa di sbagliato i lei, che per qualsiasi cosa facesse la gente la giudicasse male in segreto. Il suo terapista le aveva detto che era semplicemente fobia sociale; October gli rispose dicendo che forse lei era abbastanza intelligente per rendersi conto di quanto fosse orribile la natura umana a volte.
La ragazza prende una fascia e tira indietro i dread che le coprono il viso lungo. Copre con della carta la ferita che si è appena procurata e torna a sedersi.
I pensieri sono ancora nella sua testa che galleggiano nel suo cervello, e fanno a pugni con quella piccola parte sana della sua testa che le dice che sta bene.
E se prima serviva Axl Rose per farla sorridere e per tenerle compagnia adesso October prende l'mp3 e imposta "We all fall down" degli Aerosmith, la sua seconda band preferita.
La voce di Steven Tyler le dava tutto l'affetto che lei aveva sempre desiderato, e anche se c'erano le ragazze; a volte non bastava. Avrebbe desiderato qualcosa di più ma ad October va bene così; e si siede, restando nella sua calma apparente, aspettando di tornare a casa.
Casa. Potevano October, June, July e April definirsi una famiglia?
Forse solo grazie ad April.
Quella ragazza è il collante delle altre quattro, April è quella felice, che nonostante quella strana tinta rosa, non è poi così strana.
Ha un fisico che farebbe invidia a chiunque, il viso aggraziato, e gli occhi azzurri, anche se meno di quelli di July.
April ascolta Lou Reed e David Bowie, è un'ottimista amante della cioccolata e della pioggia.
Lei è quella che è sempre pronta ad aiutare tutti e ora è seduta in camera di July, sul letto della ragazza che si sta sfogando riguardo a June.
«July so che ci stai male ma per Dio, togli i Nirvana!» urla raccogliendo i suoi capelli rosa in una coda «già sei triste, poi senti "come as you are" e diventi depressa»
«Possibile che tu debba sempre colpevolizzare i nostri gusti musicali?» July ride tirando un cuscino ad April, che prontamente lo schiva.
«July il segreto per essere felici è convincersi di essere felici» dice.
Oppure far finta di essere felici, pensa.
July scuote il capo e si alza andando ad apparecchiare la tavola assieme ad April.
Poco dopo la porta si apre, sono le otto, e October e June tornano a casa.
Si siedono tutte e quattro le ragazze, attorno a quella tavola piccola, accompagnate da un imbarazzante silenzio.
Poi October ride. E così fanno anche July e le altre. Ridono.
Quella risata insensata, che scappa, ridicola, ipocrita.
Perché loro sono ragazze grandi e non piangono.
Continuano a rigirarsi il dito nella piaga come se quella sorta di apparente felicità non sia giusta.

AYEEE
*in America la maggiore era si ha a 21 anni.
Pensavate di esservi liberate di me?e invece no ehehehe sorry.
Comunque tengo molto a questa storia e poiché voglio rendervi partecipi (si sto sempre a rompere il cazzo) facciamo le domande a fine capitolo perché noi siamo vip 💁✨
•secondo voi chi è il ragazzo del supermercato?(lo so che si capisce però non ho idee per le domande ehehe) Mi lasciate una recensione per favore? Grazie c:
Al prossimo capitolo 👋💙
Sara

PS: I PERSONAGGI

5 seconds of summer come loro stessi 

Hannah Pixie Snowdon come June

 Miley Cyrus come July

Cara Delevigne (con i capelli rosa) come April 

Una ragazza con i rasta marroni come October


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Capitolo 2
*** II. i'm even better than Axl Rose ***


II. i'm even better than Axl Rose.

 

A October non sono mai piaciute tante cose. Il latino, il latte e le persone gelose erano solo pochi nomi appartenenti ad una lunga lista.
Ma quando October a notte fonda si chiude in camera con le canzoni dei guns'n'roses che le forano i timpani e con una bottiglia di Bayles non ci fa più caso a quello che le da fastidio, nemmeno alla musica da discoteca che in quel momento proviene dall'appartamento sotto il loro.
«I nuovi proprietari dell'appartamento sottostante hanno dato una festa, andiamo?» implorò July che l'animo da festaiola l'aveva sempre avuto. La bionda ha già indossato dei pantaloncini corti di jeans con un top blu scuro e degli stivali alti del medesimo colore mentre i suoi capelli corti sono lisci sul viso tondo.
October annuisce facendo spallucce e cacciando un tubino nero abbinandolo con una camicia a quadri grigia e nera e delle Dr Martens nere.
«Le ragazze non vengono?» July scuote il capo, e assieme ad October scende al piano di sotto dirigendosi verso la porta da dove proviene tutto quel baccano. October aveva bevuto un po' mentre era di sopra ma era ancora lucida.
July bussa alla porta che viene aperta pochi secondi dopo da un ragazzo abbastanza alto dalla pelle ambrata che indossa degli skinny jeans e una canottiera strappata ai lati.
«Uhm siamo le ragazze del piano di sopra, abbiamo sentito che c'era una festa» July parla sorridente, non ha mai avuto molta vergogna, la sua bellezza le fa acquistare un'innata sicurezza soprattutto mentre parla.
Il ragazzo le sorride dolcemente e spalanca la porta alle due ragazze che con un passo entrano all'interno dell'appartamento dei nuovi vicini.
«Prego accomodatevi ragazze. Io sono Calum, voi?» October si guarda attorno, forse non è vestita bene per la festa. Si osserva intorno eppure tutto quello che riesce a vedere sono solo persone più felici di lei. Forse avrebbe dovuto truccarsi, forse non avrebbe dovuto mettere le Dr. Martens sotto al vestito. La musica le rimbomba nel cervello, le voci si fanno più forti...alcool, alcool, ha bisogno di alcool.
July la scuote e si gira verso di lei.
«Calum ti ha chiesto come ti chiami, tutto bene?» July fissa l'amica preoccupata, ha già capito cosa sta succedendo, accade spesso, soprattutto quando October è con persone nuove.
«October» sorride cercando di essere più convincente possibile «io vado a farmi un giro July, ci vediamo tra poco» dice e si dirige decisa verso un tavolo pieno di bottiglie.
July scuote la testa preoccupata, e Calum le posa una mano sulla spalla «Tutto okay?» le chiede. La ragazza si passa una mano tra i capelli annuendo e Calum le porge una bottiglia di birra.
«Siete solo tu e October sopra?»
«No siamo quattro. Io, October, April e June, ma le altre due erano stanche»
«I vostri nomi» Calum ride, ha una bella risata, era da tanto che July non parlava con un ragazzo «è una coincidenza o cosa?»
July inizia a ridere perché non sa cosa rispondere, era una coincidenza ovviamente, ma era una risposta stupida. Prende un sorso dalla birra e sorride di nuovo al ragazzo, che le mette una mano attorno alla vita e la tira a se. July sente uno strano calore quando il ragazzo la tocca. Da quando era finita erroneamente a letto con June era rimasta spaventata. Voleva scordare le mani della ragazza sul suo corpo, le loro bocche che si scontravano, lei che sorrideva assieme a June, ma soprattutto voleva scordare quanto le fosse piaciuto.
Perché come può piacerti qualcosa di così sbagliato? Non si può andare a letto con la propria migliore amica.
Il volume della musica si fa più alto e parte "Runaway baby" di Bruno Mars, Calum e July iniziano a ballare, le mani del ragazzo volano sui fianchi di July che stringe ancora la bottiglia di birra.
Si avvicina a Calum e gli urla nell'orecchio sinistro «Carini i tuoi skinny jeans ma penso che starebbero meglio sul pavimento»
Calum ride ancora, afferra la mano calda e piccola di July portandola nella prima camera che si trovano. Si stendono sul letto, e Calum la porta su di lui, mentre le bacia il collo e le tocca i fianchi.
July osserva la stanza e nota i poster dei Black Sabbath dei Metallica sul muro.
«Non è la tua stanza, vero?» chiede e il ragazzo si scosta per farle un po' di spazio. July si stende sul letto morbido, respira piano, e guarda il ragazzo. Ha degli occhi belli, Calum. Sono stretti, ma hanno un'iride nera così profonda, nei suoi occhi ci sono intere galassie, sembra di specchiarsi in un buco nero.
«No, è la stanza di Ashton»
«Sai anche alla mia amica June piacciono queste band, dovremmo farli incontrare» Calum si gira sul fianco destro e divora con gli occhi la figura di July che è stesa accanto a lui con il top stropicciato e una scarpa infilata e una no.
«E a te piacciono?»
«Oh no, nemmeno per sogno. Io ascolto solo Nirvana e Red hot chili peppers»
«Figo» commenta Calum sedendosi. Si alza e si passa una mano tra i capelli, poi accarezza il viso di July alla quale viene la pelle d'oca non appena sente la mano di Calum sulla sua.
«Mi piace sentirti rabbrividire sotto il mio tocco» ghigna il ragazzo. Calum si stende di nuovo su July che lo guarda ridendo, come una bambina ingenua.
«Torniamo di la?» Calum chiede guardando July, come per dirle che si è appena pentito di averla portata in camera, come se fosse stato troppo presto.
E July capisce, e lo guarda grata per averla fermata, e si dirigono assieme nel soggiorno.
October, intanto, continua a tirare indietro i dread, magari dovrebbe tagliarli. Prende un bicchiere di vodka e lo porta alla bocca ingurgitando il liquido trasparente. Poi si riempie un bicchiere di tequila, e un altro ancora di vodka e li beve velocemente.
«Se hai bisogno di tutto quell'alcool per portare qualcuno a letto, io vengo volentieri senza che tu beva tesoro» October si gira e vede un ragazzo alto, biondo, con un piercing a labbro ad anello.
Nonostante fosse estremamente attraente October non si lascia intimidire, e gli risponde.
«Mi dispiace, la mia vagina è aperta solo ad Axl Rose»
«Tesoro, ma io sono meglio di Axl Rose» October respira rumorosamente. Nessuno è meglio di Axl Rose. Ignora il ragazzo che si avvicina a lei e le sorride maliziosamente, poi vengono interrotti da una voce.
«Luke ma che cazzo fai?» urla un ragazzo che cammina barcollando leggermente verso i due. E October lo riconosce: è il ragazzo del supermercato, quello che piangeva e che aveva acquistato l'assenzio.
Anche il ragazzo sembra averla riconosciuta.
«Che c'è Michael?»
E così ha anche un nome; Michael. E il coglione che si crede meglio di Axl è Luke. Gli occhi di Michael sono rossi, sembra che si sia fumato qualcosa. Ha sempre i capelli biondi che sono tinti uno schifo, probabilmente è una di quelle tinte fatte in casa per ammazzare la noia. October lascia perdere i due e riprende la tequila riempiendosi un nuovo bicchiere, fino a quando una mano non la ferma.
«Sul serio però, smettila di bere così tanto. Non voglio essere costretto a pulire del vomito domani mattina» Luke ridacchia, e October beve il bicchiere a cicchetto.
«Non vomiterò, tranquillo»
«Abbiamo bisogno di parlare io e te» dice Michael, afferrando il polso di October, conducendola fuori al piccolo balcone del loro nuovo appartamento.
«Perché stavi bevendo?»
«Perché hai comprato l'alcool questa mattina?»
Michael non risponde. Sta ripensando alla mattina di quel giorno, dove le parole di sua madre, e della sua -ormai ex- fidanzata gli avevano letteralmente spezzato il cuore. Se gliel'avesse detto un altro, Michael se ne sarebbe altamente fottuto. Non era la prima volta che gli dicevano che fosse un fallimento, una persona inutile, uno spreco di energie.
Ma quando queste parole escono dalla bocca della tua ragazza senti tutte le omelette che hai mangiato a colazione rigirarsi nello stomaco e salire fino ad arrivarti in gola.
E poi chiami tua madre, nella speranza di un po' di conforto, e quando le dici «Mamma, mamma. Ho messo su una band, sto lavorando, sono a New York» e tutto quello che ti risponde è «Stai lavorando e addebiti una chiamata internazionale a me? Va a quel paese» e ti attacca il telefono in faccia senza voler sentire altro, i pezzi in cui ti sei ridotto prima si spezzano ulteriormente.
October continua a guardare il ragazzo che tace. Indossa dei vestiti simili a quelli di Luke e Calum, ha un piercing al sopracciglio che non aveva notato nel negozio, e ha delle labbra rosse che sembrano morbidi e soffici.
«Perché la mia fidanzata e mia madre hanno smesso di credere in me» dice Michael fissando il vuoto.
«Perché in me non c'ha mai creduto nessuno» risponde October. I due si fissano a lungo e si abbracciano come se volessero aggiustarsi l'un l'altro.
Michael sente il respiro della ragazza sul suo collo che gli fa il solletico e le accarezza la schiena e i capelli. Passa la mano nei suoi dread districandoli, e October sorride un po'.
«October» la ragazza si gira e vede July in compagnia di Calum «sono le due di notte, torniamo sopra?» e annuisce. Si gira e saluta Michael, va verso July e la fissa sorridendole.
Salutano entrambe Calum e si dirigono verso la porta, ma prima di varcare la soglia incontrano Luke.
«Già vai via?» si rivolge ad October che infastidita lo ignora.
Luke capisce che non sono partiti nel modo migliore, e senza aggiungere altro le apre la porta lasciando andare via le due ragazze.
Fissa la figura di October, è alta, ha delle gambe lunghe, potrebbe accarezzarle per ore quelle gambe lunghe. E poi ha un culo che Luke ha visto solo sui cataloghi della Victoria Secret, non pensava che potesse esistere davvero un sedere così perfetto. October era davvero bellissima con quel vestito attillato addosso, e Luke sognava di vederla mentre se lo sfilava sensualmente davanti a lui.
«Perché fissi la porta Luke, sei fatto?» chiede un ragazzo alto e riccio. È Ashton, il proprietario della stanza dove Calum e July si stavano dando da fare, e dove si erano fermati pochi secondi prima.
«No, torniamo a ballare» e Luke torna nel salone, e balla, si muove a ritmo di musica, si struscia contro una ragazza e sogna che sia October perché lui una così bella non l'ha mai vista e per una volta una così bella vuole averla tutta per sé; mostrarla a mo di trofeo urlando «si la vedi? Questa è la mia fidanzata»
Continua a strusciarsi contro qualcuno, ma a lui non importa minimamente chi sia; poi vede Michael.
«Come la conosci?» chiede. E Michael lo porta fuori, dove poco prima stava parlando con October, e racconta al biondo di quella mattina, dove l'aveva incontrata nel supermercato.

October apre la porta della sua stanza senza far rumore e July entra con lei, stendendosi assieme alla ragazza sul letto.
«Te lo sei fatto poi Calum?» chiede October mentre si spoglia. July si sta accendendo una sigaretta, e scuote la testa.
«Mi ha fermata. Non me l'ha detto ma mi ha guardata come se volesse pregarmi di riflettere su quello che stavo per fare, nessuno mi ha mai guardata così»
October sorride, è contenta per l'amica, che nel frattempo sta aspirando il tabacco dalla sigaretta.
«E il suo numero te lo sei preso?»
«Si, l'ho salvato nel cellulare» July mette la mano in tasca per cercarlo, vanamente. Cerca sul letto, per terra, nelle scarpe, ma il suo telefono non c'è.
«Cazzo, devo averlo scordato giù» e si mordicchia la mano.
July lo fa sempre, si rimprovera sempre per quello che fa, perché stranamente ogni gesto che compie ha sempre qualcosa di sbagliato, non è mai perfetto, e allora si da della stupida perché è lei che non riesce a fare mai niente per bene. October la rassicura, e July annuisce, i ragazzi lo troveranno e glielo riporteranno; oppure potrebbe scendere domani mattina e andare a prendere il telefono.
«E tu invece?» chiede cambiando discorso July, aspirando nuovamente «chi erano quei due?»
«Il ragazzo con cui ero fuori è venuto questa mattina al supermercato. Piangeva. Era così fragile, non sapeva cosa fare. Aveva uno sguardo perso. Ha degli occhi verdi bellissimi, non sono proprio verdi July. Sono di un colore strano, sembrano trasparenti, però hanno una sfumatura che va dall'azzurro pallido al verde chiaro, e questa mattina erano pieni di lacrime; sembrava che stessero per perdere tutto il loro colore.
Era così...triste.
Mentre l'altro, quello che ci ha fermato all'uscita era solo un coglione che crede di essere migliore di Axl Rose»
Intanto July ascolta l'amica e ha finito la sigaretta, risparmiando l'ultimo tiro per October.
«Mai mettersi contro Axl quando c'è October» scherza, e le due ridono assieme.
Sono le tre ormai, il cielo è scuro, e quelle poche stelle che si vedono fanno compagnia allo spicchio pallido di luna calante che regna nel cielo.
July è tornata nella sua stanza e sta ascoltando "the zephyr song" dei red hot chili peppers. Si stende nel letto, ancora vestita e si addormenta stremata.
October invece è ancora sveglia.
Non riesce a dormire, e si dirige lentamente verso il bagno.
Accende la luce piccola, che illumina fiocamente la stanza bianca, e cerca nel mobiletto le pillole di June. Anche lei come October aveva avuto diversi problemi, e la notte i suoi ricordi la tengono sveglia impedendole di chiudere occhio.
October afferra un barattolo contente dei sonniferi e ne prende uno, ingoiandolo con un po' di acqua. Torna a letto e dopo poco si addormenta tutta in una volta, volgendo il suo ultimo pensiero ai ragazzi del piano sottostante.

 

AYEEE.

Hey spero che il capitolo vi sia piciuto, mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate di questa storia quindi potreste gentilmente lasciarmi una recensione? grazie mille <3

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Capitolo 3
*** III. this band sucks. ***


III. this band sucks

April apre gli occhi e sorride guardando il cielo fuori. Si alza e lancia le coperte, aprendo la finestra e inspirando l'aria fredda di metà novembre. A New York fa freddo quella mattina, ma è quel freddo che è più uno stato d'animo, è quel freddo che ti entra nelle ossa, dove non c'è mai stata primavera, e le raffredda ulteriormente.
April apre l'armadio e indossa un jeans stretto con le vans, e una maglietta bianca, poi infila le cuffiette e imposta "walk on the wild side" di Lou Reed, e va a fare colazione.
«Holly came from MIAMI FLA, each on the way across the USAA» canticchia.
«Chiudi quel cesso di bocca, April» urla June.
Indossa solo una maglietta lunga degli Helmet che le arriva sulle ginocchia. Ha i capelli arruffati, legati frettolosamente in una coda; le occhiaie le segnano gli occhi nocciola, ha il viso poggiato sul braccio destro, e lo sguardo fermo che fissa il muro bianco.
È abbastanza sporco quel muro, forse dovrebbero decidersi a pulire prima o poi, si sta formando della polvere sulla tenda.
«June perché sei sveglia? Oggi vado a piedi all'università, non devi accompagnarmi con l'auto» le ricorda April, e in quel momento June si riprende fissando l'amica con gli occhi ridotti a due fessure.
«Perché me lo sono dimenticato!» si batte una mano in faccia «ho avuto una nottata terribile April. Scusami» April scuote il capo e si avvicina a June accarezzandole il capo e afferrando un waffle dal piatto della ragazza.
«Io scendo» prende i libri dal tavolo «torno a pranzo, a dopo» e June le fa un cenno con la mano.
È tanto stanca, ha passato una notte insonne, come le succede spesso. Il rumore dei suoi pensieri è così forte che nemmeno la musica degli Helmet li copre. Era rimasta ad aspettare July e October, credeva che si sarebbero ritirate ubriache da far schifo o peggio ancora, che non si sarebbero proprio ritirate. E invece, alle due della scorsa notte avevano aperto la porta in silenzio; se lo ricorda bene June. Non appena ha sentito il rumore dei tacchi di July sul pavimento è sobbalzata, chi sa cosa avevano fatto alla festa. Perché June aveva fissato quel muro dalle quattro e ventotto fino a quando April non era entrata in cucina, e aveva pensato a cosa avesse fatto July.
Continua a torturarsi le mani e a fissare il muro, si tocca i capelli nevroticamente, trema; vorrebbe sfondare la porta della camera di July e di chiederle piangendo «chi ti sei scopata ieri sera?» perché June riesce sempre a tenersi tutto dentro, ma certe cose dentro non hanno proprio voglia di restare. Non puoi nascondere il fatto di essere innamorata, e per di più di una delle tue coinquiline.
Perché è distruttivo poter vedere ogni giorno la persona che ami senza poterla baciare.
June si muove un po', beve un bicchiere d'acqua e torna a pensare.
Pensare. Non ha fatto altro per tutta la notte June, e continua a disperarsi, poi le tornano in mente le parole di October «tu hai solo avuto brutte con esperienze con i ragazzi, non sei lesbica»
Ed è vero perché June con i ragazzi non c'ha mai saputo fare.
Ha avuto un innumerevole lista di fidanzati, una lista ancora più lunga di spasimanti, eppure non le era mai andato bene niente.
June aveva solo bisogno di essere amata, voleva che qualcuno si prendesse cura di lei, che fosse gentile. Ma tutti i ragazzi con cui era stata l'avevano tutti delusa, tradita, trattata come se non fosse nient'altro una di quelle cose inutili posate da qualche parte e poi dimenticate. E poi era arrivata July, che da brava amica l'aveva aiutata, consolata, abbracciata. Le aveva offerto troppo affetto e June aveva frainteso, perché le persone tristi e sole, accettano amore da tutti.
Sono le otto e diciassette ormai. June si alza e posa il piatto e il bicchiere vuoto nel lavandino, li laverà July, come sempre.
Si gira velocemente verso la porta, non appena qualcuno suona il campanello.
Cammina a piedi nudi, facendo scorrere le sue gambe tra di loro, si ferma e allunga un po' la maglietta, e scioglie i capelli pettinandoli con le mani velocemente, poi apre.
Un ragazzo poco più alto di lei è fermo sulla soglia e le sorride, mostrando delle adorabili fossette. I capelli sono meno biondi di quelli di July, quasi castani; i suoi occhi verdi squadrano la figura di June che fa la medesima cosa.
Entrambi gli occhi dei ragazzi si fermano sulle loro magliette.
«Quella band fa schifo» esclamano all'unisono.
Il ragazzo ha una maglietta dei Metallica, June degli Helmet; due band rivali.
«Gli Helmet sono solo la brutta copia dei Metallica» dice il ragazzo. Ha una bella voce, dolce e profonda, ma ha pur sempre una maglietta dei Metallica addosso, e June non la tollera.
«Sai perché sono nati prima i Metallica e poi gli Helmet? Perché sbagliando si impara» ribatte July soddisfatta. E il ragazzo tace, poi scuote il capo accennando un piccolo sorriso, e sorride anche June, perché quelle fossette sono adorabili per davvero.
«Un mio amico mi ha detto di portarti questo, è tuo?» le porge un cellulare. June trema quando intuisce che è quello di July, sta per vomitare, le gira la testa, è così ferita. L'ha fatto anche lei. L'ha ferita, perché June si è affezionata troppo, e July l'ha fatta male; forse inconsapevolmente.
«No, è della mia amica, chi te l'ha dato? L'avrà lasciato ieri giù alla festa»
«Il mio amico Calum, tu non sei venuta?»
Calum. È un ragazzo. July è sicuramente stata con un ragazzo.
«No, grazie per il cellulare, devo andare» June chiude la porta ma il ragazzo la blocca con il piede sinistro.
«Rivaluta i Metallica» dice andando via.
«Rivaluta gli Helmet» urla June e il ragazzo si gira mostrandole il dito medio, che June ricambia sorridente.
Non appena la porta si chiude, emette un suono sordo.
No, forse non è la porta, forse è solo il cuore di June che si spezza una volta dopo l'altra, ormai sono milioni di frammenti che sostano nel suo petto, facendosi sempre più pesanti; perfino respirare è difficile.
Corre in bagno e afferra il primo rasoio che trova, non importa cosa abbia fatto: è sempre colpa sua. Guarda la pelle bianca coperta dai tatuaggi, e posa le lame su di essa, preme, le lame pungono. Poi June si ferma.
No. Non si ridurrà di nuovo così. Posa la lametta e torna, come se niente fosse accaduto in cucina, afferra le sigarette e esce fuori, fumando una Marlboro Light per tranquillizzarsi, afferra le chiavi della sua auto e corre fuori, entrando in quest'ultima e accende il motore, "guidando verso nessuna parte*" proprio come dicono gli Helmet.

Intanto July si è appena alzata da letto; June ha sbattuto la porta con così tanta forza che July si è svegliata, e adesso si specchia nel bagno, notando quanto è sbavato il suo trucco residuo di ieri sera.
Ieri sera, non appena ci pensa non può fare nient'altro se non sorridere; perché le viene in mente Calum, l'unico ragazzo che l'abbia mai fermata dell'andare a letto con qualcuno, che le trasmetteva sicurezza con quel sorriso così dolce e timido. Entra in cucina e mangia notando il cellulare sul tavolo, aveva sentito cosa era successo: June aveva aperto la porta a questo ragazzo che le aveva riportato il cellulare.
July si veste velocemente dopo essersi lavata e scende giù, per prendere la posta. Ha dei leggins e una maglia larga, i capelli corti sono scomposti come sempre, si alza in punta di piedi per arrivare alla cassetta ed estrae due lettere; bollette del gas e dell'elettricità. Le ragazze riuscivano a sostenere le spese, anche se con un po' di fatica. October lavorava al supermercato, April studiava e dava ripetizioni, e June al momento lavorava come assistente in un negozio di fotografie. July invece, non faceva nulla. Non riusciva a fare nulla. C'era sempre qualcosa che andava storto, ed era colpa sua; così si colpevolizzava e smetteva di fare qualsiasi cosa stesse facendo e si rimproverava mentalmente. Era una vera agonia vivere con una testa come quella di July.
«July» la ragazza si gira e vede Calum che entra nell'atrio del palazzo, le piace il modo in cui il ragazzo cammina, le trasmette sicurezza, ha un bel portamento «te l'ha riportato Ashton il telefono?»
«si grazie»
«mi sono preso la libertà di salvarli il mio numero» dice ridendo e anche July ride; i suoi occhi si posano prima sulla mascella definita di Calum, poi sulla maglietta che indossa il ragazzo.
«Carina la maglietta» commenta scostandosi il ciuffo dal viso.
«Grazie, ti piacciono i Nirvana?»
July annuisce «vado a vedere il film su Kurt Cobain stasera»
«Nessuna delle ragazze voleva accompagnarmi, sarei tanto voluta andare anche io»
«Vieni con me? Ho un biglietto in più»
Gli occhi di July si illuminano non appena quelle parole escono dalla bocca di Calum, che se ne accorge e le sorride. Il cuore di July in quel momento si ferma, perde un battito quando nota le fossette del ragazzo e i suoi denti perfetti, e non può fare nient'altro che fissarlo senza staccare un secondo gli occhi azzurri dal ragazzo.
E tutto quello che invece può fare adesso Calum è pensare: e adesso chi cazzo lo dice a Luke che non può più venire al cinema?

AYYEEE.
*driving nowhere(guidando da nessuna parte) è una canzone degli Helmet.
Spero che il capitolo vi piaccia, se vi va lasciatemi un commentino o una recensione.
•quanti anni avete?
•che scuola fate?

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Capitolo 4
*** IV.it's weird ***


«Ed era davvero bella, ma aveva una maglietta degli Helmet addosso capisci? Gli Helmet!» sbotta Ashton esasperato «Luke ma mi stai ascoltando?» sventola la mano davanti gli occhi azzurri del ragazzo che risponde con un semplice «eh?»
«Luke ma a che pensi?»
Prima che possa rispondere, Michael entra nella stanza assonnato, indossando una felpa e un pantalone della tuta.
«Stai pensando a quella ragazza di ieri sera, quella con i dread, non è vero?» ghigna mentre afferra il cartone del succo a pera e se ne versa un po'. Porta il bicchiere alle labbra e ne prende un sorso, prima di sputarlo imprecando.
«Fanculo, pensavo fosse ad ananas. Odio la mia vita» e i ragazzi non possono fare nient'altro che ridere, poi Michael e Ashton tornano a fissare Luke che imbarazzato mormora un «forse» e si guarda le scarpe. Fa sempre così Luke, quando non sa che dire guarda a terra. Nota che il parquet del loro appartamento è marrone chiaro, proprio come gli occhi di quella ragazza, che a quanto pare Michael sembra conoscere.
«Non so perché le abbia parlato in tono così arrogante ieri sera, lo sapete che non sono così» guarda ancora il pavimento e pensa che forse dovrebbero pulire la macchia di vino della notte scorsa «è che volevo fare colpo, perché era così bella; e invece ho combinato un casino. Sono un'idiota»

Il campanello della porta suona e Michael apre, Calum entra e si dirige verso Luke, tirandolo nella sua camera.
«Luke ho bisogno di dirti una cosa, però prima che te la dica giurami che non mi picchierai»
«Lo giuro, dici»
«Non puoi venire al cinema perché ho chiesto a July, la ragazza del piano di sopra se voleva venire con me» dice parlando velocemente per poi coprirsi il viso con le mani.
«Meno male che mi hai fatto giurare di non picchiarti» sorride Luke «così posso ucciderti direttamente» Calum inizia a correre seguito da Luke; i due girano per la casa, che è ancora sottosopra, sotto lo sguardo allibito di Michael e Ashton che sono seduti sul divano mentre vedono la tv.
«Calum e che faccio io secondo te stasera?»
Calum fa spallucce e Luke gli lancia i suoi calzini addosso, facendo urlare il ragazzo. Il biondo si avvicina all'amico e ride divertito dandogli una pacca sulla spalla, per fargli capire che l'aveva perdonato. Luke era felice per Calum, davvero, lo era; eppure si domandava se ogni tanto sarebbe mai riuscito a dire "sono così felice per me, oggi"

June sta fumando l'ennesima sigaretta, seduta su una panchina a fissare il vuoto totale. Aspetta che il tempo passi, prima di andare al negozio di fotografia.
Le era sempre piaciuto fare foto, era qualcosa di così magico. È come se si potesse fermare il tempo per un secondo, e mettere un ricordo per iscritto. Tenerlo li, per sempre. Un ricordo, bello o brutto che fosse, destinato a non svanire mai. Un istante destinato a restare per sempre.
Guarda l'orario e si alza entrando nel negozio, volgendo un ultimo sguardo per strada, dove vede la chioma rosa di April che, con i libri nella borsa, sta tornando a casa.

Ma quello che June non sa è che April non sta tornando a casa. Come June aveva le sigarette per calmarsi, April aveva qualche altra cosa. Ed Sheeran direbbe che April fa parte dell' A Team.
Entra nel primo vicolo che trova e si siede sull'asfalto sudicio, noncurante dell'aspetto che i suoi jeans avrebbero avuto dopo.
April ha tutti i motivi del mondo per essere felice, eppure non ci riesce proprio. Ogni giorno si alza, con la speranza che andrà tutto bene, eppure non succede mai.
Perché se oggi non va bene, allora lo dici domani; perché prima o poi domani andrà bene, si ripete ogni secondo della sua vita.
April ama vestirsi con i colori più allegri del mondo, ama le cose dolci e colorate, eppure è triste.
Pensa a tutta la sua vita e non trova nemmeno un momento pienamente felice.
E per andare avanti ogni giorni, per pretendere di essere felice e ottimista April ha bisogno della sua dose settimanale di droga. Si fa uno spinello al giorno, consumando ogni settimana 23 centigrammi (0.23 g) di marijuana. Ventitré, come gli anni che compierà a breve.
Estrae dalla sua borsa le cartine e il filtro e abilmente prepara lo spinello, aspirando avidamente.
Il fumo vola nell'aria e scompare sospinto dal vento. E mentre il fumo scompare davanti a April si materializza un mondo improvvisamente più felice e ottimista; come quello dell'antica Grecia, come quello dei miti che April studia all'università: un mondo perfetto.
Cammina per la strada con le cuffie nelle orecchie, e un sorriso smagliante stampato sulle labbra.
Se qualcuno la vedesse da lontano l'unica cosa che potrebbe dire è che quella è una ragazza felice e sicura di se; ma April nella sua testa sta solo pensando a quando svanirà l'effetto della droga, e a quando si farà la prossima dose.
È consapevole del suo problema, ma April non vuole essere aiutata, perché lei è una ragazza grande e le ragazze grandi non hanno bisogno d'aiuto.
È adulta, ormai. Così come June e le altre. Sono grandi, e le persone grandi non dovrebbero aver bisogno d'aiuto, sono forti, temprate, non devono lasciarsi abbattere dalle fragilità della loro anima; loro sono ragazze grandi; ma sono pur sempre umane.
«oh cazzo scusa, sono così maldestro» dice un ragazzo dai capelli rossi porgendo una mano a April che si trovava sull'asfalto, dopo essersi scontrata con il ragazzo.
«No tranquillo» ride afferrando la sua mano, si alza e si pulisce un po' i pantaloni, ridendo ancora assieme al ragazzo che le prende in mano una ciocca di capelli.
«Amo il tuo colore di capelli» e April sorride ulteriormente fissando le iridi verdi del ragazzo «dovrei farli anche io così»
«grazie» il ragazzo si lecca le labbra e poi le apre in un piccolo sorriso «vuoi che ti accompagni a casa?»
«Non accetto passaggi dagli sconosciuti» scherza April facendo ridacchiare il ragazzo che le porge la mano dicendo «Sono Michael»
«April»
Michael ripete quel nome che esce così dolcemente dalle labbra, poi si ricorda che mentre parlava con October, lei gli disse che era una delle sue amiche.
«Sei un'amica di October?»
«Si, ma tu come la conosci?
E Michael le spiega della sera precedente alla festa, mentre camminano verso il loro palazzo che si trovava a pochi chilometri di distanza.
Indossa degli skinny jeans e una maglia tutta nera, aveva tinto i suoi capelli di rosso quella mattina, si era stancato della sua tinta bionda. L'unica cosa che Michael pensa mentre camminano è che April è davvero bellissima, con quel naso piccolo all'insù; ha delle labbra grandi, e rosee.

Non appena salgono le scale e arrivano davanti alla porta di casa di April, Michael la guarda ulteriormente, e decide di volerla vedere ancora una volta, perché più la osserva e più vuole sapere di lei. Vuole sapere che sta studiando perché ha dei libri nella borsa, ma non si vede il titolo, perché ha i capelli rosa, perché è così solare e così glielo chiede.
«April stasera hai da fare?» scuote il capo «ti va di stare un po' assieme?»
«Certo, vuoi venire a casa a vedere un film? Puoi portare anche uno dei tuoi amici» e Michael le bacia la guancia andando via.

«April» urla October dalla cucina «vieni qui» e la ragazza raggiunge l'amica.
«Mamma mi ha spedito la vegemite! Ricordo che quando ero piccola ne mangiavo tantissima, però mi sono scordata che sapore ha, la mangi con me?» propone October ad April che annuisce sorridente. Prendono una fetta di pane e la dividono, spalmandovi sopra la vegemite e dopo un conto alla rovescia addentano.
«Che schifo!» October la sputa immediatamente «ma come cazzo me la mangiavo?»
«È...strana» dice April continuando a masticare «comunque stasera verrà Michael a casa, penso che porterà anche qualcuno dei suoi amici, resti con noi a vedere il film?» April è sorridente così come October che annuisce felice, perché stasera avrebbe rivisto Michael.

 

 

AYEEE.
Scusate il ritardo :c
Oggi non sono andata a scuola perché non stavo bene, avevo dei giramenti di testa, boh. Spero che vi sia piaciuto il capitolo e se è così lasciatemi una recensione 😏💙

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Capitolo 5
*** V. Waste the night ***


July si fissa allo specchio, impaziente. Le tremano un po' le ginocchia, e sorride quasi senza motivo, non dovrebbe ma non può fare altrimenti: July è abituata a darsi così, per senza niente. A soddisfare il corpo e ad utilizzare quell'effimero piacere ricavato per placare il vuoto della sua anima. L'ultimo appuntamento che ha avuto la bionda è stato quasi quattro mesi fa, e adesso continua a guardarsi, agitata, allo specchio.
Studia con un'insolita attenzione la sua figura, che continua a non piacerle. Forse i jeans che sta indossando le fanno le gambe troppo grasse. Forse dovrebbe indossare una maglia più carina, non quel maglione grigio.
Forse dovrebbe farsi crescere i capelli, sembrerebbe più femminile magari. July persevera nella sua minuziosa ispezione, e October entra nella sua stanza.
«July sei bellissima, non preoccuparti» la rassicura sorridendo.
«Sei un po' troppo allegra per i miei gusti Oct. Chi viene dopo?»
«il ragazzo del supermercato, Michael. E qualche suo amico, spero vivamente che non porti quel ragazzo irritante con il piercing»
«Sarà stato anche irritante, ma ammettilo, era davvero bello»
«Non mi interessa, io sono più che decisa a concentrarmi solo su Michael»

Bussano alla porta e le due ragazze corrono ad aprire, April si aggiunge a loro, mentre June è seduta sul divano. Finge che non le importi, ma dentro sta scoppiando. Ha gli occhi rossi, umidi; le brucia la gola. È così gelosa di July, vorrebbe solo averla tutta per se. In questo momento preferirebbe stare in camera sua a sentire gli Helmet o i Black Sabbath, e invece April aveva avuto la brillante idea di invitare quei ragazzi a casa loro, non poteva nemmeno rilassarsi. Da quella sera June non pensava ad altro che a July; perché se la sera era stata fantastica il mattino dopo fu terribile. Vedere July che si guardava schifata allo specchio, che piangeva, che si pentiva di quello che avevano fatto e che le aveva urlato contro come non mai, nonostante June l'avesse consolata e rassicurata come meglio poteva.
«Hey» June alza la testa trovandosi davanti il ragazzo che ascoltava i Metallica, che le sorride  mostrandole quelle due fossette adorabili.
June si alza e tenta di ricomporsi, indossa una maglietta di Ozzy Osbourne e la aggiusta un po', tenta di fare lo stesso con i capelli, sotto lo sguardo divertito del ragazzo.
«Ciao» sorride infine, dopo essersi resa presentabile.
«Stamattina non ci siamo presentati, sono Ashton» si passa una mano tra i capelli e mette una mano nella giacca di pelle nera che porta. June la osserva attentamente, anche lei ne ha una simile, ma la sua è rovinata; dovrebbe decidersi a buttarla e comprarne un'altra. Continua a studiare attentamente il ragazzo, che probabilmente attende che anche June si presenti, e invece lei, con un'insolita naturalezza continua a fissare i suoi abiti, e a sorridere tra sé e sé perché quel ragazzo ha davvero un buon gusto nel vestire.
«June» dice infine alzandosi e abbandonando Ashton sul divano, dove si siedono anche gli altri.
«Noi andiamo» dice July e esce con Calum; l'ultima cosa che June sente è la porta d'ingresso chiudersi dietro di lei, lasciandola con una grandissima rabbia dentro di lei che può calmare solo in un modo.

«fila f, g, h, i. Eccola July, è questa la nostra» esclama Calum dopo aver trovato i loro posti. Si siedono vicini e Calum porge i popcorn a July che rifiuta sorridente. Il ragazzo la guarda e le lancia un paio di popcorn contro e July ride, tirandoli nuovamente a Calum.
Le luci si spengono e il film inizia, gli occhi dei due sono concentrati sullo schermo, eppure si cercano entrambi con la coda dell'occhio. July sbadiglia e Calum le fa poggiare la testa sulla sua spalla mentre il film si apre con "come as you are" dei Nirvana e mentre Calum muove la testa a tempo di musica, July batte il ritmo con le mani sulla sua gamba.

«Dire, fare o baciare?» chiede Ashton a October. I ragazzi sono seduti a terra e sul divano, Ashton gira la bottiglia di birra ormai vuota. Michael ha proposto di giocare e October è stata costretta proprio da lui. Ha resistito per qualche minuto, ma quando ha visto gli occhi di Michael e il suo sorriso dolce, si è sciolta e ha deciso di giocare, nonostante non volesse farlo.
«Dire»
«Chi è il ragazzo più bello tra noi quattro?» chiede Ashton, e October senza esitare da la sua risposta: Michael.
Il ragazzo sorride abbassando lo sguardo, che per i gusti di October è rivolto troppo spesso verso la splendida figura di April.
Ashton afferra la bottiglia di vetro verde e con un movimento deciso la fa girare verso sinistra. La bottiglia si ferma su Michael, dopo aver fatto due giri completi e Ashton propone la solita domanda al rosso, che sceglie dire.
«Chi è la ragazza più bella nella stanza?» chiede.
October trema e abbassa lo sguardo, spera tanto che Michael dica il suo nome; perché lei l'ha consolato quel giorno, perché ci ha parlato la notte della festa, perché l'ha scelto prima come ragazzo più carino, ma sa che non lo farà.
«April» dice. October guarda l'amica, che sorride mentre porta una ciocca rosa dietro l'orecchio e la fissa. È una delle sue migliori amiche, eppure non può non essere invidiosa di lei, che ha il fisico slanciato,snello e il viso delicato. Ma la cosa che più le invidia è il carattere, quella capacità di April di essere sempre gentile e disponibile però allo stesso tempo di riuscirsi a farsi rispettare; perché quando October è buona la gente se ne approfitta e la usa, e lei subisce senza controbattere.
«Mi sono stancata di giocare, vado a fare un giro» dice October alzandosi.
«October guarda che c'è Luke da solo giù, potresti andare da lui se vuoi» le dice Michael. Lei, afferra il cellulare e chiude la porta con forza.

«E ora?» chiede Michael. April gli da un colpetto sulla spalla e lui so gira, sorridendo alla ragazza.
«Vieni in camera, vediamo un film?» Michael non se lo fa ripete due volte, forse può iniziare una conversazione e conoscere meglio April, perché ha intenzione di scoprire qualsiasi cosa sulla ragazza, che lo fa entrare nella sua stanza. Michael fissa i poster di David Bowie e Lou Reed alle pareti, colorate di un rosa chiaro come i suoi capelli. C'è una citazione di Bowie sul muro, "we could be heroes, just for one day".
Lo sguardo di Michael cade sulla scrivania, ordinata, in legno chiaro, dove ci sono diversi libri accatastati sugli altri. Si avvicina e li sfoglia, notando che sono libri sui miti greci. Continua ad osservare la scrivania e accanto al portapenne pieno di biro masticate, nota una catenina con una croce.
«Credi in Dio April?»
«Si» dice continuando a cercare dei film su netflix «in che cosa dovrei credere altrimenti? Tu non credi Michael?»
«No. Se dovessi davvero credere in Dio, beh, allora Dio mi odia per qualche strano motivo»
«Michael tutti hanno bisogno di credere in qualcosa, non credi davvero in niente?» April chiude il computer e si mette più comoda, sul tappeto grigio chiaro e fa segno a Michael di sedersi accanto a lei. Il ragazzo si siede e incrocia le gambe, dagli skinny jeans neri si intravede la pelle diafana del suo ginocchio che fuoriesce dal taglio sinistro.
Michael ci riflette per una manciata di secondi, poi risponde.
«Credo nella musica. Io non prego, io alzo il volume» dice sorridendo tra se e se, poi scuote un po' il capo ricomponendosi «quindi vuoi sposarti in chiesa?»
«Si ho già pensato a tutto»
«Io avrò un ruolo importante al tuo matrimonio, vero?» Michael resta incantato dalla sicurezza con cui April parla. Progetti. Michael vive alla giornata, progetti non ne ha mai fatti, e quelle poche volte che ci ha provato, niente procedeva secondo i piani. Ammira April perché crede nei suoi progetti, e si sente da come ne parla.
«Ad esempio?» chiede lei alzando un sopracciglio in modo adorabile.
«Ad esempio lo sposo» risponde Michael sorridendo.

«Sono li dentro da un pezzo, pensi che stiano scopando?» domanda Ashton girandosi verso June che continua a giocare con il suo cellulare.
«No, April è troppo religiosa per lasciarsi scopare alla prima uscita»
Ashton ridacchia un po', poi si alza  aggiustandosi la giacca di pelle nera, che non ha tolto nemmeno un secondo da quando è entrato.
«Dai June, mettiti un giubbino e scendiamo, ti porto a fare un giro, mi sono rotto le palle» e June in silenzio annuisce, tornando pochi secondi dopo con un parka nero e degli anfibi del medesimo colore.
Scendono le scale velocemente ma June rallenta improvvisamente lasciando Ashton andare avanti.
«October che stai facendo qui? Bussa a quel tizio, come si chiama? Logan? Luke?»
October è seduta con le cuffie nelle orecchie, a gambe incrociate, davanti alla porta dell'appartamento di fronte a quello dei ragazzi.
Alza il capo, guardando con i suoi soliti occhi spenti June, e le passa un tiro della sigaretta che sta fumando.
«Non voglio bussare. Mi sta sul cazzo quel ragazzo, e poi l'ho sentito scopare con qualcuno, si sentiva il rumore del letto e si sente ancora» June tende le orecchie e effettivamente c'è un letto che si muove ma non è detto che quel ragazzo si stia facendo qualcuno.
«Ma cosa ne sai, bussa, almeno perdi un po' di tempo. Magari sta saltando sul letto »
«June Ashton ti sta aspettando, va da lui» dice October lasciando perdere le inutili ipotesi della ragazza e June annuisce e va via, dopo aver accarezzato la testa di October.

La macchina di Ashton è grande, una Ford nera, June si siede al posto del passeggero, e allaccia la sua cintura, fissando il suo riflesso nello specchietto laterale.
Non presta molta attenzione alla sua figura, non è nemmeno truccata, ma non le interessa.
«June accendi la radio» dice Ashton e lei allunga la mano verso le stereo, mettendo radio Virgin, dove in quel momento stanno trasmettendo "Wilma's Rainbow" degli Helmet e alza il volume al massimo. Ashton storce il naso e cambia, mettendo "Sandman" dei Metallica. June sbuffa e cambia ulteriormente, trovando "Crazy train" di Ozzy Osbourne e inizia a cantare.
«Mi prendi per il culo?» dice Ashton e mette "War Pigs" dei Black Sabbath.
«Ashton sei tu che mi stai prendendo per il culo, è lo stesso cantante!»
«Ma non la stessa band, Ozzy Osbourne mi piace solo nei Black Sabbath»
«Io lo preferisco come solista»
«Non andremo mai d'accordo io e te riguardo alla musica»
Ashton parcheggia, e fa strada a June che lo segue fino ad un piccolo pub.
Entrano e si siedono ad un tavolo libero, poi prendono i menù e iniziano a leggere.
«Si muore di caldo qui dentro» dice Ashton e si toglie la giacca di pelle rivelando una maglietta dei Black Sabbath, così June si sfila il parka e mostra orgogliosa la sua con Ozzy Osbourne. Ashton la vede e ridacchia, per poi chiamare il cameriere.
Entrambi ordinano due birre, e decidono di dividersi qualche aperitivo.
June afferra la sua birra, che è nel suo bicchiere da 0.5 litri, e inizia a bere.
«June bevi piano» Ashton la osserva un po' preoccupato, e lei si ferma.
«Pensi che July e Calum abbiano finito al cinema?»
«Non saprei, perché?» chiede alzando il sopracciglio sinistro «se vuoi andare a casa puoi dirmelo»
«No!» lo interrompe June «scusa, sono solo un po' pensierosa»
«Tutto okay? Vuoi parlarne?» e June scuote il capo, prendendo un altro sorso di birra.
«Ash vuoi assaggiare? La mia è diversa dalla tua» gli porge il bicchiere e lui lo prende delicatamente, sorridendo.
È sempre stata brava June a cambiare argomento. A nascondere le cose, e pretendere di stare bene. Perché non era tutto okay come aveva chiesto Ashton, ma non okay era come aveva imparato a andare avanti.
Ashton, dopo aver assaggiato la birra di June; le porge il suo di bicchiere e June assaggia la birra del ragazzo, trovandola, però, troppo frizzante per i suoi gusti.
A July sarebbe piaciuta.
Smettila di pensare a July, non c'è nessuna July, okay?
Ma come poteva June non pensare a lei? Doveva solo concentrarsi. Con un po' di tempo sarebbe passato tutto. E ne avrebbe trovata un'altra. O magari anche un altro.
June si lascia scappare un piccolo sorriso e Ashton lo nota, ma non dice nulla, e sorride anche lui, perché June è davvero carina quando sorride, sembra così pacifica.
«Allora Ashton, tu e i ragazzi lavorate?»
«Si. Calum e Michael lavorano come camerieri in un locale, Luke è assistente di un insegnate universitario» risponde Ashton «quel ragazzo è un fottuto genio» ridacchia «e io lavoro come guida al museo di arte; tu?»
«Assistente fotografa»
June e Ashton continuano a parlare tranquillamente tra un bicchiere di birra e risate, mentre fuori il tempo inizia a farsi più cupo e comincia a piovere.

April sente le gocce di pioggia ticchettare sul vetro della sua finestra e sorride, togliendo un secondo lo sguardo dallo schermo del computer.

Anche October che è ancora seduta li, vede dalla finestra delle scale principali un lampo, e la pioggia e si raggomitola nella sua felpa degli Aerosmith, mentre continua a chiedersi se bussare o meno.

L'unica cosa che Luke sente in questo momento sono le unghie appuntite della ragazza che si conficcano nella pelle della sua schiena, lasciando segni rossi sulla sua pelle bianca. Non si è disturbato nemmeno di guardarla in viso, aveva solo bisogno di soddisfare il suo corpo e di trovare una via di fuga dai suoi pensieri.
Le urla della ragazza bruna sotto si lui gli arrivano ovattate alle orecchie, così come il fastidioso cigolio del suo letto.
Lascia che un gemito strozzato fuoriesca dalla sua bocca e si getta, stremato accanto alla ragazza che si gira verso di lui.
Sta per dire qualcosa ma Luke la interrompe immediatamente e dice a denti stretti «Va via»
«Perché?»
«Va via!» urla il ragazzo sedendosi di scatto. La ragazza sobbalza, si è spaventata e Luke si sposta indietro, non aveva mai urlato così contro una ragazza.
«Almeno accompagnami alla porta» la ragazza si lega i capelli e si rimette il vestito nero corto che portava prima di finire a letto con Luke. Il ragazzo si alza e si infila i boxer neri, ancora scalza cammina accanto alla ragazza; non ricordava nemmeno il suo nome.

October intanto si è decisa a bussare, non poteva restare tutta la sera li davanti e così si alza e si dirige verso la porta dei ragazzi. Il suo dito è a pochi millimetri dal campanello, quando la porta si apre e una ragazza esce, correndo per le scale. Alza lo sguardo e segue la figura di Luke partendo dai suoi piedi nudi, fino ad arrivare al suo viso arrossato e sudato; quando i loro sguardi si incontrano Luke porta una mano dietro al collo grattandosi nervosamente.
«Oc-October che ci» ma October lo interrompe bruscamente «Sei costretto a scoparti delle prostitute perché non ti vuole nessuno?» domanda alzando un sopracciglio e appoggiandosi allo stipite della porta. Luke non sa che rispondere, si morde l'interno della guancia. Che figura di merda. È partito male alla festa e adesso ha solo peggiorato la situazione, come sempre.
Stupido.
Idiota.
Imbecille.
«Michael mi ha detto che eri solo e poiché lui ha preferito farsi April e Ashton e June sono andati a farsi un giro, non mi andava di restare da sola» continua lei, spezzando il silenzio di Luke, che alza lo sguardo da terra. Come fa sempre analizza ogni piccola particolarità del pavimento, e pensa. Pensa, ma il suo pensare è solo un susseguirsi sconnesso di rimproveri, bestemmie, film mentali  e riflessioni assurde.
Luke apre la porta e fa entrare October dentro «Sono contento che tu sia venuta nonostante il fatto che alla festa non siamo partiti con il piede giusto» e lei si passa una mano tra i dread scompigliati, tenuti a bada da una bandana e risponde con un mh silenzioso. Segue Luke fino alla sua stanza, dove i suoi occhi si soffermano sul letto sfatto. Luke sta cercando una maglia da mettere e raccoglie quella che aveva prima dal pavimento, infilandosela velocemente.
«Credo che faresti meglio a cambiare le lenzuola, sai» commenta October fissando la macchia bianca sul letto.
«Uhm, si dopo. Mi dispiace»
«Per cosa?»
«Per questo»
October fa spallucce. Cosa gliene importa a lei se Luke si scopa qualcuna? Non sa niente del ragazzo, tranne che si crede meglio di Axl Rose (e questa cosa non va bene) e che si chiama Luke (e questo è irrilevante).
A lei importa solo che Michael non si scopi April, almeno non questa sera. Perché si è ritrovata attratta da quel ragazzo in poche ore; è bastato vederlo a pezzi e abbracciarlo per far decidere a October che voleva aggiustarlo. Voleva aiutarlo, voleva quegli occhi verdi e quel sorriso tutti per se; non ci sarebbe dovuta essere nessuna April tra di loro.
«Ti piace American Horror Story?»
October annuisce.
«Ti va se...» Luke si gratta il collo e guarda di nuovo per terra.
Non fare così coglione, sembri ansioso.
«Se ordino una pizza e vediamo la nuova stagione? Io, almeno, non l'ho ancora vista» conclude.
«Nemmeno io, per me va bene»
La ragazza si siede sul divano a sinistra e Luke, dopo aver ordinato una pizza, si siede accanto a lei e accende il portatile, mettendo AHS su internet. Gli occhi di October si posano sulla maglietta dei guns'n'roses di Luke.
«Solo perché amo i guns'n'roses non significa che tu debba metterti le loro magliette»
«Oppure le metto perché piacciono anche a me» risponde Luke senza togliere lo sguardo dal computer.
«Ah» October si morde un labbro, non doveva parlare. Dice sempre le cose sbagliate. Vuole proteggersi attaccando con le parole, però poi non ci riesce. E sbaglia. E sbaglia. Come sempre. Nella sua testa è tutto così perfetto, e nella realtà poi niente è come se lo immagina. Ha questa costante paura di sbagliare October, e che la gente possa giudicare i suoi errori; e non può fare a meno di costruire nella sua mente una realtà inesistente, dove tutti la giudicano male.
«Quale è la tua canzone preferita?» chiede October, per interrompere quell'imbarazzante silenzio che si sta creando.
«Dei guns'n'roses?» Luke ci pensa su qualche minuto «non saprei, credo Rocket Queen»
October inclina la sua testa verso sinistra «perché Rocket Queen?»
«Perché tutte le ragazze con cui sono stato mi hanno usato, trattato come spazzatura, distrutto, tradito e parlato alle mie spalle» Luke scuote il capo per scacciare i ricordi che fanno capolino nella sua mente e poi si gira verso October fissandola. È così bella. Ha degli occhi color nocciola che si schiariscono verso l'esterno e diventano di una sfumatura color caramello, e i suoi occhi sono incorniciati da lunghe ciglia nere.
«La tua invece?» chiede Luke.
«My Michelle»
«Perché?»
«Quella canzone è così aggressiva apparentemente, ma il testo è così triste e profondo, e parla di questa ragazza che è giudicata da tutti ma che cerca solo un po' d'amore»
I due si guardano senza sapere che dire, Luke vorrebbe solo abbracciarla e stringerla tra le sue braccia, perché October secondo lui è fantastica, anche se non la conosce nemmeno un po'. E lei vorrebbe dire qualcosa e invece sta in silenzio mordendosi un po' le labbra; per fortuna arriva il fattorino e il rumore del campanello spezza quel silenzio che aspettava solo di essere colmato.
Luke si alza e va ad aprire, i due si spostano e si siedono sul pavimento per non sporcare il divano. Iniziano a mangiare e fanno partire la loro serie tv preferita.
«Come è stato?» chiede October di punto in bianco.
«Come è stato cosa?»
«scoparsi quella ragazza. Come ti sei sentito?»
«È stato vuoto. Appagante per il corpo, ma non ho sentito niente»

June e Ashton entrano in macchina ridendo, poi si guardano e sorridono.
«Ashton ce la fai a guidare?»
«Si, tranquilla. Accendi la radio» e June preme ON, e trova "You shock me all Night long" degli ACDC e June inizia a cantare mentre Ashton la guarda.
«Non dirmi che non ti piace nemmeno questa canzone»
«Questa è la mia canzone preferita degli ACDC»
«Questa è anche la mia canzone preferita degli ACDC» i due si guardano ridendo e si danno il cinque continuando a cantare.

July e Calum stanno salendo le scale del loro palazzo assieme, mano nella mano.
«Era da tanto tempo che non stavo così bene con qualcuno» dice July
«anche io» Calum accompagna la ragazza fino al suo appartamento e lo invita ad entrare; July apre la porta e i due trovano Michael e April in soggiorno che stanno giocando a strip poker. April ha solo la maglia e le mutande, il suo reggiseno nero è sul pavimento, assieme ai pantaloni e alla maglietta di Michael.
«Voi due non scoperete sul pavimento che ho lavato questa mattina» urla July facendo sobbalzare i ragazzi.
«Tu non hai visto niente, okay?» chiede April mentre Michael riveste in fretta e July scuote il capo.
Anche June e Ashton entrano in casa e Ashton saluta June con un bacio sulla guancia per poi lasciarla sulla soglia.

«Luke penso che dovrei andare»
«Si, va pure» disse «grazie per avermi fatto compagnia October»
La ragazza si alza e abbraccia il ragazzo che inspira il dolce profumo di October.
«La prossima volta la pizza la pago io» dice ridendo, e saluta Luke con un bacio sulla guancia.
Esce dalla porta correndo e sale le scale; forse Luke dopo tutto non era così male.

AYYEEEE.
Domani ho il primo compito di geometria analitica quindi qualcuno preghi per me LALALA.
Spero che vi sia piaciuto questo capitolo, a me non piace molto ma okay. Vi prometto che il prossimo capitolo sarà perfetto, spero che poi si capisca meglio questa storia.
Succederanno tante cose (brutte o forse no?😏) e quindi non mi picchiate non so boh non so che scrivere in questo spazio autrice ciao.
ps: aggiorno a una recensione

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Capitolo 6
*** VI. (im)perfect ***


VI. (im)perfect

 

"Close your eyes and I'll kiss you, push me up against the wall and push up my bra"
La voce di July giunge abbastanza chiaramente alle orecchie di June che è ancora nel letto. Afferra il cellulare e guarda l'orario. Sono le otto e trenta di venerdì mattina, e July si sta sicuramente preparando il suo solito the, mentre canticchia i suoi amati red hot chili peppers.
June si alza e si veste velocemente, fa molto freddo, e caccia un getto d'aria calda mentre si sfrega le mani per riscaldarle.
Cammina trascinando i piedi sul parquet marrone del loro appartamento, apre la porta della cucina e entra mormorando buongiorno. July sobbalza spaventata e June ridacchia.
«Non volevo spaventarti. Sei troppo felice stamattina, che è successo ieri?»
«June niente di importante»
«Vi vedrete di nuovo?»
«Ma che importa June! Cosa ti importa! Lo capisci che io e te non abbiamo speranze assieme?»
June si sente così stupida e umiliata, fa così male. Lei lo sa che non ha possibilità, ma c'è una piccola speranza nei meandri del suo cervello che la incoraggia a sperare.
E fa male.
Fa male come tutte le volte che è stata con un ragazzo e hanno solo provato a scoparla senza pietà, come se non fosse nient'altro che uno strumento per soddisfare un effimero piacere.
E fa male.
Come tutte le volte nelle quali le ragazze con cui è stata l'hanno mollata perché hanno trovato qualcuno di meglio.
E fa male. Ma June non emette nemmeno un suono, accavalla le gambe e reprime il dolore dentro di lei.
«Ma che c'avete da urlare voi due già a quest'ora?» dice October che cammina sbadigliando.
Indossa una maglia lunga che le arriva alle ginocchia, i suoi dread sono già legati un uno chignon che li contiene a fatica.
Afferra il pacco di sigarette sul tavolo e ne porta una alle labbra, accendendola.
«Non ne posso più» dice poi, guardando le due ragazze che sono rimaste in silenzio. June è ancora seduta sulla sedia, July è in piedi, con la schiena contro il frigo bianco.
«Tu» October tira e caccia il fumo dalle narici «fattene una cazzo di ragione, okay? Fa male, lo so; ma porca puttana siamo tutte distrutte qui dentro, hai sofferto così tanto in vita tua che un altro po' di dolore non ti ucciderà June»
October aspira di nuovo e questa volta caccia il fumo dalla bocca «e tu» punta il dito contro July «smettila di urlarle contro cazzo, mi scoppia la testa; come tu ti senti in colpa perché non puoi darle quello che vuole, lei sta male perché non la vuoi»
June e July si guardano negli occhi e abbassano la testa imbarazzate, October continua a fumare nervosamente.
Si siedono tutte e tre attorno al tavolo e mangiano in silenzio; fino a quando il campanello suona.
October si alza e va ad aprire scocciata, ma la sua espressione cambia radicalmente quando vede Michael davanti alla porta.
«Buongiorno October» Micheal sorride lasciando intravedere i suoi denti bianchissimi «c'è April?»
«April è già andata all'università» urla June dalla cucina.
«Va bene, volevo solo chiederle se voleva prendere un caffè assieme» Michael sorride nuovamente e October non può fare a meno di perdersi un istante negli occhi verdi di Michael.
«Vuoi venire a prenderlo dentro un caffè?» October ha ancora la sigaretta in mano, si sta consumando, ma non le importa di sprecare la sua prima sigaretta mattutina se può parlare con Michael, che senza rispondere sorride e entra.
Camminano uno accanto all'altro, c'è una sorta di leggero imbarazzo nell'aria, quella strana sensazione di inadeguatezza.
July accende la macchinetta del caffè e prende due tazze mentre October e Michael si siedono.
«Luke ieri sera mi ha detto che lavori»
«Si, faccio i turni di notte ad un ristorante, Calum li fa di mattina»
October si alza e mette le tazze sotto la macchinetta, preme il tasto di accensione e attende che il caffè esca. Michael osserva la casa delle ragazze; è disordinata quasi quanto la loro, non sembra che ci vivano quattro ragazze. Però quando il disordine ce l'hai dentro, l'ultima cosa di cui ti preoccupi è di mettere in ordine.
«Che fai oggi?» chiede Michael mentre mette un cucchiaio di zucchero nella sua tazzina; ha sempre trovato il caffè troppo amaro, e ha bisogno di addolcirlo un po' per berlo. I suoi occhi verdi studiano tutto con attenzione e nota che October beve il suo caffè tutto d'un colpo, senza zucchero, in tutta la sua amarezza.
«Tra poco dovrei andare a lavoro, tu?»
«Aspetterò che si facciano le sei per andare a lavoro»
«Come stai ora?» October prova a concentrarsi sull'espressione di Michael, nel caso facesse trapelare qualcosa che non dice.
Il viso del ragazzo si contrae e gli occhi sembrano scurirsi leggermente quando le sue pupille si dilatano.
Michael aveva provato a richiamare sua madre, doveva chiarire sia con lei che con Shyla; tuttavia le cose non erano cambiate. Lei non aveva risposto a telefono e gli aveva semplicemente mandato un messaggio con scritto "Michael non ti voglio più, questo è l'ultimo messaggio che riceverai da me poiché ti blocco. Ho bisogno di meglio"
Era stata quell'ultima riga in particolare a distruggere ulteriormente la sua autostima; ho bisogno di meglio: perché Michael non era mai stato abbastanza.
Sua madre era stata un po' più dolce, che con quella sua solita voce melodica e dolce gli aveva detto il pomeriggio precedente "Michael tu sei mio figlio e ti vorrò sempre bene, mi dispiace per averti risposto in quel modo l'ultima volta ma cosa avrei dovuto dirti? Ho sopportato così tanto, ti ho sostenuto e ho creduto in te nonostante tutti i tuoi fallimenti ma adesso sono stanca, scusami" e aveva chiuso.
«Sto bene» risponde Michael. E October sa esattamente che è una stronzata, ma non chiede altro e tace promettendosi che prima o poi avrebbe fatto star meglio Michael.
«Puoi dire a April che sono passato?»
«Si»
«Grazie Oct, sei una vera amica» dice Michael lasciandole un bacio sulla guancia.
E fa male.

 

Luke ascolta attentamente le parole del professor Hudson, e fa scorrere le slide seguendo il suo discorso riguardante la zeta di Riemman e i numeri primi. La lezione finisce e il professore saluta i ragazzi che escono velocemente, sui loro volti si legge chiaramente un'espressione confusa; non ci avranno capito molto di quella funzione che mette in crisi i matematici da così tanto tempo, poiché irrisolvibile.
Luke spegne il proiettore e fissando il pavimento della sala, cammina a testa basta.
«Luke» lo chiama il professor Hudson. Luke si gira e lo osserva; è un uomo sulla cinquantina, i suoi capelli brizzolati sono pettinati da sinistra a destra, porta degli occhiali neri, dalla montatura spessa, che gli coprono gli occhi marroni, come quelli di October. No, quello di October sono sicuramente più belli.
«Tutto bene? C'è qualcosa che non va?» continua e Luke scuote il capo.
«Luke sarò anche vecchio ma non sono rincoglionito, amore vero?»
«Io...non lo so; credo di si signor Hudson»
«Porca troia Luke; chiamami Mark» il ragazzo sbanda quando l'uomo davanti a lui impreca, non l'aveva mai fatto, tuttavia questa era una delle poche volte che parlavano al di fuori delle lezioni.
«Non fare quella faccia, per Eulero! Posso imprecare quanto voglio, sono un matematico io, mica credo in Dio. Sai quale è il tuo problema Luke? È qui» indica il cuore del ragazzo che segue con lo sguardo il dito del signor Hudson; ha le unghie mangiucchiate.
«Tu sei troppo distaccato, lasciati investire dalle emozioni. Non pensare all'amore come insieme di reazioni chimiche che investono il nostro corpo, ma consideralo come sentimento puro...riesci a seguirmi?»
«In tutta onestà, no» risponde Luke grattandosi il collo. Sarebbe stato più semplice capire la zeta di Riemman che capire se stessi.
Il professore alza gli occhi al cielo ridendo, e pensando ad un esempio pratico, poi riprende il suo discorso «pensa ad una funzione, non considerare la funzione nella sua formula scritta, ma nella sua forma fisica nel piano; la funzione è l'amore» e Luke capisce.
«Ma non posso» risponde «perché mi farei male»
«Ma il dolore è una parte fondamentale della vita. Senza dolore non si può conoscere la felicità Luke. È come per i numeri primi, se non ci fossero gli altri numeri essi non potrebbero esistere perché in un certo modo gli uni dipendono dagli altri; capisci?» annuisce, ma Luke spera solo di scappare via dal professore, tutto questo parlare d'amore gli sta mettendo una leggera tristezza addosso e vuole solo farla passare via.
«È bella?» chiede curioso il professore.
«È bellissima» risponde Luke e l'uomo sorride; escono assieme dall'aula che resta vuota e l'unico rumore è dato dall'eco dei loro passi.

 

È buio. Gli occhi di June scrutano la stanza, illuminata solo da una fioca luce rossa, e osserva le foto che perdono vita sulla carta.
«June» la ragazza sobbalza e porta una mano al petto guardando il signor Sandler, il proprietario del negozio di fotografia. È un bell'uomo, sui trent'anni, capelli mori e occhi azzurri, della stessa tonalità acquamarina degli occhi di July.
«Non volevo spaventarti. Mi ha appena chiamato il museo di arte: un articolo parlerà del museo sul Times e devi andare a scattare delle fotografie; anche se non sanno ancora in quale numero del Times uscirà»
«Adam, tu stai lasciando un lavoro così importante a me? Non sarebbe meglio se andassi tu e io restassi qui a finire di sviluppare i rullini?»
«Sono certo che tu sei più che capace June. Sei così brava, smettila di deprimerti, soprattutto per July. Anche io, e lo sai già ma te lo ripeterò all'infinito, sono stato male» June lo interrompe.
«Per Bryan. E poi hai trovato di meglio, dopo aver sofferto tanto, lo so Adam. È solo che non so per quanto tempo ancora riuscirò a sopportare tutto questo dolore»
June si era trovata subito bene con Adam, la capiva perfettamente essendo anche lui omosessuale.
Adam afferra June e la abbraccia, dandole la macchina fotografica e accompagnandola all'uscita.
Cammina velocemente, la strada dal negozio al museo è lunga. Fa abbastanza freddo, è il 31 ottobre e le vetrine dei negozi sono intasate da gadget di Halloween.
Prende una sigaretta e la accende, fuma avidamente mentre inizia a correre.
Scansa la gente che impreca mentalmente poiché June corre così veloce senza prestare attenzione che gli ha rovesciato il loro caffè mattutino addosso.

 

Arriva all'entrata del museo e resta ammaliata nel guardare il grande edificio, bianco, che sorge davanti a lei.
Si allontana di un paio di metti dalla scalinata, e scatta una foto.
Si lega i capelli, e li raccoglie in una coda bassa.
Cerca di ricomporsi un po' e tira giù le maniche della sua giacca di pelle nera, quella rovinata ma che assomiglia a quella di Ashton.
June entra e dopo aver parlato in biglietteria con il proprietario del museo, le danno un pass e inizia a girovagare per scattare foto.
Sale le scale e arriva al primo piano; c'è una grande parete bianca che ospita una ventina di quadri, June si tiene a debita distanza e scatta alcune foto, fino a quando non vede un quadro che cattura la sua attenzione.
È la libertà che guida il popolo di Delacroix, si avvicina correndo al quadro che è il suo preferito e scatta una moltitudine di foto cercando di coglierne i minimi particolari.
«Non puoi scattare foto così vicino!» June si gira con ancora la macchinetta e si trova Ashton alla sua destra.
«Ashton lavori in questo museo?» chiede lei e lui annuisce sorridendo.
«Scatti le foto per l'articolo?»
«Si, non sapevo di essermi fatta troppo avanti...»
Ashton le afferra i fianchi delicatamente e la tira indietro di circa venti centimetri.
«Qui va bene» commenta Ashton «ti piace questo quadro?»
June annuisce. Fa un altro passo indietro e fa una foto ad Ashton che è di spalle e fissa il quadro, che occupa l'intera parte alla destra di Ashton.
Guarda la foto che ha appena scattato sorridendo, è davvero bella: c'è Ashton di spalle e i suoi capelli ricci sono scompigliati in modo così bello che fanno invidia perfino al quadro.
«Perché ti piace questo quadro?»
«È così...bello. Non come un altro motivo. È perfetto. Le figure, i colori, la storia che evoca; non c'è niente di sbagliato in questo quadro. È così che tutto dovrebbe essere: perfetto»
«Non è detto che tutto debba essere perfetto. Perché sei così ossessionata dalla perfezione?»
«Perché io non so proprio cosa sia la perfezione, o la normalità»
June la sempre presa male questa cosa della sua omosessualità. E non ne è nemmeno convinta. La sua prima volta è stata a diciassette anni, quando andava ancora al liceo e una ragazza lesbica l'ha baciata. In quel momento June si era sentita come se tutti i suoi frammenti si fossero messi a posto da soli. E così ha continuato con la ricerca della ragazza perfetta. E ne aveva trovate così tante; ma nessuna andava veramente bene.
«June...June mi stai ascoltando?»
«Cosa?» chiede June risvegliandosi dai suoi pensieri.
«Devo farti vedere un quadro, vuoi venire?» Ashton le porge la mano, e June l'afferra. È così calda e grande la mano di Ashton, che stringe la sua piccola e fredda; come la mano di July.
Ti prego, basta. Lasciami in pace.
Spegniti per cinque minuti.
June chiude gli occhi e si ferma per un instante, stringe di più la mano di Ashton che si ferma e poi ricominciano a camminare.
Arrivano nella sala dedicata all'impressionismo, e June storce un po' il naso; ne era uno dei suoi generi preferiti.
Si fermano a circa due metri da un quadro che ritrae un sole che sorge a mare, solcato da alcune barchette di pescatori.
Tutto sommato è un bel quadro, i colori sono così caldi, mette una sorta di strana felicità; quella felicità apparente che sembra quasi ingiusta. Quella felicità che provano sempre le quattro ragazze.
«Quello è il mio quadro preferito; sai perché?» scuote il capo scostando un po' la frangetta nera «perché da lontano sembra perfetto, e invece se vai vicino» la afferra nuovamente per i fianchi e la porta vicino al quadro «è una merda totale»
E June non può fare a meno di ridere e anche Ashton ride perché il sorriso di June è stupendo, così come la sua risata.
«Può essere letto in così tanti modi» continua Ashton «può rappresentare le cose futili della vita che affascinano ma che fanno schifo; può rappresentare che non tutto quello che è bello da fuori è bello dentro o ancora che qualcosa per piacere non deve necessariamente essere bello» conclude guardando June.
«Ora capisco perché lavori qui» ridacchia e si siede per terra a gambe incrociate, per fare una foto al quadro dal basso verso l'alto.
«Ti va di pranzare assieme?»
«Oh Ashton mi piacerebbe tanto ma non posso, ci è diamo stasera?»
«Va benissimo»
June esce correndo dal museo e imbuca dritta la strada verso casa, perché deve pranzare e July ha sicuramente buttato la pasta nell'acqua che bolle, a meno che non stia fissando ancora il vuoto.

 

Ma July non ha buttato la pasta. Non ha messo l'acqua a bollire. July è seduta su una panchina davanti al ristorante dove lavora Calum che appena esce si fionda sulla ragazza che lo aspetta sorridente.
«Credevo che avremmo pranzato nel ristorante»
«July questo posto fa cagare, vuoi morire intossicata?»
Scoppiano entrambi in una fragorosa risata.
«Ti sta benissimo quel cappello» dice July ammirando il profilo di Calum coperto da un beanie grigio.
«Grazie» sorride «è di Luke»
Ridacchiano e entrano in un ristorante giapponese pronti a provare per la prima volta il sushi.

 

AYEEE.
Ho deciso di dividere questo capitolo in due parti quindi eccolo qui ahhaah, devo ringraziare Cristina per gli spunti che mi da ogni giorno e che mi sopporta costantemente ahha 💙
Se vi è piaciuto il capitolo lasciatemi una recensione; spero che il prossimo arrivi presto lol Hahha
Cosa divertente: oggi sono andata a fare il corso di giornalino dopo aver bevuto mezza bottiglia di vino e non capivo un cazzo HAHAHAHA
Okay non era divertente :( vi voglio bene LALALA, ciao 💁💘
Ps: Wow 2689 parole, faccio schifo.

CONTINUO A 2 RECENSIONI; GRAZIE.

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Capitolo 7
*** VII.Prisoner ***


VII. Prisoner

 

The Weeknd ft. Lana del rey- prisoner

«Ce l'hai?»
April l'aveva sempre saputo. L'aveva saputo dal primo istante in cui aveva deciso di fare un tiro da uno spinello che prima o poi la cosa le sarebbe sfuggita di mano; e che la marijuana non le sarebbe più bastata.
Ora è li, alle sei e ventitré del trentuno ottobre a comprare eroina in un sudicio vicolo di New York.
C'è un ragazzo davanti a lei; è bello, molto. Estrae dalla tasca del suo cappotto una siringa e la droga.
«Quanto dura l'effetto?» chiede April. Alle otto e trenta dovrebbe andare da Michael, ma non può permettersi che il ragazzo la veda in quello stato, deve tenere la cosa nascosta a lui così come la nasconde alle ragazze.
«Un'ora e mezza, due ore più o meno. È una dose piccola perché è la prima volta» April guarda il ragazzo che si trova difronte, e lo fissa a lungo negli occhi. Sono verdi, quasi marroni, e sono così arrossati, stanchi.
«Non farlo» le dice di punto in bianco, ma April scuote il capo e gli da i soldi, prendendo ciò che le spetta.
Corre via e si ferma poco dopo, entra in una strada ancora più lurida della prima e si siede con la schiena contro il muro e alza la manica sinistra della sua maglia. La siringa è già pronta, deve solo iniettare la droga dentro di lei.
L'ago punge, preme la punta con forza e poi schiaccia. La droga penetra dentro di lei, la sente scorrere nelle sue vene. April trema, il braccio sinistro le fa male, e le gira la testa, non vede più chiaramente ma pochi secondi dopo sta bene. Si sente bene. Si alza, barcolla un po' ma sta bene. Si sente più calma, più sicura, più felice. E corre verso casa, per prepararsi all'uscita con Michael.

July e Calum camminano mano nella mano, sono in silenzio ma sorridono entrambi; stanno tornando a casa. I loro piedi calpestano le foglie autunnali che secche e morte adornano i marciapiedi newyorkesi, donando un po' di colore a quelle strade grigie.
Salgono le scale piano, July continua a passarsi la mano tra i capelli per aggiustare quel maledetto ciuffo che di stare giù non ne vuole proprio sapere. Calum infila la chiave nella serratura e apre la porta, facendo entrare July, conducendola nella sua stanza.
«È bellissima camera tua» commenta July ammirando le pareti bianche tappezzate da poster. Si siede sul letto che occupa l'intero muro dove si trova la finestra, e si affaccia. Che paesaggio di merda. Solo un'infinità distesa di grattacieli tutti uguali. Sposta lo sguardo e i suoi occhi azzurri si posano su un basso nero, decorato con una grande X rossa.
«È tuo Cal?» chiede. Calum la fissa e sorride senza rispondere, poi annuisce e dice «mi piace come suona Cal» e July arrossisce perché non si era resa conto di avergli affibbiato quel soprannome.
Il ragazzo afferra il basso e si siede accanto a July, che incrocia le gambe e lo guarda.
«Ti piacevano solo i Nirvana e i Red Hot Chili Peppers, giusto?» July annuisce «dimmi le canzoni dei red hot che ti piacciono di più»
«Io amo da impazzire il basso all'inizio di Factory of faith» e Calum senza perdere un secondo si alza e inizia a pizzicare le corde della strumento, e July a far muovere la testa a ritmo.
«E Around the world?» chiede.
Calum si ferma e accende l'amplificatore, e ricomincia a suonare.
July applaude e lo guarda estasiata, Calum mentre suona è così bello, resta incantata dal modo in cui le sue dita scivolano velocemente sulle corde del basso e di come i muscoli delle sue braccia si contraggano rivelando grandi bicipiti.
«Adesso ti metto in difficoltà» ridacchia «Blackeyed blonde?»
Calum inizia a suonare ma dopo una decina di note sbaglia e scoppiano entrambi a ridere, e continuano a ridere guardandosi negli occhi. Calum si avvicina a July che è ancora seduta sul letto e le accarezza una guancia. July si inginocchia sul materasso, per arrivare all'altezza del viso di Calum e si avvicina fino a quando le sua labbra non si trovano su quelle del ragazzo.
Calum le cinge la vita mentre la bacia lentamente e sorride non appena nota che July si è lasciata scappare un piccolo sorriso mentre si stavano baciando. Si stendono assieme, sul letto, lentamente mentre le sue mani passano tra i capelli di Calum che non ha intenzione di staccarsi da July. A quel punto si baciano con tenerezza e trasporto e July non può fare a meno di sciogliersi nuovamente a quel contatto, tanto da far cedere il suo corpo contro quello tonico di Calum, che la accoglie stringendola contro il suo petto.
Si staccano e July volge lo sguardo altrove imbarazzata ma Calum le prende il viso per il mento e fa scontrare di nuovo i loro occhi.
«Avresti dovuto dirmelo prima che baciavi così bene» e ridono assieme, restando abbracciati e stesi sul letto.

April entra nel ristorante e subito scorge Michael che si aggira tra i tavoli. Fa uno strano effetto vederlo con una camicia bianca e non con una delle sue solite magliette. Il ragazzo la vede e si dirige subito da lei, dopo aver servito il tavolo ventitré.
«April» la abbraccia e April sorride stringendosi a Michael, infila la testa nell'incavo del suo collo e lo bacia.
«April ma che hai?» chiede Michael ridendo.
«Sono felice»
Ed era vero. La mente di April era completamente vuota, non c'era più nessun pensiero che le impedisse di essere felice. Ma alla fine la dipendenza dalle droghe di April non dipendeva dalla droga in sé, ma dal bisogno di evadere dalla realtà.
«io finisco alle undici, sono solo le otto adesso. Ti vuoi sedere e ti porto qualcosa?»
Senza aggiungere altro Michael la conduce ad un tavolo e la saluta per poi tornare in cucina. April non sta capendo niente di quello che succede, il tempo scorre troppo velocemente, le ore sembrano minuti. Osserva Michael rispuntare con una bottiglia di birra e la posa sul tavolo aprendola.
Il rumore del tappo che si stacca arriva chiaramente alle orecchie di April, è un rumore deciso, fastidioso, troppo forte e storce il naso.
Michael le versa la birra e lei ne prende immediatamente un sorso, è buona.
«Michael» dice. Sorride e lo guarda confusamente, ride un po' April, forse non è stata una buona idea. Ma non prendere la droga, no quella è stata una splendida idea, sta così bene. È stata una cattiva idea uscire con Michael subito dopo.
April ride ancora un po' e Michael la guarda preoccupato. Le scosta una ciocca di capelli e le prende il viso tra le dita. Osserva gli occhi di April, sono azzurri come quelli di Luke, hanno questa particolare sfumatura che va dal turchese al blu, e Michael sorride quando la nota. Sono davvero belli gli occhi di April ma sono un po' lucidi quella sera, e Michael non riesce proprio a capire cosa abbia la ragazza, sembra solo più felice; euforica.
Scuote il capo senza darci troppo peso e rientra in cucina pronto per servire altri tavoli.

June saluta Ashton con un bacio sulla guancia e si incamminano a piedi per le strade della grande mela.
«Come sono venute le foto?» chiede Ashton per iniziare una conversazione. Osserva June, che porta i capelli sciolti, perfettamente piastrati che le cadono fino alle spalle. La sua figura esile, così piccola in confronto ad Ashton, è coperta dal parka nero che aveva la sera precedente. June si lecca le labbra, colorate di rosso scuro, e poi risponde «Bene. Ti ho fatto una foto, sei uscito davvero bene» Ashton avvampa «me la fai vedere?»
«No» June ride, ha una risata leggera, non è rumorosa, è semplicemente bella. Anche Ashton inizia a ridere e afferra June per i fianchi, portando i loro visi a pochi centimetri di distanza. Si guardando negli occhi, e June pensa che gli occhi di Ashton sono belli, anche se è un ragazzo, ma gli occhi di July non sono paragonabili a questi, no no. Gli occhi di July sono blu tendenti all'azzurro, con delle piccole pagliuzze verdi verso l'esterno dell'iride.
«June mi stai ascoltando?»
E gli occhi di July sono solo suoi.
No, non è vero. Anche di Calum. E di tutti quelli che July si farà. Gli occhi di July sono stati suoi solo per una notte, e non lo saranno mai più.
June inizia a piangere, scoppia all'improvviso. Le lacrime scendono lente sul viso della ragazza e Ashton la guarda preoccupato perché non riesce proprio a capire cosa sia potuto succedere. La abbraccia, perché è l'unica cosa che gli viene in mente e June scompare tra le braccia di Ashton.
«June che hai?»
«Ashton io devo dirti una cosa, sento che mi posso fidare di te» e il ragazzo muove la testa e la incoraggia a parlare «Ashton io sono lesbica»
Adesso è Ashton quello che sta per piangere, fissa June che lo guarda impaurita, indifesa, debole.
E lui non può fare nient'altro che accarezzarle la guancia destra e vedere spuntare un piccolo sorriso.
«Ti va di raccontarmi?»
Continuano a camminare e si fermano su una panchina piuttosto isolata rispetto la strada dove erano prima. June si siede e Ashton le prende le mani, sono freddissime le mani di June, che subito le ritira indietro.
«Penso di essere stata lesbica fin da quando sono nata. Ricordo che all'asilo non stavo mai con i bambini, mi facevano ribrezzo. Mia mamma pensava che fosse normale a quell'eta, e l'ho pensato anche io; almeno fino ai dodici anni. Tutte le mie amiche avevano già dato il primo bacio, avevano anche il ragazzo. Io no» June ridacchia amaramente e scuote il capo, Ashton la guarda attentamente, è ipnotizzato dai movimenti di quella testolina nera «Ho dato il mio primo bacio a 16 anni ad Arthur Howard, sono abbastanza soddisfatta della mia scelta, insomma era considerato il secondo ragazzo più sexy del liceo. E poi io l'ho lasciato brutalmente il giorno dopo, quasi mi dispiace di avergli svuotato la bottiglietta d'acqua in testa.
Dopo di lui sono stata con altri ragazzi, ma non sentivo niente. Ashton, io ti giuro, ci ho provato così tanto a farmi piacere i ragazzi ma non ci sono riuscita. A 17 anni ho conosciuto Chloe Hamphille, era la lesbica della scuola.
Siamo uscite assieme, eravamo diventate amiche dopo aver collaborato per un progetto di chimica. E una sera mi ha baciata. E ho sentito i brividi in tutto il corpo, tremavo, ridevo, quando la baciavo ero così felice, stavo così bene con lei Ash. E due settimane dopo siamo andate a letto, e non mi scorderò mai quella sera. Faceva caldissimo, era estate e io avevo paura. Eravamo a casa sua, nella sua stanza, e mi ricordo di quanto fossi in imbarazzo quando lei mi sfilò il jeans dicendomi «June è facile»
Mi sembrava che per una volta tutto stesse andando per il verso giusto, ma era troppo bello, no?
Due giorni dopo mi ha mollata per quella puttana di Madison Scott» Ashton si morde le labbra, vorrebbe, solo per un secondo, far sentire June amata. June intanto, si è accesa la sua sigaretta, ha le gambe incrociate, la destra sulla sinistra. Aspira e riprende a parlare «Sono stata anche con altri ragazzi dopo Chloe ma non funzionava proprio. Ma con le ragazze si. Non dire quello che sto per dirti a Calum. Ti prego» Ashton fa segno di non dire nulla «Sono stata una notte anche con July»
Silenzio.
«Pensi che faccia schifo Ashton, vero? Io ti giuro, io non volevo essere lesbica» June stringe la sigaretta tra le mani e inizia a singhiozzare «io non volevo essere così, merda»
Ashton stringe June tra le sue braccia, ancora una volta, e le bacia la fronte; proprio dove ha un tatuaggio piccolo, ornamentale, nascosto dalla frangetta nera.
«Sai una cosa June? Io non penso che le persone siano lesbiche, gay, etero o trans. Io penso che, semplicemente, le persone si innamorino. Forse non hai ancora trovato la persona giusta, tutto qua»
June sorride ampiamente, nessuno le aveva mai detto quelle parole.
«Grazie Ash, sul serio, grazie»

Luke apre la porta del suo appartamento, e sorride quando vede di nuovo October.
«Hey» dice curvando la testa verso destra e sorridendo leggermente.
Ci sono questi momenti dove October è così timida e tenera, e non acida e stronza; e a Luke piace la versione timida di October perché sembra così piccola che starebbe per ore ad accarezzarla e a guardarla mentre le spunta quella piccola fossetta a destra.
«Hey October, entra»
La ragazza cammina con le mani dietro la schiena, nasconde qualcosa. Gli occhi di Luke saltano da una parte all'altra per tentare di vedere cosa nasconda, poi glielo mostra. Ha un CD dove c'è scritto con un pennarello nero "scary movies".
«Alle ragazze non piacciono i film horror, ne vediamo uno?» e Luke annuisce «ho Hannibal e non aprite quella porta»
«il secondo, ho già visto hannibal»
Sorridono entrambi ma Luke nota che October non sta sorridendo per davvero. Il suo viso è felice ma i suoi occhi non lo sono per niente, sembra così triste e Luke sospira. Forse è colpa sua, perché lui l'ha già capito che lei vorrebbe che ci fosse Michael al suo posto. Ma Michael ha preferito April.
E così si sono ritrovati assieme per non restare soli.
Ma come può non dare ragione a October? Michael è bello, solare, simpatico, dolce, estroverso; Luke il suo opposto totale.
«Devo fare una cosa, mi dai un secondo?» chiede Luke prima di correre verso il bagno. Chiude la porta a chiave e la tira per assicurarsi che sia chiusa per davvero. Ha sempre avuto questa strana mania per le porte Luke: devono essere chiuse. Sempre. Indipendentemente da qualsiasi stanza sia la porta deve essere chiusa.
Prende uno specchietto e si fissa, cercando di aggiustare un po' i capelli; si mordicchia il labbro proprio dove ha il piercing nervosamente, indeciso se fare o meno ciò che vorrebbe. Sta andando avanti solo da due settimane, sa che deve fermarsi, ma sta così bene, sembra che acquisti magicamente tutta l'autostima che non ha.

«Hai freddo?» October sta tremando, è gelida. Ha le labbra schiuse, gli occhi fissano la televisione senza muoversi. È immobile, l'unica cosa che non è ferma sono le sue mani che continuano a passare freneticamente tra i suoi dread scompigliati.
«No» e la sua risposta è fredda come lei in questo momento. Il sangue schizza ovunque, Sally è legata, si deve liberare. October sa già come andrà a finire il film, Sally si libera.
Ma October non sta minimamente prestando attenzione al film. Ha passato gli ultimi ventitré minuti a fissare la tv, con le gambe incrociate, passando le mani tra i suoi dread. Lo faceva spesso quando era in riabilitazione.
Ha studiato tutta la pianta del loro appartamento, che è proprio sopra quello dei ragazzi. Lei e Luke sono nel salone, in corrispondenza della camera di April. October li sente, sono di sopra, percepisce i loro respiri nonostante le pareti che li dividono. Oppure si sbaglia.
October sta diventando di nuovo paranoica, odia quando succede, non capisce più niente. Non può fare nient'altro che stare ferma e lasciarsi sopraffare da quel mare di ansia, insicurezza e tristezza. Si fermava sempre sopra lo stomaco, premeva sul cuore, il respiro diventava affannato, gli occhi più stanchi e lei più debole. La divorava ogni singolo istante della sua vita, e non c'era niente che lei potesse fare per evitarlo.
Luke si alza e lei lo segue con lo sguardo per un secondo, poi torna a fissare la tv.
Da quando era uscita dalla riabilitazione October non aveva più avuto nessuna crisi. Eppure le cose stavano peggiorando di nuovo, a partire da dieci giorni fa più o meno.
Era come se fosse riuscita a uscire da una voragine buia, che l'aveva inghiottita senza pietà. Era fuori. Si era alzata in piedi e aveva cantato vittoria troppo in fretta, aveva perso l'equilibrio e stava cadendo dentro ancora una volta.
Non poteva permettere che accadesse di nuovo.
Non voleva di nuovo tutte quelle medicine, tutte quelle false attenzioni da dottori e infermiere che fingono di sapere chi tu sia ma di te non sanno nemmeno il nome.
Luke si siede accanto a lei di nuovo. Le mette una coperta sulle spalle e October si muove, stendendosi sulle gambe di Luke che sorride sorpreso.

Tac.
Qualcosa è caduto sul viso freddo di October, che è ancora stesa su Luke.
Tac.
È qualcosa di caldo.
Sembrano lacrime.
Le gocce scendono sul suo viso e October ne tocca una. Porta il dito vicino agli occhi. Non sono lacrime, è sangue.
Forse sta avendo le allucinazioni di nuovo, le succedeva sempre.
Si alza di scatto e guarda Luke che ha il mento poggiato sul palmo della mano. Dorme. E gli sanguina il naso. Esce tantissimo sangue.
October lo scuote.
«Luke ti sta sanguinando il naso»
I suoi occhi sono assonnati. Quando realizza cosa sta succedendo corre in bagno blaterando qualcosa.
«Merda non di nuovo»
October lo segue, e lo trova mentre cerca di lavarsi con l'acqua fredda. Lo fa scostare e si sciacqua le mani. Luke si siede sul bordo della vasca da bagno e October gli alza il viso premendo sul suo naso un po' di carta.
Si guarda intorno, vede uno specchietto sul lavandino.
«Ti succede spesso che ti sanguini il naso?» chiede. E Luke non risponde. Prima di finire in rehab, October a diciannove anni aveva iniziato l'università. Stava studiando per diventare medico, e seguiva anche un corso di infermieristica.
Poi è caduta nella voragine, e ha perso tutto quello che aveva.
Luke trema, non sa cosa pensare. Perché non gli va mai niente bene?
October toglie la carta e la butta nel cesso. Si siede accanto a lui, e posa la sua mano destra sul suo viso. Con il pollice gli abbassa il labbro inferiore dove nota un piccolo rigonfiamento, una sorta di infezione. Lo guarda negli occhi e vede che sono rossi, stanchi.
«Perché?» chiede.
«Perché cosa?»
«Perché ti fai di cocaina?»
Silenzio.
«Non stare zitto, sei patetico»
Silenzio.
«Dammi una ragione per la quale ti fai di cocaina»
Luke ride. Quasi istericamente. October ha paura, le ricorda lei, quando era sola nella sua stanza all'istituto, e rideva, perché tutta quella merda attorno, quell'ipocrisia che la circondava le faceva venire il vomito e rideva perché non c'era nient'altro da fare.
«Ragioni? Chi ha bisogno di ragioni quando hai la cocaina
October si alza e si dirige, fredda, verso la porta del bagno, aprendola con la mano destra. Luke si butta per terra e si aggrappa alla gamba destra della ragazza.
«October no, ti prego non andare»
Adesso è October che fa silenzio.
«Ti prego resta»
Ma October di alza e va via.

AYEEE.
Forse ci ho messo un po' a scrivere questo capitolo. Ero molto indecisa su cosa sarebbe dovuto accadere, e il capitolo è stato riscritto molte volte. Spero davvero che vi piaccia.
Una mia amica mi ha consigliato di aggiungere una canzone a capitolo, così l'ho fatto.
Per questo ho scelto "Prisoner" perché parla di quanto le persone siano prigioniere della propria droga, qualsiasi essa sia.
Grazie mille per aver letto, spero di postare l'ottavo capitolo il prima possibile, grazie mille.
Ps: mi lasciate una recensione?

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Capitolo 8
*** VIII. how can i not kiss you? ***


VIII. how can i not kiss you?

 

 

Ozzy Osbourne-Lay your world on me


Ad April non piace alzasi presto la mattina, specialmente di lunedì. Ma sapere di dover andare all'università la mette di buon umore, e così si alza, lasciando il suo letto caldo e correndo a fare colazione. La cucina è illuminata dalla poca luce che filtra dalla finestra, chiusa. Apre il frigorifero e caccia uno yogurt alla vaniglia. L'orologio segna le sette e ventritrè, dovrebbe andare a svegliare June, altrimenti saranno di nuovo in ritardo per l'università e il lavoro. Si alza e getta il vasetto vuoto nell'immondizia, cammina piano a piedi nudi, il parquet è freddo e polveroso; July non pulisce più come prima. Apre la porta della stanza di June, e entra. Dorme. È raggomitolata su stessa, è senza coperte, sono cadute e ora sono sul pavimento. April si muove alla cieca, c'è il buio totale lì dentro; tastando le pareti arriva alla finestra e scosta la spessa tenda blu scuro, facendo entrare un po' di luce. June mormora qualcosa, e si siede.

«Come stai?»

«Stanca. Alzati altrimenti farai tardi. E anche io» esce dalla sua stanza lasciando June lì, ancora assonnata e seduta nel suo letto. È terrorizzata. Non ha dormito bene, forse non avrebbe dovuto aprirsi così tanto con Ashton. È stato un momento di debolezza, era tanto che non ne aveva uno. June non piange mai. È una ragazza grade, lei. È una forte, fuori. Sta cadendo a pezzi, dentro. Forse le sigarette non bastano più ma June non vuole tornare alla sua vecchia e malsana abitudine. Ci ha messo così tanto per uscirne, ma non è più così forte ultimamente. Fa finta che non le importi niente, ma tutto la ferisce a morte. Si alza e apre l'armadio. Indossa dei jeans larghi, strappati, a vita alta e la maglietta degli Helmet. Prende le converse nere e corre in cucina a fare colazione dove April la sta aspettando. Ha una borsa enorme, piena di libri e quaderni, indossa degli skinny jeans con degli anfibi e una maglietta con la stampa di Lou Reed sull'album Transformer. Entrano nella macchina di June e si allacciano la cintura. June accende la radio, ma non può mettere gli Helmet o Ozzy perché April li odia, e April non si aspetta che June imposti Lou Reed o David Bowie, così mettono Lana Del Rey perché è l'unica cantante che piace ad entrambe e partono.

April scende dalla macchina, sono le otto e ventritrè, ha ancora sette minuti prima che le lezioni inizino. Entra nell'edificio e sale le scale fino ad arrivare nell'aula della professoressa Forman. È una donna tozza, grassoccia, sulla sessantina. Sputa un po' quando parla, ed è anche un po' strabica, ma questo non le impedisce  di essere la migliore docente di lettere classiche all'università. April si siede in pima fila, le piace cogliere ogni parola della Forman. È da sola nella grande aula. Forse un giorno potrebbe esserci lei ad insegnare qui. Scoute il capo e prende il suo block notes.                                                                                                                                                      Un ragazzo alto entra, tenendo una borsa marrone. Non è decisamente una borsa da uomo, e a meno che quel ragazzo non sia gay, quella non è la sua borsa. April non l'ha mai visto e studia la sua figura con i suoi occhi azzurri, ma li abbassa immediatamente quando incontra quelli del ragazzo. Sono verdi. Verdi come quelli del ragazzo che le ha dato l'eroina, sono identici agli occhi di quel ragazzo; ma April è altrettanto sicura che questo ragazzo non è quel ragazzo. Hanno una piccola sfumatura dorata, è sempre stata brava April a cogliere i dettagli delle cose, anche se a grande distanza. Sono belli questi occhi, ma forse gli occhi di Michael sono più belli. Di certo sono più belli. Sono diversi, e a April le cose diverse sono sempre piaciute.  Torna a studiare la figura del ragazzo, che ora sta scrivendo qualcosa alla lavagna. È girato di spalle. Gran bel culo, pensa. Sono passati tre minuti, e April è ancora l'unica nella sala. La puntualità non è mai stata una qualità dei suoi compagni. Il ragazzo indossa un jeans stretto, e un maglione nero. Ha i capelli ricci  scompigliati, come quelli di Ashton. Avrà circa venticinque anni, quando prima era girato di viso, ha notato una barbetta incolta. Ha sempre avuto un debole per le barbe April, che si lega i capelli in una coda bassa e rilegge gli ultimi appunti che ha scritto. La porta è aperta e dei ragazzi iniziano ad entrare, mancano due minuti. La sala si riempe e la professoressa entra alle otto e trentuno.

«Prima di cominciare» si schiarisce la voce e April indietreggia un po' con la sedia, tanto per proteggersi dalla saliva della Forman «lui è il mio assistente. Era un mio alunno fino allo scorso anno. Se avete qualche domanda e io non ci sono d'ora in poi potrete anche rivolgervi a Sam» gli occhi di April si posano di nuovo sul ragazzo, che sorride mostrando una fossetta. Le ragazze delle stanza mormorano animatamente. Tutte oche. April sbuffa, e la Forman inizia la lezione.

June fuma appoggiata alla porta del negozio. Getta la sigaretta per terra, e la spegne con il piede sinistro.
Entra e vede Adam intento a cercare qualcosa sullo scaffale.
«June, June oh June»
«Che succede Adam?»
«Non trovo la macchina fotografica»
«Adam ce l'hai al collo» mormora June.
«Ah» Adam abbassa lo sguardo e ridacchia notando la macchinetta «come farei se non ci fossi?» ridono assieme «oggi pomeriggio abbiamo un servizio per un matrimonio. La sposa mi ha detto di conoscerti, una certa Chloe...Chloe Hampille»
Il cuore di June sussulta. Chloe.
«E con chi si sposa?» chiede. La sua voce è flebile, trema June.
«Una ragazza, non ricordo il nome June» Adam ride «mi ha detto che possiamo portare qualcuno. Perché non chiami Ashton? Forse lo faccio diventare gay, se è bello»
Adam ha sempre avuto la capacità di strappare un sorriso a June anche quando stava male, forse era anche per questo che lavoravano così bene assieme.
June estrae un cellulare e manda un messaggio ad Ashton.
La risposta non tarda ad arrivare.
Da: Ashton
A che ore? Ci sono.

A: Ashton
Alle quattro.

Ripone il telefono nella tasca posteriore dei suoi jeans, e fissa Adam, intento a pulire l'obbiettivo della sua Nikon.
«Ci vediamo alle tre e mezza davanti all' Hills Park»
Che posto banale per sposarsi, un parco. A novembre poi. Che stronzata.

Nella stanza echeggia solo la voce del professor Hudson. I ragazzi hanno sguardi persi e vuoti, assonnati e stanchi; anche Luke che cerca di sembrare sveglio e attento agli occhi di Mark è esausto.
«E quindi per la prossima volta dovrete dimostrare che il volume del tronco di cono è espresso dalla formula: 𝑉 = 13 𝜋 ∙ h ∙ ( 𝑅 2 + 𝑟 2 + 𝑅 ∙ 𝑟 ) ,
dove R ed r sono i raggi e h l'altezza»
Sarebbe sicuramente più facile risolvere questo compito piuttosto che risolvere il mio problema, pensa Luke. I ragazzi abbandonano la classe, Luke raccoglie il suo zaino e si incammina con loro, ma il professor. Hudson lo ferma.
«Allora? Gliel'hai detto?»
«No. E non glielo dirò. Non vuole più vedermi»
«Per tutti i teoremi Luke, e che cosa hai fatto di tanto grave? Non ti sarai fatto beccare mentre di stavi facendo qualche altra ragazza?»
Luke non può fare a meno di lasciarsi scappare un piccolo sorriso, trova estremamente esilarante Mark quando impreca citando la matematica.
«Si. Ma quello non le ha dato fastidio; ho solo combinato un casino con me stesso»
Mark lo guarda sconsolato.
«Certo che sei proprio uno stupido a lasciarti scappare una che non si arrabbia se ti trova a letto con un'altra» mr. Hudson scuote il capo «Luke risolvi la situazione e goditi la tua ragazza, non ridurti come me a cinquant'anni con tua moglie che ti chiede perché non sei bello come Tom Cruise e preferisce guardare stupide soap opera spagnole piuttosto che venire a letto con te, rendendoti sessualmente frustato»
Luke ride un po' e Mark scuote la testa, è così bello essere giovani. Vivere nella falsa innocenza di chi finge di non sapere nulla eppure ha visto tutto, di chi vuole scappare e vivere, di chi vuole sognare e urlare al mondo che esiste, ma non lo fa.

L'orologio segna le 13.23. Calum non è andato a lavoro oggi, ha mal di testa. Ashton è a casa, ha preso un permesso per questo pomeriggio. È scosso da quello che gli ha chiesto June; ma è ancora più scosso da quello che gli ha detto la sera prima. Forse June era lesbica davvero, Ashton si sbagliava e non era questione di trovare la persona giusta o meno.
«Ashton a che pensi? Ti vedo così preoccupato» Calum lo richiama mentre è steso sul divano in cerca del telecomando.
«Io...» e poi c'è Calum che si sta facendo July. Chi sa se July gliel'ha detto che è stata con June per una notte. E se non lo sapesse dovrebbe dirglielo? Forse si.
«Cal, se io ti dicessi una cosa su July» e non appena Ashton dice July Calum si siede, e tende le orecchie «mi prometti che non cambierebbe niente e che non le dirai nulla?» Calum sussulta. Che cosa può sapere Ashton che lui non sa?
Forse l'ha vista mentre si baciava con qualcun altro, era impossibile che avesse già rimpiazzato Calum, o no? Forse, Calum sapeva di non essere un granché, non ci voleva molto ad essere sostituito e lui ci aveva ormai fatto l'abitudine.
«Qualsiasi cosa sia dimmelo»
«Ho parlato con June ieri sera. E mi ha detto di essere lesbica» Calum apre la bocca stupito: June lesbica? Non se lo sarebbe mai aspettato « e stavamo parlando e mi ha detto che una sera è finita a letto con July»
«E poi?»
«Nient'altro. È stata solo quella notte, poi hanno ripreso i loro rapporti come se nulla fosse accaduto»
Calum si morde le labbra, è stata solo una notte, che male può esserci? Deve assolutamente parlare con July.
«Calum io non credo che sia niente di impor» Calum interrompe Ashton, che gesticola animatamente. Fa sempre così Ashton quando è in ansia: il viso si arrossa, gesticola, parla più velocemente, si lecca le labbra. È divertente vedere quanto vada sotto stress anche per ogni piccola cosa.
«Non preoccuparti Ash, credo sia tutto okay»

June indossa un tubino grigio chiaro, le arriva appena sotto il sedere e le fascia perfettamente il corpo. Porta una macchinetta fotografica attorno al collo, Ashton la vede da lontano, ma mette subito a fuoco la sua figura esile.
Sta fumando una sigaretta con un ragazzo accanto a lei.
Ashton la saluta, mette una mano sul suo fianco e l'altra sul suo viso, stampandole un grande bacio sua guancia.
«Ciao Ash» June sorride « lui è il mio capo, Adam» e lo indica. Ha dei jeans neri e una camicia bianca, è vestito in modo molto semplice. Ha una Canon in mano, e tende l'altra verso Ashton che gliela stringe.
«Sono un collega, non il capo» Adam manda un'occhiata di fuoco a June che fa spallucce, i suoi occhi cercano Chloe.
Si è fatta più bella di come era al liceo?
È ingrassata? E chi è la sposa? E se fosse Madison?
Passa le sue dita tra la frangetta, pettinandola un po'. Estrae dalla sua pochette un rossetto rosso scuro, e lo passa ulteriormente sulle labbra carnose. Ashton la guarda incantato e lei sorride.

Non era Madison. Si chiamava Lea. Che nome del cazzo, June era più bello, no?
Era alta, formosa. Aveva questo viso tondo, aggraziato, contornato da una chioma di capelli rossi e  coperto una spruzzata di lentiggini, gli occhi verdi, e le labbra carnose, tinte di rosso.

June piange. È in bagno da pochi minuti, è scappata prima di crollare. Chloe c'era riuscita, era felice ora.
June ha ventitré anni e non sa nemmeno cosa sia la felicità.
Si asciuga le lacrime con il dorso della mano, e torna fuori. La cerimonia é finita e le spose devono fare le foto.

Lei e Mark iniziano a fotografare le due ragazze che si baciano, e ridono. Sono adorabili. Ashton e Mark le guardano con tenerezza mentre June preferisce non guardare.
Clicca il bottone e scatta l'ennesima foto.
«Facciamo una pausa» ordina Chloe. La suo voce non era cambiata, ma il suo tono si.
«Non possiamo fermarci, abbiamo altro da fare» le risponde June.
«Non mi interessa, Boo» ribatte, marcando l'ultima parola. Boo. Era il soprannome di June quando stavano assieme.
Le sue guance si tingono di rosso, si morde le labbra. È umiliante.
«Che c'è Boo? Non lo sa il tuo fidanzato che sei lesbica?» dice indicando Ashton «non sei lesbica Boo, non sei mai stata sicura, e per di più eri anche scarsa a letto»
«Non è il mio fidanzato» sibila June, lottando più con le lacrime che minacciano di uscire, che con Chloe.
«Non direi a giudicare dal modo in cui ti guarda»
«Non è il mio fidanzato» June ripete la frase frustrata, lei non è la Chloe che conosceva.
«Quindi non sei nemmeno etero? Oh, June. Sapevo che saresti morta da sola, ma speravo che le cose sarebbero cambiate» Chloe ghigna, June è finita.
Ogni parola è un proiettile e lei è già stata colpita troppe volte.
«Adesso basta!» urla Mark. June lo guarda, e lui muove il capo, lasciandola andare via.

Scappa e salta nella sua auto. Entra e fissa lo specchietto, allaccia la cintura e parte. L'ultima cosa che vede dopo aver messo in moto è Ashton, che corre dietro di lei.
Sposta lo sguardo dallo specchietto retrovisore e accende lo stereo; parte Ozzy.
"Give me your pain, your anger, I can be the pilar, lay your world on me: I can take the weight*" canta Ozzy e June ne avrebbe proprio bisogno di qualcuno che la aiuti ad affrontare tutto il male che c'è nella sua vita.
Non appena arriva a casa corre nell'appartamento, ormai le lacrime stanno per uscire nuovamente e non si preoccupa nemmeno di chiudere la porta.
June corre in bagno e afferra la forbicina per tagliare le unghie, è la prima cosa affilata che vede.
Non ci pensa due volte e la preme sul suo polso sinistro: traccia delle linee orizzontali, ma sta attenta a non toccare i tatuaggi. Li fece perché così, forse, non si sarebbe più tagliata; evidentemente è stato inutile.
La punta delle forbici preme nella sua pelle, lei tira senza pietà, la pelle si strappa, il sangue esce, ma lei respira.
Sta bene.
Si sta punendo.
È colpa sua.
Fa schifo.
Forse dovrebbe morire.
Sente dei passi, si fanno sempre più vicini fino a quando non giungono davanti la porta del bagno.
«June» mormora «June...» entra e la stringe a sé «dimmi come posso non baciarti dopo aver visto questo»
Ashton le accarezza il viso pallido, è bagnato dalle lacrime, facendolo avvicinare al suo.
Posa le sue labbra su quelle di June, che sono screpolate. La bacia, piano, sa di fumo; gli piace. Le mani di June sono poggiate a pochi millimetri dalla sua camicia, il suo braccio continua a sanguinare e il sangue rosso, sporca la camicia, bianca. Le loro labbra si muovono piano e Ashton porta una mano dietro la testa di June, mentre le morde lentamente il labbro.
Si guardano negli occhi, quelli di June sono ancora lucidi, rossi. Si staccano e June si sfiora le labbra con un dito, tremante. Ashton apre il mobile che è davanti a loro, a destra dello specchio, è estrae della garza. Restano zitti, Ashton prende il polso di June che soffre silenziosamente. Brucia. Ashton apre il lavandino e l'acqua fredda scorre sui tagli freschi, fa male.
Ma fa ancora più male quando Ashton le poggia dell'ovatta bagnata con lo spirito, per disinfettare. I tagli sono profondi e June urla dal dolore.
«Mi dispiace» dice Ashton.
Prende la garza e le fascia il polso e un po' di braccio. Le accarezza una guancia, e poi gliela bacia.
June per una volta nella sua vita, si lascia andare. Si abbandona nelle braccia di Ashton che la sollevano di poco da terra, e la poggiano sul suo letto nella sua stanza.
June resta seduta a gambe incrociate. Ashton accende la radio e ferma su una stazione dove stanno trasmettendo Nothing else matters dei Metallica. June non controbatte.
Ashton si siede accanto a lei e la avvolge tra le sua braccia, baciandole la fronte e mormorandole le strofe della canzone.
«Forse i Metallica non sono così male dopo tutto» commenta June, raggomitolandosi sul petto di Ashton che la guarda sorridendo.
«Se non fossi arrivato tu, forse adesso non sarei ancora viva» dice  guardando la sua garza «non avevo intenzione di spingere così tanto, ma so che se per sbaglio fossi andata più in fondo, non mi sarebbe importato»

April raccoglie le sue cose e cerca di superare la calca di ragazze che si è creata attorno a Sam. Doveva ammettere che era bello, ma quelle oche stavano esagerando.
«April non hai niente da chiedere?» domanda Janet maliziosamente alla compagna.
«No, ho seguito la lezione» replica e va via. Cammina veloce e scende le scale correndo; prima esce, prima fuma uno spinello.
L'eroina si conserva per le occasioni speciali.
La luce del sole illumina le strade di New York, ma nonostante i suoi raggi fa abbastanza freddo. Passeggia per le strade tranquilla, canticchiando Lou Reed e sorride alla gente che vede.
«Hey» April sta per entrare in un vicolo ma si gira. Si aspetterebbe Michael, ma la voce non è decisamente la sua.
Vede Sam dietro di lei che cammina. Ha un Fedora nero che gli copre i capelli e sorride mentre si avvicina ad April.
«Hey» dice titubante.
«Tu non avevi nulla da chiedermi?»
«No»
Sam ride.
«Sono Sam» le porge una mano e lei ricambia.
«Sai» continua Sam « non hai fatto altro che prendere appunti, tutta la lezione. Seguivi, ma sembravi assente. Cosa è che ti turba?» chiede sfiorandole il viso. April arrossisce, il ragazzo le sta mettendo una strana sensazione addosso. April tiene sempre resta a tutti, ma questi occhi verdi la stanno spogliando di tutte le sue difese.
«A niente»
«Sicuro che non pensi a questa?» ribatte estraendo un sacchetto con della marijuana.
April sbianca e istintivamente porta una mano nella tasca esterna della borsa. Tasta una busta di plastica, la sua droga c'è ancora.
Sam ride e apre la busta, iniziando a prepararsi uno spinello. Si poggia contro il muro destro del vicolo, vicino ad un secchio dell'immondizia.
«Tranquilla, mi faccio anche io» April sospira sollevata, e allora, inizia a preparare anche lei il suo.
Sam estrae l'accendino e gira la rotellina che fa scattare la scintilla. La fiamma nasce e brucia la cartina.
Iniziano a fumare in silenzio, per April è strano: è la prima volta che si droga con qualcuno.
La vista di April si appanna e lei si strofina l'occhio sinistro. La gola si fa secca, ma il suo cuore batte lento. Non c'è più nessuna ansia o preoccupazione; solo lei. Si lascia scappare un piccolo sorriso che non passa inosservato agli occhi di Sam. Si passa una mano tra i capelli e April getta lo spinello ormai finito.
«Dovremmo farlo più spesso, è divertente sballarsi in compagnia» ride.
«Hai decisamente ragione» dice Sam afferrandola per i fianchi «magari domani. Dopo le lezioni» e April annuisce ridacchiando. Lascia Sam li e si incammina a piedi ma lui la ferma, «ti offro un passaggio» e sale nella macchina del ragazzo.
È bianca, ci vorrebbe June per sapere che auto è, le sono sempre piaciute le macchine.
Si allaccia la cintura e Adam accende la radio.
«Ti dispiace se metto Lou Reed?»
«No, io lo amo. Metti Viscious» e Sam esegue gli ordini della ragazza dai capelli rosa, e iniziano a cantare, scuotendo il capo a ritmo di musica.

AYEEEE.

In quanti shippano Ashton e June?
Luke è un povero fesso, non ci possiamo fare niente. E Mr. Hudson? Povero piccolo, è così disperato che gli resta solo la matematica.
April si droga, dovrebbe fermarsi prima che sia troppo tardi: non si fa. E non si parla con gli sconosciuti come Sam, oh.
E Michael? Eh? Eh? EH!? Michael non si sa che fine ha fatto, Calum è sconvolto perché forse July è lesbica. Buh.
Spero che ci stia piacendo la storia e se vi è piaciuto il capitolo mettere una stellina o commentate, thank you.
*dammi i tuoi dolori e la tua rabbia, posso essere il pilastro che li sostiene: stendi il tuo mondo su di me, posso sopportarne il peso.
È la canzone a inizio capitolo, sentitela.
Il ragazzo nella foto è Sam.

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Capitolo 9
*** IX. rape me ***


IX. rape me

 

rape me- Nirvana

Calum è seduto sul letto di July. La camera della ragazza è ordinata e pulita.
«July, dobbiamo parlare» e la ragazza annuisce tremante. Cosa aveva combinato ora?
«Mi prometti che mi dirai la verità?» le chiede Calum affermandole le mani.
«Non posso mentirti» dice July avvicinando il suo viso a quello del ragazzo, che le sorride e le accarezza delicatamente la guancia, osservandola con i suoi occhi neri ammaliato.
La stava guardando come se fosse il mare alla fine dell'estate.
«È vero che sei andata a letto con June?» July impietrisce.
Prende un grosso sospiro e annuisce, poi inizia a raccontare.

23 Giugno 2015

July correva tra le strade buie, illuminate leggermente dai lamponi mal funzionanti. Il viso di James, pieno di rabbia e lacrime, continuava a comparirle davanti agli occhi.
Non era mai stata tanto brava a parlare July, e sicuramente lasciare James dicendogli «Jayjay io ho bisogno di finirla qui. Non posso perdonarti» non era stata una grande idea.
Aveva sbagliato, e lo sapeva.
Si sentiva in colpa, stava per piangere. Continuò a camminare per quei vicoli stretti, con le lacrime agli occhi, gliel'aveva insegnata proprio James quella scorciatoia per arrivare prima a casa.
Arrivò davanti al suo palazzo, un edificio di cemento e vetro, perfetto esempio di ingegneria moderna. Salì le scale correndo, ormai le lacrime le rigavano il viso, giunse davanti la porta di casa e entrò.
«July» urlò June, che la aspettava sul divano «come l'ha presa?»
«Allo stesso modo in cui la sto prendendo io ora» disse July asciugandosi il viso con il dorso della mano.
June si alzò e afferrò l'amica, portandola in camera sua, e facendola sedere sul letto. La abbracciò, senza dire nulla.
June sapeva quanto stesse soffrendo July, che aveva il viso tra i capelli corvini di June, e provava a trattenere le lacrime.
«July non piangere. Ha comunque abusato di te, nonostante il tuo problema» June prova a consolarla, accentuando la parola problema.
July annuisce, ha un problema, lo sa. È ninfomane. Ma al contrario di quello che tutti pensano, essere ninfomani non significa voler soddisfare il corpo. Significa voler provare piacere fisico per colmare il vuoto interiore e ignorare il dolore psicologico interno. L'aveva scoperto a 15 anni July di essere ninfomane: qualcosa non andava, non le bastava un solo ragazzo. E così aveva cominciato a lasciarne a milioni, uno dopo l'altro.
Poi però a diciannove anni aveva conosciuto James, e si erano fidanzati. Ora erano passati quasi due anni e July aveva deciso di aprirsi totalmente a James, ma qualcosa era andato storto.
Erano a casa del ragazzo, sul letto. E lei aveva trovato il coraggio per dirglielo e lui l'aveva afferrata per i fianchi e l'aveva sbattuta selvaggiamente sul materasso.
«Tanto ti piace, no?» James urlò con rabbia quelle parole guardandola con occhi intrisi di lussuria.
July scosse il capo per cancellare quelle immagini dalla mente, e si lasciò andare di nuovo tra le braccia di June, che amava il profumo della mora. Le piacevano i capelli di July, lunghi, mossi, color nocciola; che creavano un contrasto perfetto con quegli occhioni azzurri.
Le baciò la fronte e restò così, con le labbra appoggiate sulla pelle di July per un po' fino a quando lei non alzò il capo e le accarezzò il viso.
Forse June fraintese quel gesto- probabilmente amichevole- e si avvicinò tremante alle labbra di July, calde e lisce. Le passò le mani tra i capelli marroni e la tirò a se, e July non disse niente.
Stava li, e ricambiava. Succedeva spesso che baciasse qualcuno senza provare nulla, e così era.
June le mise le mani sui fianchi e July fece lo stesso, facendo passare le sue sulle gambe tatuate della ragazza.

Pochi minuti dopo in quella stanza c'era il silenzio totale, spezzato solo dai loro sospiri. I loro abiti erano sul pavimento.
June pensò di aver trovato quella giusta, finalmente.
July pensò di aver trovato solo quella con cui scaricare tutto il suo dolore.

Calum continua a passare la mano tra i capelli corti di July. Ora li aveva tagliati, lo fece perché voleva cambiare. I suoi occhi marroni incontrano i suoi azzurri, pieni di imbarazzo, e di tristezza, che stanno iniziando a riempirsi di lacrime.
«Calum io te lo giuro, tu per me non sei un passatempo, mi piaci davvero»
Ma il ragazzo ormai non capisce più niente, vuole solo spaccare la faccia di quel James.
Come si era permesso di toccare la sua July? E come si era permesso di fare una cosa del genere a qualcuno in generale?
Fissa July, e si avvicina al suo viso, sfiorandole la pelle con il naso.
Le bacia la guancia, il mento, i capelli, e la tiene stretta tra le sue braccia muscolose.
July lo bacia e lui sorride con le labbra ancora attaccate alla bocca della sua ragazza.

Pochi minuti dopo in quella stanza c'è il silenzio totale, spezzato solo dai loro sospiri. I loro abiti sono sul pavimento.
Calum pensa che non avrebbe mai dovuto dubitare di July, perché l'ha capito dal momento in cui l'ha guardata negli occhi che sarebbe stata perfetta per lui.
July pensa di aver trovato quello giusto, per davvero però, e non può fare a meno di sorridere e di fissarlo perché Calum è stupendo e non se ne rende conto.

Tic, tac. Tic, tac. Continua a fissare l'orologio, immobile. Il tempo scorre, e lui resta li, fermo.
Aspetta. Non sa esattamente cosa. Aspetta.
Aspetta che la vita gli dia delle risposte. Un segno, forse.
Un aiuto. La soluzione al suo problema. Ne ha tanti di problemi Luke, ma non fa niente: deve risolvere quel problema.
Ha le gambe strette al petto, i suoi occhi sono ancora puntati sulle lancette dell'orologio della sua camera da letto.
Sono le 11:23.
«Luke» lo richiama Michael «vai a fare la spesa, o moriremo di fame» ride. È più felice da quando passa del tempo con April.
Beato lui.
Luke si alza, non parla, e si avvicina all'angolo destro della sua stanza per recuperare le converse nere che ha gettato li. Si siede sul pavimento e si gira, osservandosi il volto allo specchio.
Ha la barba incolta, è da tanto che non ma fa, dovrebbe rasarla ma non ha forza. È più pallido del solito, con le occhiaie più marcate, e i suoi occhi sono arrossati, sfiniti, vuoti. Non c'è rimasto niente nei suoi occhi, se non l'azzurro pallido dell'iride.
Si fa forza e esce, camminando sul lato sinistro del marciapiede.

Posa tutto sul nastro trasportatore della cassa, ha la testa bassa. Spera di aver preso tutto quello che Michael gli aveva raccomandato, non ha la minima intenzione di scendere di nuovo a fare la spesa (tanto per inciso, quello incaricato di fare la spesa è lo stesso Michael).
Alza lo sguardo, solo dopo aver preso una banconota da porgere alla cassiera, e incontra gli occhi di October che lo fissano senza espressione. I loro sguardi si scontrano, Luke vorrebbe gettarsi a terra e cingere le gambe della ragazza, piangere, urlare, implorare perdono e chiedere aiuto. Ma sa che ad October di lui non frega un cazzo, no. A lei importa solo di Michael, lo legge nella sua espressione schifata quando sono assieme e dal modo in cui il suo viso cambia non appena incontra gli occhi verdi del ragazzo o incrocia la sua testa rosso- ciclo a seconda di Luke, fuoco secondo Michael. Eppure il fuoco non è mica rosso, Luke non l'ha mai capito perché si dica rosso fuoco, e magari non arancio fuoco. Scuote la testa e continua a guardare October, ha i dread laterali legati indietro, per evitare che le impediscano la vista.
«Mi dispiace» dice.
«Non parlo con i drogati» risponde.
Non si degna nemmeno di alzare lo sguardo dalla cassa.
«Ti prego, mi dispiace. Cosa cazzo devo fare? Non lo vedi che sto male anche io?» October continua a ignorarlo. Luke urla, batte il piede sinistro per terra ripetutamente. Ci sono solo loro due li dentro. E un silenzio fatto da urla represse.
October gli da lo scontrino senza guardarlo e Luke si passa una mano tra i capelli biondi, scompigliandoli stressato.
Le afferra il polso, October non so muove.
«Guardami. Dimmi qualcosa. Mandami anche a fanculo, ma ti prego, parlami»
La ragazza si gira e ruota la testa verso destra, ridendo alla vista di quella scena pietosa davanti a lei.
È ridotto uno schifo, ma a lei non importa, vero?
«Non parlo con i drogati» ripete.
E Luke le lascia andare il polso con forza, urla frustrato, poi si ferma quando October si alza improvvisamente.
«C'è qualche problema?»
Un uomo dalla statura imponente, dal portamento autoritario si avvicina.
«No, è solo un mio amico. Stava andando via» risponde October fermamente, come se stesse per impartire un ordine, e Luke obbedisce uscendo dal supermercato.

«Hai qualcosa da dirmi riguardo a una vendita di assenzio a un minorenne?»
Michael, cazzo.
Sta zitta, non sa che dire. La giornata non è iniziata bene per October, e le cose stanno peggiorando ogni secondo che passa.
È iniziato alle 4:23 della notte, quando si è svegliata improvvisamente in cerca disperata d'aria. Aveva le mani attorno al suo collo, sembrava stesse soffocando, erano ritornati.
Tremava, le mancava il respiro, il petto era pesante, le facevano un po' male le tempie, e le  persone che non erano nella sua stanza la stavano giudicando.
Si risveglia dai suoi pensieri quando la mano di Martin, il suo capo, le sfiora una guancia.
«Potrei anche chiudere un occhio questa volta» le sussurra all'orecchio tirandola più vicino a lui. Lei trema, ha già capito.
Si scosta e lui le afferra i polsi stringendoglieli, la blocca e October non può fare altro che stare ferma e sperare che questo finisca il più presto possibile. Martin posa le sue labbra sul suo collo, lasciandole un umida scia di saliva, facendola sospirare.
«Lo so che ti piace» bisbiglia infilando una mano nei jeans della ragazza, che si morde le labbra per non urlare; no. Non gli lascerà questa soddisfazione. Stringe le labbra sempre più forte, fino a quando un sapore amaro, ferroso, non si fa spazio nella sua bocca: sangue.
Martin allenta la presa, convinto che October non possa fare nient'altro, è così vulnerabile.
Lei ha paura. È solo un brutto sogno. Una visione, come quelle che aveva in rehab. Finirà tra poco, vero?
Ma non sta immaginando nulla, è reale, e October tira un calcio a Martin, prima che le faccia altro. Lui cade per terra, e lei scappa via. Le lacrime stanno per uscire e lei urla, sull'uscio «mi licenzio»
Corre via, velocissima. Le fanno male le gambe, ma continua a correre.
Scappa.
Le sue lacrime si perdono nel vento, si ferma in un vicolo e si butta per terra.
È una puttana.
Non sa farsi rispettare.
Cosa penserà la gente di lei?
Cosa penseranno le ragazze di lei?
L'ansia torna, le paranoie anche e l'ossigeno non basta. Si porta le mani al collo, sta soffocando, è paralizzata. Non c'è un solo muscolo che si muova.
Respira, ti prego.
Inspira, espira.
Si alza, forse ce la fa.
Si aggiusta un po' i capelli e si ripulisce dalla polvere, si specchia in una pozzanghera, e ci sputa dentro quando vede il suo riflesso.
«Ti odio» urla guardandosi.
Ci salta dentro, si infanga le scarpe ma non le importa, deve distruggere solo quell'orrenda immagine. Ci infila le mani dentro, l'acqua schizza sul suo viso e sui suoi vestiti, continua ad urlare contro l'acqua sporca, batte un pugno contro un muro e le sue mani si screpolano, ancora.
La tira indietro piano, accarezzandole i capelli. Luke era li.
Ha visto tutto.
Stava fumando una sigaretta dietro al cassonetto e si era accovacciato non appena aveva visto October, non voleva che lo vedesse. Si era alzato un poco, poi, e aveva visto tutto.
October continua a tremare, gli occhi sono intrisi di lacrime ma non riesce più a piangere.
Luke nota la macchia violastra sulla mascella della ragazza e gliela accarezza lento.
«Non mi toccare» strilla tirandosi indietro, finendo con la schiena contro il muro.
È colpa sua? Ultimamente tutte le ragazze con cui sta sono terrorizzate da lui, perfino quella prostituta quella notte.
Già, la notte che aveva passato con October.
La guarda e non vede la stessa tristezza di quella sera, ora vede paura.
Terrore puro.
Forse non è colpa sua. Prova ad avvicinarsi di nuovo.
«Non mi toccare, ti prego» implora, ma Luke la ignora e la prende in braccio.
Si sta sporcando tutto ma non fa niente, tiene October stretta a sé.
Ha paura. Ma non ha tanta paura di essere toccata di nuovo quanto non di non riuscire a difendersi.
È stanca di vivere così, forse dovrebbe solo morire.
Nasconde il viso nell'incavo del collo di Luke non appena sente le lacrime uscire di nuovo.
E lui le accarezza un poco la testa, ancora sporca di fango.
«Sh, calmati. Ti giuro che non ti farò niente Oct»

Luke sale le scale più piano, ha paura di cadere. Arriva davanti l'appartamento della ragazza e bussa.
Apre June, che ha ancora i polsi fasciati ed è in compagnia di Ashton.
«Che cazzo è successo?» urla allarmata.
«Non ne ho idea» Luke entra e segue June fino alla camera di October posandola sul letto.
Ashton lo richiama fuori e June torna pochi secondi dopo nella stanza stringendo nella mano una pillola.
October la prende in mano, è giallognola, non la vuole. Lei sta bene, non ha avuto un'altra crisi, non ci torna in rehab. Guarda gli occhi di June che la pregano di prenderla e la mette in bocca, ingoiandola velocemente con un po' d'acqua.
Restituisce il bicchiere a June e nota le sue bende.
«è successo di nuovo?» domandano assieme.
Sorridono amaramente abbassando il capo, poi annuiscono.
Si guardano in silenzio, si compatiscono a vicenda, e s'abbracciano per tenere l'una in piedi l'altra.

«Luke che è successo?» chiede Ashton.
«Io non lo so, secondo me il suo capo le ha fatto qualcosa stavo facendo la spesa e poi mi ha cacciato via e l'ho trovata nel vicolo che urlava contro il suo riflesso nella pozzanghera» parla freneticamente e a frasi sconnesse, gesticola «era disperata, non ho mai visto così tanto odio per se stessi» si passa una mano tra i capelli e guarda il pavimento «come si può reprimere tutta quella tristezza in un corpo solo?» domanda ad Ashton.
Lui ha sempre la risposta, è più grande, è quello che da sempre i consigli migliori, soprattutto a Luke che è appena diciannovenne ma questa volta Ash non sa proprio che dire e sta zitto.
June entra e si siede accanto a loro.
«Luke October non è triste, è depressa. È diverso» Luke alza un sopracciglio. Lui, personalmente, non sta bene, ma non è sicuramente depresso. Non sa nemmeno perché si stava facendo di cocaina, non ha nemmeno una ragione valida probabilmente, ha solo bisogno di una via d'uscita.
«Lei ha voglia di morire anche quando tutto è perfetto» continua June, e Ashton le accarezza la testa fissandole le braccia.
Anche Luke le ha viste le braccia di June, ma non ha detto niente. Chiederà dopo ad Ashton.
«Dorme?» chiede Luke e June scuote il capo.
Lui si alza e entra nella stanza, trova October intenta a fissare la parete con le cuffie nelle orecchie.
Cammina verso di lei e prova ad avvicinarsi a lei, ma si scosta subito.
«Mi dispiace» dice.
«Non parlo con i drogati» risponde.

AYEEEE.
Soffro per Luke e October però mi diverto troppo a farli litigare, capitemi.
Ceh in questo capitolo stanno solo loro.
Ah giusto July e Calum. Che pensate di July ninfomane? Poerella :(.
Comunque seriamente, la ninfomania è un problema psicologico, una malattia mentale quindi non prendete sta cosa sotto gamba.
Domani ho cogestione YEEE.
Avete visto Jet Black Heart? Ahh😍
MA LO SAPERE CHE VADO AL CONCERTO DI BIEBER? U R L O.
Qualcuno ci va?
Grazie per aver letto comunque, lasciate una recensione pls.

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Capitolo 10
*** X.Christmas ***


X. Christmas

 

Halsey-colors

È passata una settimana da quel giorno, e October non ha messo piede fuori dalla sua stanza se non per andare a pisciare.
July è seduta accanto a lei, prova a consolarla; infondo a lei era successa una cosa simile.
October non fa altro che fissare il vuoto, non riesce più a stare calma se qualcuno la sfiora, nemmeno se quel qualcuno è una delle ragazze.
Ad ogni contatto sente di nuovo quel tocco delicato, ma allo stesso tempo prepotente.

April e June sono in cucina, e si guardano sconsolate. Ora che October ha perso il lavoro sarà più difficile arrivare a fine mese. Certo, era June quella a portare la maggior parte dei soldi in casa, ma anche October faceva la sua parte, e adesso senza di lei non sanno cosa fare.
«Passerà» dice April.
E lo dice più a se stessa che a June, quasi per rassicurarsi; perché quello di quell'istante è il mondo reale e nessuna droga può aiutarla ad evadere.

Passerà. È il 23 dicembre.
La routine è sempre la stessa, June va a lavoro e accompagna April all'università, July si alza e cucina e October resta ferma.
Sembra una capsula del tempo la sua stanza, da quando Luke l'ha lasciata li nulla è cambiato. Le scarpe infangate sono ancora ai piedi del letto, July le aveva posate ma October le aveva prese e le aveva rimesse dove erano. Forse era anche un po' per dispetto, ma per October tutto doveva restare così come era quel giorno.  Ha paura di andare avanti, che succeda di nuovo. E per lei è ancora il 12 dicembre, non si è nemmeno accorta che è 23.

Luke tutti i giorni, non appena esce dall'università corre a casa dalle ragazze e prova a vedere October, ma lei non vuole vedere nessuno. E così parla con July e le altre, vuole solo che la sua October stia bene, vuole che acquisti la sicurezza che aveva quella sera alla festa a casa loro.
Una sicurezza che fungeva da travestimento perfetto per nascondere tutte le sue ansie e le sue paure.

E anche oggi, Luke sale le scale con la speranza che October apra quella maledetta porta. Suona il campanello. Sente dei passi. È July ad aprire.
«Come sta?»chiede.
«Non lo so. Non è ancora uscita»
Luke sta per andarsene, quando July lo ferma.
«Luke io e le altre avevamo pensato di fare qualcosa per passare il Natale, vi va di passarlo con noi?»
«Si»risponde accennando un sorriso «penso che ci farebbe bene»

Michael si aggiusta i capelli rossi allo specchio, fissando la sua immagine. Continua a passare le dita sporche di gel tra le sue ciocche in modo da ottenere un risultato decente, ma non è soddisfatto. Apre il rubinetto e si lava le mani, passando con cura il sapone e sciacquandole, è sempre stato un maniaco dell'igiene personale. Esce dal bagno lasciando la porta socchiusa, la chiuderà Luke come sempre.
La porta di casa si apre e Michael si avvicina al biondo che getta subito la borsa a tracolla sul pavimento.
«Passeremo il natale con le ragazze comunque» dice, e Michael sorride: passerà il natale con April.
«Come sta October?» chiede.
«Non vuole vedere nessuno, specialmente me» sospira esasperato, estraendo una sigaretta; Michael lo blocca.
«Avevi detto che avresti smesso»
«Ho bisogno di ricominciare» e Michael allenta la presa permettendogli di accendere la sua sigaretta. O il fumo, o la cocaina.
«E se andassi io da October?»
A Luke si ferma il cuore, non deve.
Perché Luke sa quanto October sia attratta da Michael, deve essere lui a salvarla non Michael.
Non può permettere che lui scenda. Eppure, mette da parte l'egoismo, perché sa che forse Micheal la renderebbe felice, e magari la farà uscire da li perché Michael con le parole è sempre stato bravo. Alla fine senza dire nulla, annuisce, mentre caccia una nuvoletta di fumo.

Michael bussa con due calci contro la porta delle ragazze, è sempre delicato.
July apre nuovamente la porta, e quando si trova davanti Michael sobbalza sorpresa.
Il ragazzo entra, i suoi anfibi risuonano sul parquet sopra il quale si inizia ad accumulare un po' di polvere, July non pulisce più.
«Posso andare da lei?»
«Bussa e vedi che dice, la sua stanza è l'ultima a sinistra»
Michael continua a camminare, e arriva davanti la stanza di October. Ha la porta bianca che produce un sonoro toc toc non appena lui bussa.
«October sono Michael, posso entrare?» non risponde. Michael apre la porta e la schiuse abbastanza per poter notare October, seduta sul letto. Ha i capelli in disordine, la matita nera leggermente sbavata sotto i suoi grandi occhi caramello.
Si avvicina a lei e si siede sul letto, quando lei si accorge della presenza di Michael sbanda, è come se fosse tornata in vita.
«Michael»
«Hey Oct» le accarezza una gamba, ma lei subito si tira indietro «Mi dispiace»
«Dispiace anche a me» risponde.
«Domani passeremo il Natale assieme, ti prego, puoi uscire dalla stanza domani sera? Fallo per me»
October annuisce.
«Come stai?» chiede lui.
«Non ne ho idea»
«Vorrei darti un abbraccio» dice Michael «ma so che non vuoi essere toccata»
«scusami. Grazie comunque»
«E non stare sempre li a scusarti come se fosse sempre colpa tua» Michael fissa October dritto negli occhi «Tu vali Oct, ripeti»
«Tu vali» dice nuovamente Michael
«Io valgo»
«Sembra la pubblicità della pantenne» commenta il ragazzo e October scoppia in una fragorosa risata, gli occhi di Michael brillano e anche i suoi.
«Vedi? Ti ho fatto ridere» urla Michael felice, saltellando per la stanza.

June indossa un vestito a maniche lunghe grigio, aderente. I suoi capelli neri sono raccolti in uno chignon ordinato. Non è mai stata brava a farsi i capelli e così si è fatta aiutare da July. Non appena ha saputo di Ashton ha sorriso, e ha abbracciato la ragazza, ora sembra essere tutto come prima.
E il ricordo di quella notte si fa sempre più sfocato nelle loro menti, come se fosse stato un sogno o un'allucinazione dovuta al troppo alcool, piuttosto che qualcosa di reale.
July ha uno strano velo di felicità addosso, sarà l'atmosfera natalizia, si è dimenticata come è sentirsi tranquilli, senza preoccupazioni.
April è seduta sul letto di October che sta scegliendo cosa indossare. April la aiuta ad alzare la zip di un pantalone nero a vita alta, che abbina ad un maglione bianco. Gli Aerosmith risuonano nella stanza, e la loro musica distrae October dai suoi pensieri aiutandola a pretendere di stare bene, almeno per quella sera.
«October» bisbiglia April «ti voglio bene» e la abbraccia, mentre sono ancora sedute sul letto. October trema un po' ma si rilassa e cerca di convincersi che le braccia attorno al suo corpo siano quelle di April, perché è così.
Ha sempre avuto questi scatti d'affetto April, ha sempre il bisogno di dimostrare che per gli altri c'è sempre.
«Anche io April»

I ragazzi entrano nell'appartamento delle ragazze portando non solo delle bottiglie di vino, ma anche tanto casino e allegria. Quelle quattro sono sempre abbastanza silenziose, e avere una presenza maschile non fa altro che movimentare l'atmosfera. Si siedono al tavolo rotondo, apparecchiato perfettamente da July. Nulla è fuori posto, forse solo un po' loro.
Iniziano a mangiare la pasta scherzando, e aspettano che June e July portino il resto delle portare a tavola. Intanto tra un piatto e l'altro fumano. Luke estrae una sigaretta, e la accende contro la fiamma di una delle candele che sono a tavola. Si sente picchiettare una spalla e si gira a destra, notando October che accenna un sorriso.
«Ne hai una anche per me?» gli porge quella che ha già acceso e non può fare a meno di notare quanto sia bella October senza trucco. La sua mano è lunga e affusolata, stringe la sigaretta tra medio e indice inclinandola prima verso il basso, portandola poi verso le labbra rosee. Continua a muovere il piede sinistro sotto il tavolo, sfiorando la gamba di Luke che si chiede che cazzo stia succedendo nella sua mente.

«Non so da quanto tempo non mangiavo così bene» commenta Michael appoggiando la testa sulla spalla di April, che gioca con il cellulare. July li guarda sorridendo;
«Ma alla fine voi due state assieme?» chiede indicandoli.
Michael diventa dello stesso colore dei suoi capelli mentre April ignora l'amica, non stanno assieme.
Sono solo amici.
Gli occhi verdi di Michael incontrano quelli blu di April che ridacchia divertita, e gli posa un bacio sulla guancia. Sono passate ventisei ore dalla sua ultima dose di eroina e lei inizia a sentirne gli effetti; ma non può assolutamente farne un'altra, deve resistere.
«Che ne dite di cantare qualcosa?» propone July e Ashton si alza, sedendosi sullo sgabello davanti al piano che hanno le ragazze.
«Penso che almeno su questa canzone saremo tutti d'accordo» dice, prima di iniziare a premere i tasti bianchi e neri.
June è sorpresa, non sapeva che Ashton suonasse. Sta intonando una tipica canzone natalizia, poi il ritmo cambia e lei riconosce subito le note di "Hey Jude" dei Beatles.
«Hey June» canta e lei arrossisce coprendosi metà viso con le mani mentre gli altri ridacchiando divertiti «don't take it bad, take a Christmas song and make it better»
Calum riempie i bicchieri di tutti con un altro po' di vino e propone un brindisi.
«A noi» urla, facendo cin-cin con gli altri.
July gli da la mano e lo porta in camera sua, facendolo sedere sul letto.
«Disegni?» chiede notando le tele e tutti i colori sparsi sulla scrivania. July annuisce. Gli occhi di Calum si posano su della pittura rossa, si alza e si sporca le dita, per poi pulirle sul viso di July.
«Calum!» urla lei, bagnando il suo indice e il suo medio nel blu e disegnando sulla pelle olivastra del ragazzo. I due continuano così per un po' colorandosi la pelle.
«Vieni qui e facciamo un po' di viola» bisbiglia Calum afferrando i fianchi di July e portandola su di lui.
In meno di pochi secondi la schiena di Calum è piena di graffi blu, mentre la pancia di July è tutta rossa. Calum ride e disegna un cuore su quest'ultima facendole il solletico.
I loro corpi iniziano a tingersi di lilla, fino a quando si fermano per riprendere fiato. Si fissano per un istante sorridendo e Calum scosta il ciuffo biondo di July dalla sua faccia, e ridono felici; Calum si abbassa e si rimette i boxer, per poi prendere una sigarette a accenderla stendendosi accanto a July.
«Fammi fare un tiro» dice e Calum le avvicina il filtro al viso, per poi tirarlo via e le mette una mano sulla guancia, baciandola dolcemente.
«Siamo due idioti» commenta July, poi, fissando tutte le coperte bianche sporche di pittura: erano bellissime.

October si alza e torna in camera sua, Luke la segue. Si siede sul letto e sta ferma, di nuovo. Luke è esausto, non ce la fa più a vederla così. Si lancia sul letto accanto a lei e la abbraccia forte, da dietro, nonostante October stia tremando come una foglia lui non la lascia andare.
«Sh, non ti farò niente»
Respira forte October, si copre gli occhi con le mani e cerca di tenere la calma.
«October basta» urla Luke stringendole le mani «reagisci cazzo. Sai quale è la verità?
La verità é che la felicità ti fa tremendamente paura. Pensi sempre di non meritartela. E stai lì a pensare a delle ferite già cicatrizzate, a scavare dentro di te in cerca di qualche errore che ti faccia convincere di non meritarla davvero, la felicità. Mischi i pensieri con le emozioni, usi la testa al posto del cuore.
Devi imparare a pensare meno e a sorridere di più. Perché te lo meriti, cazzo»
E October non risponde, non fa altro che avvicinarsi a Luke e pretendere di abbracciarlo per prendergli il pacchetto di sigarette dalla tasca posteriore dei suoi skinny neri. Però forse, un po', lo voleva abbracciare veramente.
Si accende una sigaretta e Luke la guarda scuotendo il capo ridendo amaramente.
«Non hai ancora intenzione di parlarmi?»
«Forse»
«Ti giuro che ne sto uscendo»
«Sarà meglio per te» risponde, spegnendo il mozzicone di sigaretta nella ceneriera trasparente che aveva sul comodino accanto al letto.
«Grazie comunque» sussurra stendendosi accanto a Luke, che si avvicina a lei.
«Cosa hai detto? Non so se ho sentito bene» ride.
«Hai sentito benissimo invece»
October si alza e Luke la segue, sta per darle un innocente bacio sul collo, quando lei si allontana di scatto.
«Scusami, avevo dimenticato» farfuglia toccandosi il collo, e lei scuote il capo.

«3, 2, 1» contano assieme «auguri!»
April è in piedi sulla sedia e apre lo champagne, July è leggermente ubriaca a causa del troppo vino e forse è per questo che non ha ancora urlato contro April perché è sulla sedia senza essersi prima tolta le scarpe, o forse è semplicemente perché non riesce  a non togliere gli occhi da Calum che sorride e mostra le sue fossette ogni volta che si guardano.
June continua a scattare foto a qualsiasi cosa, specialmente ad Ashton che ormai è con le mani davanti al viso da una decina di minuti.
«Okay basta, facciamone una assieme» dice e si avvicina a June che imposta l'autoscatto e bacia la guancia di Ashton lasciandogli un ampio segno di rossetto rosso.
«Ragazzi!» urla «dobbiamo necessariamente fare una foto di gruppo, tutti qui» June si alza e posizione la macchina fotografica sul treppiedi, e si mettono in posa.
Lei si siede accanto ad July che è seduta imbraccio a Calum. Ashton è alla sua sinistra che le stringe le mani e sorride. Michael è in piedi tra April e October; la prima fa una delle due solite facce buffe, mentre l'altra sorride e mostra un sorriso perfetto, come se l'avesse provato più volte di nascosto nella sua camera. Luke è accanto a lei e ride, mostrando la lingua tra i suoi denti.
«Ragazzi io devo scappare» dice April afferrando il cappotto.
«Dove vai?» chiede Michael, che si rattrista in pochi secondi. Ha la sensazione che anche April lo abbandonerà, anche se alla fine loro non sono mai stati niente.
«Da un amico, devo portargli una cosa» risponde, e afferra la borsa nera prima di scendere le scale correndo.
Va da Sam.
Non ce la fa più, ha bisogno di un'altra dose, e sa quanto sia sbagliato e che non è il momento adatto, ma sente che sta per avere una crisi d'astinenza e uno spinello non servirebbe a niente se non a peggiorare la situazione.
Apre la portiera della macchina e mette in moto, dopo essersi legata velocemente i capelli rosa per impedire che le cadano sugli occhi blu, e poi, parte.

AYEEE.
Che palle. Che palle. Sono l'unica che si scoccia la vigilia? Ho il telefono a 27%, cazzo :c
Sto fissata con Girls dei 1975, li amo, ciao.
Cosa dire? July a Calum hanno sporcato tutto con sta vernice, ma io non lo so, poi July si lamenta che deve pulire, mah.
Ashton e June sono adorabili, ceh e Ashton che le canta "hey June", ciccino proprio.
October è proprio troia, mamma mia, una così stronza e acida non l'ho mai descritta, sto soffrendo troppo ho bisogno di farli mettere assieme.
Comunque questo era tipo un capitolo bonus perché è natale quindi alla fine non succede un emerito cazzo, volevo solo dirvi buon natale, che poi oggi è la vigilia però sh.
April è partita, ciao ciao, ora si fa Sam :( 🙊
Avevo intenzione di scriverlo in questo capitolo però poi ho pensato "NAHHH, LE FACCIO SOFFRIRE" equindi ehehehe.
Grazie per aver letto questo sclero, buon natale e abboffatevi. 💙😍🎄🎅
PS:recensite.
PPS: non ho riletto quindi perdonatemi gli orrori di battitura.

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Capitolo 11
*** XI. is it your first time with a boy? ***


XI. is it your first time with a boy?

 

falling for you- THE1975

Ci sono tante ragazze sole, e quasi nessuna di queste vi dirà chiaramente che soffre, perché, le ragazze sole- sole e ferite- hanno imparato a cavarsela, a camminare sulle proprie gambe e (forse) ce la fanno. Eppure ognuna di loro, nessuna esclusa, la sera prima di addormentarsi esprime sempre lo stesso desiderio "fa che domani sia felice, che vada tutto bene" e si addormenta piangendo per paura che domani sarà un giorno come tutti gli altri-come July- o ridendo, perché magari è una di quelle sere in cui ci credono un po' di più-come April.
Cercate di capirle, le ragazze sole. Prosciugate dall'attesa di qualcosa che forse non arriverà mai, e che le svuota completamente della loro esistenza.
Ma sopravvivono, pure se sono vuote.

Anche la tazza infondo, ama sentirsi vuota perché ama l'idea di potersi riempire quando vuole, di ciò che vuole.

Lo sa bene July, che da quel 23 giugno viveva in bianco e nero. Non aveva più niente, James l'aveva privata della propria esistenza e July si era lasciata uccidere, incapace di difendersi.
Eppure ora la sua vita sta riacquistando colore. È bastato vedere Calum ridere, ammirare i suoi occhi e le sue labbra, il modo in cui la sua mano accarezza cauta la pelle di July.
Adesso sono le 3.00 di notte, e sono abbracciati, nudi e ancora colorati nel letto di July. Sono ritornati li dopo le foto, si sentono bene nell'oscurità, pelle contro pelle, senza segreti, senza barriere.

Lo sa bene anche April che il bello di essere vuoti è trovare palliativi nelle cose più impensabili.
Alla tenera età di cinque anni April era già intelligente, il padre lo sapeva bene che la sua bimba era dotata di un acuto intelletto. E così la notte prima di andare a dormire, non le raccontava più le fiabe ma iniziava a narrarle dei poemi omerici, degli eroi che combattevano nel passato, dei miti dell'antichità, e la piccola April ascoltava attenta, i suoi occhi luccicavano, guizzando da una parte all'altra della parete dove le mani del padre illuminate dall'abat-jour che aveva sul comodino disegnavano ombre che prendevano forma sul muro rosa della sua stanza.
Sentire quelle storie era un palliativo* per lei all'età di cinque anni.
April decise che avrebbe studiato lettere classiche, proprio come il papà.
All'età di dodici anni aveva scoperto quanto fosse crudele il mondo, quando vide suo fratello piangere nel bagno di casa. Suo fratello, Evan, che era sempre stato il suo punto di riferimento, come il padre.
Forte, bello, sorridente; ridotto ad un bambino indifeso per chissà quale motivo. Lei l'aveva visto guardarsi allo specchio, e lacrimare. Estrarre qualcosa dalla sua tasca posteriore dei jeans e accenderla, non era una sigaretta, cacciava un fumo troppo denso.
Era la prima canna che April avesse mai visto. E vide il viso di suo fratello cambiare espressione e diventare da triste ad allegro, ma ad un allegro che aveva qualcosa di spaventoso e malsano. Malato.
April decise che non avrebbe mai fumato una canna.
Ora all'età di ventidue anni e tre quarti April bussa la notte di Natale al portone di Sam sperando che apra senza fare troppe domande. E così è.
Sale le scale e arriva davanti ad una porta marrone chiaro socchiusa, dalla quale spunta il profilo di Sam.
«Buon Natale» dice facendola entrare.
«anche a te»
Sam accompagna April nel soggiorno dove sobbalza alla vista di un'altra figura.
È il ragazzo che le diede l'eroina; quello che aveva gli stessi occhi di Sam.
«April scusami, lui è mio fratello, non»
«Già ci conosciamo» confessa lei «la presi da lui la droga»
«Ma non ci siamo mai detti i nostri nomi, sono Peter» April si presenta sedendosi sul divano di pelle bianca, accavalla le gambe elegantemente come le aveva insegnato la mamma all'età di undici anni.
«Ho bisogno di una dose» implora.
Gliela danno.
Si spoglia, alza la manica del maglione azzurrino e Sam le lega un laccio emostatico attorno al braccio. Peter gli passa una siringa e una volta trovata la vena Sam le inietta l'eroina nel sangue. April si lascia scappare un gemito dalle labbra, prima che tutto si fermi.
Passano quindici minuti prima che l'eroina inizi a fare effetto e lei, intanto, si alza e si siede accanto a Sam che si è appena tolto l'ago dalla pelle.
La vista le si offusca un po', si morde il labbro e da dentro alle scarpe tende le dita dei piedi, è una delle prime sensazioni dell'eroina: il senso di orgasmo e benessere in tutto il corpo.
April sospira, poi si lascia andare sul divano, chiude gli occhi e sorride.

Michael strimpella la sua chitarra da solo, sono le 4 di notte. Luke bussa alla sua porta e senza aspettare una risposta entra.
«Che hai?» chiede.
Micheal scuote le spalle.
«Paura, credo»
«Di cosa?»
«Di tutto»
Luke si siede accanto a Micheal sul letto e guarda l'amico intento a comporre qualcosa. Ha i capelli rosso arruffati, eppure sembrano in ordine, ha lo sguardo puntato sulle corde della chitarra, le sue ciglia lunghe incorniciano il suo viso pallido dove spicca un taglietto rosso a destra del mento, se l'è fatto mentre si faceva la barba, Michael la mano ferma non l'ha mai avuta: anche adesso trema.
«Dove è April?»
«Da Sam» Luke lo guarda con aria interrogativa e Michael spiega « uno degli assistenti della professoressa all'università, ha detto che era urgente» Luke annuisce, Michael è spaventato.
Ha paura che April possa preferire Sam a lui perché lui non è mai stato bravo a scuola, anzi la odiava proprio la scuola. La mollò a sedici anni, e non se ne pente affatto. Invece Sam è laureato, è un uomo di cultura a differenza di Michael che l'unica cultura che ha è quella musicale.
«Michael» sposta lo sguardo dalle corde della chitarra focalizzandolo sulla figura di Luke in controluce «andrà tutto bene» dice e va via.
Michael ritorna alla sua chitarra e suona, prende un quaderno e annota gli accordi, gli è sempre piaciuto scrivere canzoni.
Ne scrisse una ad Shyla una volta, "wrapped around your finger", gliela cantarono tutti e quattro sotto la finestra. Se loro ricorda bene Michael quel giorno, in Australia, con il freddo pungete di Agosto, tutti stretti nel pulmino di Ashton a bestemmiare contro Michael perché erano le tre di notte e non era l'ora migliore per una serenata sotto casa di una ragazza ma lui non ci diede peso e scesero, ognuno con il proprio strumento, attraversando la strada impacciati e fermandosi proprio sotto il balcone dell'ex di Michael.
Era tutto più facile due anni fa, prima di muoversi in America e scegliere di ricominciare tutto da capo.

Michael scuote la testa scacciando i suoi pensieri e riprende a suonare, anche per coprire i rumori che provengono dalla stanza di Ashton che lasciano poco all'immaginazione.

«Fa piano» bisbiglia.
Le sue parole si confondono con i loro respiri affannati, le ombre dei loro corpi si stagliano scure sulla parete bianca. Dentro è buio, la luce proviene dalla Luna e dai lampioni mal funzionanti di Harbour Road.
«È la prima volta con un ragazzo?» chiede Ashton. Le sue pupille si dilatano nel vano tentativo di mettere a fuoco l'immagine di June, nuda sotto di lui.
Ha la frangetta che le ricade disordinata sulla fronte, il suo rossetto è sbavato, ma nonostante tutto resta sempre bella.
Bella da mettere in un quadro, bella da fotografare.
«Si» risponde.
«Sei sicura?»
June non risponde. È sicura? Ha vissuto ventitré anni della sua vita convinta di essere lesbica, vuole davvero che Ashton le porti via la sua sessualità? Andando con Ashton perderebbe tutto quello che ha creduto di essere ma alla fine, non le importa. Perché lei non è niente.
June non ha dignità, non ha più sogni o speranze, non ha più nulla. L'ultima cosa a cui si aggrappava era la certezza di essere lesbica e quindi di voler trovare la ragazza giusta: è sicura di volere un ragazzo, ora?
Eppure Ashton è quello che le ha curato le ferite causate da quello che credeva fosse il suo vero amore.
«Si ash» risponde dopo una pausa di pochi secondi che per il ragazzo sembrano un'eternità.
E lui si muove piano nell'oscurità, anche la sua ombra inizia a muoversi, così come quella di June.
E da statue ferme, nere, ora sembrano due fantasmi leggeri impegnati in una lotta che sembra più una danza leggera. La schiena di June si inarca ogni volta che lui le morde il collo, le punte dei suoi piedi si tendono così come tutti i suoi muscoli per contenere il piacere che le invade il corpo.
I muscoli della schiena di Ashton si contraggono ritmicamente, mentre i ricci bagnati gli ricadono sulla fronte in una maniera che sembra quasi ordinata e predefinita.

La mattina arriva in fretta.
October si alza dal letto, ancora assonnata, e cammina a piedi nudi verso la cucina. C'è tanto silenzio in casa, June è al lavoro, July è da Calum e April è... in cucina.
«Quindi l'articolo indeterminativo "un" si mette apostrofato solo dinanzi a sostantivi femminili, capito?»
È seduta dritta. Composta. Ha i capelli legati in una coda alta tenuta ferma da un elastico rosa. Porta un jeans e una maglietta, ha anche dell'eye-liner sugli occhi. Sta facendo ripetizioni; seduto di fronte a lei, dall'altra parte del tavolo c'è un bimbo, avrà sui sei- sette anni anche a giudicare da quello che gli sta spiegando April. Ha i capelli marroni pettinati verso sinistra, sono ricci e tenuti a bada in malo modo da troppo gel.
Il bimbo annuisce.
«Si ho capito. Un uomo va senza apostrofo, un'oca con l'apostrofo. Vero?» domanda poi incerto mordendosi l'unghia del mignolo.
«Si bravo!» April gli da il cinque. October entra, noncurante delle sue condizioni e si avvicina al lavandino, si mette in punta di piedi e estrae un bicchiere dalla credenza. Gli occhi marroni sono contornati da occhiaie profonde, i suoi dread sono un disastro. Prende il succo di arancia che si è fatta April e lo versa nel bicchiere. Il bambino la guarda incuriosito, non l'ha mai vista una ragazza così... selvaggia. Si, selvaggia è l'aggettivo adatto. Sembra una di quelle scimmie che vede nei documentari, è stanca, ha gli occhi smorti e ha i capelli tutti in disordine; non sembra nemmeno una ragazza. Continua a fissarla, prende una bottiglia trasparente e aggiunge il liquido nella sua aranciata, poi prende una sigaretta e l'accende. Si poggia con al schiena contro il frigorifero e continua a guardare la lezione.
«Chi è lei?» domanda il bimbo, indicandola. October caccia una nuvola di fumo.
«È una delle mie migliori amiche George» dice April guardando la ragazza preoccupata.
«Sono October» gli tende la mano sinistra e il bambino la stringe.
«Hai una bella mano, è morbida» ride «sembra la mano di mamma. Però mamma non è triste, perché tu sei triste?» chiede. October continua a guardarlo mentre fuma. Odia i bambini.
«George continuiamo se no non finiamo in tempo dai» April attira l'attenzione del bambino sui libri di grammatica di prima elementare e October va via, nella sua stanza.

Lei non è triste, le sta bene.

Spegne la sigaretta nel posacenere che ha in camera sua e ripensa ala conversazione che ha avuto con Luke l'altro giorno, a Natale. Sorride un po'.
April bussa alla porta di October e entra senza aspettare una sua risposta.
«Devo accompagnare George a casa.
Ti prego Oct, prova ad uscire con me»
October scuote il capo.
«Ti faccio scegliere la musica in macchina»
Ridacchiano e dopo poco October è seduta accanto a April nella macchina June, e mentre lei guida, October sceglie la musica e ovviamente imposta i guns'n'roses in riproduzione casuale.
George è seduto dietro e continua a fissare October che sembra più pazza che triste adesso perché sta cercando di ballare nel piccolo spazio che ha, fa dei movimenti limitati a causa della cintura e ha un'altra sigaretta in mano.
La passa ad April e George spalanca gli occhi, non se lo sarebbe aspettato da April, ha sempre associato le sigarette alle persone cattive ma April non è cattiva e nemmeno October sembra essere cattiva.
Parcheggiano e October resta in macchina mentre April e George scendono e si dirigono verso una casa bianca.
April sorride quando un uomo esce dalla porta.
George abbraccia l'uomo.
October si porta una mano alla bocca per non urlare e si abbassa, anche se è lontana ed è impossibile che lui la riconosca dall'auto ha paura. È Martin.

October sta per avere un'alta crisi ma sta zitta, ha paura, trema, continua a fumare e si aggrappa alla sigaretta come se fosse una bombola d'aria. Non sa che fare.
Vorrebbe urlare ma non può.
Posa la testa sul sediolino accanto al suo e canticchia ad alta voce ma i ricordi del giorno in cui era stata quasi stuprata riaffiorano nella sua testa.
Spegne la sigaretta nella ceneriera che è in auto e si tocca la tempie, stringendole per far andare via quei pensieri, ma non ce la fa. Si alza e da una testata sul cruscotto dell'auto. E poi un'altra. E un'altra ancora. Sente un po' di sangue scorrere dalla sua testa.
April torna sorridente e il suo sorriso svanisce quando trova October rannicchiata su se stessa, con la fronte sanguinante.
«Che cazzo hai fatto?»
Non risponde. Indica la casa.
«Non dirmi che quell'uomo è» e lei annuisce prima che April finisca di parlare.
«Andiamo a casa» dice.

Luke e Michael bussano insistentemente alla porta delle ragazze.
April apre.
Senza dire una parola entrano e Luke va davanti camera di October. Bussa.
Non risponde. Apre la porta. Butta la borsa per terra e si siede ai piedi del letto quando la vede dormire. È così bella. No, non è vero. Oggettivamente October non era bella, no.
Aveva gli occhi marroni, niente di speciale, quei dread le davano un aspetto da tossico dipendente, aveva il naso storto, le labbra screpolate però nonostante ciò era bella.
Luke continua a guardarla e le scosta qualche dread dalla fronte, e vede un cerotto sulla tempia destra.
Sospira preoccupato e si accende una sigaretta.
Le accarezza una guancia con l'indice della mano destra e October si muove un po'. Luke continua ad accarezzarla piano, ridendo divertito: è adorabile. Caccia un po' di fumo e le tocca di nuovo la guancia. October apre gli occhi di scatto, spaventata. Come ha fatto Martin a trovarla? Si alza e tira uno schiaffo contro di lui.
«Cazzo che male»
October porta le ginocchia al petto, sta ferma. Martin si alza e le viene vicino, si siede accanto a lei.
«Ti prego non mi fare del male di nuovo, ti prego» implora.
Sente la sua mano sulla sua guancia, ha gli occhi chiusi non vuole vederlo.
«non mi toccare» bisbiglia. E Martin ritira la mano.
October apre gli occhi e vede Luke davanti a lei, che la fissa insistentemente con i suoi due occhi blu.
«Oct stai bene?» scuote il capo mentre i suoi occhi si riempiono di lacrime. Luke apre le braccia e invita October a ripararsi tra queste ultime, e lei si siede tra le sue gambe.
«mi dispiace»
«sh, non dire niente»

Michael e April sono in cucina. Hanno sentito tutto quello che è successo, lei ha le mani tra i capelli, non sa più cosa fare.
Michael vorrebbe tanto aiutarla October, ma non sa come.
«April che cosa possiamo fare?»
«Nulla. Lo deve superare da sola, così come ha fatto July»
Michael sospira e si alza, apre la finestra e fa entrare un po' di aria pulita, c'è troppa puzza di fumo.
«Che hai fatto ieri da Sam?» chiede.
«Nulla di che»
«Mh»
«Sei geloso?»
«E di cosa? Non stiamo nemmeno assieme»
«Vedi? Allora non essere arrabbiato con me se vado da Sam»
«non sono arrabbiato»
April si alza e si mette accanto a Michael.
Si guardano negli occhi per una manciata di secondi, per poi baciarsi.
Ci mettono un millesimo di secondo per avvicinarsi, si mangiano la pelle, baciano la carne dell'altro desiderosi, violentemente.
Michael tiene stretta a sé la figura di April che passa le mani tra i capelli di Michael.
«Finalmente» commenta lui.
E lei, ride.









AYEEE.
Boh fa cagare volevo solo aggiornare, gli altri capitoli saranno migliori perché succedono cose belle ehehehe.
April si droga da Sam ma finalmente si è baciata con Michael yee.
Calum e July sono ancora sporchi , si scocciano di lavarsi.
June e Ashton hanno scopato ehehe 😏
October ha avuto un'altra crisi, c'è la farò mai a farla fidanzare con Luke? Boh. Credo che io stia iniziando a shippare più October e Michael che lei e Luke, help.
Lasciate una recensione please, e magari dite che questa storia è bella (lo so che fa cagare però sh)

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Capitolo 12
*** XII. Heroes ***


XII. Heroes

 

Space Oddity- David Bowie

 

«Ti amo»
«Ti amo»
«Mi piacciono i tuoi capelli»
«A me piace il tuo piercing»
«Amo i tuoi occhi»
«Zitto e baciami»
Non si è sentito altro nella stanza di Michael, la notte del dieci gennaio.
Ora è mattina, lui è avvinghiato al corpo di April che dorme serena mentre gli stringe la mano.
Sono passate due settimane e i due stanno sempre più vicini, ancora più affiatati di quanto già non lo fossero, Michael è più felice, e anche April.

Apre gli occhi e accarezza la mano di Michael sul suo fianco. La scosta delicatamente e gli aggiusta le coperte, lasciandogli un bacio sulle labbra per farlo dormire ancora un po'.
April si dirige in cucina, e stringe le braccia al petto, nascondendo le mani nelle maniche della sua maglia, ha freddo.
Prende uno yogurt dal frigo e inizia a mangiare in silenzio; troppo silenzio. Accende la TV. Lo schermo si illumina e comprare una giornalista della BBC, July era sempre ossessionata dal telegiornale, lei lo odiava. Inizia a cercare il telecomando per cambiare canale, poi si blocca e si gira verso la televisione. Trema. Cammina piano. La sfiora con un dito. Non è possibile.
April si siede per terra, apre la bocca per urlare ma non un singolo gemito esce. Non è possibile.
Non può essere vero. Fino al giorno prima andava tutto bene, come è potuto succedere in una sola notte? Forse sta esagerando. Forse è una notizia falsa. Afferra il cellulare e cerca su internet, non si fa che parlare di lui. È morto. E non c'è nulla da fare. Si porta una mano alla bocca per coprirla, mentre le lacrime continuano a scorrerle lungo il viso.

Michael apre gli occhi, le sue pupille si dilatano mettendo a fuoco la stanza di April, nonostante l'oscurità. Tasta lo spazio accanto a lui, vuoto. Sente ancora il suo profumo allo zucchero filato, le lenzuola ne sono impregnate; così come la sua anima. Guarda l'orario sul cellulare, che rivela come sfondo una loro foto abbracciati.
Si alza e va in cucina sorridendo, poi la vede. Corre verso di lei.
«April che è successo?» urla.
«Una stronzata» risponde ridendo «è morto» afferma togliendosi la cuffietta sinistra dell'auricolare.
«Chi è morto?» chiede Michael più confuso che preoccupato. April non risponde, gli infila la cuffietta che si è tolta nell'orecchio mentre continua a piangere silenziosa.
"This is Major Tom to ground Control, I'm stepping trough the dark and I'm floating in the most peculiar way and the stars look very different today from here"
«Bowie?»
Annuisce.
«voglio andare da Sam»
Sente la gelosia invadere ogni cellula del suo corpo. Ma Michael non controbatte. Si vestono, in silenzio. Prende le chiavi della macchina e scendono, durante tutto il tragitto non una parola; solo Bowie che canta interrotto dai singhiozzi di April. Lei scende.
«Grazie» dice, si avvicina al suo viso poggiandogli la mano sinistra sulla guancia e lo bacia. Michael riesce a sentire nella sua bocca il sapore delle lacrime amare di April, che si stacca e dopo avergli sorriso, sale le scale per andare da Sam. E non da lui.

«Calum dove cazzo è il mio libro!»
Luke corre per tutta la casa, facendosi spazio tra gli indumenti sul pavimento, cerca sulla scrivania e tra i suoi scaffali ma quel maledetto libro di analisi che gli ha prestato il professor Hudson non ha intenzione di farsi trovare.
«Quale libro Luke?»
Il ragazzo entra aggiustandosi i capelli, è già pronto per andare a lavoro.
«Quel libro enorme e pesantissimo con la copertina nera»
«Vuoi dire quel libro che vedo uscire da qui dalla tua borsa?» chiede ironicamente indicando lo zaino che è sulla sedia, sopra tutti i jeans neri di Luke.
«Ah»
«Che cazzo ti succede? Sembri un drogato Luke»
Sono un drogato, pensa.
Calum si avvicina all'amico e lo abbraccia strettamente, Luke lo stringe ancora più forte.
Sono rari questi momenti. I ragazzi non si lasciano andare spesso, la società gli ha affibbiato il prototipo dell'uomo che non si addice alla loro figura, ancora troppo giovane. Rachitici disadattati, ai quali la loro vita sta troppo stretta, nell'asfissiante battaglia per controllare le loro emozioni, e costruiscono muri, e nessuno li abbatte.
Dura poco l'abbraccio, ma basta per metterli di buon umore per un po'.
E mentre si guardano in silenzio la porta di casa sbatte.
Michael entra, mentre ha tra le mani un flacone di tinta per capelli, e lo stringe così tanto che le nocche delle sue mani diventano rosse.
«April?» chiede Calum afferrando il cellulare.
«È da Sam» risponde.
Calum e Luke stanno per dire qualcosa ma Michael li interrompe «non fa niente. Non dite nulla. Voglio solo renderla felice e se stare con Sam la rende felice allora va bene» prende un sospiro profondo «mi fido di lei, me l'ha detto che non mi tradisce con lui»
Calum e Luke lo guardano per un instante, con tenerezza, e vanno via a lavoro.

Sam e April sono seduti sul divano, con gli occhi lucidi forse per il troppo pianto o forse per la canna che si stanno fumando ora.
«Sai quale è il mio mito preferito della letteratura greca?» chiede April ridendo.
«No, quale?»
«Eco e Narciso» aspira e caccia una densa nube di fumo che le appanna sia la vista che il cervello «perché» sorride tra se e se «lei non può dire a Narciso che lo ama, perché Era le impedisce di parlare e può solo ripetere ciò che dicono gli altri. Narciso si guarda nello stagno e vede il suo riflesso, si dedica le più belle parole che un amante possa mai dire a qualcuno» si ferma e fa un altro tiro «e Eco, nascosta da dietro ad un cespuglio gliele ripete. L'ultima cosa che gli bisbiglia prima che lui cada nell'acqua è "amore"» ride « e poi lui, muore»
«Il mio mito preferito è quello di Amore e Psiche»
Sam accarezza la testa rosa di April, hanno parlato, prima. Anche lui ci era rimasto male per la morte del Duca Bianco, ma April era distrutta. Gli aveva solo detto che c'era un motivo più profondo ma non glielo aveva esplicitato. Ha detto solo «forse lo dirò a Michael stasera»
Michael. Non l'aveva ancora conosciuto ma non vedeva l'ora di incontrarlo. Quando April gliene parlava le brillavano gli occhi, doveva essere una persona speciale.
«Perché quello di Amore e Psiche? Non mi è mai piaciuto molto» chiede risvegliandolo dai suoi pensieri.
«Non c'è storia più bella di Amore e Psiche. Lei lo ama ogni notte, al buio, senza sapere chi sia. Le basta quello che lui fa per lei e quello che le dice, non deve necessariamente vedere come è»
Aspirano, ancora.
«Credo che dovrei tornare da Michael, prima che vada a lavoro»
«Aspetta almeno che l'effetto si attenui un po'» e April si siede nuovamente accanto a Sam. Lo guarda un po', non c'è nulla di brutto in lui, tutto sembra essere stato disegnato seguendo un busto greco, non c'è niente di sproporzionato o sgraziato. Ha tanta sicurezza, Sam, forse è per questo che tutte le ragazze del corso gli sbavano dietro.
«Quanto ti manca alla laurea?»
«L'esame della settimana prossima e poi basta»
«E poi che vorresti fare?»
«Insegnare» sorride «come mio padre»
«Credo che sarebbe molto fiero di te ora»
«Lo spero»

Fallimento. Ecco cosa era July. Un fallimento. Non importa cosa faceva, quanto ci provasse e quanto lo volesse. Falliva sempre. Non c'era una volta in cui andava tutto bene, e quelle poche volte che accadeva, non si godeva a pieno il momento perché "sta andando tutto troppo bene, cosa deve succedere di brutto ora?"
Legge il giornale, seduta a gambe incrociate sul tavolo, e cerca qualche avviso di lavoro. Nulla. Nulla che possa andare bene.
«July che stai facendo?»
October entra in cucina mentre giocherella con i suoi dread, li fa passare da un dito all'altro della mano destra con una destrezza incredibile.
«Cerco lavoro. Devo fare qualcosa, mi sento così inutile, cazzo» gira un'altra pagina del giornale «ninfomania, ansia e insicurezze del cazzo»
October le accarezza la testa, e le passa una sigaretta. July la afferra e inizia a fumare, le sue labbra si posano leggere sul filtro che si bagna a poco a poco, tiro dopo tiro, con la sua saliva.
October intanto sta pensando ad April.
«L'hai sentito che è morto Bowie?»
July annuisce triste.
«Povera April»
«Lo dirà a Michael secondo te? Non può non dirglielo, se le sarà fatte due domande sul perché sia stata così male stamattina»

Adam e June sono seduti uno accanto all'altro, stanno rivedendo le foto del matrimonio di Chloe, ma Adam è assente. I suoi occhi azzurri fissano lo schermo, ma il suo sguardo è diretto verso i polsi di June, ancora fasciati dal giorno del matrimonio.
Era andata anche a farsi mettere i punti, la fasciatura di Ashton non bastava.
«June»
«Lo so, queste foto non sono buone. È colpa mia, del crollo che ho avuto»
Adam la interrompe e le prende il polso.
«A me delle foto di questa ragazza non importa un bel niente okay?» respira «a me importa solo che tu sia bene. Che tu capisca che vali, te lo devi ficcare in quella testa di cazzo che nessuno è meglio di te,va bene?»
June annuisce, solo perché vuole che Adam stia zitto. È inutile, glielo ripetono tutti che sta bene, che non deve essere triste o che non deve scaricare i suoi dolori su se stessa, ma non ce la fa proprio. Solo quando riuscirà ad accettarsi, passerà. Ma per il momento non passa, e sospira silenziosa mentre aspetta che la giornata passi in fretta.

April apre la porta del locale dove lavora Michael e la richiude senza fare rumore. Un cameriere si avvicina e la fa accomodare al suo tavolo, si siede e posa il suo mento sulla sua mano. Sorride tra se e se quando scorge la testa blu di Michael. Non appena si avvicina a lei gli chiede «cambiato colore dei capelli?»
Michael ride, sembra essere tornata la April di sempre, quella allegra che aveva fatto cadere nel bel mezzo della strada circa un mese fa.
«Si, ti piacciono?» annuisce.
Michael le accarezza la guancia destra con la mano, sta per andare via ma lei lo blocca afferrandolo per il polso.
«Mikey» si avvicina e Michael porta il suo orecchio verso le labbra tremanti di April «Promettimi che non mi lascerai mai, okay»
«Te lo prometto»
Disse solo questo. Non chiese spiegazioni. Non ne aveva bisogno.
Era tutto quello che voleva.

Michael e April camminano a notte fonde mano nella mano, un po' ubriachi, e ridono senza motivo. Michael posa il suo braccio attorno a April, e si fermano, baciandosi, vicino a un muro.
«Grazie per aver reso questa giornata un po' più sopportabile»
«Perché sei scoppiata a piangere così tanto oggi Apr? Lo so che eri legata a Bowie ma hai pianto così forte»
Sospira, non è ancora pronta per raccontargli quella storia. Ma lo fa comunque.
«David Bowie e Lou Reed sono gli unico cantanti che ascolto, e lo sai.
Quando morì Lou Reed fu terribile per me. Non uscii di casa per due giorni. Piangevo e basta ascoltandolo ininterrottamente. Poi però pensavo che c'era Bowie a tenermi ancora compagnia.
Avevo un fratello una volta Mikey. Si chiamava Evan. Aveva gli occhi verdi, più scuri dei tuoi, ora che ci penso assomigliava un po' ad Ashton. Era più grande di me, avrebbe intorno ai ventotto anni, ora se non mi sbaglio, la matematica non è mai stata il mio forte» ridacchia « Evan mi spronava sempre, in tutto, mi spingeva a dare il meglio di me, avevamo un bellissimo rapporto. Ma io ero troppo presa da me, per accorgermi che lui stava male. Si drogava, e io non lo sapevo. Lo vidi per la prima volta a dodici anni, ma non capii. Evan morì di overdose, a venti anni. Lou e David erano i suoi artisti preferiti. Al suo funerale suonarono Heroes. È per questo che è stato devastante sentire che anche David, l'ultima cosa che mi era rimasta di lui, è morta»
Michael non risponde, non sa che dire. La guarda, è così bella anche con le lacrime agli occhi. La abbraccia.
«Io non ti lascio» mormora.

AYEEE.
Mai fatto un ritardo così. Che bello. Sono così fiera di me. Premetto che avevo intenzione di postare il capitolo il 10, quando è morto Bowie. Inutile dire quanto fossi devastata quel giorno. Prendetemi pure per una cogliona, ma ho pianto.
Ringrazio infinitamente il Duca Bianco, per essermi stato vicino nei momenti in cui ero sola, per aver reso le mie giornate più allegre con rebel rebel o let's dance e per avermi fatto compagnia durante i miei dolori con Life on Mars? o Sorry.
Lo ringrazio semplicemente per essere stato lui, perché ha portato la musica dove è oggi, il rivoluzionario britannico dagli occhi diversi è una leggenda, e finché avremo la sua musica nelle orecchie, allora non morirà mai.
Mi scuso per questa divagazione, ma dovevo farla.
Volevo anche scusami per il capitolo, so che non è dei migliori, ultimamente non sto molto bene è gli impegni scolastici mi distruggono. Spero davvero che il prossimo vi piaccia perché ho già iniziato a scriverlo e sarà diverso dagli altri.
Aggiornerò appena posso, ma penso che massimo tra una settimana il capitolo sarà qui. Grazie mille.
Continuo ad una recensione. Grazie.

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Capitolo 13
*** XIII. seven minutes ***


XIII. seven minutes

 

 

Heroin (Velvet Underground)-Lou Reed.

I don't know just where I'm going
But I'm gonna try for the kingdom if I can   
'Cause it makes me feel like I'm a man  
When I put a spike into my vein

 

Sam e April sono appena usciti dall'università, è quasi l'una.
Sono nel vicolo dove parlarono la prima volta, lei è appoggiata con la schiena contro il muro di mattoncini rossicci, sudicio; lui è impiedi, dritto, davanti a lei. Sorridente.
«Eroina, oggi» ordina. E Sam la ascolta.
Prende la siringa e la da a April, sa che preferisce fare da sola.
L'ago le penetra la pelle, è una puntura quasi piacevole. Il veleno entra nelle sue vene. Il "flash euforico" inizia, il
senso di benessere attraverso la riduzione della tensione si fa spazio tra le sue membra. L'ansia passa, prova
senso di calore, pace e distensione accompagnato da un amorevole distacco.
Il rush iniziale, poi, finisce. C'è qualcosa che non va. Preme ancora e ne inietta ulteriormente.
Sam intanto, è per terra. Appoggiato vicino al cassonetto dell'immondizia, la sua borsa con i libri di testo è aperta e al suo interno svela assieme ai libri altra droga. Si è fatto anche lui di eroina e non riesce a muoversi, è così appagato.
April si siede. La vista si appanna, le orecchie si tappano, non sente più nulla. Ha le pupille esageratamente dilatate, e la sua iride azzurra è ormai ridotta a un piccolo cerchietto vitreo che racchiude a fatica il nero della pupilla. I muscoli non reggono, rallenta tutto. Il tempo, le macchine che passano, perfino le nuvole sembrano muoversi più lentamente in cielo. Che belle le nuvole, bianche.
È l'una e ventitré. È tutto bianco.


Sono contenta. Mangerò tanta torta. È il mio compleanno. Evan mi ha regalato un pupazzo bellissimo, lo abbiamo chiamato Boo. Sono così contenta. Sarà il più bel compleanno della mia vita.

È il mio primo giorno di scuola, ho così tanta paura. Però papà dice che devo stare tranquilla perché io sono brava e intelligente.

Ho visto Evan in bagno. Stava piangendo. Poi ha fumato qualcosa, simile ad una sigaretta. Solo i cattivi fumano. Ma Evan non è affatto cattivo. Vero?

Ho posato le bambole. Ho posato anche Boo. Non c'è più nulla di infantile in camera mia, ho tredici anni ormai. Sono una ragazza. Ho paura di iniziare il liceo.

Evan ha ragione, il liceo fa cagare. Capisco perché lo odia così tanto.
Capisco perché quella volta pianse nel cesso. Ormai sono al terzo anno. Ho incontrato una ragazza, però. Si chiama June. Abbiamo la stessa età, facciamo storia assieme. È gentile. Mi piace stare con lei.

Evan è morto. Sono una stupida. Non l'avevo capito che si drogava. Sono una stupida. Posso solo sperare che stia bene in paradiso. Mamma dice che almeno ora è felice.

Prego tutte le sere. Ho solo bisogno che Evan mi dia qualche segno. Sono andata in camera sua. Ho iniziato ad ascoltare tutte le canzoni che sentiva anche lui. Ci sono due cantanti che mi piacciono.

Jack, l'amico di Evan è venuto a casa. Mi ha vista piangere mentre abbracciavo Boo, odorava ancora di lui. Si è seduto accanto a me. Abbiamo pianto assieme.

Jack mi ha chiesto di uscire con lui. È davanti a me, ora. Le sue labbra si stanno avvicinando alle mie, ho paura. È il mio primo bacio, che succede se non so baciare? Sento la sua bocca premere sulla mia, mi accarezza i capelli. Ho capito come baciare. Ho appena dato il mio primo bacio. Spero che Evan sia contento che l'abbia dato a Jack.

Mi sono diplomata. June mi ha presentata a July, una sua amica. Abitano assieme, mi hanno chiesto se voglio unirmi a loro. Ho detto di si.

Mi hanno presa al college. Non vedo l'ora di iniziare. Studierò lettere classiche, come papà.

Lou Reed è morto. Almeno canterà per Evan.

È bello il college. July ha perso il lavoro, è stata stuprata da JayJay. Non vuole uscire di casa. La mandiamo in un centro per degli incontri, parlare la farà stare meglio, forse.

Non riusciamo a pagare l'affitto in tre, July ha conosciuto October in riabilitazione. È stata appena dimessa. Le abbiamo chiesto se vuole vivere con noi. Ha detto di si.

Sono tutte e tre troppo deboli, troppo tristi. Non sopravviveranno. Questo mondo è crudele, le mangerà e le sputerà via. Hanno bisogno di un pilastro sul quale appoggiare i loro dolori. Voglio essere quel pilastro. Anche Dio dice di aiutare il prossimo.

Forse ho bisogno anche io di un pilastro.

Jack e io ci siamo lasciati. Parte per Boston, e una relazione a distanza non è ciò che vogliamo. È stato bello stare con lui.

Sono sola. Le ragazze non possono sostenere i miei dolori, sono impegnate a non affogare nei loro.

Sono andata per una settimana a casa. Tutte le sere andavo al cimitero da Evan. Gli lasciavo una canna sulla tomba, sicuramente Dio non vuole che fumi li su. Intanto fumiamo assieme in terra.

Ho conosciuto un ragazzo, mi ha fatta cadere per strada. Ha i capelli tinti, come i miei. È bello. Mi ha aiutata, e mi ha accompagnata a casa. Ha detto che stasera vedremo un film assieme.

Si chiama Michael. Non crede in Dio.
Crede nella musica. Suona la chitarra. Mi piace.

October è stata violentata. È chiusa in camera sua. Non so che fare. Michael è accanto a me, mi abbraccia. Ci baciamo. Bacia meglio di Jack.

Io e Michael stiamo assieme. Forse è quello giusto. Sono felice. O forse è solo merito della mia prima dose di eroina.

Ho conosciuto un ragazzo all'università, Sam. Non è come Michael; lui è una persona di cultura. Ma nonostante ciò, preferisco Michael. Mi piace quando mi guarda annoiato perché studio troppo, quando mi chiede di spiegargli qualcosa perché non capisce. Mi piace e non lo cambierei per nulla al mondo.
Ah, Sam si droga.

Sam è il fratello del ragazzo che mi ha dato l'eroina. Ora ci droghiamo tutti assieme.

Ho fatto l'amore con Michael.

David Bowie è morto. Va tutto a puttane. Sono sola. Ho solo la mia eroina. E Dio. Nonostante tutto, prego ancora.

Ho chiesto a Michael di promettermi che non mi lascerà mai. Ha detto che non lo farà. Lo amo.

Sono in un vicolo con Sam. Più sto con lui, più capisco quanto amo Michael.
Sam mi passa la siringa. La infilo nelle mie vene. È tutto lento.

Le nuvole sono bianche. È tutto bianco. È l'una e ventitré.

Non so proprio dove sto andando 
Ma proverò a raggiungere il regno se ci riesco
Perché mi fa sentire come se fossi un uomo
Infilare un ago nella mia vena


AYEEE

Ascoltate la canzone di Lou Reed, veramente. Non so se l'avete capito ma il capitolo si intitola sette minuti poichè si credeve che quando si sta per morire si rivivano in sette miuti tutti gli episodi più importanti della propria vita.

Ho deciso di aggiornare solo perchè avevo tempo, detto questo, non aggiornerò fino a quando non raggiungerò 2 recensioni per questo capitolo. So che è molto corto, e che ho cambiato punto di vista e ho scritto come se fossi April. Non so se chiedervi scusa o meno, ma l'ho fatto semplicemente perchè questo capitolo doveva essere così. Non sarei riuscita ad immaginarlo in nessun altro modo. Amo questa storia, ci metto tutta me stessa per scriverla, io sono questa storia; ma vorrei davvero sapere cosa ne pensate. Accetto anche le critiche, ne avrei davvero bisogno. Grazie.

 PS: io e Biboh_Biebs  stiamo lavorando su una storia a quattro mani, è sui 5SOS, in particolare su Michael. E' un'idea diversa, speriamo che vi piaccia, fateci sapere che ne pensate.

 


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Capitolo 14
*** XIV. 23 grammi ***


XIV. 23 grammi

 

Ozzy Osbourne- life won't wait for you

Secondo gli scienziati quando si muore il corpo del dufunto persa 21 grammi in meno del corpo di un vivo. Dopo milioni di dibattiti si è giunti all'univoca conclusione che 21 grammi sia il peso dell'anima.
Eppure Michael è convinto che l'anima di April debba pesare almeno ventitré grammi, perché aveva un'anima così bella che non può pesare così poco.
ventitré, come gli anni che stava per compiere.
ventitré, come i grammi di marijuana che consumava.
ventitré, come i minuti che segnava l'orologio elettronico sul polso sinistro di Michael quando April si è spenta.
ventitré.
Si, l'anima di April sarebbe pesata sicuramente ventitré grammi.

È una bella giornata, il sole splende, nonostante faccia freddo e il vento soffi prepotentemente sulla faccia dei sette ragazzi, seduti davanti alla bara a testa bassa, vestiti in nero.
C'è un prete che parla. Nessuno lo ascolta.
Ci sono anche i genitori di April. Sono seduti in disparte. Li ha chiamati July, hanno parlato un po', è stato uno shock. La loro bambina, dopo Evan, era andata via anche lei.
C'è July, i cui occhi blu sono ormai rossi per il troppo pianto. Soffoca i singhiozzi nella maglietta nera di Calum, che ha il capo basso, e stringe July a sé.
C'è June, che si è tolta le bende da qualche giorno, e si gratta la cicatrice fresca. Vuole che sanguini ancora. Tutto questo dolore è incontenibile, e vuole che esca fuori di lei, vuole farlo passare. E Ashton la guarda ma non dice niente, perché adesso non ha la forza nemmeno di parlare; pensa solo a April e alla bara che contiene il corpo morto. Forse avrebbero potuto fare qualcosa.
C'è Michael, che non ha più lacrime da versare. Ha la testa sulla spalla di October che prova a consolarlo. Ma cosa può dire?
Cosa si può dire di una ventitreenne che muore?
Luke è accanto a lei. Fissa il pavimento come sempre. La chiesa è sporca, polverosa, evidentemente in questi tempi non ci va più nessuno in chiesa.
C'è un sacco di altra gente in chiesa.
Ci sono anche i suoi compagni di università, e i professori.

Il prete parla.
Sta dicendo solo una marea di stronzate.
Michael sta per scoppiare, stringe il polso di October così forte che ha paura che possa spezzarglielo. Chi è tutta questa gente? Che cosa vuole ora? Perché a tutti importa di te quando sei morto?
La gente è ipocrita, fa schifo. Siamo solo degli animali, ci distruggiamo a vicenda per trovare il capo del branco, ma alla fine tutto questo sangue non porta a nulla, e quando qualcuno muore, gli animali piangono con ancora i brandelli della carcassa nella bocca. E le le loro lacrime si mischiano al sangue che scorre sul loro mento.

Il rumore dell'organo risveglia Michael. Si alza, assieme agli altri. Vanno via. Tutti e sette. Hanno deciso univocamente di non vedere la bara mentre viene conficcata sotto terra. Torneranno il pomeriggio, dopo. Da soli.
Camminano e escono dalla chiesa, fa ancora abbastanza freddo.
Sono tutti vicini tra di loro.
I genitori di April si avvicinano.
I ragazzi si scostano lasciando le ragazze sole.
«July, June, October» la madre parla piano, pacata come sempre «grazie. Grazie per essere state con April. È stata fortunata ad avere amiche come voi»
«Siamo state fortunate noi ad avere lei» risponde October. Ha un forte dolore allo stomaco, la verità è che loro erano pessime amiche. October non se la ricorda nemmeno quando è stata l'ultima volta che ha chiesto ad April come stesse veramente, quando è stata l'ultima volta che hanno parlato dei suoi problemi- perché cazzo, se si drogava problemi doveva averne, e loro, non se ne erano mai accorte.
«Chi è Michael?» chiede il padre.
Il ragazzo si gira. Trema un po', ha paura. Il padre di April ha un aspetto autorevole. Non appena si avvicina e si trova davanti la sua figura, nota che ha gli stessi occhi della figlia. E Michael non ce la fa, e si lascia scappare qualche lacrima mormorando «scusatemi» e asciugandosi velocemente il viso.
«Non scusarti ragazzo» il padre di April gli mise una mano sulla spalla « sii forte. Lo sai, April mi ha parlato di te. Non vedeva l'ora che ci conoscessimo. Mi dispiace averti incontrato in questa occasione. Grazie per aver reso felice April. Sai cosa mi disse per telefono riguardo a te? Mi sento come Eco quando vide Narciso per la prima volta, papà. Era il»
«era il suo mito preferito» Michael lo interruppe «una notte me lo raccontò» sorrise tra sé e sé ricordando la figura magra di April, con uno chignon rosa, all'una di notte, seduta tra le sue gambe, mentre gli raccontava una storia; come se fosse una madre che prova a far addormentare il figlio.
«Sei un bravo ragazzo Michael. Mi dispiace. Va avanti, però. Hai ancora una vita intera davanti» lo abbraccia.
Michael si lascia andare per un istante, gli manca sua madre. A lei non gliel'aveva mai detto di April.
Non lo meritava.
Non meritava sapere di lei.
Dei suoi occhi blu.
Dei suoi capelli strani, come quelli di Michael.
Del suo naso all'insù.
Delle sue labbra screpolate.
Delle sue unghie mangiate.
Delle sue anche sporgenti.
Della sua mania per la letteratura classica.
Non non se lo meritava.
«Michael questo era di April» disse la madre porgendogli un pupazzo piccolo, a forma di unicorno «si chiama Boo. Glielo regalò Evan, non voglio vederlo in casa: fa troppo male, adesso. Voglio che lo prenda tu» Michael mormora un grazie, ancora tra le lacrime. Si salutano velocemente, ma sapevano tutti che quello era un addio, non un arrivederci.
Luke si siede al posto del conducente nell'auto di Ashton, che si mette dietro accanto a Michael. Il ragazzo posa la testa sulla spalla di Ashton e accarezza la criniera rosa di Boo. Chiude per un istante gli occhi e immagina di toccare i capelli rosa di April, così sottili e morbidi, e di giocare con le loro punte, e di provare ad intrecciarglieli per poi sentire le sue urla perché glieli aveva annodati tutti e adesso non riusciva più a spettinarli. Michael si porta una mano davanti le labbra e prova a non piangere ancora una volta. Respira.

Sono da poco passate le quattro. Il cimitero è vuoto, non c'è nessuno.
October è l'unica figura viva che si scorge tra le lapidi. Ha un pacco intero di sigarette, appena comprato, e lo apre, non appena si siede accanto alla tomba di April.
Il vento soffia forte e si stringe un po' di più nel suo giubbino. Tiene la sigaretta con i denti e copre la fiamma dell'accendino con le mani per proteggerla dal vento: finalmente l'accende. Aspira profondamente e caccia una grande nuvola grigia.
«Che cazzo di freddo April. Almeno tu ora non senti niente. Anzi, scommetto che fa davvero caldo li sotto, non è vero?» da un colpetto sulla terra che la ricopre «è strano April. Perché l'hai fatto? Non andare in overdose, nessuno muore di overdose volontariamente. Succede. Ma perché hai iniziato a drogarti?»
Silenzio.
«Mi sento una stupida ad aspettare che tu risponda, ma io sotto sotto ci credo un po'.
Mi dispiace April. Mi dispiace se tutte noi abbiamo sempre anteposto i nostri problemi ai tuoi, ma tu sembravi così felice. Tu eri felice April. Tutto girava intorno al fantasma di tuo fratello.
Oh andiamo April, ora che lo incontrerai li sù si arrabbierà tantissimo. Lui avrebbe voluto che tu fossi felice. E invece cosa hai combinato?
April ti mancava così poco.
La laurea. Michael. Avevi una vita.
Saresti stata un'ottima insegnante.
E adesso chi lo dice a quel marmocchio, come come si chiama... George? Si forse a George. Chi lo dice a George che la ragazza che lo aiutava a fare i compiti è morta,eh?
April. Ti prego fa qualcosa» la sigaretta è finita «non lo so torna in vita. Ti prego. Dammi un segno. Noi non ce la facciamo senza di te April»
October si alza, ha le lacrime che scendono lente sul viso. Ha un'altra sigaretta tra i denti. Posa i tulipani rosa sull'erba accanto alla lapide.
Improvvisamente una mano si posa sulla sua spalla, sobbalza e vede Michael accanto a lei.
Non appena lo fissa rivive la scena del supermercato, quando lui entrò piangendo, distrutto.
Si abbracciano, senza dire niente.
«ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrati al supermercato quando mi hai detto che il bello dei cuori spezzati è che si spezzano una volta sola?» chiese Michael, come se le avesse letto nel pensiero.
«si»
«non è vero, perché tu giuro che il mio cuore si è spezzato di nuovo»
Guardano la lapide, non possono fare altro.
«vuoi stare un po' solo?»
Michael annuisce e lei va via.

Si siede nell'esatta posizione di October e posa Boo sulla tomba.
«è un po' più allegro così. A te piacevano solo le cose allegre, vero? Ironico come la tua morte sia stata tutt'altro che allegra»
Fissa un po' il vuoto davanti a lui. Il dolore si fa spazio nel suo stomaco, lo sente in tutto il corpo.
E trema. Ha le mani sudate, gli occhi lucidi, la gola è secca, brucia. Le grida muoiono nelle sue corde vocali, se potesse spaccherebbe tutto. Il dolore è troppo e Michael urla. Urla ma non esce nulla. Ha solo una smorfia di dolore stampata sul viso. È disperato. È in ginocchio sulla terra, leggermente bagnata. Infila le sue mani dentro di essa, le unghie si riempiono di terriccio, inizia a scavare, gridando, ma non riesce a smuovere nulla se non pochi centimetri. Adesso ha solo le mani sporche, il viso pieno di lacrime e un vuoto interiore.
«Io te l'avevo promesso cazzo. Te l'avevo detto che io non ti avrei mai lasciato. E invece sei stata tu a lasciare me» Michael urla. Piange. Si siede.
«non volevo» mormora «lo so che odi quando mi arrabbio. Tranquilla April. Ora non ti arrabbierai mai più»
Lascia un bacio sulla lapide, fredda; immaginando per un secondo che quelle siano le labbra calde e screpolate di April, e l'accarezza lasciando Boo li davanti.
Cammina senza guardare la tomba. Un ragazzo viene verso di lui.
«Sei Michael?»
«Si, perché?»
«Sono Sam»
Michael non capisce più niente in quel momento e sferra un pugno sul viso di Sam. Cadono a terra. Continua a colpirlo, urlando, insultandolo.
«È colpa tua. L'eroina gliel'hai data tu. Tu dovevi morire, non lei!»
Ma Sam non fa niente. Perché ha ragione. Lo blocca, dopo poco.
«Lo so. Hai ragione. Ma è andata così. Mi dispiace. Non ho altro da dire. Devo darti una cosa, però: quando April veniva da me, mi parlava sempre di te sai? Era follemente innamorata, avresti dovuto vedere il modo in cui le sue labbra si arricciavano quando pronunciava il tuo nome.
Stavamo parlando un giorno, e decidemmo di fare una cosa. Sapevamo che la cosa della droga sarebbe potuta sfuggirci di mano: abbiamo scritto un testamento. Questo è il suo» gli porse una busta chiusa «ci sono tante lettere. Sono anche per le ragazze. Dagliele e leggile, fa quello che c'è scritto. Ma poi, va avanti»
Michael osserva la busta gialla, pesa.
«ti ringrazio. Scusami se ti ho colpito»
«lo capisco. L'unico che dovrebbe scusarsi qui sono io, ma non cambierei niente. Ciao Michael»
«ciao Sam»

«Io non ci entro li»
«Qualcuno deve»
«Io non vado. Morirei»
«Prima o poi dobbiamo farlo. Entriamo tutte assieme»
Le tre ragazze sono sveglie, nell'oscurità della notte camminano nella loro casa, a piedi nudi sul parquet, cercando il coraggio di entrare in camera di April. Devono togliere le sue cose. Aprono la porta.
Fanno un passo sincrono.
Respirano il suo profumo alla vaniglia nell'aria. June scappa via, sta per vomitare, July si butta per terra, sta per piangere ancora.
October è paralizzata.
Escono facendosi coraggio, mentre June vomita nel bagno.
Si pulisce le labbra con il dorso della mano. Fa tutto così schifo.
La frangetta le impedisce di vedere bene e la tira indietro con una fascia.
È colpa loro. È solo colpa loro. Meriterebbero di morire con lei.

Sono tutte e tre sedute in cucina.
«Dove abbiamo sbagliato?» mormora July.
«Non puoi essere fottutamente seria» urla June. «dove abbiamo sbagliato?» ripete facendo le virgolette con le mani.
«secondo te dove abbiamo sbagliato July?» batte le mani sul tavolo, facendo strisciare la sue unghie rosse sulla superficie ruvida.
«È tutta colpa tua. È colpa di October. È colpa mia. Perché cazzo stavamo affogando nel nostro dolore, e ci siamo appoggiate tutte su April, e l'abbiamo fatta affondare. E lei aveva già i suoi dolori. Siamo delle cazzo di egoiste, è tutta colpa nostra»
Inizia a piangere, forte. È da tanto che June non piange, ma a volte anche le ragazze grandi piangono.
La porta si apre, Michael entra. April gli aveva dato una copia delle chiavi di casa, ma ora non sa cosa farsene.
E i suoi occhi scrutano le tre ragazze. La rabbia e il dolore le stanno divorando, sono così stanche: come lui. Cammina avvicinandosi al tavolo poggiando le lettere su quest'ultimo spiegando brevemente cosa è successo.
«Ci sentiamo domani. Per favore, non litigate. A April non piace quando litigate» mormora singhiozzando.
Va via.

July prende la sua lettera, dietro c'è scritto: aprila due giorni dopo la consegna.

June prende la sua lettera, dietro c'è scritto: aprila solo quando non saprai cosa fare, in una situazione difficile.

October prende la sua lettera, dietro c'è scritto: aprila immediatamente.

E lei fa come c'è scritto, e estrae un foglio bianco dalla busta giallastra.
Inizia a leggere avidamente, sta per scoppiare in lacrime.
È una semplice lettera d'addio, ma era più di quello che potesse mai immaginare. La stringe al petto, piano.
"La poesia è nelle strade piene di colori brillanti»
Queste erano le ultime parole che le aveva detto.
Era una citazione molto profonda; la bellezza è attorno a noi.
Basta solo saperla cogliere.

È notte fonda.
Michael prova a dormire.
«Conta le pecore» gli ha detto Calum.
Ma la mente di Michael può contare solo ragioni per restare sveglio.
Calum, intanto, è arrivato a 394 ma è ancora sveglio. È devastato, come tutti.
Anche Luke sta contando. Già.
Sono esattamente 20160 minuti dalla sua ultima dose. E sa esattamente che deve smettere, perché non vuole finire come April, e combatte nel letto la crisi d'astinenza, in silenzio.
Ashton dorme abbracciato a June. L'ha fatta scendere. Non se la sentiva di lasciarla da sola, e così ora lei è accanto a lui, avvinghiata al suo corpo, con il volto ancora pieno di lacrime e con il trucco sbavato ma ad Ashton non importa più di tanto, ha solo bisogno che lei resti con lui.
July dorme. Anche Calum le aveva chiesto se voleva scendere ma lei aveva preferito restare giù; non le è mai piaciuto farsi vedere debole, vuole restare sola con il suo dolore.
October ha deciso che domani cercherà lavoro. Che sarà una bella giornata nonostante tutto. Che loro ce la fanno, perché le ragazze grandi si fanno coraggio e si aprono la strada da sole, anche in mezzo a tutto quel dolore.

 


AYYEEE.
April è morta.
Si.
Non tornerà.
Mi dispiace.
Mi dispiace così tanto.
Ma doveva morire, e per una buona causa, oh. Spero che lo capirete andando avanti con la storia haha.
Non so che dire... UH le lettere. Vorrei sapere anche io a cosa servono ora, perché me lo sono dimenticato. Si, me lo sono dimenticato e non sto scherzando.
Quindi abbiate pietà e lasciate una recensione.

CONTINUO A 2 RECENSIONI.  Grazie mille 💙

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Capitolo 15
*** XV.Letters ***


XV.Letters

Someone's missing- MGMT.

October si scrolla le coperte da dosso con un calcio. Si aggiusta un poco i dread come meglio può, e si veste.
Infila i pantaloni neri, attillati. Prende la maglia degli Aerosmith e indossa delle scarpe nere, di pelle, alte.
Si trucca, mette l'eyeliner e il mascara, poi prende le sigarette e una banconota da cinquanta dollari e scende in fretta le scale.
La gente le passa accanto e l'ansia inizia a prendere possesso di lei, ma non oggi. Non può permettere che accada oggi.
Si ferma al bar che è a pochi isolati da casa loro e prende una brioche. Mangia mentre cammina tra la folla, deve andare tutto bene.
Sale i primi tre scalini che sono davanti alla biblioteca, da quando è scesa da casa sta provando il suo discorso nella mente, ma non è mai perfetto.
Sale al quarto scalino e ricomincia d'accapo.
"Ho visto l'avviso di lavoro, cercate gente vero?"
No, non va bene.
"Buongiorno sono October e..."
Non va bene, cazzo.
Senza accorgersene è arrivata già al settimo scalino, e si sta facendo tardi.
La suola destra della sua scarpa si poggia delicata sul pavimento in piastrelle bianche, malamente spolverate, della biblioteca. Le sue gambe tremano un po' alla vista di quei volti sconosciuti, giudici impassibili del suo modo di camminare. La guardano, e lei si sente morire dentro.
Poggia la mano destra sulla scrivania dell'ingresso, e afferra un foglio fortemente, come se fosse l'unica cosa a cui può aggrapparsi per tirare il resto del suo corpo a se.
C'è una donna, le sorride. Ha i denti bianchissimi e perfetti, potrebbe portare una dentiera. I suoi capelli rossi cadono ordinati sulle sue spalle, per fermarsi a boccoli sopra il petto.
«Posso aiutarti?» chiede, e continua a sorridere.
«Io sarei qui per il posto di lavoro»
«Siediti pure li» le indica un divanetto accanto alla sezione dei classici «ora vediamo se puoi essere assunta o meno»

Luke è solo in camera, ha appena posato la chitarra. Prima era quella la sua unica droga.
Lo sa che April è morta.
Lo sa che lui potrebbe fare la stesa fine.
Lo sa.
Ma sa anche che non può più farne a meno.
Fissa intensamente la polvere bianca che ha ammucchiato su uno specchietto, poggiato obliquamente sul libro nero di Mr. Hudson, e cerca disperatamente di sottrarsi all'impulso di arrotolare una banconota e aspirare tutto. Resisti.

October corre nelle scale, appena arriva davanti casa dei ragazzi prende a pugni la porta fino a quando Michael non apre. Il ragazzo la guarda con aria interrogativa; nei suoi occhi c'è lo stesso sguardo che aveva il primo giorno in cui si sono incontrati ma no negli occhi di October, no. I suoi occhi brillano un po', come non facevano ormai da tanto tempo, e sorride anche, mostrando i canini perfetti anche se un po' ingialliti.
«Ho trovato lavoro in biblioteca!» urla.
E finalmente c'è qualcosa di bello dopo tutta questa merda. Michael non fa in tempo ad abbracciarla che lei gli salta addosso, precedendolo.
«Luke è in camera?»
E Michael annuisce, accennando un sorriso. Prima di andare via October lo tira a se, e gli bacia la fronte accarezzandogliela leggermente.
«Michael, tu ce la fai»

Si lecca l'indice sinistro e lo poggia sulla punta della montagna innevata. Un brivido d'eccitazione gli percorre il corpo quando sente i fiocchi di neve sul suo polpastrello.
Lo osserva, gli è sempre piaciuta la neve, anche perché in Australia nevicava poco. Ne mette un altro po' sul dito, e poi lo porta in bocca, strofinandolo contro i denti e le gengive  freneticamente.
Sente la lingua bruciare, e il palato intorpidirsi; la neve non se la ricordava così.
Ormai è fatta, estrae il portafoglio che sta a fatica nelle tasche dei suoi skinny neri. Le estremità delle sue dita bianche si intravedono appena dalle maniche del maglione bordeaux che porta, e afferrano una banconota da 10, arrotolandola velocemente, nonostante tremino.
Si piega, la porta al naso.
La porta di spalanca.
«Luke non puoi credere...» ma resta in sospeso.
Luke è sbandato, e ha fatto cadere la cocaina sul suo pantalone nero.
October lo guarda, e non parla.
Si avvicina piano, ma gli resta a pochi metri di distanza.
La luce della lampadario rende la stanza clinica, la finestra è aperta per far passare un po' di aria ma si respira a fatica.
October si sente male, tradita. Non doveva. La rabbia si impossessa del suo corpo, salta su Luke che è in piedi. Cadono. October è a cavalcioni su di lui, con le mani attorno la gola del ragazzo.
«Ti uccido io prima che lo faccia la droga»
Inizia a stringere, Luke si dimena sotto di lei cercando di afferrarle un braccio.
October piange. Anche Luke.
Allenta leggermente la presa ma non gli toglie le mani dal collo.
Si avvicina al viso di Luke e continua a piangere, il suo trucco ormai è sbavato ma non gliene importa più di tanto. Si sente impotente, non sa che fare. È come se qualcuno avesse messo tutte le emozioni negative in una centrifuga e poi gliele avesse restituite.
«Mi avevi detto che ne stavi uscendo»
Luke sta in silenzio. E adesso non può guadare nemmeno il pavimento come fa sempre e guarda October dal basso, e vede che la sua mascella è delineata perfettamente, e che la lacrima nera-per la matita sbavata- che le scende sul viso è appena caduta sulla sua maglia bianca. Vorrebbe solo rimettere le cose a posto, si è lasciato sconfiggere dalla cocaina ancora una volta.
Non era una battaglia, ma una guerra; e lui aveva già perso troppe volte.
Michael corre nella stanza e afferra October da dietro tirandola via con la forza, e Luke si siede appoggiando la schiena sul muro dietro di lui.
Ma non ci vuole molto prima che senta nuovamente qualcuno scagliarsi contro di lui, e ora è Michael che lo afferra per il collo della maglia.
«Che cazzo ti viene Luke? Che problemi hai?»
Non fa in tempo a rispondere che il ragazzo gli da un pugno sullo zigomo destro. Luke alza la mano ma non cerca di difendersi, si massaggia la pelle dove ha appena ricevuto il colpo.
«April è morta e tu che fai Luke eh? Ti droghi?» Michael urla, con le lacrime agli occhi, peggio di October, che si alza e si mette dietro al ragazzo, accarezzandogli la schiena.
«mi fai pietà» sputa fredda. Michael si alza e lo lasciano li, per terra, a morire da solo.

July si fa coraggio, e prende il taglierino; apre la lettera e inizia a leggere.

"July,
se stai leggendo questa lettera evidentemente sono morta.
Mi dispiace non avervi detto del mio problema, ma io non avevo bisogno di aiuto.
L'ho scelto io di affondare.
Potete sopravvivere. E mi rivoglio a te, che sei la più forte tra loro. Ce la puoi fare July.
Voglio che tu mi faccia un ultimo piacere prima che voi vi dimentichiate di me"
July si ferma.
No loro non si scorderanno mai di lei.
Giusto?
Oppure il ricordo di April diventerà sempre più sbiadito, come la vernice sui muri del loro appartamento, che si sgretola ogni giorno di più?
Ora se chiudono gli occhi riescono ancora ad immaginare la sua testa rosa che canta a prima mattina, ma tra un paio di anni sapranno ancora riconoscere il suono della sua voce? Ricorderanno ancora la sfumatura dei suoi occhi o diranno semplicemente che lei li aveva blu?
E July si porta una mano davanti alle labbra per fermare i singhiozzi e continua a leggere, in silenzio.

La lapide grigia spicca rispetto alle altre ammaccate dal peso del tempo.
Non c'è vento, eppure le nuvole bianche scorrono veloci e si uniscono tra di loro. June scatta una foto.
C'è qualcosa di sporco nella fotografia, l'ha sempre pensato. Una sorta di rivolta contro il tempo da parte dell'uomo, come per dire "sono riuscito a fermarti"
Se June avesse potuto fermare un solo attimo nel tempo, avrebbe impedito che April prendesse la sua ultima dose. Accarezza la tomba, e poi si accarezza piano le braccia, esattamente come fece April quando scoprì che cosa si faceva June.
Sta male.
Ma non piange.
No, le ragazze grandi non piangono.
Eppure June si chiede quante lacrime abbia versato in silenzio April, quante volte abbia avuto bisogno di aiuto; e loro non c'erano state.
Come avevano potuto essere così egoiste?
Sarebbe bastata qualche attenzione in più. Magari un «come stai» più sincero.
Qualche abbraccio più stretto.
E invece April era morta.
June si accende una sigaretta.
Guarda la foto che hanno deciso di mettere sulla lapide; è quella che hanno scattato tutti assieme a natale. Un passante probabilmente vedendo la foto non avrebbe mai potuto sapere che tra le quattro ragazze quella morta era quella con il sorriso accesso quanto la sua tinta rosa. Avrebbe potuto pensare che quella morta fosse una qualsiasi di loro; meglio così. Ora che April era morta, anche loro erano morte con lei.
June guarda il mozzicone ormai consumato, e lo spegne sul palmo della mano. Non fa male.
Rigira il filtro ancora caldo nella sua pelle, la cenere la sporca leggermente, brucia.
«June»
E June si gira e vede Ashton, sconsolato dietro di lei.
«Mi dispiace» dice gettando via la sigaretta e nascondendo la mano dietro la schiena.
Ashton la abbraccia, freddo.
È stanco.
Come si fa a far capire a qualcuno che deve amarsi perché ne vale la pena?
«Perché sei qui?» gli chiede.
«Devo dirti una cosa» si morde il labbro inferiore. Come fai a dire a qualcuno a cui tieni che lo devi abbandonare per il suo bene?
«Al museo c'era quella mostra sull'impressionismo, te la ricordi?» chiede. E June annuisce.
«La mostra deve essere trasferita per un paio di mesi, e io essendo il responsabile mi hanno trasferito»
«dove?» June sorride contenta e ad Ashton piange il cuore.
«Parigi»
«E perché quella faccia?» sorride ancora.
Sorride ancora ma dentro si sta spezzando lentamente, l'abbandonano tutti in un modo o nell'altro.
«Perché non voglio andare via da te»
E allora resta.
«Non puoi perdere un'occasione del genere Ash. Devi andare. Quando parti?»
«stasera. Mi hanno informato solo oggi, avrei voluto dirtelo prima...»
June si alza sulle punte dei piedi e stringe nelle sue mani la giacca di pelle nera di Ashton. Sta per baciarlo ma Ashton la ferma.
«Non farlo. Ne vorrei ancora dopo, e non riuscirei a stare senza» e June gli accarezza il viso e gli bacia una guancia. Restano li abbracciati.
«Poi torni?»
«si che torno June. June perché non vieni con me?»
«no»
«perché no?»
«ho detto no»
Ashton prende un foglietto e ci scrive sopra qualcosa con la penna nera che estrae dalla tasca posteriore dei suoi skinny.
«è l'indirizzo dell'appartamento dove starò, nel caso cambiassi idea»
June lo mette in tasca e va via.

Sono tutti all'aeroporto. Ashton cammina impacciato tra tutte quelle valigie. July e Calum sono gli unici che stanno riuscendo a controllare la situazione.
Gli occhi verdi di Ashton scrutano milioni di volti, alla disperata ricerca di quelli di June, prima di partire.
Poi la vede.
È poco distante da October, girata di spalle. Corre verso di lei, ha i capelli neri piastrati perfettamente. Le poggia una mano sulla spalla.
«June ti prego vieni con me»
«Scusami ma chi è June?»
«Io» guarda la ragazza che si è appena girata. Ha gli occhi piccoli, troppo luminosi per essere quello di June, ha le labbra sottili e il naso troppo piccolo. Non era lei «io ho sbagliato persona»
October lo tira via e lo abbraccia fortemente.
«Anche se non è qui, questo era da parte sua. Mi dispiace Ashton»
«Dispiace anche a me Oct. Diglielo» e lei annuisce.
Gli occhi di Luke sono lucidi, non vuole che Ashton parta.
È l'unico con cui avrebbe potuto parlare per risolvere tutto, e sta andando via.
Lo abbraccia goffamente, come fanno i ragazzi, e gli da una pacca sulla schiena.
October li guarda, e più vede Luke, il suo aspetto trasandato e i suoi occhi la rabbia si impossessa di lei. E si ricorda di questa mattina, e ha paura, perché sa che se forse non fosse arrivato Michael probabilmente lei la presa attorno al collo di Luke non l'avrebbe allentata.
Michael gli sorride.
«Ash sei tutti noi, fatti sentire»
Sale sull'aereo.
Li saluta per l'ultima volta.
Il portello si chiude.

June intanto è sul suo letto. La musica alta prova a coprire il rumore dei suoi pensieri. E se Ashton trovasse un'altra a Parigi? E se Ashton trovasse di meglio a Parigi? Ovvio che troverebbe di meglio; non ci vuole tanto a trovare qualcuno meglio di June.
Non sa cosa fare.
E si ricorda della lettera di April e la apre.

"Cara June.
Non sai cosa fare. Giusto?
So che tu hai sempre la soluzione a tutto. Sai sempre come cavartela June, tranne quando si parla di problemi sentimentali. Proverò ad aiutarti come meglio posso; con la scrittura, è una delle poche cose che mi è sempre riuscita bene. Ricordi?

Se domani finisse il mondo da chi correresti? Se davvero fosse l'ultimo giorno della nostra vita, della vita di tutti, con chi lo passeresti? Se non ci fossero più primavere, se non cadesse più la neve, se tutto sparisse, se non potessi più ascoltare canzoni, se non potessi più baciare, se non potessi più parlare, abbracciare. Se non potessi più sorridere, con chi sorrideresti per l'ultima volta?"

AYEEE.
Avete presente l'AYEEE del capitolo 10 quando dissi che non avevo mai fatto così farò ritardo? Beh, evidentemente mi sbagliavo.
Mi dispiace.
Ma non avevo idee.
E la scuola.
E la danza.
E il blocco dello scrittore.
E mi dispiace.
Però mi lasciate una recensione? Perché più recensioni ci sono più sono invogliata a scrivere hahah.
E ora che succede tra June e Ashton? E Luke e October? Poveri. Faccio soffrire troppe persone, forse dovrei darmi all'horror, almeno lo farei senza sensi di colpa haha.
Alla prossima 💙💙

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Capitolo 16
*** XVI. Tre passi e ventritre centimentri ***


XVI. Tre passi e ventritre centimentri

 

Paris-THE1975

Calum strofina con vigore la pezza bianca, particolarmente sudicia all'angolo sinistro, sul bancone del bar del ristorante. Fa forza, spruzza un altro po' di detersivo e continua a strofinare, ma niente: quella macchia giallastra, sul legno marroncino, di andare via non ne vuole proprio sapere. Il grosso è andato via, ma il segno indelebile resta sempre. Un po' come April, che pur essendo morta resta sempre con loro.
Lo sa bene Calum, che ieri sera ha scoperto July che pregava tenendo in mano la catenina d'oro di April, quella che Michael vide sulla sua scrivania la prima volta che entrò da lei.
Era inginocchiata July. Pregava a bassa voce, singhiozzava leggermente. E Calum l'aveva osservata fino a quando non si era alzata, e si era tolta la polvere del pavimento dai pantaloni con le mani, e aveva scosso il capo, come se si fosse pentita di quello che aveva appena fatto. Si erano guardati negli occhi poi, le loro anime s'erano quasi baciate ma July l'aveva lasciato da solo ed era uscita fuori dalla porta di casa, chiudendola delicatamente.
Calum, intanto, continua a strofinare.

«e così l'hai lasciato andare»
«Adam, non avrei potuto fare nient'altro»
«ma lui ti ha chiesto di andare con lui, perché gli hai detto no?»
«perché» June prende fiato. Perché non è andata con Ashton?
Ha sempre avuto la cattiva abitudine di stare da sola June, di preferire la sua compagnia a quella degli altri. Ma era per quello?
«Avevo paura. Io ho paura di lasciarmi questo- ammesso che "questo" sia ancora qualcosa- alle spalle»
«E allora June, se hai paura di lasciarti "questo" alle spalle, perché ogni giorno speri che cambi qualcosa?»
E June sta zitta.
Adam si mette una mano in tasca, e l'altra nei capelli neri.
«Ti ricordi quando sei andata al museo? Dovresti scegliere la foto da mettere sulla copertina del Time, esce domani»
«Ora mi metto subito a lavoro»
Scende dalla scrivania disordinata di Adam, camminando verso la sua poco distante. Si siede sulla sedia di pelle nera, rovinata. Ha anche un graffio sul lato destro, è particolarmente rotta, ma June non la butta, così come per la giacca di pelle nera, quella che assomiglia a quella di Ashton, quella che ha indossato la prima volta che sono usciti.
Lo schermo del computer si accende, e June apre una cartella sul desktop, dove aveva salvato le foto del museo. Clicca sul primo file.
È il museo, da fuori. Bianco, nasce da una gradinata di cemento prepotentemente e si fa spazio tra le atone case di New York. Sembra che l'abbiano buttato li per caso.
Preme la freccetta destra della tastiera, alla quale manca il tasto della lettera A, e passa alla foto successiva.
C'è "la libertà che guida il popolo".
Va avanti.
Lo stesso quadro, diversa prospettiva.
Va avanti.
Foto dall'alto.
Va avanti.
Foto dal basso.
Va avanti.
Foto della stanza completa.
Va avanti.
Foto di Ashton di spalle, leggermente di profilo, che guarda il quadro.
Va avanti.

Si sta facendo buio. October vede la luce farsi più fioca ogni secondo che passa, il sole ormai è quasi del tutto tramontato, il cielo è vuoto senza di lui. Così come la biblioteca. Così come la loro vita senza April. Girava tutto attorno a lei, ormai.
È solo quando le foglie cadono dall'albero che capisci quanto siano smorti e soli i rami.
October però non si sarebbe arresa. No, non l'avrebbe fatto. Aveva superato il rehab, i suoi problemi, Martin. L'animo da combattente lei ce l'aveva sempre avuto, avrebbe continuato a lottare per April.
Qualcuno entra nella biblioteca, cammina anche veloce. I suoi passi pesanti risuonano nel silenzio dell'ingresso. Riconosce dei capelli biondi, e gli occhi azzurri.
Si poggia sulla scrivania con le mani.
«Dobbiamo fare una cosa per Michael»dice.
«Cosa?»
«Me l'ha chiesto April nella sua lettera Oct, ecco cosa devi fare»
July si avvicina a lei e le bisbiglia qualcosa, solleticandole l'orecchio destro.

Luke è alto 1.93 metri, ma lui non ha mai saputo cosa farsene di tutto il suo corpo, l'ha sempre considerato troppo ingombrante, un eccessivo spreco di spazio per qualcuno così insignificante. Luke è piccolo dentro, anzi, dentro non c'è rimasto quasi più niente, non l'ha mai saputo con esattezza chi era e adesso? Adesso non lo sa proprio più. Sa solo che lui è in un corpo troppo grande e che è tuttavia relativamente piccolo rispetto all'altezza che lo separa dal mare sottostante.
Il molo è illuminato dall'eccessive luci suburbane, è una vera e propria giungla come cantavano i guns, e Luke si accarezza la maglietta con il loro stemma e la stringe un po' tra le dita bianche con le unghie mangiucchiate. Guarda per terra, come sempre.
E vede le sue gambe dondolare sull'acqua fredda.
Non c'è gente, le uniche persone che camminano di notte sono distanti e preferiscono restare sulla strada principale, quella vicino la biblioteca, piuttosto che svoltare a destra e passeggiare per il porto sul mare per poi salire sul molo di legno, in alto rispetto all'acqua.
Si porta una mano in viso, esasperato.
E tocca il suo zigomo destro, ancora gonfio per il pugno ricevuto da Michael.
Come dargli torto?
E forse sarebbe dovuto morire lui e non la piccola April di Michael. Lei aveva tutto, poteva farcela; evidentemente non ci credeva abbastanza.
Luke ogni giorno si sveglia senza uno scopo, apre gli occhi e già è stanco e non vede l'ora di tornare a letto e spera solo di non svegliarsi più.
È strano come succede.
È solo che un mattino ti svegli totalmente pieno di un senso di vuoto, consapevole che le cose non miglioreranno, e continui così, all'infinito. È una tristezza che si attacca addosso, e non va via, come la sabbia bagnata sulla spiaggia. Non importa quanto tu possa provare a strofinarti per pulirti; qualche granello resta sempre, almeno fino a quando non ti butti.
E Luke adesso ci sta pensando seriamente a buttarsi per togliersi tutta quella sabbia di dosso. Sarebbe tutto più semplice.
Si alza, e guarda giù, ma non ha il coraggio. Continua a fissare. Oppure ce l'ha?
Se si buttasse e basta sarebbe più facile ma Luke è sempre stato uno che pensa troppo. Uno che anche per i problemi più semplici trova la strada più contorta; è la sua mente che lo sta distruggendo.
Ora è arrivato il momento che lui distrugga la sua mente.
E così fa un passo.
Manca ancora un po' di strada.
Ne fa un altro.
Sente le onde del mare muoversi piano, e allora capisce che questo è un modo perfetto di morire. È tutto così pacifico.
Chiude gli occhi.
Silenzio.
Fa un altro passo.
Silenzio.
Un altro passo.
Una persona corre sul molo.
Apre gli occhi di scatto ma non si volta; ora o mai più.
«Luke che stai cercando di fare?»
Si gira non appena riconosce la voce di October e le lacrime gli offuscano la vista, già resa difficile dal buio.
«Preferisco morire piuttosto che vivere un altro giorno come questi» urla.
Se fosse un film October correrebbe da lui e lo bacerebbe, lo fermerebbe. Ma non lo fa.
Si siede per terra, e si accende una sigaretta.
È fredda come sempre.
«Non fare il coglione. Vieni qua»
Luke fa un altro passo.
October si alza, è calma, continua a fumare.
«Luke per favore»
Luke non vorrebbe fare altro che correrle incontro e piangere su di lei, perché ha solo bisogno di qualcuno che lo consoli. Eppure fa un altro passo- più piccolo degli altri però, non vuole morire veramente (forse), vuole solo che October lo fermi.
«Luke porca puttana fermati»
Si avvicina a lui. Il ragazzo le da le spalle.
«Tre passi e ventitré centimetri» risponde.
«cosa?»
«Mi mancano tre passi e ventitré centimetri alla fine del molo»
«ti mancano tre passi e ventitré centimetri alla fine della tua vita Luke. Non farlo»
«perché?»
«perché poi con chi mi arrabbio? Chi prenderà il tuo posto? Ho già perso April, non posso veder morire anche te. Odio i funerali, non costringermi a venire anche al tuo»
«È alquanto ironico che tu dica questo. Mi stavi ammazzando tu con le tue stesse mani l'altro giorno»
«Queste mani» le alza verso l'alto tremando «questa mani» urla «ne hanno fatte di cazzate nella loro vita. Queste mani non sono adatte ad amare. Sostituiscono le carezze con gli schiaffi, perché questo cervello» si indica la tempia « è ormai fuori controllo. Queste mani Luke, non sanno amare, così come questo corpo, o quest'anima eppure queste mani» October si siede per terra a gambe incrociate, butta la cicca di sigaretta e giunge le sue mani «ti pregano di non fare tre passi e ventitré centimetri verso l'acqua, perché il paradiso può aspettare, goditi un po' la vita qui, ancora per un po'»
«Di che mi ami»
«Non posso»
«perché no?»
«perché non ti amo. Non posso mentirti»
«allora salto»
«non saltare. Dammi modo per imparare ad amarti»
«no»
«tre passi e ventitré centimetri è la distanza che ti separa dall'acqua ma tre passi e ventitré centimetri» October adesso si alza e cammina posizionandosi abbastanza vicina a lui, è incazzata nera con Luke, ma ha solo paura che lui si butti per davvero perché che è stupido l'ha capito, e come fa poi da sola senza di lui? Perché un po' (forse) le sarebbe mancato «è anche la distanza che ti separa da me»
Luke allora torna indietro e si ferma davanti ad October.
Si guardano per un po' ma non sanno che dire, e Luke corre da lei e l'abbraccia. Le sue braccia gli cingono fortemente il collo.
«Sono contenta che tu non ti sia buttato»
«Perché?»
«perché un po' ti voglio bene. Ti prego, smettila di drogarti. Non riuscirei a sopportare anche la tua perdita per overdose.»
«io ti giuro che ci provo. Io ci sto provando. Ma ogni mio tentativo è vano; perché tutto quello che faccio va a puttane?»
«Forse non proprio tutto»
October è alta quasi quanto Luke, forse solo pochi centimetri in meno e si avvicina al suo viso senza difficoltà, gli posa una mano sulla guancia che Michael aveva colpito l'altro giorno, e gli accarezza la pelle tumefatta coperta da una leggera barbetta incolta.
Lo bacia, senza perdere tempo, non fa giochetti come quelli dei film. Si scaglia sulle sue labbra velocemente, le bacia, ricambia, sorridono, continuano a baciarsi, le mani di Luke stringono i dread di October e lei si tiene saldamente alla maglietta nera di Luke.
«E adesso?»
«e che ne so» risponde noncurante come al solito, prendendo due sigarette dal pacchetto di Camel. Poi estrae l'accendino abilmente nascosto nel reggiseno e le accende entrambe, porgendone una a Luke «dici che potrebbe funzionare?» continua October.
«in matematica due negativi danno un positivo; forse questa volta così come nella matematica due cose sbagliate daranno il via a una cosa giusta» risponde cacciando un po' di fumo.
October e Luke si siedono nuovamente sul molo, alla fine, ma non hanno nessuna intenzione di saltare.
October aspira.
«Grazie» dice.
«per cosa?»
«per tutte le volte che ti ho mandato a fanculo e sei venuto a riprendermi» gli risponde.
«Grazie anche a te. Sai, per tutte le volte in cui mi sono drogato, e tu hai provato ad aiutarmi» bisbiglia Luke con la sigaretta tra le dita, poco distante dalle sue labbra.
«Oct» continua Luke «credo che noi due ci conosciamo da sempre, sai perché? Quando c'è stato il Big Bang tutti gli atomi dell'universo si sono uniti in un minuscolo puntino che poi è esploso. Quindi i miei atomi e i tuoi atomi erano sicuramente insieme, chissà, magari si sono uniti diverse volte negli ultimi» si ferma per un istante mormorando calcoli incomprensibili alle orecchie di October che lo guarda interessata, dentro di lei si sta addolcendo piano piano, eppure preferisce non far trapelare nulla «tredici virgola sette miliardi di anni, più o meno. I miei atomi conoscono i tuoi atomi, li conoscono sin dall'inizio. I miei atomi hanno sempre amato i tuoi atomi»

La luce entra dalla tenda bianca e si proiettata sul muro giallognolo, e sul viso del ragazzo. Apre gli occhi a fatica, si porta una mano sul viso stropicciandoli un po'.
Passa l'altra mano tra i capelli ricci provando a districarli un po'.
Si veste in fretta e scende di corsa le scale del suo palazzo. Parigi è bella la mattina presto, baciata dai raggi del sole europeo.
Parigi è bella si, ma June un po' di più.
Perché June è più bella della Senna, della torre Eiffel, del Louvre e di qualsiasi opera d'arte che Ashton abbia mai sorvegliato o illustrato a turisti distratti e senza meta.
Forse non aveva fatto la scelta migliore. Eppure aveva bisogno di un po' di tempo per pensare. Per capire.
Si, per capire che ha fatto una stronzata perché a lui June manca, si sente come il cielo senza luna, insignificante.
Ma a lei lui mancava? Gli aveva detto lei di partire. Gli aveva detto lei che era una grande opportunità. Lei non era voluta andare con lui.
E Ashton si mordicchia il labbro inferiore mentre entra nella stanza delle ninfee di Monet al museo dell'Orangerie a Parigi.
Dei gruppi di turisti entrano, iniziano a scattare migliaia di foto. Non ce ne è uno che guarda effettivamente il quadro. E Ashton dentro di lui si arrabbia perché l'arte va ammirata per davvero, si guarda prima tutta una volta e poi si studia poco a poco. È così che si è innamorato di June.
L'ha vista prima per intero quella mattina dopo la festa, l'ha squadrata da cima a fondo e arrivò alla conclusione che June era la prima ragazza bella a prima mattina, senza trucco e mal vestita. E poi l'aveva ammirata un po' per volta.
Ricordava i suoi occhi caramello la sera che erano in auto.
Ricordava il suo sorriso timido la sera al pub.
Ricordava le sue unghie rosse che quasi graffiano la reflex che aveva collo quando andarono al matrimonio di Chloe.
Ricordava le sue lacrime nel bagno di casa sua.
Ricordava il suo sangue nel bagno di casa sua.
Ricordava il suo primo bacio nel bagno di casa sua.
Ricordava il suo corpo nudo pieno di tatuaggi la prima volta che sono andati a letto.
Era l'opera d'arte più bella che avesse mai visto.
Un flash gli offusca la vista per qualche istante e si avvicina a una turista.
«Le foto senza flash!» sbotta.
«mi scusi»
«ma perché non provate un po' a guardarli questi quadri al posto di fotografarli?»
«perché facciamo foto solo alle cose che non potremo rivedere mai più, o alle cose che abbiamo paura di perdere» e Ashton non risponde. E poi si ricorda.
June una foto soltanto a lui non gliel'ha mai fatta.
E cerca di reprimere le lacrime dentro di lui, mordendosi l'interno della guancia sinistra.
«Oddio ma lei non è il ragazzo che è sulla copertina del Time? Possiamo farci una foto? Per favore!» chiede strillando una ragazza del gruppo.
«Come scusi?» Ashton è spaesato.
E la ragazza apre la borsa e semplicemente gli mostra il numero del Time che ha comprato questa mattina indicando il ragazzo sulla copertina.
E Ashton sbianca, è lui, leggermente di profilo. La luce del museo gli illumina il viso. Stava guardando "La libertà che guida il popolo". Distava circa tre passi e ventitré centimetri dal quadro. Quel giorno June fece una foto anche a lui.
E lui non se ne era accorto.
Perché forse ogni volta che lui guardava altrove era lei a guardare lui.

AYEEEE.
Uhm boh non so che dire. Che bello ehehe. Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Voglio una standing ovation per October, che se aspettavamo a Luke facevo una fanfiction più lunga di "guerra e pace".
Ashton è troppo cucciolo, ceh.
June (June reale so che sai leggendo, fammi la tua registrazione/commento/critica se no ti picchio domani 😒💙 ti aime💙💙)
E non saprei. Ah July e Calum. Nel prossimo capitolo prenderanno una brutta (dipende dai punti di vista) decisione. Non so come continuare questo AYEEE senza senso. Michael era assente. Boh.
Stavo anche per scrivere "April non si sa che fine ha fatto" ma OPSSS è morta, povero tesoro mio. :c
Se vi è piaciuto recensite, continuo a 1 recensione, vi amo, alla prossima
Ps: siamo quasi alla fine :c

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Capitolo 17
*** XVII.July ***


XVII.July

 

How to draw-THE1975

 

Stupida. Sei stupida. Tu, che ancora puoi permetterti il lusso di piangere. Tu che non c'hai il cuore atrofizzato dentro, che riesci ancora a ridere per davvero a qualche battuta ogni tanto. Tu che sei ancora allo stadio precedente della cinica disperazione che ti accompagnerà poi per tutta la vita, quando non ti ricorderai più come era vivere senza la tua depressione.
Smettila di lamentarti e crogiolati nel tuo dolore, godine e sii felice d'essere triste perché, almeno, sei ancora qualcosa.
L'invidia divora October dall'interno quando vede July piangere accanto a lei alla fermata dell'autobus, vorrebbe piangere anche lei a volte.
Eppure si ritrova la sera, sola, nella stanza, a urlare, e a gettare tutto ciò che ha davanti per terra, e si trattiene dal ferirsi perché sa che squarciarsi i polsi è solo un modo per indulgere nel del dolore, non per sanarlo.
Questo va affrontato a testa alta.
Devi sentire quel pallone carico di nulla, i cui bordi tagliano come lame nello stomaco e lo riempiono, il suo peso ti schiaccia il cuore, lo fora come uno spillo, fa male.
Ma dopotutto te lo meriti.
«July smettila» urla. Senza ritegno. Senza pietà. Senza far conto a July che resta mortificata.
«Non so che fare. Cosa gli dico?»
«July la scelta è tua. Ma se fossi al posto tuo, credo che mi farebbe bene andare via»
Calum le ha chiesto di trasferirsi con lui. Vuole tornare in Australia. E forse July dovrebbe andare con lui, perché non ha nulla da perdere, non c'è più niente qui per lei. Per loro. Per tutti.
«Perché non venite anche tu e Luke?» domanda.
«Non lo so. Ho appena trovato lavoro in biblioteca, perché dovrei andare? Mi fa paura l'Australia. Sono stanca di cambiamenti July. Voglio solo un po' di tranquillità. Non credi che me la meriti? Anzi, non credi che ce la meritiamo un po' tutte? Forse dovremmo dividerci per un po' e capire che dobbiamo fare della nostra vita»
«Non è un addio, vero Oct?»
«No che non lo è; è un arrivederci July»


July cammina tremante, incerta, si nasconde dietro Calum.
Nemmeno lui è tanto convinto. Separarsi dai ragazzi è stato atroce. Sapere di non vedere più Michael con i sintomi del post-sbornia a prima mattina mentre lui cercava di andare a lavoro, o sentire Luke studiare per l'università perché voleva fare davvero bella figura con il professor Hudson lo riempiva di tristezza. Gli sarebbe mancato tutto questo.


July aveva venduto i suoi quadri. Calum le aveva proposto di metterli su eBay in vendita, e alla fine diverse persone li avevano voluti, proponendo cifre esorbitanti.
Adesso lei continua a dipingere, nella loro casa, a Sydney. E Calum continua a lavorare come cameriere, in un altro locale però.
Quando la sera si ritrovano assieme, a casa, nel buio della notte, a volte piangono. In silenzio. Abbracciati. Perché anche i grandi piangono.
Soprattutto i grandi piangono.
Vestiti da tutti i loro sbagli che fanno cedere la loro armatura forgiata dall'orgoglio e della rabbia. Ci sono delle crepe sui loro corpi. E la luce entra.
Calum non è più stanco come prima, sta bene, ma gli mancano i ragazzi. E si domanda come sarebbe stato se fossero ancora tutti assieme ora. Ma la luce gli illumina il viso. È fiducioso. E July sorride accanto a lui, un po' più convinta (forse) di quello che hanno fatto.

non ho ancora imparato come disegnare, cosa succederebbe se morissi con tutte le mani sporche di colore?

non importa in che modo stai adesso. sarai felice prima o poi. basta che tu non muoia poco prima di aver raggiunto la felicità, mentre la stringi tra le mani. andrà bene.

AYEEE.
heyy c: indovinate chi è viva? Siamo alla fine. Ci saranno altri quattro (o cinque, devo vedere un po' eheh) mini capitoli dove spiegherò un po' cosa succederà ai ragazzi. Il prossimo arriverà a breve, don't worry.
Spero che l'idea vi piaccia, però attivatevi un po' e lasciatemi una recensione, su su.
Alla prossima, vi amo 💙

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Capitolo 18
*** XVIII.June ***


XVIII.June

 

 

Please be naked-THE1975

Il vento le scompiglia i capelli. Sente i rumori delle auto che passano per la strada ronzarle nei timpani.
Sale le scale del museo dell'Orangerie incerta. Forse avrebbe dovuto lasciare che Ashton vivesse la sua vita senza di lei.
Arriva alla biglietteria e butta delle monete sul bancone, mentre la ragazza cerca di prenderle in malo modo a causa delle sue unghie laccate di rosa.
June stringe la sua macchina fotografica al petto, si aggira tra le mura bianche e viene inghiottita dalle stanze fino ad arrivare a quella circolare, delle ninfee di Monet.
Impugna la Nikon nera, le sue dita magre si incastrano perfettamente tra i tasti e l'obiettivo, come se fossero state fatte apposta per impugnare la macchinetta.
Si mette dritta, leggermente inclinata in avanti e mette a fuoco il quadro, o almeno un particolare di questo, in quanto la tela copre l'intera parete circolare.
Scatta la foto.
«ancora non l'hai capito che le foto da così vicino non si possono fare?»
Sobbalza, e si gira di scatto, vedendo Ashton dietro di lei.
Il cuore le batte lento. Ashton la cinge con le sue braccia, la stringe forte. Adesso che è qua non la lascerà più andare.
«ho visto la foto»
June sorride.
«mi dispiace» aggiunge Ashton.
«per cosa?»
«per non essere quello che vuoi, è solo che non riesco a lasciarti andare»
«anche io ti chiedo scusa. Perché deve essere stato difficile amarmi»
Ashton fa silenzio.
«Perché amarmi è come andare in una casa stregata» continua June «è divertente entrarci una o due volte all'anno ma se qualcuno ti proponesse di restarci anche solo una settimana diresti di no. Non è per paura, o perché non sei incosciente, è solo per istinto. Eppure quando ci sei dentro quella casa la ami, non è così?» sorride schietta, prendendo fiato, e si scosta un po' la frangetta «ma il tuo amore non mi guarirà, non cancellerà le macchie di sangue dalle pareti, però Ashton il tuo amore ha acceso tutte le luci, ha fatto andare via i fantasmi, e adesso tra queste stanza vuote risuona la musica più dolce che io abbia mai sentito, e che forse mai sentirò. In questi giorni in cui sono stata da sola, ho sentito riecheggiare le note di un disco rotto, che suonava a fatica, e avevo paura che quei fantasmi sarebbero tornati. Eppure quella luce che hai fatto entrare è stata così forte che mi ha dato la forza di scacciarli via da sola quei fantasmi, ed è allora che pensi "questa casa, il modo in cui resta spudoratamente in piedi nei mesi in cui nessuno entra, quanto è bella e inquietante, quasi quanto una mano che fuoriesce dal prato fiorito di una cimitero
Ashton la guarda, ha paura, ma in senso buono. Nel senso che quella ragazza così minuta ha dentro di se una forza enorme, che con delle parole gli fa tremare l'anima, che potrebbe dominare il mondo se solo lo volesse.
«Abbracciami e baciami tra i dipinti» sputa June. Ormai brama la labbra di Ashton da quando lui è partito da New York, ha fame d'amore June.
«non posso toccare le opere d'arte» ribatte Ashton sorridendo leggermente.

L'appartamento di Ashton è illuminato più dalle luci parigine che dalla  lampadina al neon che pende dal soffitto malamente coperto dall'intonaco scrostato.
La vista è grandiosa.
Sono fuori al balcone assieme, e la calda brezza francese rende l'aria piacevole.
June, forse, è felice.
Sta pensando proprio a questo adesso, mentre il vento le scompiglia i capelli e le accarezza il viso. Si, forse è felice.
Perché le manca ancora un po' April.
Perché avrebbe voluto chiarire meglio con July.
Perché avrebbe voluto salutarla prima che fosse partita per l'Australia.
Perché non avrebbe voluto lasciare le ragazze per Parigi.
Ma alla sua destra c'è Ashton, e le cose vanno meglio.
Ash prende il cellulare e lo guarda velocemente, notando che ormai è mezzanotte.
«auguri» le bisbiglia nell'orecchio destro, per poi accarezzarle piano il mento e avvicinarla a se, baciandola.
Le sue labbra premono su quelle carnose di June, che trema un po' ogni volta che si baciano, e allora si aggrappa al suo collo e gli morde il labbro mentre Ashton sorride e le accarezza i capelli. Si staccano, e lui le scompiglia la frangetta.
Ha ventiquattro anni ora June.
Ha ventiquattro anni e sa che non c'è sensazione migliore di essere felici, dopo aver pensato di non arrivarci nemmeno a ventiquattro anni.
Non c'è voluto molto. Bisogna solo metterci un po' di forza di volontà.
La felicità si conquista da soli, ma è più bella se condivisa.

Un giorno qualcuno sarà così dolce e gentile con il tuo cuore che sarai contenta di averlo tenuto aperto, e ti domanderai perché mai tu abbia mai pensato di chiuderlo.

Se stai leggendo questo sei sopravvissuto tutta la tua vita fino a questo punto. Hai superato traumi, cuori spezzati, devastazioni, e diverse fasi della tua vita e adesso tu sei qui, cazzo, e sei magnifico, sei un disastro straordinario, e quindi ti meriti un applauso.

AYEEEE.
Ciao June questo era per te eheh. Ho fatto del mio meglio (è un abominio sto capitolo vbb)
Ah June e Ashy, che cuccioli. Io li shippo troppo.  Avrei voluto fare di meglio, è solo che è uscita sta merda e boh.
Vi giuro che per il prossimo mi impegno ancora di più.
CONTINUO A 2 RECENSIONI :).

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Capitolo 19
*** XIX.October ***


Patience- guns'n'roses

Sono rimasti soli. Nei due appartamenti  ci sono solo Luke e October.
E Luke strimpella la chitarra per far sembrare quel grande spazio meno vuoto, October balla sulle note di patience, e forse è quella l'unica cosa di cui hanno bisogno, un po' di pazienza perché il tempo non aggiusta del tutto le cose ma aiuta a dimenticarle.
«ti ricordi quando mi dicesti che eri anche meglio di Axl Rose la prima volta che ci siamo visti alla festa?» gli chiede.
«si che me lo ricordo» Luke sorride non appena l'immagine di October gli riaffiora alla mente e se la ricorda con le Dr.Martens, il tubino nero e la camicia a quadri aperta che ballava, e  beveva. E beveva. E lui non l'aveva capito quanto stesse male October all'inizio, e se lo domandava perché svuotava quei bicchieri come se fossero acqua eppure non ci arrivava.
«Farai sempre più schifo di Axl Rose, ricordatelo» lo risveglia October «ma mi piaci comunque» lo afferra per la maglietta e lo avvicina a se, fermandosi  a pochi centimetri dalle sue labbra.
Gli occhi ora sono più celesti, più luminosi e October sorride a vederli così, e anche se la barba è un po' più folta e i capelli un po' meno curati, le lentiggini quasi invisibili decorano il viso di Luke, che sorride, piegando gli angoli della bocca. Le sue labbra sono sottili, ma il piercing le rende leggermente più carnose.
Luke le unisce a quelle di October che ricambia il bacio, staccandosi poco dopo, accarezzandogli la guancia destra.
«Perché sono andati via tutti Luke? Mi mancano. Io non ce la faccio a sopportare la solitudine, non voglio restare da sola»
«non sei sola Oct»
«Lo sarò Luke»
Luke sta guardando il pavimento ma a sentire quelle parole la sua anima sbanda. Che ha detto October?
«Perché?»
«Perché ti stancherai di me Luke» osserva tranquillamente, estraendo una sigaretta e accendendola con la fiamma della candela sul tavolino nero, coperto da libri e pacchetti di sigarette consumati.
«non è vero»
«Si che è vero Luke. Lo sai che le persone smettono di amare qualcuno per gli stessi motivi per i quali li amavano? La mia accattivante testardaggine diventerà solo motivo di scontro e comprometterà il nostro amore, e la mia immaturità o le mie attive abitudini» indica le sigarette «diventeranno solo soldi gettati al vento. La mia spontaneità diventerà insopportabile e si trasformerà in irresponsabilità, e le mie gambe poggiate sul tavolino, come ora» Luke guarda le gambe lunghe di October, sono così belle, e glielo dice ogni sera, quando traccia la scia delle sue gambe con le labbra «non saranno più sexy, ma saranno solo un'altra distrazione della tua vita. E non c'è nulla che mi spaventi di più che pensare di poter diventare banale, come gli altri, agli occhi di qualcuno che ogni sera vede le stelle nei miei occhi»
La sigaretta è finita, la cenere riempie un bicchiere di plastica con qualche goccia di birra dentro usato come posacenere. Ci butta anche il mozzicone dentro.
«Io non mi stancherò di te Oct. Io ti amerò così tanto che mi entrerai dentro, l'idea di te mi so attorciglierà attorno al cuore, diventerà un'abitudine giornaliera come lavarsi i denti o come nel mio caso guardare per terra, o chiudere tutte le cazzo di porte. October diventerai come l'aria che respiro, te lo ricordi che ti ha scritto April nella lettera alla fine? "La poesia è nelle strade piene di vita". October per te la poesia potrà anche trovarsi nelle strade, ma per me la poesia sei tu»

"Domani sarà migliore"
"E se non lo sarà?"
"E allora lo ripeti anche domani. Non si sa mai, giusto? Ad un certo punto, domani sarà migliore."

«le montagne non si possono spostare, però possiamo scalarle»

AYYEEE.
Boh mi andava e l'ho scritto, ce ne saranno altri due e poi ho chiuso con questa storia. Spero che vi sia piaciuto, vi  voglio bene. La foto non c'entra un cazzo, ma è troppo bello per non metterla, quindi ammirate Luke Hemmings gente.

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Capitolo 20
*** XX.April ***


XX.April

 

 

Coney Island baby-Lou Reed





«Che cazzo ci fai tu qui?»
«potrei dire lo stesso di te»
«sono tuo fratello maggiore, non puoi dire proprio niente»
«si che posso Evan»
«no che non puoi, come cavolo ci sei finita qui? Non puoi essere morta cazzo. No, tu dovevi vivere. Dovevi fare tutto quello che mi avevi detto, tutto quello che mi raccontavi ogni notte»
«evidentemente non era destino»
Silenzio.
È noioso il paradiso, bisognerebbe fare un po' di baldoria.
«Evan mi sei mancato» dice April, e si getta sul fratello, lo stringe forte e le salgono le lacrime agli occhi non appena sente il suo odore, e ritrova la sfumatura chiara al centro dell'iride proprio come la sua.
«Mi sei mancata anche tu»
April si guarda intorno. C'è un mucchio di gente che gironzola per una stanza vuota, totalmente bianca. È grande, non riesce a vederne nemmeno le pareti, sembra infinita, e April ha già la nausea, l'ha sempre odiato il bianco. Se l'era sempre immaginato come l'olimpo il paradiso, evidentemente fantasticava troppo. Si guarda addosso, e nota di star indossando gli stessi vestiti che aveva quando era morta. La maglietta gialla di Lou Reed risalta tra tutto il bianco, e il jeans a vita alta è ancora un po' sporco a causa della polvere che era per strada quel giorno.
Si guarda il braccio sinistro, quello dove si iniettò la sua ultima dose.
Nell'esatto punto in cui c'era la puntura dell'ago, ora la pelle è colorata di rosso. Continua a fissare stranamente la chiazza che ha sul braccio che non sembra causata dalla droga, sembra semplicemente che qualcuno gliel'abbia disegnata. Osserva Evan poi. E nota che anche lui ha la macchia rossa. Sullo stesso braccio.
«Evan ma cosa è sta roba?» chiede con noncuranza.
«Rappresenta il modo in cui sei morta. Vedi?» indica tutti gli altri «noi rossi siamo i suicidi, il punto colorato è il punto in cui ti sei procurato la morte»
April si ricorda di quando le dissero  che suo fratello era morto di overdose. Se l'era sempre chiesto perché l'avesse fatto. Cosa l'avesse spinto a cominciare. Ma sa che non c'è una risposta esatta e se Evan le chiedesse lo stesso lei resterebbe in silenzio, quindi si limita a guardarsi attorno.
C'è un uomo che si trascina a fatica, e ha una striscia rossa tutt'attorno al collo.
C'è una ragazza invece, dietro di lui, che ha l'intero viso e un braccio tutti azzurri.
«E lei?» chiede curiosa.
«Quelli in azzurro sono quelli che muoiono ingiustamente, ad esempio quella ragazza venne investita. Poi ci sono quelli con i segni verdi, che sono morti combattendo per i propri ideali; quelli con i segni rosa che sono morti per malattie e...E gli altri non me lo ricordo più» aggiunge grattandosi la testa «lo sai che non ho mai avuto una buona memoria»
April inizia a ridacchiare, e ogni secondo la sua risata di fa sempre più forte fino a quando non si trasforma in un pianto disperato e si getta tra le braccia di Evan che le accarezza la testa per consolarla. Proprio come faceva quando erano piccoli, quando April voleva imparare ad andare in bici a tutti i costi e si sbucciava le ginocchia diafane.
«Voglio tornare dalle ragazze. Voglio vedere che stanno facendo. Le dovevo aiutare, non posso lasciarle da sole. E Michael? Mi manca Michael. Se avessi saputo che quella sarebbe stata la nostra ultima notte assieme, me la sarei goduta un po' di più» singhiozza.
«Lo so April, lo so. Forse se io fossi stato un fratello più diligente le cose non sarebbero andare così; ma smettiamola di ipotizzare cosa sarebbe potuto succedere. Puoi vedere cosa stanno facendo le ragazze, devi solo pensare, e chiedere gli occhi»
E April fa come gli dice Evan.
Pensa a July, ai suoi occhi azzurri, si suoi capelli tinti che hanno quell'orrenda ricrescita marrone. La vede. Vede una ragazza con i capelli più lunghi, che dipinge. È felice.
Non riconosce la casa, ma riconosce la figura di Calum che è steso sul divano strimpella il suo basso, mentre la fissa senza staccare un attimo lo sguardo, con gli occhi luccicanti.

Pensa a June.
E la vede...a Parigi!?
Si. È decisamente Parigi la città baciata dai raggi del sole che nasce, che si intravede dalla finestra di una stanza piuttosto angusta; eppure la vista compensa tutto. June è stretta al petto di Ashton, che le accarezza i capelli, sorridendo. Sembrano felici anche loro.

Pensa ad October infine.
Riconosce la sua stanza dalla scritta di Bowie sul muro, e si chiede cosa ci faccia October in camera sua.
C'è anche Luke, che abbraccia la ragazza da dietro, infilando il viso nei suoi dread.
«Dici che lei stia meglio ora Luke? Mi manca tremendamente»
«Non sono proprio certo che Dio esista veramente Oct, ma mi fa piacere pensare che lei sia in paradiso, e che magari ti stia guardando proprio ora»
Si si Oct. Ti sto guardando. E sono fiera di te. Ma guardati, anzi guardatevi. Ce l'avete fatta tutte. Forse sono dovuta morire per voi, è stato solo quando io ho perso tutto che avete capito che la vita non va sprecata. Doveva morire la più forte, la più felice, si doveva sacrificare per le altre come se aveva sempre fatto.

Scuote la testa e apre gli occhi. Le mancano ancora le ragazze, però almeno ora può vederle tutte le volte che vuole.
«Ma sono David Bowie e Lou Reed quei due che si avvicinano verso di noi? In carne ed ossa?!» chiede April cambiando argomento e dimenticandosi per un secondo delle sue amiche «beh forse non proprio carne ed ossa»
«Si April, sono loro, qui è come se fossero persone normali, più o meno»
«Sai, ho impressione che per quanto mi mancherà la terra, forse mi ci potrei abituare a questo posto» sorride.

"Nessuno dovrebbe farla finita a ventitrè, per nessun motivo al mondo. Forse chi lo fa ha parecchie buone ragioni, ma - pur non conoscendole - non penso di condividerne nemmeno una. La vita è solo questa, godetevela, sporcatevi di vita, urlate al mondo di esistere."
-Lou Reed.

"Questo è lo shock: tutti i luoghi comuni sono veri; gli anni passano sul serio; la vita è davvero corta come ti dicono. Noi siamo artefici della vita, ma è anche vero che la vita stessa è artefice di noi stessi."
-David Bowie.

AYEEE.
penultimo capitolo :(

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Capitolo 21
*** XXI.Michael ***


XXI.Michael

 

Big girls cry- Sia.

C'è un ragazzo con i capelli blu, che cammina solo per le strade di New York.
Ha una valigia nella mano destra, e la sua inseparabile chitarra in spalla. Michael cammina e trattiene le lacrime a fatica. Sta per tornare anche lui in Australia, ha chiamato Calum, e hanno deciso che è meglio così. Anche Ashton e June li raggiungeranno, quando Ashton finirà il suo periodo di guida a Parigi, tra circa un mese più o meno. Perfino Luke e October torneranno li, prenderanno l'aereo con June e Ashton.
Intanto Michael cammina solo verso l'aeroporto, è nervoso. Ha paura.
Se ci fosse stata April ora gli avrebbe accarezzato un po' il collo, o la pelle diafana del ginocchio sinistro che usciva dal buco dei suoi skinny jeans, e si sarebbe calmato.
Ma April non c'è più e Michael si accarezza da solo, ma non è la stessa cosa, non ha le unghie per farlo, o il suo stesso tocco delicato.
Sale nell'auto nera, quella di Ashton, che gliel'aveva gentilmente lasciata («non la posso portare a Parigi Mike, l'affido a te» gli disse prima di partire), si mette la cintura e accende i motori.
Il viaggio procede lentamente, è una tortura e Michael accende la radio passando da stazione in stazione; poi esce "Perfect day" di Lou Reed, e il ricordo di April si fa più vivido nella sua mente, e se l'immagina accanto a lui. Con lo chignon rosa, gli occhi rossi a causa della birra a limone che avrebbe bevuto se fosse stata qui, e lui le avrebbe urlato che gli fa schifo al cazzo quella birra, e faceva schifo anche a lei ma si sarebbe ostinata a berla solo per fargli dispetto. Avrebbe cantanto a squarciagola, anche se era stonata, e poi avrebbe lasciato cantare Michael perché era l'unica voce che la rilassava per davvero.
Michael avrebbe cantato, qualcosa di malinconico, e poi avrebbero parlato.
«Ho creduto che ce l'avremmo fatta, che non ci saremmo estinti, che l'amore, almeno il nostro, fosse una riserva naturale, lontana dall'asfalto e dagli incroci che avrebbero potuto dividerci. Che stupido che sono; nemmeno le Torri Gemelle sono crollate assieme. Perché ti amavo così tanto?
E io lo so che mi mancherai. Farò finta di niente, fingerò che questi mesi non mi siano mai passati dentro, fingerò di averli scordati o di non averli vissuti mai»
Ma Michael si gira alla sua destra; e April non c'è.
Piange.

È sull'aereo, si sta già preparando mentalmente per tutte le ore di volo che lo attendono. Ha lasciato i suoi bagagli all'hostess, ma ha estratto dalla valigia un libro che gli aveva dato October prima che li salutasse.
«Leggi dentro, c'è qualcosa per te»
Michael si siede e si mette comodo, allaccia le cinture e quando la voce meccanica dell'operatore di volo li annuncia della partenza, prende il libro.
Apre la prima pagina, c'è un foglio e lo legge.
«Michael,
April nella lettera a July le aveva chiesto di fare un'ultima cosa per te. È venuta in biblioteca e me l'ha spiegato.
April voleva che lasciarti un ultimo messaggio, oltre a quelle poche righe che ti scrisse nella tua lettera»
Michael si ferma un secondo per prendere fiato e sorride ricordandosi della lettera di April. Aveva scritto anche a lui. Gli aveva scritto tante cose, che si erano detto solo loro, e che Michael non avrebbe mai condiviso con nessuno perché erano il segreto più dolce che avrebbe mai potuto mantenere; e poi gli aveva scritto anche una poesia.
"io
naufrago errante
mi rifugio
tra le tue braccia
approdo nei tuoi occhi
isole inesplorate
sosto
sulle tue labbra."
Strizza gli occhi ma due lacrime fuoriescono comunque, prepotenti, e le asciuga in fretta, per cancellare il segno della sua orrenda misfatta.
Ricomincia a leggere.
«Quindi ti ha dato questo libro. E poi ci ha chiesto di metterci questa dentro, come segnalibro. Leggi anche dietro la foto Mikey, ci rivediamo tra qualche mese, resisti»
Michael apre il libro e ci trova una loro foto dentro, gliela fece June a Natale, e lui non se ne accorse.
C'era April, in braccio a lui, con i capelli sciolti, che le incorniciavano il viso, che gli accarezzava la guancia destra, mentre le loro labbra erano a pochi millimetri di distanza e le loro bocche erano entrambe schiuse in un sorriso quasi impercettibile, di quelli silenziosi che non si notano, dei quali se ne accorgono solo gli innamorati.
Gira la foto.
«Lo so che non ti è mai piaciuto leggere Mikey, e quindi non mi aspetto che tu lo faccia; ho solo bisogno che tu legga questa parte a pagina 435, è sottolineata»
Michael ridacchia, e apre il libro notando un paragrafo sottolineato con l'evidenziatore rosa. Sorride e legge.

"Un giorno tu ti sveglierai e vedrai una bella giornata. Ci sarà il sole, e tutto sarà nuovo, cambiato, limpido. Quello che prima ti sembrava impossibile diventerà semplice, normale. Non ci credi? Io sono sicuro. E presto. Anche domani."
-le notti bianche, Dostoevskij

 

 

AYEEEE.
É finita. Ho finito Big girls (don't) cry.
È la storia alla quale personalmente sono più attaccata perché c'è un pezzo di me, delle mie amiche, della mia vita, delle mie sofferenze o esperienze ultimamente. Perché per me scrivere è solo una delle più pure forme di liberazione oltre alla danza, ma tra tutte le mie storie questa è quella che preferisco in assoluto, e spero per voi che sia lo stesso e che vi sia piaciuta.
Ci ho messo tutto l'impegno che avevo per scriverla e spero che applichiate le "perle di saggezza" degli ultimi capitoli nella vostra vita. Grazie mille. Non penso che l'abbandonerò del tutto e magari farò qualche one shot ogni tanto, giusto per farvi vedere che succede ai ragazzi (magari).
E niente, spero che l'ultimo capitolo vi sia piaciuto, lasciatemi qualche recensione vorrei veramente sapere cosa ne pensate 💙, è stato un piacere scrivere per voi. 💙💙

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