If We Only Die Once di Apalapucian_HP (/viewuser.php?uid=655121)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Au Revoir ***
Capitolo 2: *** Apologize ***
Capitolo 3: *** Counting Stars ***
Capitolo 4: *** If I lose myself ***
Capitolo 1 *** Au Revoir ***
If
we only die once
AN:
questa
fic sarà composta da 8 capitoli. Il prompt (da forstanakatic
su
Tumblr) è: “Lily
viene attaccata perché sta con James dai puristi del sangue
(mentre
sono ancora ad Hogwarts), e sebbene non abbia mai pensato che le
potesse dar fastidio, invece la ferisce, e viene risucchiata
nell'opinione che la vita di James sarebbe più difficile con
lei, e
pensa di chiudere la questione in fretta così da non ferire
nessuno,
ma James lo scopre e s'infuria.”
E
vi è nata un'intera storia. I titoli dei capitoli sono
canzoni dei
OneRepublic, e il titolo della fic è da “Something
I need.”
One:
Au Revoir
“I
don't love you anymore”
Ormai
ha letto l'articolo quattro volte di seguito, ma gli occhi le
rimangono incollati al giornale. Le sue dita non tremano. Strano. La
mano sinistra non stringe nemmeno la tazza troppo forte. E dovrebbe,
pensa, dovrebbe, giusto; dopo tutto, deve trovare qualche modo per
canalizzare il... questo.
Qualunque cosa sia. Ma che cos'è? Sembra... vuoto. Il suo
corpo è
diventato insensibile. È questo il limbo? Oh dio, si sta
perdendo.
Qualcosa sta iniziando a frullare nel suo cervello, qualcosa per cui
ha lavorato molto per spegnerlo. Lo può sentire risuonare
lentamente
di nuovo in vita. Ha paura. Sa perché è
lì, sa cosa sta dicendo,
ed ha paura che alla fine vi cederà. Ma la sua paura sembra
essersi
abbattuta solo sul battito del suo cuore. Nessun tremito questa
volta. Nessun agitarsi. Nessun mordersi il labbro per l'apprensione.
Il suo cuore, solo il suo cuore, è diventato assolutamente
irregolare, senza controllo. Si sta per scoppiare qui, ora; Merlino,
è fragile, e fa freddo, e qualcosa... qualcosa sta cadendo
dentro di lei, o cercando di uscire a morsi – ma allora
perché
tutto il resto è così fermo
- ?
“Evans?”
Sirius la chiama dall'altro lato del tavolo.
Lei
alza la testa un secondo troppo tardi perché passi per
nonchalance.
“Sì?”
“Stai
bene?”
“Spettacolare.”
“Sei
un po' pallida,” Remus, alla sua destra, le dice.
“No,
sì, sto bene,” lascia cadere il giornale e prende
un sorso di
caffè. I suoi movimenti sono troppo precisi. I suoi occhi si
spostano troppo spesso. Le sue dita troppo aggraziate. C'è
un groppo
nella sua gola che sta cercando di non ingoiare.
Smettila,
Evans. Smettila. Non è -
“Lily.”
Di nuovo Sirius.
“Sì?”
suona sempre così lei?
Sirius,
comunque, non risponde, quindi lei appoggia la tazza per sollevare un
sopracciglio verso di lui. La sta guardando attentamente,
corrucciandosi, mordendosi l'interno del labbro inferiore. Poi si
volta verso Remus, che si agita nel suo posto e prende la parola per
lui.
“Lily,
lo so cosa stai pensando,” inizia Remus, “ma devi
sapere che il
papà di James è da un po' che ha questi problemi
di opposizione al
ministero, e non è -”
“No,
lo so.” sorride ad entrambi. La spaventa la
facilità con cui
arriva l'espressione piacevole, quanto sia determinata a nascondere
ciò da loro.
“Sì?”
domanda Sirius.
Lei
annuisce. “Non preoccupatevi.”
“Okay.”
“Quindi...
ci metteranno ancora molto?” lei chiede, controllando
l'orologio.
“Devo andare su presto e sgobbare un po' su alcuni dettagli
per un
tema di Incantesimi.”
“Non
sono sicuro. James ha promesso a Peter che l'avrebbe aiutato a
parlare con la McGonagall riguardo quel suo compagno; gli hanno
assegnato questo terribile Serpeverde per quel progetto a lungo
termine, l'idiota ha un piano di vendetta contro... Evans, sei sicura
di star bene?”
Lei
ha iniziato a giocherellare col cibo con la forchetta, il silenzio
che spinge il panico a raggiungerla. “Sto bene, Black.
Solo...
nervosa. C'è questo – erm, questo test
più tardi, e non ho -”
“Non
sei tu,
d'accordo?” dice fermo Sirius. “Questo-”
si allunga per
piantare un dito sul giornale “ - non sei tu.”
“Già,”
risponde lei. Può sentire addosso gli occhi di Remus.
“Sì, lo
so.”
Ma
non lo sa. Ed è
colpa sua.
“Ho
sentito che il papà del tuo amichetto ha perso la sua
posizione al
ministero, Evans – dove andrai a pescare i tuoi galeoni,
ora?”
Lily
alza lo sguardo dal lavandino fino al sorriso rosso sangue e beffardo
di Demetria Greengrass. Le sue unghie sono smaltate e di un brillante
scarlatto come le sue labbra, e la sua voce irritante è
amplificata
del triplo nel bagno vuoto. “Avresti dovuto scegliere Black,
eh? Il
ragazzo è stato un idiota a tranciare quelle radici, ma ho
sentito
che ha intascato un bel po' dall'eredità di quello zio
morto...”
Lily
si asciuga le mani con calma e passa le dita tra i capelli, gli occhi
fermi e fissi sul suo riflesso. “Non hanno annullato il tuo
fidanzamento con quel Malfoy, Demetria?” replica
“Perché tuo
padre è stato abbastanza stupido da fare associare il suo
nome a
quegli omicidi di Babbani della settimana scorsa?” Demetria
sembra
appena essere stata schiaffeggiata. Bene. “Non dovresti
preoccuparti di quello?”
Demetria
vacilla. Incrocia le braccia, fa un passo verso Lily.
“Ripetilo?”
Lily
incrocia i suoi occhi, altrettanto freddi. “Dove andrai tu
a pescare i galeoni ora?”
L'ha
fatta davvero infuriare. Demetria si erge in tutta la sua altezza e
guarda Lily con odio, i riccioli neri che quasi tremano di rabbia.
“Mio padre. È innocente.”
Lily
si stringe nelle spalle. “Evviva.”
“Dubito
che possa dire lo stesso di te stessa.”
“Scusami?”
Demetria
piega un sopracciglio perfettamente delineato, guarda il suo riflesso
sorpresa, poi ride. “Mi stupisco che non ti abbia ancora
mollata.”
Lily si irrigidisce, e l'altra se ne delizia. “E' colpa tua
in
fondo, non è vero? La tua... mera
associazione con lui, con chiunque del rango dei Potter –
porta
loro l'inferno.”
Lily
alza gli occhi al cielo, ma le sue mani diventano sudaticce e l'aria
si è essiccata. “Smettila con la
teatralità, Greengrass,” la
rimprovera “Puoi provare a fare la cattiva da sogno con me
quanto
vuoi, e saresti comunque una disperata campagnola che vuole entrare
nel club dei pazzi suprematisti del sangue.”
“Il
padre di James Potter ha perso il lavoro per causa tua,”
l'altra
sottolinea ancora, enunciando ogni sillaba come se ne derivasse
chissà quale contorta gratificazione, come se Lily non
l'avesse
sentito abbastanza nella testa da quando il Profeta
è uscito. “Quando imparerai a sgattaiolare di
nuovo al tuo fetido
posto, Evans? Chissà cos'altro lui perderà a meno
che tu non la
smetta di essere così dannatamente egoista?”
“Non
lo so, un paio di pantaloni?” replica Lily, encomiando il
perfetto
tono di finta incredulità. “Sicuramente non
la
prossima partita di Quidditch. Sembra che lui ti piaccia parecchio,
perché non glielo vai a chiedere?”
Ma
Demetria Greengrass è implacabile, convinta di aver puntato
con
successo un argomento scomodo. “Sei la persona peggiore per
lui, e
lo sai.”
“Ehi,
è quasi una preoccupata, amichevole chiacchierata serale
questa!”
Lily ribatte senza perdere un colpo “Vuoi essere invitata la
prossima volta che Mary ne organizza una?”
Demetria
la guarda con disgusto. Lily vorrebbe correre via, sente le viscere
che balzano all'indietro; ma non può lasciare che la
dannatissima
Demetria Greengrass, tra tutti, sappia quanto la sta già
facendo
diventare matta anche senza che lei puntualizzi così
caritatevolmente la cosa.
“Come
fai a vivere con te stessa?” sibila Demetria, e potrebbe
benissimo
aver innaffiato Lily con dell'acqua ghiacciata.
La
rossa digrigna i denti, deve stringere la cinghia della borsa dei
libri per fermare le dita dal tremolio. In ogni modo, i suoi freddi
occhi induriti non disgelano sotto le forti accuse di Demetria.
“Penso che sceglierei sempre e comunque una sporca
mezzosangue
(*)
piuttosto
che una groupie dei Mangiamorte.”
E
poi se ne va da lì, perché davvero non
è sicura di poter
combattere l'irrefrenabile brama di farle una fattura.
E'
tutta la sera che lui la guarda in modo strano. Lei incontra i suoi
occhi, lui sorride, e poi il volto di lui cambia quasi subito quando
lei si riconcentra sugli appunti. Lui pensa che lei non veda. La
confusione. Il dolore.
Verso
le undici, già da tempo terminati gli appunti di
Trasfigurazione,
lei gli chiede cosa c'è. Quasi se ne pente, spaventata da
ciò che
potrebbe dire. Ma lui si abbandona sulla poltrona, delibera per un
secondo, e poi, “Niente.”
Stanotte,
sono silenziosi. Il fuoco scoppietta nel caminetto, e loro raccolgono
frammenti di conversazioni dalle poche persone rimaste in Sala
Comune. Di solito, si attaccherebbero ad una e la renderebbero
l'inizio di una propria. Chiacchiererebbero per ore. Lui la fa ridere
tanto. Anche lei. Ma stasera c'è solo il fruscio delle
pagine, la
luce tremolante, la piuma di Lily che graffia contro la pergamena e
le occhiate rubate di James che quasi pregano di essere catturate.
Più
tardi, quando lei è ai piedi delle scale e lui sta
raccogliendo le
sue cose dal tavolo, lui la chiama in modo quasi disperato. Lily si
volta – lui è in piedi, con il viso avvolto
dall'indecisione, la
smorfia tutto quello che vorrebbe ma non riesce a dire. Libri e note
quasi gli scivolano dalle mani, gli occhiali stanno per cadere, la
camicia è fuori dai pantaloni, la cravatta allentata. Lui
sospira e
le lancia un sorriso stanco che non raggiunge i suoi occhi, e Lily
conclude, dal modo in cui vuole rubarlo così tanto da qui,
dalle
circostanze e dal sangue, dal tempo e da tutto quello che è
sbagliato su di loro ora, che è semplicemente impossibile
smettere
mai di essere innamorata di questo scemo.
“Stiamo
bene, sì?” le chiede, e il cuore di lei si ferma.
“Certo,”
lei sorride. “Buonanotte, Potter.”
Undici
giorni.
Undici
giorni di tenersi per mano in modo apatico, undici giorni di spostare
lo sguardo all'ultimo minuto che ormai lui raggiunge solo l'angolo
della bocca di lei. Undici giorni di risate vuote e silenzi
taglienti, di secche risposte e deboli scrollate di spalle, di
colazioni mancate troppe volte. Undici giorni di fare coppia con Mary
in tutto; di occhiate che si spostano e labbra strette. Undici
dannati fottuti giorni di sorrisi tirati e mezzi sorrisi e tristi
indugianti sorrisi – quelli probabilmente gli fanno
più paura, gli
ultimi, perché il più delle volte sembra che lei
non sappia nemmeno
che lui capisce.
Non
gli ha voluto dire cosa c'è che non va. Ha continuato a dire
che non
è nulla. Lui sa cos'è, ma lei non lo vuole
ammettere, e lui non
vuole menzionarlo. A volte gli da il bacio della buonanotte e sembra
tutto di nuovo giusto, o si avvicina di più a lui davanti al
fuoco e
lui pensa, oh,
bene. Grazie a Merlino sei tornata.
Non
lo è mai.
Si
sente stupido, radicato in questo posto poco illuminato in
biblioteca, le dita congelate sul dorso di un insignificante libro di
Trasfigurazione riposto sul ripiano.
“Lo
lascio,” lei dice a Mary. La mano di James cade lungo i
fianchi.
Dall'altra
parte del tavolo, Mary boccheggia. “Lily
-”
“No,
è okay. Io – io ci ho pensato. È per il
meglio.”
Per
il meglio.
Giusto.
Giusto.
Mary
non risponde subito, ma quando lo fa, l'esasperazione riecheggia
forte nella sua voce sommessa. “Lo è?”
Lily
è silenziosa.
Undici
giorni.
Lui
ha pensato di essersi dimenticato qualche data importante. Ha pensato
di aver detto qualcosa. Un sacchetto di calderoni di caramello
è
appoggiata sul suo comodino, una patetica offerta di pace per
qualsiasi cosa abbia fatto di sbagliato.
Spinge
forte il libro al suo posto e se ne va da lì.
“Non
lo so,” risponde Lily, la voce spezzata, ma James
è già troppo
lontano per udirla.
Nel
momento in cui lo sente, tira fuori la bacchetta.
Sporca
mezzosangue.
Come
se fosse un incantesimo che lo costringe a farlo.
In
un secondo la mano di lui ha lasciato quella di lei, la bacchetta
già
puntata al petto del responsabile, gli occhi fiammeggianti. Un
Serpeverde del quinto anno, lei nota, e poi nient'altro,
perché
l'incantesimo sta già lasciando la lingua di James. Oggi
è
particolarmente adirato. Non è passata nemmeno
metà giornata ed ha
già tolto cinquanta punti a studenti casuali.
Lei
si mette in silenzio tra loro due, e lui capisce subito.
Sospira,
mormora “va bene”, e lascia cadere la bacchetta. Le
prende la
mano. Non... non è sembrato giusto, quello. È
stato quasi come se –
ci ha appena pensato due volte? Ad allungarsi verso di lei?
Lei
lascia che le dita di lui si avvolgano sulle sue. Lo sa che non
dovrebbe, e sta facendo un così ottimo lavoro ultimamente a
controllarsi attorno a lui, ma dentro di sé si lascia andare
nel
sollievo del contatto. Solo per oggi, insiste. Non può
evitarlo.
Quel secondo di esitazione da parte di lui ha fatto male –
è così
che sarà quando lo lascerà andare per davvero?
Sarà peggio?
Lui
le stringe la mano più forte di quanto ha (permesso a se
stesso) da
un po' di tempo, e lei è così sollevata che si
dimentica di tutto
il resto tranne che delle dita che scorrono sul dorso della sua
mano. Non le dovrebbe importare, non più, non con quello che
ha
intenzione di fare, ma lo fa. Diavolo, lui è qui accanto a
lei e già
le manca terribilmente.
James
piega la testa da un lato per lanciare un'occhiataccia al Serpeverde.
Non dice nulla, ma Lily vede la minaccia nei suoi occhi, sente il
prurito di ricambiare nelle sue dita. Anche lo studente lo sente;
corre via, lanciando a Lily un'ultima occhiata minacciosa quando
è
ad una distanza di sicurezza.
Lei
non ci pensa due volte. Tutto ciò su cui si può
concentrare è il
modo in cui la mano di lui stringe rassicurante la sua, il modo in
cui la guarda e sorride – è da un po' che i
sorrisi di lui
assomigliano di più ai tentativi incerti che lei gli
rivolge, oppure
lei lo sta notando solo ora? Lo sta ferendo altrettanto?
“Tutto
a posto?” le chiede, sistemandole una ciocca di capelli
dietro
l'orecchio.
Lei
non incontra il suo sguardo, scegliendo di sistemargli la cravatta
come scusa. “Sì.”
Lui
si sofferma sul suo volto, cerca qualcosa che lei spera non
troverà.
Sa
che non le crede. E non ha bisogno di chiederglielo per sapere che
non sta bene.
“Allora
quando hai intenzione di dirmelo?”
Non
la guarda. La voce di lui è debole, calcolata, e non la
guarda.
Continua a scartabellare documenti sul tavolo in movimenti rigidi e
frettolosi.
Dal
divano in cui è seduta con un libro di Pozioni aperto sulle
gambe,
Lily si raddrizza. “Cosa?”
Ma
lo sanno entrambi che lei ha capito.
“Ti
ho sentita,” le dice James lo stesso “In
biblioteca, l'altro
giorno.”
Lei
fa un respiro profondo ma non risponde. Il rumore delle carte che
sbattono ripetutamente contro il tavolo la infastidisce.
“Allora
quando?” insiste lui.
Lily
gira una pagina, testando quanto sia affilato il bordo con il dito
indice. “Non lo so.”
“Giusto.”
lui sbatte i documenti sul tavolo e ne prende una pila nuova, gli
occhi che scorrono su quello in cima, senza vedere.
“Perché ho
aspettato tutto ieri, sai. Ho provato a forse prepararmici:”
Lily
si morde il labbro e cerca di respirare attraverso il forte peso che
le schiaccia il petto. “Mi dispiace...”
“Allora
quando? La prossima settimana? Dopo i dannatissimi M.A.G.O.?”
Lei
sospira e chiude il libro, lo ripone lentamente, come se potesse far
qualcosa del tempo che ci vuole per alzarsi dal divano e
raggiungerlo, come se potesse pensare ad un modo migliore per fare
questo.
“Lo
avresti almeno fatto?” lei è a pochi metri e lui
continua a non
guardarla. “O pensavi che potevi essere distaccata e
silenziosa e
io mi sarei arreso?”
“Non
è quello che voglio.”
“Perché
non lo farò. Mai. E non dovresti nemmeno tu.”
“James.”
“Ed
è stupido, questo. Qualunque cosa tu stia facendo.”
Lei
gli prende la mano, gli toglie le carte e si aggrappa a lui. Sta
tremando. “Fermati.”
“No,
tu
fermati.” finalmente le lancia un'occhiata, e qualcosa in lui
si
ammorbidisce quando lei lo guarda di rimando. O si rompe. Ma lui non
può rompersi, pensa Lily. Non ancora. “Credevo che
l'avessimo
superato,” le dice, e suona prosciugato. Undici giorni.
È ora di
finirla. “Possono marcire tutti all'inferno, Evans. Non
importa
nient'altro. Tu. Io. È
tutto.
Dovrebbe esserlo. Lo sai dannatamente bene che non me ne frega
proprio un cazzo del sangue. Tu tra tutti dovresti saperlo.
Pensavo... cosa, lascerai che ti convincano?”
“No,
non è quello,” i muri di lei sono alzati, e il suo
cuore se n'è
andato. Lo può fare. Deve. “Non è per
loro. Non sto lasciando che
nessuno-”
“Allora
cosa?
Perché non puoi farla finire così! È
tutto – questo è tutto
adesso, Lily. Non mi stai lasciando soltanto perché qualche
pazzo
intollerante ti ha detto che tu non sei giusta per me.”
“Per
favore, James, non è.. quello. Okay? Ascolta, non funziona
più,
d'accordo? È per il meglio.”
Lui
sbuffa arrabbiato. “Già. Già, ho
sentito anche quello.
Esattamente, come sarebbe rompere per il meglio? Fermerà la
guerra?
Farà in modo che i Serpeverde ti lascino in pace?
Farà in modo che
a me non importi più di-”
“Stai
capendo tutto sbagliato,” lei risponde sottovoce.
“Smettila
di mentirmi!”
lui urla, togliendo la mano dalla sua.
Lei
segue la sua mano con gli occhi; un pugno dalle nocche bianche
stretto al suo fianco. Un distinto ricordo del perderlo in un secondo
– quella profonda terrificante sensazione di essere un
secondo
troppo tardi per riportarlo indietro, la bacchetta già
fuori, il
sangue già ribollente, solo perché
sporco mezzosangue
è diventato il suo impulso per buttarsi – la
ghiaccia sulla sua
decisione oltre la redenzione. Il mondo là fuori non
è il corridoio
di una scuola. Le persone presidiano le prime linee, i coraggiosi
puntano le loro bacchette, ma il nemico non si arrende. Alcuni
muoiono. Alcuni perdono la ragione. Sporco
mezzosangue
è una sentenza di morte per i cittadini che si associano
con loro, per coloro che altrimenti potrebbero ancora essere, almeno,
intoccati da tutto ciò. Lei porta l'inferno. Lei potrebbe
lasciarlo
andare.
Hai
vinto,
vorrebbe gridare al mondo. Hai
vinto tu.
“Non
ti amo più.”
Lui
fa un respiro veloce, corto, la mascella che si allenta, gli occhi
spalancati in un secondo di incredulità. Lei pensa di
doverlo
ripetere, e ci prova, ma non ci riesce.
“No,”
sussurra lui, e Lily quasi spera che lui continui a non crederci.
“E'...
non più.”
“No.”
“Ero
curiosa-” su
i muri, Lily. Su i muri.
“Ci ho provato perché ero curiosa. Ecco tutto. Ma
ora.. ora penso
che sia finita. Non c'è più altro. E
io-”
“Sono
stronzate, Evans.” la voce di lui è
pericolosamente bassa, sono
tornati gli spigoli sul suo volto, definito al limite della sua
ferocia.
“Sto
con te solo perché pensavo...”
“Mi
hai dato una possibilità perché eri fottutamente
curiosa?”
lui scatta, incredulo “Ma ti ascolti?”
“Non
ti amo più. Io- io non penso di averlo mai fatto. Mi
dispiace.”
“Sta'
zitta.”
si massaggia gli occhi, spingendo in su gli occhiali, le dita che
scorrono per strofinare la fronte. Stringe i denti e dice,
“Non mi
stai facendo questo.”
“Mi
dispiace,” perché davvero, cos'altro
c'è da dire? “Mi dispiace
tanto...”
“Non
è vero!” lui ringhia in completa frustrazione,
voltandosi verso il
tavolo e afferrando il bordo, il peso che gli cade sulle braccia. Gli
occhi si fissano su un punto determinato del legno lucidato, senza
muoversi, confusi. “E' un colpo basso, Evans. Non posso
– non ci
credo.”
“E'
vero,” risponde piatta Lily. “E mi dispiace, ma
è così.”
“Bel
tentativo,” lui ride di una risata orribile, vuota, e poi si
volta
verso di lei con un'occhiata che è più dolorante
che arrabbiata.
“Bel
tentativo.
Fa uno stracazzo di male, ma lo sapevi. Lo
so
che lo sapevi, vero Lily?” si raddrizza “Be', che
sfortuna. Io
non me ne vado. Non vado da nessuna parte.”
“Devi.
Non c'è niente qui per te.”
Lui
fa un passo avanti e le posa le mani sulle spalle, piegando la testa
per guardarla negli occhi. “Tu,”
la implora “Sei qui. E mi stai mentendo.
Perché mi stai mentendo?”
Lei
sposta lo sguardo. “Non è vero.”
“Mio
papà ha perso il suo posto al ministero, Evans. Non sono
stupido. So
di cosa si tratta.”
“Di
cosa si tratta, allora?”
“Dimmelo
tu, cazzo!” la sua presa si stringe, i suoi occhi si
appannano.
“Godric, per qualcuno di così brillante, puoi
essere davvero
idiota, lo sai? Non mi importa di nessuno di loro! Non mi importa da
dove veniamo, o cosa dicano – Lily, io
ti amo,
ti amo da sempre, e non mollerò tutto ciò! Questo
è stupido
– lasciar andare tutto ciò sarebbe la cosa
più inutile -”
“Non
mi rendi felice.”
Le
sue mani la lasciano. “Cosa?”
“Non
riguarda te, non riguarda il lavoro di tuo padre, riguarda me. Non mi
rendi felice.”
Una
pausa – esitante, spezzata – e poi,
“Battuta classica. Non ci
casco. Stiamo bene, Evans, lo sai. Io combatterò per te. Sto
combattendo
per te, okay? Rimani. Non rinunciare a noi. Non lasciare -”
“Non
ti voglio. A combattere per me.”
“Non-”
si passa una mano tra i capelli, le unghie che affondano profonde,
gli occhi che si stringono chiusi. “Non farlo. Lo so che stai
facendo, e devi smetterla. Non lasciare che ti convincano. Per
favore.”
La
voce di lui si spezza, e Lily non ce la fa più. Vuole che
passi,
vuole che finisca, vuole andarsene. Voleva farlo in fretta per
iniziare subito con tutta la faccenda del dimenticare,
perché –
perché è così che va, giusto? Lasci
andare le persone, stai male,
ti senti in colpa, dimentichi? Non vuole perdere lui. Ma non vuole
nemmeno fargli del male. Chissà
che altro perderà a meno che lei non la smetta di essere
egoista?
Perché lui non riesce a vederlo? Perché
è così testardo?
“Lo
siamo?” lei domanda, alzando la voce. Frustata. Spaventata.
Arrabbiata di essere forzata a fare questo, arrabbiata di essere
stata convinta di questo distorto giudizio oltre il riparabile,
arrabbiata di non potersi convincere di ritirare tutto. Di essere
così pazzamente, disperatamente innamorata di lui, che
è così
dannatamente difficile continuare a ricordarsi, ogni secondo che
rimane lì, a guardarlo lottare così tanto per
lei, del perché
lo sta facendo allontanare. “Siamo okay? Lo credi?”
“Sì!”
“Io
no,” dice crudelmente. “Non sono felice con
te.”
Lui
si ferma, lascia che ciò venga assimilato. È
così ferito, ed è
così stanco, e lei vuole che finisca. Ma lui – non
molla. “Lo
stai solo dicendo.”
“Non
ti amo, James.” forse un giorno sarà vero. Forse
un giorno
dimenticherà come una volta lui doveva solo stringerle la
mano ed
erano invincibili
– forse un giorno guarderà indietro e non le
mancherà il modo in
cui le parole si scioglievano quando la baciava, il calore della sua
pelle sotto la maglietta tutte le volte che si premeva contro di lui,
come si sentisse al sicuro tutte le volte che lui premeva le labbra
contro la sua tempia. “Sono solo giusta.”
“Queste
persone ti stanno facendo dire queste cose,” James insiste,
ma lei
prova dolore al notevole cambiamento nella sua voce. È
più
disperata ora. Allora ce l'ha quasi fatta. Ancora un po' di bottoni
da premere, ancora qualche colpo al cuore, e se ne sarà
andato per
sempre. Andato e al sicuro da lei. “Stai giocando nelle loro
mani.”
la implora. Sta convincendo se stesso tanto quanto sta convincendo
lei ora. “Vogliono delle fratture, Lily, e questa
è un gran
diavolo di frattura che gli stai così generosamente
fornendo, non lo
vedi? Non lascerò che accada. Io non
ti credo. Non ci casco. Sono pure, totali stronzate, e lo sappiamo
entrambi.”
Ancora
un po'. “James, ascoltami.”
“Non
ti lascio andare, Lily.”
“Hai
rovinato la mia amicizia con-”
“Wow,”
l'interrompe, aspramente. “Wow.
Tu sei... è così brutto, eh? Usi questa
carta
contro di me? Davvero?
Ti riduci a questo? Incredibile!”
Ma
Lily non si può fermare ora. Non quando ha quasi finito.
“Stai
rovinando la mia relazione con Tunia. E sono – apparentemente
sono
un inferno anche per la tua famiglia, quindi-”
“Chi
te l'ha detto?”
“Io...
nessuno.”
“Perché
non è vero, e giuro su Merlino che ucciderò
chiunque ti stia facendo-”
“Potresti
smetterla ed ascoltare quello che ti sto dicendo?” lei
reagisce
brusca, asciugandosi in fretta le lacrime che traditrici le bagnano
le guance.
Lui
deglutisce, si lecca le labbra come quando è agitato. Si
lascia
scappare un sospiro tremolante mentre guarda verso il soffitto e
sbatte rapidamente le palpebre.
“Nessuno
mi sta costringendo a dire delle cose,” dice fredda Lily.
“Nessuno
mi sta infastidendo,
capisci? Sono io. Tutta io. E tu devi ascoltare.”Ancora
un po'. Al sicuro da te. Per sempre.
“Non ti amo. Ecco tutto. Forse l'ho fatto, ma non importa.
Non vai
bene per me. Non sono felice. Ho perso il mio migliore amico, ho
perso mia sorella, ed io... non posso stare con te. E – e mi
dispiace, per tuo papà, per tutto, mi dispiace davvero, ma
non è
quello, non solo quello, e io – io davvero...”
“Quindi
ti sto rovinando la vita,” lui dice. I suoi occhi riflettono
il
fuoco morente, ma non hanno mai guardato Lily in modo così
depresso. “E' così?”
Lei
non risponde.
Ecco.
L'ha fatto. E... e lo sapeva che avrebbe fatto male, ma non pensava
che avrebbe fatto così
male, non pensava che qualcuno sarebbe stato capace di gestire un
colpo del genere – è insopportabile,
oh
Dio; la sua voce fredda, morta, le sue dita che lentamente si
sciolgono dai pugni stretti, tutto di lui che si sbriciola di fronte
a lei, cedendo infine, il viso che si rilassa e perde ogni traccia di
emozione.
“E'
così, Evans?” lui chiede inanimato.
“Allora dimmelo. Guardami
negli occhi e intendilo.”
“Non
mi rendi felice,” gli dice, guardandolo dritto negli occhi.
“Non
mi hai mai conosciuto come Sev. E... non penso che potrai
mai.”
E'
l'ultima carta. Se nient'altro funziona, questa sì. Lui
forse
potrebbe non credere al resto, ma quando si tratta di Severus Piton,
per qualche ragione la certezza di lui vacilla. Solo di modesto
grado, ma lo fa. Lei sa che lo fa. Che è una cosa idiota,
vuole
dirgli – ridicolo,
James, sei così idiota
– perché come potrebbe? Lui è la
migliore persona che lei
conosca. La miglior persona che lei mai conoscerà.
È la persona che
la conosce di più, la ama di più. L'unica. Per
sempre.
È
la cosa peggiore da dirgli, la cosa peggiore che potrebbe mai dirgli,
e non è nemmeno vera.
Ma
funzionerà. È tutto quello che importa ora, no?
E
dal modo in cui lui apre la bocca per rispondere, due volte e niente
viene fuori, dal modo in cui le sue mani si sollevano verso il suo
viso per liberarsi le guance, per respirare tra le dita, dal modo in
cui morde il labbro e sposta lo sguardo, dal modo in cui scuote la
testa e lascia scappare una spezzata, tremolante risatina che torce
la spina dorsale di Lily finché tutti i suoi nervi si
spengono e lei
non può più respirare, non può
più sentire nulla – lei sa che
ha funzionato. Che quello alla fine l'ha colpito.
“D'accordo,”
lui sospira, la voce roca e rotta e così sottile che lei
quasi non
l'ha sentito.
E
poi è fuori dalla porta.
(*)Ve
lo ricordate “l'errore” che avevano fatto nei primi
libri
traducendo half-blood
e
mudblood
entrambi con “mezzosangue”? Ho ripreso quello
perché
purtroppo/per fortuna ho solo le primissime versioni dei romanzi e
non so se la cosa sia stata corretta. Vale anche per le altre volte
nel chap.
|
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Capitolo 2 *** Apologize ***
Two: Apologize
“I don't think there have ever been two people
more in
love.”
Nuovo giorno.
Il fruscio delle lenzuola rompe il
silenzio del
dormitorio mentre Lily rotola su un fianco, sospira, infila le mani
sotto una
guancia, unite come in preghiera. I suoi occhi attraversano
il bordo
della tenda scarlatta chiusa, oltre la vorticante danza dei granelli di
polvere, senza direzioni e liberi nella luce del mattino. È sciocco, ma
si
ritrova ad implorare al Sole di riaffondare nell'orizzonte argenteo.
Per
favore. Almeno finché lei non sarà pronta per ciò che deve arrivare.
La colazione aspetta al piano di
sotto. Le
primissime conversazioni riescono a strisciare attraverso la sottile
fessura
tra la porta e il pavimento; fitte e vaghe da lontano, ma l'eccitazione
è
inconfondibile. Mary è già alzata. Anche Lily dovrebbe alzarsi, ma
farebbe
finire tutto questo troppo in fretta, e lei non può... non è ancora
pronta.
L'estate le sta cadendo addosso. La
casa vuota a
Cokeworth, un ultimo viaggio sull'Hogwarts Express, una guerra
incipiente.
Chiude gli occhi e fa un respiro
profondo. Una
certa parte del suo cervello persiste nel subentrare nella maggior
parte dei
suoi pensieri. Un certo ricordo. Molto recente. Potrebbe anche averlo
sognato. Cerca
di bloccarlo, riprende la sua inutile preghiera all'universo,
ripercorre
all'indietro l'alba nei suoi pensieri...
Ma il viso di lui schizza sulle sue
palpebre in
ogni modo, illuminato dalle torce e arrossato, e tutto il resto – le
sue mani,
la sua voce, tutto – esplode in colori abbaglianti
con il Sole, si
riversa caldo e delicati sui suoi palmi.
Lei apre gli occhi al nuovo giorno.
Non si può
fermarlo.
Nuovo giorno, ultimo
giorno.
E ieri notte, possibilmente, è
stata l'ultima
volta in cui lei avrà mai parlato con lui.
James è sveglio e rifiuta esserlo.
Il Sole s'infiltra nella stanza,
riluttante e
silenzioso come un ladro che ci ripensa, rosso sangue nel buio dei suoi
occhi
nocciola chiusi. La sua mano scatta dalle lenzuola arrotolate e afferra
il cuscino
più vicino con un grugnito, coprendosi il viso e bloccando il ladro
della
primavera finché i suoi polmoni bruciano e le dita si arricciano in un
pugno
sopra le coperte. Spinge via il cuscino all'ultimo, la bocca aperta in
un
sospiro silenzioso, di nuovo delle stelle contro le sue palpebre. La
copertura
del suo baldacchino è un rosso più acceso quando alla fine apre gli
occhi. Gli
fa male alla testa.
Nuovo giorno.
Mette le gambe giù dal letto, le
suole che
sgridano il pavimento freddo. Con gli occhiali indosso ora, la spina
dorsale
arcuata e le spalle curve tese sotto la sottile maglietta bianca, passa
entrambe le mani tra i capelli e considera l'alba con fiacco disprezzo.
Ultimo giorno.
Se non le parlerà ora,
probabilmente non ne avrà
altra occasione.
“Hanno...?”
“No, non credo.”
“No, voglio dire, parlato.
Riguardo...
loro. Così.”
Remus alza gli occhi al cielo: “Sì,
è quello che
intendevo io. Non penso l'abbiano fatto.”
“Dove? E perché eri lì?”
“Stavo andando da Silente.”
Davanti a loro, la mano di Peter si
ferma a
mezz'aria sopra il barattolo di marmellata. “Da Silente? Per cosa?”
Remus si schiarisce la gola. “Oh,
ehm. Impiego.”
Non guarda nessuno dei due.
“Giusto.”
Altre persone stanno scendendo ora
in Sala
Grande, e il chiacchiericcio intorno sta diventando più denso.
“Hai presente quella grande
finestra ad arco al
quarto piano?” domanda Remus, e continuano con le loro abitudini
quotidiane
come se non ci fosse mai stata una pausa. Sirius apre il barattolo di
marmellata per Peter dopo che quest'ultimo ha faticato parecchio.
“Con la nicchia?” chiede Sirius.
“Di solito si incontravano lì,”
ricorda Peter,
facendo un cenno di grazie all'altro.
“Sì, esatto.”
“E l'altra sera, sono andati lì?”
“Apparentemente.”
Sirius mastica il suo toast,
corrucciandosi verso
il tavolo. “Si erano messi d'accordo per trovarsi lì? Sono passate
settimane.”
“Non penso che l'avessero fatto.”
“Ti hanno visto?” chiede Peter.
“Spero di no.”
“Allora di che hanno parlato? Hai
sentito
niente?” domanda Sirius.
“No...” Remus ci rimugina “Non
penso che siano
rimasti molto. James era in Sala Comune nemmeno tre minuti dopo che ero
tornato
io, e non sono stato via tanto...”
“Moony, non pensi... pensi che
siano tornati
insieme?”
“Vi siete svegliati presto,” una
quarta voce si
intromette da dietro, e tutti loro sussultano.
“Lily, non vieni?” Mary la chiama
dalla porta
quando si rende conto che non si è mossa. Ora pronta e vestita, Lily
non si
alza. Studia il pavimento con un'inspiegabile livello di concentrazione.
“Abbiamo parlato ieri sera.”
Mary non deve chiedere chi; torna
indietro e si
siede subito vicino a lei. “Com'è andata?”
“E'... non lo so. Non ha detto
molto.”
“Ne avete parlato?”
“Sì. No. Io... io non lo so. Circa.”
“D'accordo.” una pausa, esitante.
Lily capisce
la domanda prima che Mary gliela porga, gentilmente, lentamente.
“Siete...?”
“No,” dice James, infilandosi un
pezzo di toast
in bocca. I suoi occhi sono determinatamente fissi sul tavolo di
Corvonero “Non
siamo tornati insieme.”
“Okay,” dice Sirius.
“Scusa se te l'abbiamo chiesto,”
aggiunge Remus.
“Nah, va bene,” li rassicura lui a
bocca piena.
“Non è importante.”
Peter cerca qualcuno con cui
scambiarsi
un'occhiata a questo, ma sia Sirius che Remus spostano lo sguardo. Il
silenzio
è corto, ma strozzante. Peter lo infrange: “Certo che è importante,”
una punta
di incredulità è riconoscibile nella sua voce “E' Lily.”
Sirius gli lancia un'occhiata di
avvertimento.
Remus lo calcia sotto al tavolo, ma colpisce invece James.
Ow.”
“Scusa.”
“Sentite, va tutto bene,” replica
James, stizzito
“Possiamo parlarne. Sono passate settimane. Ci riesco. Sto bene.”
“Davvero?” gli domanda cauto Sirius.
James lo guarda male, ignaro se sia
apposta o
meno. “Sì.”
“Okay, allora, cos'è successo ieri
sera?”
insiste Peter, e gli altri due gli lanciano un'occhiata che è per un
quarto
afflitta, per tre quarti minacciosa. “Cosa? Ha detto che sta bene!”
“Sì, sto bene,” afferma James, la
presa sulla
forchetta che si stringe. “Abbiamo solo parlato. Ci siamo aggiornati.
Stavo
soffocando nella sala comune, volevo farmi una passeggiata, e lei
stava-”
“Ero avvilita.”
“Eri avvilita.”
Mary è imperturbabile.
“Sì. Sai, la tristezza dell'ultimo
giorno. Era
un momento perfettamente ragionevole di essere depressi.”
“Anche il momento perfetto per
celebrare la fine
dell'anno con del Whiskey Incendiario importato illegalmente, come il
resto di
noi.”
“Ho fatto anche quello,” Lily
annuisce.
Mary sospira. “E James ti ha
trovata?”
“Già. In qualche modo.”
“Ha usato la sua mappa?”
“Non lo so. Non l'ho vista.”
“Non hai chiesto?”
Lily fa una smorfia. “Mary, non
credo che mi
hai stalkerata con la tua mappa sarebbe stata una buona
domanda.”
“Direi di no. Quindi che è
successo? Che ha
detto?”
Lei si morde il labbro,
giocherellando con le
dita in grembo. “Ehm, ha detto ciao.”
“Ciao?” domanda Peter.
“Sì. Cos'altro avrei dovuto dire?”
“Potevi andartene,” Sirius
suggerisce con
cautela.
“Lei ha visto me prima che la
notassi.” spiega
James “Non pensavo che sarebbe stato giusto scappare.”
“Penso che avrebbe capito,” dice
piano Remus.
“Non volevo scappare,
Moony.”
“Quindi hai detto ciao,” dice
ancora Peter, e
James alza gli occhi al cielo.
“Sì.”
“E?”
“Ed io ho detto ciao.”
“Grande,” replica Mary, annuendo in
finto
interessa “Per ora sembra un'ottima conversazione.”
La risata di Lily è vuota. “Non
c'erano molte
cose da dire, no? Gli ho chiesto come stava...”
“Ho detto che stavo bene.”
“Lo sei?”
Ora con irritazione: “Sì.”
“E poi mi ha chiesto come stessi io...”
Mary stringe gli occhi. “Per
favore, dimmi che
non gli hai detto che stai bene,” interviene velocemente “Che gli hai
detto che
sei stata meglio.”
“Gli ho detto che ero okay.”
“Prongs, amico, non stai bene,”
dice Sirius.
“Non stavi dannatamente bene quando abbiamo trovato il dormitorio
distrutto
quella sera, e non stai bene ora. Perché non gliel'hai detto? Dovrebbe
saperlo.”
James si corruccia, la voglia di
smentire che
pizzica sulla punta della lingua. Pensa di dire che sono passate
settimane e
che non ha voglia di far scoppiare qualcosa ogni volta che sente quelle
parole
nella sua testa ora, grazie mille, ma alla fine decide che tutta la
preoccupazione non ne vale la pena. È stanco. Questi sono i suoi
migliori amici
al mondo. E va bene, d'accordo, non sta bene. Ma starà bene. Sarebbe
molto più
semplice se si lasciasse semplicemente andare, se lasciasse che il
corso
naturale degli eventi – delle emozioni, quel che è – accadesse,
portandolo dove
dovrebbe essere, aspettando per la proverbiale fine del tunnel.
“Le dico che non sto bene e poi
cosa?” dice alla
fine, spingendo via il piatto, non più affamato. “Non avrebbe fatto
molta
differenza.”
“Lily, era la tua occasione!
Avresti dovuto
dirgli-”
“Non ho proprio il diritto di
dirgli come mi
sento però, giusto?” dice Lily, il debole sorriso sul suo viso un
piccolo
tentativo di scacciare l'esasperazione che trapela dalla sua
argomentazione.
“Voglio dire, l'avrebbe solo fatto sentire male, e penso di avergli già
fatto
quel favore abbastanza in una sera che gli basterà per la vita.”
“Mi hai detto che non lo
intendevi,” le ricorda
Mary “Hai pianto per giorni, Lil, eri distrutta, dannatamente
inconsolabile, e
lo sei ancora. Lui dovrebbe-”
“Lui non dovrebbe fare più nulla
ormai,” le dice
chiaramente Lily. “Gli ho spezzato il cuore più di quanto non abbia
fatto con
il mio. Se qualcuno ha da fare qualcosa, se qualcuno ha da aggiustare
le cose,
semmai, un giorno, quando tutto questo sarà finito e lui ancora...
dovrei
essere io. L'ho fatto io.”
“Stavo soltanto per dire che
dovrebbe saperlo.
Di tutto questo. Di cosa è realmente successo e come ti senti davvero.”
La voce di Lily è sottile quando
domanda, “Pensi
che sia sbagliato? Quello che ho fatto?”
Mary lo pensa, ma non lo dice.
“Senti,” inizia,
spostandosi sul letto così da guardare completamente Lily, “Capisco
la...
intenzione che c'è dietro. Davvero. E io- io so che le circostanze non
sono
esattamente state a vostro favore, e so che le cose non stanno andando
in modo
fantastico con la sua famiglia su cose che tu pensi
girino intorno a
te-”
“Non ho detto che giravano intorno
a me, Mary.
Non volevo che buttasse via la chance di vivere una vita pacifica dopo
Hogwarts
a causa mia.”
“Non credo che nessuno degli hobby
di James
Potter includa eventi pacifici. E tu?”
“Questo è diverso.
Le persone muoiono.
Stanno morendo là fuori mentre parliamo. Sono cacciate. Delle persone sono
morte. Non posso sopportare il pensiero che qualcuno venga ferito
perché è con
me, o perché-”
“Pensi onestamente, onestamente,
che quel
ragazzo terrà quel suo naso impiccione fuori da tutto il casino ora che
avete
rotto?”
“Spero.”
“Sappiamo benissimo entrambe che
non lo farà.
Diamine, l'intero mondo sa che non lo farà.”
Lily deglutisce. “E' una sua
scelta. Ho fatto
quello che potevo. Gli ho dato una scelta.”
“No,” replica velocemente Mary,
ferma. “Ti
voglio bene, ma quello è esattamente l'opposto di quello che hai fatto.
Quindi
ti sto dicendo ora, Lily, dagli una chance di dare a te
un'altra chance.
Digli quello che è successo, digli che sei impazzita, digli che ti
hanno dato
alla testa e ti dispiace e non lo intendevi e che lo ami-”
“Mary.”
“ - perché lo ami. Lo sai.”
“Io... potrebbe essere troppo
tardi.”
“Si merita di saperlo.”
Dal tavolo della colazione, qualche
piano vuoto
e scale semoventi più giù:
“Pensi che tu e Lily potrete mai...”
“No.”
“Perché no?”
La risposta gli fa ancora stringere
la mascella,
ancora gli toglie il colore dal viso, ma il mondo questa volta non si
ferma.
James fa spallucce, e la vita va avanti.
È qualcosa che si è detto molte
volte a questo
punto: “Perché lei non potrebbe mai essere felice con me.”
Sulla soglia della Sala Comune,
Lily tira
indietro Mary gentilmente, per l'ultima volta, per un'ultima domanda
spezzata
prima che lasci cadere il discorso. “Lo so che l'ho fatto nel peggiore
dei
modi, l'ho so che l'ho distrutto ed è stato orribile ed io
sono orribile,
e probabilmente lui non potrebbe mai perdonarmi, non dovrebbe,
davvero,
ma... ma se mai... se mai glielo dicessi, tutto, pensi che ci potrebbe
essere
la minima possibilità che lui...”
Mary sorride, avvolge un braccio
attorno alle
sue spalle e la conduce verso colazione. “Penso che non ci siano mai
state due
persone più innamorate.”
Non era un sì. Non ne sembrava
neanche uno. Ma è
abbastanza.
Gli studenti scendono dal treno in
emozionati
nugoli chiacchierini. Lily osserva quelli del primo anno che impazienti
corrono
dai loro genitori, gabbie e bauli troppo grandi per loro così piccoli,
alcuni
ancora con indosso l'uniforme. Un numero di quelli del settimo anno si
è
trattenuto in stazione, a scambiarsi saluti dell'ultimo minuto, a
dispensare
promesse qua e là, tutti troppo noncuranti delle parole che Lily è
quasi certa
si infrangano nel momento in cui scivolano dalle loro lingue. Non
riesce a
ricordarsi come si era immaginato che sarebbe stato, deve
aver pensato a
questo ultimo giorno ad un certo punto, ma il cuore le fa male alla
vista di
tutto ciò.
Mary la saluta con un abbraccio,
promette che si
terrà in contatto. Le sue lacrime si aggrappano alle sue lunghe ciglia,
ma non
cadono. Sorride a Lily, triste e sincera e sopraffatta – grazie
di tutto,
Lily, mi mancherai un sacco – prima che se ne vada. Lily la
guarda
scomparire attraverso la barriera con i suoi genitori. Per un momento
si
immagina andare dai Macdonald – dopotutto, l'hanno invitata come sempre
– ma a
parte non avere più Hogwarts a cui tornare quest'estate, Lily deve
rimanere a
Cokeworth quest'anno. Petunia le ha mandato un gufo qualche mese fa. Si
sta
trasferendo. La casa sarà vuota se Lily non ci torna, e sebbene anche
lei abbia
tutto il diritto di trovare un posto per sé ora, non sembra il momento
giusto
per andarsene. Ancora non sa che ne farà, di Petunia che cambia casa;
non l'ha
affrontato per niente mentre era ad Hogwarts. Ma ora ha tutto il tempo
del
mondo per crogiolarsi nel fatto che è da sola.
Trascina il suo baule e spinge tra
la folla. È a
pochi metri dalla barriera, a pensare a sua mamma – alle colazioni
silenziose,
al cucchiaio di suo papà che cozza contro i bordi della tazza di caffè
– quando
James attira la sua attenzione. È con sua madre. Sirius è appena
arrivato da
loro quando James si è guardato intorno e ha trovato lei, tra tutte le
persone,
forse per qualche distorto scherzo di un ordine superiore. La mano di
lui
trema, ma potrebbe benissimo essere solo l'immaginazione di lei. Gli fa
nonostante tutto un debole cenno con la mano, incapace di andarsene
senza
qualche sorta di addio. Il suo cuore batte contro il petto come se
fossero gli
ultimi battiti. Sembra un
po'
come morire, lei pensa, affogando nei saluti e fievoli promesse ed
essere
individuata a quel modo senza preambolo dalla sua sfumatura preferita
di occhi
nocciola. Gli sorride, un sospiro più che altro, un groppo in gola e
metà del
suo cuore quasi in mano. Lui le sorride di rimando. Annuisce
rigidamente. Poi
sposta velocemente lo sguardo, irrequieto, abbastanza innaturale perché
Sirius
alla fine lo noti. Segue lo sguardo abbandonato di James e dà
un'occhiata a
Lily, ma non si sofferma a lungo. Riprende ad ascoltare l'animato
discorso
della signora Potter come se non fosse successo nulla.
Lily non si guarda indietro mentre
attraversa la
barriera per il mondo babbano.
E' sorpresa quando Sirius emerge
poco dopo sul
binario babbano, senza James e sua madre. La sorpassa; la testa alta,
lo
sguardo in avanti, la bocca stretta. Lily incrocia le braccia.
E poi inizia ad andargli dietro,
non pensando
davvero per paura di ritirarsi.
“Sirius?”
Nessuna risposta. È una faticaccia
stare al
passo con lui, ma non si ferma. Si ritrovano fuori e Sirius non la
guarda
nemmeno.
“Sirius...”
Lei fa per mettergli una mano sul
braccio, ma
lui si irrigidisce, finalmente si volta verso di lei con uno sbuffo
impaziente
e una mezza occhiata rigida; serio nel voler rendere evidente quanto
davvero
non voglia aver a che fare con lei. “Evans.”
Lily si sente rimpicciolirsi.
“Senti, lo so che
mi odi...”
Lui piega un sopracciglio. “Non ti
odio.”
“E' un po' che non mi parli.”
“Perché sei un'idiota.”
“Lo so.”
“Lo sai, però?”
Probabilmente questa non è stata
l'idea
migliore. “Volevo solo dirti-”
“Sono io, davvero?”
“Scusami?”
“Sono io,” ripete lui, e benché la
sua voce
mantenga la sua inclinazione di acciaio, c'è una nuova tenerezza nel
suo
sguardo che raggiunge Lily e si aggiusta nel suo stomaco come senso di
colpa.
“Sono io davvero quello a cui vuoi dire delle cose?”
Lei deglutisce.
“Posso richiamarlo ora.”
“No, non farlo:” lei non sa se
l'intendesse
davvero, ma le è uscito prima che potesse fermarlo.
“D'accordo allora.” il ghiaccio
nella voce di
lui è tornato. “Che c'è?”
In verità, lei non lo sa. Non aveva
una
direzione particolare per la conversazione quando l'ha seguito.
Cercando di non
farlo vedere, setaccia il suo cervello velocemente per qualcosa e,
quando la
trova, è un sollievo sentirsene contenta. Sapere che lo intende con
tutto il
cuore: “Prenditi cura di lui, d'accordo?”
E' immediatamente chiaro che è
stata la cosa
sbagliata da dire. La mascella di Sirius si stringe. La sua espressione
sboccia
dall'inverno nei suoi occhi, freddi e grigi come solo un Black sa fare.
Prima
che lei lo sappia, troppo presto, lui si sta voltando di nuovo.
“Dovevo farlo,” dice lei disperata.
“No, già, hai già avuto questa
conversazione con
Moony,” replica lui sopra la propria spalla “L'ho capito la prima vola
che me
l'ha detto.”
“Sirius...”
“Cosa?”
“Mi dispiace tanto.”
Lui se ne sta andando. Lily non sa
perché lo
stia seguendo, ma la fatica nelle sue braccia mentre solleva il baule
per
stargli al passo è molto reale.
“Vattene, Evans.”
“Davvero non mi parlerai più? Mai?”
“Forse.”
“E' un peccato, sai.”
Lui si ferma, e Lily quasi vi si
scontra. “Cosa
vuoi?”
“Niente. Non lo so. Volevo dire
scusa.”
“L'hai già fatto.”
“E non volevo andarmene là fuori
dove
probabilmente non vi rivedrò più senza... non lo so, volevo solo che tu
mi
parlassi, e … siamo qui.”
“Vuoi parlare?”
A dire la verità, Lily vacilla.
“Vuoi davvero
parlare?”
Sottovoce, ed un po' troppo come se
fosse una
domanda: “Sì.”
“D'accordo, parliamo.” lui si volta
del tutto.
Trascina il suo baule in fronte a lui, una sfacciata barriera fisica,
come se
già non fossero separati abbastanza in altro modo. L'oggetto fa un
acuto
schiocco contro il pavimento, e Lily si prepara. “Non ti parlo perché
non
volevo dire delle cose che probabilmente poi avrei rimpianto, e non
volevo
ferirti più di quanto tu non sia già, perché lo so – lo so
– che stai
male, tu e Prongs potete essere quanto cazzo ostinati volete al
riguardo, ma
nessuno di voi mi prende in giro. Lo so che non puoi essere
interamente
una stronza crudele e senza cuore. E sai cosa, Evans? Voglio che tu lo
sia.
Vorrei che tu fossi una stronza crudele e senza cuore, davvero. Perché
se tu lo
fossi, sarebbe così conveniente, così più facile per me odiarti. Ma no.
In
realtà sei brillante – eri brillante – non sei nemmeno una cattiva
compagnia, e
forse mi manchi, forse lo facciamo tutti, cazzo, e… tutta questa cosa fa
schifo. Il mio migliore amico è là fuori perfettamente,
completamente
convinto che ti abbia rovinato la vita, che ti abbia reso infelice, e
sappiamo
entrambi che ciò non è nemmeno un milione di universi vicino alla
verità. Lui è
ferito. Non so come hai fatto, come diavolo hai potuto
farlo, ma è stata
una mossa di merda. Non posso crederti. E io odio – fottuto Godric,
sono terrorizzato,
d'accordo, che noi potremmo non essere mai abbastanza per rimetterlo in
sesto.
E io sono in debito con lui. Gli devo tutto, Evans. Lo sai. E non posso
fare
nulla.”
Lei non pensa che nessuno abbia mai
stretto
qualcosa così tanto come lei sta stringendo ora il suo baule; i suoi
palmi
iniziano a fare male, le unghie e il manico le premono sulla pelle, ma
lo
ignora, si forza con tutta se stessa nel concentrarsi solamente sul non
piangere, non lo farà, non ne ha il diritto – ma
anche senza che sbatta
le palpebre, le lacrime si raccolgono negli angoli dei suoi occhi e la
deridono
scherzosamente di cadere.
Ma non lo faranno. Lei non lo farà.
“Quindi se questo non è nient'altro
che un
benintenzionato promemoria d'addio di prendermi cura di lui,” termina
Sirius,
rallentando, spostando lo sguardo dopo aver notato l'espressione di
lei,
probabilmente odiandola per essa, “E' fottutamente non necessario. Ed
offensivo,
se devo essere onesto. Perdonami per esserne un po' insultato.”
Ecco. E' tutto, e Lily non sa cosa
dire. Si
sente orribile, ma non riesce a pensare a nessun insieme di parole
specifiche
ed abbastanza accurate per spiegargli quanto. C'è l'urgenza di dire di
nuovo
scusa, e lei apre la bocca – ma decide di non farlo. Lui ha ragione;
questo non
è altro che un debole tentativo di parlargli di James, ma non risolverà
nulla.
È inutile. Offensivo.
Perciò, annuisce. E poi se ne va
come prima lui
le ha ordinato, se ne va come dovrebbe.
Note traduttrice: i
soprannomi originali, perché sì. ^_^
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Capitolo 3 *** Counting Stars ***
Three: Counting Stars
“What now? Plan B, that's what.”
Le nove in
punto.
Petunia la va a trovare. È lunedì,
è
imbarazzante, e Lily le prepara della limonata. La maggiore delle Evans
le fa
appena un cenno per ringraziarla. Non c'è niente dopo quello, non per
un po',
perché Petunia non parla e Lily ha paura di chiedere. Non è nemmeno
sicura di
quale sia la domanda, ma ce n'è una. Lo sa.
Siedono in silenzio, anche Petunia
trattiene le
parole per una volta.
C'è una silenziosa fitta pulsante
nel petto di
Lily; lo stesso fremito di qualche dozzina di viaggi in treno fa,
quando Lily è
andata ad Hogwarts per la prima volta. Petunia ne è inconsapevole,
ovviamente.
O forse anche lei sta sedando i suoi piccoli demoni. È ancora amaro in
bocca a
Lily – il rimpianto, l'irreparabile verità che ormai sono troppo
lontane nelle
proprie vite – ma non è più qualcosa che entrambe non possono gestire.
Non è un
pensiero piacevole, ma è così.
Fissano entrambe il retro del
divano davanti a
loro, sedute sugli sgabelli al bancone della cucina. Lily appoggia il
mento
sulla mano, Petunia beve la sua bibita con la cannuccia. È quest'ultima
che
termina il silenzio. “Allora.” Lily alza la testa per ascoltarla. “Hai
finito?”
“Ho finito?”
“La scuola.”
“Oh. Sì. Suppongo di sì.”
“E adesso?”
“Io...” Lily non lo sa, ad essere
sincera. Non
del tutto. Ci sono dei calderoni nella camera di riserva al piano di
sopra,
alcuni ancora accesi e bollenti mentre parlano. Ha appena avuto il
tempo di
pulire i fumi quando ha sentito il campanello. Lo dice a Petunia? Come
fa ad
iniziare a spiegarle?
E adesso? Il piano B, ecco cosa. E
Lily non ha
avuto idea di da dove iniziare il primo giorno a casa, come fabbricare
un nuovo
futuro attorno all'assenza di certe persone che ha sempre immaginato ci
sarebbero sempre state. Non c'era niente quando si è allontanata da
Sirius alla
stazione. Ma la situazione è come è, e non c'è niente da fare tranne
andare avanti
con la propria vita. Fare qualcosa. Iniziare da qualche parte.
Ora c'è l'inventarsi un progetto
investigativo
di pozioni abbastanza rilevante da farla accedere al tirocinio al
Ministero,
qualcosa per cui Lumacorno le ha mandato un gufo qualche giorno fa, e
poi
guadagnarsi abbastanza riconoscimento per magari acciuffare una
posizione al
dipartimento di giustizia più in là. È un percorso lungo, ma... è
qualcosa.
“Sto lavorando per avere questo tirocinio,” dice Lily. “Non è
retribuito, non
ancora, ma mi darà passaggio. Mi prenderò un lavoro da queste parti
mentre lo
faccio, però, non preoccuparti. Per le bollette e tutto.”
Petunia è silenziosa. Prende un
sorso misurato
della sua bibita. È uno spreco di tempo cercare di rovistare la sua
espressione
per una traccia di approvazione, quindi Lily decide di fissare il suo
cappello
sempre immacolatamente appuntato sulla sua testa. “Non devi vivere qui,
sai,”
dice Petunia.
Lily non sa cosa si stesse
aspettando, ma non
era quello. “Lo so.”
“E adesso che hai finito con-”
“Tunia, non funziona così.”
“Vieni a vivere in Surrey con me,”
esclama
Petunia, le parole che le scappano velocemente come se così fossero più
semplici da dire.
“Surrey?”
“Lasciamo Cokeworth. Vieni a vivere
con noi. Non
nella stessa casa, ma posso trovare degli accordi, e possiamo trovarti
un
lavoro – Vernon dice che sua sorella ha questo negozio carino in
centro, e tu
puoi-”
“Tunia...”
“Perché no?” la sua voce prende una
nota più
alta. Più tremante. “Hai finito, no? Hai sprecato sette anni di vita,
Lily, ed
è abbastanza. È tempo di crescere da tutto quel folle nonsenso di
bacchette.”
“Questo è quello che sono.” Lily
stringe i
pugni. Era brutto quando era diventato evidente che Petunia non
capisce, ma è
peggio cercare di spiegarle mille volte, e ottenere lo stesso
risultato. “Non è
solo una fase che mi prende e poi ne esco.”
“Lo è se lo vuoi.”
Lily non vuole. È fuori questione.
E quello è il
problema. “Come sta Vernon?”
“Cosa?”
“Come sta Vernon? È il suo nome,
giusto?”
Petunia appoggia il bicchiere, il
tintinnio più
rumoroso del solito, e Lily è sicura che sua sorella non chiederà più.
“Sì.
Vernon. Stiamo bene.”
“E' meraviglioso, Tunia.”
Petunia finisce la limonata,
borbotta qualche
fievole scusa per andarsene, poi si alza in fretta. Raggiunge la porta
in lunghi
passi, come se non possa sopportare essere lì. Come se la disgustasse.
Sulla
soglia, si volta. Lily, che l'ha seguita, infila le mani nelle tasche
dei
jeans. Stanno entrambe fissando lo stesso punto del pavimento di
linoleum.
Petunia delibera, spazzola dei fili inesistenti dal suo cappotto.
“Puoi cambiare chi sei, Lily,”
dice. “E' quello
che le persone saranno sempre in grado di fare. Cambiare.”
Lily non risponde. Petunia fa un
respiro
profondo, rassegnato, e si aggiusta il cappello con le dita veloci.
“Rimaniamo
qua fino a martedì.”
“E' nel mio sangue,” dice Lily,
forte e chiaro,
come se fosse l'ultima dannata volta che potrà mai dirlo a Petunia. E
lo è, non
è vero? È nel suo sangue. La magia. Un intero mondo nascosto. Ed anche
quando,
proprio ora, sembra che esserne parte significhi che lei sta se ne sta
costantemente andando, o viene costantemente lasciata indietro, allora
che sia
così. Ma questo è chi lei è. Lei non è il problema.
E lei combatterà per
quello. Non sguscerà via di nuovo nel suo “fetido posto”, che sia
Demetria
Greengrass o sua dannatissima sorella a riportarcela.
C'è una orribile pausa prima che
Petunia si giri
e poi, freddamente, dica: “Allora forse non condividiamo lo stesso
sangue.”
La villa dei Potter si alza sulla
cima di una bassa
collina, antica, orgogliosa e adornata dall'estate. Un sentiero di
pietra si
stende da una corta rampa di scalini lastricati da larghe pietre che
portano
all'alto portone doppio, gigli e giunchiglie come accoglienti
sentinelle su
entrambi i lati. Il sentiero si divide appena prima che finisca la
discesa
della collina; un ramo porta a High Street, l'altro ruota intorno a
metà della
collina, scompare in un boschetto, chiuso da un capanno a due piani che
sbircia
curioso dai rami aggrovigliati.
C'è un glorioso momento
indisturbato, vedete,
quando il vento spazza l'erba dalle punte argentate in un lungo e caldo
sospiro
dal sud. Luce ed ombra danzano sotto applaudenti foglie, e il lago lì
vicino
scintilla sotto un anello di pini e salici, come un agitato cielo
illuminato
dalla luna.
È pomeriggio, dello stesso Lunedì,
poco dopo le
tre.
Un cupo brontolio distante inizia a
risuonare da
nord, diventando ogni minuto più rumoroso, e il terreno vibra come per
prepararsi.
Dentro, in cucina, il signore e la
signora Potter
alzano lo sguardo, riconoscendo il suono fin troppo familiare. Il
signor Potter
– Charlus – ridacchia tra sé e sé, e poi gira la pagina del libro come
se
niente fosse. La signora Potter, invece – Evangeline, la chiamano i
suoi amici
– scuote la testa ed alza gli occhi. “La quarta volta questa
settimana!” Dopo
un veloce movimento di bacchetta per pulire il lavandino, scende al
piano di
sotto. Il signor Potter sospira, ma rimane comunque seduto al suo posto.
Lassù in aria, su una motocicletta
volante – perché
cos'altro avrebbe potuto essere? - Remus sta imprecando. Ma nessuno lo
può
sentire da terra. Quello che c'è, se si presta abbastanza attenzione, è
la
risata simile ad un latrato di Sirius, il lungo grido acuto di James
che si
disintegra in una
risatina incessante, e
le urla di Peter mentre James affonda velocemente, la scopa quasi
verticale -
Si schiantano contro il capanno
giusto mentre la
signora Potter apre la doppia porta non lontano da lì. Marcia giù per
le scale
ed attorno alla collina, la bacchetta in mano, ciocche ricce di capelli
bianchi
che scappano dalla pettinatura. Quando raggiunge il boschetto, i
quattro
ragazzi sono già in fila, con l'aria mortificata – be', Remus
lo è – e
dietro di loro il capanno è stato incantato per tornare a com'era prima.
“E' stato davvero un incidente
questa volta, te
lo giuro,” le dice suo figlio nel momento in cui lei è a portata
d'orecchio, ma
sta ridendo. “Peter ha volato con me, ed eravamo troppo pesanti per...”
“Stasera pulirete la cucina,”
annuncia la
signora Potter, dopo aver ispezionato per bene il capanno. Sembra a
posto.
Sembra sempre a posto. Anche nelle notti di luna piena, anche quella
volta in
cui è esploso per qualunque cosa fosse che vi stavano facendo. “Niente
elfi,
niente bacchette. Sono stata chiara?”
“Sì, signora.” risponde Sirius.
“Ci dispiace davvero,” afferma
Remus.
“Sì, ci dispiace.” aggiunge Peter.
“Mamma, possiamo almeno avere Zirk,
voglio
dire-”
“Chiudi la bocca, James.” sta già
tornando
dentro casa.
“Abbiamo decisamente vinto noi,”
dice Remus nel
silenzio successivo, e Sirius ricomincia a ridere. “Decisamente.”
“Oh, sta' zitto,” esclama Peter.
“Abbiamo vinto noi.”
“Lascia perdere, Wormy,” risponde
Sirius,
avvolgendo un braccio attorno alle spalle di Peter e arruffandogli i
capelli,
per il dispiacere dell'amico. “La prossima volta voli con me.”
James alza gli occhi al cielo e
chiama la sua
scopa dal terreno ricoperto di rametti. “Non avete
vinto, abbiamo
colpito la finestra due secondi prima che-”
Il rumore di qualcosa di grande e
pesante che si
schianta al suolo, seguito da un sacco di altre cose che cadono
continuamente,
lo interrompe. Tutti e quattro si lasciano scappare le rispettive
parolacce
scelte, scattando verso il capanno per rimettere a posto l'incantesimo.
Una volta dentro, Sirius si
appollaia sul
davanzale della finestra mentre gli altri inizia a far levitare pezzi
di legno
scheggiato e vetri al loro posto, i più piccoli e insignificanti che
finiscono
in un alto tramezzo pericolante spinto maldestramente da parte. Il
luogo è polveroso
ed ammuffito, e puzza di vecchio legno e foglie bruciate, ma non sembra
importare a nessuno. “Allora,” dice Sirius, “Adesso prendiamo a pugni
Prongs?”
James, la bacchetta alzata, allunga
il collo per
guardarlo male e domanda: “Che?”
“Certo che non lo sa,” esclama
Remus,
concentrato nel levitare di torno un pezzo di metallo piegato.
“Diglielo,
Pete.”
“E' la ragazza,” spiega Peter a
James con una
punta di frustrazione. Lui si appoggia al muro dopo aver affrontato un
ceppo
particolarmente pesante, asciugandosi la fronte con il dorso della
mano. “Del
parco?”
“Quale ragazza?”
“Maglietta a righe rosse e
bianche.” dice
Sirius.
“Bei capelli,” aggiunge Remus
“Fossette.”
“Fossette,” sottolinea Peter,
annuendo
entusiasta. “Le fossette erano molto carine.”
James abbassa la mano, girando la
bacchetta tra
le dita. Si lascia cadere a gambe incrociate sul pavimento e si
appoggia
all'indietro sulle braccia. “Di che parlate?”
“Qualcuno gli faccia una fattura,”
esclama
Sirius.
“James, dai,” dice Remus. Il
pavimento ormai pulito,
anche lui si avvicina alla finestra. “Le piaci. È sempre lì! Sta
aspettando che
la noti...”
“Voi tre l'avete notata. Forse le
piace uno di
voi,” segnala James. Non si ricorda. Ci prova – immagina il parco nella
sua
mente, ma ci sono sempre state solo persone. Niente righe bianche e
rosse.
Niente fossette. “Io nemmeno – dove sta? Chi diavolo è questa ragazza?”
“La ragazza al parco! La panchina
dal lago delle
papere.”
“A volte sotto l'albero.”
“Sempre da qualche parte attorno al
laghetto
delle papere.”
James guarda uno ad uno i suoi
amici, confuso.
“Non ho mai saputo che ci fosse una ragazza.”
Remus alza gli occhi al cielo. “Ora
lo sai,” lo
ammonisce “La prossima volta, fai qualcosa, okay? Fai uno sforzo.”
“Per cosa?”
“Per tenere a volume basso quel
ridicolo cantare
nella doccia; sembri un drago costipato,” s'intromette Sirius
sardonicamente.
Salta giù dal davanzale e mette le mani sui fianchi. “Cos'altro,
Prongs? Piaci
alla ragazza! Forse voi due potete-”
“Oh.” James sbuffa. Sposta lo
sguardo e si aggiusta
gli occhiali. “Oh, no. Non potete essere seri.”
Gli altri tre alzano le
sopracciglia. “Cosa?
Perché no?” chiede Peter.
“Volete che la inviti fuori?
Seriamente?”
“Cosa c'è di sbagliato?” domanda
Remus.
“Non la posso invitare a uscire.
Non mi
interessa se è Celestina Warbeck.”
“Non vorrei che tu uscissi con Miss
Warbeck,
Potter.” esclama Sirius, gli occhi stretti.
“Non è il punto, Sirius Black.”
“Perché?” la confusione di
quest'ultimo è
intrecciata ad un'avvertibile quantità di seccatura, ora. E sospetto.
“Voi sapete il
perché.”
Sono tutti silenziosi per un
momento, e poi
Peter dice: “Forse potrebbe aiutare...”
“Non lo farà,” insiste James. “E –
potremmo fare
del male a qualcuno. Tra parentesi, sto bene.”
Quando nessuno lo contesta, Peter
aggiunge con
imbarazzo: “Sì, okay, lo sei, ma non hai...”
“Cosa, superato Lily?”
Remus si schiarisce la gola. Peter
sposta i
piedi. Solo Sirius sembra indifferente, addirittura incrociando le
braccia e
sfidando James ad andare avanti.
James ride. Suona abbastanza
genuino, d'accordo,
ma salta in piedi e si avvicina al tramezzo, dando le spalle agli
amici. Sirius
sa che sta solo fingendo di fare qualcosa con le schegge. “Vedere altre
persone
non proverà niente, okay? Non sarà il nostro grandioso piano di
riserva.” si
volta lentamente per guardarli di nuovo, non incrociando il loro
sguardo, ma
nemmeno così depresso come Sirius ha anticipato. “Voglio dire,
d'accordo, io
ancora... è solo Evans. Lei è – lei è qualcosa. Ci
vorrà un po'. Lo so.
Ma sono okay, anche. Sto bene, davvero. Non voglio nessuno. Non adesso.
Ma non
vuole dire che non sono...”
La voce di James si affievolisce,
confuso nei
confronti di Sirius, che ora sembra trattenere un sorriso. Lui
annuisce,
scrocia le braccia per alzarle all'aria in un finto arrendersi. “Va
bene.
Capito.”
“Capiamo?” domanda Peter.
“Sì, capiamo.” annuisce Remus, un
indizio di
qualcosa di piacevole – orgoglio? - che si sistema nella vaga piega
delle
labbra.
Peter fa spallucce. “D'accordo.
Allora inviterò
io fuori la ragazza. Mi piacciono le sue fossette.”
Per Lily, la settimana è
un'effimera successione
di solitarie commissioni e distrazione nella forma di arretrate pozioni
di
guarigione.
Il loop si spezza solo venerdì,
quando riceve
una lettera. Arriva con la posta normale, quindi all'inizio assume che
sia di
Mary. Quando gira la busta, però, solo le sue iniziali e il suo
indirizzo sono
scritte in inchiostro verde. Nessun dettaglio di da chi o da dove venga.
Ritorna in casa e fissa la lettera
per un po',
sospettosa.
Non c'è molto da leggere quando
infine la apre.
È un invito, scopre, più che una lettera, e il mittente... la calligrafia
la conosce, la riconosce senza un dubbio. E il modo in cui è stata
scritta...
forse una copertura?
Le ci vogliono ore per
addormentarsi quella
sera.
“E' solo una data e un indirizzo,”
riflette
Peter, steso sulla pancia sul pavimento della camera da letto di James
il
venerdì. “Domenica alle nove...”
“E' di Silente,” dice James dal
letto, piegato
sulla lettera a suo nome. Non è stato l'unico a riconoscere la grafia
del loro
ex preside. Sono tutti d'accordo che sia di Silente. Numero
sette, Napoleon
East, Cobalt Creek. “Ho come il presentimento che non
dovremmo dirlo a
nessuno.”
“Non c'erano gufi,” dice Sirius,
l'unico che non
è aggrappato alla sua lettera. È di nuovo sul davanzale della finestra,
i piedi
in alto e la schiena contro il bordo. “Erano lì. Potrebbero essere
stati i tuoi
genitori?”
“No, non tornano fino a stasera.”
“Ci andiamo?” domanda Peter, la
voce soffocata
con la guancia premuta contro le nocche.
“Certo che ci andiamo,” risponde
James “E'
Silente.”
“Per cosa pensi che sia?”
“Non lo so...”
“Io credo di sì,” s'intromette
Remus, zitto per
tutto il tempo sul divano vicino al camino. Sta ancora leggendo
accuratamente
la lettera, ma i suoi occhi marroni non vedono. Da' agli altri un
sorriso
smorto quando alza lo sguardo. “Dev'essere per l'Ordine.”
Domenica mattina, James è il primo
ad uscire
dalla sua camera.
Cammina per il corridoio, le scarpe
da
ginnastica ai piedi allenate al silenzio perfetto contro il tappeto. Si
attarda
sul pianerottolo del secondo piano, a qualche gradino dal grande
scalone, le
mani nelle tasche della giacca granata. L'ampio salone di ricevimento è
vuoto
sotto di lui. Un lampadario a scaglie di drago vi è appeso sopra, cento
specchi
a goccia che esplodono dal centro dell'alto soffitto. Può già sentire
il
mormorante traffico degli elfi domestici dalla cucina. Davanti a lui
aldilà
dell'ampio spazio, identiche alte finestre fiancheggiano le porte di
legno a
entrambi i lati; oltre loro i terreni della villa si allargano giù
dalla
collina, increspati e tinti attraverso il vetro, l'orizzonte lontano
che appena
si schiarisce. Nella scarsa luce, lui coglie il suo riflesso in più di
una
penzolante scaglia di cristallo. Fissa se stesso, sparsi James
replicati, la
mente che vaga alle cose che potrebbero potenzialmente, drasticamente
cambiare
durante il giorno.
Numero sette, Napoleon East, Cobalt
Creek.
L'Ordine.
Se Remus ha ragione, e questa è una
chiamata
alle armi (più o meno), allora è possibile che un' importante decisione
sia
vicina. Per tutti. Cerca di concentrarsi su quello. Si convince che quello
è ciò di cui è preoccupato, la guerra e tutto ciò che comporta, e non
il fatto
che... be', se è un'organizzazione
segreta principalmente occupata a fermare l'ascesa di Voldemort...
allora lei
dovrebbe aver ricevuto una lettera, giusto? È pazzo, lo sa. Il mondo
sta
andando a pezzi, per la barba di Merlino. E lui è nervoso per quello.
Nervoso
per lei.
I suoi pensieri si interrompono
quando un movimento
nella sua visione periferica lo fa sussultare, e non è finché il signor
Potter
è già di fianco a lui che capisce quanto fosse davvero pensieroso.
“Ci siamo alzati presto?” domanda
Charlus
Potter, appoggiandosi alla ringhiera con suo figlio.
“Oggi è un giorno impegnato.”
“E' domenica.”
“Io... sì. Sì, lo so....”
“Suppongo che tu comunque sia
sempre stata una
persona mattiniera.”
“Mhmm.”
“Non stai mai qui, però.”
James corruga la fronte quando
guarda suo padre.
“Sto qua?”
“Non di solito,” risponde Charlus
pensieroso, un
sorriso d'intesa sul viso. “Posso contare le volte sulle dita: Coppa
del Mondo
di Quidditch, primo giorno di Hogwarts, primo giorno del settimo anno –
mio
figlio Caposcuola... oh, e il primo giorno in cui sei tornato dal
quinto anno,
anche. Sai, quella non l'ho mai capita. Era un po' diversa dalle altre.”
“Di cosa stai parlando, papà?”
“Succede qualcosa di importante
oggi?” lui
domanda, e il silenzio di James gli rivela sempre abbastanza. “Quando
deve
succedere qualcosa di importante, vieni sempre qui, per prima cosa
durante la
giornata, ti guardi intorno per la casa come un direttore del
ministero.
Tutto... meditabondo. Penso che la mamma abbia una tua foto ad undici
anni...”
“Papà...”
“Non ti chiederò di dirmi cos'è, ma
ho la
sensazione...”
“E' arrivata anche a te la
lettera?” dice
d'impulso James. Sta morendo dalla voglia di chiederglielo da quando ha
letto
la sua. Tra l'altro, suo padre sembra davvero già sapere...
L'espressione di Charlus è di
calcolata
deliberazione. Le rughe sul suo volto sembrano più vivide a James in
qualche
modo, ma attraverso tutto, ora più che mai, può rivedere se stesso nel
suo
volto – a pezzetti, come la forma degli occhi, il taglio della
mandibola, il
naso. C'è un rassegnato tipo di calma nei suoi occhi, però, qualcosa
che James
deve ancora ereditare negli anni che verranno. Risiede nella dolcezza
del suo
sguardo, negli angoli delle labbra sottili come carta. “Silente,”
borbotta
Charlus, allungando l'ultima sillaba. Scuote la testa con un sorriso
triste.
James non riesce a dire se sia approvazione, ma non sembra neanche
l'opposto.
“Ti è arrivata, vero?” insiste
James.
Charlus sospira. “James, tua mamma
ed io... devi
capire che date le circostanze, avrò già parecchie difficoltà a trovare
una
nuova occupazione, e -”
“No. Papà, no. Io non – non
intendevo quello.
Volevo solo onestamente sapere, ecco tutto.”
Charlus annuisce. “Le abbiamo
ricevute, sì.”
James può ancora avvertire le scuse
nella sua
voce. Mette le mani sulle spalle di Charlus – è divertente come non
abbia mai
davvero notato di essere diventato più alto di lui – e gli fa un
sorriso
rassicurante. “Va tutto bene, te lo prometto.”
Charlus sorride di rimando. Più
facilmente
questa volta.
“Non vuoi che ci vada, vero?”
“No,” conferma Charlus senza mezzi
termini. “Non
penso che nessuno dei genitori dei tuoi amici vorrebbe.”
“Be', voglio dire, Sirius...”
Charlus ridacchia. “Se è Silente,
allora specialmente
Sirius, non pensi?”
James ride.
“Ma so anche che ciò non ti
fermerà:”
A quello, James non sa bene come
rispondere.
“Non fermerebbe nemmeno me,”
continua Charlus
“Non penso fermerebbe nemmeno Evangeline.”
James sorride al foyer vuoto.
“Starò bene, papà.
Lo sai.”
“Credo che però questo metterà in
pausa i tuoi
piani.”
James fa un sospiro profondo. “Non
è che le cose
abbiano seguito proprio i piani di recente...”
C'è una pausa riluttante da parte
di suo padre,
e poi, “Lily pensa ancora che-?”
“Sì,” risponde James un po' troppo
velocemente.
“Ma noi, ehm – va tutto bene. Probabilmente abbiamo bisogno di tempo da
soli. Con
tutto. È tutto molto caotico.”
“Okay. Mi dispiace davvero.”
“Non è colpa tua.”
“Peter ha menzionato che la mia-”
“Peter è un idiota. Non è davvero
quello.”
“D'accordo,” il Sole ora è sorto. I
giardini
ancora stanno prendendo una forma nella luce del mattino, e James si
sente più
calmo che di quanto stava lì da solo. “Sei un Cacciatore, però.”
“Ehm. Sì, lo sono.”
“Tu cacci...”
James capisce, ma non pensa che gli
piaccia
molto. “Papà, onestamente, tu e Sirius avete il più terribile-”
Suo papà ride. “Sto solo dicendo –
l'hai
trovata! È là fuori. Lo sai che lo è.” si sposta, come se la sua
agitazione si
sia alzata con il sole “Sai, mi stupisce sempre – fai sempre le cose
così
velocemente. Sempre così veloce. Metti gli occhi su qualcosa, ci
lavori, la
prendi. Come se... tu fossi di fretta. Perché sei
sempre di fretta?”
James fa spallucce. “Non lo so. La
vita è
corta?”
Charlus scuote la testa. “Sei
peggio di tua
madre. Davvero. Ma è diverso con... la partita non finisce mai quando
sei
Cacciatore. Non la chiudi tu. Non la puoi affrettare. Continui a
giocare. E in
una partita puoi perdere la Pluffa da una ad un milione di volte, ma
poi la
rivinci. Ritorni in gioco, e la riprendi.”
“E se stessi giocando la partita
sbagliata? Se
non fosse mia da vincere?”
“L'hai persa una volta sola. E
certo, sembra che
due bolidi siano arrivati. Ma una volta.”
Sono interrotti dal rumore di
passi. Sirius
zoppica dal corridoio di sinistra, sbadigliando, gli occhi ancora semi
chiusi.
“Buongiorno, Sirius,” lo saluta
Charlus con un
sorriso affezionato e divertito.
“Buongiorno.” Sirius sembra non
essere sicuro di
essere del tutto sveglio. Sbadiglia ancora. “Moony e Wormy sono già
svegli?”
“Ne dubito,” risponde James.
“Vado a svegliarli,” farfuglia
l'altro,
sorpassandogli e andando dall'altra parte del corridoio, dov'è la
stanza di
Remus e Peter. James sa che si ributterà a letto non appena gli si
avvicinerà.
Prima che il signor Potter scenda
le scale per
il profumo della colazione che soffia dolcemente verso di loro dal
piano terra,
arruffa i capelli di James – qualcosa che non fa da una vita, e James è
troppo
stupito per protestare – e dice, “Mi rendi orgoglioso, James, lo sai?”
James alza gli occhi al cielo,
riprendendosi
molto in fretta. “Sta' zitto, papà.”
Charlus ride, ora è la più calda e
la più
fragorosa, e qualcosa dentro James si scalda e tira e si spezza quando
realizza
di non ricordarsi l'ultima volta in cui ha sentito suo padre ridere
così.
“Prendetevi cura di voi stessi
oggi, okay?” dice
Charlus.
James sorride e gli fa il saluto
militare.
Neptune Hollow, dove lei dovrebbe
essere
domenica mattina come ordinato nella lettera, in realtà non è nuovo a
Lily, ed
è colpita da un'inaspettata ondata di nostalgia quando scende dal bus.
Non è
lontano da Cokeworth; solo quindici minuti dalla fermata più vicina.
Ogni anno, una fiera con le giostre
si ferma
qui. Prima di Hogwarts, lei e suo papà ci andavano ogni estate.
Il bus riparte e Lily fa un respiro
profondo,
controlla il posto. La cattedrale è una vista familiare a qualche
isolato di distanza,
una torre solitaria tra casette basse. S'incammina per la via con
memorie
sparse di suo papà e lo stomaco annodato.
Il numero di palazzi è raddoppiato
dall'ultima
volta che è venuta. La strada, con blocchi di bungalow costruiti
vicini, sembra
più lunga di quanto si ricordi. I passanti scarseggiano.
Lily scopre presto che i numeri
civici sono
difficili da trovare. Non sono sulle porte, come a Cokeworth, ma non
sono
nemmeno inchiodati sulle colonne che sostengono i cancelli o saldati
sugli
stessi cancelli di ferro. Ogni singolo numero è fatto in maniera
diversa.
Sembra non esserci nemmeno uno schema distinguibile nell'ordine delle
case.
Dopo un'ora o più di camminata
senza meta,
finalmente lo trova – il numero 18 – ma il palazzo a cui arriva sembra
così
abbandonato che lei pensa che forse non si ricorda l'indirizzo giusto.
Non si è
portata la lettera. Forse avrebbe dovuto. Guarda l'orologio – sono
quasi le
nove – e le prende il panico. La lettera diceva di essere lì alle nove.
A
Silente importerà del ritardo?
La casa sembra un vecchio convento.
Due piani,
una delle poche con più di un piano, fatta di grezza pietra grigia che
appare
spenta anche sotto la luce del mattino. Il cancello è talmente
arrugginito che
lei sa che le scaglie le cadrebbero in mano se decidesse di aprirlo.
Una spessa
e lunga catena è arrotolata nel mezzo come un serpente da guardia.
Puzza di
sangue. Il giardino è trasandato, le finestre sbarrate, le porte chiuse.
Decide di entrare. È un incontro
segreto
dopotutto. La facciata potrebbe essere un trucco, un'altra copertura...
Le sue dita sono a meno di un
centimetro dal
cancello quando avverte un movimento dalla casa a fianco al numero 18.
E'
allerta in un secondo – e vede un'anziana donna che la spia dalla
finestra,
attraverso una sottile fessura tra le tende fiorate. Sta guardando
dritta Lily.
La giovane strega sorride e le fa un cenno con la mano, incerta sul da
farsi.
Per sua sorpresa, la donna alza la mano davanti a lei, gesticolando al
suo
polso nudo. Confusa dall'intento ma capendo il significato, Lily
controlla
l'ora. Otto e cinquantotto.
Quando guarda di nuovo la signora,
questa sta
controllando la strada da sinistra a destra. Vedendo che è vuota, mima
qualcosa
con le labbra a Lily – il cancello? Ha detto il cancello? - e le fa
cenno di
guardare ancora l'orologio. Lily avvolge le dita attorno al lucchetto
alla fine
della catena, sentendosi un po' scema – e capisce immediatamente che
c'è
qualcosa di... sbagliato. Non riesce più a togliere la mano dal
cancello. Cerca
di non essere troppo allarmata quando vede che la donna sorride, quasi
incoraggiante, e poi sparisce di nuovo in casa sua.
Adesso è sola. Manca solo un minuto.
Cerca di togliere ancora le dita,
ma la piccola
lastra di metallo e la sua mano sono in qualche modo diventate
calamite. Guarda
la strada. Dovrebbe usare la bacchetta?
Trenta secondi. Non c'è tempo di
preoccuparsi di
essere vista, pesca la bacchetta con la mano libera, ma poi fronteggia
il
problema di che incantesimo usare.
Diavolo.
Quando l'orologio ticchetta le
nove, qualcosa la
tira con forza in avanti, togliendole il respiro. Soffre di un violento
mini-infarto quando pensa che stia per colpire di faccia il cancello
arrugginito, ma poi esso scompare, tutto; il cancello e la terra sotto
i suoi
piedi, una scarica di adrenalina che la spinge a togliere le dita dal
cancello
che precipita invece in un caotico vortice di confusione, sorpresa, e
panico –
e attraverso tutto ciò la forza invisibile la tira inesauribilmente, le
dita
che mantengono il contatto con il chiavistello. Capisce cosa sia nel
seguente
uragano di colori sfumati, un leggero fischio nelle orecchie.
Quella donna dev'essere stata una
sentinella.
Le sarebbe servito un po' di
avviso, davvero.
Oh, Merlino, ha bisogno di chiudere
gli occhi...
Cerca di riprendere controllo dei
suoi piedi
prima che si scontrino contro il suolo, ma inciampa comunque quando il
viaggio
finisce. Si alza, appoggiandosi al muro con una mano, nauseata.
Quando si riprende, controlla
l'ambiente
circostante. È in corridoio. Stretto, ammuffito, poco illuminato.
Tappeti
vecchi. Una porta in fronte a lei è semi-aperta, luce e tenui
chiacchiere che
fuoriescono dallo spiraglio.
“Non ti sei mai abituata nemmeno
tu, eh?”
qualcuno dice alle sue spalle, e lei salta. Mary è appoggiata al muro,
mani
sulle tempie, senza fiato. “Maledette Passaporta.”
Lily le corre praticamente incontro
e
l'abbraccia. “Oh mio dio, ciao.”
“Anche tu mi sei mancata, Lily,” le
dice Mary
“Ora andiamo. Sono le nove e un minuto.”
“Quindi quando hai detto che tu e
Silente avete
parlato di un impiego quella sera,” dice Peter, faticando a tenere il
passo dei
suoi tre amici “Vuoi dire che avete parlato di questo.”
“Non esattamente,” risponde Remus.
“Mi ha
offerto un posto in questo gruppo d'opposizione, ma niente dettagli.
Solo che
se avrò mai difficoltà... a cercare lavoro, posso invece lavorare per
lui.
Posso aiutarli.”
“Aspetta,” James si corruccia “Voi
tre ne avete
parlato? E io dov'ero?”
“A sognare,” provvede semplicemente
Sirius, la
sua attenzione totalmente su Remus “Cos'ha detto esattamente Silente?
Ce lo
puoi dire ora, giusto? Siamo tutti invitati adesso. Circa.”
“Suppongo di sì,” Remus cammina
davanti e si
volta, le mani alzate per fermarli. Hanno tutti un'espressione seria,
per una
volta tesa. Peter continua a mangiarsi le unghie. “Ha detto che c'è
questa
organizzazione segreta, che ha chiamato solamente l'Ordine. Ma potrei
anche
averlo capito male. Ma questo Ordine – stanno lavorando contro
Voldemort. Ci
sono delle spie al Ministero e tutto. Qualche altro reclutamento. Non
lo so.
Come ho detto, niente di specifico. Ma ora, ho pensato, se addirittura
sono
arrivati a invitare noi...”
“Freschi di Hogwarts. Devono essere
disperati,”
dice James, pensieroso. “Pensi che la guerra stia peggiorando?”
“Oppure noi dobbiamo essere bravi,
miei
allegri, positivi amici,” dice Sirius, alzando gli occhi al cielo
“Perché
Silente non l'ha detto anche a noi allora? Perché solo a te?”
Nessuno risponde. Remus ignora il
suo sguardo.
Quando ricomincia a camminare, la sua schiena stranamente s'irrigidisce
e la
sua camminata è più brusca. James e Sirius si scambiano un'occhiata, il
primo
fa spallucce e scuote la testa. Seguono Remus senza un'altra parola,
Sirius
corrucciato.
È Peter che ha la risposta questa
volta. “Moony
è diverso,” dice mentre camminano, la riluttanza del dar voce ai suoi
pensieri
evidente nella sua voce. Osserva Remus guardare a destra e a sinistra
lungo
Napoleon Street, cercando l'elusivo numero sette. “Tra di noi, è quello
con
minori scelte riguardo cosa fare dopo Hogwarts, no? Silente gli stava
facendo
un favore. Dandogli qualcosa da fare...”
James non risponde, ma controlla
attentamente
Sirius per la sua reazione. Peter ha ragione. Potrebbe
aver ragione.
Circa. James odia la cosa.
Sirius non dice niente all'inizio,
e poi si velocizza,
borbottando velenoso. “Sono stupidaggini,” ma non elabora il concetto.
“Hey,
Moony! Potresti aspettare, per favore?”
Peter cerca in James della
rassicurazione, ma
non la trova. L'altro controlla solo il suo orologio e cammina più
veloce per
riprendere. “Dobbiamo sbrigarci. Sono quasi le nove.”
“Iniziamo?” domanda un uomo alla
destra di
Alastor Moody. Lily sa il nome di Moody perché lui si è presentato non
appena
lei è entrata nella stanza. Un uomo grosso con una voce ruvida e più
cicatrici
di quante lei riesca a contarne. Ha quasi spaventato a morte lei e
Mary. Ha
detto che potevano iniziare benissimo con i nomi finché la riunione non
fosse
iniziata ufficialmente. Lily pensa di aver sentito Moody chiamare
l'altro uomo
Gid, quello che ha appena fatto la domanda, ma non ne è sicura. “Come
fai ad
iniziare...” borbotta Gid, guardando la stanza con notevole
trepidazione.
Lily e Mary sono sedute vicino alla
fine del
tavolo – all'altro capo, quello posto accanto ad un caminetto antico.
La porta
è da un lato, ancora aperta, anche se nessuno è entrato dopo lei e
Mary. La
stanza è solo poco più illuminata del corridoio. Ci sono circa altre
venti
persone con loro, più o meno quanto la stanza può contenerne. Alcuni
siedono
attorno al tavolo, altri si appoggiano al muro freddo e sconnesso.
Nessuno dice
niente, nessuno tranne Gid, e la tensione curiosa è apparente negli
occasionali
movimenti bruschi. Sguardi sospettosi, dita agitate, labbra strette.
Lily
riconosce alcuni di loro, ne ha anche salutati alcuni quand'è entrata.
C'è
Cassandra Dame, prefetto di Serpeverde ad Hogwarts, Caposcuola quando
Lily era
al quinto anno; e Dorcas Meadows di un anno più grande, Corvonero,
anche lei
prefetto; Marlene McKinnon, Terrence Hunter, Jeanne Marchbanks...
Tutti di Hogwarts, tutti appena un
po' più
grandi di lei.
“Non ancora,” abbaia Moody in
risposta a Gid.
Anche lui sembra aver un ripensamento riguardo il gruppo di gente che
hanno
raccolto. Lily si chiede se andranno avanti visto che anche i superiori
sono
chiaramente dubbiosi... “Ce ne sono altri quattro. Le canaglie, direi.”
Poi i
suoi occhi sfarfallano in direzione di Lily e Mary, ma lei fa finta di
non
notarlo.
Può sentire anche gli occhi di Mary
su di lei.
Lei continua determinatamente a sorvegliare il luogo d'incontro.
Altri quattro. Ovvio che ci siano.
E – quasi
ride – ovvio che siano in ritardo.
Aspettano ancora un po', i nervi di
Lily un
intreccio ribollente nel suo stomaco.
“E' un negozio di fiori,” osserva
neutro James,
come se agli altri tre servisse. Dall'altro lato della strada,
finalmente, c'è
il numero sette, ma è un banchetto blu acceso con file e file di fiori,
di
tutti i tipi, in bouquet e vasi e secchi. “Siete sicuri che siamo nel
posto
giusto?”
In risposta, Sirius si volta verso
Peter per
chiedere, “Wormtail? Hai portato la lettera?”
“No – avete detto che nessuno
avrebbe portato la
sua!”
“Scusa, è che di solito tu non
presti mai
attenzione. È il momento sbagliato per iniziare.”
“No, era di sicuro il sette,”
l'interrompe
Remus, prima che Peter possa replicare. “E' il posto giusto. A meno che
non ci
siano altre Napoleon Street nei dintorni...”
“D'accordo,” dice James, già
diretto al negozio
“Andiamo a controllare allora.”
Quando lo raggiungono, saltano
tutti
all'indietro quando una donna rotondetta spunta fuori dal nulla – be,
in realtà
salta fuori all'improvviso da dietro al bancone, facendo cadere un paio
di
bouquet della prima fila. Li riconosce immediatamente, e non è
contenta. “Siete
in ritardo,” li guarda male. “Sono passate le nove.”
“Ci dispiace,” dice subito Remus,
facendo un
passo avanti. James, Sirius, e Peter gli lasciano volentieri lo spazio.
“Ci
siamo persi.”
“Pensate che mi interessino le
vostre scuse?”
scatta la donna. “Tutto questo sforzo per nulla...”
“Possiamo ancora andare, giusto?”
domanda James,
sospettoso. “Siamo ancora-”
“Non qua,
ragazzo!” la donna urla in un
sussurro, sporgendosi dal bancone per controllare se qualcuno nelle
vicinanze
abbia sentito. “Venite qua e scegliete un fiore.”
“Cosa?” dicono tutti e quattro. La
nicchia
dietro al bancone è piccola, e James pensa che non ci staranno tutti.
“Fatelo e basta, dannazione.” la
donna è di
nuovo piegata sugli scaffali, cercando chissà cosa.
Uno alla volta, perché una stretta
apertura su
un lato permette solo ad una persona di entrare nel ridotto spazio, i
ragazzi
entrano nel negozio. Stanno lì, scomodamente affollati, guardandosi
attorno
come bambini sperduti.
“Be', allora! Non abbiamo tutto il
giorno, no?”
dice la donna, esasperata. “Scegliete qualsiasi cosa!”
Tutti subito si affrettano per
qualcosa. James
prende d'istinto una rosa gialla – le preferite di Lily, qualcosa che
non
comprende interamente finché non nota gli altri tre guardarlo in modo
strano.
Apparentemente, comunque, non hanno
tempo di
discutere di cose così frivole.
“Eccovi...” la donna si raddrizza
nuovamente, la
bacchetta stretta tra le dita. Si accerta di non alzare troppo in alto
la mano
in caso qualcuno dalla strada possa vedere. “Voi mocciosi sapete niente
delle
Passaporte?”
“Sì,” rispondono loro.
“Ne avete mai creata una?”
“Ehm, no.”
La donna rotea gli occhi. “Okay,
okay. Datemi
quei fiori... avrei dovuto saperlo che sareste stati in ritardo.
Merlino, mi
sarei divertita un po' con voi prima di mandarvi via, ma-”
“Cosa?” domanda Sirius.
“Sta' zitto, Arruffato.”
“Arruffato?”
Lei lo ignora. “Tu. Potter. Dammi
il tuo.”
James le passa la rosa gialla. La
donna punta la
bacchetta, la lingua tra i denti per la concentrazione. “Portus.”
La rosa si muove appena nella sua
mano, un
tremito che James potrebbe solo aver immaginato. Diventa di una
pulsante tinta
bluastra, ma prima che James la possa guardare per bene, la donna
gliela sta
ridando. Annuisce urgentemente verso la porta sul retro, nascosta quasi
del
tutto dal corpo di Peter. “Vai là. E veloce. Si
attiverà in un minuto.” indica
Sirius. “Arruffato, sei il prossimo.”
“Per favore, la smetta di chiamarmi
così.”
mormora Sirius mentre si fa avanti, ma la donna rotea solo gli occhi di
nuovo.
Con sforzo, James riesce ad
oltrepassare Remus e
Peter, ed esce dal retro, dove c'è solo una piccola camera polverosa.
Altri
fiori, ed una pila di botti in un angolo.
Sirius sta aprendo la porta ed
entrando nella
stanza sul retro quando la rosa gialla tira James in avanti, e il mondo
scompare da sotto di lui.
James arriva per primo. Appare dal
nulla e
atterra direttamente dentro la stanza, tirandosi su contro il muro più
vicino,
piegandosi per riprendere il fiato. Sta... sta stringendo una rosa
gialla.
Moody lo aiuta, in modo piuttosto rude, e Lily vede James sussultare di
paura
per un secondo prima che riconosca chi sia. “Hey, Moody,” lo saluta, e
poi si
spazzola dalla polvere.
Moody grugnisce solamente.
Sirius compare dopo, imprecando
mentre inciampa
dal vuoto di un viaggio in Passaporta, un'orchidea cinese viola che
rotola sul
pavimento dalle sue dita. Non si premura di raccoglierla.
Dieci secondi dopo, anche Remus e
Peter sono
nella stanza, imprecando anche loro, Remus con un girasole e Peter con
un
garofano – da dove diavolo vengono, esattamente?
“Sedete i vostri didietro in
ritardo,” abbaia
Moody. Sirius si siede accanto a Mary, dandole una gomitata e
borbottando,
“Hey.” Non considera Lily. Il resto dei ragazzi prendono i posti
lasciati
liberi attorno al tavolo, Remus che da un colpetto alla spalla di Lily
mentre
passa e le sorride. James finisce davanti a lei. Non la guarda finché
non è
seduto per bene, e a Lily sembra che non lo voglia nemmeno quando
infine lo fa.
Non sa se dovrebbe dirgli ciao.
Quando Remus e Peter allungano i
loro fiori a
Mary per liberarsene, James fa scorrere la rosa gialla verso Lily. Non
sta
esattamente sorridendo quando lei alza lo sguardo su di lui. Si stringe
solo
nelle spalle, non è chissà cosa, e poi dà tutta la
sua attenzione a
Moody.
Moody incombe su di loro, la bocca
una linea
stretta. “Bene, allora,” inizia, guardando una persona alla volta.
“Benvenuti
nell'Ordine della Fenice. Voi ragazzi siete stati chiamati in guerra.”
La spiegazione si presenta più
corta di quanto
Lily si aspettasse.
È un gruppo di resistenza, l'Ordine
della
Fenice, che fa tutto ciò che possono per fermare Voldemort e i suoi
piani. I
membri esistenti – fanno attenzione a non menzionare nessuno – sono
occupati a
cercare possibili infiltrazioni nel Ministero e ad accertarsi che gli
gradi
superiori dei dipartimenti siano protetti da persone dell'Ordine. Gli insider
hanno svelato che l'ascesa di Voldemort continua nel suo ritmo, peggio
di
quanto avessero anticipato, ma scoprire ciò prima che gli scoppi tutto
in
faccia è un passo avanti dalla loro parte. L'Ordine è stato fondato da
Silente –
nessuna sorpresa – ed è responsabile per i più recenti arresti e
processi di
Mangiamorte. Non tanti, ma stanno facendo tutto ciò che possono. È
sempre
attraverso suggerimenti anonimi per loro fino a questo momento, e il
gruppo
rimane per ora nascosto.
L'incontro non è comunque più che
un invito,
pensa Lily, come la lettera. Niente di specifico o della massima
importanza è
divulgato. La pioggia di domande che segue dura di più della loro
primaria
iniziazione. Perlopiù concerne ciò che ci si aspetta da loro, cosa
comprenda
l'appartenenza, tutto il resto che a questo stadio possono sapere.
L'ultima
cosa si scopre non essere poi molto.
“Non ci aspettiamo che saltiate a
bordo ora,”
dice Gid, quando alla fine c'è una pausa dalle trepidanti mani in aria.
“Vi
daremo l'intera settimana per pensarci.”
“Non ci aspettiamo che neanche mai
saltiate a
bordo,” s'intromette Moody “Ed è importante che lo sappiate. Sono al
corrente
che alcuni di voi prudano dalla voglia di entrare in campo-” i suoi
occhi si
soffermano su James e Sirius e il gruppo “- ma voglio che ci pensiate
tanto e a
lungo. Considerate le vostre famiglie, i vostri piani, il fatto che un
giorno
potrete non tornare a casa, che potrebbe non esserci una casa a cui
tornare.
Perché succede. Non è una dannata vacanza, mettetevelo in testa, e non
sarà
un'avventura da favola. È una bocca dell'inferno da qui in poi. Abbiamo
perso
dei membri dalla formazione, nelle più orribili, inumane maniere, e non
lo
rinfacceremo contro chiunque dica di no.” si ferma, lascia che ciò
venga
assorbito. “Capito?”
Un collettivo mormorio di assenso
si diffonde
per la stanza.
“Altre domande?”
“Come facciamo a farvi sapere dopo
una
settimana?” domanda Mary.
“Oh, già – ci scrivete,” risponde
Gid.
“Speditela a me o Alastor o Silente. I gufi lo sapranno. Un sì o un no
saranno
sufficienti, tra l'altro. Nient'altro. Sì, Meadowes?”
“Assolutamente nessuna conseguenza
per chi dice
di no?” chiede Dorcas. È la prima volta che parla. Lily ricorda il modo
in cui
guarda le persone, e non è cambiato; è rimasto pericolosamente fermo,
in
qualche modo riuscendo a sembrare sia sonnolento e acuto dietro le
palpebre.
“Per qualche ragione faccio fatica a crederci.”
“Che vuoi dire?” dice Gid con le
sopracciglia
alzate. “Siete liberi di rifiutare.”
“Ma sapremmo di questo gruppo,”
risponde Dorcas.
“Il vostro segreto, nascosto Ordine. Dubito che ci lascereste andare
via. La
conoscenza stessa della vostra esistenza è rilevante, no?”
“Che stai dicendo?”
“Prewett,” chiama Moody prima che
Gid – Prewett?
- possa rispondere. Occhieggia curiosamente Dorcas. “Hai ragione. Non
vi
lasceremo andare via con quella informazione.”
Dorcas piega la testa da un lato e
alza un
sopracciglia perfettamente curvo.
“Condurremo modificati, selettivi
incantesimi di
memoria a coloro che dicono di no.”
La stanza erutta in scoppi di
domande. Moody
alza una mano e la stanza si acquieta. Lily e James si trovano nella
fragorosa
onda di obiezioni, entrambi accigliati.
“Rispettiamo completamente le
vostre scelte,”
risponde Moody sopra il rimanente chiasso. “Ma l'Ordine ha appena
iniziato a
raccogliere le informazioni che gli servono, ed è imperativo che
rimaniamo
nascosti finché abbiamo tutti i pezzi per iniziare a lavorare. E così
sarà il
caso finché Silente ritiene che sia il momento giusto, o finché non
potremmo
mantenerlo più segreto.” si spinge in avanti, le mani che sbattono
contro il
tavolo di legno, e passa il suo palpabile fervore a tutti. “Siete qui
perché
Silente confidava che voi sareste stati fortemente comprensivi della
causa, che
decidiate o meno di combattere la guerra con noi. Provate che lo siete
e capite
che è per il meglio.”
Non c'è più disaccordo questa
volta. Almeno non
ad alta voce. Dorcas si appoggia allo schienale della sedia e incrocia
le
braccia.
“Usate bene la settimana,” dice
Moody. “Non ve
lo si offrirà una seconda volta.”
Gli iniziati sono istruiti ad
uscire
dall'incontro di nuovo con le Passaporte. Non scoprono mai dove sono,
perché le
Passaporte sono già pronte e dentro la stanza quando l'incontro
finisce. Vanno
in gruppi, ed in qualche modo Lily finisce con i Malandrini e Dorcas
Meadows.
Quando cerca di richiedere leggermente di essere messa in un altro
gruppo,
quello di Mary, la sua amica scivola al suo fianco e l'assicura che va
tutto
bene, e che la verrà a trovare in settimana per discutere di tutto.
Lily si unisce al suo gruppo
assegnato solo
quando sono tutti pronti attorno alla Passaporta sul tavolo. È solo una
bottiglia vuota di Whisky Incendiario questa volta, l'etichetta
strappata e
sbiadita. Sta tra Remus e Peter e cerca di non incrociare né lo sguardo
di
Sirius che quello di James. Sente la bottiglia tirare, e la rosa gialla
sul
tavolo è l'ultima cosa che vede prima che sia portata via.
Atterrano in un parco da qualche
parte. Dorcas
se ne va senza più che un cenno della testa per arrivederci.
“Spero di non dover mai lavorare
con lei,” dice
Sirius, guardandola andarsene. Remus e Peter mugolano il loro assenso.
James non toglie gli occhi da Lily.
Lei ha fatto
troppo in fretta a spostare lo sguardo quando ha incrociato il suo per
un
attimo nell'inciampare sul terreno erboso, e lui non può decidere se
sia meglio
lasciarlo così.
Segue i suoi movimenti mentre lei
in silenzio
raccoglie la bottiglia abbandonata e si avvicina ad un cestino. Si
siede sulla
panchina lì accanto, guardando la strada dove Dorcas sta girando
l'angolo.
Le sue dita si arricciano
involontariamente in
pugni. Merlino. Gli manca più di quanto pensasse.
“Penso che quello sia un diner,”
sta dicendo
Remus, e James sposta lo sguardo da Lily in tempo per vederlo indicare
una
modesta costruzione sul lato opposto. “E sono affamato.”
“Anche io,” dice Peter, impaziente.
“Vieni, Potter?”
Potter.
James alza un sopracciglio verso
Sirius, ma il
bastardo ne alza solo uno indietro. Sirius lo chiama Potter – e in quel
tono –
quando è inquieto. Deve averlo visto guardare Lily.
“Un secondo,” risponde James,
decidendo in quel
momento, ignorando l'espressione di Sirius. “Aspettatemi, torno subito.”
Cammina verso Lily in lunghe
falcate prima che
possa ritirarsi.
“Hey,” dice, e Lily non riesce a
credere che lui
sia lì.
È venuto davvero lì. Oh, dio.
Lei sorride solo. Pensa che non
riuscirà a far
altro che gracchiare pateticamente se prova a parlare prima che possa.
Lui prende posto accanto a lei
sulla panchina.
Quando le loro braccia si sfiorano, lei lo avverte spostarsi
discretamente un
po' più lontano. “Non hai preso la rosa.”
Le ci vuole un momento per
rispondere. Lui
aspetta paziente. “Non ero sicura che fosse-”
“Certo che era per te. Tu le adori.”
“Sì, ma...”
“Era solo una rosa, Evans. Eravamo
in un
negozio, era una Passaporta, e a te piacciono. Ecco tutto.”
Lily sbatte le palpebre.
“D'accordo. Scusami
allora.”
Lui la guarda in modo strano, e poi
mormora.
“Dannazione.” Si lascia scappare una risatina sospirata che non dura a
lungo. È
nervoso. Non dovrebbe esserlo, ma lo è. “Scusa. Ehm, allora, comunque,
tu
lo...?”
Lei sa che quella è l'unica ragione
sensata
perché lui vada lì a parlarle. L'Ordine. Ecco tutto. Certo che è tutto.
Nient'altro. Non ha assolutamente diritto ad essere delusa. “Non lo so.”
“Okay.”
Mary aveva ragione, pensa lei. Non
sa perché
deve capirlo per bene ora, ma lo fa, e Mary aveva dannatamente ragione.
È
impossibile per questo ragazzo starne fuori. Lei prova a raccogliere
quella
sensazione opprimente di convinzione, quell'orribile peso che l'ha
guidata nel
guidare lui lontano – la voce di Demetria che
echeggia tra i muri del
bagno, Charlus Potter menzionato in un titolo del Profeta. Ma lei vede
solo il
viso sofferente di James.
Nonostante tutto, lui è ancora qui,
prontamente
sulla soglia della guerra con lei, e... e se n'è andato e lei non può
più
giustificare la cosa. Non può rimangiarsela ora. Non può riprendere
lui.
“Non lo so nemmeno io,” sospira
lui. Piega la
testa all'indietro e fissa il cielo. “Pensavo di essere certo. Ero così
certo
di tutto prima di entrare e... ora non lo so. Non lo sono. Io – wow,
non so
perché te lo sto dicendo.”
“Non devi farlo, sai.”
Lei ricorda Petunia, e la fa
sussultare. Non
devi vivere qui, sai. Non ha mai pensato che lei e sua
sorella potessero
suonare così simili. Non vuole pensare a lei, specialmente non adesso
che c'è
questo. Che c'è l'Ordine. Un Piano B che sarà una crepa ancora più
grande tra
di loro se lei decide di farlo, come se il patetico bollire pozioni
come un
eremita nella loro vecchia casa non sia abbastanza. Probabilmente non
la
vedrebbe nemmeno più.
Per fortuna, la crescente pausa
dell'usuale
rimprovero di James la distrae. Non arriva per niente. A Lily sembra di
affogare; c'è troppo silenzio forzato tra lei e le persone che ama.
“Vuoi dire
che posso rifiutare di unirmi, sì?” dice finalmente James.
Lily si lascia sfuggire un respiro
che non
sapeva di aver trattenuto. Non riesce a capire il suo tono, e ciò la
sconcerta.
“Già.”
“Lo so.”
“E allora perché pensarci?”
“Tu pensi che sia stupido, vero?”
“No, è nobile.” lo guarda, ora che
non sta
guardando lei. Le suo obiezioni si sparpagliano alla sua vista, alla
consapevole sensazione di lui così vicino. Lei afferra le parole prima
che
scompaiano nel debole prurito di desiderio sulla punta delle sue dita. Dagli
una chance di dare a te un'altra chance, aveva detto Mary?
Digli che ti
hanno dato alla testa. “E' – è eroico da parte tua,
veramente. Ma ritirata
non vuol dire sempre che non sei una di quelle cose. Lo so che pensi di
farcela, che non verrai ferito là fuori, ma non puoi rischiare. È
troppo
pericoloso.”
“Credo che abbiamo già fatto questo
discorso,
Evans,” dice lui, quasi sospira, così piano che lei quasi vorrebbe
gliel'avesse
urlato così da superare la colpa che le ghermisce il petto.
Giusto. “Scusa.”
“E' molto di più del solo perché
penso di
farcela.”
Lei non dice nulla. Digli
che ti dispiace,
ha detto Mary. Digli che non lo intendevi.
“Non sto buttando via le mie
opzioni.” c'è un
nuovo acume nella sua voce. Si raddrizza. “E' la mia unica opzione. Non
posso
scappare. Non lo farò. Solo il pensiero... non posso lasciarti. Tu e –
Sirius,
ecco. E Remus. Peter. Lo so che pensi che non ci sia nulla per me per
cui
combattere-”
“Non lo penso.”
“Lo pensi.” mormora lui. Il suo
disappunto in
lei lo lascia in una risatina vuota e balbettante. “E non c'è niente,
suppongo.
Posso andare. Ma non c'è nessun altro posto che avrebbe senso tranne
che qui,
Evans. Che è una stronzata, lo so, perché questo posto sta cadendo a
pezzi, non
è vero? Ma tu sei qui, però. Tutti sono qui. E se voi non potete
andarvene,
allora non ha senso che io me ne vada da qualche parte senza di voi.”
Sirius appare in quel momento,
salvandola dal
trovare una risposta. Ha impazienza scritta sulla fronte e da un
riluttante
cenno di saluto a Lily. “Stiamo andando. Tu.” indica James. “Tu hai
dieci
secondi.” e poi se ne va.
Accanto a lei, James mormora mentre
si alza.
“Onestamente, è come se tu avessi mollato lui...”
lei sa che lui lo
intendeva come un tentativo di rallegrare l'atmosfera, ma lei sembra
esseresi
dimenticata come si faccia a ridere. “Meglio che vada.”
Lei annuisce. Ha finito le parole.
Vuole
andarsene da lì, andarsene da lei stesse,
ma più di tutto lei
vuole disperatamente tornare indietro. Ad un quando e un dove con
James, con
lei che non deve mai dire addio.
Anche lei si alza, il suo respiro
come piombo
nei polmoni. Prima che possa trattenersi, fa un passo in avanti e lo
abbraccia.
Non troppo stretto, in caso non riesca poi a trovare la forza di
lasciare
andare. Ci sono un milione di cose che dovrebbe dire, ma non riesce a
trovarne
nessuna che riesca a dire. James è perfettamente immobile all'inizio,
scioccato, silenzioso. Non la spinge via, ma la sua eventuale stretta è
cauta.
Come se la potesse rompere.
O forse è il contrario. Forse lui
ha paura che
lei possa rompere lui. Ancora.
Quando lei avverte le labbra di lui
sulla
sommità della testa, gentili e brevi, chiude gli occhi e stringe quanto
a lungo
ne ha il coraggio.
Digli che lo ami,
ha detto Mary, e quello impenna il filo dei suoi pensieri, attraverso
tutti
loro con zelo inarrestabile. Esplode dentro di lei come fuochi
d'artificio; ma
può solo guardarlo, nonostante tutto, ancora troppo spaventata di poter
bruciare entrambi se vi cedesse.
“Sii prudente,” le dice, lasciando
andare per
primo. Si volta prima che lei possa vedere il suo viso.
Lily rimane radicata lì anche molto
dopo che lui
se n'è andato.
Vicino.
Il suo respiro caldo le sfiora le
labbra, e per
un secondo lei dimentica il quasi in questo quasi-reale, perché lei non
l'ha
mai notato prima. Il calore.
Più vicino...
Se ne va prima che le labbra di lei
trovino casa
di nuovo nelle sue, ma lei apre gli occhi lentamente, come gli ha
chiusi un
momento fa, come accade tutto il tempo. Lei non si ricorda cosa stava
succedendo prima che lui fosse lì.
Non lo fa ma. Solo che lui era lì,
e lei stava
quasi di nuovo bene.
Stringe gli occhi alla luce. È di
nuovo mattina.
Un po' dopo le otto, dice l'orologio sul muro.
Ancora troppo presto considerata
l'ora in cui è
andata a dormire, Lily scende dal letto. È un altro Lunedì, silenzioso
e
pensieroso, e più tardi lei si prepara il caffè.
Nessun ospite oggi. Nemmeno delle
lettere.
Gira distrattamente la sua bevanda.
L'Ordine
richiede una risposta in una settimana. Petunia lascia Cokeworth
domani. La
domanda per il tirocinio è quasi finita.
La sua vita è un macello, e lei
cerca di trovare
la decisione giusta che potrebbe forse ripararla. Ma è distratta,
perché ogni
volta che chiude gli occhi sente il fantasma delle labbra di lui tra i
suoi
capelli e mani arrossate attorno alla sua vita.
Dio, non gli ha nemmeno chiesto
come stesse...
Nove in punto, lunedì.
James torna dal suo compulsivo giro
in scopa
attorno al campo. È dannatamente esausto, ma è così che gli piace. Dopo
esserci
girato e rigirato per ore la notte scorsa, ha finito per prendere la
scopa ed
uscire alle tre e mezza del mattino. È ridicolo.
Sirius è alla porta del capanno
quando lui va lì
per rimettere a posto la scopa. Si appoggia contro il muro dilapidato,
la testa
abbassata e le braccia incrociate. Se non è troppo presto perché sia
già in
piedi – cosa che è – allora lo è decisamente perché appaia così tanto
cupo.
James si ferma davanti a lui con uno sbuffo, la scopa appoggiata ad una
spalla.
“Be', buongiorno, Raggio di Sole.”
Nove e cinque.
Lily si alza per buttare via il
caffè non
terminato, diventato tiepido per la profondità dei suoi pensieri e il
silenzio
della casa. Quasi al lavandino, il manico scivola dalle sue dita, e la
tazza
cade e si rompe. Il rumore le fa fare una smorfia.
Le schegge sono brutte contro la
macchia di
caffè che si allarga sul pavimento, e lei mormora una parolaccia quando
un
pezzo le taglia il dito mentre lo raccoglie.
Sirius deglutisce. Quando alza la
testa, i suoi
occhi rimangono fissi sull'insignificante terreno del boschetto. Sbatte
rapidamente le palpebre, occhi grigi fermi e tetri; come se la mattina
stessa
l'avesse offeso.
James sente il suo cuore battere
più velocemente
e il respiro che si ferma ancora prima che le parole escano: “Devi
andare da
tuo papà, James.”
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Capitolo 4 *** If I lose myself ***
Four: If I Lose
Myself
“I
had to find you. Have
to. Always.”
Alcuni frammenti
mancherebbero. Un giorno,
quando si chiederà a James come sia andata questa giornata, sarà come
mettere
insieme un puzzle con dei pezzi che lui ha già deliberatamente buttato
via.
Ma così è come se lo
ricorderebbe.
La mattina della sepoltura
di Charlus Potter
arriva con nuvole simili ad una marea sospesa in aria; argento pallido
e
tutt'uno con il lutto degli abitanti della casa che lui ha lasciato
indietro.
Evangeline Potter è vestita
e pronta alle sei in
punto, impeccabile e non vedente davanti al suo specchio elaboratamente
decorato. Ogni passo per la casa è un pesante piede sopra le schegge
del suo
cuore, ma lei continua a camminare.
Remus e Peter sono tornati
a casa dalle
rispettive famiglie ieri sera.
Sirius rimane. Nella prima
mattinata trova James
sul pianerottolo del secondo piano a guardare il foyer. Merlino sa
quant'è
rimasto lì. Non parla molto.
L'ultima volta che sono
stati lì, Charlus ha
chiesto a James che si prendessero cura l'uno degli altri. Come se
avesse
saputo che non si sarebbe svegliato il giorno dopo. A volte le cose
sono così
strane. Ma non lo sapeva, pensa James. Non poteva, perché Charlus non
li
avrebbe lasciati. Non ora. È solo che in questi giorni tutto ciò che
tutti
dicono sembrano le ultime parole di un uomo morente. Stanno morendo
tutti in
questi giorni, no? Tutti se ne vanno.
Prendetevi cura di
voi. Ti amo. Sii prudente.
Sirius appoggia una mano
salda sulla spalla di
James, ma il giovane mago non alza lo sguardo. Continua a guardare in
avanti,
il viso impassibile. Sirius non se ne va. Finché James non se lo
toglierà di
dosso, cosa che non ha ancora fatto – non ha mai fatto, fortunatamente
– lui
sarà lì.
Il cimitero è pieno di
gente, molte delle quali
James non è contento di vedere. Presenti sono i vecchi colleghi di suo
padre al
lavoro; pomposi purosangue che è sicuro siano lì soltanto per dar
mostra di sé.
La loro imparzialità nel recente licenziamento di Charlus dal Ministero
per
opinabili motivi lo irrita molto. Per richiesta di sua madre, comunque,
li
saluta, con cortesi strette di mano e brevi cenni di riconoscimento.
Anche
Sirius acconsente a ciò. Quando si avviano verso il posto loro
designato in
fronte alla folla, a pochi metri dalla bara di marmo bianco decorata
con un
abbondante mare di fiori bianchi, James si sente come se non fosse
davvero lì.
Come se ciò non stia succedendo davvero. I suoi piedi lo spostano verso
dove
dovrebbe essere, la sua bocca dice le parole che dovrebbe dire – ma non
riesce
a tenere traccia di tutto ciò. Non riesce a tenere traccia di se
stesso. Sembra
un sogno.
Se lo è, è il lampo di
rosso che cattura la sua
attenzione e lo sveglia – Lily è ai bordi della folla con le dita che
giocherellano con una borsa nera quanto il suo vestito. James la fissa.
Tutto
viene processato lentamente. Si volta curioso verso i suoi amici, tutti
seduti
accanto a lui in prima fila – ed è Sirius, sorprendentemente, che lo
guarda in
risposta, imbarazzato ma comunque non rincresciuto. James non commenta.
In un
giorno diverso, avrebbe detto qualcosa riguardo il suo migliore amico
che
finalmente ricomincia a parlare con Lily, ma adesso non riesce a
scegliere il
giusto sentimento o le giuste parole.
Evangeline chiama Lily
prima che James riesca a
trovare la voce. Mentre la giovane strega cammina verso di loro, Sirius
si
sposta per sedere accanto a Remus per farle spazio. C'è qualcosa lì,
pensa
James, qualcosa che non lo fa valere, ma non riesce a decifrarlo.
Sirius fa un cenno a Lily
quando lei lo
sorpassa, l'abbraccia di rimando quando lei lo stringe forte. Quando
lei
cammina piano verso James, esita. Evangeline le fa un cenno con un
sorriso
amabile, perciò Lily si alza sulle punte dei piedi e avvolge le braccia
attorno
a lui.
“Ehi.”
E' la voce di lei che
taglia troppo facilmente i
muri che lui ha costruito, e questo, proprio qui, James lo sa, è il
perché
Sirius le ha chiesto di venire.
Non c'è nulla di
significativamente diverso dall'ultima
volta che si sono abbracciati a parte i vestiti eleganti e la fottuta
bara lì
vicino, ma questa volta James non la lascia andare. “Ciao, Evans.”
“Tutto bene?”
Suona stupido. Ma lui si
sente più leggero, e
più se stesso ad ogni secondo. Lui mormora ed annuisce contro la sua
spalla.
Quando il brusio inizia,
quando le occhiate si
fanno sfacciate attorno a loro, la stretta di lui si stringe solo
attorno alla
sua vita.
La cerimonia non dura molto.
Le parole volano dalla
bocca dell'anziano ometto
e atterranno in una maciullata, irriconoscibile poltiglia sulle
ginocchia di
James. Il suo cervello continua a spegnersi e riaccendersi ad
intervalli
random. Le uniche cose che sembra riuscire a percepire sono la mano di
sua
mamma nella sua destra e il calore di Lily nella sinistra. Si aggrappa
a
quello, alle persone che siedono con lui in prima fila, e nega tutto il
resto.
Pensava di aver conosciuto
per bene il dolore
quando si è allontanato da Lily quella sera. In qualche modo, ha
stupidamente
pensato di aver superato l'obbligatoria iniziazione a questo genere di
cose. Ma
apparentemente l'universo non funziona così. Tra tutti – Sirius, Remus,
Peter,
e lui – lui è sempre stato quello coccolato, no? Il più sicuro. Il
viziato.
Come poteva prepararsi a questo? Come fanno gli altri? Sirius? Remus? E
Lily.
Anche Peter. Tutti coloro che ha visto maltrattati attorno a lui,
ancora e
ancora, tutti coloro che ha provato ad aiutare, ad aggiustare, ma senza
mai
essere davvero in grado di familiarizzare pienamente con il dolore che
affrontano.
Ognuno ha il suo turno,
vero? Questo è il suo. È
solo giusto.
Ma come cazzo fanno le
persone?
È anche oltremodo
frustrante non avere nessuno
da incolpare. Hanno combattuto tutti le loro piccole battaglie ad
Hogwarts, e
c'è sempre qualcuno dall'altro lato delle bacchette. Ma chi è da
incolpare
quando qualcuno semplicemente non si sveglia? Lui solo – Charlus ha
solo smesso
di vivere. C'è una guerra, porca troia, e un giorno lui
decide che non si
sveglierà più. Non è giusto, cazzo. A chi dovrebbe James... come
dovrebbe
affrontare – questo, questo dolore trasformato in
furia che pulsa e si
agita e lo butta giù, ma rimane incastrato dentro di lui, incapace di
trovare
una giusta via d'uscita?
Quando Evangeline si muove
per alzarsi, James è
distratto dai suoi pensieri e inconsciamente la tira giù in confusa
sorpresa.
Ma Lily, che non è una che si perde, è veloce ad afferrarlo e prende la
sua
mano tra le sue. Lui deglutisce e lascia andare sua mamma.
Evangeline Potter è
un'immagine di grazia ed eleganza,
composta come se fosse soltanto un altro incontro del Ministero. Le sue
lacrime, singhiozzi e sospiri navigano attorno alle sue parole come il
forte,
gentile addio che sono, e tutti sono silenziosi in comprensione e
ammirazione.
Il suo discorso non è lungo, ma è abbastanza. Parla per tutti coloro
che hanno
mai amato lo scomparso Charlus Potter. Parla per James – specialmente
per James
– che ha deciso di non prendere il suo posto sul podio. Rimane in modo
preoccupante zitto e fermo finché tutto non è terminato.
Quando Charlus è abbassato
nel terreno, Remus e
Peter appoggiano una mano su entrambe le spalle tremanti di Sirius.
James
avvolge un braccio attorno a sua madre, piangente, tira il suo fragile
corpo a
sé e le bacia la fronte segnata dalle rughe. L'altra mano si allunga
per
stringere quella di Lily, che stringe di rimando rassicurante, che è lì
per lui
e con lui finché il cimitero è nuovamente vuoto.
Lui non lancia giù la rosa
bianca, ma piuttosto
la lascia scivolare debolmente dalle dita. Non piange più, ma il suo
viso si
contorce ogni tanto, ed ogni volta, lui succede nel puntualizzarlo con
respiri
che sono corti e poco profondi, dolorosi contro al petto, stretti in
gola.
C'è un rinfresco preparato
alla villa per i
partecipanti, e James dovrebbe aiutare sua mamma a prendersi cura degli
ospiti
che girovagano nella radura.
Lily nota la sua riluttanza
a lasciarla andare.
“Tua mamma ha bisogno di te,” gli ricorda, e lui annuisce. Guarda
indietro
verso di lei una volta mentre si avvia verso il suo compito. Lily
riesce a
produrre un piccolo sorriso. Osserva Sirius aiutare James ed Evangeline
ad
accompagnare tutti verso le Passaporte designate e i luoghi per
smaterializzarsi. Remus e Peter si sono scusati poco tempo fa,
offrendosi
volontari per tornare prima alla villa e controllare che tutto sia in
ordine.
Da sola in un angolo
allora, un osservatrice
straniera in una folla di purosangue che chiacchierano comodamente,
discutendo
di cose come il Ministero e le loro famiglie interconnesse – avrebbe
dovuto
sapere che è il momento perfetto perché Demetria Greengrass appaia.
Lily inizia ad andarsene
non appena la vede,
schifata, ma Demetria la raggiunge e le afferra il braccio finché non
si volta.
“Non scappare da me, Evans.”
Lily scuote il braccio per
liberarsi. “Sto
facendo la persona gentile, Demetria. Se non mi stai lontana, io-”
“Cosa, mi farai una
fattura? Davanti a tutti?
Voglio vederti provarci. Amerei vedere che tutti sappiano quanto rabbiosi
voi sporchi mezzosangue possiate essere.”
“Non c'è niente al mondo
che io voglio o ho
bisogno di sentire da te.”
“Voglio sapere che ci fai
qui. La faccia
tosta – illudi il povero James?”
“Ma quale,” sibila furiosa
Lily “E' il punto di
tutto ciò? Ti piace? È tutto tuo. Ho finito con te.”
“Hai distrutto la mia
famiglia, ecco cosa, e non
lascerò che nessuno di voi se la scampi con il minimo boccone di
felicità! Come
osi essere qui?”
“Io ho
distrutto la tua famiglia?
Scusami?”
“Le persone come te!”
“Ma quanto sei folle? Voi uccidete
le
'persone come me'.”
“Non ci sono prove di
quello.” dice Demetria, ma
Lily ne è così dannatamente stanca “Il processo-”
“Non mi interessa,”
ringhia Lily. “Né di
quel killer di tuo padre, certamente non di te. Sparisci dalla mia
vita.” fa
per andarsene di nuovo, ma Demetria la riprende di nuovo per il braccio.
“Tu pensi di essere tutta
importante e potente,
Evans, ma la verità è che sei altrettanto egoista e senza cuore quanto
dipingi
noi altri.” le unghie di Demetria s'infilano nella pelle di Lily in una
morsa
di ferro che è ancora più stretta ora, se possibile, ma è la selvaggia,
solida
convinzione di sé negli occhi della Serpeverde che turba Lily.
“Guardati. Tutta
vestita bene. A mostrarti qui come se non gli avessi spezzato il cuore.”
“Taci,” suo malgrado, il
senso di colpa di Lily
riaffiora “Non osare.”
“Oh, non ti sto accusando,
scema. Te lo sto ricordando.”
“Lasciami andare,
Greengrass, o non mi importerà
per niente che tutti ti vedano perdere la tua dannata faccia con
l'incantesimo
di una sporca mezzosangue.”
“Ti aspetti un tour della
tua futura villa,
vero?” E' come se non abbia nemmeno sentito. “Perché lo sai, che non
importa
quanto tu possa schiacciare il cuore di quel povero ragazzo con le tue
sudice
dita, lui tornerebbe correndo da te.”
“Continuo a non vedere il
punto. Se non fosse
così patetico, sarebbe quasi divertente quanto ti importi.”
“C'è qualche problema qui?”
qualcuno
s'intromette prima che Demetria possa rispondere. Sirius si ferma
davanti a
loro e incrocia le braccia. “Tua madre ti vuole, Greengrass.”
Demetria gli lancia
un'occhiataccia, ma va da
sua madre, muovendo i fianchi, il naso per aria. Sua madre, scopre
Lily, è
un'alta donna con lo stesso spietato, bellissimo volto. Una volta
riunite, le
due donne stanno insieme con espressioni poco contente in viso.
“Grazie,” borbotta Lily.
“No problem,” dice Sirius.
“Voglio dire, anche per –
lo sai. Essermelo
venuto a dire. Avermi chiesto di essere qua. Lo apprezzo davvero.”
Lui annuisce e poi si
schiarisce la gola. “Sono
quasi tutti assegnati e pronti ad andare adesso. C'è posto per una
persona in
più nel mio gruppo...”
Lily sposta lo sguardo.
“Scusa, Sirius.”
Non l'ha pianificato. Non
ci ha pensato – al dopo
– ad essere sinceri, ed è così stupido che non l'abbia fatto. Ma non
può
andare. Si sente come se abbia involontariamente usato questo in
qualche modo (egoista,
senza cuore, cattiva come il resto degli altri...), come se
abbia saltato
troppo in fretta e facilmente all'occasione di essere di nuovo così con
James.
E non ha senso, perché ovvio che sarebbe stata qui, con loro insieme o
meno;
sono ancora amici, giusto? Più o meno? Ma – ma gli ha spezzato il
cuore,
giusto, e per una ragione? Ignorare quella ragione renderebbe inutile
tutto il
loro dolore, no? Ecco perché Demetria glielo ha ricordato.
La faccia tosta, davvero.
La cerimonia è finita. È
tempo di andare a casa.
Sirius non sembra
arrabbiarsi. Deve aver
riconosciuto la sua espressione. O aver sentito il tono della sua voce.
A volte
Lily non può essere influenzata quando ha deciso già qualcosa. Sirius
ora lo
sa. Deve capirlo da sola, se una cosa sia giusta o meno. Non ha senso
picchiettare sulle sue convinzioni.
“Okay,” le dice. “Dirò loro
che dovevi andare.”
James sussulta quando sente
l'inconfondibile
schiocco della smaterializzazione. Arrivava da un piccolo boschetto
poco
lontano. Le punte degli alberi tremano, e un gruppetto di uccelli vola
via in
fretta. Non si sofferma su di loro; controlla immediatamente il luogo
in cui ha
lasciato Lily.
Non c'è nessuno lì.
Lily non è da nessuna parte.
Non sa cosa provare. C'è
già così tanto in lui;
il veloce cambiare delle sue emozioni da cattiva a peggiore si è
attenuato in
questo orribile, consistente ronzio.
Sirius sta camminando verso
di lui da dov'era
Lily, ma James sa già cosa sta per dire.
Prima che Sirius lo
raggiunga, James si
smaterializza a casa.
Il pomeriggio passa senza
eventi.
La villa è riempita da
abbastanza chiacchiere
per farla respirare di nuovo. Gli elfi, almeno, sono più che contenti
di
dissipare la loro tristezza per un po' in dedicato servizio degli
ospiti della
loro padrona.
James ad un certo punto
sparisce, mormorando a
Remus, “Ho bisogno di aria,” e non ritorna. Un elfo domestico va da
Sirius e
gli dice che hanno trovato James nello studio di suo padre. Sirius alza
lo
sguardo a questa informazione, nella direzione della stanza riempita di
libri
attraverso soffitti e corridoi – ma sceglie di rimanere ed aiutare
Evangeline.
Alle tre e mezza, tutti
decisamente esausti,
Sirius, Remus e Peter accompagnano fuori l'ultimo ospite attraverso il
camino.
Con sguardi stanchi e spalle curve, guardano le fiamme verdi danzare
l'ultimo
ballo nel focolare.
Sirius collassa su uno dei
divani e fissa con
stanchezza il soffitto.
“Ho bisogno di un drink,”
sospira, pizzicandosi
il naso e chiudendo gli occhi “Dov'è James?”
“Ancora rinchiuso,”
risponde Remus.
Sirius si alza. “Merlino,
non può solamente -”
“Credo che dovremmo
lasciargli spazio ora,”
consiglia Remus, anche se non in modo scortese, appoggiando una mano
sulla
spalla di Sirius per spingerlo gentilmente di nuovo al suo posto.
L'altro lo fissa a lungo, e
poi si lascia
sedere. Si massaggia la fronte, la mano che copre gli occhi. “Giusto,”
mormora,
la voce spessa. “Va bene.”
A sera finalmente piove,
tutte quelle tristi
nuvole di oggi che cedono. Il suono tranquillizza il silenzio aspro che
si
ferma sulla casa dopo che i visitatori se ne sono andati. La cena
finisce senza
James, e i tristi occhi di Evangeline occupano i posti vuoti attorno al
tavolo.
“Grazie,” dice ai ragazzi
che si sono invece
uniti a lei, i suoi figli da un legame differente. Sirius, Remus e
Peter
condividono lo stesso sorriso in risposta. “James è ancora nello
studio?”
“C'era l'ultima volta che
abbiamo controllato,”
risponde Peter, guardando Sirius per assenso. Sia lui che Remus
annuiscono.
“Non è lì,” esclama una
voce sottile. Zirk
l'elfo domestico, che è accanto al tavolo, fa un passo avanti, le dita
nervose
e gli occhi grandi pieni di preoccupazione. “Scusate, no, Zirk voleva
dire –
Padron James, lui – il padrone se n'è andato – Padron James manca da ore...”
“Ma dov'è andato?” domanda
Evangeline. I tre
ragazzi si siedono più dritti, subito in allerta. “L'ha detto?”
“Ehm – ha detto – ha detto
che doveva uscire per
un attimo. Sembrava davvero distrutto...pensavamo lo sapeste! Pensavamo
che
fosse – aveva la bacchetta, e lui... ci dispiace tanto, Padrona!”
“Oh, Merlino, quel
ragazzo...”
“Ci scusi,” dice Remus
sopra il suono della
sedia che gratta contro il pavimento. Sirius è già in piedi. Peter
sospira, ma
segue.
“Lo andiamo a cercare,”
dice Sirius, andando da
Evangeline per abbracciarla con un braccio prima che se ne vadano. “Tu
riposati, okay?”
Lily è da sola a Cokeworth,
che cerca di
affogare i suoi pensieri in bevande calde e il suono della pioggia e le
pagine
di un libro che Remus le ha regalato a Natale. È quasi a metà, quasi
finalmente
perduta in esso, quando il telefono squilla.
“Lily?” domanda Mary
dall'altro lato prima che
lei riesca a dire pronto.
“Me ne devi una,
Macdonald,” risponde Lily,
facendo un orecchio alla pagina e mettendo giù il libro. “Mi hai fatta
andare
da sola oggi.”
“Mi dispiace davvero tanto,
tanto, tanto, tanto,”
risponde veloce l'altra “Non hai lasciato che i purosangue ti
mangiassero,
vero?”
“Ti sto parlando dai loro
stomaci.”
“Oh, santo cielo.”
Lily rotea gli occhi, ma
Mary è riuscita a farla
ridere. “Nah, va tutto bene. Be', no. Dio, non lo è
stato. Ma...”
s'interrompe con un sospiro.
Il tono di Mary si
addolcisce: “Come sta James?
Sirius?”
“Terribilmente come te li
aspetteresti. Mary,
dimmelo onestamente, pensi che non avrei dovuto andarci?”
Lily può sentire
gli occhi stretti di
Mary anche attraverso la staticità. “Te l'ha detto qualcuno?”
“No,” dice Lily, un po'
troppo sulla difensiva.
“Li affatturerò fino
all'oblio! Senti, lui aveva
bisogno di te oggi, okay? È solo giusto che tu sia andata, lo prometto.
Avrei
detto qualcosa se avessi dato buca.”
“D'accordo.”
“Ma, ehm, ehi. Allora,
comunque, non – non è
quello il motivo per cui ti ho chiamata, però.”
“Ah sì?”
“No, aspetta, certo che
volevo anche sapere come
stavi! Lo voglio. Ma – ho qualcosa di importante da dirti.”
“Okay.”
“Possiamo incontrarci
domani? Da Chuckskate?”
Lily si corruccia. “Non
puoi dirmelo ora? Mi
servirebbe la distrazione.”
Mary ride nervosamente.
“No, scusa. Brunch,
d'accordo? Verso le dieci?”
“Okay. Ma stai bene? Sei un
po' strana.”
“Sto bene. È – aspetta. Mia
mamma – cosa c'è?
Sto parlando con Lily!”
Remus fa un altro giro
completo del parco,
stringendo gli occhi tra la pioggia e accertandosi di non essersi perso
nulla.
La presa sulla sua
bacchetta si stringe quando
uno schiocco spezza la notte – la pioggia è forte e il suono vi è
affogato con
facilità, ma è qualcuno che si materializza, ne è sicuro – solo quando
si
sforza di vedere, è Sirius. Lui sospira di sollievo e cammina verso di
lui.
“L'hai trovato?” chiede
Sirius sopra il
temporale.
Remus scuote la testa. “Mi
dispiace. E Peter?”
“Eravamo a Cokeworth. È
andato a controllare da
Mary.”
“James non è a Cokeworth
quindi?”
“No. Peter ha controllato –
come Wormy,”
aggiunge Sirius, in risposta alla muta domanda dell'amico “Lei era da
sola.”
Estrae qualcosa dalla tasca dei pantaloni, spostandosi senza tante
cerimonie
una ciocca di capelli bagnati dall'occhio. “Dannazione – Prongs.”
Lo
specchio è fradicio in pochi secondi, e Remus osserva Sirius mormorare
Prongs ancora
e ancora come se fosse una parolaccia. Aspetta. Il vetro rimane vuoto,
e Sirius
impreca per davvero. “Lo ucciderò...”
“Sta bene,” lo assicura
Remus. E se stesso.
“Vuole solo star da solo.”
“Poteva dirmelo, cazzo.”
“Sta bene, Sirius,” ripete
l'altro. “Comparirà.
Dai, andiamo a controllare Hogsmead. Mi sto congelando.”
“Aspetta. Mia mamma -” Mary
copre la cornetta
con la mano libera “Cosa c'è? Sto parlando con Lily!”
“C'è un tuo amico di
scuola,” le risponde sua
mamma “L'ho fatto entrare-”
“Mamma!”
Mary si alza in un attimo, il
letto che scricchiola sotto di lei “Lily, puoi aspettare un secondo?”
“Sì, certo,” dice Lily.
Mary mette giù il telefono
e apre di scatto il
cassetto della scrivania per prendere la bacchetta. Corre sul
pianerottolo del
secondo piano. “Sei matta?” ammonisce sua mamma,
che la fissa dal
piccolo salotto al piano inferiore “Non far entrare le persone così!
Dov'è
Tim?”
“In bagno,” la signora
Macdonald fa una smorfia
“E non fare così, tesoro; puoi sentirti, sai.”
“Chi è?”
“Peter, penso?”
“Minus? Peter, sei tu?”
Mary si sporge di più
dalla ringhiera e allunga il collo per vedere. La mano che stringe la
bacchetta
è tesa dietro la sua schiena.
Peter infine entra nel suo
campo visivo,
strofinandosi i capelli bagnati con un asciugamano che la mamma di Mary
gli ha
fornito. “Ciao, Mary. La pioggia è tremenda. Non mi ricordo
l'incantesimo per
asciugarsi.”
“Oh, buon Godric
– sali!” Mary si
affloscia visibilmente per il sollievo. “Sono al telefono con qualcuno
– e mamma,
non puoi lasciar entrare le persone così, d'accordo? Non in questi
giorni!”
Sua madre l’asseconda
con un cenno del capo, girandosi già per chiudere la porta. “Come dici
tu,
tesoro.”
La signora
Macdonald ritorna in bagno e finisce di preparare il piccolo Tim
Macdonald, di
quattro anni, per la nanna, di cui si stava occupando prima del
trambusto.
Peter mormora un grazie e non ci mette molto ad entrare nella camera di
Mary al
piano di sopra. Si guarda intorno, curioso, aspettando sulla porta.
Mary,
intanto, è tornata al telefono. “Pronto? Ci sei ancora? Peter è qui per
qualche
motivo.”
“Non ci metterò
molto,” esclama lui, ricordandosi cosa deve fare. Lily non risponde a
Mary –
infatti, l’altro capo è completamente silenzioso tranne che per la
staticità.
“James è sparito,” dichiara Peter, ignaro, e Mary è sufficientemente
distratta.
“E’ passato da qui? Hai qualche idea di dove possa essere?”
Mary corruga la
fronte. “Che vuoi dire che è sparito?”
“E’ scomparso dopo
il funerale. La sua mamma è preoccupata.”
“Dannazione. Cosa
pensa? Ci sono stati nove attacchi solo la settimana scorsa!”
“Sirius ha già
giurato di ucciderlo quando lo trova almeno un centinaio di volte.”
“Merlino. Io non –
non è venuto qua, mi dispiace! Avete provato -?”
“Mary.” La ragazza sussulta
quando la voce resa stridula dal telefono di Lily dall’altro capo li
interrompe. Suona agitata. “Mary, scusa, devo andare.”
Mary alza una mano
per zittire Peter, che stava per dire qualcosa. Riporta l’attenzione su
Lily.
“Stai bene?”
“E’ arrivato
qualcuno,” risponde lei “Devo andare, scusa. È importante. Ci vediamo
domani,
okay? Da Chuckstate. Alle dieci.”
“Sì, okay. Sei
sicura che vada tutto bene? Chi è?”
“Io – sì. È… sto
bene. È tutto okay.” Lei sembra tutto tranne quello. “Ti racconto tutto
domani.”
“D’accordo, ma chi –”
“Solo un vecchio
amico. Scusa. Sono al sicuro, te lo prometto. Domani! Ti voglio bene,
ciao.”
“Lily, aspetta – ”
Ma la linea è morta.
Mary alza lo
sguardo verso Peter, che la fissa perplesso. Lei è pensierosa; le
labbra sono
una linea sottile.
“Lily?” domanda
Peter, facendo un cenno col mento verso il telefono. “La nostra Lily?”
Lei annuisce
assente: “Che stavi dicendo?”
“James è sparito.”
Mary guarda con
occhi disattenti il telefono che ritorna al suo posto. “Smettetela di
cercare,”
dice “Sono quasi certa che sia da Lily.”
“Lily? Puoi aspettare un
secondo?”
“Sì, certo.”
C’è un rumore che Lily
immagina essere un
cassetto che viene aperto e richiuso, poi dei passi, e poi Mary che
urla delle
cose a sua madre, ma le sue parole sono attutite dalla distanza dal
telefono.
Lily ha la bacchetta fuori in caso Mary abbia bisogno che lei si
materializzi,
e la gira tra le dita intanto che aspetta.
Ma, come se fosse da
segnale, c’è un bussare alla
sua porta. Prima pensa di esserselo immaginato. La pioggia continua a
cadere, e
lei allunga le orecchie per un altro segno – e per accertarsi che Mary
stia
bene – ma non c’è niente da nessuna parte per un momento.
Poi – ecco.
Tre bussi. Ancora.
Si alza in piedi e cerca di
individuare delle
figure fuori dalla finestra dal suo posto al bancone, ma non riesce a
distinguere nulla. Mary non sembra essere nei guai – sta ancora
discutendo con
sua mamma, sembra – quindi Lily mette giù il telefono e va alla porta,
la
bacchetta stretta.
Si prepara per ogni tipo di
cosa – ci sono stati
nove attacchi la settimana scorsa, dopotutto, in quartieri di nati
Babbani – ma
ciò che vede fuori quando sbircia dalla finestra del salotto fa
crollare
velocemente il suo cuore.
Corre a disfare i lucchetti
magici e apre la
porta ad uno zuppo, tremante James Potter, le spalle arcuate, il
respiro
pesante.
Si fissano sopresi per tre
secondi buoni.
“Ciao,” dice lui, la voce
roca. Le mani sono
strette a pugni ai fianchi. È completamente fradicio.
Lily mette via la
bacchetta. “James, cosa –”
“Non lo so,” gracchia, il
viso quasi contorto in
una smorfia addolorata “Non so perché sono qui, non lo so, mi dispiace…”
Lei fa un passo avanti e lo
tira giù a sé in
fretta. Deglutisce e fissa la strada mentre lo stringe; bagnato e
freddo e così
tremante tra le sue braccia. Lo zittisce dolcemente quando inizia a
mugolare
scuse isteriche ancora e ancora contro la sua spalla
“Sei sicura che sia lì?”
domanda Sirius,
passandosi una mano tra i capelli. Sono tutti sulla soglia di Mary
nella fioca
luce arancione del porticato, perché si sono trovati lì non appena
Peter ha
diffuso l’informazione. “Solo un vecchio amico potrebbe voler dire
chiunque.
Cazzo, poteva dire anche Piton per quanto ne sappiamo.”
Mary lo fissa con sgomento:
“Pensi davvero che farebbe entrare
Severus, in
questi giorni? Lily non è stupida.”
Sirius la fissa in ritorno,
ma alla fine cede.
“D’accordo allora. Torniamo indietro.”
“Okay,” dice Peter,
infilandosi la giacca “Posso
entrare e vedere velocemente…”
“Intendevo alla villa.”
“Non vuoi controllare?”
domanda Remus curioso.
In risposta, Sirius chiede
a Mary: “Sei sicura
che sia lì?”
Mary incontra risoluta i
suoi occhi. “Lo sono.”
Sirius
annuisce. E poi, agli altri due, “Andiamo. Lui sta bene. Vorrebbe che
rimanessimo comunque alla villa. Qualcun altro ha bisogno di noi…
grazie,
Mary.”
“Di
nulla.”
Stanno
scendendo dalle scalette quando Mary li richiama. Non dice nulla subito
quando
loro si girano, e poi, in una voce che sta ovviamente tentando di
rimanere
ferma: “Qualcuno di voi ha già spedito la propria risposta? Lo so che
abbiamo
avuto più tempo per rispondere, per il papà di James e tutto, ma…
questo non
cambia nulla?”
I
ragazzi si guardano. È Remus a rispondere. “Diremo comunque sì. Tutti
noi.”
Mary
appare un po’ stressata da ciò. “Ovviamente,” dice. E poi sorride. È
abbastanza
convincente. Con sorpresa dei tre, li raggiunge e li abbraccia uno ad
uno –
Sirius per ultimo e più a lungo. “Mi dispiace davvero per il signor
Potter,”
mormora contro la sua maglietta fredda. “State attenti mentre tornate a
casa.”
Asciutto
e relativamente caldo, James siede nel salotto degli Evans, con un
aspetto
stanco e disorientato. Si muove appena quando Lily ritorna dalla cucina
con due
tazze di tè. Le appoggia sul basso tavolino. Quando gli si siede
accanto, lui
inizia a giocherellare con le proprie dita. Osserva il fumo mulinare
dalle
tazze e scomparire in vaghi ciuffi; Lily guarda lui furtiva.
“Evans,
io – mi dispiace molto.”
Lily
gli prende la mano. “Va tutto bene. Ma gli altri lo sanno che sei qua?
Potrebbero essere preoccupati. Tua mamma…”
James
deglutisce. Il suo viso si contrae ancora, ma lui fa un respiro
profondo e
riesce a ricomporsi. Apre la bocca per dare una spiegazione, ma non
esce fuori
nulla. Ci prova due volte.
Lily
preme sulla sua mano e si fa più vicina. “Va tutto bene,” sussurra
“Starai
bene.”
Gli
occhi di lui cadono sulle loro dita intrecciate, e per un secondo la
sua mano
si blocca, ma poi si rilassa di nuovo attorno a quella di lei. “So che
non
dovrei essere qui. Io non – non più. Lo so. Mi dispiace.”
Lei
si appoggia a lui e mormora – ancora, perché anche lei continua a
dimenticare,
se dev’essere onesta. “E’ tutto okay. Te lo prometto.”
Sono
silenziosi. James non tocca il suo tè. Lily nemmeno.
Quando
il fumo che loro osservano finisce, Lily dice: “Ho qualcosa di più
forte, se
vuoi.”
“Cosa?”
“Del
tè, intendo.”
“Sì,
grazie.”
Evangeline
è in piedi che li aspetta quando gli altri Malandrini ritornano alla
villa.
Lei
li incontra alla porta, lo scialle ad un sussurro dal caderle dalle
spalle. Non
piange più, ma è solo ora, per qualche ragione, che Sirius la vede per
bene, e
scopre che non può sopportare di vedere gli strati di tristezza sul suo
viso.
All’improvviso capisce il bisogno di James di scomparire. Se lui,
Sirius, non
può nemmeno guardarla, quanto dev’essere frustrato suo figlio?
“Dov’è?”
chiede Evangeline, rivolgendosi ad ognuno. “L’avete trovato?”
“Sta
bene, è al sicuro,” risponde Sirius, abbracciandola. Cerca di
giustificarlo
come un atto di conforto, e non perché così non dovrà guardarla più.
Anche
Remus e Peter la rassicurano, annuendo dietro Sirius. “L’abbiamo
trovato,” dice
Peter. Conducono Evangeline dentro casa.
“Starà
bene,” esclama Remus.
“Ma
dov’è?”
“Tornerà
presto,” risponde Sirius.
Rimangono
tutti per la notte.
Una
bottiglia intera. Una e mezza. Ancora contano, sperando di contare per
sempre.
Lily
dimentica il numero dopo l’undicesimo bicchiere. Dio, non stanno
nemmeno usando
i bicchieri giusti. Ce n’è uno per ogni tipo di alcol, vero? Non è lei
la
Purosangue. Non lo potrebbe sapere. Ma è qualcosa che un Purosangue
saprebbe?
Non è nemmeno certa di per quanto tempo l’alcol è rimasto conservato in
cucina.
L’ha visto quand’è tornata da Hogwarts, ma non l’ha mai toccato
nonostante le
molte notti che sembravano meritarsi un bicchiere o due.
Oh,
cielo – Petunia impazzirà. E se fosse di loro padre? Lily l’ha appena
dato via.
Ad un mago. E si sta ubriacando con
lui sul divano…
Petunia.
Lily non l’ha mai seguita. È probabile che non siano nemmeno più a
Cokeworth.
Deve andarli a trovare presto. Dire addio. Avere un’ultima litigata.
Solo
vederla. Prima che Lily si unisca ufficialmente all’Ordine, cosa che
farà.
Ovvio che lo farà.
“Sì,
anche io,” dice James, cogliendola di sorpresa. A quanto pare sta
dicendo cose
ad alta voce. Divertente. “Lo sai,” continua lui, aggrottando le
sopracciglia,
“Sono così… arrabbiato. Non so
perché. Voglio dire – lo so. Lo so il perché. Ma è ingiusto.”
“Arrabbiato
con me?”
“No…
no, sì. Sì.” Ride e si appoggia al
divano. Chiude gli occhi, si passa le mani sulle guance. Sono
arrossate. Lily
non può smettere di fissare. “Non lo so. Sono così arrabbiato.”
“Sei
arrabbiato ora?”
Lui
apre le mani – sono ancora sul suo viso – e la osserva attraverso le
dita. Lei
lo fissa di rimando. “Non penso di esserlo,” dice.
La
notte passa lentamente. La pioggia non smette.
Remus
esita troppo a lungo. Sette minuti. Sta in piedi sull’uscio aperto per
tutto
quel tempo, solo a deliberare, e quando decide di parlare Sirius si è
ormai già
stancato di aspettare.
“Non
mordo, sai,” esclama Sirius, la schiena voltata verso l’amico. Non si è
mosso,
ma probabilmente ha udito Remus arrivare. È di nuovo sul davanzale. La
sua
silhouette è ancora più scura della notte fonda brillante di pioggia.
“Già,
quello sono io,” dice Remus, entrando e salendo sull’altro lato della
larga
finestra. È stato un sacco di volte nella camera di James, ma non gli
era mai
apparsa così grande e vuota fino ad ora “Io mordo.”
Sirius
ride. Offre la bottiglia di whiskey incendiario che sta coccolando, ma
Remus
scuote la testa. “Solo in caso ti scordassi da quale lato è la stanza
di
James.”
Lo
fa ridere ancora. “Peter dorme?”
“Come
un bambino.”
“Vorrei
riuscirci.”
“Puoi
provare.”
“Fatto.”
“Scusa.”
Sirius
prende un sorso. La bottiglia è quasi vuota. “Hey, mi dispiace essermi
arrabbiato oggi.”
“Non
fa niente.”
“Moony.”
“Sì?”
“Perché
sei qua?”
Remus
si stringe nelle spalle. “Non lo so. Non riuscivo a dormire. Peter è
esausto,
quindi russa come un drago sofferente.” Si ferma, si appoggia alla
finestra.
“Ho pensato di lasciartelo a te. L’avrei anche fatto se tu non mi
avessi
battuto.”
“Ho
notato,” Sirius guarda alla vasta estensione della tenuta dei Potter
sotto di
loro, ma non c’è altro che scure ombre di nero là fuori. “Pensi che
James stia
bene?”
Ci
vuole un po’ perché Remus risponda. “Penso che lo starete tutti.”
“James.”
Niente.
È mezzo sdraiato sul divano, la mano sul viso, gli occhiali storti.
“Ti
sei addormentato?”
Magari
sta dormendo. Muoversi sta diventando difficile. Lily si sforza di
alzarsi, ma
riesce solo a sollevare la schiena dal bracciolo del divano – e finisce
per
cadere sul fianco di James. Pensa di avvertirlo muoversi. “James,”
borbotta,
dandogli una gomitata, “Non puoi dormire qua. Portiamoti in un letto,
okay?
Puoi stare nella camera degli ospiti, è su questo piano…” anche lei sta
spaparanzandosi giù, addossandosi del tutto a lui. “Dai. Pochi passi.
Poi
dormiamo.”
“Okay,”
risponde finalmente lui.
“Stavi
dormendo?” non sembrava che lo fosse.
“No.”
Si aggiusta gli occhiali. Quando le guarda i capelli, scompigliati e
più rossi
che mai sulla sua spalla, il suo sbuffo viene fuori come una risatina.
Scendono
dal divano e devono sostenersi ai tavoli e ai muri e all’altro nella
strada
verso la stanza degli ospiti.
“Eccoci,”
dice Lily, mentre entrambi si fermano sull’uscio e si appoggiano ai
lati opposti.
Il loro corto viaggio dal divano a qui in qualche modo l’ha resa un po’
sobria;
ha scosso l’indolenza che l’alcol le ha messo nelle ossa. Si sente
all’improvviso timida alla vista dell’angusta camera. “E’ piccola, mi
dispiace,
ma c’è un letto e – solo poche ore fino al mattino in ogni modo… non
che tu non
possa dormire di più. Puoi. Io probabilmente lo farei. Io, ehm – sei
sicuro che
vuoi rimanere per la notte, però? Non ti lascio smaterializzarti da
solo, ma
posso chiamare Sirius… aspetta, ma almeno ce l’hai un dannato telefono?”
Lei
alza lo sguardo perché James non sta rispondendo – e subito desidera di
aver
continuato a parlare. Lui la sta guardando… così,
come così tante notti sotto stelle di venerdì quando ancora lui era
suo, come
forse lei gli manca tanto quanto lui manca a lei. E lei scosterebbe lo
sguardo,
avrebbe il buon senso di farlo se fosse un po’ meno inebriata.
“Questa
è una cattiva idea, vero?” gli chiede. La sua voce è calata in un
sussurro,
come se alle parole stesse non piacesse essere dette.
“Forse.”
“Non
dovremmo essere…” Qui. Insieme. Così vicini.
“Io
non dovrei essere qui.” In qualche modo lui suona come se lui stesso
non ci
credesse.
“No.”
“Già.”
“James
–”
“Dovrei
andarmene, giusto?”
Lei
non risponde.
“Evans…”
Lei
si morde il labbro. Pensa che avrebbe dovuto portarsi una delle
bottiglie con
sé, giusto per qualcosa da fare mentre fissa.
Forse
è un sogno. Forse si sono addormentati sul divano.
Alza
una mano per toccarlo, solo per esserne certa, ma rimane sospesa sopra
la
guancia di lui, che continua solo a guardarla.
Sogno.
Questo è un sogno.
La
sua mano crea un contatto.
Lui
è ardente. Tremante. Lei muove il pollice sopra il suo zigomo, e poi va
giù; fa
scorrere la mano lungo il suo braccio, lentamente, seguendola con gli
occhi, le
dita che lo sfiorano appena. La pelle di lui si riempie di pelle d’oca,
e lui è
così fermo e il cuore di lei sta battendo così in fretta che lei si
chiede se
riuscirà a baciarlo prima di prendere fuoco. Ha paura di guardarlo
ancora negli
occhi, ha paura di ciò che potrebbe trovarvi ora che è sicura di non
stare
sognando. Quindi si accontenta del petto coperto dalla maglietta. Caldo
sotto
la punta delle sue dita. Fissa ma non vede. Lascia che la sua mano
raggiunga il
polso di lui nella sua lenta conquista; lascia che rincorra il suo
battito
scatenato.
Non
guardare. Solo sentire.
“Lily,”
lui sussurra, ed è una supplica ed una domanda ed un’accusa tutte
avviluppate
in una, veleno e vino sulle labbra di lui “Io ancora…”
“Anche
io,” conclude lei per lui. Vuole sentirlo tanto quanto non voglia. Si
fa
avanti, la fronte che si scontra con il suo petto, volendo nascondersi.
Apre il
palmo contro il suo, le punte delle dita di millimetri più corte delle
sue,
battito contro battito ma senza intrecciare le dita. Sciocco. Come se
quello
potesse rimediare per essere andati troppo in là in così tante cose
oggi. Lei
non lo merita. “Anche io, James.” Anche
io, così tanto. Lui è caldo, ha lo stesso odore; ancora così,
così tanto
James sotto di lei che fa male.
Lui
non si muove. Il suo petto si alza con respiri pesanti che sono uguali
a quelli
di lei. “Ma – ancora non possiamo essere, vero?”
Ora
lei sta piangendo. “Mi dispiace. Sono qui. Sono qui ora.”
“Non
posso perderti ancora, Evans. Non puoi essere mia stanotte ed andartene
alla
mattina.”
Lei
si fa più vicina. Ora dovrebbe lasciarlo andare. Lui ha ragione. La sua
mente
non si è decisa, nonostante tutto, ed è così ingiusto che non lo sia,
ma lei
glielo deve di essere completamente onesta. Non può illudere. E lo ama
– lo fa,
ne è così certa che sta per esplodere – ma tutto è così un cazzo di
disastro
ora, e – e lei non può essere incerta dello stare insieme e rischiare
di
ferirlo ancora così –
Lei
apre la bocca per parlare, frasi spezzate che si uniscono all’ultimo
minuto
sulla sua lingua, ma lasciano vetri rotti incastrati in molti angoli
del suo
cuore.
James
la batte. “Io non ti manco.” dice.
Lily
si fa indietro quanto basta per guardarlo. “Cosa?”
“Dimmelo,”
insiste lui. Chiude le mani in pugni, scostandole le sue. “Che io non
ti
manco.”
Lei
non può.
“Dimmi
che non mi vuoi. Che vuoi che me ne vada. Che non hai bisogno di me.
Non dovrei
essere qui.”
Lei
non può. “James…”
“Ne
ho bisogno, Evans. Dimmelo di nuovo. Ho bisogno di sentirlo di nuovo.”
“Perché?”
“Perché
quando oggi mi hai lasciato ho sentito come se anche io avessi lasciato
me.” È
così vicino ora. C’è solo un tot di distanza in un dannato uscio.
“Perché ho
dovuto trovarti così tanto. Devo. Sempre.” Le sposta una ciocca di
capelli
dietro l’orecchio e lascia lì la sua mano, quasi quasi lì, ma senza
toccare.
Lei chiude gli occhi, e il calore familiare è tutto ciò che c’è per
sapere che
lui è così vicino. “Dimmelo ancora perché continuo a dimenticare le tue
ragioni
per andartene. Riesco solo sempre a capire perché dovrei tornare
indietro.”
Lei
non può.
Respirare
è diventato difficile. Anche per lui, lei nota. Forse ecco perché,
quando lei
apre gli occhi infine e con loro gli dice cosa non riesce a fare, lui
scuote la
testa e lascia cadere la mano. Fa tutti i passi indietro. Ecco perché;
perché
non può più respirare, perché il suo cuore sta prendendo troppo spazio
nella
sua cassa toracica. Lei lo sa perché lo sente anche lei. Lui annaspa in
un
respiro tremante e inizi a voltarsi – via
– e – e tutto attorno e dentro Lily sta girando e girando e
lei pensa che
lui dica qualcosa come “Non posso,” ma lei non può esserne certa perché
non lo
lascia finire –
Lo
afferra per un braccio e lo tira indietro verso di sé, non spreca altro
tempo.
Sembra essere anche il punto di scatto di lui; quell’impulso che dura
un
battito. Le persone perdono la testa in guerra, no? Alcune? Be’, eccoli
qui.
James Potter e Lily Evans, perse ed imperfette anime a diciott’anni.
Non
importa niente stasera.
Niente.
Solo
le labbra di lui, sulle quali lei piomba per reclamarle, che lui cede
di
ricambio, forte e disperato e furioso. La bacia come se questa sia la
loro
guerra, proprio qua, come se sia il culmine di tutto – lei che perde la
battaglia dello stare separati e lui che vince la sua dello stare
insieme. Lui
è suo, tutto suo stanotte, tutto. Mani e fianchi ed ogni calloso
segnato dito
che massaggia e affonda contro la sua vita, in sincronia con la sua
bocca, in
sincronia con tutto il suo fottuto corpo. Tutto di lui. Lui sta
tremando. Anche
lei. Lei fa scorrere i palmi lungo tutto quello che le sue mani
riescono a
raggiungere, non c’è più quella lenta cauta attesa ora – le sue spalle,
le sue
braccia, il suo petto che si alza quando si toglie la maglietta,
frenetico; e
lei non si ferma nemmeno quando colpisce la porta, quando lui inizia a
tirare
l’orlo della sua maglia, quando inizia a spingerla verso il letto.
Entrambi
sbattono contro tutto ciò che è in mezzo alla loro strada. Non si
fermano
quando lei cade sul letto, quando lui segue sopra di lei.
Non
importa niente.
Solo
labbra su battiti affrettati. Percorsi di dita sui fianchi di lui.
Pressione
sulle anche di lei. Morsi sulle spalle, sulle clavicole, su gemiti e
nomi
dell’altro. Questo è reale –
attraverso il calore pizzicante che corre troppo velocemente verso
l’inevitabile
implosione, questo è ciò che lei si rammenta ancora e ancora. Che
questo è
reale. Questo è James. Che respira con lei, si muove con lei. Questo è
svegliarsi e rimanere a ciò che dovrebbe essere, non il contrario.
Questo
è reale. Questo – il mondo che si disintegra così, lei che crolla così.
Questo.
Lui. Lei.
Nient’altro.
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