Red rain

di starsfallinglikerain
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - La taverna ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - L'ospite ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Isabelle ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Pharmacon ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Pioggia rossa ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - La taverna ***







 
Red rain is coming down
Red rain is pouring down
Red rain is coming down all over me

Peter Gabriel, Red rain
 


 
 
Capitolo 1 - La taverna


Sparta, 429 a.C.



Alexander (o Alec, come lo chiamava sua sorella) entrò nella taverna spartana, trovando un ambiente non troppo diverso da quello della sua terra natale: vari uomini, o per meglio dire vari soldati, erano seduti ai tavoli trangugiando vino, altri si scambiavano racconti di guerra, altri ancora se la spassavano con le etère del posto.
Se non fosse per lo spiccato accento dorico della gente, potrei dire di essere ad Atene, pensò il giovane, guardandosi intorno, alla ricerca di un posto in cui sedersi, finalmente giunto a destinazione dopo giorni e giorni di cammino. Trovò uno sgabello in fondo a un tavolo e si accomodò, sperando di non attirare su di sé l'attenzione di nessuno: non era sicuro di riuscire a nascondere totalmente il suo accento attico e, se l'avessero scoperto, avrebbe potuto considerarsi morto ancor prima di poter solo cominciare la sua missione. La guerra fra le due poleis durava già da due anni, egli stesso aveva partecipato alla difesa della sua città quando gli spartani l'avevano assalita, fiero col suo arco aveva scagliato le frecce contro i nemici, dando il tempo ai suoi concittadini di rifugiarsi dentro alle lunghe mura che proteggevano Atene e il Pireo dagli attacchi. E da quelle stesse mura difensive era fuggito, da giorni ormai, per sottrarsi alla tremenda epidemia di peste che si stava diffondendo come una piaga fra la popolazione, mietendo vittime e consegnando all'Ade le anime di persone innocenti.
In realtà, l'epidemia scagliata dagli dei era forse il motivo meno determinante per cui egli si trovava nella città nemica. La verità era che voleva salvare sua sorella. Erano passati mesi dall'ultima volta che l'aveva vista, da quando assieme alle ancelle si era recata sulla costa e un manipolo di soldati spartani le aveva sorprese: Isabelle, la ragazza più ammaliante di Atene, nonché la figlia di uno dei massimi esponenti politici della città, era un ottimo ostaggio.     
Alec avrebbe voluto subito accorrere in aiuto della sorella, avrebbe voluto poter essere al suo posto ed evitarle le tremende sofferenze che sapeva le avrebbero inflitto, ma i suoi genitori credevano di poter risolvere la questione in maniera diplomatica, anche in tempo di guerra. Oh, folli.     
Era forse la prima volta che disubbidiva ai genitori, facendo di testa sua, fuggendo dalla città e rischiando la propria vita. Sapeva che l'avrebbero punito se mai fosse tornato incolume ad Atene con la  sorella, come sapeva che avrebbero punito il suo fratellastro per aver complottato con lui quel piano illogico. Ma sapeva anche che, se voleva riuscire a trarla in salvo, quello era l'unico modo. E l'oracolo aveva chiaramente espresso il suo responso: La figlia di Afrodite potrà considerarsi salva quando il sangue dei fratelli sarà ricongiunto. E chi mai avrebbe potuto salvarla, se non lui? Era il suo compito. E non gli importava se ciò avrebbe comportato rischi enormi o il sacrificio della sua stessa vita. Amava sua sorella e la sua famiglia più di sé stesso e non avrebbe esitato a compiere ciò che era giusto.  
Un gran trambusto congelò lo scorrere dei suoi pensieri; Alec spostò l'attenzione del suo sguardo dalle venature lignee del tavolo e lo volse alla fonte di tanta confusione.  
Un giovane ragazzo, dagli occhi truccati in modo da far risaltare le sue iridi talmente verdi da far invidia alle praterie dell'Arcadia, stava recitando alcuni versi, intrattenendo i frequentatori della locanda che lo incitavano affinché proseguisse nella sua esibizione. «Volete che prosegua nella recitazione del cantore Omero? O preferite i giambi di Archiloco?» ironizzava, probabilmente per attirare maggiormente su di sé l'attenzione.  
Per Zeus, come fa a non odiare sentirsi tutti questi occhi addosso?, pensò fra sé e sé Alec, che era sempre stato timido e schivo, forse anche a causa del suo segreto.          
«O forse desiderate che qualche altro rapsodo intoni per voi i versi ispirati dallo stesso divino Apollo?».
Le esclamazioni dei soldati aumentarono ancor di più e Alec non poté fare a meno di sentirsi in soggezione quando lo sguardo felino del ragazzo si posò su di lui. Ti prego, fa' che non accada ciò che temo.     
 «Oh bel forestiero, volete forse favorire?» suggerì l'altro, con una sfumatura maliziosa appena celata nella voce.
Alec sentì il sangue affluire alle guance, dando un colorito acceso alla sua pelle pallida, mentre gli sguardi dei soldati giungevano nella sua direzione.  Posso considerarmi morto.
«I-Io... Ehm...» balbettò incerto, cercando disperatamente di ricordare qualcosa, qualsiasi cosa. A quel punto, ormai, aveva tutti gli occhi puntati su di sé e l'unico modo perché la gente distogliesse velocemente l'attenzione sarebbe stata assecondare quella assurda richiesta.  «Intonar so il ditirambo di Dioniso mio signore / il bel canto io so, dal vino folgorato nel mio cuore» recitò allora, cercando di nascondere il tremolio della voce, pur non essendo del tutto certo che fossero corretti i versi decantati: la poesia lirica non lo aveva mai appassionato granché, preferiva di gran lunga le imprese valorose compiute dai grandi eroi come Ettore, Achille, Odisseo.   
«Il ditirambo di Archiloco» commentò il giovane dagli occhi verdi, applaudendo in modo teatrale, facendo arrossire nuovamente le gote di Alec, che abbassò lo sguardo alle proprie mani che si contorcevano nervosamente, tentando di smorzare la tensione. Quando decise di risollevare i propri occhi, l'altro aveva già ripreso a glorificare i poeti antichi, senza tuttavia distogliere le sue iridi smeraldine dal corpo di Alec.  
Quest'ultimo si ritrovò a pensare che il rapsodo fosse davvero fisicamente attraente, ma aggrottò le sopracciglia non appena si rese conto dei suoi stessi pensieri: Non posso farmi condizionare, non quando ho una missione così importante da portare a termine. Eppure il volto dell'altro era così bello, con quei lineamenti delicati e allo stesso tempo spigolosi, i folti capelli neri, gli occhi contornati di nero, per non parlare del fisico longilineo e atletico che si muoveva elegantemente e in modo plateale, senza però risultare eccessivo o costruito, anzi sembrando naturale.
Alec scosse la testa, tentando di cacciare quelle considerazioni totalmente fuori luogo, se si considerava il fatto che con tutta probabilità non avrebbe mai più rivisto quel giovane uomo. Decise così di alzarsi e di avviarsi velocemente verso l'uscita, dopotutto doveva ancora cercare un posto in cui  potesse alloggiare durante il suo soggiorno a Sparta.     
Una volta uscito l'aria fresca della notte portò sollievo al suo volto accaldato e non poté fare a meno che sollevare lo sguardo al cielo, ad ammirare le stelle splendenti, chiedendosi dove fosse sua sorella, se stesse bene - per quanto possibile, vista la condizione di prigionia in cui si trovava -, se i suoi genitori fossero più preoccupati per la sua assenza o più infuriati, se il suo fratellastro stesse pensando a lui.    
Già, il suo fratellastro. In realtà il legame che li univa era estremamente intimo, era come se quell'orfanello biondo non fosse stato accolto dai genitori di Alec, ma fosse davvero suo fratello. Tuttavia Alec, col passare del tempo, si era reso conto che ciò che provava per Jace non era semplice affetto fraterno, era qualcosa di molto più profondo e ancestrale, qualcosa che avrebbe potuto definire amore. Sì, amava suo fratello e forse per questo non riusciva a sopportare qualsiasi ragazza che potesse anche solo considerarlo fisicamente avvenente - cosa che, effettivamente, era: ma egli temeva di non avere più tutte le attenzioni per sé.     
Temeva che il loro legame si sarebbe spezzato o anche solo allentato, o per meglio dire era letteralmente terrorizzato da questa idea. Ciononostante tentava di rassicurarsi, di convincersi che in realtà erano solo le sue maledette paranoie e che loro sarebbero stati parabatai per sempre, perché un legame come il loro non avrebbe potuto essere frantumato, mai, da niente e da nessuno. E allo stesso modo il suo amore non avrebbe mai potuto essere scalfito.       
«Per tutti gli dei dell'Olimpo!» esclamò con un tono di sollievo una voce alle sue spalle, gelando il flusso dei suoi pensieri e facendo sì che si voltasse per vedere chi fosse il suo interlocutore. Il rapsodo della taverna apparve ai suoi occhi, con i capelli corvini spettinati e il trucco scuro.          
«Posso aiutarvi?» disse gentilmente Alec, rendendosi conto troppo tardi dell'inutilità delle parole appena  pronunciate: come avrebbe mai potuto uno straniero aiutare un nativo spartano?            
 «Fortunatamente sono riuscito a raggiungervi in tempo, bel forestiero» rispose inaspettatamente il giovane, facendo sì che le gote di Alec diventassero nuovamente scarlatte.         
Sembra proprio che sia in grado di farmi arrossire con un nonnulla, pensò, mentre balbettava: «D-Dite a m-me?».
«Vedete forse qualcun altro?»  ribatté malizioso lo spartano, come a sottolineare l'idiozia delle domande di Alec.
«Ebbene?» chiese quest'ultimo, tentando di recuperare un contegno.          
«Ebbene, mi chiedevo dove soggiornaste».   
«Cosa vi fa pensare che io resti in città?» lo stuzzicò Alec, sorprendendo se stesso. Non si era mai comportato così con nessuno, tantomeno con uno sconosciuto. Nemico per di più, aggiunse nella sua testa una vocina razionale.        
«Oh non lo so. Magari il fatto che siete appena giunto? Lo desumo dalle vostre membra stanche e inoltre non vi avevo mai visto in città. E ritengo che sareste un folle a mettervi in cammino a notte fonda, a meno che non siate un fuggitivo o un criminale, ovviamente».            
Il rapsodo pronunciò quelle parole con un carisma e una teatralità che Alec si ritrovò incantato e rimase letteralmente senza parole. Si rese conto che avrebbe dovuto dire qualcosa quando l'altro alzò un sopracciglio, dopo avergli lanciato uno sguardo carico di aspettativa. «Sì, ehm, io...».   
«Non sapete la strada per giungere alla locanda?».   
«Non ho ancora trovato un posto dove alloggiare» ammise infine, abbassando lo sguardo, imbarazzato, senza sapere bene il motivo di tanto impaccio.      
Lo spartano sembrò illuminarsi, come se fosse sollevato, «Grandioso!» esclamò infatti con enfasi, attirando su di sé lo sguardo incuriosito di Alec.   
«Grandioso??» ripeté infatti, strabuzzando gli occhi.           
«Vi ospito io!» affermò lo spartano con convinzione, col tono di qualcuno che non ammetteva repliche né contraddizioni.
«Che cosa state dicendo? Non posso accettare, no!» tentò di rifiutare Alec, gesticolando nervosamente con le mani e spostando il peso da un piede all'altro.          
«In nome di Zeus Xenios, vi offro la mia ospitalità» ribatté l'altro solennemente, facendo contrarre lo stomaco ad Alec: le parole sagge e altisonanti del suo pedagogo gli rimbombarono nella mente - non rifiutare mai l'ospitalità offerta con sincerità.        
«Ma non so nemmeno il vostro nome» obbiettò debolmente il giovane ateniese.    
 Lo spartano sorrise, criptico: «Sono Magnus, bel forestiero. E voi?».         
«Il grande» commentò Alec, riferendosi al significato del nome di Magnus, che ridacchiò: «Lo sono davvero. Avete di fronte a voi il più famoso rapsodo, nonché sacerdote di Dioniso di tutta Sparta».   
Oh,per Zeus. Non può trattarsi davvero di quel Magnus, pensò Alec terrorizzato, ricordando le parole dei suoi concittadini riguardo a un certo sacerdote spartano dalla diffusa fama.       
«Invece voi siete? Non credo mi abbiate ancora detto il vostro nome».       
«Alexander. Ma potete chiamarmi Alec, se preferite» si affrettò a dire Alec, sperando che non notasse quel celato accento attico nella pronuncia del suo nome completo.        
«Alexander, il protettore di uomini. Mi piace» commentò Magnus, sembrando quasi gustare il sapore di quelle parole sulle labbra. «Venite, Alexander, vi condurrò presso la mia umile dimora» dichiarò infine, avviandosi e facendo segno all'altro di seguirlo con un cenno della mano.            

 
Note dell'Autrice: 

Hello everyone!
Premetto che questa è la prima fanfiction Malec e AU che scrivo, pertanto non ho idea di quale sia il risultato. La storia mi frulla in testa da un bel po' di mesi ormai, quindi ho proprio avuto l'esigenza di scriverla e mi piacerebbe molto sapere le vostre impressioni a riguardo, positive e negative, dopotutto c'è sempre da migliorare ^^
Vi chiedo umilmente di lasciare un commento, giusto per sapere cosa c'è da aggiustare, da cambiare totalmente, cosa invece vi è piaciuto.
Un grazie immenso anche a heartbreakerz per lo splendido banner, notevolmente migliore del precedente fatto da me lol
Grazie per la vostra attenzione, ci rileggiamo presto col secondo capitolo! Baci,
Starsfallinglikerain.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - L'ospite ***





Capitolo 2 - L'ospite


«Prego, entrate» disse Magnus, tenendo aperta la porta dell'abitazione e scostandosi per far passare il suo ospite, che osservava l'ingresso con celata espressione guardinga. Avrebbe potuto fidarsi? Rischiare? Non che ormai avesse molte alternative, certo. Anzi, se fosse stato furbo non avrebbe mai ammesso di non aver trovato una locanda in cui alloggiare.       
Guardò ancora una volta lo stipite della porta e poi, prendendo un bel respiro, mosse il primo passo per entrare nella dimora del giovane spartano, che lo invitò nuovamente, intimandogli di fare come se fosse a casa propria mentre accendeva una torcia appesa al muro per rischiarare l'ambiente. «Grazie» disse Alec gentilmente, continuando a guardarsi attorno con aria un po' scettica, del resto ancora non sapeva se fosse al sicuro. Al contrario era totalmente convinto che, finché si fosse trovato in territorio nemico, non avrebbe mai potuto esserlo.            
«Se pazientate un momento vi preparerò un ottimo giaciglio. Nel frattempo posate pure i vostri averi dove più vi aggrada» assicurò Magnus, sorridendo, prima di scomparire nella stanza accanto con passo felpato. Alec tolse l'arco e la faretra dalle spalle, senza però appoggiarli a terra: voleva tenerli vicini a sé, per qualunque evenienza. Continuò a scrutare l'ambiente: un tavolino di legno scuro era posto al centro della stanza, circondato da tappeti e morbidi cuscini, alcune statuette di gesso raffiguranti divinità o giovani guerrieri decoravano il locale, mentre le candele accese creavano delle ombre scure sulle pareti e sul pavimento.
Qualcosa che si strusciava contro le gambe fece fare un salto al giovane ateniese, che trattenne a stento un imprecazione nel vedere che era solamente un gatto. «Accidenti a te!» disse, forse rivolto più a se stesso che all'animale, dalla sua reazione era chiaro che aveva i nervi a fior di pelle.   
Una risata gorgogliante fece sollevare le sue iridi di un blu oltremare verso Magnus, appena ricomparso nella stanza, «Sembra che gli piacciate» ammiccò quello, inginocchiandosi per chiamare a sé il gatto, che inarcò la schiena e iniziò a fare le fusa non appena incontrò la mano del padrone.        
«M-Mi ha spaventato» balbettò Alec, il cuore che ancora gli batteva forte nel petto.          
«Oh, l'ho notato. Penso che le vostre membra necessitino di una buona dose di sonno» ribatté Magnus, alzandosi proprio mentre il micio emetteva un miagolio di disappunto, «Va bene, Presidente, hai vinto tu» borbottò allora, abbassandosi nuovamente per prenderlo in braccio.
«Come lo avete chiamato?» chiese Alec sorpreso e divertito, senza nemmeno accorgersi di star sorridendo e di avere i nervi più rilassati. «Presidente. Il suo nome è Presidente Miao» rispose Magnus, fissando i suoi occhi smeraldini sull'ateniese, che si accorse solamente allora della forma allungata delle pupille di Magnus e delle leggere screziature giallastre.
«I vostri occhi...» sussurrò, piano, poi maledicendosi per essersi lasciato sfuggire una simile affermazione: era come se le sue labbra fossero improvvisamente dotate di vita propria e non riuscisse a tenere sotto controllo il proprio corpo. Che diamine gli stava succedendo? Certo, Magnus era un bellissimo giovane uomo, ma non per questo si sarebbe dovuto comportare a quel modo! E poi suo fratello...           
«Assomigliano a quelli del Presidente, vero? Me lo dicono in molti» disse lo spartano, con una certa malizia nella voce, ed Alec colse l'allusione ma forse per la stanchezza, forse per la confusione decise di non ribattere.
Magnus si rese conto che il giovane non sarebbe stato al suo gioco e così lo invitò a seguirlo, dal momento che l'avrebbe portato nella stanza dove alloggiavano gli ospiti. Ogni tanto lanciava delle occhiate dietro di sé, per assicurarsi che Alexander lo stesse seguendo, e si accorse che il giovane si osservava intorno, quasi come se si aspettasse di veder sbucare qualcuno dalle stanze adiacenti al corridoio che stavano percorrendo.
Forse pensa che abbia una moglie o qualcun altro che mi attende nel mio letto? si chiese Magnus, nonostante fosse certo che l'altro avesse colto il significato della sua battuta di poco prima. Forse è solo curioso, suggerì una vocina dentro di lui, a cui decise di dare ascolto. Sì, probabilmente è così.
Ma dopotutto nessun ragazzo aveva mai potuto resistergli. Lui era il sommo sacerdote di Dioniso. Pertanto non aveva dubbi che, prima o poi, anche Alexander sarebbe stato suo.

 
***


Alec aprì gli occhi la mattina seguente, dalle imposte chiuse entrava una sottile linea luminosa, la quale lasciava intuire che era mattino inoltrato e che il sole stava splendendo sulla città.   
Al contrario di ciò che si era aspettato, il sonno aveva prevalso e lo aveva colto quasi subito quando aveva posato la testa sul morbido cuscino del letto preparatogli da Magnus ed ora si sentiva completamente riposato, pronto ad iniziare la sua missione. Si alzò e aprì i balconi di legno, lasciando che la luce invadesse la stanza; serrò un poco gli occhi, ancora abituati alla semioscurità, e non appena fu in grado di aprirli senza che sentisse le iridi trafitte dai raggi del sole controllò la posizione dei suoi oggetti: l'arco e la faretra erano ancora posti come li aveva lasciati, segno che nessuno li aveva toccati, lo stesso il fagotto con i suoi pochi averi, la porta era ancora chiusa.            
Accanto al letto vi era un piccolo comodino di legno su cui lo spartano aveva posto anche un catino con dell'acqua e uno straccio per lavarsi.  Alec rimase sorpreso dalle tante attenzioni, ma fu contento di potersi dare una risciacquata al volto.  
L'acqua risultò fresca contro la sua pelle, un sollievo dopo quei lunghi giorni di viaggio; con lo straccio poi si asciugò e cercò con le mani di sistemarsi i capelli corvini, di sicuro sparati in tutte le direzioni. Suo fratello spesso lo canzonava  per il suo aspetto quando alla mattina si presentava al ginnasio ancora mezzo addormentato.  
Quando ebbe finito si diresse verso la porta e la aprì, quasi finendo addosso a Magnus. «Magnus!» esclamò Alec, arrossendo per la vicinanza tra i loro corpi.   
«Oh, Alexander, buongiorno» ribatté l'altro con totale disinvoltura, Alec si chiese come facesse ad essere così a proprio agio.   
 «Vi serviva qualcosa?» domandò il giovane ateniese, al che Magnus s'illuminò: «Mi chiedevo se foste già sveglio. In caso, volevo darvi degli abiti puliti e informarvi che la colazione è pronta» disse, porgendo ad Alec degli abiti puliti e piegati.           
Alec li guardò, non si aspettava affatto tutta quella disponibilità: certo, era dovere dell'ospitante fornire all'ospite una stanza, cibo e dei vestiti di ricambio, ma Alec non era sicuro di poterli accettare. Come avrebbe fatto se Magnus avesse scoperto che era un ateniese, un nemico?     
«Non credo di poter accettare» disse, abbassando lo sguardo, ma Magnus porse nuovamente ciò che teneva in mano verso l'ateniese: «Insisto».     
Non rifiutare mai l'ospitalità offerta con sincerità.    
Alec alla fine li prese, dicendo che si sarebbe cambiato e che avrebbe raggiunto il padrone di casa, ringraziandolo ancora per la sua gentilezza, il sacerdote si limitò a sorridere. Una volta vestito, ripose i vecchi abiti nel suo fagotto e si avviò verso la sala principale, dove Magnus lo attendeva.    
Il tavolo che aveva notato la sera precedente era ora imbandito con pane d'orzo, latte e fichi che sembravano appena colti. Il suo sguardo si fece ancor più stupefatto quando notò le staititas1, era un secolo che non ne mangiava una e il suo stomaco cominciò a gorgogliare di fronte a tante prelibatezze.  
«Dal vostro sguardo direi che gradite quel che vedete»  commentò Magnus, la solita sfumatura maliziosa nella voce, Alec sorrise senza ribattere e si sedette di fronte al sacerdote. «Prego, servitevi»lo incitò quello, Alec esitò ancora un momento prima di gettarsi letteralmente sul cibo: erano giorni che non mangiava un pasto decente.          
Magnus lo osservava in silenzio, notando quei particolari adorabili che la sera prima non era riuscito ad ammirare: le lunghe ciglia del giovane, le labbra rosee, la sua pelle pallida, il modo in cui i muscoli guizzavano ad ogni minimo movimento. Certo, era capitato che prendesse vari abbagli, anche piuttosto forti, ma qualcosa in Alexander lo attirava particolarmente, qualcosa sembrava dirgli che con lui sarebbe stato diverso. Tuttavia Alec sembrava essere molto schivo, ancora non gli aveva permesso di fargli domande personali e finché non glielo avesse chiaramente dichiarato la legge dell'ospitalità gli imponeva di non impicciarsi.
Alec alzò lo sguardo in quell'istante e i loro occhi si incatenarono. Anche Alec si sentiva attratto da Magnus, ma sapeva che era sbagliato in qualche modo. Non che la sua omosessualità fosse un problema per la loro società, ma era lo stesso Alec a non sentirsi a proprio agio con essa, forse perché non aveva mai dichiarato di essere omosessuale, né avuto alcuna relazione o addirittura un'altra attrazione per qualcuno che non fosse suo fratello. Ed ora si sentiva attratto da uno spartano, un nemico.            
«Ancora non riesco a capire la ragione per cui siate così gentile nei miei confronti, nemmeno mi conoscete» rifletté Alec a voce alta.        
«La stessa ragione per cui avete deciso di fidarvi» ribatté serafico Magnus, al che il giovane ateniese rimase senza parole e sentì le guance andare in fiamme.    
«Cosa vi fa pensare che io...» incominciò Alec, sentendosi andare nel panico, ma fu interrotto dalla risata gorgogliante di Magnus: «Siete un giovane ateniese, l'ho capito nel momento esatto in cui avete recitato quei versi alla taverna».            
Alec rimase muto, le parole gli morirono in gola, bloccate dal terrore di essere stato scoperto: probabilmente era proprio così che succedeva. Ingaggiavano un tipo affabile come Magnus, facevano sì che la spia si sentisse al sicuro o quantomeno che abbassasse la guardia e poi la catturavano. Non aveva nemmeno potuto cominciare a cercare Isabelle che già era condannato. Stando così le cose, avrebbe anche potuto cercare di soffocarsi da solo con uno dei cuscini, sicuramente le sentinelle e i soldati erano già al corrente della sua presenza e lo avrebbero fatto a pezzi anche se avesse solo provato a fuggire in qualche modo.       
Magnus si accorse dello sguardo terrorizzato del giovane ateniese di fronte a sé e, per quanto possibile, tentò di rassicurarlo che poteva fidarsi: «Il vostro segreto è al sicuro con me, Alexander».  
«Lo avete detto a tutti quelli che avete mandato a morte?» ribatté aspro Alec, alzandosi in piedi e camminando nervosamente per la stanza.   
Magnus sospirò: «Non posso spiegarvi le ragioni, perché sarebbe troppo rischioso, ma vi posso assicurare che siete davvero al sicuro».    
«Oh certo, come no. Avete già avvisato le guardie? In quanti sono qua fuori? Per Zeus, come ho fatto ad essere così ingenuo!» esclamò frustrato Alec, esprimendo tutta la rabbia che provava.
«Non c'è nessuna guardia pronta a uccidervi, Alexander» cercò di mantenere la calma il sacerdote.          
«Tanto vale che mi uccidiate voi, qui. Avanti» lo sfidò Alec.          
Magnus sorrise enigmatico e scrollò le spalle: «Non posso».            
«Come prego?» disse Alec, arrestando la propria camminata e guardando Magnus, immobile, lo stomaco attorcigliato dalla rabbia, dalla paura, dalla frustrazione. Era un disastro, aveva fallito la sua missione, la sua prima e unica missione, fondamentale.        
Isabelle, per quanto può valere, mi dispiace. Ti voglio bene, sorellina. pensò, sicuro di ciò che Magnus stava per dirgli: non poteva ucciderlo perché prima avrebbero dovuto torturarlo, interrogarlo, vedere se avessero potuto ottenere informazioni utili. Solo nel momento in cui fosse diventato un peso inutile lo avrebbero ucciso.   
Ma ciò che il sacerdote disse lasciò il giovane ancor più sconvolto: «Non posso, Alexander. Non posso uccidervi, altrimenti non riusciremo mai a salvare vostra sorella». 

 
Note dell'Autrice:

1 - staititas: dolcetti fatti con farina o pasta di farro, di solito ricoperti con miele, formaggio o sesamo. Nella Grecia antica erano mangiati a colazione assieme a pane d'orzo, latte, fichi e olive. In alternativa potevano essere consumati altri dolcetti, come ad esempio i teganites.

Hello everyone!
Come promesso, eccomi qui in un tempo decente! Spero di riuscire ad aggiornare una volta a settimana, se la scuola me lo permette (maledetta maturità ehm ehm ehm). La storia comincia a farsi un po' più viva in questo capitolo, vi anticipo già che non sarà lunghissima, pertanto è necessario affrettare un po' il ritmo degli eventi. Il nostro Alec giustamente ha dei dubbi sull'enigmatico Magnus: è davvero qualcuno che semplicemente vuole aiutarlo a salvare Isabelle o è un membro della Krypteia sotto copertura? Per saperlo, bisognerà aspettare il prossimo capitolo v.v
Comunque ci tenevo a ringraziare davvero con il cuore in mano quelle anime dolcissime che hanno lasciato delle recensioni, chiunque abbia messo la storia fra le preferite, ricordate, seguite. E grazie mille anche ai lettori silenziosi, non mi aspettavo così tante visite al primo capitolo! Perciò mille volte grazie.
A rileggerci presto e dolce notte a tutti ^^ Baci, 
Starsfallinglikerain.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Isabelle ***




 
Capitolo 3 - Isabelle


«Che cosa avete appena detto?!» sbottò Alec, incredulo, un misto di panico, sollievo e dubbio vorticavano celermente dentro di lui, senza che nessuno dei tre riuscisse a prevalere sugli altri. Dopotutto non sarebbe stato sollevato finché non avesse riabbracciato davvero sua sorella, poteva ancora trattarsi di uno degli inganni di Magnus. Non era affatto certo che lo spartano lo volesse aiutare così come dichiarava.         
«Isabelle, vostra sorella. Siete qui per salvarla, lo so. Tiresia1 mi è apparso in sogno, annunciandomi il vostro arrivo. Non ci ho creduto sul serio fino a che, ieri sera, non vi ho visto alla taverna» spiegò Magnus, serio, sostenendo lo sguardo fiammeggiante di Alec, ancora in piedi, le spalle rigide e il petto che si alzava e abbassava velocemente, come se si fosse fermato dopo aver corso per un lungo tratto.       
«Come posso sapere che mi state dicendo la verità? Potrebbe essere sempre un inganno per portarmi alla morte, potreste essere un membro della Krypteia2!» ribatté Alec, diffidente, Magnus alzò l'angolo del labbro in un sorriso sghembo e magnetico, che fece sussultare il cuore dell'ateniese, nonostante la tensione e il sospetto nei confronti dell'altro.        
«Non potete esserne certo. Potete solo decidere di fidarvi» asserì lo spartano, temendo per un momento che l'Ateniese l'avrebbe preso a pugni viste le vaghe risposte e rassicurazioni. Ma come poterlo placare quando egli stesso non era tranquillo? Da anni viveva nel timore, cercando di non abbassare mai la guardia, nonostante fosse certo che gli spartani non sospettassero nulla di lui.            
Non poteva confessare ad Alexander di essere una spia di Atene, pur essendo un nativo di Sparta, non poteva. Se Alexander fosse stato catturato - non che l'avrebbe permesso, anzi avrebbe fatto qualsiasi cosa per evitare che ciò accadesse - e torturato almeno lui doveva continuare ad agire in segreto e salvare Isabelle. Se fosse accaduto il contrario, avrebbe negato di conoscere l'identità del suo ospite. In ogni caso, lo scopo era il medesimo: salvare la sorella di Alexander.  
«E se io non volessi? Se decidessi di non farlo?» disse Alec, con tono duro, i suoi occhi azzurri erano gelidi. «Ci mettereste settimane per riuscire a trovare qualche indizio riguardo alla sorte di vostra sorella».    
«Sorte? Che cosa dite? Le è stato fatto del male? Parlate!». Parlò precipitosamente, la diffidenza era stata celermente rimpiazzata dalla preoccupazione nella sua voce. «Non posso saperlo per certo. Ma so dove è tenuta prigioniera: serve il sacerdote Meliorn al tempio di Ares» spiegò lo spartano.        
«Mia sorella! Una serva!» esclamò l'altro, cadendo sulle ginocchia e portandosi le mani a coprire il volto, non potendo non temere il peggio. Un fuoco ardeva al centro del suo petto, un desiderio di vendetta cominciava a montare dentro di lui, rabbia e dolore si mescolavano, gli occhi pizzicavano mentre tentava di ricacciare indietro quelle lacrime adirate che lottavano per rompere l'argine delle sue ciglia. Ma non avrebbe pianto, no.      
Sentì una mano delicata appoggiarsi prudentemente sulla sua spalla sinistra, al che allontanò leggermente le mani dal viso, pronto a reagire, dopotutto se Magnus avesse voluto colpire, quello sarebbe stato il momento propizio: era al massimo della sua vulnerabilità.        
«Alexander» disse solamente quello, la voce bassa e roca, colma di ciò che sembrava una sincera ed empatica pietà. Diamine, aveva bisogno di aiuto.      
«Alexander, vi prego, fidatevi di me e accettate il mio sostegno» ripeté Magnus.    
Alec, sconfitto, appoggiò una mano su quella del sacerdote, la quale si trovava ancora sulla sua spalla, «Giuratemelo» disse in un sussurro.
Non era certo che Magnus l'avesse udito sinché non si inginocchiò di fronte a lui, tendendo con grazia la mano per stringere quella del giovane ateniese, «Io, Magnus, sommo sacerdote di Dioniso, giuro solennemente di aiutare Alexander, nativo di Atene, nella ricerca della sorella Isabelle. Giuro solennemente di non aver alcuna intenzione di nuocere a costoro e di offrire loro tutta la protezione necessaria. Giuro questo davanti agli dei, possa essere Zeus il sacro garante di tale vincolo».           
Le parole uscirono spontaneamente dalle labbra del giovane uomo, era come se le stesse recitando, come se le avesse ripetute dentro di sé per tutta la vita e avesse avuto finalmente l'occasione di pronunciarle.           
Alec si schiarì la gola, consapevole che era il suo turno e che, una volta stipulato il patto, non sarebbe più stato possibile tirarsi indietro, vacillare, cambiare opinione. Tentennò un secondo, chiedendosi se fosse davvero la scelta giusta, poi però il volto della sorella apparve tra i suoi pensieri e automaticamente le sue dita strinsero con presa più salda la mano di Magnus: «Io, Alexander, cittadino di Atene, giuro solennemente di accettare l'aiuto di Magnus, nativo di Sparta e sommo sacerdote di Dioniso, nella ricerca di mia sorella Isabelle. Giuro solennemente di non dubitare mai della sua sincerità. Giuro questo davanti agli dei, possa essere Zeus il sacro garante di tale vincolo».
«E sia» completò lo spartano.            
«E sia» ripeté Alec.    
Ormai i loro destini erano legati per l'eternità.
 
***


Tre settimane dopo
 

La luna splendeva alta nel cielo e rischiarava con la sua luce argentea le vie deserte della polis. Ormai anche le taverne erano chiuse, essendo notte fonda, nelle case le luci erano spente, gli abitanti dormivano. O perlomeno, tutti tranne Alexander e Magnus. 
Alec fissava la luce della candela ondeggiare quando un refolo d'aria entrava dagli spifferi delle imposte; sdraiato su quello che ormai era diventato il suo letto, si sentiva terribilmente nervoso. Dopo tutti quei giorni a cercare indizi sulla sorella e ad elaborare un piano per tentare di salvarla, stando costantemente all'erta per non farsi scoprire, i suoi nervi erano davvero a pezzi. Tuttavia l'adrenalina continuava a scorrere nelle sue vene, soprattutto in quel momento, quando era solo questione di poche ore - forse era meglio dire minuti - prima che lui e Magnus entrassero in azione.        
Già, Magnus. In un certo senso, si era abituato alla sua presenza esuberante e colma di doppi sensi, alla sua teatralità e anche alla sua gentilezza. In tutto quel tempo il sacerdote non era mai stato indiscreto nei confronti del suo ospite, nonostante fosse ormai chiaro ad entrambi che doveva esserci qualcosa fra di loro. Cosa fosse, Alec non avrebbe saputo definirlo per certo: Amicizia? Attrazione?     
Dei colpi lievi alla porta lo distrassero dai suoi pensieri, «Sì?» chiese, nonostante sapesse benissimo che era lo spartano venuto a svegliarlo: era giunta l'ora.  
Si alzò velocemente, passando una mano fra i capelli corvini e spettinati, mentre l'altro apriva cautamente la porta, tenendo in una mano una torcia che coi suoi bagliori faceva risaltare le sue iridi giallo-verdi. Come al solito, lo stomaco dell'ateniese si strinse, ma cercò di ignorare quella sensazione ormai pressoché costante, ora doveva concentrarsi solamente sulla missione.      
«Alexander, è ora» annunciò a bassa voce Magnus, Alec annuì e si affrettò a raccogliere il pugnale, l'arco e la faretra. Sperava solamente di non averne bisogno e che tutto sarebbe filato liscio così come avevano progettato. «Andiamo» confermò, affiancandosi al sacerdote.          
Uscirono in silenzio, cercando di non fare rumore mentre camminavano per le strade. Avevano percorso quei tragitti così tante volte, in quei giorni di indagini, che ormai Alec li conosceva alla perfezione: probabilmente avrebbe saputo raggiungere l'Acropoli e il Tempio di Ares anche da addormentato.
«Siete nervoso» sussurrò Magnus, talmente piano che Alec quasi temette di esserselo immaginato; annuì, affondando i denti nel labbro inferiore. «State tranquillo, andrà tutto bene».  
«Sperò che sarà così» ribatté l'ateniese, saldando la presa attorno all'arco mano a mano che si avvicinavano al luogo sacro.  
Mentalmente ripassò ciò che avevano concordato: Magnus  avrebbe fatto un giro di perlustrazione alla ricerca di Isabelle e per controllare che non ci fossero guardie in giro. Dopodiché, Alec sarebbe entrato in azione dopo il segnale, piombando nell'edificio, afferrando la sorella e cominciando a correre verso Nord, certo che prima o poi Magnus li avrebbe raggiunti. Dopo quella missione non avrebbe più potuto rimanere a Sparta, lo avrebbero di sicuro scoperto.           
«Vi ricordate tutte le tappe del piano?» mormorò Magnus, mentre si accucciavano dietro ad un grosso masso. «Certo, e voi?».
«Sicuro. Un fischio prolungato per il via libera, due fischi veloci se ci sono intrusi» ripassò Magnus, al che Alec annuì ripetutamente. «Coraggio, Alexander. E che Zeus ci assista» disse infine lo spartano, dando dei colpetti amichevoli e rassicuranti sulla gamba del compagno, prima di alzarsi ed uscire allo scoperto, pronto per la propria parte.         
Alec sfiorò delicatamente il punto in cui la mano dello spartano aveva toccato la sua coscia, la sua pelle bruciava, nonostante quel contatto fosse stato filtrato dagli indumenti, chissà quale effetto avrebbe avuto sulla sua pelle nuda... Per Zeus, Alec, non ora! si rimproverò mentalmente, cercando di scacciare quelle immagini che si erano affacciate alla sua mente e che si erano tradotte in un'improvvisa ondata di caldo alle gote ora bollenti.   
Inspirò profondamente, nella speranza di calmarsi e ritrovare la concentrazione mentre attendeva il segnale, che non tardò ad arrivare. Un fischio limpido e prolungato frantumò il silenzio e la calma della notte, facendo battere il suo cuore più forte per l'agitazione.         
Si alzò, aggiustò la presa sull'arma e iniziò a correre verso il tempio come un felino, rapido e preciso: si addossò ad ogni parete, controllando che ci fosse via libera prima di svoltare ogni angolo: non che non si fidasse di Magnus, affatto, tuttavia era sempre meglio essere certi che non ci fosse qualche sentinella nascosta in agguato e pronta a catturarli entrambi.     
Dopo aver superato indenne il colonnato, giunse all'entrata del naos3, dove lo aspettava il compagno: «Che cosa ci fate qui? Dovreste ancora controllare che non ci siano guardie!» rimproverò Alec a bassa voce, cercando di non tradire l'improvviso terrore nella sua voce: e se fosse stata tutta una farsa?           
«Meliorn non è qui, evidentemente si è allontanato. Abbiamo poco tempo, potrebbe tornare da un momento all'altro» parlò concitato Magnus, spingendo l'ateniese ad aprire le porte della cella e a varcarle. Una volta aperte, entrarono nell'ambiente chiuso e angusto, la statua del dio era rischiarata da una miriade di candele gocciolanti cera lungo lo stelo.            
«Chi osa varcare e profanare la cella sacra ad Ares?» pronunciò una voce nell'oscurità, Alec e Magnus si scambiarono uno sguardo, temendo il peggio. E' finita, pensarono entrambi, quando una figura femminile comparve da dietro l'imponente statua.     
Alec sentì il cuore fare una capriola nel vedere quei capelli scuri, lunghi e lisci, gli occhi neri, la bocca carnosa. Era sua sorella! Ed era viva, lì davanti a lui!
«Isabelle?».
«Alec?».         
Quest'ultimo lasciò cadere le armi e corse ad abbracciare la sorella: si strinsero in un amplesso forte, energico, cercando di trasmettere tutta la gioia, il sollievo, l'amore in quella stretta.       
«Alec, cosa ci fai qui? E' pericoloso, sei pazzo!» disse inquieta Isabelle, staccandosi dal fratello e circondando il suo volto con le mani.      
«Non potevo abbandonarti, sorella» ribatté semplicemente lui, addossando la guancia alla mano della sorella, beandosi di quel tocco così familiare.   
«Dobbiamo portarvi via di qui, Isabelle» intervenne Magnus, interrompendo quel momento.        
«E voi chi siete?» domandò lei, spaventata, ma Alec la rassicurò sull'identità dello spartano. «Meliorn sta per tornare, è rischioso, dovete andarvene!» disse la ragazza, ma il fratello declinò ogni tentativo di convincerlo: non se ne sarebbe andato senza di lei.   
«Ci troveranno, ci troveranno Alec» protestò Isabelle, provando a persuaderlo a fuggire senza di lei: almeno uno di loro si sarebbe salvato. «Isabelle, non me ne vado senza di te. E avremo un po' di vantaggio se fuggiamo subito» ribatté per l'ennesima volta l'ateniese, la sorella lo guardò incerta e pensierosa, ma alla fine acconsentì. Alec prese in braccio la ragazza, dal momento che delle grosse catene le bloccavano le caviglie: la loro speranza era di trovare dei cavalli nella strada verso Atene, nonostante le probabilità fossero ben scarse.
Camminarono più in fretta che poterono, cercando di lasciarsi la città alle spalle prima che il sole sorgesse. Non dissero una parola, mentre si allontanavano, solo di tanto in tanto i due giovani uomini si lanciarono delle occhiate cariche di gioia, entusiasmo, speranza. Ce l'avevano fatta! E, cosa ancor più importante, ora cominciava la loro fuga. Insieme.  

 
Note dell'Autrice: 

1. Tiresia: celebre indovino appartenente alla mitologia greca, è citato in molti miti classici e opere di autori quali Omero, Esiodo e i tragici Sofocle ed Euripide.
2. Krypteia: squadra di giovani spartani, tipica istituzione dell'agoghé, ovvero l'educazione spartana. La natura e i fini della Krypteia sono oggi ancora sconosciuti, tuttavia alcuni studiosi e filologi l'hanno interpretata come una sorta di polizia segreta.
3. Naos: negli antichi templi greci il naos era la cella contenente la statua sacra alla divinità.

Hello everyone!
Non so come scusarmi per questo immane ritardo. Lo so, lo so, avevo detto che avrei tentato di pubblicare una volta a settimana (se solo non fossi stata rapita dallo studio). Questa mattina fortunatamente c'è stata l'ultima interrogazione della mia vita scolastica, YAY!, pertanto nonostante dovrei seriamente mettermi a scrivere la tesina, conto di avere più tempo da dedicare a questa storia.
Inoltre devo dire che non sono pienamente soddisfatta di come è uscito questo capitolo, tuttavia non saprei come poterlo migliorare. Quindi mi appello a voi e vi chiedo cortesemente di darmi delle indicazioni, dei suggerimenti, dirmi cosa vi è piaciuto e cosa invece vi ha fatto storcere il naso. Insomma: I need help ç_ç E vi ringrazio con il cuore in mano per tutte le recensioni, le visite, i lettori silenziosi e chiunque abbia aggiunto questa fic fra le seguite/preferite/ricordate. Grazie, grazie, grazie! ^^
Il prossimo capitolo non vi deluderà (spero) e annuncio un ulteriore passo avanti nel rapporto fra questi due bimbi meravigliosi *w*
Detto ciò, a rileggerci presto! Baci,
Starsfallinglikerain.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Pharmacon ***



 
Capitolo 4 - Pharmacon1



15 giorni dopo, verso Atene
 

Il cammino durava da giorni, ormai. Erano stremati e il caldo era torrido, le gocce di sudore imperlavano la loro pelle, scendevano e bruciavano gli occhi, le loro gole erano arse. Non doveva mancare poi molto ad Atene, si consolavano, dal momento che ogni giorno camminavano ininterrottamente dalle prime luci dell'alba fino al tramonto, si fermavano di tanto in tanto solo per bere un po' d'acqua da una fonte o per sostare all'ombra di qualche albero, giusto il tempo di riprendere fiato.         
Cercavano di stare attenti a possibili sentinelle o a qualche gruppo di soldati che vagassero in quei territori, per questo generalmente prediligevano le vie secondarie, nonostante fossero più impervie.                 
Isabelle stava decisamente meglio rispetto ai giorni di prigionia, i lividi che aveva sul corpo, a causa delle percosse subite, si erano quasi del tutto riassorbiti, grazie anche alle cure di Magnus; oltre che a un eccellente rapsodo, nonché sacerdote di Dioniso, Alec aveva potuto constatare come il giovane spartano fosse anche un ottimo speziale.      
«Siete pieno di risorse» gli aveva detto infatti un giorno, mentre la sorella si rinfrescava con l'acqua di un ruscello poco distante dalla loro posizione.
Magnus aveva sorriso e col suo fare teatrale aveva tentato di sminuire tale affermazione, senza però che Alec glielo permettesse, «Credete troppo in me, Alexander».
«Vi devo la vita».      
Era quasi giunta l'ora del tramonto e Isabelle sentiva le gambe pesanti ma non osava dirlo: non voleva che decidessero di fermarsi a causa sua, essendo ormai così vicini a casa, né tantomeno voleva che il fratello o Magnus decidessero di portarla in braccio. Non che la imbarazzasse, ma preferiva farcela con le sue forze. Quasi come se avesse udito i suoi pensieri, il sacerdote disse: «C'è una radura, là. Potremmo accamparci per la notte», ottenendo subito il consenso di tutti.                
Anche Alec era stanco, stremato, i suoi nervi erano a pezzi: dopo tutti quei giorni in costante tensione, si sentiva mentalmente e fisicamente esausto; tuttavia doveva resistere, Atene era solo a qualche giorno di cammino e non poteva mollare proprio ora.   
Si sedette con la schiena contro a un tronco abbattuto, le gambe distese di fronte a sé, anche Isabelle si posizionò poco distante e Magnus si allontanò di qualche passo, alla ricerca di legna per accendere il fuoco per la sera.   
La corteccia ruvida punzecchiava la schiena di Alec attraverso la stoffa, i sottili fili d'erba solleticavano le sue dita che circondavano l'impugnatura del suo arco, mentre la faretra era abbandonata lì accanto. Chiuse gli occhi e automaticamente il volto di Magnus apparve sotto le sue palpebre abbassate: era da un po' ormai che accadeva, Alec non sapeva spiegarselo - o forse non voleva ammetterlo -, ma tuttavia non faceva nulla per scacciare quelle immagini. Rimaneva semplicemente lì a contemplarle, ad ammirare le innumerevoli sfumature degli occhi felini, della pelle olivastra, dei capelli scuri del rapsodo. E ogni volta il suo cuore perdeva un battito. La voce allarmata di sua sorella proruppe a ghiacciare i suoi pensieri: «Alec, attento!».     
Alec riaprì immediatamente gli occhi, terrorizzato, pensando che ci fossero dei soldati, ma Isabelle stava fissando un punto sulla sua spalla sinistra: voltò appena il capo e trovò subito la fonte di tanta agitazione. Uno scorpione era incredibilmente vicino al suo collo - per un attimo, sentì il sangue gelarsi nelle vene e un brivido percorrere la sua spina dorsale. Con un movimento rapido tentò di spostarsi, ma l'animale, sentendosi minacciato, sferrò il suo attacco prima che egli potesse anche solo pensare: un dolore acuto lo colpì alla base del collo, Alec si spostò portandosi una mano nel punto dolente, mentre la bestia scompariva nell'erba, dopo essere caduta a terra. Isabelle urlò ancora e si precipitò dal fratello per controllare le sue condizioni; la pelle era notevolmente arrossata e bollente al tatto, sennonché solo una piccola goccia di sangue mostrava la ferita.
«Magnus!» chiamò, sperando che il sacerdote accorresse e continuando a controllare Alec, che nel frattempo aveva iniziato a respirare più affannosamente, «Magnus!».           
«Alexander! Alexander! Cos'è successo?!» disse lo spartano, lasciando cadere la legna che aveva raccolto non appena vide la scena. In un attimo fu al suo fianco e pose una mano sulla fronte sudata del ragazzo.        
«Uno scorpione l'ha punto, i-io... Non so cosa fare! Starà bene? Non può... Lui non può...» farfugliò Isabelle, nervosa, ma il sacerdote tentò di tranquillizzarla, per quanto possibile in una tale situazione.           
Pensa, Magnus, pensa, si intimò Magnus, come se una simile considerazione potesse risolvere il problema. I suoi occhi felini vagavano irrequieti, scorrendo dall'erba, a Isabelle, ad Alexander. Doveva trovare una soluzione e in fretta, a giudicare dal respiro ansante dell'ateniese e dalla carnagione pallida - non poteva preparare un infuso con delle erbe, non aveva l'occorrente, né tantomeno il tempo. Che fare, che fare? Un'idea balenò rapida nella la sua testa. Avrebbe potuto funzionare? Del resto, non che avesse molta scelta. «Forse posso fare qualcosa».   
«Fatela, Magnus, qualunque essa sia!» lo incitò la ragazza, continuando a sostenere la testa del fratello. «Bene. Sorreggetegli il capo, devo agire in fretta» comandò Magnus, inginocchiandosi accanto al corpo del giovane. Si chinò e presto le sue labbra raggiunsero la pelle di Alec e iniziarono a succhiare, tentando di estrarre il veleno dalla ferita.            
Nonostante Magnus fosse chiaramente attratto dall'ateniese in un modo che non gli era mai capitato prima d'ora con nessun altro, in quel momento non pensò affatto alla situazione in cui si trovava, alla vicinanza, al sapore della pelle di Alec, no: l'unico suo pensiero era salvarlo. Non sarebbe riuscito a perdonarsi che Alexander fosse morto a pochi giorni da casa per una dannatissima puntura di scorpione.  
Quando gli sembrò di aver estratto il veleno, sputò tutto sull'erba, facendo delle smorfie a causa del sapore amarognolo e spiacevole nella sua bocca. Guardò Alexander, che sembrava respirare meno affannosamente, e poi osservò il punto in cui aveva appoggiato le sue labbra: era violaceo.  
«Starà bene?» chiese Isabelle, ancora visibilmente preoccupata.      
«Deve. Alexander deve guarire» disse piano Magnus. Guardò ancora il ragazzo disteso e poi si alzò, dicendo di dover occuparsi del fuoco per la notte.       
Quando calò l'oscurità,  Alec ancora non aveva ripreso conoscenza. Magnus ed Isabelle avevano consumato il loro pasto in silenzio, lanciandogli costantemente occhiate, nella speranza che si svegliasse o desse un qualunque segno di miglioramento. Decisero che avrebbero dormito a turno, così da vegliarlo costantemente, e Isabelle volle stare sveglia per prima.       
Magnus acconsentì e si sdraiò accanto al fuoco, ma non riuscì a dormire. Si limitò a chiudere gli occhi e ad ascoltare il crepitio delle fiamme e della legna che bruciava. Non sarebbe riuscito a dormire, non col cuore pesante di preoccupazione.         
Qualche ora più tardi, Isabelle lo destò, chiedendogli di darle il cambio. Magnus si alzò e prese il posto della giovane, accanto ad Alexander. Quando fu sicuro che Isabelle si fosse addormentata, prese una mano di Alec fra le sue e la accarezzò, semplicemente. Guardò il suo volto pallido e le ombre che la luce del focolare creavano sulla sua pelle, accarezzò con lo sguardo i capelli scuri, fra i quali avrebbe tanto voluto passare una mano, poi le ciglia lunghe e infine le labbra carnose.       
Magnus sospirò, tracciando delle linee a caso con il pollice sulla mano affusolata di Alec - improvvisamente, una piccola stretta gli fece balzare il cuore in gola. Alexander si era mosso. Un movimento minimo, certo, ma era sicuro di non esserselo semplicemente immaginato. Alec gli aveva stretto la mano, seppur con un gesto febbrile. Oh, Alexander.           
Magnus sentì il cuore alleggerirsi e riempirsi di sollievo, strinse a sua volta un po' di più la mano dell'ateniese e considerò che forse ce l'aveva fatta, forse l'avrebbe salvato. Sarebbe stato la sua cura.


 
***

2 giorni dopo, Atene


Le palpebre di Alec erano dannatamente pesanti, tanto che cominciò a temere di avere gli occhi incollati. Faticò a svegliarsi del tutto, nonostante fosse cosciente da un po’ in uno stato di torpido dormiveglia, anche se non avrebbe saputo dire con certezza da quanto. Un punto alla base del collo continuava a pulsare e non appena se lo sfiorò una fitta lancinante lo attraversò, facendolo gemere di dolore.    
Un ricordo attraversò la sua mente come un fulmine: il grido di Isabelle, lo scorpione, la puntura… Magnus? Non era certo che ciò che ricordava dello stregone fosse davvero accaduto. Probabilmente si trattava solo di vaneggiamenti dovuti al veleno della bestia.
«Alexander?» disse una voce esitante, egli sbatté gli occhi un paio di volte e poi li socchiuse, non abituato alla luce ambrata e diffusa. Quando riuscì finalmente a vedere, due iridi feline e dei capelli corvini gli apparvero, facendogli sobbalzare il cuore nel petto: ancora non si era abituato all’effetto che Magnus aveva su di lui.     
«Alexander, siete sveglio?» ripeté quello, Alec stiracchiò le labbra in un sorriso e tentò di sollevarsi, ma una mano precipitosa e allo stesso tempo delicata si posò sul suo petto nudo a bloccare il movimento: «Non dovete sforzarvi» disse lo spartano, con un tono di ammonimento.      
Con un mugolio di protesta, Alec si lasciò ricadere fra quelli che si rese conto essere morbidi cuscini e lenzuola pulite, «Dove sono? Quanto tempo è passato da quanto…?» incominciò a chiedere, confuso, lasciando che i suoi occhi girovagassero per la stanza.   
«Siete a casa, Alexander. Io e vostra sorella vi abbiamo vegliato per tutta la notte e all’alba una squadra di soldati in ricognizione ci ha trovati» spiegò velocemente Magnus, incrociando le braccia sul petto.   
«Ma… I miei genitori, Isabelle e… Jace…» disse sconnessamente, ma l’altro lo rassicurò sulla sorte dei suoi familiari: «Sono salvi, non temete. La vostra abitazione è lontana dai quartieri messi in quarantena a causa della peste. La città, tuttavia, è nel caos: Pericle è morto2». Quella notizia lo lasciò interdetto, non osava immaginare quali sarebbero stati gli esiti della guerra se per qualsiasi ragione gli spartani avessero attaccato in quel momento disastroso.
«Comunque, dovete riposare. Vado ad avvertire i vostri genitori che vi siete svegliato e che state bene» disse Magnus, allontanandosi dal letto e dirigendosi verso la porta chiusa, lasciando Alec da solo coi suoi pensieri, senza che nemmeno potesse ringraziarlo per averlo salvato.


 
***


A notte fonda, Alec stava guardando il paesaggio che si dispiegava fuori dalla finestra: le case, il Pireo, le mura, il riflesso della luna sul mare piatto. Se tendeva l’orecchio, poteva quasi sentire il rumore della risacca e le onde infrangersi sugli scogli.          
Si morse il labbro, ripensando agli sguardi sollevati dei loro genitori, i quali, nonostante gli fossero eternamente grati di aver riportato in patria Isabelle, non avevano potuto fare a meno di rimproverarlo aspramente di aver disobbedito agli ordini e di non aver lasciato che risolvessero la situazione attraverso accordi diplomatici. Folli. Aveva quindi abbassato lo sguardo, senza replicare, ripensando solo alle parole dell’oracolo.
Anche Jace era andato a trovarlo, assieme ad una ragazza, Clarissa, figlia di un’altra importante famiglia ateniese, da quel che aveva intuito. Quando era entrato assieme a lei, aveva provato sì un certo fastidio all’altezza dello stomaco, ma non l’onda di gelosia che di solito lo aveva travolto in situazioni simili.            
In realtà, aveva spesso pensato a Magnus e si era reso conto, non senza una certa sorpresa, che ogni qualvolta qualcuno si annunciava, sperava fosse lo spartano. Cosa che, invece, non era mai accaduta. Da quando, quella mattina, era andato ad avvisare i suoi genitori, Magnus era sparito.         
Alec si mise a sedere, massaggiandosi lievemente la base del collo, chiedendosi dove il rapsodo potesse essersi cacciato e, soprattutto, riflettendo che ancora non lo aveva ringraziato per avergli salvato la vita ancora una volta. Decise allora di tentare e di andare a cercarlo, non considerando il fatto che fosse notte inoltrata e che, con tutta probabilità, l’altro stesse dormendo.       
Lentamente scese dal letto, beandosi della sensazione del suolo sotto ai piedi nudi, poi afferrò i primi indumenti che vide e li infilò, dirigendosi verso la porta della sua stanza. Quando la aprì e uscì, tentando ancora di sistemarsi i vestiti, un corpo caldo entrò in collisione col suo. «Oh, per Zeus» imprecò, sollevando lo sguardo e incontrando le iridi feline di Magnus: il cuore gli si fermò nel petto, notando la loro vicinanza. Senza contare che non era affatto la prima volta che si ritrovavano in una tale situazione.       
«Alexander» si riprese disinvoltamente Magnus, cercando di smettere di fissare le labbra del giovane ateniese che aveva di fronte.          
«Magnus, i-io vi…» incominciò Alec.           
«Sì?» chiese Magnus, esitante.          
«Io vi stavo, ehm, vi stavo cercando» disse allora tutto d’un fiato. «Volevo ringraziarvi» aggiunse poi, sentendosi in dovere di giustificare la sua azione.   
«Per quale motivo?».
«Mi avete salvato la vita».     
«Non potevo lasciarvi morire, Alexander».   
Alec si morse il labbro inferiore, «In ogni caso, grazie. E voi? Per quale motivo vi dirigevate qui?» chiese dopo un po’. Magnus si strinse nelle spalle e Alec ebbe la fugace impressione che si sentisse in imbarazzo, ma non avrebbe potuto confermarlo, vista l’attitudine che generalmente lo spartano dimostrava.     
«Volevo controllare come vi sentivate» confessò il rapsodo.           
«Oh» mormorò sorpreso Alec e d’improvviso, non sapendo bene sulla base di quale impulso, si scostò: «Prego, venite dentro».          
Magnus inarcò le sopracciglia e, dopo un istante che parve durare secoli, decise di accettare l’invito e oltrepassò la soglia della stanza dell’ateniese.        
Quando la porta si fu richiusa dietro di loro, Alec sentì la testa girare al pensiero di essere da solo con Magnus: mai come prima d’allora aveva chiaramente avvertito quella particolare attrazione verso l’altro, forse per il pensiero di salvare Isabelle, forse perché la sua mente e il suo cuore erano stati ancora occupati in larga misura da Jace, forse per la paura che egli fosse una spia e che, alla prima occasione, lo avrebbe tradito. Ma ciò non era accaduto e, anzi, un legame indissolubile li teneva assieme e un destino complice li incastrava come due tessere di un mosaico.         
«Posso controllare la vostra ferita?» chiese Magnus, al che Alec si voltò e, sentendo un groppo in gola e l’adrenalina a mille, si limitò ad un cenno affermativo del capo. Si avvicinò al letto e si sedette sul bordo, appesa al muro una torcia illuminava l’ambiente. Ad ogni movimento di Magnus, il suo respiro cambiava: era terribilmente nervoso ed agitato, nonché consapevole della vicinanza sempre più ridotta fra i loro corpi. Inclinò appena il capo, per permettere a Magnus di osservare la ferita, avvertendo un brivido lungo la schiena quando la mano dello spartano si appoggiò gentilmente sulla sua pelle arrossata.        
«Oh, Alexander» si lasciò sfuggire Magnus, un sussurro appena accennato.           
Alec, sentendosi chiamare, si voltò a guardarlo: si osservarono in silenzio, fino a quando Magnus decise di annullare definitivamente la distanza fra le loro bocche. Si scontrarono, stupefatti e bramosi l’un dell’altro: Magnus, nonostante le sue varie avventure, mai si era sentito in quel modo, né tantomeno si era sentito così inesperto e disarmato come gli era successo di fronte all’innocente bellezza di Alexander.      
Le loro labbra si socchiusero e i baci divennero sempre più profondi e passionali – senza sapere come, Alexander si ritrovò immerso fra i cuscini e le lenzuola, il profumo di Magnus lo inebriava. Magnus lo baciava ovunque, su ogni lembo di pelle, lasciando dietro ogni contatto un formicolio piacevole e ovattato. Alexander credette di impazzire quando le labbra dello spartano gli baciarono il petto e risalirono sulla gola, in una vaga reminiscenza di ciò che era accaduto appena due giorni prima, seppur in circostanze totalmente differenti e infauste.  
Mormorarono i loro nomi, mentre la passione li travolgeva e i loro bacini si scontravano, erano totalmente immersi in quella successione di sensazioni soverchianti, strabilianti, stravolgenti: mentre i loro indumenti abbandonavano i loro corpi sempre più uniti, Alexander capì che ogni decisione, ogni azione, ogni pensiero che aveva compiuto da quando Isabelle era stata rapita lo aveva portato a quel momento, capì che tutto si incastrava alla perfezione e capì che ciò che stavano facendo – l’amore – non era solo in linea con i loro destini intrecciati, ma era anche totalmente, incondizionatamente giusto.  
E, poi, non ci fu più nulla da capire.

 
Note dell'Autrice: 

1. Pharmacon è un termine greco che significa sia "veleno", "droga", e sia "cura" o "antidoto". Ho scelto questo titolo in riferimento alla puntura dello scorpione e alle cure di Magnus nei confronti di Alec.
2. Pericle: Pericle fu un politico, oratore e militare ateniese attivo  nel periodo fra le Guerre Persiane e la Guerra del Peloponneso. Morì durante la peste di Atene; la sua morte segnò l'inizio del declino della grande polis. 

Hello everyone!
Da dove cominciare, se non dalle scuse più profonde? Sì, avevo detto che mi sarei occupata di più di questa storia. Sì, speravo di farlo. Sì, è quasi passato un mese e me ne vergogno tantissimo. Purtroppo, fra le millemila cose da studiare e da preparare per la maturità sempre più incombente (AIUTO) e la difficoltà che ho riscontrato nella stesura di questo capitolo, è passato tutto questo tempo. Davvero, finora è stato il capitolo più difficile da scrivere: il punto è che sapevo cosa volevo accadesse, ma puntualmente non mi piaceva il modo in cui l'avevo scritto. Vi succede mai? Però dopo varie riscritture, momenti di frustrazione e altri in cui avrei gettato il pc dalla finestra, finalmente sono riuscita a venirne a capo ed eccomi qui!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e, come al solito, ci terrei ad un vostro parere sugli accadimenti e in particolare sulle osservazioni che possono migliorare la storia, sono sempre ben accette! E grazie a chi finora ha letto, commentato, messo fra le preferite/seguite/ricordate: siete tantissimi! Sono anche felice che il banner vi sia piaciuto, awh ^^
Detto ciò, anticipo a malincuore che siamo giunti al termine della storia e che il prossimo capitolo sarà l'ultimo - sono consapevole che non è molto lunga, ma quando l'ho pensata, l'ho immaginata esattamente così. Però non temete, ho già in mente dell'altro con cui tornerò all'attacco su questa sezione v.v Anticipo anche che molto probabilmente il prossimo capitolo lo pubblicherò una volta finiti gli esami, vista la mancanza di tempo ç__ç
Detto ciò, vi lascio e vi auguro una buona lettura! Baci,
Starsfallinglikerain.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Pioggia rossa ***




Capitolo 5 - Pioggia rossa1
 
10 giorni dopo, Atene


Alexander sollevò l'angolo del labbro, sornione, sentendo le dita di Magnus correre fra i suoi capelli e le sue labbra calde e morbide sfiorargli delicatamente la tempia sinistra nell'accenno di un bacio. Probabilmente il sacerdote credeva che stesse dormendo ed Alec glielo lasciò credere, restando immobile a bearsi delle carezze dell'amante.
Amante.
Da quando avevano unito imprescindibilmente i loro corpi e i le loro anime, Alec si era sentito rinascere, si era sentito vivo, di una sensazione soverchiante, nuova ed inebriante, come se potesse lambire ogni astro e stringere fra le dita ogni stella del cielo. Sentiva il cuore battere come mai prima d'allora, si sentiva strano ed ubriaco di quella folle felicità di cui non avrebbe più potuto fare a meno.   
Erano trascorsi solamente dieci giorni da quando Magnus era andato a trovarlo in piena notte per accertarsi delle sue condizioni ed avevano finito per fare l'amore, eppure il tempo aveva preso un corso bizzarro: ripensandoci, Alexander ricordava ogni istante di quella notte come se l'avesse appena vissuta e, al tempo stesso, quasi faticava a rimembrare la sua vita prima che lo spartano vi piombasse dentro, con i suoi sorrisi maliziosi, il suo fare teatrale e i suoi felini occhi ammalianti.    
Erano trascorsi solamente dieci giorni dalla prima volta che l'ateniese e lo spartano si erano uniti e, da allora, ogni notte, dopo essersi accertati che ognuno nell'abitazione fosse caduto fra le braccia di Morfeo, si incontravano nella stanza dell'uno o dell'altro per rinnovare la loro promessa d'amore.            
«Alexander» disse piano Magnus, tracciando con l'indice delle linee sul petto di Alec, che mugolò qualcosa d'incomprensibile, prima di voltarsi su un fianco e seppellire il volto nel petto del sacerdote.        
«Sei sveglio allora» commentò quello, ridacchiando piano, stringendo a sé l'ateniese.        
«Forse» ribatté Alec, lasciando un bacio sulla clavicola sinistra di Magnus, per poi risalire piano lungo la sua gola, indugiando ad ogni contatto. Avvertì il respiro di Magnus cambiare, accelerare e sorrise quasi inconsciamente contro la sua pelle: la capacità di causare quelle reazioni nell'altro erano un'assoluta novità per lui.  
«E' quasi l'al- Ah...» s'interruppe Magnus, artigliando la schiena di Alexander, che poggiò finalmente le labbra sulle sue, intimandolo a tacere. Non era pronto a separarsi da lui, non ancora.    
«Shhh» disse l'ateniese, approfondendo il bacio, lasciando che le loro lingue s'incontrassero, così come i loro bacini. Alec poteva sentire le ossa sporgenti di Magnus contro il suo basso ventre, le sue costole
sotto le mani.  
 «Qui qualcuno è in preda all'Eros2...» commentò malizioso lo spartano, fra un bacio e l'altro, Alexander sorrise sulle sue labbra. «Eros ha scosso la mia mente / come il vento che giù dal monte / batte sulle querce3» recitò allora Magnus, accarezzando dolcemente il volto dell'amato, lasciando scorrere le sue dita sui suoi capelli folti, neri come la notte e spettinati, sugli zigomi sporgenti e sulla pelle candida, sulle labbra rosee e gonfie per quei baci.    
Alexander rise: «Reciti versi come la prima volta che ci siamo incontrati?».           
Magnus annuì: «Ti ho notato nell'esatto istante in cui hai messo piede in quella taverna. Non riuscivo a credere che il giovane che lo stesso Tiresia mi aveva mostrato in sogno fosse giunto a Sparta».   
«Eppure eccomi lì, a cercare vanamente di passare inosservato e finendo per recitare il ditirambo di Archiloco» ricordò Alec: gli sembravano passati secoli da allora, non poche settimane. 
Magnus si lasciò sfuggire una risata gorgogliante, che fece tremare il suo petto e così Alexander, sopra di lui; affondò la testa fra i cuscini e si voltò ad osservare la città, fuori dalla finestra. Le case bianche erano una distesa silenziosa, dal momento che ancora la maggior parte degli abitanti dormiva, solo le guardie vegliavano su quella pace; al di là del Pireo, il mare calmo lambiva dolcemente le mura ed il porto, all'orizzonte una soffusa e pallida sfumatura rosa lasciava intuire che le prime luci del mattino erano giunte.
Col loro arrivo, anche i due amanti erano costretti, seppur a malincuore, a separarsi. Era ormai questione di attimi, lo sapevano.       
«Devo andare» disse infatti svogliatamente Magnus.            
«No...» protestò debolmente Alexander, stringendosi più forte al suo fianco, lo spartano sorrise mestamente e lasciò un dolce bacio sulle labbra dell'ateniese, prima di divincolarsi dall'amplesso e mettersi a sedere, con le lenzuola bianche che fasciavano la parte inferiore del suo corpo tonico.         
«E se... Se lo dicessimo ai miei genitori?» chiese Alec, rompendo il silenzio nella stanza.  
Magnus si voltò, titubante: «Sai che vorrei urlare il nostro amore di fronte a tutti, umani e Dei, Alexander... Ma la guerra imperversa, la peste pure, e nonostante tutto sono pur sempre uno spartano. La mia presenza qui è tollerata solo per l'aiuto che vi ho offerto e poiché i miei genitori erano, a loro volta, una spia di questa città. Non credo che sia il momento più propizio, ora...».          
Ovviamente, il sacerdote aveva ragione ed Alec lo sapeva: come poter dichiarare il loro amore, di fronte agli uomini e agli Sacri Dei, in cotali terribili ed infauste circostanze? Pericle era morto da pochi giorni, la città era in preda al caos e il consiglio ancora non riusciva a trovare un valido sostituto che ripristinasse l'ordine perduto.      
La peste continuava a mietere vittime ed a gettare anime innocenti nell'Ade, come un antico e temibile presagio di una imminente distruzione che si sarebbe abbattuta su di loro, viventi nel continuo timore di un attacco spartano in una simile situazione di vulnerabilità.
«Promettimi che, quando tutto questo sarà finito, saremo ancora insieme» chiese Alexander, mentre l'amante si accingeva a rivestirsi per tornare nei propri alloggi.  
Magnus si sporse nuovamente sul letto per baciarlo: mise in quel bacio tutta la riluttanza del doverlo abbandonare, tutto l'amore che avrebbe voluto dargli alla luce del sole. Alec lo ricambiò disperatamente, aggrappandosi al sacerdote, desideroso di non lasciarlo mai andare, nelle viscere l'improvvisa paura di ciò che sarebbe potuto succedere.      
«Sei giunto, ti bramavo / hai dato ristoro alla mia anima / bruciante di desiderio3» sussurrò sulle sue labbra, prima di obbligarsi a staccarsi da lui. Magnus sorrise, baciandolo un'ultima volta e accarezzandogli i capelli.
Si avviò verso la porta che dava sul corridoio e si fermò sulla soglia, osservando Alec rigettarsi a peso morto fra le lenzuola che avevano accolto tutto il loro amore, i loro baci, i loro sospiri, i loro gemiti. Lo osservò guardare la silenziosa Atene fuori dalla finestra, proprio come aveva fatto egli stesso poco prima.       
«Alexander?» lo richiamò, prima di andare.
«Sì?» disse quello, lanciando un'occhiata al sacerdote.        
«S'erò4» mormorò solamente, prima di uscire e chiudere la porta alle sue spalle.     
Le labbra di Alec si incurvarono istantaneamente in un sorriso.       
S'erò, aveva detto.     
Ti amo anch'io, Magnus.

 
***


Magnus aveva lasciato la stanza da pochi minuti quando il segnale d'allarme frantumò la quiete notturna, facendo balzare in piedi Alexander.    
Corse verso la finestra, sporgendosi per vedere cosa stesse accadendo - le guardie, dopo aver dato l'allarme, cominciavano a gridare, incitando i cittadini ad armarsi: gli Spartani stavano marciando, diretti verso Atene.
Una morsa serrò lo stomaco di Alec, sapeva quel che stava per succedere: lo stavano cercando. Stavano cercando Magnus, il traditore, la spia.   
Senza perdere tempo, nonostante le mani che tremavano febbrilmente, indossò degli indumenti; stava terminando di vestirsi quando il suo fratellastro, Jace, e Isabelle si precipitarono nella stanza.      
«Gli Spartani stanno per attaccare» disse Jace, con tono duro, già imbracciando la spada. Alec annuì, guardando il metallo risplendere con balenii dorati sotto la luce delle torce appese alle pareti.    
«Lo so» rispose, sollevando le braccia, affinché Jace l'aiutasse ad indossare l'armatura.    
«Alec...» disse Isabelle, prendendogli il volto fra le mani e guardandolo intensamente negli occhi.           
Alec le accarezzò i capelli corvini, cercando di mettere in quel gesto tutta la delicatezza e la determinazione che riuscì a raccogliere, «Non lascerò che ti facciano ancora del male» affermò deciso.           
«Nessuno Spartano riuscirà a nuocerti, non senza aver gettato la mia anima nell'Ade» rincarò Jace, stringendo le cinghie e assicurando l'armatura al busto muscoloso del fratellastro.            
Alec si affrettò a raccogliere le sue armi, prendendo l'arco e la faretra; lanciò anche uno sguardo alla spada, abbandonata sopra ad una cassa di legno, e decise di appenderla alla sua cintura.              
«Sei sicuro?» chiese Jace. Dopotutto, Alec si era sempre distinto come arciere. Si limitò ad annuire, appoggiando la mano sull'elsa ruvida della spada e stringendola fra le dita callose.  
Nell'attraversare i corridoi dell'abitazione, Alec sentiva il cuore farsi sempre più pesante: il presagio che aveva avvertito prima che Magnus lasciasse la sua stanza gli sembrava ora terribilmente reale, pronto ad abbattersi e a schiacciarli tutti come esseri deboli, vulnerabili. Mortali.       
Il loro padre, Robert, li aspettava sulla soglia, al suo fianco stava la moglie, circondata dalle ancelle. Anche Magnus stava accanto alla porta, con espressione grave, lo sguardo felino rivolto verso il terreno. Alzò lo sguardo quando sentì i loro passi e le sue iridi giallo-verdi si posarono sul corpo di Alexander: si limitò ad osservarlo in silenzio, senza poter dire nulla. Del resto, cosa dire in tale circostanza? Cosa dire, dopo avergli dichiarato poco prima che l'amava?    
Anche Alec lo guardò senza proferire parola, cercando però di trasmettere col suo sguardo che anch'egli l'amava. Non era riuscito a rispondergli, a dirglielo, ma sì, l'amava.           
Quello fu il suo ultimo pensiero, prima di seguire Jace ed il padre fuori dall'abitazione, diretti al campo di battaglia.
 

 
***
 

Le parti erano schierate, ogni oplita5 perfettamente allineato, le falangi pronte.        
Sotto al sole cocente, il campo di battaglia ancora non era stato impegnato dagli eserciti. Si studiavano a vicenda, ognuno pronto ad attendere il primo passo dell'altro, pronto ad attendere un fallo dell'altro.
Giungendo al campo, Alec era rimasto paralizzato per un breve istante nel vedere la falange nemica predisposta ad attaccare, con le lance affilate parallele al terreno polveroso, le creste sugli elmi che ondeggiavano al fievole alito di vento proveniente dal mare e gli scudi bronzei scintillanti su cui capeggiavano massicce lambda6 
rosso cremisi.    
Cremisi come il sangue che, come pioggia rossa, di lì a qualche istante sarebbe scorso a fiotti su quel terreno di guerra, sotto agli occhi degli Dei.       
I suonatori di flauto7 spartani incominciarono a suonare e gli opliti cominciarono a marciare, invadendo il campo di battaglia. Avanzavano, compatti, apparentemente indistruttibili, pronti a travolgerli.           
All'urlo del generale, anche la fanteria ateniese cominciò ad avanzare, mantenendo gli arcieri nelle retrovie, le frecce incoccate e puntate contro il nemico.            
Nel giro di poco tempo, i due eserciti si scontrarono, cercando di penetrare l'uno le difese dell'altro; Alec scoccava dardi, fieramente, come aveva sempre fatto: raramente mancava il bersaglio. Continuava, implacabile, ad abbattere, a uccidere, pur di salvare la sua patria; quando, però, nella furia della battaglia intravide il fratellastro, Jace, venire sfregiato dalla lama di una xiphos8 e urlare di dolore, non riuscì a proseguire.
«Jace!» urlò, come se l'altro potesse udirlo. Era un grido disperato, il suo.  
Abbandonò il suo arco, imbracciando la spada, pesante fra le sue braccia, non abituate a reggere l'arma; si gettò nella battaglia, colpendo, dilaniando, ferendo, massacrando: chiunque intralciasse il suo cammino veniva falciato via. I suoi occhi dardeggiavano, mentre si faceva strada in quel caos, diretto verso il fratello, che, nonostante fosse ferito, continuava a combattere strenuamente.         
«Che diavolo ci fai qui, Alec?!» gli urlò Jace quando lo vide arrivare, rubando una lancia spezzata ed intrisa di sangue dal cadavere di un giovane spartano ai suoi piedi. Alec lo ignorò e continuò a colpire, senza alcuna pietà.
Ben presto, furono chiare le sorti della battaglia: nonostante l'attacco a sorpresa, nonostante il momento di debolezza, Atene era riuscita a resistere.
Jace ed Alec avevano combattuto fianco a fianco, schiena contro schiena, proteggendosi a vicenda, proprio come parabatai. Jace tagliò la gola ad un ilota9, il cui sangue schizzò ad impregnare la sua pelle e a rendere scivolosa la sua presa sulla spada; si scostò i capelli biondi dagli occhi e si voltò ad osservare il fratello, che stava finendo a sua volta un ilota, quando vide un soldato sbucare alle sue spalle.      
«Alec!». Le parole uscirono dolorosamente dalla sua gola, urlate, mentre osservava impotente la spada dello spartano trapassare il corpo di Alexander e sbucare dal suo petto, lacerando la carne. Alec abbassò lo sguardo, mentre il sangue si diffondeva rapidamente attraverso il tessuto. Le sue gambe cedettero, collassò a terra.
Jace corse verso di lui, uccidendo il soldato che l'aveva ferito, e s'inginocchiò accanto al fratello, sollevandolo, tenendolo fra le braccia.        
«Alec... Alec, sono qui...» continuava a ripetere, accarezzando il volto di Alec, scostando le ciocche nere dalla sua fronte pallida e sudata, incurante di macchiare la pelle diafana con le sue mani sporche di sangue.
Sul suo volto, il sangue sembrava pioggia rossa.       
La macchia cremisi continuava ad allargarsi sul suo petto, che si alzava ed abbassava velocemente, mentre un gorgoglio provenne dai polmoni quando tentò di parlare.         
«Alec... Alec, shhh...».          
«M-Ma... Magnus...» mormorò Alec, alzando gli occhi celesti e puri su Jace.         
«Non mi lasciare, Alec, non mi lasciare...» lo pregò quello, sentendo la disperazione invaderlo mentre la forza vitale lasciava rapidamente le membra dell'altro.    
«Mag-gnus... D-Digli... D-Digli che lo amo...» riuscì a dire a stento Alec, prima di abbandonarsi esausto fra le braccia del parabatai. Una piccola scia di sangue uscì dalle sue labbra e scese lungo il suo mento candido, mentre esalava l'ultimo respiro, le labbra sollevate nello spettro di ciò che sembrava essere un sorriso al pensiero del suo amato.            
Jace urlò. Urlò tutto il suo dolore e la sua devastazione nel sentire la vita scivolargli fra le dita come sabbia: Alexander era morto.
 

 
***
 

I corpi giacevano sulle pire, pronti ad essere bruciati dopo l'epitaffio ai caduti celebrato dal successore di Pericle, Cleone10.           
Magnus era ai piedi della pira su cui si trovava Alexander. Il suo corpo era stato preparato per la cerimonia dalla madre e dalla sorella, era stato lavato e aveva ricevuto l'unzione con le erbe sacre, sulla sua lingua era stato posto l'obolo affinché potesse pagare il traghettatore che l'avrebbe condotto nel Regno dei Morti11.
Durante quei tre giorni che erano intercorsi fra la morte dell'amato e il funerale, Magnus non aveva proferito parola. Non da quando aveva appreso ciò che era accaduto, quando Jace e Robert erano tornati dalla battaglia, trasportando il corpo inerte del giovane ateniese su uno scudo.       
Silenzio.
Eppure, Magnus dentro di sé urlava. Era corso al tempio, ad implorare, a pregare. Aveva addirittura imprecato contro tutti gli Dei quando si era fatta strada in lui la consapevolezza che era tutto vero ed Alexander non sarebbe più tornato.           
Deglutì, sentendo gli occhi pizzicare, mentre ricordava ciò che gli aveva riferito Jace: le ultime parole di Alexander erano state per lui. Il suo nome. La risposta alla sua dichiarazione. «Magnus... Digli che lo amo».
Si amavano e non erano nemmeno riusciti a dirselo. Non erano riusciti a dichiararselo, l'uno di fronte all'altro. Non erano riusciti a dimostrarlo alla luce del sole, a qualunque essere umano o divino. Erano stati costretti a consumare il loro amore di nascosto, alla sola luce della luna, come un qualcosa di deplorevole.
Sentì il cuore spezzarsi definitivamente quando Robert appiccò il fuoco alla pira e le fiamme divamparono, avvolgendo il corpo di Alec. Il vuoto l'aveva invaso e un subdolo ricordo si fece strada nella sua mente.

«Promettimi che, quando tutto questo sarà finito, saremo ancora insieme».           
«Sei giunto, ti bramavo / hai dato ristoro alla mia anima / bruciante di desiderio».           
«Alexander?». 
«Sì?».
«S'erò».


Non erano più insieme, Alexander aveva infranto quella promessa che egli stesso aveva richiesto. Ciononostante Magnus sapeva che, nonostante non fosse più lì, non l'avrebbe lasciato.     
Alexander. Il salvatore di uomini12.      
L'avrebbe dimenticato? Mai.  
L'avrebbe amato? Sempre.

 
Note dell'Autrice: 

1. Pioggia rossa: il titolo di questo capitolo (e di questa fanfiction) si riferisce all'omonima canzone di Peter Gabriel, che mi ha dato l'ispirazione per questa storia.
I ripetuti paragoni fra il sangue e la pioggia rossa presenti nel capitolo sono voluti.
2. Eros: nell'Antica Grecia, Eros è il dio dell'amore fisico e del desidero. E' a ciò che allude Magnus. In realtà, nella cultura Greca, Eros non rappresentava solo la divinità, ma anche il principio divino che fa muovere verso qualcosa e che spinge alla bellezza, così come sarebbe stato teorizzato e spiegato dal filosofo Platone nel Simposio.
3. Citazione da una poesia di Saffo. Saffo fu una poetessa greca e visse fra il 630 e il 570 a.C. La sua poetica era incentrata principalmente sulla passione e sull'amore. Della sua produzione oggi non restano che frammenti. Nella citazione da me riportata, ho cambiato "sei giunta" in "sei giunto", essendo i personaggi maschili.
4. S'erò: è esattamente la traduzione del nostro "ti amo". In senso più affettivo, sarebbe stato Se filò ("ti voglio bene"), mentre in senso più carnale S'eramai.
5. Oplita: soldato della fanteria pesante.
6. Lambda: la lettera lambda (Λ) era usata dagli spartani come simbolo politico-militare; essa faceva riferimento al primo nome della città Lacedemone e veniva dipinta sugli scudi.
7. Suonatori di flauto: in battaglia la fanteria aveva il compito di non muoversi in modo scomposto e disordinato, in modo da garantire il perfetto funzionamento dello schieramento a falange. Il ritmo dell'avanzata era pertanto dettato dalla musica. 
8. Xiphos: la xiphos era la spada utilizzata dalle forze di fanteria nell'Antica Grecia. Aveva impugnatura ad una mano e la lama, a doppio taglio, poteva anche raggiungere una lunghezza di circa 60 cm. Gli opliti spartani ne svilupparono una variante più corta (circa 30 cm) da utilizzare durante le mischie della fanteria pesante.
9. Ilota: soldato della fanteria leggera.
10. Cleone: politico e militare ateniese, protagonista della guerra del Peloponneso. Fu eletto come successore di Pericle dopo la sua morte.
11. Funerale: nell'Antica Grecia, la cerimonia funebre era molto importante. Si credeva, infatti, che le anime di coloro che non avevano ricevuto sepoltura (o cremazione, nel caso delle famiglie aristocratiche) fossero condannate a vagare per mille anni senza la possibilità di trovare la pace. Il corpo veniva quindi lavato e cosparto di essenze, gli occhi venivano chiusi e nella bocca veniva posto un obolo, affinché il defunto potesse pagare il traghettatore, Caronte, che l'avrebbe portato nel Regno dei Morti. 
12. Alexander: il nome Alexander (in greco Alèxandros) significa "protettore di uomini".

Hello everyone! 
Mio Dio, è passato così tanto tempo... Avevo detto che, per mancanza di tempo, avrei pubblicato questo ultimo capitolo dopo la maturità, ma non pensavo che sarebbe trascorso così tanto tempo prima di riuscire a concludere questa storia. Il punto è che evidentemente il mio cervello lavora di fantasia solo quando sono in periodo di esami e dovrei studiare ç_ç 
Allora, che dire? Mi sento una persona orribile. Appena ho finito di scrivere il capitolo e ho messo il punto finale un enorme WHAT HAVE I DONE mi è passato per la testa, anche se ho sempre immaginato così la trama di questa fanfic, da quando per la prima volta, mesi e mesi fa, ho aperto un nuovo documento su Word e ho iniziato a scriverla. 
Io stessa, nella foga della scrittura, mi sono lasciata andare a qualche lacrima nei momenti salienti di questo ultimo capitolo. Inoltre, reduce dalla visione della 2x05, con Alec vestito di bianco, che piange al funerale, non potevo di certo scrivere una roba allegra non sto assolutamente cercando di scusarmi per aver massacrato un personaggio, NO. Anzi, questo capitolo è stato un vero e proprio sacrificio: l'ho scritto e riscritto e riscritto non so quante volte, non ne ero mai soddisfatta, è stato molto frustrante e probabilmente la cosa più difficile che mi sia trovata a produrre in tutta la mia esistenza da fanwriter - tuttora ho molti dubbi sull'effettiva riuscita di questo capitolo. 
Era la prima volta che scrivevo di una battaglia e non avevo idea di come rendere la confusione di questi due eserciti che si scontravano. 
Inoltre, so che rispetto all'ultimo capitolo Alec è molto più intraprendente con Magnus e la cosa potrebbe risultare OOC, ma ho pensato che, dopo varie notti in cui i due amanti si congiungevano, fosse ormai accettabile una certa intraprendenza e confidenza, senza più alcuna barriera fra di loro. A causa di questo, ho anche deciso di cambiare il "voi" in "tu" nel dialogo fra i personaggi. 
E insomma, nonostante tutti i dubbi, le possibili incongruenze e gli scleri vari, eccolo qui. Fine. 
Dico la verità, questa storia mi ha dato davvero tanto e spero che, almeno in minima parte, sia così anche per voi. 
Ci tengo pertanto a ringraziare tutti voi, che avete letto e recensito, scrivendomi delle cose bellissime. A tutti voi che avete seguito questa storia mettendola fra le preferite/seguite/ricordate: siete davvero tanti e non mi immaginavo minimamente una cosa del genere. E un grazie enorme anche a voi che avete letto silenziosamente: I know you're there.
Grazie alla fantastica mente di Cassandra Clare per aver partorito questi due bellissimi cupcakes.
E un grazie anche alle mie amiche che hanno sopportato la mia frustrazione per non riuscire a scrivere un epilogo perlomeno decente.
Last but not least, un grazie immenso anche a heartbreakerz che grazie al suo contest Concludi la tua long e ricevi un premio! sul forum di EFP è riuscita a darmi quella spinta che mi serviva per dare un finale a questa storia.
Credo di aver finito le cose da dire... Di nuovo, a tutti, GRAZIE. Davvero.
A rileggerci presto, spero. E non odiatemi troppo per questo finale. Kisses,
Starsfallinglikerain.

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