Universo parallelo

di Sandra Sammito
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Spettri Illusionisti ***
Capitolo 2: *** Un nuovo nome ***
Capitolo 3: *** Pareidolia ***
Capitolo 4: *** Vita da attori ***
Capitolo 5: *** Il vero Stiles Stilinski ***
Capitolo 6: *** Una tenera finzione ***
Capitolo 7: *** Rientro a Beacon Hills? ***
Capitolo 8: *** Un'insolita sparizione ***
Capitolo 9: *** Alla ricerca di... Shelley ***
Capitolo 10: *** Missione compiuta ***
Capitolo 11: *** Questione di fiducia ***
Capitolo 12: *** Anagramma ***
Capitolo 13: *** La belva in agguato ***



Capitolo 1
*** Spettri Illusionisti ***


 
Come premessa vorrei dirvi che, per scrivere questa Fanfiction, mi sono ispirata ad un episodio della serie TV "Supernatural" (per chi lo avesse visto), in cui i protagonisti vengono teletraportati in un mondo parallelo, in cui in realtà sono gli attori che li interpretano (in quel caso Jared Padalecki e Jensen Ackles). Meravigliata dall'idea, ho deciso di basarmi su essa per scrivere una storia del genere sui personaggi di Teen Wolf.
Buona lettura. 
Sandra Sammito.

 


1. SPETTRI ILLUSIONISTI
 
 
In una mattina uggiosa e plumbea, Stiles passeggiava beatamente nel parcheggio della Beacon Hills High School, per raggiungere la sua bella Jeep azzurra e tornare a casa. Il programma per il pomeriggio era libero, non c’erano impegni, a parte quello di deprimersi e autocommiserarsi per il litigio ch’egli ebbe con Malia.
“Stiles, quando fai così mi sembri lunatico e infantile” lo apostrofò Malia.
“Be’ almeno io non mi trasformo in un mostro ogni luna piena” le ribatté contro, prendendosi un diretto in piena guancia. Malia girò i tacchi e se ne andò con il fumo che usciva dalle narici, offesa e adirata. L’avrebbe dovuta fermare e avrebbe dovuto chiederle scusa all’istante, ma non ne ebbe la prontezza. Era stato troppo istintivo e imprudente nel rinfacciarle simili affronti, ma quel pomeriggio lo avrebbe dedicato a farsi un esame di coscienza, rimandando al giorno dopo le suppliche di perdono – pur sapendo che Malia si sarebbe difficilmente lasciata ammaliare dai suoi begli occhioni.
I pensieri di Stiles, però, furono improvvisamente interrotti da quattro ragazzi, due maschi e due femmine, che lo attorniarono a testa alta. Dai loro sguardi trapelava “pericolo imminente”.
«Ciao ragazzi. Vi serve qualcosa?» chiese Stiles, mantenendo un tono saldo.
«Sei il nostro prossimo esperimento.» rispose uno dei ragazzi, quello dai capelli rossicci e strapazzati.
«Esperimento? Esperimento per cosa?». Stavolta Stiles si allarmò parecchio, cercando una soluzione e soprattutto di comprendere le intenzioni di quei ragazzi a lui sconosciuti.
«Lo vedrai.»
«Ragazzi, avete sbagliato pers…»
La voce di Stiles fu mozzata quando i quattro ragazzi, simultaneamente, poggiarono una mano ciascuno sul capo di Stiles, paralizzandolo fino alla punta dei piedi. Il ragazzo di conseguenza sgranò gli occhi e spalancò la bocca, come se gli avessero serrato anche il respiro. I suoi occhi s’illuminarono lentamente di una strana luce, fulgida come i raggi solari e, diversamente da come nacque, implose speditamente all’interno, costringendo Stiles a chiudere gli occhi e a urlare a squarciagola. La pressione andò a scemare nel frattempo che Stiles si sentiva liberato dalle sue energie.
«E… Stop. Buona! Facciamo una pausa.» urlò una voce maschile, seguita da una sorta di campanella smorzata.
Stiles aprì gli occhi, intontito. Davanti a sé vide i quattro ragazzi di spalle, allontanarsi nel parcheggio, e la sua Jeep. Ma ciò che lo confuse fu ciò che trovò alle sue spalle. Quando si voltò, si vide gli occhi puntati addosso da una marea di persone, alcune sedute su sedie pieghevoli, altre che sorreggevano delle telecamere e dei microfoni a condensatore. Uno di loro, quello che in mano aveva un megafono, si alzò dalla sue sedia e avanzò verso Stiles.
«È stato perfetto.» disse l’uomo, ammiccando. «Dopo faremo la ripresa frontale.»
Stiles guardò l’uomo con circospezione e distacco, non capendo né chi fosse né cosa volesse da lui.
«Mi scusi. Ma lei chi è?» chiese.
«Come?»
«Lei chi è? E chi sono tutte quelle persone?» domandò ancora Stiles, indicando il resto della massa.
«Dylan. Un’altra delle tue?»
“Dylan? Perché mi ha chiamato Dylan?” chiese Stiles a se stesso. Fu distratto da un rumore alle sue spalle e, voltandosi, vide un uomo che mise in moto la sua Jeep e la portò via.
«Ehi ehi! Dove stanno portando la mia Jeep?» strillò Stiles, guardando tristemente la sua bella auto allontanarsi nelle mani di uno sconosciuto.
«Dylan. Ti senti bene? La portano come sempre nel garage della location.»
«Io non mi chiamo Dylan!» imprecò Stiles dirigendosi verso la scuola, ma si accorse che era sparita e al posto suo c’era uno spiazzo, come se fosse l’edificio fosse stato demolito. «Che diavolo significa?» disse Stiles, con le mani tra i capelli.
Si trascinò senza meta tra quella gente e in quei luoghi ignoti, di cui riconosceva alcuni elementi solo come pure finzione. Ad esempio vide trasportata, su un furgone, l’insegna marmorea della Beacon Hills High School; si accorse che alcuni alberi che decoravano l’esterno della scuola erano fatti di cartone e polistirolo.
“Location” ripeté Stiles nella testa, ricordando il termine utilizzato dall’uomo. Sentì parlare di location solo quando si trattava di film o serie TV, ma com’era possibile che ci fosse dentro?
Raggiunse successivamente un punto di quel posto, occupato da una fila di roulotte. Altra gente camminava all’esterno e discuteva interessata. Addirittura Stiles vide Melissa, seduta su una panca, intenta a leggere un foglio. Le si avvicinò rapidamente, sperando che almeno lei gli avrebbe dato delle spiegazioni.
«Melissa?»
Melissa alzò gli occhi e sorrise a Stiles. “Ah per fortuna mi ha sentito” pensò il ragazzo, sospirando.
«Dimmi Dylan. Stai cercando Tyler?»
“Ci risiamo” disse fra sé e sé. “Di nuovo Dylan?”
«Senti. Lo so che ti sembrerà strana la mia domanda ma… Tu sei Melissa, vero?»
«Certo che sono Melissa.» rispose, ghignando.
«La mamma di Scott?»
«Uhm… Sì, la mamma di Scott… Nel telefilm.» rispose Melissa, sorpresa. «Il caso ha voluto che sia io che la mamma di Scott avessimo lo stesso nome.» disse ancora, ridendo.
Stiles non ci stava capendo niente, la situazione era più inspiegabile che mai.
«Comunque se cerchi Tyler lo trovi nel suo camerino. Il numero tre se magari non te lo ricordassi…» precisò Melissa, riferendosi alle domande ambigue poste dal ragazzo.
Non sapendo neanche chi fosse Tyler, a Stiles parve necessario incontrare questo ragazzo. «Dove sono i camerini?»
«Dylan. Hai battuto la testa? Comunque in fondo, l’ultima roulotte a destra.»
«Grazie… Melissa.»
Stiles proseguì dritto e raggiunse la roulotte da Melissa indicatagli. La porta era aperta e s’intrufolò senza neanche bussare. All’interno trovò due persone, una donna alzata che sistemava i capelli a un ragazzo, di spalle, seduto su una sedia girevole.
«È permesso?» chiese Stiles.
Il ragazzo seduto si voltò e Stiles si lasciò sfuggire un ghigno alla vista del presunto “Tyler”.
«Dylan. Scusa se non ho assistito alle riprese. Mi hanno chiamato per la preparazione della prossima scena da girare. Come sono andate?» chiese Tyler, infilandosi negli occhi due lenti a contatto. Quando alzò nuovamente lo sguardo le sue pupille si erano tinte di un rosso fuoco.
«Non ci posso credere. Lenti a contatto!» esclamò Stiles, stupefatto.
«Sì amico. Ah! Credimi quando ti dico che ti immergi troppo nella parte. Ti rammento che è tutta finzione eh.»
«Lo vedo. Posso parlarti in privato?»
«Purtroppo Tamara deve finire il suo lavoro. Quando finirà sarò tutto tuo.» disse Tyler.
Stiles sbuffò e si voltò verso l’uscita, poggiando un gomito sulla porta e massaggiandosi le tempie, che di lì a poco sarebbero scoppiate per il nervoso. In quel preciso istante davanti ai suoi occhi passò come un fulmine Malia, vestita coi suoi soliti abiti casual indossati in modo sexy. La rincorse senza ponderare sulla faccenda e, quando la raggiunse, la fermò per un polso. Lei stessa si spaventò per un attimo, ma quando vide Stiles si rasserenò.
«Ehi.» disse lei.
«Ciao. Senti. Volevo chiederti scusa per stamattina. Sono stato uno stronzo a dirti quelle cose. Non so perché le ho dette e sappi che non le penso sul serio.»
«Stiles. Anche se non le pensi, le hai pur sempre dette. E mi hanno ferita. Essere un coyote mannaro non vuol dire avere il cuore di ghiaccio.»
«Sei tu? Sei proprio tu? Sei normale? Oh sia lodato il cielo.» esultò Stiles, abbracciando Malia e felice di essersi accertato che almeno lei non facesse parte di una serie televisiva. L’esuberanza, però, cessò quando la ragazza lo distaccò da sé.
«Questa battuta non c’è, Dylan. Te la sei inventata?» chiese la ragazza, sorridendo imbarazzata.
«Battuta? Malia… Non può essere.»
«Non fare lo stupido.». La ragazza se la rise. «Pensavo che stessi ripassando il copione.»
Stiles scosse la testa.
«Shelley. Il tuo caffè.» disse un uomo, che si avvicinò a loro e porse un cartone fumante di caffè sulle mani della ragazza.
«Ti ringrazio.» disse Shelley. «Ehm… Ti devo lasciare. Stanno per iniziare le riprese.». E si allontanò, lasciando Stiles con dubbi ammonticchiati per la testa. Avrebbe voluto urlare, chiudere gli occhi e risvegliarsi da quell’incubo straziante. Se avesse conosciuto un modo per tornare alla normalità, non avrebbe esitato neanche per un secondo. Contò le dita delle sue mani: erano dieci, quindi si accorse del mancato pericolo di far parte di uno dei suoi incubi.  
«Ehi Dylan. Ti sta cercando Russell.» annunciò una donna, con un cartellino attaccato sulla camicetta con su scritto il suo nome e una pulce posta in prossimità della bocca. Poi andò via così com’era arrivata.
«Adesso basta.» disse Stiles, impettendosi. Tornò alla roulotte di Scott/Tyler per mettere fine a quella faccenda. Irrompendo nel luogo, si catapultò dinanzi all’amico con aria presuntuosa.
«Tamara. Lasciaci soli. Ho urgente bisogno di parlare con Scott.»
«Ecco. Prendi tutto sul serio. Sono Tyler.»
«È la stessa cosa.»
«Dylan, le conseguenze di un possibile ritardo di Tyler saranno tue responsabilità. Fai in fretta.» disse Tamara, uscendo dalla roulotte. Stiles si accomodò sulla sedia accanto a quella dell’amico e si pose faccia a faccia a lui.
«Allora… Di che si tratta?» domandò Tyler, spazientito.
«Noi siamo amici, vero?»
«Certo che siamo amici. Hai dubbi?»
«Scott, io non capisco cosa stia…»
«Tyler.»
«Dannazione! Perché “Tyler”?»
«Perché è il mio nome? Tyler Garcia Posey?»
«No, tu ti chiami Scott Mccall.» asserì Stiles, con convinzione.
«Sì, in Teen Wolf, nella serie TV. Ma nella realtà sono Tyler. Ma insomma, devo spiegartele io certe cose. Che ti sta succedendo?»
«Teen Wolf? Che razza di nome è?»
«È il nome della serie TV, idiota.»
«Senti… Se mi state prendendo in giro voglio saperlo, perché rischio di uscire pazzo.»
«No. Tu devi dirmi a che gioco stai giocando. Fino a poco fa pensavo che stessi scherzando, ma adesso sembri piuttosto serio quando mi chiami Scott o quando hai dubbi sulla serie TV. Mi vuoi spiegare?»
«Okay. Mi stavo dirigendo verso la mia Jeep, quando sono stato circondato da quattro ragazzi che mi hanno detto che avrei fatto parte di un loro esperimento, mi hanno messo le loro luride mani sulla mia testa ed eccomi qui. Ora mi chiamo Dylan, tu sei Tyler, Malia è Shailene…»
«Shelley.» lo corresse Tyler.
«Quello che è. Ecco. Questo è tutto quello che mi è accaduto.»
«Sei stressato, Dylan. Quello a cui hai assistito è semplicemente la scena che hai girato. I quattro ragazzi si scoprirà che si chiamano Spettri Illusionisti e che provocano allucinazioni a chi entra nei loro interessi. L’hai letto il copione?»
«Be’ sono riusciti nel loro esperimento.»
«Sì, come no. Pensa invece a riprenderti. Sai che Russell s’incazza facilmente quando non recitiamo le nostre parti come si deve. Quindi ti consiglio di fare mente locale e di lasciar finire Tamara di truccarmi. Sono in ritardo.»
«Tu non mi credi. Non mi credi!»
«Dylan, come cazzo posso crederti? Mi stai solo facendo perdere tempo. Vedrai che più tardi ti passerà.»
Stiles si alzò furioso dalla sedia e uscì dalla roulotte amareggiato dal comportamento dell’amico. Non sapeva come comportarsi e la sua pazienza aveva raggiunto il limite.
Guardando le roulotte s’imbatté in una, sulla cui porta c’era appeso un cartellino con scritto: Dylan Sprayberry.
“Devo essere io.”. Afferrò la maniglia e quando la abbassò, disse fra sé e sé: «E devo essere anche impazzito.»   

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Capitolo 2
*** Un nuovo nome ***


 
2. UN NUOVO NOME
 
 
La roulotte in cui Stiles entrò non era sfarzosa come s’immaginava. C’erano dei poster, appesi sulle pareti, ritraenti alcuni gruppi metal come gli Slipknot, o alcuni giocatori di basket americano. Stiles li guardò con disprezzo, dicendo: «Basket? Mi piace il Basket? Lacrosse, già mi manchi.». Riprese la perlustrazione del luogo, anche se non trovò nulla di interessante, a parte della roba sporca nascosta sotto il letto. Per lo meno, passando davanti a uno specchio, si rincuorò di aver mantenuto lo stesso aspetto. Sorvolò su quel particolare e si accomodò sul letto, per valutare il drammatico guaio in cui si era cacciato.
“Mi chiamo Dylan Sprayberry e recito in un telefilm. Mi piacciono gli Slipknotmiodio e ho sostituito la Lacrosse con il Basket” rifletté in mente. “Malia non è più la mia ragazza e Scott si guarda continuamente allo specchio, felice mentre Tamara gli sistema i capelli e il trucco. E chissà, forse scoprirò che ha pure tendenze omosessuali.”.
Travolto dal tedio, si alzò dal letto e uscì dalla roulotte, immergendosi nuovamente in mezzo a quel pandemonio di gente sconosciuta. Ritornò sui passi verso il luogo in cui tutto ebbe inizio, sorbendosi di volta in volta i saluti garbati dei passanti che non facevano altro che chiamarlo Dylan. Quel nome lo innervosiva, era come se in realtà fosse lui l’attore che impersonava i panni di questo Dylan e non il contrario.
Raggiunse il luogo, alla ricerca dell’uomo che incontrò principalmente e che aveva proprio l’aria di essere un regista. Tuttavia fu quest’uomo a trovare per primo Stiles e lo afferrò per la collottola. Stiles alzò un sopracciglio per la cotanta confidenza che doveva probabilmente avere con quest’uomo, dato che egli non si fece scrupolo di afferrarlo per il collo come se fosse suo padre.
«Dylan. Dove ti eri cacciato? Ti avevo fatto chiamare dalla mia assistente.» disse l’uomo.
Stiles rifletté un momento per poi ricordare una signorina che lo avvertì che un certo Russell lo stava cercando. Quello lì doveva essere proprio Russell.
«Sì… Russell. Avevo delle cose da fare.» rispose Stiles.
«Fai aspettare così tanto il tuo vecchio regista?» disse Russell, scherzando. «Comunque ti ho chiamato per girare. Dobbiamo stringere i tempi. Sei pronto?»
«Ehm…» esitò Stiles, riconoscendo di non essere pronto né fisicamente né mentalmente per affrontare la supervisione di una telecamera. «Sì.» rispose, celando la sua titubanza.
«Splendido!» esclamò Russell. Poi portò il megafono davanti alla bocca e strillò: «Fra cinque minuti si riprende.»
«E io che faccio?» chiese Stiles, impacciato e incapace.
«Come che fai? Hai letto il copione?»
Quell’uomo cominciava a infondergli troppa ansia e arrivò persino a incutergli così timore da mozzargli la risposta sul nascere. «Non ricordo bene. Avete una copia?»
«Dylan. Ce l’hai in tasca. Svegliati figliolo.» disse Russell, leggermente alterato. Stiles, però, fu pervaso da una nota di tristezza quando il regista lo chiamò, così come di solito lo chiamava suo padre. Infilò la mano in tasca ed estrasse dei fogli spiegazzati, e li aprì alla ricerca della sua parte. Nella mente ripeteva: “Stai prendendo troppo sul serio la faccenda. Datti un contegno”. Ma non ebbe altra scelta se non quella di assecondare le richieste di quei tizi e sperare di sbrogliare l’enigma il prima possibile.
Ebbe solo il tempo di leggere i movimenti da eseguire e la prima battuta di Stiles Stilinski, poiché fu subito interrotto dalla stessa campanella smorzata di prima e la voce amplificata di Russell che gridava: «Dylan. Posa quel cazzo di copione e datti una mossa. Si gira.»
Stiles posò il copione in tasca e, per fare un buon lavoro, si basò sulle reminiscenze riguardo a come gli attori giravano le scene di un film.
«Azione!» urlò Russell, mentre una telecamera si piazzava davanti a Stiles, a un metro di distanza.
Stiles iniziò a camminare, così come vide scritto sul copione, verso la sua Jeep azzurra. Si sentì immediatamente in imbarazzo, impacciato e stupido, ritenne persino che la sua camminata fosse più goffa che mai.
«Stop! Stop!» urlò Russell. «Porca miseria Dylan. Non devi guardare l’obiettivo della telecamera! Rifacciamo.»
Stiles indietreggiò di cinque passi e ripresero. Questa volta cercò di fingere disinvoltura, fissando solo la sua Jeep. Giunto lì, fu attorniato dai quattro ragazzi, gli stessi che gli inflissero quella sottospecie di maleficio.
«Voi! Brutti bastardi! Ditemi immediatamente che cosa mi avete fatto e il modo in cui tornare indietro.» imprecò Stiles, fulminando con lo sguardo il ragazzo dai capelli rossicci, che ricambiò corrugando la fronte e serrando le labbra, stupefatto.
«STOP!» sbraitò Russell, più incavolato di prima. «Dylan, ti si è completamente fuso il cervello oggi? Segui quel fottuto copione e collega il cervello alla lingua.»
Stiles gettò una rapida e aggressiva occhiata verso i quattro ragazzi e tornò indietro. Rifecero la scena e, nuovamente attorniato dai ragazzi, formulò la prima battuta che lesse sul copione.
«Ciao ragazzi. Vi serve qualcosa?» chiese.
«Sei il nostro prossimo esperimento.» disse il ragazzo rossiccio.
Stiles s’impettì, mordendosi le labbra e stringendo le palpebre, come per sfidare il suo avversario. In risposta, il ragazzo rossiccio lo incitò con un gesto della testa a dire la seconda battuta, ma era ormai troppo tardi perché…
«Stop! Stop! Stop!» disse Russell, questa volta con tono rassegnato o forse stava solo contenendo la sua furia. Stiles tornò subito indietro, ancora prima che glielo suggerisse il regista. «Dylan, ti costa tanto dire le stesse battute che hai pronunciato neanche mezz’ora fa?»
Ripresero da capo e, dopo la battuta del ragazzo rossiccio, Stiles rispose con la frase che ricordava di aver detto quella mattina.
«Esperimento? Esperimento per cosa?»
«Lo vedrai.»
Le mani dei quattro ragazzi si poggiarono una seconda volta sul capo di Stiles ed egli rimase impassibile, come un’indifesa vittima di bullismo, in attesa che accadesse qualcosa. Gli occhi aperti a fissare il ragazzo rossiccio e in apnea. Questa volta, però, a lamentarsi ci pensò uno dei quattro ragazzi.
«Oh adesso basta. Mi rifiuto di girare per la centesima volta questa stupida scena per colpa della sua inettitudine.» brontolò la ragazza.
«Mi stai dando dell’inetto? E voi invece? E il vostro esperimento?»
Ci fu una pausa di dieci secondi, in cui tutti si guardarono allibiti. «Questo è andato fuori di testa. Quando guarirà, me lo fate sapere.» concluse la ragazza, allontanandosi dal set. Fu la prima ad andarsene, ma la seguirono anche gli altri attori e gli operatori del suono e del video. Solo Stiles si tirò i capelli per la disperazione, vedendo un’altra volta la sua Jeep essere portata via da un uomo con i baffi e piuttosto inaffidabile.
«Bambina mia.» mormorò Stiles, riferendosi alla sua bella auto. Distolse lo sguardo dalla macchina, però, quando fu punzecchiato alla spalla.
«Sii sincero. Che sta succedendo?» gli domandò Russell, con sguardo fermo e perfido.
«Nulla che rientri nelle tue capacità di comprendonio. È un affare mio e che devo sbrigarmi solo io, perché è un mio problema e pare che solo io possa credere a me stesso.»
«Io… invece penso che tu sia stanco. La notte dormi?»
«Be’ considerando che ho ereditato da mia madre le allucinazioni e l’insonnia, ci sono notti che dormo ben poco. E ora che ci penso… Forse è per questo che gli Spettri Illusionisti hanno scelto me. Perché sono una facile vittima di allucinazioni.»
Russell fece una faccia sconcertata e a dir poco terrorizzata. «Okay Dylan. Che ne dici se ti concedessi tre giorni di “ferie”, chiamiamole così? Ti riposi, fai mente locale e vedrai che riuscirai a riprendere il ritmo. Va bene?»
«Sì… Okay, come vuoi. G-grazie.» biascicò Stiles, da una parte sollevato poiché avrebbe avuto più tempo libero per risolvere il caso.
Ritornò nella sua roulotte strampalata e continuò a ispezionare il luogo, finché gli occhi non gli caddero su una scritta stilizzata, incisa accanto alla finestra: I love my daddy.
«Papà!» esclamò ad alta voce. «In mezzo a questo macello dovrebbe esserci mio padre.»
Prima che potesse uscire dalla porta, però, questa si aprì ed entrò un ragazzo, di media statura, con gli occhi azzurri come lapislazzuli e i capelli mori. Non appena vide Stiles dentro la roulotte, gli scappò un urlo di spavento.
«Dylan! Che diavolo ci fai nella mia roulotte?» chiese.
«C-cosa? No. Questa è… la mia roulotte.» asserì Stiles, un po’ dubbioso sulla risposta.
«Sì. Adesso hai pure crisi d’identità?»
«Be’ la risposta è azzeccata direi.»
Il ragazzo alzò un sopracciglio, non capendo che intendesse dire Stiles. «Comunque ti serviva qualcosa?»
«Aspetta. Questa è la tua roulotte sul serio? Ti chiami Dylan Sprayberry?»
«Sì genio. Vuoi che ci presentiamo?»
«No. Ti propongo un gioco. Io ti dico i tuoi nome e cognome e tu i miei.»
«Ma non è un gioco!» gracchiò Dylan Sprayberry.
«Fai finta che lo sia. Insomma, gli attori dovrebbero saper fingere bene.»
«Okay, facciamolo. A condizione che tu esca da qui immediatamente.»
«Ci sto.»
Stiles protese la mano verso quella di Dylan S e gliela strinse.
«È un piacere conoscerti Dylan Sprayberry.» disse Stiles.
«Piacere mio Dylan O’Brien.» rispose Dylan S.
“O’Brien” ribadì Stiles nella sua testa.
«Okay. Adesso smamma che ho bisogno dei miei spazi. Grazie mille.»
Stiles uscì dalla roulotte con un nome nuovo e, ovviamente, il doppio dei problemi irrisolti.  

 
ANGOLO DELL'AUTRICE
Ho aggiornato nel giro di dodici ore perchè mi sono
fatta trascinare molto dalla storia e, avendo le idee pronte, non
ho potuto resistere e ho cominciato a scrivere.
Sandra Sammito
 
 
 

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Capitolo 3
*** Pareidolia ***


3. PAREIDOLIA
 
Stiles Stilinski non era certamente una di quelle persone facilmente arrendevoli, il suo peggior difetto era quello di continuare imperterrito a rimuginare su un caso finché una soluzione non sarebbe emersa e la matassa si sarebbe sbrogliata. In quella circostanza, però, percepiva qualcosa di diverso, come se la sua anima fosse emersa dal suo corpo, dissipandosi, e fosse stata rimpiazzata da quella del rinomato Dylan O’Brien.
“Ma chi diavolo è Dylan O’Brien? E c’è un motivo per cui ha lo stesso nome di Liam? E poi perché proprio di lui?” si chiese Stiles stupidamente, camminando sotto un cielo color indaco, pronto all’avvenire del tramonto. “A quest’ora dovrei essere a casa mia, a scoppiare di maratone di Star Wars o a casa di Scott in attesa che la nostra vita venga scombussolata da una nuova entità malvagia”.
Nella stradina tra una roulotte e un’altra, quella sera c’era meno gente e Stiles si sentì improvvisamente solo in una dimensione che stava cominciando a detestare. E poi c’era un freddo!
«Ehi bro.» lo chiamò una voce conosciuta.
“Scott?!” disse Stiles fra sé mentre si voltava nella direzione da cui provenne il suono.
«Ehi, tutto okay? Ho saputo che Russell ti ha dato tre giorni per riprenderti.» disse Tyler, dando una pacca sulle spalle dell’amico.
«S-sì. È stata la decisione più giusta.»
«Non mi dire che è per la storia di oggi!»
«Senti, tu assomigli molto a Scott, veramente. Ma di lui di certo non possiedi il giusto sostentamento da dare agli amici.»
«Ecco. Ancora con questa storia.» si auto-rispose Tyler per conferma. «Dylan, tu sei uno dei miei migliori amici da quando ci siamo incontrati ai provini per la serie TV. Sei una persona a cui tengo e di cui mi sono sempre fidato. Ma questa volta mi sembra assurdo che tu, da un giorno all’altro, mi venga a dire che sei veramente Stiles. Oh andiamo! Mi sembra assurdo persino dirlo.»
«Okay. Okay. Ti sei spiegato. Dopotutto non sei Scott e quindi non devo darti spiegazioni, né mi devo angustiare del fatto che ti ostini a non credermi.» concluse Stiles, allontanandosi dall’unica persona su cui avrebbe sperato di contare: il suo compagno di avventure.
«Dylan…» lo richiamò Tyler esasperato, ma Stiles non ebbe intenzione di voltarsi. Proseguì dritto per l’accampamento delle roulotte, finché non sopraggiunse dinanzi a quella con scritto il suo “nome fittizio”. Aprì la porta, addentrandosi in quella ferraglia arredata e semibuia. Accese le luci e si accorse che non fosse piena di bazzecole come quelle di Dylan/Liam. Le pareti non erano tappezzate di poster, non c’erano foto, incisioni, roba sporca sparpagliata in ogni angolo. Era come se fosse stata abbandonata da molto tempo o che fosse incustodita.
«Questa è la risposta alla domanda “Stiles, ma sei impazzito?”: no, ragazzi. Siete voi pazzi a credermi pazzo. Qui non c’è niente semplicemente perché Dylan O’Brien non esis…»
«Toc Toc. Dylan? Posso entrare?»
Qualcuno interruppe il suo sfogo alle sue spalle, qualcuno della cui voce Stiles non poté fare a meno di rabbrividire. Si voltò e la vide, splendida e raggiante come sempre.
«Ly… Ehm…» Stiles si bloccò, ripensando che sicuramente anche lei doveva possedere un altro nome. «Ciao. N-no, entra pure.»  
«Parlavi solo?» chiese la ragazza che per Stiles era solo Lydia, la Banshee e la ragazza per cui nutrì dei sentimenti per parecchio tempo… O forse non sparirono mai del tutto.
Stiles rise timidamente per celare le sue perplessità, massaggiandosi la collottola. «Stavo riflettendo ad alta voce. Hai bisogno di qualcosa… ehm… Tiana?»
«Tiana?» chiese la ragazza sorpresa e crucciata, non sapendo che in realtà Stiles stava solo tirando a indovinare il suo nome alternativo.
«Non è così che ti chiami?» tentò Stiles, penosamente.
«Tra Holland e Tiana c’è una gran differenza. Non ti pare?»
«Ma certo!» sostenne Stiles, sbuffando di sollievo. «Holland. Già! Hai bisogno di qualcosa Holland?» domandò nuovamente Stiles, evidenziando il nome e ghignando come uno sciocco.
«In realtà no. Ho parlato con Tyler…». Stiles cambiò espressione, incupendosi. «Probabilmente ti basta sapere questo per comprendere il motivo per cui io sia qui.»
«E senza eccezioni sarai l’ennesima persona che non crederà alle mie parole.» ribadì Stiles, sedendosi sul divano.
«Tyler è stato molto vago. Puoi raccontarmi meglio nei dettagli cosa ti è successo?» domandò Holland, accomodandosi accanto a lui.
«Dopotutto in te l’apprensione è rimasta.»
«Come dici?»
«No nulla. Okay, ti racconto. Ma se non ci credi, risparmiati le frasi consolatorie con cui tenterai di farmi credere pazzo.»
«Ti prometto che non ti giudicherò.»
Stiles iniziò a raccontare i pochi ma principali fatti che gli accaddero nelle ultime ore, ciò che aveva capito e le cose che non erano ancora chiare – e queste erano il triplo delle prime. Holland, durante il racconto, rimase inespressiva per non far trasparire la tipologia delle sue valutazioni al riguardo. Il racconto fu molto breve e conciso e, al termine, Stiles serrò le labbra, fissando Holland fin dentro le sue iridi verdi e sfavillanti per trarne qualche emozione.
«È tutto?» chiese Holland.
«Sì, per ora è tutto quello che so.»
«Okay. Sarò diretta. Ti conosco benissimo e, oltre al tuo carattere burlesco ed esuberante, conosco anche le tue capacità interpretative. E non stai recitando, come non stai mentendo. Sembri troppo sincero e sicuro di te quando ne parli. E non penso che, da un giorno all’altro, tu sia impazzito o il personaggio si sia impossessato di te.»
«Ribadisco: in te l’apprensione è rimasta. Sei tale e quale a Lydia.» asserì Stiles.
«Ho imparato qualcosa da lei.»
Sorrisero contemporaneamente, ma poi incombette la quiete.
«Una volta Lydia parlò di Pareidolia. Ricordo ancora la battuta: “Pareidolia: immaginare cose che non esistono. E' una sottoforma di apofenia.”» rise sotto i baffi mentre usava lo stesso tono altezzoso di Lydia. «Ed è per questo che sono costretta a dirti che non parteciperò al tuo tentativo di risolvere la questione. Non ho le risorse necessarie. Non voglio dire che non ti credo, ma solo che dovrai cavartela da solo.» aggiunse Holland.
Stiles fece spallucce, quasi si aspettasse una risposta del genere. Ma dovette ammettere in cuor suo che Lydia, a differenza della sua “gemella”, lo avrebbe aiutato, anche se la loro vita non fosse stata costruita attorno ai fenomeni sovrannaturali.
«Va bene. Fa niente. Non preoccuparti.»
«Sei sicuro?»
«Certo. Ora scusami, sono un po’ stanco e…»
«Figurati. Anzi scusami tu. Tolgo il disturbo. Buonanotte.» concluse Holland, salutando Stiles con un gesto della mano e lasciando la roulotte.
Stiles, sfinito e turbato, si buttò sul letto, stando supino. Prevedeva una nottata lunga e difficile. Del resto dormiva poco in casa sua, figuriamoci dentro a una roulotte estranea, su un letto scomodo e senza il suo cuscino personale, il solo con cui riusciva a prendere sonno. Decise che avrebbe rimandato all’indomani le ricerche di suo padre il quale, in quella specifica realtà, era solo un attore o meglio un uomo con cui non aveva nessun grado di parentela. L’unica cosa che di certo non avrebbe rimandato all’indomani era saperne di più sugli Spettri Illusionisti. Tyler aveva detto che provocavano allucinazioni alla persona oggetto del loro interesse, ragion per cui avrebbero sicuramente mostrato avvenimenti, cose o persone fittizie, frutto della loro perversa immaginazione. Ma perché proprio Stiles? Pensò di avere ragione quando credette di essere stato scelto perché era facilmente trascinabile dalle allucinazioni ereditate da sua madre. Ma le motivazioni del suo sequestro erano superflue quando, a soverchiarle, ci stava la frenesia di scoprire come tornare alla normalità. Se solo fosse esistito un modo… Comunque sia, pensò Stiles, da una porta si entra e si esce. “Se sono entrato da un accesso, da esso stesso potrò uscire” disse Stile tra sé e sé. “Fissato bene questo punto e compreso il modo in cui comportarmi con questa gente, direi che non c’è più niente che potrà andare storto.”
Tzz tzz.
Quel suono inaspettato ruppe il silenzio e costrinse Stiles a sopprimere le argomentazioni in mente. Il rumore continuò ancora, era simile a una vibrazione. La seguì faticosamente finché, sotto una rivista, trovò la fonte del rumore. Un cellulare. Quando lo prese smise di vibrare, ma sullo schermo apparve la chiamata persa di una certa Britt. “Sarà il mio cellulare… O meglio, quello di Dylan” pensò Stiles. Decise di curiosare un po’ in quel telefonino, ma si accorse del codice segreto da inserire per sbloccare lo schermo.
«Okay. Pensa come Dylan.» disse Stiles. «Sì, Stiles. Ottima idea. Peccato che a questo Dylan non lo conosci per niente.». Fissò il cellulare come fosse un topo morto, ma tentò in qualsiasi modo. Scrisse “Dylan”, ma niente. Negativo anche per Wolf, Teen Wolf, Stiles, Malia… Travolto dal nervoso provò anche con “Sono idiota”, ma senza risultati. Stava per arrendersi. Tuttavia Stiles rimaneva pur sempre il figlio di uno sceriffo e nel sangue scorrevano i geni dell’intuito. Ricordò il nome comparso sullo schermo e lo digitò come codice segreto. Il cellulare si sbloccò e apparve una foto sulla schermata iniziale: lui insieme ad un ragazza bionda e dal viso allegro. Stiles stava cominciando a diventare di un colore eburneo. Andò nella galleria e decise di scorrere tra le foto, alcune erano fortemente imbarazzanti, ma la maggior parte lo ritraevano con la stessa ragazza dagli occhi blu. Non ci volle molto per comprendere chi fosse e, con gli occhi persi nel vuoto, le palpitazioni ferme da pochissimi millesimi di secondo e ripensando alla sua ormai dissolta certezza per cui niente sarebbe andato più storto, esclamò: «Sono fidanzato con un’altra ragazza!» 

 
ANGOLO DELL'AUTRICE
Okay, forse questo capitolo non sarà dei migliori, ma mi
è servito ancora una volta per evidenziare la differenza tra il mondo di Stiles
e il mondo di Dylan. 
Sandra Sammito

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Capitolo 4
*** Vita da attori ***


4. VITA DA ATTORI
 
Fino a qualche anno prima, Stiles credeva che avrebbe vissuto il resto della sua vita da single e detestato – nonché rifiutato – dagli esseri viventi di genere femminile. Con l’arrivo di Malia la situazione si ribaltò in positivo e già si sentiva fortunato ad avere lei che lo apprezzava e lo amava. Ma adesso riconoscere che il suo io parallelo aveva una relazione con un’altra e per nulla oscena ragazza, lo rese incerto tra l’apprezzarlo con autostima di sé o l’allarmarlo a causa della relazione con Malia. Benché la bionda fosse un’attraente ragazza dalle labbra perfette e degli occhi attraverso cui si poteva scorgere l’oceano, Stiles fu travolto comunque dalla nostalgia. La mancanza di Malia tuonava nel suo cuore, facendosi sentire come il clangore di malinconiche campane notturne. Si chiese se nel suo mondo, nella vera Beacon Hills, la sua mancanza si stava facendo sentire e se i suoi amici si stavano impegnando per capire dove fosse andato e perché era scomparso.
Il cellulare vibrò nuovamente, dissuadendolo dal malumore. Era ancora una chiamata in arrivo da Britt. «Fantastico! Presumo che sia proprio lei. E ora che faccio?» rifletté Stiles, con la mano tremolante, la stessa su cui il cellulare non smetteva di vibrare. Pervaso dalla confusione e da un pizzico di curiosità, premette su Accetta.
«Ehi Britt!» rispose con finta dolcezza per apparire disinvolto.
«Britt? Wow. Da un giorno all’altro hai smesso di chiamarmi Cucciola o Tesoro.» disse Britt dall’altro lato del telefono.
«Scusami… Ehm… O-oggi non ci sono con la testa e… Uhm… Ma eeehi, ciao cucciola.» balbettò Stiles imbarazzato e sentendosi completamente un idiota.
«Va tutto bene? Sembri leggermente strano.»
«Mi trovi strano? N-no tesoro. Cosa te lo fa pensare?»
«Magari il tuo continuo farfugliare!»
«Ah ah ah. Sono solo emozionato di parlare con te.» espresse Stiles con una mellifluità incomparabile.
«Oh, amore mio. Quanto sei dolce!»
“Sì… Malia, ti prego. Perdonami ovunque tu sia” pensò Stiles.
«Comunque ti ho chiamato con un certa insistenza perché ho una brutta e una bella notizia. Quale vuoi sentire prima?» aggiunse Britt.
«Guarda, in questo momento fa lo stesso…». “Perché anche le belle notizie potrebbero non essere tali per me” completò la frase in mente.
«Okay. Inizio con la brutta notizia. Il regista del film che stiamo girando ha dichiarato di dover sospendere le riprese per affari che non ci ha specificato. Quindi per ora sono libera come l’aria.»
«Mi dispiace per l’interruzione tesoro.» disse Stiles, dando sempre un accento forzato sui nomignoli, poiché erano pieni di pentimento.
«La bella notizia è che, essendo libera, ho pensato di venire a farti visita lì. Che ne dici?»
«Oh mer…» disse impulsivamente Stiles, fermando in tempo la sua imprecazione.
«Cosa?»
«OH MERavigliosa idea, tesoro.». Come immaginava, anche le belle notizie potevano risultare l’inverso.
«Sei contento? Almeno stiamo un po’ insieme. È da tanto che non abbiamo un po’ d’intimità noi due.»
«Già… Intimità…». Stiles si portò una mano sulla bocca, immaginando già il fatidico momento in cui, faccia a faccia con Britt, non avrebbe saputo fingersi Dylan. «E quando verrai?»
«Sono già in viaggio. Penso di arrivare domani mattina.»
«DOMANI?» urlò Stiles, senza contegno. Poi si schiarì la voce e riformulò, con più calma. «Domani? Wow. Così presto?»
«Per forza. Posso stare massimo tre giorni. Ti prometto che non assisterò alle tue riprese. So che non vuoi che io sia presente perché ti causerei distrazioni. Tranquillo.»
«Questo non sarà un problema… Credo. Il regista mi ha dato tre giorni di pausa.». E in quel momento avrebbe voluto tornare indietro di due ore per rifiutare l’offerta di Russell e applicare tutto se stesso nei panni di un attore.
«Come come? E perché mai?»
«Non do il meglio di me sul set.»
«Mmh. È perché ti manco. Ammettilo.»
Stiles si lamentò sommessamente, ma poi diede la risposta che la sua “ragazza” desiderava. «Sì. Mi manchi.»
«Tranquillo. Appena arrivo ti faccio riprendere io, stallone.»
“Stallone?!?!”. Stiles arrossì nel sentirsi chiamato così. E poi cosa intendeva dire Britt con questo? “Oh mamma!” «Non vedo l’ora.» mentì, mordendosi le labbra.
«Okay, allora ci vediamo domani mattina. Un bacio.»
«D’accordo. Buonanotte cucciola
«Ti amo.»
Stiles riattaccò volutamente prima di poter rispondere. Solo che rifletté su come ci rimase sicuramente male Britt e scosse la testa, sentendosi uno stronzo.
«Oh. Ma andiamo! Che m’importa? Lei non è la mia ragazza.» brontolò, sdraiandosi sul letto.
Aveva tutte le buone intenzioni di dormire, ma il suo sguardo si volse spontaneamente verso un portatile sul comodino. Gli balenava in testa l’idea dal primo istante in cui capì che la sua storia era raccontata in una serie TV e adesso era la sua occasione. Aprì il portatile, accese Internet – che fortunatamente era collegato grazie a una rete Wi-fi – e digitò Teen Wolf. Apparirono una serie infinita di risultati, accompagnati da immagini promozionali. E tutte le immagini erano foto in cui egli era onnipresente, in pose semi-spontanee, accanto ai suoi amici. Tutti seri, ritoccati da Photoshop, alcune in cui erano circondati da un fioca nebbia grigiastra, altre in cui erano nel loft di Derek. Non si riconobbe in quelle foto, addirittura s’imbatté in immagini che ritraevano scene del telefilm, ma che Stiles ricordava benissimo di aver vissuto in prima persona. Come per esempio il suo primo bacio con Malia nei sotterranei di Eichen House o quando scrisse le sue iniziali con i suoi amici sugli scaffali della biblioteca della scuola per perpetuare il loro ricordo al liceo. Era tutto così assurdo. Trovò anche la sigla iniziale della serie TV su Youtube. Partì la canzone e vide Scott che sollevava una coltre di polvere, sbattendo un pugno sopra il terreno, e già in quell’istante Stiles assunse un’espressione sconvolta. Il colpo grosso arrivò con lui che intrecciava i fili rossi delle sue indagini nel tentativo di risolvere uno dei mille casi enigmatici e con ciò il suo trauma aumentò.
«O mio dio. Che diavolo…?». Apparvero Lydia, la sua amata Malia, Kira che baciava di sfuggita Scott e Liam, con l’alternarsi delle orribili immagini dei Dottori della Morte. «Ma stiamo scherzando?!» esclamò ancora Stiles. «È da brivido!»
Stava per continuare le sue ricerche, quando un rumore attutito proveniente dall’esterno lo distrasse. Chiuse il portatile e uscì dalla roulotte con passo felpato. Fuori non c’era più anima viva e regnava un silenzio spettrale. Il rumore improvviso, questa volta più vicino, lo fece sussultare. “Dov’è la mia mazza da baseball quando serve?” si domandò Stiles, sbirciandosi intorno. Aveva un brutto presentimento e il suo intuito non errava mai. Prese piccoli respiri dalla bocca e decise di controllare, per maggior sicurezza, sul retro della roulotte. Morire, soffocato durante la notte, era l’ultimo modo in cui avrebbe voluto essere ucciso ed essere ucciso era la prima cosa che avrebbe voluto non dover mai affrontare. Raggiunse il retro, immergendosi nella penombra. Ma, improvvisamente, la luce abbagliante di una torcia gli venne puntata addosso ed egli sobbalzò.
«Chi va là?» domandò, ponendo le mani avanti come per proteggersi.
«So cos’hai fatto.» rispose una voce alterata e cupa.
«Che cosa? Cos’ho fatto?»
«So che l’hai ucciso.»
«Ma cosa dici? Ucciso? Io non ho ucciso nessuno.» si discolpò Stiles, indietreggiando. Non riuscì, però, a scorgere a pieno la fisionomia del misterioso tizio di fronte a lui.
«È così che dicono tutti. Non l’ho ucciso io, io non c’entro niente. Ma sai che c’è? Ti meriti il peggio.».
Il tizio davanti a lui gli puntò una pistola contro e sparò un colpo. Colpì Stiles sull’addome ed egli si lamentò fortemente, reggendosi sulla roulotte e indietreggiando ancora, finché non raggiunse un punto illuminato. Un altro sparo risuonò nel luogo e lo colpì alla gamba.
«Smettila! Che cosa ti ho fatto?» urlò Stiles, inciampando per terra ma continuando ad arrancare per trovare riparo. Si sentì un terzo sparo, ma questa volta Stiles non avvertì dolore, bensì solo una grassa risata da donna. Si voltò e vide, ritta davanti a lui, Shelley, la quale abbassò l’arma e rideva con soddisfazione. Gli bastò un attimo per capire che la pistola fosse finta, dato che il dolore sull’addome e sulla gamba cessò, senza perdita di sangue o lesioni.
«Ma sei impazzita?» chiese Stiles, alzandosi in piedi e scrollandosi della polvere di dosso.
«Mi dovevo vendicare.» rispose Shelley, conservando la pistola in tasca e spegnendo la torcia.
«Per cosa?»
«E me lo chiedi? Per lo scherzo che mi hai fatto tu una settimana fa. Io non dimentico nulla. Tu hai dimenticato?»
«Ehm… Uff. Okay. Semplicemente non so di cosa tu stia parlando. Sono sincero.» ammise Stiles.
«Davvero? Strano. Eri così appagato e ridevi come un maniaco, che in faccia ti si leggeva: non scorderò mai questo spassoso momento.»
«Non voglio neanche chiederti di che scherzo si tratti.»
Stiles entrò nella roulotte, fiancheggiato da Shelley. Lei, come fosse a casa sua, si accomodò sul divano e accese il display del suo cellulare. Da un lato Stiles fu felice della compagnia della ragazza, perché lo faceva sentire più vicino a Malia. Erano così uguali loro due che avrebbe voluto saltarle addosso e darle solo un semplice e dolce bacio sulle labbra.
«Posso rimanere un po’ qui? Non riesco a dormire.» chiese Shelley.
«C-certo. Neanch’io ho sonno.»
Pausa. Silenzio. Stiles dissimulò il suo stato d’animo dietro a un sorriso a denti stretti.
«Come sono andate le riprese oggi?» domandò Shelley.
«Be’ sarebbero potute andare meglio. Ho sbagliato molte battute.»
«Dylan O’Brien che sbaglia le battute? Sacrilegio!» esclamò Shelley, ironicamente stupita.
«Dylan O’Brien ha perso un po’ di se stesso oggi.»
«Che vuoi dire?»
Stiles era tentato di raccontare anche a lei gli eventi inspiegabili, ma credette che sarebbe stata l’ennesima persona che non gli avrebbe creduto e in quel momento aveva bisogno di parlare con lei, senza che lo guardasse con dubbio e distacco.
«Nulla. Ho nostalgia di casa.»
«Ti capisco. Anche io.»
Stiles sogghignò dolcemente perché entrambi intesero cose diverse: lei voleva tornare a casa sua in senso letterale, ma lui voleva tornare nella sua realtà, in cui poteva essere se stesso.
«Russell mi ha concesso tre giorni di pausa.» dichiarò Stiles.
«Allora? Perché non ne approfitti? Parti e ritorna a casa.»
«Per ora l’unico luogo in cui posso e devo stare è qui.»
«Qui? Perché ti mantieni concentrato?»
«No, perché ci sei tu…» disse impulsivamente Stiles, spinto emotivamente dal profondo del cuore. «… e Tyler, Holland, Dylan…» si corresse, dato che Shelley aveva già assunto un’espressione accigliata.
«Ah. Per un attimo avevo pensato: “Oddio. Dylan si è preso una cotta per me!”» disse Shelley, ridendo.
«Ti stupiresti?»
«Credo di sì. Tu sei fidanzato e so che sei molto fedele a Britt. Quindi è ovvio che mi stupirei.»
«Potrebbe capitare di tutto in questo periodo, persino che io cambi idea sui miei sentimenti.» specificò Stiles.
«Okay. Dopo questa temo di dovermi preoccupare seriamente.»
«Posso farti una domanda?»
«Basta che non riguardi la nostra intimità.»
«No. Volevo chiederti… Se io ti dicessi una cosa assurda, a cui è quasi impossibile poter credere senza prove garantite, che si allontana completamente dalla normalità, ma di cui io sono sicuro e per cui ho bisogno d’aiuto, tu mi daresti una mano?»
«Anche due.» rispose diretta.
«Dici sul serio?»
«Mi piacciono le cose assurde e se si tratta di dover affrontarle in aiuto di un amico, lo farei anche se dovessi soverchiare le leggi dell’universo.»
«Io ti adoro!»
«Anche io mi adoro.» asserì Shelley, fingendosi tronfia.
«Il problema è se nei fatti ti comporterai come tale.»
«E tu mettimi alla prova.» mormorò Shelley, avvicinandosi a Stiles e sfiorando per pochi centimetri la punta del suo naso. 


 
ANGOLO DELL'AUTRICE
Nella parte in cui parlo dello scherzo fatto da Shelley a Stiles mi sono ispirata
a uno scherzo fatto realmente da Shelley a Dylan, sul set di TW.
Se non lo aveste ancora visto, vi consiglio di andarlo a guardare. Troppo divertente!
Sandra Sammito

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Capitolo 5
*** Il vero Stiles Stilinski ***


5. IL VERO STILES STILINSKI
 
Shelley, talmente vicina a Stiles, gli provocò una stretta al cuore e un tumulto allo stomaco tale da serrargli il respiro e fargli credere che da un momento all’altro sarebbe crollato a terra, svenuto. I suoi occhi… Lo sguardo profondo di chi riesce a controllarti la mente con la sola forza del pensiero, l’espressione furba e civettuola che cela la pura dolcezza femminile. La sua pelle levigata, il suo viso arrotondato e dalle linee delicate, desiderabile come un fiore profumato sbocciato in piena primavera.
«Malia.» sussurrò Stiles, socchiudendo gli occhi e protendendosi verso di lei. Fu, però, fermato con un dito di Shelley sulle sue labbra.
«Dylan. Hai bisogno che ti schiarisca le idee?» domandò Shelley, mordendosi un labbro.
«No, perdonami. Non so che mi è preso.» ammise Stiles, riprendendo le distanze.
«Dai, mettiamoci una pietra sopra e passiamo ad un altro argomento. Ti ho detto di mettermi alla prova, quindi eccomi qui. Dalla tua domanda ho dedotto che ci sia veramente qualcosa di cui vorresti parlarmi, ma a cui temi io non creda. Quindi puoi anche iniziare a dirmi che ti è successo.»
«So che me ne pentirò, ma voglio tentare.»
«Spara!»
La sua esclamazione fece venire in mente a Stiles un breve flash di alcuni minuti prima in cui Shelley, da brava attrice, per poco non gli avrebbe provocato un infarto a causa di uno scherzo vendicativo.
«Okay.». Stiles si schiarì la voce e prese un lungo respiro dalla bocca. «Non sono Dylan O’Brien.»
Shelley arricciò il naso, confusa. «Non credo di aver afferrato il concetto.»
«È quello che ti ho detto. Non. Sono. Dylan. O’Brien.» scandì Stiles, seguito dalle sue spallucce.
«Non sei Dylan O’Brien?» chiese Shelley per conferma.
Stiles annuì, con un sorrisino sornione sulle labbra.
«E allora chi sei?»
«Sono Stiles Stilinski.»
«In Teen Wolf.» asserì Shelley con tono di ovvietà.
«No, nella realtà.»
I due si guardarono, lei allibita, lui ottimista. La pausa, però, fu subito seguita da un’altra grassa risata da parte della ragazza.
«Lo sapevo.» disse Stiles, arreso, rassegnato, pentito e deluso. Scosse la testa, continuando a chiedersi cosa gli fece credere che Shelley gli avrebbe dato retta.
«No, aspetta. Fammi capire bene. Tu sei Stiles Stilinski nella realtà? E come saresti arrivato qui?»
“Abbiamo fatto trenta” pensò Stiles “facciamo trentuno”. Decise di raccontarle tutti gli eventi, dato che ormai la frittata era stata fatta. A differenza di Holland, però, Shelley annuì a ogni parola di Stiles, proprio come se gli desse ragione. O forse stava solo confermando nella sua testa la sua ipotesi riguardo alla schizofrenia disperata di Dylan.
«…e quindi adesso sono qui, a parlare con te, Shelley, su cui in realtà vedo solo Malia. E questo mi provoca nostalgia.»
«Hai raccontato la storia agli altri?»
«Certo. Tyler cioè Scott non vuole credermi; Lydia o meglio Holland mi crede, ma non vuole aiutarmi. Tutto il resto del cast, per non parlare del regista, al momento hanno associato la mia immagine a quella di un pazzo che ha necessità di trovare delle risposte ai suoi problemi esistenziali.»
«Io ti credo e voglio aiutarti.» affermò Shelley, con il mento all’insù.
«Aspetta un momento. Mi hai appena detto che mi credi e che vuoi aiutarmi?»
«Oltre ad aver cambiato personalità, sei diventato anche duro di comprendonio? Sì, ti aiuterò per quel che potrò. Se andrà bene, buon per te. Se andrà male, ti conviene iniziare dei corsi di recitazione.»
«Ma… Io ti amo.» ammise Stiles, facendo per abbracciarla.
«Ehi ehi. Però a condizione che tu contenga le tue pulsioni emotive.»
«Okay.»
«Sai già da dove cominciare?»
«Veramente gli unici indizi, finora, sono gli Spettri Illusionisti, coloro che mi hanno portato qui. Il problema sta nel fatto che oggi li ho incontrati, ma mi sono sembrati solo dei ragazzini che hanno persino paura della loro ombra, figuriamoci. Poi magari potrebbero anche sembrare innocui, nascondendo la loro malvagità dietro ai loro visini innocenti.»
«Stai parlando di Ian, Ethan, Carissa ed Helen?»
«Sono i nomi dei ragazzi che interpretano gli Spettri Illusionisti?»
«Esatto.»
«Bene. Allora li persuadiamo domani e li costringiamo a dirci la verità.»
«Ti ricordo che non possiedo poteri sovrannaturali da Coyote mannaro dietro cui sei abituato a nasconderti. Perciò se la tua idea è quella di intimidirli, temo che dovrai abituarti alla condizione di normalità di questo mondo.»
«Okay. Vorrà dire che ricorreremo alle nostre capacità naturali. Io sono bravo a intimidire.» dichiarò Stiles, assumendo un’espressione fiera e risoluta.
«Con quella faccia?» chiese Shelley, palesemente sarcastica.
«Spiritosa. Vedrai di cosa sono capace.»
 
Shelley lasciò la roulotte di Stiles quando le lancette dell’orologio segnavano le 23:10. Shelley credette sinceramente alla storia di Stiles e si fece trasportare dall’incredibile faccenda, così che pose a Stiles un mare di domande sulla vera vita a Beacon Hills. Stiles, del resto, non poté che accontentarla con piacere, rendendosi conto che, o Malia o Shelley che fosse, lei gli credette senza obiezioni. Ed era proprio quello che sperava da lei, sostegno e comprensione, e si convinse che più che sicuramente, l’amore che provava nei suoi confronti, era vero e destinato.
La mattina seguente Stiles fu svegliato traumaticamente da ripetuti e assillanti bussi alla porta. Ci aveva messo due ore quella notte a prendere sonno e, quando vide che sullo schermo del cellulare l’orario segnava le otto, maledisse chiunque l’avesse svegliato con tanta insistenza e foga. Per una volta avrebbe potuto dormire di più e invece fu costretto a svegliarsi.
«Sì sì SI!» urlò Stiles e si alzò dal letto, avviandosi verso la porta e trascinando con sé tutte le lenzuola. Aprì e vide dinanzi a sé il viso sorridente e pimpante di Shelley.
«Buongiorno dormiglione» esordì Shelley, le cui linee morbide del suo corpo erano illuminate dai fitti raggi solari. «Pronto per andare a minacciare qualche pivello?»
«Mi sembra che sia più tu a fremere per tornare a Beacon Hills che io.» asserì Stiles, rientrando nella roulotte a causa dell’aria frizzantina che gli solleticò i piedi.
«È solo che sono curiosa di capirne di più. Ti aspetto fuori. Non ci mettere tanto a prepararti.» lo avvertì Shelley, appoggiando la schiena alla roulotte.
Mentre Stiles eseguiva gli ordini specifici della ragazza, formulò in testa le frasi da rivolgere alle loro prossime “vittime”, pur sapendo che non avrebbe ottenuto altro che risultati negativi. Il fatto era che la sua vocina interiore gridava a squarciagola che quella non era la pista giusta da seguire, che quei ragazzi non gli avrebbero dato le risposte a cui ambiva, che qualcosa gli era sfuggito.
Pronto e sistemato, indossando dei vestiti puliti trovati dentro l’armadio, uscì dalla roulotte. Shelley era ancora lì, immersa nella scrittura di un messaggio sul cellulare.
«Ehi ce l’hai fatta! Pensavo che ti fossi accasciato di nuovo sul letto.»
«Sono stato svegliato in un modo molto brusco per riuscire a dormire. Quindi…» ironizzò Stiles, con una nota di rabbia, smaterializzatasi alla vista degli occhi di Shelley. «Andiamo?»
«No, aspetta. Prima voglio fare una foto con te. Sorridi!». E Shelley scattò un selfie con il suo cellulare, nella cui foto Stiles venne abbagliato e con gli occhi sgranati dalla sorpresa.
«Perché hai fatto una foto?»
«Be’ almeno potrò vantarmi di aver scattato una foto con il vero Stiles Stilinski.»
Stiles sorrise, incredulo. «Sai? Mi sembra ambiguo il modo in cui ti stai fidando di me.»
«Smettila di complessarti e andiamo.» disse Shelley, facendogli un segno del capo per incitarlo a seguirla.
«Ehilà!» disse una voce alla loro spalle.
I due si voltarono simultaneamente. Una ragazza, bionda e di bassa statura, si avvicinò a passo spedito nella loro direzione, trasportando un borsone chiaramente pesante. Stiles la guardò dapprima con distacco, chiedendosi se fosse un’altra attrice appartenente al cast, e in seguito si irrigidì a tal punto da apparire paralizzato. Era Britt, la sua “ragazza”.
Una volta giunta dinanzi a loro, lasciò andare il borsone nelle fauci della polvere e allargò un sorriso splendente.
«Finalmente!» esclamò, saltando addosso a Stiles e stampandogli un lungo e passionale bacio sulla bocca. Stiles era più pietrificato di prima. Una ragazza sexy e seducentemente graziosa gli si era avvinghiata addosso come un koala e lo lasciò in carenza di idee sul come comportarsi. Aveva completamente cancellato dai programmi l’arrivo di Britt e se ne rese conto solo in quel momento e troppo tardi.
«Ehi cucciola.» espresse Stiles, le quali mani gli andarono istintivamente sul sedere di Britt. Ma non perché non vedesse l’ora di tastarlo, semplicemente perché se non l’avesse sorretta in qualche modo, sarebbero precipitati a terra a causa del peso sbilanciato e spinti dalla forza di gravità.
«Shelley?» disse infine Britt, distaccandosi da Stiles.
«Britt! O mio dio. È un immenso piacere vederti!» esclamò Shelley.
Le due ragazze si abbracciarono amichevolmente, felici di incontrarsi. Agli occhi di Stiles, però, quella scena non poté che suscitare sgomento. La sua ragazza del mondo parallelo stava abbracciando la sua ragazza reale ma presente in un’altra veste. Era così strano che, per un breve frangente di tempo, avrebbe voluto svignarsela.
«Voi due perciò vi conoscete.» aggiunse Stiles, fingendo che la cosa fosse ovvia.
«Che domande fai? Certo. Non ti ricordi? Abbiamo recitato insieme nella serie The Secret Circle.» precisò Britt, accarezzando i capelli di Shelley.
«Sì, probabilmente ha avuto una rapida amnesia.» lo difese Shelley, l’unica che conosceva il perché dei dubbi del finto Dylan. «E come mai sei qui?»
«Abbiamo sospeso le riprese e ho pensato bene di passare un po’ di tempo con il mio amatissimo smemorato.» rispose Britt, sorridendo affabilmente a Stiles, il quale ricambiò con un sorrisino imbarazzato. «Ammesso che non abbiate altri programmi. Dove stavate andando?»
«Uhm…»
«Anzi no, non importa. Poso il borsone e vi seguo.». E senza dare il tempo di obiettare, Britt fece quanto detto.
“Fantastico!” pensò Stiles, scuotendo la testa.
«Bene. Andiamo.» annunciò Britt, intrecciando le sue dita in quelle di Stiles.
“Si prospetta una giornata tranquilla” disse il ragazzo fra sé e sé.
 
I tre s’incamminarono verso la loro meta, quando invece Stiles e Shelley si guardavano perplessi di continuo per trovare un diversivo. Britt gli baciò la mano tre volte da quando erano insieme e gli stava incollata come una fidanzatina innamorata. Solo che Stiles si sentiva di troppo.
«Le racconto tutto e basta.» mormorò Stiles a Shelley.
«Non pensarci nemmeno. Britt è molto legata a te… Cioè a Dylan. Ne soffrirebbe.»
«Ovvio, pensiamo a Britt. E a me chi pensa? D’altronde sono io a dover tenere la mano a una sconosciuta e a sorriderle impacciatamente perché non so cosa dirle.»
«Ragazzi, va tutto bene?» li interruppe Britt, alla sinistra di Stiles.
«Sì.» risposero all’unisono i due ragazzi.
Britt sorvolò. Continuando a camminare, Stiles riprese la sommessa discussione con Shelley.
«E con Ian, Carissa eccetera come la mettiamo?»
«Io te li indico e…»
«So già chi sono.» puntualizzò Stiles.
«Okay. Quando sarà il momento, io distrarrò Britt, lasciandoti via libera.»
«Un bel piano, davvero. Come la metti con la differenza quantitativa? Ti ricordo che saremo uno contro quattro. Non so se mi spiego. Potrebbero attaccarmi e…»
«Stiles, non ti attaccheranno in pubblico. E poi hai detto che riuscivi a intimidire la gente. Sfrutta le tue qualità.»
Stiles sbuffò. «Spero che ne sarà valsa la pena.»
  
Giunsero in una sorta di angusto spiazzo circolare, dove erano allestiti dei tavoli imbanditi di cibo e della gente si rifocillava, riempendo i propri piatti. Tra questi c’erano anche Russell, il regista, che discuteva con un altro giovane uomo; Liam ossia Dylan, seduto insieme ai finti Hayden, Mason e Corey; più tutta la troupe e lo staff della serie. Stiles ispezionò il luogo alla ricerca dei visi che ricordava, cercava soprattutto dei capelli rossicci.
«Ehi, occhio da lupo.» disse Shelley, schernendolo. «I ragazzi sono lì, in fondo sulla destra.». La ragazza gli indicò il punto con un cenno ed eccoli lì, Stiles li vide confabulare in modo sospetto, seduti attorno a un tavolo da picnic.
«Ehi tesoro. Io devo sbrigare una faccenda. Torno subito. Tu… Rimani con Shelley, okay?» disse Stiles a Britt, dissolvendosi senza darle il tempo di ribattere. Per fortuna Shelley la distrasse, accompagnandola verso i tavoli apparecchiati e chiedendole se aveva fatto colazione.
Intanto Stiles si era già incamminato a passi larghi verso il gruppetto di ragazzi. “Sono tutti e quattro insieme, quindi vuol dire che stanno architettando qualcosa” pensò Stiles, ormai così vicino ad essi da poter udire i loro discorsi. Questi, però, vennero interrotti quando il ragazzo rossiccio, che pareva essere il capo della ghenga, indicò agli altri la presenza di un quinto indesiderato.
«Dylan» esordì il ragazzo, accigliandosi. «Ti serve qualcosa?»
«Sì» rispose seccamente Stiles, poggiando le mani sul tavolo. «Voglio sapere cosa mi avete fatto?»
«Noi? Di cosa parli?» domandò il ragazzo.
«Lo so io di che parla. Anche ieri, durante le riprese, ci ha posto la medesima domanda.» aggiunse la ragazza che, il giorno prima, lasciò il set irritata. Il ragazzo dai capelli rossi iniziò ad annuire, ricordando l’avvenimento. Lo seguì lo sghignazzare del ragazzo accanto a lui.
«Faceva tutto parte della scena spero.» disse il rosso.
«Okay, mettiamo in chiaro una cosa Ian…»
«Sono Ethan.»
«Ah. Va bene dettagli, Ethan. Inutile che fingiate con me, perché se sono intrappolato qui è solo per colpa vostra. Quindi fareste bene a confessare e io vi redimerò dai vostri peccati.»
Questa volta fu la ragazza Miss Irritazione a ridere miseramente.
«Non ci trovo nulla da ridere. Vi spacciate per attori, ma non lo siete… E se lo volete sapere siete pure scarsi.»
«Intanto, dal momento che tu sei un attore affermato del grande cinema, non hai il permesso di offendere il nostro lavoro e la nostra idoneità. E poi ha ragione Russell, ti si è fuso il cervello. Siamo gli Spettri Illusionisti, certo… Ma per finta. Il lavoro degli attori è questo: fingere bene. Lo sai vero?» rettificò Ethan.
«Appunto. Vuol dire che sapete nascondere anche la vostra vera identità.»
«Senti, Dylan. Vai a rompere le scatole da un’altra parte.» gracchiò colui che doveva chiamarsi Ian.
«Non mi farò abbindolare dai vostri faccini.»
«Lo vuoi un consiglio? Ripassa il copione. Non ci tengo a perdere il lavoro per colpa tua. Andiamo ragazzi.» ordinò Ethan. I quattro ragazzi si allontanarono, lasciando Stiles inebetito e confuso.
“Può essere che dicano la verità?” si chiese. “Ma le loro facce non mi piacciono per niente.”
Tornò indietro, raggiungendo Shelley e la sua ragazza. Quest’ultima stava imboccando gli ultimi morsi di pancake, mentre Shelley le raccontava qualche aneddoto sulla sua vita.
«Ehi.» si annunciò Stiles, sedendosi di fronte a loro.
«Stavo raccontando a Britt quanto è difficile recitare accanto a un tipo esuberante come te. Ed è veramente arduo, non scherzo. Le scene in cui dovevamo scambiarci qualche bacio, finivano sempre con l’essere interrotte dalle mie risate. Non è serio per niente.»
«Ne so qualcosa.» rispose Britt, ostentando un sorriso sornione. «Vado a prendere da bere.»
Rimasti soli, Shelley chiese frettolosamente a Stiles come fosse andata.
«Male. Pare che i quattro non sappiano veramente niente, anche se la loro austerità mi lascia perplesso.»
«Allora devi cambiare pista. Ho pensato che potresti rivolgerti a Jeff Davis. È lui l’ideatore della serie e colui che scrive gran parte dei copioni. Lui conosce la storia. Potrebbe essere di buon aiuto.»
«Lui è qui?»
«No, però ho sentito che arriverà domani.»
«D’accordo. Grazie Shelley.»
«Figurati. Adesso però devo andare. Iniziano le riprese. Per colpa della tua “sospensione”, hanno cambiato i programmi e adesso dovrò girare una scena che non avevo ancora studiato.»
Stiles se la rise sotto il naso. «Be’ allora in bocca al lupo.»
«Crepi Stiles… Oh cavolo, com’è strano dirtelo sul serio.»
Shelley scappò via, seguendo il resto del cast. Stiles, allora, attese l’arrivo di Britt e quello di un’altra marea di problemi di diverso tipo. Quando la ragazza bionda lo raggiunse con una camminata sensuale, lo tirò a sé per un braccio e lo abbracciò dolcemente, annusando a fondo la sua pelle.
«Hai cambiato profumo?» chiese Britt, arricciando il naso.
«N-no, è sempre lo stesso… Credo.»
Britt si morse un labbro e riprese a sorridere maliziosamente. «Vieni con me, stallone. Abbiamo una bella mattinata davanti.» sussurrò Britt, tirando ancora Stiles in direzione delle roulotte.
“Si mette male. Si mette malissimo” ripeté Stiles nella testa, celando dietro al suo sguardo birbante un disordine di emozioni che sfrecciavano nel suo corpo, in svariate direzioni e senza controllo.

 
ANGOLO DELL'AUTRICE
Chissà come andrà a finire tra Britt e il povero Stiles.
Lo scoprirete nel prossimo capitolo.
Sandra Sammito

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Capitolo 6
*** Una tenera finzione ***


6. UNA TENERA FINZIONE
 
Stiles e Britt sfrecciarono come schegge in mezzo al via vai di gente, più che altro era Britt a trainare la loro lunga corsa verso la roulotte di Dylan. A Stiles sorsero in mente brutti presentimenti. D’altronde, cosa ci si poteva aspettare da una fidanzata innamorata che non vedeva il suo ragazzo da tempo indeterminato? La risposta era palese e c’era poco tempo per riflettere e per decidere da cosa farsi trascinare: dall’istinto o dal raziocinio?
Giunsero alla roulotte la quale, in quel momento, a Stiles parve il luogo più pericoloso in cui si fosse mai addentrato. Britt chiuse la porta con un’impazienza incontrollabile, mentre Stiles si sentì messo con le spalle al muro.
«Vieni qui.» mormorò sensualmente Britt, ritornando ad avvinghiarsi a Stiles con foga. I suoi baci, questa volta, erano molto più passionali di prima, impetuosi e affabili.
«Tesoro… Non credi che…» cercò di dire Stiles tra un bacio e un altro «…sarebbe meglio parlare… un po’…non so…del lavoro…di te…»
«Shh, zitto. Non è il momento di parlare» sussurrò Britt, lambendo ancora una volta le labbra di Stiles, finché non introdusse anche la lingua.
“Sono fottuto” disse Stiles fra sé e sé, pensando a un modo per impedire che tra loro si consumasse un rapporto molto più intimo.
«Davvero…sarebbe una mattinata...più piacevole…se parlassimo un po’» continuò a tentarla.
«Mi piace quando cerchi di frenarmi a vuoto». Britt si sfilò la maglietta, mostrandosi a Stiles con il solo reggiseno in pizzo. Lo spinse, costringendolo ad arretrare, e poi lo gettò sul letto come una felina inferocita. Stiles, a bocca aperta, era entrato in uno stato di apnea, non tanto perché non aveva mai assistito a pieno a una battaglia ormonale femminile, bensì perché i suoi muscoli si erano irrigiditi a tal punto da immobilizzarlo. Britt ovviamente riprese il contatto corporeo con il ragazzo e questa volta gli passò le dita tra i capelli, mentre il suo seno era premuto contro il viso di Stiles. Quest’ultimo, a differenza della ragazza, sembrava una statua: non si muoveva, non faceva neanche il tentativo di sfiorarla flebilmente con le dita, niente di niente. Il ricordo di Malia, però, prese il sopravvento e, improvvisamente, si risvegliò dallo stato di trance.
«Smettila. Non lo posso fare.» si lamentò, spingendo Britt lontano e scattando in piedi. “Almeno sono ancora vestito” pensò, autocongratulandosi con se stesso per essere riuscito a sopprimere la tentazione.  Britt, ragionevolmente, ne rimase delusa e la passione, accesa nei suoi occhi, si spense.
«Scusa. Perdonami.» Stiles stava per sputare il rospo, ma ripensò alla frase di Shelley sul fatto che Britt fosse molto affezionata a Dylan e avrebbe sofferto di una possibile rottura. «È solo che non mi va» mentì, massaggiandosi la collottola.
«Va bene» disse, chinando gli occhi disillusi «se non ti va…». Si rimise la maglietta, riassestandosi i capelli e sistemandone una ciocca dietro le orecchie.
«Ti prego, non rimanerci male» implorò Stiles, sinceramente amareggiato dai sensi di colpa. Ma in fondo sapeva che aveva fatto la cosa più giusta.
«Devi dirmi qualcosa Dylan?» domandò ad un tratto Britt, fulminandolo con uno sguardo rabbuiato.
«Ehm… No, mi pare di no.» mentì ancora Stiles.
«Guarda che l’ho capito.»
«Capito cosa?»
«Che non sei più Dylan. E sai a cosa mi riferisco.»
Stiles esultò dentro perché si era risparmiato un’altra assurda spiegazione senza logica.
«Come hai fatto a capirlo?»
«È palese.»
«Guarda, avrei voluto dirtelo, ma mi sarei sentito ancora più in colpa.»
«Da quanto tempo va avanti questa storia?»
«Da un giorno.»
«Ah, quindi è molto fresca. Avresti dovuto dirmelo ieri al telefono, prima che percorressi chilometri per raggiungerti.». Britt sembrava seriamente arrabbiata.
«Lo so, lo so. Ma da idiota ho pensato che la cosa potesse risolversi subito.»
«Cosa c’è da risolvere? Ormai è andata così. E sai che non perdono facilmente.»
Stiles si accigliò. «Adesso non pensi di esagerare? Non è successo niente di grave.»
Britt sgranò gli occhi, con una nota di ripugno. «Stai scherzando? Esagerare? Stiamo insieme da ormai quattro anni e una cosa del genere scotta parecchio.». Gli stessi occhi blu si velarono di lacrime.
«No, ti prego, non piangere. Vedrai che rimetterò tutto a posto, prima che tu possa accorgertene.» disse Stiles, poggiandole una mano sulla spalla. Ma lei la schivò prontamente e si alzò dal letto infuriata.
«Ormai hai commesso il tuo errore Dylan. Mi hai spezzato il cuore e da te non me l’aspettavo.»
“Dylan?” si domandò Stiles, perplesso. “Di nuovo?”
«Britt, non posso farci niente. Non l’ho deciso io, non l’ho potuto evitare. Ti pare che se avessi avuto scelta, avrei deciso di cambiare la mia vita di punto in bianco?»
«Ma quale scelta e scelta? Siamo sempre stati una coppia affiatata, almeno così pensavo fino a stamattina. Non litighiamo spesso e se litigavamo, tornavamo ad amarci come due adolescenti. Perciò voglio capire cosa ti ha indotto a farmi questo?»
«Ma a farti cosa?» strillò Stiles, visibilmente alterato.
«Cazzo Dylan. A tradirmi.»
Ci fu una pausa di riflessione, soprattutto da parte di Stiles. Britt parlò di tradimento, ma a cosa si riferiva? Essere stato catapultato in un universo parallelo e ad aver rubato il posto al suo fidanzato lo considerava un tradimento? Qualcosa non quadrava.
«Ma di cosa stai parlando, Britt?» domandò Stiles, facendosi serio e mostrandosi titubante. La sua confusione fu talmente chiara agli occhi di Britt, che questa sbuffò e tirò su il mento.
«Ho visto come la guardavi poco fa. Davanti a lei praticamente ero invisibile. Hai colloquiato più con lei che con me. Per non parlare del modo in cui lei racconta di te, come se foste degli amanti focosi.»
«Aspetta, aspetta, aspetta» disse Stiles, facendo mente locale. «Ma stai parlando di Shelley?»
«Sì. Sto parlando di Shelley.»
«Cioè tu finora ti riferivi esclusivamente a Shelley?» domandò ancora Stiles, stupito.
«Ancora? Sì, razza di idiota. Perché? Tu non parlavi della stessa cosa?»
Stiles scoppiò a ridere e non riuscì più a smettere per un paio di secondi. Britt lo osservò, però, senza inarcare di mezzo millimetro le labbra. «Cosa c’è da ridere?»
«Ci siamo capiti male. Io non pensavo che stessi parlando di Shelley.»
«E di cosa pensavi che stessi parlando?»
«Ehm…» Stiles tornò ad essere serio. Poi deviò il discorso. «Ma allora con la tua frase “Non sei più Dylan” cosa intendevi dire?»
«Che il Dylan che conosco io non mi avrebbe mai tradita.» rispose Britt, che stavolta sembrava più serena e aveva capito che c’era stato un malinteso.
«Tra me e Shelley non c’è niente.»
«E allora a cosa ti riferivi?»
«Be’… Io… Io mi riferivo a… Allo strano periodo che sto passando, a causa del quale non mi va di lavorare, non mi va di parlare, mi dà fastidio tutto…»
«Se tu non fossi maschio, direi che stai così per il ciclo.» aggiunse Britt, finalmente tornando a sorridere.
«Per questo avrei voluto dirtelo ieri sera al telefono, ma poi ho pensato che durante la notte mi sarebbe passata, quando invece non è stato così» mentì spudoratamente Stiles. Si congratulò nuovamente con se stesso per la geniale risposta.
«Oh, amore. Mi dispiace. Ci siamo fraintesi. Ti ho trattato malissimo.» disse Britt, accogliendo tra le sue braccia Stiles in una calorosa stretta amorevole. «D’accordo. Allora vuoi che me ne vada?»
Stiles era giovane, ma era ormai conoscente della psiche femminile. “Se non vuoi avere problemi, dì alla donna solo quello che lei vorrebbe sentirsi dire” rimuginò nella testa. Perciò fu costretto a rispondere: «No. Resta. Ormai sei qui e non posso lasciarti andare.»
Pareva proprio la risposta che Britt desiderasse, perché i suoi occhi blu luccicarono di felicità e le sue labbra si allargarono in un eccitatissimo sorriso.
 
Per il sollievo di Stiles, il proseguo della giornata fu abbastanza tranquillo e piuttosto migliore di quanto immaginasse. Britt e Stiles parlarono per quasi tutto il tempo, soprattutto Stiles inventò una storia sul suo “periodo no” per renderlo più veritiero possibile. Britt non si accorse minimamente dell’inganno, perché secondo lei accanto aveva solo Dylan. Non poteva pensare che il suo ragazzo fosse stato rimpiazzato dal personaggio che interpretava. Per quanto riguarda Stiles, invece, si potrebbe dire che rimase colpito dall’animo energico e caloroso di Britt. Gli infondeva serenità quando gli parlava con la sua voce limpida e, anche se non poté evitare di ricevere qualche bacio, per quella giornata riuscì a sopportare la finzione, purché fosse a fin di bene.
Calò la sera e, dopo essersi rimpinzati di alcuni avanzi della cena, Britt si assopì sul letto, abbracciando la felpa di Stiles, che ella credeva fosse di Dylan. Stiles la fissò mentre dormiva e, senza neanche accorgersene, passò un’ora. Si fecero le 23:00 e, come la sera prima, fuori il massimo che si poteva udire era il frinire dei grilli e delle cicale. A causa della pessima capacità di Stiles di prendere sonno, decise di uscire fuori per prendere una boccata d’aria. Quando richiuse la porta alle sue spalle e s’immerse nella quiete, per un momento sperò che Shelley non saltasse fuori improvvisamente come la sera prima e gli aizzasse contro una pistola finta. Anzi, ora che ci pensava, non vedeva Shelley da quella mattina. Doveva aver avuto un grosso lavoro da svolgere.
Stiles passeggiò lungo la stradina, scalciando di tanto in tanto qualche sassolino. Un improvviso vento gelido lo travolse e lo costrinse a issare gli occhi al cielo. E la vide, una vistosa e splendente luna piena dominava il cielo notturno trapunto di stelle. In quel momento non poté non pensare a cosa stessero combinando i suoi amici a Beacon Hills durante quel plenilunio. Ormai, i suoi amici licantropi, avevano imparato a controllare la rabbia e la trasformazione, però questa volta egli non era con loro. Quanta voglia aveva Stiles di sapere se stessero tutti bene.
Ad un tratto Stiles barcollò e perse l’equilibrio, la testa gli pesò come un pallone da bowling e non riuscì a reggersi in piedi. Attorno a lui tutto vorticava come fosse dentro a un violento ciclone, le roulotte erano diventate solo delle strisce bianche e increspate, e lentamente tutto iniziò ad appannarsi. Stiles chiuse gli occhi, strizzandoli per il dolore alla testa e sperò che quel malessere cessasse presto.
Non appena avvertì l’allentamento di tensione, riaprì gli occhi e il panorama mutò. Quando prima era nell’accampamento delle roulotte, adesso era più che certo di essere nella buia e fitta foresta di Beacon Hills. Non era immaginazione, non era una simulazione. Era proprio lì e da lontano riuscì a scorgere le luci della città, della sua città, la quale si stagliava nell’oscurità come un manto di costellazioni.
Era tornato a Beacon Hills.

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Capitolo 7
*** Rientro a Beacon Hills? ***


7. RIENTRO A BEACON HILLS?
 
Gli occhi color nocciola di Stiles si riempirono di sorpresa e speranza. Le sue labbra indugiavano ancora per sorridere, perché il suo cuore era ancora incerto se quella visione fosse reale. A mano a mano che percorreva l’intensa foresta velata, si avvicinava sempre di più alle luci della città.
Le strade di Beacon Hills erano deserte e semibuie, la quiete della sera era ormai dentro ogni casa, ogni edificio, ogni palazzo e le luci dei semafori cambiavano colore per macchine assenti. Stiles camminava a passi larghi, in direzione della sua casa. Si stava convincendo sempre di più che non fosse un sogno e che finalmente poteva ammettere di essere uscito da quell’universo parallelo, di essere tornato a casa. Stiles, però, cambiò direzione quando passò davanti alla centrale di polizia di Beacon Hills e, attraverso le veneziane dell’ufficio dello sceriffo, scorse perfettamente la sagoma di suo padre. Entrò in centrale e molti volti degli agenti lo fissarono. Ma Stiles si stupì perché non furono sguardi meravigliati della sua presenza dopo una sparizione di quasi due giorni, bensì le solite occhiate furtive nei confronti del figlio dello sceriffo.
«Stiles» lo chiamò qualcuno alla sua destra. «Cosa ci fai qui a quest’ora?»
Stiles si voltò e vide il vicesceriffo, Jordan Parrish, con addosso la sua divisa perfetta e con in mano alcuni fascicoli.
«Che bell’accoglienza! Evidentemente non vi sono mancato» borbottò sarcasticamente Stiles, con sguardo accigliato.
«Mancato? Ci siamo visti neanche tre ore fa!» esclamò Parrish, con stupore.
Stiles s’incupì. «Devo vedere mio padre» annunciò, avvicinandosi spedito all’ufficio dello sceriffo. Quando irruppe nel luogo, suo padre alzò gli occhi dalle scartoffie, lo guardò e poi tornò alle sue pratiche.
«Figliolo. Non dovresti essere a casa, a dormire magari?» domandò John Stilinski.
Stiles richiuse la porta alle sue spalle e si catapultò di fronte alla scrivania, sedendosi su una delle due sedie.
«Papà… Una semplice domanda: avete notato la mia assenza in questi ultimi due giorni o no?»
«La tua assenza?» chiese di rimando suo padre.
«Sì, la mia assenza. Insomma sono stato via e qui sembra che nessuno se ne sia accorto o se ne sia preoccupato» spiegò Stiles. Lo sceriffo, però, non rispose perché troppo occupato a scrivere delle note sulla sua agenda. Stiles s’infastidì e gli sottrasse la penna dalle mani. «Mi stai ascoltando?»
«Sto lavorando, Stiles» disse lo sceriffo, con comprensibile austerità.
«E io ho bisogno di risposte. Allora?»
«Figliolo, semplicemente non so di cosa tu stia parlando. Negli ultimi due giorni, più che la tua assenza, ho notato la tua anormalità. Ti comporti in modo… strano» asserì John con una smorfia sul viso tra il confuso e lo schifato. Poi sorseggiò un po’ di caffè dal bicchiere.
«Vuoi dire che sono stato qui? A Beacon Hills? Per tutto questo tempo?»
«Oh! Porca miseria!» imprecò lo sceriffo, in seguito al rovesciamento del caffè sulla sua divisa. «Il caffè non mi basta per stare sveglio».
«Papà. Dannazione!» bofonchiò Stiles, alzandosi dalla sedia con le mani tra i capelli.
«Stiles, perché non ne riparliamo domani, con più calma? Vedi, ora sono parecchio occupato» propose lo sceriffo, tentando di asciugare la macchia marrone sulla divisa, tamponando con dei fazzolettini.
«È urgente! Davvero. Se sono stato qui, ma in realtà ero da un’altra parte, qui chi c’è stato?» pensò Stiles ad alta voce.
«Da un’altra parte? PARRISH!» urlò John, deviando il discorso.
«Sì?» domandò il vicesceriffo, sbucando dalla fessura della porta.
«Portami dei fazzoletti imbevuti. Ho combinato un macello» gli ordinò lo sceriffo, guadagnandosi una sbuffata di nervoso da parte di Stiles, al quale non stava dando ascolto.
Jordan Parrish si sbrigò in un lampo perché, in meno di un minuto, tornò con quanto richiesto dallo sceriffo.
«Papà?!» lo chiamò Stiles, agitando le mani in alto per farsi notare, qualora la sua voce non fosse abbastanza evidente.
«Ti ringrazio, Parrish. Ho chiesto a te perché, per tua informazione, ho notato che stavi origliando alla porta» disse lo sceriffo, strofinando i fazzoletti imbevuti sulla divisa, in prossimità della spalla, ma realizzando di combinare un ulteriore pasticcio.
«Ehilà! Mi sentite?» urlò ancora Stiles.
«Be’ sì, non ne ho potuto fare a meno. Stiles pareva piuttosto preoccupato quando è arrivato ed ero curioso di sapere se c’era qualche problema» ammise Parrish. «C’è qualche problema?» domandò.
«Sì» rispose Stiles, contemporaneamente al no dello sceriffo.
Parrish guardò entrambi con titubanza e, credendo che fossero affari tra padre e figlio, si congedò e uscì dall’ufficio.
«Non vuole andare via» gracchiò tra sé John, riferendosi all’alone di caffè.
«Papà, puoi lasciar perdere quella macchia per un attimo e ascoltarmi, per favore?» chiese Stiles, soffocando la rabbia nello stomaco.
«Senti, se si tratta di qualche tuo problema legato al sovrannaturale, ti devo domandare scusa in partenza, ma io ho un caso da risolvere e per cui lavoro da due giorni» affermò lo sceriffo, buttando il cumulo di carta sporca in un cestino. «Quindi ti chiedo io la gentilezza di tornare a casa e rimandare a domani questa tua “urgenza”».
Nell’ufficio calò il silenzio, solo le lancette dell’orologio, che segnavano le 23:55, colmarono quel vuoto. Stiles si morse il pugno, fissando il soffitto. Poi, grattandosi un sopracciglio, disse: «Va bene, come vuoi. Tanto, ora che ci penso, perché dovrei aspettarmi da te un aiuto? In questo momento dovrei essere da Scott. Lui mi ascolterebbe e potrebbe anche aiutarmi a capire. Ci vediamo domani.»
E, con la velocità di un ghepardo, lasciò la centrale di polizia. Corse verso casa Mccall, sperando di trovarci Scott nonostante il plenilunio. Quando la raggiunse, con il fiatone sgattaiolò sul retro della casa, sperando di poter entrare dalla porta secondaria. La fortuna, quella sera, era dalla sua parte. La porta era aperta ed egli poté intrufolarsi nella penombra della casa, compiendo il minimo rumore. Salì le scale a tentoni e, giunto al piano di sopra, con passo felpato avanzò verso la camera di Scott. Aprì la porta, ma quando questa iniziò a cigolare, indietreggiò e si spostò a destra, nascondendosi dietro la parete. Sì, era la casa di Scott e più volte non si fece problemi ad entrarci senza essere invitato, ma in quella circostanza ambigua arrivò quasi a sentirsi un intruso.
«Chi c’è?» domandò qualcuno dall’interno della camera. Era la voce di Scott.
«Scott, prima che tu mi assalga con le tue zanne e gli artigli, ti avverto: sono Stiles»
«Stiles?» domandò Scott, quasi con incredulità. «Sei veramente tu?»
Improvvisamente Stiles fu colpito da un’altra forte emicrania, il corridoio si trasformò in una scatola in movimento roteante e la sua vista si annebbiò. “Oh no” riuscì a riflettere Stiles in quel momento di confusione e dolore. “Di nuovo”. Chiuse gli occhi, aspettando la fine di quel dolore lancinante. Come si aspettava, il dolore svanì nel giro di qualche secondo, ma riaprendo gli occhi capì di non essere più nella casa di Scott. Era sdraiato, sul letto, attorno a sé c’era solo buio con qualche scorcio di luce fievole filtrante dalla finestra. Mosse un braccio e gli bastò per capire di essere in compagnia, sotto le coperte. Più che altro gli bastò aguzzare la vista per abituarsi al buio e per rendersi conto di essere tornato nella roulotte, nell’universo parallelo. Accanto a lui Britt dormiva felicemente, almeno così sembrava, viste le sue labbra sorridenti persino durante il sonno.
Stiles si mosse delicatamente per non svegliare la “compagna” di letto e, nel momento in cui si sedette, si accorse di un’altra terribile verità. Oltre ad essersi svegliato nella roulotte di Dylan e accanto alla ragazza di quest’ultimo, lui era completamente svestito, dalla testa ai piedi. Dapprima non comprese, per un attimo pensò che Britt lo avesse stuprato durante il sonno, ma poi sbarrò gli occhi e la bocca, sussurrando: «Oh merda!».
Quella notte era accaduto ciò che tanto aveva temuto durante l’intera giornata e per giunta senza che lui ne ricordasse un minimo particolare. Erano stati a letto insieme. “Ma allora” pensò Stiles, “sono stato tutto il tempo qui e Beacon Hills è stato un sogno, o sto sognando ancora adesso?”. Si portò le mani tra i capelli e si accasciò sul cuscino, stanco sfinito di quella maledetta faccenda priva di spiegazioni logiche e ragionevoli. 

 
Angolo dell'autrice
Be', Stiles sarà pure incerto nel comprendere se sia
veramente tornato a Beacon Hills o abbia vissuto un sogno.
Ma di una cosa siamo certi: Britt, finalmente, è stata accontentata!

Sandra Sammito


 

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Capitolo 8
*** Un'insolita sparizione ***


8. UN’INSOLITA SPARIZIONE
 
A volte la vita ti gioca degli brutti scherzi, che ti scombussolano a tal punto da fermarti per un momento e convincerti che probabilmente il destino ha voluto che andasse in questa maniera. E Stiles era da tanto tempo che si rese conto dell’inevitabile verità che contraddistingueva la sua esistenza e per tutta la vita avrebbe patito le conseguenze dell’aver intrapreso la strada del sovrannaturale. Sarebbe andato incontro a tanti pericoli, ma adesso che si trovava in quella situazione credette di aver superato tutti i limiti della normalità.
Quella mattina si era alzato di buon ora – a dire il vero aveva chiuso occhio sì e no due orette – e in disparte dalla troupe cinematografica, mangiava silenziosamente del bacon nello angusto piazzale approssimativamente definibile “mensa”. Non aveva neanche svegliato Britt, si era alzato con la leggerezza di una formica e sgusciò fuori dalla roulotte. Ponderò a pieno l’accaduto della sera prima, cercando come al solito di capirci qualcosa. Era più che sicuro, però, che non fosse stato un sogno. Degli anni addietro ebbe a che fare con intricati incubi senza uscita, finendo per essere posseduto da un Nogitsune. Ma proprio per tal motivo, poteva certamente mettere a confronto le due situazioni e quello della sera prima non era da considerarsi un sogno. Ricordava bene la sua passeggiata sotto il chiaro di luna, il suo capogiro, l’incontro con suo padre e tutto il resto. A Beacon Hills, però, la vita procedette regolarmente e, dopo quanto affermato dal padre, egli non fu per niente assente. Persino Parrish ammise di averlo incontrato delle ore prima che Stiles entrasse in centrale. Nessuno notò l’assenza di Stiles, come nell’universo parallelo nessuno notò l’assenza di Dylan O’Brien…
“Aspetta un momento” si disse Stiles, sgranando gli occhi come se avesse appena avuto un’illuminazione, “può essere che ci sia stata un’inversione?”
 
Dal lato opposto della mensa, Tyler Posey, Holland, Dylan Sprayberry e Victoria Moroles si incrociarono nell’accampamento delle roulotte. Tyler canticchiava sulle note di I miss you dei Blink 182, Dylan e Victoria discutevano sulla scena da girare quella mattina, mentre Holland pareva seriamente preoccupata.
«Ehi ragazzi. Buongiorno» disse Tyler, agitando la mano in segno di saluto, per poi ritornare alla canzone, fischiettando.
«Buongiorno a voi» disse Holland. «Avete visto Dylan?»
«Io non lo vedo da quando ha preso una pausa» rispose Dylan Sprayberry.
«Sì, stessa cosa io. In realtà sono stato impegnato con le riprese e oggi avevo mezz’idea di andare a verificare come stava. Penso che sia rimasto qui» aggiunse Tyler.
«Sì, certo che è rimasto. Mi è parso di vederlo insieme alla sua ragazza» ribadì Victoria.
«Britt? È qui?» chiese Tyler, stupito.
«A quanto pare» rispose Victoria, facendo spallucce.
«Tyler, posso parlarti… in privato?» domandò Holland, gettando un’occhiata sugli altri due ragazzi, come per incitarli a lasciarli soli.
«Vi lasciamo. Noi andiamo ad esercitarci con il copione. A dopo» disse Dylan, congedandosi con la collega.
«Di cosa devi parlarmi? Sembri piuttosto tesa» chiese Tyler, incamminandosi con la ragazza verso la mensa.
«Dello stesso argomento di cui stavamo parlando proprio un minuto fa.»
«Dylan?»
Holland annuì.
«Okay. Dimmi.»
«Ieri ho parlato con Shelley.»
«E…?»
«E ha ammesso di credere alle parole di Dylan…»
«Quelle secondo cui è Stiles e non più Dylan?» la interruppe Tyler.
«Esatto.»
«Ma sono tutti impazziti? Ora si ci mette pure Shelley!»
«Tyler, aspetta, ragioniamo un momento. Anche io gli credo.»
«Che. Cosa?» scandì Tyler. «Oh, ma andiamo Holly! Dylan è mio amico e quando ha intenzione di fare uno scherzo, lo architetta così bene che sembra reale e lo fa durare fino a quando tutti non ci cascheranno. Fidati» asserì Tyler.
«Questa volta è diverso. Lo sento.»
«Ora anche tu ti credi d’essere una Banshee reale?»
Holland si accigliò, offesa. «No. L’ho avvertito dal modo in cui parla, dal modo in cui si muove, dal modo in cui mi guarda… Lo sai come mi ha guardata? Così come Stiles guarda Lydia.»
«Forse perché è da cinque anni che è abituato a impersonare la parte dell’innamorato non contraccambiato?»
Holland, esasperata per l’atteggiamento scettico di Tyler, disse: «Okay. Allora fammi un favore. Resta a parlare con Dylan o meglio Stiles per più di un quarto d’ora massimo e dimmi se sta recitando o se fa sul serio.»
«Va bene. Lo farò adesso. Ma ti dico in partenza che sarà difficile dissuadermi» disse Tyler, giunto alla mensa e notando da lontano Stiles seduto su una panca.
 
Stiles scrollava la testa ripetutamente poiché ormai certo della sua convinzione: in quel momento, a Beacon Hills, doveva esserci per forza Dylan O’Brien, il quale tutti credevano che fosse Stiles, così come Stiles era creduto Dylan in quella location. Adesso tutto aveva un senso, a parte il perché fosse successo a lui e il come ritornare definitivamente a Beacon Hills.
Una mano sulla spalla, però, lo distrasse dai pensieri.
«Ciao amico» lo salutò Tyler, sedendosi accanto a lui. «Come stai?»
«Ciao… Tyler. Potrei stare meglio» rispose Stiles.
«In effetti hai una brutta cera.»
«Uhm... Già.»
«È per la storia dell’altro ieri?»
«Quale storia?» chiese Stiles, fingendo di non capire.
«Quella che hai inventato, dicendo di essere Stiles.»
Nessuno parlò più. Tyler attendeva una risposta da parte di Stiles e Stiles era combattuto tra il rispondere sinceramente o mentire. Alla fine prese la scelta più giusta… Per lui.
«Ah già… Quella storia. Pensavo che avessi ormai capito che fosse uno scherzo» mentì Stiles. In quel momento pensò che, se gli avesse detto la verità, Tyler avrebbe continuato a non credergli e questo l’avrebbe fatto alterare.
«Lo sapevo. Sei incredibile» gracchiò Tyler con sarcasmo, rubando dal piatto di Stiles un pezzo di bacon.
«Ci siete cascati eh» disse Stiles, ridendo.
«Io non ci ero cascato, ti conosco come le mie tasche. Dovresti invece parlare con Holland e Shelley, perché loro ti credono… Eccome se ti credono! Holland, soprattutto, mi mette paura» ammise Tyler, sogghignando.
«No, no. Con loro continuerò lo scherzo. Voglio vedere fin dove si spingeranno. E tu mi appoggerai.»
«Che stronzo che sei! Comunque affare fatto. E so già cosa fare» disse Tyler, occhiando da lontano Holland che li spiava furtivamente.
«Benissimo.»
«Ho saputo che Britt è qui. È vero?»
«Britt?» chiese Stiles, perdendo per un attimo la concentrazione. «Ah sì… Britt.» disse, ridendo scioccamente. «Sì, è nella roulotte che dorme.»
«Più tardi, all’ora di pranzo, verrò a salutarla allora. Oppure potrete venire ad assistere alle riprese. Che ne dici?»
«Sì, glielo proporrò.» disse Stiles, ammiccando.
«Okay, adesso vado che sono in ritardo. Buona giornata.»
«Altrettanto.»
 
Tyler si allontanò da Stiles, con il mento all’insù e un sorrisino sulla bocca di chi si sente soddisfatto di non essere caduto in una trappola, in quel caso in quella di Dylan. Poi, però, assunse una fittizia espressione rassegnata, quando giunse dinanzi ad Holland.
«Allora? Come ti è sembrato?» chiese Holland frettolosamente.
«Avevi ragione. È strano, non sembra nemmeno lui. E continua a ripetermi di essere Stiles» mentì Tyler.
«Visto? Che ti avevo detto? E adesso? Sinceramente mi sentirei una vipera se non lo aiutassi, così come sta cercando di fare Shelley.»
«Fai quello che ti senti di fare. Se vuole il tuo aiuto, bene. Altrimenti lascia a Shelley questo duro lavoro.»
«Penso che lascerò passare un po’ di giorni. Vedremo come andrà a finire.»
 
Dylan ritornò alla sua roulotte e trovò Britt già in piedi, indaffarata a riassestare il letto e mettere in ordine i suoi vestiti.
«Buongiorno» disse la ragazza, con gli occhi luccicanti.
«Buongiorno…». Stiles si comportò da ragazzo galante e andò a stampare un bacio sulla guancia della ragazza. Poi prese il portatile e lo aprì per trovare un diversivo che lo distraesse da quell’imbarazzante momento.
«Ieri notte non mi aspettavo che… Sì, insomma lo sai. Dopo quello che ci eravamo detti la mattina…» esordì Britt. Stiles inghiottì sonoramente, massaggiandosi la fronte.
«È stato più forte di me» disse, infine, tornando a fissare il desktop del computer.
«Mi sei sembrato molto vivace, vigoroso… Una tigre» ammise Britt, mordendosi un labbro e sorridendo paonazza.
Questa volta a Stiles andò di traverso la saliva, chiuse il portatile e disse: «Tyler vorrebbe salutarti. Ti va se andiamo sul set e assistiamo alle riprese?»
Britt corrugò la fronte per l’improvviso e netto cambio d’argomento. «Okay. Mi metto le scarpe e andiamo.»
«Splendido.»
 
Mezz’ora dopo i due si avviarono verso il set, ricostruito alla perfezione per apparire come il corridoio principale della Beacon Hills High School. La nostalgia in Stiles prese di nuovo il sopravvento, ma questa volta cercò di contenerla. Sul set c’erano Russell e gli altri operatori, gli attori sui cui volti Stiles vedeva esclusivamente Liam, Hayden, Corey e gli altri suoi compagni di classe. Britt teneva stretta la mano di Stiles, mentre erano seduti sulle sedie pieghevoli. Pochi minuti dopo sul set arrivò anche Holland, che notò Stiles da lontano, ma indugiò ad avvicinarsi. Prese il copione e lo lesse, palesemente per evitare di dover affrontare Stiles e non saper cosa dire.
Attesero dei minuti e poi arrivò anche Tyler, rimbrottato amichevolmente dal brontolone di Russell per il ritardo. Le riprese, però, non avevano ancora intenzione di iniziare.
«Come mai non hanno ancora iniziato? Mi avevi detto che Russell era un tipo che teneva al rispetto degli orari» disse Britt.
«Non lo so. Avranno qualche problema tecnico» provò a rispondere Stiles, facendosi guardingo in quel luogo ignoto e in cui si sentiva un intruso.
«MA DOVE DIAVOLO È? SI PUÒ SAPERE?» sbraitò Russell, gettando dei fogli sul pavimento. «Adesso qui la puntualità è diventata un tabù?»
Il cast rispose scrollando le spalle. Qualcuno evidentemente era in ritardo. Stiles osservò gli attori e cercò di immaginare la scena da girare al liceo. Per consuetudine, nella vera Beacon Hills High School, Scott e lui erano sempre insieme a Lydia, a volte anche con Liam. Insieme a loro, però, non mancava mai Malia. Perciò…
«Qualcuno trovi Shelley, per favore!» ripeté Russell, accasciandosi sulla sedia.
Era Shelley a mancare all’appello e il suo ritardo era piuttosto insolito.
«Chissà che cosa starà facendo! Secondo me la sveglia non le è suonata» espresse Britt, con un sorrisino malizioso sulle labbra. Ma Stiles non rispose, perché in lui aumentò solo una forte preoccupazione.
«Russell. Nella sua roulotte non c’è e altri dicono di non averla vista stamattina.»
Questo è ciò che Stiles riuscì ad origliare, a detta dell'assistente del regista.
«Non mi dite che è andata via senza dire niente!» esclamò Russell, furioso.
«Impossibile. Ho controllato nella sua roulotte e c’è ancora tutta la sua roba.»
«Ma com’è possibile? TROVATELA.» urlò il regista. «CRISTO SANTO.» imprecò ancora, lasciando il set con i pugni stretti.
“Shelley, ma dove sei finita?” pensò Stiles tra sé e sé, allentando la stretta alla mano di Britt e intirizzendo il resto dei suoi muscoli.
Qualcosa non quadrava.

 
ANGOLO DELL'AUTRICE
Chissà dov'è andata a finire Shelley? Se è sparita o ha solo
dimenticato di compiere il suo lavoro. Lo scoprirete nel prossimo capitolo, oltre
a un'altra tonnellata di sconvolgimenti in serbo per Stiles.
Sandra Sammito

 
 
 

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Capitolo 9
*** Alla ricerca di... Shelley ***


9. ALLA RICERCA DI… SHELLEY
 
«Dove stai andando?» domandò Britt a Stiles, mentre quest’ultimo scattò fulmineamente dalla sedia e si diresse nel cuore del set. Esattamente non era certo di dove stesse andando, perché l’agitazione per la scomparsa improvvisa di Shelley gli confuse le idee. E se le fosse successo qualcosa di grave? Se fosse stata rapita perché divenuta complice di ciò che sosteneva Stiles? Egli non avrebbe mai superato il rimorso dei sensi di colpa per aver messo dei guai una ragazza che, gentilmente, gli aveva offerto il suo benevolo aiuto. Gli aveva dato man forte di fronte a Britt, gli aveva indicato i quattro ragazzi insopportabili, dandogli qualche consiglio; gli aveva suggerito di parlare con l’ideatore della serie TV… E lì la risposta apparve lampante nella testa di Stiles. Il tizio di cui gli parlò Shelley avrebbe dovuto essere presente proprio quel giorno e in quell’istante sembrò l’unica fonte utile per essere a un passo dalla soluzione. Il problema era riconoscerlo. Stiles non sapeva che aspetto avesse, né tanto meno se fosse giovane o di mezz’età. E ovviamente non poteva andarsene in giro a chiedere alla gente di indicarglielo, poiché Dylan avrebbe già dovuto conoscerlo in partenza. Poteva, però, contare solo su una persona in quel momento, levando Shelley che, misteriosamente, si era dissipata chissà dove. E finalmente trovò la sua meta: Holland.
Gli occhi verdi della ragazza notarono l’avvicinamento di Stiles e, nuovamente, finse uno smodato interesse per il copione.
«Ciao Holland. So che hai detto di non volermi aiutare, ma adesso ho bisogno del tuo immediato aiuto» esordì Stiles, guadagnandosi la completa attenzione della bella ragazza dai capelli color rosso fragola.
«Cosa ti serve?» chiese.
«Sai dov’è Jeff Davis?»
«Perché vuoi saperlo?»
«Perché lo devo ringraziare per avermi trasformato in un personaggio di una serie TV… Per parlarci, mi sembra ovvio» ironizzò Stiles.
«Stesso sarcasmo. Comunque non è ancora arrivato.»
«E sai quando verrà?»
Holland fece spallucce.
«Va bene. Allora quando sarà qui, puoi dirmelo per favore?»
«Okay.»
Stiles ringraziò e stava per andarsene, quando Holland lo fermò dicendogli: «Hai idea di dove sia Shelley?»
«È quello che voglio scoprire.»
 
Sul set le riprese vennero sospese e il cast fu invitato a sostenere la ricerca dell’attrice scomparsa. Intanto Stiles, che non riuscì a starsene con le mani in mano, si diresse verso la roulotte di Shelley per cercare qualche indizio, sfuggito agli occhi svelti dell’assistente di Russell. Britt gli andò dietro come un cagnolino, stando faticosamente al passo con lui.
«Dylan! Vuoi rallentare?» gridò Britt.
«Dobbiamo trovare Shelley.»
«Ho capito. Ma ci stanno pensando anche gli altri. Cos’è? Vuoi trovarla prima di loro?»
«No, ma ho la sensazione che solo io potrò riuscire a trovarla.»
«Solo tu? Perché solo tu? Mi nascondi qualcosa?»
Stiles si voltò improvvisamente verso Britt, puntandole un dito contro. «Non è il momento di fare scenate di gelosia.». E ritornò sui suoi passi, raggiugendo la roulotte.
Entrò e, vedendo tutto in pieno ordine, non seppe da dove cominciare. Iniziò a frugare nei cassetti della scrivania, nell’armadio, tra i vestiti, persino nella cesta della roba sporca; sotto il letto, tra le coperte, nel bagno, sotto un tappeto, nel comodino… Britt scrutava il suo ambiguo comportamento tipico di un detective in piena indagine e aggrottò le sopracciglia.
«Dylan. Santo cielo! Che cosa stai cercando precisamente?»
«Il suo cellulare.»
«Perché proprio il suo cellulare?»
«Perché se è qui vuol dire che non è con lei.»
Britt alzò un sopracciglio, aprendo le braccia in segno di ovvietà.
«Cioè… Al giorno d’oggi nessuno va in giro senza il proprio cellulare. Quindi se è qui, vuol dire che Shelley non è andata via di sua spontanea volontà, altrimenti avrebbe portato con sé il suo cellulare.»
«Ma… Dylan, non starai mica insinuando che sia stata rapita, spero?»
«Hai capito benissimo.»
«Be’, a quanto pare non lo stai trovando. Quindi no che non è stata rapita. Sarà semplicemente andata chissà dove senza avvertire nessuno» ipotizzò Britt, facendo per uscire dalla roulotte. «Ora, per favore, ti vuoi decidere a uscire di qui o no?»
Stiles sbuffò visibilmente e, per non apparire più spostato del solito, si trasportò lentamente fuori dalla roulotte. Camminò accanto a Britt, scavalcando la torma di gente indaffarata a fare del suo… peggio. Secondo Stiles la loro capacità nello scovare una ragazza scomparsa era pari all’umorismo spiccato di Derek Hale: zero.
«Ho provato a chiamarla, ma c’è la segreteria telefonica» disse un tizio a un altro, davanti a cui Stiles passò origliando. “E ti pareva? Vuol dire che è stato maciullato dal suo rapitore per depistare le tracce” pensò. Poi, rendendosi conto che stava cercando in luoghi già ispezionati da altre persone, decise di spostarsi in un altro punto della location: verso la periferia. E Britt lo seguì nuovamente, stranendosi sempre di più dell’apprensione del suo ragazzo.
Lontani dal set, dall’accampamento e dalle altre strutture e impalcature, il brusio della gente cominciò a diminuire. Al limitare della location non c’era altro che… nulla. Stiles credette di agire inutilmente e decise di tornare indietro, e vide Britt con il telefono all’orecchio.
«A chi chiami?» chiese.
«A Shelley.»
«È inutile. Non hai sentito quel tizio poco fa. Ha provato a chiamare, ma c’è la segreteria telefonica.»
«Veramente sta squillando» ammise Britt.
«Che cosa?» scattò Stiles. «Dà qui.»
Stiles sottrasse il cellulare dalle mani di Britt e se lo portò all’orecchio. Effettivamente il cellulare di Shelley squillava, ma nessuno rispose. Provò e riprovò altre tre volte, riavvicinandosi al brusio della location. Ma la fortuna volle che, proprio quando chiamò per la quarta volta, una suoneria echeggiò nell’aria.
«La senti anche tu?» chiese Stiles a Britt. Quest’ultima annuì, cercando anch’essa di individuarne la provenienza. Ampliando l’udito, capirono che provenisse dalla loro destra, in direzione di un bagno pubblico. Stiles continuò a chiamare e a inseguire il suono, finché la chiamata fu staccata volutamente. Accelerò il passo e raggiunse il punto in cui doveva trovarsi il telefono. Quando svoltò sul retro del bagno pubblico, si trovò davanti a qualcuno che avrebbe voluto non incontrare mai più, neanche incrociando il suo sguardo. Questo teneva il cellulare di Shelley in mano, con un ghigno sulle labbra. Da ciò Stiles riconobbe la crudeltà e la perfidia che di lui conosceva benissimo, e non trattenne l’impulso.
«Theo?» ringhiò Stiles, fulminandolo con uno sguardo severo.
Il ragazzo alzò lo sguardo dallo schermo, ricambiando l’occhiata di Stiles, seppur mantenendo lo stesso sorrisetto malefico.
«Brutto figlio di…»
Stiles si lanciò su Theo, colpendolo con un sinistro sullo zigomo destro. Non contento del suo primo attacco, gettò il telefono a Britt e afferrò il ragazzo per la camicia con entrambe le mani, protendendolo verso di lui e ringhiando come una belva famelica.
«Dov’è Shelley?» sbraitò Stiles.
«Dylan, ma che cavolo stai facendo? Smettila!» urlò Britt, tirandolo da dietro per porre fine a quell’assurda lite.
«Sei impazzito? Perché ti stai alterando così duramente? La sto cercando anche io da quando mi hanno detto che era sparita» rispose Theo, visibilmente intimidito.
«Non me la bevo. Sei un bravo ingannatore e imbroglione, e sai che di te non mi fido»
«Dylan, non hai le rotelle al loro posto. Ingannatore? Ma per chi mi hai preso?»
«Ti ho preso per quello che sei. Sei uscito da Beacon Hills e sei giunto qui, insieme a me, perché hai stretto un complotto con gli Spettri Illusionisti, così come avevi fatto con i Dottori della Morte. Ammettilo! Sei sempre stato dalla parte del male, incline alla disonestà. E non chiamarmi Dylan, come se ora vorresti farmi credere che sei un attore come tutti gli altri.»
«Che? Ma… Mi vuoi lasciare andare gentilmente?»
«No, prima dimmi dov’è Shelley, o giuro che ti uccido qui. E non me ne frega se sei un lupo mannaro fasullo.»
«Dylan! Ma che diavolo stai blaterando?» gridava ancora Britt, distraendolo invano.
«Ha ragione la tua ragazza. Dylan! Sono Cody. C’è bisogno che te lo rammenti?» specificò il ragazzo. Ma Stiles non era deciso a mollare la presa.
«Cody un corno. Hai il cellulare di Shelley e sorridevi come un maniaco. Perciò dimmi dov’è. ORA!»
«Ora mi hai fatto incazzare» gracchiò Cody, dando un calcio sulla coscia di Stiles, costringendolo ad arretrare. Difatti Stiles si staccò da lui, agonizzando di dolore e soccorso da Britt. «Ora siamo pari. Che cazzo ti prende? Avevo sentito delle voci sul tuo ambiguo comportamento, ma non pensavo che fossi degenerato a tal punto.»
«E io non pensavo che tu potessi essere così stupido da credere che me la beva» ribatté Stiles, continuando a massaggiarsi la coscia indolenzita. «Ripeto, hai il cellulare di Shelley e…»
«Certo, idiota. L’ho trovato qui. Sentivo che stava squillando e l’ho raccolto da terra» lo interruppe Cody, sistemandosi la camicia spiegazzata e passandosi una mano tra i voluminosi capelli a chiodino.
«Sì, e perché stavi sorridendo?»
«Non ti risponderei solo perché mi stai facendo perdere tempo, ma per compatirti… Ho guardato la foto sul blocca schermo e mi è scappata una risata» rispose Cody, mostrando la foto anche a Stiles e a Britt. Ritraeva Shelley con una cuffietta in testa, una pinza stretta al naso e con una smorfia spiritosa.
A quel punto Stiles si ricompose e capì di aver fatto sul serio la figura dell’idiota e che quello lì era un altro attore che impersonava il terribile Theo Raeken. In fondo, pensò, per una volta poté vedere Theo rendersi utile in qualcosa. Aveva trovato il cellulare di Shelley e, situato dietro a un bagno pubblico e lontano da Shelley, rendeva la situazione più temibile e Stiles cominciò ad avvalorare la sua ipotesi di sparizione per rapimento o chissà quale altro atto criminale. Sperava solo di non trattarsi di omicidio.
«Ora, però, vuoi dirmi che ti succede?» chiese Cody.
«Un’altra volta ne parleremo seduti a un tavolino con una bella tazza di camomilla davanti. Adesso, però, scusami, ma…» Stiles sottrasse il cellulare di Shelley dalle mani di Cody. «Devo trovare Shelley. E perdona il pugno!»
 
Dall’accampamento delle roulotte, una voce ovattata fuoriusciva da un megafono e risuonava ad alto volume. Stiles e Britt si avvicinarono alla calca che si era formata attorno a colui che parlava a pieni polmoni.
«Shelley non è stata trovata da nessuna parte e la faccenda sta risultando essere molto seria. La responsabilità è sia mia che di tutti i presenti. Se Shelley non dovesse ancora uscire allo scoperto, bisognerà chiamare la polizia, sperando di evitare che l’allarme si diffonda tra i media. Sarebbe uno scandalo. Magari, nelle prossime ore, l’allarme potrebbe risultare falso. Spero che si tratti solo di uno scherzo di cattivo gusto. Ma nel frattempo vi chiedo gentilmente di continuare a cercare nei dintorni» annunciò Russell al megafono.
«Non dovremmo avvertire la sua famiglia?» chiese una voce tra la folla.
«Ho incaricato già la mia assistente per questo e sappiamo per certo che Shelley non è a casa. I genitori non l’hanno sentita nelle ultime ore» disse Russell.
«Ehi» disse Holland, avvicinandosi a Stiles. «Pensi che c’entri qualcosa con la tua storia?»
«Credo che la sua sparizione sia stata causata dalle stesse persone che mi hanno portato qui.»
«Hai trovato qualcosa?»  
«Sì, il suo cellulare. Ma per ora voglio tenerlo io, all’oscuro di tutti.»
«Perché? Se chiameranno la polizia, dovrai consegnarlo a loro. È una prova.»
«Lo so, ma prima voglio controllare io stesso se ha ricevuto qualche chiamata o qualche messaggio insoliti.»
«…sì, riprova pure, ma mi sembra inutile». Russell continuava ancora a parlare al megafono, rivolto alla folla.
«Fino a quando ce l’ho io, la situazione sarà meno complicata» precisò Stiles, con il cellulare di Shelley in mano. A un tratto, però, questo squillò e la suoneria sormontò il brusio, il quale si zittì.
«Ehi ma… Sta suonando qui, da qualche parte» urlò qualcuno tra la calca.
Mille occhi furono puntati su Holland e Stiles e da subito si sentirono come se avessero rubato un oggetto di valore al presidente degli Stati Uniti. Stiles soprattutto tenne il cellullare sul palmo della mano, osservandolo con disprezzo. Staccò la telefonata e rivolse un sorriso a quella marea di gente che lo guardava con accortezza.
«Dylan O’Brien ha il cellulare di Shelley» annunciò qualcuno tra l’affollamento, forse lo stesso impiccione rovina piani.
«Dovresti consegnarlo a Russell» gli consigliò Britt.
«No, dovrei darmela a gambe levate» ribatté Stiles.
Russell nel frattempo si faceva spazio tra la gente per raggiungere Stiles.
«Se glielo consegnerai, non avrai più possibilità di fare quello che avevi programmato di fare» ribadì Holland.
«Devi darglielo, così poi la polizia saprà da che parte cominciare» disse Britt.
«E se dovesse trattarsi dei casi sovrannaturali che pensi tu, non credo che la polizia riuscirà a cavarsela» precisò Holland.
In quella circostanza, Stiles si sentì prigioniero tra la sua vocina interiore buona e la sua vocina interiore cattiva. Britt gli consigliava di fare la cosa più giusta, Holland invece di fare la cosa meno corretta, anche se coincideva con le intenzioni di Stiles. Con l’arrivo di Russell, le due ragazze si zittirono e Stiles si impettì.
«Dylan. Hai trovato il cellulare di Shelley?» chiese Russell.
«Cosa? Oh, questo? S-sì, non sapevo che fosse di Shelley…» mentì Stiles.
«Certo. Perché tu, solitamente, quando trovi un cellulare te ne appropri senza informarti di chi sia? E comunque è strano che tu non ti sia accorto che, sul retro del cellulare, ci sta scritto proprio il suo nome glitterato». Russell parve spazientito. «Smettila di dire cazzate e consegnami quel cellulare.»
«Posso tenerlo io al sicuro e, non appena troveremo Shelley, glielo ridarò.»
«Non farmi perdere la pazienza. Su, dammelo»
Holland glielo sfilò di soppiatto dalle mani e lo diede a Russell, e Stiles si soprese di quell’atteggiamento da vera traditrice, tant’è che le gettò un’occhiata funesta.
«Questo lo tengo io, Dylan. Se proprio vuoi renderti utile, torna nella tua roulotte e riprenditi perché domani ricomincerai le riprese.»
Russell si allontanò e il resto della gente ritornò alle ricerche, alcune decisero anche di spostarsi in macchina.
«Ma che cavolo hai fatto? Gliel’hai dato?» urlò Stiles a Holland.
«Tanto gliel’avresti dovuto dare comunque.»
«Appunto» sostenne Britt. «Comunque dovresti seguire il consiglio di Russell. Torniamo in roulotte. Poco fa ti sei comportato…»
«Britt!» la interruppe Stiles, severamente. Poi si addolcì per non sembrare impertinente. «Okay, torna in roulotte e io ti raggiungo dopo.»
Britt annuì un po’ crucciata, salutò Holland e si incamminò verso la roulotte.
«Lei ancora non lo sa?» chiese Holland, allertata.
«No, ma glielo dirò presto. Anzi, prestissimo» rispose Stiles. «Avevo completamente dimenticato che sono scaduti i giorni di ferie. E adesso che faccio? Sono negato in questo lavoro.»
«Fai del tuo meglio.»
«Devo recuperare quel cellulare.»
«E come pensi di fare?»
«Lo sottraggo a Russell di nascosto e glielo ridarò quando finirò e lui neanche se ne accorgerà.»
«E come? Sentiamo.»
«Con il tuo aiuto, ovviamente» concluse Stiles, dandole le spalle e tornando nella sua roulotte. Holland, invece, inclinò indietro la testa, scrollandola per la pessima proposta di Stiles che, più che proposta, apparve un’imposizione. Aveva il presentimento che quella faccenda le avrebbe giocato il suo posto di lavoro e, spontaneamente, disse: «Maledetto Stiles!»

 
ANGOLO DELL'AUTRICE
Direi che Holland, alla fine, dissociandosi dalla
strana situazione di Stiles, si è ritrovata comunque
a dovergli il suo aiuto. E va be' dai, chi è che resiste a Stiles?
Sandra Sammito

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Capitolo 10
*** Missione compiuta ***


10. MISSIONE COMPIUTA
 
Nella roulotte di Dylan non si sentiva volare una mosca. Britt era distesa sul letto, immersa nei pensieri che, molto probabilmente, erano legati al comportamento scorretto di Stiles. Holland, seduta sul divano, guardava Stiles che, come una tigre in gabbia, faceva avanti e indietro ininterrottamente.
«Se vuoi me ne vado e torno quando avrai la mente più lucida» optò Holland, che in realtà si sentiva solo in imbarazzo di fronte a Britt, la quale secondo lei era infastidita dalla sua presenza.
«No. Ho già in mente un piano, ma non so se riuscirà» rispose Stiles, continuando la sua camminata schizofrenica.
«Illuminami allora» disse Holland, accavallando le gambe.
«Se, con nostra fortuna, Russell ha infilato il cellulare in tasca, sarà facile sfilarglielo senza che se ne accorga.»
«Se Russell ha il cellulare in tasca… Questo non lo sappiamo» rettificò Holland, scettica nei confronti di quel pessimo piano.
«Perché ci tieni così tanto a recuperare quel cellulare e a controllare se ci siano indizi? Ci penserà la polizia. Sicuramente l’avranno già chiamata» chiese Britt, con le mani giunte sul petto.
«Ecco perché voglio attuare immediatamente il piano, così da arrivare prima della polizia.»
«Da quando in qua ti occupi di depistaggio?» domandò ancora Britt, ancora arrabbiata.
«Co… Depistaggio? Io non…»
«Okay sbrighiamoci e andiamo» lo interruppe Holland, prima che egli desse inizio a un’inutile lite.
«E tu lo aiuterai pure? Sbaglio o sei stata tu a consegnare il cellulare a Russell» inveì Britt contro Holland.
«Sì, ma ciò non toglie che non sia d’accordo con la decisione di Dylan.»
«Tutto questo ti sembrerà privo di logica, ma fidati di me. So quello che faccio» disse Stiles a Britt. «Andiamo.»
Stiles e Holland uscirono dalla roulotte e si incamminarono alla ricerca di Russell. Quando lo videro, mentre parlava con due tecnici, Stiles tirò Holland per il braccio, inducendola a nascondersi con lui dietro a un muretto.
«Okay, questo è il piano» iniziò Stiles, elencandole tutti i passi da seguire.
 
Holland Roden sgambettava sensualmente in direzione di Russell, tenendo le braccia morbide lungo i fianchi e con lo sguardo indifferente, rivolto all’orizzonte. Lo scontro tra lei e il regista fu progettato, ma Russell neanche lo intuì.
«Ops! Scusami Russell, avevo la testa per aria» civettò Holland.
«Tranquilla.». E Russell tornò a guardare dei dati scritti su un foglio volante.
«Ehm… Notizie di Shelley?»
«Abbiamo chiamato la polizia, cinque minuti fa. A breve dovrebbe essere qui.»
«Nessuna traccia, a parte il suo cellulare?»
«Sì. Menomale che Dylan l’ha trovato. Anzi, non so cosa gli sia passato per la testa. Voleva tenerlo lui! Bah, che sciocchezze! Sai che cosa gli stia prendendo a quel ragazzo?»
«È solo preoccupato per Shelley. Be’, menomale che te l’ho consegnato, altrimenti non l’avrebbe mai mollato.»
«Ecco, grazie. Ora è al sicuro, lontano dalle sue mani.»
«Ma dai! Sei arrivato persino a nasconderlo da Dylan?»
«Non si è mai troppo cauti. Credo che la mia cassetta di sicurezza sia il posto più sicuro.»
«Oh» espresse Holland con stupore. Poi serrò le labbra, notando un mazzo di chiavi, visibile dalla tasca dei bermuda.
«Bene. Io allora… Vado» disse Holland, urtando nuovamente Russell in modo sbadato e facendogli scivolare dalle mani i fogli volanti. Russell, indispettito, si chinò per raccoglierli e anche Holland fece lo stesso per aiutarlo.
«Stai più attenta» le disse Russell, moderandosi con il tono di voce.
«Sì, scusami.»
 
Stiles attese il ritorno di Holland, seduto dietro al muretto e mordicchiandosi le unghie. Attese dei minuti, finché Holland non lo fece sobbalzare, apparendo dal nulla come un fantasma.
«Mi hai fatto prendere un colpo» gracchiò Stiles, con una mano sul petto e boccheggiando.
«Ho scoperto qualcosa.»
«Cosa?»
«Il cellulare è nascosto dentro la sua cassetta di sicurezza.»
«Dentro la sua… Oh!» esclamò Stiles, sbuffando.
«Che c’è ora?»
«Spero che tu sappia scassinare una cassetta di sicurezza.»
«E chi ti dice che la scassineremo?»
Holland fece penzolare dinanzi agli occhi di Stiles un mazzo di chiavi, lo stesso che traboccava dalla tasca dei pantaloni di Russell.
«Sono riuscita a sfilargliele dai pantaloni e mi stupisco di me stessa» asserì Holland, quasi orgogliosa di aver agito da brava ladruncola.
«Io ti adoro. Posso adottarti?»
«Smettila e andiamo. Abbiamo poco tempo. La polizia sarà qui a momenti.»
Corsero fino alla roulotte di Russell, ben diversa dalle altre roulotte. Era più piccola, meno arredata e, soprattutto, meno lustra e ordinata.
«Che macello, santo dio!» esclamò Holland, disgustata. Richiusero la porta alle loro spalle e Holland decise di fare da vedetta.
«Dov’è la cassetta di sicurezza?»
«Non sono mai entrata qui dentro, ma penso che debba essere incassata nella parete.»
Stiles non dovette cercare molto per scovare una serratura sulla parete, accanto al letto. Prese il mazzo di chiavi e…
«Quale diavolo è la chiave adesso?»
«Questo non lo so. Devi provarle tutte.»
Stiles gettò su Holland un’espressione imbronciata. «Certo, facile come cercare un ago in un pagliaio.»
Iniziò a provare, una per una, ogni chiave di quel mazzo. Almeno le chiavi non erano tante!
«Sbrigati! Sento dei passi che si avvicinano» lo avvertì Holland, appiattita alla porta.
«Be’ non è colpa mia se… Oh, eccola!». Incastrò perfettamente una chiave nella serratura e girò. La cassetta si aprì e, oltre a delle cartelle e dei borselli, c’era il cellulare di Shelley. Lo acchiappò frettolosamente e accese lo schermo.
«Stiles! C’è qualcuno» sussurrò Holland, con lo sguardo ansioso.
«Dannazione. Il codice di sblocco!»
«2187.»
«Ti adoro ancora di più.»
«SBRIGATI!»
Stiles inserì il codice, lo schermo si sbloccò e aprì la sezione messaggi. Ma prima che potesse giungere a delle conclusioni, Holland si gettò su di lui, sbattendo la cassetta di sicurezza e trascinandolo in bagno.
«Ma che diavolo…»
«Shh. C’è Russell» lo interruppe Holland, tappandogli la bocca con una mano. In quell’istante entrò qualcuno nella roulotte – probabilmente Russell – e i suoi passi si fermarono proprio di fronte al bagno.
«Cazzo! Cazzo! Sono finita. Ho perso il lavoro!» esclamò sommessamente Holland, lamentandosi e quasi scoppiando a piangere. Stiles intanto, per non perdere tempo, controllò i messaggi. Quello ad aver catturato la sua attenzione fu proprio l’ultimo, ricevuto da un numero sconosciuto sulla rubrica.
 
Incontriamoci dietro le cucine. Devo parlarti in privato.
Stiles

15/02 tue 21:03
 
Era certo di non averle inviato alcun messaggio. Adesso sapeva che qualcuno le aveva teso una trappola e anche che era sparita dalla sera precedente, ancor prima che Stiles venisse trasportato a Beacon Hills. Eliminò il messaggio e, controllando anche le chiamate e non trovando più niente di insolito, spense il cellulare. Ma fuori lo attendeva qualcosa di peggiore. Russell li avrebbe cacciati dal set se li avesse scoperti sulla sua roulotte con in mano il cellulare di Shelley.
La maniglia della porta del bagno si girò e Holland si aggrappò alla felpa di Stiles, affondando le sue unghie. Stiles gemette per un attimo, ma il timore di essere scoperto soverchiò ogni dolore.
«Ehi Russell. È arrivata la polizia». Si udì una voce dall’esterno della roulotte e, proprio quando la porta del bagno si era socchiusa per il passaggio di Russell, si richiuse nuovamente. Non appena nella roulotte non ci fu più la presenza del proprietario, Holland liberò tutta la cassa toracica, rilassando i muscoli addominali. Stiles, invece, abituato ai momenti di suspense, si rilassò prestissimo e uscì dal bagno. Pulì il cellulare con la camicia, per cancellare le sue impronte digitali e lo posò di nuovo dentro la cassetta, richiudendola con la chiave.
«Queste lasciamole qui, almeno Russell penserà che le abbia dimenticate» disse Stiles, poggiando il mazzo di chiavi sulla scrivania.
«Andiamo via. Immediatamente!» esclamò Holland, con i capelli elettrizzati dalla paura.
 
Giunti di fronte alla roulotte di Dylan e dopo la totale ripresa di Holland, Stiles espose alla ragazza ciò che scoprì.
«È scomparsa ieri sera e qualcuno l’avrà rapita, traendola in inganno con un messaggio che, astutamente, era firmato con il mio nome.»
«Quindi è stata rapita?» domandò Holland, allarmata.
«Tra tutti i mali più grandi, spero che sia stata rapita, perché non vorrei mai che le torcessero un capello.»
«Pensi che la polizia riuscirà a trovarla?»
«Non so precisamente che genere di malato mentale l’abbia rapita, so solo che bisogna trovarla al più presto» disse Stiles.
«Speriamo che non le succeda niente. Sarebbe la fine per Teen Wolf se accadesse una tragedia del genere sul set» disse Holland. «Adesso però vado nella mia roulotte perché la giornata è stata di gran lunga faticosa e spaventosa.»
«Okay. Ci vediamo più tardi» disse Stiles, facendo per entrare nella roulotte. «A proposito. Perché 2187?»
«È la sua data di nascita» rispose Holland, andando via.
Stiles sgranò gli occhi e arricciò il naso. «Malia in questa dimensione ha ventinove anni?!» esclamò, meravigliato.  

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Capitolo 11
*** Questione di fiducia ***


11. QUESTIONE DI FIDUCIA
 
Nella roulotte di Dylan, Stiles se ne stava seduto su una sedia, con lo sguardo perso nel vuoto e la mente lontana miglia e miglia dalla terra. Ripensava a Beacon Hills e al come fosse riuscito a ritornarci per pochissimo tempo la notte precedente. Camminava solamente sotto il chiaro di luna, ripensando alla sua città. Forse era questa la risposta, doveva solo pensarci profondamente e sforzare tutto se stesso affinché il suo desiderio venisse esaudito. Ma pur provandoci e riprovandoci, non accadde più nulla di simile e si rabbuiò. “Ho perso la mia occasione” pensò, “non avrò mai più questa possibilità”.
Intanto che Stiles rimuginava sui suoi problemi, Britt ne riservava altri. Leggeva un libro sul letto, ma a tutto era concentrata tranne che alla storia, perché spesso alzava gli occhi azzurri dalle pagine e spiava Stiles dal bordo del libro. Ma Stiles non la degnò di considerazione, né parve aver voglia di parlarle. Era immerso nei suoi tristi pensieri e Britt alimentò una rabbia dentro di sé, che a breve l’avrebbe indotta a scoppiare.
«Hai scoperto qualcosa, detective Conan?» domandò Britt, sarcasticamente.
«Sì. Come pensavo è stata rapita sicuramente.»
«Da cosa l’hai dedotto?»
«Ha ricevuto un messaggio, ieri sera, firmato con il mio nome, in cui “le chiedevo” di incontrarci in un posto nascosto per parlarle. E il posto è esattamente quello in cui abbiamo trovato il suo cellulare.»
«Ma… Perché mai Shelley dovrebbe essere rapita? E da chi soprattutto? Non ha fatto nulla di sbagliato, credo. Sì, è una ragazza esuberante, che facilmente potrebbe cacciarsi nei guai, ma arrivare a rapirla per chissà quali scopi… Non lo so, Dylan, è strano.»
Sapendo che non avrebbe potuto darle la risposta di cui lui, in parte, era a conoscenza, decise di mentirle. «Sai? Al giorno d’oggi alla gente non importa se le hai fatto un torto o meno. Se si mettono nella testa di “punire” qualcuno, anche per qualcosa che non ha fatto, lo fanno senza rimorsi. Nel caso di Shelley… be’, chiunque l’abbia rapita, l’avrà fatto senza una motivazione valida. E magari tra qualche giorno arriverà una minaccia da parte del rapitore, che chiede che so… cinquanta mila dollari in contanti alla famiglia di Shelley, in cambio della sua libertà. È un’attrice, a volte queste cose possono capitare.»
«Potrebbe anche essere, ma ci sono tanti attori più famosi e conosciuti, che valgono il doppio di quell’ipotetica cifra. Perché proprio Shelley?»
Stiles fece spallucce, ma la loro discussione fu interrotta da due bussi alla porta. Quando Stiles andò ad aprire, Tyler Posey s’intrufolò nella roulotte più veloce di una saetta. Per un attimo diede l’impressione che stesse scappando da qualcosa o da qualcuno, e che cercasse disperatamente un nascondiglio.
«Sco… Ehm… Tyler. Dobbiamo a qualcosa questa tua irruzione?» domandò Stiles, richiudendo la porta e osservando il ragazzo con circospezione.
«Sì» rispose Tyler, sollevando il suo cellulare in direzione di Stiles. Poi cominciò a dire: «Ed eccoci nella roulotte di Dylan O’Brien. Ehi Dylan, sorridi. Sembri un po’ depresso. E…», girò il cellulare in direzione di Britt. «… sorpresa sorpresina: BRITT ROBERTSON! Woah! Sempre più bella. Ciao Britt» e agitò la mano in segno di saluto. E finalmente interruppe quello che doveva essere un filmato.  
«Hai registrato un video?» chiese Stiles, esterrefatto.
«Certo.»
«Perché?»
«Uhm… Perché mi andava. Snapchat mi diverte!» esclamò Tyler, con un sorriso emozionato.
«Shelley è scomparsa e tu vai in giro a fare video. Non ti senti un po’ ridicolo?» chiese Stiles, questa volta disgustato.
«Puah! Scomparsa… Sarà andata a intanarsi con qualche bel maschiaccio senza dirlo a nessuno.»
«È questo che credi? Come la metti con il suo cellulare?»
«Il suo cellulare?» chiese Tyler, perplesso, ma sempre con lo sguardo attento sul suo telefonino.
«Sì. È stato ritrovato e non è con lei» rispose Britt, ancora seduta sul letto, usando due dita come segnalibro.
«Questo non lo sapevo» ammise il ragazzo, accigliandosi.
«Eh, certo. Stavi sicuramente girando qualche video stupido per una stupida applicazione sul cellulare, invece di preoccuparti dei fatti reali» lo rimbrottò Stiles.
«Ehi, come ti stai scaldando tanto amico! Ho solo perso gli ultimi aggiornamenti. E poi non credevo che tenessi così tanto a Shelley. È per lo scherzo di Stiles Stilinski
«Per lo scherzo di che?» domandò repentinamente Britt, incuriosita.
Stiles sgranò gli occhi, serrando le labbra a tal punto da farle sparire. Tyler scoppiò in una sommessa risata e si grattò la punta del naso con un ghigno malizioso.
«Britt non lo sa?» chiese.
«Non so cosa? Dylan!» gracchiò Britt, alzandosi dal letto e avvicinandosi velocemente ai due ragazzi. «Allora?» chiese ancora, quando vide che tra Tyler e Stiles ci fu un netto scambio di sguardi.
«Ah, ma niente di che, Britt. Dylan ha solo messo in scena uno scherzo in cui si spaccia per Stiles Stilinski e ci sono cascate delle persone, tra cui Holland e sì, anche Shelley» svelò Tyler, palesemente smanioso di fare un dispetto all’amico.
«È così, Dylan?» chiese Britt, sorpresa e turbata.
«Ehm… Okay, sì, lo ammetto» si arrese Stiles, sbuffando.
«Ma per quale motivo lo fai? E poi… Insomma, come diavolo hanno avuto il coraggio Holland e Shelley di credere a un’assurdità simile? Se lo avessi detto a me, col cavolo che ti avrei creduto» ammise Britt.
«Tranquilla. Voleva abbindolare anche me, ma non ci è riuscito perché sono molto intelligente» si millantò Tyler. «Però lo aiuto a portare avanti la scena da bravo complice, anche se anch’io non ho ancora capito il motivo per cui lo fa.»
«Lo faccio perché… Lo sapete come sono fatto, adoro gli scherzi» mentì Stiles a denti stretti.
«Be’ adesso dovresti farla finita e ammettere che era uno scherzo e che sei un cretino. A ventiquattro anni fai ancora queste cose. Oh su, andiamo!» bofonchiò Britt, tornando a letto.
“Bene. Adesso ho pure ventiquattro anni!” esclamò Stiles tra sé e sé.
«Scusate. Adesso tolgo il disturbo. Arrivederci» disse Tyler, congedandosi. Stiles riuscì, però, a gettargli un’orrenda occhiata mentre andava via, come se stesse dicendo: «Te la farò pagare».
«Io devo andare da un parte. Torno subito» concluse Stiles, lasciando anch’egli la roulotte.
 
Dietro le cucine – luogo in cui Shelley doveva essere stata rapita e in cui fu rinvenuto il suo cellulare – Stiles non trovò altro che sterpaglie e foglie secche, con l’aggiunta di qualche residuo di immondizia. Cercando e ricercando in mezzo a quel pandemonio, non trovò nulla, non erano visibili neanche delle impronte di scarpe perché il terreno era massiccio.
“Dove sei Shelley?” si chiese Stiles, guardando al di là delle sterpaglie, dove il terreno si perdeva in un’immensa prateria arida.
«Sei di nuovo qui?» chiese una voce alle sue spalle. Stiles sobbalzò e si voltò di scatto.
«Holland, ti prego. Già è la seconda volta in tutta la mattina che mi fai spaventare. Comunque sì, sono di nuovo qui. Non posso starmene con le mani in mano» disse Stiles.
«Ho origliato i discorsi tra Russell e la polizia.»
«E…»
«Come al solito, la polizia ha detto che farà tutto il possibile per indagare sull’accaduto e ritrovare Shelley. Che altro può dire o fare? L’unico indizio che poteva confermare l’ipotesi di rapimento si è dissolto quando hai cancellato il messaggio dal suo cellulare. Dal messaggio avrebbero potuto risalire al mittente e…»
«Sì, perché già la firma Stiles non bastava per sospettare su di me.»
«Tu per loro e per tutti sei Dylan.»
«Holland, chi altro conosci con il nome Stiles? Potrebbero pensare che abbia firmato con il nome del personaggio che Dylan interpreta, come un messaggio in codice o…»
«Stiles, si vede che provieni da un altro mondo» dichiarò Holland, allontanandosi.
«E comunque ormai è fatta. Capiranno a prescindere che sia scomparsa per rapimento… Forse…» esitò Stiles, seguendo l’attrice.
 
Erano le otto di sera e il pomeriggio si trascinò incredibilmente veloce. Le riprese furono sospese per l’intera giornata, ma tutti rimasero in pensiero per la collega scomparsa e di cui non si avevano ancora tracce. Nella roulotte, Stiles e Britt erano seduti sul divano a guardare la televisione per concedersi una distrazione. Ma entrambi avevano la testa da un’altra parte. Stiles aveva il cervello sintonizzato sul canale Beacon Hills e la malinconica assenza, mentre Britt pensava al suo ragazzo e di tanto in tanto si avvicinava a lui per dargli qualche affettuoso bacio.
«Stai ancora pensando a Shelley?» chiese Britt, accorgendosi del sovrappensiero di Stiles.
«No. Cioè sì. Forse. Veramente sto pensando a tante cose.»
«Riguardo a…?»
Stiles s’interruppe un attimo, certo che fosse arrivato il momento di mettere da parte i possibili sensi di colpa e vuotare il sacco a Britt, una volta per tutte. Doveva sapere, anche se non gli avrebbe creduto. «Britt, io devo…»
La porta della roulotte si spalancò e i due sussultarono, invasi da adrenalina. Nel luogo irruppe Holland, con un’espressione sbigottita e il fiatone.
«HOLLAND! Di nuovo con le comparse di soppiatto? Vuoi farmi venire un infarto oggi?» sbraitò Stiles, boccheggiando.
«Hanno trovato la giacchetta di Shelley» annunciò Holland.
«Davvero? Dove?» chiese Britt.
«Non lontano da qui. Ma non è questo il problema.»
«E qual è? Diavolo Holland, non farci stare sulle spine!» mugugnò Stiles, con l’ansia avvinghiata allo stomaco.
«La giacchetta era tutta strappata, come se l’avesse assalita… Un lupo» dichiarò Holland, quasi si sforzasse a credere che effettivamente la scomparsa dell’amica potesse avere un nesso con la situazione di Stiles.
«Lo sapevo» mormorò Stiles, sommessamente.
«Stiles, devi venire e dire a tutti cosa sta succedendo. Forse non ti crederanno, ma è pur sempre meglio tentare» lo pregò Holland.
Prima che Stiles potesse rispondere, Britt sogghignò e si alzò dal divano. «Holland. Non c’è bisogno» disse.
«Scusa Stiles. Probabilmente non l’avevi ancora detto a Britt, ma adesso ci serve il tuo aiuto» si scusò Holland, fiduciosa.
Stiles si portò una mano tra i capelli, consapevole di cosa sarebbe accaduto nei prossimi secondi.
«Holland. Il nostro Dylan è riuscito a farti il lavaggio del cervello con questo scherzo. Mi dispiace, ma adesso è meglio porre fine a questa burla» dichiarò Britt.
«Scherzo?» chiese Holland, confusa. «Stiles?»
«Sì, Holland. La storia di Stiles Stilinski è tutto uno scherzo di Dylan. E se non me l’avesse detto Tyler, probabilmente neanche ne sarei venuta a conoscenza.»  
Holland rimase a bocca aperta per una manciata di secondi. Stiles, invece, si alzò e cercò di rimediare.
«Aspetta, Holland. Posso spiegarti. Non è uno scherzo, sono veramente Stiles. È solo che non l’avevo ancora detto a Britt, e Tyler…»
«Come ho fatto a essere così stupida? Ti ho creduto e ti ho pure aiutato! Dylan, stavolta hai veramente esagerato» affermò Holland, con la frustrazione negli occhi e nascondendosi con le mani, come per vergogna.
«Oh, ti prego Holland! Fammi spiegare. È così come ti ho detto. Credimi!» la scongiurò Stiles.
«Fottiti Dylan» lo apostrofò Holland, e uscì dalla roulotte sbattendo la porta.
«È stato meglio così, Dylan. Lo scherzo è bello quando dura poco» espresse Britt, mordendosi un labbro.
«Hai rovinato tutto. E non era uno scherzo. Io sono veramente Stiles, non il tuo prezioso Dylan» gridò Stiles, uscendo dalla roulotte per inseguire Holland. Ma Britt fece la stessa cosa e lo fermò per il polso.
«DYLAN. Adesso finiscila, okay? Stai esagerando e mi dispiace solo che di mezzo ci vada a finire la nostra relazione»
All’esterno della roulotte, come ogni sera, l’assenza di gente rendeva tutto molto sinistro, aggiunto alla penombra.
«Non m’importa della nostra relazione, perché non è con me che tu sei fidanzata. Il tuo ragazzo è Dylan e non sono io. Mi dispiace di essere arrivato a questo punto, non volevo che tu soffrissi, ma non ce la faccio più. Sono stanco. E voglio tornare a casa.»
«Dylan, non capisco, sul serio. Che ti sta succedendo? Aiutami a capire.»
«Devi solo credermi e fidarti di me. Io sono Stiles, sono stato trasportato in questo mondo e, da stamattina, ho anche compreso che nel mio universo, a Beacon Hills, in questo momento ci sta il tuo ragazzo, Dylan, che a quest’ora non vede l’ora di tornare alla sua realtà tanto quanto me.»
«Ma è illogico. Qui non siamo nel mondo di Teen Wolf, in cui esiste la magia. Siamo nel mondo reale, i cui problemi non si risolvono con uno schiocco di dita o con una bacchetta magica, ma con il sacrificio fisico e intellettivo. Dylan…» disse Britt, prendendo la mano del ragazzo. «Io ti amo. Non voglio perderti per uno scherzo. Anzi, a questo punto non so più cosa sia. Non voglio neanche pensare che tu sia impazzito veramente.». Britt accarezzò il braccio di Stiles, fino a portargli la mano sul viso levigato. «Ti prego.»
«Ehi, vuoi smetterla di palparlo?» disse una terza voce. Stiles la riconobbe subito e il suo corpo si mosse nella direzione della fonte del suono quasi autonomamente.
«Shelley? Sei tornata? Sei viva?». Britt era felice di rivedere la sua amica, come anche Stiles. «Ti stavamo cercando tutti» disse ancora Britt, facendo per avvicinarsi alla ragazza per stringerla a sé.
«Shelley?» domandò la ragazza. «Io non sono Shelley.»
Britt gettò un’occhiata fulminea su Stiles e, aggrottando la fronte, chiese: «Scusa, allora chi sei?»
Stiles stava quasi per gongolare, ma non poteva ancora crederci, finché non l’avrebbe udito con le proprie orecchie.
«Io sono Malia.» 

 
ANGOLO DELL'AUTRICE
E Shelley adesso è Malia ma... Chissà se sia veramente lei o
sia uno scherzo? Ma in fondo è tutta "Questione di fiducia".
Spero di pubblicare presto il prossimo capitolo e di non farvi attendere molto.
Grazie per la lettura.
Sandra Sammito

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Capitolo 12
*** Anagramma ***


12. ANAGRAMMA
 
«Malia? Sei davvero tu?» chiese Stiles, osservando la ragazza in ogni suo piccolo carattere peculiare, ogni sua curva, ogni sua angolazione, ogni linea.
«Stiles?» chiese ulteriormente la ragazza, con occhi colmi di stupore.
«Ottimo! Adesso anche Shelley si ci mette!» esclamò Britt, dimenando le mani con gestualità di arresa.
Stiles, però, non soppesò granché le parole di Britt, perché la sua focalizzazione era concentrata interamente su colei che disse di essere Malia e che, a tutto tondo, pareva proprio lei. Avanzò verso di lei, con le labbra semichiuse, e la ragazza fece lo stesso, ma con un sorriso elettrizzato. Quando furono talmente vicini da potersi toccare, le uniche cose ad essere unite in quel momento erano i loro sguardi, profondi e scrutatori. Sembrava che fosse il loro primo incontro, la mia prima vicinanza che li rendesse una coppia inseparabile. Stiles protese le mani sul suo viso. Quasi ebbe paura nello sfiorare quella pelle perfetta; quasi tergiversò perché temeva di scoprire che quella pelle fosse fatta di polvere perché frutto della sua immaginazione. Tuttavia, non appena le sue dita accarezzarono il suo viso levigato, le risposte emersero e la paura si dissolse con la brezza della sera.
«Malia!» sibilò Stiles, un sibilo carico di speranza, ardore e animosità. Quel tocco flebile produsse nel suo cuore una carica di elettricità, tale da riprendersi dall’ormai passato stato di vuotezza e dispersione. Era lei, era proprio lei. Era la ragazza di cui era innamorato, la ragazza per cui impazziva, la ragazza senza la quale il suo respiro decelerava a ogni minuto che passava.
Malia gli sorrise e si aggrappò alla sua mano mentre la accarezzava come fosse una soffice nuvola in procinto di disgregarsi. I suoi occhi a mandorla sorridevano più delle labbra, luccicavano di gioia immensa.
«Scusate? Vi disturbo forse?» li interruppe Britt, rossa dalla rabbia e dalla gelosia.
Stiles e Malia si voltarono a guardare la ragazza, il primo ricordandosi di doverle delle spiegazioni, la seconda chiedendosi: “Ma questa sta ancora qua?”.
«Britt. Adesso mi credi o no?» domandò Stiles.
Britt esitò, guardando prima Stiles, poi Malia, e poi di nuovo Stiles, con le pupille velate di lacrime. Scosse la testa e strinse i pugni dietro la schiena.
«Per quale motivo dovrei crederti? Perché dovrei credere a questa messinscena?» mugugnò Britt.
«Perché so che ami Dylan e so che lo vorresti qua, così come io voglio tornare a Beacon Hills. Devi fidarti» rispose Stiles.
Fu lì che Britt singhiozzò e, senza esprimere più una parola, rientrò nella roulotte. Stiles immaginava che sarebbe accaduto questo triste avvenimento, ma aveva già creato un bel casino nella sua vita, non avrebbe voluto incasinare anche la vita delle altre persone intorno a lui. Britt meritava la sincerità e Stiles non riuscì più a negargliela.
Sospesi per un momento i sensi di colpa, Stiles tornò a guardare la sua bellissima Malia e ancora non poteva credere che fosse reale.
«Come hai fatto ad arrivare qui?» chiese.
«Così come ci sei arrivato tu» rispose Malia.
«Quei brutti bastardi. Hanno deciso di scombussolare la vita anche a te» bofonchiò Stiles, accigliandosi di nervoso.
«L’ho deciso io» ammise Malia, provocando sorpresa in Stiles.
«C-cosa? Perché?»
«A Beacon Hills ho capito subito, ancor prima che lui lo confermasse, che Dylan non eri tu. E ho fatto di tutto per scoprire chi ne era stata la causa. Sai che riesco a ottenere quel che voglio, con tutti i pro e i contro. Perciò adesso… Eccomi qui» spiegò Malia.
«Sono stati quattro ragazzi strani? Uno di loro aveva una polenta rossa in testa?»
«Sì, proprio loro. Mi hanno detto che ti avevano preso e… Ho stretto un accordo.»
«No! No no, Malia. Che accordo hai stretto senza prima consultarmi?»
«Aspetta! Da quando devo chiederti il permesso?»
«Da quando le tue azioni sono dettate da un istinto sovrannaturale, che più delle volte manca di responsabilità e ragionevolezza.»
Malia incrociò le braccia, sfidando Stiles in un duello di sguardi provocatori. «Mi stai dicendo che tutto ciò che faccio è privo di razionalità?»
«No» si affrettò a controbattere Stiles.
«È questo ciò che trapela dalla tua frase.»
«Be’ hai capito male. Volevo solo dire che la mente di un licantropo non è lucida come quella di un umano.»
«Ancora? Ma che cavolo stai dicendo? Questo mondo ti ha dato alla testa?»
«Può darsi» rispose Stiles, rendendosi conto della scemenza che le aveva appena detto.
«E comunque non negare. Volevi dire che manco di responsabilità?»
«No, Malia. Ho detto no. Vuoi che te lo dica in spagnolo? NOH!»
Improvvisamente Stiles fu colpito da uno scheggiante schiaffo in pieno viso da parte di Malia. Mosse la mandibola e digrignò i denti per il dolore. «Okay. Questo me lo meritavo. Perdonami.». Ed ecco che ricevette un’altra sberla sull’altra guancia. Massaggiandosi la mascella disse: «E questo per che cos’era?»
«Per non avermi chiesto scusa per ciò che mi hai detto dei giorni fa, l’ultima volta che ci siamo visti» asserì Malia, questa volta con le mani sui fianchi.
«Uhm…». Stiles dapprima non ricordò, ma poi gli balenò in mente la frase che le disse e per cui si era ripromesso di chiederle perdono. Le aveva detto: “Be’ almeno io non mi trasformo in un mostro ogni luna piena”. Ora che ci pensava, non credeva possibile che fosse uscito dalla sua bocca un insulto del genere alla sua tenera ragazza.
«Ah già. Ricordo. Scusami tanto, davvero. Parlavo e parlo a vanvera» si scusò Stiles, facendo per abbracciarla. Ma Malia si scostò, falsamente offesa.
«Per stavolta ti perdono, ma faremo i conti a casa» sentenziò Malia, inarcando le labbra in un impercettibile sorriso.
«Adesso vuoi dirmi che accordo hai stretto con i fantastici quattro
«Abbiamo solo quarantotto ore di tempo per trovare una soluzione per tornare entrambi a Beacon Hills. Dopodiché se non ci saremo riusciti, rimarremo per sempre qui» dichiarò Malia.
Sul viso di Stiles tramontò il gelo e, a confronto, il Polo Nord era meno ghiacciato. La barriera sottile dentro la sua testa, che lo manteneva tranquillo e gli frenava gli scatti d’ira, adesso si era completamente sgretolata.
«Stai scherzando?»
«No. Non sto scherzando. Troveremo una soluzione, così come abbiamo sempre fatto» rispose Malia, facendo spallucce, quasi a sostenere a pieno la ragione che credeva risolutamente di avere.
Stiles strinse le labbra per non commettere atti omicidi e per trattenersi. «Malia. Solo perché sei la ragazza che amo non ti uccido seduta stante ma… Mi vuoi spiegare cosa ti fa credere che CI RIUSCIREMO IN QUARANTOTTORE?»
«Be’ non potevo stringere un accordo del genere, senza prima disporre di qualche indizio.»
«Perché? Hai un indizio?» chiese Stiles, scettico.
«Sì». Malia infilò una mano nella tasca ed estrasse un fogliettino di carta spiegazzato. Lo consegnò nelle mani di Stiles e questo lo aprì, fremente di curiosità. Sul foglietto, però, altro non c’era scritto se non una frase senza senso.
 
Haldoln Armei sha eth Marcho
 
«Questo lo chiami indizio? È un lingua morta, defunta, sepolta» asserì Stiles, leggendo e rileggendo la frase, anche al contrario, ruotando il fogliettino, sotto vari punti di vista… «Sei sicura che è un indizio? Chi te l’ha dato?»
«Lydia» rispose Malia, alzando un sopracciglio.
«Ah… Be’ allora, dobbiamo fidarci di lei. Ti ha dato anche un indizio sul come decifrare il suo indizio
«Stiles, è già tanto che sia riuscita a ottenere questo. È tutto ciò che abbiamo al momento.»
Stiles, studiando ancora la frase, parve illuminarsi nuovamente quando gli venne in mente la risposta. «È un anagramma.»
 
Nel frattempo, sotto un gazebo pericolante, il regista Russell e altri componenti della troupe, valutavano il ritrovamento della giacca strappata di Shelley. Nell’attesa che la polizia arrivasse per procurarsi un secondo indizio, i presenti teorizzavano su quanto potesse essere accaduto all’attrice scomparsa.
«Russell, questi sono strappi profondi provocati da artigli aguzzi. È sicuramente un lupo o qualche altra belva famelica» asserì uno degli attori.
«Ma non è possibile. In questa zona non ci sono lupi. E poi abbiamo scelto questa località per evitare di fare incontri pericolosi come questi» specificò Russell.
«Magari da uno zoo o un circo vicino è scappato un animale in cattività» ipotizzò un altro. «Dovremmo informarci.»
«Ragazzi, non ho molta esperienza, ma se l’avesse assalita un lupo o un’altra bestia, oltre agli strappi sulla giaccia, avrebbero dovuto esserci anche chiazze di sangue» dichiarò Tyler Posey, gustando delle tortillas piccanti. «Non credo che l’animale fosse un esperto chirurgo per effettuare dei tagli che non sfiorassero la pelle.»
«Ha ragione Tyler» disse Dylan Sprayberry.
Mentre ognuno dei presenti proseguiva la personale “indagine”, Holland era seduta su una sedia, in disparte, ancora offesa per lo scherzo di Dylan. Pensò e ripensò a ogni cosa che fece con lui, a tutto ciò di cui parlarono, e addirittura non sapeva come fosse riuscito a prenderla in giro tanto a lungo. E lei ci cascò. Si sentiva una sciocca. Doveva ammettere, però, che Dylan si era superato e che aveva reso lo scherzo alquanto reale. Si chiese soltanto perché, dopo che Britt le rivelò la verità, Dylan continuò a perseverare e a tentare di farle ancora credere che fosse Stiles. “Sarà che aveva in serbo altri scherzi” pensò Holland, passandosi tra le dita il ciondolo a forma di nota musicale che portava al collo. Non appena giunse la polizia, molti dei presenti – inclusa Holland – lasciarono il gazebo per rientrare in roulotte. Holland s’infilò sotto le coperte, infagottandosi per bene e rannicchiandosi su se stessa. Non passò molto, prima che si addormentasse.
 
I raggi lunari battevano sulla finestra della roulotte come fosse giorno. Gli occhi di Holland furono colpiti dall’abbagliante luce e furono costretti ad aprirsi lentamente. La ragazza scese dal letto e, a piedi scalzi, s’incamminò verso la porta. La spalancò e uscì allo scoperto. La luna, in realtà, non era altro che un grosso occhio di bue lucente, puntato direttamente sulla sua roulotte, su di lei. Nell’accampamento era presente solo la sua roulotte, tutt’intorno era libero e illimitato. Poggiò i piedi sul terreno arido e si guardò intorno sbalordita. Sobbalzò, però, quando qualcuno le venne incontro correndo e gridando: «Lydia! Lydia! Scappa!». Era Stiles, che rantolava e correva zoppicando. Dalla sua caviglia sgorgava sangue fresco e dietro di sé lasciava una scia rossastra. Quando Stiles l’afferrò per un braccio e la trascinò a forza, la ragazza si voltò indietro e l’unica cosa che vide apparire dallo scorcio di penombra lontana, fu un paio di occhi blu lucenti. 

 

Angolo dell'autrice
Vi sfido a decifrare l'anagramma di Lydia
prima che lo scopra Stiles 
;)
Il prossimo capitolo verrà pubblicato non oltre il 9 Maggio.
Alla prossima e grazie per la lettura.
Sandra Sammito

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Capitolo 13
*** La belva in agguato ***


13. LA BELVA IN AGGUATO
 
Stiles e Malia, durante quella placida notte, pur desiderando profondamente il contatto fisico tra loro, dovettero rinunciare poiché Stiles s’impuntò di risolvere l’enigma prima dell’indomani. Leggeva e rileggeva quella frase e, nonostante chiedesse un parere a Malia, gli fu impossibile averlo poiché ella sembrava piuttosto stralunata e persa nei pensieri. “Devo pensarci sempre io” diceva tra sé e sé Stiles. “Ah! Se non ci fossi io”.
Malia, curiosa di esplorare il luogo, girovagò nei dintorni, mascherando la sua presenza. E Stiles rimase solo, seduto sugli scalini della roulotte di Dylan. Haldoln Armei sha eth Marcho. Riuscì a decifrare solo “sha” e “eth”, i quali dovevano essere “has” e “the”, ma il resto era l’abisso. Facendo riferimento a quelle due paroline, doveva trattarsi di qualcuno che aveva qualcosa. La sua decrittazione, però, fu interrotta da dei singhiozzi provenienti dall’interno della roulotte. Era Britt e stava piangendo. Stiles era combattuto: avrebbe voluto entrare e consolarla, ma poi credette che per lei sarebbe stato peggio e che, a maggior ragione, il suo cuore sarebbe scoppiato in mille pezzi. Si limitò a sentirla piangere con un nodo al petto, rammaricandosi di ciò che le disse, il quale alla fin fine non fu altro che la verità assoluta.
La sua testa cominciò a traballare intorno all’una di notte e i suoi occhi spossati si chiusero lentamente per poi riaprirsi e concentrarsi nuovamente sul fogliettino di carta. Ben presto, però, il sonno prese totalmente il sopravvento.
 
Un urlo.
Un urlo straziante fece sobbalzare Stiles, destandolo. Accanto a lui anche Malia si svegliò dal sonno a causa di quelle grida. I due si guardarono accigliati, intuendo che qualcosa non andasse. Tutti lo udirono, nessuno lo ignorò. Stiles si alzò rapidamente per seguire i lamenti, ma quando Malia tentò di seguirlo, lui la fermò dicendole: «Non è il caso che tu venga. Piuttosto nasconditi e non farti vedere. Loro penseranno che tu sia Shelley e questo complicherebbe le cose». Stiles andò via senza lasciare a Malia altre spiegazioni. Lei, risentita, decise di dar retta al suo ragazzo e si nascose dietro la roulotte quando, dalle altre, uscì della gente per accorrere sul luogo.
Stiles raggiunse i lamenti e sul posto trovò il cadavere di una ragazza, riversa sul terreno e con gli occhi aperti e spenti a fissare il cielo. Accanto a lei, in piedi, ci stava colei che gridò, allarmata per la terribile scoperta. Holland tremava, non riusciva a distogliere lo sguardo dal cadavere che incontrò nel suo cammino, dalla ragazza defunta che, nella troupe, era la sua truccatrice personale. Il petto della ragazza era lacerato da graffi profondi, da cui traboccava il sangue ormai coagulato. Stiles guardò prima il cadavere e poi Holland, così prese il fogliettino di carta e, analizzando il termine “Haldoln”, capì immediatamente che fosse l’anagramma di “Holland”.
«Fate passare. Fate largo!» imprecò Russell, spingendosi nella calca per controllare cosa fosse accaduto. Sbiancò in viso non appena si rese conto da cosa fu causato quel clangore. Ci pensarono due attori a prendere Holland per le braccia e ad accompagnarla lontana da lì.
«Chiamate un’ambulanza» ordinò Russell che, piuttosto riluttante, si chinò sul corpo per analizzare le ferite e chiudere gli occhi inerti della ragazza.
«Allora è vero che c’è una belva in giro» disse un uomo, con gli occhi sgranati dalla paura.
«Russell, non siamo più al sicuro!» esclamarono altri. «Dobbiamo andarcene e lasciare il posto nelle mani di chi sa occuparsi di bestie inferocite.»
Stiles, seppur osservando i tagli da lontano, era già consapevole da cosa fossero stati causati, e non era un lupo qualsiasi. Tra loro c’era un licantropo ostinato a uccidere e non era certo di voler scoprire chi fosse, perché c’erano ben altri problemi da risolvere prima. Tornò alle roulotte e Malia uscì allo scoperto non appena sentì il suo odore.
«Andiamo» disse Stiles a Malia.
«Cos’è successo?»
«Una ragazza è morta e sono certo che sia stato un licantropo.»
«C’è un licantropo? Qui?»
«È Holland.»
«Chi è Holland? È lei il licantropo?»
«No, no. Guarda qui.» Stiles mostrò il foglietto a Malia e le spiegò cosa scoprì. «Holland è la ragazza che ha trovato il corpo e sembra proprio che sia lei la nostra chiave. Dobbiamo andare da lei.»
 
Holland era seduta su una sedia pieghevole, consolata dai due attori che l’avevano trascinata via. Lei beveva dell’acqua con lo zucchero per riprendersi dallo shock. Ma, non appena vide Stiles, avvicinarsi sempre di più, perse nuovamente il colorito in viso e il bicchierino che teneva in mano, le scivolò.
«Ehi ragazzi, potete lasciarmi solo con Holland per favore?» chiese Stiles, poggiando una mano sulle spalle di Holland, la quale la squadrò indignata. I ragazzi ubbidirono e andarono via, dopo aver dato le loro ultime consolazioni alla ragazza.
«Che cosa vuoi? Non è il momento adatto per continuare la tua scenetta melodrammatica» lo avvertì Holland, sbuffando e roteando gli occhi.
«Non mi credi. Ma aspetta di vedere questo.». Stiles si voltò e mormorò: «Malia! Puoi uscire».
Malia sbucò da dietro una macchinetta del caffè e li raggiunse. Holland, non appena la vide, si alzò lentamente dalla sedia, con la bocca aperta e piena di stupore.
«Shelley? Sei tornata!» strepitò sommessamente.
Malia non rispose, anzi, alzò un sopracciglio, esaminando Holland dal capo in giù.
 «Cioè la ragazza che assomiglia a Lydia è l’indizio di Lydia? È più facile a dirsi che a capirlo» sbottò Malia.
«Non c’è niente da capire. Ti spiegherò con calma un’altra volta» le rispose Stiles.
«O dio. Shelley? Anche tu con questa storia?» domandò Holland, tediata.
«Punto primo: non sono Shelley. Punto secondo: Lydia è più simpatica.»
«Vorresti dirmi che sei Malia e che anche tu sei uscita da Beacon Hills e sei apparsa qui?» chiese Holland, indifferente.
«Proprio così. Vedo che non abbiam bisogno di presentazioni.»
«Sì, certo. Come no» disse Holland, riaccomodandosi sulla sedia.
«Be’, se non fossi Malia, come spiegheresti questi?». Malia si avvicinò repentinamente a Holland, raggiungendo il suo viso di pochi centimetri, e tinse le sue pupille di un blu acceso.
Holland ebbe un tuffo al cuore e scivolò dalla sedia, emettendo un leggero mugolio. Si portò una mano sulla bocca, continuando a scrutare quegli occhi da coyote mannaro e scosse la testa, incredula. Stiles, nel frattempo, sogghignò perché stavolta Holland non aveva altre scusanti per non credere alla sua storia.
«Tu… Tu…»
«Sì, io-sono-Malia» scandì la ragazza, interrompendo lo shock di Lydia.
«Non perdiamoci in chiacchere» sopraggiunse Stiles. «Holland. Sai chi è Lydia, no? Chi meglio di te d’altronde! Ecco. Mi ha lasciato questo foglietto con su scritto questo indizio che è risultato essere un anagramma. Sono venuto da te perché la prima parola, ricostruita, forma il tuo nome. Ho pensato che potresti aiutarci a decifrarlo interamente. Ti scongiuro. Aiutaci» implorò Stiles, cingendo le mani.
Holland guardò il fogliettino di sbieco, intimorita e tremante.
«Abbiamo solo quarantottore, prima di rimanere intrappolati qui per sempre» specificò Malia.
«Guarda. La prima parola è il tuo nome, il secondo non lo capisco. Poi has the e il resto è un punto morto. Capisci qualcosa?» chiese Stiles. Holland, con titubanza, afferrò il fogliettino e lesse l’anagramma. Era concentrata, si notava sui suoi occhi lo stesso impegno che Lydia applicava in ogni cosa, quello sguardo attento e persuasivo che aveva da esprimere molto più delle parole. Holland prese fiato e Stiles lo trattenne, in attesa di ricevere delle risposte.
«Chi è che ha ucciso Ramona?». Questo fu tutto ciò che uscì dalla bocca di Holland.
Stiles buttò via l’ossigeno trattenuto e si rabbuiò. «Ramona è la ragazza… be’ sì, quella che hai rinvenuto?»
Holland annuì, fissando Malia con un terrore manifesto.
«Noi pensiamo che si tratti di un licantropo» disse Stiles.
«E sapete chi è?» chiese Holland, non levando ancora gli occhi da Malia. Quest’ultima, ovviamente, ricambiò gli sguardi, chiedendosi ripetutamente cosa avesse da guardare ancora.
«No, per ora voglio scoprire come andremo via di qui. Perciò, potresti…» Stiles indicò il fogliettino, dimostrando impazienza.  
«È strano. Perché io penso di sapere chi sia» disse Holland.
«E chi è?» chiese Malia.
Holland esitò un momento e poi rispose. «Tu.»
Stiles trasalì, tanto meno Malia che fece un’espressione disgustata e turbata. «C-cosa? No. Io so controllarmi. Non ho mai ucciso nessuno» cercò di discolparsi la ragazza.
«Li ho sognati. Ho sognato i tuoi occhi stanotte, blu come un oceano illuminato dal sole. Ci inseguivi, a me e a… Stiles. L’avevi ferito alla caviglia. E quando mi sono svegliata, mi sono ritrovata ai piedi di Ramona» raccontò Holland, con tono piatto.
«Hai visto Malia o hai visto solo gli occhi blu?» chiese Stiles.
«Che importa? Erano uguali ai suoi.»
«Ma era un sogno. Non puoi basarti su un sogno» aggiunse Malia.
«Sì, ma a quanto sembra qui l’unico licantropo o mutaforma sei tu» inveì Holland.
Malia si zittì, Stiles non sapeva come prendere in mano la situazione.
«Stiamo calmi. Qui nessuno ha ucciso nessuno. Malia non farebbe mai una cosa del genere. Sa controllarsi ormai» dichiarò Stiles. «Piuttosto tu. Soffri di sonnambulismo? Ti è mai capitata una cosa del genere?»
«No, è la prima volta. Ed è proprio per questo che dovete lasciarmi stare» disse Holland, restituendo il foglietto a Stiles. «Mi tiro fuori da questa storia e non mettetemi in mezzo perché giuro, lo giuro, vi denuncio a tutti e vi faccio rinchiudere in gattabuia.»
Holland girò i tacchi e scappò via più in fretta che poteva. Malia aveva la bocca asciutta e guardava Stiles, come per supplicarlo di non credere alle parole di Holland. E Stiles lo dedusse istantaneamente.
«Tranquilla. Ti credo. So che non hai ucciso quella ragazza» si affrettò ad aggiungere.
«Dovrebbero sgombrare la zona. È pericoloso stare qui» ammise Malia, mentre si incamminavano verso le roulotte.
«Dovrebbero. Ma, sapendo come vanno certe cose, temo che aspetteranno che accada qualche altra disgrazia per convincersi del tutto della gravità della situazione» disse Stiles. «Ma c’è una persona che non dovrebbe stare qui e devo avvertirla.»
 
Stiles entrò dentro la roulotte di Dylan, seguito da Malia, e trovò Britt seduta sul divano, pensosa. Questa gli gettò un’occhiata furiosa contro non appena li vide entrare.
«Britt, dobbiamo parlare» iniziò Stiles.
«Cos’è successo là fuori? Ho sentito un trambusto» chiese Britt.
«Ecco, appunto. È successa una cosa per cui ti implorerei di andare via da qui, prima che sia troppo tardi.»
«Non girarci. Dimmi che succede.»
«È stata uccisa una ragazza a sangue freddo» rispose Malia.
Stiles la fulminò con uno sguardo. «Ti ringrazio per la tua sensibilità» le disse.
«Cosa? C’è stato un omicidio?» si allarmò Britt.
«Be’, sì, diciamo. Per questo motivo devi andartene. Questo posto non è sicuro. Ti ho cacciata nei guai facendoti venire qui, dovevo impedirtelo quando ne ho avuto la possibilità.»
Britt guardò il ragazzo, risentita. «Non crederò mai a ciò che mi hai detto ieri? Lo sai, no?»
«Britt, ti prego. Non voglio essere colpevole della rottura della relazione tra te e Dylan. Non lo conosco, ma credo che s’infurierebbe a morte con me.»
«Sembra uno tranquillo» aggiunse Malia, che aveva conosciuto Dylan di presenza a Beacon Hills. «E non faceva che parlare di Britt. Ora ho capito che sei tu. Gli manchi e non vede l’ora di poter tornare da te.»
Britt scosse la testa e cominciò a singhiozzare. «Io… Non ce la faccio. È così patetico.»
«Dylan ha bisogno di trovare il tuo conforto quando tornerà e non potrai respingerlo» le disse Stiles.
«Sempre se, entro quarantott…» Malia fu interrotta da un pizzicotto di Stiles, poiché stava per dire la frase meno consona alla circostanza. Malia lo sbranò con gli occhi, ma Stiles cercò di non farsi intimorire.
«Okay. Vado via. La lontananza mi servirà a riflettere» asserì Britt, alzandosi dal divano e cominciando a preparare il borsone.
Stiles sbuffò, più rilassato. Per lo meno era riuscito a convincerla a farsi da parte per la sua incolumità.
 
Alle 16:00 del pomeriggio Britt lasciò la location, salutando Stiles e Malia con distacco, e chiedendo al ragazzo di salutare gli altri per lei. Dopodiché la roulotte di Dylan entrò nel silenzio. Stiles guardava il fogliettino e Malia guardava Stiles.
«Mi hai dato un pizzicotto!» esclamò Malia.
«Ho dovuto, tesoro. Stavi per rovinare tutto.»
«Tesoro? Da quando mi chiami tesoro?»
«Non ti piace? Dylan chiama così a Britt. Mi ci ero abituato a questo nomignolo e…» Stiles si fermò quando vide l’espressione crucciata di Malia. «… ma a te non si addice proprio» completò, sorridendole buffamente.
«È da sdolcinati.»
«Però è carino. Cucciola ti piace?»
«Mi fa pensare ai cani» sbottò Malia, con repulsione.
«Ma i cuccioli di cane sono carini.»
«Vuoi ancora continuare con questa storia o vuoi che liberi il coyote che c’è in me?»
«No, ora smetto, cucciola» scherzò Stiles, facendole una linguaccia.
Malia, in risposta, stava per dargli un altro schiaffo della lunga serie, ma Stiles la fermò appena in tempo. La guardò negli occhi e, dopo averle sorriso, si gettò sulle sue labbra, prima che lei potesse controbatterlo e insultarlo nel modo romantico con cui solo lei riusciva a trattarlo.  


 
ANGOLO DELL'AUTRICE
Perdonate il ritardo, ma sono stata impegnata con lo studio e
il lavoro. Spero che mi perdoniate.
Fatemi sapere cosa ne pensate. A proposito ci tenevo a ringraziare le
persone che seguono la storia e che la recensiscono.
Non me l'aspettavo per niente e ne sono entusiasta!
Detto questo v'informo che il prossimo capitolo verrà pubblicato
in settimana (ammesso che non sopraggiungano altri impegni).
Grazie per la lettura.
Sandra Sammito
   

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