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Autore: Sandra Sammito    21/04/2016    3 recensioni
Da quando Stiles è stato paralizzato da quattro ragazzi sconosciuti, vive in un mondo parallelo, in cui lui si chiama Dylan O'Brien e in cui i suoi amici, in realtà, fanno parte di una serie TV chiamata Teen Wolf. Riuscirà a tornare alla vera normalità in cui viveva?
Tratto dal primo capitolo:
«Scott, io non capisco cosa stia…»
«Tyler.»
«Dannazione! Perché “Tyler”?»
«Perché è il mio nome? Tyler Garcia Posey?»
AVVERTENZA: Potrebbe esserci la presenza di SPOILER!
Genere: Comico, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Come premessa vorrei dirvi che, per scrivere questa Fanfiction, mi sono ispirata ad un episodio della serie TV "Supernatural" (per chi lo avesse visto), in cui i protagonisti vengono teletraportati in un mondo parallelo, in cui in realtà sono gli attori che li interpretano (in quel caso Jared Padalecki e Jensen Ackles). Meravigliata dall'idea, ho deciso di basarmi su essa per scrivere una storia del genere sui personaggi di Teen Wolf.
Buona lettura. 
Sandra Sammito.

 


1. SPETTRI ILLUSIONISTI
 
 
In una mattina uggiosa e plumbea, Stiles passeggiava beatamente nel parcheggio della Beacon Hills High School, per raggiungere la sua bella Jeep azzurra e tornare a casa. Il programma per il pomeriggio era libero, non c’erano impegni, a parte quello di deprimersi e autocommiserarsi per il litigio ch’egli ebbe con Malia.
“Stiles, quando fai così mi sembri lunatico e infantile” lo apostrofò Malia.
“Be’ almeno io non mi trasformo in un mostro ogni luna piena” le ribatté contro, prendendosi un diretto in piena guancia. Malia girò i tacchi e se ne andò con il fumo che usciva dalle narici, offesa e adirata. L’avrebbe dovuta fermare e avrebbe dovuto chiederle scusa all’istante, ma non ne ebbe la prontezza. Era stato troppo istintivo e imprudente nel rinfacciarle simili affronti, ma quel pomeriggio lo avrebbe dedicato a farsi un esame di coscienza, rimandando al giorno dopo le suppliche di perdono – pur sapendo che Malia si sarebbe difficilmente lasciata ammaliare dai suoi begli occhioni.
I pensieri di Stiles, però, furono improvvisamente interrotti da quattro ragazzi, due maschi e due femmine, che lo attorniarono a testa alta. Dai loro sguardi trapelava “pericolo imminente”.
«Ciao ragazzi. Vi serve qualcosa?» chiese Stiles, mantenendo un tono saldo.
«Sei il nostro prossimo esperimento.» rispose uno dei ragazzi, quello dai capelli rossicci e strapazzati.
«Esperimento? Esperimento per cosa?». Stavolta Stiles si allarmò parecchio, cercando una soluzione e soprattutto di comprendere le intenzioni di quei ragazzi a lui sconosciuti.
«Lo vedrai.»
«Ragazzi, avete sbagliato pers…»
La voce di Stiles fu mozzata quando i quattro ragazzi, simultaneamente, poggiarono una mano ciascuno sul capo di Stiles, paralizzandolo fino alla punta dei piedi. Il ragazzo di conseguenza sgranò gli occhi e spalancò la bocca, come se gli avessero serrato anche il respiro. I suoi occhi s’illuminarono lentamente di una strana luce, fulgida come i raggi solari e, diversamente da come nacque, implose speditamente all’interno, costringendo Stiles a chiudere gli occhi e a urlare a squarciagola. La pressione andò a scemare nel frattempo che Stiles si sentiva liberato dalle sue energie.
«E… Stop. Buona! Facciamo una pausa.» urlò una voce maschile, seguita da una sorta di campanella smorzata.
Stiles aprì gli occhi, intontito. Davanti a sé vide i quattro ragazzi di spalle, allontanarsi nel parcheggio, e la sua Jeep. Ma ciò che lo confuse fu ciò che trovò alle sue spalle. Quando si voltò, si vide gli occhi puntati addosso da una marea di persone, alcune sedute su sedie pieghevoli, altre che sorreggevano delle telecamere e dei microfoni a condensatore. Uno di loro, quello che in mano aveva un megafono, si alzò dalla sue sedia e avanzò verso Stiles.
«È stato perfetto.» disse l’uomo, ammiccando. «Dopo faremo la ripresa frontale.»
Stiles guardò l’uomo con circospezione e distacco, non capendo né chi fosse né cosa volesse da lui.
«Mi scusi. Ma lei chi è?» chiese.
«Come?»
«Lei chi è? E chi sono tutte quelle persone?» domandò ancora Stiles, indicando il resto della massa.
«Dylan. Un’altra delle tue?»
“Dylan? Perché mi ha chiamato Dylan?” chiese Stiles a se stesso. Fu distratto da un rumore alle sue spalle e, voltandosi, vide un uomo che mise in moto la sua Jeep e la portò via.
«Ehi ehi! Dove stanno portando la mia Jeep?» strillò Stiles, guardando tristemente la sua bella auto allontanarsi nelle mani di uno sconosciuto.
«Dylan. Ti senti bene? La portano come sempre nel garage della location.»
«Io non mi chiamo Dylan!» imprecò Stiles dirigendosi verso la scuola, ma si accorse che era sparita e al posto suo c’era uno spiazzo, come se fosse l’edificio fosse stato demolito. «Che diavolo significa?» disse Stiles, con le mani tra i capelli.
Si trascinò senza meta tra quella gente e in quei luoghi ignoti, di cui riconosceva alcuni elementi solo come pure finzione. Ad esempio vide trasportata, su un furgone, l’insegna marmorea della Beacon Hills High School; si accorse che alcuni alberi che decoravano l’esterno della scuola erano fatti di cartone e polistirolo.
“Location” ripeté Stiles nella testa, ricordando il termine utilizzato dall’uomo. Sentì parlare di location solo quando si trattava di film o serie TV, ma com’era possibile che ci fosse dentro?
Raggiunse successivamente un punto di quel posto, occupato da una fila di roulotte. Altra gente camminava all’esterno e discuteva interessata. Addirittura Stiles vide Melissa, seduta su una panca, intenta a leggere un foglio. Le si avvicinò rapidamente, sperando che almeno lei gli avrebbe dato delle spiegazioni.
«Melissa?»
Melissa alzò gli occhi e sorrise a Stiles. “Ah per fortuna mi ha sentito” pensò il ragazzo, sospirando.
«Dimmi Dylan. Stai cercando Tyler?»
“Ci risiamo” disse fra sé e sé. “Di nuovo Dylan?”
«Senti. Lo so che ti sembrerà strana la mia domanda ma… Tu sei Melissa, vero?»
«Certo che sono Melissa.» rispose, ghignando.
«La mamma di Scott?»
«Uhm… Sì, la mamma di Scott… Nel telefilm.» rispose Melissa, sorpresa. «Il caso ha voluto che sia io che la mamma di Scott avessimo lo stesso nome.» disse ancora, ridendo.
Stiles non ci stava capendo niente, la situazione era più inspiegabile che mai.
«Comunque se cerchi Tyler lo trovi nel suo camerino. Il numero tre se magari non te lo ricordassi…» precisò Melissa, riferendosi alle domande ambigue poste dal ragazzo.
Non sapendo neanche chi fosse Tyler, a Stiles parve necessario incontrare questo ragazzo. «Dove sono i camerini?»
«Dylan. Hai battuto la testa? Comunque in fondo, l’ultima roulotte a destra.»
«Grazie… Melissa.»
Stiles proseguì dritto e raggiunse la roulotte da Melissa indicatagli. La porta era aperta e s’intrufolò senza neanche bussare. All’interno trovò due persone, una donna alzata che sistemava i capelli a un ragazzo, di spalle, seduto su una sedia girevole.
«È permesso?» chiese Stiles.
Il ragazzo seduto si voltò e Stiles si lasciò sfuggire un ghigno alla vista del presunto “Tyler”.
«Dylan. Scusa se non ho assistito alle riprese. Mi hanno chiamato per la preparazione della prossima scena da girare. Come sono andate?» chiese Tyler, infilandosi negli occhi due lenti a contatto. Quando alzò nuovamente lo sguardo le sue pupille si erano tinte di un rosso fuoco.
«Non ci posso credere. Lenti a contatto!» esclamò Stiles, stupefatto.
«Sì amico. Ah! Credimi quando ti dico che ti immergi troppo nella parte. Ti rammento che è tutta finzione eh.»
«Lo vedo. Posso parlarti in privato?»
«Purtroppo Tamara deve finire il suo lavoro. Quando finirà sarò tutto tuo.» disse Tyler.
Stiles sbuffò e si voltò verso l’uscita, poggiando un gomito sulla porta e massaggiandosi le tempie, che di lì a poco sarebbero scoppiate per il nervoso. In quel preciso istante davanti ai suoi occhi passò come un fulmine Malia, vestita coi suoi soliti abiti casual indossati in modo sexy. La rincorse senza ponderare sulla faccenda e, quando la raggiunse, la fermò per un polso. Lei stessa si spaventò per un attimo, ma quando vide Stiles si rasserenò.
«Ehi.» disse lei.
«Ciao. Senti. Volevo chiederti scusa per stamattina. Sono stato uno stronzo a dirti quelle cose. Non so perché le ho dette e sappi che non le penso sul serio.»
«Stiles. Anche se non le pensi, le hai pur sempre dette. E mi hanno ferita. Essere un coyote mannaro non vuol dire avere il cuore di ghiaccio.»
«Sei tu? Sei proprio tu? Sei normale? Oh sia lodato il cielo.» esultò Stiles, abbracciando Malia e felice di essersi accertato che almeno lei non facesse parte di una serie televisiva. L’esuberanza, però, cessò quando la ragazza lo distaccò da sé.
«Questa battuta non c’è, Dylan. Te la sei inventata?» chiese la ragazza, sorridendo imbarazzata.
«Battuta? Malia… Non può essere.»
«Non fare lo stupido.». La ragazza se la rise. «Pensavo che stessi ripassando il copione.»
Stiles scosse la testa.
«Shelley. Il tuo caffè.» disse un uomo, che si avvicinò a loro e porse un cartone fumante di caffè sulle mani della ragazza.
«Ti ringrazio.» disse Shelley. «Ehm… Ti devo lasciare. Stanno per iniziare le riprese.». E si allontanò, lasciando Stiles con dubbi ammonticchiati per la testa. Avrebbe voluto urlare, chiudere gli occhi e risvegliarsi da quell’incubo straziante. Se avesse conosciuto un modo per tornare alla normalità, non avrebbe esitato neanche per un secondo. Contò le dita delle sue mani: erano dieci, quindi si accorse del mancato pericolo di far parte di uno dei suoi incubi.  
«Ehi Dylan. Ti sta cercando Russell.» annunciò una donna, con un cartellino attaccato sulla camicetta con su scritto il suo nome e una pulce posta in prossimità della bocca. Poi andò via così com’era arrivata.
«Adesso basta.» disse Stiles, impettendosi. Tornò alla roulotte di Scott/Tyler per mettere fine a quella faccenda. Irrompendo nel luogo, si catapultò dinanzi all’amico con aria presuntuosa.
«Tamara. Lasciaci soli. Ho urgente bisogno di parlare con Scott.»
«Ecco. Prendi tutto sul serio. Sono Tyler.»
«È la stessa cosa.»
«Dylan, le conseguenze di un possibile ritardo di Tyler saranno tue responsabilità. Fai in fretta.» disse Tamara, uscendo dalla roulotte. Stiles si accomodò sulla sedia accanto a quella dell’amico e si pose faccia a faccia a lui.
«Allora… Di che si tratta?» domandò Tyler, spazientito.
«Noi siamo amici, vero?»
«Certo che siamo amici. Hai dubbi?»
«Scott, io non capisco cosa stia…»
«Tyler.»
«Dannazione! Perché “Tyler”?»
«Perché è il mio nome? Tyler Garcia Posey?»
«No, tu ti chiami Scott Mccall.» asserì Stiles, con convinzione.
«Sì, in Teen Wolf, nella serie TV. Ma nella realtà sono Tyler. Ma insomma, devo spiegartele io certe cose. Che ti sta succedendo?»
«Teen Wolf? Che razza di nome è?»
«È il nome della serie TV, idiota.»
«Senti… Se mi state prendendo in giro voglio saperlo, perché rischio di uscire pazzo.»
«No. Tu devi dirmi a che gioco stai giocando. Fino a poco fa pensavo che stessi scherzando, ma adesso sembri piuttosto serio quando mi chiami Scott o quando hai dubbi sulla serie TV. Mi vuoi spiegare?»
«Okay. Mi stavo dirigendo verso la mia Jeep, quando sono stato circondato da quattro ragazzi che mi hanno detto che avrei fatto parte di un loro esperimento, mi hanno messo le loro luride mani sulla mia testa ed eccomi qui. Ora mi chiamo Dylan, tu sei Tyler, Malia è Shailene…»
«Shelley.» lo corresse Tyler.
«Quello che è. Ecco. Questo è tutto quello che mi è accaduto.»
«Sei stressato, Dylan. Quello a cui hai assistito è semplicemente la scena che hai girato. I quattro ragazzi si scoprirà che si chiamano Spettri Illusionisti e che provocano allucinazioni a chi entra nei loro interessi. L’hai letto il copione?»
«Be’ sono riusciti nel loro esperimento.»
«Sì, come no. Pensa invece a riprenderti. Sai che Russell s’incazza facilmente quando non recitiamo le nostre parti come si deve. Quindi ti consiglio di fare mente locale e di lasciar finire Tamara di truccarmi. Sono in ritardo.»
«Tu non mi credi. Non mi credi!»
«Dylan, come cazzo posso crederti? Mi stai solo facendo perdere tempo. Vedrai che più tardi ti passerà.»
Stiles si alzò furioso dalla sedia e uscì dalla roulotte amareggiato dal comportamento dell’amico. Non sapeva come comportarsi e la sua pazienza aveva raggiunto il limite.
Guardando le roulotte s’imbatté in una, sulla cui porta c’era appeso un cartellino con scritto: Dylan Sprayberry.
“Devo essere io.”. Afferrò la maniglia e quando la abbassò, disse fra sé e sé: «E devo essere anche impazzito.»   
   
 
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