Fobie

di _browneyes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Arrivi ***
Capitolo 2: *** Mattina ***
Capitolo 3: *** Conoscenze ***
Capitolo 4: *** Rabbia ***
Capitolo 5: *** Sbagliare ***
Capitolo 6: *** Punto debole ***
Capitolo 7: *** Cambiamento ***
Capitolo 8: *** Sapore ***
Capitolo 9: *** Ritorno ***
Capitolo 10: *** Paura ***
Capitolo 11: *** Contatto. ***
Capitolo 12: *** Rottura ***



Capitolo 1
*** Arrivi ***


Prologo.
 
Arrivi.
 
 
 
Nirvana Harris è sempre stata un po’ un mistero, per Luke Hemmings.
Non che ci sia da stupirsene, non sono mai stati amici, loro due; al massimo sono stati conoscenti, al massimo sono stati compagni di banco a chimica un paio di volte, al massimo sono stati uno spinello condiviso ad una festa, ma mai nulla di più.
Che poi a Luke lei sia sempre piaciuta, è un’altra cosa.
Forse gli piaceva proprio perché era un mistero, perché non si faceva conoscere davvero da nessuno, perché non era mai banale.
Se la ricorda ancora, Luke, la prima volta che l’ha notata; si ricorda che lei stava ridendo mentre camminava a braccetto con Rain Wilson e si ricorda come l’hanno colpito i capelli ricci che lei si ostinava a tingere di verde scuro e i suoi bellissimi occhi cangianti, un po’ verdi, un po’ azzurri e un po’ grigi, che l’hanno ossessionato per anni e soprattutto si ricorda bene il suo nome, ‘chè è così particolare e inusuale che scordarselo è un po’ impossibile, soprattutto se poi è lo stesso nome di una delle sue band preferite.
A dire il vero lei un po’ l’aveva dimenticata, dopo le superiori, quando si era trasferita a Los Angeles, due anni prima. Certo, ci sono state le volte in cui si era chiesto dove fosse e cosa stesse facendo, ma il non vederla tutti i giorni, l’aveva resa sempre meno presente nella mente di Luke.
Non lo sapeva, del suo ritorno, ma forse nessuno lo sapeva, e all’inizio, appena averla vista, quasi non ci credeva che fosse lei.
Ora sono dieci minuti buoni che la sta guardando, da un angolo all’altro del bar e, nonostante sia cambiata parecchio, è davvero impossibile non riconoscerla. È seduta composta, con la schiena dritta, di fronte a Rain Wilson, se lo ricorda, Luke, che erano molto amiche a scuole, e sta sorridendo. Nirvana è meno appariscente dell’ultima volta che l’ha vista, con i capelli del suo castano naturale, nessun rossetto troppo scuro e dei vestiti non troppo appariscenti, non troppo provocanti.
“Forse è cresciuta” si dice Luke, rendendosi conto che lui invece non l’ha fatto, che è sempre lo stesso disgraziato di due anni prima, come gli ripete sempre sua nonna.
Si, Nirvana Harris è decisamente cambiata, eppure per lui continua a rimanere un mistero.
«Cosa guardi?» la mano di Colleen si intreccia alla sua sopra il tavolino e la sua voce lo convince a distogliere lo sguardo da Nirvana.
«Niente» scuote lievemente la testa e riporta la sua attenzione sulla ragazza seduta di fronte a lui. È bella, Colleen, ma è quel tipo di bellezza un po’ scontata, del tutto convenzionale che a Luke, alla fine, non piace più di tanto. Ha sempre preferito le cose non convenzionali, anticonformiste, lui.
«Se non ti interessa quello che ho da dire me ne vado» sbuffa la bionda con un tono e una smorfia che potrebbero apparire leggermente infantili; Luke sgrana leggermente gli occhi alle sue parole e si affretta a scuotere la testa, ‘chè lui non può stare da solo, non ce la fa proprio.
«No, certo che mi interessa» forza un sorriso, il più sincero possibile, per poi sporgersi appena per darle un leggero bacio sulle labbra.
A pochi tavoli di distanza, Ashton Irwin, che ha assistito a tutta la scena, non può fare a meno di trattenere una risata ‘chè lo conosce da anni, Luke, e l’ha capito che di vero in quella relazione non c’è proprio nulla, almeno non da parte del biondo.
Sorride alla cameriera mora, che poi è anche la sua migliore amica, che gli porta il caffè e intanto scuote la testa, in segno di finta disapprovazione nonostante stia sorridendo.
«Dovresti smetterla di dare il tormento al povero Hemmings, lo sai com’è fatto» gli dice, quasi rimproverandolo mentre si siede sbuffando accanto a lui.
«Giornata pesante?» chiede il ragazzo, cambiando totalmente argomento e l’amica annuisce «Sono qui dalle nove di stamattina» biascica poggiando la testa sulla spalla di Ashton.
«Hai visto chi è tornata?» il tono del ragazzo si fa improvvisamente più aspro e con la testa fa cenno verso il tavolo in fondo al locale; lei alza la testa per seguire il suo sguardo. Assottiglia gli occhi, basita «Nirvana Harris».
Quasi le cade il vassoio dalle mani, tanto è sconvolta e, quasi, arrabbiata ‘chè non c’è persona che più di Amethyst Lee la odi, a Nirvana.
 
Calum Hood sospira davanti alla porta azzurra e non ha il coraggio di bussare. Si chiede chi gliel’ha fatto fare di cambiare città e trasferirsi a Sydney e per di più con due completi sconosciuti.
Forse nel momento in cui ha deciso di trasferirsi aveva troppa fretta di andarsene per fermarsi un attimo a riflettere, dopotutto impulsivo lo è sempre stato, Calum.
Alla fine bussa, essendo stanco di fissare quella porta e sentendosi anche un po’ stupido per quello. Sente due voci discutere, all’interno dell’appartamento e poi dei passi pigri e strascicati che raggiungono la porta.
«Tu devi essere Calum» il ragazzo che gli aperto gli sorride incoraggiante e gli tende la mano «Io sono Nathaniel, ma chiamami Nate, piacere».
Calum gli stringe la mano accennando un sorriso, nonostante l’ansia, e maledice ancora se stesso per non aver messo via abbastanza risparmi per affittare un posto solo suo.
Segue Nate all’ingresso, dove lascia il suo borsone, non si è portato molto visto che non crede di fermarsi per tanto tempo e poi si lascia condurre verso quello che dovrebbe essere il salotto, o almeno crede.
È difficile seguire i lunghi discorsi di Nate, per Calum che è così solitario e silenzioso.
«Ciao, sono Euphemia» lo saluta la ragazza seduta sul divano, che si alza per stringergli la mano.
Il moro quasi a stento riesce a dirle il suo nome ‘chè un sorriso e soprattutto degli occhi azzurri così, non li aveva mai visti prima.
 
 
 
 
Writer’s wall.
Ehylà.
Visto che sono giunta quasi alla fine dell’altra mi fanfic, potevo rimanere senza niente da scrivere? Ma ovviamente no.
Quindi eccomi qui, con questa nuova storia e, nonostante questo sia solamente il prologo, spero possa piacervi ed interessarmi.
Sinceramente non ho molto da dire, adesso, solo mi farebbe molto piacere se mi lasciaste un parere su questo primo capitolo.
Vi lascio anche il link dell’altra mia storia, nel caso vi interessi, something new
Alla prossima, un bacio
-Mars
 

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Capitolo 2
*** Mattina ***


Capitolo Uno.
 
Mattina.
 
 
 
Euphemia Scott detesta con tutta sé stessa la mattina, fosse per lei, dormirebbe tutto il giorno. Sarà, forse, che è svogliata ‘chè sa che ogni giorno sarà esattamente uguale al precedente, o almeno così crede.
«Buongiorno», saluta i due ragazzi seduti attorno al tavolo della cucina, che ricambiano ancora assonnati il saluto. Le sette del mattino sono troppo presto per tutti, comunque.
Calum deve davvero fare uno sforzo per staccare lo sguardo dalle gambe magre delle ragazza, lasciate abbondantemente scoperte dai pantaloncini del pigiama ed è una fortuna, per lui, che Nate sia ancora troppo intontito dal sonno per notarlo. ‘Chè, per lui, nessuno dovrebbe permettersi di guardare Euphemia in un certo modo.
Lei si siede accanto al fratello, con la sua tazza di cappuccino fra le mani, come ogni mattina, e lui finalmente stacca lo sguardo dai cereali.
«Dovresti vestirti, tra un po’ viene Ashton», mugugna strizzando gli occhi nel vano tentativo di apparire più sveglio. Euphemia rimane in silenzio per qualche secondo, chiedendosi per quale motivo il fratello continui a cercare di farla riavvicinare ad Ashton, è inutile e lo sa benissimo anche lui. Non ha la minima voglia di vederlo, come sempre, ‘chè sa che sarebbe solamente una perdita di tempo e poi, comunque, sarebbe complicato. E a lei, le cose complicate, non sono mai piaciute, ha sempre preferito lasciarle correre fino a dimenticarle del tutto.
«Allora vado a prepararmi per il lavoro, così posso uscire prima che arrivi», dice semplicemente, svuotando la tazza in un sorso e alzandosi per riporla nel lavello mentre Nate alza gli occhi al cielo, perché sa che non cambierà mai, «Quando la smetterai?» Euphemia alza le spalle, trattenendo una risata quasi canzonatoria «Forse quando la smetterai di stressarmi».
Nate scuote la testa, ormai rassegnato al fatto che sua sorella sia troppo testarda per continuare ad insistere, e la guarda andare via quasi di corsa, nuovamente senza notare lo sguardo insistente del moro su di lei.
«Ah, Calum», Euphemia si affaccia nuovamente dalla porta, richiamando ancora l’attenzione del ragazzo su di sé, «visto che sei nuovo qui, se ti va, posso farti un giro visto che lavoro in centro, ti va?»
Il moro annuisce, «Volentieri» risponde, guardandola sparire nuovamente in camera sua, tanto velocemente che quasi non fa in tempo a rivolgerle un sorriso. Sta iniziando ad imparare, nonostante convivano solamente da cinque giorni, che Euphemia è sfuggente, inafferrabile quasi.
Ma, infondo, forse questa mattina per Calum Hood non è iniziata affatto male.
 
Quando la sveglia suona, Amethyst sa che è troppo presto senza dover nemmeno guardare l’orario, così allunga il braccio e la spegne.
Non andrà al college nemmeno oggi, tanto non le importa minimamente di quello che il professor Jackson ha da dire sulla psicologia. Non le importa e, in realtà, non sa nemmeno perché continui ad ostinarsi a sbatterci la testa contro e ad imporsi di continuare ad andarci. Vorrebbe, da una parte, lasciare gli studi, come ha fatto Euphemia, tanto il lavoro al bar le basta e avanza.
È che ha sempre fatto fatica ad arrendersi, Amethyst.
Comunque, non le va nemmeno di andare a lavorare, infatti sono tre giorni che si da per malata quando in realtà non lo è. Ha solo bisogno di rimanere a letto, da sola al buio a riflettere e, si, magari pure di prendersi una pillola ogni tanto e di fumarsi una sigaretta quasi ogni ora; tanto a Seth, il suo coinquilino, non da fastidio, anzi di solito è lui a procurarle la roba buona.
Lo sente sbattere la porta dell’appartamento, mentre esce per andare a sbrigare i suoi affari; non lo ammette mai con lei, ma Amethyst lo sa benissimo che i “suoi affari” sono legati alla droga, ma le va bene, finche le rimane vicino.
Amethyst vorrebbe davvero non aver così bisogno di lui, vorrebbe davvero non avere bisogno di niente e di nessuno, ma la verità è che da sola non riesce a farcela.
Sta attraversando un altro di quei periodi, ma lo sa che prima o poi passerà, dopo un po’ la depressione le passa sempre.
 
Ad interrompere il sonno di Luke, è il campanello che suona. Sbuffa, infastidito dal fatto che nè Colleen, nè Ashton non si siano svegliati e che, quindi, tocchi a lui andare ad aprire. Non si cura nemmeno di infilarmi una maglietta, è ancora troppo intontito dal sonno per preoccuparsi di certi dettagli, e si trascina verso la porta. E lui tutto si aspettava, tranne che trovare nientemeno che Nirvana Harris davanti la porta di casa sua.
«Ciao», gli sorride e Luke, potrebbe pure giurarlo, che per vedere un sorriso del genere un’altra volta farebbe di tutto ‘chè, alla fine, il debole per Nirvana gli è rimasto, nonostante gli anni.
«Sono Nirvana, mi sono appena trasferita nell’appartamento qui accanto» si presenta lei, visto il momentaneo mutismo del ragazzo, causato dalla troppa sorpresa.
Luke annuisce lievemente, cercando di non apparire un completo idiota ai suoi occhi, oggi verdissimi, «So chi sei, andavamo a scuola insieme».
Lo sguardo di Nirvana si fa bollente contro la sua pelle, mentre assottiglia gli occhi nel tentativo di ricordare quel viso, così tanto cambiato negli anni, finche, incrociando le iridi azzurre del ragazzo con le proprie, capisce. ‘Chè, a dire il vero, degli occhi così, sono difficili da dimenticare, anche per Nirvana.
«Luke, sei cambiato tantissimo, non ti avevo riconosciuto», sorride lasciando intravedere la fossetta sulla guancia sinistra che a lui è sempre piaciuta da impazzire, «Comunque scusami se, probabilmente, ti ho svegliato così presto, ma ho dimenticato di comprare il caffè». Prima che possa terminare la frase, Luke le sta già facendo cenno di entrare in casa, «Non c’è problema, vieni».
Le fa strada fino alla cucina dove, quando lei finalmente si volta di profilo, può finalmente guardarla bene, di sottecchi. Cavolo, se è bella come si ricordava. Ma non una di quelle bellezze convenzionali, Nirvana è bellissima a modo suo ed è uno dei motivi per cui a lui è sempre piaciuta così tanto.
«E i capelli verdi?», chiede, cercando di rompere il ghiaccio mentre aspettano che il caffè sia pronto. Lei alza le spalle, «Avevo bisogno di cambiare».
Luke annuisce, cercando due tazze pulite tra il disordine di Ashton che i suoi turni di pulire non li rispetta mai, «Comunque, ti stavano bene».
Lei gli sorride, lasciando i capelli in modo da fargli coprire, almeno in minima parte, le guance lievemente arrossate. Il fatto è che proprio non c’è abituata a sentirsi dire certe cose.
«Allora, come va, Luke?», cambia velocemente argomento ‘chè, a lei, parlare di sé non è mai piaciuto molto.
Il biondo quasi resta sorpreso dalla reazione della ragazza alle sue parole ma, comunque, non si scompone e fa finta di nulla mentre le porge la tazza che lei prende facendo attenzione a non sfiorare minimamente le dita di lui; «Bene direi, e tu?». Nirvana accenna un piccolo sorriso, prima di portare la tazza alle labbra e bere un sorso, «Si va avanti».
Poi il silenzio ‘chè loro, alla fine, non hanno mai avuto nulla da dirsi, infondo non si conoscono così bene. Sono entrambi ognuno un mistero per l’altro.
«E’ una cosa provvisoria, o rimarrai a Sydney?», Luke spezza il silenzio anche perché, a dire il vero, ha tutta l’intenzione di recuperare il tempo e le occasioni perse al liceo. Non ha intenzione di far rimanere Nirvana Harris un mistero ancora a lungo. Lei beve di scatto l’ultimo sorso dalla tazza, un po’ anche per pensare che risposta dare ‘chè, in realtà, non c’aveva mai pensato. «Credo che resterò, non ho motivi per tornare a Los Angeles, comunque». Lo dice con un tono duro, quasi aspro, che lascia benissimo intendere che è successo qualcosa, che la decisione di tornare non è stato semplicemente l’ennesimo colpo di testa. Ma non fa domande, Luke, non ora; avrà il modo e il tempo, forse, ma non vuole accelerare nulla, aspetterà solamente.
Inavvertitamente sfiora il ginocchio di lei con il proprio, da sotto il tavolo, e, del tutto inaspettatamente, lei sussulta, allontanandosi come se si fosse scottata al quasi impercettibile contatto delle loro pelli. Sa benissimo anche lei, che ha avuto una reazione esagerata ma, comunque, le è venuto automatico agire in quel modo. Non è pronta per il contatto fisico, non ancora.
«Ora è meglio che vada, grazie di tutto», gli rivolge un breve sorriso, non radioso come quello di poco prima, ma semplicemente accennato, prima di lasciarlo solo in cucina. E mentre sente il rumore della porta che si chiude, Luke si chiede dove abbia sbagliato questa volta, con Nirvana.
 
La vita di Michael Clifford procede regolare, sempre controllata. Non è il tipo di vita che ci si aspetterebbe da uno come lui, no di certo, e non è nemmeno la vita che lui voleva per sé stesso. Ma le cose stanno così e, comunque, ormai è troppo tardi per cercare di cambiare.
È fatto di contraddizioni, Michael. ‘Chè se da una parte detesta quella vita che non ha scelto lui, che gli è praticamente stata imposta dai genitori, dall’altra sa di non poter fare nulla per cambiare, a lui i cambiamenti, anche se piccoli non sono mai piaciuti. Anche se, a dire il vero, un cambiamento più accentuato di lui stesso, non potrebbe esserci. Anche solamente quattro anni prima, non avrebbe mai nemmeno lontanamente pensato di poter assecondare i progetti di suo padre; lui, a fare l’architetto, ma quando mai? No, lui non era certo tipo da mettersi lì, a disegnare con tutta quella precisone e tutta quella pazienza, in giacca e cravatta.
No.
Strano come le cose cambino in fretta. Perché lui, adesso, è proprio tutto quello che non avrebbe mai voluto diventare. E, davvero, non si sente nemmeno a sua agio in questa vita. Si sente quasi in gabbia. Si sente in gabbia tutte le mattine quando suona la sveglia e lo attende un’altra giornata di lavoro, in gabbia quando annoda la cravatta, in gabbia quando sta chino a disegnare per ore. In gabbia, perché suo padre sta sempre lì a controllarlo, ad assicurarsi che non sgarri nemmeno di una virgola, anche a fare sempre smorfie disgustate davanti ai tatuaggi e al piercing fatti quando era più piccolo e ai capelli costantemente tinti, che poi sono l’unica cosa di lui ad essere rimasta autentica negli anni.
Ed ogni giorno, ogni mattino è una prigione e non c’è via d’uscita.
 
 
 
Writer’s wall.
Non è un miraggio, sono viva e sto aggiornando.
Mi scuso, intanto, per il tremendo ritardi di quasi un mese, ma ho avuto parecchio da fare fra compiti, interrogazioni e altri impegni. Comunque eccomi qui, alla fine (non farò più ritardi del genere, giuro).
In questo capitolo iniziamo a conoscere meglio i personaggi, ancora è ovviamente un capitolo introduttivo, ma già si nota il carattere un po’ sfuggente di Euphemia, che sembra avere anche qualche problema con Ashton.
Poi c’è Amethyst, che ammettere è uno dei miei personaggi preferiti, e per il momento forse non è molto chiara, ma ci si arriverà poco a poco; anche Michael è un personaggio un po’ strano, che ha bisogno di essere approfondito, è tutta una contraddizione, lui.
E poi ci sono Luke e Nirvana, il loro primo incontro da quando lei è tornata a Sydney e con lei è tornata anche l’infatuazione di Luke, che forse non è mai andata via del tutto.
Vi lascio perché sto morendo dal sonno, domani risponderò a tutte le recensioni, giuro) e spero di riuscire ad aggiornare il più presto possibile,
un bacio
-Mars

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Capitolo 3
*** Conoscenze ***


Capitolo Due.
 
Conoscenze.
 
 
 
Quando Michael arriva in ufficio sono le nove e quarantadue, segno che lui è in evidente ritardo di quasi un quarto d’ora, e già sa che, poi, suo padre gli farà una sfuriata delle sue ‘chè odia i ritardatari, odia quando suo figlio non è perfetto come lui crede debba essere. Senza preoccuparsene troppo, comunque ci è abituato, si dirige verso l’ufficio del padre, dove è stato convocato una settimana prima e gli è stato praticamente imposto di esserci, puntuale aveva poi specificato il padre.
Senza nemmeno scomodarsi a bussare, entra nell’ufficio dove, oltre ad un uomo che gli scocca un’occhiata severa, quasi di rimprovero, con sua sorpresa vede una ragazza, non più di diciannove anni, con i capelli castano chiaro, gli occhi azzurro intenso ed un sorriso da far invidia alle attrici da copertina.
«Michael, questa è Euphemia Scott, signorina Scott, lui è mio figlio Michael», si affretta a presentarli l’uomo, con quel tono serio che Michael non ha mai sopportato. Stringe brevemente la mano della ragazza, notando subito quanto la sua mano sia più piccola della propria e le sorride, «Bel nome»; Euphemia fa per rispondergli, ma viene immediatamente interrotta dal signor Clifford, la cui pazienza sta ormai arrivando al limite, «Michael, se vuoi fare due chiacchere con la signorina Scott puoi farlo davanti ad un caffè, questa non mi sembra né la sede né il momento adeguato».
Il ragazzo abbassa leggermente il capo, in cenno d’assenso, mentre trattiene un piccolo sospiro, ma non discute ‘chè sa che con suo padre è sempre tutto inutile, così si limita a sprofondare nella poltroncina di pelle nera, accanto a quella dove sta seduta Euphemia, che non può fare a meno di continuare a fissarlo di sottecchi. Quando il capo le aveva detto che avrebbe lavorato con suo figlio, non avrebbe certo immaginato che il sopracitato figlio sarebbe stato così, figlio di un architetto e architetto a sua volta, si aspettava una specie di nerd, tutto ingessato come il padre; invece si era trovata di fronte un ragazzo con i capelli mezzi biondo chiaro e mezzi azzurri, con un sorriso che quasi lo illumina. Certo, non se lo aspettava proprio, un ragazzo del genere.
«Dunque, il motivo per cui siete qui è che lavorerete insieme, a partire dalla settimana prossima. Infatti mi assenterò da questa sede per più di un mese e ho pensato che potresti dirigere tu le cose Michael, al mio posto», rivolge al ragazzo un’occhiata estremamente seria, che sta a significare che non potrà sbagliare davvero nulla, «La signorina Scott è la mia segretaria quindi fai pure riferimento su di lei, come se fossi io». Michael annuisce, trattenendosi appena dal dire “okay”, ‘chè suo padre ne sarebbe inorridito, linguaggio troppo informale per rivolgerlo a lui, a lavoro poi.
«Potete tornare a lavoro», dice l’uomo seccamente, congedandoli con un cenno della testa ed un breve sorriso rivolto ad Euphemia mentre fa a Michael cenno di rimanere un attimo di più. «Non deludermi», usa un tono secco e severo a cui il ragazzo non può far altro che abbassare di nuovo il capo, «Farò del mio meglio», apre la porta per uscire da quell’ufficio il prima possibile, è una tortura per lui stare con suo padre da solo, soprattutto quando si parla di lavoro.
«Spero che il tuo meglio sia abbastanza», replica il padre con un tono quasi glaciale mentre il figlio esce quasi di corsa dalla stanza, vedendo poi Euphemia passare proprio qualche corridoio più avanti. La raggiunge quasi di corsa, facendola sussultare per la sorpresa nel sentire la presenza del ragazzo accanto a sé, «Signor Clifford», lo saluta con un cenno del capo, allungandosi nel tentativo di recuperare un raccoglitore da uno scaffale, troppo in alto per lei però.
«Il signor Clifford è mio padre, io sono Michael», le sorride lui, allungando poi il braccio per prendere i raccoglitore al posto suo e glielo porge; «Grazie», gli sorride riconoscente, avviandosi poi verso il proprio ufficio.
«Senti», Michael la segue velocemente, «a proposito di quel caffè di cui parlava mio padre, ci stai?», lei si volta a guardarlo, quasi stupita dalle sue parole, «Stacco all’una e mezza, possiamo mangiare qualcosa se vuoi».
Michael ricambia il sorriso, con una spontaneità che quasi lo stupisce, «All’una e mezza, perfetto».
 
«Rain! Sbrigati, manchi solo tu», la chiama sua sorella Celia, facendo irruzione nella camera, che alla fine è anche la sua, senza nemmeno degnarsi di bussare, sorprendendo Rain ancora intenta a vestirsi con calma, nonostante il suo ritardo. Lei sbuffa, detesta quando la sorella entra senza bussare, è uno dei suoi peggiori difetti. «Anche io voglio una camera tutta mia, come Marcus», borbotta infilando le gambe snelle negli skinny jeans blu chiaro, sotto lo sguardo critico di Celia, «Quella maglietta è mia», sbotta dopo aver riconosciuto il capo che Rain ha scelto. Quest’ultima invece si limita ad alzare le spalle mentre lega i capelli biondi in una treccia che le ricade sulla spalla sinistra, «Muoviti che gli Irwin sono già arrivati», sbotta la minore, facendole cenno con la mano di sbrigarsi.
«A proposito, ha chiamato Isaac mentre stavi facendo la doccia», la informa Celia mentre scendono le scale, dirigendosi verso il salotto, dal quale già si sentono provenire le voci che parlano e la solita risata rumorosa di Ashton, che a Rain ha sempre messo tantissima allegria.
Non risponde all’affermazione della sorella, anzi si limita ad alzare le spalle, estremamente apatica, cosa che non sfugge all’occhio critico della sorella, «Avete litigato di nuovo?». La risposta di Rain viene soffocata dall’abbraccio di Ashton, che le si è buttato addosso, come fa ogni volta.
Si conoscono da una vita, praticamente, lei ed Ashton, visto che le loro madri sono sempre state amiche, cosa che li ha spinti ad avvicinarsi, nonostante fino a dodici si detestavano quasi; o almeno, Rain sì, costatando che lui si divertiva a farle scherzi insieme a suo fratello Marcus.
«Non mi crederai mai, ma Michael ha una sottospecie di appuntamento», non la saluta nemmeno, dandole subito la notizia che l’ha lasciato quasi scioccato per dieci minuti buoni quando l’amico gliel’aveva detto. ‘Chè, andiamo, Michael è sempre così impegnato ad assecondare il padre, che alle ragazze ci ha sempre pensato poco e nulla.
 
Nirvana si detesta profondamente per essersi dimenticata le chiavi e ora, quindi, deve aspettare mezz’ora prima che Krista, la sua coinquilina, rientri dall’università. Ma si detesta ancora di più per aver risposto a quella chiamata, che avrebbe semplicemente dovuto rifiutare, ‘chè così sta rendendo tutto ancora più complicato di quanto non lo fosse già prima.
«Hayden, non ho intenzione di tornare a Los Angeles, smettila», sbotta al telefono, tentando di resistere alla tentazione di attaccargli in faccia, ‘chè lui è proprio l’ultima persona con la quale vorrebbe parlare adesso. Se lo immagina benissimo, adesso, capelli mori e sguardo duro, stravaccato sul divano di pelle nera del salotto di casa sua, «Mi stai facendo incazzare, Nirvana», sputa amaro, con un tono così duro che Nirvana si sente quasi gelare dentro.
«Sei stato tu a chiamarmi», replica piccata mentre controlla l’ora e spera che quegli ultimi venti minuti passino in fretta, ‘chè si sente anche a disagio a stare lì seduta sullo zerbino marrone ad aspettare.
«Devi tornare qui subito, non sto scherzando», le dice Hayden dall’altra parte della cornetta, ma non è una richiesta, la sua, è più che altro un ordine e Nirvana tace ‘chè sa che comunque discutere non lo farebbe calmare, le parole con lui non hanno mai funzionato. Così si limita a sospirare ed aspettare che finisca la sua predica, la cosa migliore è sempre aspettare che sbollisca, «Se non sei qui fra un mese ti vengo a prendere», ringhia lui, sempre più arrabbiato e lei, a quel punto, non può fare a meno di emettere un verso di frustrazione e chiudere la chiamata, lasciando cadere il telefono accanto al suo fianco. Spera quasi che si rompa, quel dannato telefono, che ormai è l’unico punto di contatto che rimane fra loro.
«Nirvana», lo riconosce senza nemmeno doversi voltare, sa già che quella voce non può che appartenere a Luke Hemmings.
Così esibisce il suo miglior sorriso forzato mentre si volta verso di lui, «Ciao Luke». Lui le si avvicina, fino a trovarsi esattamente davanti a lei, facendola sentire un po’ in soggezione, vista l’altezza di lui mentre lei si trova seduta a terra.
«Che ci fai qui?», usa un tono quasi divertito ed esibisce uno di quei sorrisi smaglianti che Nirvana, in realtà, ricorda meglio di quanto le piacerebbe ammettere. Lei alza lievemente lee spalle, «Aspetto la mia coinquilina, ho dimenticato le chiavi». Luke non trattiene una piccola risata cristallina, nemmeno lui sa dovuta a cosa ma, comunque, non ci pensa due volte e tendere la mano in direzione della castana, «Dai vieni, almeno mentre aspetti non stai seduta a terra».
Nirvana si ferma ad osservare quella mano, che ovviamente Luke si aspetta che lei prenda, ma non può. La paura di un contatto umano è davvero troppo e lei non è pronta, per quanto possa provarci, solamente la vista di quella mano tesa verso di lei le ha fatto aumentare notevolmente i battiti cardiaci, tanta è l’angoscia.
«Non vorrei disturbare», mormora debolmente, cercando in tutti i modi una scusa per non toccare quella mano che ancora aspetta di essere presa dalla sua. Non può.
Luke scuote la testa sorridendole, ancora, tanto che Nirvana arriva quasi a chiedersi come faccia a sorridere tanto senza mai stancarsi; «Non disturbi affatto, dai vieni», Nirvana annuisce debolmente, «Ti ringrazio»; poi si alza, da sola, ignorando totalmente la mano del biondo, che comunque non si scompone e si precipita ad aprire la porta di casa. Non ha capito nemmeno lui, in realtà, cosa sia esattamente successo con Nirvana ma, comunque, gli va bene. Lei è sempre stata un mistero, in fondo.
«Colleen, Ashton, sono a casa», urla quasi per farsi sentire mentre butta malamente la giacca su una poltrona accanto alla porta d’ingresso per poi voltarsi verso la castana, «Fai come se fossi a casa tua»; lei sorride semplicemente in risposta, non c’è abituata a tutta questa gentilezza e tutta questa premura nei suoi confronti.
«Ciao», una voce fa voltare entrambi, facendo volgere la loro attenzione su una bionda appoggiata allo stipite della porta. Ed è così bella che Nirvana, quasi, si sente male.
Con la massima naturalezza va verso Luke per stampargli un bacio sulle labbra, ben poco casto, nonostante sappia quanto lui odi queste manifestazioni d’affetto in pubblico; il fatto è che non ha mai visto quella castana prima e deve farle capire che Luke è suo.
«Sono Colleen», le sorride zuccherosa dopo essersi, finalmente, staccata dalle labbra del biondo, e tende verso di lei la mano. Nirvana resta a fissarla, spostando lo sguardo dalla mano al viso della sua proprietaria, affondando ancora di più le mani nelle tasche dei jeans. Se c’è una cosa sicura, è che non la toccherà.
«Nirvana», dice semplicemente continuando a tenere lo sguardo su Colleen, la cui espressione si fa più acida e leggermente più sdegnata, quasi offesa dal gesto non avvenuto. E Nirvana questo lo nota, «Scusami, non volevo essere maleducata, è solo che io non tocco mai nessuno, non mi piace il contatto fisico».
«Perché?», domanda la bionda, riportando il braccio lungo il fianco mentre guarda con interessa la castana  che si limita ad alzare le spalle.
E Luke sa benissimo che questo è solamente un altro tassello del mistero che è Nirvana Harris.
 
A Calum, quel bar piace parecchio. È il terzo giorno consecutivo in cui ci viene, giusto per riempire un po’ le sue giornate fatte solamente di noia e di girovagare senza meta per le strade di Sydney. In teoria, dovrebbe trovarsi un lavoro, almeno per guadagnare qualcosa e non farsi mantenere del tutto dai genitori. Non che a loro i soldi manchino, comunque.
Fatto sta che, però, in una settimana che è lì, non ha concluso proprio nulla ma, alla fine, non è che gli importi più di tanto.
«Posso aiutarti?», una ragazza mora si poggia sul bancone, proprio davanti a lui, trattenendo una piccola risata di circostanza, dovuta un po’ anche all’espressione persa del ragazzo, che si riscuote subito alle sue parole, «Potresti farmi un caffè»; usa il suo stesso tono, di scherno quasi, ma comunque si toglie uno degli auricolari, intenti a sparare a tutto volume i Green Day.
Esattamente una canzone dopo, la mora torna con il suo caffè in mano e lo spinge sul bancone davanti a lui, che la ringrazia con un cenno del capo.
«Boulevard of broken dreams è una delle loro canzoni migliori», dice lei quasi spontaneamente, non appena sente le note di quella canzone uscire dagli auricolari del ragazzo, visto il volume esageratamente alto.
Calum la guarda, interrogativo, mentre finisce in due sorsi il suo caffè, nero e senza zucchero, mentre lei alza le spalle quasi fosse una cosa ovvia, «Quella canzone ti dice tutto sulla vita, è una canzone vera, non come quelle che ti parlano di tutti quegli amori stupendi, lo sappiamo tutti che quelli, per quanto possiamo impegnarci, non resistono»; lui resta fermo a guardarla, senza parole per un attimo, annuendo poi alle sue parole, «Non ci avevo mai pensato, ma si, in effetti hai ragione». Lei si poggia con le braccia sul bancone, in modo da stare più comoda e ignora completamente la fila di clienti che si sta formando, potrà pensarci la sua collega comunque.
«Descrive la vita per com’è, ossia uno schifo», alza brevemente le spalle, fissando gli occhi azzurro cielo in quelli nero pece del ragazzo che esibisce un’espressione vagamente incuriosita alle sue parole, «Non lo è sempre».
Le ragazza si lascia sfuggire una risata amara, «Lo è, fidati, ed è quando cominci ad abbassare la guardia e pensi che la vita finalmente di stia andando bene, è lì che ti fotte di più, la bastarda», lo dice quasi con naturalezza, lasciando Calum ancora più stupito dalle sue parole; «Non credi che sia esagerato? Voglio dire, così sembra che non ti sia mai successo niente di bello». La mora si lascia sfuggire un’altra piccola risata, questa volta del tutto ironica, quasi fosse divertita dalle parole del ragazzo, «Le cose belle passano sempre, è questo che ti frega».
Rimangono in silenzio entrambi e Calum non sa più cosa dire, sensazione che comunque non gli è nuova. Non è mai stato un asso nel parlare, lui.
«Comunque, sono Calum», allunga la mano verso di lei, che la stringe brevemente e gli rivolge un piccolo sorriso, «Io sono Amethyst».
Con un gesto veloce e fluido si porta a sedere sul bancone, buttando poi le gambe coperte dagli skinny jeans neri dall’altra parte, in modo da scavalcarlo e trovarsi accanto a Calum, che la guarda stranito.
«Io esco a fumare, ti unisci a me?», lo guarda cominciando a camminare velocemente verso l’uscita del locale e lui la segue, quasi di corsa, facendo appena in tempo a lasciare una banconota sul bancone, per pagare il caffè. Quando la raggiunge fuori, la trova seduta sul bordo del marciapiede, intenta ad accendere una Marlboro appena tirata fuori dal pacchetto, da cui sfila un’altra sigaretta per il moro.
«Non ti licenziano se fai così?», accenna una piccola risata, Calum, mentre si siede accanto lei e si porta la sigaretta alle labbra. Ne aveva proprio bisogno, a dire il vero. Amethyst alza le spalle, «Non lo faranno, i miei zii sono i proprietari e poi non è che mi interessi molto questo lavoro, posso benissimo perderlo»; butta fuori il fumo e resta in silenzio. Forse questo è uno di quei momenti in cui le parole non servono e poi, comunque, non si rivedranno più e lei si è già esposta fin troppo, con quello sconosciuto.
 
 
Writer’s wall.
Sono di nuovo in ritardo, ovviamente, ma prometto che d’ora in poi non passerà più tanto tempo tra un aggiornamento e l’altro, visto che ho alzato tutte le medie e posso evitare di ammazzarmi di studio come ho fatto negli ultimi mesi (maledetto greco!).
Un capitolo abbastanza pieno direi, abbiamo inizialmente un incontro fra Michael e Euphemia e si nota quanto sia freddo il rapporto fra Michael e il padre (che sia successo qualcosa fra loro?); poi c’è un incontro tra Ash e Rain, che a quanto pare sono molto legati ed entrambi stupiti del fatto che Michael abbia un appuntamento; poi abbiamo una Nirvana molto frustrata che parla al telefono, chi sarà questo Hayden?, la conoscenza con Colleen e infine c’è un incontro fra Calum e Amethyst, che io adoro profondamente ‘chè così complicata che a volte nemmeno io riesco a starle dietro.
Grazie di aver letto fin qui.
Prima di lasciarvi, vi lascio le foto di come immagino le ragazze.
Rain Nirvana Amethyst Euphemia Colleen Un bacio,
-Mars

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Capitolo 4
*** Rabbia ***


Capitolo Tre.
 
Rabbia.
 
 
 
Euphemia sta ridendo da almeno cinque minuti buoni, tanto che ormai comincia davvero a mancarle quasi il fiato, è che non riesce a smettere. Nonostante le sue aspettative, Michael è totalmente il contrario del padre e, non sa nemmeno lei come, la mette davvero di buon umore.
Alla fine, all’una e mezza, non avevano per niente voglia di mettersi a cercare qualche posto carino in cui mangiare, così si sono ritrovati in una pizzeria microscopica proprio a due passi dallo studio, ma infondo non gli è nemmeno andata troppo male. Nel locale ci sono giusto altre tre persone oltre loro due, un ragazzo che lavora al computer e una coppia sulla cinquantina che li guarda male ogni volta che Euphemia prorompe in una nuova rumorosa risata.
«Non può essere successo davvero», riesce lei a dire fra una risata e l’altra mentre scuote la testa, cercando poi di riprendere contegno ‘chè ha notato le occhiatacce degli altri. Michael non può far altro, a quella visione, se non alzare appena le spalle esibendo un sorriso luminoso, «Ti assicuro che è vero».
«Per colpa tua non sarò mai più in grado di guardare tuo padre in faccia senza scoppiare a ridere», calma qualche attimo le risate causate dall’aneddoto raccontato dal ragazzo e cerca di esibire un’espressione più seria e quasi di rimprovero, che viene subito spazzata via però da una nuova risata, che questa volta è solo un riflesso spontaneo a quella melodica di Michael, «Allora è una fortuna che parta, non gli piacciono quelli che gli ridono in faccia. O che ridono e basta». Euphemia, finalmente, riesce a calmare le sue risate, incuriosita dalle parole quasi amare del ragazzo, «Dai, non può essere davvero così tremendo come sembra». Michael la guarda scettico, «Tu non ne hai idea, è anche peggio di come appare. Almeno con te è gentile», poi alza le spalle, Michael, rivolgendo lo sguardo altrove con la netta sensazione di essersi aperto fin troppo mentre la castana lo guarda incuriosita, «Perché, con te non lo è?». Questa volta è Michael ad esibire una finta risata, amara, mentre scuote la testa, «La cosa più carina che mio padre mi ha detto negli ultimi anni è stato “non deludermi di nuovo” o “spero che il tuo meglio sia abbastanza”»; sospira, quasi frustrato ‘chè comunque questo non è un argomento che gli piace affrontare, e abbassa lo sguardo, pur sentendo quello di Euphemia bruciare contro la sua pelle. «Sei serio?», Michael annuisce sollevando nuovamente lo sguardo sulla ragazza, «Non tutti possiamo avere un padre a cui importa di noi e che ci tiene davvero»; alza lievemente le spalle mentre Euphemia abbassa lo sguardo nel sentire le sue parole, «Si, lo so bene, nemmeno il mio è una cima come padre». Quando risolleva lo sguardo, gli occhi di Michael, di cui in realtà Euphemia ancora non ha capito il colore, la stanno guardano in un misto fra stupore e curiosità, «Davvero?»; lei fa cenno di si con la testa, gli occhi improvvisamente vacui e un peso sul petto, «Non è una cosa di cui mi piace parlare, in realtà». Il ragazzo annuisce per poi chiamare con un gesto il cameriere per farsi portare il conto e paga, senza nemmeno lasciare il tempo ad Euphemia di farci su una discussione. «Non avresti dovuto pagare tutto tu», sbuffa infatti lei una volta usciti dalla pizzeria, mentre camminano di nuovo verso lo studio, dove Michael deve tornare a lavoro. «Non ti avrei mai lasciato pagare, niente discussioni», lui le sorride e lei non può fare altro se non ricambiare il sorriso di rimando, senza però cedere; «La prossima volta però pagherò io», lo ammonisce incrociando le braccia sotto il seno e cercando di esibire la più seria e la più severa delle espressioni. Michael, in risposta, non può che allargare il sorriso, incurante del fatto che probabilmente è di nuovo in ritardo e che quindi suo padre deve essere incazzato da morire, «Ci sarà una prossima volta?»; Euphemia alza leggermente le spalle, con un piccolo sorriso quasi accennato, «Se te l’ho detto, è probabile». Si fermano davanti alla fermata della metro, poco distante dallo studio, e Michael le fa un cenno di saluto con la mano, «Allora a domani, Euphemia, è stato un piacere conoscerti». Lei si alza sulle punte dei piedi per lasciargli un piccolo bacio sulla guancia sinistra a mo’ di saluto, «A domani, Michael». Gli rivolge un ultimo sorriso prima di scendere le scale della fermata, lasciandolo lì, fermo.
 
Seth non è ancora tornato e Amethyst, in realtà, si preoccupa da morire tutte le volte che fa ritardo o non risponde ad una chiamata. Il fatto è che lui non frequenta certo quartieri tranquilli e anche i suoi amici non scherzano, e lei trema tutte le volte che se lo immagina lì con quei soggetti. È che lei di persone importanti ne ha perse fin troppe e Seth è uno degli unici che le rimangono e, si, il pensiero di poterlo perdere la terrorizza, anche se a lui comunque non lo direbbe mai.
Appena sente la chiave scattare nella serratura, tira un sospiro di sollievo, anche se non gli farebbe mai notare tutta la sua preoccupazione, «Sei tornato finalmente, stavo per andare da sola dagli Scott». Sente i suoi passi strascicati percorrere il corridoio fino a camera sua, il rumore dell’anta dell’armadio che sbatte, «Dammi cinque minuti il tempo di cambiarmi e arrivo»; lei rimane in silenzio, voltandosi verso lo specchio per rifinire il rossetto scuro che fa contrasto con la pelle diafana, su cui spiccano anche gli occhi cristallini.
«Chi c’è stasera?», la voce di Seth la richiama, distogliendola dalla sua immagine riflessa. «Siamo io, te, Euphemia, Nate, il loro nuovo coinquilino di cui non mi ricordo il nome, Ashton, Colleen e Luke, se ci ritiene degni della sua presenza», grida quasi per farsi sentire dall’altra stanza e sente i passi del ragazzo farsi più vicini, «Non avevano litigato, Ashton ed Euphemia?», Amethyst alza le spalle, lei si è subito tirata fuori da quella faccenda e comunque meno ne sa, meglio è.
«Come ti sei conciata?», il castano la riprende appena entra in salotto e la vede seduta sul divano con il cellulare in mano. Lei alza le spalle, «Come mi vesto sempre», sbuffa alzandosi, pronta ad andare anche se Seth non mostra la minima intenzione di muoversi.
«Seriamente, come ti sei conciata?», ripete, quasi scocciato dal dover sempre trattare Amethyst come una bambina, ‘chè ha sempre la costante sensazione di doverla proteggere, anche se non ne avrebbe bisogno. «Smettila Seth, mi vesto come mi pare e comunque non ho nulla di male», si volta verso lo specchio dell’ingresso per ricontrollarsi, non ha niente di strano, solo un paio di shorts di jeans a vita alta e un crop top nero un po’ scollato, ma niente di che, le sembra. E comunque, Seth, non ha alcun diritto di dirle come deve vestirsi, manco fosse il suo ragazzo. Lui alza gli occhi al cielo, «Sembri pronta ad andare sulla tangenziale», lo dice senza nemmeno pensarci, ma ormai è troppo tardi per rimangiarsi tutto. Amethyst si sente avvampare per la rabbia a quelle parole e lo guarda, arrabbiata da morire, «Mi stai dando della puttana?», sbotta con la voce velata dalla rabbia profonda. Lui alza le mani, «Ora non mettermi in bocca parole non mie, ho detto che sei conciata come una puttana, non che lo sei». Lei alza gli occhi al cielo, «Ma sta’ zitto, coglione», senza nemmeno pensarci fa un passo di troppo verso di lui e la sua mano si stampa contro la guancia del ragazzo, che non fa una piega però. «Tu non hai il diritto di farmi la paternale, né tanto meno di dirmi come vestirmi soprattutto quando tu sei il primo che ha cose di cui farsi rimproverare», sbotta tutto di botto, quasi fuori di se per la troppa rabbia. Lui la guarda, senza capire, «Ma di che stai parlando, ‘Meth?». Amethyst ricambia lo sguardo, sempre più furiosa, nemmeno lei sa in realtà perché se la stia prendendo così tanto, «Non fare il finto tonto con me, pensi che non sappia dove vai tutto il giorno e cosa fai? Pensi davvero che mi beva la cazzata dell’università? Guarda che lo so che te ne vai in giro con i drogati, a fare chissà che, ma non ti dico niente, sono cazzi tuoi e io non mi intrometto». Lui sospira, buttandosi sul divano, tanto sa che questa cosa potrebbe andare avanti per le lunghe, «Ma io so badare a me stesso, tu no Amethyst».
«Non mi trattare come se fossi una bambina, so badare a me stessa», sbuffa incrociando le braccia e con sempre più rabbia in corpo; «Sei tu che ti comporti da bambina», Seth cerca di mantenere la calma, lo fa sempre, anche se oggi gli riesce sempre più difficile e sente che a brave potrebbe esplodere.
«Smettila di dire stronzate e comunque non devi badare a me, non sei mio padre», sbotta mentre si china ad allacciarsi le scarpe, ‘chè non ha intenzione di andare avanti per molto. «Se non bado io a te, non lo fa nessuno e sono la cosa più vicina ad un padre che hai, lo faccio per te», lui sbatte un pugno contro lo schienale del divano preso dalla frustrazione.  «Non sei mio padre, Seth», alza il tono lei quasi urlando, arrabbiata come mai prima.
«Tuo padre è morto, Amethyst e io sono la cosa che più gli si possa avvicinare», sbotta lui preso da un impeto di rabbia, rendendosi conto troppo tardi di quello che ha appena detto. Lei resta in silenzio, assottigliando lo sguardo, ferita e presa dall’odio, «Non scomodarti a venire dagli Scott o a cercarmi quando stasera non tornerò a casa, non voglio vederti più». E lui non fa in tempo a rispondere, che lei si è già sbattuta la porta di casa alle spalle.
 
Nirvana non sopporta più gli insistenti messaggi di Hayden, che in realtà dicono tutti pressappoco la stessa cosa: vuole che torni. Più che chiederlo, lui glielo ordina, aspettandosi che lei ubbidisca, ma questa non è certo una novità, non le ha mai chiesto nulla; in realtà la colpa è sempre stata sua, che ha continuato ad assecondarlo per troppo tempo, stupida lei che credeva sarebbe cambiato.
Comunque, non ha la minima intenzione di tornare a Los Angeles, ‘chè la rabbia ed il dolore sono ancora troppo forti e i ricordi di tutto quello che lui ha fatto, che le ha fatto continuano a tormentarla; non può tornare, non può e soprattutto non vuole. Ha lasciato il telefono a casa, giusto per concedersi un po’ di tempo per riflettere, non sa cosa fare, non sa come liberarsi da certi pensieri che inevitabilmente continuano a tornare a galla, a cercare di farla riaffondare nel passato, che vorrebbe solamente dimenticare.
Al parco, che si trova proprio sotto casa, nonostante ci sia ancora luce, ormai c’è poca gente, ma le va bene, non è venuta mica per stare in compagnia. E poi lo vede.
È strano il caso, ‘chè a stento ci aveva parlato quando erano compagni di scuola e adesso, invece, si trova a passare con lui più tempo di quanto avrebbe mai potuto immaginare, più tempo che con chiunque altro.
È seduto a terra, con la schiena poggiata contro un albero e lo sguardo perso davanti a sé, una chitarra fra le mani e gli auricolari nelle orecchie. E, per la prima volta, Nirvana non può fare a meno di notare quanto Luke Hemmings sia bello. Non sa come abbia fatto a non accorgersene ai tempi della scuola, anche se forse era solo troppo concentrata su sé stessa e su Hayden per poter notare tutti gli altri. Certo, uno come lui, non dovrebbe mai riuscire a passare inosservato.
Prima che possa pensarci e trattenersi, muove qualche passo verso di lui e si poggia con la schiena contro l’albero, non vuole disturbarlo mentre suona. Lui però si accorge della sua presenza e si toglie gli auricolari smettendo subito di suonare, increspando le labbra in un sorriso quasi radiosa appena si accorge che è lei. «Nirvana», la saluta e la fa cenno con la testa di sedersi accanto a lui, lei lo asseconda; «Ciao Luke, ti disturbo?». Il biondo scuote la testa e sente quella strana sensazione farsi largo nel suo stomaco, anche se, ormai, un po’ c’è abituato, «Ma no figurati, anzi mi fa piacere un po’ di compagnia». Poggia la chitarra accanto a sé, sotto gli occhi attenti della ragazza, che oggi sono tendenti al verde, lui lo nota sempre.
«Cosa suonavi?», Luke alza leggermente le spalle a quella domanda, ficcandosi velocemente in tasca un foglio stropicciato, «Niente di che, sto solo buttando giù qualcosa».
Nirvana lo ascolta, interessata, «Posso sentire?»; lui alza leggermente le spalle, quasi in imbarazzo, «Non aspettarti chissà che».
E quando lui inizia a suonare, con tanto trasporto, con tanta passione, Nirvana si sente così leggera, per la prima volta dopo tanto tempo.
 
«Nathaniel James Scott!», la voce arrabbiata di sua sorella lo richiama, distraendolo dalla conversazione con Colleen, che comunque si stava solo lamentando del comportamento di Luke, che continua ad essere sempre più distante, a voler stare con chiunque, tranne che con lei.
«Cosa c’è ‘Mia?», le sorride amabilmente, cercando di addolcirla ‘chè le sue sfuriate sono sempre le peggiori, soprattutto quando gli occhi le fiammeggiano in quel modo. «Perché Ashton è qui?», quasi urla presa dalla frustrazione e, si, lo sa che è un comportamento un po’ infantile, ma comunque non può farci niente. Ma trovarsi Ashton Irwin davanti la porta di casa è stato uno shock terribile, dopo quello che è successo, tanto che quasi a stento ha notato Amethyst e i suoi occhi lucidi dietro di lui. Nate si limita ad alzare le spalle, sa che quando fa così, l’arma migliore è l’indifferenza, «Perché l’ho invitato io».
E prima che lei possa dire nulla, proprio Ashton si intromette nella loro conversazione, «Euphemia, se hai qualche problema con me, è con me che dovresti parlarne e magari possiamo risolvere». Lei gli scocca un’occhiataccia che quasi lo fulmina, sempre più infastidita, «Non ho niente da dirti più di quanto ti abbia già detto e sai benissimo che non voglio risolvere». Ashton sbuffa, mentre Nate decide di allontanarsi con una scusa, tra loro tira propria una brutta aria e lui non vuole trovarsi proprio nell’occhio del ciclone.
«Ancora non capisco perché ce l’hai tanto con me, dovrei essere io quello arrabbiato», sbotta lui ‘chè ormai sta perdendo la pazienza anche lui, non ce la fa più, vorrebbe solo che cose tornassero alla normalità. Euphemia alza gli occhi al cielo, stanca, «E allora perché non ti arrabbi e mi lasci in pace?». Ashton scuote la testa, quasi rassegnato, lei tanto rimarrà sempre sfuggente e lui non capirà mai perché, «Almeno una spiegazione puoi darmela?». Lei rimane in silenzio, evitando accuratamente il contatto visivo con i suoi occhi cangianti, oggi tendenti al castano, «Perché mi hai lasciato, Euphemia? Voglio solo sapere questo, poi ti lascerò in pace». Lei deglutisce e si gira, camminando a grandi passi verso la cucina e lasciandolo lì come un idiota, per l’ennesima volta senza una risposta.
 
Quando Calum esce in balcone, ‘chè una sigaretta in solitudine ci sta proprio, con il salotto è pieno di gente, fin troppa per i suoi gusti, certo non si sarebbe aspettato di trovare qualcuno anche lì. E invece c’è una ragazza, che non ha visto quella sera, ‘chè appena entrata in casa è subito sparita in bagno; sta raggomitolata su una delle poltroncine giallo canarino e tiene lo sguardo fisso sul cielo ormai notturno. Non si volta sentandolo arrivare, si limita a sospirare, «Va’ via, Ashton», e Calum sente una qualche familiarità in quella voce e le lacrime soppresse che la riempiono. Non sa cosa dovrebbe fare, in realtà, e poi si sente ancor meno a suo agio con tutto quel buio attorno a loro, «Non sono Ashton», si limita a dire. Cerca con la mano destra l’interruttore della luce, illuminando così pochi attimi dopo il balcone e si sente subito un po’ meglio. Lo detesta e lo teme anche, il buio, sin da quando era un bambino e non può farci nulla.
Amethyst si volta di scatto a guardarlo, non riconoscendo quella voce, «Calum», mormora sorpresa; certo non si aspettava mica che avrebbe rincontrato il ragazzo di quella mattina. Rimane a fissarlo qualche istante in silenzio, tornando poi a rivolgere lo sguardo verso le stelle. Vuole solo stare da sola, adesso.
«Amethyst, è successo qualcosa?», mormora lui, avvicinandosi piano, quasi come temesse di spaventarla, mentre la osserva apprensivo. Lei si gira di nuovo verso di lui, tirando un sorriso forzato, «Io te l’avevo detto che la vita è una gran bastarda». Rimangono di nuovo in silenzio ‘chè lui non sa proprio che dire, non vuole certo intromettersi nella sua vita privata, ma non può nemmeno lasciarla lì in quello stato da sola, «Posso fare qualcosa per te?».
Lei lo guarda e scuote la testa, nessuno potrebbe esserle davvero d’aiuto in quel momento, nessuno potrebbe riparare quella faccenda. Però, in realtà, lei ce l’ha un bisogno che le preme nel petto, «Potresti darmi un abbraccio», mormora semplicemente, alzandosi.
Calum annuisce leggermente e, senza farselo ripetere due volte, si china verso di lei, circondando i suoi fianchi sottili con le braccia, stringendola a sé. In realtà non sa come si cura un cuore spezzato, non s’è mai trovato in certe situazioni, ma al momento non ha scelta se non provarci. Amethyst a quel contatto non può fare a meno di buttargli le braccia al collo, ‘chè di quell’abbraccio ne aveva proprio bisogno. Affonda la testa nella spalla di Calum e soffoca un singhiozzo, sperando che lui non se ne accorga; non sa nemmeno perché gli ha chiesto di starle così vicino, non lo conosce neppure, ma forse è questo che le ha permesso di aprirsi tanto ‘chè certo non l’avrebbe fatto con chiunque.
Calum si accorge dei suoi singhiozzi e, di nuovo, non sa cosa fare, così si limita a stringerla di più a sé, accarezzando con una mano i suoi capelli color pece e spera che il dolore passi presto.
 
 
 
Writer’s wall.
Eccomi di nuovo qui, ad aggiornare.
Capitolo abbastanza intenso direi, eh? È stato anche abbastanza difficile da scrivere, spero sia decente.
Iniziamo con l’uscita di Michael ed Euphemia, che ancora si stanno appena iniziando a conoscere ma sembra che fra loro le cose vadano bene.
Poi abbiamo un litigio anche abbastanza pesante fra Amethyst e Seth in cui veniamo a scoprire qualcosa in più sul carattere di lei, anche se è ancora poco.
C’è un piccolo momento fra Nirvana e Luke, sono così carini, anche se lei a quanto pare ha i suoi tormenti ma, chissà, le cose potrebbero cambiare; c’è anche un momentino fra Calum e Amethyst, che sono tutti e due così complicati che non so quasi che dire su di loro.
Infine abbiamo una piccola discussione fra Ashton ed Euphemia, in cui scopriamo che sono stati insieme e lei l’ha lasciato, ma perché?
Detto ciò, vi lascio, pubblicherò il nuovo capitolo, che è quasi finito, giovedì o venerdì.
Grazie di aver letto fin qui, un bacio
-Mars

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Capitolo 5
*** Sbagliare ***


Capitolo Quattro.
 
Sbagliare.
 
 
 
Quando Calum si alza finalmente dal letto, la sveglia segna in rosso che sono le dieci e mezzo. Non che questo sia un problema, non ha niente da fare, comunque.
Sa di essere solo in casa ‘chè sia Euphemia che Nate si sono svegliati e sono usciti per andare al lavoro lei e all’università lui, da almeno due ore e mezzo. Quindi non si preoccupa nemmeno di infilarsi una maglietta o guardarsi allo specchio e si avventura verso la cucina così com’è, a torso nudo e le gambe lunghe coperte da una vecchia tuta, i capelli malamente scompigliati. Tanto non lo vede nessuno.
E, invece, sul divano del salotto, non c’è altri che Amethyst Lee, che avvolta in una felpa blu enorme, probabilmente di Nate, appena sente i suoi passi pigri e strascicati, si volta a guardarlo. E si, lo sguardo su Calum ci resta pure un po’, tanto lui è talmente assonnato da non accorgersene e un’occhiatina a quel fisico scolpito, secondo lei, è più che lecita.
«Che ci fai tu qui?», sbadiglia lui, non appena si accorge della sua presenza.
Lei gli rivolge un piccolo sorriso forzato, un po’ perché ha ancora sonno, un po’ perché per sorridere davvero non ha proprio la forza, «Buongiorno anche a te, Calum». Lui trattiene uno sbadiglio, «’Giorno», biascica per poi raggiungere con passi stanchi la cucina, seguito da lei, ed è così assonnato che manco nota che Amethyst ha gambe snelle nude sotto la felpa. Prende distrattamente una tazza e la riempie di caffè e i biscotti al cioccolato, che ha scoperto essere i preferiti di Euphemia, rischiando perciò la sua più totale ira una volta a casa; tipico per lei, questo comportamento, arrabbiarsi non appena le cose vanno in modo anche leggermente diverso da quello che aveva previsto, fossero anche solo tre biscotti, e Calum se ne sta accorgendo sempre di più.
«Vuoi?», fa cenno ad Amethyst indicando il pacco che tiene in mano, ma lei scuote la testa e va verso il frigo per prendere una mela, che tanto non mangerà comunque. Finalmente si decide a sedersi, di fronte al moro, che adesso appare appena più sveglio, i gomiti poggiati sull’isola di marmo della cucina, le mani che giocano con il picciolo della mela rossa. Sente lo sguardo di Calum su di sé, ma lei tiene il suo basso, non è in vena per una conversazione, non oggi. Ma lui, invece, vuole proprio sapere, «Allora, cosa ci fai qui?», biascica mandando giù un biscotto e continuando a tenere lo sguardo su Amethyst, che alla fine incrocia lo sguardo con il suo, «Pensavo te l’avessero detto, starò qui per un po’». Lui annuisce, buttando giù, l’ultimo sorso di caffè, «Come mai?»; la mora si limita a stringere le labbra, a metà fra l’annoiato e lo stupito per tutte quelle domande inaspettate, «Ho dei problemi a casa e per il momento non mi va di tornarci». Calum annuisce, capendo che non vuole parlarne, ma lui ormai deve sapere; «Amethyst», la richiama e lei si limita ad alzare lo sguardo, «Cos’è successo ieri sera?». Lei stringe le labbra, contrariata, «Cosa te ne importa?». Sa di essere stata aggressiva e antipatica e sa anche che ha sbagliato, non è giusto trattarlo in quel modo, ma non ha alternative. Ieri ha sbagliato a chiedergli quell’abbraccio, ma si è subito ripromessa di allontanarlo ‘chè non può fare entrare un’altra persona nella sua vita, non può affezionarsi a qualcun altro. Non può.
Lui però non si scompone alla sua risposta e alza leggermente le spalle, «Beh mi sei praticamente scoppiata a piangere addosso e volevo solo sapere cos’era successo e se era tutto apposto». Amethyst non si aspettava una risposta del genere, nessuno prima s’è mai interessato così tanto a lei, ma non può cedere per questo, «Scusami, non avrei dovuto lasciarmi andare così, è stato un errore ma non devi preoccuparti per me, quello che mi succede sono fatti miei». Si alza di scatto, lasciando la mela ancora integra sul tavolo, «Oh e se ancora non l’avessi capito, niente è mai tutto apposto». Poi va via, lasciando Calum a guardarla perplesso, senza capire dove abbia sbagliato.
 
Rain sta fissando con occhi vacui il suo panino del McDonald’s, senza dare nemmeno l’impressione di volerci dare un morso. Anche perché sono le undici del mattino e non è proprio l’ora adatta per un panino. Ma quel posto squallido è l’unico che non la faccia pensare ad Isaac, insieme non ci sono mai stati, e così non ha potuto far altro che chiamare Nirvana e, quasi, supplicarla di incontrarla lì. La mora è stata sicuramente più saggia a scegliere il milkshake al cioccolato, anche se ancora non ne ha toccato nemmeno un sorso.
«Rain», la chiama con voce gentile, cercando di usare tutto il tatto che ha. Sa meglio di tutti quanto faccia soffrire il mal d’amore, lei. La bionda alza lo sguardo, «Una pausa, capisci Nirvana? Una cazzo di pausa perché fra noi non funziona più e fin qui ci sta, discutevamo quasi ogni giorno. Ma cazzo, poi lo becco dopo due ore, due ore capisci?, che ci prova con Melanie Gibbs, ti ricordi di Melanie vero?, quello stronzo». Rain esplode e Nirvana nemmeno ci prova a fermarla, meglio che gridi insulti e parolacce, piuttosto che pianga.
«Si capisco, si mi ricordo di Mel, si è stato un vero e proprio stronzo», risponde la castana appena l’altra si calma e si accascia sulla sedia scomoda del locale. Nirvana, a dire il vero, prova quasi pena per lei.
«Cosa dovrei fare? Non voglio essere la stupida che viene mollata e ci sta male, non voglio dargli questa impressione», mormora la bionda, bevendo finalmente un sorso della sua Coca Cola Zero, ma lasciando comunque sempre da parte il panino. Nirvana una mezza idea l’avrebbe pure, ma non sa se a Rain piacerebbe, non è proprio il suo genere, ma tentar non nuoce, «Secondo me dovresti farlo ingelosire, fargli vedere che nemmeno per te è difficile rimpiazzarlo, magari con qualcuno che sa tutto, così non ci sta male nessuno», la bionda la guarda, leggermente spaesata; «Tutti vogliono qualcosa solo quando quella cosa non è più loro», mormora la castana, con l’amarezza nella voce.
«Ti stai riferendo ad Hayden?», chiede Rain, con un filo d’incertezza nella voce ‘chè sa che per Nirvana quello è un argomento difficile, tanto che non ha mai raccontato nemmeno a lei cosa sia davvero successo fra loro a Los Angeles. Infatti, l’occhiataccia dell’altra non tarda ad arrivare, «Sai che non mi piace parlare di Hayden e, comunque, adesso stiamo parlando di te e del tuo problema». La bionda rimane qualche attimo in silenzio, chiedendosi se insistere o meno ‘chè, accidenti, lei muore dalla voglia di sapere di Hayden e di cosa sia successo a Nirvana, del perché lei non si faccia più toccare, ma quella che una volta era la sua migliore amica, oggi è solo un impenetrabile mistero.
«Okay, quindi dovrei farlo ingelosire con qualcuno che è a conoscenza di tutto, quindi di un amico, no?», cambia argomento, ripromettendosi di tornare ad indagare su Hayden, prima o poi.
Nirvana si limita ad annuire, fissando lo sguardo su un punto del locale mentre Rain si immerge nei suoi pensieri, finche la castana non parla di nuovo, «Con lui». Le indica con lo sguardo uno dei due ragazzi che stanno pagando i loro due panini giganti, impensabile mangiarli a quell’ora, e alza un braccio per farsi vedere, «Hey». Entrambi si voltano a fissarla e se il primo non fa i salti nel vederla, lo sguardo improvvisamente brillante ed il sorriso spontaneo del secondo, compensano.
«Ashton? Ma sei impazzita?», sbotta Rain osservando l’amico che si avvicina al loro tavolo, seguito da Luke Hemmings, che ancora non ha staccato lo sguardo da Nirvana. L’altra alza le spalle, «Siete amici da tanto, non vedo che problema ci sia».
 
Euphemia chiude l’ennesima e, fortunatamente, ultima chiamata della giornata, prima di lasciare un appunto sulla scrivania di Esther, che fa il turno di pomeriggio, e prendere la borsa di tutta fretta. Oggi è l’ultimo giorno in cui troverà il signor Clifford a scrutarla severo da dietro la porta a vetri, da domani dovrebbe arrivare Michael, il figlio a cui Euphemia, nelle ultime ore, si è trovata a pensare più di quanto le piacerebbe ammettere. È che l’ha proprio colta di sorpresa, non se lo aspettava proprio un tipo così. Ma, infondo, chi avrebbe potuto aspettarselo, conoscendo il padre?
«Toc toc», e, lupus in fabula, eccolo lì, il protagonista dei suoi pensieri che bussa alla sua porta con un mezzo sorriso stampato in volto, cogliendola un’altra volta di sorpresa. Lei gli rivolge un sorriso e poggia di nuovo la borsa sulla sedia, abituata al padre, «Ciao, hai bisogno di qualcosa?». Michael esibisce una mezza risata scuotendo lievemente la testa, «Ma no, non sono mio padre, ero qui e ho pensato di passare a farti un saluto, spero che non ti dispiaccia»; Euphemia allarga leggermente il sorriso, illuminando gli occhi azzurri, quasi lusingata da quel pensiero tanto carino, «Perché dovrebbe dispiacermi? Anzi, mi fa piacere» e, a quella risposta, Michael non può che sorridere come un ebete. Non tanto per la risposta in sé, che per il fatto di avere la sensazione che per qualcuno, finalmente, lui non sia una delusione o qualcuno da valutare, un possibile intralcio; lui è solamente Michael.
«Menomale, allora», le risponde con il sorriso sulle labbra rosee, cominciando a percorrere il corridoio, con gli sguardi di tutti che si voltano a guardarli. E come biasimarli, per anni Michael non s’è fatto vedere lì, ha sempre lavorato nell’altra sede, dove non c’è il padre, e ora viene addirittura due giorni di fila; certo, non sanno che, volente o nolente, lui lì a partire da domani ci passerà le sue giornate. «Nervoso?», Euphemia lo distoglie dai suoi pensieri e lui scuote leggermente la testa, tornando bruscamente alla realtà; «Come?». Lei alza lievemente le spalle, «Sei nervoso?», ripete, alzando leggermente lo sguardo verso gli occhi del ragazzo, di cui in realtà non ha nemmeno capito davvero il colore.
Lui stringe appena le labbra, «E’ così tanto evidente?». Euphemia gli sorride, con la vaga intenzione di apparirgli incoraggiante, «E’ per domani, vero?». Michael sospira, per poi annuire ‘chè tanto mentire non avrebbe alcun senso, «Non hai idea, mio padre mi mette addosso così tanta pressione. Non voglio deluderlo».
La ragazza, a quelle parole, non può fare altro se non allargare ancora di più il sorriso, quasi intenerita da lui, «Andrà bene, stai tranquillo». Lui alza lievemente le spalle in risposta, cercando di mostrare non troppo disaccordo, «Se lo dici tu». Arrivano all’ingresso del palazzo e Michael, nonostante il disappunto, non può accompagnarla, deve tornare su da suo padre, che dice di dovergli spiegare chissà cosa. Ma prima che lui possa anche solo aprire bocca, è lei a prendere parola, «Dovresti distrarti un po’, tutta questa tensione non ti fa bene. Domani c’è una serata ad un bar dove lavora una mia amica, perché non vieni?»; Michael sa che non dovrebbe concedersi distrazioni, ma uno strappo alla regola, non ha mai ucciso nessuno, «Ci sarò».
 
«Nirvana!», è sempre la voce di Luke Hemmings a chiamarla e lei quasi non riesce capire come faccia a trovarsi esattamente in ogni luogo dove lei va, da quando è tornata. Si sente un po’ come se fossero due calamite di poli diversi che, nonostante la loro volontà, non possono fare a meno di attrarsi e ritrovarsi. Non che le dispiaccia, in realtà, questo improvviso avvicinamento. In realtà, per lui ha sempre nutrito una certa curiosità, sin dai tempi della scuola ma, per un motivo o l’altro, con lui non è mai riuscita ad andare oltre una sigaretta condivisa, finora. Però, anche a distanza di anni, la curiosità le è rimasta.
«Ciao Luke», rallenta il passo, facendo si che lui riesca a raggiungerla in un apio di grandi falcate, e gli sorride. E Luke, a quel sorriso, non può fare altro che rispondere con uno più grandi e i soliti occhi improvvisamente brillanti ‘chè, al diavolo tutti gli anni che sono passati, al diavolo Colleen, per lui resistere al fascino indiscutibile di Nirvana Harris resta sempre impossibile.
«Vai a casa?», lei annuisce, senza stupirsi o incuriosirsi per la domanda del biondo, ha smesso di farlo per le cose, è inutile. Continua a camminare in silenzio, le mani affondate nelle tasche degli skinny jeans blu, che le mettono in risalto le gambe tornite, che a Luke son sempre piaciute un po’ troppo; una delle cose che ha sempre adorato di Nirvana è il fatto che non abbia un fisico da modella, ma giusto e proporzionato, con tutte le curve al posto giusto, sexy.
«Ti accompagno», e glielo dice con un tono così sicuro che lei nemmeno ribatte, non ammette repliche.
Nirvana inarca leggermente le sopracciglia, «Ti viene almeno di strada?» e, stavolta, ad alzare le spalle, è lui. A stento, poi, riesce a concentrarsi ‘chè manco ci crede che accanto a lui ci sia proprio lei e che, per la prima volta, sembra avere una minima chance di avvicinarsi.
«Posso farti una domanda, Nirvana? Non devi rispondere per forza», ormai sono arrivati al portone e Luke, che voglia di lasciarla andare non ne ha proprio, si siede sul gradino davanti alla porta, facendole cenno di sedersi. Lei lo asseconda, stando ben attenta a non toccarlo, «Chiedi pure».
Oggi i suoi occhi tendono ad un grigio-verde che Luke, a dire il vero, ha sempre adorato nel suo sguardo, ma non può sbagliare adesso.
«So che non siamo mai stati amici, io e te, solo che mi sarebbe sempre piaciuto conoscerti meglio e ora che sei tornata, magari può essere l’occasione giusta. Quindi mi chiedevo se, per caso, ti andrebbe di uscire, una di queste sere?».
Il suo subconscio le urla di no, che non deve assolutamente, che sarebbe uno sbaglio enorme, ma lei non riesce a tenergli testa. Sarà quel sorriso, o forse quegli occhi tremendamente azzurri che la guardano in un modo diversa a quello a cui era abituata, e allora lei non può che sbagliare, tanto non è la prima volta per lei, «Mi piacerebbe molto».
 
 

Writer’s wall.
Solo io posso essere in grado di prendermi l’influenza a meno di una settimana dal concerto dei 5sos, la solita sfiga. Quindi se questo capitolo è orribile e delirante, è solo perché l’ho scritto imbottendomi di tachipirine e vitamine, ma alla fine ecco fatto.
Abbiamo un dialogo fra Amethyst e Calum, in cui lui cerca di capirla, ma lei si rivela sempre più sfuggente e arrabbiata; cerca di allontanarlo, ma il nostro moro non demorde.
Poi ci sono Nirvana e Rain, di cui si inizia a scoprire di più, ed ecco che torna Isaac, Rain seguirà il consiglio di Nirvana?
Euphemia e Michael, ci sono poco, ma tra poco saranno moolto più presenti, lei a quanto pare l’ha invitato fuori e lui ha accettato.
E, parlando di inviti, anche Luke ha invitato Nirvana, che alla fine ha accettato (tra pochissimo si inizierà a scoprire qualcosa in più su di lei).
Grazie di aver letto fin qui,
un bacio
-Mars

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Capitolo 6
*** Punto debole ***


Capitolo Cinque.
 
Punto debole.
 
 
 
Amethyst ama con tutta sé stessa queste serate, al bar. Le piace vedere la gente ridere, conoscere altra gente e ballare, lasciarsi solo andare e invidia loro tutta quella leggerezza, che anche lei vorrebbe tanto avere.
In teoria, poi, dovrebbe essere dietro al bancone a servire ma non ha proprio voglia, quindi ora è mischiata alla folla, mentre raggiunge Ashton, Rain, Colleen e Nate, che stanno proprio adesso brindando a chissà cosa, col sorriso stampato sulle labbra.
«Amethyst!», la saluta quasi entusiasta Ashton, sporgendosi per abbracciarla e lasciarle un bacio sulla guancia, lo fa sempre quando la saluta.
«Ciao», fa un gesto con la mano, salutandoli tutti e nota subito chi manca, «Dove sono Luke ed Euphemia?». Si guarda intorno, ma di loro nessuna traccia. Nate alza leggermente le spalle, butta giù un sorso di birra e risponde «Euphemia arriva fra poco, Luke non lo so». Colleen stringe le labbra, contrariata nel sentire quel nome. Dire che è arrabbiata con lui, è poco; «Luke ci ha dato buca per uscire con Nirvana Harris», sbotta senza nemmeno trattenere il fastidio. Lo stesso fastidio che si riversa negli occhi di Amethyst, «E’ sempre stata brava a mettersi in mezzo alle relazioni. Non hanno intenzione di venire qui, vero?». Alzano tutti le spalle, ‘chè in realtà non sono proprio informati sui piani di Luke per la serata, anche se Ashton se l’è sorbito che ne parlava per ore.
«Ce l’hai ancora con lei, ‘Meth?», Nate quasi non riesce a trattenere la nota divertita nella voce, per lui è impensabile portare rancore tanto a lungo. Amethyst alza le spalle e sfila la birra dalle mani di Ashton, bevendone un sorso senza nemmeno aspettare le lamentele del ragazzo. Ma Nate non demorde, «Ma sono passati anni». Lei alza di nuovo le spalle, non saprebbe spiegare perché le porti ancora tanto rancore.
Nate scuote la testa, girando i tacchi verso il bancone per andare a prendere un’altra birra, seguito da Colleen, che ne ha proprio bisogno adesso.
«Ehy!», li saluta la voce di Calum Hood, con cui Ashton si scambia subito un cinque, tipico. Rain ricambia il saluto con lo stesso entusiasmo e Amethyst, invece, si limita a fargli un cenno con la mano. Non può avvicinarsi anche a lui e più lo tiene a distanza, meglio è, per il momento.
Calum si guarda attorno, senza rendersi quasi conto dell’assenza di Euphemia che, in realtà, dopo averla conosciuta meglio, non lo attrae più di tanto; sarà pure bella, ma non è proprio il suo tipo.
«Rain, non è Isaac?», Amethyst indica con lo sguardo un ragazzo poco distante da loro, che sta ballando con una rossa, fin troppo vicini.
La bionda lo osserva qualche istante, prendendo poi la mano di Ashton, «Io e Ashton andiamo a ballare, scusateci» e lo trascina verso la pista da ballo, lasciando soli Calum e Amethyst.
«Non dovresti essere dietro il bancone, tu?», la rimbecca lui, un mezzo sorriso divertito sul viso. Lei fa una smorfia, «Non avevo voglia» confessa, sincera. Calum ride, anche se lei non capisce proprio cos’abbia da ridere, «E io che volevo chiederti da bere». Amethyst sbuffa, mascherando una mezza risata, «Non sono mica l’unica barista che c’è qui» e gli indica con la testa il bancone, dietro al quale ci sono tre suoi colleghi.
Il moro alza le spalle, «Dai, cosa ti costa darmi una birra?»; lei scuote la testa, sospirando, ancora stranita, «Giuro che a volte non ti capisco proprio, Hood».
E lui ride ancora.
 
Michael continua ad osservare di sottecchi il profilo di Euphemia Scott, che cammina accanto a lui, le mani nelle tasche della giacca di pelle e il sorriso allegro e pieno di vita stampato sul viso, mentre continua a parlare animatamente. È proprio bella, una di quelle bellezze così pure da essere quasi una rarità per cui Michael, a dire la verità, ha sempre avuto un po’ un debole.
«Ma non ti stanchi mai di parlare, tu?» le chiede, con la risata nella voce e la sensazione di non avere preoccupazioni per la prima volta da un po’. Euphemia si lascia sfuggire una risata cristallina e scuote leggermente la testa, «Dipende con chi e di cosa parlo» risponde, lasciandolo ancora più confuso, in realtà.
Continua a lasciarsi guidare da lei per i marciapiedi della città, finche non si ferma davanti ad un locale, che ha tutta l’aria di essere abbastanza affollato. Sente una morsa stringergli lo stomaco, la sensazione che forse dovrebbe tornare a casa, «Il posto è questo?». Euphemia annuisce, rivolgendo poi lo sguardo limpido sul ragazzo, «Perché c’è qualche problema?». Lui stringe le labbra e si passa una mano fra i capelli chiari, «Non so, non è esattamente il massimo, sai domani devo svegliarmi presto e non posso mica dormire in ufficio»; la risata non trattenuta di Euphemia lo interrompe. «Michael, guarda che non c’è niente di male se ti diverti un po’ ogni tanto e tuo padre nemmeno c’è, nessuno gli dirà che hai osato uscire, una volta tanto». A ridere, adesso, è Michael, divertito «E’ solo che sono stressato da morire per tutta questa cosa che adesso è tutto in mano a me, mi sento così inadeguato».
Euphemia si mette a sedere sul gradino del marciapiede, magari entreranno dopo, e gli fa cenno con la mano di sedersi accanto a lei. Lui la asseconda.
«Non ti fa bene tutta questa tensione, non capisco nemmeno a cosa sia dovuta. Voglio dire, se tuo padre ti ha dato questo incarico, significa che sei all’altezza», lui in risposta alza le spalle. «Non ci conterei troppo, sai per lui essere all’altezza significa essere esattamente come lui e io non lo sono. Io sono solo una delusione costante, non so nemmeno cosa ci sto a fare lì», borbotta amaro, distogliendo lo sguardo da quello della ragazza. Lei gli poggia la mano sulla spalla e gli sorride, incoraggiante, «Michael, io ho conosciuto tantissime persone che nella vita avrebbero potuto combinare ben poco e ti assicuro che tu non sei una di quelle. Tuo padre sarà anche severo, ma di sicuro non ti considera una delusione».
Michael sospira, «Sarebbe strano, fino a quando, a sedici anni, non ho iniziato a fare quello che voleva lui, “sei una delusione” è stato il suo motto», sbotta amaro rivolgendo poi un piccolo sorriso ad Euphemia. «Non guardarmi in quel modo, non compatirmi», la riprende, tornando di botto sereno. Si alza dal marciapiede con un movimento fluido e le tende la mano per aiutarla a fare lo stesso.
«Andiamo su», le dice con un sorriso, lasciandola stupita per l’improvviso cambiamento d’umore; ma lei non dice nulla e lo asseconda, trascinandoselo dietro verso il locale, le mani ancora intrecciate.
 
«Grazie di aver accettato, Ash. Ti devo un favore enorme», gli sussurra Rain all’orecchio, mentre ballano, decisamente troppo vicini per essere visti come semplici amici. Ashton sorride, «Ma figurati, piccina, per così poco». La bionda storce un po’ il naso a quel nomignolo, che le è stato affibbiato dal ragazzo quando aveva cinque anni, che lui continua ad usare nonostante la infastidisca parecchio. Continuano a ballare e lui vede Isaac poco lontano da loro. Li sta guardando. Ashton scuote la testa, per abbassarsi nuovamente verso l’orecchio della bionda e sussurrare: «Ancora non ho capito perché stai facendo tutto questo per quella grandissima testa di cazzo». Rain sospira, sa benissimo che Ashton non ha mai sopportato Isaac e che, quindi, non capirebbe mai le sue ragioni, «Non sono l’unica che può essere rimpiazzata in fretta e deve capirlo. Ha fatto male a lasciarmi e deve rimpiangere di averlo fatto». Lui scoppia a ridere, sentendola così arrabbiata, «Allora ricordami di non lasciarti mai, non vorrei mai dovermi trovare contro la tua ira». Lei gli tira una piccola sberla affettuosa sul braccio, senza riuscire a trattenere una risata, «Idiota».
Poi, di botto, si fa seria, lo sguardo rivolto verso l’entrata. Smette di ballare e Ashton fa lo stesso di conseguenza, guardandola un po’ corrucciato, senza capire. Rain continua a guardare fisso, a bocca aperta, e a stento riesce a mormorare: «Ashton, quello che è appena entrato con Euphemia non è Michael?». Lui segue il suo sguardo e riguarda quel ragazzo una, due, tre volte e non ha dubbi, «Merda, si è lui». Sente una piccola morsa di gelosia intrappolargli lo stomaco, anche se sono passati mesi, ormai, ad Euphemia non è poi così indifferente come gli piacerebbe essere.
Di colpo, sente le pareti stringersi e i corpi delle persone che lo circondano farsi sempre più vicino, il respiro che viene quasi meno. Si sente quasi intrappolato lì, senza una via d’uscita; «Ho bisogno di aria, spazio», mormora semplicemente.
Rain lo guarda, preoccupata, e lo trascina via dalla pista da ballo, in un angolo più appartato. Ashton non ha ancora aperto bocca, ma sta già meglio. Sente già l’aria tornare lentamente nei polmoni e la sensazione di oppressione librarsi via da lui.
«Michael sapeva che stavate insieme, voi due?». Ashton scuote la testa, continuando a tenere lo sguardo su di loro, cercando di capire, «No, era nella sua fase di isolamento, sai quella in cui non pensava ad altro se non al lavoro, non avrebbe nemmeno avuto senso dirglielo».
E Rain si limita ad annuire ‘chè non ha proprio idea di cosa possa fare o dire in questo momento.
 
L’uscita con Nirvana, secondo Luke, sta andando anche meglio del previsto.
Se qualcuno l’avesse detto al Luke di due anni prima, che si sarebbe ritrovato seduto di fronte a Nirvana, loro due da soli, e che lei avrebbe riso tanto ad una sua battuta, lui probabilmente non ci avrebbe mai creduto. Eppure, adesso è proprio quello che sta succedendo.
Sa che, probabilmente, sono quasi tutti arrabbiati con lui; Colleen di certo, Amethyst probabilmente, ha ancora quell’odio viscerale per Nirvana, che lui non capisce proprio.
«A cosa stai pensando?», lei richiama la sua attenzione e lo guarda col sorriso in viso. Lui scuote la testa, «A niente in particolare, solo che è una bella serata». Ricambia il sorriso, la luce del ristorante che fa lampeggiare leggermente il piercing sul labbro, rendendolo ancora più evidente.
«Si, lo è davvero», conferma la castana, bevendo un sorso della sua Coca Cola Light. Luke, a questo punto, non si pone nemmeno più il problema di guardarla di sottecchi, «Mi fa molto piacere che tu abbia accettato di venire».
Nirvana sente una strana sensazione allo stomaco, probabilmente è solo la fame, si dice; in realtà, è che per nessuno è mai stata così tanto importante la sua presenza, «E io sono contenta di aver accettato». 
Gli occhi azzurri di Luke si illuminano a quella rivelazione, un sorriso sincero e spontaneo si fa strada sul viso, «Se posso essere sincero con te, Nirvana, ho sempre voluto uscire con te, da quando ci siamo conosciuti a scuola».
Le guance di lei diventano subito rosse a quella rivelazione ‘chè nessuno le aveva mai detto una cosa del genere prima, nessuno l’aveva mai trattata con così tanto riguardo, «Avresti solo dovuto chiedermelo, Luke».
E lui ride, una risata spontanea e un po’ ironica, «Io? Chiedere di uscire alla grande Nirvana Harris? Non sarei mai stato all’altezza» e lo dice un po’ scherzando, un po’ seriamente.
Nirvana si unisce alla risata, che le arriva spontanea alle labbra, «Non dovresti preoccuparti di questo, semmai del contrario. Il problema per te dovrebbe essere trovare qualcuno che possa essere alla tua altezza». Gli sorride e, quando lui ricambia, la strana sensazione si fa nuovamente strada in lei.
«Ma dai, non scherzare», si stringe nelle spalle e beve un sorso della sua birra, senza staccare un secondo gli occhi dalla figura di Nirvana, che per lui sembra diventare più bella ogni attimo di più.
Lei scuote la testa, «Sono seria, Luke. Sei una persona fantastica, davvero».
Ma lui, a quelle parole, si incupisce, lo sguardo diventa subito scuro e assente, «Non sono affatto una bella persona, credimi Nirvana». E per qualche motivo, il suo tono, di colpo fattosi gelido, frena le domande che aveva già pronte sulla punta della lingua.
Perciò rimane in silenzio, senza sapere più cosa dire o fare, lo sguardo che vaga vacuo sulle pareti del locale. Sussulta quando sente la mano di Luke poggiarsi leggera sulla sua, «Scusami se sono stato brusco, non era mia intenzione. E’ solo che hai sfiorato il mio punto debole».
Lei annuisce lentamente e ritrae immediatamente la mano da quella di Luke, con il cuore che batte a mille nel petto. Solo quel minimo contatto è bastato a riportarle alla mente frammenti di tutti quei giorni e di quell’unica notte che l’hanno distrutta. E Luke solo in quel momento si rende conto di quello che ha fatto ‘chè gli è venuto spontaneo e proprio non c’ha pensato. Ma adesso si sente maledettamente colpevole, «Perdonami, io non ci stavo pensando».
Nirvana annuisce di nuovo e carca di calmare i suoi battiti cardiaci, è tutto okay adesso. «Non importa», mormora velocemente, ma Luke sente comunque il tremolio della sua voce. E deve sapere.
«Perché hai così tanta paura del contatto? Non ricordavo che ce l’avessi quando andavamo a scuola».
Lei abbassa di poco lo sguardo, «Non ti ho mai detto che mi spaventa, ti ho solo detto che non mi piace», borbotta, studiando la tovaglia azzurrina, pur di non fissare il ragazzo di fronte a lei; ormai, l’imbarazzo è fin troppo.
Luke, invece, non le stacca un attimo lo sguardo di dosso, «Però ti spaventa, è evidente». Nirvana resta in silenzio, senza sapere cosa dire.
«Cosa è successo, Nirvana?» le chiede lui, con la voglia di sapere che gli arde sempre più dentro ‘chè Nirvana sta diventando sempre di più un mistero e la cosa proprio non gli va giù.
Lei alza finalmente lo sguardo nel suo e alza le spalle, «Non mi va di parlarne, è il mio punto debole».
 
Ormai sono le quattro del mattino e nel locale sono rimasti ben in pochi. La musica è più soffusa, tanto a nessuno fra gli unici quattro rimasti va di ballare, o sono comunque troppo ubriachi per farlo.
Due di loro si sono addirittura addormentati, o almeno Amethyst crede sia così, nonostante i sensi nettamente annebbiati.
Sta seduta sul bancone, con una bottiglia di vodka liscia fra le mani e, per la prima volta dopo un po’ di tempo, si sente leggera.
Forse una sbronza in piena regola è tutto ciò di cui ha bisogno.
Non che Calum, in piedi davanti a lei, poggiato al bancone solo con il gomito destro, se la passi tanto meglio.
Ma non importa niente a nessuno dei due.
«Ancora non ho capito perché bevi così tanto, non hai un cazzo da dimenticarti», sbotta lei ad un certo punto, tra una risata e un tono quasi serio. Beve un sorso prima che il mono le tolga la bottiglia dalle mani per berne lui un sorso e poi le fa uno dei suoi soliti sorrisi sghembi, «Perché, deve esserci un motivo per ubriacarsi?». Strascica un po’ le lettere, ma è comunque messo meglio di Amethyst, che ormai è in uno stato d’incoscienza quasi totale. Non si rende proprio più conto e sta perdendo via via il controllo.
«Seth una volta mi ha detto che la gente beve per tre motivi: dimenticare, divertirsi o per scopare», elenca spostando una ciocca dei capelli corvini dietro l’orecchio, «Io bevo per dimenticare».
Calum alza le spalle, «Io bevo per divertirmi, credo».
Amethyst alza le spalle e gli strappa di nuovo le mani la bottiglia trasparente per bere un altro lungo sorso. Le fa anche un po’ schifo quella roba, a dire il vero, ma è una delle poche cose che la distrae per davvero. Non pensa più a niente, non c’è tempo per i pensieri.
«Lo sai che sei proprio bella, Amethyst?», mormora lui dopo un po’, lo sguardo fisso su di lei e le mani che giocherellano con i suoi capelli scuri. Lei scoppia a riedere e scuote la testa, «Sai che sei proprio un coglione, Calum?».
Ma lui non risponde, perché le sue labbra sono già troppo impegnate, premute su quelle della ragazza con quell’ardore e quel desiderio che solo l’alcool può mettere in corpo.
Le loro lingue si trovano, si intrecciano, le gambe di Amethyst avvolte al bacino di Calum, i loro corpi premuti l’uno sull’altro, tanto vicini che quasi non si capisce dove inizia uno e finisce l’altro. Le mani di Calum sulle cosce di lei, che salgono sempre di più sotto la gonna blu, che presto non diventa altro che un ostacolo.
Dopo un po’ finiscono nello squallido bagno del locale, ma meglio di niente. Amethyst ancora con le gambe intrecciate al bacino di lui, le labbra che non si sono staccate se non qualche secondo per prendere fiato. La gonna è a terra a qualche metro da loro, presto seguita dagli skinny jeans neri di lui.
Fra loro sempre meno strati, sempre più pelle a contatto, baci sempre più infuocati di passione e le menti leggere, annebbiate dall’alcool.
Poi, fra loro, più nessuno strato.
E Amethyst si sente leggera come un palloncino.
 
 
 

Writer’s wall.
Eccomi di nuovo qui.
So che è passato pochissimo da quando ho aggiornato l’ultima volta (un record, direi), ma quando ho cominciato a scrivere questo capitolo, è uscito tutto in una volta, senza doverci nemmeno pensare troppo. Mi è piaciuto da morire scriverlo.
Iniziamo con un piccolo incontro al bar, Amethyst che cerca di tenere a distanza Calum (certo che c’è riuscita proprio bene haha), chissà perché. Poi invece vediamo Michael e Euphemia che sembrano sempre più uniti e finalmente comincia ad uscire fuori un po’ del vero carattere di Michael, con tutte le sue insicurezze, chissà se la nostra piccola Scott riuscirà a fargli cambiare idea.
Su Rain e Ashton non c’è molto da dire per ora, anche se lui al momento è davvero incasinato, vista la situazione che si è creata fra Michael e Euphemia.
Poi ci sono Luke e Nirvana, già sapete che li amo, anche loro si stanno avvicinando sempre di più; eppure c’è qualcosa che blocca entrambi, anche se Luke non sembra poi così disposto a lasciar andare così Nirvana, lui vuole sapere.
E alla fine abbiamo una scena fra Calum e Amethyst, quanto li amo, in cui, nonostante quello che si era ripromessa, lei fa esattamente il contrario di stargli vicina eheh. Chissà come andranno ora le cose fra loro…
Scappo perché oggi mi sto dilungando tantissimo, anche se probabilmente è solo l’ansia pre-concerto che si fa sentire (purtroppo fino a lunedì non potrò aggiornare né scrivere visto che sarò a Torino).
Grazie di aver letto fin qui,
Un bacio
-Mars
 

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Capitolo 7
*** Cambiamento ***


Capitolo Sei.
 
Cambiamento.
 
 
 
Quando Calum si è svegliato, questa mattina, era di nuovo solo a casa, visto l’orario. E lui che, invece, aveva progettato di svegliarsi presto, almeno per oggi. Ma non s’è lasciato scoraggiare nemmeno dal mal di testa pulsante, dovuto alla sbornia della sera prima, e si è vestito in fretta, per poi camminare a passo svelto fino ad arrivare al Mel’s. E adesso è qui, che guarda la porta senza sapere se entrare, i vaghi ricordi della notte precedente che gli offuscano i pensieri.
Poi, al diavolo tutto, entra e, senza nemmeno esserne totalmente consapevole, la cerca con lo sguardo. Ed eccola lì, che porta un caffè ad un tavolo, e Calum la trova bella pure con le pesanti occhiaie scure, l’aria stanca e vagamente stralunata, probabilmente un effetto della sera prima.
La raggiunge, senza nemmeno pensarci, con il solito mezzo sorrisetto in viso, quello che lei sembra proprio non sopportare; «Buongiorno, Amethyst».
La mora sospira nel sentire quella voce, anche se avrebbe dovuto aspettarselo, mica poteva evitarlo a lungo, nonostante c’avesse sperato un pochino; alza gli occhi al cielo, senza nemmeno degnarsi di guardarlo mentre torna a passo svelto verso il bancone, a prendere le nuove ordinazioni. «Ciao Calum», biascica, con la testa che ancora pulsa, nonostante le due aspirine che ha già preso.
Fottuto alcool.
«Quanto entusiasmo», commenta lui, ironico e la segue.
Amethyst alza le spalle, «Che ti aspettavi, i fuochi d’artificio?», borbotta scontrosa mentre si dirige di nuovo verso i tavoli col vassoio in mano. Calum la segue ancora.
«Qualcuno si è svegliato dal lato sbagliato del letto, stamattina», commenta lui, ancora ironico.
Lei alza le spalle e, finalmente, si volta a guardarlo, «Perché, c’è gente che si alza mai dal lato giusto?». E si volta, sperando che questa volta lui non la segua. Non può permettersi di affezionarsi anche a lui, di avere solo un’altra delusione; non può concedersi il lusso di avere un’altra persona da poter perdere, ne ha già perse fin troppe, comunque.
Calum sbuffa, «Ma ti fermi un secondo? Cazzo, non ti si può nemmeno parlare un minuto».
Amethyst alza gli occhi al cielo, stanca, «Si da il caso che io stia lavorando, Calum e che non abbia voglia né tempo per starti dietro, perciò o ti siedi e ordini qualcosa o mi parli un’altra volta». E fa per allontanarsi di nuovo, ma lui la ferma tenendole il polso e chiedendosi perché sia così maledettamente intrattabile; si side di scatto davanti a un tavolino, «Un caffè, per favore». Le fa l’occhiolino e lei sbuffa, esasperata, per poi allontanarsi di nuovo verso il bancone.
Quando torna al tavolo, Calum ha ancora quel sorrisetto vittorioso stampato in faccia e Amethyst non può fare a meno di sbuffare mentre gli sbatte davanti il suo caffè. Lui ride, «Calmati, raggio di sole».
La mora lo fulmina con lo sguardo, irritata, «Non chiamarmi così, mai più».
Calum ride di nuovo e lei, lo potrebbe giurare, lo prenderebbe a schiaffi, tanto lo trova irritante; «Oh andiamo, si può sapere che ti prende?».
«Mi prende che mi devi stare lontano, Calum. Dobbiamo stare lontani, io e te».
Lui la guarda, scettico ‘chè dopo tutto quello è successo, sembra proprio assurdo che stia dicendo una cosa del genere, «Ieri sera non la pensavi così però, raggio di sole».
Al che Amethyst incrocia per la prima le iridi cristalline con quelle pece del ragazzo; «Vaffanculo, Calum», sbotta, il tono glaciale. E mentre lui si sforza di capirla, lei va verso l’uscita a passo di marcia, quasi, veloce, come non vedesse l’ora di scappare da lì.
Di scappare da lui.
Fottuto Calum Hood.
 
Quando Rain ha conosciuto Michael, aveva sette anni e i capelli biondi tagliati corti, un taglio da maschiaccio, quasi; li odiava i capelli lunghi, lei da piccola. Michael aveva otto anni e i capelli ancora del suo colore naturale;
La famiglia Clifford si era appena trasferita proprio nella casa accanto a quella dei Wilson ed era un settembre, Rain se lo ricorda ancora. Si ricorda di aver incontrato Michael quando sua madre aveva invitato i nuovi vicini a pranzo e che avevano giocato tutto il pomeriggio a nascondino, e anche che lui era pessimo in quel gioco.
Si sono trovati bene insieme fin da subito, tanto che Ashton all’inizio era persino geloso del loro rapporto, e da quel giorno del pranzo sono sempre stati quasi inseparabili.
Quasi.
Quando avevano sedici anni, Michael è cambiato, del tutto.
Un giorno è arrivato, al solito posto dove loro tre si incontravano sempre, lo spiazzo abbandonato dietro la fermata della metro, senza magliette di band o jeans strappati, ma vestito di tutto punto e con i capelli, sebbene ancora tinti, tutti pettinati. Li ha guardati. Ha guardato Rain con le sue meches rosa evidenti tra i capelli chiari, la canottiera fin troppo grande degli Iron Maiden, probabilmente rubata a suo fratello Marcus, e le calze nere, sicuramente di Celia, gli occhi azzurri cerchiarti di nero e il rossetto rosso, a sedici anni non poteva farne mai a meno; ha guardato Ashton, con i capelli sempre scompigliati e la maglietta piena di buchi, ai piedi le vecchie Vans ormai da buttare, la solita Lucky Strike fra le labbra.
Li ha guardati, serio, le mani in tasca e i rimpianti accantonati in un angolo della mente e poi ha parlato, atono, «Devo cambiare. Sono cambiato».
Poi è scoppiato in lacrime, proprio come un bambino, senza nemmeno provare a trattenersi. Rain è scesa dal muretto e l’ha abbracciato stretto, senza dire una parola; ha parlato lui, piano, «Non voglio più essere una delusione».
Lei l’ha stretto di più, «Non sei una delusione, fregatene di quello che ti dicono».
Michael ha scosso la testa, «E’ mio padre, non posso fregarmene», ha mormorato. Alla fine si è staccato dall’abbraccio di Rain e si è asciugato le guance con la manica dell’anonima maglietta blu, poi si è seduto vicino ad Ashton. Ashton non ha detto nulla e si è limitato a dargli una pacca sulla spalla e a passargli il pacchetto di sigarette e l’accendino, lui non è mai stato bravo con le parole.
L’unica cosa di Michael che era rimasta la stessa erano i capelli costantemente tinti, nonostante il dissenso del padre, ‘chè “in qualche modo devo ricordarmi chi sono”, diceva Michael.
Da quel giorno, del vecchio Michael è rimasto poco e niente. Si è sempre di più chiuso in una bolla, vivendo nel suo mondo, con la paura costante di sbagliare, di fallire; si è allontanato da tutti, ha allontanato tutti, anche lei ed Ashton.
E a Rain, a dire il vero, il Michael di prima, manca da morire.
 
«Nirvana!», una voce la chiama, facendola voltare.
«Ashton Irwin, è da un po’ che non ci vediamo eh?», gli rivolge un piccolo sorriso di circostanza, sa di non andargli a genio, comunque.
Lui la raggiunge a passo svelto, il solito sorriso allegro stampato in viso, «Da due anni, direi. Strano, visto che siamo vicini di casa».
Nirvana si sistema una ciocca di capelli, resi vagamente elettrici dalla piastra e dal vento, dietro l’orecchio mentre lo guarda stupita, «Non sapevo vivessi con Luke, pensavo che lui vivesse con Colleen».
Ashton alza le spalle e accenna una risata, «In teoria abita con me, ma spesso mi ritrovo a fare il terzo incomodo». Lei rimane in silenzio, continuando a camminare lentamente verso casa, con le buste della spesa in mano; odia quando tocca a lei farla, invece che a Krista. Non sa che dire, infondo con Ashton non ha mai avuto un buon rapporto.
«Dammi le buste, dai, ti aiuto», le dice lui, abbassandosi verso di lei non appena se ne accorge. La castana alza le spalle e scuote lievemente la testa, «Non preoccuparti, davvero».
Ashton non demorde, anche perché vuole sistemare le cose con Nirvana, infondo ne sono passati di anni, non ha senso continuarle a portare rancore. «Su, dai, dammi quelle buste, non ti tocco nemmeno mentre le prendo».
E Nirvana, distratta da quell’affermazione, si lascia sfilare le buste di mano, senza che davvero Ashton la sfiori. «Cosa vuol dire?», mormora sospettosa.
Il ragazzo continua a camminare cercando di stare al passo con lei, nonostante abbia le gambe nettamente più lunghe di quelle di lei e alza le spalle, «Tu hai paura del contatto fisico, no?».
Nirvana tiene lo sguardo fisso davanti a sé, «Tu come lo sai?».
Ashton a quella domanda trattiene a stento una risata e rivolge lo sguardo verso di lei, «Luke non fa altro che parlare di te da quando sei tornata, in pratica sei il suo unico nonché preferito argomento di conversazione».
Lei sente il sangue affluirle alle guance, che le diventano inevitabilmente rosse, cosa che ad Ashton non sfugge; «Parla davvero di me?», mormora imbarazzata e con un sorriso spontaneo sul viso.
Lui sorride sotto i baffi, cercando di mascherare l’espressione compiaciuta, «Oh si, te l’ho detto. Praticamente non parla d’altro».
Il rossore sulle guance di lei si fa più intenso e una strana sensazione si fa strada in lei, è qualcosa di nuovo e strano, però alla fine non è così male; sente il cuore perdere un battito e una voragine nello stomaco, ma è solo che non c’è abituata proprio a sentirsi dire certe cose. È che nessuno l’ha mai trattata in quel modo, quello di Luke. Ma non lo capisce, «Perché?».
Intanto sono arrivati davanti al portone e Ashton fruga in tasca con la mano libera dalle buste di Nirvana, fino a trovare la chiave ed apre; alza le spalle alla domanda di lei, «Questo dovresti chiederlo a lui, credo».
La castana scuote la testa mentre inizia a salire pigramente le scale, in quel condominio l’ascensore è rotto da anni, a quanto le ha detto Luke, e lei detesta questa cosa, per fortuna sta solamente al terzo piano. Poi si concentra di nuovo su Ashton e sulla loro conversazione, ma cambia argomento, «Perché è convinto di non essere una bella persona?».
Il ragazzo si fa immediatamente serio a quella domanda e sa che non può rispondere al posto del biondo, questa è una cosa che solo lui può dirle, se ne ha voglia. Riavvia nervosamente i capelli ricci con la mano e scuote la testa, «Luke è complicato. E questa è una cosa che può dirti solo lui, ammesso che voglia parlarne».
Nirvana sospira, dopotutto sapeva che non gliel’avrebbe detto, però almeno ci ha provato. «Luke non è una brutta persona», ripete convinta fermandosi sul loro pianerottolo, gli occhi puntanti in quelli cangianti di Ashton, serissimi, «Anzi, rincontrarlo è stata la cosa migliore che mi sia successa da quando sono tornata» mormora con la sensazione di essersi esposta troppo.
Il ragazzo le sorride, «Solo lui è convinto di essere una persona orribile».
Attende che lei apra la porta del suo appartamento e le lascia le buste davanti alla porta, senza però entrare e le rivolge un altro sorriso, stupito. ‘Chè la Nirvana Harris di due anni prima, certe cose non le avrebbe mai dette, forse è cambiata per davvero, forse non è così sbagliato darle un’altra occasione.
Lei ricambia il sorriso, ancora leggermente in imbarazzo, «Ti ringrazio, sei stato gentilissimo».
Ashton apre la porta del suo appartamento, «Figurati», fa per entrare ma poi ci ripensa, «Domani sera verso le otto viene un po’ di gente qui, una specie di rimpatriata, ci farebbe piacere se passassi».
 
Nate ha passato metà della sua vita ad odiare suo padre e lo odia tutt’ora, anche più di prima. Il problema è che lui è il fratello maggiore, lui deve essere quello forte, quello razionale, deve, per Euphemia. ‘Chè lei, tra i due, è sempre stata la più impulsiva, sempre quella più fragile, sempre quella che si lascia trasportare di più. E Nate sa che, nonostante lei mostri solo un odio incondizionato del padre, quell’uomo le ha lasciato una ferita aperta, dopo quello ha fatto.
Sa benissimo che lui è il motivo per cui la sorella non riesce ad avere una relazione stabile, a stento un’amicizia che duri; è lui il motivo per cui lei è sempre sfuggente, il motivo per cui ha quella paura matta di innamorarsi. Ed è anche il motivo per cui ha lasciato Ashton, anche se lei non lo ammetterebbe.
E sa che quello che sta per fare potrebbe distruggerla, e si odia per questo, Nate.
«’Mia», la chiama, con il tono affettuoso delle situazioni complicate, «Dobbiamo parlare».
Lei si volta a guardarlo e lascia da parte il tagliere su cui stava preparando la cena, ‘chè lo sa benissimo che quel tono non promette nulla di buono, e si siede di fronte a lui, gli occhi azzurri puntanti in quelli di lui, più scuri di una sfumatura. «Che succede, Nate?»
Lui la guarda, serio, e non può fare a meno di notare quanto somigli a loro madre, con quell’espressione tesa in viso. Deglutisce, «Papà ha chiamato, di nuovo ‘Mia. Vuole vederci, vuole vedere te».
Euphemia rimane a guardarlo fisso, in silenzio. Poi sospira e scuote la testa, «No, Nate, no. Io non voglio vederlo, non posso. Ti prego».
Il ragazzo sente il cuore quasi spezzarsi nel sentirla, con quella voce che inizia a farsi tremante e lo sguardo che si fa lucido, «Mi dispiace ‘Mia. Ma esce dal carcere e vuole vederci appena esce, a cena, non ha ammesso repliche. Mi dispiace, mi dispiace tanto».
Lei lo guarda, con la tristezza e la rabbia mischiati negli occhi, «Come puoi perdonarlo, dopo quello che ci ha fatto? Dopo quello che ha fatto alla mamma?», urla quasi.
Nate si alza e la raggiunge, le cinge le spalle con il braccio e la tira a sé, nonostante sia troppo alto per un abbraccio, visto che lei è seduta. Lei gli circonda la vita con le braccia e affonda il viso nel suo petto, sforzandosi di non piangere a tutti quei ricordi.
«Non l’ho perdonato, non potrei mai, cerco solo di andare avanti. Lo supereremo insieme, te lo prometto».
La stringe a sé e si china per darle un bacio affettuoso sul capo.
E si chiede, Nate, come ne usciranno anche da questa.
 
Luke torna a casa e getta pigramente le chiavi sul mobile dell’ingresso, stracolmo di bollette da pagare e riviste a cui sono abbonati, ancora coperte dal cellophone però. Sulla sedia sono butte le loro giacche, ‘chè a nessuno di loro va di sistemarle, così come le scarpe, lasciate lì accanto ad ingombrare il passaggio. Dovrebbero mettere apposto, Luke lo pensa sempre, ma tanto sia lui che Ashton sono due casinari cronici, il tempo di due giorni e sarebbe tutto come prima.
Ashton, comunque, è uscito di nuovo, lo deduca dall’assenza delle sue scarpe e delle sue chiavi, e anche visto che tra le pareti non rimbombano gli AC/DC come tutte le volte in cui è a casa.
Ad aspettarlo, seduta rigida sul divano azzurro, che a Luke in realtà ha sempre fatto un po’ schifo, c’è Colleen. E lo capisce che qualcosa non va, Luke.
«Ciao», la saluta per poi sparire in cucina a cercarsi qualcosa da mangiare, visto che ha saltato pure il pranzo per studiare per quel dannato esame. Riemerge con un pacchetto di patatine in mano e si lascia sprofondare nella poltrona accanto al divano. Colleen lo guarda, glaciale.
«Ha chiamato tua nonna, ha detto di passare da lei», gli comunica con lo sguardo ancora fisso su di lui, che invece guarda da tutt’altra parte, distratto.
«Okay», biascica a bocca piena, allungandosi per prendere il telecomando della televisione, che sta accanto a Colleen. Lei gli penda la mano fra le sue, prima che possa raggiungere il telecomando, «Cosa sta succedendo, Luke?», continua a guardarlo, lui ritrae la mano. È che si sente a disagio, con la mano intrecciata a quella di lei. Si infila veloce la mano in tasca, dimenticandosi del telecomando, mentre Colleen lascia cedere mollemente le sue sul divano, delusa. Lo sapeva, lei, comunque.
«E’ per lei, non è vero?», gli urla quasi contro e Luke non risponde.
Ma Colleen sa interpretare quel silenzio come un tacito si.
 
«Nirvana, sono Hayden, ancora. Se fai partire un’altra volta la segreteria, mi fai incazzare ancora di più. Dove cazzo sei? Dovresti essere qui a Los Angeles e invece non ci sei. Devi tornare, mi hai capito bene? Devi.
E devi rispondere quanto ti mando messaggi o ti chiamo, è chiaro?
Peggiori solo così la tua situazione, così.
Mi stai davvero facendo incazzare, puttana».
 
 
 

Writer’s wall.
Ehyla.
Sono in ritardo, di nuovo.
Purtroppo quando sono tornata da Torino ho trovato la connessione Internet che non funzionava e sono stata due settimane senza connessione; il lato positivo è che in questo tempo ho scritto ben tre capitoli, quindi, connessione permettendo, i prossimi aggiornamenti dovrebbero essere abbastanza rapidi.
Allora un bel capitolo pieno mh?
Mi rendo conto che Amethyst possa sembrare incoerente e bipolare, ma non lo è, c’è un motivo dietro questo suo comportamento. Ma ci riuscirà a stare lontana da Calum?
Poi veniamo a conoscenza di parte del passato di Michael, del suo cambiamento e della sua amicizia con Rain ed Ashton.
Un dialogo tra Ashton e Nirvana, tra poco si scoprirà perché non andavano d’accordo a scuola e cosa ha fatto lei, anche se lui sembra deciso a non portarle più rancore; soprattutto anche perché nemmeno lei sembra essere tanto indifferente a Luke.
Nate è un personaggio che ancora deve essere approfondito, presto lo farò, ma ha ovviamente a cuore sua sorella; quello che è successo con il padre magari è intuibile da questo capitolo, ma lo scoprirete tra poco, comunque.
Poi c’è un micro momento fra Colleen e Luke, in cui lei sembra capire il suo interesse per Nirvana, poverina, mi fa un po’ pena.
E alla fine abbiamo un messaggio da Hayden, che è davvero uno stronzo.
Non mi dilungo oltre, grazie di aver letto fin qui.
Un bacio,
-Mars
 

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Capitolo 8
*** Sapore ***


Capitolo Sette.
 
Sapore.
 
 
 

A Luke sono sempre piaciute da impazzire le serate così.
È circondato dai suoi amici, dalle uniche persone che ancora lo vogliono con loro nonostante quello che ha fatto, e ci sono anche il nuovo coinquilino dei fratelli Scott e il potenziale nuovo ragazzo di Euphemia. E lui, tra quella gente, si sente proprio a casa.
Tra le pareti rimbomba la playlist di Spotify fatta da Ashton, ‘chè lui si rifiuta proprio di ascoltare le canzoni che passano su MTV, e come biasimarlo. Luke muove leggermente la testa a ritmo di The Anthem dei Good Charlotte e pensa, forse per la centesima volta da quando si conoscono che, cazzo, Ashton Irwin si che ne capisce di musica.
«Adoro questa canzone», una voce lo riprende e non ci mette nemmeno un attimo a capire che appartiene a Nirvana Harris. Lui, la sa a memoria, la sua voce. Si volta a guardarla cercando di mascherare l’enorme sorriso bevendo un sorso attaccandosi direttamente alla lattina di Tuborg, «I Good Charlotte sono fantastici».
La castana annuisce alle sue parole, con l’aria di chi la sa lunga, facendo muovere i capelli castani tornati ricci. Con la mano gli fa cenno di passarle la lattina, «Concordo totalmente».
Luke le passa la lattina, facendo attenzione e non toccarla nemmeno con la punta delle dita e che ci sta facendo proprio attenzione, Nirvana lo nota. Sorride e si porta la birra alle labbra, bevendo un sorso, sentendo sul metallo freddo della lattina un po’ di quello che ipotizza essere il sapore delle labbra del biondo. Non saprebbe descriverlo, ma sanno proprio di buono.
«La tua ragazza mi sta praticamente uccidendo con lo sguardo. Dovresti andare da lei», gli fa notare lei, indicandogli con un cenno del capo Colleen, che non ha staccato loro gli occhi di dosso dall’inizio della serata.
Luke segue il suo sguardo e sospira, grattandosi la nuca con la mano destra, come fa sempre quando è imbarazzato; tortura con i denti il piercing al labbro, «Scusa». Nirvana alza leggermente le spalle mentre butta giù un altro sorso e alza negli occhi di Luke i suoi, oggi tendenti all’azzurro, «Non preoccuparti, la capisco. Se avessi un ragazzo come te, sarei così gelosa anche io».
Luke sente un sorriso da idiota farsi largo sul viso e, all’improvviso, tutti diventano di troppo, perfino i Good Charlotte da dentro lo stereo; «Ti va di andare a parlare in un posto un più tranquillo? Qui la musica è un po’ forte».
Nirvana gli sorride e si alza dal divano, seguendolo.
Lo sguardo gelido di Colleen, non l’ha notato nessuno dei due.
 
«Te l’ho ripetuto almeno cinque volte, ma adoro questa nuova tinta. Ti sta benissimo», Euphemia sorride a Michael, con gli occhi che brillano, un po’ per la luce forte e un po’ per la birra.
Michael sente le guance colorarsi di un lieve rosso e prega fra sé e sé che lei non lo noti, le sorride, raggiante. «Tu invece stai sempre benissimo».
Questa volta, tocca ad Euphemia arrossire, ‘chè lui è così dolce e le piace così tanto; Michael è diverso da tutti i ragazzi con cui è uscita fin ora, è un po’ un enigma che sta scoprendo pezzo per pezzo e che le piace sempre di più, anche se ancora non è del tutto pronta ad ammetterlo a sé stessa. Comunque lo sa benissimo, che lui non le è affatto indifferente, sarebbe innegabile.
Gli scosta un po’ il ciuffo corvino degli occhi con la mano delicata, soffermandosi un po’ troppo sul suo viso.
«Oggi mi ha chiamato tuo padre. Ha detto che ha visto il progetto per il nuovo palazzo e gli piace», gli sorride, gli occhi cerulei immersi in quelli tendenti al verde di lui. E affondando in quegli occhi, Euphemia sente un brivido attraversarla tutta.                     
Michael alza leggermente le spalle e le rivolge un sorrisino di circostenza, lo sguardo mesto che si abbassa, «Domani tanto tornerò a deluderlo».
Lei lo odia, il fatto che abbia così poca stima di sé stesso, non ne ha proprio motivo. Nuovamente la sua mano raggiunge il viso di Michael e lo costringe ad alzare lo sguardo di nuovo nel suo.
È così dannatamente bello, Michael.
«Quante volte dovrò ancora ripeterti che tu non sei affatto una delusione, Michael?», borbotta, frustrata da quella conversazione che, ormai, le sembra che abbiano affrontato anche troppe volte da quando si conoscono. Michael deve smettere, una volta per tutte, di aver paura di non essere abbastanza, ‘Chè lui è molto più che semplicemente abbastanza.
Michael alza le spalle e stira le labbra rosee in un mezzo sorrisetto, gli occhi ancora in quelli di lei, «E tu come fai ad esserne così sicura?».
«Perché a me le delusioni e le cause perse non piacciono, tu invece mi piaci, Michael», ammette lei con un sorriso un po’ imbarazzato in viso e le gote tinte di una leggera sfumatura di rosso, evidente sulla sua pelle chiara. E, a quella rivelazione, tutto nella stanza sparisce, per Michael, perfino la canzone che rimbomba fra le pareti, che è sempre stata una delle sue preferite; sparisce tutto. Sorride con gli occhi brillati, «Ah si? Ti piaccio?».
Euphemia scrolla le spalle, le guance che si fanno di una sfumatura più scure, per l’imbarazzo, anche se lei prova a fare finta di niente. «Tu che dici?», mormora sarcastica.
E a quelle parole prende il coraggio che non si ricordava nemmeno di avere, Michael e avvicina il viso a quello di Euphemia, finche le loro labbra si scontrano. Le labbra di Euphemia, sanno di rossetto, di birra e un po’ di vaniglia. E premute piano sulle sue, a Michael ricordano da morire l’estate; gli danno la stessa sensazione dell’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze, dell’acqua ghiacciata ad agosto, di un falò sulla spiaggia col mare che s’infrange sulla battigia, del bagno di mezzanotte, delle nottate, del suono della chitarra attorno al fuoco con tutti i tuoi amici che cantano e della granita alla menta.
Gli danno quella sensazione d’estate.
La felicità allo stato più puro.
 
«Chi cazzo ti ha invitato?», Amethyst urla, tanto che si voltano tutti a guardarla, ma le è stato inevitabile. È che proprio non se lo aspettava di vedere Seth lì, non lo voleva intorno per un altro po’ ancora ‘chè il loro ultimo litigio l’ha davvero ferita. E ora, a vederselo lì davanti, le viene quasi da vomitare. Non era pronta.
Seth le si avvicina con un sorrisino colpevole stampato in viso, «Luke mi aveva invitato prima del nostro litigio, l’invito non se l’è mai rimangiato, perciò sono venuto».
Amethyst lo fulmina con gli occhi azzurri, che in questo momento sono freddi come il ghiaccio, «Che ci fai qui?».
Ed è così arrabbiata che manco si è accorta che l’unico che sta ancora guardando la scena, è Calum e, nonostante tutto, ha un’espressione un po’ preoccupata in viso. Seth la guarda negli occhi, cercandovi un minimo segno di cedimento, anche se non ne trova, «Sono venuto per te, ‘Meth, non mi rispondi al telefono, non mi avrebbero fatto nemmeno entrare a casa Scott, al bar non ci sei quasi mai. Avevo bisogno di vederti, di parlarti».
La mora stringe le labbra e abbassa lo sguardo, ‘chè non vuole mica fargli vedere che il ghiaccio dei suoi occhi s’è incrinato e sta per sciogliersi. Lei non si mostrerà affatto debole, non può, «Pensavo ci fossimo detti tutto quello che avevamo da dirci, ora puoi anche andartene, Seth».
Sa che sta sbagliando, Amethyst, sa che domani se ne pentirà ‘chè lo perderà, se continua così;  e, anche se non vorrebbe, il terrore di una vita senza lui la attanaglia. Lui è quasi un fratello e ha una dannata paura, Amethyst, di dover andare avanti senza di lui, di perderlo. Ma non può ignorare proprio quello che è successo fra loro. Seth rimane in silenzio qualche instante, senza sapere cosa dire ‘chè lei non ha avuto affatto la reazione che si aspettava e in cui, un po’, sperava. Alla fine si schiarisce la voce e parla: «Io non ti ho chiesto scusa, non di persona. So che quello che ti ho detto non è stato né giusto né carino, Amethyst, e mi dispiace tantissimo. Non ho mai pensato quello che ti ho detto, ero solo arrabbiato. E mi dispisce anche di aver tirato fuori la storia di tuo padre, scusami. È che quando ti ho vista vestita in quel modo non sono riuscito a trattenermi; sono fottutamente geloso di te», mormora, cercando gli occhi con i suoi.
Lei continua a tenere lo sguardo basso e scuote la testa, facendo ondeggiare i capelli corvini. «Puoi tenerti le tue scuse inutili, Seth, io non me ne faccio nulla. Se hai detto certe cose vuole dire che le pansavi davvero e fingere che non sia vero è ridicolo. E parlarmi di mio padre sono perché eri geloso? Pensi che io possa accettare le tue scuse di merda e andare avanti dopo questo?», alza gli occhi celesti in quelli dorati dell’amico, delusa e ferita, «Sparisci, Seth. Almeno per un po’ non voglio vederti». Seth rimane di sasso nel sentire le parole della mora, ‘chè si aspettava di tutto ma non una reazione del genere, «’Meth, non fare così, per favore. Pensaci», la prega quasi mentre lei sposta lo sguardo lontano da lui. Ed è in questo momento che lo vede, Calum, che non s’è mosso nemmeno di mezzo centimetro da dov’era prima. Amethyst scuote la testa, anche se gli occhi sono ancora su Calum invece che in quelli di Seth, «Sparisci, Seth», ripete.
Il ragazzo scuote la testa, «Dammi un’altra possibilità, ti prego ‘Meth».
«Non hai sentito? Ti ha detto di sparire. Quindi ora vattene e lasciala in pace», la voce di Calum si intromette nella discussione, rispondendo al posto di Amethyst. E lei, in realtà, vorrebbe spostarsi e non lasciare che lui le tenga il braccio attorno alla vita, come sta facendo adesso, ma il suo corpo le impedisce di spostarsi anche solo di un millimetro; come se non rispondesse ai comandi, come se Calum le avesse mandato in tilt il sistema nervoso.
Seth rivolge un’occhiataccia al moro e un sguardo triste e deluso in direzione della ragazza, «Quando ti spezzerà il cuore, non venire a piangere da me», e se ne va, sbattendo la porta dietro di sé, tanta è la rabbia.
Amethyst rimane a guardarlo e sospira prendendosi la testa fra le mani, le tempie che pulsano e la schiacciante consapevolezza di averlo perso e la paura serpeggiano in lei. ‘Chè il suo terrore più grande s’è realizzato di nuovo, ha appena perso un’altra delle persone più importanti per lei. Ed è per questo che deve allontanarsi da Calum, che deve allontanalo, ‘chè non può permettersi di affezionarsi ad un’altra persona ed avere la costante paura di perderla.
«Se mai ti spezzassi il cuore, non andare a piangere da quel coglione», le dice lui con l’ironia nella voce e il sorriso che contagia un po’ anche gli occhi. Ed è così bello che ad Amethyst fa quasi male lasciarlo andare.
Lei stringe le labbra e sospira, lo sguardo a terra per non fargli vedere gli occhi che tradiscono la sua debolezza, «Non mi spezzerai il cuore, Calum. Non ti farò avvicinare tanto da farlo».
Gli occhi cerulei si alzano fino a toccare quelli pece del moro, che la guardano in un modo strano, che lei non capisce; «Tu dici così. I tuoi occhi mi dicono che muori dalla voglia di avermi vicino». Si abbassa fino al suo orecchio, il suo respiro che le sfiora la pelle candida quando sussurra: «Anche se non lo ammetteresti, i tuoi occhi ti tradiscono. A loro piace che ti stringo come sto facendo adesso», stringe un po’ la presa attorno ai suoi fianchi.
«A loro piace sentire il mio tocco su di te», sussurra ancora e fa salire l’altra mano ad accarezzare piano e con lussuria il braccio di Amethyst, che non vorrebbe altro che ritrarsi a quel contatto, ma non riesce.
«A loro piace sentire i miei baci», mormora per poi baciarle piano la mascella. E da lì una scia di deliziosi minuscoli baci lungo il profilo del viso, poi giù, il collo. E lì, Amethyst sente i brividi. Poi salgono, verso la guancia, e si fermano ad un soffio dalle labbra rese scure dal rossetto bordeaux, che fa contrasto con la pelle diafana e che, a Calum, fa venire ancora di più la voglia di baciarla.
Le sue labbra tornano a sussurrarle all’orecchio, «Loro muoiono dalla voglia di baciarmi».
Ma un soffio prima che lui sfiori la sua bocca con la propria, Amethyst fa un passo indietro e poggia la mano sul petto del ragazzo, cerca di tenerlo lontano, anche se non vorrebbe. «Non posso», mormora e se ne va, lasciandolo lì a guardarla.
E sul viso di Calum si dipinge un ghigno divertito, ‘chè a lui le sfide sono sempre piaciute da morire, e Amethyst Lee è proprio una sfida.
 
Rain è delusa, da Michael.
Ed è arrabbiata con lui, lo è stata per tanto senza rendersene conto, ma oggi, vedendolo baciare Euphemia, è stato chiaro.
Se l’è trascinato via quasi di peso, ignorando la sua sorpresa nel vedere lì sia lei che Ashton, e adesso, lo vede che lui preferirebbe essere di là con Euphemia piuttosto che essere lì con lei.
La bionda stringe le labbra, cercando di tenere salda la voce, «Perché?».
Michael la guarda, interrogativo, senza capire quella che dovrebbe essere la sua migliore amica, «Perché cosa?».
La bionda si siede sul letto sfatto della stanza di Ashton, dove ha trascinato Michael a parlare, «Perché sei qui, con Euphemia Scott? Perché né io né Ashton sapevamo che la conoscevi? Perché sembra che ti venga facile stare con tutti tranne che come me e Ash? Perché ci ignori? Perché ti allontani ogni giorno di più da tre anni?». Abbassa lo sguardo ‘chè vorrebbe nascondergli che sta per piangere, anche se, comunque, Michael non ha bisogno di vederlo per saperlo. Sono i ricordi che le fanno quell’effetto. Rain li odia, i ricordi, le fanno una paura assurda, ‘chè sa che sono l’unica cosa che è in grado di lasciare un segno e fare male per davvero; vorrebbe non averli ma, per quanto si sforzi, non ce la fa a non pensare al passato, a volte.
Michael si morde il labbro per il nervosismo, sa che Rain ha tutti i buoni motivi per essere arrabbiata con lui, «Sono qui con Euphemia perché mi piace e mi ha invitato. E il motivo per cui continuo a tenervi a distanza è che non ce la faccio, mi ricordate troppo chi ero e non posso permettermelo. Non posso tornare come prima e non ha senso, ricordare una persona che non sono più, Rain».
Lei lo fulmina con lo sguardo, «Forse dovresti, perché, lasciatelo dire, il vecchio Michael era di gran lunga migliore di questo Michael 2.0.».
Il moro resta in silenzio, guardandosi attorno. La stanza di Ashton, anche se in una casa nuova, è perfettamente identica a quella di quando erano ragazzi, con la batteria messa in un angolo, il disordine, i vestiti sparpagliati per la stanza, i cd messi in ordine e i poster delle band su una delle pareti bianche; troppi non ne può mettere, gli verrebbe un attacco di panico, colpa della claustrofobia. Poi guarda di nuovo la bionda, «Cos’aveva di meglio, il vecchio Michael? Insufficienze in quasi tutte le materie? Un’ossessione per la musica? Una collezione infinita di cd e magliette di band?».
Rain scuote la testa, guardandolo con una delusione crescente mentre cerca con tutte le sue forze di spingere indietro i ricordi, «No, il vecchio Michael non avrebbe più o meno ignorato i suoi migliori amici per tre anni per poi uscire con la prima che gli capita».
«Euphemia non è la prima che capita, e tu lo sai», sibila Michael a denti stretti ‘chè non riesce a capirla, Rain; in fondo non era stata lei a dirgli di prendersi il tempo che gli serviva?
La bionda lo fulmina di nuovo, gli occhi blu lampeggianti in quelli tendenti al verde di lui, «Non me ne frega niente di Euphemia. Mi importa solo che con lei non hai avuto problemi. A volte sembra che ti importi di tutti, tranne che delle uniche persone che ti conoscono davvero».
E Michael vorrebbe dirle che, si, certo che gli importa, ovviamente, ma non ce la fa ‘chè è arrabbiato. Loro sono amici, no? E gli amici non dovrebbero essere felici quando l’altro è felice?
«Pensi di sapere tutto di me, Rain, ma non è così», mormora prima di uscire quasi di corsa da quella camera.
Ha bisogno di scappare da lì.
 
 

Writer’s wall.
Ehilà.
Vorrei scusarmi davvero, so che ultimamente i miei aggiornamenti sono parecchio irregolari, ma gli ultimi giorni di scuola mi stanno davvero distruggendo e lo studio mi occupa tantissimo tempo; per fortuna tra pochi giorni finisce e io potrò tornare ad aggiornare regolarmente, se non anche più spesso.
Allora in questo capitolo abbiamo un momentino fra Nirvana e Luke, nel prossimo capitolo ci saranno di più.
Poi Michael ed Euphemia che, finalmente!, si sono baciati! Chissà che lei non riesca a convincerlo davvero che non è una delusione.
E poi si rifà vivo il nostro Seth che cerca di scusarsi con Amethyst, anche se lei non sembra ben disposta a perdonarlo (e come biasimarla); e nonostante la sua insistenza, ci pensa Calum a mandarlo via. E a quanto pare, nonostante la sua insistenza, Amethyst non sembra disposta a cedere, ma lui non si arrenderà così facilmente, no?
E per finire, un litigio fra Michael e Rain, in cui lei è ovviamente arrabbiata con lui, le manca il suo amico.
Prima di lasciarvi, ho scritto una os su Calum occhi e mi farebbe davvero piacere se passaste e mi lasciaste un commentino.
A C. che rende belli pure i fallimenti.
A Claudia, che mi ascolta sclerare.
A Michael e alla sua nuova tinta.
Grazie di aver letto fin qui,
Un bacio
-Mars

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Capitolo 9
*** Ritorno ***


Capitolo Otto.
 
Ritorno.
 
 
 
Che Nate sia dannatamente nervoso, lo si capirebbe anche a chilometri di distanza. Sta lì, in silenzio, che si tortura il labbro con i denti e tiene lo sguardo fisso sul suo piatto, senza mangiare nulla; si limita a giocherellare col cibo, ma è solo segno di ansia. E Calum, questo, lo nota.
«Nate, va tutto bene?», chiede cauto il moro, che un po’ si sente anche in dovere di farlo, visto che comunque Nate è uno degli unici amici che s’è fatto qui. Forse dovrebbe andare in giro un po’ di più, invece che cercare di star dietro ad Amethyst; che poi, perché gli interessi così tanto, è un po’ un mistero anche per lui.
Nate scuote leggermente la testa, abbandonando di scatto la forchetta sul piatto, producendo un suono terribile; fa una smorfia, «Non lo so», mugugna.
Calum lascia anche la sua, di forchetta, facendo meno rumore dell’altro e lo guarda incuriosito, «Cosa succede?».
Il castano si alza di scatto da una delle sedie beige che circondano il tavolo e sprofonda nel divano bianco, la testa affondata tra due cuscini, gli occhi blu chiusi e un’espressione preoccupata. Un sospiro stressato gli abbandona le labbra, «Sono solo preoccupato per mia sorella», confessa mentre Calum, con ben poca grazia, si butta anche lui sul divano.
Calum, che c’entrasse Euphemia, un po’ se l’era immaginato, ‘chè ormai l’ha capito che l’unica cosa che sembra preoccupare Nate davvero, è la sorella; è sempre lì, ad informarsi di lei come se avesse paura di vederla sgretolarsi davanti a sé. E, in realtà, Nate sta solo aspettando che Euphemia crolli ‘chè lo sa che succederà, e ha una paura assurda di quel momento, non sa se riuscirebbe a rimetterla in piedi di nuovo. Il moro lo guarda, senza trovare le parole, non è mai stato bravo lui con quelle, «Che cos’ha?», azzarda alla fine, sperando di non essere stato troppo invadente.
«Ho paura per lei», confessa Nate con gli occhi ancora chiusi.
Calum sta zitto ‘chè non sa cosa dirgli, così lui continua: «Ho paura del momento in cui si innamorerà e io non potrò fare nulla, ho paura che farà lo stesso errore di nostra madre e scelga un uomo sbagliato. Lei dice che non si innamorerà mai e so che ha solo paura, ma succederà». Nate sospira e Calum resta ancora zitto, così il castano continua ancora a parlare, in quello che ormai sembra un soliloquio più che un dialogo, «E questa domenica vedrà di nuovo nostro padre e ho paura di come potrebbe reagire, l’ultima volta non ha reagito affatto bene e penso che non sia ancora pronta. Ho solo paura che questo mondo sia troppo difficile per lei».
Calum rimane ancora in silenzio, a disagio in quella situazione ‘chè mica si aspettava delle confessioni del genere. Sta zitto e, per la prima volta da quando si è trasferito a Sydney, si chiede se c’è qualcuno che si preoccupa per lui a casa, a Melbourne. E, per la prima volta, sente un po’ di nostalgia e una punta di rimpianto per essersene andato senza salutare nessuno, senza alcun preavviso.
 
Nirvana s’aspettava di tutto, tranne che trovarsi Hayden davanti la porta di casa. Vorrebbe riuscire a convincersi che è solamente un brutto incubo, come quelli che ha cominciato a fare nelle ultime settimane, ma stavolta non si sveglia, stavolta è tremendamente reale. Lui è lì e Nirvana sa che questo incontro non sarà piacevole per lei, lo sa e comincia a tremare. ‘Chè la causa di tutte le sue paure peggiori, è proprio lì davanti a lei, che la guarda con un sorrisetto malizioso stampato in viso. Hayden le si avvicina di un passo, lo sguardo ardente, «Sei tornata, finalmente, ti stavo aspettando da ore».
Nirvana fa un passo indietro, gli occhi a terra ‘chè non ce la fa nemmeno a guardarlo e la voce tremante che lei cerca di tenere salda; non può permettersi di apparirgli debole. «Cosa ci fai qui?».
Lui sorride, gli occhi nero pece che brillano di una luce maliziosa che Nirvana sa non promettere niente di buono e le si avvicina ancora, finche lei non ha più spazio per retrocedere e si trova con le spalle contro il muro vicino la porta di casa sua. Ghigna, «Te l’avevo detto che sarei venuto a prenderti, se non fossi tornata a Los Angeles. E sappi che sono molto arrabbiato per questo», mormora facendo correre la mano sulla guancia della ragazza. Nirvana sussulta e sente il cuore aumentare il battito per il terrore, i ricordi di quella notte si fanno sempre più vividi. Si dibatte e scosta la testa dal tocco di Hayden, terrorizzata, «Non toccarmi». La voce le trema, sta per spezzarsi, ma non può proprio farci nulla. Arde solo di paura e Hayden, invece, ride. Lui, anzi, si avvicina di più, fino a premere il suo corpo contro quello di Nirvana, che non può muoversi e vorrebbe solo piangere. Sta succedendo tutto di nuovo e lei, di nuovo, non è in grado di reagire.
«Ti ho detto di non toccarmi Hayden», ripete con la voce che somiglia da uno strillo mentre cerca di spingerlo via da sé, ma non c’è niente da fare, lui non si sposta. Hayden ride e avvicina il viso al suo, col ghigno in viso, «Perché no? In fondo non ci vediamo da un mese, devi anche farti perdonare per essertene andata così». Lei prova di nuovo a spingerlo via, senza risultato, e lui stringe di più la presa intorno al suo fianco con una mano, mentre l’altra scende verso il suo sedere.
«Hayden lasciami», strilla Nirvana, i ricordi sempre più vividi in mente. È tutto uguale alla prima volta.
Lui ride di nuovo, abbassandosi di nuovo alla sua altezza ma senza mollare la presa, «Apri la porta e entriamo a casa, così ti fai perdonare, che dici?».
Nirvana stringe le labbra e gli occhi, il respiro affannoso e le lacrime che minacciano di uscire; è troppo debole per allontanarlo da lei, non può levarsi quelle mani di dosso, non riesce nemmeno a scacciare i flashback. È impotente contro di lui, lo è sempre stata, da quando si conoscono.
Scuote la testa, «Lasciami», mormora e non riesce a trattenere una lacrima e un singhiozzo.
Lo odia.
Lei piange e lui ride.
È sempre stato così.
«Ti ha detto di lasciarla», questa volta a parlare è, Nirvana la riconosce questa voce anche senza vedere il proprietario, Luke Hemmings, che sta guardando Hayden con l’odio negli occhi e la voce di ghiaccio.
 
Amethyst Lee ed Euphemia Scott sono amiche da tanti anni anche se negli ultimi mesi si sono un po’ allontanate, dopo che Euphemia ha lasciato Ashton; e lo sa, Euphemia, che Amethyst ce l’ha ancora con lei per questo.
Però la mora ha bisogno della piccola Scott adesso, ha bisogno della sua migliore amica, nonostante lei abbia fatto soffrire una delle persone più importanti per lei. Adesso sono in quella che fino a un paio di settimane fa era camera di Amethyst, raccolgono le cose rimanenti in fretta, prima che Seth torni a casa.
Stanno entrambe in silenzio.
«Lui ti piace?», chiede dopo un po’ la mora chiudendo l’ennesimo borsone, in cui ha appena finito di infilare i suoi innumerevoli jeans stretti.
Euphemia infila con cura una cornice in un altro dei borsoni che hanno trovato nell’armadio della mora e corruga la fronte, «Chi?». Tiene lo sguardo basso e sente le guance colorarsi lievemente di rosso ‘chè s’è sempre sentita un po’ a disagio a parlare dei suoi sentimenti, lei.
Amethyst si alza spolverando con le mani i jeans chiari sulle cosce e la guarda, inarcando scettica le sopracciglia scure, «Quello che hai portato un paio di giorni fa da Luke. Michael, giusto?».
Nel sentire quel nome, le guance della castana ribollono di un rosso ancora più intenso e lei continua a tenere lo sguardo basso, fingendosi improvvisamente interessatissima a sistemare in ordine nel borsone le cianfrusaglie che erano sul comodino. Si morde il labbro e alza leggermente le spalle, «Credo di si. Cioè, si, mi piace. È solo che non voglio essere troppo affrettata». Mormora, come temesse di essere sentita ‘chè, per lei, è già destabilizzante ammettere di avere una cotta per qualcuno. Ha una paura terribile, Euphemia, che quella cotta per Michael Clifford possa trasformarsi in qualcosa di più.
«Hai intenzione di spezzare il cuore anche a lui?», la rimbecca la mora, intenta a tirare fuori dall’armadio un vestito verde, il suo preferito.
Euphemia stringe le labbra e abbandona in uno scatto di rabbia il borsone a terra, lo sguardo lampeggiante sull’altra, «Quanto a lungo ancora dovrai farmi pesare questa cosa di Ashton?», sbotta.
Amethyst alza lo sguardo verso di lei e scuote piano la testa, «’Mia, non lo faccio per fartelo pesare, è che mi viene naturale okay? Ashton è una delle persone più importanti che ho e tu gli hai fatto davvero male e, anche se non lo ammette, lui ancora soffre».
Euphemia abbassa di nuovo lo sguardo, tremendamente a disagio, «Cosa? Prova ancora qualcosa per me?».
La mora stringe le labbra e scuote piano la testa, «No, è solo che gli brucia non sapere il motivo per cui l’hai lasciato», chiude con uno scatto secco l’anta dell’armadio bianco e si mette il borsone in spalla, facendo cenno alla castana che è meglio andare. Lei annuisce e si alza, «E’ che Ashton mi piaceva un sacco e avrei potuto davvero innamorarmi di lui, l’anno scorso. Ho dovuto allontanarlo», mormora mentre segue la mora per le scale.
L’altra sospira e rimane in silenzio, ‘chè questa non era certo la risposta che s’aspettava.
«E tu? Con Calum? Lui ti piace?», chiede la castana seguendo Amethyst fino alla macchina, una vecchia Toyota di seconda mano arancione che si regge in piedi per miracolo. Amethyst apre il cofano e sospira, lanciandoci dentro i tre borsoni che aveva sulle spalle, «Non lo so. Non posso affezionarmi ad un’altra persona per avere poi la paura costante di perderla, okay? Non posso», sbotta chiudendo di scatto lo sportello. Ed Euphemia sa di avere fatto centro, «Però non gli sei indifferente come vorresti», la rimbecca con un sorrisetto compiaciuto. Finalmente ha un po’ di informazioni su quei due, ‘chè Calum s’è rifiutato categoricamente di dirle qualcosa, quando gliel’ha chiesto.
Amethyst sospira profondamente e alza il volume della radio, la compilation che le ha fatto Ashton un paio di mesi prima adesso sta passando una canzone di Bruce Spingsteen. La mora sospira di nuovo, «Non gli sono indifferente per niente», bisbiglia, sperando ardentemente che le note di “No surrender” abbiano coperto le sue parole.
 
Ashton Irwin, in quasi diciassette anni di amicizia, non s’è mai nemmeno lontanamente accorto di quando sia bella Rain Wilson.
Adesso la sta guardando, seduto davanti a lei al solito tavolino all’angolo, vicino alla finestra, dello Starstruck, la loro caffetteria preferita da quasi una vita intera, e la trova davvero bellissima.
Non se ne rende conto di come abbia fatto a non rendersene conto per tutto questo tempo, pur avendola avuta sotto gli occhi per anni. ‘Chè, poi, guardandola, la sua bellezza è lampante, salta subito all’occhio. I capelli biondo grano e gli occhi cerulei che fanno un po’ contrasto con la pelle dorata, costantemente abbronzata; il naso piccolo e leggermente all’insù, le labbra carnose e il sorriso smagliante che sembra illuminarla ogni volta. Come ha fatto a non accorgersene?
La mano di lei è così piccola, intrecciata alla sua in bella vista sul tavolino.
Isaac è dall’altra parte del locale e lei deve portare avanti la sua messa in scena. Che poi Ashton mica capisce perché ci mette tanto impegno per un coglione del genere. Rain gli sorride, strappandolo dai suoi pensieri, «So che te lo ripeto tutte le volte che usciamo, ma non so come ringraziarti per questo. Sai che ieri Isaac mi ha scritto e mi ha chiesto se mi vedo con qualcun altro? Sta funzionando».
Ashton tende le labbra in un sorrisetto, felice di vederla sorride davvero e con la solita parlantina allegra, «Devi smetterla di ringraziarmi, è solo un favore che ti sto facendo, sono contento che funzioni».
Rain torna a scrutare con attenzione Isaac dall’altra parte del locale, sta parlando con una ragazza, che lei riconosce essere quella con cui l’ha visto qualche sera prima. Stringe le labbra mentre sente un po’ la morsa della gelosia sullo stomaco. Poi lui guarda nella loro direzione e la bionda riporta lo sguardo sul migliore amico, una nuova idea in mente. Bisogna passare all’offensiva, si dice.
«Ash, devi baciarmi, Isaac ci sta guardando», mormora guardandolo negli occhi cangianti, che le sono sempre piaciuti da morire.
Ashton tentenna qualche secondo poi annuisce e obbedisce, allungandosi sopra il tavolino del bar per premere con dolcezza le labbra su quelle di Rain.
E, certo, mica se l’aspettava quella strana sensazione allo stomaco, Ashton.
 
Luke sta guardando Nirvana con gli occhi azzurri carichi di preoccupazione. Lei sta seduta sul divano di casa sua, gli occhi verdi persi nel vuoto e l’espressione stanca e apatica. Non ha detto nulla se non un “non toccarmi” soffocato e qualche “grazie” confuso dai singhiozzi.
Lui non sa cosa fare, non s’è mai trovato in una situazione del genere e non ha la minima idea di cosa dovrebbe dire o fare.
Si alza lentamente dalla sedia e la raggiunge, inginocchiandosi davanti al divano per esserle di fronte, fa la massima attenzione per non sfiorarla nemmeno per sbaglio. Nirvana sposta lo sguardo nel suo e lo guarda, interrogativa e, si Luke lo coglie, anche con il terrore negli occhi. È troppo vicino.
«Nirvana, non ti faccio niente, te lo giuro. Davvero, non guardarmi in quel modo, non ti farei mai del male, voglio solo aiutarti», le sussurra, allontanandosi un po’ da lei, ‘chè capisce che abbia bisogno del suo spazio, dopo quello che è successo. Non può nemmeno ripensarci, a quello che ha visto, ‘chè sente la rabbia montargli dentro e l’ardente desiderio di ammazzarlo di botte, quella testa di cazzo. Ma non può. ‘Chè adesso ci sono delle priorità. Nirvana è una sua priorità. Per la rabbia, poi, ci sarà tutto il tempo, ora però deve assicurarsi che lei stia bene.
«Parlami Nirvana. Chi è quello? Che cosa sta succedendo?», mormora di nuovo, senza mollare la presa sui suoi occhi magnetici, che ora almeno lo guardano con meno spavento.
Lei scuote la testa e non ci riesce, a tenere salda la voce e trattenere le lacrime, «Ora sai perché ho tanta paura del contatto fisico e il motivo per cui me ne sono andata da Los Angeles», mormora e sospira prima di riprendere a parlare, «Che cretina sono stata, a credere che scapare avrebbe risolto tutti i miei problemi». Scoppia in lacrime e vorrebbe solo abbracciarla, Luke, stringerla a sé e sussurrarle che andrà tutto bene, ma non può.
«Aspetta, è già successo?» chiede, guardandola serissimo negli occhi, dopo aver soppesato le sue parole. La rabbia, quasi quasi, non riesce a frenarla.
Nirvana abbassa lo sguardo e annuisce impercettibilmente, «La notte prima che tornassi, è per questo che sono tornata», singhiozza con i ricordi che le pulsano in testa a cui si aggiungono gli avvenimenti appena vissuti.
È sul punto di rottura, lo sente.
Luke deglutisce, ma non fa nulla di affrettato, non vuole spaventarla ancora di più, «Ne vuoi parlare?».
Nirvana scuote la testa e cerca di frenare le lacrime affondando la testa nella manca della felpa che Luke ha insistito tanto per darle. Non capisce, poi, perché sia lì a perdere tempo con lei, quando sicuramente ha di meglio da fare, e non capisce nemmeno perché sia cosi carino e perché si preoccupi tanto per lei.
Sa solo che era da troppo che qualcuno la trattava così, tanto che non c’era più abituata, «Grazie, Luke. Davvero, grazie», mormora sforzandosi di rivolgergli un piccolo sorriso stanco.
Lui le sorride raggiante, gli occhi azzurri che brillano e Nirvana, un po’, sembra di vedere il sole fare capolino di nuovo, «Non ho fatto niente, Nirvana. È un piacere aiutarti». A quelle parole sente la pelle andare a fuoco, Nirvana, e un piccolo sorriso, sincero questa volta, fiorire sul suo viso; lo guarda, seria, «Perché sei così carino con me? Perché non mi odi anche tu?».
«Perché sei meravigliosa e non ho nessun motivo per odiarti», sussurra piano lui, continuando a sorriderle con leggerezza e sempre con gli occhi rapiti che affondano in quelli lucidi di lei.
Lei abbassa lo sguardo, «Non è vero per niente, ma grazie, di nuovo».
Vorrebbe lasciare perdere, Luke, ma non può passare oltre quell’argomento, non può lasciare correre quello che è successo, vuole capire. Deve capire.
«Nirvana, chi era quello lì?», le chiede cercando di apparire più rassicurante possibile, vuole solo aiutarla e vuole che lei abbia fiducia in lui.
A quella domanda, Nirvana, deglutisce e abbassa lo sguardo mentre si tortura con i denti il labbro inferiore per il nervosismo. «Si chiama Hayden, era il mio ragazzo», risponde a bassa voce con lo sguardo ancora basso, senza il coraggio di guardare Luke negli occhi.
Lui stringe le labbra, «Ti ha mai fatto altro? Ti ha mai alzato le mani?» domanda, con la preoccupazione crescente nella voce, ‘chè ha paura per Nirvana, paura che la cosa sia troppo difficile per poterla aggiustare, anche con tutta la sua buona volontà. Nirvana annuisce impercettibilmente e una nuova seria di singhiozzi la scuote, ‘chè ricordare tutti quei colpi che ha cercato invano di dimenticare, fa proprio malissimo. E Luke, a quel gesto, la sente montare di nuovo, quella rabbia quasi incontrollabile. Guarda Nirvana, serissimo, «Devi dirlo a qualcuno. Soprattutto dopo quello che ha fatto e ora che è in città».
Lei scuote la testa, «Non ce la faccio», mormora a mezza voce cercando di nuovo di soffocare le lacrime, senza risultato. E, per la prima volta da un po’, non sente altro se non il pressante desiderio di essere abbracciata da Luke Hemmings, nonostante tutto.
Luke la guarda, ancora serio, ancora preoccupato ‘chè gli fa proprio male fisico vederla così, «Non devi farlo da sola, sarò con te tutto il tempo, se vuoi»; lei annuisce riconoscente con un piccolo sorriso e il biondo la guarda negli occhi, con una serietà e una sincerità quasi disarmanti, «Non permetterò che ti succeda più niente di brutto, te lo prometto».
 
 
Writer’s wall.
Ehilà.
Mi scuso per l’orario, ma oggi ho iniziato a scrivere e ho scritto tipo quattro ore filate, senza riuscire a staccarmi dalla tastiera e quindi eccomi qui.
So che non c’è Michael qui, rimedierò nel prossimo, ma c’è una bella dose di Luke e Nirvana, quindi possiamo anche passarci sopra, no?
C’è un piccolo dialogo tra Nate e Calum e si inizia a scoprire di più sul nostro moro; perché se ne sarà andato così, senza dire nulla a nessuno?
E poi entra in scena Hayden, so che lo odiate, anche io lo odio e si inizia a capire cosa vuole da Nirvana e il motivo della paura di lei, anche se entrambe le cose sono più complicate di quanto potrebbero sembrare. Menomale che c’è Luke per lei, no?
Amethyst ed Euphemia ammettono, anche se controvoglia, i loro sentimenti per Calum e Michael e scopriamo anche il motivo per il quale Euphemia ha lasciato Ashton.
E proprio Ashton, si accorge di quanto sia bella Rain e quando la bacia, per quella che per lei è solo una recita, sente qualcosa. Che fra loro stia nascendo qualcosa?
Scusatemi ma sono un po’ di fretta, domani ho un’interrogazione e non ho ancora finito di studiare quindi scappo.
Fatemi sapere che cosa ne pensate.
Un bacio,
-Mars

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Capitolo 10
*** Paura ***


Capitolo Nove.
 
Paura.
 
 
 
Cosa sono lui ed Euphemia, Michael non lo sa.
Però gli sta bene, in fondo non gli è mai piaciuto dare etichette alle cose; anche perché, se stabilisse cosa c’è fra loro, avrebbe paura di essere un fallimento anche qui. Perciò, come stanno adesso, gli va benissimo.
Parlano, anche troppo, al telefono, si sorridono e si lanciano occhiate di sottecchi quando credono che l’altro non stia guardando, si salutano con dei baci sulle guance che sono anche troppo vicini alle labbra. E va più che bene così, per Michael.
Che non abbia nemmeno il coraggio di chiederle di uscire, è un’altra cosa. Euphemia, poi, non sa se accetterebbe.
Lui e la sua solita insicurezza.
Vorrebbe chiamarla anche solo per sentire come sta, ma sa che è a cena dal padre e, anche se lei non gli ha mai raccontato nulla, Michael sa che non hanno per niente un buon rapporto.
«Però se dopo hai bisogno di parlarne, chiamami», le aveva detto la mattina prima, lo sguardo serio. Lei aveva sorriso, «Magari torno  tardi».
Michael aveva alzato le spalle e le aveva lasciato un piccolo bacio sulla fronte, «Terrò il telefono accesso». E poi si era dileguato, senza notare il sorrisone sul viso di Euphemia.
 
Nirvana sospira, lo sguardo vuoto fisso sulla parete color pesca della sua camera, ignorando quasi del tutto Rain, seduta sulla poltrona bianca che la guarda preoccupata. Vorrebbe dire qualcosa, chiedere, ma non ce la fa.
È che Nirvana così fragile, lei non l’aveva mai vista prima.
Rain è ancora abituata a quella Nirvana che era al liceo, quella popolare, quella che tutti invidiavano e quella che sembrava non essere mai scalfita da nulla; la Nirvana che ha davanti, adesso, è tutta una novità assoluta per lei. Che le voglia ancora bene è indubbio, solo che non capisce. C’è qualcosa che le sfugge e sa benissimo che la castana non le sta dicendo qualcosa, ma non può certo forzarla a farlo, se non vuole. Nirvana si volta verso la bionda, sdraiandosi su un fianco, la testa sul palmo della mano destra. Si schiarisce piano la voce e: «Non mi hai mai detto perché i ricordi ti fanno così tanta paura».
Rain stringe le labbra in una linea sottile e volta la testa ‘chè davanti agli occhi disarmanti di Nirvana s’è sempre sentita un po’ in soggezione. Riavvia una ciocca di capelli biondi sfuggita alla coda di cavallo dietro l’orecchio e alza le spalle, «E’ solo che i ricordi sono il tipo peggiore di arma. Sono sempre pronti a farti pensare a qualcosa che c’era e che ora forse non c’è più, a cose che sono finite, ad occasioni non prese, a momenti che vorresti rivivere all’infinito ma che ormai sono passati. Il passato fa male, la maggior parte delle volte, e i ricordi di questo, secondo me, sono tra le poche cose che sono in grado di ferirci davvero a fondo, in ogni momento», sospira, «e non c’è modo di difendersi».
Nirvana guarda l’amica, l’espressione piatta e gli occhi spenti, «Credo che a tutti facciano paura le cose da cui non ci si può difendere», mormora abbassando improvvisamente lo sguardo, ‘chè  i suoi occhi stanno cominciando a diventare fin troppo espressivi.
Rain annuisce piano, prendendo a giocare con un filo che pende dal ginocchio sdrucito dei jeans blu, giusto per scaricare un po’ del crescente nervosismo. E, ormai, non ce la fa a non chiedere, «Si, credo di si. Cosa ti fa tanta paura del contatto fisico? Una volta non era un problema, per te». La guarda e Nirvana tiene lo sguardo in basso. ‘Chè Rain è una di quelle persone a cui non riesce a mentire, soprattutto se la guarda negli occhi cerulei, fin troppo chiari ed innocenti.
Sospira, «No, non era un problema. Ma le persone cambiano, le cose cambiano, succedono delle cose alle quali non si può rimanere indifferenti». La voce le si incrina e sente gli occhi pizzicare, ma fa finta di niente. Deve smettere di essere debole, non è da lei; è una cosa che, in questo momento, non può proprio permettersi, la debolezza.
Rain soppesa le sue parole, la preoccupazione che cresce nel petto e lo sguardo fisso su Nirvana.
Deve sapere.
Deve capire.
Deve.
«Cosa ti è successo, Nirvana?», sussurra quasi, cercando di usare il tono più dolce che riesce a trovare. Vuole aiutarla, ma lei deve contribuire; non può continuare a tenersi sempre tutto dentro, senza avere mai il coraggio di chiedere aiuto o di confidarsi con qualcuno. È sempre stata fin troppo orgogliosa per farlo.
«E’ solo che a volte ci si fida delle persone sbagliate», mormora Nirvana, con la sensazione di stare per cedere. Rain è l’unica a cui non ha mai saputo nascondere nulla, alla fine ha sempre ceduto e, lo sospetta, lo farà anche questa volta.
Rain la guarda attenta, ancora più preoccupata per l’amica. «Di chi ti sei fidata? Cosa ti hanno fatto?».
Nirvana resta in silenzio e scuote la testa, non ce la fa a dirlo ad alta voce, di nuovo. La bionda sospira alla sua reazione, «Dimmi qualcosa, voglio solo aiutarti, ma se tu non parli non so come fare».
E Nirvana resta ancora in silenzio.
Non ce la fa.
 
Euphemia giocherella con le melanzane che ha nel piatto, senza alzare lo sguardo e senza nemmeno prestare davvero attenzione alla discussione tra il padre e Nate. Li sente appena parlare di qualche campionato di football, ma non li ascolta davvero, ‘chè tanto sa che è solo un modo per spezzare il silenzio. Lei, comunque, non ha la minima intenzione di unirsi a questa o a qualunque altra conversazione. Detesta stare lì, non si sente proprio a suo agio.
Nate la guarda di sottecchi, di tanto in tanto, ‘chè vuole essere sicuro che stia bene. È preoccupato per lei, è innegabile.
«Tesoro, tu cosa mi dici?», l’attenzione del padre si rivolge finalmente su di lei. Euphemia deglutisce ‘chè di parlare con lui proprio non ha voglia e scosta con un gesto brusco il braccio dal tocco quasi affettuoso dell’uomo. Non vuole contatti di alcun tipo, con lui. Alza lievemente il viso, quanto basta per far scontrare gli occhi celesti, glaciali, con quelli del padre, «Non ho niente da dirti, David». Lo chiama per nome, ‘chè di chiamarlo “papà” nemmeno a parlarne, le vengono i brividi solo a pensarci, un senso di totale repulsione.
David sospira, ‘chè comunque lo sapeva che con Euphemia non sarebbe stato facile come con Nate, non è mai stata brava a perdonare, lei. Che poi nemmeno Nate l’abbia perdonato, è diverso. Quantomeno lui ci prova.
«Come stai?», chiede col tono quasi colpevole.
Euphemia stringe le labbra in un sorriso ironico e, giusto un po’, malinconico, «Come se ti importasse davvero», borbotta.
Nate si schiarisce la voce e il padre sospira di nuovo.
«Certo che mi importa, sei la mia piccolina», le dice usando il tono più dolce possibile e guardandola apprensivo.
La ragazza si lascia sfuggire un’amara risata di scherno, che in realtà serve solo a mascherare il dolore che i suoi occhi altrimenti tradirebbero, «Però non ti importava un po’ di tempo fa, no? Non ero la tua piccolina mentre mi rovinavi la vita? Mentre la rovinavi a tutta la famiglia?» sbotta, lasciando cadere la forchetta nel piatto con un fragore orribile.
David la guarda, serio, «Sai che non ne avevo intenzione, era un brutto periodo e non ero nelle condizioni migliori. Sai che non avrei mai voluto fare male a nessuno di voi».
Euphemia alza lo sguardo, lampeggiante stavolta, verso di lui, invasa un po’ dalla rabbia vera e propria e un po’ dal dolore che ancora ogni tanto si fa sentire; «Non me ne frega niente di quello che volevi o non volevi fare, non mi importa delle buone intenzioni che avevi, questo non cambia il passato. Non cambia niente», urla quasi, abbassando subito gli occhi sul piatto, ‘chè gli occhi lucidi mica li vuole fare vedere. Nate continua a rimanere in silenzio, sa che la sorella ha ragione, ma non vuole prendere parti. Il padre sospira, «Tesoro, ho fatto degli errori, ma capita a tutti farli. Prova a perdonarmi e a capire», chiede, quasi in supplica.
Euphemia scuote la testa, gli occhi che pizzicano sempre di più e quella ferita ancora aperta che pulsa. Si alza di scatto, facendo strisciare la sedia sulle mattonelle del pavimento, «Non ti capirò mai e nemmeno ti perdonerò. Puoi chiamare quanto vuoi, David, questa è l’ultima volta che mi vedi» urla presa dalla rabbia e esce quasi di corsa, prima dal salotto e poi dall’appartamento, sbattendosi la porta dietro le spalle.
E sul pianerottolo, mentre lascia sfuggire qualche lacrima, la mano corre al vecchio Blackberry e fa un numero a memoria. ‘Chè tutto quello di cui Euphemia ha bisogno adesso, è parlare con Michael.
 
Quando Ashton bussa alla porta di casa Wilson sono quasi le dieci di sera. È solo che aveva bisogno di vedere Rain, nemmeno lui sa perché.
È appena uscito dalla casa dei suoi genitori, quella dove è cresciuto, che sta proprio a due passi da quella dei Wilson e il senso di dover vedere la bionda l’ha oppresso a tal punto da obbligarlo, quasi, a suonare il campanello.
Che poi non si fosse mai sentito così agitato davanti la porta di quella casa, è un’altra cosa. Il fatto è che, da quando ha baciato Rain, non riesce proprio a pensare ad altro, non fa altro che rimurginarci sopra; e, si, si chiede anche cosa accidenti significhi quella stana sensazione che gli ha attanagliato lo stomaco. E prega, con tutto se stesso, che non sia niente di serio ‘chè, tanto, per Rain è solo una commedia per Isaac. E poi, prendersi una cotta per lei, è l’ultima cosa che gli serve.
«Ashton! Rain non mi aveva detto che saresti venuto», gli sorride Celia, corsa ad aprire la porta. Lui si stringe nelle spalle, «In realtà non dovevo, ma ero a cena dai miei e ho pensato di passare a fare un saluto».
Celia annuisce, scuotendo i capelli biondi, che sono giusto di una tonalità più chiari di quelli della sorella, e si sposta, facendo cenno ad Ashton di entrare; «Vieni, Rain arriva subito, sta finendo di farsi la doccia», lo informa.
«Rain! Muoviti! C’è Ashton!», grida poi, con la testa rivolta verso le scale. Da Rain arriva solo un verso incomprensibile in risposta, ma basta per fare ridere Ashton. «Disturbo?», chiede lui, titubante quasi, in direzione di Celia. Lei scuote la testa, mentre si trascina verso il salotto, «Ma no. Siamo solo io e Rain, stasera. Pensavamo di vederci un film, ti unisci a noi?».
Ashton si stravacca sul divanetto verde del salotto e annuisce, «Basta che non mi fate vedere di nuovo Dieci cose che odio di te o, peggio, Le pagine della nostra vita», mugugna con tono ironico. Celia ride mentre sparisce in cucina, «Sai che sono i preferiti di Rain. E i miei».
Il riccio alza le spalle, «Io non ho intenzione di vederli, ancora».
«Rain! Ti vuoi muovere?», urla di nuovo Celia, verso le scale, mentre torna in salotto. Lancia ad Ashton una lattina di Heineken e lui la prende al volo, guardandola con aria di scherno, «Non sei piccolina per bere?», indica con un cenno della testa la lattina che la bionda ha tenuto per sé.
Lei ride e, prima di buttarsi sulla poltrona che è sempre la sua quando si guarda un film, gli tira un pugnetto sul braccio, «Ho diciassette anni, coglione».
Ashton scoppia a ridere e, quasi, si strozza con la birra quando Rain gli si butta addosso. «Non mi avevi detto che saresti venuto!», gli strilla nell’orecchio stringendolo in un abbraccio affettuoso.
«Sorpresa», lui sorride e lei gli lascia un bacio sulla guancia. E questo, in diciassette anni, non gli ha mai fatto l’effetto che gli sta facendo ora.
E Celia, che l’ha sempre detto che, prima o poi, uno dei due ci sarebbe cascato, li guarda di sottecchi per tutta la durata della commedia stupida che hanno scelto. Li guarda, Rain seduta sulle gambe di Ashton ‘chè, anche se c’è tutto il divano a disposizione, così sta più comoda; stanno abbracciati per tutto il film, si danno i pizzicotti e ridono nello stesso esatto momento, anche per cose che in realtà non fanno ridere.
Celia li guarda tutto il tempo ed è innegabile che gli occhi cangianti di Ashton brillino.
 
Amethyst odia dover passare la serata da sola a casa con Calum, ma, visto che gli Scott sono alla fatidica cena e nessun altro dei suoi amici ha la serata libera, le tocca proprio. ‘Chè di andarsene da sola in giro non se ne parla proprio, le sembra una cosa così deprimente.
E poi, comunque, basterà stare in stanze diverse ed ignorarlo, giusto il tempo di trovarsi un nuovo appartamento che può permettersi di pagare e potrà andarsene da lì. E a mai più rivederci, Calum Hood.
Ha uno strano effetto su di lei, quel ragazzo, ed è meglio tenerlo a distanza, non ha alternativa.
Peccato che lui abbia deciso di accaparrarsi il divano del salotto e la televisione, quando in onda sta per andare il nuovo episodio di una di quelle sit-com idiote, che però ad Amethyst piacciono da morire. E al diavolo i propositi di evitarlo, questa sera.
«Mi serve la televisione, devo vedere una cosa», snocciola veloce, facendogli cenno con la testa di andarsene. Lui alza le spalle, togliendo il volume al programma che stava guardando, «Puoi stare, non mi dai fastidio». Un piccolo ghigno divertito gli spunta sul viso e lei non può fare altro se non alzare gli occhi al cielo. A volte, lo trova proprio irritante. «E se tu dessi fastidio a me?», chiede inarcando il sopracciglio scuro in un’espressione scettica.
Calum ride e alza le spalle, «Questo è un tuo problema, raggio di sole».
Amethyst stringe le labbra e alza gli occhi al cielo a quel soprannome, «Ti ho già detto di non chiamarmi così», mugugna, col tono gelido. Si siede sul divano, allungandosi per prendere il telecomando malamente abbandonato sul cuscino che li separa. Ma la mano di Calum la precede, fulminea, e lui ridacchia, «Forse possiamo scendere a compromessi, raggio di sole». Calca volutamente sul nomignolo e lei sbuffa, seccata.
«Sei irritante, lo sai?», sbotta incrociando le braccia sotto il seno.
Calum ride, «Si, me l’hai ripetuto tante volte da quando ci conosciamo», alza un sopracciglio e un sorrisetto divertito in viso. E Amethyst, anche se non lo ammetterebbe manco sotto tortura, lo trova proprio irresistibile, anche quando fa così.
«Ti diverte fare irritare la gente eh?», borbotta sarcastica, raccogliendo i capelli in una coda alta ‘chè fa seriamente troppo caldo.
Calum sorride, «In realtà mi diverte fare irritare te, raggio di sole».
Amethyst sbuffa, anche se non riesce a nascondere il sorrisino che le è spuntato, «Ti assicuro che ci riesci bene, Hood».
Lui si alza e le lascia il telecomando accanto, piegandosi per sussurrarle all’orecchio, «Martedì sera, alle otto».
Le lascia un bacio fulmineo sulla guancia, pericolosamente troppo vicino alle labbra e se ne va, lasciandola lì, senza darle nemmeno la possibilità di rifiutare. Anche se, a dire il vero, la voglia di rifiutare, Amethyst, non ce l’ha proprio.
 
 
 
 
Writer’s wall.
Ehilà.
Mi scuso per il ritardo, ma con la fine della scuola ero davvero stanca da morire e tra le altre cose poi non ho trovato un attimo per scrivere.
Allora vado parecchio di fretta ‘chè tra una mezz’oretta dovrei uscire e ancora devo prepararmi, perciò scusatemi se sono proprio di corsa.
Prima di scappare vi lascio il link della mia nuova long Carpe diem e di una nuova os su Michael Difetti.
A Michael, che oggi mi ha fatto prendere un colpo.
A C. che con lui ho proprio chiuso.
A L. e M. che mi fanno morire dal ridere.
Un bacio,
-Mars

 
 

 

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Capitolo 11
*** Contatto. ***


Capitolo Dieci.
 

Contatto.
 
 
 
Nirvana, ormai, sta chiusa in camera sua da almeno una settimana; è che forse è convinta che tenendo la porta chiusa, chiuderà lontano il mondo lì fuori. 
Che poi anche lei sappia che le cose non vanno così, è un’altra storia.
Ascolta musica, forte, di quella che messa ad alto volume è così violenta che ti impedisce di pensare; ‘chè lei non deve pensare, o almeno, non a quello su cui la maggior parte dei suoi pensieri vertono. Non ad Hayden, non a quello che le ha fatto. Né tantomeno a Luke, accidenti.
Sta buttata per terra la maggior parte del tempo, gli occhi fissi a guardare davanti a sé, che ogni tanto si concedono un segno di debolezza. Apatica.
Si sta sgretolando, piano piano.
È solo che non può reggere tutto, non di nuovo. Non è così forte, lei.
Però attorno non vuole nessuno, nemmeno Rain, che passa quasi tutti i giorni, nemmeno Krista che bussa alla sua porta almeno tre volte al giorno usando le più disparate scuse.
Via, tutti.
Non vuole nessuno, ha bisogno di stare da sola.
E l’unica persona che crede di poter tollerare, non è mai venuta. Luke non s’è fatto vedere ancora e non si stupirebbe, Nirvana, se si fosse stancato di lei. Lo capirebbe. Krista bussa alla porta, sa che è lei ‘chè bussa sempre con quei due tocchi vicini e leggeri seguiti da un terzo più rumoroso, ormai Nirvana l’ha capito. Sospira e scuote la testa, «Kris, non è un buon momento», mormora verso la porta.
«E’ una settimana che non è “un buon momento”, tesoro. È solo che c’è una persona che viene tutti i giorni e aspetta che ti passi», ribatte l’altra con un tono vagamente annoiato da dietro la porta.
«Dì a Rain che le voglio bene, ma che per ora è meglio che lasci perdere», mugugna Nirvana, tirandosi le ginocchia al petto e poggiandoci il mento sopra.
La porta cigola, segno che è stata aperta, e sente Krista sussurrare qualcosa per poi sbattersi la porta alle spalle.
«Forse Rain può lasciare perdere, io no».
E Nirvana, quasi, non ci crede di sentire quella voce. Si gira e sorride, sorride per davvero, «Luke». Mormora il suo nome, quasi come una parola magica e continua a tenere il sorriso sincero dipinto sulle labbra, gli occhi verdi che brillano. E si sente bene.
«Ciao», la saluta lui, lo sguardo fisso su di lei. Ed è bellissima, anche senza trucco e i capelli spettinati, secondo Luke. «Disturbo?».
Nirvana si affretta a scuotere la testa, «No, anzi, mi fa piacere che tu sia qui. Mi fa tanto piacere», risponde, invitandolo con un cenno della mano a sedersi accanto a lei, sul parquet. Lui scivola accanto a lei, facendo attenzione a non sfiorarla nemmeno per sbaglio.
«Scusami per il disordine, non mi aspettavo di vedere qualcuno», si scusa, imbarazzata quasi, facendo vagare lo sguardo per la sua camera, che non è esattamente nel suo miglior stato. A Luke, comunque, non potrebbe importare meno, delle condizioni della camera.
Infatti alza le spalle e scuote la testa, «Ma figurati, anzi scusami tu per l’intrusione». Adesso è Nirvana a scuotere la testa, «Ma no, te l’ho detto che mi fa piacere. A dire il vero, avevo proprio voglia di vederti», confessa in un sospiro. E non può notarlo, perché tiene lo sguardo basso, ma sul viso di Luke, a quell’affermazione, è spuntato un sorriso a trentadue denti.
«E perché non sei passata?»
Lei alza le spalle, «Non credo di piacere a Colleen, anzi, ne sono sicura. E credo che la stessa cosa valga per Ashton».
«A me piaci», ribatte Luke, senza togliersi il sorriso dal viso e senza nemmeno darsi il tempo di pentirsi per quello che ha appena detto. Nirvana lo guarda, uno sguardo che è a metà fra lo scettico e lo stupito.
«Dico davvero. Mi piaci un sacco», ripete lui, in risposta alla sua occhiata stranita. Nirvana arrossisce visibilmente, «E non capisco perché».
Luke la guarda, dritto negli occhi, «Se dovessi iniziare ad elencare i motivi, non so quando finirei», mormora.
 
 
Nate e Colleen hanno sempre avuto un buon rapporto.
Da quando si conoscono non hanno mai litigato e ci sono sempre stati l’uno per l’altra. Sono grandi amici e non c’è cosa che Nate non sappia o capisca di Colleen; e, infatti, adesso, guardandola, intuisce che c’è qualcosa che non va.
«Col, intendi dirmi cosa c’è che non va?», le chiede, con il tono più dolce che riesce a trovare, lo sguardo fisso su lei.
Lei tiene gli occhi sulla coppetta di gelato alla fragola e crema che, ormai, si sta sciogliendo. Non che avesse intenzione di finirlo, comunque. Alla domanda di Nate sospira, «E’ Luke», esala.
Nate annuisce ‘chè lo sospettava, in realtà, che c’entrasse Luke con tutto questo. «Vuoi parlarne?»
«E cosa c’è da dire? Che il mio ragazzo preferisce passare il tempo con Nirvana Harris piuttosto che con me? Che, forse, l’unico motivo per cui stiamo ancora insieme è che ha bisogno di qualcuno perché ha quella stupida paura di rimanere solo? Oppure che non solo non mi ama più, ma che forse non mi ha mai amata? Cosa c’è da dire, Nate? Lui è innamorato di Nirvana, punto».
Nate sospira, «Non dire così. Luke prova qualcosa per Nirvana, ti mentirei se ti dicessi che non è così, ma non è la stessa cosa. Se tu sei la sua ragazza, vuol dire che ci tiene a te».
Colleen nasconde il viso fra le mani, lasciandosi sfuggire un singhiozzo. Cerca di concentrarsi sulle parole di Nate, ma non ci riesce. E sa che mentendo a sé stessa non otterrà proprio nulla, comunque. Scuote la testa, continuando a tenere il viso coperto, «Si, ci tiene a me. Mi vuole bene, forse addirittura gli piaccio. Però è Nirvana quella che ama», mormora con la voce che trema.
«Allora, se ne sei così convinta, lascialo!», sbotta Nate. ‘Chè vedere Colleen così gli da proprio fastidio, vorrebbe vederla felice.
Lei sposta una mano dal viso, concedendosi di guardarlo, «È una decisione importante da prendere e ho paura di fare la cosa sbagliata, capisci?».
E Nate annuisce.
 
 
«Amethyst dov’è?».
Ashton alza lo sguardo e scuote la testa, con l’espressione fin troppo seria, «Non è un buon momento, Calum» mugugna.
Calum aggrotta le sopracciglia scure, «Che cos’ha?».
«Lasciala stare, davvero. Dalle un paio di giorni e uscirà dalla sua stanza», mormora, con la voce stanca. Calum annuisce e si volta verso il corridoio, diretto evidentemente verso la stanza della ragazza e Ashton nemmeno prova a fermalo.
È davvero stanco, non ce la fa più, Ashton.
Sono anni che va avanti questa storia e lui, veramente, nonostante tutto il bene che vuole ad Amethyst, è stufo marcio di dover essere sempre lui a tenerla in piedi. È quello che fa da quando si sono conosciuti, il terzo giorno di liceo.
Amethyst è sempre stata debole, anche se ha sempre finto di essere il contrario e Ashton lo sa bene. Lo sa da quando lei gli è scoppiata a piangere tra le braccia mentre erano a teatro, a vedere Amleto, con l’insegnate di inglese. Sottovoce gli ha confessato che un anno prima i suoi genitori erano morti in un incidente; lei si era solamente rotta il braccio. Lui l’ha lasciata piangere fra le sue braccia fino alla fine dello spettacolo, poi lei è andata in bagno e quando è uscita il mascara era di nuovo al suo solito posto, esattamente come l’espressione strafottente. Non ne hanno mai più parlato, Amethyst non ha mai voluto.
La seconda volta che Ashton l’ha vista piangere avevano diciassette anni e una bottiglia di vino rosso che lui aveva preso, attento a non farsi scoprire dai suoi genitori, dal mobile del salotto. Lui le ha confessato la sua cotta per Euphemia Scott e le ha anche parlato di Rain e del fatto che fosse terribilmente di tutto il tempo che passava con un certo Michael Clifford, di cui Amethyst non aveva mai sentito parlare prima. Lei lo ha ascoltato per un po’, poi, quando lui non aveva più nulla da dire, è scoppiata. Gli ha raccontato della sua storia finita con Seth, di quello che era successo con Nirvana Harris; ha pianto e Ashton l’ha ascoltata tutto il tempo.
L’ultima volta che Ashton ha visto Amethyst piangere è stato ieri. Lui, adesso, è l’unico a cui lei permetta di entrare in camera sua mentre è in uno dei suoi periodi. Prima del suo litigio con Seth lo permetteva anche a lui.
Ieri hanno parlato di nuovo, lei gli ha raccontato di Calum. Di quanto lo odi, di come la fa sempre irritare, di come le gira sempre attorno; gli ha detto quanto non lo sopporta e del fatto che, nonostante questo, qualcosa è successo fra loro, una notte soltanto, ha sottolineato. Poi ha mormorato di nuovo che lo odia, perché sa che prima o poi tornerà a Melbourne e che lei non potrà fare nulla per impedirlo e che, fanculo, ormai tiene tanto a lui.
Ashton è sempre quello che ascolta Amethyst, quello che cerca di tenerla in piedi e che le ruba le sigarette ‘chè pensa che lei fumi un po’ troppo.
Però è stanco di vederla sempre così, è stanco di queste ricadute, è stanco del fatto che tutti i suoi sforzi non portino mai a nulla.
Pesca il telefono dalla tasca dei jeans e compone a memoria il numero di Rain. Lei risponde dopo due squilli.
«Hey, ancora non sono in ritardo per stasera, quindi che succede?» gli chiede tutto d’un fiato appena risponde.
«Ecco, a proposito di stasera, io non credo di farcela. Lo so che ci sarà Isaac e tutto, però è davvero una giornataccia».
«Cosa è successo?».
«Amethyst ha avuto un’altra delle sue ricadute e sono stato qui tutto il giorno e sono stanco da morire. Non ce la faccio, Rain, scusami davvero».
«Ho casa libera stasera. Che ne dici se per stasera mandiamo al diavolo Isaac e vieni qui? Una serata come ai vecchi tempi: film e pop corn abbracciati sul divano».
«Se è come ai vecchi tempi allora dovremmo chiamare Michael, no?»
«A dire il vero, preferirei se fossimo solo io e te» mormora Rain a mezza voce.
«Ancora non hai risolto con Michael?»
«Non è solo quello. Anche se non avessi discusso con Michael stasera vorrei te e basta»
«Inizia a fare i pop corn, arrivo fra venti minuti».
 
 
23.34
“Euphemia?”
23.42
“Ehy Michael, dimmi”
23.43
“Mi dispiace per l’ora, ti disturbo?”
23.43
“Assolutamente no, tranquillo”
23.45
“Menomale, mi sarei sentito in colpa altrimenti”
23.46
“Addirittura? Comunque, dovevi dirmi qualcosa?”
23.47
“Sarebbe troppo patetico se ti dicessi che ti stavo pensando e che avevo solo voglia di sentirti?”
23.47
“No, proprio per niente, Michael”
23.48
“E, comunque, ti stavo pensando anche io”
23.50
“Questa non me la aspettavo proprio”
23.51
“Perché mai?”
23.51
“Non so. Non credo di essere all’altezza di essere nei tuoi pensieri”
23.53
“Michael…”
23.54
“Si?
23.54
“Questo è esattamente uno dei motivi per i quali sei nei miei pensieri spesso”
23.54
“Spesso?”
23.55
“Anche più di quanto mi piacerebbe ammettere, suppongo”
23.57
“Oh. Comunque anche tu ci sei spesso”
23.57
“Nei miei pensieri intendo”
23.59
“Ne sono onorata”
00.00
“A che ora stacchi domani?”
00.01
“Non dovresti saperlo, capo? Comunque alle 18”
00.05
“Mi è sfuggito, accidenti! Ti andrebbe di uscire a cena?”
00.08
“Si, volentieri, Michael”
00.08
“Fantastico”
00.09
“Buonanotte, Michael”
00.09
“Buonanotte a te, Euphemia”
 
01.30
“Michael, ti dispiacerebbe uscire dalla mia testa e lasciarmi dormire?”
 
 
 
La notte, per Nirvana, è stata sempre strana, almeno negli ultimi anni.
La notte per lei era, almeno fino a qualche mese prima, il momento dei baci fino a farsi screpolare le labbra, dei morsi fino a sanguinare, della passione e di quell’amore che, in realtà, non era altro che perdizione; e lei, in quello che considerava essere amore, ha letteralmente perso tutta se stessa. Si è lasciata quasi cancellare, quasi annientare da quello che Hayden chiamava amore.  E lo sapeva, Nirvana, lo ha saputo dal primo istante, che quello non poteva essere davvero ciò che il ragazzo millantava ‘chè chi ti ama, non ti tratta in quel modo, non ti chiede di rinunciare praticamente ad ogni cosa; ma il problema è che, se ti innamori per davvero, non sei capace di dire di no a nulla. E Nirvana, non ce l’ha fatta. Si è lasciata illudere da tutte quelle notti, da tutte quelle carezze deliziose, da quei baci senza fine, da quei morsi leggeri sul suo collo, da tutti quei tocchi e da tutte quelle piccole parole.
Ma poi, all’arrivo del mattino, tutto cambiava. E quelle mani, fino a poche ore prima delicate su di lei, diventavano pesanti e quelle che prima era carezze diventavano schiaffi; quella voce calda e un po’ roca che durante la notte le sussurrava parole dolci all’orecchio, diventava aspra e tagliente, un coltello contro il petto. E Nirvana se li vedeva addosso, quei lividi, e si sentiva urlare nella mente a ripetizione tutte quelle parole astiose e giurava a sé stessa che sarebbe finita, che l’avrebbe fatta finita appena Hayden sarebbe tornato. Ma non lo faceva mai, quando al suo arrivo lui le sorrideva e le chiedeva semplicemente scusa, lei crollava. E quando arrivava la notte, erano di nuovo a letto, i loro corpi intrecciati l’uno all’altro e la speranza vana di un cambiamento che non sarebbe mai avvenuto.
Nirvana, fin’ora, dopo Hayden, non era mai rimasta una notte con un ragazzo, il pensiero non l’aveva nemmeno attraversata. Certo, Luke Hemmings, però, non l’aveva proprio preso in considerazione. Si è addormentato, mentre guardavano il Signore degli Anelli, e non ce l’ha fatta a svegliarlo per mandarlo via. Non voleva che se andasse via.
Lui, ha un effetto su di lei che Nirvana proprio non riesce a capire.
È strano, Luke, ma forse è solo perché è l’esatto opposto di Hayden. Lui si preoccupa sempre, per lei, quasi più di quanto si preoccupi per se stesso e non la forza mai, non insiste come avrebbe fatto Hayden, non la sfiora nemmeno per sbaglio. Lui, a differenza di Hayden, la rispetta. E poi il modo in cui la guarda, Nirvana non riuscirà mai a capirlo, perché la guardi in quel modo; non capisce come faccia, solo con uno sguardo, ma la fa sentire come se valesse qualcosa.
Ora è steso accanto a lei, con un’espressione così pacifica in viso che Nirvana non può evitare un sorriso che le corre spontaneo sulle labbra. E poi, quasi senza pensarci, allunga il braccio destro, arriva a sfiorare la sua guancia con i polpastrelli. Una carezza, spontanea, ‘chè se c’avesse pensato non l’avrebbe mai fatto. Infatti, appena si rende conto del gesto, appena a quel contatto le tornano in mente immagini che vorrebbe solamente dimenticare, ritrae la mano, veloce.
Scende dal letto, cercando di far piano per non svegliarlo.
Deve allontanarsi.
Non capisce.
«E’ inutile che fai piano, sono sveglio» biascica Luke, interrompendo il silenzio quasi angosciante della notte e facendo voltare la ragazza.
«Pensavo dormissi» mormora quest’ultima, arrossendo leggermente al pensiero che, quindi, lui ha sentito sicuramente quel contatto che l’ha sconvolta tanto.
Luke si alza, poggiando la schiena contro la testiera del letto e rivolge lo sguardo verso la figura minuta della ragazza, che ora è ferma al centro della stanza, «Ti stavo ascoltando respirare» le dice semplicemente, senza sforzarsi nemmeno di nasconderlo.
Nirvana quasi sente le gambe cedere ‘chè non può proprio concepire come faccia ad essere così, ad interessarsi così tanto a lei ‘chè, infondo, per Hayden lei non è mai stata davvero importante, «Perché?» sussurra, senza capire.
«Mi piace sapere che sei accanto a me».
Nirvana, a quella rivelazione, torna a letto, silenziosa e veloce come s’era alzata; cerca di nascondere il sorriso, ma non ci riesce.
«Buonanotte, Luke», mormora.
«Buonanotte, Nirvana».
Sente la mano di Luke sfiorare piano la sua ma, stavolta, non si ritrae.
 
 
 
 
Writer’s wall.
Ehilà.
Lo so, faccio schifo, non aggiorno questa storia da tre mesi e non ho assolutamente giustificazioni. Il fatto è che quest’estate, tra viaggi, uscite e i lavori, sono stata a casa poco e niente e quel poco che ci sono stata non avevo la forza di prendere il computer e mettermi a scrivere.
Adesso che sono tornata a casa, però, gli aggiornamenti saranno nuovamente regolari ovviamente.
Però, forse, potete perdonarmi per il mio tremendo ritardo perché Nirvana ha toccato (finalmente!) Luke!
Prima di lasciarvi, vorrei ringraziare tanto tutti quelli che seguono e leggono questa storia; grazie infinite a chi l’ha aggiunta tra preferite, seguite e ricordate e grazie a chi si ferma a lasciarmi una recensione, significa davvero molto per me.
A N. che ha reso speciale quest’estate.
A G. senza di lei probabilmente mi sarei annoiata tantissimo.
Sempre a G. per le sue consulenze su questa storia.
A New York, che mi è rimasta nel cuore.
Grazie mille per aver letto fin qui, alla prossima.
Un bacio,
-Mars

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Capitolo 12
*** Rottura ***


Capitolo Dodici.
 

Rottura.
 
 
 
E’ bellissima, lei.
Sono anni che, ormai, Luke lo nota, ma questo non significa che si sia abituato a ciò. ‘Chè esistono quelle cose talmente incredibili che uno non si rende mai conto che queste possano essere veramente reali.
Nirvana Harris è esattamente così, adesso, anche struccata e con i capelli raccolti in uno chignon che cade morbido e disordinato sulla nuca, i vestiti un po’ sgualciti del giorno precedente e l’espressione assonnata in viso. E Luke, vedendola così, manco ci pensa che non dovrebbe essere in quell’appartamento, ma in quello accanto, e non con lei, ma con una ragazza che non è neanche il suo pallido riflesso, una ragazza che non ama.
Nirvana lo guarda, sbatte qualche volta le palpebre per abituarsi alla luce flebile che penetra dalle tapparelle non del tutto abbassate e poi mormora qualcosa che vorrebbe sembrare un “buongiorno”. Poi, senza aggiungere altro, si alza dal letto e sparisce il più velocemente possibile in corridoio, tanto veloce che sembra quasi che stia scappando da Luke, da quel letto, forse dai pallidi ricordi della notte precedente. È ancora scossa per via di questi, ‘chè lei ha toccato Luke; si, è stata una frazione di secondo, ma erano mesi che si sforzava di non avere contatto fisico con nessuno. Certo, Luke Hemmings non è proprio uno qualunque.
Cerca di rimettere apposto le idee e darsi un contegno, Nirvana, mentre si sciacqua la faccia e tenta, senza grandi risultati, di far sparire quell’espressione stanca che ormai la accompagna da un po’ troppo tempo. Sa di non poter rimanere chiusa in bagno per sempre, così si fa forza ed esce, non dopo aver guardato un’ultima volta il suo viso vagamente stralunato riflesso nello specchio. In realtà, era un po’ che non si guardava così bene.
Luke la aspetta, seduto davanti al tavolo della cucina con le mani nervosamente strette attorno alla tazza di caffè fumante che Krista, la coinquilina di Nirvana, gli ha mollato pochi minuti prima di uscire, lanciandogli sguardi enigmatici ed interrogativi di cui lui proprio non ha capito il significato. Si guarda attorno, spostando ripetutamente gli occhi cerulei per la stanza, soffermandosi sui piccoli particolari, come fa sempre ed è così concentrato nel farlo che quasi non si accorge di Nirvana che appare sulla soglia, silenziosa come uno spettro.
Le sorride e la osserva dirigersi verso il frigorifero coperto di calamite colorate e prendere da questo uno yogurt, che non ha intenzione di mangiare; poi lei va a sedersi di fronte a lui, lo sguardo basso di chi non prova altro che vergogna. Lui continua a guardarla e proprio non riesce a capacitarsi che una meraviglia come lei sia proprio lì con lui e che gli lanci qualche occhiata di sottecchi di tanto in tanto.
Si schiarisce la voce, «Stai bene?», chiede poi, incerto, con più preoccupazione nella voce di quanta vorrebbe mostrare, in realtà.
Nirvana alza finalmente lo sguardo dal vasetto dello yogurt, su cui ha rivolto tutta la sua attenzione fino a quel momento, e serra le labbra rosee; Hayden non se n’era mai preoccupato. Poi alza leggermente le spalle esili e deglutisce, «Non sto male». Luke la guarda e vorrebbe che lei capisse che di lui si può fidare, che lui per lei farebbe di tutto, ma lei non ricambia il suo sguardo, lei sfugge come ha sempre fatto.
«Mi dispiace se in parte è colpa mia», mormora.
«No, Luke, tu non c’entri nulla. È che da quando sono tornata qui a Sydney niente sembra andare per il verso giusto e, forse, me lo merito anche. Ero una stronza quando me ne sono andata qui e capisco che Amethyst mi detesti, come Ashton e gli altri», si interrompe un attimo e sospira, «Anche Colleen mi detesta, e lo capisco. E poi ci sei tu, Luke, che sei l’unica cosa bella che mi è successa da quando sono tornata, davvero, ma è complicato. Io sono complicata», parla tutto d’un fiato, tanto che Luke quasi fa fatica a seguirla e a capire quello che vuole dire.
«Non mi importa che tu sia complicata, Nirvana, lo siamo tutti, io per primo. Lascia che io ti aiuti».
Lei scuote la testa e si alza per buttare nella spazzatura il vasetto di yogurt, nonostante questo sia ancora completamente pieno e lei non ne abbia mangiato neanche un cucchiaino. «Non puoi aiutarmi, Luke».
Lui tace, non sa che dire, non vuole insistere, non vuole fare o dire nulla che potrebbe infastidirla; però, allo stesso tempo, muore dalla voglia di sapere, muore dalla voglia di vederla sorridere per davvero.
Continua a stare zitto e, alla fine, è lei a parlare: «Perché hai paura di stare da solo?», mormora. Luke stringe le labbra, non è un argomento che gli fa piacere affrontare, soprattutto non vorrebbe farlo adesso, con lei.
«Più che altro ho paura di rimanere da solo con me stesso. Sono io la cosa di cui ho paura. Ho fatto delle cose di cui non vado particolarmente fiero, è per questo che neanche i miei genitori vogliono più avere nulla a che fare con me», spiega, senza voler dare altre spiegazioni e Nirvana capisce, ‘chè nessuno più lei tende a celare le cose.
«Qualunque cosa sia, io non ho paura di te, Luke», sussurra, piano come un sospiro. Luke le sorride e poi si alza, affiancandosi a lei, che sta poggiata al bancone bianco della cucina, e la guarda, «Vorrei davvero rimanere a parlare con te, ma purtroppo devo andare, sto facendo tardi all’università. Però, se ti va, dopo ci facciamo un giro», la guarda, interrogativo. Nirvana annuisce, «Si, mi farebbe piacere».
Lei lo accompagna fino alla porta e lo saluta con un cenno della mano, rimanendo ferma sull’uscio per guardarlo entrare in casa sua, dall’altra parte del pianerottolo. E, mentre lo guarda, finalmente, sorride per davvero.
Anche Luke sta sorridendo quando entra in casa, sorriso che però è destinato a durare ben poco. ‘Chè seduta sulla poltrona dell’ingresso, con le braccia incrociate e gli occhi rossi di rabbia e di pianto, c’è Colleen, che non gli dà neanche il tempo di salutarla. «Eri con lei. Sei stato con lei tutta la notte, non è vero?».
Lui abbassa lo sguardo, si sente un verme, ‘chè, nonostante non la ami, vuole bene a Colleen e vederla stare male per colpa sua è una cosa che avrebbe preferito evitare.
«Mi dispiace, Colleen, davvero. Se può servire, comunque, in quel senso fra noi non è successo mai nulla».
La bionda scuote leggermente il capo e si alza, Luke nota solo adesso che vicino alla poltrona ci sono due borsoni, ma non dice nulla, lascia che sia ancora lei a parlare. «Non importa. Io me ne sto andando, Luke; questa situazione non fa bene né a me né a te. Credo che sia il momento di farla finita».
Luke annuisce, sa benissimo che è la cosa più giusta e più sana per entrambi, ma non ha mai avuto il coraggio per dirlo lui stesso, ha lasciato che le cose si protraessero troppo a lungo. «Lo credo anche io. Mi dispiace, davvero».
«Anche a me dispiace» mormora Colleen, alzandosi sulle punte dei piedi per stringerlo in un ultimo abbraccio. Si sente già male, ma sa che questa è la cosa migliore, ne è fermamente convinta. Luke la stringe e la lascia un bacio fatto solo di profondo affetto sul capo, tra i capelli fini, «Ti voglio bene, Colleen. Non sparire». La ragazza annuisce e scioglie l’abbraccio, fissando lo sguardo negli occhi cerulei di Luke, «Anche io te ne voglio, Luke. Fatti sentire e buona fortuna con Nirvana, è una ragazza davvero fortunata e spero se ne renda conto presto».
Gli rivolge un ultimo sorriso, poi prende le sue borse, caricandosene una per spalla, ed esce, chiudendo la porta dietro di sé.
Luke è solo e la sua paura si rifà strada in lui. Colleen è l’ennesima prova del fatto che lui distrugga tutto ciò che tocca, che di sé stesso e delle sue azioni non può che avere paura.
 
 
Quando Calum, finalmente, si fa coraggio ed apre la porta della camera di Amethyst, lei gli grida di andarsene, maledizione.
Lui non la ascolta ‘chè, ormai, è stanco di star seduto in silenzio davanti alla porta bianca della camera, aspettando, come ha fatto durante la notte precedente. Adesso ha bisogno di parlarle, di capire, e non può più aspettare. Soprattutto perché, quando Seth è venuto per lei, qualche ora prima, lei l’ha fatto entrare.
Così ignora le sue urla ed accende immediatamente la lampada posata sulla cassettiera accanto alla porta, che produce una debole luce soffusa, che non è un gran che, ma almeno gli permette di vedere qualcosa ed annulla il buio profondo che prima inghiottiva la stanza, tanto che quasi non riusciva a distinguere la sua figura. «Se proprio devi stare qui, almeno spegni la luce» borbotta la mora, dopo aver capito che a Calum, evidentemente, non importa se la sua presenza è o meno gradita. Il ragazzo scuote la testa e si avvicina a lei, tanto che osa addirittura scostare il piumino blu notte per infilarsi sotto questo, troppo vicino a lei.
«Che stai facendo, Hood?» sbotta Amethyst, voltandosi per guardarlo con un sopracciglio alzato e la tempesta negli occhi celesti. Non vuole nessuno lì, figurarsi lui.
A Calum, però, non sembra importare più di tanto, visto che si limita ad alzare piano le spalle ed allunga una mano per rubarle lo spinello, regalo di Seth, che stava stringendo fra le dita esili, per poi spegnerlo sul posa cenere posato sul comodino, dove lo abbandona.
«Questo non risolverà il problema, ‘Meth, qualunque questo sia».
Lei alza le spalle e distoglie lo sguardo, «Lo so, ma cosa lo farà?».
«Parlarne. Parlane con me, sfogati».
«Che stronzata. Tu non parli dei tuoi problemi, perché io dovrei raccontarti i miei?». Calum non dice nulla, non nega niente, ‘chè, per quanto sia bravo a mentire con gli altri, con Amethyst non riesce. Perché, infondo, loro due sono uguali, lei capirebbe. «Adesso non c’entro io. Sei tu quella che sta chiusa in una camera buia da giorni a fumare e prendere pasticche, aspettandosi che questo possa risolvere qualcosa». Amethyst deglutisce, perché lui, ormai, l’ha inquadrata. Ha capito tutto e, adesso la cosa più logica da fare, per lei, sarebbe sbatterlo fuori dal letto e dalla camera, dalla sua vita; però non lo fa, anzi, scoppia a piangere. Calum non la abbraccia con commiserazione, si limita a guardarla e ad aspettare che parli.
«Tutte le persone a cui tengo, in un modo o nell’altro, trovano il modo di ferirmi e di lasciarmi da sola, di andare via da me, tu non sarai diverso. Trovami tu una soluzione a questo» sbotta, con una rabbia nella voce che Calum non le aveva mai sentito prima, nemmeno durante i battibecchi peggiori; è furiosa. Tace e ripensa alle sue parole, capendo che lui non potrebbe dire nulla per rassicurarla o farla stare meglio, forse nulla potrebbe aiutare in quel momento. Così si sporge in avanti per lasciarle un bacio lievissimo a fior di labbra, leggero, per poi mormorare, a pochi millimetri dal suo viso, «Io sono qui, Amethyst, non vado da nessuna parte».
Lei lo allontana, «Stronzate. Prima o poi dovrai tornare a Melbourne».
Calum tace di nuovo, Amethyst ha l’incredibile capacità di lasciarlo sempre senza parole, cosa che in pochi erano riusciti a fare prima. Lei lo disarma, totalmente.
«A proposito», aggiunge la mora, «perché sei andato via?».
«E a te cosa è successo, esattamente?»
Lei, stranamente tace, e così è lui a dover prendere nuovamente la parola, «Facciamo così: io faccio venti domande a te, a cui tu dovrai rispondere sinceramente e poi tu farai lo stesso con me. Okay?»
Amethyst scoppia a ridere, quasi con scherno, non credendo che Calum stia facendo sul serio, «Oh andiamo Hood, mica siamo alle elementari».
Però la mano del moro la stringe lo stesso.
 
 
Michael non risponde alle telefonate, o, almeno, non a quelle di Rain; non da quando hanno litigato, da quando lei non ha fatto altro che farlo sentire peggio di quanto stesse già per conto suo. E Rain che l’aveva sempre capito e tirato su nei momenti peggiori, adesso, è stata quella che l’ha buttato giù. Non capisce perché continui a telefonare, lui con lei non vuole parlare, non ancora, almeno.
Scuote la testa e silenzia la suoneria del cellulare, malamente abbandonato sulla scrivania accanto ad una tazza di caffè lasciata a metà molte ore prima ed una pila di documenti sul nuovo palazzo che lo studio del padre dovrebbe progettare, ma a questi può pensare più tardi.
Sono le quattro e mezzo ed Euphemia finisce alle sei, glielo ha ricordato il giorno prima, ma, forse per un giorno possono entrambi fare un’eccezione; infondo lui è il figlio del capo e, visto che il padre non c’è, la responsabilità adesso è sua, dunque non ha bisogno di chiedere il permesso a nessuno.
Così spegne il computer e si alza dalla sua sedia di pelle nera, che detesta, dirigendosi a passo svelto verso la stanza nella quale, lo sa bene, troverà Euphemia, intenta a parlare al telefono con qualcuno, probabilmente.
Ed infatti questa è proprio la scena che gli si para davanti pochi secondi e una manciata di passi dopo.
Euphemia Scott, brillante quasi avesse luca propria avvolta dai jeans chiari che le fasciano alla perfezione le gambe sottili e un crop top bordeaux scuro che fa contrasto con la pelle chiara, ha appena concluso una telefonata e sospira, scostandosi con nonchalance una ciocca di capelli sfuggita alla coda alta.
«Disturbo?», non appena Michael entra quasi timoroso nella stanza dopo averle fatto questa domanda, lei si volta, indossando all’istante il suo sorriso migliore. Scuote piano la testa, cercando di fingere, più con sé stessa che con Michael, che vederlo lì non le faccia alcun effetto; «No, per niente».
Lo osserva rilassarsi; ha di nuovo i capelli biondi e una camicia rossa a scacchi, con le maniche tirate su che lasciano intravedere i disegni sulle braccia, e se ne sta lì come non fosse affatto conscio del suo essere meraviglioso, quasi come avesse paura d’essere di troppo in quella stanzetta.
«Ha chiamato Ashton, voleva parlare con te», prende la parola lei, avendo ormai capito che lui il primo passo non lo fa mai, nemmeno per iniziare una conversazione sciocca ed irrilevante, è troppo insicuro. Pronuncia il nome del ragazzo con un’evidente nota di fastidio nella voce che nemmeno tenta di camuffare e Michael lo nota ma decide di lasciar correre. Infondo non si conoscono Ashton ed Euphemia, giusto? Perciò perché dovrebbe preoccuparsi?
Si avvicina alla ragazza, che intanto ha aperto la pagina delle mail al computer, «Lo richiamerò dopo, non sono venuto per parlare di Ashton»; con una sicurezza presa chissà dove, poi, poggia la propria mano sopra quella di lei, ancora ferma sul mouse argentato, e la stringe piano, facendo così sì che per Euphemia perda immediatamente importanza ciò che stava facendo fino ad un attimo prima. «Avevamo un appuntamento oggi, sbaglio?».
Lei scuote piano la testa, «No, ma sono le quattro e mezzo, io stacco fra un’ora e mezzo, lo sai».
Michael alza le spalle con un sorrisetto furbo dipinto sulle labbra rosee, «A volte essere il figlio del capo ha i suoi vantaggi, Scott».
Al che la castana si alza, senza nemmeno premurarsi di spegnare il computer o di chiudere i documenti aperti, «Allora possiamo andare».
 
 
Che Ashton sia nervoso lo potrebbe notare chiunque e a Rain, dunque, che lo consce meglio di chiunque altro, non riesce proprio a nascondere il suo fastidio.
Sono le sette e ventisei di pomeriggio e loro sono ancora sdraiati pigramente a letto, si sono alzati giusto per andare ad aprire la porta al fattorino che gli ha portato la pizza alle due, per poi tornare nuovamente a letto.
Ashton ha passato la notte qui, nel letto della bionda; in casa sua non c’è nessuno, ‘chè i genitori sono in viaggio per festeggiare i loro vent’anni di matrimonio mentre Celia ha approfittato della situazione per uscire a divertirsi con gli amici, nonostante sia solamente mercoledì. Rain non è andata a seguire le lezioni all’università oggi, così come Ashton; si sono presi una giornata di vacanza da tutti, eccetto che da loro due. «Cos’hai?», la voce della ragazza, ancora in pigiama, lo scuote dai suoi pensieri, mentre lascia cadere nel bicchiere che un paio d’ore prima conteneva SevenUp la cenere dell’ennesima sigaretta della giornata, ormai quasi finita. Avverte il tocco familiare delle dita leggere di lei fra i propri capelli, mentre gli scosta delicatamente questi dalla fronte; lo sta sfiorando quasi fosse un’opera d’arte, un qualcosa che merita una devozione e una cura inequivocabile.
Il riccio schiude piano gli occhi, lasciando che questi si abituino alla penombra che rega sovrana nella stanza, e lascia cadere il mozzicone della sigaretta finita nel bicchiere poggiato sul comodino bianco, poi scuote piano la testa, attento a non rivolgere il proprio sguardo sulla bionda, «Ho avuto una discussione con Euphemia, tanto per cambiare», sbotta.
«Non pensavo t’importasse ancora di lei», mormora piano Rain, forzandosi quasi a pronunciare quelle parole, come se temesse la risposta che potrebbe ricevere; le sue dita continuano a correre piano fra i capelli castani di lui, intrecciandosi ai suoi ricci, perdendosi in quell’istante che pare durare un’eternità.
Ashton scuote nuovamente la testa mentre si volta leggermente in direzione di lei, facendo frusciare le lenzuola azzurrine che lo coprono fino a circa metà del busto. «Non m’importa infatti, almeno non in quel senso. Non provo nulla per lei, ma mi frustra il fatto che mi abbia lasciato senza una spiegazione quando io le ho dato tutto; è come un chiodo fisso, capisci?».
Rain annuisce piano, senza staccare un attimo il suo sguardo ceruleo dai tratti deliziosi dell’amico, «Si, lo capisco. Non provo più nulla per Isaac, ma quello che è rimasto in sospeso fra noi mi impedisce di lasciarlo andare». Ashton non parla, ma lei percepisce il suo corpo avvicinarsi di pochi centimetri al suo, il suo braccio contro la sua vita sottile e non si ritrae, continua a parlare. «Tu sai che ho paura dei ricordi e di pensare al passato, ma allo stesso tempo non voglio che lui smetta di pensare a me, a quello che si sta perdendo. Ed il motivo per cui continuo a voler portare avanti questa manfrina del finto ragazzo con te non è lui; non è più lui», sottolinea, osservando di sottecchi Ashton, che non s’è perso una singola parola che è uscita dalle sue labbra. Non è più lui.
E poi succede tutto troppo velocemente perché uno dei due possa fermarsi o possa pensarci su, i corpi scivolano inequivocabilmente più vicini, quasi si attirassero, una calamita ed un pezzo di ferro; le labbra si trovano, come se avessero bisogno di quel contatto per respirare.
Succede tutto velocemente e nessuno dei due ha il buon senso di darsi un contegno.
Le labbra di Ashton sono ovunque, sulle labbra di Rain, contro la sua mascella ed il suo collo, le braccia di lei strette attorno alle sue spalle nude, ‘chè la maglietta di lui ormai giace disordinatamente sul pavimento, presto raggiunta anche da quella di lei e dal resto dei loro indumenti.
 
 
«Ciao Nirvana, sono Hayden, ho bisogno di parlare con te. So bene che non hai motivo di volerlo fare, ma ti chiedo semplicemente altri cinque minuti del tuo tempo, se vuoi poi sparirò dalla tua vita per sempre; so che negli ultimi mesi non ho avuto un atteggiamento corretto nei tuoi confronti e non posso tornare indietro, purtroppo, ma credo che meriti delle spiegazioni a riguardo. Se non vuoi parlarne di persona possiamo farlo anche al telefono, come preferisci».
 
Il messaggio si conclude e Nirvana Harris rimane in silenzio, completamente spiazzata, senza sapere, per forse una delle prime volte in vita sua, che cosa dire o cosa fare. Si volta a guardare Luke, seduto al suo fianco, per trovare i suoi occhi che vorrebbero essere rassicuranti, ma, si vede lontano un miglio, sono solamente preoccupati.
«Voglio finire questa cosa, Luke», mormora piano, riempiendo il silenzio pesante che s’era creato; il biondo annuisce, la capisce, se anche lui potesse parlare con i suoi demoni lo farebbe, peccato che questi non vogliano vederlo o rivolgergli la parola. «Verresti con me?», gli chiede in un sussurro.
Luke annuisce piano e le sfiora con delicatezza la mano, che lei non ritrae ma, anzi, avvicina di più alla sua, che stringe piano; il biondo sorride, ma non si muove, non volendo mettere la ragazza a disagio.
Nirvana sospira profondamente e fa partire la chiamata.
 
 
 
 
Writer’s wall.
 

Sinceramente non so da dove iniziare con le scuse per non aver aggiornato per mesi ma, sinceramente, ho avuto veramente un brutto periodo durante il quale ogni volta che scrivevo qualcosa venivano fuori capitoli veramente cupi e pesanti, quindi ho preferito aspettare che passasse. Ad essere sincera non è passato del tutto, ma vedere i ragazzi a Roma l’altro ieri mi ha veramente dato la voglia e la spinta di cui avevo bisogno per rimettermi davanti a questo computer e finire questa storia (ormai mancano pochi capitoli). Cercherò di postare almeno un capitolo a settimana.
Grazie se avete letto fin qui, se avete deciso di lasciarmi una recensione o di aggiungere questa storia fra le preferite/seguite/ricordate.
Ai 5 Seconds Of Summer, che mi stanno rimettendo in piedi.
Alla musica.
A G., perché lei ha capito.
Un bacio,
-Mars

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