Sick love

di Lovingit
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Challenge ***
Capitolo 2: *** Miracle ***
Capitolo 3: *** Things ***
Capitolo 4: *** Lucky girl ***
Capitolo 5: *** Closer ***
Capitolo 6: *** Sentiments ***
Capitolo 7: *** Problem ***
Capitolo 8: *** Not regretful ***
Capitolo 9: *** It will be ok ***
Capitolo 10: *** Revenge ***
Capitolo 11: *** Stronger ***
Capitolo 12: *** Roller coaster ***
Capitolo 13: *** His pain ***
Capitolo 14: *** Deal with the devil ***
Capitolo 15: *** All in ***
Capitolo 16: *** Thursday ***
Capitolo 17: *** His story ***



Capitolo 1
*** Challenge ***


-Maxwell Cornelia Stone non lo ripeterò un'altra volta: scendi, o la cena si raffredderà!-
Sbuffo rendendomi conto che è effettivamente la milionesima volta che mia madre mi chiama dalla cucina con il suo altisonante tono, per ricordarmi che mi aspetta un altro dei magnifici pasti contemplati dalla mia rigorosissima dieta. 
Io, in realtà, avrei preferito rimanere in camera a leggere: se fosse per me non mi muoverei dal mio comodo letto, non lascerei mai un libro a metà eppure, ho deciso, dopo aver scoperto che la mia vita non sarebbe più stata la stessa, di agire per compromessi; scendere le scale ogni giorno la mattina, a mezzogiorno e la sera per poi sedermi e riunirmi a tavola con i miei genitori era uno dei tanti.
-Stavi forse ascoltando la musica tesoro?- mi chiede mio padre cercando un motivo per cui avessi tardato mentre si sistemava composto sulla sua sedia. Trovare scuse per il mio comportamento sembrava essere diventato il suo lavoro a tempo pieno tanto che delle volte mi chiedevo se non avesse abbandonato la professione di stimato avvocato solo per dedicarvi più tempo. 
-No papà, ero solo concentrata su...un libro: volevo finire il capitolo- gli rispondo sommessamente evitando il suo sguardo come ormai faccio da tempo. Sapevo come avrebbe reagito, come sempre fa: un largo sorriso fino a rendere evidenti due fossette dovute all'età con tanto di occhi lucidi e felici come se avessi appena detto di essermi laureata prima del tempo. Cosa di cui, probabilmente, non potrò mai dargli la gioia. 
-Forza allora, preghiamo- si intromette mia madre, Clair, spezzando quel freddo momento padre figlia. 
Ecco. Il centro di tutto. Dio, la religione e ancora Dio. Da quando tutto era iniziato la fede che i miei provavano si era amplificata facendo si che ogni giorno io fossi costretta ad andare in chiesa, un altro compromesso, e a pregare per lunghi minuti. Non ero certo reticente verso la religione inoltre, sperare che ci sia effettivamente qualcosa dopo la morte, che non si esaurisca tutto con un ultimo respiro poteva rivelarsi molto utile in questo momento. Perciò si, si poteva dire che anche io mi fossi convertita.
Sin da quando ero una bambina tutta la mia famiglia si era fermamente impegnata nel volermi dare una solida educazione nel nome di un'ancor più solida fede: quando lo dicevo in giro tutti quelli che conoscevo sentenziavano contro i miei parole del tipo: ottusi, bigotti e predicatori a me, invece, la cosa non è mai pesata più di tanto. Il tutto finché un giorno non scoprii che nel programma "Educa Max al rigore" era compreso anche il "non uscire con nessuno fino ai diciotto anni" e che mi sarei anche potuta "sognare" le feste cui i miei compagni andavano ogni fine settimana. Perciò a 15 anni iniziò la mia fase di ribellione: passavo giorni senza parlare con i miei genitori, li facevo preoccupare e, se non bastava, iniziavo il mio periodico sciopero della fame finché non mi avessero dato il permesso di uscire la sera. Ripensandoci credo di averli fatti invecchiare di dieci anni in poco più di due. Perlomeno la loro precoce vecchiaia mi aveva fatto guadagnare più o meno un'uscita ogni due settimane grazie alle quali conobbi diversi "amici" cui, dovrei smettere di riferirmi come tali per soffermarmi solo su Molly: la dolce e svampita ragazza che da tre anni è la mia migliore amica. Quando ci siamo conosciute eravamo a casa di Tuck, il pompato della squadra di football, io ero alla mia prima festa e me ne stavo lì in piedi facendo finta di aver tutti sotto controllo; lei mi si era avvicinata sorridendomi sorniona prima di vomitare sulle mie scarpe. Da quel momento siamo inseparabili. Anche se ora lei vive lontano ci sentiamo ogni giorno. Che si sarebbe trasferita me lo ha detto il giorno dopo la grande scoperta, l'avevo chiamata per dirle tutto ma lei mi anticipò lasciandomi senza parole a domandarmi tra me e me se la sfortuna mi avesse eletta suo bersaglio preferito. 
Oggi, alla tenera età di 18 anni, farei di tutto per non dover uscire e suppongo sia dovuto a ciò che la mia psicoterapeuta continua ad affibbiarmi: la depressione.  
Non mi considero triste, mi considero rassegnata.
Dopo aver finito la scuola, la mia camera è diventata la mia vita: i giorni passano...mi volano davanti e io sono immobile nel mio letto. Sapere che probabilmente non potrò finirlo non è certo un incentivo per cercare un buon college ma la versione ufficiale per tutti quelli che mi conosco è che volevo un anno per riposarmi, così nessuno si sarebbe preoccupato opprimendomi ancor di più.
-Amen!- dissero in coro i miei riscuotendomi dai miei pensieri.
-Amen...- conclusi anche io accorgendomi di aver completante dimenticato la preghiera in corso.
-Max, cara domani dobbiamo andare...rimandiamo da troppo tempo: so che hai paura ma è necessario- disse mia madre poggiandomi una calda mano sulla mia. La amo ma, ormai, qualsiasi gesto di compassione mi fa accapponare la pelle.
-Ha ragione tua madre tesoro: rimandare peggiorerà solo le cose- fa mio padre per coadiuvarla.
"Le cose sono già peggiori" penso tra me. 
-Va bene, come volete fatemi sapere l'ora così metto la sveglia- 
Le mie erano risposte sempre pacate e tenui, pronunciate ad occhi bassi. So che molto probabilmente sto assumendo l'atteggiamento da vittima, ma se facessi diversamente, se esprimessi davvero i miei sentimenti non ci sarebbe via di ritorno: me lo immagino già come cadere in un buco nero...un'infinita caduta.    
Il lato negativo di non mostrare i sentimenti è far preoccupare gli altri, mamma e papà sono lì con il boccone a mezz'aria a guardarsi complici per decidere se è meglio insistere o lasciarmi perdere ma, in questo ultimo periodo, optano sempre per la seconda. La loro espressione smarrita però  rimane così, mi sento in obbligo di tranquillizzarli.
-Ehi ragazzi...andrà bene- dico stringendo una mano ad entrambi. La realtà? Andrà da schifo. Lo so io, lo sanno loro. È scritto nel destino eppure so con certezza che passeranno la notte in bianco a pregare per un miracolo. Io ormai non ci perdo più tempo, preferisco affidarmi ai cliché stilando una lista di cose da fare prima che sia troppo tardi...sei i miei lo sapessero comincerebbero a singhiozzare senza tregua.
-Si hai ragione- dice mia madre più per convincere se stessa.
E così sono tutte le mie cene: sguardi d'amore e pena e poi il silenzio finché non mi alzo per mettere il mio piatto nel lavandino...uno dei vantaggi della mia condizione è che adesso non devo più lavarlo. Una fugace buonanotte e così ritorno in camera mia; mi sono ripromessa di passarci ancora più tempo e di memorizzala perfettamente dato che tra poco forse dovrò farne a meno per un po'.  


La mattina mi sveglio di buon ora, è sempre meglio presentarsi lì presto se si vuole evitare la folla. 
Papà parcheggia al solito posto e ci avviamo come se dovessimo andare al patibolo: mamma mi accarezza la schiena e papà mi tiene stretta la mano ed io deglutisco...tanto. Ogni volta che percorro questa stradina da un anno a questa parte provo sempre le stesse sensazioni: le orecchie che mi iniziano a ronzare, la testa leggera, il sudore freddo sulla fronte... 
-Ciao Max!- mi dice Nora, l'infermiera all'accettazione. Ormai ci conosciamo bene, lei è sempre lì a salutare tutti forse perché è carina oppure perché ispira fiducia e con la sua presenza riesce quasi a rendere questo posto sopportabile a quelli che come me scapperebbero a gambe levate.  
-Ciao Nora!- la saluto abbracciandola.
-Quindi...oggi è il grande giorno eh?- mi dice attenta alla mia reazione, qui mi conoscono in molti e sanno che dietro ad una persona apparentemente tranquilla se ne cela una spaventata a morte.
-Si. Infatti- sempre di poche parole. La vedo tornare lentamente seria, ha capito che è meglio lasciar perdere.
-Allora Max,vieni con me ti mostro la camera- ed ecco ancora una volta la grande capacità di Nora, parlare di un asettica camera d'ospedale come se fosse quella di un albergo a cinque stelle.
-Grazie- le dico gentile seguendola assieme ai miei genitori.
-Sarai qui per almeno due giorni- mi dice con un sorriso -signori se volete rimanere ci sono due poltrone là- fece con un gesto elegante -e un armadietto per riporre le vostre cose...per qualsiasi cosa potete rivolgervi alle infermiere del piano- dice congedandosi e facendomi l'occhiolino.
E quindi è giunto il momento. Mentre leggo il messaggio di in bocca al lupo di Molly mi rendo conto che devo affrontare la realtà. Mi alzo e annuisco distrattamente mentre i miei mi dicono che devono sistemare delle carte al piano di sopra. C'è uno specchio nella mia stanza: non mi riconosco più, ho la faccia smunta gli occhi chiari sempre più spenti e le lentiggini evidenti. Le labbra sono secche così come i miei capelli scuri di cui ora non mi preoccupo nemmeno se sono intrecciati. Mi sono lasciata andare ed è evidente: dopo aver fatto pace col fatto che avrei dovuto seguire una dieta specifica le poche forme che avevo se ne sono andate assieme a tutti quegli alimenti che non posso toccare. 
Sono Maxwell Cornelia Stone, ho diciotto anni compiuti due settimane fa, la mia vita sociale è inesistente, sono depressa, vivo la mia vita tra casa e ospedale, ho una grave forma di epatite c e, per finire in bellezza, il mio fegato è andato.


Circa un'oretta dopo la famiglia Stone al completo si è stabilita nella camera; mio padre mi ha portato il computer e alcuni dei miei libri, che in realtà ho già letto e riletto ma, come sempre sorrido e ringrazio.
-Max-fa piano mio padre facendomi accorgere solo ora che la mamma si è addormentata sulla sedia con la testa poggiata da un lato. È sempre così stressante per lei: fa la donna forte, tranquilla ma dentro muore.
-Dimmi papà- lo incito
-Mi hanno detto che la tua biopsia è stata posticipata a stasera, mi dispiace cucciola forse dovremo stare qui un giorno in più per il risultato- mi fa accarezzandomi la testa. Annuisco vigorosamente trattenendo le lacrime. Anche io dentro muoio.
Letteralmente.
-Maximax- continua chiamandomi col soprannome che avevo da bambina -io ti conosco, so che stai cercando di fare ma non può funzionare! Trattenere tutto dentro non ti farà che male...-
Non ho mai contemplato nel mio piano "escludi tutti" che molto probabilmente mio padre mi conoscemeglio di quanto io conosca me stessa.
-Papà io...sono stanca! Questa biopsia, l'ennesima, mi dirà se devo fare un trapianto di fegato il che è quasi certo...e io. Sono. Stanca.- dico lasciandomi andare per la prima volta ad un pianto silenzioso. Lui non si fa pregare e mi abbraccia.
-Lo so amore, lo so- mi fa comprensivo, sull'orlo del pianto anche lui.
-Per favore non dire...insomma alla mamma- 
-Tranquilla: manterrò con lei la tua immagine di leonessa- mi dice sorridendomi
-Lei non ha bisogno di sapere che soffro- concludo quando sciogliamo l'abbraccio.       
Qualcuno bussa alla porta delicatamente. Ecco la parte del ricovero che detesto di più: gli altri familiari, che si vedono si e no una volta all'anno tutti riuniti al mio capezzale. Una processione infinita di cugini, zii e chi più ne ha più ne metta; la stanza si riempie di fiori e io sono costretta a sorridere a tutti. Solo verso il pomeriggio posso definirmi fuori pericolo per quanto riguarda le visite dei parenti. Quando ormai la mia stanza è diventata una serra, un'altra infermiera, di cui mi sfugge il nome, entra.
-Scusate signori Stone ci sarebbe da dare un ultimo consenso- fa ai miei genitori. Ho la sensazione che non mi starà molto simpatica.
-Il dottor Crow sarà presto da te cara- dice poi guardandomi per la prima volta.
Il dottor Crow?! Un momento!
-Ha detto Crow?- le dico con una voce squillante che spaventa anche me -Credo ci sia un errore: il mio medico è il signor Brooke!- le dico quasi alterata. Lei mi guarda comprensiva ma un po' infastidita.
-Non te l'hanno detto?- mi chiede. Evidentemente no! Potrei giurare di sentirla sbuffare.
-Il dottor Brooke si dovrà assentare per un po' per un grave problema familiare- mi dice facendomi crollare il mondo addosso. 
Non ora! È una delle poche persone di cui mi fido. Non può abbandonarmi a questo punto!
-Ma...- faccio flebilmente senza sapere davvero cosa dire.
-Non ti preoccupare, il dottor Crow è giovane ma molto preparato e ha studiato la tua cartella, ora scusami ma devo andare- e se ne va.
-Cara- mi accarezza mamma -non ti preoccupare sarà sicuramente bravo e gentile quanto l'altro dottore-
-Io...- trattieniti Max, trattieniti -non so...vedremo- brava. 
-Noi andiamo a firmare Max così possiamo iniziare se c'è qualcosa sai chi chiamare- mi dice mio padre prima di sparire dietro la porta assieme a mia madre.
Se prima non mi era venuto un attacco di panico ora di certo sarebbe arrivato. L'aria iniziava a mancarmi. Rilassati. Respira. Respira. Mi ripetevo mentalmente.
Respira, respi...
-Allora chi abbiamo Gin?- sento chiedere da una voce nel corridoio. Non so perché ma il suono di quella voce profonda mi destabilizza e mi fa perdere un battito, e non lo sogno: il bip del macchinario è abbastanza chiaro. Gin dovrebbe essere la simpaticissima infermiera di prima. Sono vicini alla mia stanza così riesco a sentirli abbastanza bene.
-Stanza 23- la mia, penso -Epatite c, fegato al collasso, trapianto sicuro- dice fredda lei. 
Una pugnalata al cuore. 
-Dio me ne scampi se mai esiste- sento l'uomo ridere beffardo -un altro coglione che non sa come si fa sesso protetto?- stiletta con crudeltà. 
Chi mai può essere quest'uomo orrendo?
-Questo non lo so Lear- sento ancora lei che gli dice languidamente mentre lui sembra sfogliare qualcosa.
-Maxwell?- chiede sempre con quel tono superiore -Un ragazzino?- 
-No- risponde lei scoppiando a ridere -anzi, forse si- riprende ridendo ancor di più.
Parlavano di me. Ero a due metri da loro e non si preoccupavano di essere sentiti. Lui poteva solo che essere il mio nuovo dottore, quel Crow...la rabbia mi aveva invaso il corpo, ero pronta ad alzarmi e ad andare là per dirgliene quattro. Ciò di cui ero sicura è che avrei chiesto un altro medico al più presto. Sapevo sarebbe entrato. Mi rialzo e sistemo con le dita i capelli, assumo una posa fiera e arrendo.
Quando sento scattare la porta non lo guardo subito e attendo che sia lui a parlare per presentarsi, non sentendo nulla, vinta dalla curiosità mi giro. Quello che mi si presenta davanti in un candido camice bianco è un giovane uomo, capelli scuri, un accenno di barba, slanciato e...inquietante.
Sembra avere 29 massimo 30 anni e, nonostante la sua giovane età cammina nella stanza come se l'ospedale fosse suo, mi guarda a malapena mentre rigira tra le eleganti mani la mia cartella. La esamina mentre è ai piedi del mio letto in una posizione che sembra essere quella di un modello per una rivista. Non mi è più difficile capire perché Gin o come diavolo si chiama lo venerasse tanto. È bello, anzi bellissimo. Fin troppo per essere un medico.    
Stanca del silenzio mi schiarisco la voce e lui scocciato alza la testa mostrandomi i suoi occhi scuri e penetranti. Mi nota per un secondo, distrattamente e torna a leggere. Ad un certo punto, con mia grande sorpresa, rialza lo sguardo per studiarmi più attentamente. Non mi sono mai sentita più a disagio. Mi scruta dalla testa ai piedi per quella che sembra un eternità. Serra un po gli occhi per mettermi a fuoco e incredibilmente fa una smorfia che sembra un mezzo sorriso.
-Proprio un ragazzo- conferma a se stesso trattenendo una risata con un colpo di tosse. 
La conversazione di prima con l'infermiera mi torna in mente colpendomi come un treno in corsa. 
Lui. Lui è lo stronzo.
-Mi scusi?- gli faccio innocente.
Non risponde per un buon minuto poi sposta di colpo il peso da un piede all'altro si ferma e mi inchioda con gli occhi.
-Quindi fai finta di nulla?- mi chiede alzando il mento.
-Non capisco- rispondo io facendolo scoppiare a ridere. Sto iniziando a domandarmi se il tutto non sia un semplice incubo.
-Cercherò di essere più chiaro: ci sono due tipi di pazienti. Il primo tipo: quelli rassegnati, le vittime quelli che ormai non sentono più nulla. Il secondo tipo è quello degli incazzati- non potevo credere che avesse appena usato una parolaccia -che ti attaccano per ogni cosa- dice per poi sedersi sul mio letto con mio enorme disgusto -Per quanto mi riguarda non sopporto nessuno dei due tipi ma se possibile sopporto ancora meno quelli incazzati che però non reagiscono- 
Sono senza parole e lui pensa sia un invito a continuare.
-So che mi hai sentito parlare con l'infermiera prima, eri qui e noi non eravamo distanti-
Quindi si sta prendendo gioco di me. 
-Ecco vedi- inizia come se dovesse spiegare ad un bambino di cinque anni come si scrive -lo stai facendo ancora- dice sprezzante.
-Io...- inizio per poi schiarirmi la voce -Io credo che lei debba uscire da questa stanza e non tornare- gli dico fidandolo suscitando per l'ennesima volta una sua risata.
-Temo non sarà possibile- dice rialzandosi -a quanto pare sono il tuo nuovo medico e abbiamo in programma una biopsia, ti consiglio di abituarti a...me- conclude.
Sento i miei avvicinarsi, ormai riconosco i loro passi sposto lo sguardo da lui ma in fretta mi richiama all'attenzione.
-Allora, visto che mi hai sentito puoi anche rispondere al mio dubbio: come l'hai presa? Tatuaggio fatto da un tuo amico tossico? O la mia preferita: "dottore non sapevo si dovesse usare un preservativo!"- mi chiede. Io sono scioccata.
-Grandissimo pezzo di mer- inizio alzandomi un po' con i gomiti per poi essere interrotta.
-Salve- irrompe mio padre sorridendo -lei deve essere il nuovo medico di mia figlia. 
Il dottore si gira e potrei giurare di vederlo storcere il naso quando nota i due grandi crocifissi al collo dei miei.
-Si, piacere di conoscerla signor Stone- dice lui cambiando completamente tono. 
Sembra un'altra persona.
-Benissimo...quando possiamo procedere?- chiede ansiosa mia madre.
-Ora- risponde lui convinto. Poi si volta verso di me e per l'ennesima volta cerca di intimidirmi.
-E tu, Maxwell sei pronta?- chiede beffardo.
Non si tratta più di una semplice biopsia, questa è un guanto di sfida.
-Si- 

Sfida accettata. 


Autrice: Questa è una storia a cui ho pensato nella mia mente per tanto tempo e che ora vorrei proporre a voi. Spero vi piaccia e che vorrete farmi sapere cosa ne pensate. Conto di aggiornare ogni 2/3 giorni. 
Un saluto affettuoso.

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Capitolo 2
*** Miracle ***


-Mamma, papà perché non vi prendete un caffè? Sarete stanchi e posso benissimo andare da sola...- gli dico togliendo distrattamente qualcosa dalla mia divisa bianca a pallini -non vi farebbero entrare in ogni caso- gli ricordo ruotando la testa in modo innaturale per poter riuscire a vederli in faccia dalla sedia a rotelle su cui mi stanno portando nella stanza. Mio padre, che mi sta spingendo, ha un lampo negli occhi alle mie parole e capisco ancor di più quanto abbia bisogno di una pausa.
-Max non è un problema per noi. Siamo contenti di aspettarti- già...come se ci fosse qualcosa per cui essere contenti.
-Mamma!- dico allora fingendo una risata -Portalo via- continuo -non vi voglio tra i piedi!- 
Si uniscono presto allo scherzo.
-Va bene tesoro- pronuncia serio mio padre -allora non ci sarà alcun problema quando decideremo di abbandonarti qui: lo avevamo programmato per stanotte ma anticiperemo il piano visto che sei così autonoma- dice per prendermi in giro.
Ridiamo tutti assieme. La scena mi sembra quasi grottesca, come uno di quei film splatter cui, nonostante la devastazione, vengono aggiunte battute per farti ridere.
Ora che ci penso non ho neanche bisogno della sedia a rotelle, non che avessi mai provato ad oppormi al suo uso sicura del fatto che, se lo avessi fatto, sarei svenuta a peso morto ma, percorrere il tragitto era sempre uno strazio: gente che passa, infermieri, dottori, ti guardano tutti con lo stesso sguardo triste; si stampano una smorfia di dolore talmente contrita che sembra siano loro stessi quelli a cui avrebbero presto conficcato un ago in pancia. Facevano tutti così. Tutti eccetto uno.
Il caro dottor Crow, a cui ero stata appena affidata, sfilava due passi dietro la mia famiglia col suo sguardo duro. Non gli avrei mai dato la soddisfazione di scoprirmi a fissarlo così, decido di voltarmi indifferente per scrutarlo con la coda dell'occhio e lo osservo notando che, mentre gli altri provano dispiacere lui camminava fermo, eppure leggero come una piuma, con una smorfia di puro disgusto come se tutti dovessero inchinarsi al suo cospetto.
Non ho ancora progettato nulla per liberarmi di lui ma stavo pensando: se è il paziente rompipalle che vuole il paziente rompipalle avrà.  
Pensarlo mi fa sorridere tra me e me soddisfatta, anche quando mi rendo conto che pensare a lui mi ha fatto dimenticare per un attimo dove fossi.
Ben presto arrivo alla stanza dove di solito fanno le biopsie. Questa sarà la seconda che faccio. La prima è quella che ha confermato la diagnosi che sospettavano i diversi medici che avevamo consultato. La mia compagna di giochi era ed è una grave forma di epatite c scoperta dopo mesi di vomito e occhi sempre più gialli. La situazione è stata critica sin da subito; mi proposero di iniziare una terapia con vari medicinali per più volte al giorno ma nessuno mi illuse del fatto che sarei guarita subito, anzi. Appariva chiaro che, se le medicine non avessero fatto effetto entro tre mesi, avrei dovuto ripetere la biopsia per stabilire o meno se avessi avuto bisogno di un altro fegato. La cosa più divertente è che nessuno dei miei familiari, o perlomeno quelli che erano disposti a darmi un pezzo del loro fegato, sembra essere compatibile. 
Ed ora eccomi qui, mentre mi sistemo comoda sulla brandina.
-Allora noi andiamo un attimo a casa tesoro- mi dice mia madre per salutarmi -pregheremo per te- mi dice commossa tenendomi una mano. Io non riesco a concentrarmi sulle sue parole perché potrei giurare di aver sentito uno sbuffo provenire da Crow che, nel frattempo, sta sistemando l'attrezzatura. 
-Ciao Maximax- dice mio padre sospingendo la mamma alla soglia. Io gli faccio un sorriso e loro scompaiono. 
Siamo io e lui ora.

-Maximax?- lo sento chiedere ridendo apertamente -Scommetto tutto ciò che ho che è perché da piccola eri in sovrappeso!- dice armeggiando con i guanti. 
-Hai perso tutto allora- gli rispondo: non mi sarei più fatta mettere i piedi in testa da lui -non che debba interessarle ma è dovuto a come da piccola pronunciavo il mio nome- lo informo guardandolo attentamente ora che è girato di spalle. 
-Ma come? Dieci minuti fa eri pronta ad insultarmi ed ora mi dai del Lei?- dice girandosi minaccioso con il lungo e grosso ago in mano.
-Io- sottolineo con un tono grave -a differenza di qualcuno, il rispetto so cos'è- dico fissandolo. Sembrerebbe quasi che io lo abbia lasciato senza parole ma lui recupera ben presto.
-Allora, vuoi che ti lasci un momento per pregare Dio affinché muova perfettamente la mia mano in modo che non ti faccia male o preferisci farlo dopo, sperando che un celeste intervento cambi la situazione della tua cartella?- mi dice mentre si siede accanto a me tamponandomi la zona.
Rimangio tutto. È decisamente questo il momento più imbarazzante: stare sdraiata, a sua disposizione mentre seguo con le guance in fiamme ogni movimento della sua mano e la delicatezza con cui mi perfora la pelle per iniettarmi l'anestesia.
Mi ricordo poi della sua domanda, anche se lui non sembra volere una vera risposta.
-Lo fanno già abbastanza gli altri per me, da quanto ha potuto vedere: qualcuno lassù potrebbe infastidirsi per le tante richieste di miracolo per la stessa persona- gli dico facendolo bloccare per la mia strana risposta.
-Quanti anni hai, dodici?- mi chiede con scherno -Cos'è, lo già chiesto anche a Babbo Natale il tuo miracolo?- 
-In realtà lui me lo sono conservato per quest'anno, come ultima spiaggia diciamo. A lui piace rendere felici i dodicenni. Che non sia la volta buona?- gli dico alzandomi un po' per vederlo meglio.
-Non muoverti- mi fa veloce per poi riprendere il suo discorso -Ti prego di una cosa però- mi dice avvicinandosi, facendomi accelerare il cuore.
-Oh, lei che mi prega: sono tutta orecchi!- lo prendo in giro, guadagnandomi una brutta occhiata.
-Se dobbiamo collaborare voglio sincerità- mi dice serio cambiando apparentemente discorso.
-Cos'è, un offerta di pace?- gli chiedo.
-No.- prorompe arrabbiato -Mai. Ma volevo farti sapere che fare il medico mi consente di conoscere ogni vizio, ogni feticcio, ogni peccato dei pazienti e ora voglio sapere i tuoi: come l'hai presa?- mi dice scandendo ogni parola.
-Se ti dicessi come, cambierebbe qualcosa nel mio quadro clinico?- gli chiedo.
Inaspettatamente lui, colto da un momento di professionalità mi fa no con la testa.
-Allora credo che rimarrà un mio "peccato" ancora per un po'- lo liquido.
Lui sbuffa piano, si alza e ritorna con l'ago della verità.
-Non dovrebbe esserci un infermiera o che so, un altro dottore ad assistere?- gli domando preoccupata. Per quanto ne so potrebbe pianificare di uccidermi data la sua simpatia per me.
-Preoccupata che possa farti qualcosa? Non ti fidi?- mi chiede sfidandomi.
-Non me ne ha dato sicuramente modo- gli dico provocatoria. Lui mi ignora.
-Preparati- mi sollecita senza tanti giri di parole mentre posiziona l'ago. 
E io mi preparo. Lo sento. Tutto. Mentre mi perfora e arriva alla me malata. Strizzo gli occhi, non tanto per il dolore...più per trattenere le lacrime. Quando lo sento estrarre inizio a muovermi nervosa per poi sentire le sue forti mani tenermi ferma.
-Non voglio che tu ti illuda- mi dice serio sganciando la bomba, mentre ha ancora le mani sulle mie braccia -non sarà un esito positivo-. 
Per un attimo vorrei prenderlo a pugni poi però, mi rendo conto che la sua sincerità mi è d'aiuto. Mentire e farmi sperare avrebbe solo aumentato la mia pena e so che, seppur ci sia sempre della speranza, la mia, è già morta da un po'.
-Sembrerebbe quasi un gesto gentile...il suo- gli dico e continuo non vedendolo capire -dirmi la cruda verità ora, come se ci tenesse- lo provoco notando che lui non mi sta guardando negli occhi come fa di solito ma fissa intensamente un punto indefinito del mio corpo. Seguo il suo sguardo e mi accorgo che il camice, mentre mi muovevo si è sollevato fino a scoprirmi una parte del seno. Mi stava deliberatamente guardando. In quel momento decido di non essere più la silenziosa Max e lo lascio fare. Questa sarebbe stata la mia vendetta.
-Cos'è, ora non sono più un ragazzino?- gli dico senza freni. Lo vedo alzare di scatto lo sguardo e, se fosse possibile gli diventerebbero rosse le guance ma, probabilmente, arrossire non è nel suo dna.
Ci mette un attimo a riprendersi poi, però, la mia battuta mi si ritorce contro.
-Non metterti in testa strane idee. Non c'è nulla da guardare- mi dice crudele, intuendo di cosa stessi parlano, per poi alzarsi e depositare il mio campione al sicuro.
Sembra impossibile avere l'ultima parola con questo uomo.     
-Devi aspettare ancora un attimo: per i punti intendo- mi dice. So come funziona! Penso tra me e e me infastidita. Ricorda il piano Max, infastidiscilo!
-Posso fare io ora una domanda scomoda?- gli chiedo mentre inizia a ricucirmi sempre delicatamente. Se dovevo dargli atto di qualcosa sembra davvero essere un bravo medico. 

Non sentendolo rispondere continuo.
-Come mai fa il medico se odia tanto i pazienti? Oppure odia solo me?- gli chiedo petulante.
Sono quasi certa che non mi risponderà ma...
-Tranquilla: io odio tutti. Si...forse te particolarmente. In ogni caso il motivo non è affar tuo- dice abbandonando la conversazione. 
-Pensavo fosse compito di ogni medico essere  gentile con il paziente, sa noi potremmo morire. Di solito si usa un po' di tatto- gli faccio presente. 
-Se cerchi il tuo Patch Adams hai sbagliato persona- mi risponde. 
-Come è possibile che un cuore duro come il suo abbia visto qual film?- gli chiedo fingendo sconcerto, osservando il suo sguardo concentrato.
-Non l'ho visto- mi risponde subito -ne ho sentito parlare e comunque farmi parlare non garantisce certo la mia concentrazione che, in questo momento è fondamentale per te- mi minaccia.
-Va bene, va bene- mi arrendo. Cercare di parlare con lui è come scalare una parete liscia.
Quando finisce la sua opera mi dice che devo rimanere per un po' in quella stanza per evitare infezioni e lasciare un po' di tempo alla "ferita" di chiudersi. Prima di lasciarlo andare decido di punzecchiarlo ancora.
-Sa, credo che lei piaccia all'infermiera Gin- lui come al solito non mi degna di uno sguardo poi però si ferma per parlarmi.
-Lo so- mi fa laconico
-E non intende chiederle di uscire, o che ne so di...parlare?- gli dico insicura rendendomi conto che non so bene cosa si possa fare in un inizio di relazione. -Potrebbe mandarle dei fiori oppure guardarla intensamente così che lei capisca che le interessa- continuò imperterrita 
-Oppure po- 
-Sono queste le cose che leggi su quegli stupidi libri? Storie d'amore che non hanno alcuna possibilità di esistere realmente? Perché non offenderti, ma non credo che mai nessuno abbia fatto ciò per te- mi dice senza prendere fiato, guadagnandosi una mia occhiata di puro odio.
-Nessuna offesa- gli faccio sapere -sono abituata ormai- lo accuso -e se proprio vuole può prendermi in giro quanto vuole ma non osi toccare i miei libri!- gli intimo.
Il dottor Crow mi guarda con pena -Sei proprio una ragazzina- constata -e perché tu lo sappia non ho bisogno di Gin o...nessuno- mi dice.
-Lo terrò presente- gli dico sistemandomi comoda. 
-Tieni anche presente che, come al solito so cosa stai cercando di fare e ho deciso che voglio  risparmiarti la fatica: tranquilla, non c'è alcuna possibilità che tu possa renderti più antipatica- dice senza girarsi mentre si avviava all'uscita -Avrai i risultati al più presto...in questi casi...insomma- mi dice e io lo vedo per la prima volta in difficoltà con le parole.
-Sono pronta- gli dico fiera.
-Già- mi dice per salutarmi.

Credo di aver dormito per due orette: quando mi sveglio fuori è già buio ma i miei genitori non sono ancora tornati. A farmi compagnia c'è solo Nora che, appena mi sveglio, mi dà una dolce carezza sulla testa.
-Ben svegliata!- mi dice dolcemente. Mi è sempre stata simpatica: è una donna giovane e minuta che si comporta sempre come farebbe una mamma col suo neonato. Lei è la mia personale dispensatrice di sorrisi.
-Ciao Nora- le rispondo.
-Allora, come è andata?- mi chiede sinceramente interessata.
-È andata. Ma lui...intendo il dottor Crow, mi ha già detto che è inutile che io speri che qualcosa sia cambiato- le dico con una risatina amara.
-Oh Max! Mi dispiace!- mi dice lei sconvolta -Non dovrebbero affidare a pazienti come te quel genere di dottori- 
Quindi è così con tutti, confermo tra me e me.
-Non lo idolatri come fanno tutte le altre?- le chiedo sorridendo.
-Oh no! Cioè non posso negare che sia bellissimo ma ha un carattere instabile e duro- mi racconta. Vedendomi interessata lei decide di raccontarmi ciò che sa di lui:
-Da quanto ne so ha 28 anni, il padre è un pesce grosso. Lui è nato in California ma si è trasferito qua a New York di recente. Nessuno sa niente di lui, tranne il fatto che sia un prodigio della medicina- dice in tono ovvio.
-Si sa almeno il perché del suo atteggiamento?- le chiedo sperando che lei mi possa dare una risposta.
-No.- mi dice secca -Molte volte non c'è una spiegazione ai comportamenti umani- cerca di confortarmi.
-Ah!- esclama -Hanno chiamato i tuoi genitori, mi hanno detto che sono bloccati per strada a causa di un incidente- mi dice cambiando discorso. Ecco perché non c'erano, di solito sono sempre veloci e puntuali. Si staranno agitando moltissimo perché non son qui ad attendere con me.
-Max, ti devo lasciare- mi dice triste dandomi un tenero bacio sulla fronte -a dopo- mi saluta lasciandomi nuovamente sola con me stessa. Mi chiedo quanto ancora ci voglia affinché mi diano i risultati. Ho il tempo di rilassarmi e pensare a come reagire quando mi diranno...la cosa. 
Ho già pensato alla faccia da fare ai miei: triste ma speranzosa. La provo da dieci minuti buoni. 
Chissà per quanto tempo dovrò rimanere qui...
-Scusa- sento dire da una voce e vedo un infermiera bussare alla mia porta aperta. È Gin. 
-Ciao- le faccio timidamente io, alzandomi piano. 
Ha in mano una cartella. Ci siamo. Il cuore mi salta in gola e i battiti mi schizzano alle stelle, probabilmente avrò un infarto.
-Allora?- le faccio impaziente.
-Mi dispiace ma devo aspettare il dottore per dirti qualsiasi cosa- mi dice rimanendo ferma in piedi al lato del mio letto.  
Trattieniti, trattieniti mi dico ripetendomi il mio mantra. Tratt...
-Non è il dottore che rischia di morire!- le dico urlando. Sono scoppiata. Lavoro da mesi per contenermi e ora scoppio -Dammi. Quella. Dannata. Cartella- continuo sempre in preda ad una furia che non mi appartiene. Lei mi guarda spaventata, non sa come comportarsi e, probabilmente, per la sua poca esperienza, decide di accontentarmi passandomela con cautela. La apro velocemente e per poco non mi sfuggono tutti i fogli. Cerco di leggerla ma non ci capisco nulla. Ci sono numeri e sigle. Se qualcuno non mi traduce questa roba finirò per impazzire. Continuo a rigirare i fogli sperando che ci sia qualcosa scritto in un linguaggio comprensibile e, nel frattempo, sento i miei genitori arrivare e parlare con l'infermiera. Le loro voci mi arrivano ovattate. 
Mi sento chiamare da mia madre e mio padre, che provano a tranquillizzarmi. Non sto dando un bello spettacolo di me: sembro una pazza. 
-Max!- mi riprende mia madre -Lascia la cartella ai dottori, perfavo...- riprova ma io la interrompo.
-No. Sembra non ci sia un dottore da queste parti disposto a concedermi un minuto del suo preziosissimo tempo per tradurmi questa...roba!- dico alzando la voce.
Guardo i presenti uno per uno con disperazione e continuo:
-Perché i numeri? Che diavolo significa...?- ricomincio ma vengo subito interrotta.
-Significa che devi iniziare a sperare che qualcuno abbia un incidente o altro e che decida di donare gli organi- si intromette lui. 
È sulla porta, non so da quanto tempo sia lì, se ha visto il mio sfogo. 
Ecco la mia risposta. Sapevo di dover essere preparata al peggio ma non mi sarei mai aspettata questa sensazione di vuoto, di tempo che si ferma. 
Nonostante ciò che mi ero ripromessa, mi sfuggono delle lacrime silenziose. Vedo sfocati i miei genitori che cercano conforto l'uno nell'altra abbracciandosi. Non sento più nulla. 
-Mi dispiace- dice Gin, più per dovere -dovrai rimanere qui: ogni momento...potrebbe essere buono per...-
Capisco. Capisco perfettamente. Ora devo aspettare veramente il miracolo. E mentre processo il tutto il mio sguardo rimane fisso su lui. Lear Crow. Il mio medico. Ci fissiamo entrambi intensamente. Non ci parliamo eppure sappiamo entrambi cosa lui vuole dirmi. Per la prima volta da quando lo conosco so qual è la sua espressione quando è veramente dispiaciuto. 
Dispiace anche a me. Non sai quanto Lear. 


Autrice: Aggiornamento veloce, sono particolarmente ispirata!  
In ogni caso, volevo ringraziare di cuore le due persone che hanno recensito il primo                          capitolo e le altre 8 che la seguono. 
Conoscere le vostre opinioni sarebbe davvero incoraggiante. 
A presto, Lovingit. 

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Capitolo 3
*** Things ***


-Signori Stone, volete seguirmi? Dovremmo discutere di alcune...cose- dice il dottor Crow riscuotendomi dal momento più buio della mia giovane vita. Sembra voler ristabilire la sua immagine di cuore d'acciaio facendo poco caso al fatto che i miei sono ancora intenti ad asciugarsi le lacrime per ricordargli che avrebbero dovuto iniziare a sottoscrivere una quantità infinita di scartoffie per salvarmi la vita. Pensandoci decido di prendere una decisione: non voglio sia fatto tutto a mia insaputa: sono ormai un'adulta e posso benissimo prendere coscienza di ciò che mi sta accadendo.
-Scusatemi- dico facendo sobbalzare tutti tranne, ovviamente, lui -vorrei che queste..."cose" fossero discusse in mia presenza- faccio, guadagnandomi una strana occhiata da mia madre.
-Max- mi dice dolce -non devi occuparti tu di ciò: hai appena avuto una terribile notizia, cerca di ripos-
-Mamma!- la interrompo bruscamente -Si tratta del mio fegato, della mia vita: vorrei mi lasciaste la libertà di uscire da questa campana per farmi capire cosa ne sarà di me. Ne ho bisogno.- concludo con un tono duro; lei non si merita questo trattamento, ne sono consapevole ma, delle volte sembra impossibile farle capire che non ho più 5 anni.
-Maxwell Cornelia Stone- oh no! Nome completo...-sono tua madre, tesoro- mi dice più dolce -e so per certo che, la cosa migliore per te in questo momento è il riposo fisico e mentale!- dice ferma.
-Clair...io non credo sia il momento...-cerca di interrompere flebilmente e poco convinto mio padre, Clark; io non lo ascolto, pronta a ribattere ma, proprio nel momento in cui prendo aria per parlare anche Lear Crow decide di irrompere nella conversazione.
-Scusate- inizia con la sua voce profonda e roca -Signori Stone- dice, muovendosi e spaziando con la sua falcata nella camera ormai troppo affollata.
-È mia premura e dovere ricordavi che vostra figlia è maggiorenne- si interrompe sperando che loro colgano il significato delle sue parole, cosa che non accade, costringendolo a proseguire svogliatamente: ormai riconoscevo bene le sue espressioni.
-Perciò, risulta teoricamente essere l'unica davvero autorizzata a conoscere queste "cose"- spiega calmo. Mia madre lo fissa attonita e, non sapendo cosa dire, come al solito cerca lo sguardo di mio padre che però le fa spallucce, cercando, con il suo solito fare da avvocato mediatore, di farla ragionare:
-Clair, forse è meglio andare a prendere una boccata d'aria e lasciare che il dottore- dice guardandolo -parli con Max e le spieghi per bene il risultato della biopsia. Sono sicuro che avrà tempo di dirlo anche a noi più tardi- le propone. 
Mia madre mi guarda triste, lancia un'ultima occhiataccia a Crow e si lascia andare a mio padre che la porta fuori dalla stanza. Il dottore rimane immobile a fissarmi mente dice a Gin:
-Vai a prendere gli effetti della signorina Stone.- Scandisce per bene ogni lettera del mio cognome facendolo suonare in un modo particolare. L'infermiera sembra infastidita dalla richiesta ma non lo dà a vedere più di tanto e, sorridendogli, esegue l'ordine dileguandosi silenziosamente. 
Per la seconda volta siamo soli io e lui. Il silenzio è insopportabile.
-Grazie- gli dico -mi strapperei tutti i capelli, uno ad uno pur di non doverlo dire-
-Peccato- dice lui sinceramente seccato -avrei preferito ti fossi tenuta per te il ringraziamento: così mi sarei goduto lo spettacolo di te pelata. E, se non è troppo disturbo farmelo sapere, per cosa esattamente mi stai ringraziando?- mi domanda interessato.
-Mi hai evitato una discussione infinita- gli rispondo.
-Oh- fa lui illuminato -per quello- china la testa e sorride tra sé -stai ancora fraintendendo: ho semplicemente fatto rispettare il codice medico- mi dice avvicinandosi con la cartella tra le mani. Io la fisso intensamente. Mi ritrovo a deglutire più volte.
-Allora- dico indirizzandomi a lui -quanto è brutta?- chiedo. Lui mi scruta per un secondo, penso stia decidendo quale strategia adottare -Fa schifo- sospira. Perfetto. -L'infezione non è regredita, anzi; per questo sei già stata inserita nella lista trapianti- io annuisco e lui continua -sei giovane, molto. Non fumi, non bevi ma...- cerca il mio sguardo -hai una malattia che difficilmente si contrae se non per atteggiamenti stupidi- ancora con questa storia?! -So a cosa stai pensando- dice intuendo il mio sguardo -ma devi sapere che è così che ragionano quelli della commissione trapianti. C'è anche il fatto del gruppo sanguigno. Relativamente raro.- conclude.
-In poche parole sono condannata?- dichiaro con uno sbuffo -Che senso ha anche solo provarci?- 
-No!- dice un po' troppo bruscamente -Non sei...condannata. Sarà solo più difficile trovare qualcuno. A questo proposito spero per te che pregare affinché qualcun altro muoia non ti faccia perdere punti con lui- mi dice beffardo alzando gli occhi al cielo.
-Cos'è questa ostilità nei confronti della fede?- gli domando insidiosa.
-La gente che incontro tende a ringraziare Dio se un'operazione va bene o se le medicine fanno effetto; non il progresso, non la mano ferma di un chirurgo. Dio.- dice con gli occhi minacciosi.
-Quindi è una questione di ego?- gli chiedo interessata, lui sembra piccato dalla mia intuizione.
-Probabilmente- mi dice laconico forse per liquidarmi.
Questa breve interruzione mi fa pensare al fatto che, come ormai sembra regola, siamo passati dal parlare del mio fegato a tutt'altro. 
E questo mi piace più di quanto dovrebbe.
-Non può essere solo per questo- gli dico provando a risollevare la questione -e le spiego il perché: se fa il medico possono esserci solo due ragioni: o i suoi genitori sono entrambi medici ed è stato costretto oppure ha sentito il bisogno di aiutare il prossimo...del primo caso sono la prima a dubitare: col suo carattere si sarebbe facilmente opposto- lo vedo sorridere soddisfatto alla mia deduzione -quindi, suo malgrado, mi vedo costretta a propendere per la seconda sdolcinata opzione e, in questo caso, la scusa dell'ego non reggerebbe- mi schiarisco la voce per poi concludere -una persona tanto altruista non cercherebbe spasmodicamente un riconoscimento per le sue opere di bene.-
Il dottore si porta una mano al mento come se avesse un fare pensoso poi sospira.
-Interessante filippica, quasi toccante. Ma da quanto dici sono ancora un mistero per te...lascia che ti aiuti- mi dice recitando contrizione -c'è anche una terza opzione- mi rivela.
-Che sarebbe?- gli chiedo spazientita.
-Che, molto semplicemente, mi piace la medicina- mi dice come se fosse ovvio, dandomi una schicchera sul braccio. Questo suo gesto mi sconvolge: rimango con gli occhi spalancati mentre lui cerca di capire cosa mi prende: non mi sarei mai aspettata un gesto tanto scherzoso e confidenziale da parte sua. Ma Crow decide di far finta di nulla.
-Va bene...per adesso- gli concedo. 
-Dovrei andare a parlare con i tuoi prima che chiamino il direttore- mi dice ricordandomi che anche io dovrò presto affrontarli -devi darmi fastidio con qualche altra tua domanda prima che me ne vada?- mi chiede sarcastico anche se, sembra quasi voglia veramente continuare a parlare con me.
-Si- gli dico, ma ora sono più seria.
-Che strano- fa lui per prendermi in giro -avanti, dimmi- mi incoraggia
-Che succede se non si trova un fegato?- gli chiedo. 
Lear Crow mi guarda per quella che sembra un'eternità e, senza rispondermi se ne va. Io abbasso la testa e inizio a guardarmi distrattamente le mani.
-Non succederà- sento dire da lui che, inaspettatamente era ricomparso alla soglia per poi andarsene definitivamente.
In qualche modo, sconosciuto e inaspettato lui mi è di conforto.

-Mamma, papà mi dispiace per prima- dico veloce quando un po' di tempo dopo ritornano in camera. Assieme a loro c'è anche Nora.
-Max- dice triste mia madre mentre corre per prendermi tra le sue braccia -dispiace tanto anche a me- si scusa stringendomi forte, mio padre mi tiene una mano e accarezza la schiena di mia madre per confortare entrambe; 
-Amore- dice lui -hai tutto il diritto di sapere: abbiamo sbagliato a volerti tagliare fuori- evidentemente separarci per un po' sembra essere servito. 
-Grazie papà- gli dico con un sorriso riconoscente -Nora! Ciao- le dico calorosamente ricordandomi della sua presenza;
-Ehi Max, sono qui per rifare la medicazione- mi dice dolcemente avvicinandosi con l'occorrente-alza il camice per favore- faccio come mi dice e la lascio fare.
-Spero che parlare con il medico ti sia stato di aiuto- mi dice sottovoce l'infermiera quando i miei si allontanano di poco per appoggiare alcune cose, vorrei risponderle ma...
-Max- dice mia madre facendomi sobbalzare -cosa ti ha detto il dottore?- 
-Beh- dico cercando le parole giuste -in poche parole devo iniziare a sperare- la osservo con un'espressione rassegnata.
-Se solo sapessi cosa ha osato dire a noi!- fa lei arrabbiata -Sostiene che tu hai una malattia che, nel 99% dei casi, si prende solo facendo...brutte cose- dice in palese difficoltà -e che è per questo che non sei in cima alla lista! Ci credi?- continua gesticolando -Ah ma io gliel'ho detto: conosco mia figlia non farebbe mai una cosa del genere!- mi guarda cercando un segno di assenso che, svogliatamente le do -io lo so che sei in quel'1% tesoro, l'avvocato penserà a sistemare tutto- 
-L'avvocato?!- gracchiò stupita -Avete chiamato un avvocato?- 
-Certo tesoro- dice mio padre risoluto -Io non avrei potuto far nulla: sono troppo coinvolto; così ho chiesto ad un mio amico di "spingere" un po' per risolvere questa situazione- 
Quindi la paura della morte trasforma tutti. Mai avrei pensato che i miei genitori, così attaccati alla morale, avrebbero sfruttato delle conoscenze eppure, non mi sento di biasimarli.
-Non lasceremo che pensino male di te amore e che questo ti faccia avere meno possibilità di...vivere- conclude per lui mia madre.
Io allora rimango in silenzio e guardo l'operato di Nora, lei alza un attimo lo sguardo per farmi un sorriso e, come di solito fa, inizia a chiacchierare per stemperare la tensione.
-Sarete contenti di sapere che non siete gli unici così determinati a salvarla- dice criptica -ho sentito Sally- un'altra infermiera del piano -che ha sentito da Dina che il tuo dottore, il dottor Crow, stava litigando con il direttore- mi dice sgranando gli occhi -non ho capito bene le parole precise ma pare che gli stesse urlando che dovevi esser messa tra i primi nella lista e che garantiva lui la tua buona condotta- conclude, finendo anche di medicarmi.
-Oh ma questo è magnifico- dice mia madre.
Non potevo credere a quello che aveva detto Nora. Il dottor Crow non è certo il tipo che  mostra nemmeno un minimo interesse per qualcosa, benché meno ci si aspetta che lui combatta in prima linea per aiutarmi. 
-Già...- parlo piano -Magnifico...- ripeto con lo sguardo vacuo.
-Ecco fatto!- mi dice Nora -Per questa notte starai qui, domani ti metteremo in una stanza...ho paura che dovrai dividerne una ma non ti preoccupare c'è una tv a testa- mi rassicura sorridendo.
-Va bene- annuisco mesta -credi che adesso potrò riavere il mio cellulare?- le chiedo speranzosa.
-Si certo- mi risponde.
Mamma borbotta un "ah giusto" e mi restituisce il telefono che le avevo affidato. Lo accendo impaziente e trovo subito diversi messaggi di Molly:
"Ciao amica. Mi son finita le unghie per il nervosismo...fammi sapere quando avrai notizie!"
"Max, ti prego entro oggi o non sopravvivrò"
"Odio stare lontana da te adesso ma ho già chiesto alla mamma se possiamo tornare questa settimana così potremo stare assieme"
"Max, comincio seriamente a preoccuparmi. Come è andata?!". Questo era l'ultimo messaggio, le altre erano sue chiamate e due messaggi da vecchie compagne di scuola che sapevano della mia condizione. Mi affretto a rispondere a Molly:
"Ehi Mol...è andata male: devo rimanere in ospedale e aspettare...sai...sono davvero felice per il tuo ritorno: stare un po' con te mi aiuterà" invio. 
La sua risposta arriva dopo nemmeno un minuto:
"Oddio Max non sai quanto mi dispiace...oddio sto piangendo...dovevo essere li. Dovevo esserci per te!" Mi scrive.
"Non devi rimproverarti: non è stata colpa tua. Abbiamo i prossimi giorni per stare assieme" la rassicuro e spengo il telefono. Non ho più nemmeno la forza di consolare me stessa figurarsi gli altri. Questa giornata mi ha completamente spossata. 
Nel frattempo che armeggio col telefono sento Nora e i miei parlare;
-Signori vi consiglio di andare a casa: le poltrone sono scomode e il cibo è ancor peggiore...qui non potete essere di aiuto. Per qualsiasi cosa, anche la più piccola sarete chiamati immediatamente!- cerca di convincerli.
L'infermiera ha ragione. Devono continuare ad avere una vita normale, in più non sopporterei vederli sempre qui a piangere.
-Ha ragione Nora ragazzi: non c'è bisogno che stiate qua. Io ho il cellulare, la tv, i miei libri...-
-Hai anche me per parlare- dice Nora facendomi sorridere.
-Max sei sicura di- inizia mio padre
-Sicurissima- annuisco vigorosamente con la testa convincendoli; mi salutano con amore più di una volta prima di andare a casa e mi ripetono mille volte di chiamarli per qualsiasi cosa.
-Allora a domani tesoro- dice mio padre; prende per mano la mamma ed escono con le spalle curve. Se può esistere qualcuno al mondo che abbia avuto una giornata peggiore della mia sono sicuramente loro. Anche Nora mi ha lasciata per accompagnarli fuori. 
Io sono stanchissima e cerco di mettermi comoda per dormire; mi vengono in mente mille altri di questi esatti momenti prima della malattia: quando pensavo ad un bel ragazzo o ai compiti che avrei dovuto fare...mentre ora sono qui, a pensare alle mille situazioni diverse in cui mi potrei trovare. A sperare che domani possa avere un altro fegato e andare a casa o meglio ancora che, svegliandomi, mi ritrovi in camera mia felice di aver fatto solo un brutto sogno. 
E penso insistentemente anche a ciò che ha detto Nora su Crow. L'ho conosciuto oggi e già affolla i miei pensieri. 
E poi quel suo comportamento...
-Scusi- cerco di farmi sentire da un'infermiera che passa, lei si ferma.
-Si?- chiede disponibile 
-Potrebbe dire al dottor Crow che lo sto cercando. Sono una sua paziente.- le chiarisco.
-Vedrò quel che posso fare- si congeda lei. 
Fisso il soffitto, nonostante l'enormità di questo posto tutto è silenzioso e, i miei sforzi di restare sveglia per vedere se l'infermiera avesse avuto notizie di Crow sono vani così, mi addormento.

-Ehi!- sento scuotermi -Ehi!- sono ancora mezza addormentata mentre mi rendo conto che qualcuno sta cercando di svegliarmi in malo modo -Ragazzina- dice ancora la voce spazientita: solo una persona può chiamarmi in questo modo. 
Apro lentamente gli occhi, sbatto più volte le palpebre per mettere a fuoco il suo viso. Ha gli occhi stanchi ma mantiene sempre la sua espressione spocchiosa.
-È qui- dico. Lui mi guarda come se se si stesse chiedendo se ho qualcosa che non va.
-Mi hai chiamato per stabilire l'ovvio?- chiede infastidito. Giusto. L'ho chiamato io, mi ricordo. 
-No! Ma era necessario svegliarmi alle- lancio un'occhiata all'orologio -svegliarmi alle 3 di notte?!- gli chiedo arrabbiata.
-Te lo ripeterò un'ultima volta: tu mi hai fatto chiamare- dice scandendo ogni parola
-Cinque ore fa! Non pensavo sarebbe venuto a disturbare il mio sonno!- gli rispondo 
-Tu hai disturbato me, prima, e non ho tempo per queste sciocchezze. Me ne vado- dice alzandosi.
-Perché pensa che sia fatto tutto col solo scopo di arrecarle fastidio!? Le svelo un segreto: non è il centro del mondo Lear!- urlo ad un tono che probabilmente non dovrei usare a quest'ora. 
Lui torna in dietro veloce, per un attimo penso voglia farmi del male poi si ferma e sospirando mi chiede: -Hai una possibilità: cosa vuoi?- 
-Io- inizio per poi bloccarmi quando mi rendo conto che gli volevo disperatamente chiedere una stupidaggine -ho...io- continuo tentennando. Lui si spazientisce sempre più ogni secondo che passa così senza pensarci sparo la prima cosa che mi viene in mente:
-Io sono contenta che lei sia il mio medico- me ne pento ancor prima di finire la frase. Probabilmente la gentilezza è la migliore arma nei suoi confronti: vedo vacillare la sua maschera d'odio. Si appoggia con un braccio alla porta, si tocca due volte il naso...
-Hai rubato qualche pillola agli altri pazienti?- chiede. 
Improvvisamente capisco. Lear Crow ha paura dei sentimenti: non è incapace di provarli, li evita.
La mia faccia illuminata sembra dargli conferma della sua idea:
-A quanto pare si- afferma e mi dà le spalle -Ah, ragazzina- dice ancora girato -giusto per chiarire: non chiamarmi mai più col mio nome, solo gli amici possono farlo- 
-Allora non c'è proprio nessuno che può farlo- gli dico cattiva; lui non sembra dar peso alla mia considerazione e, voltando un po' la testa continua:
-e ti sbagli, come sempre- dice ridacchiando.
Lo vedo da come si comporta che non aspetta altro che io gli chieda una spiegazione;
-Mi sbaglio su cosa?- lo accontento.
-Io sono il centro del tuo modo adesso- mi risponde battendo la mano sulla porta per poi sfilare via.


Autrice: Come sempre grazie a chi mette tra i preferiti, chi segue e soprattutto chi recensisce la storia.
Spero vi piaccia il capitolo. 
Alla prossima, Lovingit.

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Capitolo 4
*** Lucky girl ***


La mattina dopo mi sveglio intorpidita: i letti degli ospedali fanno davvero male! Farli comodi non sembrerebbe proprio esser stata la priorità. In più, qualcuno deve essere passato senza che mi svegliassi: sul mio comodino c'è un bicchiere d'acqua e le mie pasticche. Le guardo sospirando e mi accorgo subito che qualcosa non torna.
-È permesso?- chiede l'infermiera di ieri bussando alla porta. Io le sorrido in segno di assenso.
-Come hai dormito?- Senza darmi il tempo di rispondere continua -Se vuoi dirmi da schifo puoi farlo: non mi offendo mica. Tanto la colpa è sempre dei letti- conclude sorridendo, mi unisco a lei:
-Beh allora da schifo- ridacchio. Per fortuna non sono tutte come Gin...
Lei mi sistema il cuscino dietro la testa per farmi stare un po' più alzata, muovendomi riesco a constatare che i punti mi fanno più male di ieri.
-Posso chiederti una cosa...?- Inizio rendendomi conto di non sapere ancora il suo nome -Donna- mi offre lei in un tono di scuse per non essersi presentata prima -Donna- ripeto io con un sorriso.   -C'erano solo 2 pasticche sul mio comodino io dovrei prenderne...- intuisce subito di cosa stia parlando -Il dottore ha deciso di dimezzare la dose per evitare un sovraccarico del fegato proprio ora...anche l'antidolorifico per i punti...tolto. È lavoro in meno per l'organo che deve essere preservato- mi dice. Ecco perché. Ed ecco un'altra premura del caro Crow. 
"No stupida! È il suo lavoro" mi rimprovero. 
-Capisco- le dico.
-Vedrai: questa situazione non durerà tanto!- È talmente convinta di ciò che dice che, se avesse qualcun altro davanti, ci crederebbe in ogni caso. Qui però ci sono io che fatico a credere che arriverò al giorno dopo...e che, nonostante ciò la ringrazio. 
-Ci rivediamo per l'ora di pranzo: dovresti essere in grado di poter cambiare camera- mi informa.
Ah già...non so se esserne contenta per la compagnia che avrò o non esserlo perché non avrò più la mia privacy; in più, se mi capitasse un paziente che sta peggio di me potrei non sopportarlo.
Saluto Donna fissando il vuoto...e sono lasciata a me stessa. Certo, non letteralmente ma, mi rendo conto che così saranno tanti altri giorni: io che mi sveglio sola in una camera bianca, su un letto in cui entro solo grazie al fatto che sono minuta, senza del cibo decente per colazione e ancora, senza il mio agognato miracolo. Faccio una smorfia divertita al pensiero: se lo dicessi a Crow avremmo da discutere per giornate!
Accendo il cellulare e leggo che Molly sarebbe partita domani così per la sera sarei stata in grado di riabbracciarla. Quando, dopo aver giocherellato un po' col telefono, mi accorgo di essere a corto di idee su cosa fare, come accade quasi sempre in questi casi, prendo uno dei miei libri ed inizio a leggere. Orgoglio e pregiudizio è sempre la mia scelta quando sono depressa, non importa quante volte lo abbia letto e il fatto che ormai lo so a memoria; hai il potere di liberarmi la mente ed è a questo ciò a cui serve un buon libro. 
"Fin dall'inizio, potrei quasi dire dal primo istante in cui vi ho conosciuto, il vostro comportamento, dandomi la completa certezza della vostra arroganza, della vostra presunzione e del vostro egoistico disprezzo per i sentimenti..." 
-Pagina 189 riga...13- mi sento dire da qualcuno, il libro mi sfugge dalle mani per lo spavento. Lead Corw, lupus in fabula...
Prima di rispondere mi rendo conto che ho passato due orette abbondanti a leggere...e che, adesso che ci penso mi fa male la pancia e ho la nausea.
-Allora?- mi sollecita -Devo forse pensare che non lo sai?- mi provoca.
-Divertente, davvero. Spero un giorno capirà che il proposito dei libri è diverso dal semplice memorizzare ogni singola parola- gli spiego paziente.
-Qualcuno si è svegliato male...- dice antipatico mentre, senza preavviso decide di controllarmi i punti. Sobbalzo quando sento le sue mani fredde sulla pelle ma rimango in silenzio.
-Hai preso le medicine?- mi chiede continuando ad osservare la medicazione.
-Si...le medicine dimezzate...- butto lì, suonando un po' polemica
-Cara e simpatica ragazzina- dice lui sospirando sarcastico -vuoi proprio che passi la mia vita a parlare di ovvietà- continua col suo teatrino - e va bene: che cosa indosso io?- mi chiede 
Io ci penso un attimo: -una faccia da schiaffi?- gli chiedo innocente, forse osando un po' troppo tanto che, prima di dargli la possibilità di riprendermi, mi affretto a rispondere correttamente:
-Un...camice bianco?- 
-Esatto!- dice fingendo entusiasmo -Il che ci porta direttamente alla prossima domanda- continua staccando gli occhi dal mio addome per portarli sul mio viso -chi è il dottore qui? L'unico che ha la facoltà di prendere decisioni riguardanti le medicine?- 
-Lei- borbotto sconfitta.
-Bene- dice lui alzandosi. 
La nausea è sempre più forte.
-Ehi!- lo richiamo stridula -Le dispiacerebbe avvicinarmi quella scodella- gli dico indicando quella che sta ai piedi del mio letto.
-Se mi prometti di non fare più domande...- dice prendendola e rigirandosela tra le mani
Io lo guardo con odio: 
-Senta. Sto per rimettere tutta la roba che mi avete dato da mangiare qui: non è un bello spettacolo  di per se, figurarsi vomitata!- gli intimo.
-Il vomito non mi infastidisce- continua lui testardo. Da qualche parte nel modo questa è considerata tortura -Prometti, ti ho in pugno- dice duro. 
-Mai...- sento salire il conato e prima che possa sporcare tutto lui mi è sotto la bocca con la scodella. Mentre mi si contorce lo stomaco, lo sento prendermi i capelli con delicatezza e tenerli fino a quando non ho finito, corre a prendere un fazzoletto per farmi pulire, si libera della scodella e torna accanto al mio letto con un'aria colpevole.
-Mi...dispiace- dice con fatica -È un effetto collaterale della sospensione improvvisa delle tue medicine e...- prende un gran respiro -mi dispiace anche per la scodella: non sono stato professionale- è sinceramente vergognato.
Ma bene...
-La perdono- dico improvvisamente e lui sembra sollevato -ma ad una condizione- aggiungo e lo vedo strabuzzare gli occhi, non se lo aspettava di certo. Prendi questa Crow!
-Quale?- tocca stavolta a lui chiedere per accontentarmi.
-Risponderà a tutte le mie domande. Tutte- gli rispondo -un bell'incubo non trova?- Crow sembra senza parole ma, come sempre, è solo un'apparenza:
-E se non accettassi- mi sfida -cosa potresti mai fare?- dice prendendomi in giro
-La sua condotta non professionale sarebbe davvero interessante alle orecchie del direttore non crede? In più non sono certo l'unica a cui non va a genio, non dovrei faticare a trovare altri-
-Ho capito! Ho capito! Va bene- mi interrompe brusco guardandomi male.
-A quanto pare abbiamo un accordo- continuo a punzecchiarlo -che intendo sfruttare da subito- gli faccio sapere. Lui si muove subito, prendendo una delle sedie nella stanza portandola accanto al mio letto. Ci si siede sopra comodo.
-Cosa sta facendo?- gli chiedo allarmata. Lui mi lancia un'occhiata come a dire "stai scherzando vero?" 
-Mi metto comodo- risponde accavallando le gambe.
-Questo lo vedo...- dico osservandolo: ha un sorrisetto stampato in faccia 
-Stai per iniziare a fare delle domande che, molto probabilmente saranno in numero infinito, ho accettato- si interrompe per fare una risata amara -anzi, sono stato costretto ad accettare un patto- e mi lancia uno sguardo accusatore -quindi avanti- ribadisce anche con un gesto elegante della mano -però se muore qualcuno nel frattempo, perché mi hai trattenuto, ritieniti responsabile- mi avverte.
-Non morirà nessuno: è pieno di medici qua dentro- puntualizzo.  
-La domanda- dice lui ricordandomi il motivo per cui l'ho trattenuto
-Bene. Si...continuerò a star male? Cioè a vomitare e a sentir dolore?- gli domando
-No, è una situazione temporanea: quando il tuo corpo si abituerà starai meglio. La prossima- dice veloce; faccio quasi fatica a stargli dietro e lui non sembra molto in vena di darmi spiegazioni dettagliate.
-Posso chiamarla Lear?- gli chiedo allora cambiando rotta
-Credevo avessimo già appurato di no- mi risponde scocciato
-Già- dico e distolgo per un attimo lo sguardo facendo finta di riflettere -beh, Lear non ho altre domande per adesso- gli riferisco per congedarlo. Lui storce il naso al suono del suo nome.
-Incredibile: sua altezza mi fa andar via in così poco tempo!- finge di esultare -Vedi di prepararti: ti trasferiscono...a più tardi...possibile- dice andandosene palesemente infastidito.
-Ciao Lear- dico ormai a me stessa...

Non passa nemmeno mezz'ora che due infermiere si presentano con una carrozzella; non le conosco ma una inizia a raccogliere i miei libri e a portarli in mano.
-Ci trasferiamo- mi dice una di loro avvicinandosi per aiutarmi ad alzarmi per adagiarmi sulla carrozzella. Faccio appena in tempo ad afferrare il cellulare e sono già in corridoio; mentre sfilo per l'ospedale riesco, grazie alle grandi vetrate che fungono da separazione dei letti dal caos esterno, a vedere nelle altre camere: ci sono davvero tanti altri pazienti come me, che lottano. Alcuni circondati dalla famiglia, altri soli a fissare il soffitto. La cosa che mi colpisce di più però è che statisticamente ci saranno almeno altre 5 persone in questo posto in attesa di un trapianto di fegato. 
E se uno di loro lo ricevesse prima di me?
Con la mente appannata da questo pensiero, scorro altre due camere e, in una di esse vedo Crow, intento a scrivere sulla cartella. È sempre lui, con i capelli che gli ricadono sul viso e lo sguardo concentrato. È sempre in disparte mentre accanto al letto si consuma la tristezza. Sembra...fuori posto. 
Le infermiere si fermano poco più avanti, una di loro mi si para davanti per aprire la porta scorrevole. Noto subito un'altra persona sull'altro letto che dovrebbe essere il mio compagno di stanza. Quando mi adagiano sul letto riesco ad averne una migliore visuale: ci guarda sospettoso, è un uomo anziano: ha gli occhi quasi serrati e attenti, io lo osservo un po' intimorita.
 -Ecco qua- mi dice un'infermiera aiutandomi con le coperte -qui c'è un pulsante: chiama se hai bisogno- me lo indica. Entrambe si congedano e io mi giro verso il mio nuovo "compagno" e gli sorrido timidamente:
-Salve- gli dico gentile -sono...sono Max, piacere- continuo nervosa offrendogli la mano. Lui mi fa un sorriso.
-Vedi Max nelle condizioni in cui sono non posso proprio stringerti la mano- mi dice tenero; quando capisco ciò che intende mi sento uno straccio: per quanto ne so potrebbe essere tetraplegico o fin troppo debole per alzare anche solo un dito.
-Oh mio Dio! Mi scusi tanto- gli dico mortificata. A lui non sembra dar molto fastidio la mia disattenzione anzi, quasi divertito mi sorride:
-È tutto mio il piacere comunque- mi offre -ma preferirei tu non fossi qui- mi gela all'improvviso. Io lo guardo imbarazzata, non volevo certo essere di fastidio e, ad essere sinceri sono la persona meno fastidiosa del mondo. Sono piccata dalle sue parole, sembra che in questo ospedale mi odino tutti!
-Nessuno alla tua età dovrebbe essere qui- sento dirlo dolce.
Quindi è per questo! La sua frase mi fa voltare verso di lui. Lo guardo riconoscente: lui è il primo dopo tempo a farmi sorridere calorosamente e, non so perché, so che saremo amici. Sempre che la morte non ci separi ancora prima di sapere il nome l'uno dell'altra. Non dovrei fare di questi pensieri, devo distrarmi:
-Grazie. E lei è?- gli chiedo sperando in una sua risposta. Mi manca parlare con persone nuove; le uniche conversazioni che mi sono permessa in questo periodo sono quelle con i miei genitori,  Molly e Crow le cui discussioni sono talmente sottili da stancarmi più di quanto facciano le medicine.
-Il mio nome è John- sembra felice anche lui di avere qualcuno con cui parlare. Chissà da quanto è qui...
-John- ripeto -bel nome! Come il paziente x, John Doe- vedo il suo sguardo smarrito così mi affretto a dargli una delucidazione: -sa, il nome che danno a tutti quei pazienti di cui non si conosce l'identità o che non hanno memoria di se stessi ma...- dico divertita -è una stupidaggine anzi, mi scusi: quasi tutti si chiamano John da queste parti. E mi scusi per le situazioni terribili che ho elencato- gli dico mortificata e in imbarazzo. Lui ride di gusto.
-Cara Max, non mi divertivo così da tanto- faccio quasi fatica a capirlo sotto l'eco delle sue risate 
-dammi del tu però- io annuisco ancora piena di vergogna -e non preoccuparti: non sei stata fuori luogo anzi, puoi dire di aver insegnato una cosa nuova ad un uomo navigato come me- dice lui tirandomi su di morale. 
-La ring- ma penso alla sua richiesta -Ti ringrazio ancora- gli dico.
-Max Stone?- chiede un'infermiera passando di sfuggita
-Si, sono io- le rispondo
-Ci sono i tuoi genitori, stanno arrivando- mi sorride scomparendo. Cavolo, devono essere già le sei. Stamattina ci siamo messi d'accordo che avrebbero cenato qua con me così, sarebbero potuti andare a lavorare: era fondamentale che lo facessero. Mio padre aveva una lunga carriera ma, se non difendi pesci grossi fare l'avvocato è solo una grossa fregatura, mamma ha trovato lavoro come operaia dopo aver capito che un solo stipendio non bastava per coprire tutte le spese mediche. E ringraziando il cielo avevo un'assicurazione. 
-Ciao Max- sospira mia madre entrando. Sembra che non ci vediamo da anni. 
-Mamma, papà. Questo è John. Non John Doe- dico guardandolo con complicità -è il mio nuovo compagno di stanza- li informo.
-Molto piacere signore- nessuno dei due prova a stringergli la mano non per maleducazione ma perché sono fin troppo intenti ad osservare me, per vedere se qualcosa è cambiato, se sto male...
-Come stai?- mi chiedono infatti subito dopo
-Bene. Stamattina ho avuto un po' di nausea...per le pasticche-
-Si ci hanno detto già tutto- mi dice mia madre -se devo dirvi la verità- continua guardandoci -non mi fido per niente di quel dottore. È uno...uno sbruffone!- "già mamma, grande insulto" penso sorridendo.
-È un bravo dottore!- dico con troppa foga -Cioè tutti dicono sia bravissimo...- aggiusto la mia veemenza di prima.
-Ho sentito ma...lo stesso. È strano- beh su questo non può che trovarmi d'accordo.
Sento di dover sviare il discorso:
-Mamma credo che fareste meglio a prendere la cena adesso. Dopo sarà pieno e dovrete stare lì le ore- 
-Oh è vero!  Clark caro, ti ricordi l'ultima volta?- la vedo voltarsi verso mio padre muovendo i suoi capelli biondi. Un tempo sembravano puro oro, ora non ha il tempo di curarli...un altro effetto indesiderato della malattia.
-Benissimo- sbuffa papà -la fila più lunga della mia vita. Nostra figlia ha ragione- si avvia facendole segno di seguirla -faremo in un secondo- mi dice -Clair, vieni per favore? Mi serve una mano con i vassoi- mamma mi stringe un secondo la mano poi lo segue; quando sono entrambi fuori sento di dover delle spiegazioni a John:
-Li scusi se sembrano indisponenti. Non lo sono veramente, sono solo...-
-Preoccupati, con un peso sul cuore tanto grande da non farli pensare che a questo?- completa il mio pensiero. Conosce talmente a fondo la sensazione che mi chiedo se non ci sia passato lui stesso...
Annuisco alla sua intuizione -e scusali anche se, rimanendo qui stanotte, ti sveglieranno con le loro corali di preghiere- lui mi sorride stavolta con un velo di tristezza e rimaniamo in silenzio.
-Le ha già riempito la testa con discorsi inutili?- la sua voce spezza il silenzio, entra facendo un gran baccano.
-Piacere, sono il dottor Crow- dice avvicinandosi a John con un sorriso professionale. 
-Ragazzina- dice per attirare la mia attenzione -queste le devi prendere adesso, non farmi perdere tempo che ne ho poco e devo vedere se ti danno degli effetti negativi- è sempre così perentorio.
John sembra infastidito dal modo in cui mi tratta e lo vedo tentennare per decidere se sia il caso di intervenire. Mi dispiace Jo, questa è una cosa tra me e lui.
-E se mi avesse dato delle pasticche avvelenate?- gli chiedo scherzando inghiottendole
-C'è sempre questa possibilità- mi risponde senza guardarmi, sbatte il piede per terra impaziente.
-Entro quando sarò fuori pericolo?- 
-Per quanto riguarda le medicine...ora. Per quanto riguarda me se non smetti di parlare, mai- mi dice passandomi un bicchiere d'acqua quando vede che cerco di afferrarlo.
-Perfetto- dico dopo aver preso un lungo sorso -posso sapere cosa sono?-
-Per combattere la nausea. Non se ne trovano altre con lo stesso principio in questo stato , faresti meglio a fartele andare bene- dice guardandosi in giro nervosamente.
-Ah Lear! Ci sono i tuoi amici stasera- dico indicandogli le giacche dei miei, lui segue il mio dito e sbuffa cominciando a scrivere sulla mia cartella. Solo ora noto il modo particolare che ha di tenere la penna.
-Cerca di non vomitare più- mi dice.
-Non preoccuparti: sto meglio, nessuna infermiera dovrà occuparsi di ripulire stanotte: potrai averle tutte per te- lo rassicurò.
-Ci conto!- alza la voce per farsi sentire quando è ormai uscito.
Io sorrido come un ebete.
-Incredibile- sento dire da John. Oh già c'è anche lui...
-Stavo per racimolare tutte le mie forze per alzarmi e dargli un pugno ben assestato- inizia a dirmi, ma non capisco dove voglia arrivare: quella presuppongo sia la reazione che hanno tutti!
-Poi alla fine ho capito che sei fortunata: quell'uomo ci tiene molto a te- mi dice annuendo.
Io lo fisso dopodiché scoppio a ridere. Rido per minuti.
-Lui- altra risata -tenere a me?!- soffoco le parole incredula -John questa è davvero bella. Quasi, anzi decisamente meglio di quella su John Doe.-
-Max, mia giovane e stolta amica- mi fa bloccare il suo tono serio -i tuoi occhi sono troppo immaturi per vedere al di là, ma dai retta ad uno che dell'amore ha vissuto per tutta la vita- 
-Lei crede davvero...ma, lo ha visto anche lei come mi ha trattata- mi oppongo 
-Pensaci!- mi sprona con la voce roca -Quante volte si è assicurato che tu non avessi più la nausea: elimina il tono e il modo in cui te lo ha detto, pensa e dimmi: quante?- 
Mi giro spaesata. Penso e ripenso alla nostra conversazione...
E se a Lear Crow importasse davvero di me, se lui si fosse accorto che esisto a me cosa cambia? 
Non mi interessa. Forse si ma non è questo il punto. 
Non...dovrebbe interessarmi. È sbagliato...stare qui mi farà impazzire eppure, sperare che lui pensi a me e che mi consideri mi fa riempire il cuore di quella vita, di quella vigoria che avevo perso. E ora che l'ho ritrovata non posso perderla.


Autrice: Spero vi piaccia il capitolo, come sempre i ringraziamenti per chi segue e recensisce: mi scalda sempre il cuore sapere cosa ne pensate di questa storia.
A presto, Lovingit.

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Capitolo 5
*** Closer ***


-Quindi domani arriva Molly- dico cercando conferma. I miei sono tornati da poco in camera e stanno mangiando velocemente con i vassoi sulle gambe; mamma inghiottisce in fretta annuendo, si pulisce la bocca e mi rassicura: -Si. Mi sono già messa d'accordo con sua madre: resteranno qua tre giorni- oh...quindi meno del previsto -sono così contenta che venga- dice felice continuando -forse più di te- io la guardo scherzosamente male -davvero! Finalmente rivedrò la mia Max con una sua coetanea- continua sognante. Io le sorrido distrattamente...ha ragione.
Si pensa sempre che quando uno scopre di non essere in perfetta salute tutti faranno a gara per far vedere quanto ci tengono a te, quanto possano aiutarti; per quello che mi riguarda, dopo poco tempo avevo già capito che molti mi stavano accanto solo per puro egoismo: per sentirsi utili a qualcuno e, quando le cose si sono fatte complicate e la mia condizione si è aggravata, ho avuto la conferma vedendoli scappare uno ad uno: amici e persino familiari. In ogni caso, non li biasimo. Sul serio, li comprendo perché forse lo avrei fatto anche io. La paura non la puoi controllare, l'impotenza di fronte al corso di una malattia nemmeno e noi siamo esseri umani...siamo fatti di carne no? È così che diciamo per giustificarci...
Dall'esperienza dell'abbandono però, una cosa l'ho imparata: se qualcuno mi avesse chiesto "cos'è l'amore?" due...tre anni fa avrei riso nervosamente e, dopo averci pensato inutilmente avrei risposto con un banale "quando due persone si completano". Ero cieca.
Quello era l'amore ideale dei miei libri, quello che alla fine, comunque, trionferà. Troppo bello per essere vero.
La risposta giusta è un'altra. L'amore è quando si resta. Quando nonostante qualunque cosa, chiunque, qualsiasi avversità o conflitto c'è una forza che non ti fa scappare, che ti riporta indietro anche se significa soffrire. È l'amore dei genitori, di un fidanzato che mi posso solo sognare, di un animale persino e degli amici...quelli veri. Quelli come Molly. 
Perciò si:
-Anche io sono felicissima- dico dando voce ai miei pensieri, con un sorriso soddisfatto. Non tutti possiedono il privilegio di una tale amicizia. E non tutti quello di avere due genitori come i miei.
Mi ricordo quando, facendo delle analisi per trovare una veloce situazione al mio problema, avevano scoperto che, se ne avessi avuto il bisogno, non avrebbero potuto donarmi parte del loro fegato. È stato uno dei momenti più bui: una madre e un padre che non possono aiutare un figlio. Chiesero ai parenti: tre dei miei nonni erano morti e la quarta era talmente malata che nessun chirurgo sano di mente l'avrebbe operata. Così chiesero anche a quelli più lontani se fossero stati disponibili ad aiutarmi. Me li ricordo quando mi facevano un sorriso e mi dicevano che purtroppo nemmeno loro erano compatibili. Io non ci ho mai creduto: ho fatto le mie ricerche e, a meno che io non sia stata adottata, era matematicamente impossibile. Sospetto invece che gli avessero chiuso la porta in faccia. 
Che posso dire...l'amore è tutto ciò che mi resta.
Non mi accorgo di essere stanca finché non faccio un inconsapevole, sonoro sbadiglio.
-Ehi- dice mio padre -se sei stanca dormi: non ti daremo fastidio- è sempre così attento a come sto.
-Grazie, si...in effetti sono stanca- in realtà non lo sono più di tanto, ma chi non ha mai avuto quella voglia di dormire così che sembrasse che il giorno dopo arrivi  più velocemente? Ero sicura che vedere Molly mi avrebbe aiutata. 
-Domattina probabilmente ce ne andremo prima che tu ti svegli, torneremo dopo pranzo con Molly- mi dice papà dandomi un bacio sulla fronte -buonanotte tesoro- mi dice lui. 
-Buonanotte papà, mamma...- dico senza rendermi conto che ha chiuso gli occhi e che sta pregando silenziosamente. Sembra lo faccia talmente tante volte quante sbatte le ciglia e, in certi momenti vorrei si concentrasse più su di me. 
-Buonanotte John- dico allora rivolgendomi al mio anziano compagno con un sorriso.
-Buonanotte Max- ricambia lui caloroso.
Sistemo il cuscino e le coperte, faccio in tempo a vedere mio padre asciugarsi un occhio e poi il buio. 
 
Mi sveglio con dei rumori fastidiosi; non c'è molta luce nella stanza quindi dovrebbe essere presto. Apro e chiudo pesantemente gli occhi più volte e mi giro dall'altro lato cercando di individuare da dove provengano. Mi rendo conto che due infermiere stanno controllando John e lo stanno preparando per un'iniezione, lui sembra tranquillo e, quando mi nota ad osservarlo mi sorride:
-Buongiorno Max- mi dice felice -scusa se ti abbiamo svegliato- fa scusandosi anche per le infermiere che mi lanciano un'occhiata. 
-Non preoccuparti, se è un caso di vita o di morte posso anche perdonarti- gli dico scherzosa suscitando in lui una calda risata come quella della giornata prima.
-Signor Roth si sdrai per favore- gli dice una delle infermiere, lui cerca il mio sguardo si porta la mano tesa alla fronte come se stesse dicendo "agli ordini". Io mi giro: le siringhe non sono sempre state il mio forte, non direi di averne paura da scappare a gambe levate, ne ho una antipatia profonda, soprattutto dopo che un novellino tempo fa cercandomi una vena, "scavando" più volte, mi ha fatto venire un ematoma che mi sono tenuta per una settimana.
A proposito di gente distratta...finalmente oggi rivedrò la mia amica. In un moto di vitalità, mi rialzo velocemente notando però, nel farlo, una debolezza mai provata prima. Stare sempre sdraiata in un letto non è certo di aiuto. Leggo l'ora sul mio cellulare; con grande disappunto noto che sono solo le 7 di mattina e questo può voler dire che devo aspettare ancora...7 ore per riabbracciarla. 
-Cara, ci dispiace averti svegliata...- mi dice sottovoce un'infermiera -ti conviene dormire, a quest'ora non c'è nessuno...-mi informa. Quindi i corridoi sono relativamente vuoti? Gli occhi mi si illuminano e prendo la palla al balzo:
-Crede che- inizio timida -crede che io...- continuo poi, prendendo coraggio le domandò diretta:
-Potrei alzarmi? Intendo fare una passeggiata, per quanto possibile. Mi si stanno afflosciando i muscoli a star sempre qui!- La imploro ricordando la sensazione appena svegliata. Lei scambia un'occhiata di intesa con l'altra infermiera poi mi sorride:
-Certo. Muoverti un po' ti farà bene- è incredibile come il semplice potermi alzare mi renda così felice -se aspetti dieci minuti arriva qualcuno che ti può accompagnare- 
-No!- dico un po' troppo velocemente -Intendo...non sono in pericolo di vita, adesso. Non ho bisogno di una sorveglianza continua: sono qui solo per essere sempre "disponibile"- dico anche se lei sa benissimo di cosa parlo -quindi...mi piacerebbe esser da sola: c'è qualcuno ad ogni angolo se mai avessi bisogno- cerco di convincerla, lei sospira:
-E va bene...aspetta che ti aiuto- mi scopre e mi va a prendere delle ciabatte. Io prima mi siedo all'orlo del letto, poi con una lentezza eclatante infilo i piedi nelle ciabatte e ci appoggio tutto il mio peso alzandomi. Certo, mi sono alzata altre volte per andare in bagno ma, ogni volta sembra che non cammini da giorni. Mi stabilizzo, sorrido alle due donne e a John mentre afferro il trabiccolo della flebo per trascinarmelo dietro. Quando sono fuori dalla stanza anche l'aria mi sembra diversa, a confronto sembra aria di montagna. Piano piano riprendo a camminare con un passo costante, non troppo veloce per via dei punti. Effettivamente non c'è quasi nessuno, gli altri pazienti dormono e i dottori si staranno riposando da qualche parte. Mi siedo in una delle tante sedie disposte in corridoio, fa un po' freddo e...
Vedo un' ombra in lontananza, non mi è ben chiaro chi sia. Sembra...sembra...Crow! È incredibile ma pare che io sia destinata ad incontrarlo sempre. Sembra quasi che una forza maggiore mi muova quando decido di alzarmi ed affrettarmi per seguirlo. L'ho perso di vista ma sono sicura abbia preso le scale. Ci metto una vita a scendere, per evitare problemi alla medicazione e mi ritrovo al piano del pronto soccorso. Curioso dentro ogni stanza e, quasi in fondo, trovo una porta socchiusa e lui all'interno, seduto su uno sgabello che compila un foglio. Busso leggermente.
-Avanti, si accomodi- dice senza staccare gli occhi da ciò che sta facendo, riesco perfino a trasportare dentro la flebo senza che si accorga di nulla. Mi siedo sulla brandina e attendo paziente.
-Un attimo- dice lui mentre muovo le gambe a ritmo. Lui gira di scatto e, quando alza il viso, gli serve un attimo per mettermi bene a fuoco.
-Tu- dice esasperato.
-Io- gli confermo.
-Cosa diavolo ci fai qui?- mi domanda portandosi una mano al fianco.
-Ehi! Non ti è stato detto che non si usa la parola diavolo?- lo prendo in giro fingendo indignazione -È irrispettoso soprattutto se- 
-Smettila- mi interrompe brusco alzandosi -ti ho fatto una domanda- 
-Oh già: mi hanno svegliata, mi annoiavo e mi facevano male le gambe così ho chiesto se potessi andare a fare una passeggiata ed eccomi qui- dico battendo le mani.
-Sei venuta qui a piedi?! Hai dei punti e sei debole!- mi dice indignato: sembra che gli si sia acceso un fuoco dentro.
-Si?- gli dico tentennando io.
-Idiota- sospira muovendosi nervoso.
-Altra parola che non dovresti dirmi- 
-Non mi riferivo a te: non se abbastanza importante. Dicevo a chi ti ha dato il permesso di farlo- spiega sedendosi ancora una volta sullo sgabello. È strano come una persona tanto antipatica possa essere così bella...oppure la bellezza gli è stata donata per compensare il carattere...
-In ogni caso devi andartene: questo è un pronto soccorso, accettiamo persone ferite o che si sentono male- 
-Ma io sono ferita. E sto male. Vuoi forse cacciarmi?- gli dico innocentemente. Per l'ennesima volta ce l'ho in pugno e lo sa anche lui perché sospira e si passa la mano sugli occhi.
-Oggi arriva la mia amica Molly- gli faccio sapere.
-Oh ti prego dimmi di più!- mi incita palesemente scocciato.
-Bene: è strana. Molto. A te probabilmente non piacerà ma, d'altronde, chi ti piace?- domando retorica.
-Ragazzina. Non sono il tuo dannato diario!- è al limite e, non capisco perché, ma continua a riportare lo sguardo sulla mia pancia.
-Lo so benissimo- inizio ma mi interrompe ancora: 
-e allora smettila di assillarmi con i tuoi discorsi da adolescente e torna in camera! Ora!- dice perentorio.
-Perché continua a seguirmi se le sto tanto antipatica?- gli chiedo diretta cambiando discorso. 
-Perché è il mio dovere. Ciò che non è mio dovere è starti a sentire- puntualizza.
-Io sono così però. Quindi avanti- mi alzo per fronteggiarlo -so che lo può fare. Molli tutto. Chieda ad un altro medico di prendersi cura di me!- lo sfido. Crow sembra indeciso poi si alza anche lui.
-Non sono un tipo che molla!- dice avvicinandosi pericolosamente.
-Non perde niente!- alzo la voce -Resterà tra me e lei, potrà perfino dire che sono io che non la voglio- gli propongo
-Ti ho detto che non ho intenzione di farlo, ora, però- altra occhiata alla pancia- torna in camera tua- sibila nervoso. 
-No- mi impunto. So di apparirgli ancora più infantile ma non posso evitarlo.
-Torna. O giuro che ti prendo in braccio e ti ci riporto di peso- mi minaccia. Ormai siamo vicinissimi.
-E se stessi qui in silenzio?- gli propongo -Non darei fastidio, no?- 
-Non ci sono condizioni. Devi tornare in camera tua- dice senza possibilità di replica.
-Se non sono io allora cosa ti da fastidio? La mia sola presenza, il fatto che-
-Il fatto che tu stia qui con il rischio che ti si apra la ferita o peggio che prendi infezioni! Il fatto che non capisci che nonostante tutto tu devi rimanere in salute il più possibile!- sta urlando e, mi accorgo che ormai ci tocchiamo con il corpo per quanto ci siamo avvicinati. Avvampo all'idea. Ecco perché mi guardava insistentemente l'addome: per vedere se iniziassi a sanguinare.
-Quindi ho sbagliato tutto- dico fissandolo -non è odio, anzi. Lei è preoccupato. Si preoccupa per me- faccio come se lo avessi incastrato ad un processo. Stranamente lui non smentisce ma continua a tenere gli occhi incollati ai miei.
-Allora l'infermiera aveva detto la verità sulla sua litigata con il direttore per me- continuo ma stavolta si difende:
-Le infermiere dovrebbero imparare a tacere- interrompe.
Io lo guardo ancora, lo osservo in ogni suo minimo dettaglio: la barba scura appena accennata,e ciglia lunghe, delle piccole rughe sulla fronte probabilmente dovute al suo cruccio perenne e la sua bocca. Rosea e carnosa, ci sposto gli occhi senza ritegno. Lui non si muove...sembra quasi avvicinarsi...
-Dottor- esordisce un'infermiera alla porta -oh...- tossicchia -scusate- noi ci guardiamo e ci stanchiamo subito come se avessimo preso la scossa.
-Mi dica- fa professionale lui.
La ragazza sembra scioccata -c'è un signore: dice di avere mal di pancia da giorni...-
-Lo faccia entrare- ordina veloce e lei scompare per andarlo a chiamare.
Rimaniamo in silenzio poi lui lo spezza:
-Fai conto che non sia successo nulla- mi dice secco 
-Perché è successo qualcosa?- gli chiedo innocente ma arrabbiata. 
Me ne vado in silenzio ma prima lo osservo un ultima volta: ha lo sguardo perso. 

-Allora come è andata?- mi domanda John dopo pranzo. Io lo guardo interrogativa.
-La tua passeggiata, stamattina. Quando sei rientrata mi ero già addormentato e non ho potuto chiedertelo- mi spiega.
-Già- dico ricordandomene -è...andata bene- sorrido mentendo -mi ci voleva proprio- 
-Beh ne sono felice...quando hai detto che arriva la tua amica?- chiede.
-Tra un'oretta, credo- so anche i minuti esatti ma dirli penso mi farebbe sembrare una vera pazza -vedrai: ti starà simpatica- 
-Ne sono sicuro- mi dice lui con un sorriso.
-Qualcuno ha ordinato del fegato?- urla. È qui. Lei è qui in anticipo! Mi giro e la vedo sulla soglia: non è cambiata di una virgola. Stessi capelli rossi sistemati in un taglio improbabile, i suoi piccoli occhi neri vispi...non riesco a contenere un sorriso a trentadue denti.
-Io, cameriera- le dico stando al gioco tra le risate mente lei entra con il vassoio, lo appoggia velocemente e corre a stritolarmi in un abbraccio.
-Sono così contenta di vederti- mi dice.
-Anche io, non sai quanto- sono quasi commossa.
-Mi dispiace: i fegati umani non li commerciano quindi dovrai accontentarti di questo- dice indicando il piatto con quello che sembra essere fegato d'oca.
-È disgustoso- dico ridendo, lei lo osserva.
-Hai ragione. Lo è davvero- concorda unendosi alla risata. Sento che anche John sta ridacchiando.
-John questa è la mia amica Molly- dico indicandola -Molly, questo è il mio nuovo amico John- li presento.
-Piacere Molly- dice lui.
-Il piacere è tutto mio signor John- gli dice lei gentile poi si rivolge a me:
-allora! Dimmi tutto. Ogni cosa!- mi ordina. Io annuisco.
Le racconto ogni cosa, dalla biopsia al fatto che sia nella lista trapianti,e racconto perfino cosa ho mangiato ad ogni pasto. Le dico dei miei che sono ancora gli stessi rigidi ma amorevoli genitori.
-Spero non ti opprimano troppo- mi dice lei. Io non le rispondo, direi che il loro comportamento è...ok. Credo. 
Stiamo quasi un'ora a parlare. Lei poi inizia a raccontarmi della nuova scuola e di come tutti i suoi compagni siano fin troppo noiosi per essere anche solo considerati. 
Ho conosciuto un ragazzo- spara poi. Io strabuzzo gli occhi:
-Oh mio Dio! Ora sei tu a dovermi raccontare tutto!- e lei lo fa. Mi dice che si chiama Cameron, ha un anno in più di lei e l'ha già portata fuori un paio di volte. Sono felice per lei ma non posso evitare di provare un po' di invidia e so che non dovrei ma è più forte di me.
Insomma, parliamo di tutto tranne che di lui. Ci siamo sempre dette tutte ma, soprattutto dopo la nostra discussione di prima, ho deciso di evitare di parlarne: come se non esistesse. 
-Ah- mi distrae Molly -tranquilla: sono passati a salutarti anche i tuoi solo che mi hanno detto che sarebbero rimasti fuori per darci un po' di tempo assieme- dice sorridendomi.
Io mi guardo in giro:
-John scusaci se ti abbiamo tediato con le nostre chiacchiere da adolescenti- gli dico.
-Oh ma figurati Max: mi piace risentire quelli che erano i miei discorsi...40 anni fa- dice ridacchiando.
-Ehi ragazze, John- dice mio padre entrando assieme alla mamma -Max, lascia andare Molly: ha nemmeno portato le valigie a casa- mi fa sapere lui, io la guardo con rimprovero ma felice del fatto che sia corsa da me. 
-E va bene- dice lei -credo che dovrò assentarmi per un po'...sono anche stanca- mi dice -tanti ci rivediamo stasera- conclude sorridendo.
-Devi. Devi riposarti, io starò bene- la rassicuro.
-Ci vediamo stasera Max- dice mia madre -dobbiamo andare a lavorare- conclude con lo sguardo triste. 
-D'accordo. Tranquilli- sorrido e li saluto uno ad uno con un abbraccio -a stasera- dico quando ormai sono usciti. Molly torna velocemente indietro per lanciarmi un bacio, mi fa ridere. 
-Allora che è successo?- dice improvvisamente John, io lo guardo interrogativa.
-Nulla...?- dico incerta.
-No, intendo prima: deve essere successo qualcosa. Sembri felice e forse sto sbagliando tutto ma...non lo sei completamente- 
-Io...- tentenno, forse ha ragione ma... -come fai a dirlo?- gli chiedo interessata. Lui guarda avanti a se poi dopo una lunga pausa inizia a parlare: 
-Io...ho un figlio. Mark. Fino ai quindici anni si poteva definire il figlio perfetto: ottimi voti, comportamento ineccepibile poi ha conosciuto dei ragazzi. Nel quartiere ne parlavano tutti male ma Mark mi rassicurava mi diceva "tranquillo papà io non mi faccio influenzare". Una sera è tornato a casa ubriaco: io ero sconvolto, non me lo aspettavo. Decisi di metterlo in punizione e da lì è crollato tutto. Bere era diventato un'abitudine. Provai tante volte ad aiutarlo...con le buone, con le cattive. Lui mi ripeteva che era felice così ma lo vedevo dal suo sguardo che non lo era. Quindi ecco perché lo so...ho fatto esperienza- mi dice. Io sono intenta a guardarlo e, senza rendermene conto una lacrima mi scivola sulla guancia. Non posso fare a meno di chiederglielo: 
-Lui- mi asciugo la lacrima -lui dov'è adesso?- 
-Non lo so- mi dice sospirando -non lo so...dopo la nostra ennesima litigata è scappato e non l'ho più sentito. Non so nemmeno se sia ancora vivo...- 
-Mi dispiace moltissimo John- gli dico sincera.
-Lo so Max...scusa, non era mia intenzione deprimerti ancora di più- dice sorridendomi.
-No. Non ti preoccupare- lo rassicuro -e...hai ragione- mi interrompo -c'è qualcosa che non va- 
-Che cosa Max?- mi chiede lui interessato.
Io ci penso per un momento e, sincera gli rispondo:
-Credo che...credo che mi piaccia fin troppo stare o parlare con una persona e...non posso permettermi di esserne coinvolta perché c'è già la malattia e...- dico nervosa. 
-Max, aspetta; prima che tu possa pensare a mille altre cose posso farti una domanda?- 
-Certo- 
-Se c'è qualcosa che ti fa stare bene, che ti tiene occupata la mente o...il cuore- dice con un sorriso che mi fa imbarazzare -perché rinunciarvi?- 


Autrice: Ringrazio chi ha recensito e chi segue la storia...ora siete 20! Wow, non ci credo!
Volevo anche precisare che non sono un luminare della medicina ma mi interessa moltissimo (la trovo affascinate) quindi si: ho fatto le miei ricerche (tante) per essere il più veritiera possibile ma, anche io ho dei limiti quindi se mai noterete qualcosa di "strano" vi prego abbiate pietà. 

Un saluto caloroso sperando di sapere cosa ne pensate del capitolo, Lovingit.
Ah...a presto :)  

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Capitolo 6
*** Sentiments ***


Il pomeriggio è un'agonia. John è stato portato via subito dopo che i miei genitori se ne sono andati; quando non l'ho visto tornare, preoccupata, ho chiesto dove fosse. Mi hanno detto che doveva andare a fare una tac e altri esami il cui nome è troppo complicato per me da ricordare e che erano procedure lunghe perciò non tornava da un po'...lui non me lo ha detto espressamente ma sospetto abbia un cancro: le infermiere stanno sempre attente a nascondere con cura la sacca appesa con su scritto "chemio", sospetto per non spaventarmi ma, notare i particolari è sempre stato il mio forte e questo non mi è sfuggito. 
Sono lasciata a me stessa da un bel po' e, purtroppo, se si è soli, nemmeno guardare la tv è interessante perché non hai nessuno con cui commentare certa spazzatura che trasmettono, così, cambio nervosamente canale finché, spazientita, non ne lascio uno a caso e decido di prendere il cellulare. Molly mi ha lasciata poche ore fa e già mi ha scritto diversi messaggi la maggior parte dei quali sono sue immagini buffe di quando disfa le valige. Sorrido al pensiero che starà realmente con me per questi brevi giorni. Lei, sono convita, mi aiuterà anche a non pensare a Crow...già, magari mi aiutasse davvero perché per adesso la sua immagine, il suo viso così vicino al mio, mi fanno ancora uno strano effetto, inoltre, dopo aver ascoltato le parole di John mi sono venuti molti dubbi...ha ragione nel dirmi di vivere tutto ciò che mi succede...
"Max sei un'idiota" mi rimprovero riscuotendomi: non sta succedendo assolutamente nulla! Il vero problema è che nessuno hai mai mostrato del vero interesse per me e, adesso che lo fa lui, seppur lo faccia con "insulti" e dimostrandomi che non mi sopporta, non penso ad altro. 
E poi è il mio medico. Ho letto abbastanza da sapere che le storie impossibili portano solo dolore e, ancora...non c'è nessuna storia!
Per questo non so davvero cosa pensare e non so come comportarmi. Prima o poi lui dovrà farsi vivo e...oh merda. Lui è qui. Lui è qui alla porta e io mi aggiusto nervosa i capelli, mi do una sistemata ma lui non sembra nemmeno vedermi: mi ignora. 
-Ciao- lo sento dire mentre si avvicina; il mento sempre leggermente all'insù.
-Ciao...- sono incerta e confusa quando lo osservo controllare la flebo e i punti. Non parla, non mi prende in giro, non è...lui. Cerco continuamente i suoi occhi per capire che gli sta succedendo. 
"Non gli succede nulla! Non è successo nulla tra noi!" Mi dico e questa è la conferma: era tutto un castello costruito in aria il mio. A lui non interessa Max. Gli interessa la paziente!  
Tossicchio in un ultimo tentativo di ritrovare il mio Crow. Lui mi lancia un'occhiata ma si distrae subito per scrivere su quella dannata cartella. Mi sta facendo infuriare questa indifferenza. Lui non può lasciarmi così!
Quando realizzo ciò a cui sto pensando spalanco gli occhi: non posso reagire come una ragazza lasciata dopo una relazione di anni, questo non è normale!
Sto quasi per strozzarmi con la mia stessa saliva quando sento finalmente la sua voce:
-Hai avuto altre nausee, hai vomitato?- mi domanda serio.
-No...nulla- 
-Bene. Il farmaco funziona, buona giornata- conclude freddo. 
Buona giornata!?
-Corw!- dico d'impulso per fermarlo.
-Si? Hai domande sulla tua condizione o sui medicinali? Ti preoccupa qualcosa?- Dice gentilmente. 
Io lo guardo attonita: la mia mascella deve aver raggiunto il pavimento. Questo non è il mio dottore o perlomeno, non è quello che ho conosciuto io. Eppure eccolo lì, paziente, in attesa che io gli faccia una domanda. Poi lo vedo. 
Un piccolo segno sulla sua guancia: sta digrignando i denti per l'impazienza. Sta recitando! Sta assolutamente recitando. La vera domanda è perché...
-Questo- indico l'aria tra noi -fa parte di un nuovo trattamento? Cos'è, ora si diverte a testare anche la mia psicologia?- Gli chiedo sarcastica.
-Non so di cosa tu stia parlando- continua a mentire. Non lo sopporto più.
-Va bene- alzo le mani in segno di resa -è tutto ordinario quindi. Ho un medico buono ora, che mi ascolta in silenzio e che non mi umilia...interessante- lo prendo in giro per poi tornare all'attacco.     -ha visto la luce? Si è convertito a qualche religione!?- Alzo la voce. Voglio una spiegazione.
-Max- ora usa pure il mio nome -credo tu debba dormire, sei stanca e probabilmente non te ne rendi conto ma stai esagerando- questo. È. Davvero. Incredibile.
-Io non voglio dormire!- Urlo
-Non obbligarmi a darti un tranquillante- dice nervoso guardandosi attorno come un ladro per vedere se qualcuno mi ha sentita.
-E allora la smetta! Qualunque cosa stia cercando di fare sta funzionando solo a farmi diventar matta!- 
-E va bene!- stavolta urla anche lui interrompendomi e avvicinandosi -Volevi un medico gentile e non ti sta bene nemmeno quello!- Quindi sarebbe questa la spiegazione? Un atto gentile nei miei confronti? 
-Non mi faccia ridere per favore- lo sorprendo -farmi un favore è l'ultima delle sue priorità- 
-Veramente non rientra nemmeno tra le priorità- mi suggerisce -e comunque era necessario: non posso permettermi una ragazzina che correrebbe a parlar male di me al direttore alla prima occasione o che mi minaccia di farlo così, ho deciso che apparirti buono e caro sarebbe stata la soluzione migliore- si ferma un attimo -ho tutti gli altri pazienti da maltrattare- dice fiero. 
-Oh grazie per la rassicurazione ma non è nemmeno questo il perché: lei non ha paura- gli ricordo 
-Come fai a dirlo? Non mi consoci e non-
-Lo so perché sembra incapace di provare qualsiasi tipo di sentimento!- dico facendolo azzittire.
Ci guardiamo in cagnesco per un minuto buono.
-Voglio la verità, me la deve visto che col suo comportamento mi ha rovinato una bella giornata- 
-Vedi?!- dice irruente avanzando velocemente vicino a me -È questa la tua spiegazione!- non capisco...
-Sono il tuo medico e non devo avere il potere di cambiare il tuo umore a meno che non ti dia cattive o buone notizie che riguardano la tua salute. Tu sei andata oltre: sei una ragazzina con una cotta per quello che la tratta male. Siete tutte così- dice disgustato -essere il classico medico di cui si legge nei libri è il modo migliore per ricordarti che sei semplicemente una paziente che ha bisogno di cure e nient'altro- conclude quasi rosso in viso.
Non sono mai stata umiliata in questo modo. Non è paragonabile nemmeno a quella volta in cui, quando ero piccola mi sono fatta la pipì addosso a scuola. Questa faceva male. Primo perché ad umiliarmi era stato lui e secondo perché molto probabilmente aveva ragione. Mi paralizza realizzarlo...
-Io...- lo sento dire più calmo -credo di aver esagerato- dice inaspettatamente. Io mi volto a guardarlo ancora sconvolta -sono stanco e...cazzo!- Dice usando per la prima volta una parolaccia. Si passa le mani sul viso stropicciandosi gli occhi. Qualcosa lo tormenta.
-Mi crei solo problemi- sospira fissandomi. 
A questo punto non voglio più saperne nulla di lui, voglio che se ne vada e che non torni più.
-Vattene- lo avverto fregandomene delle formalità e senza nemmeno guardarlo.
-Max senti non- 
-Vattene ho detto- sibilo. Lui è sorpreso dalla mia reazione, rimane in piedi fermo senza muoversi e io crollo. 
-Hai ragione ok?- gli urlo -Volevi sentirtelo dire? Hai fatto centro Crow, sono una stupida ragazzina condizionata dagli ormoni- mi alzo veloce per fronteggiarlo ma rischio di cadere, tanto che lui mi afferra prontamente per ristabilirmi -e lasciami- gli dico scrollando via la sua mano dal mio braccio. Sembra quasi che lo stia spaventando.
-Ma indovina un po'?- lo spintono senza però muoverlo di un centimetro -Un giorno rimpiangerai le stupide cotte che le donne si prendevano per te, quando sarai vecchio e solo perché sei stato talmente stronzo da non riuscire a far avvicinare nessuno!- mi sfogo. 
È immobile e mi guarda con gli occhi strabuzzati ed è livido. Hai fatto centro Max: l'hai ferito. Io, Max Stone ho il potere di ferire Lear Crow.
D'un tratto, non posso fare a meno di fargli una domanda:
-Comportandoti così volevi che prendessi io le distanze da te o eri tu quello che aveva bisogno di allontanarsi?- lo provoco. 
Mi fissa intensamente e poi mi risponde sincero:
-Non lo so- 
Ed io svengo. Letteralmente. 


C'è una roba bagnata sulla mia fronte. La tocco, è molliccia e zuppa, mi fa spaventare e spalanco gli occhi. Sono sdraiata sul letto, nella mia stanza bianca. Mi sovvengono tutti i ricordi, la litigata, la sua confessione e il fatto che sia svenuta, sbatto più volte la palpebre.
-Finalmente- sento un gran sospiro di sollievo accanto a me. La sua voce...
-mio Dio mi hai fatto prendere un infarto- mi recrimina arrabbiato, io sorrido.
-Nominare Dio non ti si addice per niente- gli rispondo -e non ti si addice nemmeno essere preoccupato- 
-Bene vedo che sei perfettamente in te- dice piccato -e per la cronaca: non sono preoccupato-
-Che è successo?- gli domando alzandomi un po' con i gomiti per vederlo, ignorando la sua puntualizzazione. È stranamente pallido.
-Stavamo discutendo e sei svenuta...probabilmente per la febbre- mi risponde
-Ho la febbre?- chiedo spaventata. Da quando ho questa malattia ho imparato che non è mai un buon segno. Lui, infatti, mi guarda mesto e annuisce. Si diffonde troppo in fretta. Troppo in fretta. 
-Non è alta- mi dice cercando un modo non troppo evidente di rassicurarmi. 
-Meglio così...- convengo -senti- mi schiarisco la voce -per prima: mi dispiace. Non dovevo permettermi- lui mi fa un timido sorriso:
-Non farlo- mi ferma -non devi scusarti, eravamo entrambi arrabbiati e- dice sincero -anzi, che ne dici se facciamo che non sia successo nulla?- 
-Quante volte ancora cercherai di annullare tutto ciò che succede?-  
Lui fa una risata amara -sei più intelligente di quanto pensassi- mi fa sapere.
-Oh fantastico quindi ora posso considerarmi all'altezza di un pesce?- domando sarcastica.
-Non ti allargare: pensavo più al livello del plancton- ecco il Lear Crow che conosco. 
-Grazie mille- gli dico scherzosamente indignata ridendo. E anche lui inizia fa una risata discreta che poi diventa fragorosa. Lo osservo in silenzio: se sta cercando di farsi odiare non è certo questo il modo dato che se possibile è ancora più bello. Ha i denti bianchissimi, perfettamente dritti ed un'espressione meravigliosa che non gli ho mai visto. Sorrido ancor di più guardandolo.
-Dottor Crow- sento chiamare, lui si riprende in fretta tossendo per rispondere -Si?- C'è un infermiera in stanza...non l'ho sentita entrare.
-Si sente bene?- la domanda dovremmo farla noi a lei: sembra abbia visto un fantasma. Anzi peggio: ha visto Lear Crow ridere, mi rendo conto.
-Si- risponde lui freddo -benissimo, cosa c'è?- Chiede infastidito.
-Dovrei farle un prelievo di sangue- fa lei timida indicandomi con la testa. 
-Lo faccio io non si preoccupi- quello è un tono che non dà diritto di replica o perlomeno, lei sembra non osare provare a contraddirlo e gli avvicina un tavolino con l'occorrente -Buona giornata- si congeda velocemente uscendo.
-Ti ho mai detto quanto le bolle d'aria siano letali?- chiede Crow all'improvviso senza un apparente motivo.
-No, ma sono sicura saprai illuminarmi- 
-Vedi, se ad una persona si "inietta" dell'aria e non viene soccorsa muore dopo pochi secondi...- mi spiega mettendo assieme i pezzi della siringa che ora tiene in mano come fosse un'arma.
-Ma si vedrebbe nell'autopsia- lo avverto allontanandomi quasi impercettibilmente.
-Nah- dice sedendosi e avvicinando lo sgabello con il suo peso. Mi afferra il braccio e ci lega attorno il laccio -è virtualmente impossibile: in più c'è sempre la carta della causa naturale- mi tampona l'interno dell'avambraccio.
-Beh ti ringrazio per l'idea. Avevo pensato di ucciderti con del veleno ma questa soluzione sembra essere più sicura- scherzo. Lui mi perfora il braccio con l'ago e mi fissa:
-È una questione di tempistica e, a quanto pare, ora,  quello con la siringa in mano sono io- ghigna minaccioso.
-Divertente- dico incolore mentre guardo il sangue defluire nel piccolo tubicino -davvero divertente- lui estrae l'ago e ripone il tutto accuratamente sul tavolino poi guarda di lato e borbotta annoiato:
-Non è possibile- seguo il suo sguardo schifato e noto Molly avvicinarsi. È ancora più strana del solito con i codini alti e i vestiti di mille colori diversi, le faccio un gran sorriso e Crow la fissa inorridito.
-Buon pomeriggio mia cara- esordisce -ho appena utilizzato un mezzo pubblico per essere qui da te prima di stasera- dice buttandosi a peso morto sulla poltrona che c'è nella stanza. So quanto odi gli autobus: pensa sempre che qualcuno le trasmetterà una malattia sconosciuta o che si ribalti.
-Che grande onore- dico felice mentre lei tira fuori un pacchetto di caramelle e le apre rumorosamente. Osserva attentamente Lear e lui ricambia con uno sguardo studioso come se stesse cercando di identificare cos'è. Direi che è arrivato il momento di aiutarli.
-Molly- la richiamo -lui è il mio dottore, Lear Crow- lo indico -Crow, lei è la mia migliore amica Molly- concludo sorridendole.
-È un piacere dottore- fa Molly salutandolo con un gesto della mano, tornando a mangiare i suoi orsetti gommosi. Lui non risponde ma si alza. 
-Dove vai?- sibilo.
-Dove ci sono meno svitati- mi risponde -pensavo non ci fosse limite al peggio- mi indica                   -evidentemente mi sbagliavo- Molly si alza dalla posizione scomposta in cui era, attonita per le parole di Crow. 
-Non credo di aver capito bene- dice -Max cara che diavolo sta dicendo il tuo dottore?- Chiede infuriata.
-No Molly non- lui è in piedi con un fare combattivo -non ascoltarlo, fa sempre così- le chiarisco.
-Fa sempre?- sospira incredula -Fa sempre così?!- ripete. 
-Si- stavolta è lui a rispondere -e ora se volete scusarmi, anzi no: non voglio le vostre scuse- dice pensoso -io me ne vado. Ragazzina- dice guardandomi -altra ragazzina colpita da sindrome del clown. Arrivederci- saluta andandosene.
-Mio Dio Max! Con chi devi avere a che fare?- chiede sconvolta. Non le rispondo e continuo a sorridere come un'ebete fissando lo spazio che ha lasciato vuoto.
-E oh mio Dio al quadrato!- urlicchia -Lui ti piace!- mi accusa saltando a sedere sul letto accanto a me: 
-Non è vero!- mi difendo
-Invece si- dice dandomi un piccolo pizzicotto -ti vedo. Hai lo stesso sguardo di quando ti piaceva lui- già...lui. Ricordarmene mi fa rattristare: non riesco ancora a pensarci senza che il cuore mi si appesantisca di quintali e quintali -scusa- mi fa lei più calma notando il mio cambiamento d'umore  -non volevo fartici pensare, sono stata una stupida- sorride accarezzandomi un braccio.
-Non ti preoccupare- la rassicuro.
-In ogni caso- riprende serena -ti conosco abbastanza e non importa ciò che dici: lui ti piace!- insiste e si alza velocemente iniziando a fare un balletto grottesco per tutta la stanza:
-A Max piace il doc- canticchia -a Mac piace il doc- ripete; la vedo fluttuare, far giravolte e io rido di gusto.
-Ops- dice e ci blocchiamo entrambe quando sentiamo il rumore di qualcosa che cade. Molly ha il respiro affannato -mi sa che ho fatto cadere una cartella- dice abbassandosi velocemente per raccoglierla -ehi! Questa non è tua- ridacchia -John...Dennings- dice leggendo.
-Richiudila in fretta: è del mio compagno di stanza! Devono averla lasciata per sbaglio- non conoscevo il cognome di John...il cognome! Ho un'idea. 
-Ehi Molly!- dico eccitata -Sei ancora amica di quel tizio che fa l'investigatore?- le chiedo; lei sistema per bene tutti i fogli e rimette il plico di John sul suo comodino.
-Non è un investigatore...è solo bravo a trovare cose e persone!- mi corregge -Comunque si...perché?- chiede stranita.
-Ora ti scriverò un nome e vorrei che tu glielo dessi per me. Deve assolutamente trovarlo e dirgli che lo cerca suo padre. Digli di dargli il mio numero di cellulare!- dico con impeto, prendo il cellulare e le invio un messaggio con il nome.
-Mark Dennings...-legge ad alta voce -non sarà mica il figlio di!?- annuisco:
-Questa è la mia buona azione: si fanno no? Per redimersi e assicurarsi un posto in paradiso- le spiego. Molly mi guarda male: 
-Tu non stai per morire!- usa il suo tono da rimprovero.
-Ok, ok. Ma a John ci tengo e si merita di vedere il figlio: non lo vede da tanto e non sa dove sia...-
-E va bene. Ti aiuterò ma- quel ma mi preoccupa -prima voglio una risposta sincere e bada: deve essere totalmente sincera- ribadisce. Annuisco sconfitta.
-Ti piace il dottore?- chiede con gli occhi che brillano. La guardo un attimo e non ci penso più di tanto prima di rispondere convinta:
-Sì- 


Autrice: spero vi piaccia questo capitolo in cui si comprendono meglio i sentimenti che provano i due protagonisti. 
Mi farebbe davvero piacere (non sapete quanto) sapere cosa pensate della storia. 
Intanto vi ringrazio per aver letto, Lovingit.

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Capitolo 7
*** Problem ***


Oggi Molly ha deciso che stasera faremo un pigiama party. Me lo ha detto a pranzo, mentre trangugiava un disgustoso tramezzino ripieno di uova sode. 
"Caramelle, pop corn e un film strappalacrime" questa era la serata che mi si prospettava. Quando le ho fatto notare che non avevamo sacchi a pelo e che io non potevo mangiare i pop corn lei non si è fatta intimorire sbuffando un "Ci penso io" con uno sguardo furbo. Quindi, ora, non vedo l'ora di rivederla e di scoprire cosa la sua mente ha macchinato; è il suo secondo giorno di permanenza qua a New York, il che significa che è anche il penultimo e poi dovrà tornare in California. Mi ha fatta stare meglio la sua presenza e, sono così egoista, da sperare che il suo volo sia cancellato, o che ci sarà una nevicata che la bloccherà qui per giorni. Mi rendo conto che anche lei ha una vita ma ho paura. Stanotte lei non c'era, non c'era nessuno e stavo male. Mi ha fatto male lui. Il fegato credo...una fitta, alla sua altezza per tutta la notte e, nonostante i medicinali la costante sensazione di dover rimettere. Per fortuna, almeno, non avevo più la febbre dalla sera prima. 
Non l'ho detto ai miei questa mattina, quando mi hanno fatto una sorpresa venendomi a trovare prima di andare a lavorare, ho subito visto che c'erano già altri problemi di cui dovevano occuparsi: papà ad esempio, stamane, non era vestito con il suo solito completo giacca e cravatta quindi non sarebbe andato nel suo studio il che poteva significare solo che non c'erano clienti. Non ne ho parlato nemmeno a John che, quando si è svegliato ha iniziato a parlarmi della sua giovinezza e di questa formosa ragazza, Emily, che gli aveva rubato il cuore. 
"Tu cosa mi racconti?" mi aveva chiesto ad un certo punto finendo il suo discorso. 
"Io...nulla" gli avevo risposto rossa. John poteva considerarsi un mio amico ormai ma sentivo di non esser pronta a parlare di lui di tutto, soprattutto dopo la nottata infernale che avevo passato: ero spossata. 
Adesso lui dorme. Non ho voluto lasciare la tv accesa: non voglio svegliarlo: chi è malato sa quanto a volte sia indispensabile dormire...per riposarsi, per avere la sensazione di star meglio, per non sentire il dolore, per dimenticare...
Stranamente ed inconsapevolmente una lacrima lascia il mio occhio. Questo è un giorno no... quelli "sì" sono più rari di un quadrifoglio penso così, mi sfugge un' altra lacrima. 
-Ragazzina!- mi sento chiamare; mi asciugo velocemente la faccia con la mano e lo cerco con lo sguardo.
-Crow- lo saluto trovandolo affacciato alla porta con in mano diverse cartelle, lui mi osserva per un attimo interrogativo poi decide di lasciar perdere.
-Mi hanno detto che hanno controllato i punti stamattina e che si sta rimarginando in fretta- constata.
-Si, mi è stato detto- gli confermo cercando di capire dove vuole arrivare.
-Bene- si ferma come se fosse indeciso se proseguire o no poi, fa un respiro, fissa il pavimento e infine ritorna con gli occhi su di me -credo che camminare un po' ti farà bene anzi, è necessario: non posso permettermi la paralisi tra i sintomi. I muscoli muoiono se non li usi- mi spiega
-Devi essere sempre così drammatico vero?- domando retorica. Lui fa un sorrisino -ci si vede allora!- mi saluta.
-Un attimo!- lo richiamo -Non mi aiuta ad alzarmi?- Chiedo sorpresa. Crow mi guarda come se avessi detto chissà cosa poi fa una risata cupa.
-Per chi mi hai preso? Un'infermiera?- Domanda ancora tra le risate. Lo guardo arrabbiata -No. Hai ragione. Loro sono gentili...la maggior parte perlomeno- dico ricordandomi di Gin -farò da sola- annuncio scoprendomi per poi poggiare i piedi per terra. Crow mi guarda in silenzio in una posizione che sembra quella di partenza per una corsa: pensa avrò bisogno di soccorso ma si sbaglia di grosso. Mi prendo il mio tempo per stabilirmi e gonfiare il petto come se volessi pavoneggiarmi.
-Ce l'hai fatta ragazzina!- finge entusiasmo -ciao- mi fa poi incolore andandosene veloce. Afferro la flebo con veemenza e lo seguo allungando il mio normale passo. Quando esco le infermiere mi guardano stranite non sapendo se intervenire per riportarmi in camera o lasciarmi andare. Io sorrido a tutte come se volessi dire "ehi ho tutto sotto controllo" e contino a correre dietro a lui.
-Ehi- lo richiamo affannata. So che mi ha sentito eppure non si ferma ma ora siamo in un corridoio meno frequentato...interessante. -Oddio! Oddio aiuto!- Urlo mettendomi una mano sulla pancia. Crow si gira di colpo e corre verso di me spaventato:
-Cos'è?- chiede veloce -Dimmi cosa c'è!- Alza la voce -Dannazione Max!- Urla scuotendomi. Io inizio a ridere:
-Dovresti vedere la tua faccia!- bofonchio. Lui mi lascia di colpo come scottato.
-Sei un'idiota!- dice arrabbiato. Cerca di scappare di nuovo ma stavolta sto al suo passo:
-Non lo sono invece- ribatto, lui mi guarda notando con fastidio che sono accanto a lui.
-Si invece- dice tra i denti -come lo chiami fingere di star male?- È veramente risentito!   
-Ok- concedo -forse un po' idiota- 
-Perfetto, ora che lo abbiamo stabilito smettila di seguirmi- sibila svoltando di colpo.
-Hai detto che dovevo fare una passeggiata! Non la voglio fare da sola- gli dico. So che facendo così, cercando di stargli vicino, rischio di esser ancora più coinvolta da Crow, ma sembra impossibile star lontana da lui e dalle sue battute al vetriolo.
-Beh io la voglio fare da solo- controbatte.
-Starò in silenzio, prometto!- Gli propongo -Voglio solo vedere cosa fai...-
-Primo non promettere ciò che non puoi mantenere e secondo, questa non è la giornata genitori figli in cui il papà amorevole ti porta a lavoro con sè- mi dice.
-Credimi: considerarti come un padre sarebbe davvero strano- mi lascio sfuggire poi mi riprendo       -se invece lo dici per il fatto che sei vecchio allora sì: esempio calzante- lo prendo in giro.
-Ho 28 anni- puntualizza.
-Vero. Infondo cosa sono 10 anni in più?- scherzo. Lui sembra stranamente interessato all'argomento:
-Credi davvero che la differenza d'età non sia un problema?- mi domanda incredulo. Io ci penso un attimo e stavolta, seria, gli rispondo: 
-No, non credo. Infondo è solo un numero no?- 
-Non citare stupidi modi di dire: non sono mai veri- dice. Ma dove diavolo dobbiamo arrivare? Mi sembra di camminare da ore.
-Quindi per te invece conta- affermo.
-Decisamente: si hanno mentalità diverse, diversi stili di vita...sarebbe troppo impegnativo- 
-Impegnativo?!- ripeto attonita -Il tuo problema non è l'età- lo informo -bensì tu non vuoi nulla di serio. Non sei capace di avere una relazione sentimentale!- lo accuso. Crow si ferma e mi guarda livido poi riprende a camminare:
-Stai andando di nuovo oltre: non ho mai parlato di rapporti amorosi; io- sottolinea -facevo un discorso generale. Per quanto ne sai potevo parlare perfino di un'amicizia- ha ragione. Ho dato per scontato che parlasse di rapporti di coppia...di noi come possibile relazione. Vorrei sotterrarmi. 
-Ma sentiti: "rapporti amorosi"- lo scimmiotto imitando male la sua voce -di che secolo sei?- chiedo ironica. 
Non risponde alla provocazione lasciando perdere il discorso -hai camminato abbastanza, te ne puoi andare- mi informa.
-No. Non direi. Posso chiederti una cosa?- Crow mi guarda di traverso.
-No- risponde fermo.
-Bene- dico ignorandolo -perché sei sempre solo?- Chiedo -Voglio dire, per come sei, se volessi, potresti avere molti amici, una bellissima moglie e dei figli ancor più carini. Potresti essere il volto di qualsiasi ospedale. Eppure eviti tutti, ti fai temere, perché?- Concludo.
Il dottore si prende un attimo per rispondere:
-Grazie per avere espresso in diversi modi sottilmente evidenti quanto io sia bello- inizia -per il resto...è meglio così: se non sei dipendente da nessuno, niente può spezzarti- mi spiega.
 -La tua missione è quindi evitare il dolore, mossa geniale andare a lavorare in un ospedale- dico sarcastica notando che ci siamo fermati da un po' in un angolo quasi buio. 
-Finché non mi interessa direttamente so gestirlo. Non voglio sapere nulla dei pazienti se non il loro nome, cognome e, ovviamente, la malattia che hanno- mi dice.
-Quindi è anche questo il motivo del tuo comportamento con i pazienti: se ti fa odiare loro odiano te e non ti affezioni- analizzo.
-Cerchi ogni pretesto per giustificarmi- dice quasi sussurrando quando passa un'infermiera -mi duole dirti che questo è il mio carattere: sono antipatico, cattivo, schivo...e non piace a nessuno-
-A me si- dico di getto -il tuo carattere intendo. Ho imparato a sopportarlo- "ad amarlo" penso in realtà tra me e me. 
-Eppure l'epatite non dovrebbe creare problemi al cervello- dice con uno scuro sarcasmo.
-A te piace il mio?- Chiedo -Di carattere- puntualizzo.
-No- risponde subito -sei fastidiosa, irritante, petulante, sei sempre tra i piedi- spara a raffica              -scegli le amiche con non si sa quale criterio e non sopporto i tuoi genitori perché mi ricordano i miei- mi confessa nella foga -quindi no. Non mi piace il tuo carattere e non mi piaci tu- conclude. So che agli occhi di tanti altri potrebbe sembrare rude, che io dovrei andarmene piangendo dopo queste parole ma io gli sorrido.
-Credo che tu abbia un problema- gli faccio sapere risoluta.
-Ah si?- chiede fingendo interesse -Grazie signorina Stone per la consulenza psichiatrica ma non è richiesta- tuona infastidito.
-Hai detto di non volerne sapere nulla dei pazienti. Solo nome e cognome- gli ricordo -e se cerchi di evitare il dolore, non credo tu possa farlo con me: sai il mio nome, cognome, la mia malattia ma sai anche come mi comporto, come parlo, come sono con te, cosa mi interessa...-
-Non credi di considerare te stessa fin troppo interessante?- chiede -Mettiti in testa che sei come tutti gli altri- dice guardandomi negli occhi. 
-No. Non credo- gli rispondo -io riporto i fatti- 
-Sono fatti sbagliati allora. Se volessi farmi davvero sapere tutto di te perché non mi dici come hai preso l'epatite?- mi domanda avvicinandosi per poi sussurrare -E non dire che non lo sai o che non c'è una ragione: io non sono i tuoi genitori- mi ricorda. Deglutisco. 
-No. Non...- esito 
-Avanti. Sono obbligato a mantenere il segreto!- cerca di convincermi.
-Non è certo di questo che mi preoccupo o perlomeno si, ma non è il punto. Il punto è che è una cosa privata!- gli dico.
-Allora abbiamo finito- dice per congedarsi. Lo vedo sfilare via, ma prima che possa allontanarsi troppo, il mio cuore prende il sopravvento:
-Ad una festa- gli urlo dietro attirando un po' di sguardi. Crow si ferma di colpo e si gira elegantemente tornando verso di me con lunghe falcate quasi fosse impaziente. Mi prende per un braccio e mi trascina di nuovo nell'angolo fissandomi intensamente.
-Avevo litigato con i miei quella sera: volevo uscire ma loro volevano andassi ad una cena con gli altri ragazzi della chiesa che frequentiamo; alla fine, dopo un'infinita discussione, avevo ceduto, ma mentre mi preparavo, mia madre è entrata in camera, mi ha fatta sedere sul letto e mi ha dato una scatolina. Pensavo fosse un regalo per il voto che avevo preso il giorno prima a scuola- dico con un sorriso amaro -in realtà era un anello. Sai quelli che si mettono di castità. Ecco quello- lui fa una smorfia -mi disse subito, prima che potessi parlare, che avrei fatto un'impressione migliore sui ragazzi se mi fossi presentata alla cena con quello. Io, inizialmente, ho annuito poi però sono scappata. Quando mi stavano chiamando per partire io ero già fuori dalla finestra- ricordo triste -ho chiamato una mia amica Hilary: l'unica che avesse la macchina, le ho chiesto se poteva venirmi a prendere e lei ha detto di sì ma che saremmo dovute andare alla festa di un certo Bob. Sarei andata dovunque pur di non pensare o affrontare i miei. Arrivata ho subito bevuto...parecchio poi ho conosciuto un ragazzo, Robert- deve essermi sfuggita l'ennesima lacrima della giornata perché lui alza una mano e me la passa delicatamente sulla guancia. È così strano vederlo fare così. 
-Continua- mi ordina.
-Si. Siamo stati vicini per tutta la serata: abbiamo riso, scherzato lui sembrava un bravissimo ragazzo e poi il mio spirito da adolescente stupida ha avuto il sopravvento. Volevo farla pagare a mia madre, volevo decidere io della mia "castità"- mi fermo un secondo imbarazzata -così ci sono andata a letto, nella schifosa camera del proprietario. Si è preso la mia verginità è non è stato dolce o attento come mi sarei immaginata. Era cattivo e non gli interessava nulla di me. Mi ricordo che mi fece anche male e che fui talmente stupida da dimenticarmi del preservativo. Purtroppo mi addormentai e, quando la mi amica mi trovò e mi svegliò, lui se ne era andato-
-Coglione- sento mormorare Crow.
-Quando ho raccontato tutto a Molly mi ha detto che lo conoscevano in molti perché, anche se non sembrava, aveva un po' di anni in più rispetto a noi, si infiltrava sempre alle feste e...diciamo che era risaputo facesse una vita libertina- dico -e, per la cronaca, hai ragione a dire che sono una ragazzina: mi sono comportata come tale e guarda dove mi ha portata-.
Crow mi osserva attento e cupo. Spero davvero non se ne esca con una delle sue battute perché...
-Ora ho un problema- dice confermando la mia deduzione di prima. Lo osservo: è arrabbiato ma anche dispiaciuto...credo.
-Scusa. Ti ho trattenuto- dico mortificata
-Il mio turno è finito- mi fa sapere 
-Quando?- 
-Circa un'ora fa- 
Un'ora. Quindi non doveva andare realmente da qualche parte. Aveva finito ma era rimasto per controllarmi e poi parlare con me, anche se tecnicamente lo avevo seguito. 
Sono scossa da una scarica elettrica, da un senso di felicità difficile da contenere e lui è lì, davanti a me. Ho appena confidato la parte peggiore di me a quest'uomo. Non so cosa mi abbia spinto: se il cuore più leggero da un peso enorme, l'attrazione o chissà cos'altro ma mi sporgo e poso velocemente le mie labbra sulle sue in un bacio a stampo. Gli metto una mano dietro la testa afferrando i suoi capelli per essergli ancora più vicina. Sto per lasciarlo quando lui mi mette un braccio attorno alla vita e mi stringe. Non approfondiamo il bacio ma rimaniamo così per altri secondi finché Crow non mi lascia e si stacca di scatto ed è come se mi fossi risvegliata da un sogno.
-Vai in camera- mi ordina.
Se ne va e stavolta non lo seguo.    


-Pop corn!- Esclama Molly tirandone fuori un pacco dalla gigante borsa che si è portata -Il mio sacco a pelo- continua, tirandolo fuori a fatica -e il computer, per il film- conclude.
-Magnifico- faccio felice battendo le mani come una bambina.
-I tuoi genitori ci lasciano sole stasera!- Esclama -Possiamo fare le cattive- sussurra facendomi scoppiare a ridere. 
Dopo la pesante chiacchierata con Crow oggi pomeriggio, un po' di svago mi serve proprio.
-John- fa Molly rivolgendosi con aria solenne al mio compagno di stanza che ci guarda sorridendo  -oggi, per la prima volta nella storia, un uomo sarà accettato al nostro pigiama party quindi, benvenuto!- Fa un inchino plateale.
-Vi ringrazio molto ragazze- ci dice lui sorridendo felice. 
-Sei il benvenuto John- ribadisco. 
-Bene- Molly batte le mani -diamo inizio alla serata- annuncia.
Posiziona il computer su un tavolo in mezzo ai due letti e fa partire il film. 
-Molly! Ma è Terminator!- Esclamo incredula riconoscendo l'inizio.
-Esattamente. Ho pensato che avremmo avuto un ospite maschile e che il solito "Le pagine della nostra vita" ti avrebbe fatta deprimere inutilmente. Meglio un po' di sana violenza- conclude. 
Rido di gusto alla sua spiegazione e mi fermo quando sento iniziare i dialoghi. Lei si sdraia accanto a me, stiamo strettissime ma non potrebbe esserci sensazione migliore. "Oppure si" mi dico pensando al bacio di prima.
Passiamo la prima ora di film a commentare ogni cosa. Io, Molly e John ci scambiamo infinite opinioni, talmente tante che, ad un certo punto, dopo un po' di silenzio, mi accorgo che John si è addormentato. Lo faccio notare a Molly che stoppa il film. 
-Non è proprio abituato a queste feste epiche- commenta lei. 
-Povero- dico tra le risate sommesse. Lei si sdraia nuovamente.
-Allora...-inizia -come è andata oggi?- Mi chiede mangiando dei pop corn.
-Bene. Mi sono annoiata-
-E il dottore?- chiede dandomi una leggera gomitata al braccio. Io esito per un attimo -oh mio Dio! È successo qualcosa!- Esclama Molly -È decisamente successo qualcosa. Dimmi tutto- 
-Si gli ho...- sospiro -gli ho detto di lui- dico a testa bassa -e gli ho dato un bacio- sparo facendole andare di traverso un pop corn. Tossisce per un po', rossa in viso. 
-Tu cosa!?- Urla. Io le faccio segno di star zitta -silenzio o sveglierai John-
-Ok. Max, cara, che diavolo hai fatto?- Mi domanda attenta. 
-Ho agito si impulso ok? Ho fatto ciò che mi sentivo- mi giustifico. 
-Max lui è il tuo dottore! Non voglio rendermi antipatica ma tutto questo non può funzionare!- 
La mia amica che dovrebbe essere felice per me, mi sta rimproverando.
-Credi che non lo sappia?- Le chiedo piccata -Lo so benissimo e scusa se non sono riuscita a controllare le emozioni- dico alterata. 
-Max finché si parlava di una cotta senza speranza ero eccitata anche io da questa storiella ma adesso mi sembra che la cosa si stia facendo troppo seria e che tu sia troppo coinvolta. Non hai bisogno di un'altra delusione!- esclama. 
-ho sbagliato a dirtelo- mormoro.
-No- fa lei -hai sbagliato a baciarlo...forse è meglio che vada- dice seria. 
-Si. È meglio- confermo arrabbiata. 
-Ciao, a domani- mi dice fredda dopo aver raccolto le sue cose.
-Ciao- mormoro e sono di nuovo sola...


Autrice: Ciao a tutti! Questo è un capitolo importante quindi mi farebbe davvero piacere sapere che ne pensate. 
Una precisazione: se vi sembra strano il comportamento di Molly, prima di "giudicarla", aspettate il prossimo capitolo in cui, magari, avrà occasione di spiegarsi. 
Spero continui ad appassionarvi questa storia.
Ci "rivediamo" molto presto, Lovingit.

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Capitolo 8
*** Not regretful ***


"Ci sono degli strani rumori nella mia stanza". È il pensiero che mi colpisce appena sveglia.  
-Fai piano Molly!- Sento sibilare mia madre.
-Ci sto provando signora Stone ma, come vede, non è semplice- risponde un po' spazientita, con la voce spezzata dallo sforzo come se stesse scalando una parte rocciosa. La curiosità di vedere cosa sta succedendo ha la meglio sul sonno, così apro gli occhi e trovo la mia amica in bilico su una sedia: in una mano ha dei pezzi di nastro adesivo attaccati su ogni dito mentre con l'altra è intenta a reggere un cartellone attaccato solo da un lato.
-Buongiorno- mugugno attirando la loro attenzione mentre mi stiracchio. 
-Dannazione- dice subito tra sé e sé Molly guadagnandosi una brutta occhiata dalla mamma.
-Max, buongiorno- dice allegro mio padre ignorando l'imprecazione -scusa forse ti abbiamo svegliata, rovinando la sorpresa...- guarda un attimo Molly che è ancora intenta ad attaccare l'altro lato. 
-Tranquillo: non riesco comunque a vedere nulla: una balena mi impedisce la visuale- la prendo in giro.
-Ehi ehi ehi- si sbilancia e rischia quasi di cadere per rispondermi -vacci piano: sono dimagrita un chilo questa settimana- puntualizza. In realtà non ne ha nemmeno bisogno perché è uno scricciolo.
-Si- ridacchio -dillo al sacchetto di pop corn che ti sei finita da sola- 
-Sapete- annuncia -credo non valga la pena tutto questo lavoro per una persona così antipatica- dice finendo finalmente di attaccare alla parete la sua opera. 
È un gigantesco cartellone con tantissime nostre foto incollate, decine e decine: noi alle nostre rare feste assieme, a casa mia, ce n'è persino una di quando, alla veneranda età di 17 anni, Molly aveva preso la varicella ed io le ero stata vicina. Al centro infine spiccava una frase scritta con mille colori diversi che dice "non importa la distanza, gli amici sono sempre accanto a te". 
-Mi hai fatta emozionare- dico subito -e mi farai anche piangere!- esclamo con una risata.
-Cosa ne pensi?- Chiede palesemente fiera del suo operato.
-Cosa ne penso?- Ripeto felice -Lo trovo indescrivibilmente e assolutamente magnifico- rispondo ammirandolo ancora. Noto anche i miei genitori, in disparte, che sorridono felici.
-Bene. Anche perché non avrei accettato una risposta diversa: mi sono servite ore per farlo!- Mi dice spostandosi un po' permettendomi di vedere anche la dedica in fondo che prima mi era sfuggita.
-Alla migliore amica dell'universo Max e al secondo migliore amico dell'universo John?- Chiedo leggendola ad alta voce.
-Si. È mio amico anche lui ora, meritava una menzione speciale sul cartellone- spiega.
-Lo amerà quando lo vedrà- confermo lanciando un'occhiata al  mio compagno ancora addormentato.
Nonostante questa emozione, la dura realtà si ripresenta puntuale quando noto la borsa che Molly tiene a tracolla. L'ho sempre presa in giro perché, qualunque viaggio lei faccia, la porta sempre dietro anche se è decisamente orrenda; il fatto che ora lei la porti in giro, può solo voler dire che è passata a salutarmi e che non la rivedrò per un po'.
-Mamma, papà potreste lasciarci sole un attimo per favore?- Chiedo seria. Mio padre ha la capacità che solo i genitori possiedono di capire al volo i propri figli così, senza fare domande, esce prendendo per mano la mamma e, quando sono fuori, prima che Molly possa dire qualsiasi cosa, mi faccio avanti:
-Scusa- dico di getto -scusa per ieri sera. Ero stanca e frustrata...e confusa, non avrei dovuto prendermela con l'unica persona, all'infuori dei miei, che mi è stata vicina- faccio dispiaciuta.
Lei mi si avvicina, si siede sul letto accanto a me e mi prende le mani nelle sue.
-Anche io ti chiedo scusa. Non dovevo reagire in quel modo: sono stata dura e per niente comprensiva- sospira abbassando la testa, poi riprende fiato -Tempo fa tu mi hai detto cosa avevi, quanto fosse serio, ho subito pensato che per te non sarebbe stato un problema. Ti ho sempre vista come un esempio di donna forte e imbattibile. Quando mi sono trasferita e noi continuavamo a parlare al telefono, mi sembravi sempre serena...perfino quando mi hai detto del trapianto...poi sono venuta qua- si ferma un attimo per guardarmi -e non c'era nulla della ragazza combattiva che conoscevo. Eri nel letto, pallida, con lo sguardo vuoto e ho capito che tutte le volte che mi dicevi "sto bene", "è tutto apposto", mentivi-
-Mi dispiace Mol, non volevo farti preoccupare- intervengo veloce cercando di giustificarmi. Lei scuote la testa.
-Non ti sto colpevolizzando Max. Sto colpevolizzando me stessa- chiarisce -avrei dovuto capirlo- continua -tu fingi che tutto ti vada bene quando invece dentro bruci- dice. Io la fisso commossa.
-Quando mi hai detto del dottore ho subito pensato male. Mi sei venuta in mente tu, già provata dalla malattia, soffrire anche di pene d'amore. Ho realizzato che non potevo sopportarlo e ti ho attaccata- 
-Avevo pensato a questa possibilità credimi,- le dico -ma poi ho realizzato che ignorare il mio cuore faceva più male- spiego. Molly sembra non avermi sentita perché continua il suo discorso:
-Quando sono tornata in albergo quella sera ho ripensato subito alle stupidaggini che ti avevo detto. Perché non avevo visto che, in realtà, parlare di lui o stare con lui sembra essere l'unica cosa che ti fa tornare la Max combattiva di un tempo: quella che risponde a tono, che non si lascia mettere i piedi in testa...- dice con un sorriso bagnato da una lacrima -quindi non considerare nulla di ciò che ti ho detto- conclude. 
La abbraccio di slancio -grazie Molly- le sussurro in un orecchio -ti voglio bene-
-Te ne voglio anche io Max- dice stritolandomi -sappi che per qualsiasi cosa, a qualsiasi ora puoi chiamare me- 
-Lo farò- annuisco felice mentre ci stacchiamo. Lei si alza dal letto e si avvia piano verso l'uscita senza mai darmi le spalle. 
-Ah Molly- mi sovviene improvvisamente -ricordati di quella cosa per John- le dico. 
-Non preoccuparti- mi tranquillizza. 
-Ciao Max e, se dovessimo non rivederci, ciao fegato di Max- dice salutando con la mano la mia pancia, facendomi ridere rumorosamente.
-Ciao migliore amica dell'universo- le rispondo citando il suo cartellone. 
La vedo scomparire dietro la porta e ho appena il tempo di asciugarmi una lacrima prima che mio padre si affacci:
-Portiamo Molly all'aeroporto, torniamo subito tesoro- mi dice. Io annuisco con un sorriso tirato.
Quando mi lasciano sola, ritorno ad ammirare le foto e la scritta...
-Io sarei secondo?- Sento dire da John indignato. Non mi sono accorta che si è svegliato, mi giro e gli sorrido:
-A quanto pare. Io sarò sempre la migliore- lo provoco vedendolo, però, rivolgere uno sguardo di pura ammirazione alla parte. 
-È fantastico- dice tornando serio -sei davvero fortunata ad avere un'amica così- 
-Siamo- lo correggo -siamo davvero fortunati- John mi sorride e ricambio.
-Come sarebbe a dire che non ci sono?- Sobbalziamo entrambi quando sentiamo urlare qualcuno nel corridoio -Sono state ordinate giorni fa!- Questo è decisamente il dottor Crow, riconosco la sua voce.     
-Che diamine succede?- Borbotta John. Non ne ho idea a dire il vero e non so nemmeno di cosa stia parlando. Mi alzo un po' per riuscire a sentire meglio. 
-Dottore io davvero non ne ho idea- sento dire da una voce femminile palesemente impaurita. Decido di alzarmi e andare verso il corridoio.
-Max- mi richiama John -Max, non uscire- non do ascolto alle sue parole e mi dirigo verso il corridoio trovandomi davanti Crow, al banco della postazione delle infermiere che torreggia su una di loro che, tremolante, non sembra riuscire a rispondergli.
-Che sta succedendo?- Chiedo rivolgendomi a lui che però non sembra essersi accorto di me.
-Mi scusi- dico allora avvicinandomi ad un' altra infermiera che guarda la scena come il resto del personale del piano -cosa sta succedendo?- Domando ancora una volta a bassa voce. Lei non distoglie gli occhi dai due e mi risponde:
-Pare che il dottore sia arrivato chiedendo se ci fossero delle pillole, noi non le abbiamo qui di solito, le aveva ordinate da non so dove, ma non sono arrivate. Quando gli è stato detto ha iniziato a dare di matto- mi racconta.
-Chiama immediatamente il dottor Smith e fatti dare una spiegazione- lo sento ordinare -e fallo in fretta perché-
-Crow!- dico alzando la voce: ne ho abbastanza di questo suo comportamento. Tutti si girano verso di me, anche il dottore che, livido, mi guarda interrogativo. 
-Max torna in camera!- Ordina anche a me. Max?! Ora Mi chiama per nome? 
-No- gli rispondo e, a giudicare dagli sguardi dei presenti, non deve succedere tutti i giorni che qualcuno lo contraddica. Sussulto quando lo vedo avanzare verso di me, ho quasi paura. Mi prende malamente un braccio e mi riporta in camera, ma prima di entrare anche lui, chiama l'infermiera con cui parlavo prima:
-Il signor Dennings deve fare degli esami- le dice e lei annuisce.
-Veramente li ho fatti ieri- protesta lui. Crow ha ancora la mano serrata sul mio braccio mentre lo guarda cupo:
-Signor Dennings sono un medico: credo di sapere quando sono necessari degli approfondimenti- dice mentre due infermiere rientrano posizionandosi accanto al letto di John per spingerlo fuori.
-Deve fare una tac- chiarisce alle due donne così che sappiano dove portarlo. Lui mi guarda spaesato ma non protesta più e Crow aspetta finché non sono tutti e tre fuori, per entrare e chiudersi dietro la porta lasciandomi finalmente andare.
-Cos'era quella piazzata?- Gli domando andandomi a sedere sul letto. Lui ha le mani sui fianchi e cammina nervosamente avanti e indietro.
-Questa è una domanda che dovrei fare io a te- è decisamente arrabbiato: non mi guarda nemmeno.
-Ti ho fermato: ti stavi rendendo ridicolo!- Gli ricordo.
-Ridicolo?- Ripete sconcertato -Tu mi hai reso ridicolo rivolgendoti a me in quel modo!- 
-Dovresti ringraziarmi- ribadisco -e poi perché?- Provo a domandare.
-Il tuo posto è in questa camera!- Mi interrompe -Perché non riesci a capirlo? Ciò che succede al di fuori non è affar tuo- sibila avvicinandosi. Ora è in piedi, appoggiato al mobile dei medicinali, con le braccia incrociate.
-Perché ti sei arrabbiato?- Domando, ignorando i suoi borbottii seccati -Perché sei ancora arrabbiato?- Specifico.
-Non farmi domande di cui sai già la risposta. Sei abbastanza furba da averlo chiesto sicuramente a qualcuno- deduce: ormai mi conosce bene...
Lo vedo sospirare profondamente ad occhi chiusi: credo stia cercando di calmarsi. In quel momento, mentre lo guardo ho la sensazione di vedere una maestosa aquila: forte ed elegante ferita e, come un fulmine, mi colpisce la consapevolezza:
-Erano le mie, non è vero? Le mie pillole...quelle per il vomito- realizzo. Lui sbatte inaspettatamente e violentemente la mano sulla credenza del mobile cui è appoggiato facendomi sobbalzare. 
-Mi sono raccomandato più volte per quelle pillole. Ho chiamato e richiamato- digrigna i denti e io mi sento improvvisamente in colpa per come mi sono imposta prima con lui che, in realtà, stava solo cercando di fare qualcosa per me. 
-Scusami...per il modo in cui ti ho parlato non sapevo...- dico dando voce ai miei pensieri.
-Quindi ti sta bene che maltratti le persone purché lo faccia per te...ti fa sentire importante?- suppone con un odioso sorrisino.
-No!- esclamo -No. Era solo per...oh mio Dio!- Dico esasperata -È possibile che tu non sia capace di dire semplicemente "scuse accettate"?- Chiedo alterata.  
-Scuse accettate- borbotta dopo un po'.
-È un così grosso problema se non ho quelle pasticche?- Gli chiedo allora.
-No...dovrebbe...forse avrai un po' di nausea...- strascina le parole evitando il mio sguardo.
-Stai mentendo- lo accuso fissandolo -perché menti?- 
-Non sto mentendo!- Si difende.
-Stai mentendo!- Dico convinta. 
-E va bene! Starai una merda! Era questo quello che volevi sentirti dire? Vuoi sapere che, probabilmente, senza quella roba vomiterai ad ogni pasto?- Sbraita alzando la voce. Lo guardo spaventata e decisamente preoccupata per me stessa: preferirei fare analisi ad ogni ora piuttosto che vomitare anche una sola volta. 
-E posso farti anche un'altra domanda?- Lo osservo triste, Crow si mette le mani tra i capelli e annuisce.
-Perché non dirmi la verità? Non eri forse il signor "sbatto in faccia la cruda realtà"?- Sembra esser colto di sorpresa dalla domanda e non lo nasconde.
-Che diavolo...?- Dice incredulo.
-Rispondi- incalzo.
-Non darmi ordin- 
-Rispondi!- lo incito ancora.
-Perché non volevo dirtelo ok? Perché volevo...proteggerti- dice meravigliandosi delle sue stesse parole. Lascia senza parole anche me che avvampo imbarazzata e lusingata allo stesso tempo.
Lui continua a spostare nervosamente il peso da una gamba all'altra, chiaramente a disagio per la sua confessione. Sento la necessità di tirarlo fuori da questa situazione, così mi schiarisco la voce e, facendo finta di nulla, gli faccio un'altra domanda:
-Credi che riusciremo mai a fare una conversazione senza litigare?- 
-Dipende- inizia, sembrando riconoscente per il cambio di discorso e riacquistando il suo solito atteggiamento spavaldo -riuscirai mai a non farmi arrabbiare?- 
-Non credo sarà possibile- dico sorridendo. Crow si avvicina e si siede in fondo al letto...il cuore mi batte all' impazzata.
-Allora la risposta alla tua domanda è no- conclude guardandosi attorno. Nota il cartellone e fa una smorfia:
-Lo ha fatto il clown?- Chiede indicandolo. 
-Si. Lo ha fatto Molly- sottolineo il suo nome -oggi è partita. Era l'unica che mi tratteneva dal non ronzarti sempre attorno per darti fastidio- gli faccio sapere.
-Probabilmente allora dovrei andare a riprenderla- mi dice -se voglio evitare di finire in cardiologia prima che tu venga dimessa- 
-Verrei a trovarti anche lì- lo minaccio. 
Nessuno dei due dice più nulla. Semplicemente ci guardiamo negli occhi, lo vedo avvicinarsi un po' e, non posso fare a meno di pensare al nostro bacio. Mi sembra ancora surreale. 
-Max...- comincia lui serio.
-Se stai per dirmi di dimenticare ciò che è successo ieri non disturbarti: è stato un errore, eravamo entrambi scossi e quello che ho fatto potrebbe mettere a rischio la tua carriera. A proposito: mi dispiace anche per quello- gli dico mentendo; in realtà l'unica cosa che vorrei adesso non è dimenticare ma rivivere quel momento ancora e ancora e...
-Non volevo dire quello- mi dice -volevo solo dirti che farò in modo che tu abbia le tue medicine il più presto possibile- mi rassicura.
-Grazie- dico sincera ma non posso fare a meno di continuare: 
-È stato un errore?- Gli domando cercando una conferma o una smentita. Ho bisogno di capire se, quando mi ha stretta lo ha fatto solo per istinto o se lo voleva davvero. Mi sento la testa pesante quando lo vedo presente aria per rispondere e...
-Max!- Sento esclamare mia madre. Sbatto più volte le palpebre: non posso credere che sia arrivata proprio in questo momento. Lear si alza velocemente dal letto e riprende la sua solita posizione da medico. 
-Ciao mamma- dico con un filo di voce continuando a guardare lui. "Dammi un cenno! Una riposta" cerco di comunicargli con lo sguardo -papà- saluto anche lui notandolo entrare.
-Tesoro abbiamo chiesto un permesso per rimanere a pranzo con te- mi fa lei felice. 
-È fantastico- gli dico. Crow continua a rimanere nella stanza, i miei lo vedono e lo salutano.
-Buongiorno signori Stone- ricambia lui.
-Max andiamo a prendere da mangiare- mi dicono appoggiando le borse.
-No- si intromette Crow. Lo guardiamo interrogativi -rimanete con vostra figlia: prenderò io il pranzo per voi. Vi va bene della pasta?- Chiede. 
Ho gli occhi fuori dalle orbite e mi tocco le orecchie per capire se ci sento ancora bene. Lo guardo sorpresa ma lui mi evita.
-Oh...grazie. Sarebbe un gesto davvero gentile!- Esclama mio padre piacevolmente colpito -È sicuro che non le ruberemo troppo tempo?- 
-Tranquilli: a quest'ora non c'è nessuno e il mio turno finisce...-guarda l'orologio -ora! Vado e torno- dice uscendo velocemente.
-Davvero strano e...gentile da parte sua- commenta mia madre -allora, come stai?-
Ho appena il tempo di raccontargli la mia mattinata e loro di dirmi della partenza di Molly, che Crow è già di ritorno con tre vassoi, aiutato da un'inserviente della mensa.  
La donna da quelli con la pasta ai miei, mentre il dottore mi passa quello che ha lui su cui c'è una bottiglietta d'acqua e del brodo caldo. 
-Mangialo: ti farà bene. È talmente buono che ne cercherai altro sotto il piatto- mi dice criptico. 
-Va bene...- dico spaesata. 
-Buona giornata- saluta tutti andandosene.
-Buona giornata a lei e grazie ancora!- Urla mio padre per farsi sentire. 
-Buon appetito- dico iniziando a magiare. Il brodo, stranamente, è davvero buono per questo lo finisco in fretta. 
I miei, invece sembrano disgustati dalla pasta. Abbiamo l'abitudine di magiare in silenzio per questo, a parte qualche commento, non ci diciamo più nulla. 
"Ne cercherai altro sotto il piatto" ripenso alle parole di Crow. "Sotto il piatto?" Sentendomi davvero stupida lo alzo e manco un battito quando vedo un biglietto perfettamente ripiegato. Lo prendo e, cercando di non farmi notare dai miei, lo apro con discrezione.
"So già che probabilmente userai questo biglietto per ricattarmi o per chissà quale altra tua macchinazione ma non mi importa. Mi hai fatto una domanda e mi sembrava giusto darti una risposta: hai ragione. Quello che è successo potrebbe compromettere la mia carriera o peggio ancora, potrebbe compromettere le mie convinzioni e può esser stato anche un errore...ma non me ne pento"
-Max! Ti ho fatto una domanda- esclama mia madre. 
Sono impietrita da ciò che ho letto. 
-Max?- Mi richiama mamma. La sua voce mi arriva ovattata:
"Non me ne pento" mi ripeto mentalmente. Non è pentito!
-Max mi sto preoccupando!- Continua lei. Un sorriso a trentadue denti mi si dipinge in faccia.
-Stai bene tesoro?- Chiede mio padre allarmato.
Li guardo e, non ancora nelle mie piene facoltà mentali e come suppongo sia uno che si è appena fatto si qualcosa, rispondo:
-Eh?-



Autrice: Wow! Siete incredibilmente diventando molti: ringrazio tutti i lettori che seguono questa storia. Spero vi piaccia il capitolo e che vorrete farmi sapere cosa ne pensate.
L'ultimo capitolo ha ricevuto 5 recensioni e ancora non ci credo. Ho letto ogni singola riga di esse in estasi! 
Come sempre a presto, Lovingit.
 

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Capitolo 9
*** It will be ok ***


-Sei sicura di non aver la febbre?- Mi chiede preoccupata la mamma per l'ennesima volta, mentre sposta freneticamente la mano dalla mia fronte alla mia guancia.
-Clair, per favore non ha nulla- interviene mio padre sospirando rassegnato: cerca di salvarmi dalle grinfie della mamma in modalità "genitore immotivatamente apprensivo" anche se, in sua difesa, c'è da dire che non ho avuto un comportamento propriamente normale dopo aver letto quel biglietto; i sintomi della febbre c'erano tutti: battiti accelerati, rossore delle guance il tutto infarcito da uno stato catatonico, in cui sembravo esser caduta, dettato dalla mia incredulità. 
-Sto bene mamma!- Esclamo quando mi rendo conto che vuole chiamare un'infermiera -Ero accaldata per il brodo e...per il resto sono solo stanca- cerco di convincerla senza successo. 
-Infermiera?- Dice affacciandosi in corridoio. Io e papà ci scambiamo un'occhiata a metà tra il divertito e scocciato -Come è possibile che non ci sia nessuno? O che non ci sia un termometro in questa stanza?- Borbotta nervosa.
-Clair...- riprova mio padre.
-Oh Nora!- Dice fin troppo ad alta voce vedendola; esce per attirare la sua attenzione -Potresti venire un attimo?- La sentiamo chiedere. Mamma rientra nella stanza soddisfatta e aspetta l'infermiera.
-Max tutto bene?- Chiede preoccupata quest'ultima entrando, sembra aver corso per raggiungermi in fretta.
-Nora mi dispiace moltissimo: mia madre è convinta che io abbia la febbre- cerco di scusarmi. Lei si avvicina a me, mi mette una mano sulla fronte, attende pochi secondi...
-Non mi sembra che tu ce l'abbia- decreta.
-Visto?- Dico infastidita alla mamma -Te l'avevo detto!- Continuo, ma lei non sembra convinta, così si avvicina e ricontrolla, per l'ennesima volta, la temperatura della mia fronte. È sorpresa:
-Quando l'ho sentita prima scottava molto di più ed era rossa...- si spiega giustificando il suo comportamento.
Nora mi fissa intensamente, sembra quasi che cerchi di leggermi la mente. È sospettosa e io distolgo lo sguardo sentendomi analizzata. 
-Visto che sono qui approfittiamone: vi dispiacerebbe uscire mentre cambio vostra figlia?- Si rivolge ai miei. Sul volto di entrambi c'è un'espressione incerta ma non si oppongono.
-Si certo- dice la mamma comunque non troppo convinta. Nemmeno io comprendo il perché del cambio. Mi hanno dato un altro camice ieri sera. Mi controllo brevemente per vedere se mi sono sporcata ma sembra essere tutto apposto. Spero che ora, visto che siamo sole noi due, vorrà spiegarmi. 
-Non ho bisogno di un cambio vero?- Le domando controllando se, uscendo, mamma e papà hanno chiuso la porta. 
-Sai qual è il problema dei tuoi genitori?- Sento rispondermi, io sono incredula per ciò che mi ha appena chiesto.
-No...?- Provo, lei si siede sulla sedia dove prima era mia madre.
-Sono troppo ingenui per capire che loro figlia prova altri sentimenti oltre alla tristezza che compatiscono- mi spiega dolcemente. Faccio una smorfia interrogativa.
-Quando tua madre mi ha chiamata prima, il dottor Crow era da poco uscito dalla tua stanza...non ci ho mai pensato seriamente fino ad adesso: credevo fosse tutta una mia fantasia, ma ora sono convinta. Sai ti ho vista spesso ronzargli attorno, una volta stavi passeggiando, un'altra lo hai richiamato come un bambino di cinque anni di fronte a tutti- ridacchia di gusto -e anche lui!- Esclama -A differenza degli altri pazienti che va a trovare si e no una volta ogni due giorni e per pochi secondi, lo si può trovare qui da te tutti i giorni e rimane per parecchi minuti- mi spiega. Ho gli occhi fuori dalle orbite e un nodo allo stomaco. Il battito mi accelera.
-Non capisco...- provo a dire.
-Non fingere con me Max: non ne hai bisogno. Non sono qui per giudicarti, non sono qui per giudicare lui, anche se avrei da dirne molte...- mi rassicura alzandosi per venire a sedersi accanto a me. Mi prende una mano -sono qui per aiutarti, per metterti in guardia- mi dice più seria -io sono solo un'infermiera che vedi una volta ogni tanto e mi è comunque bastato poco tempo per rendermene conto. Anche i tuoi genitori prima o poi ci arriveranno se non stai attenta-
-Ma loro non c'erano quando tu mi hai visto con lui, non ci sono mai quando Crow c'è: li evita accuratamente- mi oppongo agitata.
-Max- dice lei calma -basta notare come lo guardi...non starò qua a dirti quanto può essere complicato per te, ma soprattutto per lui. Qui la gente sembra indifferente ma parla molto e tu sei la mia piccola dolce paziente: è mio dovere proteggerti- sono colpita e anche un po' confusa dal suo senso di protezione. È sempre stata gentile ma mai così diretta...
-Io...ti ringrazio Nora- le dico ancora scossa. Non avevo mai seriamente considerato questo problema. Ho sempre e solo pensato in piccolo, non ho mai visto oltre alle quattro mura della mia stanza e, ora, sapere che ogni mia azione potrebbe essere osservata mi fa agitare. Chissà quante altre infermiere si sono accorte della cosa, se ne hanno già fatto il nuovo e più succoso pettegolezzo dell'ospedale. Mi sento male all'idea. 
Non posso rovinare Crow: è un bravo medico e non si merita problemi di questo tipo. 
-Max...- mi dice piano Nora attirando la mia attenzione -io devo andare. Se hai bisogno di qualcosa...o di parlare chiamami- sembra che sia pieno di persone pronte ad aiutarmi, il problema è che non c'è nessuno che ne abbia davvero il potere.
-Grazie- le rispondo distratta.
-Oh- la sento sospirare -è tornato qualcuno, vi lascio- dice alzandosi e indicandomi la porta. È John: ha un espressione imbronciata e infastidita. È quasi esilarante la smorfia che gli si è disegnata in viso. 
-Non ci crederai- Mi dice appena lo risistemano accanto a me -sono rimasto per due ore in una stanza senza nessuno! Sarei potuto morire e se ne sarebbero accorti solo ora- John mi sta raccontando la sua avventura di prima.
-Mi dispiace tanto John- continuo a scusarmi -almeno non è stato così folle da sottoporti ad altre radiazioni- 
-Stai sempre a scusarlo eh?- Mi domanda sorridendo. 
-No!- Rispondo veloce -No, ha cacciato il mio amico dalla sua stessa stanza: non merita il mio perdono- gli dico scherzando, John ride.
-Non mi chiedi cosa voleva?- Gli domando allora, spezzando il silenzio.
-No...aspetterò che sia tu a parlare. Se vorrai, ovviamente- puntualizza. Aver conosciuto John è davvero una fortuna nella disgrazia: è l'unico, ormai, che non mi assilla con continue domande ma mi lascia il mio tempo. Gli sorrido timidamente e inizio a torturarmi le mani. 
-Mi piace, ok?- Ammetto con uno sbuffo -Più di quanto dovrebbe e più di quanto sia giusto ma non posso farci nulla- continuo -e ora non posso nemmeno più parlargli per più di un minuto senza aver  paura che qualcuno sospetti qualcosa!- Dico arrabbiata.
-Max- dice dolcemente cercando di tranquillizzarmi -sei in una situazione a dir poco strana e inusuale, non posso dirti cosa fare ma...forse dovresti iniziare a pensare a quando sarai fuori di qui, sana e con la vita davanti. Ti ricorderai di lui solo come lo strano dottore che avevi. So che ti piace e so che piaci a lui e non ritengo la cosa sbagliata, ma forse non ne vale la pena se tu devi passare il tuo tempo a preoccuparti che qualcuno possa dire qualcosa di voi due-
Io annuisco. Mi fido del suo parere e non posso negare che abbia ragione ma sentirmi dire queste cose mi fa arrabbiare. Perché deve essere tutto così complicato per me? Forse qualcuno si diverte a mettere alla prova il mio cuore: non si può avere tutto dalla vita e, a quanto pare, Crow fa parte di quel tutto e se è vero che quando ti piace tanto una persona fai i suoi interessi, questo è quello che farò. 

Devo vomitare. Mi sveglio di soprassalto nel pomeriggio, col respiro affannato. Sono sudata e alla disperata ricerca della scodella. Il bagno è escluso: troppo lontano.
-Infermiera?- Urlo come ultimo tentativo.
Quanto sento il conato vedo una figura sfocata che, velocemente si mette dietro a me, con una mano mi raccoglie abilmente i capelli e con l'altra mi regge la scodella. 
-Cazzo- lo sento mormorare mentre io cerco di riprendermi. Respiro ancora a fatica e mi sento la testa leggera. Afferro di corsa il fazzoletto che mi sta porgendo, mi pulisco e mi ributto di peso sdraiata. Chiudo gli occhi.
-Stai bene?- Mi sento chiedere. Apro poco gli occhi, Lear Crow è accanto a me.
-Non lo so- rispondo sincera con un filo di voce -comunque grazie per essere arrivato in tempo- continuo. 
-Ero qua intorno, sapevo sarebbe successo- mi fa sapere. È rimasto qua ad attendere per potermi aiutare? "Non ti deve importare, lascia perdere" mi ripeto senza guardarlo. 
Rimaniamo lì fermi per alcuni minuti, finché io non riprendo un colorito roseo.
-Sicura di star bene?- Domanda ancora confuso. Faccio un breve cenno con la testa.
-No. Non stai bene- insiste.
-Ti ho detto che sto bene, ok?- Credo, in realtà, di essere sul punto di un pianto nervoso. 
-Non stai blaterando cose inutili ergo non stai bene- 
-Crow, per favore, non sono in vena. Sto bene, sei stato gentile ma ora puoi andare- so di essere cattiva, ma è necessario perché, forse, potrebbe aiutarlo ad odiarmi. Lui non mi risponde ma percepisco la sua indecisione e fastidio.
-Stai scherzando vero?- Sbotta senza trattenersi -Due ore fa sei disperatamente alla ricerca di una conferma, mi fai ammettere ciò che mai avrei voluto dire e ora mi ignori? Cos'era un gioco? Il tuo piano fin dall'inizio per non annoiarti?- Mi chiede livido. Mi sento insultata da questi suoi pensieri e non posso credere che stia dicendo tutte queste cose ad alta voce; fortunatamente John sembra essere ancora addormentato.
-No- rispondo, sempre evitando i suoi occhi. 
-E allora cos'è!?- Domanda frustrato. Mi concedo di guardarlo e, quando lo vedo so di non poter continuare l'attuazione del mio piano. È un uomo arrabbiato e ferito, in cerca di una spiegazione valida, che non lo faccia soffrire. 
-Non posso...- dico scoppiando in un pianto esasperato -ho provato ad odiarti, ho provato a far finta di nulla ma non ci riesco! Quindi per favore fallo tu! Comportati da medico e lasciami andare- lo supplico. Crow sembra paralizzato, non sa come comportarsi. Nonostante le raccomandazioni di Nora e il parere di John mi devo rassegnare al fatto che non posso allontanarmi e che lui, per fortuna o per disgrazia, non sarà mai solo lo "strano medico che mi curava". Lui è Lear Crow. 
-Che è successo? Cosa è successo in questo periodo che ti ha fatta cambiare dal giorno alla notte?- Sibila.
-Mi hanno svegliata- dico criptica -la gente parla Crow- 
-Parla?- 
-Di noi! Sei intelligente e scaltro, dovresti capire i problemi che ne derivano senza che io te lo spieghi- gli dico asciugandomi le lacrime. Lui sembra prendere coscienza solo ora della cosa, si siede sul mio letto. 
-Chi lo sa?- Domanda cupo. Ho paura che adesso non mi rivolga più la parola, che mi tratti come all'inizio e non sono sicura che, a questo, punto sarei in grado di sopportarlo.
-Nora. La conosco, non lo dirà a nessuno- cerco di rassicurarlo. Prende un profondo respiro.
-Lear davvero lei non-
-Devo parlare con la ragazza, Clark- sentiamo dire da qualcuno fuori dalla stanza. Ci guardiamo per un secondo in silenzio poi lui si alza proprio prima che entrino mia madre, mio padre e un altro uomo in giacca e cravatta. 
-Max- dice piano papà notando John addormentato -scusa per la sorpresa ma Lucas era disponibile solo ora- dice indicando l'uomo -Max, lui è Lucas Brown, mio amico e nostro avvocato. Lucas, lei è mia figlia-
Oh mio Dio. Allora non scherzavano quando parlavano di chiamare un avvocato per la storia della lista trapianti. Non posso crederci.
-Mi spiace incontrarci in una situazione così negativa- dice porgendomi la mano.
-Anche a me- rispondo stringendogliela.
-Ci metteremo due secondi Max, abbiamo un appuntamento di sopra- sono completamente spaesata, cerco lo sguardo di Crow che rimane ignorato, in silenzio in disparte, poi guardo mia madre che è sorridente come raramente accade.
-Abbiamo ottenuto un appuntamento con il direttore Max- mi spiega lei radiosa -sistemeremo tutto ora: dovranno capire che tu meriti di essere in cima alla lista. Sei solo una vittima- 
-Mamma io...-
-Non ti preoccupare. Rispondi solo alle domande dell'avvocato e vedrai che tutto si sistemerà- 
Questa cosa non può andare avanti. Ne ho abbastanza della loro fiducia incondizionata. Non ce la faccio più. "Compatire la tua tristezza" ha ragione Nora. Loro fanno solo quello e io, invece, ho bisogno che qualcuno mi rimproveri per ciò che ho fatto. Non sono una fragile tazza di porcellana, eppure non riesco a trovare le parole e sono sopraffatta dagli eventi.
-Allora Max rispondi a queste tre domande: hai tatuaggi? Devi essere completamente sincera- mi dice l'avvocato. 
-No. Non ne ho: potete controllare se volte- lo sfido.
-Non c'è bisogno- sorride -e...scusate per l'indelicatezza delle prossime: hai mai usato delle siringhe di dubbia provenienza o condivise con altri e, sei...vergine?- Domanda facendomi avvampare per l'imbarazzo. 
Guardo Crow intensamente. Lui sa la verità che dovrebbero sapere anche i miei...
-Assolutamente no alla prima- dico sincera 
-E sì alla seconda- rispondo stavolta mentendo. 
-Perfetto. Allora non c'è ragione per cui tu sia colpevolizzata. Andiamo signori Stone- dice prendendo la sua borsa di pelle. Mia madre è radiosa e lo segue senza nemmeno salutarmi. Papà mi lancia un bacio e scompare. 
-Che cosa ho fatto?- Domando incredula a me stessa.
-Hai avuto paura- mi suggerisce Lear Crow.
Mi giro lentamente verso di lui.
-Devo dirtelo: all'ospedale non basteranno le tue parole. Verificheranno e a quel punto non basterà la tua bella faccia per convincerli- 
-Fantastico- dico rassegnata -davvero meraviglioso. Credi che la mia vita possa essere peggiore di così?- Chiedo sarcastica.
-Onestamente? No.- dice avvicinandosi.
-Hai mai vissuto un periodo da cui pensavi non ti saresti ripreso?- Gli chiedo. Crow volta per un attimo la testa.
-Probabile...- mi risponde senza continuare. 
-E come ne sei uscito?- Domando interessata, non sono sicura che mi risponderà. Lui fa un sorriso.
-Vedo che ti sei ripresa. Comunque...ho fatto pace con me stesso, con le mie colpe, con la situazione e ne sono uscito- spiega. 
-Sei davvero saggio dottor Crow- dico sorridendo e prendendolo scherzosamente in giro.
-Quindi ho una bella faccia...- ripeto le sue parole con sarcasmo cambiando discorso.
-No. È disgustosa: hai perfino un pezzetto di vomito sulla guancia- dice indicandola. Spalanco gli occhi completamente imbarazzata. Ho parlato con l'avvocato con un pezzo di...mi porto una mano alla faccia ma non trovo nulla. Lui inizia a ridere sommessamente. 
-Sei un idiota!- Esclamo arrabbiata incrociando le braccia.
-È stato divertente ammettilo- dice iniziando a camminare per la stanza. 
Probabilmente sta cercando di distrarmi ma, in questo momento, nemmeno lui è in grado di distogliermi dai miei pensieri.
-Dovresti aiutarmi- gli dico facendolo fermare.
-Se non richiede troppo impegno...- faccio per alzarmi e lui comprende che deve darmi una mano, mi mette le mani attorno alla vita per stabilizzarmi. Non mi abituerò mai al suo tocco. 
-Credi che possa uscire? Devo andare a fare pace con me stessa- gli dico guardandolo intensamente negli occhi. 
-Ti accompagno- dice lasciandomi andare.
-No- lo fermo velocemente -ne abbiamo parlato prima...non voglio che ci vedano uscire un'altra volta assieme- 
-Sei una mia paziente. Non siamo fidanzati e tra noi non c'è nulla. Abbiamo solo parlato...molto. Le persone vedono quello che vogliono vedere anche se non c'è nulla- 
Ed ecco che, quando pensavo avessimo raggiunto l'armonia, lui stronca le mie convinzioni. I suoi continui cambiamenti d'umore e di idee mi faranno diventare pazza. 
-Giusto- concordo arrabbiata.
Esco e lo sento dietro di me trasportare la flebo. Nessuno sembra prestare attenzione a noi tanto che mi domando se non abbia esagerato con la paranoia. Ad un tratto mi accorgo di non sapere dove andare e mi girò lentamente verso Crow.
-Secondo piano- mi dice senza che possa formulare la domanda. Ha capito cosa voglio fare ed è proprio per questo, per l'empatia che proviamo l'una per l'altra, che non posso credere che non ci sia nulla tra noi. 
Riesco a prendere l'ascensore. Arrivo alla porta e busso. Mi trovo davanti ad una sala d'attesa e, aprendo la porta trovo finalmente anche i miei genitori. Sono solo con Lucas Brown e sono sorpresi quando mi vedono entrare.
-Max!- Esclama mia madre -Cosa ci fai qui?- 
-Mamma, papà- inizio tremando.
-Max se sei preoccupata non devi! Ora risolveremo tut-
-Basta!- Scoppio -Basta...- ripeto più calma -vi prego di starmi a sentire e di non interrompere- ora sono in silenzio seriamente confusi dal mio comportamento.
-Non voglio che parliate con il direttore. È ora che sappiate la verità- 
L'avvocato, a disagio, si schiarisce la voce e si congeda lasciandoci soli.  
-Max mi stai facendo paura!- Esclama mio padre.
-Non è vero che sono vergine! E non è vero che non so come ho preso la malattia. È successo ad una festa, ho fatto la stupida. Non ho pensato alle conseguenze, ho conosciuto un ragazzo e ci ho passato la notte e...vi ho mentito- dico piangendo.
-Max...- sospira mia madre con un'espressione delusa -ci hai mentito per tutto questo tempo!- Alza la voce facendomi sobbalzare.
-Mi dispiace...-
-Ti dispiace!?- Urla ancora alzandosi. -Tu non hai idea di ciò che hai fatto!- Dice esasperata piangendo -Clark! Dille qualcosa!- Mio padre è immobile e continua a deglutire, lo guardo sperando di leggere il perdono nei suoi occhi e invece si alza e, senza dire una parola, esce dalla stanza. 
-Mamma...- sussurro allora -ti prego- la vedo scuotere vigorosamente la testa, asciugarsi le lacrime e andarsene. 
Inizio a singhiozzare, sento che non riuscirò a prendere abbastanza aria e che avrò un attacco di panico. Non regolarizzo il respiro finché non sento una mano intrecciarsi alla mia stringendola forte per consolarmi e darmi forza, non ho bisogno di guardare per sapere a chi appartiene. Lear è rimasto in un angolo tutto il tempo ed ora è al mio fianco. Ricambio la stretta e, per un secondo, nonostante tutto, mi sembra che tutto andrà bene. 


Autrice: Come sempre ringrazio chi segue e recensisce la storia, spero vi piaccia il capitolo e che vorrete farmi sapere cosa ne pensate. 
A presto, Lovingit.

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Capitolo 10
*** Revenge ***


-Non ti preoccupare: torneranno presto- cerca di consolarmi John.
-Non li vedo da ieri!- Controbatto subito -Da quando abbiamo scoperto della malattia non mi hanno mai lasciata per più di mezza giornata, mai! Non posso credere che in questo momento preferiscano starmi lontani piuttosto che perdonarmi...- realizzo sconsolata e arrabbiata alzando le mani rassegnata: non comprendo davvero il loro comportamento.
-Fidati di me Max- lo vedo sorridermi rassicurante -i genitori perdonano tutto- mi dice sembrando pienamente convinto -ci possono mettere de tempo ma lo fanno-
Il giorno prima, dopo aver confessato tutto ai miei ed esser tornata in camera, Crow ha dovuto subito lasciarmi...una specie di emergenza mi ha detto, perciò rimasta sola e in lacrime, ho trovato conforto solo in John, cui ho deciso di raccontare tutto ciò che era accaduto lasciandomi consolare; avevo bisogno di un amico e, con mia grande sorpresa ho confessato felicemente rendendomi conto che più persone sanno del mio segreto, più mi sento leggera. Non devo più  tenermi tutto dentro. La cosa migliore, però, è che sono stata abbastanza fortunata da trovare persone come John che non mi hanno giudicata e che alla mia domanda se avesse cambiato idea su di me mi ha risposto con un semplice ma efficace "sei sempre la mia amica Max". Gli unici che sembrano di parere contrario sono i miei genitori; il bello è che nei miei diciotto anni di vita, almeno fino a prima della mia confessione, posso vantarmi di non averli mai visti delusi: nessun brutto voto, nessun rientro a casa in ritardo, mai un oggetto fuori posto...tanto da domandarmi se non sia davvero questo il problema. La perfezione. La perfezione mi ha tradita poiché nessun essere umano lo è ed io non sono certo l'eccezione.
Ho disatteso la loro idea di figlia e la mia idea di una vita felice e spensierata e tutto perché ho ceduto alla vendetta. 
-Sai dovresti aprire un sito internet- prorompo rivolgendomi a John che ora mi guarda interrogativo -si! Riesci sempre a consolare e a trovare le parole giuste. Crei un blog: ti scriverebbero tutti, diventeresti famoso e ricco. Soprattutto ricco così potresti comprarmi un fegato nuovo di zecca sul mercato nero- concludo sarcastica; John intuisce subito il tono scherzoso con cui sto cercando di stemperare la situazione:
-Hai ragione: dovrei. Non vorrei però doverti procurarti anche un cuore nuovo di zecca...- mi dice più serio. So a cosa si sta riferendo: questa situazione mi ha lasciata emotivamente una schifezza e, inoltre, non vedo Crow da ieri; pensavo sarebbe passato stamattina per vedere come stavo ma evidentemente mi sbagliavo. 
-Non devi preoccuparti per me- gli dico -non ho intenzione di farmi spezzare il cuore- concludo convinta.
-Oh Max, cara Max c'è un piccolo problema in tutto ciò- fa lui con un sorriso.
-Sarebbe?- 
-Non puoi comandare il tuo cuore e ancor meno puoi pretendere di averlo "intatto" per il resto della tua vita. Non è così che funziona purtroppo...-
-Ma posso limitare i danni- protesto.
-Puoi- mi concede lui -ma ehi! Se proprio vuoi saperlo comunque, non ero preoccupato per te...in realtà lo ero per le mie tasche: hai idea di quanto mi potrebbe costare un cuore?- Mi domanda scherzosamente indignato. Scoppio a ridere.
-Nemmeno quel mio sito web coprirebbe la spesa- continua unendosi alla risata. 
Quando mi fermo per riprendere fiato, sento il mio cuore battere. Poso una mano al centro del petto e, ascoltandolo mi colpisce una triste consapevolezza. John ha ragione: non potrò mai vivere a pieno se la mia paura rimarrà quella di preservarmi ed evitare le sofferenze. Semplicemente, non è così che funziona, ma è anche questo che rende la vita degna di essere vissuta. 
Ed io ora ho solo bisogno di vivere. 

A pomeriggio inoltrato, nessuno ancora si è fatto vivo. E per nessuno intendo lui. Sto iniziando ad agitarmi, sbuffo di continuo e riguardo l'orologio ogni minuto. Non c'è distrazione che mi possa aiutare: John dorme, non voglio svegliarlo perché ho come la sensazione che stia peggio in questi ultimi due giorni: è sempre il buon compagno che ho conosciuto ma i suoi occhi sembrano spenti e stanchi. 
Ne ho abbastanza. 
Mi alzo piano, cercando di non far rumore ed esco dalla stanza a passo leggero.    
Una delle infermiere vedendomi pensa subito stia male, la vedo sgranare gli occhi e lasciare ciò che sta facendo per precipitarsi da me, ma prima che lo possa fare, con un cenno della mano la blocco e le sorrido facendole capire che è tutto apposto. In realtà dovrei chiederle dove si trova Crow, non c'è alcuna possibilità che possa trovarlo da sola così mi avvicino a lei,  guardando a terra.
-Ciao- faccio timida.
-Ciao- ricambia confusa.
-Scusami, non ho nulla...volevo solo sapere ecco...- balbetto insicura -sa dov'è il dottor Corw?- Domando veloce. Ho quasi paura che non mi abbia sentita o che non voglia dirmelo.
-È passato di qua poco fa...deve controllare dei pazienti- dice sospettosa indicando alcune stanze dopo la mia. Che fortuna. 
-Grazie- le dico avviandomi; l'infermiera mi fa sentire a disagio con uno strano sguardo di analisi. 
Percorro il corridoio sentendo i suoi occhi ancora puntati sulla schiena. Che avrà mai da guardare? Che comportamento è mai questo!?
Passo alcune stanze senza mai trovarlo fino a quando non lo vedo accanto al letto di un signore anziano dare spiegazione a quelli che sembrerebbero essere i figli del paziente. Crow è così professionale, così bello quando si muove: fa sempre un gesto con la mano destra portandola avanti quando parla di cose mediche. Mi trovo a sorridere guardandolo rendendomi conto di quanti particolari conosco di lui; il sorriso mi muore sulle labbra quando lui si accorge di me e mi lancia un'occhiata sconvolta, quasi impaurita. Cosa ho fatto adesso per meritarmela?
Crow ora è palesemente a disagio: si tocca più volte il naso e i capelli mentre cerca di congedarsi. Temo ciò che dirà quando sarà uscito da lì: mi viene incontro fissandomi scuro, esce, si chiude la porta alle spalle guardandosi attorno attentamente poi mi prende per un braccio e mi trascina in uno stanzino poco distante.  
-Che diavolo fai?- Gli chiedo arrabbiata entrando in quello che sembra essere il ripostiglio per asciugamani e lenzuola.
-Senti senti chi nomina il diavolo ora. Cos'è, dopo la confessione ti togli altri sfizi?- Mi domanda. Non credevo certo mi avrebbe trattata così. Questo non è il suo solito tono scherzoso di scherno, è pura cattiveria e se ne rende conto anche lui quando nota la mia espressione:
-No. Senti mi dispiace, scusa è stato completante fuori luogo- cerca di riparare -in ogni caso dovrei chiederti io cosa ci fai qui!- 
-Faresti una domanda stupida- lo avverto -sai benissimo il perché: sei stato con me, mi hai sostenuta mentre facevo una delle cose più difficili della mia vita e poi te ne sei andato. Dimmi: se non ti fossi venuta a cercare credi avrei avuto il privilegio di rivederti?- Gli domando sarcastica.
-Ero impegnato- risponde veloce.
-Eri...impegnato?- Ripeto incredula.
-Non dovresti essere qui- dice alzando gli occhi.
-Perché? Sto forse camminando sul feudo di re Crow? È tua esclusiva prerogativa decidere-
-Perché ho passato la mattina nell'ufficio del direttore cercando di smentire voci che sostengono ci sia una relazione sentimentale tra noi!- Esclama avvicinandosi. Sono sconvolta dalla rivelazione.
-Ma- inizio sconcertata.
-Come gli è venuto in mente dici?- Anticipa la mia domanda -A quanto pare qualcuno ha instillato il dubbio e sempre questo qualcuno avrebbe dei testimoni- 
-Testimoni di cosa? Non è mai successo nulla...perlomeno in pubblico- mi correggo guardandolo. Lui non ricambia lo sguardo e capisco subito il perché.
-Pensi sia stata io?- Domando ferita -Credi davvero possa-
-Non tu- mi interrompe -ma magari la tua amichetta svitata o il tuo compagno di stanza parlano troppo!- 
-Non lo farebbero- protesto -te lo posso garantire- 
-Eppure qualcuno lo ha fatto- ribatte livido.
-E...tu cosa hai risposto?- Chiedo interessata e preoccupata.
-Che è tutto vero- dice sarcastico, io lo guardo male così lui decide di rispondermi sinceramente      -Cosa credi che abbia detto?! Che è tutta un'invenzione di qualcuno che ha visto fin troppi film- 
-Bene. E lui ti ha creduto?-
-Suppongo di si: ci sono parecchie persone gelose di me da queste parti, non è difficile pensare che ci sia qualcuno disposto a fare qualsiasi cosa per vedermi nei guai- mi spiega.
Sembrerebbe presuntuoso da parte sua ma non oso controbattere poiché so che ciò che dice è vero. Chi non vorrebbe il suo aspetto, la sua attenzione o il suo carisma?
-Il tutto allora ci riporta alla domanda iniziale: perché trascinarmi qua dentro?- Domando incrociando le braccia.
-Credi sia intelligente smentire tutto e poi bighellonare in giro con te?- Domanda furioso.  
-Ma sentiti: bighellonare!- Lo imito -Sei fortunato che legga abbastanza libri da conoscerne il significato- lo prendo in giro. Crow sembra spazientito, si appoggia con la schiena ad uno scaffale e sospira con gli occhi chiusi:
-Me ne vado- annuncia improvvisamente, sospingendosi con la schiena. Prima che possa raggiungere la porta lo blocco poggiandogli una mano sul petto. Lear si ferma e sbuffa guardandomi dall'alto del suo buon metro e ottanta.
-Che c'è Max?- Chiede spazientito.
-Non so...non so mai nulla! Un giorno sei una persona, un giorno ne sei un'altra, non so chi sei, non so come comportarmi. Non devo più parlarti? Non-
-Non sono un codardo: non cercherò di negare quello che sta succedendo tra noi, qualunque cosa sia...ma il problema è che ci sono troppi rischi: per me, per te...-
-Se è per il lavoro che ti preoccupi non credo ci siamo problem-
-Non è per quello!- Mi blocca arrabbiato serrandomi le mani sulle braccia e scuotendomi leggermente -Questo non fa parte del piano: parlare con te, baciarti non è previsto- arrossisco alle sue parole.
-Di che parli?- Domando smarrita 
-Io non sono fatto per queste cose e tu non hai bisogno di tutto ciò: la malattia ti tiene già abbastanza impegnata- mi risponde. Credo proprio stia cercando di liberarsi di me...
-La malattia mi sta uccidendo!- Protesto arrabbiata, mi sfugge anche una lacrima che asciugo prontamente -E questo- dico indicandoci -sembra essere l'unica cosa che mi fa sperare in un futuro!- Continuo spingendolo senza però spostarlo di un millimetro.
-Non dovrebbe essere così- dice rassegnato sembrando sconfitto e combattuto.
-Eppure lo è- faccio più dolcemente mentre ci guardiamo intensamente.
-Devo andare- ripete convinto ignorando le mie parole -torna in camera, per favore- si fa spazio nello stanzino angusto, io rimango di spalle e lo sento metter la mano sulla maniglia:
-Dici di non essere un codardo ma lo sei- lui si blocca -dici che non scappi ma non fai altro-
-Non accetto che sia una ragazzina a dirmi ciò- risponde piccato, non rinunciando mai al suo orgoglio.
-Tu hai paura!- Continuo ad accusarlo senza voltarmi perché temo che vedendolo potrei scoppiare a piangere -Hai paura di provare qualsiasi cosa, sei terrorizzato all'idea di lasciarti andare- 
-Io non ho paura- scandisce livido.
-Allora avanti- dico decidendo di voltarmi per fronteggiarlo -dimmi che vuoi che io torni ad essere una paziente qualunque, che ti chiede solo quando farà le prossime analisi. Dimmelo- lo sfido. 
Lo vedo aprire bocca e per un istante ho paura che lo faccia davvero ma poi la richiude rimanendo fermo a guardarmi, poi a volta apre la porta e se ne va senza darmi una risposta. 
Mi colpisce al cuore tanto prepotentemente che non mi sento più le gambe e devo appoggiarmi per non rischiare di cadere. Mi sembra di rimanere così per un'eternità e, quando decido di uscire anche io, di Crow non c'è traccia. Mi dileguo furtiva strisciando contro il muro, sono vicino ad un angolo quando sento le voci di due infermiere. Mi avvicino piano, dovrebbero essere alla macchinetta del caffè, mi fermo e non posso fare a meno di origliare quando sento una delle due pronunciare il suo nome.
-Quindi ora che succederà?- Dice una.
-Non lo so- questa è Nora e sembra arrabbiata! -A quanto pare ha negato tutto e gli ha creduto- 
-Come è possibile?-
-Pare che io debba portare altre prove o il direttore non mi crederà mai- 
Oh mio Dio! Non può essere vero! Nora è la persona che ha detto di noi!
-Crow imparerà la lezione!- Dice maligna l'altra infermiera.
-Sicuramente: ha trattato male la donna sbagliata- conferma -mi dispiace un po' per la ragazzina: è ingenua, ma ha scelto un uomo già preso- 
Parla di me! Parla di me e mi sta dipingendo come una minaccia, mi odia e ha meditato vendetta da quando le ho parlato di Corw; le ho confessato tutto, la credevo mia amica e invece stava solo recitando.  
-Devo andare- dice Nora -mi aiuti a cambiare le lenzuola della 204?- Chiede alla compagna.
-Si certo- mi nascondo un po' per non farmi vedere mentre se ne vanno.
Ecco il perché delle occhiatacce dell'altra infermiera quando avevo chiesto di Lear. Lo sanno tutti, lo pensano tutti...
Le osservo incredula, sembra che qui non ci si possa fidare di nessuno; devo dirlo a Corw e, incredibilmente, credo di averlo mentalmente chiamato quando lo vedo avanzare elegante verso di me. Non sembra felice di rincontrarmi e spero non voglia ignorarmi. 
Quando è accanto a me mi avvicino a lui:
-Seguimi- gli sussurro e non so se lo farà perciò non posso che essere sorpresa quando lo vedo camminare dietro di me finché non mi ritrovo con lui, per la seconda volta, nello stanzino di prima.
-Un dejavu- constata.
-Prima che tu possa dire qualunque cosa, qualunque insulto o ribadire quanto non voglia vedermi, c'è una cosa devi sapere prima: so chi è stato a parlare con il direttore- dico.
-Lo sai? Dimmi chi è- mi ordina livido.
-Nora- faccio, attenta alla sua reazione: sembra che il nome non gli dica niente ma poi lo vedo spalancare gli occhi e crucciare la fronte. Quindi è successo qualcosa tra loro. -L'ho sentita parlare con un'altra infermiera- spiego.
-Non era una dei tuoi tanti amici qua dentro?- Chiede sarcastico.
-Forse dovrei chiederlo io a te- lo accuso -sembra che tu abbia scaricato una donna vendicativa- 
-Nessuno ha scaricato nessuno- ribatte annoiato. 
-No? Eppure non ci sarebbe altra spiegazione al suo comportamento: sei stato con lei e poi l'hai trattata come se non esistesse...lo fai spesso a quanto pare- dico piccata riferendomi a me.
-Smettila. La tua gelosia non è necessaria ora, inoltre lei non c'entra niente con te, se è ciò che volevi sentirti dire- 
-Non sono gelosa- protesto.
-Già- commenta con poca convinzione avvicinandosi.
-Non sembri preoccupato- dico -eppure c'è una donna che minaccia di rovinarti- 
-Non è lei la donna che mi rovinerà- mi interrompe fissandomi intensamente, io rimango senza parole.
-Ora che mi hai messo in guardia credi che possa tornare a lavorare?- Mi domanda.
-Oh si- gli dico accorgendomi di bloccargli il passaggio -ci...ci vediamo- dico incerta. 
-Si...- mi risponde distratto uscendo e, per la seconda volta sono qui, lasciata sola a domandarmi quale sarà il suo prossimo cambiamento. Prima che possa andarmene però, la porta viene riaperta; sto già pensando a centinaia di scuse diverse per giustificare la mia presenza qui e non so se essere sollevata quando rivedo a faccia di Corw che sembra avere un fuoco che gli brucia dentro. 
-Hai dimenticato qualcosa?- Gli domando sospettosa vedendolo chiudere bene la porta.
-Si- dice in un soffio avventandosi su di me. Nemmeno un battito di ciglia e la sua bocca è sulla mia, la mano forte attorno al mio collo e l'altra sulla mia testa, tra i miei capelli. Ci metto un attimo a rendermi conto di quello che sta succedendo e un altro attimo per convincermi che non sto sognando e, quando lo faccio, alzo un braccio per raggiungere la sua testa, in quel momento lui sposta mano che era sul mio collo sul mio fianco mentre sento la sua lingua premere per approfondire il bacio. Quando acconsento e gli lascio via libera mi manca il respiro. Ho solo letto di queste sensazioni meravigliose ed ora che le provo so che non potrò più farne a meno. Siamo entrambi affannati e sembra impossibile staccarsi; quando mi sfugge un piccolo gemito lo sento irrigidirsi e allontanarsi lentamente. 
-Non sono un codardo- soffia tanto vicino che le nostre labbra si toccano ancora. 
-No. Non lo sei- sorrido felice. 

"Non lo sei Lear Crow..."     



Autrice: Scusate per il ritardo ma mi sono concessa una piccola vacanza. Spero vi piaccia il capitolo e che vorrete farmi sapere cosa ne pensate. 
A molto presto, Lovingit.

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Capitolo 11
*** Stronger ***


-Te lo giuro!- Ripeto per l'ennesima volta al telefono -Ormai sono due giorni che non si fanno vivi, inizio a pensare che abbiano avviato le pratiche per disconoscermi- dico a Molly; siamo al telefono da un'oretta circa ormai e ancora non sono riuscita a convincerla che i miei genitori abbiano veramente deciso di abbandonarmi.
-Non ci posso credere, insomma sono Clair e Clark, probabilmente le due persone più buone che conosca...inoltre non fa forse parte del loro credo il perdono?- Mi domanda. Anche lei come Crow è restia alla religione: non si è mai dichiarata non credente ma dice che sta aspettando "la chiamata" per valutare se fare lo sforzo di svegliarsi presto la domenica mattina per andare in chiesa.
-Dovrebbe- sospiro spostando il telefono all'orecchio sinistro notando che il destro era praticamente in fiamme. Noto John muoversi nel suo letto e mi blocco, non vorrei averlo svegliato: stanotte mi sono accorta che non ha mai dormito, ha passato tutto il tempo in bagno cercando di non far rumore mentre stava male ed ora, probabilmente sfinito, stava godendosi il meritato riposo.  
-In ogni caso- mi riscuoto sentendo la voce metallica di Molly -passiamo a cose più interessanti- sono sicura, anche senza vederla che sta battendo a terra i piedi eccitata come una bambina.          -Come va con il dottore? Oh!- Esclama -Questa devo dirtela: hai mai pensato che potreste essere gli unici a giocare al dottore e alla paziente sotto le lenzuola essendo realmente dottore e paziente?- Domanda facendomi scoppiare in una risata nervosa: non amo parlare di queste cose.
-Molly!- La riprendo indignata non riuscendo però a trattenere il divertimento.
-Ammettilo: ci hai pensato anche tu!- Cerca di provocarmi.
-Non ci ho pensato...credo, comunque per rispondere alla tua domanda: normale- 
-Oh acciderbola! Dimmi tutto! Lo hai baciato? Oh no Max! Ci sei andata a letto? Come hai fatto? Sei in ospedale e credo sia un po' complicato fare-
-Molly! Molly...niente letto. Ieri...ci siamo baciati, un vero bacio- le rivelo arrossendo.
-Lo sapevo! Raccontami ogni singola cosa!- Mi ordina. 
Parto dal principio e decido di pararle anche di Nora.
-Che assoluta ed enorme stronza!- È stato il suo commento. Infine le ho detto del bacio.
-Quindi come siete rimasti ora?- Domanda impaziente.
-Non so, bene credo. Dopo quello che è successo siamo subito usciti e lui è dovuto andare ad assistere ad un intervento- 
-E come pensi di comportarti con quella?- Dice riferendosi a Nora.
-Non ne ho idea, penso che la ignorerò: non voglio alimentare ancora di più la cosa-
-Brava ragazza, anche se io avrei optato per qualcosa di più doloroso...- fa minacciosa. Rido alle sue parole:
-Molly ti devo lasciare o John si sveglierà- 
-Giusto. Salutamelo, il mio amico sta facendo di tutto per trovare quel ragazzo ma sembra inesistente- mi informa. 
-Digli di non demordere è davvero- mi blocco all'improvviso notando mio padre sulla soglia della porta con un'espressione contrita e triste. 
-Max? Max?- Mi sento richiamare più volte dalla mia amica.
-Molly devo andare- rispondo incolore chiudendo velocemente la conversazione mentre tengo gli occhi incollati su mio padre.
-Papà...- lo saluto quasi incredula. 
-Max- ricambia lui imbarazzato; si avvicina a me facendo attenzione a non far rumore quando sposta la sedia per sedermisi accanto, aspetto che dica qualcosa ma non lo fa invece mi prende una mano nella sua ed io non riesco più a trattenermi:
-Papà mi dispiace tantissimo, perdonami, non volevo deludervi facendo quello...e non-
-Max!- Mi interrompe lui -Max, non ci hai delusi per quello- rimarca -ma tu non ci hai detto la verità!- Mi spiega leggermente arrabbiato -Ci siamo interrogati per mesi sul perché fosse toccato proprio a te, abbiamo passato notti insonni cercando di capire cosa avessimo fatto di male per meritare...- si ferma consapevole di star alzando la voce. Io lo guardo colpevole.
-Mi dispiace- ripeto abbassando la testa. 
-No. Non è vero- sento dire da mia madre comparsa all'improvviso. Rialzo lo sguardo su di lei che, a differenza di mio padre, sembra bruciare di rabbia. Non so come ribattere ma so che ne ho abbastanza. Ne ho abbastanza che mi dica cosa provo, cosa dovrei provare, che mi giudichi...
-Sapete una cosa?- Dico ritrovando la voce -Mi dispiace- ripeto -mi dispiace che non siate in grado di perdonare, di vedere che sono vostra figlia e che le conseguenze del mio gesto le sto pagando io e solo io! Non ho bisogno di altre colpevolizzazioni oltre quelle che mi sono inflitta da sola per mesi! E mi dispiace che non riusciate a vedere quanto io mi penta di non avervi detto la verità- dico più dolcemente -ma devo fare una cosa: devo preservare me stessa- continuo facendomi sfuggire una lacrima -da queste cose, da queste accuse e se per farlo devo rimanere sola forse è meglio così- concludo. Il mio corpo è attraversato da una scarica di adrenalina: non sono mai stata così sincera e schietta con i miei; mi nasce un piccolo sorriso soddisfatto all'idea.
-Maxwell!- Urla mia madre -Spero tu ti renda conto di ciò che stai dicendo- 
-Piano o sveglierai John- dico tranquilla, facendole spalancare gli occhi incredula.
-Maxwell non lo ripeterò una seconda volta: smetti questa- 
-Signori!- Sento una voce irrompere. Crow è qui. Lo seguo con lo sguardo mentre entra: ha un aspetto fiero e orgoglioso, lo sguardo duro e i pugni serrati: si sta trattenendo dal far qualcosa. Prima che mamma e papà si girino per guardarlo, intercetto il suo viso e lo vedo rivolgermi un piccolo sorriso ed improvvisamente mi sento più calma.
-Dottor Corw mi dispiace essere sgarbata ma siamo nel bel mezzo di un'importante discussione- dice mia madre. Io lo guardo pregandolo mentalmente di non lasciarmi.
-Lo vedo, anzi lo sento- dice sornione -ma devo ricordarvi, come medico, che non è certo la miglior cosa per M...la mia paziente- si corregge veloce. Mia paziente...mia...
-Beh è anche mia figlia- gli ricorda mamma livida -e questa cosa non può aspettare-   
Vedo Lear fare un accenno di risata e spostarsi lento nella stanza. Lo seguiamo tutti con lo sguardo: è un magnete.
-Stavolta sarò io a non ripetere una seconda volta- dice cupo appoggiandosi al muro con le mani in tasca -sono il suo dottore e se le visite non sono di cortesia- sottolinea -non si fanno- 
Mi si ferma il cuore quando vedo entrare Nora ed improvvisamente la stanza è fin troppo affollata; ci guardiamo interrogatovi, lei si avvicina al letto di John per controllare le sue flebo, ho paura che possa dire qualcosa da un momento all'altro e non sono l'unica visto lo sguardo severo di Corw.
-Non accetterò altro: voglio parlare con il direttore- sbotta mia madre.
-Oh signora- sento dire da Nora -se vuole posso accompagnarla- continua candida. Lo ha fatto. Ha parlato ed è entrata qui apposta. Voleva metterci in imbarazzo, farci paura. Io e Lear ci scambiamo uno sguardo inorridito.
-Sfortunatamente oggi non c'è- risponde lui fissando severo l'infermiera, lei lo ignora facendo un sorrisino.
-Lasci che me ne accerti da sola- insiste la mamma precipitandosi fuori; papà è indeciso ma alla fine la segue lasciando me, Crow e Nora.
-Se proverai un'altra volta a minacciarci in questo modo sappi che sarà mia premura farti licenziare e non farti assumere da nessun altra struttura ospedaliera- sibila Lear. Non posso credere che abbia detto una cosa del genere e, a quanto sembra dalla sua espressione, nemmeno Nora. 
-Non voglio più vederti in questa stanza, non voglio più vederti parlare con Max o con i suoi genitori. Sai che sono in grado di fare ciò che ho detto- continua e io non posso fare a meno che sentirmi grata del suo interesse. Nora indietreggia verso l'uscita:
-Siete solo due pazzi!- Ci accusa velenosa -Tu- dice indicando Crow -sei così disperato da cercare l'attenzione di una malata terminale e- 
-Basta!- Esclama Crow avvicinandosi minaccioso verso di lei, apre la porta per Nora -Vattene- e lei lo fa non senza prima lanciarmi un'occhiata di puro odio. 
-Mi viene da vomitare- dico disgustata. 
-In senso figurato o davvero?- Domanda lui preoccupato. 
-Non ne ho idea- riposo do sincera. Lear si riscuote dalla rabbia e si avvicina a me -come ha potuto!?- Domando riferendomi a Nora.
-Non lo so nemmeno io, non pensavo sarebbe arrivata a tanto- ammette realmente sorpreso.
-E tu l'hai minacciata!- Dico incredula. 
-Non mi sembra il caso di farsi tante remore: ha minacciato lei per prima- in effetti...
-Il direttore è davvero assente?- Chiedo cambiando argomento. 
-No- risponde veloce, lo guardo con aria di rimprovero -era l'unico modo per farli andare via- si giustifica.
-A proposito...grazie- dico sorridendo. 
-Non l'ho fatto per te, mi stavano facendo venire il mal di testa- cerca di negare. 
-Certo- confermo prendendolo in giro sapendo dal suo sguardo che sta mentendo.
-Ti ho sentita prima- mi confessa - e ricordati queste parole perché non le ripeterò mai più ma...sono orgoglioso di te- 
-Un complimento da Lear Crow! Quale onore- rido -ti ringrazio- dico sincera. Non posso credere che siamo qui a parlare normalmente dopo che lui mi ha protetta e difesa. Se potessi mi lancerei tra le sue braccia. 
-Smettila- dice dandomi un leggero colpo al braccio -ho sbagliato ad alimentare il tuo ego, adesso ingombrerà tutta la stanza- 
-Ho imparato dal migliore- controbatto. Mi meraviglio quando lo vedo sorridere: è una delle rare volte in cui lo fa. Mi sembra di sognare quando lui allunga una mano per raggiungere la mia.
-Ehm...- sentiamo John, ormai sveglio, tossicchiare. Lear si allontana veloce.
-Buongiorno John- dico felice ma in imbarazzo. 
-Buongiorno Max- fa lui sospettoso con uno sguardo malizioso. 
-Bene. Quindi queste sono...le medicine- dice Lear palesemente a disagio. Sorrido tra me pensando al fatto che si sta inventando una conversazione e decido di aiutarlo.
-Si, grazie- 
-Allora vado, ragazzina, signor Dennings- si congeda girandosi verso la porta.
-Giovanotto- lo blocca John quando lui ha ormai aperto la porta.
-Si?- Chiede Lear un po' scocciato.
-Lasciati dire che non sai proprio recitare- non posso fare a meno che scoppiare in una risata silenziosa. Lear si stizzisce un po' ma non ribatte e se ne va. 
Io mi giro verso il mio compagno di stanza, ci scambiamo un'occhiata di intesa e continuo a ridere di gusto.
   
-Ehi Max- sono sorpresa di vedere ricomparire mio padre alla porta. 
John intuisce subito l'importanza della sua presenza qui:
-Scusatemi ma io andrei in bagno- dice per lasciarci soli. 
È passata orami un'ora da quando erano andati dal direttore e credevo fossero andatati a casa. Lui intercetta i miei pensieri:
-Credevi davvero ce ne saremmo andati senza salutarti?- Domanda ferito.
-Beh lo avete fatto per due giorni- lo accuso.
-Hai ragione...è stato immaturo- dice venendomi più vicino.
-E a quanto pare la mamma non è qui...- constato.
-Dalle del tempo...lei, lei...sai come è fatta- cerca di scusarsi.
-Non sa nemmeno che sei qui vero?- Gli chiedo infastidita.
-No- ammette -le ho detto che dovevo sistemare delle cose- 
-Incredibile...-
-Max tesoro- mi colpisce che mi chiami così -hai ragione: non dovremmo comportarci così e credimi, cercherò di farlo capire alla mamma- 
-Grazie papà- dico sollevata.
-Tesoro, sarai sempre la mia Maximax qualunque cosa accada- mi ricorda abbassandosi per abbracciarmi, io ricambio con calore: mi è mancato. 
-Devo proprio andare- mi dice -speriamo di non incontrare un'altra volta il cane da guardia- dice divertito.
-Il cane da guardia?- Chiedo curiosa.
-Si, il tuo dottore. A quanto pare ha ordinato alle infermiere di avvertirlo se qualcuno vuol farti visita; quando gli hanno detto che ero qui si è precipitato per chiedermi quali fossero le mie intenzioni- si interrompe per fare una risatina nervosa -mi ha lasciato andare solo dopo mille domande: mi sembrava di essere tornato a scuola per un'interrogazione. Ci tiene davvero ai suoi pazienti- 
Già ai suoi pazienti...penso divertita. 
-In ogni caso sono contento che ci sia qualcuno che ti protegge quando non ci sono io- continua. 
-È meglio che tu vada se non vuoi sorbirti anche l'interrogatorio della mamma- gli ricordo. 
-Hai ragione- ride -a presto Max- 
-Già...a presto- sussurro. 
John riemerge dal bagno subito dopo l'uscita di mio padre. 
-Ehi- mi fa mentre ritorna piano verso il suo letto -mi dispiace per tutto ciò che sta accadendo- 
-Anche a me- concordo. In realtà non definirei la giornata di oggi completante negativa. Finalmente ho capito che posso farmi valere e che devo esprimere i miei sentimenti...che sono forte!
-Mi dispiace ancora di più dirti che stasera non potrò farti compagnia- 
-Ma come?- Chiedo veramente dispiaciuta.
-Devono testare su questo povero vecchio un nuovo farmaco, perciò dovranno tenermi in osservazione- mi spiega.
-E io con chi commenterò la nuova puntata di Hannibal?- Chiedo triste.
-Max, lo sai che non riesco mai a vederne una per intero! Il mio stomaco è troppo debole- mi ricorda.
-E va bene, farò a meno di te se proprio serve a salvarti la vita- concedo sarcastica.
In realtà non so davvero cosa farò, stare da sola oggi non è davvero la migliore delle cose.

Sto aspettando che inizi l'episodio e spero arrivi presto l'infermiera con il cibo perché sto letteralmente morendo di fame e non vorrei essere interrotta dopo. 
Continuo a sbuffare osservandomi distrattamente le mani.  
-Ho sentito che qualcuno è stato lasciato nella sua misera solitudine- per poco non mi strozzo con la mia stessa saliva.
-Si beh...grazie per il tatto- dico sarcastica vedendo Lear entrare. Ha in mano due vassoi ed è senza camice; è la prima volta che lo vedo con dei vestiti nomai e mi fa uno strano effetto, soprattutto perché indossa dei jeans e una felpa. È così...non da lui!
-Sembrerebbe che tu sia diventato la nuova cameriera dell'ospedale- decido di punzecchiarlo.
Mi guarda male, mi passa il mio vassoio e appoggia il suo sul comodino; prende la sedia e la attacca al mio letto.
-Non risponderò a questa provocazione- dice arrabbiato.
-Non ci credo: tu che mangi del cibo dell'ospedale?- Chiedo sorpresa vedendolo riprendersi il vassoio sulle gambe.
-Non crederci infatti: solo il vassoio è della mensa, il resto è del ristorante all'angolo- 
Io osservo il mio brodo e poi il suo piatto di maccheroni al formaggio.
-Ed intendi mangiarlo di fronte a me. Questa è cattiveria!- 
-Se vuoi me ne vado- 
-No!- Dico fin troppo in fretta. Lear sorride mettendosi comodo. Prende il primo boccone.
-Come mai qui?- Domando curiosa.
-Te l'ho detto: mi facevi troppa pena- 
-Ti è tanto difficile dire che volevi stare in mia compagnia?- Gli chiedo mettendomi seduta sul letto per poter mangiare; Crow mi guarda ma non risponde: sa che ho ragione.
-Qual era il programma della tua solitaria serata prima che io la illuminassi?- Chiede dopo aver deglutito un'alta forchettata.
-Potrebbe venire chiunque, non mi importa ma nessuno sarebbe in grado di distogliermi dalla tv stasera!- Rispondo convinta.
-E perché mai?- Domanda annoiato.
-Perché stasera c'è Hannibal e io devo vedere il nuovo episodio- dico ferma.
-Oh...capisco- concede.
-Anzi, sta iniziando ora quindi pretendo silenzio- lo informo anche se non riesco a concentrarmi a fondo perché continuo a pensare quanto sia bello che lui sia qui con me, a farmi compagnia, mi ha portato la cena...
-Sei davvero strana...- lo sento borbottare. 
Mente cerco di seguire la trama lo osservo con la coda dell'occhio finire in suo pasto e muoversi nervosamente sulla sedia. 
-Se continui a disturbare la visione mi toccherà farti sparire con lo stesso macabro modo- dico alla prima pubblicità riferendomi all'episodio
-Ah ah- finge una ristata -queste sedie sono scomodissime e piccole- si lamenta ed io ho la folle idea di chiedergli:
-Vuoi sdraiarti sul letto? Voglio dire...non sembra ma c'è abbastanza spazio per due...- continuo pentendomi subito della proposta quando lo vedo aggrottare le sopracciglia.
-No senti, non importa fai finta che-
-Fammi spazio- lo sento dire.
-Cosa?- Chiedo meravigliata.
-Ho detto fammi spazio- ripete più lentamente. Mi muovo quasi automaticamente spostandomi in un lato. Lo vedo sedersi elegantemente e poi sdraiarsi piano accanto a me, i lati del nostro corpo si toccano e io decido di approfittarne avvicinandomi ancor di più; sono sicura che si sposterà e invece non lo fa anzi, mette il suo braccio sotto la mia testa facendomi da cuscino. Rimaniamo in silenzio a guardare la tv per tutta la durata della puntata ed oltre finché, cullata dal suo respiro, non mi addormento col sorriso sulle labbra. 



Autrice: Buonasera! Lasciata che puntualizzi una piccola cosa: il riferimento ad Hannibal non è fatto a caso; se alcuni di voi seguono questa serie tv sapranno sicuramente che è stata cancellata e lasciatemi dire che è una vera ingiustizia: molte altre serie decisamente mediocri arrivano a 6/7 stagioni. In ogni caso, spero vi piaccia il capitolo. 
Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate, a presto.

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Capitolo 12
*** Roller coaster ***


-Mio Dio!- Esclamo sobbalzando sul letto: qualcuno ha aperto le tende facendo penetrare nella stanza un raggio di sole talmente accecante da svegliarmi e, a quanto pare, questo bagliore non mi permette nemmeno di aprire gli occhi. 
-Alzati e splendi ragazzina! Sempre che tu ne sia in grado...- non è possibile. 
Mi sforzo, stropicciandomi gli occhi e senza successo, di mettere a fuoco la sua figura ma l'unica cosa che riesco a fare è raggiungere a tastoni il mio telefono per vedere l'ora.
-Ma sono le 7!- Constato indignata e confusa mettendomi una mano davanti alla faccia a protezione dalla luce mentre cerco pian piano di svegliarmi.
-Ti piace proprio il gioco delle ovvietà eh?- Mi domanda trafficando con la mia flebo.
-Mi piace dormire in realtà- rispondo infastidita -a cosa devo il piacere?- Gli chiedo riuscendo finalmente a vederlo in faccia: sembra fresco come una rosa eppure sono sicura di non aver sognato lui, qui con me la sera prima rimanere fino a tardi.
-A nulla di particolare in realtà; stavo controllando tutto, mi annoiavo e ti ho svegliata...- risponde distratto. Mi nasce un sorriso pensando che in realtà potrebbe averlo fatto per parlare con me.
-Fantastico...- commento preoccupata quando noto che John non è ancora tornato...
-Sai come va a John?- Decido allora di chiedere al dottore.
-Chi?- Domanda guadagnandosi una mia occhiata arrabbiata.
-John Dennings, il mio compagno di stanza e tuo paziente- spiego cercando di rimanere calma .
-No, ma molto probabilmente vorranno tenerlo in osservazione finché non saranno sicuri dell'effetto del farmaco- spiega continuando a maneggiare la flebo.
-Cosa devi fare stamattina?- Chiedo allora suscitandogli un sorriso di scherno come se volesse prendermi in giro per la domanda.
-Pensavo di mangiare, guardare la tv, ridipingere le pareti di casa e forse se ne avrò voglia e tempo di fare un po' il medico- risponde sarcastico.
-Sei insopportabile- gli dico trattenendo una risata -svii sempre le domande!- Lo accuso. 
-Se facessi domande intelligenti non ne avrei la possibilità- ribatte guardandomi per la prima volta in faccia; potrei giurare di vederlo sbiancare.
-Cosa?- Domando preoccupata di avere qualcosa in faccia -Cosa?- Chiedo ancora non ottenendo risposta; Lear sbatte più volte le palpebre e mi fa un sorriso tirato.
-Nulla- dice tossicchiando e sedendosi. Che gli prende? Sembra sul punto di svenire! 
-Nulla?- Chiedo beffarda.
-Si nulla, anzi se proprio lo vuoi sapere mi ha paralizzato la tua faccia da appena sveglia- 
-Ah ah divertente- dico non troppo sicura della sua risposta -quindi ora rimani- penso ad alta voce riferendomi al fatto che si sia seduto.
-Sembrerebbe che io abbia del tempo libero- fa picchiettando le dita sulle sue gambe.
Sono davvero felice che ci siano questi momenti tra noi perché non mi sarei mai immaginata di vederlo qui vicino così rilassato e...umano. Sembrerebbe che io abbia sbagliato a giudicarlo perché lui è si un uomo particolare ma non arido di sentimenti come vorrebbe apparire. 
-Cos'è quel sorrisino?- Chiede infastidito. 
-Nulla- decido di rispondere ripagandolo con la stessa moneta -ho visto la tua faccia- ridacchio vedendolo fare una smorfia.
-Ti propongo un patto- offro allora con entusiasmo.
-No- mi risponde diretto.
-Ma non sai nemmeno cosa voglio proporti!-
-So che dovrei fare un patto con te ed è abbastanza per decidere di rifiutare- 
Incrocio le braccia al petto imitando una bambina capricciosa.
-Avanti di cosa si tratta- lo sento dire rassegnato, io batto le mani eccitata:
-Bene. Io ti faccio una domanda e tu ne fai una a me-
-No- risponde ancora.
-E perché mai!?- Domando allora piccata.
-Non ci guadagnerei nulla: sei tu quella che vuole ficcanasare qui, non io- 
-Farò finta che tu abbia accetto- liquido le sue proteste -qual è il tuo film preferito?-
Lear mi guarda interdetto: 
-Quasi che ti preferisco silenziosa come i primi giorni e poi è questa la tua domanda?- Chiede sorpreso.
-Si- rispondo tranquilla -perché? Ha qualcosa che non va?- 
-È strana- commenta 
-Non più strano del fatto che ci ritroviamo sempre a parlare- gli ricordo e sembra che alle mie parole  gli baleni un lampo di lucidità negli occhi -e poi si sa molto di più di una persona chiedendo queste cose rispetto alle solite stupide domande-
-Non ne ho uno- 
-Avanti! Tutti ne abbiamo uno- lo incalzo. 
-Io no- 
-Allora dimmi una cosa qualsiasi che ti piace!- 
Apre bocca e poi si blocca, sono sicura si sia pentito di ciò che voleva dire ancor prima che gli uscisse dalla bocca.
-Mi piace l'ordine- sussurra -mi piace che non ci sia mai nulla fuori posto, che tutto sia come dico io- confessa.
-Non è la migliore delle situazione questa allora...- dico riferendomi a noi.
-No...decisamente no- concorda rivolgendo lo sguardo da un'altra parte. So che non dovrei forzare troppo la mano e che probabilmente lui non considera nemmeno di andare oltre una semplice amicizia ma...
-E nonostante tutto ciò, sei felice Lear Crow?- Gli chiedo avvicinandomi. Lui mi scruta attentamente restando in silenzio, lo vedo per un secondo deviare lo sguardo sulla mia bocca e non posso fare a meno di iniziare a tremare.
-Si- mi risponde quasi sorpreso.
Non credo di aver sentito bene e mi sembra di essermi trasformata in gelatina quando mi rendo conto che molto probabilmente mi sto innamorando del mio dottore che, a quanto pare, ricambia.
-Credo sia il mio turno ora- richiama la mia attenzione -e a te Maxwell cosa piace?- Mi domanda trafiggendomi con i suoi profondi occhi.
-Io...- tremolo ancora per aver sentito il mio nome completo pronunciato da lui. 
-Mai più!- Sentiamo John protestare -La prossima volta testerete la vostra robaccia su qualcun altro!- Continua decisamente arrabbiato mentre l'infermiera lo aiuta ad adagiarsi sul letto. La vedo anche lanciare un'occhiata a me, a Crow e a quanto mi sia vicino; non posso evitare di ricambiare con quello che mi sembra lo sguardo più minaccioso che possa fare. 
-Max!- Saluta il mio compagno -Dottore, non credo sarà un problema per lei fare aggiungere un letto qui: così potrà direttamente trasferirsi- non posso credere lo abbia detto! Lo guardo in malo modo, John mi fa spallucce e prende il telecomando impegnandosi attentamene per trovare qualcosa da vedere in tv. 
-È meglio che vada- dice piano Crow alzandosi. 
-Lear!- Lo richiamo, lui si gira, stranamente non protesta per il fatto che lo abbia chiamato per nome e attende.
-Tu- gli dico semplicemente e con un sorriso sincero. 
Crow spalanca gli occhi consapevole di ciò che gli ho detto e si gira non prima però che io riesca a vedere un timido sorriso sulle sue labbra. Quella è la mia risposta.
"E a te Maxwell cosa piace?"


Il pomeriggio sembra pieno di noia...
-Scusate- c'è un'infermiera che bussa piano alla porta, John abbassa la tv per sentire cosa ha da dirci:
-C'è qui una persona che vorrebbe parlare con lei signor Dennings- John è veramente sorpreso e non lo nasconde: 
-Per me?- Chiede incredulo -Comunque si...lo faccia o...la faccia entrare- 
-Ehi- lo richiamo dolcemente -non sei felice?-
-Per quanto ne so potrebbe essere uno della riscossione crediti- risponde amaro. Ora che ci penso non ho mai visto un suo parente, un amico venirlo a trovare e John non se lo merita di certo. Per questo sono esterrefatta quando vedo entrare un giovane ragazzo, al massimo trent'anni, un'aria familiare, un po' trasandato ma pulito, capelli castani e occhi stanchi. Ha un'espressione smarrita e triste, si tortura nervosamente le mani rimanendo fermo immobile davanti al letto di John. 
-Mark- lo sento sussurrare con la voce rotta. 
Oh mio Dio. Mark è suo figlio. È suo figlio! Sono incredula e a bocca aperta, John ha gli occhi lucidi.
-Papà- lo sentiamo mormorare. È davvero lui...non ci posso credere! 
Dovrei lasciarli parlare in pace...
-Io vado in-
-No Max! Mi fa piacere che tu rimanga- Mi blocca -Mark lei è Max, una mia cara amica- mi presenta.
-Piacere- faccio timida quasi quanto lui, che mi risponde solo con un cenno del capo.
-Sono così...felice di vederti- dice John tentennando.
-Anche io papà- risponde lui nervoso -io...mi dispiace. Moltissimo, non sai quanto!- Dice d'un tratto alzando la voce non riuscendo più a trattenersi.
-Mark! Mark- lo interrompe veloce -voglio innanzitutto che tu sappia quanto io sia felice di vederti qui, sano e salvo e che non mi importa del passato- 
-Ma papà io sono stato un figlio orrendo e non merito certo questo trattamento- 
-Tu sei qui e sei e sarai per sempre mio figlio. E io ti perdono- lo consola. Non riesco a trattenere le lacrime sia perché sono immensamente felice per John sia perché ammetto di essere invidiosa. Mark ha la straordinaria fortuna di avere un padre meraviglioso che ha saputo comprenderlo e dimenticare i suoi errori grazie all'amore che solo un genitore ha. Un lusso che a quanto pare non tutti hanno, compresa la sottoscritta. 
-Io volevo tornare- inizia Mark sedendosi -mi sono fermato tante di quelle volte davanti casa: ti vedevo dalla finestra seduto sulla tua cara poltrona, arrivavo al portone alzavo un braccio per bussare ma poi scappavo- racconta per poi riprendere velocemente prima di essere interrotto -un mese dopo che me ne ero andato, girovagavo per le strade, non avevo un tetto sotto cui stare- vedo John rabbrividire alle parole del figlio -e una di quelle tante notti, un mio amico è morto ed un altro ci è andato vicino... per overdose- dice ancora provato -ero scioccato: il pensiero che potesse capitare anche a me mi colpì come uno schiaffo e decisi di allontanarmi da quella vita; sono andato in un centro di recupero, ci sono stato tre anni e ne sono uscito- conclude sintetico.
-Ma...perché non dirmelo? Avrei potuto accompagnarti, aiutarti durante-
-Mi vergognavo. Sentivo di non meritare il tuo perdono. Ma poi mi hanno detto che mi cercavi- arriccio il naso a quelle parole, spero che John non ci faccia troppo caso e non lo smentisca -e ho anche saputo che stavi male: non ci potevo credere- dice triste -così ho deciso di venire qui per chiederti scusa non solo per il passato ma soprattutto per non esserti stato accanto in questo periodo difficile- 
-Figlio mio- dice John emozionato -non c'è bisogno. L'unica cosa che mi serviva era sapere che stessi bene- 
-Oh credimi- sorride lui appena -sono apposto: ho un lavoro e...un figlio. Si chiama John- annuncia orgoglioso -volevo avesse il nome di un uomo forte, di un uomo che potesse considerare la sua guida- 
John è ormai in lacrime quando ripete tra sé "un figlio...nipote...nonno".
-Credi che io potrò...-
-Te lo farò conoscere al più presto- conferma Mark felice -anche perché ora devo andare sai...il lavoro- spiega.
-Oh ma certo, va pure figliolo- 
-Sono felice di averti rivisto papà, molto- dice correndo ad abbracciarlo forte.
-Anche io Mark. Anche io, non sai quanto- lo saluta John. 
-Ciao Max- mi fa prima di uscire. 
Mi volto subito a guardare il mio amico: è stravolto ma radioso; è un uomo così umile e gentile.
-Non potrò mai ringraziarti abbastanza- mi dice con lo sguardo fisso sulla porta.
-Ringraziarmi?- Chiedo non capendo. 
-Per averlo chiamato. Io non ne avrei avuto il coraggio: non avrei sopportato sentirmi dire che era morto in chissà quale modo...-
-Ma io...- credo di oppormi.
-Max- mi dice dolce -io non l'ho chiamato. L'unica altra persona che sapeva di lui eri tu e voglio che tu sappia che mi hai fatto il regalo più bello della mia vita. Ogni notte ho pregato che la malattia mi lasciasse più tempo, anche un solo giorno in più per rivederlo ed ora è successo, grazie a te- 
-È stato un piacere John- dico commossa.

Questa sarà una delle sere che sono sicura ricorderò, una di quelle in cui regna la tranquillità, in cui sembra che niente e nessuno possa farti del male. Eppure, come di norma accade, sembra che non possa godermi nemmeno ciò quando noto John respirare male. Ormai sono due minuti che sembra gli manchi l'aria e sono costretta ad alzarmi in fretta per chiamare l'infermiera.
-Cosa succede?- Mi chiede precipitandosi.
-Non respira affatto bene: sembra gli manchi l'aria- spiego preoccupata. 
-Aspetta che chiamo il dottore- dice correndo via.
-Ehi John, tranquillo- gli dico accarezzandogli la testa -ora arriva il dottore- dico proprio nel momento in cui appare Crow trafelato e affannato. Credo abbia corso per arrivare velocemente; analizza attentamente la stanza fino a trovarmi con lo sguardo, fa un grosso sospiro di sollievo ma si riprende subito e si avvicina veloce a John. 
-Dobbiamo intubarlo e portate un tranquillante- ordina duro dopo una veloce analisi -e la prossima volta pretendo di sapere chi è il paziente che necessita assistenza!- Dice alzando la voce.    
L'infermiera annuisce e ritorna poco dopo con altre colleghe, si mettono tutti all'opera per intubare John. Il tranquillante fa subito effetto facendolo piombare in un sonno profondo, io guardo tutta l'operazione con orrore. 
-Max sdraiati- mi dice Lear -è un ordine- non voglio controbattere perché c'è ancora un'infermiera nella stanza e perché credo che le gambe mi cederanno presto così lo ascolto e mi siedo. Lui sembra aspettare impazientemente che lei se ne vada e quando lo fa si precipita accanto a me:
-Stai bene?- Domanda veloce.
-Si sto bene! Era John quello in pericolo!- Gli ricordo.
-Scusa- mi dice rendendosi conto del suo atteggiamento -È solo che mi hanno detto che c'era un problema nella tua stanza ed ho pensato...-
-Perché mai?- Stavo bene oggi, che motivo aveva di essere così preoccupato?
-Nulla...ho esagerato- cerca di convincermi ma sembra che mi stia nascondendo qualcosa. Lo guardo sospettosa, lui se ne accorge e cerca di cambiare argomento:
-Allora, chi era il ragazzo che era qui oggi?- Domanda e per un attimo mi chiedo se non sia geloso. 
-Ha importanza?- Controbatto ancora più insospettita, lui non risponde così decido di continuare     -Comunque era il figlio di John-
-Capisco-    
-Starà bene?- Chiedo riferendomi al mio compagno di stanza.
-Non è la prima volta che accade, le emozioni della giornata potrebbero aver causato il tutto- dice osservandolo. 
-Beh io devo andare in bagno- annuncio alzandomi.
-No!- Lo sento esclamare mente si affretta a pararmisi davanti. 
-Sei sicuro di non aver bisogno tu di assistenza medica oggi?- Gli domando stranita.
-Sono sicuro ma...lascia che ti accompagni- offre. 
 Decido di non iniziare una discussione proprio ora: sono stanca e provata per John così accetto il suo invito. Mi segue standomi a fianco e mi apre la porta per farmi entrare. Vorrei raggiungere il lavandino per rinfrescarmi la faccia ma Lear sembra non volere spostarsi da davanti.
-Questa cosa sta diventando ridicola- gli dico sincera -spostati- ordino arrabbiata. 
-Vai in bagno Max- mi ordina.
-Ci sono in bagno e voglio usare il lavandino- continuo testarda.
Lui sospira affranto e si fa lentamente da parte. In un primo momento non lo noto subito ma quando alzo la testa per guardarmi allo specchio mi sento mancare. I miei occhi sono gialli. Non c'è traccia del normale bianco attorno alle pupille e significa una sola cosa: sto morendo ed in fretta. E ora capisco il perché della sua espressione quella mattina, il perché della sua preoccupazione e perché non voleva mi guardassi allo specchio. 
Sposto lo sguardo terrorizzato sul suo riflesso nello specchio. E trovo la stessa espressione di tristezza mista a paura dipinta sul mio volto. 
Già...davvero una serata indimenticabile...


Autrice: Volevo ringraziare tutte le persone che hanno recensito, messo tra le seguite e hanno preferito la storia. In particolare vorrei ringraziare Beatrice29 una cara lettrice che mi ha più volte fatta emozionare con le sue parole di apprezzamento. Grazie ancora.
Spero vi piaccia il capitolo, se vi va fatemi sapere cosa ne pensate :)

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Capitolo 13
*** His pain ***


POV LEAR CROW

Svegliati. Lavora e ricomincia. 
Allontanali, chiudi gli occhi, ignorali e respingili. 
-Buongiorno dottor Crow- ascolto distrattamente l'infermiera di cui non ricordo nemmeno il nome, le faccio un cenno col capo aspettando, come ogni mattina, che mi passi i risultati degli esami dei pazienti. Batto nervosamente il piede in terra e per poco non le strappo di mano i fascicoli quando me li porge. Lei non batte ciglio: tutti hanno imparato a convivere con il mio carattere ma ciò non vuol dire che lo sopportino, per questo si allontana borbottando lasciandomi solo. Scorro nervosamente i fogli: questo non mi interessa, inutile, ma dove diavolo è...
Quando trovo il risultato tanto atteso e lo leggo, deglutisco rumorosamente. "Allontanali...respingi".
Mi guardo attorno sicuro di trovare il mondo attorno a me crollare, eppure non è così: tutti sembrano normali, come se non fosse successo nulla ed io sono l'unico a disgregarsi.  
Non può essere vero. Può la vita essere tanto crudele con una persona sola? 
-Ehi Crow!- Sobbalzo quando sento un'amichevole pacca sulla spalla, è Topher di radiologia. Mi costringo a guardarlo in faccia facendo una smorfia che vuole sembrare un sorriso.
-Topher- lo saluto -posso fare qualcosa per te?- Domando impaziente di togliermelo di torno. 
-Crow mio Dio! Per te ogni cosa ha un secondo fine! Rilassati: ti stavo solo salutando- dice con quella sua aria da burlone che mi fa accapponare la pelle tanto da decidere di non rispondergli.
-Stai bene Crow?- Mi domanda un po' più serio accorgendosi della mia espressione.
Volto il capo facendo un sorriso amaro.
-No- gli rispondo andandomene senza degnarlo di uno sguardo; quando raggiungo il mio studio ho il battito accelerato, sto sudando freddo...la conosco questa sensazione, la sensazione che mai nella mia vita avrei voluto riprovare. Riprendo il foglio e lo rileggo sperando che sia cambiato qualcosa:
"Paziente Maxwell Cornelia Stone...situazione irreversibile...necessario trapianto immediato" 
Lo accartoccio e lo lancio contro il muro, mi porto le mani tra i capelli iniziando a girare per la stanza come un cavallo impazzito e quell'infame sensazione di essere impotente ritorna con la stessa potenza di un pugno allo stomaco. Deve esserci qualcosa che posso fare! Non può succedere adesso, non un'altra volta ma soprattuto non lei...non Max. 
-No!- Urlo e, in preda alla rabbia, lancio in terra tutto ciò che si trova sulla mia scrivania per poi passare alle mensole. Mi devo fermare quando noto del sangue scorrere sulla mia mano: ho il respiro affannato e probabilmente mi sono tagliato con qualcosa di appuntito a giudicare dalla profondità della ferita. Sono costretto a medicarla e, quando raggiungo la stanza dove teniamo garze e disinfettante sono quasi sicuro di essere stato notato da diverse persone e ne ho la certezza quando, dopo essermi fasciato la mano, mi ritrovo davanti il direttore.
-Parliamo Crow, ti va?- Mi dice cupo. Annuisco e sono costretto a seguirlo.

-Allora, cosa sta succedendo?- Non faccio in tempo a chiudere la porta del suo ufficio che già inizia l'interrogatorio. 
-Nulla. Assolutamente nulla- rispondo mettendomi seduto su una delle sedie davanti a lui. "Respira, mantieni la calma"
-Nulla?- Ripete lui non convinto -Senti sarò franco: sei un eccellente medico, tra i migliori che abbiamo ma ora mi sento dire che sei strano, che hai praticamente distrutto il tuo ufficio e non mi spiego il perché- 
-La ringrazio- dico sorprendendolo -per la cosa sul medico eccellente- mi spiego -per quanto riguarda il resto posso solo giustificarmi dicendo di essermi svegliato male- concludo tranquillo.
-No: sei sempre stato posato, oserei dire una macchina ed ora esplodi così...senza motivo- 
Devo concederglielo: è intelligente e mi ha inquadrato abbastanza da rendermi difficile uscire da questa situazione. 
-Non starò qui a cercare di convincerla: mi sono svegliato male, sono nervoso. Ecco. La. Sua. Spiegazione- dico livido scandendo ogni parola. Il direttore mi guarda attento.
-Senti ti ho visto così solo un'alta volta e...-
-Le sarei grato se non ne parlassimo- taglio subito ogni sua volontà di conversazione.
-Va bene...va bene- ripete ormai rassegnato -ma Crow- mi richiama -se c'è qualcosa che posso fare per te, ti basta chiedere e vedrò di aiutarti- 
-Sì- borbotto lasciando il suo studio.   
Chiudo la porta alle mie spalle e mi ci appoggio chiudendo gli occhi e prendono il primo profondo respiro della giornata. Il suono del mio cerca persone mi fa scattare sul posto. Fa che non sia lei; quando leggo che mi stanno cercando al piano di sotto spero ancora non sia per Max perciò mi affretto a raggiungere l'infermiera del piano.
-Oh dottor Crow- dice vedendomi -la paziente Stone la stava cercando- mi informa.
Come mio solito non la ringrazio, stavolta non per l'insofferenza che mi causa ma per la volontà di raggiungere Max il prima possibile. Quando sono a pochi passi dalla porta mi aggiusto il camice e prendo un respiro. Si va in scena: "tieni per te il peso Lear"
-Un giorno senza dar fastidio è un giorno perso, dico bene?- Le chiedo sarcastico entrando. Quando la vedo non mi sento più il cuore: è sul suo letto, pallida e con il volto scavato. 
-Grazie- mi dice riacquistando un po' di colore e un sorriso -mi hai appena fornito la frase per il mio primo tatuaggio- 
-Tatuaggio?- Chiedo stranito. Quando mi avvicino alla mia solita sedia noto che è sola nella stanza. Il suo compagno di stanza starà sicuramente continuando la cura sperimentale.
-Si- mi dice convinta -ne voglio uno sul braccio, o su un fianco...si decisamene su un fianco- decide.
-Posso suggeriti io una parte?- Domando.
-Certamente- risponde sorpresa della mia partecipazione.
-Nessuna- dico diretto guadagnandomi un'occhiata arrabbiata, mi siedo e la vedo girarsi per riuscire a parlarmi meglio; mi rendo conto che Max non è una bellezza prorompente, non è provocante o volgare...lei è meravigliosamente delicata e possiede quella particolare bellezza che solo poche persone hanno: quel giusto bilanciamento tra un felice tratto e una personalità unica.
-Divertente, in ogni caso ho deciso che se sopravvivrò a questa cosa- dice guardando per un secondo il vuoto mentre a me si contorce il cuore -ne voglio assolutamente uno- dice risoluta.
-Perché mai?- Cerco di far valere la mia idea -Tutto ciò che ne ricaveresti sarebbe uno scarabocchio sul corpo e un pentimento lungo una vita- 
-È questo il punto! Sto pensando da stamattina cosa valga davvero la pena avere marchiato su di se per sempre- 
-E sei giunta ad una conclusione?- Chiedo con tono contrario.
-No- fa delusa -ma ho molto tempo libero, saprò trovare sicuramente qualcosa- dice guardandomi e poi spostando velocemente lo sguardo sulla mia mano.
-Oh mio Dio! Cosa hai fatto?- Esclama preoccupata; guardo per un secondo la fasciatura.
-Mi sono tagliato- rispondo semplicemente. 
-Questo l'ho notato anche io signor Mistero, ma come?- Domanda impaziente.
-Oh...io...con un vetro. Si è rotto accidentalmente un...bicchiere-
-Ti si è rotto in mano questo bicchiere?- Incalza sospettosa.
-Che ne dici di: "irrimediabilmente fastidiosa" per il tatuaggio?- Cerco di sviarla.
-Ottima anche questa: sei un pozzo di idee Crow!- Alza la voce prendendomi in giro.
Non posso evitare un sorriso vedendola così...viva. "Non farle vedere nulla, non far capire...recita. Recita"
-Mi cercavi per qualcosa di serio o volevi solo discutere di come riprenderai l'epatite dopo aver ottenuto un nuovo fegato?- 
-Se lo avrò- mi sento correggere piano, decido di ignorare la battuta e aspetto che mi risponda.
-So che è presto ma...hai i risultati della biopsia di ieri?- Domanda timida. Dopo l'episodio del bagno mi sono convinto a rifare l'esame per vedere quando fosse peggiorata dicendole che le avrei detto il risultato quanto prima. 
-Si- dico incerto, poi mi schiarisco la voce e continuo -non è così grave come pensavo, non sei ancora in grave...pericolo- decido di mentire. Stranamente mi sento malissimo per averlo fatto, soprattutto quando vedo una scintilla di gioia nei suoi occhi e devo trattenermi dal confessare serrando le mani sui braccioli della sedia. 
-Beh meglio così- la sento dire, oramai la conosco: sta trattenendosi dal festeggiare...
-Si...infatti- concordo mesto.
-Almeno avrò più tempo per farmi perdonare da mia madre- borbotta.
-Non si è ancora presentata?- Domando mal mascherando il disappunto. Ho odiato quella donna non appena l'ho vista ed avevo ragione a farlo. Vorrei urlare contro per cercare di farle capire il dolore che sta causando a Max...lei deve essere protetta dalla tristezza: non se la merita. 
Quando mi rendo conto dei miei pensieri, mi sento strano ma sollevato. La voglio proteggere, la voglio vedere vivere più di quanto vivrò io. Non sono un ragazzino e non cercherò di negare di provare qualcosa per lei eppure non mi so spiegare la potenza dei miei sentimenti.
-No- mi sento dire -ma papà mi ha detto che questo pomeriggio proverà a farla ragionare- mi spiega -ma forse ha ragione lei...l'ho cacciata e-
-Non dirlo- la blocco subito e, quasi senza rendermene conto, le prendo una mano nella mia -tu hai fatto la cosa giusta, non dubitarne- dico fissandola intensamente.
-Grazie- mi fa sincera -per tutto...per...- la vedo esitare.
-Per?- Devo sapere.
-Per l'impegno che hai per farmi rimanere viva e non intendo solo biologicamente viva...- cerca di spiegarsi. Forse non lo sa e non lo saprà mai ma questa è la cosa migliore che mi sia mai stata detta.
-Dovere- rispondo mantenendo la maschera -e se non c'è altro io andrei- la informo.
-No, vai pure...aspetterò John- mi dice rassicurante. 
"Esci prima di scoppiare" spero non si accorga che sto correndo per allontanarmi da lei.
Quando sono fuori mi appoggio al muro e inizio a respirare pesantemente. No. Non può succedere dopo tutti questi anni. 
"Respira. Respira" mi ripeto chiudendo gli occhi "Concentrati e cerca di respirare" continuo a dirmi cercando di calmarmi. Dopo quella che sembra un'eternità dagli ultimi sto avendo un attacco di panico e non era successo nemmeno quella volta...
Provo a riaprire gli occhi, fortunatamente sono sempre stato bravo ad evitare di renderli evidenti. Mi volto verso la stanza di Max e, da un vetro, riesco a vederla concentrata sul suo telefono con i capelli che le ricadono suo volto. Mi odio per averle mentito...cosa mi hai fatto Maxwell Stone? 

-Signore! Dottor Crow!- Mi sento chiamare da qualcuno. Non riconosco la voce così quando mi giro e trovo il proprietario non posso che essere sorpreso. È il padre di Max. 
È ormai pomeriggio inoltrato quindi deve essere qui per andare a trovarla...
-Salve signor Stone- lo saluto cauto e attento.
-Si salve!- Mi dice porgendomi la mano che stringo brevemente; si nota subito quanto la situazione lo stia distruggendo: è curvo e stanco...
-Mi dica- lo sprono.
-Si- dice dandosi un tono -ho saputo da un'infermiera che ha fatto rifare la biopsia a Max- maledetta. Non doveva dirlo. 
-Si- dico arrabbiato.
-Il risultato?- Chiede impaziente. Non posso mentire a lui...oppure si ma vedrebbe la cartella con quel suo avvocato e lo scoprirebbe comunque per come è meticoloso...
-Ecco...sua figlia aveva dell'ittero ieri sera per questo ho voluto rifare l'esame e...non è buono- dico -è praticamente ormai una corsa contro il tempo...- mi fermo per fargli elaborare la cosa.
Io non l'ho fatto tutt'ora mi chiedo come possa farlo lui.
-Ma...- prova ad opporsi.
-Le devo chiedere un favore signor Stone- lo riscuoto -per favore non dica a Max del risultato. Sto facendo già tutto il possibile per accelerare i tempi, per trovarle un fegato...lei non ha bisogno di sapere- ora le possibilità sono due: o mi dirà di farmi gli affari miei oppure concorderà con me.
-Io...va bene, ha ragione- dice mettendosi una mano davanti alla bocca. Non so perché ma sento il bisogno di consolarlo così gli posò una mano sulla spalla.
-È la scelta giusta- lo rassicuro.
-Già...ora devo andare da mia figlia- mi dice distratto.
-Certo- lo lascio andare seguendolo con lo sguardo. 
 
Sono nervoso ed intrattabile per il resto della giornata, non riesco a prestare attenzione ai pazienti cerco solo un modo per aiutare Max, in un momento di follia arrivo persino a pensare di falsificare la cartella facendo risultare un'altra malattia. Inoltre andrò a cercare i suoi parenti uno per uno se necessario. Ora che è sera e le acque in ospedale si calmano non posso fare a meno che fermarmi a pensare quanto odi la notte e ciò che significa: è passato un altro giorno senza nessuna soluzione. Cerco di non pensarci rimettendo in ordine il mio studio con la sola mano che posso usare.
-Come hai potuto?- Sento chiedere. Mi si gela il sangue e, quando mi giro e la trovo sulla porta, reggersi a fatica e in lacrime provo del puro terrore. 
-Perché sei in piedi?- Domando suonando più cattivo di quanto vorrei; la vedo scandagliare con lo sguardo il luogo completamente in disordine.
-Non osare!- Mi urla -Rispondimi: come hai potuto mentire su una cosa tanto importante?- Chiede furente. Non può averle raccontato tutto non...
-Non capisco- 
-Oddio!- Dice esasperata -Smettila!- 
-Ok- dico arrendendomi -non volevo lo sapessi. Non volevo...-
-Non volevi cosa?- Mi incalza.
-Non volevo vederti soffrire! Non volevo vederti perdere la speranza! Volevo essere l'unico a sopportare il peso!- Sbotto.
Lei rimane in silenzio respirando affannosamente.
-A quanto pare non hai evitato la sofferenza- mi dice -e non parlo del risultato- continua criptica.
-Mi dispiace Max- sono sincero mentre mi avvicino a lei; quasi la porto di peso sulla sedia per farla calmare, mi accuccio davanti a lei piegando le gambe così da essere alla sua altezza.
-Mi dispiace- le ripeto.
-Non farlo mai più. Mai più. Non mentirmi Lear, non tu!- Mi dice ancora in lacrime. L'immagine mi strazia.
-No. Mai più, perdonami- 
-Voglio avere il controllo su questa cosa e su tutto ciò che comporta- mi dice -e la prossima volta non confessarti con mio padre: ho capito subito che mi nascondeva qualcosa- mi dice tentando un sorriso. Oh non lo farò di certo. 
-Voglio che tu sappia una cosa Maxwell: tu non morirai- dico convinto.
-E tu chi sei? Sei forse Dio che può decidere dei nostri destini?- 
-No. Sono Lear Crow, tuo medico e ancor prima l'uomo che si sta innamorando di te e non permetterò che accada- confesso liberando il mio cuore.
Max spalanca gli occhi facendo un grande sorriso e mi si butta addosso in un abbraccio strettissimo, riesco a malapena a mantenere l'equilibrio quando ci rialziamo sempre stretti uno all'altra. Non saprei dire per quanto rimaniamo così...
Quando lei cerca di allontanarsi ho quasi paura delle sue parole. 
-Inoltre sei un pessimo bugiardo anche tu- dice indicando con lo sguardo la mia mano, provo a ribattere ma non me ne dà il tempo:
-Quando vorrai, se vorrai mi dirai il perché- mi rassicura sorridendo. Non posso più resistere, così abbasso la testa per poterla baciare. Quando le nostre labbra si toccano è meglio dell'ultima volta, siamo più consapevoli, in un certo senso più maturi...Max approfondisce il bacio ancor prima che possa farlo io, la stringo a me ma sono costretto a staccarmi quando la sento pesante tra le braccia.
-Max!- La richiamo -Max!- Riprovo, sono sollevato quando la vedo riaprire gli occhi. Mi è svenuta tra le braccia.
-Ehi- mi dice un po stordita.
-Sei debole, non dovevi alzarti. Adesso ti riporto in camera- 
-Ho dovuto: qui qualcuno doveva essere ripreso- mi dice sorridendo. Quando mi rendo conto che è troppo debole per camminare la prendo tra le braccia ed esco diretto alla sua camera.
So che sto probabilmente facendo una cosa davvero stupida a giudicare dagli sguardi sorpresi e insinuanti delle infermiere, ma in questo momento non mi importa. Quando arrivo nella sua stanza, adagio Max, che sembra essersi addormentata, sul letto. Le risistemo la flebo e come sono entrato me ne vado.
-Per qualunque cosa, anche la più stupida, mi chiami sul cellulare- dico all'infermiera riferendomi a Max -sono stato chiaro?- Domando cupo.
-Chiarissimo- risponde lei intimidita 
Quando mi volto e noto la folta schiera di infermiere ferme a fissarmi faccio una smorfia.
-Potete tornare a lavoro: lo spettacolo è finito!- Dico alzando la voce: io ho ben altro a cui pensare.
Mi metto la mano in tasca e ritrovo il foglio tanto riletto quel giorno. 
Lo leggo un'ultima volta prima di buttarlo e mi blocco notando una cosa che prima non avevo letto. Ho un tuffo al cuore e il corpo mi si riempie di adrenalina. Ora so cosa posso fare.
-Avanti!- Mi sento dire. Entro impetuoso nello studio del direttore che mi guarda come se avesse visto un fantasma.
-Crow...- constata.
-Ha detto che mi avrebbe aiutato: ho bisogno del suo aiuto- 


Autrice: Spero vi piaccia questo piccolo (grande) cambiamento nella narrazione. I prossimi capitoli saranno comunque narrati dalla protagonista ma era necessario che questo fosse dal punto di vista di Crow. Per favore fatemi sapere cosa ne pensate di questa cosa perché sono veramente curiosa :)
Ringrazio sempre tutti i lettori, alla prossima.    

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Capitolo 14
*** Deal with the devil ***


Questa mattina, di buon ora, si è presentato in camera nostra Mark. John è subito diventato radioso e poco gli è importato che stanotte fosse finalmente tornato in camera solo alle 4 del mattino, lui era ben felice di farsi accompagnare dal figlio per una piccola passeggiata all'aria aperta. La promessa di conoscere suo nipote quel giorno stesso era poi stato un incentivo sufficiente per farlo quasi balzare in piedi: per John è un giorno importante perciò non posso lamentarmi di essere per l'ennesima volta da sola; inoltre, se non mi stesse per crollare il mondo addosso da un momento all'altro, oserei dire di essere felice: per John ma soprattutto per Lear Crow e per il fatto di essere stata abbastanza fortunata da sentirmi confessare da lui cosa prova per me. 
Non ricordo poi molto: da quanto so sono svenuta e non mi è ancora chiaro se per la malattia o per l'emozione, ma a giudicare dal colorito rosso che assume la mia faccia al solo pensiero della sera prima, opterei per la seconda opzione.
Non perdo tempo a vedere se ci sia qualcosa da vedere in tv sicura che passerei minuti a giocherellare col telecomando, così controllo il cellulare.
"Max. Non accetterò per molto ancora questo tuo "silenzio stampa": sono richieste tue dichiarazioni in merito ad un certo dottore..."
Sorrido leggendo il messaggio di Molly e mi rendo conto che ha ragione: non l'ho nemmeno ringraziata per esser riuscita a trovare Mark così le scrivo un breve messaggio promettendole di richiamarla più tardi, poiché sono sicura arriverà presto qualcuno a controllare come sto. Oh...parli del diavolo ed ecco spuntare la mia personale "infermiera":
-Buongiorno- dico dolce.
-Buongiorno- mi dice con calore venendo, con sorpresa, a darmi un casto bacio sulla fronte. Quanto vorrei che questa fosse la quotidianità: svegliarsi così, magari in una piccola ma accogliente casa, con lui al mio fianco...
-Come va la mano?- Domando preoccupata; la sera prima alla vista di quella fasciatura mi si era rivoltato lo stomaco.
-Cerchi di rubarmi il lavoro?- Mi chiede con un sorriso furbo.
-No- rispondo veloce -ma ho il sospetto che quando due persone tengono una all'altra si preoccupino di sapere come stanno- spiego con una punta di sarcasmo.
-Oh, grazie per la delucidazione- mi dice scherzoso -va bene comunque. Nessuna infezione nessun danno- conclude sintetico.
-Bene. Sono contenta- dico studiando la sua espressione; sembra a disagio, il che è strano per lui: sempre così composto e misurato...sembra quasi che stare qui, con me, gli incuta un senso di timore.
-Tu come stai?- Gli costa un certo sforzo fare questa domanda molto probabilmente perché sa quanto sia stupida.
-Mi sento...apposto- rispondo calma e incolore.
-Apposto...- ripete. L'aria è pesantissima: da quando lo conosco, ha sempre avuto la straordinaria capacità di tenere i miei pensieri lontani dalla malattia, ma a quanto pare, prima o poi tutti soccombiamo al peso di una sentenza di morte tanto che non è più possibile svagare la mente.
-Sai ho deciso cosa tatuarmi- gli dico provando a cambiare argomento, lo vedo alzare lo sguardo per lanciarmi una veloce occhiata: so che detesta l'idea ma non mi farò influenzare.
-Ancora?- Domanda negativamente sorpreso -Pensavo fosse un momentaneo colpo di testa adolescenziale-
-Non lo è- lo contraddico paziente -e poi lo hai detto tu: devo vivere la mia vita senza condizionamenti-
-Primo non l'ho mai detto e secondo, non era certo mia intenzione creare un mostro-
-Primo lo hai fatto intendere e secondo: un mostro? Guardami. Sono la perfezione- dico mettendomi a ridere per la mia stessa ironia. 
-Primo smettiamola di parlare per elenchi e secondo hai ragione. Non sei assolutamente un mostro- dice sembrando di buon umore.
-Grazie e tornado all'argomento principe voglio il tatuaggio di un fegato- gli faccio sapere.
-Spero tu scherzi. E dove vorresti farlo? Spero per te in un punto coperto...-
-Questa è la parte migliore- dico eccitata.
-Ma non mi dire- lo sento sbuffare ma so che sta scherzando e la cosa mi diverte molto.
-Lo farò sulla pancia, in corrispondenza del fegato. Non è geniale?- Chiedo con gli occhi che brillano.
-È macabro- mi risponde con una smorfia -ma da te- conclude con un sorriso.
-È un approvazione quella che sento?- Domando felice -Peccato che non possa farlo ora: mi sarebbe piaciuta l'idea che se non posso avere un fegato vero almeno avrei potuto averlo di inchiostro- 
-Potrai farti tutti i tatuaggi che vuoi quando sarai guarita- mi dice con uno sguardo duro. 
Io gli sorrido perché gli sono davvero grata per la forza d'animo che ha, per l'ottimismo che sembra quasi abbia la soluzione in tasca...
-Già- concedo sognante.
-Devo andare- mi dice dispiaciuto guardando l'orologio -ci vediamo presto ragazzina- saluta usando il mio soprannome che non ha più quella sua connotazione negativa ma esprime solo un grande affetto.
-A presto Lear- ricambio sorridendo mentre lo seguo con gli occhi allontanarsi. Quando è vicino alla porta lo sguardo mi cade su Nora che si trova accanto al bancone delle infermiere; ha in mano il telefono che tiene appoggiato all'orecchio e un sorriso maligno diretto a me. Non vorrei concederle l'onore ma quella donna inizia a farmi paura...

-Signorina!- Qualcuno mi chiama a gran voce. 
-Sentite! Lasciate che ci parliamo noi prima...- sento dire da mio padre.
-Signori questa è una faccenda grave: ci lasci fare il nostro lavoro!- Sento ancora la voce profonda e sconosciuta. Apro lentamente gli occhi trovandomi davanti la mamma, papà e due uomini in divisa. Sono due poliziotti, mi alzo velocemente a sedere preoccupata che possa essere successo qualcosa di grave. 
-Max tesoro, scusaci. Questi signori dicono che devono parlare con te ma io non capisco per...- farfuglia mio padre in preda alla confusione tenendo stretta la mano della mamma che, a quanto pare, si è decisa a tornare a farmi visita...
-Signorina Stone salve, sono l'agente Denner e questo è il mio collega Smith- mi dice avvicinandosi; è imponente e spaventoso.
-Salve- li saluto timida e impaurita. Non ho idea di cosa stia succedendo.
-Signori Stone vogliate concederci del tempo soli con vostra figlia- fa l'agente rivolto ai miei genitori. 
-No!- Sento esclamare mia madre -Prima ci direte cosa sta succedendo: ci avete fatti chiamare con urgenza, ora pretendete di star soli con mia figlia senza nemmeno una motivazione- protesta.
-Signora, si tratta di argomenti privati e anche se vostra figlia è ancora sotto la vostra custodia, ha il diritto di essere ascoltata sola- le spiega.
-Diteci il motivo almeno!- Esclama mio padre -Io sono un avvocato, il suo avvocato in questo caso e-
-Basta. Agenti se per voi non è un problema per me possono rimanere, non ci sono...problemi- interrompo stanca della discussione e in ansia per ciò che vogliono sapere o dirmi. 
-Non c'è problema ma si ricordi: se si sente in imbarazzo ce lo dica e continueremo in privato- ancora con la storia del personale e imbarazzo? 
-Mi dica- lo sprono non riuscendo a contenere la mia curiosità.
-Ecco ci è stato segnalato da una persona che vuole rimanere anonima che lei potrebbe essere vittima di...abusi da parte dell'uomo che risponde al nome di Lear William Crow-
Mi manca l'aria.
Come è possibile che tutto ciò stia succedendo? Scuoto la testa nervosa, iniziando a respirare affannosamente: chi potrebbe fare una cosa del genere? È questa la fine di tutto? Non lo vedrò mai più...
-Sappia che non diamo molto peso alle segnalazioni anonime ma è nostro dovere controllare soprattutto perché lei si trova in una posizione di inferiorità sia per la sua cobdizione di salute sia perché minorenne- Cosa? Minorenne? Il suono della sua voce mi arriva ovattato; vedo i volti di mia madre e mio padre scandalizzati e io non riesco a trovare la voce. Tremo tanto da incitare l'agente a continuare:
-Non deve avere paura: le potrà essere sembrato in una posizione di potere. Se è successo qualcosa, qualsiasi cosa ce lo dica e non dovrà vederlo mai più- mi rassicura.
Io lo guardo con disgusto. Io non rivedere mai più Lear? 
-No!- Esclamo esasperata d'un tratto mentre mia madre ripete "Non è possibile...Dio ci aiuti" 
Mi guardano tutti in attesa.
-Non è vero nulla- dichiaro arrabbiata.
-Maximax- sento dire da mio padre -nessuno ti giudicherà devi solo dire la- 
-Ho detto di no!- Urlo eppure loro sembrano ancora non credermi. Non posso uscirne se non mi invento qualcosa e so che se dirò ciò che ho in mente potrò dire addio a qualunque possibilità di riallacciare un rapporto con mia madre ma qui si tratta di Lear ed io lo devo proteggere come lui fa con me. Questo è il patto non scritto tra due persone che si...amano.
-Ho chiamato io- dico cercando di suonare pentita -lui mi piace e volevo attirare la sua attenzione; mi annoiavo e ho pensato che una cosa del genere...-
-Max!- Esclama incredula mia madre, i due agenti si guardano spazientiti e sbuffano.
-Tipico dei ragazzini!- commentano tra loro -Questa volta lasceremo correre ma sappi che ciò che hai fatto è reato!- Mi minaccia l'agente Smith. 
-Lo so. Mi dispiace- gli dico suonando affranta.
-Andiamo Bob- dice stavolta Denner rivolto al collega. Quando mi lasciano sola con i miei genitori faccio fatica a trattenere le lacrime. 
-Come hai potuto?- Chiede mio padre. 
"Fallo per lui Max"
-Te l'ho detto: mi piace e- 
-Basta- irrompe la mamma -non voglio sentire una parola in più- dice prima di uscire. Papà rimane per un secondo con me, mi guarda triste e la segue...come sempre. 
-Papà...- provo a richiamarlo flebilmente ma è troppo tardi, li ho delusi un'altra volta e loro hanno deluso me dimostrandomi che non mi conoscono per niente.

-Chi mai potrebbe essere tanto folle? Ha perfino inventato che io sono minorenne!- Dico per l'ennesima volta.
-Indipendentemente da chi sia stato, credo tu abbia sbagliato! Prenderti la colpa servirà solo a fargliela passare liscia, chiunque esso sia- mi rimprovera il mio compagno di stanza.
-John non capisci? Se non avessi mentito ne avrebbero fatto un caso nazionale! Lo avrebbero saputo tutti e non lo avrei più rivisto- dico arrabbiata.
-Non lo so...questa cosa ti sta davvero creando tanti problemi, sei ancora sicura ne valga la pena?- 
-Certo. Più di prima- rispondo convinta. John mi sorride comprensivo.
-A te come è andata?- Chiedo con calma. 
Lui mi racconta di aver conosciuto suo nipote, un bambino adorabile e intelligentissimo a quanto dice. Ha tre anni e lui ne è già innamorato. 
-Sembra fantastico!- Commento felice.
-Oh lo è! Devi assolutamente conoscerlo!- Sprizza felicità da tutti i pori, io gli concedo un sorriso ma penso ancora a ciò che è successo questo pomeriggio e mi rendo conto che c'è una sola persona che può aver chiamato la polizia...
-John ti dispiace? Devo andare a fare una cosa...- dico d'un tratto interrompendo i suoi gioiosi sproloqui.
-Come mai ho l'impressione che non sarà nulla di buono?- Domanda sarcastico.
-Perché non lo è- concordo cupa -ma tu sei mio amico e gli amici appoggiano sempre le scelte- gli ricordo -ci metterò poco- lo saluto uscendo.
Individuo subito il mio bersaglio, alzo le spalle, gonfio il petto e mi dirigo a passo quasi militare verso il bancone e, quando sono abbastanza vicina, posso finalmente sfogarmi.
-So che sei stata tu, spero ti sia divertita- dico a Nora con disprezzo; lei mi rivolge lo sguardo e fa un sorrisino beffardo:
-Oh si! Avresti dovuto vedere la tua faccia- mi dice cattiva.
-Sei pazza- constato senza remore -tutto questo va oltre ogni limite- 
-Mi sembrava di avervi avvertito, ma poi vi trovo nel suo studio a baciarvi...brutta mossa- 
-Cosa fai? Ci segui?- Chiedo impaurita anche se cerco di non mostrarlo.
-Non darti tanta importanza, seguo solo lui- 
-Devi smetterla Nora: facendo così rovinerai solo la sua vita, non lo attirerai a te! Quello che hai detto è grave e per di più io non sono minorenne!- Sbotto alzando la voce; alcune teste si girano verso di me costringendomi ad allontanarmi da lei per ricompormi.
-Io non voglio lui cara, voglio la vendetta- mi dice con un tono che sono sicura la faccia rientrare nella categoria "deliro irrecuperabile".
-Smettila. Non ti permetterò di- 
-Cosa sta succedendo qui?- Sento dire da una voce maschile. Mi giro verso il proprietario trovandomi davanti un uomo imponente, sulla sessantina, vestito di tutto punto.
-Nulla- mi affretto a dire.
-La signorina Stone, giusto?- Chiede avvicinandosi.
-Dipende, chi è lei?- Domando diffidente. L'uomo fa un sorriso.
-Ha ragione, che scortese a non presentarmi. Sono il direttore di questo ospedale- 
Ok, wow.
-Allora si, sono la signorina Stone- concedo cercando di mantenere la calma.
Lui mi guarda attento ed incuriosito:
-Le andrebbe una chiacchierata signorina?- 
-Suppongo di si- rispondo sospinta dalla voglia di allontanarmi da quella donna.
Il direttore mi fa un segno con la mano indicando una sedia a rotelle che un'infermiera ha prontamente portato.
-Gradirei stare sulle mie gambe finché posso permettermelo- dico rifiutando la sua offerta. L'uomo sorride ancora con uno sguardo che sembrerebbe ammirato.
-Mi segua allora- acconsente voltandosi. Io non perdo tempo e mi affretto a mantenere il suo passo, prendiamo l'ascensore e camminiamo ancora fino a ritrovarci in quello che sembra essere il suo studio. 
-Prego- dice indicandomi la sedia sulla quale mi affretto a sedermi ritrovando il direttore dietro la scrivania, con le mani giunte, osservarmi.
-Ha detto che voleva parlarmi- gli ricordo.
-Giusto. Signorina andrò diretto al punto poiché mi sembra abbastanza intelligente da capire perfettamente- mi dice serio -da quando lei è stata ricoverata, devo essere sincero, mi ha creato un po' di problemi: i suoi genitori sempre nel mio studio ad urlarmi contro-
-Non sono responsabile per loro- controbatto.
-Non lo è, ma c'è anche lei che gira per l'ospedale come le pare e piace, lei che sta creando problemi al miglior medico che ho- 
-Non andiamo d'accordo ma questo non significa-
-Le ho detto che la reputo intelligente, non mi faccia rimangiare il complimento- dice infastidito. Ho come l'impressione che lui non sia facilmente ingannabile come i due agenti.
-D'accordo- concedo mesta.
-Il dottor Crow mi ha sorpreso in questi giorni: sembra che qualcuno abbia acceso la sua miccia e che adesso sia pronto a scoppiare-
-Mi dispiace informarla che ai pazienti non è permesso avere fiammiferi o accendini- 
-Divertente- mi dice con una risata sommessa -davvero. Non mi sorprende che sia interessato a lei...-
-Deve dirmi qualcosa?- Domando scocciata: stare in questa stanza mi fa sentire a disagio e quest'uomo sembra sapere più cose di quanto debba.
-Vede, come direttore sanitario non potrei tollerare una cosa del genere ma la metà dei pazienti che sono qui ci sono perché lui è qui- mi informa -farò finta di nulla: fingerò di non sentire i pettegolezzi, fingerò di non sapere che ha passato fin troppo tempo nella sua stanza e questo perché lui mi serve- dice severo -ma in cambio è necessario che lei non faccia più piazzate come quelle a cui ho appena assistito e che accetti ogni mia decisione-
-Quali decisioni?- Chiedo sconcertata.
-Lo vedrà. Sappia che sono stato fin troppo buono fino ad ora, non vorrei vedermi costretto a mandare via un tale talento...- 
Mi sta minacciando! In questo ospedale sono tutti matti! 
-Allora abbiamo un accordo?- Domanda porgendomi la mano. Sembra di fare un patto col diavolo ma quale altra opzione ho? 
Mi alzo senza ricambiare la stretta, quando arrivo alla porta mi volto sconfitta:
-Abbiamo un accordo- 

-Non crederai mai- mi blocco subito notando che al mio rientro non c'è John in stanza.
-Signorina, il signor Dennings si è sentito poco bene; abbiamo dovuto portarlo in una stanza più attrezzata- mi informa un'infermiera.
-Oh ma adesso sta bene?- Chiedo preoccupata.
-Mi dispiace non lo so- risponde cortese per poi lasciarmi sola, come se non bastasse l'orrenda chiacchierata di prima ora ci si mette anche questa. 
Mi siedo su un lato del letto completamente sfinita: che razza di giornata! 
-Spero tu sia pronta per il tuo tatuaggio!- La sua voce mi fa sobbalzare. Lear è nella mia stanza: ha in mano quello che sembra un pezzo di carta e una ciotola con dell'acqua.
-Cosa?- Chiedo non capendo dove vuole andare a parare -Cosa ci fai qui, ora?- Domando preoccupata -Non hai saputo della polizia?- Chiedo.
-Si- risponde triste -mi hanno fatto una cortese visita, ho negato tutto. L'unica cosa che mi preoccupa è cosa hanno detto a te...-
-Ho negato tutto anche io chiaramente- dico veloce 
-Lo avevo intuito visto che non sono dietro le sbarre- dice sorridendo -ti ringrazio ma ciò che mi incuriosisce è come tu abbia fatto- 
Non voglio farglielo sapere:
-Credo di essere abbastanza persuasiva- rispondo -e sai anche chi è stato?- Gli domando.
-Nora- commenta asciutto -non ti preoccupare non vedrei più quella donna, fosse l'ultima cosa che faccio- suona minaccioso.
-Non vorrai ucciderla- dico tra le risate.
-Non ne varrebbe la pena- mi rassicura -Ma ora non farti distrarre da questo importante momento: volevi un tatuaggio- mi ricorda avvicinando un carrellino al mio letto e posandoci sopra ciò che aveva in mano -avevo pensato di pagare un tatuatore e farlo venire qui ma poi il mio buonsenso da medico ha avuto il sopravvento quindi dovrai accontentarti di questo- dice mostrandomi il pezzo di carta. Non posso credere ai miei occhi. È la riproduzione esatta di un piccolo fegato ed è pure colorato! Lo osservo con gli occhi lucidi quando noto la frase che lo incornicia "irrimediabilmente fastidiosa".
-È...è un tatuaggio per bambini, quelli non permanenti!- Esclamo incredula.
-Si. Faresti meglio a fartelo piacere: ho girato tutta la città per trovare un tizio disposto a farlo. Penavano tutti fossi uno psicopatico- 
Lo guardo con amore. Non posso credere abbia fatto tanto per me!
-Lo amo- rispondo incantata.
-Perfetto allora- dice avvicinandosi -non temere: non sbaglierò posizione, credo di sapere bene dove si trova un fegato- mi rassicura scherzoso bagnando una spugnetta.
Solevo il camice lasciando scoperta la pancia, lui mi fa un sorriso e appoggia il mio tatuaggio ancora su carta sulla mia pelle. Ha le mani fredde ma non mi importa. Lo seguo quando posa la spugnetta sopra la carta e picchietta più volte. Attendiamo un minuto e poi lo scopre rivelando un perfetto "tatuaggio" sulla mia pancia.
-È perfetto- dico con ammirazione -tu sei perfetto- gli dico felice.
-Scusate. Dottor Crow, signorina Stone- ci sentiamo richiamare. Rimango immobile alla vista di un uomo col camice bianco sulla porta, è un medico anche lui...
-Stein- commenta Lear che, a quanto pare, lo conosce -cosa ci fai qui?- 
-Non te l'hanno detto?- Chiede lui.
-A quanto pare no- risponde Crow spazientito.
-Beh ecco...sono il dottor Charles Stein- dice rivolto a me -il suo nuovo medico-


Autrice: Grazie come sempre per le recensioni allo scorso capitolo, spero vi piaccia anche questo e scusate per il "cliffhanger".
Per il prossimo aggiornamento potrebbe volerci un po' di più rispetto al solito (scusate ma sarà una settimana impegnatissima) grazie ancora :) 

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Capitolo 15
*** All in ***


-Come vede ho già un medico- obietto secca sfiorando il confine della maleducazione. 
-Max!- Mi rimprovera di traverso Lear che, nel frattempo, è rimasto con lo sguardo fisso su quell'ometto che ho deciso di rinominare il "parassita". Ora, questo tizio potrebbe essere un medico perfetto, fenomenale, un premio Nobel persino più bravo di Crow, anche se lo dubito, ma l'unica cosa che vorrei in questo momento è che uscisse dalla stanza scusandosi profondamente per l'errore commesso. Il dottore in questione, però, non sembra affatto toccato dalle mie dure parole ma, al contrario, avanza verso di noi con le mani affondate nelle tasche del suo camice bianco, perfetto ma fin troppo lungo e con un sorriso antipatico stampato sulla sua faccia antipatica mi dice:
-Sapevo ci sarebbe stata della resistenza, ma non si preoccupi signorina: sono bravo tanto quanto il mio collega...modestamente- ridacchia rumorosamente in modo scomposto, posando una mano sulla spalla di Lear mentre gli lancia un'occhiata di intesa. Potrei giurare di vedere il mio dottore trasalire e usare tutto l'autocontrollo di cui dispone per evitare di rispondere male o peggio...mi sfugge un piccolo sorriso quando mi rendo conto che oramai le sue espressioni, i suoi sospiri e persino i suoi impercettibili movimenti non sono più un codice impossibile da decifrare per me, il che non potrebbe far altro che rendermi euforica, soprattutto sapendo con quale difficoltà le persone riescono anche solo ad avvicinarsi a lui. 
-Posso chiedere il motivo di questo cambiamento improvviso?- Domando riprendendomi dai miei pensieri, decisa a risolvere in fretta la cosa.  
-Certamente cara- risponde subito lui avvicinandosi ancora e costringendo Lear a farsi da parte per evitare di essere travolto -vedi, devi sapere che in ospedali grandi come questo è quasi inevitabile che ci siano dei cambiamenti, fanno parte della vita: non devi esserne spaventata! Semplicemente questo è un lavoro e capita che per orari o convenienza ci siano suddetti cambiamenti- dice prendendo fiato per la prima volta e, senza darmi il tempo di replicare, con un fare superiore come se stesse parlando ad un bambino, mi blocca con un gesto della mano -e non ho potuto fare a meno di notare, quando sono entrato, quel...chiamiamolo tatuaggio...carino, davvero, ma deve essere tolto al più presto-
-Lo avrei tolto anche io Stein, ma non c'è pericolo finché- prova ad intromettersi Lear.
-perché potrebbe esser potenzialmente pericoloso per te, cara- giuro. Se avesse detto un'altra volta cara non avrei risposto di me stessa. 
-Lear che ne dici di andare a chiamare un'infermiera? Dille di prendere acqua calda e un panno- lo aveva veramente detto. Guardo Crow strabiliata. 
-Stein non credo sia necessaria tutta questa fretta- dice Lear a fatica -piuttosto che ne dici tu di darmi un minuto per parlare con la mia paziente- continua sottolinenando il mia... ci sono due uomini, due dottori nella mia stanza che si fronteggiano con lo sguardo, finché il buon parassita non arretra di un passo alzando falsamente e scherzosamente le mani:
-e va bene dottor Crow, hai vinto una battaglia- scherza col suo finto sorriso mentre lascia la stanza -ma come si sa...non la guerra- chiude con una velata minaccia sotto forma di battuta scomparendo dietro la porta. 
-Incredibile!- Sbotto non appena rimaniamo soli -Cosa credeva di fare? Venire qui e scegliere a suo piacimento "ehi tu, sei la mia nuova paziente"- dico imitandolo malamente -cos'è? In questo ospedale c'è una gara a chi ha più pazienti di cui non sono a conosc- 
-Ragazzina! Smettila!- Mi interrompe bruscamente Lear, bloccandosi dopo aver fatto avanti e indietro per la stanza almeno venti volte. La sua reazione mi lascia stupefatta, sgrano gli occhi e attendo che si degni di spiegarmi il suo comportamento.
-Smettila- ripete stavolta più lentamente, si appoggia al muro della stanza con le spalle un po' ricurve e si mette le mani tra i capelli mentre io sono ancora in attesa di una sua reazione.
-Ragaz- si schiarisce la voce in un modo che non sembra appartenergli -Max- riprende profondo perforandomi con lo sguardo -So per certo che...che il dottor Stone saprà prendersi cura di te al meglio e-
-Prendersi cura di me al meglio?- Ripeto indignata -Hai forse battuto la testa?- Gli domando ridendo divertita sicura che stia scherzando quando, in realtà, Lear mi guarda con un'espressione seria:
-No, non ho battuto la testa- inizia e quando mi vede prendere fiato per controbattere mi sovrasta con la voce -e no, non ho bevuto, non ho assunto nulla e non c'è niente di strano in me! Ti sto solo dicendo che Stone è un...buon medico e che ha esperienza con i casi come il tuo- dice trafelato sporgendosi col corpo verso di me sottolineando ancor di più la sua foga.
Rimango a guardarlo impietrita e sconvolta dalle sue parole, posso giurare di sentire i miei occhi pizzicare affinché io rilasci le lacrime che sto trattenendo.
-Non farlo. Non osare- mi rimprovera Crow avvicinandosi ancora di più -non osare- ripete fissandomi duro e so che si riferisce ai miei occhi lucidi.
-Non dirmi cosa fare- cerco di ribattere guadagnando un po' di dignità -e non permetterti di trattarmi così!- Gli urlo arrabbiata e sembra che il mio tono faccia effetto perché lo vedo indietreggiare e sbarrare gli occhi rendendosi finalmente conto del suo comportamento: i suoi cambiamenti di umore iniziano a farmi venire il mal di testa, un minuto prima mi fa una delle sorprese più belle della mia vita e quello dopo è qui ad urlarmi contro per lasciarmi alle cure di un viscido. 
-Mi dispiace- dice riacquistando lucidità -mi dispiace Max, io non so cosa...- è davvero così dura per lui esprimere a parole qualcosa che non sia disprezzo o odio.
-Allora dimmi che diavolo ti prende!- Lo incalzo asciugando con quanta più discrezione riesco una lacrima.
-Non mi prende nulla- mi dice per la seconda volta -ma non capisco la tua reazione: lui è un medico, che differenza c'è se è lui a curati o io? Stiamo solo aspettando Max! Passiamo le giornate a sperare che qualcuno muoia e che quel qualcuno sia sulla lista dei donatori e che sempre quel qualcuno abbia il tuo gruppo sanguigno e, come medico, purtroppo, non c'è niente che io possa fare per cambiare questa cosa!- Dice d'un fiato a voce talmente alta da darmi fastidio alle orecchie: proprio quando pensavo mi stesse chiedendo scusa eccolo affondare il coltello nel mio cuore ricordandomi quanto la mia vita sia ad un soffio dal spegnersi assieme a queste dannate macchine che mi circondano.
-Vattene- gli dico incolore senza guardarlo.
-Cosa pensavi Max? Che fossi il tuo cavaliere o il tuo angelo custode? Che basti solo la mia presenza per guarirti magicamente? Sai bene che non è così e sai che non-
-Ho detto vattene. Vattene o chiamo le infermiere- sibilo ancora senza degnarlo di uno sguardo, lui è combattuto: sposta il peso più di una volta poi sferra un pugno contro il comodino vicino facendomi sobbalzare e se ne va. 
Quando sbatte la porta alle sue spalle porto le ginocchia al petto e, racchiusa in me stessa, mi lascio andare a dei singhiozzi che da tanto tenevo dentro me e quando li sento talmente forti da non lasciarmi respirare, capisco che ormai è troppo tardi e che il secondo più grande errore della mia vita l'ho già fatto senza che nemmeno me ne accorgessi: si dice che l'amore cura ogni ferita, nel mio caso l'amore è solo sale. Sale sulle ferite. 

Il parassita non mi ha più disturbata per il resto della giornata, Crow deve avergli detto che stavo riposando per non dovere dare spiegazioni sul perché stessi così male. A dir la verità non ho visto più nessuno da quando lui è uscito dalla mia camera il che è deprimente perché non ho fatto altro che pensare alla litigata e a John: da quando mi hanno detto del suo trasferimento a causa delle sue condizioni nessuno si è degnato di farmi sapere nulla così ho deciso di chiamare un'infermiera che solo ora si presenta in camera:
-Hai bisogno di qualcosa?- Fantastico. L'amica di Nora. 
-Si, no. Cioè non per me...volevo sapere, il mio compagno di stanza, John, ha notizie di lui? Come sta?- Chiedo ansiosa.
-Sei un suo familiare?- Mi risponde lei annoiata.
-No- dico -ma- 
-Allora in questo caso, mi dispiace, ma non posso dirti nulla tesoro- ribatte falsamente. La giornata sta andando di male in peggio.
-Oh...grazie comunque- strascico le parole che mi costringo a dire per evitare altre litigate, l'infermiera mi fa un cenno con la testa e scompare, ma prima che io possa esalare un sospiro, sento la sua voce.
-Allora cara, come andiamo?- Lui. Il parassita. Nella mia stanza, tornato a reclamare la mia malattia come sua. Non gli rispondo dando adito alle sue supposizioni:
-Sei ancora arrabbiata?- Chiede mimando le virgolette con le mani mentre ciondolando si avvicina a me: la sua camminata è scomposta, l'espressione sorridente ma in un qualche modo spenta e stana...posso averlo giudicato male e frettolosamente prima, quando cercava di strapparmi a Lear ma ora, a mente fredda, non riesco comunque a cambiare l'idea che mi sono fatta di lui. I suoi movimenti, i suoi occhi...
-Non sono mai stata arrabbiata- rispondo secca -ero, sono- mi correggo subito -sono solo perplessa- concludo fredda. 
-È normale cara- "cara" sarà il mio incubo stanotte -ma come ti ho già detto si è deciso che è meglio così e-
-E posso appellarmi a qualcosa per contrastare questa decisione?- Domando immobilizzando il suo sorriso a trentadue denti.
-No- risponde con un sorriso nervoso mentre controlla le flebo -direi di no, inoltre non per vantarmi ma sono abbastanza bravo e davvero, non comprendo questo astio- continua sinceramente imbarazzato. Forse ha ragione e mi sto solo comportando come un'adolescente viziata e stupida, infondo lui non ha nessuna colpa se non quella di abusare della parola "cara" e avere una faccia che i più riterrebbero "da schiaffi".
-Ha ragione- dico ormai calma -mi scusi, è stata una giornata...particolare- sospiro malinconica -non...non sto molto bene oggi e inoltre non vogliono farmi sapere nulla sul mio amico e- 
-Allora Maxwell- inizia lui senza sembrare di avermi sentita. 
-Solo Max- lo correggo io interdetta.
-Max, abbiamo per le mani una brutta malattia: non preoccuparti, mi hanno già detto come l'hai presa- di nuovo le virgolette con le mani -quindi niente imbarazzi- afferma sorridendo. Gli hanno detto come!?
-Mi scusi cosa le hanno detto?- Chiedo preoccupata.
-Hai fatto la cattiva ragazza eh?- Mi dice scherzando, io spalanco gli occhi incredula -Non preoccuparti- riprende subito -tutti gli adolescenti lo fanno ma, come ho detto, non preoccupiamoci- batte le mani felice -dalla nostra abbiamo il fatto che sei giovane, di buona famiglia e- ho smesso di ascoltarlo a "cattiva ragazza": allora non mi ero sbagliata su di lui! Non riesco a credere che mi abbia detto una cosa simile.
-Sta scherzando vero?- Domando dandogli un'ultima possibilità di redenzione; lui mi guarda stranito e, badando poco alla mia bocca spalancata, prosegue come una palla demolitrice:
-Cominceremo con il togliere questi farmaci contro il dolore, non sono nemmeno di questo Stato: per quanto ne so potrebbero essere illegali qui- parla dei medicinali che mi aveva dato Crow, quelli per cui si era arrabbiato, quelli che mi evitavano il vomito...
-Io rispetto alla lettera i regolamenti e non vorrei incorrere in procedimenti per queste situazioni- virgoletta ancora con le sue mani che ora guardo con disgusto -non preoccuparti: ci sono validissimi farmaci equivalenti! Secondo, niente più tatuaggi!- Mi ammonisce fissando il punto in cui si trova quello fatto prima con Lear. 
-Voglio che lei mi ascolti per un attimo- dico scura e decisa decidendo di porre fine a questa pazzia e quando catturo finalmente la sua attenzione continuo -voglio che lei chiami i miei genitori, il direttore di questo ospedale e che gli dica che voglio parlare con loro e voglio anche che trovi informazioni sul mio amico. Quello che non voglio è che lei sia qui e che mi parli in questo modo, quindi ora per favore esca e mi lasci in pace se davvero vuole evitare spiacevoli situazioni- concludo mimando ed enfatizzando le sue virgolette con un gesto delle mani. Suppongo di averlo fatto arrabbiare a sufficienza perché lo vedo indietreggiare infastidito, mentre, senza rispondermi esce lasciandomi sola con un sorriso stampato in faccia: so cavarmela anche senza di te Lear Crow...un punto per la ragazzina.

-Scusa- mi sento chiamare da una giovanissima infermiera che non ho mai visto prima. Alzo lo sguardo dal libro che sto leggendo e la vedo sulla soglia -mi è stato detto che puoi avere informazioni sul tuo amico- dice monotona. E così, alla fine, il parassita ha deciso di collaborare! 
-Grazie! Oh mio Dio finalmente- dico felice cercando di mettermi in piedi con gin troppa foga.      
-C'è suo figlio e ha detto che possiamo tenerti informata: purtroppo il signor John è peggiorato nelle ultime ore e dobbiamo tenerlo sotto stretta sorveglianza...-
-Peggiorato?- Ripeto e il sorriso mi muore in faccia -Ma...posso- deglutisco impaurita -posso vederlo?- Domando speranzosa.
-Mi dispiace ma questo io, io davvero non so. Non credo signorina, non è una parente e già dare queste informazioni è-
-Per favore- insito ma so già che mi dirà di no. 
-mi dispiace, non posso davvero- mi fa sincera. Sono sconfortata e di nuovo sola quando lei lascia la stanza ma mi rendo conto che devo cambiare qualcosa e decido di alzarmi: oggi la Max sottomessa e calma ha smesso di esistere, da oggi le mie battaglie le combatto da sola a partire dal cercare di rimettermi in piedi. Quando riesco nell'impresa arrivare alla porta non è più un miraggio.
-Signorina!- Mi sento richiamare, una volta uscita, dall'infermiera di prima -Signorina cosa fa?- Chiede allarmata 
-Sto andando a trovare il mio amico- rispondo ferma continuando ad avanzare.
-Si fermi o sarò costretta a- 
-Cosa sta succedendo?- Mi blocco quando davanti a me si para una montagna bianca, alzo lo sguardo, vedo il suo viso e mi sento mancare per un attimo.
-Dottore- dice sollevata lei -la signorina vuole vedere a tutti i costi il suo amico ma non è possibile: non è una parente-
-Si, conosco le regole- taglia corto Lear.
-Per fortuna c'è lei: non sapevo più che fare- conclude sollevata.
-In questo caso è un peccato che il dottor Crow non sia più il mio medico curante- intervengo fissandolo dritto negli occhi.
-Sono comunque un medico signorina Stone- dice calcando sul mio cognome: è così strano sentirlo dire da lui, quasi impersonale dopo tutte le volte che mi ha chiamata per nome e capisco che anche per lui deve essere così -non si preoccupi- dice rivolto all'infermiera rimanendo però con gli occhi su di me -me ne occupo io ora- conclude facendola allontanare.
Mi prende per un braccio e mi trascina dolcemente dietro un angolo.
-Cosa credi di fare?- Domanda arrabbiato
-Voglio vedere John, mi hanno detto che è peggiorato e io sono l'unica persona che lo conosce e gli vuole bene all'infuori di suo figlio, credo di averne il diritto- gli faccio presente.
-Ma questo non ti dà il diritto di comportati così: non metterti in mostra, non fare la sovversiva e soprattuto non combattere il sistema per farla pagare a me o per dimostrare quanto sei orgogliosa: non ti conviene nelle tue condizioni di bisogno- sibila.
-Per falra pagare a te!?- Ripeto stizzita -Notizia dell'ultima ora Crow; non tutto gira attorno a te e al tuo ego, lo sto facendo per John e non per te. Come può solo venirti in mente una cosa del genere!- 
-Perché so che in un'altra occasione mi avresti chiesto aiuto e sai che ti avrei aiutata- mi dice calmo e serio -non sono più in grado di dirti di no e tu lo sai- continua.
-E allora non dirmelo- dico sfinita e triste. Lo guardo ancora e lui afferra il mio carrellino della flebo e il mio braccio sostenendomi mentre mi accompagna. 

-Solo da dietro il vetro?- Chiedo piangendo silenziosamente.
-Si, mi dispiace- mi sento rispondere da Lear che nel frattempo è rimasto in disparte lasciandomi sola difronte alla visione di John, il mio amico John dalla voce calda e il bel sorriso, steso diritto su un letto, tenuto in vita da un respiratore. 
-Sta soffrendo?- Insito.
-È difficile dirlo, non si sa con certezza: nessuno sa con certezza cosa provano le persone durante il coma- mi spiega -io credo di no- continua sorprendendomi e facendomi fare una risata amara:
-non mentire, non con me- gli dico -Quanto tempo credi gli sia rimasto?- 
-Io...non so se supererà la notte- mi risponde decidendo di seguire il mio consiglio. Non posso fare a meno di strizzare gli occhi e serrare i denti, sento il cuore immobile e pesante e i polmoni sempre più vuoti, le mani mi fanno male talmente sono strette in dei pugni. Mi volto lentamente, apro gli occhi ma respiro a fatica e trovo Lear davanti a me con lo sguardo fisso nel vuoto: ha il viso pallido come se avesse visto un fantasma.
-Cosa?- Domando preoccupata, lui si riscuote fretta e mi guarda smarrito:
-Nulla- dice veloce risultando poco convincente -nulla io- sospira -io- inizia a guardare a destra e a sinistra, si porta una mano alla gola -Max- dice con un respiro strozzato -Max ti prego- continua protendendo una mano verso di me; io sono completamente sconvolta e non so che fare, ho paura mente mi avvicino a lui e afferro la sua mano gelata.
-Sono qui- lo rassicuro -io...Lear- lo richiamo quando lo vedo iper ventilare. Lo faccio sedere su una delle sedie e mi metto accanto a lui accarezzandogli la schiena mente lui a testa bassa cerca di riprendere un respiro regolare. Non ne ho mai avuto uno ma potrei giurare che questo è un attacco di panico in piena regola. 
 -Mi dispiace- dice col fiato corto -mi dispiace- 
-Lear- dico piano io -Lear che è successo?- Domando cauta.
-Per un attimo- dice ancora sconvolto -per un attimo ti ho vista al suo posto e...cazzo Max, me lo ero ripromesso. Mi ero ripromesso di non soffrire più ma- lo abbraccio di slancio stringendolo forte e con il viso sepolto nel suo collo mi lascio andare: tutte le lacrime trattenute, tutta la rabbia, tutto l'amore...e mentre ci stringiamo capisco che nonostante quanto cerchiamo di auto convincercene per quanto cerchiamo di dimostrare il contrario non siamo forti, non siamo invincibili: Lear non lo è ed io non lo sono perché abbiamo la stessa paura, perché entrambi abbiamo troppo da perdere: l'amore.   






Autrice: mi scuso immensamente per l'assenza, come ho detto a chi mi ha scritto in privato (vi ringrazio infinitamente per l'interesse mi avete davvero scaldato il cuore) in questo periodo ho dovuto affrontare esami, problemi personali e sinceramente non volevo pubblicare un capitolo che poi avrei ritenuto mediocre quindi mi dispiace e spero vorrete perdonarmi. Non posso assicurare un aggiornamento ogni 1/2 giorni come accadeva prima, la scuola mi consuma anima e mente, ma posso assicurarvi che mi impegnerò a pubblicare con costanza per dare a questa storia un degno seguito. Vi ringrazio molto e se vi va fatemi sapere cosa pensate del capitolo :)
Presto ci sarà anche un pov di Crow per spiegare al meglio le sue emozioni. 
Grazie ancora, Lovingit  

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Capitolo 16
*** Thursday ***


Non mi sono mai piaciuti i giovedì: quando la salute ancora me lo permetteva andavo a scuola e il giovedì era il giorno della ginnastica: ricordo che mi alzavo la mattina ed ero già nervosa e di malumore. La odiavo e speravo solo che quelle due ore passassero subito. Oggi mi sembra stupido pensare che quelli fossero i miei problemi. 
Questa mattina mi sono svegliata sola in camera, è passata solo un'infermiera per chiedermi se stessi bene: le ho risposto mestamente di sì tenendo la testa bassa...ho visto solo lei in tutta la mattinata e mi sembra di esser stata dimenticata. Dove sono tutti? 
Nemmeno la TV che sto tenendo ad un volume fin troppo alto riesce a distrarmi da questa domanda. 
-Ehi...- sento una voce, la sua voce e per la prima volta in questo giorno mi sento felice. Alzo lo sguardo e sorrido apertamente vedendo Lear.
-Ciao- rispondo caldamente cercando di non suonare fin troppo entusiasta -pensavo fossi scappato con i tuoi amici alieni- gli dico non riuscendo a trattenermi e suonando quasi ridicola. Volevo sapere cosa aveva fatto da quando ieri mi aveva lasciata, letteralmente scappando, dopo il nostro abbraccio. 
Lear mi guarda, fa un sorriso accennato ma poi si riprende subito: assume un'espressione grave e, oserei dire con fare nervoso e imbarazzato, congiunge le mani per poi lasciare ricadere velocemente ai fianchi. 
Si avvicina incerto e si siede accanto a me sul letto. 
-Oh- dico mettendomi sedendomi meglio -oh- ripeto con una faccia illuminata -ho capito: gli alieni ti hanno rubato il cervello sostituendolo con un altro: è per questo che non parli? Perché in realtà sei- 
-Max- mi interrompe grave lui, chiaramente non apprezzando il mio maldestro tentativo di fare dell'ironia. Lo guardo attentamente cercando di capire cosa gli passa per la testa. 
-Smettila- gli dico impaziente -qual è il problema?- Chiedo ormai preoccupata. 
-Io...- inizia con voce bassa -Max, questa notte il tuo compagno di stanza...John...ha avuto una complicazione e...- non sento nemmeno più la sua voce: quando fa per prendermi la mano capisco tutto: "probabilmente non supererà la notte" mi aveva detto. La vista mi si appanna e mi rendo conto che è per colpa delle lacrime solo quando una di loro mi scivola sulla guancia. L'espressione di Lear si contrae in una smorfia di compassione e dispiacere e mi stringe la mano ancor di più. 
-Non ha sofferto, o almeno credo...era sotto morfina e...-
-Lo sai che non conta nulla. Lui è morto- lo interrompo cattiva.
-Io...- dice interdetto.
-No- scuoto la testa -mi dispiace, tu non c'entri nulla...- gli dico affranta. Non riesco a credere che John non ci sia più. Lo conoscevo da poco ma potevo ormai definirmi sua amica. Avevo conosciuto suo figlio, la sua storia...
-Max- sento richiamarmi da Crow. 
-Eh?- Rispondo disorientata, mentre cerco di guardarlo negli occhi. 
-Ascolta non ho molto tempo prima che il tuo nuovo dottore venga qua, mi trovi e poi vada a lamentarsi dal direttore- mi dice scocciato  -voglio che tu mi prometta una cosa: devi reagire, ok?- Mi guarda fisso negli occhi -so che gli eri affezionata ma non puoi permetterti di debilitarti anche psicologicamente- mi dice. 
-Lo dici da medico? O lo dici perché ci tieni a me?- Chiedo stizzita. 
-Max io non sono un uomo buono e vuoi la cruda verità? Lui per me era un paziente come un altro, è morto come muoiono tanti! Ma tu non sei una qualunque e Max, permettimi di essere egoista e di dirti che se ti lasci andare adesso non te lo perdonerò!- Conclude furioso.
-Cosa ti fa pensare che io mi lasci andare? O sei tu che ti stai arrendendo? Ieri mi hai detto di avermi vista al suo posto...-
-Ti ho vista e ti vedo ancora al suo posto!- Sibila alzandosi per poi iniziare a girare nervosamente per la stanza. 
-Posso...posso non so...salutarlo?- Chiedo tornando lucida e cercando di cambiare discorso. 
-Il funerale è domani ma- 
-Cosa?- Irrompo.
-Non credo ti permetteranno di lasciare l'ospedale, o meglio, Stein non te lo permetterà- mi dice dispiaciuto.
-Ma non possono, cioè è un funerale!- Gli dico con ovvietà. Lui non mi risponde, si appoggia al muro della stanza e chiude gli occhi sospirando. 
Siamo entrambi distrutti e tristi.
-Lear- lo richiamo -ti prego...ho bisogno di- cerco di dire sincera ma prima che io possa finire lo vedo venire a grandi passi verso di me e prendermi in un abbraccio strettissimo. Quando sento il suo odore entrare nelle narici e le sue braccia forti attorno a me, non posso più trattenermi e scoppio a piangere. Non ricordo quando è stata l'ultima volta che ho pianto così tanto, così forte...Lear mi stringe ancor di più, non posso quasi respirare ma non mi importa nulla:
-Mi dispiace- lo sento sussurrare di continuo. 
Quando mi stacco da lui per guardarlo ci ritroviamo con il viso a pochi centimetri uno dall'altra ma l'incantesimo è presto spezzato dall'intrusione del dottor Stein. 
-Oh- fa falsamente sorpreso -eccovi, tutti e due...Crow, ti sta cercando il direttore- gli dice con tono infastidito -e se non ti dispiace vorrei controllare la mia paziente- continua avvicinandosi. Lear si allontana fissandolo ma prima di uscire gli dice:
-I suoi parametri sono buoni, credo sia meglio lasciarla sola in questo momento- 
-Beh non darà fastidio a nessuno se io controllo personalmente- ragionare con questo uomo sembra impossibile...
Lear mi guarda un'ultima volta e sparisce.
-Allora Max- inizia Stein -come va stamattina?- Mi chiede controllando la cartella. 
Decido di essere sincera con lui.
-Di merda- lui alza lo sguardo spiazzato e fa una risatina nervosa.
-Oh beh...come mai?- Chiede nervoso. 
-Un mio amico è morto e domani ci sarà il funerale e non so perché ma mi è stato detto che io non posso andare- 
-Non puoi infatti- mi gela lui -mi dispiace per la tua perdita ma le tue condizioni non ti permettono di uscire- spiega. 
-Ma sarà per due ore al massimo, posso essere seguita da un'infermiera o-
-O dal dottor Crow?- Mi chiede cattivo -Sai non ho mai creduto alle voci di corridoio ma comincio a pensare che non siano poi tutte false- continua sibillino -da come si comporta sarebbe in grado di infrangere tutte le regole pur di accontentarti, ma lascia che ti dica una cosa: io sono il tuo medico e, ripeto, mi dispiace ma sei sotto la mia responsabilità e perciò non puoi lasciare questo ospedale, o questa stanza o persino questo letto se non per andare in bagno o fare esami- dice ormai senza fiato -ti consiglio di non cercare scorciatoie e, se ci tieni, di non coinvolgere il dottor Crow: ha già abbastanza problemi a causa tua- conclude facendomi sbarrare gli occhi. 
Penso immediatamente all'episodio di Nora o alle voci che ho sentito su di noi. Non posso fare a meno di sentirmi uno schifo. Lo sto rovinando? È giovane e ha una splendida carriera davanti...
-Mi sembri apposto, tornerò più tardi per controllare ancora- mi dice neurale. Lascia la stanza senza nemmeno salutarmi, lasciandomi attonita. 
Dopo essermi ripresa, decido di mandare un messaggio a Molly e ai miei genitori dando la notizia della morte di John. I miei si presentano nella mia stanza dopo poco, c'è anche la mamma. Ci guardiamo e il primo a rompere il silenzio è papà:
-Mi dispiace tanto Max- dice abbracciandomi -sappiamo quanto ti eri affezionata a lui- continua. Io guardo mia madre che, incerta, mi prende una mano e la stringe; le sfugge una lacrima e capisco che nulla conta più difronte a una tale tragedia. Stiamo così, in silenzio, per un po'.
-Non mi lasciano andare al suo funerale- dico d'un tratto, sperando nel loro supporto. 
-Max...piccola...non sei nelle condizioni- dice dolce mio padre.
-Ma io mi sento bene! Non mi succederà nulla se- 
-Ehi, non voglio discutere, è fuori discussione che tu vada- dice mia madre cercando di mantenere un tono dolce. 
Li guardo arrabbiata ma contino:
-Ma- 
-Scusate- sentiamo dire da una voce quasi sconosciuta -Buongiorno signori Stone, Max- è Mark, il figlio di John ed è nella mia stanza: ha gli occhi rossi come i mei e sembra a disagio mentre si chiude la porta alle spalle. Vedo mio padre riconoscerlo subito: una sera si erano parlati.
-Salve- dicono i miei in coro -mi dispiace per la sua perdita, davvero, le mie più sentite condoglianze- gli dice mio padre stringendogli la mano -suo padre deve essere stato un uomo fantastico- continua. 
-Si...già, grazie- dice Mark a disagio -po...potrei parlare un attimo con vostra figlia?- Domanda con voce flebile. 
-Certo- dice inaspettatamente mia madre prendendo sottobraccio papà. Una volta usciti, il giovane ragazzo nella mia stanza mi fa un sorriso tirato. 
-Ehi- mi dice.
-Ehi- rispondo anche io. 
-Sono...insomma sono qui perché...beh lo sai- inizia incerto.
-Si lo so- confermo -Dio che stupida non ti ho nemmeno fatto le condoglianze- mi riscuoto.
-Non importa, davvero: non mi sono mai piaciute- dice con un breve sorriso -sono qui solo perché volevo sapessi che mi farebbe davvero piacere che tu ci fossi...al funerale intendo...sai, per quanto poco io ne sappia di mio padre ho capito che non doveva avere molti amici e...-
-Piacerebbe tanto anche a me, non sai quanto- dico sconsolata -ma il mio medico non mi vuole far mettere piede fuori da questo stupido letto- spiego. 
Mark mi guarda sorpreso:
-Oh! Già che stupido, davvero Max fai finta che non abbia detto nulla. Non ci avevo davvero pensato-
-Non preoccuparti, volevo davvero esserci!- Ripeto. 
-Beh volevo anche dirti che un giorno eravamo io e lui soli e mi ha fatto promettere di dirti, se mai se ne fosse andato all'improvviso, che devi seguire il tuo cuore e devi fregartene degli altri. Mi ha anche detto che non devi aver paura e che sarebbe impossibile non volerti bene.-
Sento riaffiorare le lacrime mentre sento le sue parole. Questo è il suo testamento per me. Le sue parole sono la mia parte di eredità e le custodirò con grande cura. 
-Ti ringrazio, davvero- sorrido -E Mark?- Lo richiamo facendolo voltare -Domani cercami, non sia mai che riesca a far cambiare idea a qualcuno- gli dico speranzosa. 
-Ci conto Max- mi saluta uscendo. 
Già...lo spero davvero. 

Nel pomeriggio ho ricevuto una chiamata da Molly, era davvero dispiaciuta per John ma ancora più arrabbiata per tutta la "situazione Stein", il quale, mi è venuto a controllare come promesso poco prima della cena a base di brodo che ora sto cercando di ingoiare. 
Adesso che ci penso oggi è giovedì. Che strani scherzi riserva il destino. 
Voglio solo annullare per un attimo la mente e lasciarmi andare, voglio dormire senza vedere il viso di John o di Lear. Voglio un attimo di pace: lo penso mentre cerco di addormentarmi e, forse per la stanchezza o la tristezza, mi trovo ben presto nel mondo dei sogni. 

-Max- mi sento scuotere -Max, per favore svegliati- scuoto la testa e mi rigiro ancora addormentata. 
-Maxwell!- Mi sento richiamare più forte. Apro leggermente gli occhi e per poco non soffoco nella mia stessa saliva: Lear Crow piegato su di me che cerca di svegliarmi. 
-Lear...- dico infatti ancora intontita.
-Avanti, non abbiamo molto tempo- mi scuote ancora mentre io mi riprendo velocemente; è senza camice, anzi indossa un completo...nero, ha in mano una busta e un'espressione preoccupata. 
-Cosa diavolo...?- Faccio per chiedere. 
-Vuoi andare al funerale giusto?- Mi domanda quasi scocciato -Mi sono letto e riletto la tua cartella: non hai avuto importanti peggioramenti ultimamente, sembri stabile e farti stare sempre a letto non è la migliore delle idee: ti concedo tre ore- mi dice come se stesse leggendo la lista della spesa. 
Io lo guardo incredula: non posso credere che abbia fatto tutto ciò per me. 
-Allora?- Mi incalza -Qui dentro c'è un vestito per te, vai in bagno e mettilo- mi ordina. 
-No- dico veloce ripensando alle parole di Stein riguardo al creare a Lear problemi -le persone già parlano, tu non sei il mio medico e non puoi scegliere se dimettermi o meno, finiresti nei casini- gli dico razionale. 
-Max sono già nei casini fino al collo- dice estraendo dalla busta un semplice vestito nero e delle ballerine:
-Spero siano della tua taglia...ho visto le scarpe con cui sei arrivata e...-
-Lear- cerco di richiamare la sua attenzione -non possiamo- faccio triste -non voglio causarti nessun problema e poi-
-Max- dice prendendomi il viso tra le mani costringendomi a guardarlo -vuoi andare al funerale di John?- Domanda. 
-Certo che lo vo- mi interrompe dandomi un veloce bacio sulle labbra.
-Allora fammi staccare la flebo, prendi questa- dice dandomi una pasticca -e vai a vestirti- conclude. Io lo guardo commossa, annuisco, aspetto di essere libera e corro in bagno. 
Sono felice e l'adrenalina mi scorre in tutto il corpo, ci metto 2 minuti a vestirmi. La mia faccia è bianca e gialla ma non mi interessa. Esco, lo trovò ad aspettarmi e giurerei di averlo visto squadrarmi: è la prima volta che mi vede vestita e non con grossi camici.
-Come pensi che non si accorgano che io manco?- Gli domandò avvicinandomi. 
-Stein ha la mattina libera, le infermiere non si interessano di te- mi dice. 
-Sembra perfetto- 
-Lo è- mi risponde veloce -dovrai comunque sembrare abbastanza in forma da passare per un visitatore e non un malato, quindi, fai un bel respiro- dice aprendo la porta -e...scena- mi spinge leggermente fuori e iniziamo a camminare a passo spedito verso l'uscita. Lear non vuole darlo a vedere ma è nervoso: lo sento. 
La sua macchina è parcheggiata vicino all'uscita; è nera e grande come mi sarei aspettata da lui. Mi apre lo sportello e mi aiuta ad entrare per poi correre al posto del guidatore.
-Promettimi una cosa- dice prima di mettere in moto -se hai un minimo sintomo, se ti fa male qualcosa anche poco me lo devi dire, intesi?- Chiede grave. 
-Si, capo- rispondo felice. Come potrei sentirmi male? Mi sento invincibile e piena di forze. 
Mi guarda per vedere se sono sincera e poi, finalmente, mette in moto.
Per i primi 10 minuti stiamo in silenzio poi la situazione si fa insostenibile. 
-Hai una grossa macchina- gli dico cercando di iniziare un discorso. Lear non si degna nemmeno di mettere della musica. 
-Si- risponde laconico -posso permettermela- continua lanciandomi un'occhiata. Mi guardo nervosamente le mani poi rialzo lo sguardo...
-Sai che si dice di quelli con le macchine grosse- dico guardando fuori dal finestrino un po' imbarazzata non prima di averlo visto fare un mezzo sorriso. 
-Non vorrei turbarti con la verità- mi dice sarcastico -non puoi immaginare- calza la parola -la verità- conclude sardonico. Gli lancio uno sguardo scettico e per la prima volta da ieri riesco a concedermi un sorriso sincero. 
-Grazie- gli dico d'un tratto -per tutto: per il passaggio, per la copertura, per essere stato il mio medico...-
-Io sono il tuo medico- mi interrompe -forse non ufficialmente ma poco importa- dice convinto. 
-Già...mi dispiace averti creato problemi al lavoro: le persone parlano e tu sei famoso e-
-Sono deluso- mi interrompe -speravo che a questo punto mi conoscessi meglio: dovresti sapere che non mi interessa cosa pensano le persone di me; mi interessava ed è andata male- aggiunge sommessamente. So che non è il momento giusto per fargli un interrogatorio, so che è un uomo dal passato oscuro e non voglio forzarlo a parlare anche se muoio dalla voglia di sapere. 
-Scusami. Ancora- dico imbarazzata lasciando cadere la discussione. 
Guardo Lear con la coda dell'occhio: osservo i suoi movimenti decisi, i suo lineamenti...
-Smettila di fissarmi ragazzina- mi riprende. Non lo contraddico.
-Ehi Lear...mi sembra di vivere un periodo assurdo della mia vita; insomma sono al limite di un baratro eppure ci sei anche tu e ho paura-
-Non devi averne. Hai dei genitori che ti amano e non ti succederà nulla: devi fidarti di me, fidati di questa mia promessa: tu non morirai- conclude guardandomi fisso negli occhi. Mi accorgo che siamo ormai fermi, lui ha parcheggiato e, alzando lo sguardo, vedo una grande chiesa. 
-Siamo arrivati- mi conferma Lear -sei ancora convinta?- Mi chiede preoccupato.
-Certo. Sto benissimo- lo rassicuro scendendo dalla macchina. Lui mi è subito accanto mettendomi un braccio attorno alla vita. Riesce ad abbracciarmi completamente facendomi sentire protetta e tranquilla mentre mi accompagna all'entrata. Dopo aver superato il portone riesco ad intravedere in fondo alla navata una bara semplice e poche persone sedute nella prime file. Prendo un profondo respiro e mi avvicino a loro. Scorgo subito Mark che, nel momento più giusto si gira, mi vede e mi regala un grosso sorriso. Lo vedo alzarsi e venirmi incontro:
-Max!- Esclama sottovoce -Sono così felice di vederti- 
-Io lo sono di più, devo ringraziare il dottor Crow- dico indicandolo. Lui sembra a disagio anche se non lo da a vedere e, mentre continua a tenermi un braccio avvinghiato alla vita, si sporge per dare la mano al figlio di John aggiungendo un laconico:
-Condoglianze- 
Mark annuisce e ci fa strada facendoci sedere accanto a lui. Ci sono davvero poche persone, sopratutto anziane, probabilmente suoi amici...
La funzione è semplice, siamo tutti in silenzio e con i nostri pensieri; quando Mark prende la parola per ricordare suo padre, sento salire la tristezza. Lear deve averlo notato, come se sapesse leggermi il pensiero e mi prende saldamente la mano nella sua; rimaniamo così per tutta la durata del funerale e, al termine, quando penso che stia per lasciarmi, rinsalda la presa e rimane così quando salutiamo Mark, quando usciamo dalla chiesa e fino alla macchina. 
-Abbiamo rispettato il tuo coprifuoco capo- dico scherzosa cercando di scrollarmi di dosso un po' di tristezza. 
-Già- mi risponde lui serio -non posso credere di averlo fatto- dice sorpreso. 
-Sei pentito?- Chiedo preoccupata.
-No- mi rassicura veloce -No. Sono solo sorpreso di me stesso- 
-Beh sei solo infatuato- gli dico alzando la voce di un'ottava e prendendolo in giro.
Mi guadagno una sua occhiata stranita:
-E tu sei pazza- dice ridendo sotto i baffi. 
-Dimmi perché Stein- sbottò non riuscendo più a trattenermi 
-Di che parli?- Chiede distaccato. 
-Insomma, non sembravi sorpreso e non ti ha dato fastidio e-
-Non hai idea di quanto sia fastidioso per me è quanto vorrei cambiare la situazione- inizia arrabbiato -ma non posso e soprattutto non voglio: ci sono cose più grandi di te, che non devi per forza controllare e che fidati ti gioveranno...un giorno-
-Gioveranno- ripeto imitandolo malamente -sembri mio nonno- spiego -e non mi piace che tu mi menta-. 
-Non ti spiego nulla proprio perché non voglio mentirti-
-Sei estenuante- sbuffo. 
-Lo sei anche tu...di più- mi dice petulante. 
-Stasera quando verrai in camera con la tua cena da ristorante vedi di portare qualcosa anche per me- 
-Non verrò in camera tua- dice poco convinto. 
-Verrai- insisto capendo il suo bluff.
Continuo a guardarlo per il resto del viaggio. Sembro una di quelle giovani e stupide ragazzine alla loro prima cotta...e forse lo sono. 
Tornati all'ospedale riusciamo ad entrare di soppiatto e arriviamo alla camera rimandando in silenzio. Apro la porta e...
-Oh...salve signorina Stone...dottor Crow...- 
 





Autrice: Salve a tutte. Forse non sarebbe neanche il caso di ripresentarmi dopo tutto questo tempo ma ahimè o ahivoi non posso lasciare questa storia. La scuola è un grosso impedimento ma io credo molto in questa storia e non voglio lascarla incompleta. 
Fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo se vi piace o se vi annoia. 
Vi ringrazio tantissimo e spero di sentirvi presto! 
F.  

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Capitolo 17
*** His story ***


POV LEAR CROW

Il signor Blake, il direttore della baracca è in piedi, attento e fiero, difronte a noi con la sua espressione severa e il viso leggermente arrossato: giurerei di sentirlo borbottare nella mia mente "uno di questi giorni mi verrà un infarto", lo dice sempre... è un po' la sua frase...tutti hanno una frase... 
-Dottor Crow le dispiacerebbe dirmi cosa sta succedendo e perché la paziente del dottor Stein- inizia riscuotendomi dai miei pensieri alzando il tono della voce per rafforzare il concetto -non era in ospedale questa mattina?-
Mi scoccia dare spiegazioni. Da sempre, anche se, come ora, so di avere torto marcio. 
-Senta- inizio. 
-Sono scappata- sbotta Max affianco a me. Mi volto a guardarla stupefatto, che diavolo sta dicendo?
-Mi scusi signorina?- Chiede Blake sorpreso quanto me. 
-Si. Sono scappata- lei ripete lentamente come se stesse parlando con un bambino -mi era stato impedito di andare al funerale di un mio amico. Non mi è andata giù, sono scappata e il dottor Crow mi ha riportata qui- spiega fermamente: è così convincente che se non sapessi la verità potrei addirittura crederci. 
Max mi lancia una veloce occhiata cercando un'intesa: mi sta dicendo di confermare. 
-Crow?- Mi incalza il direttore. 
Avanti pensa: se dicessi la verità sarei nella merda. Concordare con la sua versione invece mi consentirebbe di uscirne pulito e di poter ancora avvicinarmi a lei...
-La signorina dice la verità: ero venuto a trovarla e non era nella sua stanza, ho fatto due più due ed eccoci- dico velocemente.
Il direttore mi guarda sospettoso, sposta lo sguardo da me a lei più volte. 
-Le dispiacerebbe scambiare due parole con me dottore?- Mi domanda guardando Max -Fuori- aggiunge grave. 
-Affatto- cerco di suonare tranquillo -vogliamo andare?- Chiedo aspettando una sua mossa per uscire e lasciare finalmente in pace Max: ha fatto fin troppo per me. Vedo Blake avvicinarsi e assieme lasciamo la stanza e non faccio in tempo a chiudere la stanza che...
-Vorrei un caffè- mi dice -vuole un caffè?- Chiede rivolgendosi a me. Vorrei rispondere che è l'ultima cosa a cui penso e che può prendere la sua dose di caffeina e andarsene al diavolo ma...
-Certo, dopo di lei- e lui mi fa strada sino alla mensa dell'ospedale. Ci avviciniamo al bar, prendiamo due caffè e lo seguo al tavolo: lui si siede, butta circa un chilo di zucchero nella sua tazzina piena e poi mi guarda. 
-Avevamo un accordo- dice diretto. 
-Lo abbiamo ancora- ribatto. 
-Oh andiamo, non crederai che io mi sia bevuto la storia di quella ragazzina- faccio una smorfia sentendo chiamare da lui Max in quel modo. 
-Non c'era nulla da bere, era la verità- cerco di convincerlo mentre mi concentro sulla sua tazzina ormai vuota. 
-Crow ti ho detto che non dovevi crearmi problemi: il dottor Stein non è un tipo che tace...stamattina è arrivato, non ha trovato la sua paziente, lo ha detto a circa dieci infermiere che in meno di due minuti lo hanno fatto sapere al resto del personale ospedaliero, diavolo!- Esclama arrabbiato -Persino chi pulisce questi dannanti tavoli lo sa! E sai qual è il problema?- Mi domanda retorico -Che tu non c'eri! Eri di turno e non c'eri!- Dice ormai paonazzo. Tutto quello zucchero deve davvero fargli male. 
-Ero in permesso- spiego -Stein dovrebbe pensare a fare il suo lavor- 
-Il dottor Stein farebbe il suo lavoro se tu glielo permettessi!- Mi riprende -Lear io sto facendo il possibile per te ma tu devi capire che non sei un adolescente, non sei stupido e non lo sei mai stato! Agisci da professionista! Sai, l'ultima volta che ci siamo parlati non te l'ho detto, non sono stato completamente sincero ma ora devo dirtelo: penso che tu sia pazzo- lo fisso incredulo -stai rischiando tutto e so che ti è successo qualcosa anche se non ne conosco i dettagli ma in qualunque cosa sia non può essere una giustificazione per ciò. La tua idea va oltre ogni limite. Stai solo provando compassione, non provi davvero per lei ciò che pensi di provare!- Conclude. 
Io mi prendo un attimo per pensare. Mi sono ripetuto tante volte queste stesse parole. 
"Sei un pazzo" mi dicevo quando mi mettevo accento a lei nel letto, "non farlo" quando la baciavo...
-Lei non sa nulla di me- dico gelido -e non sa nulla di lei- aggiungo -passi una buona giornata signor Blake- gli dico alzandomi -e faccia attenzione: un giorno di questi tutto quello zucchero le farà davvero venire un infarto- 

Mentre percorro i corridoi dell'ospedale mi sento diverse occhiate addosso e dopo aver sentito le parole di Blake non è difficile capire il perché. Cerco di non pensarci mentre torno a fare il mio lavoro e, mentre svolgo le mie ore di ambulatorio, che sembrano durare un'eternità, non riesco a non pensare a Max. Devo davvero essere impazzito per provare queste emozioni. Non ho nemmeno io una spiegazione del perché ma credo sia amore: lei mi piace, il suo viso, il suo carattere, il fatto che mi risponda, che sia giovane ma matura...mi piace tutto. Certo, ogni tanto si rivela essere una spina nel fianco con le sue domande impertinenti ma non mi importa,
Sono talmente ossessionato da lei da contrattare con Blake e da chiedermi costantemente se Max prova lo stesso per me. Non sappiamo davvero poi nulla uno della vita dell'altro eppure ci siamo trovati.
Io le nascondo ancora una grande parte di me e so che non potrò mai essere me stesso a pieno senza dirglielo e per la prima volta in vita mia non vedo l'ora di potermi aprire con qualcuno. D'improvviso vengo distratto da un messaggio, guardo l'ora e ci risiamo. Puntuale come ogni giorno: è mio padre, che ancora non si arrende. Ogni giorno da anni mi manda lo stesso messaggio al quale non rispondo, non l'ho mai fatto; prendo in mano il telefono e leggo: 
"Ciao figliolo, come stai? Io e la mamma ti aspettiamo" 

Quando anche l'ultimo mio paziente smette di tediarmi con le sue infondate paure di morire, è ormai sera e ciò significa solo che sono finalmente libero di andare da lei. Mi ricordo del suo desiderio di avere una cena diversa dalla schifezza che servono qui e mi affretto a prenderle un brodo di pollo dal ristorante. È ancora fumante quando rientro e mi avvio verso la sua camera. 
Spero di non trovare Stein, ma se ho fatto bene i miei calcoli, è talmente metodico da aver già terminato il suo giro di visite ed essere tornato a casa da sua moglie. 
Apro la porta con difficoltà, visto le mani impegnate a reggere il cibo e la vedo: è girata su un fianco e ha il telefono in mano, sembra stia giocando; ha i lunghi capelli scuri sparsi su tutto il cuscino. Mi sembra talmente fragile e delicata, di cristallo, quasi che se la toccassi potrei spezzarla. 
Appena mi sente entrare si gira velocemente e mi regala un enorme sorriso. Ho aspettato tutto il giorno per questo momento. 
-Buonasera- le dico appoggiando la cena su un carrellino che trovo nella stanza.
-Lo sapevo- mi dice.
-Cosa?- 
-Che saresti venuto- mi spiega. Sono davvero così ovvio?
-Fossi in te non ci conterei, come al solito sopravvalutati le tue capacità di intrattenimento. A dire la verità spesso mi annoi- le dico scherzando. 
-So che sei abituato a ben altri intrattenimenti- insinua provocandomi. Mi sembra strano parlare con lei di queste "cose" ma d'altronde è stata Max ad iniziare quindi perché non divertirmi un po'?
-Lo sono- comincio -o almeno lo ero...quasi ogni sera c'erano sempre delle bellissime donne pronte a stare con me: due, tre volte a notte erano davvero...- mi fermo per cercare una parola adatta -disponibili- continuo sotto voce e avvicinandomi al suo viso. Max non indietreggia ma le sue pupille dilatate tradiscono il suo imbarazzo. 
-E ti soddisfacevano queste gentili signore?- Mi domanda. Non posso credere che voglia continuare a provocarmi ma se vuole giocare... Faccio una risata sommessa e torno a fissarla. 
-Vedi Max- dico cercando di accarezzare con la mia voce il suo nome -mentalmente non mi tenevano impegnato per più di un minuto ma fisicamente- enfatizzo -fisicamente non potevo chiedere di meglio: belle donne, "esperte", disposte a tutto, i loro corpi, i suoni, le loro labbra sul-
-Basta ne ho abbastanza- mi interrompe lei decretando la mia vittoria. 
-Sei davvero una ragazzina- la prendo in giro -ti imbarazzano questi discorsi- constato. 
-Non tutti siamo navigati come te- mi risponde con astio.
-Sei gelosa?- Chiedo d'impulso per poi pentirmene.  
-No- dice veloce. 
-Non devi- cerco di convincerla.
-Non posso vorrai dire: non posso essere gelosa di qualcosa che non raggiungerò mai...-
Cosa?
-Da come molto dettagliatamente hai detto, sei stato con donne meravigliose...io non sono una di loro e mai lo sarò quindi perché struggermi?- 
La osservo in silenzio per alcuni istante mentre lei si mangia nervosamente le unghie. 
-Sei davvero un'idiota- sentenzio -quando crescerai e capirai molte più cose imparerai che scopare- dico senza trattenermi e risultando più crudo di quando non avrei voluto -non vale niente: certo è fantastico e appagante ma non rimane nulla...solo la noia. Gli esseri umani vogliono di più e ti sembrerà strano sentirlo dire da me ma tutti noi cerchiamo l'amore- concludo. 
-Wow- mi sento dire -hai ragione: non me lo sarei aspettato da uno come te- fa sorridendo. 
-A te non serve un'altezza da modella, non ti servono vili trucchetti a letto...hai già la mia più totale attenzione- le dico avvicinandomi pericolosamente alla sue labbra. Max rimane in silenzio, forse colpita dalle mie parole. 
-La cena si sta freddando- le faccio presente cercando di distrarla; le avvicino un vassoio. 
-Si è un semplice brodo, ma è il migliore- spiego vedendola storcere il naso. 
Si fida e ne prova subito un po'. 
-I tuoi discorsi degni di una scrittrice di romanzi erotici lo hanno fatto raffreddare ma hai ragione, di nuovo...è meraviglioso- dice felice mentre mi siedo sul suo letto. 
-Sono contento. Allora immagina quanto possa essere buona la mia pasta e le mie crocchette di pollo e-
-Ho afferrato l'idea- mi interrompe scocciata. 
Rido mangiandomi una prima forchettata; continuiamo così in silenzio e ben presto finiamo tutto. Riesce persino a convincermi a farle mangiare un piccolo pezzo di pollo fritto. Stein a questo punto mi avrebbe fatto portare via dalle guardie armate. 
-Grazie per la cena- 
-Figurati, ora però dovresti trovare qualcosa da fare o me ne andrò ucciso dalla noia- le dico sfiorandole una guancia.
-Che ne diresti di giocare?- Mi propone. 
-Ragazzina so che sei giovane ma tornare alle bambole mi sembra esagerato perfino per te...-
 -Parlo di altro idiota- fa per darmi una spinta con la mano non riuscendo a smuovermi di un millimetro -che ne dici se io ti faccio una domanda e tu ne fai una a me?-
-Non mi sembra un gioco- le faccio presente -ma piuttosto un interrogatorio, l'ennesimo tra l'altro- 
-Che posso dire, voglio conoscerti- 
-il gioco sarebbe impari: conosco già il tuo più grande segreto, sei giovane e la cosa peggiore che hai fatto è stata diverti una sera- le dico veloce. 
-Il bello però è che puoi chiedermi qualsiasi cosa e io non posso rifiutarmi di rispondere- 
-Ho come l'impressione che tu stia inventato le regole- ribatto scettico. 
-Zitto. Non rovinare tutto. Avanti, puoi cominciare- mi dice sorridendo. Io mi sistemo meglio sul letto e inizio a pensare. 
-Sei mai stata fidanzata?- Chiedo a corto di idee.
-Alle elementari. Domanda sprecata. Tocca a me- dice battendo le mani eccitata -Se potessi scegliere preferiresti vivere senza un braccio o senza una gamba?-
-Che razza di domanda è?- Chiedo stranito. 
-È la mia domanda, allora?- 
-Senza braccio- dico sbuffando -Pensi mai a me?- Chiedo prendendo la palla al balzo per dissipare i miei dubbi. 
-Si- risponde laconica -E tu?- 
-Costantemente- dico sincero -a come darti fastidio- aggiungo veloce -e pensi mai a cosa mai potrebbe esserci tra noi?- 
-Ovvio. Vedo il buio comunque. Insomma abbiamo quasi dieci anni di differenza, tu sei un medico affermato e io una ragazzina. Credo che una gran parte del nostro rapporto sia dettato dalle situazioni: siamo solo due tipi strani che si sono trovati- spiega lasciandomi con l'amaro in bocca. 
-Il che ci porta alla mia domanda: cosa ti è successo Lear Crow? Cosa ti ha reso strano?- Chiede stringendo gli occhi. La guardo e penso che potrei uscirne con una battuta ma ormai è finito il tempo delle scorciatoie. Non posso e non voglio più nascondermi:
-Avevo 24 anni quando ho conosciuto una ragazza- la guardo di sottecchi per vedere la sua reazione: sembra turbata ma forse lo è per il fatto che io abbia finalmente deciso di parlare -si chiamava Alice, era bella, bionda, insomma, me ne sono innamorato subito. Abbiamo passato 2 anni sereni, eravamo letteralmente la coppia perfetta: lei era già laureata e io stavo per esserlo in medicina- mi interrompo un attimo -una mattina si sveglia, aveva mal di testa, sembrava soffrire molto ma è andata avanti due o forse tre giorni con gli antinfiammatori, ma il dolore non diminuiva: io mi ero preoccupato ma come sempre non si pensa mai male quando si tratta di chi ti sta più a cuore, però la convinco ad andare al pronto soccorso. Passiamo un'intera giornata in attesa poi ci vengono incontro due medici...sapevo già che era finita. Avevo studiato anche io quei metodi all'università: faccia impassibile ma con un velo di tristezza, sempre in due per gestire al meglio le reazioni...-
-Cosa aveva?- Mi chiede lei impaziente.
-Tumore al cervello, fase terminale- Max mi prende la mano e la stringe asciugandosi poi una lacrima. 
-Ero paralizzato: non potevo credere che due giorni di mal di testa avessero portato a tutto ciò poi, ho capito: quando le chiesi delle spiegazioni lei mi disse che aveva dei mal di testa già da un po'...a volte aveva anche la nausea, era spossata ma pensava fosse per il nuovo lavoro. Non mi aveva detto nulla per permettermi di concentrarmi sui miei ultimi esami...io stavo per diventare medico e non ero nemmeno in grado di accorgermi che la donna che amavo stava male- dico arrabbiato. 
-Studiavo malattie e sintomi dalla mattina alla sera, persino di notte e non mi ero accorto di nulla...le sono stato accanto per altri due mesi e poi se ne è andata...i suoi genitori una volta mi hanno chiesto se mi fossi reso conto di ciò che stava accadendo, era una domanda innocua, loro mi volevano bene, eppure suonava come un'accusa. La stessa che mi ero rivolto da solo- finisco con la voce spezzata. 
-Lear ti conosco abbastanza da sapere che odieresti sentirtelo dire ma...non è stata colpa tua: e non avresti mai potuto immaginare che lei, così giovane, potesse avere un così terribile male- 
-Hai ragione: lo odio, ho allontanato tutti quelli che cercavano di convincermi di questo: i miei genitori, i suoi...- 
-Sei sempre in tempo per chiedere scusa Lear, per il tuo comportamento nei loro confronti, non per quelli nei confronti di Alice: sei un uomo fantastico e un medico ancora migliore, cavolo!- Esclama -Hai persino trovato una medicina per le mie nausee in un altro stato- 
-Max io non voglio medaglie, non voglio riconoscimenti...il giorno in cui ti ho conosciuta, quando sono entrato nella tua stanza, sai qual è la prima cosa a cui ho pensato?- Le chiedo. 
-Lo ricordo bene, mi hai dato del "ragazzino"- mi ricorda arrabbiata.
-L'ho detto ma non è ciò a cui ho pensato...ho pensato a quanto si fosse sbagliata quella infermiera a quanto mi fossi sbagliato io a definirti così quando in realtà eri giovane, bella e perfetta. Per un secondo mi hai ricordato lei, poi ti ho conosciuta e ho capito che eri completamente diversa e che questo faceva sì che tu mi piacessi ancora di più- la accarezzo 
-ti ho odiata tanto...-sussurro -non potevo credere che la vita per la seconda volta mi riservasse un tale dolore, avevo già perso Alice e ora mi stavo affezionando ad un'altra ragazza in condizioni disperate. Ti ho evitata e trattata male poi ho capito che non potevo e non dovevo...ti chiedo scusa Max- 
-Non devi- mi dice veloce lei -sono felice che tu mi abbia racconto tutto ciò- si avvicina a me e inaspettatamente mi abbraccia. Io ricambio restando in silenzio. 
-Lear- mi richiama ancora avvinghiata a me -forse ti sembrerò una ragazzina stupida ma credo di amarti anche io- 
Sento il cuore diventare pensate e pieno. 
-Non ho mai pensato che tu fossi una ragazzina- la rassicuro -tu sei Max e non mi sfuggirai anche tu- e lo spero. Lo spero davvero e non posso fare altro che quello. Pregare, si addirittura pregare, che il mio piano vada in porto. Perché se non sarà così non so proprio cosa farò. 



Autrice: Buonasera! Woh, capitolo difficile da scrivere ma fondamentale...se vi va fatemi sapere cosa ne pensate. Vi ringrazio per l'affetto e per il fatto che continuiate a seguire la storia. A presto! 

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