Un posto dove essere

di Captain Willard
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - hangin' on in quiet desperation ***
Capitolo 2: *** 2 - we are simple selfish beings ***
Capitolo 3: *** 3 - too deep for me to stand ***
Capitolo 4: *** 4 - wipe you clean with dirty hands ***
Capitolo 5: *** 5 - a perfect blue evening ***
Capitolo 6: *** 6 - yet my hands are shaking ***
Capitolo 7: *** 7 - underneath the waves ***
Capitolo 8: *** 8 - and the silence of our words ***
Capitolo 9: *** 9 - between my pride and my promise ***
Capitolo 10: *** 10 - swept by the tide ***
Capitolo 11: *** 11 - broken thoughts I cannot repair ***



Capitolo 1
*** 1 - hangin' on in quiet desperation ***


1

- hangin' on in quiet desperation -

 



 

 

Alcuni dicono che la musica basti a riempire un'intera esistenza. Gabriel non aveva mai nutrito dubbi al riguardo: il pianoforte era stato il fulcro della sua vita fin dalla più tenera età; vi aveva dedicato anni interi, suonando per ore fino a spellarsi le dita, rinunciando alle uscite con i pochi amici, rifiutando gli inviti, rifuggendo le distrazioni, chino sui tasti fino a crollare addormentato, spaccandosi la testa sui pentagrammi e sulle scale.
Aveva toccato la soglia del successo a soli ventisette anni, iniziando a lavorare nelle orchestre più rinomate, collaborando con artisti di fama mondiale, partecipando a progetti ambiziosi e remunerativi. Gabriel Gracelyn: un nome noto a tutta la gente che contava, negli ambienti più giusti.
 

«È un genio musicale» dicevano di lui alcuni.
«È un fortunato bastardo» mormoravano altri.
Tuttavia, se Gabriel avesse potuto definirsi, ora che aveva ormai superato la soglia dei quarant'anni e aveva un curriculum per cui la gente avrebbe dato l'anima al Diavolo, avrebbe usato solo una parola: stanco.

 

***

 

«Maestro, che piacere vederla!»

«Maestro, che onore ci ha fatto ad accettare il nostro invito!»

Gabriel sorrise benevolo e gettò il cappotto a un cameriere, che si affrettò ad appenderlo nel guardaroba. «Siete voi ad aver onorato me» rispose come si conveniva a Valerio e Giulio, vestiti da domini veneziani uno bianco e l'altro nero. Il musicista si aggiustò le larghe maniche nere della giubba che indossava, decorata con cordini e alamari argentati: un costume raffinato che si era fatto confezionare su misura alla Kingsman1, insieme a pantaloni al ginocchio con intricati ricami argentei di fantasia floreale. Ai piedi calzava degli stivali neri di pelle, con un basso tacco che risuonava sul pavimento d'ebano.

Gabriel si diede un'occhiata intorno, soffermandosi sul mobilio del medesimo legno e sulle pareti tinte di borgogna, a cui erano affissi dipinti astratti e stampe moderne. Il soffitto era a travi, alto e imponente, l'ambiente inframmezzato da un soppalco. I tavolini erano stati uniti per formare un'unica lunga tavolata presso cui sarebbe stato servito il buffet inaugurale, lasciando più spazio al gruppo che avrebbe allietato la serata con musica jazz. Un massiccio bancone stava all'altra estremità della sala, ma per quella sera sarebbe stato servito tutto dai camerieri che scivolavano per la sala con leggiadria, recando vassoi di antipasti e coppe di champagne.
 

«Davvero un lavoro notevole, non c'è che dire» commentò infine il musicista, prendendone una e portandosela alla bocca.
«Se lo gusti, è un Cristal2 del 2004» ridacchiò Valerio. «Comunque sì, non c'è male, considerando che questo posto cadeva a pezzi. Un locale così brutto, in pieno centro a Firenze! Vergognoso.» Fece schioccare la lingua con disapprovazione.

«Ma noi ne abbiamo fatto un vero gioiellino» intervenne Giulio, incrociando le braccia con aria soddisfatta. «D'ora in poi questo sarà il ritrovo della gente che conta davvero.»

«Siamo pochi allora» commentò Gabriel, accennando alla ridotta quantità di ospiti ch'era in sala. Giulio sogghignò. «Abbiamo ricevuto richieste di partecipazione da decine di persone, tutti VIP, ma di quelli da salotto televisivo, personaggi da Isola dei Famosi. Se avessimo fatto entrare tutti quelli che ce l'hanno chiesto, la serata inaugurale sarebbe stata un disastro. Il Gloomy Matters sarà un locale d'alta classe.»

«Non ne dubito» convenne il pianista, sistemandosi meglio la maschera argentea sugli occhi. Avrebbe voluto togliersela, ma così come declinare l'invito all'inaugurazione del locale dei fratelli Lametti, anche quello era un desiderio impossibile. Quei due non gli erano mai piaciuti molto, anche se non erano cattivi diavoli, ma solo due stilisti cresciuti nell'agio a cui i genitori avevano comprato una casa di moda. Cose normali in quell'ambiente. Il problema era che a Gabriel “quell'ambiente” stava stretto da dieci anni e non sapeva come uscirne. Di fare retromarcia dopo tutti i sacrifici fatti non se ne parlava, era arrivato troppo in alto e una caduta ora l'avrebbe ucciso.
 

Si guardò intorno, fece due chiacchiere con qualcuno («Maestro! Maestro, quale onore!»), gente di cui non ricordava il nome e sinceramente non gli interessava nemmeno. Sorrise amaramente pensando che per una volta avevano tutti una maschera tangibile, oltre a quella intrinseca che tutti avevano cresciuta nell'animo come erba gramigna, un'epidemia che contagiava prima o poi chiunque fosse entrato a far parte del famoso “ambiente”. Fare una festa in maschera era stata probabilmente l'idea migliore che Giulio e Valerio avessero mai avuto.
 

Si avvicinò a un tavolo per prendere una seconda coppa di champagne, insieme alla sua anche un'altra mano si allungò sul vassoio: una mano sottile e candida, appena spruzzata di lentiggini, le unghie laccate di nero e al pollice un anello di metallo scuro, semplice e sobrio. Gabriel alzò lo sguardo e i suoi occhi azzurri incrociarono quelli verdi di una donna, o forse una ragazza; la maschera di pizzo nero che indossava rendeva difficile stabilirlo.

Si scambiarono un'occhiata incuriosita, come due animali incerti sulle buone intenzioni dell'altro, poi la sconosciuta prese una coppa e si allontanò in fretta, sparendo su per le scale che recavano al soppalco. Gabriel restò un attimo imbambolato, seguendola con lo sguardo: era vestita in modo curioso, o meglio assolutamente inopportuno per l'evento a cui presenziavano. Le donne più giovani indossavano tutte abiti da sera o jumpsuit di alta sartoria, le più anziane avevano ripiegato su tailleur e gonne al ginocchio; di fatto, tutte eleganti. La sconosciuta invece indossava una semplice camicia bianca arrotolata grossolanamente fino ai gomiti, pantaloni neri aderenti e décolleté del medesimo colore. L'unica cosa vagamente consona alla serata nel suo abbigliamento era un gilet nero di seta che le cingeva la vita morbida. Era un vestiario piuttosto mascolino, ingentilito però da una cascata di morbidi capelli ramati che le scivolavano liberamente fino a metà schiena.

Quando i camerieri iniziarono a servire le portare più consistenti della cena, Gabriel approfittò della distrazione degli ospiti per sgattaiolare a sua volta al piano superiore; non aveva bisogno certo che qualcuno iniziasse a spettegolare, dandogli così l'ennesimo motivo per litigare con Alissa.

 

Eccola lì, la sconosciuta dai capelli rossi. Se ne stava in piedi, appoggiata di schiena contro l'architrave della soglia, faceva roteare lo champagne nel bicchiere e sembrava pensierosa. D'un tratto sospirò e svuotò la coppa in un sorso, ma la riempì subito dopo con una bottiglia che aveva palesemente sottratto da uno dei tavoli al piano inferiore. Gabriel la raggiunse e lei si girò verso di lui, ma non sembrava imbarazzata o sorpresa. Semplicemente lo squadrò dai riccioli corvini alla punta degli stivali, soffermandosi infine sulla coppa già semivuota.

«Ne vuoi?» gli offrì, sventolando la bottiglia. L'uomo scosse la testa e si appoggiò contro l'altro architrave, di fronte a lei. La ragazza fece spallucce e bevve a rapidi sorsi dal proprio bicchiere, per poi riempirlo di nuovo.

Gabriel non riuscì a trattenere la lingua: «Dovresti mangiare qualcosa, altrimenti ti ubriacherai.»

La ragazza si fermò col bicchiere a mezza via, alzò lo sguardo verso l'uomo e sorrise. «E se volessi farlo?»

Per tutta risposta Gabriel vuotò la propria coppa e gliela porse. «Allora siamo in due.»

Lei rise e gliela riempì di nuovo, poi posò la bottiglia ormai vuota su un tavolino al suo fianco.

«Che ci fa qui una come te?»

La ragazza sollevò un sopracciglio, poi abbassò lo sguardo sul proprio abbigliamento e rise: «Oh! Certo, lo so. Sembro una che si è imboscata alla festa, ma in realtà mi hanno obbligato a venire.»

«Tuo marito?»

«Macché, non sono nemmeno fidanzata. Il mio datore di lavoro, è lui che mi ha costretta. È anche un amico di famiglia e dice che devo fare più vita sociale, perché per lui andare al pub non è abbastanza sociale come esperienza. Tu invece sei da solo?»

«No, io... Be', sì, sarei dovuto venire con la mia compagna ma abbiamo discusso. Ultimamente non facciamo altro.»

«Ahia. Brutta storia. Forse dovrei andare a prenderne un'altra» sorrise lei, accennando alla bottiglia vuota. «Anche se ci vorrebbe qualcosa di più forte, un brandy come si deve. Magari un Cardenal Mendoza.»

«Temo che non lo servano.»

«Che festa del cazzo» sbuffò la ragazza, ma era divertita. «Però la musica non è male. Allora, come ti chiami, straniero?»

«Sono Gabriel.»

Si strinsero la mano, lei aveva una stretta piuttosto forte. «Io sono Maebh3

«Certo che hai una presa...» ridacchiò lui. La ragazza gli fece l'occhiolino.

«È per far capire subito che sono io l'alpha. Di dove sei, Gabriel? No, aspetta, fammi indovinare: dall'accento... britannico?»

«Esatto, nato e cresciuto a Londra. Tu invece?»

Stavolta lei rispose in inglese. «Madre italiana e padre irlandese. Io sono nata e cresciuta qui, ma sono bilingue. Tu invece, come sei finito da Londra a Firenze?»

«Un po' il lavoro, un po' la ricerca.»

Tornarono all'italiano. «Ricerca di cosa?»

«Qualcosa di diverso... È un peccato non averti incontrata prima.»

«Perché, qualche rimpianto?» sorrise lei, ammiccando. Gabriel non rispose, continuando a sorseggiare lo champagne. Al piano inferiore, quasi ignorato tra le chiacchiere degli ospiti, troppo presi dalle vivande e dai loro pettegolezzi, il quartetto assunto per allietare la serata attaccò con un brano dal sound più ondeggiante, morbido. Un pezzo d'altri tempi che fece stringere il cuore a Gabriel, le iridi azzurre lucide di commozione mal trattenuta.

 

Hold me close and hold me fast

The magic spell you cast

This is la vie en rose

 

Si girò verso Maebh: teneva una mano in tasca e con l'altra stringeva la coppa di champagne, aveva gli occhi chiusi e ondeggiava impercettibilmente, seguendo la musica. Sembrava persa quanto lui e fu questo a spingerlo a parlare, lo sguardo tuttavia rivolto dall'altra parte per un vago timore di come lei avrebbe reagito.

«Sai, questa è la mia canzone preferita e non l'ho mai detto a nessuno. Forse perché è un po' melensa, forse perché un po' mi vergogno di questo mio lato romantico... Mi fa sembrare vulnerabile.»

Non si accorse che Maebh si era mossa finché non percepì la sua mano posarglisi lieve sulla spalla. Si irrigidì per un attimo, colto di sorpresa, ma lei sorrideva e le lasciò prendere anche il suo bicchiere per posarlo sul tavolino. Tornò poi da lui, di nuovo una mano sulla spalla.

«Balliamo» sussurrò dolcemente. Quasi incredulo, Gabriel le passò un braccio intorno alla vita, giunse l'altra mano alla sua e sentendosi come in un sogno, assecondò dapprima i movimenti appena accennati da lei, poi prese a condurre la danza.

 

When you press me to your heart

I'm in a world apart

A world where roses bloom

 

Quand'era stata l'ultima volta che aveva ballato? Poteva escludere senza dubbio gli ultimi dieci anni, Alissa odiava ballare. Lasciò vagare i pensieri a ritroso a sfiorare le cose passate: memorie di una compagna di conservatorio, sorrisi che lui aveva ignorato, ragazzo già adulto, il cuore troppo duro per lasciarsi andare alla cura d'una distrazione. Scosse impercettibilmente il capo, tornando in sé, stranamente addolcito da quella rimembranza.

In quel soppalco, a metà tra un mondo che voleva dimenticare e un cielo di cui avrebbe voluto ricordare le costellazioni, in quell'abbraccio atteso e inaspettato che sembrava consolarlo di un dolore sopito, Gabriel avrebbe potuto definirsi sereno.

 

When you kiss me heaven sighs

And though I close my eyes

I see la vie en rose

 

Maebh si strinse contro di lui, Gabriel percepì le sue labbra sfiorargli la gola ed ebbe paura: che ci faceva lì, stretto a una sconosciuta, stretto come se il suo corpo fosse stato disegnato per combaciare con quello di lei? La sua vita era costretta dalle abitudini ma reggeva, era una follia quel che stava facendo, era spingere il bicchiere oltre il bordo, infrangere un equilibrio di apatia cristallizzata. Non ne valeva la pena, quegli occhi verdi che si alzarono a scrutarlo non valevano la pena, anche se il suo corpo anelava a quell'abbraccio, a qualcosa di più.

Smise di ondeggiare, voleva stracciare i veli di quello che sembrava un sogno assurdo eppure bramato. Scosse la testa, fece per distogliere lo sguardo da quelle iridi colore del grano acerbo che lo tenevano incatenato. «Forse non dovrei-»

Maebh gli posò un dito sulle labbra prima che potesse finire. «Lascia che sia...»

Un sussurro che spinse Gabriel alla resa e gli fece stringere più vicino Maebh, e pensò che forse si era perso più di quanto voleva credere, in tutti quegli anni. Si era perso il calore d'un corpo morbido e rilassato contro il suo, si era fatto sfuggire il lieve solleticare d'un bacio nell'incavo della spalla, quella stretta al ventre che gli suggeriva di stringere, toccare, inebriarsi della pelle candida e dei capelli scarlatti della ragazza che ora lo guardava, sirena dolce e intossicante.
 

«Gabriel...» lasciò in sospeso lei, l'uomo non rispose: non servivano altre parole. Fu quasi timido nel chinarsi su di lei, affondandole una mano tra i capelli setosi a carezzarle la nuca; Maebh si sporse a sfiorargli le labbra con le proprie e Gabriel si abbandonò a quel bacio, schiuse la bocca ad accogliere la lingua calda della ragazza e chiuse gli occhi. Si sentì ebbro d'una gioia quieta e sconosciuta, ubriaco di una bocca che lo fece sentire sazio per la prima volta in vita sua, placando quella sete che mai l'aveva abbandonato...
 

Fu quando si separarono per riprendere fiato che la realtà gli crollò addosso: che stava facendo?! Come gli era saltato in mente, si era bevuto il cervello? Dio... baciare una sconosciuta, rischiando di essere visto da qualcuno degli ospiti. Baciare una sconosciuta, lui che era fidanzato da dieci anni e non aveva mai tradito neanche col pensiero! Folle, folle... Folle!
Afferrò Maebh per le spalle, distanziandola. «Devo andare. Mi dispiace, non avrei dovuto farlo, io...»

Non terminò la frase, preferì fuggire da quello sguardo e quelle labbra che lo richiamavano tentatrici, si lanciò giù per le scale come se mille demoni lo stessero inseguendo. Raccattò il suo cappotto ignorando le vaghe proteste dei fratelli Lametti e scappò fuori nella salvifica aria settembrina, correndo fino alla macchina. Non si voltò indietro, nel cuore la paura che se l'avesse fatto, sarebbe tornato indietro.

 

«Maebh! Sei qui sopra?» chiamò un uomo sulla cinquantina, salendo faticosamente le scale con l'ausilio di un elegante bastone dal manico intarsiato d'argento. La ragazza gli sorrise, andandogli incontro.

«Scusa Cesare, volevo restare un attimo da sola.»

L'uomo sospirò e le porse il braccio, insieme ridiscesero con calma. «Suvvia, vieni a mangiare qualcosa e fai uno sforzo, non hai parlato con nessuno.»

«Ho salutato i tuoi cugini.»

«Capirai, ci mancherebbe che non salutassi Giulio e Valerio, sono loro che ci hanno invitato. Io parlo degli altri!»

«Ho parlato con uno.»

«E chi era?»

«Non lo so» svicolò Maebh, sorridendo tra sé. «Ma era interessante.»

 

***

 

 

1) Piccola citazione all'omonimo film con Colin Firth, in cui la Kingsman è sia una sartoria di lusso che un'agenzia di servizi segreti.

2) Lo champagne dei ricconi esibizionisti, notoriamente.

3) Nome irlandese, significa “colei che reca immensa gioia” o anche “colei che intossica” [pronuncia may-ve]


 

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Capitolo 2
*** 2 - we are simple selfish beings ***


2

- we are simple selfish beings -

 

 

 

 

 

 

«Com'è andata la festa?» chiese distrattamente Alissa, seduta al tavolino da toeletta. Gabriel non le rispose e si sedette sul letto per slacciarsi comodamente le scarpe. Passò poi alla camicia, imprecando sottovoce contro i bottoni e mentalmente contro Alissa. Con la coda dell'occhio la vide prendere dal portagioielli degli orecchini di brillanti e accostarseli ai lobi, fare una smorfia e rimetterli a posto, passare a un altro paio meglio abbinato all'abito color avorio.

C'erano questi momenti in cui si trovava a odiarla: quella noncuranza lo mandava in bestia, la finta indifferenza con cui lei gli si rivolgeva, come a un coinquilino piuttosto che il compagno di anni. Perché doveva sempre fare finta che andasse tutto bene? Perché si ostinava a tenere i paraocchi, convincersi che quei pochi giorni che riuscivano a vedersi non fossero trascorsi litigando? Perché ci teneva tanto a tenere in piedi un castello di carte?

 

Si alzò di scatto e spalancò l'armadio con gesto brusco, esaminando con lo sguardo i vestiti. Tirò giù dei pantaloni di cotone consunti e una t-shirt, voleva stare comodo.

«Ti è piaciuto il locale? Oggi sul giornale non parlavano d'altro.»

Gabriel emise una risatina secca, acida. «Giornale? Pensavo leggessi solo le riviste di moda.»

«Io ci lavoro, sulle passerelle. Leggerne è parte del mestiere.»

«Seh, certo» tagliò corto l'uomo, passandosi una mano tra i ricci neri e rendendoli ancora più indemoniati. Si chinò sul tavolino, accanto ad Alissa: osservò il proprio riflesso, le occhiaie, le rughe. Si sentì di colpo vecchio, svuotato d'ogni voglia. La donna si irrigidì appena a trovarselo così vicino senza preavviso, ma cercò il suo sguardo nello specchio. Lui evitò il suo accuratamente e si raddrizzò.

«Gabriel... Stasera potresti venire con me a teatro. Simone e Lucia non avrebbero problemi a trovarti un posto.» offrì Alissa, raccogliendosi i capelli biondi in uno chignon, solo poche ciocche lisce a ricaderle intorno all'ovale candido del viso.

«A sentire quei raccomandati dei loro figli starnazzare come cornacchie nel coro? No grazie, preferisco lavorare.»

Le labbra le si assottigliarono fin quasi a sparire per la rabbia repressa. «Sei stato tutto il giorno allo studio di registrazione.»

Gabriel si stava quasi divertendo. Gli piaceva vedere Alissa incazzarsi, sperava sempre che a un certo punto tutta la sua rabbia sarebbe esplosa, dando il via libera anche alla propria. Sapeva d'essere un vigliacco, a dare a lei il carico instabile d'un eventuale primo passo, ma non gliene poteva importare di meno. In quegli anni si era inaridito, si era fatto egoista. Forse erano davvero fatti l'uno per l'altra.

«Sì, be', devo lavorare.»

Senza attendere risposta uscì dalla camera per andare nella stanza della musica, al piano superiore. Alissa lo sentì chiudere la porta, i suoi passi risuonare fino al pianoforte. Gli occhi presero a pizzicarle ma trattenne le lacrime, concentrandosi sul proprio riflesso mentre applicava con cura il mascara. Si passò il rossetto sulle labbra, un tenue rosa chiaro per non appesantire troppo il viso, avendo già esaltato gli occhi nocciola con un ombretto bronzeo.

Sorrise al suo riflesso come sorrideva alle telecamere e in passerella, algida come una dea dei ghiacci, magnifica. Per un attimo si sentì una regina, poi il vago buonumore le appassì sulle labbra con le prime note che risuonarono dal piano superiore.

Si alzò, controllò meticolosamente che l'abito non avesse pieghe e indossò la giacca. Era impeccabile come sempre.

Prese la borsa e le chiavi, fece per uscire ma un violento flusso di note la trattenne. Salì al piano di sopra, aprì la porta lentamente, senza bussare: Gabriel sedeva al centro della stanza, chino sul pianoforte, sembrava che volesse quasi prendere a martellate i tasti. Stava lavorando a un nuovo disco e una parola di troppo bastava a farlo scattare e fuggire, rinchiudersi in quella sua torre d'avorio, tra pile di vinili, dischi, libri di musica, spartiti, libretti d'opera, premi lasciati a prendere la polvere e quel pianoforte... quel maledetto pianoforte.

Anno dopo anno le portava via Gabriel un pezzo alla volta, come un'amante contro cui lei non poteva nulla. Avrebbe voluto scuotere l'uomo che le dava le spalle, prenderlo a schiaffi, bruciare quel dannato strumento, essere la regina del suo uomo, essere il suo centro, stracciare gli spartiti e fare della camera della musica la camera di un figlio.

Scosse appena la testa: non era stata educata ad assecondare gli impulsi, non avrebbe cominciato certo a farlo ora. Non poteva permetterselo, non voleva che nessuno sapesse. E pure...

 

«Io sto facendo uno sforzo, Gabriel.»

L'uomo sussultò ma non si voltò a guardarla. Sembrò semmai curvarsi ancora di più sui tasti, pigiandone alcuni a caso, note stonate per una relazione stonata.

«Ho detto-»

«Ti ho sentito la prima volta» la interruppe di netto. Alissa deglutì l'indignazione e impose alterigia al proprio tono.

«E non hai niente da dire?»

«No.»

«Ci vediamo già poco, almeno quando sono qui potresti evitare di stare sempre incollato a quell'affare.»

Gabriel batté una mano sulla tastiera e i suoni cupi che ne ebbe fecero trasalire Alissa.

«Quell'affare, come lo chiami tu,» sibilò furioso l'uomo. «è l'unica cosa che mi permette di sopportare le tue continue lamentele senza dare di matto.»

«Le mie lamentele hanno ragione d'essere. Non mi dici mai niente, non vuoi mai uscire con me, per non parlare del sesso.»

«E ti sei mai chiesta perché?!» ribatté violento lui, alzando la voce. «Tu badi solo alle apparenze, vuoi che tutti pensino che siamo la coppia perfetta e non lo siamo! Oh, e per quanto riguarda il sesso, se non ti sfioro neanche è perché tu, principessa, sei ghiacciata fin nell'animo. Neanche il più disperato ubriacone potrebbe eccitarsi con te!»

Non vi furono risposte: Alissa uscì a testa alta, lasciandolo solo. L'unico gesto di rabbia che si permise fu sbattere la porta di casa con un tonfo che fece stringere i denti a Gabriel. Regolarizzò il respiro, cercando di recuperare la calma e la concentrazione per dedicarsi al nuovo brano su cui stava lavorando. Posò le dita sulla tastiera, riprese da dove era arrivato e si lasciò andare alla musica, come faceva sempre: le note fluivano nella sua testa e lui dava loro realtà attraverso le mani, che volavano sulla tastiera. Era come il capitano d'una nave senza equipaggio, senza mappe né bussole, a seguire una leggenda: lui sondava il proprio animo, cercando un'armonia, senza forzature, senza fretta, come una sirena a cui prima o poi sarebbe arrivato, affidandosi solo al vento.

Ma stavolta... si fermò a meta di una scala, le mani sospese a mezz'aria sui tasti. Le note si erano fatte rabbiose, cattive, sbagliate. Punto morto. Sospirò e abbassò il coperchio del pianoforte, sapendo che era inutile insistere. Era da due settimane che andava avanti così, i pezzi su cui stava lavorando non lo convincevano, le registrazioni erano in stallo. Due settimane da quando era stato alla festa.

Gemette frustrato e si prese la testa tra le mani, cercando di quietare i pensieri e soprattutto non soffermarsi sul ricordo di occhi del verde più pazzesco che avesse mai visto. Capelli rossi di sirena in cui annegare le ballate, bocca di languida amante, pelle candida e lentigginosa da scoprire lembo a lembo... Oh, dio.

Si tirò su di colpo rischiando di far cadere lo sgabello, passò in camera a infilarsi una felpa, cacciò in tasca portafogli e chiavi e uscì di gran carriera, ansioso di prendere un po' d'aria e fare due passi.

 

Un campanile da qualche parte batteva le sei del pomeriggio quando Piazza della Signoria accolse il pianista, splendida come sempre nei bagliori aranciati del crepuscolo, ma Gabriel aveva smesso da anni di commuoversi davanti a quella visione. Si sentì piccolo e meschino in quello spazio aperto, infastidito dai turisti e da alcuni ammiratori che già davano segno d'averlo riconosciuto. Si tirò su il cappuccio della felpa e si incamminò tra la gente, i polmoni stretti dall'esasperazione. Aveva bisogno di un posto dove stare tranquillo, distrarsi, riposare il corpo e l'anima dal respiro collettivo della città.

Era ormai arrivato a Ponte Vecchio quando la sua camminata furiosa fu interrotta di colpo da una donna, che gli tagliò la strada con un passeggino evitando per un pelo di passargli sui piedi. Gabriel trattenne un insulto ma quel piccolo arresto gli fu benefico: lo sguardo gli cadde alla sua sinistra, dove in una vetrina stavano dei libri in bella mostra. Si avvicinò, gli erano sempre piaciute le librerie e provò una fitta di malinconia pensando che erano anni che non vi metteva piede. Diede un'occhiata ai libri esposti in vetrina: principalmente romanzi e saggi d'autore, ma anche libri di fotografia, di musica, d'arte, e poi anche quella specie di manuali che ultimamente spopolavano parecchio: Come ravvivare la vita di coppia, I segreti di un blog di successo, Come essere felici in 10 passi e via dicendo. L'ultimo titolo in particolare lo incuriosì, in un modo un po' vergognoso e scettico ma abbastanza disperato da spingerlo ad entrare. Scovò lo scaffale dove tenevano quel genere di libri e pescò il volume che lo interessava, pensando che forse non era una coincidenza aver visto quel titolo proprio in un tale periodo, ma dopo aver letto il primo paragrafo non si trattenne e gli scappò a mezza voce: «che cazzata!»

«Purtroppo vendono parecchio» commentò allegramente una ragazza alle sue spalle.

A Gabriel quasi cadde il libro di mano dalla sorpresa. Questa voce, pensò sbiancando. Si girò con cautela, credendo quasi d'essersela immaginata ma eccola: era più bassa di quanto ricordava, stavolta senza tacchi. I capelli rossi raccolti in una grossa treccia, grossi occhiali tondi dalla montatura di plastica turchese sopra il naso piccolo e un po' storto che non aveva avuto modo di vedere alla festa, nascosto dalla maschera e forse fratturato anni prima; una cicatrice biancastra su uno zigomo a tagliare la spruzzata di lentiggini, bocca carnosa, un viso non davvero bello ma grazioso. Era struccata e a vederla così, in jeans, felpa e converse, Gabriel si rese conto che era ancora più giovane di quanto aveva creduto alla festa, forse diciotto, diciassette anni persino.

Lei sgranò appena gli occhi e sembrò averlo riconosciuto perché sorrise, un paio di deliziose fossette che Gabriel ricordava benissimo le comparvero agli angoli della bocca. L'uomo posò a tentoni il libro dietro di sé e fece un passo avanti, ricambiando istintivamente il sorriso. «Maebh...?»

«Gabriel! Sei proprio tu allora! Che caso, eh? Che ci fai qui?»

«Cercavo un libro che potesse convincermi a non impiccarmi con le corde del pianoforte. Tu invece?» rispose lui, ridendo ma non troppo.

«Io ci lavoro qui! Ho giusto finito di sistemare dei nuovi arrivi. Quindi tu suoni il piano? Fighissimo! E da quanto lo suoni? Vieni, ho il libro perfetto per te!»

Senza neanche attendere risposta, Maebh lo prese per una mano e lo trascinò su per una stretta scalinata fino al piano superiore. Gabriel fece per balbettare qualcosa ma sorrideva, la libreria era un tripudio di colori, stampe, strani grappoli di cristalli appesi ai soffitti, tanti profumi di carte diverse e lei era... pazza. Un piccolo terremoto che lo faceva sentire leggero e pulito, sanato dai malesseri e dalle malinconie, e una sensazione di vuoto gli strinse lo stomaco quando la ragazza gli lasciò la mano per mettersi a spulciare uno scaffale straripante.

«Lo suono da che ho memoria, è il mio mestiere.»

«Vuoi dire che fai dischi, concerti, eccetera?»

Gabriel annuì, radunando tutta la sua forza di volontà per evitare di guardarle il fondoschiena quando lei si chinò per guardare in fondo allo scaffale.

«Sai, mio padre era violinista, magari- oh, trovato! Ecco a te.» Gli saltellò accanto e gli porse un volume non molto grosso ma pesante, dalla carta spessa e una copertina blu che rimandava a rilegature d'altri tempi. Una donna dai capelli rossi svettava al centro, lo sguardo perso in direzione d'una nave all'orizzonte, un quadro melanconico racchiuso in una ghirlanda bianca con un motivo di conchiglie.

«Il porto proibito» lesse Gabriel, sfogliandolo con delicatezza, soffermandosi con lo sguardo sui morbidi disegni a matita. «Ma è un fumetto.»

«Preferirei definirlo romanzo illustrato, in questo caso. Fidati, non ha nulla da invidiare a un Gaiman o un Salgari.»

«Parla d'amore?»

«Anche.»

«È un amore felice?»

«L'amore non è facile e non è sempre felice, ma quello che viene narrato qui è sicuramente un amore che vale la pena d'essere vissuto.»

«È da tanto che non leggo un libro come si deve. Dedico quasi tutto il mio tempo al lavoro, poi la sera ordino qualcosa da mangiare, mi butto sul divano e guardo la tv» spiegò con una certa vergogna l'uomo, carezzando la copertina.

«Allora sei un cinefilo?»

«No, di solito guardo programmi idioti fino a collassare per il sonno.»

«Non ti annoi?» gli chiese Maebh, sinceramente stupita.

«Be', sì, ma sai come si dice, le vecchie abitudini sono dure a morire.»

«E allora che ci fai qui? Non dovresti stare lavorando?» lo canzonò lei, dandogli una gomitata amichevole.

«Posso permettermi una giornata di pausa.»

«Dovesti passarla con la tua fidanzata.»

«È andata a teatro, e domattina partirà quindi non la vedrò per un paio di giorni.»

«Lavoro?»

«Sì, va a Milano per una sfilata.»

«Oddio, è una modella! Come si chiama? Magari l'ho vista in tv!»

Gabriel rise davanti al suo entusiasmo genuino, scevro di qualunque invidia o malignità. «Alissa Calvo.»

«...Oh.» L'entusiasmo della ragazza si spense rapido.

«Non ti piace, eh?» sogghignò l'altro, incrociando le braccia.

«No! Lei è bellissima, davvero, è solo che il suo...» Maebh abbassò la voce fino a sussurrare. «Seno

«Rifatto.»

«Ah, allora non avevo visto male.»

«Meglio non parlare del seno della mia compagna, è imbarazzante e ammazza la conversazione.»

Maebh rise di gusto, aggiustandosi gli occhiali che le erano scesi. Gabriel inclinò appena il capo, studiando i suoi lineamenti. «Che hai fatto alla guancia?»

Lei arrossì e distolse lo sguardo, spostando il peso da un piede all'altro, chiaramente a disagio. «Un incidente, quando avevo diciassette anni.»

«Adesso invece ne hai...?» le chiese lui, cambiando argomento.

«Ventuno. Tu invece? Alla festa non abbiamo parlato molto» sogghignò la ragazza, di nuovo di buonumore.

«Giusto il doppio. Ti avrei fatto più giovane.»

«È reciproco. Allora, lo prendi?» sorrise, indicando il libro che Gabriel stringeva al petto.

«Oh, sì. Mi hai convinto. Anzi, forse è meglio che paghi e vada, sicuramente hai da fare...»

«Purtroppo ho ancora parecchio da fare, sì.»

Maebh lo precedette al piano inferiore, conducendolo alla cassa; al momento di prendere la busta col proprio acquisto tuttavia Gabriel esitò. «Stasera a che ora stacchi?»

La rossa sospirò e gli sorrise benevola. «No, Gabriel.»

«No nel senso che resti a dormire qui?»

«No che... no. Non esco con quelli fidanzati.»

«Ma quella sera mi hai baciato, pur sapendo che ero impegnato...» protestò debolmente lui, confuso.

«Era diverso! Era solo un bacio, non pensavo che ti avrei più rivisto. Ma frequentare un uomo impegnato? È diverso, non fa per me.»

«...Neanche come amici?» tentò Gabriel, esibendo il sorriso più accattivante del repertorio.

Maebh alzò un sopracciglio. «Sei serio?»

«Oh, e dai! Che male ci sarebbe?»

La ragazza fece per replicare, poi rise tra sé e scosse la testa. «E va bene» concesse. «Ma solo come amici. Prova a toccarmi il culo e non potrai più suonare per una settimana.»

Gabriel avrebbe saltato dalla felicità, invece si accontentò di schioccarle un rapido bacio sulla guancia che la fece ridere di gusto. «Allora per stasera?»

«Alle otto ci vediamo qua fuori, non farmi aspettare. Andiamo a mangiare in un posto serio, nessun ristorantino snob dove ti portano spuma di acciughe a venticinque euro.»

«Conosco solo quel tipo di ristoranti, al massimo ho il numero della pizzeria dove ordino sempre.»

«Va bene, ci penso io a fare da GPS stasera. Ora devo lavorare, quindi ti saluto. A stasera» lo salutò lei velocemente, fuggendo al piano di sopra. Gabriel la seguì con lo sguardo finché non fu sparita; per un attimo ebbe la tentazione di salire e baciarla ma una vibrazione in tasca lo fece trasalire. Prese il telefono e lesse il nome sul display: Alissa lo stava chiamando.

«Non stasera. Non ora che sto bene» sussurrò, rivolto più a se stesso che alla compagna. Spense il cellulare e uscì fuori, inspirando con gratitudine l'aria mite. Gli parve stranamente dolce la compagnia della folla allora, sorrise a due turiste inglesi che gli chiesero l'autografo e comprò un mazzolino di fresie da un venditore ambulante, augurandogli una buona serata e lasciandogli un generoso resto.

Mentre tornava a casa con calma, il profumo dei fiori a carezzarlo e il peso del libro ad alleggerirgli il petto, Gabriel preferì non cercare di dare un nome a quel che si sentiva crescere nell'anima. Sapeva solo che era come essere tornati a galla dopo l'apnea d'una vita, e tanto gli bastava per non voler mollare più la presa.

 

 

***


 

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Capitolo 3
*** 3 - too deep for me to stand ***


(una piccola playlist che ho messo su per questo capitolo: 
https://www.youtube.com/playlist?list=PLONo_PH6BnmQKsDbr1Gbffb04G5H9X4NN )


 


 

3

- too deep for me to stand -

 

 

 

«Non ero mai stato a Impruneta, sai?» ammise Gabriel, parcheggiando e spegnendo il motore. Maebh rise, scendendo per prima dall'auto e precedendolo all'ingresso del ristorante.

«Be', da stasera inizierai a recuperare tutte le cose mai fatte! Dai vieni, ho una fame da lupo.»

Il pianista la seguì all'interno del locale, un grazioso bistrot dalle pareti tinte di ceruleo scuro, stampe di vecchi film americani in cornici candide, tavolini di legno chiaro apparecchiati con runner e bicchieri colorati, piccole candele profumate come centrotavola. Una donna rotondetta sulla sessantina, con corti riccioli tinti di biondo ghiaccio, stava sistemando delle bottiglie di vino su una mensola quando si accorse dei due: gli occhietti castani, dal taglio leggermente a mandorla, si illuminarono dietro gli occhiali a mezzaluna che si aggiustò sul naso a patata.

«Maebh! Tesoro» esclamò raggiungendo la ragazza e stritolandola in un abbraccio. Alla rossa non parve dispiacere, anzi rise e ricambiò con affetto.

«Ciao, Maria. Come stai?»

«Io bene, cara, tu invece? Oh, e chi è questo bel giovanotto che ti sei portata dietro? Finalmente ti sei sistemata?»

«No! Voglio dire, no. Siamo solo amici. Maria, lui è Gabriel. Gabriel, lei e suo marito Giampiero sono i proprietari.»

«È un piacere fare la sua conoscenza, signora.» Le porse la mano, ma lei invece lo abbracciò se possibile ancora più forte di quanto avesse fatto con la ragazza e scoppiò a ridere.

«Ma sentitelo, signora! Chiamami Maria e dammi del tuo, caro, non farmi sentire ancora più vecchia.»

«Agli ordini» gemette Gabriel, massaggiandosi le costole. Sicuro gliene aveva incrinata una.

«Mi piace» commentò la donna, annuendo soddisfatta. «Ubbidiente. Bene, venite, mi è rimasto un tavolo in terrazza.»

La seguirono tra i tavoli fino a una porta finestra da cui sbucarono su un ampia balconata: la ringhiera era coperta interamente d'edera e vasi di gerani ne seguivano il perimetro; oltre si stendeva il borgo, i piccoli boschi di pini, e più in lontananza campi d'ulivi e vigneti, offrendo allo sguardo quel sapore di cose d'altri tempi, come gioielli incastonati nel territorio, pittoreschi e indifferenti allo scorrere degli anni. Poche luci artificiali brillavano, ma la luna piena bastava a rendere nitida e dolce la notte.

Maria li fece accomodare a un tavolino in un angolo e lasciò loro la carta, dopo aver preso l'ordine del vino.

«Allora, che te ne pare?» domandò Maebh, sfogliando il menu. Gabriel si guardò intorno, carezzato dal tiepido e discreto mormorio degli altri avventori.

«Un posto stupendo» decretò, tornando con lo sguardo su di lei. «E anche tu lo sei.»

Non lo disse con malizia, era semplicemente la verità: le fresie che le aveva dato quando era andato a prenderla ora erano infilate nella sua treccia, spandendo un dolce profumo che gli faceva venire di scioglierle i capelli, empirsene le mani e attirare a sé la ragazza, baciarla fino a sentire i polmoni bruciare.

Maebh sorrise, sbocconcellando un grissino. «Non fare il galante.»

«Non posso farci niente, è vero.»

«Va bene dongiovanni, anche tu sei molto bello ma-»

«Il vino» annunciò un uomo, avvicinandosi al loro tavolo. Maebh si illuminò.

«Giampiero, ciao! Come va?»

«Il solito, tesoro. Tu?»

«Tutto bene, come sempre. Ah, giusto, Giampiero, questo è Gabriel.»

Il più anziano si rivolse all'uomo e gli sorrise, porgendogli la mano. Il pianista fu sollevato nel constatare che la sua stretta era molto più delicata rispetto a quella della moglie; in verità, tutto nella sua persona sembrava emanare calma e delicatezza, nonostante fosse un omone. I capelli bianchi erano tagliati corti, le labbra sottili e le rughe profonde intorno agli occhi azzurro ghiaccio rendevano il suo sguardo benevolo, saggio persino. Aveva bei modi e una voce profonda che fece sentire Gabriel immediatamente a suo agio.

«È un piacere.»

«Anche per me» gli sorrise Giampiero. Sembrò considerarlo per un attimo, poi si girò verso Maebh, che era arrossita appena.

«È bello vederti uscire con qualcuno, sai?» le disse, stappando il vino e versandolo nei calici. «Da quando i tuoi poveri genitori se ne sono andati non ti abbiamo più visto con qualcuno, e invece stasera... Sono felice di vederti così, tesoro.»

Le scansò un ciuffo di capelli dagli occhi con affetto, poi si allontanò per dedicarsi agli altri avventori. Per un lungo momento i due tacquero, lei girando il vino nel bicchiere, lui cercando il suo sguardo. Il silenzio si fece più insopportabile, finché la ragazza non sbuffò.

«Che c'è?»

«Non mi avevi detto niente dei tuoi genitori.»

«Sì, be', non ce n'è stata l'occasione e inoltre non è proprio un argomento che si addica alla tavola. Ammazza la conversazione.»

«Mi dispiace. Come-»

«È stato un banale incidente stradale!» sbottò Maebh. Una coppia seduta al tavolo vicino al loro si girò a guardarla, lei li fulminò con lo sguardo ma proseguì a voce più bassa. «Un camionista insonnolito ha sbandato, il resto puoi dedurlo da te.»

«...Quando è successo?»

«Avevo appena compiuto diciotto anni» sospirò lei per poi concentrarsi sul vino, con tutta l'aria di voler chiudere il discorso. Calò di nuovo il silenzio, inframmezzato solo dal tintinnio delle posate e dalle risate dei tavoli intorno. Gabriel si rigirò un grissino tra le mani e si guardò intorno.

«Mh, quasi quasi avrei preferito un posto con le acciughe a venticinque euro.»

Maebh alzò lo sguardo su di lui, gli occhi lucidi ma un'ombra di sorriso sulle labbra. «Spuma di acciughe, scemo. E non osare mancare di rispetto a questo ristorante.»

Il resto della serata fu sereno, costellato di risate e aneddoti, battute, confidenze. Alla seconda bottiglia erano abbastanza brilli e contenti da toccare l'argomento amore, sentendosi protetti e caldi come in una bolla tutta loro, una parentesi che avrebbe potuto tenere lontani paure e brutti ricordi.

 

«Sono indipendente e ho bisogno dei miei spazi. Ho avuto solo un paio di ragazzi, li ho lasciati entrambi perché tutti e due sembravano sempre perfetti all'inizio, poi si facevano appiccicosi, insistenti, pressanti a livelli ossessivi. Odio quel genere di persone che sembra morire se non ti sta sempre addosso, quelli che non riescono a tenere le mani a posto. Asfissianti.»

«Concordo. Sai, è curioso: Alissa è una persona molto razionale e priva di passionalità in ambito personale, eppure è al contempo come hai appena descritto. Quando usciamo insieme vuole sempre stare abbracciati, usa nomignoli, fa la parte della donna perfetta col compagno perfetto. Peccato che siamo due stronzi che non si sopportano.»

«Be', un po' la capisco. È un personaggio conosciuto, la stampa si accanisce sempre contro le donne famose, soprattutto quelle belle. Però non sta affrontando la cosa nel modo giusto, se una relazione naufraga bisognerebbe-»

«La nostra relazione non sta naufragando» sospirò lui. Maebh ammutolì e arrossì, chinandosi sul carpaccio e valeriana.

«Oh, scusa, è che da come me ne parlavi...»

«Non sta naufragando semplicemente perché è già naufragata. Da anni.»

Maebh non disse niente, incoraggiandolo a proseguire.

«Ci siamo messi insieme che eravamo così giovani, immaturi e stupidi. Non mi ricordo nemmeno cosa mi abbia fatto innamorare di lei.»

«Magari il lavoro l'ha cambiata. Non è un mestiere facile il suo.»

«Forse. Forse è stata anche colpa mia, l'ho trascurata, sono sempre così preso dalla musica...»

La giovane scosse la testa, versando a entrambi altro vino. «Non penso che in certi casi sia questione di colpe. Le persone crescono, cambiano, i loro desideri e aspirazioni divergono e l'amore spesso finisce, è normale. Non penso che nessuno di voi due possa biasimarsi per questo.»

«Sei così giovane e tuttavia più matura di molti miei conoscenti. Sei anche bellissima, il che è un bonus.»

«Sono normale.»

«Per me sei una meraviglia.»

«Oh, dai!» sbuffò lei, a metà tra l'esasperato e il divertito. «Ricordi la regola? Solo amici! E quindi frasi di questo tipo sono vietate.»

«Colpa del vino» sogghignò Gabriel, indicando il proprio bicchiere prima di prenderne un lungo sorso.

«Seh, certo, dai la colpa a un innocente alcolico.»

«Oppure è colpa tua che sei troppo bella per farmi stare zitto.»

«Gabriel!»

 

***

 

Era passata la mezzanotte, restavano solo loro due. Avevano bevuto una terza bottiglia e ora, dopo il dolce e il caffè, si sentivano piacevolmente intorpiditi, le membra rilassate e i pensieri staccati, sfilacciati e diluiti dall'alcol e dalla mitezza della sera. Non parlavano, il silenzio bastava a farli sentire in pace mentre un paio di camerieri sparecchiavano i tavoli.

Giampiero e Maria li raggiunsero con una bottiglia di nocino e una ciotola di caramelle alla mela, presero due sedie e si sedettero accanto a loro.

Bevvero qualche bicchierino, sentendosi come dopo una festa, quando tutti se ne vanno e resta la notte, si è stanchi ma felici e anche le piccole cose come una caramella ti fanno sorridere.

«Perché proprio The Moon?» domandò Gabriel, carezzando col pollice l'intestazione del menu.

Maria sorrise con aria sognante, Giampiero le prese la mano e si rivolse al pianista. «Perché è la canzone che ci ha fatto innamorare.»

«Uh?»

«Be', non proprio. Il titolo è Fly me to the Moon» aggiunse la donna, stringendosi al marito.

«Oh, Frank Sinatra! Mi piace.»

«Hai buon gusto, caro. Ebbene, è iniziato tutto a New York, nel lontano 1979.»

«Entrambe le nostre famiglie erano emigrate lì pochi anni prima, in cerca di fortuna. A me è sempre piaciuto cucinare e sono diventato chef in un piccolo ristorantino a Coney Island.»

«Io ero appena stata nominata caporeparto della sezione abbigliamento ai grandi magazzini lì vicino, ma non ci eravamo mai visti prima di quel giorno d'aprile...»

«Quando una ragazza tutta pepe piombò in cucina per lamentarsi di come era stata cotta la sua bistecca.»

«Il cuoco non si era accorto di me e stava cantando allegramente proprio una canzone di Sinatra, con una voce bellissima che mi conquistò subito.»

«Ci fu una litigata pazzesca per la bistecca, ma ormai era fatta: colpo di fulmine.»

«Lui mi propose di andare alle giostre quella sera, io accettai e da allora...»

«Non ci siamo più lasciati.»

Si scambiarono un bacio a fior di labbra, poi Giampiero riprese: «Negli anni Novanta abbiamo deciso di tornare in Italia, Maria aveva nostalgia di questi borghi e decidemmo di aprire un ristorante. Io avrei cucinato e lei si sarebbe occupata di tutta la parte burocratica, e direi che abbiamo funzionato benissimo.»

«C'è da dire che se ci facemmo un nome fu anche grazie ai genitori di Maebh. Portarono qui tutti i loro amici, gli amici portarono gli amici e gli affari sono andati sempre meglio. Facemmo da madrina e padrino al battesimo di Maebh, sai.»

«I suoi genitori erano le persone più generose e buone al mondo.»

Gabriel sorrise ma vide che Maebh si era irrigidita, quindi cercò di cambiare argomento. «E i vostri figli che fanno, sono in America?»

La ragazza si girò verso di lui e fece per dire qualcosa ma fu preceduta da Maria.

«I figli non sono venuti, Gabriel. Non tutti hanno questa benedizione» gli spiegò con straordinaria tranquillità. Giampiero le passò un braccio intorno alle spalle e le baciò la fronte, lei gli sorrise per rassicurarlo.

«Però siamo felici, ed è più di quanto venga concesso a molti» mormorò, forse più rivolta al marito che a loro due.

Maebh sorrise e si alzò, imitata da Gabriel. «È meglio che andiamo.»

«Già, è tardi.»

Maria si alzò. «Venite, vi accompagno. Piaciuta la cena?» domandò, sorridendo a Gabriel.

Lui ricambiò il sorriso, sentendosi gli occhi pizzicare quando la donna lo abbracciò con naturalezza, come fosse parte della famiglia. «Neanche mi ricordo l'ultima volta che sono stato così bene.»

 

***

 

Salì le scale a due a due invece di prendere l'ascensore, sorridendo come un ebete. Gli pareva di avere ancora addosso il profumo di Maebh, quando l'aveva accompagnata a casa e l'aveva abbracciata, tenendola stretta a lungo finché lei non era scivolata via. Era stata una magnifica serata, ma quando rientrò a casa e vide Alissa sul divano, ancora sveglia e con in mano un calice di vino, capì che non sarebbe durata oltre.

 

«Ti sembra questa l'ora di tornare? Dove sei stato?»

«Sei ubriaca» borbottò lui al suono impastato della sua voce.

Alissa si alzò e si slacciò il vestito ora spiegazzato, lasciandolo scivolare a terra con una noncuranza che non le apparteneva. «Forse. Ma non ti piaccio?»

Lo sguardo dell'uomo percorse con indifferenza il suo corpo seminudo. «Patetica.»

«Da che pulpito» sbuffò la bionda, barcollando fino alle scale e salendo al piano superiore, malferma sui tacchi alti.

«Così ti ammazzi» la richiamò Gabriel. Non ottenendo risposta gemette esasperato e la seguì, ma si bloccò vedendo che era entrata nella camera della musica. «Alissa, che stai combinando?» balbettò correndo fino alla soglia. La compagna stava in piedi accanto al pianoforte, un gomito poggiato sulla superficie lucida. «Attiro la tua attenzione?»

«Levati da lì.»

«Dove sei stato, Gabriel?»

«A cena fuori.»

«Con chi?»

«Non ti riguarda.»

Il sorriso beffardo di lei sembrò incrinarsi e Alissa ingollò rabbiosamente il liquore, svuotando il bicchiere. «Tanto lo so che è una donna. Certo, non capisco perché ti affanni: lo sappiamo bene che non sei in grado di soddisfare nessuna.»

«Smettila con queste stronzate, fai pena.»

«No, tu fai pena!» ribatté la donna con violenza. «Sei un uomo misero, un egoista figlio di puttana. Ti credi un artista, un amante, ma sei solo un poveraccio che se potesse si fotterebbe solo il pianoforte...Questo perfetto, dannato pianoforte!» strillò sbattendo con violenza il calice sullo strumento, i frammenti si sparsero ovunque.

Il tonfo secco dello schiaffo risuonò ancora più forte: Alissa si portò una mano alla guancia, sgranò gli occhi incredula. Gabriel arretrò con passo malfermo, guardandosi la mano.

«Oh dio... Ali, scusa, non volevo-»

«Stammi lontano, bastardo!» gridò lei, uscendo di corsa. L'uomo la sentì sbattere la porta della camera, chiuderla a chiave. Andò a bussarle, sentendosi le gambe malferme e le mani tremanti.

«Dai Ali, fammi entrare. Mi dispiace, non volevo farlo, io-»

«Vai via, schifoso bastardo! Tornatene dalla sgualdrina con cui sei uscito» la sentì singhiozzare dall'altra parte. Restò attaccato alla porta per quella che gli parve un'eternità, sperando che lei si decidesse ad aprire, ma alla fine capitolò e tornò nella camera della musica. Raccolse attentamente i frammenti di vetro, esaminò il legno ma non c'erano graffi per fortuna.

Si sedette, accarezzò i tasti cercando vanamente conforto.

Avrebbe voluto tornare a un'ora prima, alla cena, al frinire dei grilli, invece era incastrato lì, con una mano dolente e la terribile consapevolezza di aver picchiato una donna – la sua donna – a stringergli lo stomaco in una morsa nauseante. Incrociò le braccia sul coperchio, vi premette la fronte: era stremato, senza parole, disgustato da se stesso e da quel gesto che non gli apparteneva ma che pure sembrava marchiargli a sangue le mani.

Per la prima volta in trent'anni Gabriel Gracelyn si ritrovò a piangere, insieme a lui un'altra anima smarrita: tra di loro non c'era mai stato un abisso così profondo.

 

***

 

«Ma quindi com'è? Come si chiama?»

«Gabriel. È bello» rise Maebh, passandosi accuratamente lo smalto sulle unghie. Nella schermata di Skype, Loren alzò gli occhi al cielo.

«Molto esauriente come risposta, grazie. Dettagli!»

Maebh si stese su un fianco, sistemando il portatile davanti a sé sulle coperte. «È alto, sopra il metro e ottanta. Capelli neri ricci, barba, naso un po' alla Dante Alighieri.»

«Uh, mi piace!» commentò Loren. «E poi?»

«Spalle larghe, un po' pesante sui fianchi ma ha due bei pettorali da quanto ho sentito quando mi ha abbracciata. Oh, e ha degli occhi di un blu pazzesco, persino più belli dei tuoi!» la prese in giro la rossa con affetto.

«E che lavoro fa questo pezzo di figo?»

«Il pianista.»

Loren sembrò diventare ancora più pallida di quanto non era già, sussultò e i capelli corvini le ricaddero sul viso. «Oddio. E... e di cognome?»

«Veramente non saprei. So che sta con Alissa Calvo, quella modella per cui sbava tua sorella, ma-»

«OH MIO DIO!» urlò la moretta, così forte che Maebh dovette portarsi le mani alle orecchie.

«Cazzo! Che gridi a fare, sei pazza?!»

«Oh mio Dio!»

«Loren, calmati! Che succede?»

«Oh mio dio» sussurrò Loren, alzandosi. Maebh la vide girare per la camera, rovistando sulla scrivania che pareva reduce da un'esplosione, tanto era caotica. «Trovato!» esclamò trionfante, pescando qualcosa dal mucchio. Quando fu tornata davanti alla webcam l'amica vide che stringeva una rivista di gossip, si grattò la testa confusa e sbuffò.

«Da quando in qua leggi quella roba?»

«Me la sono fatta prestare da mia sorella, c'è un articolo su Alberto Manelli...» spiegò distrattamente Loren, sfogliando furiosamente le pagine.

«Oh, il sassofonista che ti piace tanto?»

«Mh. Dove cazzo era...»

«Senti mi spieghi che cosa c'entr-»

«Ah-ah!» la interruppe l'amica, felice come il diavolo. «Dunque. La sfilata bla bla bla, tra i volti noti Alessia Calvo bla bla bla in alto a sinistra uno scatto della modella col compagno di dieci anni Gabriel Gracelyn!»

«Eh, e allora?» sospirò Maebh che continuava a non capirci nulla. Loren emise un mugolio frustrato.

«Certo che sei proprio dura a volte, eh! Pronto?! Ti sei pomiciata Gabriel Gracelyn, è un pianista di fama internazionale! È tipo un Ludovico Einaudi, cazzo.»

La mascella della rossa quasi toccò terra. «Che cazzo dici?!»

«Ti giuro, guarda coi tuoi occhi!» Rivolse il giornale alla webcam, la foto in bella mostra sullo schermo. Maebh si portò le mani alla bocca.

«Oddio

«Ma scusa, non ti è passata neanche per l'anticamera del cervello l'idea di cercarlo su internet?»

«No! Non ci ho dato peso, oltre al fatto che prima di ieri pomeriggio non pensavo che l'avrei più rivisto. Non ho pensato che potesse essere famoso. Oddio, se ci avesse visto qualcuno alla festa sarebbe stato un disastro, l'avrei messo nei casini!»

«Quindi con la Calvo non è tutto rose e fiori come sembra, giusto?»

«In effetti no, però... sono affari loro, preferisco non parlarne.»

«Don't worry, darling. Mi conosci, sono una pettegola a metà: mi piace sapere tutto senza dire niente a nessuno» sogghignò Loren, lanciando la rivista dietro di sé. Si sentì un tonfo seguito da altri suoni di oggetti che cadevano. «Ops, mi sa che ho centrato il portapenne. Comunque sabato ti va di uscire?»

Maebh si batté una mano sulla fronte. «Cazzo, mi sono scordata di dirtelo! A Cesare hanno mandato due biglietti per un piccolo concerto ai Giardini del Poio ma lui non può andarci, ha un impegno e quindi li ha dati a me. Se vuoi potete averli tu e Valentina.»

«Chi suona?»

«Boh, non mi ricordo, qualcosa tipo Brillanti persi, scarsi, non-»

«OH MIO DIO!»

«...mi chiedo come un suono tanto forte possa uscire da una cosina piccola come te.»

«Ma non capisci? I Brillanti Sparsi, è uno dei due gruppi in cui suona Alberto Manelli!»

«Mai sentiti.»

Loren si cacciò le mani nei capelli, a metà tra l'esasperazione e l'entusiasmo. «Certo, tu stai sempre attaccata a quella roba anni Settanta!»

«Tu sottovaluti il prog rock!»

«E tu la fusion! Comunque trova qualcosa di carino da mettere che ci andiamo.»

«Va bene, va bene. Ora ti lascio che domattina lavoro e tu hai scuola, fila a nanna!»

«Sì madre, sarà fatto» rise Loren, ma esitò prima di chiudere la chiamata, facendosi seria. «Senti, Maebh...»

«Dimmi, tesoro.»

La moretta sorrise dolcemente. «Sono contenta. Dopo quello che era successo con...»

Maebh annuì, abbassando lo sguardo. “Sì.”

«Ecco, ti vedo bene. Insomma, ti vedo sempre bene, sei la luce della mia vita!» Risero sommessamente. «Ma il tuo sguardo mentre mi raccontavi di Gabriel, della cena... ti vedo meglio e ne sono felice. Ti meriti solo cose belle, darling.»

Maebh si asciugò una lacrima di commozione che le era sfuggita e la salutò con un bacio. «Grazie» mormorò, chiudendo la chiamata. Prese il telefono e gli auricolari, digitò il nome di Gabriel e si infilò sotto le coperte, lasciandosi cullare da melodie che le sussurravano di oceano, sale, riflessi di stelle.

Per la prima volta dormì d'un sonno quieto e pacifico, le memorie che solevano tormentare i suoi sogni tenute lontane da confortanti musiche, ad abbracciare la ragazza come uno scudo.

 

 

***

 

 

Brillanti Sparsi: chi ha letto Buckley Blues sa che vivo a Forlì per motivi di studio e sono solito andare in un piccolo locale dove si può ascoltare musica dal vivo. I Brillanti Sparsi esistono davvero, sono una band fissa al locale e sono tre mattoidi, ma non fanno fusion e il personaggio di Alberto è completamente inventato.

Impruneta: un meraviglioso, piccolo comune in provincia di Firenze. 

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Capitolo 4
*** 4 - wipe you clean with dirty hands ***


4

- wipe you clean with dirty hands -

 

 

 

 

Gabriel allontanò il cellulare dall'orecchio, le urla belluine del suo agente perfettamente udibili anche a distanza. «Abbassa il volume, Fabio.»

«IO NON ABBASSO UN FICO SECCO, PEZZO DI CRETINO!» continuò l'altro ancora più forte. Il pianista non faticava a immaginarselo mentre sbraitava: basso e tracagnotto, i buffi capelli biondi esplosivi, le guance rosse di rabbia e le vene gonfie. Uno scenario a cui aveva assistito poche volte, ma sufficienti a farlo ringraziare di essere a distanza in quel momento.

«Senti, io-»

«No! Non sento un cazzo! Stavolta non hai giustificazioni, razza di degenerato. Norman mi sta col fiato sul culo, entro la fine di ottobre vuole il disco completo! Mi ha convocato nel suo ufficio, capisci? Nel suo ufficio, il grande capo in persona! Mi dice che se non ti dai una mossa rescinde il contratto e ti denuncia, e me lo dice tagliandosi una mela, me l'ha praticamente pugnalata davanti. Me la stavo facendo sotto!»

«Ok, capisco, ma io-»

«No, non capisci! Sono tre settimane che non combini niente, hai cavato fuori uno straccio di canzone e faceva schifo, assolutamente impubblicabile, lo sai meglio di me!»

Gabriel sospirò, massaggiandosi le tempie. Allungò una mano verso il vassoio dei liquori, prima di ricordarsi che aveva finito il brandy. «Sì e mi dispiace. È un periodaccio.»

«Alissa ti fa vedere i sorci verdi?»

«Ce li facciamo vedere a vicenda e pure variegati, ma non è solo quello.»

«E allora cos'è?» borbottò Fabio.

«Ho conosciuto una ragazza a una festa. Ma non vuole frequentarmi se non come amico, visto che sono fidanzato.»

Il pianista poté chiaramente percepire l'agente strozzarsi di rabbia dall'altra parte.

«Fammi capire, tu stai rischiando di mandare a puttane un rapporto discografico di otto anni... perché non riesci a scoparti una?!»

«Messa così suona molto stupida come cosa.»

«Suona stupida perché lo è! Anzi, tu lo sei! Hai quarant'anni cristo santo, non quattordici. Non puoi farti mettere in crisi solo perché una non ti ci sta!»

«È molto più complicato di così» sospirò il moro, buttandosi di peso sul divano.

«Raccontatela come ti pare, resta il fatto che devi rimetterti in carreggiata, capito? Lavorare, comporre, produrre, hop hop!»

«Capito, shorty.»

«E non chiamarmi shorty!» protestò Fabio, chiudendo la chiamata. Gabriel gettò il telefono sopra una delle poltrone del salotto e considerò per un momento l'idea di mettersi al piano, ma il suono della porta che si apriva lo fece scattare in piedi come una molla. Alissa lo degnò appena di uno sguardo quando gli passò accanto per andare a bere un bicchiere d'acqua. Gabriel le si avvicinò pur non osando superare la soglia della cucina, lei si irrigidì comunque ma continuò a non dire niente, come aveva fatto negli ultimi giorni. Il trattamento del silenzio era una cosa che aveva sempre fatto imbestialire Gabriel ma per amor di pace si mantenne tranquillo e pacato.

«Alissa.»

Nessuna risposta, anche se la mano che reggeva il bicchiere prese a tremarle.

«Alissa, vorrei chiederti scusa.»

«Non ho tempo di parlare di questo.»

«Per favore.»

«Lasciami stare!» scattò lei, cogliendo entrambi di sorpresa. L'uomo mosse un passo verso di lei ma Alissa gli fece segno di restare dov'era. Si passò le mani sul viso, sospirò stancamente. «Perdona la mia reazione. È un brutto periodo al lavoro.»

«Che succede?»

La bionda rise senza allegria. «Oh, niente, solo oggi mi hanno fatto... intendere, diciamo, per l'ennesima volta che dovrei dimagrire di più. Che non sono più giovane, quindi devo darmi da fare se non voglio restare indietro. Non sono stupida, lo so che significa: l'agenzia mi mollerà, se fra un mese, un anno o più non so, ma succederà.»

«Ali, sei già così magra...» sospirò Gabriel.

«Non basta mai. Non basterà mai. Io non basterò mai» gemette Alissa, dandogli le spalle. Gli occorse un momento per accorgersi che stava piangendo, le fu subito accanto, la strinse a sé nonostante le sue deboli proteste inframmezzate di singhiozzi.

«Ali...»

«Non dire niente» mugolò lei contro il suo petto, la voce incrinata roca di pianto. «Non adesso.»

E Gabriel non disse nulla, quando lei cercò la sua bocca con la propria; non disse niente mentre salivano le scale a tentoni, abbandonando i vestiti per terra; non disse niente quando Alissa lo attirò a sé, tra le coperte, e il suo membro fu accolto da un corpo che mai gli era sembrato così caldo. Si ritrovò a carezzare quell'incarnato pallido con stupore, come se stesse scoprendo una cosa ignota, leccando lentiggini di cui non si ricordava, baciando seni più morbidi, ripagando a morsi una bocca che non aveva mai sentito carnosa come ora, e affondò le mani in onde ramate, stringendo fino a strappare gemiti alla ragazza che stava premuta sotto di lui.

Occhi verdi come i prati d'Irlanda lo guardavano languidi, profondi, una voce fresca e dolce lo chiamava più vicino a ogni ansito.

«Gabriel» sospirò Maebh in estasi graffiandogli la schiena, e lui si abbandonò alla sirena.

 

***

 

«Puoi spostarti?»

«Come?» ansimò l'uomo, tornando in sé. Si sollevò appena sulle braccia e Alissa svicolò da sotto di lui, scendendo dal letto.

«Vado a farmi una doccia, tu dormi se vuoi» gli sorrise, chiudendosi in bagno. Gabriel restò immobile tra le coperte sfatte, il respiro ancora irregolare, le sensazioni ancora impresse sulla pelle.

Maebh, pensò sconvolto, portandosi una mano alle labbra gonfie. Era sembrato tutto così vero, ancora gli pareva di sentire i gemiti della giovane contro la gola.

«Che mi succede?» chiese rivolto al soffitto, ma sapeva che non c'era nessuno ad ascoltarlo. Era solo e alla deriva, senza bussola, senza vento.

 

***

 

«Prego, buona serata» augurò il portiere alle ragazze, indirizzandole verso la porta ad arco. Loren precedette Maebh, saltellando entusiasta sulle zeppe. La rossa la seguì con meno enfasi, ma entrambe si ritrovarono a bocca aperta quando entrarono nei giardini: fu come entrare in un piccolo ritaglio di paradiso, racchiuso all'interno di un cortile nel centro storico della città. Il giardino era di modeste dimensioni, tuttavia situato su più livelli tramite un gioco di scalini che davano un'illusione d'ampiezza. Nella parte centrale stavano tavolate da cui potersi servire bevande alcoliche e non, e cibi freschi adatti a un pasto in piedi. Nel candido gazebo in un angolo il quartetto stava preparandosi a suonare, al che Loren squittì e afferrò Maebh per un polso, trascinandola tra la gente per conquistare una posizione più ravvicinata.

«Certo che potevi fare uno sforzo in più, eh!» sussurrò la moretta, scoccandole un'occhiata obliqua. La ragazza sbuffò, aggiustandosi la sottile cravatta nera: aveva indossato un comodo completo giacca e pantalone, con una camicia bianca e le converse nere; i capelli le ricadevano sciolti sulle spalle, aveva indossato le lenti a contatto. «Sono elegante e abbinata alla tua jumpsuit. Comunque con quella scollatura secondo me Alberto ti salterà addosso.»

«Shh!» sibilò l'altra, avvampando e guardandosi intorno per assicurarsi che nessuno le avesse sentite. «Certe cose non le devi nemmeno pensare!»

«Hai ragione, a quello ci pensi tu quando sei a letto la sera.»

Loren sembrava sul punto di volerla strangolare, quando si fece pallida di colpo e puntò lo sguardo a qualcuno dietro di lei.

«Ehi, che-» Maebh fu interrotta da un lieve tocco su una spalla, quasi le prese un colpo quando si girò, trovandosi davanti Gabriel.

«Buona sera, Maebh» la salutò lui con una certa formalità, ma dopo un attimo la rossa capì il perché: Alissa Calvo si avvicinò e prese a braccetto l'uomo.

«Buona sera, Gabriel. E lei deve essere la sua dolce metà, mi sbaglio?»

«Non sbaglia» sorrise la bionda, porgendole la mano. «Sono Alissa, molto piacere.»

«Il piacere è tutto mio» ricambiò la stretta Maebh, arrossendo leggermente. Chiamò a sé la moretta, che era rimasta in disparte. «Lei è Loren, la mia migliore amica. Loren, loro sono Gabriel e Alissa.»

«Oh, ma li conosco! Sa, mia sorella va matta per lei, la adora e registra tutte le sue sfilate!» sparò a raffica lei, con un trasporto che fece ridere deliziata la modella.

«Portale i miei saluti, allora» le disse, per poi rivolgersi al compagno che non aveva più spiccicato parola. «Gabriel, dimmi, come vi siete conosciuti?»

«Oh, alla festa inaugurale del Gloomy Matters...» gracidò lui impacciato, sentendosi come se gli avessero appena versato del mastice in gola.

«Sì, abbiamo parlato molto di musica» aggiunse Maebh con molta più naturalezza. I Brillanti Sparsi attaccarono col primo pezzo, suscitando un coro di applausi e distraendo Alissa e Gabriel; Maebh ne approfittò per dare una gomitata a Loren che si stava strozzando dalle risate.

Avrebbe dovuto essere una serata rilassante: Maebh si era immaginata di passare il tempo ad ascoltare musica niente male, mangiare e bere gratuitamente, fare pressioni a Loren nel tentativo di convincerla a parlare con Alberto, invece si ritrovò a stare due ore in quasi totale silenzio, imitata da Gabriel, mentre Alissa e Loren parlavano tranquillamente di moda, make up e cinema.

 

«E così la tua donna è una fan di Matthew McConaughey» commentò Maebh, servendosi dell'insalata di farro da uno dei tavoli.

«Già.»

«È un bravissimo attore.»

«Vero.»

Calò di nuovo un imbarazzante silenzio che fu fortunatamente interrotto poco dopo, quando i Brillanti Sparsi terminarono la serata e uno dei musicisti si fece presso a loro: era più alto di Gabriel e ben piazzato, il naso dritto e occhi scuri, maliardi, resi ancora più ombrosi dai ciuffi neri che gli ricadevano disordinati sulla fronte. Aveva una barba folta con riflessi rossicci e labbra delicate che Loren aveva tutta l'aria di voler mordere.

 

«Ehi, Gabe! Come stai?»

Il pianista si girò verso il nuovo arrivato, grato per quell'opportuna interruzione. «Alberto, vecchio mio! Non c'è male, tu?»

Si scambiarono una pacca sulle spalle, poi il sassofonista si accorse di Maebh e della moretta, che l'aveva raggiunta di corsa. «Chi sono le tue amiche?»

«Oh, loro sono Maebh e Loren. Ragazze, lui è-»

«Lo so già» sospirò la più bassa con aria sognante, porgendogli la mano. Alberto rise e invece di stringergliela si chinò a farle il baciamano, la ragazza avvampò e parve sull'orlo dello svenimento.

Maebh le diede una sonora pacca sulla spalla per farla tornare in sé. «Sì, è una tua grandissima fan.»

«Ah, grazie. Ma non ti ho già visto da qualche parte?» sorrise Alberto, rivolgendosi alla moretta.

«Forse al concerto all'Abbey, il mese scorso?»

«Ma certo! Sì, mi ricordo, eri in prima fila e ti bevevi una pinta dopo l'altra. Cantavi ogni pezzo.»

«Ha buon gusto, no?» sogghignò Gabriel.

Mentre i due musicisti discutevano dei loro ultimi lavori, Loren prese da parte Maebh.

«Come sto?» le chiese agitata, torcendosi le mani. La rossa celò un sorriso e la prese per le spalle, facendogliele raddrizzare.

«Petto in fuori,» le aggiustò la parte superiore della jumpsuit, esaltando la generosa scollatura, «testa alta» le pose un dito sotto il mento, «sorriso smagliante. Sei perfetta.»

«Hai sentito? Si ricorda di me! Si ricorda di meeee!» squittì gioiosa l'altra, lanciando occhiate al sassofonista, che ricambiava con sguardi altrettanto ardenti.

«Sì, e da come ti guarda direi che ti vuole spalmare sulla prima superficie disponibile e farti gridare l'alfabeto greco al contrario.»

«Ah, se usa la lingua potrei anche riuscirci.»

«Il preservativo» sospirò con tono materno Maebh, seguendola mentre tornavano dai musicisti. Alberto porse il braccio a Loren che sorrise deliziata. «Mi accompagneresti a prendere qualcosa da bere? A quel tavolo laggiù preparano un Margarita eccellente.»

Loren accettò il braccio, mentre si allontanavano Maebh poté sentirla dire: «Preferisco un Between the sheets

Alberto rise. «Be', non so se ne facciano, ma posso rimediare io...»

 

«Mortacci» non poté fare a meno di commentare Maebh, quando furono spariti nella folla. Gabriel emise uno sbuffo divertito.

«Già. Alberto è uno che va dritto al sodo.»

«Dov'è Alissa?»

Si guardarono intorno, la individuarono dall'altra parte dei giardini, era in compagnia di una giovane coppia e teneva in braccio un bambino di pochi mesi.

«Quelli sono Linda e Marco, dei nostri amici. E Matteo, il loro primogenito.»

Maebh si servì un altro piatto di insalata e ne prese uno anche per lui. «Dovresti mangiare, con tutto quello che hai bevuto finirai per ubriacarti.»

Gabriel le sorrise amaro. «E se volessi farlo?»

La rossa parve voler replicare, poi tacque e riprese a mangiare. Gabriel la imitò, ma il cibo gli sembrava insapore e duro come cartone, mandò giù un paio di bocconi a fatica e lasciò il resto, tornando al suo bicchiere di vino. L'alcol scorreva decisamente meglio, soprattutto ora che era a disagio e irritato.

Lo sguardo di entrambi tornò a focalizzarsi su Alissa, che sorrideva al bambino.

 

«Sembra felice» osservò la rossa. «Le cose vanno meglio tra voi?»

«Forse, ma non è quello il punto. È quel bambino... ultimamente tutti i nostri conoscenti ne stanno avendo, temo che anche lei ci stia pensando.»

«Non vuoi mettere su famiglia?»

«Non avrebbe senso farlo con una persona che non amo.»

«Dovresti dirglielo.»

«Non è facile.»

«Sì, e aspettare lo renderà ancora più difficile!»

«Per te è così chiaro» borbottò lui, versandosi altro vino. Maebh alzò gli occhi al cielo.

«Ogni persona con un minimo di buonsenso ti direbbe di chiudere questa storia. Un figlio peggiorerebbe solo le cose a questo punto, e ne soffrirebbe più di chiunque altro.»

«Ma che cazzo ne sai tu?!» ringhiò l'uomo con improvvisa rabbia. «Sei solo una ragazzina che vede le cose bianche e nere, non hai esperienze, pensi che gestire una relazione sia semplice ma non sai niente di niente!»

Maebh sgranò gli occhi incredula, strinse poi i pugni, distolse lo sguardo. «Ma certo, grand'uomo. Hai proprio ragione, io non so niente. Ma è chiaro che tu ne sappia ancor meno.»

Gabriel scosse la testa, stanco e ottenebrato dall'alcol. «Scusa Maebh, non volevo... il vino-»

«Vaffanculo, Gabriel» tagliò lei, gettando il piatto sul tavolo e allontanandosi a passo rapido. L'uomo si passò una mano sul viso, guardò Alissa ma la bionda non sembrava essersi accorta di niente.

«Che cazzo sto facendo?» gemette frustrato. Lanciò un'ultima occhiata alla compagna e corse via.

 

***

 

Rientrò di corsa nel palazzo, seguendo l'eco dei passi della giovane su per una scalinata.

«Maebh!» la chiamò, intravedendone le gambe in cima alla seconda rampa.

«Fottiti, bastardo!»

«Maebh, fermati dannazione!»

«Vattene!» urlò lei, aggiungendo poi una colorita sequela di insulti. Gabriel la vide infilarsi in una stanza, la raggiunse in un ultimo scatto e si buttò di peso contro la porta, spalancandola.

«Che cazzo fai, è il bagno delle donne! Non puoi entrare» strillò Maebh, arretrando. Gabriel sbatté la porta dietro di sé e le si avvicinò, incastrandola in un angolo.

«Non ho nient'altro da dirti, stronzo!»

«Io invece ce l'ho!»

L'afferrò per la vita e la strinse a sé, Maebh provò a spingerlo via ma lui non si smosse d'un millimetro.

«Gabriel, giuro che ti cast-»

«Mi dispiace, ok?! Mi dispiace! Non avrei mai dovuto dirti quelle cose perché tu hai ragione su tutta la linea. Sono un bastardo, è vero, rovino tutto quello che tocco e non so trattare bene neanche l'unica cosa bella che mi sia mai capitata...»

«Allora vai da lei e scusati, pezzo di cretino» mormorò lei, afferrandolo per la giacca e cercando di strattonarlo, più debolmente.

«Io sto parlando di te, e lo sai» sussurrò Gabriel chinandosi su di lei fino a far toccare le loro fronti. Ecco le labbra che lui aveva tanto bramato, curve in un sorriso che Maebh non riuscì a celare. Ecco lo sguardo verde d'Irlanda, lo chiamava come uno schiavo e lui si sarebbe lasciato incatenare, intossicare.

Lei rise appena, il suo respiro caldo contro le sue labbra. «Hai già dimenticato la regola?»

Gabriel fece scivolare una mano dai suoi fianchi più su, lungo la schiena, sorrise percependo la ragazza sussultare sotto il suo tocco. La prese per i capelli con uno scatto, Maebh gemette più di sorpresa che di dolore. L'uomo indugiò con le labbra sul suo collo, premette il naso contro la giugulare e inspirò forte il suo profumo, facendola rabbrividire.

«Al diavolo la regola.»

 

Le loro bocche si incontrarono senza grazia, si morsero e toccarono affamate, irruente, il desiderio esacerbato dall'attesa di giorni; Gabriel le insinuò la lingua tra le labbra, assetato del sapore dei suoi baci, baci finalmente veri, non più l'illusione di una notte.

Si sentiva caldo tra le sue braccia, carne nuova e ossa pulite, purificate dalla brama che lo rendeva audace ed eccitato; le allentò la cravatta, prese a slacciarle la camicia con una mano mentre l'altra indugiava sul suo fondoschiena, Maebh fece per sbottonargli i pantaloni quando la porta del bagno cigolò.

Veloce come una serpe, la ragazza li prese per un braccio e lo trascinò in uno dei cubicoli, chiudendo a chiave la porta giusto in tempo per non essere visti da una degli ospiti.

Trattennero a malapena le risate mentre la nuova arrivata svolgeva il suo compito e si lavava le mani con tutta calma, canticchiando persino sottovoce. Quando la porta fu richiusa, si scambiarono un'occhiata e scoppiarono a ridere come due ragazzini, ancora abbracciati e scarmigliati. Gabriel le scansò i capelli dal viso e ripresero a baciarsi, ma dopo un momento Maebh lo allontanò delicatamente.

«Meglio tornare di sotto, Alissa ti starà dando per disperso.»

L'uomo sospirò ma si sforzò di sorriderle, nonostante il pensiero di tornare alla festa gli stringesse lo stomaco. Si rassettarono con calma, aggiustandosi i vestiti e i capelli, poi Maebh controllò che il corridoio fosse deserto prima di uscire. Mentre scendevano le scale Gabriel percepì il suo disagio, al che le sfiorò la mano con la propria e sorrise. «Comunque la tizia era stonata.»

Maebh si mise a ridere, lui pensò che non aveva mai sentito musica più soave.

 

 

***

 

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Capitolo 5
*** 5 - a perfect blue evening ***


5

- a perfect blue evening -

 

 

 

«Sei malvagia!» protestò Loren, seguendo ostinatamente Maebh mentre quest'ultima era impegnata a sistemare una pila di libri nelle apposite sezioni.

«Smettila o mi spaventi i clienti.»

«Non me ne frega niente, io voglio sapere! Ne va della mia stessa sanità mentale» sbuffò la moretta, incrociando le braccia.

«Ecco, e ne va di quella del novellino se non cambi posa ed eviti di strizzarti le tette. Quante volte te lo devo ripetere?» Si voltarono entrambe in direzione del ragazzotto brufoloso a cui le mani tremavano troppo per riuscire a prezzare dei fumetti, tanto la visuale della ragazza lo emozionava. Loren sorrise e gli fece l'occhiolino, quello avvampò e gli caddero tutti i volumi.

«Ehi, dita di burro, fai attenzione!» lo rimproverò Maebh ridendo. Loren le diede un pugno amichevole su una spalla.

«Non trattarlo così duramente! È carino, se non fossi cotta di un altro ci uscirei volentieri.»

«Certo, così esploderà direttamente come un fuoco d'artificio.»

«Sì, be', tornando a discorsi più importanti: ho visto che avevi la camicia stropicciata sabato sera, quando sono passata a salutarti. Che è successo?» riprese Loren, facendo danzare le sopracciglia in modo eloquente.

«Ovvero quando mi sei sfrecciata davanti per dirmi che andavi in qualche pub col sassofonista, abbandonandomi a una festa di cui non me ne poteva fregare di meno? Comunque, per risponderti, nulla che sia degno di nota.»

«Oh, andiamo! Io ti ho detto tutto della serata con Alberto!»

Il suo sguardo si fece sognante ripensando a soli pochi giorni prima: le ore passate a bere in quel localino, le loro gambe che si sfioravano sotto il tavolo, le mani dell'uomo a prendere le sue, le sue labbra appena screpolate a posarvi dolci baci; erano usciti a notte fonda, a passeggiare in un parco, Alberto non si era fatto attendere troppo e l'aveva presto stretta a sé, approfittando dell'oscurità e della solitudine del giardino per farle scivolare una mano tra le gambe e l'altra dietro la nuca, smorzando i suoi gemiti con la bocca.

«Sì, be', veramente sei tu che ti sei precipitata qui nel mezzo della mattinata – paccando biecamente la scuola – e mi hai sputato addosso il resoconto della serata.»

«È perché tu sei la mia priorità! Dai, quid pro quo, io narro a te e tu narri a me.»

«Non c'è niente da dire! ...Solo un bacetto.»

«Non sapevo che i baci avessero le mani per palpare il seno!» rise Loren, ma cambiò presto espressione vedendo lo sguardo dell'amica. «Oh, ti sto solo sfottendo un po'! È una cosa fantastica, perché non me lo volevi dire?»

Maebh si nascose il viso tra le mani. «Non lo so... è che non volevo che succedesse, lui è fidanzato! Però...»

«Però ti piace troppo per resistergli.»

Maebh annuì, mugolando dietro il suo nascondiglio. «È così...»

«Sexy

«No! Cioè, sì, ma non è solo quello, lui è-»

«Scusa un attimo» la interruppe Loren, girandosi poi verso un paio di ragazzini che la stavano fissando. «Ehi, se avete tanta voglia di guardare un culo, perché non andate a guardare quello di vostra madre?!»

I due sussultarono, presi in contropiede; uno dei due assunse uno sguardo ferito. «Mia madre se n'è andata di casa un anno fa...» mormorò afflitto.

«Chissà perché non sono stupita» infierì la moretta, al che il ragazzino prese l'amico per un braccio e uscì di corsa. Maebh si spalmò una mano sulla fronte ed emise un lungo sospiro.

«Grazie, mi hai fatto perdere due clienti.»

«Ma non hai visto? Stavano per prendere Cinquanta sfumature di grigio, santo cielo!»

«Ah be', allora direi che siamo a posto!»

«Uh, quanto la fai lunga! Be', io vado che faccio un salto da B-Side, dovrebbe essere arrivato il cd che avevo ordinato.»

Si alzò sulle punte per dare un bacio sulla guancia alla rossa, poi si rivolse all'apprendista che continuava a guardarla come fosse stata una dea.

«Ehi tesoro, mi fai pagare questo?» cinguettò Loren, sventolandogli davanti il volume Lick – una commedia erotica in sei atti. Il ragazzo parve sul punto di strozzarsi con la sua stessa lingua, Maebh alzò gli occhi al cielo.

«Mattia, se non ti calmi giuro che ti lascio a morire lì!»

 

 

***

 

Cesare sbuffò per l'ennesima volta e prese a massaggiarsi le tempie. «Questo ticchettio mi snerva.»

«Idem» gemette Maebh, appoggiandosi contro la sua schiena. «Quanto ne abbiamo ancora?»

«Conosci Marco. Minimo un'altra ora.»

«Per scegliere un orologio. Roba da matti!»

«D'altronde solo un matto potrebbe collezionare orologi» sogghignò Cesare.

«Orologi davvero brutti, peraltro.»

«Guardate che vi sento!» esclamò un altro uomo, raggiungendoli: era poco più alto di loro, con corti ricci castani e barbetta appena inargentata, gli occhi grigi erano appena infossati e sormontati da sopracciglia piuttosto movimentate.

«Capirai» sogghignò Maebh, Marco preferì ignorarla per tornare ad assillare il commesso del negozio, un ometto con baffetti che sembravano ammollarsi di più a ogni parola di quel cliente molesto.

Gli altri due tacquero per un po', stanchi e annoiati, finché ad un tratto Maebh si decise a parlare. «Cesare...»

«Mh?»

«...Ho conosciuto uno.»

L'uomo si irrigidì palesemente. «Ah.»

«È un tipo a posto.»

«Come si chiama?»

Maebh sospirò. «Gabriel, ma non posso dirti di più. Ho dei buoni motivi.»

«Senti, sei sicura di quel che fai?»

«Lui non è come Leonardo» sussurrò Maebh, stringendo involontariamente i pugni. Chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro, dopo anni quel nome riusciva ancora a farle paura. Ma ora era cambiata: era più forte. «Sono cresciuta, lo sai. Sto bene.»

«È solo che non voglio più vederti stare così male. Quando i tuoi cari genitori sono morti, ti ho presa con me e sei diventata la mia famiglia, e non è facile stare tranquillo, soprattutto dopo quel che è successo.»

«Lo capisco e lo apprezzo, io-» Maebh fu interrotta da un piccolo bip del proprio cellulare, lo prese dalla tasca e lo sbloccò.

«Chi è?» domandò Cesare, aggiustandosi gli occhiali dalla sottile montatura metallica sul naso a patata. La ragazza non sentì, ma mentre leggeva l'sms piegò le labbra in un sorriso che contagiò l'uomo.

«Ah, ma che te lo chiedo a fare.»

Maebh si riscosse, digitò velocemente qualcosa e guardò Cesare, una muta preghiera negli occhi. Lui rise e le aggiustò la treccia su una spalla. «Vai pure tesoro, ci penso io alla belva.»

La ragazza lo abbracciò di slancio e lo salutò, correndo via giusto un momento prima che dall'altra sala del negozio tornasse Marco. Cesare si alzò dal piccolo sofà e lo raggiunse.

«Be', dov'è andata Maebh? Doveva aiutarmi a scegliere tra questi due orologi!» mugugnò il più giovane, mostrando due scatole al compagno. Cesare guardò le figure sulle confezioni e sogghignò.

«Tanto fanno schifo tutti e due.»

«Tu che ne sai, non hai gusto.»

Cesare sbuffò. «Certo, io sono l'uomo, tu la checca.»

«Sgualdrina.»

«Puttana» sibilò l'uomo, poi fece cenno all'imbarazzato commesso di incartare uno dei due orologi; Marco borbottò un insulto ma non intervenne, preferendo aggrapparsi al collo di Cesare. Quest'ultimo arrossì appena, consapevole che il compagno stava studiando la sua espressione; sorrise appena quando Marco gli baciò la fronte, facendo distendere per un momento le rughe che la solcavano.

«Sei preoccupato.»

«Mh-mh.»

«Ed è per Maebh.»

«Si vede con qualcuno. Un certo Gabriel.»

«Mi sembra una bella notizia.»

«Lo è, sono io che... oh, mi conosci. Sono un paranoico, pauroso omuncolo. Vorrei fare di più, ma so che lei ormai è grande e se la sa cavare da sola e io... me ne posso solo restare con le mani in mano.»

Marco lo baciò delicatamente a fior di labbra, sorridendogli. «Ci vuole coraggio anche per lasciare andare le persone che amiamo. Maebh è grande, vero, ma sa che potrà sempre contare su di noi, e tu...» il suo sorriso si fece malizioso mentre faceva scivolare una mano fino al bordo dei suoi pantaloni. «...non sei certo un omuncolo, penso di poterlo affermare con certezza.»

Cesare rise e gli scansò la mano, per poi cingergli la vita con un braccio. «Sarai anche un pirla, ma sai sempre dire la cosa giusta.»

«È per questo che mi ami» ghignò trionfante Marco. «E ora andiamo, voglio appendere l'orologio prima di cena. Vedi di non fare buchi nel muro stavolta.»

«Sì, belva.»

«Cafone.»

 

***

 

Il sostituto marmoreo del David svettava nella luce del crepuscolo, ma Gabriel era indifferente alla forza che il suo sguardo eterno emanava, anzi continuava a controllare l'ora sull'orologio al polso, sentendosi nervoso come un ragazzino.

Lo stridio improvviso d'una frenata lo fece trasalire, si voltò giusto in tempo per vedere uno scooter inchiodare a un passo da lui. Maebh si tolse il casco, radiosa e coi capelli tutti spettinati.

«Ehi! È tanto che aspetti?»

«Mi hai appena fatto perdere dieci anni di vita.»

«Esagerato» sbuffò lei, smontando. Da sotto la sella prese un altro casco e glielo porse. «Dai, salta su, ho una fame da lupi.»

«Preferirei prendere un taxi» borbottò Gabriel, regolando la cinghia sotto il mento e salendo dietro di lei.

«Non temere, non ci schianteremo da nessuna parte...» Avviò bruscamente il mezzo, Gabriel le si strinse istintivamente contro, afferrando lo zaino che aveva sulle spalle. «...Almeno credo.»

Le proteste dell'uomo si persero nel vento, mentre sfrecciavano via.

 

***

 

«Be', non pensavo che avrei mai preso da mangiare al McDonald's, ma è proprio vero: mai dire mai» commentò Gabriel, esaminando il contenuto della grossa busta. Maebh rise e stese una coperta per terra, poi si dedicò al focolare. Gabriel seguì attento ogni suo gesto, mentre lei sistemava la legna che avevano raccolto in una piccola piramide, dentro un cerchio di pietre disposto su uno spiazzo secco. Con un coltellino tagliò a listelli un paio di rametti e mise i ciuffi alla base della piramide, con un accendino li infiammò e nel giro di poco la legna prese a bruciare laboriosa.

 

«Certo che sei pronta per ogni evenienza tu, eh? Eri negli scout?» le chiese, sedendosi accanto a lei. Pescò dalla busta il proprio panino e lo scrutò sospettoso.

«Yup. Io e Loren ci siamo conosciute lì, e anche se io ho lasciato verso i sedici anni siamo rimaste amiche di ferro. Quando fa bel tempo, ci piace venire qui e passare una serata insieme, con cibo, alcol e fumo. Magari lei porta la chitarra e cantiamo.»

«Immagino saprai fare un sacco di nodi, utili se vuoi uccidere qualcuno in modo fantasioso» scherzò lui, addentando il panino. Maebh sorrise, rosicchiando delle patatine.

«Si può essere fantasiosi anche nel letto» buttò lì. Gabriel quasi si strozzò, lei gli batté piano sulla schiena mentre lui tossiva. «Ti avverto, non conosco la manovra di Heimlich.»

«Conosci altre manovre, però» commentò lui malizioso, una volta scongiurato il dramma. Maebh gli scoccò uno sguardo felino, scansò il cibo e gli si avvicinò gattonando; Gabriel trattenne il fiato quando lei gli posò una mano sul petto, le punte delle dita scivolarono lentamente fino al bordo dei suoi jeans.

«Questi discorsi mi fanno venire fame...» sospirò la ragazza, allungandosi fino a solleticargli il collo col suo respiro caldo. Gabriel si girò appena verso di lei, alzò una mano a toccarle il viso ma lei saltò indietro, recuperando le patatine fritte. «E infatti mangio, prima che si raffreddi!»

All'uomo quasi gli cadde la mascella per lo stupore, ma non riuscì a non ridere. «Sei fantastica» sospirò, concentrandosi sul panino. «E questo è davvero un bel posto» aggiunse, empiendosi lo sguardo del panorama che gli si stendeva davanti. Maebh l'aveva portato fuori città, seguendo una strada sterrata fino alla cima di un colle screziato di macchie boscose. Si erano lasciati Firenze alle spalle, abbastanza lontano dalle luci artificiali da poter vedere chiaramente le stelle che ora, mentre il sole tramontava alla loro destra in un orizzonte sanguigno, spuntavano nella metà opposta del cielo come piccoli buchi luminosi in un oceano vellutato.

 

«Non ho mai fatto niente del genere.»

Maebh gli rivolse uno sguardo curioso, Gabriel arrossì appena e si grattò la testa, sentendosi stranamente imbarazzato.

«Voglio dire, un appuntamento così, mangiare cibo spazzatura... stare sotto le stelle. Non riconosco nemmeno una costellazione.»

Maebh parve considerare a lungo quell'affermazione, fece per dire qualcosa ma richiuse la bocca. Gabriel proseguì.

«Ero sempre così preso dalla musica... solo a lei ho riservato il mio affetto, il mio tempo, ogni aspetto della mia vita verteva su di essa. Vi ho costruito me stesso.»

«Te ne sei pentito?» domandò lei a bocca piena, Gabriel ridacchiò e le accarezzò una guancia, pulendola da alcune briciole; indugiò tuttavia sulla sua pelle, riflettendo.

«Non so risponderti con esattezza. Forse no, non sono pentito, da una parte ho avuto tanto dalla musica... però dall'altra mi dispiace non essermi aperto a esperienze diverse. Magari sarei diventato una persona decente.»

Maebh si gli accostò e gli prese la mano tra le proprie, carezzandola. Si era fatta seria. «Non dire più una cosa del genere. Tu sei una bella persona, Gabriel. Certo, sarai imperfetto, a volte un vero stronzo, ma musica come la tua non sarebbe mai scaturita da un brutto animo. Quindi, ripeto, sei una bella persona.»

«Hai sentito la mia musica?» chiese l'uomo con malcelato entusiasmo, quando lei attaccò un secondo panino.

«God bless Youtube. Il tuo primo disco mi ha fatto dormire benissimo.»

«È un complimento o un insulto?»

Risero entrambi, tornò poi il silenzio. Poco lontano, una civetta emise il suo richiamo.

«E i tuoi genitori?» domandò Maebh, sorseggiando del tè ghiacciato.

«Mh?»

«Loro che fanno?»

«Oh, sono entrambi ancora vivi, ma hanno divorziato che io avevo sedici anni. Mio padre insegna storia in un collegio in Germania, mia madre invece è docente al Berklee College of Music.»

«Mortacci!» commentò Maebh, impressionata. Gabriel la guardò perplesso. «Scusa. Mia madre era di Roma. Dicevi?»

«Mah, è tutto qui. Non ho mai avuto un rapporto concreto con loro, sono sempre stati molto presi dal lavoro e io ne sono il degno figlio, direi.»

«Un po' invidio i miei genitori, invece» sospirò la ragazza, stendendosi supina sull'erba, incrociando le braccia dietro la testa. Gabriel si stese su un fianco, sollevandosi su un gomito.

«Perché?»

«Vedi, mia madre era una pittrice, mio padre invece come già sai un violinista. Eppure, nonostante svolgessero due lavori molto impegnativi sono sempre riusciti a conciliare la pittura e la musica, l'amore e la famiglia. Ed ecco, li invidio perché ricordo benissimo quanto si amassero, con così tanto rispetto e devozione che penso capitino una volta su un milione.»

«Non ti facevo così romantica» commentò lui, facendosi più vicino.

«Lo sono, ma poco. Tipo un dieci percento. Diciamo che la vita mi ha insegnato a stare coi piedi bene a terra.»

Gabriel le carezzò la cicatrice sulla guancia, sfiorandola con la punta dell'indice. «C'entra qualcosa questo?»

«Chiamalo promemoria, sì» sospirò lei, ma sorrideva. L'uomo si stese al suo fianco, posando il capo sul suo seno morbido. Maebh gli passò un braccio intorno alle spalle, lui sospirò a quella stretta rassicurante.

«Tu mi piaci molto, Maebh.»

La sentì ridacchiare. «Be', meno male, altrimenti questa situazione sarebbe diventata molto imbarazzante!»

«Dai, sono serio.»

«Lo so» sbuffò appena la ragazza, posandogli un bacio tra i capelli. «E anche tu mi piaci, se è per questo.»

«È solo che non voglio farti promesse che non so se sarò in grado di mantenere» sussurrò lui.

«Io non te ne chiedo.»
 

Gabriel sorrise e le circondò il grembo con un braccio, lasciandosi cullare dal suo respiro. Era tutto così semplice, insieme a lei. I frammenti sbrindellati della sua vita sembravano tornare insieme a poco a poco, frammenti che di nuovo combaciavano, più belli.

Gli venne in mente la tecnica Kintsugi, una tradizione giapponese di cui gli aveva parlato la moglie di Fabio, anni prima. Un vaso rotto sarà più bello di prima, e ciò che era stato infranto veniva riunito da una morbida resina d'oro, a mostrare come ogni cambiamento possa essere occasione di nuova bellezza, nuove possibilità.

Avrebbe voluto parlarne a Maebh, ma preferì tacere e vivere il momento. Più tardi sarebbe stato il turno delle parole; ora, quello di un attimo sospeso.

 

***



 

 

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Capitolo 6
*** 6 - yet my hands are shaking ***


Noiosa ma necessaria premessa: in questo capitolo ho inserito il link a una canzone che non è quella che verrà citata nel testo, ma che meglio si accorda a ciò che verrà narrato da quel punto in poi.

Il brano di cui invece ho selezionato alcuni versi è Attesa e inaspettata di Niccolò Fabi, e prima che qualcuno mi voglia uccidere per l'utilizzo di questa canzone meravigliosa – che Fabi ha scritto dopo la morte della figlia – ci tengo a specificare che io rispetto profondamente questo artista, ho tuttavia deciso di usare alcune sue strofe perché, decontestualizzandole, possono assumere molti significati e molte sfumature.

Detto questo, buona lettura, sperando che questo capitolo non vi deluda.

 

***

 

 

6

- yet my hands are shaking -

 

 

 

 

«Sicura che non vuoi che ti accompagni?»

Alissa sorrise, aggiustandosi il trench sulle spalle magre. «Non preoccuparti, ho già chiamato un taxi.»

Gabriel si strinse nella camicia di flanella, abbozzando un sorriso anch'egli. «Be', allora divertiti a Milano.»

La donna gli diede un veloce bacio a fior di labbra, poi afferrò il trolley e aprì la porta. «Mi mancherai» disse, entrando in ascensore. Il compagno le fece un cenno di saluto.

«Fai buon viaggio.»

 

***

 

Quando ebbe concluso il pezzo, sollevò le mani dalla tastiera e prese lo spartito, dove appuntò un paio di correzioni con la penna rossa. «Allora, come ti sembra?»

Fabio era al settimo cielo. «Bene! Cazzo, era ora, un brano come si deve!» Afferrò la propria bottiglia e la fece cozzare rumorosamente contro quella del pianista. «Ottimo lavoro, stronzetto. Alla fine mi hai dato retta.»

«Non è che tu mi avessi dato chissà quale consiglio, eh.»

«Io ti ho dato una meritatissima strigliata, sii grato!» sbuffò l'agente, per poi scolarsi tutta la birra in due sorsi. Emise un sonoro rutto e sorrise soddisfatto. «Allora... hai scopato?»

Gabriel alzò gli occhi al cielo, disgustato. «Ehi Gabriel, complimenti, nel giro di una settimana hai scritto tre pezzi uno migliore dell'altro, hai talento!» gli fece il verso. «Ecco, questo è quello che avrei voluto sentire, invece di un'allusione su come io sia condizionato pesantemente dalle mie attività sessuali, cosa peraltro non vera.»

Fabio non si scompose; se possibile, il suo sorriso si fece persino più compiaciuto. «Sì, vabbe', falla breve: hai scopato.»

«Certo che no.»

«Ah! Vedi, te l'avevo detto, io- aspetta, cosa?!»

Gabriel si alzò e andò a posizionarsi sul tappetino di spugna davanti alla finestra, Fabio saltò giù dallo sgabello e lo seguì a ruota.

«Come sarebbe a dire, certo che no?!» insistette quasi scandalizzato. Gabriel si inginocchiò sul tappetino e si appoggiò con le mani avanti, inclinando il busto.

«Sarebbe a dire, ho rivisto quella ragazza di cui ti ho parlato, ci siamo baciati, siamo usciti insieme ma non abbiamo fatto sesso» sospirò, piegando la gamba destra davanti al bacino e allungando la sinistra dietro di sé. «Non mi pare un concetto tanto astruso.» Gonfiò il petto e restò in posizione, chiudendo gli occhi.

«E allora perché ti ha ispirato tanto?» replicò Fabio, scuotendo la testa. «Io non capisco, è- ...oh. Oh

Il moro aprì un occhio, allarmato. «Cosa

L'agente si illuminò in un sorriso sornione. «Ti sei innamorato!»

«Che?! No! Sei pazzo» gemette, cambiando gamba.

«Lascia perdere la posizione dell'airone e affronta la realtà, piuttosto!»

«È la posizione del piccione, e comunque non sono innamorato! La conosco da poco più di un mese e siamo usciti pochissime volte, è davvero troppo presto per certe affermazioni.»

«Rigirala come ti pare questa frittata, innamorato, innamorando, il potenziale c'è e lo vedo in quella tua faccia ebete, brilli come se ti fossi fatto lo scrub con delle scorie radioattive.»

Gabriel preferì non rispondere e passò alla posizione del loto.

«Fatti allungare la barba e sembrerai un santone.»

«Mh.»

«Alissa non si è accorta di nulla?»

«No. Forse il fatto che abbiamo fatto sesso la settimana scorsa l'ha rassicurata sul nostro rapporto.»

«Amico, scoparti la tua donna mentre frequenti un'altra è da vero stronzo» commentò Fabio, schioccando la lingua con disapprovazione.

«Sì, be', pazienza, è successo in un momento particolare.»

«Perché non la lasci? Tra voi le cose non vanno più da anni.»

«È la stessa cosa che mi ha detto Maebh» sbuffò l'altro vagamente divertito.

«Maebh? È così che si chiama?» L'agente tornò al piano e raccolse la ventiquattrore abbandonata lì vicino.

«Già. È gaelico, significa “colei che intossica”.»

Il biondo prese a sghignazzare. «Insomma, ti sei innamorato di Poison Ivy!»

«Santo cielo che imbecille. La conosco ancora poco, anche se abbastanza da sapere che voglio passare più tempo con lei, non mi basta mai. Mi piace, ma non sono innamorato!»

«Sì certo, come no. Allora, quando vi vedete?»

«Questi giorni non siamo riusciti a vederci per via del lavoro, soprattutto il mio, ma domani sera ha detto che mi porta in un posto speciale. L'unico problema è che andremo col suo scooter e lei guida come una pazza.»

«Speriamo sia pazza anche sotto le coperte.»

«Cazzo ma la vuoi piantare? Sei un maniaco, ci pensi più tu a lei che io, a momenti. Ah, fanculo» bofonchiò Gabriel, abbandonando la posizione e alzandosi in piedi.

«Io vado che devo lavorare, ci vediamo giovedì in studio, ok?» sogghignò Fabio, andando alla porta. Il pianista lo sentì fermarsi a metà delle scale e ridacchiare tra sé.

«Oh, e lascia perdere lo yoga, hai meno sex appeal delle vecchiette ad acquagym, quando fai il gallo cedrone!»

Gabriel si strinse la radice del naso tra pollice e indice, una parvenza di emicrania a minacciarlo. «...è il piccione.»

 

***

 

«Secondo me ci siamo persi.»

Uno sbuffo.

«Quanto manca?»

Silenzio ostinato.

«Siamo arrivati?»

«Se il tuo scopo è condurmi all'isteria, sappi che ci stai riuscendo!»

Gabriel rise e rafforzò la presa sulla vita di Maebh, lei alzò gli occhi al cielo. Di nuovo su una collina fuori città, di nuovo le stelle a scrutarli silenziose. La felpa che indossava non bastava a proteggerlo dal freddo di quella serata ottobrina, ma a parte quello l'uomo non avrebbe potuto essere più felice di così.

Finalmente gli alberi sembrarono diradarsi, mentre raggiungevano la cima della collina; sbucarono in uno spiazzo, a una ventina di metri da loro stava una baita in pietra e legno, con una graziosa veranda. Delle macchine erano parcheggiate dietro l'abitazione, Maebh accostò li accanto e scesero.

 

«Ehi, siete in ritardo!» esclamò un uomo, venendo loro incontro. Abbracciò la ragazza e il pianista con lo stesso calore. «Abbiamo già montato i telescopi. Tu sei?»

«Gabriel. Sono un amico di Maebh.»

«Be', i suo amici sono i nostri!» sorrise quello, calzandosi più a fondo sulla testa il berretto. «Io sono Lupo, il proprietario della baita. Benvenuto nel gruppo dei Late Nighters! Non hai freddo?» gli chiese poi, vedendo che tremava.

Gabriel sorrise imbarazzato. «Un pochino, in effetti.»

Maebh alzò gli occhi al cielo, sul capo recava un buffo cappello fucsia col pompon ed era imbacuccata in un maglione di lana acquamarina, abbinato agli occhiali. «Io gliel'avevo detto di vestirsi pesante, ma non mi ha dato retta.»

«A ottobre di solito non è così freddo» bofonchiò lui.

«Sì, ma qui siamo in alto. Vado a prenderti un maglione, tanto i gemelli ne portano sempre qualcuno in più.» Entrò nella casa, lasciandolo solo con Lupo; quest'ultimo si accese una sigaretta e gliene offrì una, Gabriel scosse la testa.

«Che cosa siete voi Late Nighters, di preciso?»

Lupo gli indicò alcune persone a una cinquantina di metri da loro, che nell'oscurità appena alleviata da delle lanterne si affaccendavano intorno a tre telescopi, sistemavano coperte, svuotavano cesti da picnic sulle tovaglie. «Solo dei pensionati che si divertono ad osservare le stelle nel loro tempo libero. Vieni ragazzo, te li presento, saranno contenti di vedere una faccia nuova.»

 

Quando Maebh li raggiunse, Gabriel era stato già integrato nel gruppo e promosso al ruolo di mascotte. Ginevra e Lorenzo, una tranquilla ma tenace coppia di coniugi, lo stavano ingozzando di lasagne e altre delizie, accusandolo d'essere troppo magro.

«Fosse vero» aveva provato a protestare lui, ma Ginevra gli aveva riempito il piatto implacabile come un bulldozer.

«Tra poco vomita» ridacchiò la ragazza, facendo segno ai due di smettere di servigli cibo. Gabriel buttò giù l'ultimo boccone di lasagne e sospirò.

«Che accoglienza.»

«Sei il loro nuovo giocattolo, ora. Tieni, mettiti questo.» Gli porse un maglione bitorzoluto, lui lo svolse e un'espressione sconvolta gli si dipinse in volto.

«Non so se ridere o piangere» esalò, senza riuscire a distogliere lo sguardo dalla fantasia ricamata di... patate e salsicce? C'era persino un motivo di rametti di rosmarino intorno al collo e alla vita.

«Luca e Lucio adorano lavorare a maglia, il problema è che hanno dei gusti a dir poco osceni in fatto di decori. Comunque io mi sono premurata di prenderti il più ridicolo.»

«Grazie, che gentile» replicò sorridendo ironico, infilandosi il maglione che nonostante fosse brutto, era davvero caldo. «Oh, ora sì che va meglio.»

«Se Alissa vedesse quel coso addosso a te, le verrebbe un colpo» scherzò Maebh, ma il riso le morì sulle labbra vedendo che il suo sguardo si era fatto ombroso di colpo. Si inginocchiò davanti a lui e gli prese le mani, strofinandole tra le proprie per riscaldarle.

«Meglio evitare l'argomento, eh?»

«Quando sono con te preferisco lasciare tutto fuori.»

«Va bene» annuì. Gabriel sorrise e fece per baciarla, quando una voce familiare lo richiamò. Si voltò e vide avvicinarsi Alberto, ma ciò che più lo stupì fu vedere al suo fianco Loren, stretta al suo braccio come fosse appartenuto a lei.

«Ehi, che ci fate voi qui?»

«Mi ha invitato Loren, che è stata invitata da Maebh a sua volta. Come te la passi?»

«Bene, il disco sta procedendo. Tu?»

«Alla grande, come puoi vedere.» Sorrise e si chinò a baciare la moretta, che ricambiò con trasporto per poi andare da Maebh. Mentre le ragazze chiacchieravano, Gabriel prese da parte il collega e si allontanarono di qualche metro.

«Scusa, ma tu non eri un tipo mordi-e-fuggi, in fatto di amanti?»

Alberto fece spallucce. «Sì, be'... diciamo che Loren è speciale. Anzi, è proprio esplosiva. Oltre ad essere una belva a letto, è simpatica, brillante, ha molti interessi. Pensa che l'altra sera mi ha portato a vedere una rappresentazione amatoriale del Fantasma dell'Opera e non so, ero estasiato, per la musica e per lei. È sensibile, schietta, mi ha conquistato!»

«E Giorgia?»

L'uomo sospirò, ma non sembrava troppo addolorato. «Le ho detto di Loren dopo esserci uscito per la terza volta, sapevo che non sarebbe stata una scopata come le altre. Ovviamente ci siamo lasciati, ma era solo questione di tempo ormai. Non funzionavamo più insieme, io e lei.»

«È stata una mossa un po' azzardata, lasciarla per una ragazzina appena incontrata. È piccola, no?»

«Sì, ha solo diciotto anni, ma è sorprendentemente matura e in ogni caso non penso di aver sbagliato a fare quel che ho fatto. Se fossi rimasto con Giorgia, precludendomi la possibilità di un rapporto serio con Loren... quello sì che l'avrei rimpianto.»

Tacquero, Alberto sorrideva, Gabriel non poteva fare a meno di riflettere sulle sue parole. Alzò lo sguardo su Maebh, intenta a bere cioccolata calda con Lupo. Sussultò appena quando lei si girò verso di lui, facendogli un cenno.

«Torniamo da loro» mormorò il collega, battendogli piano su una spalla. Gabriel lo seguì in silenzio, ma sorrise quando Maebh lo raggiunse, prendendolo per mano.

 

***

 

Il suo orologio segnava l'una passata, ma non gli diede peso così come non aveva dato peso alle chiamate di Alissa. Si era limitato a mandarle un messaggio, dicendole che stava lavorando, sentendosi meno in colpa del dovuto. Sospirò scacciando i pensieri, poggiò i gomiti sulla balconata lignea della veranda e si chinò sulla tazza di cioccolata, rigirandosela tra le mani e scrutandovi dentro, come a trovare risposte a domande che non riusciva a mettere a fuoco.

Dei passi si avvicinarono, non ebbe neanche bisogno di alzare lo sguardo per capire che era Maebh, il suo lieve profumo era inconfondibile.

«Posso?»

Lui annuì. «Ma certo che puoi.»

Maebh lo raggiunse e imitò la sua posizione. «Che ne pensi di questa serata?»

«Un po' lenta in alcuni passaggi ma comunque divertente.»

«Sì, Piero adora esporre le sue conoscenze sulla deflessione gravitazionale ai nuovi arrivati.»

«Per non parlare del monologo sulla materia buia.»

«Oscura

«Stessa cosa.»

«Dillo a Piero e ti manda in orbita.»

Gabriel rise; l'astronomo era forse un po' prolisso, ma era lodevole il suo entusiasmo, segno d'una passione per lo studio che lo rendeva carismatico e affascinante. L'aveva stupito sinceramente sapere che lui e Lupo fossero compagni di vita da quasi trent'anni, non avrebbero potuto essere più diversi: Piero elegante e composto seppure un po' burbero, esile ma con grossi occhiali a fondo di bottiglia, Lupo basso e robusto, cordiale e buono come il pane; il primo era figlio d'una ricca famiglia fiorentina e aveva conseguito tre lauree, il secondo era rimasto alla terza media ed era cresciuto nelle montagne del Trentino-Alto Adige.
Si erano conosciuti tra le nevi: Piero, diretto a un convegno sulle nebulose planetarie, aveva sbagliato strada e la sua macchina aveva fuso in mezzo al nulla, nel cuore dell'inverno. L'aveva soccorso Lupo, che tornava dai boschi con un carico di legna sulla schiena; Piero avrebbe dovuto restare a casa sua giusto qualche giorno, il tempo di far riparare l'auto, ma una tormenta li aveva costretti alla clausura e in una minuscola casetta, davanti al focolare dove cuocevano le mele al vino, tra spiegazioni sulla vita delle stelle e leggende dei boschi, aveva germogliato un amore inaspettato che aveva resistito a ogni insidia del tempo.

 

Gabriel si era sinceramente commosso a quel racconto, gli pareva che non fossero più possibili storie così pure e belle, non perfette ma sincere.

Sincere... piegò le labbra in un sorriso amaro, sentendosi un ipocrita.

Maebh se ne avvide e gli cinse le spalle con un braccio.

«Brutti pensieri?»

L'uomo annuì, ma non riuscì a evitare il suo sguardo quando lei gli scansò dei ciuffi ribelli dagli occhi; la ragazza sorrise e gli rubò un sorso di cioccolata, si alzò sulle punte a baciarlo dolcemente.

«Ecco, un bacio al cioccolato. Meglio?»

Annuì di nuovo. «Un pochino. Grazie per avermi portato qui, comunque.»

«Avevi detto di non ricordare le costellazioni, quindi mi è sembrata una buona idea» mormorò Maebh, ma si era accorta che Gabriel non sorrideva. Si infilò una mano in tasca e ne tirò fuori l'mp3, si infilò un auricolare e gli porse l'altro. L'uomo lo prese, lanciandole uno sguardo interrogativo.

«Che mi fai sentire?» le chiese, ma lei non rispose e premette play.

[https://www.youtube.com/watch?v=2UfHXiQkgd8]
 

 

Attesa e inaspettata

arriva la seconda vita

in quell'istante

in cui si taglia il velo

e sei dell'altra parte

 

 

Gabriel sospirò per la dolcezza della musica, la morbida tenerezza della voce di Niccolò Fabi. Posò la tazza sulla balconata e si rivolse alla giovane che gli stava accanto; la strinse a sé e affondò il viso nell'incavo della sua spalla. Profumava di biancospino.

 

Come cambia il peso delle cose

del pianto del sorriso

dell'aria che respiri

di ritornare a casa

ora il mio posto e' qui...

Che bellezza abbagliante

la tua

 


Quante cose si possono dire, con le parole giuste.

Con l'abbraccio giusto, mentre Maebh lo cullava lentamente. Gabriel riconobbe sé stesso in quelle strofe, nelle sue sfaccettature e imperfezioni, sapeva che avrebbe dovuto seguire quei versi e coglierne il consiglio, ma lei lo strinse più forte e baciò il suo viso come una farfalla calda, e allora lui staccò la mente, staccò tutto. Erano al largo, ormai.

 

Così ti trovi a quell'incrocio

tra l'impegno e il disimpegno

e devi toglierti dal centro

devi farti spazio dentro

 

 

La sirena lo baciò, lo benedisse come un marinaio sfinito che la corrente restituisce alla baia, e Gabriel avrebbe voluto piangere per il sollievo ma lei lo prese per mano, lo condusse oltre le correnti e i flutti, lo guidò dentro la baita, su per le scale, in una piccola stanza accogliente.

Accese una candela, non serviva altra luce, era bella l'oscurità che li avvolgeva a tentoni, era bello indovinarsi i profili nella penombra.

 

E poi dividere l'inutile

da ciò che è necessario...

 

Le mani tremanti di Gabriel incontrarono quelle sicure di Maebh; era come un'ancora lei, era ferma e salda e lui si aggrappò al suo corpo nel disordine della vita, e pure era anche leggera, e così viva, lui si trovò spaurito e nervoso come un ragazzino nell'acqua alta ma lei lo rassicurò, spoglia di ogni veste inutile, lo attirò a sé, lo strinse al seno candido.

«Va tutto bene» sospirò. Gabriel sussultò tra le sue braccia morbide, aveva aspettato per tutta la vita quelle parole e nemmeno lo sapeva, ma ora sapeva, sapeva e sentì che non c'era sbaglio in quelle carezze, nei baci che le lasciò sui capezzoli, nelle strette delle mani sulle cosce; non era peccato afferrare i fianchi della sirena quando lei si abbassò sul suo ventre, accogliendo la sua erezione con carne bagnata e calda come il mare alla fine dell'estate.

 

Gabriel tremò contro di lei, boccheggiò contro la sua pelle, rantolò preghiere e suppliche e Maebh non disse niente, bastavano i suoi gemiti a dargli conforto, condurlo a riva. Era un naufragio da cui l'uomo non voleva essere salvato, ma il suo corpo debole e sconvolto lo tradì, si aggrappò alle coperte e ai capelli della sirena, avrebbe voluto resistere e prolungare all'infinito quel momento in cui le membra tremavano e acceleravano i movimenti, le spinte si facevano più violente e rapide, lei gridò di piacere e gli graffiò la schiena; si arresero, si abbandonarono all'orgasmo, giacquero sconfitti.

 

 

Non sapeva quanto tempo fosse passato; gli parve un'infinità, quando riuscì finalmente a recuperare abbastanza ossigeno e forza da scivolare via da Maebh, stendersi al suo fianco. La giovane sorrise, le guance rosse, gli occhi brillanti, le labbra turgide per i baci. Gabriel la strinse a sé, il suo corpo nudo era caldo come fuoco contro il suo fianco.

Restarono così a lungo, scambiandosi lievi baci, sussurri, risate sommesse, finché la suoneria del cellulare di Gabriel non li fece sussultare. L'uomo sbuffò e allungò una mano oltre il bordo del letto, tastando per terra finché non toccò i pantaloni; prese di tasca il telefono e guardò il display: un sms di Alissa. Sei ancora sveglio?

Si girò verso Maebh, le sorrise. Il cellulare tornò per terra, sui vestiti abbandonati, senza risposte.

 

 

***

 

 

Gabriel fa yoga.

Ammetto di aver deriso la posa del piccione (esiste davvero), poi ho provato a farla e quasi ci sono rimasto. Non ho più riso, dopo.

 

 

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Capitolo 7
*** 7 - underneath the waves ***


7

- underneath the waves -

 

 

 

 

«Sei sicuro di non aver fatto qualche cazzata?» insistette Fabio, facendo cenno al cameriere di portare un altro giro di birre. Gabriel si prese la testa tra le mani, esasperato.

«Per l'ennesima volta: no! Non ho fatto niente

«Ma proprio sicurissimo?» intervenne Alberto, lanciandosi in bocca qualche nocciolina. Il collega lo fulminò con lo sguardo, fece per insultarlo ma preferì tornare al proprio cruccio, mettendo la faccia sul tavolo.

Fabio sbuffò. «Come sei melodrammatico.»

«Disse colui che aveva portato il lutto per un mese, per il padre del Re Leone.» bofonchiò Gabriel.

«Ehi, avevi promesso di non dirlo a nessuno!» protestò sonoramente il biondo mentre il sassofonista si ammazzava dalle risate.

«Sì, e tu avevi promesso a tua moglie che non avresti più mangiato la panna spray direttamente dalla bocchetta. Direi che sei avvezzo al tradimento.»

«Sì, be', quando rimani vedovo la panna montata diventa un grande conforto improvvisamente» borbottò l'ometto, accogliendo con sollievo la pinta che il cameriere gli posò davanti.

«Magari è il sesso» ipotizzò Alberto, scolandosi metà della propria Guinness in un sorso. «Le rosse sono focose, forse non le basti.»

Evitò per un pelo una sberla di Gabriel, quest'ultimo tornò alla sua posizione afflitta e gemette. «No, anche quello va alla grande.»

 

Non mentiva: per due settimane era stato un vero paradiso.

Maebh l'aveva trascinato in escursioni, al cinema, di nuovo coi Late Nighters, persino in un cimitero sconsacrato; Gabriel non si era mai divertito così tanto, e mai si era sentito tanto giovane e pieno di energie: Maebh cercava il suo corpo ed era ricambiata con altrettanto ardore, non importava dove fossero, se in un letto, tra le foglie secche o nel retro di qualche locale. Sì, il sesso andava decisamente alla grande.

«Io proprio non capisco. Tutto sembrava andare benissimo, poi lunedì le scrivo come tutte le mattine per chiederle di vederci, e lei che mi risponde? Oggi non sono dell'umore. Dico, va bene, è successo qualcosa? Lei risponde: niente. Mi fa imbestialire ma decido di essere paziente.»

«E oggi sono cinque giorni che aspetti, giusto?» concluse Fabio.

«Esatto.»

«E lei non si è più fatta viva.»

«No. Le ho scritto ma non mi ha risposto. Ho provato a chiamarla, niente.»

Alberto sbuffò. «Ma scusa, perché non chiedi a Loren? Magari sa qualcosa.»

Gabriel sollevò la testa. «Non ci avevo pensato! Parla con lei!»

«Non credo proprio! Sono affari tuoi, te la sbrighi da solo. Io me ne lavo le mani.» Accompagnò le parole con il gesto, Fabio prese a sghignazzare.

«Ha ragione, questa Loren è la migliore amica della tua donna, giusto? Be', chiamala, tasta il terreno, chiedi come far sbollire l'incazzatura alla rossa, quali fiori portarle...»

«Le piacciono i girasoli ma non è stagione» gemette Gabriel. L'agente gli arruffò i capelli bonariamente.

«Si fa per dire, salame. Ora, possiamo per favore rilassarci un poco e bere in santa pace?»

«Sei crudele» borbottò il pianista, alzando il capo quanto bastava per bere un sorso di birra.

«No, sono giusto. Su, un brindisi a Gabriel e Rossa, affinché tornino presto in armonia e facciano sesso selvaggio.»

«Amen!» si unì devotamente Alberto, facendo cozzare i loro bicchieri.

«Si chiama Maebh» ricordò loro con un grugnito il pianista, sorseggiando mogio la birra.

«Sì ma ci voleva un soprannome.»

«Io la chiamo stella del County Down, come la canzone.»

Fabio si bloccò col bicchiere a mezz'aria, lo posò di nuovo sul tavolo e giunse le mani davanti a sé. Era a dir poco sconvolto. «Gabriel, ho capito qual è il problema.»

L'uomo drizzò le orecchie, attento. «Quale?!»

Fabio piegò le labbra in un ghigno sornione. «...Quel soprannome ridicolo!»

«...Sei licenziato.»

 

***

 

 

«Non mi sei di grande aiuto.»

«Non posso dirti niente, devi chiedere alla diretta interessata.»

«Sì, ma non mi parla! Ha tagliato le comunicazioni e io non so che fare.»

La moretta spalancò la tenda del camerino e gli piroettò davanti in un tubino color borgogna. «Come sto?»

Gabriel sospirò, un'emicrania lancinante a tormentarlo. «Bene, così come negli altri sette vestiti. Tornando alle questioni importanti...»

La ragazza si richiuse nel camerino per cambiarsi d'abito. «Credimi Gabe, puoi fare solo in due modi. Opzione numero uno: chiudi questa storia con Maebh. Opzione numero due: porti pazienza. Tanta

«Non sono pazzo, come potrei mai lasciar perdere la tua amica?!»

«Allora pazienti. Visto? Risolto.»

«Se solo tu mi dicessi perché devo pazientare...»

Sentì Loren sospirare, tacere per un momento, indecisa. «Ci sono cose che non è mio diritto raccontarti. Ti basti sapere che è un periodo, ma non posso darti garanzie su quanto effettivamente durerà. Ma lei... ha i suoi buoni motivi.»

«E allora perché non me li ha detti?» sussurrò l'uomo, più rivolto a sé stesso che alla ragazza. Non si accorse che lei era uscita dal camerino finché non si inginocchiò davanti al pouf dove stava seduto. Era mezza svestita ma a nessuno dei due creò imbarazzo; Loren sorrise d'un sorriso triste e gli diede un'arruffata amichevole ai capelli.

«Gabe... è complicato.»

«Ti prego, dimmi dove posso trovarla. A casa non risponde. Al lavoro non c'è.»

«Gabe...»

Gabriel era sull'orlo delle lacrime. «Ti prego

 

***

 

 

La vibrazione del cellulare lo fece trasalire. Guardò il display: Fabio. E ti pareva.

«Che cazzo vuoi.»

«DOVE CAZZO SEI?!»

«Cosa? Ma... perché?»

«Perché avevamo detto di vederci in studio mezz'ora fa. Dove sei finito, Alissa ti ha sgamato e ti ha staccato le gambe?»

«Scusa Fabio, mi sono dimenticato, io-»

«No! Non è un comportamento professionale questo Gabe, quando vieni qui ti faccio il culo così tanto a stelle e strisce che ti appendono sopra la Casa Bianca!»

«Fabio...»

«E io scemo che ancora ti do corda dopo tutti questi anni. Ma chi me lo fa fare?!»

«Fabio, calma, io-»

«TU COSA?»

Il pianista sospirò, passandosi una mano sul viso. Quando rispose, la sua voce rivelava tutta la sua preoccupazione. «Sono al cimitero.»

 

Ci fu una pausa così lunga che pensò fosse caduta la linea, poi udì l'agente schiarirsi la gola, tentennare. «Che... insomma, che ci stai a fare? È successo qualcosa?»

Scosse la testa, poi si ricordò che lui non poteva vederlo. «No, o meglio... non lo so. So solo che Maebh è qui, devo parlarle.»

«Va bene. Fai con calma, rimandiamo a domani.»

«Grazie.»

«Ma ti pare. Riguardatevi.» Chiuse la chiamata. Gabriel esalò un altro sospiro, più cupo, più soffocante. Si avvicinò allo scooter di Maebh, parcheggiato lì vicino; accarezzo la vernice turchese sgraffiata, toccò il minuscolo elefantino di peluche appeso al manubrio. Si chiese d'un tratto se non fosse meglio lasciar perdere. Lui cercava solo una momentanea scappatoia da una vita che non gli apparteneva, non altri problemi, altri vincoli. Scosse la testa, si sarebbe preso a schiaffi da solo. Quand'era diventato così tanto povero di se stesso?

Non indugiò oltre e si incamminò verso l'ingresso del cimitero, immergendosi nell'ombra fresca dei cipressi.

 

 

***

 

 

Il fazzoletto ormai fradicio le si strappò tra le mani. Tirò su col naso e rovistò nello zaino, ma non ne aveva altri.

«Tieni.»

Sussultò, si voltò lentamente. Le sembrava impossibile che lui fosse lì, ma eccolo. Stretto nella giacca di lana blu, quella che gli faceva sembrare lo sguardo ancora più profondo. Gabriel aveva occhi sempre insondabili, abissi che sembravano rivelare solo a lei cosa si celasse sotto la superficie, ma in quel momento si scoprì incapace di leggere il suo sguardo. Forse per le lacrime che offuscavano il proprio, forse perché aveva paura di quel che vi avrebbe trovato.

Accettò il fazzoletto che lui le porgeva.

 

«Sei l'unico uomo sotto i cinquant'anni a usare ancora il fazzoletto di stoffa, lo sai?» provò a scherzare, ma la voce le uscì come un pigolio. Nascose il viso nel tessuto, desiderando ardentemente di poterci sparire dentro.

Gabriel sorrise anche se lei non lo guardava e si inginocchiò al suo fianco, incurante dell'erba bagnata che prese a inumidirgli i jeans. «Lo so, stella.»

Non la toccò, ma per Maebh il suo tono quieto valeva più di mille carezze. Era la voce di chi comprende, di chi sa aspettare. Di chi aspetterebbe per tutta la vita, se ne valesse la pena. Lei non disse nulla e lui non aggiunse altro; semplicemente, restarono lì. La ragazza indugiava con lo sguardo sulle foglie dell'edera che ricopriva la tomba, le gocce d'acqua sospese.

Gabriel osservava la fotografia: un'istantanea felice, un frammento di matrimonio preso e fermato nel tempo. Nell'uomo riconobbe le mani sottili di Maebh, le lentiggini, i capelli di sirena. La donna aveva la sua stessa bocca, quelle fossette. La dolcezza dello sguardo, il modo in cui l'angolo del sopracciglio destro si sollevava leggermente quando sorrideva.

«Aedan e Maia McKenna» lesse sottovoce, soffermandosi sulle date scritte sotto. Non avevano nemmeno quarant'anni.

«Mi hanno avuta molto giovani» mormorò Maebh, stringendosi le ginocchia al petto. Il pianista non disse nulla ma si girò a guardarla, incoraggiandola a proseguire.

«Mamma aveva sedici anni, papà diciotto. Si erano conosciuti in vacanza, al mare. Pensavano di mantenere i contatti giusto come amici, invece sono arrivata io a scombinare le cose. Erano incoscienti, incauti, ma non si sono tirati indietro davanti alla responsabilità di una figlia. Non avrei potuto chiedere genitori migliori di loro.»

Sorrise, sentendo la pelle tirare per le lacrime che si erano seccate. «Gabriel, che ti ha detto Loren? Perché è stata lei a mandarti qui, no?»

Lui annuì. «Sì, ma non mi ha detto nulla. È una buona amica.»

«Già...» sussurrò Maebh, posando la testa sulle gambe. Chiuse gli occhi.

«Vuoi che me ne vada?»

«No, non andartene.»

«Neanche se ti chiedo delle risposte?» insistette l'uomo, sentendosi come un acrobata senza rete di sicurezza. Conosceva ancora così poco di Maebh, era un salto nel buio e trattenne il respiro.

Finché la sirena sospirò.

«Vorrei che le cose fossero andate diversamente.»

 

Tenne gli occhi chiusi ma allungò una mano a cercare la sua. Gabriel gliela strinse tra le proprie, era gelida, tremante. Chissà da quante ore stava lì, sul prato fradicio di pioggia.

«Quando avevo diciassette anni conobbi Leonardo. Io ero un'ingenua ragazzina, lui stava all'ultimo anno di liceo e mi sembrava lontano anni luce. Fatto sta che a una festa mi notò, si mise a parlarmi, fare il galante. Per alcuni mesi ci frequentammo, mi presentava ai suoi amici, diceva che ero la sua ragazza e io pensavo di stare in una favola, ma-...»

Un singhiozzò le spezzò la voce, la rabbia con cui cercava di soffocare le lacrime strinse il cuore a Gabriel.

«Mi sbagliavo. Con lui ho avuto le mie prime esperienze sessuali, era un po' brusco e impaziente, ma mi dicevo che era normale. Che i ragazzi sono così. Poi ha iniziato a essere insistente, possessivo. Violento. Alzò le mani un paio di volte ma io non dissi niente a nessuno, si era trattato di due schiaffi e lui diceva di non fare la stupida, che me li meritavo. Io ero innamorata persa, cieca davanti alla verità. Non avrei mai dovuto dirgli che ero incinta.»

 

Fu come una doccia fredda per Gabriel. «Che cosa

Maebh annuì a malapena, i singhiozzi le scuotevano le spalle senza più controllo. «Gli chiesi di vederci al solito parco, non ero sicura di volere un figlio e volevo parlarne con lui. Quando gliel'ho detto è diventato un altro: aveva un coltello a serramanico, mi ha colpito al viso, io sono caduta e lui mi prendeva a calci nel ventre e non smetteva, non smetteva, non smetteva...» gemette, abbandonandosi al pianto. Gabriel avrebbe voluto stringerla a sé, asciugarle le lacrime, prenderla e portarla via da tutto quel dolore ma rimase con le braccia inerti, una macchina a cui mancavano dei pezzi. Lui non sapeva dare conforto, non era mai stato educato all'amore. Come si fa a portare via qualcuno che è così lontano, dove non puoi raggiungerlo? Come fai a superare un abisso di tale dolore senza caderci dentro?

 

Restò così, sentendosi sbagliato e mancato, finché il pianto dirotto di Maebh non si fu un poco chetato, più per stanchezza che per sollievo.

«Che è successo poi?»

«Sono intervenuti alcuni passanti, l'hanno fermato, hanno chiamato l'ambulanza. O almeno questo è quello che mi è stato raccontato, io ero svenuta e mi sono risvegliata solo la sera dopo. C'era questo dottore, lui era così buono e gentile e mi ha tenuto mentre piangevo, quando mi ha detto che avevo perso il bambino e che probabilmente non avrei potuto avere altri figli. E non era finita.»

Alzò una mano a indicare la data di morte dei genitori. «Sedici ottobre. Quel giorno non ho perso solo un figlio ma anche i miei genitori, che stavano venendo da me in ospedale. Tutti mi dicevano che io non c'entravo, che era stato un incidente, ma mi sentivo in colpa come se fossi stata io a guidare quel camion. Cesare... lui era un amico di famiglia, e anche se ero diventata da poco maggiorenne gli sono stata affidata, mi ha aiutata ad affrontare il processo contro Leonardo. È grazie a lui se non mi sono ammazzata, tanto stavo male.»

«...Quel bastardo è andato in prigione, vero?»

«Sì. Avrebbe dovuto fare cinque anni, invece dopo due l'hanno rilasciato per buona condotta.»

«Buona condotta!» urlò Gabriel, scattando in piedi. Strinse i pugni spasmodicamente, serrando i denti. «Buona condotta» ripeté, ringhiando come una bestia.

«Era un ragazzo di buona famiglia» sussurrò lei, come se fosse una spiegazione sufficiente a calmarlo.

«Lo ammazzo!» sbottò lui, lei trasalì come se le avesse dato uno schiaffo. Parve rendersi conto solo ora di come potesse sembrare, furioso e scarmigliato, lo sguardo cattivo, i pugni stretti. Distolse lo sguardo, trasse un respiro profondo per calmarsi. «È per questo che ti comportavi così. Per l'anniversario.»

Maebh annuì appena, si alzò e raccolse lo zaino. «Ogni anno mi dico che andrà meglio, ma fa sempre male.» Aveva gli occhi rossi e gonfi, le labbra screpolate, era il fantasma di se stessa e lui ebbe paura che potesse spezzarsi come un fiore essiccato. «Lasciami perdere, Gabriel.»

«Non voglio farlo.»

Maebh parve vacillare, lui le fu subito addosso e la abbracciò, stringendola forte, stringendola come se un solo centimetro di distanza avrebbe potuto ucciderlo. La ragazza provò debolmente a respingerlo, ma non aveva più forze. Mugolò contro il suo petto. «Non hai bisogno di una come me.»

«Ma tu hai bisogno di me.»

«No» replicò lei, più rigida, più dura. La sua piccola orgogliosa. «Io non ho bisogno di te. Ce la faccio anche da sola.»

 

Lo so. È per questo che mi sto innamorando di te.

Ma non lo disse. Gabriel era stato molte cose, ma mai coraggioso. E pure, nonostante le parole lasciate sospese, nonostante avesse imparato da poco il significato di dare – era come rinascere, scoprire una pelle nuova e sensibile sotto la durezza di anni - parve essere stato capace di raggiungere la sirena, chiamarla a sé nonostante le sofferenze che la stringevano.

Maebh sospirò, non piangeva più. «Portami via.»

Il marinaio la strinse a sé, sollevandola tra le braccia e mentre si allontanavano dalla pioggia e da quella terra gelata, si chiese se un giorno sarebbe riuscito a portarla via davvero, in un posto migliore. Meno dolore, meno rimpianti...

Era stato molte cose, ma mai un sognatore. Forse era il momento di cambiare.

 

 

***
 

 

Dieci minuti.

Alissa li aveva contati secondo per secondo, senza distogliere lo sguardo dall'orologio. Dieci minuti. Trasse alcuni respiri profondi, lenti. Doveva stare calma, come sempre. Tutto qui. Era semplice.

Allungò una mano verso il lavandino, a tentoni prese lo stick.

Va tutto bene.

 

Aprì gli occhi, il suo sguardo colse con sollievo due linee blu. Si portò una mano alla bocca a soffocare un singhiozzo, ma non riuscì a fermare le lacrime, il trucco le si sciolse ma per la prima volta, nei suoi trentacinque anni di vita, non le importava.

«Sarò madre» disse ad alta voce, come per accertarsi che non fosse tutto un sogno. L'aveva voluto così tanto. Tutto sarebbe andato bene, d'ora in poi.

Sarò madre.

 

 

***

 


 

 

Eh. Come direbbe il mio insegnante di ginnastica del liceo: mo' so cazzi.

 

Star of the County Down: antica ballata irlandese, narra dell'amore di un uomo per una ragazza così bella da essere chiamata «stella» della Contea di Down. [https://www.youtube.com/watch?v=jXLnSkGmTdQ]

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Capitolo 8
*** 8 - and the silence of our words ***


8

- and the silence of our words -

 

 



 

 

«Domani sera sei impegnata?»

«Mho» mugolò Maebh dal suo nido sotto le coperte. Gabriel finì di allacciarsi la camicia di flanella e salì sul letto, scostando il piumone fino a rivelare una disordinata chioma rossa. Sollevò alcune ciocche e incrociò uno sguardo insonnolito.

«Allora posso prenotarti?» le sussurrò dolcemente. Lei parve considerare a lungo la domanda, infine annuì appena.

«Sì, puoi.»

«Ehi, è un sorriso quello?» mormorò lui, carezzandole una guancia. «Stai meglio?»

«Sì. È grazie a te.»

Gabriel scosse la testa, infilandosi sotto le coperte con lei. «No, hai fatto tutto da sola.»

Lei sbadigliò e gli cinse la nuca con le braccia, l'uomo la strinse al petto, sospirando di malcelato sollievo. Alissa era via a Parigi e sarebbe tornata solo l'indomani; Gabriel aveva approfittato della sua assenza per dedicarsi completamente a Maebh, ma non erano stati giorni facili: metà del tempo l'aveva passata a rassettare il minuscolo appartamento della ragazza, cucinare, tornare alla propria dimora a lavorare nei limiti del possibile (e per fortuna Norman gli aveva concesso una proroga di tre settimane sul disco), l'altra metà a consolare Maebh. Solo quando dormivano insieme, stretti sotto le coperte, lei riusciva a quietarsi. Ma ora stava finalmente meglio. Stavano meglio.

 

Fece una smorfia e si costrinse a scivolare via dal tepore di quell'abbraccio, sforzandosi di non cedere e rimettersi a sonnecchiare con lei; si infilò la giacca e andò alla porta, ma voltandosi per salutare Maebh gli mancò il respiro: aveva scansato le lenzuola e ora lo guardava, solo il pizzo smeraldino degli slip a spezzare il candore della sua pelle.

Era di una bellezza commovente, pensò il pianista, carezzando con lo sguardo i capelli sparsi sulle coperte blu, le braccia abbandonate scompostamente, i seni morbidi che si sollevavano e abbassavano seguendo il respiro, e finalmente quelle fossette che tanto gli erano mancate. Maebh gli sorrise languida, schiudendo le gambe. «Vieni.»

Gabriel non riusciva a distogliere lo sguardo. «Io... ecco, io dovrei andare a casa a lavorare...»

«Vieni» lo chiamò la sirena, allungando una mano verso di lui; si sentì tremare davanti a quelle iridi verdi, quello sguardo che pareva aprirgli il polveroso sipario del petto e scavargli dentro, avviluppargli il cuore in una morsa calda e abissale, scivolandogli come corrente oceanica lungo la schiena; lambendo ogni vertebra fino al ventre, annegando l'ultima parvenza d'indugio nella remora1 di quella mattina greve di pioggia.

Ti amo, avrebbe voluto dirle quando tornò a riva. Ti amo, avrebbe voluto dirle, stringendole le gambe e affondando il viso tra le cosce bianche, ma non era che un marinaio pieno di paure e con la gola raschiata d'acqua salata, non ebbe coraggio di tuffarsi in quel profondo.

Soffocò le parole e i pensieri nella carne della sirena, e preferì non confessarsi quanto ormai le appartenesse, chiuse gli occhi mentre fuori ringhiava il temporale: non voleva vedere quanto fosse lontana la terraferma e vicino il maelstrom; solo per un'ora, voleva ignorare il punto di non ritorno che gli respirava sulla nuca.

 

 

***

 

 

«C'è qualcosa che non mi stai dicendo.»

Maebh alzò la testa dal piatto dove giaceva intatta la sua fetta di torta, incrociando lo sguardo sospettoso di Cesare. Alzò le spalle e arrossì. «Non c'è niente.»

Marco scosse la testa bonario, rubandole il dolce. «Non sai mentire, tesoro. E comunque è facile sgamarti, la torta al cioccolato è la tua preferita ma stasera non l'hai neanche toccata.»

Il compagno annuì, incrociando le braccia. «Ha ragione. Allora, c'è qualcosa di cui vorresti parlarmi?»

«Ecco, io-» iniziò Maebh, ma si interruppe a metà e chinò la testa, i capelli le ricaddero in avanti a nasconderle gli occhi lucidi di lacrime mal trattenute. Cesare le si affiancò e le cinse le spalle, preoccupato, imitato da Marco.

«Ehi bimba, che succede? Problemi con quel tizio?» le domandò quest'ultimo stringendo i pugni. «Giuro che se ti ha fatto qualcosa userò le sue budella per decorare i miei costumi di scena!»

La ragazza non poté reprimere una risatina, nonostante le lacrime che presero a scivolarle sulle guance, bagnandole gli occhiali. «Oh, no! Lui non ha fatto niente, sono io che...»

«Che?» la esortò Cesare bruscamente, guadagnandosi un'occhiataccia da parte di Marco. Maebh gemette, nascondendosi il viso tra le mani.

«Io... credo di essermi innamorata.»

«Cosa?!» esclamò Cesare, sconvolto. Marco lo scansò e strinse Maebh, ridendo deliziato.

«Oh tesoro, sei innamorata! Che cosa romantica, non è vero amore?» cinguettò, dando al compagno uno sguardo eloquente.

«Be', ecco, penso... penso di sì?» borbottò poco convinto lui, ficcandosi le mani nei capelli. «Ma allora perché piangi, bimba?»

«Lui... è fidanzato.»

«Che?!» sbottò Marco, scattando in piedi. «È fidanzato e non te l'ha detto? Io lo ammazzo!»

«No! No, io lo sapevo fin dall'inizio, è solo che... non lo so, non pensavo che mi sarei innamorata, invece è successo. Lui è fantastico, questi giorni mi è stato molto vicino, sapeste.»

«Resta il fatto che il bastardo è fidanzato» ringhiò Cesare, sul piede di guerra. «Non si vergogna a stare con due donne diverse?»

«Noi non stiamo insieme» sospirò Maebh, tirando su col naso e asciugandosi gli occhi con la manica della felpa.

«Fa lo stesso! Non sono affatto contento di questa cosa, sappilo. Finirai per farti male!»

«Non ti ho chiesto un giudizio.»

Cesare sbatté una mano sul tavolo, facendo sussultare lei e Marco. «Ma non lo capisci? Il tuo Gabriel sarà sicuramente uno di quei poveracci insoddisfatti della propria vita che cercano solo distrazioni, ti sta usando e tu ci rimetti!»

Maebh scattò in piedi, furiosa. «Tu non lo conosci affatto! Credi che la storia con Leonardo non mi abbia insegnato nulla? Eppure ti ho dimostrato ampiamente di essere una con la testa sulle spalle. Lo amo, va bene? Mi sono innamorata come una cretina, non l'ho fatto apposta e credimi, se avessi potuto scegliere avrei deciso di non farlo, ma è successo! Così come tu ti sei innamorato di Marco, nonostante avessi deciso di chiudere con l'amore dopo Anita.»

Cesare alzò gli occhi al cielo ed emise un mugolio esasperato, massaggiandosi le tempie. «Io mi preoccupo per te! Va bene, non lo conosco ma allora dimmi: lui ricambia i tuoi sentimenti?»

La ragazza esitò, Marco fece per intromettersi ma il compagno gli fece segno di tacere. «Ebbene?»

«...Non lo so. Non abbiamo mai parlato di sentimenti.»

Cesare ruggì. Marco gli diede uno scappellotto e si avvicinò a Maebh, stringendola a sé. «Sei proprio un troglodita, amore» rimproverò il compagno, scuotendo la testa con disapprovazione; si rivolse poi alla ragazza con voce tenera. «Però devi capire, entrambi ci preoccupiamo. Vogliamo solo il meglio per te, lo sai, vero?»

Lei annuì, strofinando il viso contro il suo petto e singhiozzando appena.

«Ora ci calmiamo tutti e mangiamo la torta che ho preparato con tanto amore, ok? Poi tu cerchi di capire che intenzioni ha questo Gabriel riguardo il futuro prossimo e decidi cosa fare, va bene?»

«Va bene.»

«Brava ragazza. Ora dammi subito un bacio e poi dallo pure a quel troglodita là, che sennò terrà il muso per una settimana.»

«Ehi! Ti ricordo che quel troglodita ci sente benissimo!» protestò Cesare piccato, ma sorrise quando Maebh volò tra le sue braccia, schioccandogli un bacione sulla guancia barbuta. La strinse forte, cullandola. «Scusa se ho alzato la voce.»

«Scusa se ti faccio preoccupare.»

«Be', sono qui per questo, no? Un po' come uno zio.»

«Un po' come un padre.»

Marco sorrise e distolse lo sguardo, fingendo di non vedere una lacrima commossa solcare il volto del compagno; non disse niente, era un momento loro. Uscì in giardino a fumarsi una sigaretta, rivolgendo una flebile preghiera alle stelle affinché vegliassero sulla loro bambina.

 

 

***

 

 

Il disco era praticamente completo, eppure Gabriel sentiva che mancava qualcosa. Aveva deciso di sfruttare il tempo avanzato della proroga per studiare il problema, ma quei giorni – complici il malessere di Maebh – l'avevano visto ben lontano dal pianoforte.

Quel pomeriggio tuttavia, quando rientrò in casa dallo studio di registrazione, si rinchiuse subito nella camera della musica senza nemmeno fermarsi ad appendere la giacca, che gettò per terra con noncuranza; si sedette al pianoforte e sistemò un mazzo di fogli pentagrammati puliti sul leggio, scrocchiò le dita e fece per posarle sulla tastiera, fermandole a mezz'aria.

Era sempre così che cominciava: mani sospese, anima sospesa, il corpo non restava che un mezzo e la mente era libera di vagare, seguendo moti invisibili, fili di ragnatela che gli giravano intorno a creare intrecci imprevedibili e lui si fermava un momento, giusto un istante.

Cristallizzava il pensiero, lo rendeva potenziale, lo rendeva in divenire.

 

Sapeva che c'era qualcosa davanti a sé, chiuse gli occhi per cogliere meglio quell'eco lontana: doveva essere cauto, come avvicinarsi a un animale, niente movimenti bruschi, niente voracità di gesti, ma attenzione e tenerezza. Come avesse dovuto attirare una sirena, le sue mani cominciarono la loro danza sull'avorio e l'ebano.

 

Dapprima furono note quiete, dolci, ecco un re, un la, poi sol. Re minore, l'aveva sempre amato quell'accordo, gli faceva venire da piangere e non sapeva nemmeno perché, ma v'era una tristezza in certi suoni che non aveva bisogno di spiegazioni, per amarla bastava prenderla così com'era, senza domande, e Gabriel non si fece domande neanche sulle parole di quella melodia: gli vennero così, sgorgandogli dal petto e dalla gola come sangue nuovo, pulito.

 

Hai sciolto i tuoi capelli

e vi ho annegato i timori

hai scostato la seta

e ho avuto corpo nuovo

nei tuoi sospiri son sbocciati i trifogli

la mia bocca sulla tua a respirarti

l'anima

 

La musica venne a lui e il marinaio veleggiò sempre più lontano, i flutti delle note più forti, la sua voce più alta ma mai, oh, mai oltre l'orlo, bagnata d'una dolcezza amara di melanconia, e il filo dei suoi pensieri sfiorò vagamente il ricordo di una notte con la sua stella, che ancora nuda e ansante aveva posato sul giradischi un vinile; era stata una voce d'uomo ad accompagnarli nel sonno, cantando loro d'una sirena e un marinaio, ma Gabriel pensò che il loro amore non sarebbe stato infelice come quello di cui cantava Tim Buckley e il suo tono si fece più suadente, colmo di gratitudine.

 

Gemendo hai dato musica

e sul tuo corpo ho inciso

le note dei miei baci

scritto sul tuo seno

parole di vita nuova

e tu

attesa e inaspettata

mi hai fatto tuo

attesa e inaspettata

e tu...

 

«Tesoro?»

Gabriel saltò in piedi e si portò una mano al petto, sul cuore impazzito. «Ali! Oddio, mi hai fatto prendere un colpo...»

La bionda sorrise, avvicinandosi. «Scusa caro, non era mia intenzione, ma almeno ho potuto sentire questa tua nuova canzone. È bella, ma tu sei uno sfacciato...» ridacchiò con fare malizioso, un atteggiamento così inusuale per lei che l'uomo ne ebbe quasi paura.

Lui cercò di ricomporsi, scansandosi i capelli dalla fronte e aggiustandosi la maglietta spiegazzata. «Pensavo tornassi più tardi.»

«La sfilata di stamattina è finita prima del previsto, sono saltata sul primo volo.»

«Ah» fece l'uomo, poi dopo un momento aggiunse «Bene!»

La preoccupazione si fece largo nel suo petto quando notò che lei non accennava a muoversi, anzi restava lì e sorrideva radiosa come mai l'aveva vista.

«Ali, tutto bene? È successo qualcosa?»

Si spaventò quando le si colmarono gli occhi di lacrime, ma rideva e lo strinse in un abbraccio inaspettato che lo fece irrigidire. «Oh, Gabe...» sospirò lei, felice.

«Ali, mi spieghi-»

«Sono incinta

 

Per un attimo pensò a uno scherzo, ma Alissa non aveva mai avuto un gran senso dell'umorismo. Sentì le gambe cedergli e dovette sedersi sullo sgabello, appoggiandosi malamente alla tastiera. La voce gli uscì stentata: «Che... come...»

«Quella notte, alcuni giorni dopo la nostra discussione, ricordi? All'inizio pensavo di essermi sbagliata, ma poi mi sono detta: ho sempre avuto il ciclo puntuale come un orologio. Allora a Parigi ho comprato un test di gravidanza, e ho avuto la conferma: aspettiamo un bambino!»

Alissa quasi saltava di gioia, era irriconoscibile; Gabriel si passò una mano sul viso e cercò di sorriderle. «Oh, Ali, io... proprio non me l'aspettavo. Sono... sono contento.»

«Ti rendi conto? Dobbiamo subito fare spazio per il bambino, magari traslochiamo in una casa più grande che qui non abbiamo stanze, e chissà il nome! Io vorrei che fosse una femmina, potremmo chiamarla Frida, come la pittrice, ma sceglieremo insieme. Oh, spero che abbia i tuoi occhi! Comunque fra tre settimane potrò fare la prima ecografia, mi accompagni vero?»

«Ma certo, certo...» mormorò Gabriel, disorientato. «Ora scusa, io dovrei... devo fare un salto allo studio, ti dispiace?»

«No, figurati caro. Vai pure, io vado a farmi una doccia e disfare i bagagli, ci vediamo più tardi» sorrise lei, dandogli un bacio.

«Attenta a non scivolare» le raccomandò lui d'istinto. Non appena udì lo scatto della porta del bagno, tuttavia, raccolse la giacca e le chiavi e uscì di corsa. Già sentiva la sirena scivolargli tra le mani, come le vestigia d'un sogno troppo bello per essere vero.

 

 

***

 

 

«Arrivo, arrivo!» gridò Maebh, alzando il volume. Strofinandosi i capelli umidi con un asciugamano, andò alla porta e aprì, ma restò di sale quando vide Gabriel, scarmigliato e pallido, la fronte imperlata di sudore. Si fece da parte per farlo entrare, lui sbatté la porta e prese la giovane per un polso, trascinandola fino alla penisola della cucina.

«Siediti» le disse, facendo lo stesso. Maebh eseguì senza una parola, sconvolta e preoccupata. Attese una spiegazione, ma l'uomo si limitò a giungere le mani davanti al viso, muovendo nervosamente una gamba. Il silenzio si fece presto assordante e lei gli toccò esitante una spalla.

«Gabe... che succede?»

«Alissa» replicò seccamente lui, senza guardarla.

«Oddio, lei sa...?»

«No.»

«Oh. Be', meno male, per un istante-»

«È incinta.»

 

Maebh si aggrappò al bordo del tavolo, certa che sarebbe crollata. Fece per dire qualcosa, richiuse la bocca, si portò le mani al viso e gemette. «Oh, dio. Non ci posso credere.»

«Purtroppo è così. Me l'ha detto mezz'ora fa, appena l'ho saputo sono venuto qui, io-»

«Tu sei un bastardo!» gli gridò contro la ragazza, scattando in piedi. Gabriel la guardò con tanto d'occhi.

«Scusa?!»

«Scusa un cazzo, come hai fatto ad essere così idiota? Dici che non vuoi avere un figlio e poi ti scopi Alissa senza preservativo! Devo forse chiamarti genio?»

«È successo in un momento particolare, non ci abbiamo pensato! Ma cosa credi, che io sia felice?!»

«E allora cosa hai intenzione di fare, eh? Sentiamo!»

Gabriel si alzò a sua volta, prese a camminare avanti e indietro per il soggiorno. «Non lo so, va bene? Non lo so. Non posso dirle che non voglio questo figlio, lei... lei ne morirebbe, capisci?»

«Certo. Non puoi farle una cosa del genere, sapendo quanto lo vuole» sospirò Maebh, tristemente. «Povera Alissa.»

«Non è la sola vittima qui!» sbottò esasperato l'uomo, fronteggiandola. La ragazza sgranò gli occhi e si fece rossa di rabbia; Gabriel neanche vide arrivare lo schiaffo ma il dolore lo colpì come una frustata. Si portò una mano al viso, esterrefatto.

«Ma sei pazza?!»

«Sei un figlio di puttana, ecco cosa sei! Un egoista, schifoso, cattivo...» gemette lei con voce spezzata dal pianto, asciugandosi con rabbia le lacrime. «Io sarò pure la tua amante, ma non tradirei mai il mio compagno! Tu invece non solo lo fai regolarmente con Alissa, ma non ti senti nemmeno in colpa! Le menti, fai sesso con lei e- dio, fai sesso con lei! La metti incinta, la illudi di amarla e dici che non è una vittima!»

«In questa situazione lei non è l'unica parte lesa!»

«Se per te assumersi la responsabilità delle tue azioni è una lesione alla tua persona, be', sai che ti dico? Vai a farti fottere da qualcun altro.»

Maebh andò alla porta e la spalancò; Gabriel sospirò, le mani nei capelli.

«Non fai sul serio.»

«Vattene via, Gabriel. Non voglio più vederti.»

«Va bene!» replicò lui, una risata acida a sporcargli la voce. «Va bene.»

Si fermò solo un momento, passandole accanto; fece per carezzarle il viso ma lei si scansò, lanciandogli uno sguardo di fuoco. L'uomo sospirò e sorrise beffardo, amaro.

«Tanto noi due non avremmo mai funzionato.»

Maebh raddrizzò le spalle, altera nonostante i singhiozzi che le scuotevano le spalle. «Spero che Alissa trovi di meglio.»

 

Ci fu un breve istante in cui i loro animi coincisero nell'esitare; la sirena avrebbe voluto richiudere la porta, prendere di nuovo con sé l'uomo del mare e perdonarlo, il marinaio avrebbe voluto gettarsi in ginocchio e implorare una parola misericordiosa, ma l'orgoglio tornò impietoso ad allontanarli: restarono ognuno solo con se stesso, a leccarsi le ferite. Senza preavviso, senza compassione, senza vento.

 

 

 

***

 


 

 

Eeeeeee lo so sono un bastardo. Mi ci è voluta una vita per partorire questo capitolo ma credetemi, non è stato facile e pls non me ne vogliate anche se è pure cortino.

Il prossimo verrà prima, lo giuro. Anche perché altrimenti mia moglie mi scuoia (House Bolton insegna).

 

Ah, la canzone di Tim Buckley a cui si accenna è Song to the siren, se non la conoscete CHE ASPETTATE CORRETE A SENTIRLA ECCO TENETE [https://www.youtube.com/watch?v=vMTEtDBHGY4]

 

1In questo caso “remora” non sta ad indicare un indugio, bensì la zona di mare calma nella scia poppiera di una nave

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Capitolo 9
*** 9 - between my pride and my promise ***


9

- between my pride and my promise -

 

 

 

 

Alissa dormiva tranquillamente al suo fianco, sulla bocca l'ombra d'un sorriso che Gabriel non vide, lo sguardo fisso sopra di sé, al soffitto.

Quindici notti erano trascorse, senza recargli consiglio; le stelle non gli avevano dato conforto, indifferenti al suo dolore e al suo amaro pentimento: per le parole che aveva rivolto alla sirena, la rabbia, il rancore, l'egoismo di sentirsi vittima d'un copione che recava la sua sola firma.

La donna al suo fianco si mosse nel sonno, gli si strinse contro ma il pianista sospirò e scivolò via con cautela dal suo abbraccio, abbandonando il lato giusto d'un letto sbagliato, rifugiandosi nella camera della musica. Accese alcune delle candele sparse per terra, si avvicinò al pianoforte, raccolse i fogli su cui aveva soffiato le speranze d'un nuovo inizio: per un istante volle stracciarli e gettarli fuori nella pioggia, ma non ebbe la forza; si lasciò scivolare a terra.

Non poteva cancellare anche questo, fingere che non fosse successo niente. Non poteva cadere più in basso di così, tornare a recitare, tornare vuoto e miserabile e senza di lei perché... oh, dio. Come aveva potuto lasciarla andare? Come aveva potuto lasciare andare tutto? Gettarsi la vita alle spalle, perdere le emozioni per strada e strapparsi di dosso quella pelle nuova, pelle migliore che ora non sapeva più come ritrovare.

 

Non era stata un'illusione ma la cosa più vera che l'avesse mai toccato, e lui si era arreso. Aveva gettato via la bussola, tagliato le cime, scelto la via più facile e per cosa?

Per niente!, si maledisse colpendo il mucchio più vicino, una cascata di spartiti gli si rovesciò addosso e con essi qualcosa di pesante, che lo urtò dolorosamente alle cosce. Masticando una bestemmia, l'uomo scansò malamente i fogli finché alla luce della candele non vide una figura di donna, dai lunghi capelli rossi.

Fu come versare acqua fresca sulla sua rabbia; sospirò e tracciò con le dita i contorni del disegno, sorridendo amaramente. Si era dimenticato del Porto proibito.

Esitò per un momento sul bordo della copertina, si chiese se non sarebbe stato meglio cancellare tutto, gettare via le parole scritte, abbandonare il libro nella polvere, tornare all'esercizio di rassegnazione che l'aveva visto maestro per quarant'anni.

Ma il mare disegnato lo chiamava, la donna nel vento gli ricordava così tanto Maebh... e lui non seppe trattenere le lacrime, quando iniziò a leggere.

 

 

Il marinaio si riconobbe presto nel capitano Nathan, nella prostituta Rebecca, e in essi ritrovò anche frammenti della sirena. Le loro parole erano le sue, era lei che gli parlava attraverso voci e sguardi di grafite. C'era uno spazio grigio e sfumato tra i due amanti, dove lui lesse le proprie idiosincrasie, le proprie nebbie.

 

Approda a me come alla terraferma in seguito a una tempesta. Mi bacia come si bacia il suolo dopo aver rischiato la morte in mare. Oh, Dio... che cosa hai fatto di me? Che cosa sono diventata? Che cosa stai cercando di dirmi con le labbra salate di questo amante portato dal vento?

 

Ecco, era Rebecca. Rebecca sconvolta, in quella notte di pioggia col capitano, appena approdato al suo letto. Gabriel tremante, in quella prima notte limpida con la sirena, lontani dalla terraferma.

 

Pensavo al mare. Libero e sconfinato, spietato e indifferente. Basta a se stesso, non si preoccupa di nulla. In tutti questi anni ho sempre desiderato assomigliargli, vivere e pensare come lui: andare alla deriva, lasciarmi portare. Non mi pareva di avere alcun bisogno di un senso, di… una destinazione. Mi illudevo che se non avessi mai avuto a cuore niente, non avrei mai rischiato di perdere alcunché. Sarei stato inattaccabile dalle tragedie.

Inaffondabile…

 

Ora Nathan. Nathan e il ricordo del suo vecchio io, prima della donna dai capelli rossi, prima di qualcosa di meglio. Gabriel e la farsa d'una vita.

 

Si dice che la saggezza non sia tanto questione di ciò che uno fa… quanto di ciò che lascia accadere. Ma cosa è saggio aggiungere a un momento come questo?
Fa’ di me, se vuoi, la tua cima di sicurezza. O, se preferisci, abbandonati pure alla corrente… mi troverai ad attenderti per trarti a riva, quando avrai permesso al mare di diluire anche l’ultima goccia di tanto dolore.

 

Nathan e la perdita. Gabriel e le parole che avrebbe voluto saper dare a Maebh, per suo figlio e i suoi genitori; non sapeva d'avergliele date comunque in un abbraccio.

 

Su strade tracciate, smarrivi la via. Nell’oceano sconfinato, là dove non v’è ombra di sentieri, tu – assetato di cose lontane – ti sentivi a casa. In questo ci somigliavamo: tesi verso l’infinito, bisognosi d’immenso. Come stelle… che solo in cielo, e in mare, trovano lo spazio di essere.

 

Ed ecco Maebh... attraverso la voce più adulta di Rebecca, ma gli stessi capelli, lo stesso canto di sirena. Maebh che gli parlava, e Gabriel dovette soffocare i singhiozzi contro le pagine, il cuore stretto, il respiro mancante.

Pianse per ore, pianse tutte le lacrime soppresse per anni, gettando fuori veleno e rancore, le tossine di una vita vissuta nella resa, in passivo. Sputò fuori tutto, raschiando vene e polmoni, labbra e midollo: si ritrovò più leggero, alle luci dell'alba.

Avrebbe aggiustato le cose, avrebbe avuto il perdono della sirena.

 

Sono brocca vuota, asciutta, incrinata.

Brocca d’arida creta, perduta da un carro sull’infinita distesa di terra spaccata dal sole. A che serve questo recipiente abbandonato, là dove da tempo non cade più una goccia?

Eppure aspetto la pioggia.

 

 

***


 

«Maebh...»

La ragazza sospirò, continuando a sorseggiare la sua Guinness, la sesta della serata. Loren scansò il proprio bicchiere vuoto e guardò l'amica dritto negli occhi, incrociando le braccia. «Che si fa stasera? Vieni da me a guardare un film?»

«Non mi va.»

«Facciamo una passeggiata?»

«Ti pare il caso, con questo tempo di merda?» rispose irritata la rossa, indicando la pioggia che scrosciava fuori del pub. La più piccola sbuffò, facendo cenno al barman di spinarle un'altra pinta. Di solito era lei quella impulsiva, lunatica e in genere la produttrice di cazzate, a cui Maebh poneva argine con infinita pazienza, ma a quanto pareva i ruoli si erano invertiti.

«Allora prendiamo la macchina e andiamo da qualche parte.»

«E dove, sentiamo.»

«In un posto che venda delle cose dolci, ne compriamo una vagonata e te le ficco in gola così ti addolcisci pure tu, eh?» propose Loren a metà fra l'infastidito e il divertito. L'amica, ancora china sulla birra, si girò a guardarla arrossendo di vergogna.

«Mio dio, Lo... scusa, non volevo parlarti così.»

«Non importa tesoro, ma sputa il rospo. Non mi piace quando non mi dici le cose.»

Maebh emise una risata amara. Si portò il bicchiere alle labbra e buttò giù la birra in due sorsi. «Ecco, ora posso dirtelo senza scoppiare a piangere.»

«Oddio» mormorò Loren, facendosi pallida. «È successo qualcosa con Gabe, vero?»

Lei annuì. «Ci siamo lasciati, se così si può dire.»

«Cosa?! Ma... perché?» gemette la mora, cacciandosi le mani nei capelli.

«Ha messo incinta Alissa.»

Loren boccheggiò sconvolta, si fece tutta rossa di rabbia e sbatté i pugni sul bancone. «FIGLIO DI PUTTANA!»

«È quello che gli ho detto anch'io!» si mise a ridacchiare Maebh, ma presto le risate si fecero singhiozzi e le lacrime presero a scorrere, sciogliendole il trucco in lunghe strisce nere.

«Oh, tesoro» sospirò l'amica, stringendola tra le braccia e cullandola dolcemente. «Mi dispiace così tanto...»

«È che io lo amo, capisci?» ululò la rossa, afferrandola per il bavero della giacca. «E lo so che sono una cretina e che non dovevo farmi illusioni, ma io ci speravo, ok? Speravo che avremmo potuto avere di più prima o poi, invece ora lui l'ha messa incinta, e fa lo stronzo e io non lo voglio, ma lo amo! Lo amo così tanto...»

Loren scosse la testa; si girò a prendere dei tovaglioli per asciugarle il viso e incrociò lo sguardo divertito di un gruppo di ragazzini seduti al tavolo accanto. «Be', che cazzo vi guardate?! Se volete faccio piangere pure voi, così poi imparate a farvi i cazzi vostri!»

Prese i tovaglioli e tornò a Maebh, il cui monologo sbronzo si era affievolito in deboli singhiozzi. La rossa sorrise suo malgrado mentre l'amica le tamponava gli occhi e le guance. «Oh, Lo. Tu saresti capace di prendere a male parole anche il Papa.»

«Non è colpa mia se la gente non capisce che chi si fa i cazzi suoi campa cent'anni» sogghignò Loren, carezzandole il viso e sistemandole i capelli dietro le orecchie.

«Come sto?» chiese Maebh con un debole sorriso.

«Sembri un panda. Dai, vieni che ti accompagno a casa.»

L'altra sospirò e la seguì docilmente fuori del locale, fino alla macchina.

«Ai tuoi hai detto niente?» le domandò Loren, avviando il motore. L'altra scosse la testa.

«No, penso che aspetterò qualche giorno. Se mi vedesse piangere così, Cesare non ci penserebbe due volte ad ammazzare Gabriel» scherzò senza convinzione. L'espressione della moretta si fece maliziosa.

«Oh, spero che lo faccia col suo bastone, quello col manico intarsiato!» sogghignò, cercando di sdrammatizzare. «Gli si addice, un uomo così fascinoso. Chissà se con Marco lo usa...»

«Loren...»

«Magari si dedicano al sadomaso, Cesare è il dominatore e usa il bastone per redarguire il suo schiavetto-»

«LOREN!»

«Ok ok, la smetto! Però che ci posso fare, li shippo!» rise lei, ammiccando. Maebh gemette, cercando di reprimere un sorriso. Trascorsero il resto del tragitto in silenzio, ma una volta sotto casa la rossa le prese la mano.

«Potresti restare a dormire? Non voglio-...» si interruppe, abbassando lo sguardo. Loren sorrise, slacciandosi la cintura di sicurezza.

«Ora entriamo, mangiamo qualcosa e leggiamo fanfiction idiote, ok? Poi dormiamo. Non ti lascio sola.»

E così fecero. Loren aveva il sonno pesante, ma alle prime luci dell'alba non le sfuggirono i singhiozzi soffocati di Maebh, rannicchiata su un fianco; le si strinse alla schiena e le cinse la vita con un braccio, baciandole la nuca.

«Passerà, tesoro. Passerà anche questo.»

 

***

 

Fabio sospirò di malcelato sollievo quando Alissa fu uscita; si allentò il nodo della cravatta e prese a farsi aria con l'ultimo numero di Vogue. Gabriel versò per entrambi del brandy e salirono al piano superiore, alla camera della musica. L'agente si accostò al pianoforte e prese il volume che vi stava sopra.

«Da quando leggi i fumetti?»

«Maebh» fu la stringata risposta del musicista; dal leggio prese dei fogli pinzati e glieli porse. «Ho scritto questo. Voglio inserirlo nel disco. Bonus track.»

Fabio scorse il testo della canzone, sotto il pentagramma. Alzò un sopracciglio e scoccò uno sguardo indagatore al musicista, che si torceva nervosamente le mani. «C'è qualcos'altro, vero? Non mi hai chiamato qui solo per questo, altrimenti saresti semplicemente andato a registrare, facendo il cazzo che ti pare come sempre.»

Gabriel sorrise amaro, sorseggiando il brandy. «Non ti sfugge niente, eh?»

«Sono il tuo migliore amico, stronzetto. Non sottovalutarmi» ghignò il biondo, sedendosi accanto a lui sullo sgabello, stavano stretti ma nessuno dei due si alzò. Gabriel suonicchiò una semplice melodia, finché Fabio non mise una mano sulla sua, fermandolo.

«Che c'è, Gabe?»

«Ho fatto una cazzata.»

«Come sempre.»

«No, questa è una cazzata enorme.»

«...C'entrano qualcosa Alissa e la sua inusuale cordialità?»

«Aspettiamo un bambino.»

Fabio non iniziò a urlare sconvolto, Gabriel ne fu stupito e si girò a guardarlo: l'agente si era fatto pallido come un fantasma, gli occhi sgranati, la bocca aperta senza che alcun suono ne uscisse.

«Fabio...»

Il biondo sussultò e deglutì, portandosi le mani giunte al viso. Emise un lungo sospiro. «Oh, dio. Che cazzo hai combinato?»

«C'è anche di peggio: Maebh mi ha lasciato.»

«E lo credo bene. Cristo santo... ma che cazzo ti è saltato in mente?!»

«Non volevo che succedesse, se potessi tornare indietro... ma ora tutto quello che voglio è tornare con Maebh. Troverò il modo di risolvere la situazione, io sistemerò le cose.»

«Tu vuoi... lasciare Alissa?» domandò incredulo l'agente. Gabriel annuì.

«Non posso andare avanti così. Io voglio stare con Maebh, costi quel che costi. Non posso più stare a metà tra due vite.»

«Lo sai che non sarà facile, vero?»

«Lo so. Ma ci proverò.»

Fabio gli batté una mano sulla spalla, stupefatto. «Be', vecchio mio, adesso ti tocca riconquistare la tua bella.»

«Sempre che voglia riprendermi con sé...» sospirò Gabriel tristemente. «Ho paura di fallire come sempre ho fatto.»

L'amico parve riflettere, poi gli sorrise dolcemente. «Gabe... ricordi quando è morta Miko?»

Il pianista alzò lo sguardo, incrociando quello commosso dell'agente. «Come potrei dimenticarlo?»

«Lei ti voleva così bene, mi diceva sempre di tenerti d'occhio, prendermi cura di te. Forse le ricordavi suo fratello minore, non lo so, ma io ridevo e le dicevo sì, lo farò. E quando poi il tumore me l'ha portata via, io-...» la voce gli si incrinò e si interruppe per un momento, sollevando gli occhi al cielo come per ricacciare indietro le lacrime.

Tossicchiò e si passò una mano tra i capelli, sorrise debolmente. «Io ero così arrabbiato. Pensavo: ecco, ci sono, mi prendo cura dei nostri bambini, di Gabe... ma chi si prenderà cura di me? Ce l'avevo con lei, per avermi lasciato così presto, ma soprattutto ce l'avevo con me stesso perché ero sempre stato così preso dal lavoro, e non l'avevo mai portata a vedere il sole di mezzanotte, le aurore boreali, e tutti i viaggi che lei desiderava tanto. E non avrei più potuto farlo. Ho pensato che non ce l'avrei più fatta ad essere felice, senza Miko. L'amavo così tanto e la amo ancora, come il primo giorno, anche adesso che sono passati sei anni... ma cercai comunque di mantenere la promessa. Badavo ai bambini, tentavo di essere un bravo genitore, cercavo di sostenere te e tenerti lontano dalla depressione, ma mi sentivo un groviglio dentro, un peso che non riuscivo a districare e sciogliere. Ero pieno di rancore, rimpianto per tutte le parole non dette, le cose non fatte, non smettevo di piangere la notte e chiedermi perché non ero stato capace di fare di meglio. Lavoravo, mangiavo, bevevo, ma mi limitavo a sopravvivere, non riuscivo ad andare avanti.»

«Però poi ti sei ripreso...» azzardò timidamente Gabriel. Fabio annuì, asciugandosi gli occhi con la manica della giacca.

«Una volta, i bambini erano in campeggio. Non mi ero ancora deciso a togliere le cose di Miko, il solo pensiero di mettere in una scatola i suoi vestiti, i gioielli... mi sentivo male. Ma quella sera mi forzai ad aprire l'armadio, iniziai a tirare giù tutto, ma mi fermai a metà, non ce la facevo, mi mancava l'aria. È stato allora che l'ho visto: il nostro album di fotografie, quello che lei mi aveva chiesto di portarle in ospedale. Non avevo più avuto il coraggio di aprirlo, c'era tutto lì dentro e io volevo solo dimenticare, negare e annullarmi. Non volevo più memorie. Ma poi... ne è scivolato fuori un biglietto, piccolo, spiegazzato. La calligrafia era quella piccola e tonda di Miko, ma più tremolante, incerta. L'aveva scritto uno dei suoi ultimi giorni, capii. Furono le sue parole a salvarmi e ridarmi vita.»

Tacque e si infilò una mano in tasca, prese il portafogli e ne tirò fuori una strisciolina di carta plastificata; la porse a Gabriel, che la prese con mani tremanti. Lo sguardo scorse sulle curve d'inchiostro blu.

 

Una barca è al sicuro nel porto, ma non è per questo che le barche sono fatte.

Un giorno attraccherai, amore mio, e sarò lì ad aspettarti. Ma adesso prendi il largo, il mare ti aspetta.

 

Per sempre tua,

Miko

 

Gabriel si asciugò una lacrima che era sfuggita, rese il biglietto a Fabio. Lui gli sorrise. «Getta via la paura del fallimento, e buttati. Non tornare a fondo.»

«Non lo farò... e grazie. A tutti e due.»


 

 

***

 

 

HAH! Visto? Avevo detto che avrei pubblicato presto, e l'ho fatto. Sono un uomo di parola!

Passando alle cose serie: la prima frase del biglietto di Miko (Una barca […] sono fatte) è in realtà una citazione di William G. T. Shedd, quindi non illudetevi che io sia capace di sì begli aforismi.

Le citazioni del Porto proibito invece sono appena rimaneggiate, ho giusto tagliato alcune parole perché altrimenti venivano lunghe due chilometri, non me ne vogliano i fan di Turconi e Radice.

E niente, Fabio è un cutie patootie e Gabriel finalmente inizia a essere meno un bastardo. E Loren è una slasher.

 

 

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Capitolo 10
*** 10 - swept by the tide ***


10

- swept by the tide -

 

 

 


 

«Eccoci qua» annunciò Cesare, accostando davanti all'entrata dell'Abbey. Sbirciò nello specchietto retrovisore per cercare lo sguardo di Maebh, ma lei guardava fuori, immersa nei suoi pensieri. Marco si girò e le punzecchiò leggermente una spalla con un dito, facendola sussultare.

«Oh! Scusate, ero distratta» mormorò la ragazza, arrossendo. Cesare sorrise.

«Non preoccuparti, tesoro. Allora, buona serata!»

«Non voglio entrare...»

Marco alzò gli occhi al cielo. «Eh no, non provarci neanche! Dopo quel che è successo col bastardo hai bisogno di uscire, distrarti. E poi Loren ci tiene.»

«Ma tanto stasera c'è Alberto, io starò lì a fare il terzo incomodo!» si lamentò lei, cercando pietà. Cesare scosse il capo, divertito. «Su, non fare la bambina e scendi, che noi abbiamo altri programmi per la serata.»

«Maledetti» borbottò la rossa, infilandosi la giacca e scendendo con un sospiro esageratamente lungo. I due la salutarono allegramente, prima di sgommare via; rimasta sola, Maebh considerò per un attimo l'idea di telare via e rimpianse di aver scelto di farsi accompagnare, invece di prendere il motorino, ma faceva troppo freddo per guidarlo, quella sera. Stava contando gli spicci nel portafogli, ponderando se andare alla più vicina fermata del bus, quando la porta del pub si aprì e ne uscì Loren.

«Ehi, alla buon'ora! Stavo per chiamare la polizia» rise, andando ad abbracciarla. La prese per mano e se la tirò dietro nel locale, ignorando le vaghe proteste della rossa. «Su, smettila di lamentarti e vieni, tra mezz'ora cominciano.»

«Abbiamo tutto il tempo del mondo...» sbuffò Maebh, seguendola fino al bancone, dove stava Alberto.

«Ciao, cara» la salutò lui con la sua solita dolcezza, accennando un sorriso. «Come stai?»

Lei alzò le spalle, sfogliando la lista delle birre con particolare interesse. «Mh. Bene.»

«Volevo solo dirti... ecco, mi dispiace. Ma tutto si aggiusta, eh?»

«È quello che le dico anch'io» si aggiunse Loren, rubandogli un sorso di birra e un bacio a fior di labbra. Maebh preferì non rispondere e ordinò una Bière du Demon, al che il barman alzò un sopracciglio.

«È un po' forte come birra.»

«Secondo te perché l'ho scelta?» ribatté secca lei, sedendosi su uno degli sgabelli. L'uomo fece spallucce e le piazzò davanti la birra, insieme a una ciotola di noccioline.

Maebh prese un sorso di birra, evitando accuratamente di guardare Loren e Alberto, stretti l'uno all'altra, poi sospirò. «Scusa il tono del cazzo. È un periodo no.»

«Amore?»

Lei annuì sconsolata. «Si capisce, eh?»

Lui sorrise benevolo. «È sempre l'amore. Ma non darci troppo dentro con l'alcool, non è la soluzione.»

Maebh sorrise amara. «Per stasera lo è.»

Tacquero entrambi quando le luci si abbassarono. Alberto salutò lei e Loren per raggiungere sul palco il resto della band; la moretta le si sedette a fianco, un'espressione seria dipinta sul volto di bambola. Maebh le cinse le spalle, leggermente preoccupata. «Un penny per i tuoi pensieri.»

«Alberto è strano, stasera. Pareva nervoso, e lui non lo è mai prima di uno spettacolo, anzi è sempre il ritratto della tranquillità. Penso che mi stia nascondendo qualcosa.»

«Magari è emozionato, c'è tanta gente» azzardò Maebh, per niente convinta. Loren le rivolse un'occhiata scettica.

«Ha suonato davanti ad auditorium interi, un pub all'ora di punta non lo spaventa di certo.»

La rossa fece per controbattere, ma i Brillanti Sparsi attaccarono col primo pezzo. Erano bravi, Maebh li apprezzava ma quella sera proprio non riusciva a godersi la musica. Ordinò un'altra birra, ma non poteva annegare nell'alcol anche i pensieri, e per quanto provasse a staccare la spina tornavano sempre, tornavano dolenti come ferite aperte; le mani strette, le parole sussurrate, i silenzi condivisi mentre il sudore si asciugava sui corpi nudi: Gabriel non le aveva fatto promesse, lei non gliele aveva chieste, ma nei suoi occhi le era parso di leggere un di più, una scintilla che le aveva riacceso dentro la speranza di poter tornare a sognare, magari.

Scosse la testa, ghignando amaramente tra sé. Quanto era stata sciocca a fidarsi. Avrebbe dovuto fare come sempre aveva fatto, da sola e a testa alta. Non avrebbe più affidato la propria felicità alle mani altrui: l'avrebbero lasciata cadere, e lei di dolore ne aveva avuto abbastanza. Si girò verso Loren, la strinse a sé e lasciò che le posasse la testa su una spalla. Si sarebbe dedicata alla sua migliore amica, a Cesare e Marco, e soprattutto a se stessa. Sarebbe tornato tutto come prima, e nel giro di qualche mese avrebbe dimenticato completamente Gabriel. Avrebbe smesso di vedere lui nelle notti stellate.

 

«Un ultimo brano prima di salutarvi» annunciò Alberto con un certo imbarazzo, riscuotendola dai suoi pensieri. Le due amiche notarono sorprese che stava guardando dritto verso di loro, giocherellando nervosamente con la cinghia del sassofono.

«Un favore per un caro amico» proseguì, mentre il tastierista lasciava libera la propria postazione. Da un tavolo in ombra, nascosto dietro una colonna, si alzò un uomo che ne prese il posto senza dire niente, ma quando posò le mani sui tasti il suo sguardo era rivolto a Maebh. La ragazza si portò una mano alla bocca, le mancò il respiro. Loren sbiancò.

«Oddio... è Gabriel!»

Ma la sirena non rispose; temeva di cadere svenuta se solo una parola le fosse sfuggita. L'uomo dagli occhi blu iniziò a suonare.

 

Il giorno in cui sei arrivata si è aperta una porta

su un mondo che non conoscevo

e hai portato con te una parte di me

che adesso è il mio vanto

 

I mormorii della gente serpeggiavano, qualcuno pensava di riconoscere l'ignoto musicista, ma nessuno era davvero sicuro. Lui però non guardava nessuno, soltanto lei: Maebh avrebbe voluto fuggire da quel suo sguardo d'oceano, ma i propositi caddero davanti al calore della sua voce, ed era un canto morbido che le porgeva timido la mano, impaurito e tremante.

 

È possibile spingerci insieme

oltre i confini del tempo

come certe idee come le maree

come le promesse

è possibile andare lontano senza avere paura

come certe idee come le maree

come le promesse

che si fanno

 

La sirena non riuscì ad annegare le lacrime: non poté negare il sollievo che le prese il corpo come l'onda prende la sabbia, restituendole il respiro freddo e leggero simile alle notti d'inverno; soffocò un singhiozzo contro il palmo della mano, mentre Loren la teneva stretta, carezzandole la schiena.

Gabriel le donò l'ombra d'un sorriso e nel suo sguardo v'erano dolore e pentimento, e un frammento di speranza che le chiedeva senza voce: scusa.

 

Tu sei la luce e la pace

la comprensione della sofferenza

io sono la voce e la direzione

le spalle e la malinconia

 

Mi vedi qui, sussurrò Gabriel con lo sguardo. Mi vedi qui, per te, sono tuo. Fa' di me ciò che vuoi ma ti prego: non lasciarmi a terra.

Non era più una vergogna, questo bisogno d'appartenere, s'era fatto liberazione, balsamo di tutti i piccoli malesseri e disgusti di sé che le sue spalle curve avevano raccolto per quarant'anni. Darle il suo canto era darle tutto, offrirle il proprio cuore palpitante tra le mani, senza chiedere nulla in cambio se non il perdono. Era saltare senza rete, colmo di paura. Era il vento sferzante, quando si cambia pelle.

 

Se potessimo andare lontano

senza avere paura

come certe idee come le maree

questa è la promessa

che ti faccio...

 

Ecco, aveva saltato. Lo cantò guardandola negli occhi, marinaio che finalmente trova coraggio di accettare l'abbraccio del mare; lo cantò e fu dirle: ti amo.

Non indugiò negli applausi, semplicemente si alzò e corse alla sirena, la prese per mano e la portò fuori, e Maebh si lasciò guidare nella notte gelida, senza parole, senza più voglia di lottare contro quel che ora le sembrava tanto giusto e desiderato.

Scivolarono nell'ombra d'un vicolo, solo allora Gabriel osò fermarsi, parlare. «Mi dispiace, per tutto. Non sono una bella persona, Maebh: sono egoista, un egocentrico. Preferisco sopravvivere seguendo le abitudini che prendere in mano la mia vita, sono un vigliacco e non so dare amore. Ma voglio cambiare, per te.»

La ragazza scosse la testa, un groppo alla gola. «Vuoi dire...?»

Lui le prese le mani tra le proprie, carezzandone il dorso. Sorrise. «Voglio assumermi le mie responsabilità. Ho intenzione di fare da padre a quel bambino, ma io e Alissa... La lascerò. Voglio stare con te. Se mi vuoi.»

Si chinò su di lei, stringendola tra le braccia; Maebh prese subito rifugio nel calore del suo petto, ritrovò il cuore del marinaio, che mai aveva battuto così forte, folle di trepidazione. Gli sorrise, e fu come la prima pioggia dopo la siccità.

«Non ti tirerai indietro, promesso?»

Gabriel sfiorò le labbra con le sue, chiudendo gli occhi. «Lo prometto.»

E quel giuramento non gli andò a stringere il petto, ma glielo aprì come una cura: finalmente era a casa.

 

Se ne andarono, presero la macchina e via dalla città, dall'intersecarsi di volti e strade, cercando sentieri non tracciati, una rotta solo loro, seguendo una rosa dei venti fatta d'istinto e di bisogno disperato di stringersi e darsi.

Gabriel spense il motore sotto il rifugio di alberi, Maebh scese e non importava il freddo, quando caddero sulle foglie secche e si strinsero, non importavano i primi fiocchi di neve che si posarono sulla nuda schiena del marinaio, mentre lui artigliava la terra gelata e i capelli della sirena; Maebh gli cinse i fianchi con le gambe, e stavolta fu lei a pregare, rantolando suppliche e gemendo alle stelle. Si sentirono benedetti e assolti da quella notte d'inverno, fu come toccare il fondo e poi risalire in superificie, ingoiare l'ossigeno, mani che si trovarono e si strinsero, tenendosi a galla a vicenda. Fu come ripulirsi la pelle a baci e morsi, leccando via l'amaro delle lacrime e delle malinconie, l'affondo di un corpo nell'altro per ridare vita e restituire calore.

Fu un amarsi violento e assetato come un oceano rabbioso, fu la tempesta che avrebbe donato la quiete, spazzando via sbagli e interrogativi, lavarsi le ossa a vicenda e lasciarle limpide, pronte ad essere incise di parole migliori, tremando sotto la spinta d'ogni onda, senza più paura, senza più freni.

Fu la dolcezza del mare, negli ultimi spasmi del piacere che li sospinsero a riva1.

 

***

 

Gabriel trasalì quando la mano di Alissa si strinse alla sua, ma dissimulò la sorpresa con un sorriso. «Scusa, sono un po' nervoso.»

«Anche io» mormorò lei, ricambiando il sorriso. Era luminosa, la gravidanza l'aveva fatta radiosa e diversa, e il pianista non poté fare a meno di osservarne i lineamenti, le labbra distese in un sorriso sincero. Non amava Alissa, ma le voleva ancora bene, nonostante tutto. Avrebbe sistemato la cosa nel migliore dei modi, sarebbe stato un buon padre e anche un buon compagno, per Maebh.
 

«La signora Calvo?» domandò la ginecologa, aprendo la porta dello studio. La bionda si alzò, seguita da Gabriel.

«Sono io.»

«Molto bene, io sono la dottoressa Lenci. Prego, entrate.»

Una volta dentro, la donna indicò ad Alissa il lettino; mentre lei si stendeva, Gabriel si sedette sullo sgabello al suo fianco, senza lasciarle la mano. Sorridendo, la dottoressa si infilò un paio di guanti puliti e accese il monitor dell'ecografo, collegando la sonda. Alissa si sollevò la maglia, scoprendo il ventre.

«Ora spalmerò un po' di gel» le spiegò la dottoressa, versando la sostanza sulla pancia. «Serve ad assicurare una buona trasmissione degli ultrasuoni.»

Alissa rabbrividì appena, ridacchiando nervosa. «È freddo.»

La dottoressa sorrise. «Sì, cara. Ma facciamo presto, non preoccuparti.»

Lei annuì, trepidante. Si girò un momento verso Gabriel, che le strinse la mano rassicurante, poi seguì lo sguardo della dottoressa allo schermo, mentre la donna premeva leggermente la sonda contro il suo ventre. Ci fu un lungo momento di silenzio mentre la dottoressa spostava la sonda, sullo schermo tutto d'un piatto grigiore senza forme distinte. Gabriel capì che qualcosa non andava quando la vide accigliarsi, poi sgranare gli occhi e allontanare la sonda con riluttanza.
 

«Dottoressa, tutto bene?» chiese Alissa con un filo di voce, sentendo la schiena bagnarsi di sudore freddo. La donna emise un breve sospiro, poi le asciugò con cura il ventre e le sistemò la maglia. Giunse le mani in grembo, il viso gioviale ombrato di serietà.

«Cara... quanti test di gravidanza hai fatto?»

«Be'... uno, quello stick, da fare in casa. Perché?»

La Lenci scosse appena la testa, addolorata ma composta. Gabriel comprese prima ancora che si spiegasse. «C'è una minuscola percentuale che accada, ma a volte i test di quel genere possono dare un risultato errato.»

Alissa parve sul punto di svenire, le lacrime presero a scorrere senza controllo. «Vuol dire... che non sono incinta?»

«Vedi, nel caso di una gravidanza isterica si può avere un aumento di gonadotropine, che falsa il risultato del test, e quindi-»

«Gravidanza isterica?!» la interruppe Alissa, sconvolta. «Ma... ma non è possibile! Io non ho il ciclo, e ce l'ho sempre avuto puntuale! E i seni, mi si sono ingrossati, il ventre inizia a gonfiarsi, ho spesso nausea, ho pure messo su peso! No, non è possibile, dev'esserci un errore. Facciamo un'altra ecografia, magari la macchina è difettosa!»

«Provvederemo a un test del sangue, ma l'ecografia non mente, purtroppo. Per quanto riguarda il ciclo mestruale, sarà necessaria una terapia ormonale che ripristini il flusso, poi...»
 

Alissa smise di ascoltare. Semplicemente pianse e pianse, singhiozzando tra le braccia di Gabriel, che invece ascoltò con dolore e senza sollievo la dottoressa, mentre spiegava loro che poteva accadere in chi ha un forte desiderio di maternità, in chi ha problemi di coppia, mentre gli dava il nominativo di uno psicoterapeuta che avrebbe potuto aiutare la sua compagna.

«Le stia vicino» si raccomandò dispiaciuta la dottoressa.

Gabriel annuì, stringendo più forte Alissa. «Lo farò.»

 

 

***

 

 

Potete odiarmi per quello che ho combinato ad Alissa. Tanto mi odio pure io.

 

Be', che posso dire, non mi piace che i personaggi abbiano vita facile! Da una parte una riconciliazione, dall'altra un grande dolore... vedremo come andrà a finire. Ho già in mente altre cose cattive ♥ ♥ ♥ (soprattutto grazie a mia moglie Loren, che mi educa all'angst come nessuno mai). 

Stay tuned, bitches.

(quasi dimenticavo: il brano che Gabriel canta al pub è La promessa, del povero Niccolò Fabi di cui non riesco a smettere di abusare)
 

1Siccome sono un egocentrico del cazzo, ho pure la faccia tosta di autocitarmi: quest'ultima frase l'ho presa senza pudore dalla mia storia Buckley Blues. Lo so, lo so, shame on me.   

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Capitolo 11
*** 11 - broken thoughts I cannot repair ***


11

- broken thoughts I cannot repair -

 

 

 

 

 

Non appena furono lontani dall'ufficio di Norman, Fabio gli mollò una sonora pacca sulla spalla. «E bravo il mio stronzetto! Ma ti rendi conto? Schegge d'inverno ha vinto il Disco d'Oro a solo tre settimane dal rilascio! Ah, stai andando alla grande Gabe. Visto quant'era felice il boss?»

«Mh.»

«Per non parlare di Sirena. Oddio, è la canzone migliore che tu abbia mai scritto! Meglio dei tuoi sette dischi tutti insieme.»

«Mh» ripeté il pianista, fermandosi al distributore automatico del caffè. Fabio incrociò le braccia e sospirò, il suo buonumore sgonfiatosi di colpo come un palloncino bucato.

«Gabe...»

L'uomo non diede segno d'aver sentito; restò in silenzio per tutta la preparazione del caffè, mani in tasca e spalle basse, ma quando la macchinetta annunciò la bevanda con un sonoro ding lui prese il bicchiere, sospirò e si girò verso l'agente. «Sì...?» domandò stancamente.

Il biondo gli passò una mano sul viso, scansandogli i capelli dalla fronte: si accigliò mentre il suo sguardo indugiava sulle occhiaie, il viso pallido, gli occhi spenti, le labbra segnate di morsi nervosi.

«Cazzo, Gabe. Sei un disastro» commentò con un ghigno amaro. «Come va la terapia di Alissa?»

L'amico distolse lo sguardo, si irrigidì sotto il suo tocco e a Fabio occorse un momento per notare, stupefatto, lo sguardo bagnarglisi di lacrime mal trattenute.

«Ehi, stai piangendo?» gli domandò l'ovvio, ma c'era così tanta preoccupazione nel suo tono che il pianista poté solo stringersi a lui, cedendo al pianto. Fabio lo condusse nella toilette e chiuse la porta, per poi dedicarsi a strappare salviette di carta con cui tamponargli il viso.

«È tutto uno schifo» mormorò Gabriel. «Natale è stato un disastro. Alissa non fa altro che insultarmi, mi accusa di tutto, dice che questo figlio l'ha perso per colpa mia! Non riesce ad accettare che non ci sia mai stato nessun bambino, mi rinfaccia tutti i momenti in cui l'ho trascurata, tutti i litigi, le discussioni, le assenze... e io non so che dirle, perché penso al fatto che avrei potuto avere un figlio e invece sono esistito solo per me stesso, sempre. Mi sento... È stato il mio egoismo a farci questo, Fabio. A rovinare me e Alissa, quello che avremmo potuto essere. E io vorrei starle vicino ma non so come si fa, capisci? Non so come fare, lei è così fragile e io ho paura di spezzarla con una parola, un gesto di troppo. Non si fida delle mie premure e non posso darle torto, neanche io mi fiderei... È solo... vorrei solo farla stare meglio, ma non sono capace!»

Fece per proseguire, ma i singhiozzi gli mozzarono il respiro; si nascose il viso tra le mani, vergognandosi di quel pianto, sentendosi debole e inutile. Fabio sospirò ma non disse niente: semplicemente si bagnò le mani con acqua fredda e le posò sulla fronte dell'amico, sulle tempie. Dopo qualche minuto, il pianto di Gabriel si fece meno violento, le lacrime cessarono.

«Meglio?» chiese l'agente con dolcezza, il moro annuì e lui sorrise. «Lo faccio sempre con Kaneda e Tetsuo. Solo così si calmano.»

«È un buon metodo» convenne l'altro, esibendo a sua volta un sorrisetto mogio. Fabio rise sommessamente e bagnò di nuovo le mani, riportandole alla sua fronte più fresche.

«E Maebh? Lei che dice?»

«Oh, lei è un tesoro, come sempre. È un mese che non la vedo, ma ogni tanto mi scrive, ci sentiamo per telefono. Mi sta vicina, è preoccupata per me e anche per Alissa... A volte mi chiedo cosa abbia fatto per meritare il suo affetto.»

«Avrei tante battute da fare su questo, ma per stavolta avrò pietà di te» ridacchiò Fabio guadagnandosi un'occhiataccia dell'amico, tuttavia tornò presto serio. «Lo so come ti senti, Gabe. Ma non lasciare che la corrente ti sbatta a riva. Quando hai il vento contro, tu prendi il mare per obliquo. È difficile e ci vuole più tempo, ma alla fine ci arrivi, al largo.»

«Da quando in qua ti intendi di navigazione?»

Fabio si fece paonazzo e arretrò di scatto. «Le mie perle di saggezza date ai porci!» brontolò, alzando le braccia al cielo come per invocare l'aiuto divino. Gabe emise un piccolo sbuffo divertito, passandosi le mani sul viso. Sospirò e si avvicinò all'amico, stringendogli una spalla con affetto.

«Grazie, shorty. Non so che farei senza te a risollevarmi. Come posso ringraziarti?»

Fabio alzò gli occhi al cielo, mollandogli una gomitata. «Smetterla di chiamarmi shorty già sarebbe apprezzato. Dai bastardo, andiamo a farci una birretta che te la sei meritata, dopo il successo del disco.»

«Sì, ho bisogno di staccare per un paio d'ore.»

«Ovviamente offri tu.»

«Cosa? Ma... già ti pago uno stipendio da favola, devo pure pagarti una cazzo di birra? Certo che sei proprio un pezzente.»

Fabio ammiccò e sporse il petto verso di lui assumendo quella che avrebbe dovuto essere una posa sensuale. Fallendo miseramente. «Preferisco la definizione: mantenuto

«Che sgualdrina. Piantala di fare il gay con me, non attacca.»

«Oh, e dai! Offrimi una birra. Non ho più contanti dietro, oggi.»

Gabriel lo scrutò sospettoso. «Aspetta... non era oggi che usciva in edicola quella collezione speciale di Topolino

Fabio si fece tutto rosso e distolse lo sguardo, avviandosi alla porta. «Ho capito, visto che sei più tirchio di Paperon de' Paperoni, dovrò pagare la mia birra in natura...»

Il pianista scoppiò a ridere, seguendolo. Il suo migliore amico poteva anche essere un vero coglione certe volte, ma era comunque un coglione coraggioso, leale e con un cuore inversamente proporzionale alla sua altezza. Finché l'avesse avuto accanto, nessuna onda l'avrebbe annegato.

 

 

***

 

 

Aveva smesso di piovere.

Alissa sedeva nel terrazzo, stretta in uno scialle. I capelli biondi erano sciolti sulle spalle, spettinati; il viso privo di trucco, le occhiaie marcate, le labbra strette. Aveva sempre amato quei momenti, quando smetteva di piovere e il sole del tardo pomeriggio bagnava la terra, riflettendo le pozzanghere e le nuvole violacee di bagliori scarlatti e arancioni. Era come carezzare la città, confortarla tiepido dopo la tempesta.

La donna si portò le mani al ventre, un gesto che si era fatto dolorosamente familiare; sospirò, cercando di ricacciare indietro le lacrime. Le sarebbe piaciuto far vedere al suo bambino quel cielo, fargli vedere la bellezza... e invece quel bambino non c'era. Non ci sarebbe stato.

 

«Ali?» la chiamò Gabriel da dentro l'appartamento, facendola sobbalzare. Non rispose, non si mosse finché lui non la trovò in balconata.

«Ehi, tesoro. Non hai freddo?» le chiese dolcemente, inginocchiandosi al suo fianco. Lei scosse appena il capo, guardandolo. L'uomo le rivolse un sorriso, le porse la mano.

«Vieni, ti porto in un posto.»

«Non mi va...» mormorò lei, stringendosi le braccia intorno al corpo come a proteggersi. Gabriel sospirò appena, le prese la mano con delicatezza e la esortò ad alzarsi.

«Non c'è bisogno che ti cambi, non importa. Dai, vieni. Fidati di me, per una volta.»

E lei avrebbe voluto scuotere la testa, dire no, lasciami stare, non voglio fidarmi di te. Ma non disse niente e si lasciò portare fuori.

Non scambiarono una parola per tutto il tragitto, ma quando parcheggiarono e lui la guidò alla Galleria degli Uffizi, Alissa puntò i piedi. «Perché mi hai portato qui?»

Gabriel le indicò una locandina a cui lei non aveva fatto caso. «Ospitano una piccola mostra di Frida Kahlo, per un paio di mesi. Pensavo... ecco, credevo ti sarebbe piaciuto andarci. Volevo farti una sorpresa.»

La bionda si fece ancora più pallida, sgranò gli occhi incredula. «Una... sorpresa?» sussurrò, come se la parola le fosse sconosciuta. Gabriel arrossì appena, grattandosi la testa imbarazzato.

«Be', sì. Insomma, mi pareva di ricordare che amassi la Kahlo, no? Forse mi sono sbagliato...»

«No!» rispose lei con uno slancio che sorprese entrambi. Si schiarì la voce e aggiustò una ciocca ribelle. «Voglio dire, no. Non ti sei sbagliato. Solo, non credevo che te lo ricordassi.»

Le uscì più acido di quanto avrebbe voluto. Gabriel sussultò come se gli avesse dato uno schiaffo, ma poi annuì, abbozzando un sorrisetto misero. «Non ti biasimo. Ma vieni, dai. Mi hanno dato un pass, non dobbiamo fare neanche la fila.»

Alissa non rispose, ma ricambiò il sorriso, seguendolo nel museo. Preferì ignorare il desiderio di raggiungere Gabriel e prenderlo per mano, fingere di non sentire come il cuore avesse preso a batterle più forte. Ancora non riusciva a fidarsi del tutto.

 

 

***

 

 

Non gliel'aveva detto. Nemmeno lei sapeva spiegarsi il perché. Aveva preso Gabriel per un braccio e l'aveva trascinato fuori del museo, fingendo d'accusare la stanchezza, un mal di testa. Era scappata come una ladra, non gliel'aveva detto di quel quadro.

Forse perché sentiva, in fondo, che lui non poteva saperlo, che non l'aveva fatto apposta. Era stata una gentilezza, l'idea della mostra. Non voleva ferirla e paradossalmente questo le faceva ancora più male, perché poi era fuggita di nuovo, stavolta sola, stavolta a Milano, con la scusa di una sfilata a cui avrebbe potuto sottrarsi, avesse chiesto un permesso in agenzia. Ma la dolcezza di Gabriel la nauseava, e lei aveva preferito cambiare aria. Rassicurandolo, fingendo di stare meglio.

 

E ora quella città dormiva, così diversa dalla belva grigia e nervosa che era alla luce del giorno, mentre Alissa non riusciva a tenere gli occhi chiusi. Non appena posava il capo sul cuscino, subito l'immagine dell'Henry Ford Hospital le tornava alla mente con la violenza d'una pugnalata allo stomaco, e allora si portava le mani al ventre e stringeva, abbracciando un grembo dove niente palpitava se non il dolore.

Ritrovarsi davanti a quel quadro era stato come cancellare il mese in cui la sua pena s'era attenuata un poco: osservare Frida stesa su quel letto d'ospedale, tra lenzuola pregne di sangue, era stato come avere il cuore lacerato; vederne le lacrime dipinte e il feto rossastro era stato come essere accusata, il dito puntato: non sei stata capace di far germogliare niente di reale. Il tuo ventre ha stretto soltanto una patetica illusione.

Non aveva trovato conforto nella pittura che tanto amava, ma solo strazio.

 

Guardò l'orologio sul comodino, le una di notte. Avrebbe voluto chiamare Gabriel, ascoltare le sue parole, i suoi incerti tentativi di consolarla quando non era capace nemmeno di consolare se stesso. Non fosse stato patetico le avrebbe fatto persino tenerezza, ma Alissa iniziava a dubitare di essere capace di buoni sentimenti.

Si alzò dal letto e si tolse la camicia da notte, andò nella toilette e aprì il rubinetto della vasca. Magari un bagno caldo l'avrebbe aiutata a dormire, magari le avrebbe cancellato quella stanchezza dalla carne e i nervi. Mentre la vasca si riempiva, prese dal frigobar una bottiglia di vino, se la portò in bagno e la posò sul pavimento; si tolse gli slip e scivolò nell'acqua tiepida ancora a metà. Aprì il vino e ne bevve un lungo sorso, non le piaceva molto ma si costrinse a berlo. Allungò una mano sul portaoggetti lì accanto, prese la propria sacca da bagno e ne trasse una scatolina: se la rigirò dubbiosa tra le mani, ma in fondo non era la prima volta che usava i sonniferi.

Voleva solo sopravvivere alla nottata, senza incubi, senza piangere.

 

Chiuse gli occhi e si portò alla bocca una pillola.

 

 

***

[https://www.youtube.com/watch?v=PaI1sLqFOuE]

 

«Gabe, che ci fai qui? È mezzanotte passata, pensavo stessi dormendo...» mugugnò Maebh, strofinandosi gli occhi. Il pianista sospirò, entrando nel bilocale; la ragazza chiuse la porta e si stravaccò accanto a lui sul divano, sbadigliando.

«Scusa se ti ho svegliato.»

«Dai, fa niente. Avrai le tue buone ragioni, immagino» lo rassicurò lei con dolcezza, arruffandogli con affetto i capelli. Gabriel le rivolse un sorriso da spezzare il cuore; lei smise di giocare e gli prese le mani tra le proprie.

«Che succede?» gli chiese, la presa ferma ma la voce velata di preoccupazione. L'uomo scosse la testa, incerto.

«È una stronzata, scusa...»

«Gabriel. Sputa il rospo.»

«È solo... ecco, Alissa è partita stamattina.»

Maebh sbiancò. «Partita?! Ma... per dove? Perché?!»

«Niente, una sfilata a Milano. Il solito.»

«E tu l'hai lasciata partire da sola?» balbettò lei, incredula. «Cazzo Gabe, è passato soltanto un mese...»

«Lo so!» sbottò lui, stringendosi la testa tra le mani. «Ma che potevo fare, me l'ha detto appena prima di andare in aeroporto! E poi sembrava così contenta di tornare al lavoro, non smetteva di sorridere. A quanto pare la mostra è stata davvero una buona idea...» sospirò e raddrizzò la schiena, guardò Maebh. «Scusa se sono piombato qui così tardi, ma avevo bisogno di vederti. E anche di camminare un po', se...» lasciò cadere il discorso, ma lei annuì.

«Ho capito. Un attimo che mi infilo qualcosa e usciamo.»

 

Dieci minuti dopo erano fuori nel freddo di gennaio, la neve a scricchiolare sotto le scarpe.

«Dove si va?» chiese allegra Maebh, saltellando. Gabriel la prese per mano, attirandola a sé.

«Non lo so. Idee?»

«Uh, ce l'ho!» esclamò lei, trascinandolo di corsa tra vicoli e viuzze; quasi caddero sul selciato ghiacciato un paio di volte, ma alla fine giunsero a destinazione con le ossa tutte intere.

«Dove siamo?» domandò lui, osservando il cancello malandato davanti a sé. Più oltre riusciva a intravedere un lungo viale nel mezzo d'un grande giardino incolto: conduceva a una villa che una volta era stata sicuramente proprietà d'aristocratici, ma ora l'intonaco era scrostato e le statue che un tempo abbellivano il cortile giacevano a terra mutilate, nell'erba alta.

Si riscosse quando Maebh si arrampicò rapida sul cancello e saltò dall'altra parte. «Muovi il culo?»

«Maebh!» sibilò Gabriel, guardandosi intorno per vedere se ci fossero testimoni alla follia della ragazza. «Che stai facendo? Se ci beccano ci arrestano!»

Lei ridacchiò, aggiustandosi il cappello. «Ma ti pare! Anche se sarebbe divertente. Già mi immagino i titoli: noto musicista arrestato con la sua amante per effrazione e atti osceni in luogo pubblico!»

«Certo, proprio quello di cui avrei bisogno ora» borbottò lui rosso di imbarazzo, scavalcando a sua volta.

«Agile come Alberto» commentò lei ghignando.

«Che c'entra Alberto ora?!» replicò stizzito il pianista, seguendola lungo il viale.

«Oh, Alberto è il criceto obeso di Loren.»

«...Loren ha chiamato il criceto come il suo fidanzato?»

«Sii clemente, l'ha comprato a tredici anni.»

«A questo punto non mi stupirebbe sapere che ha pure un altarino a lui dedicato, in cameretta...»

Maebh non rispose ma arrossì, accelerando il passo. Gabriel quasi si strozzò per le risate.

«Non dirmi che ce l'ha!»

«No, certo che no!» ribatté lei, alzando il bavero del cappotto a nascondere il viso. L'uomo ghignò sornione.

«Mh.»

«...ce l'aveva.»

«Oddio.»

«Senti, lasciamo perdere le manie adolescenziali della ragazzine, ok?» mugugnò lei, deviando dal viale in favore del giardino. Gabriel la seguì tra gli alberi, continuando a sghignazzare.

«Perché, hai qualcosa da confessare?»

«Ovviamente. Ma non ti darò tanto potere di ricatto su di me, sono informazioni top secret.»

«Scommetto che se frugassi tra le tue cose troverei come minimo un poster a grandezza naturale dei Tokio Hotel!»

«...»

«Gesù. Davvero?»

«...Erano i Cinema Bizarre» si difese Maebh. Gabriel fece per aggiungere qualcosa, ma lei si buttò di colpo a terra, facendolo trasalire. La rossa rise della sua espressione stupita e allargò braccia e gambe, muovendole a scavare la neve. «Che c'è, mai fatto un angelo della neve?»

L'uomo scosse appena la testa, sorrise. «Mai.»

Maebh saltò in piedi e lo affiancò per non rovinare la forma impressa sulla neve. «Deduco che tu non abbia mai fatto nemmeno a palle di neve.»

«Deduci bene» sospirò lui. Distratto, non si accorse che lei si era chinata a raccogliere un po' di quel biancore per appallottolarlo; cacciò un grido sorpreso quando lei gli tirò la palla addosso, dritto in faccia.

«Ahh...!» esalò mentre la neve gli si infilava giù dentro il colletto della giacca, ma la ragazza non esitò a tirargli un'altra palla che lui schivò per un pelo; corse a nascondersi dietro un albero e si pulì la faccia con una manica, ridendo sorpreso. «Vuoi la guerra? E guerra sia!»

 

La notte era ghiacciata ma loro sorridevano, le guance rosse, il respiro affannato, gli occhi brillanti di gioia. Gabriel sentiva i polmoni bruciare ma non si era mai sentito così vivo, così vero: Maebh gli aveva restituito il tempo perduto, le occasioni mancate, le parole non dette; le sue labbra avevano tracciato sentieri sul suo corpo, strade sconosciute da prendere, scelte nuove.

 

Maebh lo distolse dai suoi pensieri, lanciandoglisi addosso con un grosso mucchio di neve tra le braccia sollevate, ma lui reagì e la prese per i polsi; per lo slancio finì addosso a un albero, gemette per il dolore, la ragazza sbiancò.

«Oddio Gabe, ti sei fatto male? Fammi vedere, scusa se-»

«Lascia stare» tagliò lui, cingendole la vita con le braccia.

«Ma...»

«Va tutto bene» sorrise dolcemente, sollevando una mano a scostarle i capelli dagli occhi. «Va tutto bene.»

Maebh si sporse a baciarlo e quel contatto lo colse impreparato, sconvolto come la prima volta, le gambe tremanti, il respiro rarefatto. La strinse a sé con più forza, cercando sostegno sulle sue spalle forti, trovandosi a riscoprire il suo profumo dopo settimane di lontananza.

«Dio, quanto mi sei mancata» le ansimò sulle labbra, il respiro caldo si addensò nell'aria, annebbiò quella minima distanza tra i loro sguardi ma anche così Gabriel colse qualcosa negli occhi di Maebh, un'ombra languida nelle sue iridi verdi che conosceva, che lo spaventava e lo rendeva schiavo al contempo.

E la sirena non rispose ma gli premette le labbra alla gola, i denti contro la giugulare, e scese all'incavo della spalla strappandogli gemiti, mentre le sue mani scivolavano sotto i vestiti a graffiargli la schiena, slacciare la cintura, e la sirena cadde in ginocchio davanti a lui, e quando la sua bocca si chiuse intorno alla sua erezione Gabriel dovette afferrarsi alla ruvida corteccia dell'albero con una mano, le strinse i capelli con l'altra per non cadere, trovare la forza di sopprimere il grido che gli graffiava la gola per uscire.

Aveva sempre pensato a quello come un gesto di sottomissione, ma quando Maebh puntò gli occhi nei suoi Gabriel si ritrovò a rabbrividire e distolse per primo lo sguardo perché non ce la faceva a reggere quell'intensità, quel mare d'erba che pareva volerlo azzannare; quella lingua che pareva leccare inferno e paradiso sul suo sesso: era l'animo dell'uomo ad essere in ginocchio, ad attendere il verdetto, giungendo infine entrambe le mani sul capo della sirena, aggrappandosi alle ciocche scarlatte e alzando il viso al cielo, marinaio in preghiera.

 

 

***

 

«Grazie per la bella serata» le disse con un sorriso, posandole sulle labbra un dolce bacio.

«Grazie a te» rispose Maebh, accoccolandosi contro il suo petto. «Che dici, stavolta riusciremo a rivederci prima della fine del mese?»

«Non lo so, tutto dipende dalla terapia di Alissa ma penso-» lo squillo del cellulare li fece sobbalzare entrambi e Gabriel si interruppe, prendendolo di tasca. «Numero sconosciuto... Bah, vediamo.»

Maebh si sorprese nel sentirlo irrigidirsi, rispondere a monosillabi; alzò lo sguardo sul suo viso, si era fatto di colpo esangue.

«V-va bene, capisco. Prendo il primo volo» mormorò lui, chiudendo la chiamata. Guardò sconvolto la ragazza, arretrò di scatto come scottato.

«Gabe, che-»

«C'è stato... un incidente. Devo andare, devo andare subito

«Ma cosa è successo?» insistette Maebh, correndogli dietro fino alla macchina. Gabriel indugiò per un momento a baciarle la fronte, salì in auto.

«Alissa» rispose, girando la chiave.

La ragazza non fece in tempo ad aggiungere altro e lo guardò allontanarsi, il rombo del motore appassire come un pianto nella notte.

 

 

 

 

***

 

Zan zan zan zaaaaaaan!

 

Scusate, ho sempre desiderato farlo.

Allora, prima di tutto le mie scuse per avervi fatto aspettare così a lungo, ma questo capitolo proprio non voleva saperne di farsi concludere. Alla fine ce l'ho fatta però.

Per quanto riguarda la canzone che ho inserito nel testo, è un pezzo di Beck inserito nella soundtrack del mio film preferito, Eternal sunshine of the spotless mind (orribilmente tradotto in italiano come Se mi lasci ti cancello). Tre ottime ragioni per vedere questo film:

  1. ha una soundtrack perfetta

  2. i protagonisti sono Jim Carrey e Kate Winslet

  3. la storia è semplicemente bellissima, profonda e poetica, oltre che molto molto dolce
     

Comunque vi avviso che ormai non manca molto al finale di questa storia, penso un paio di capitoli. Quindi preparate i pomodori marci e i cavoli putridi, soprattutto per l'epilogo – vi assicuro, mi odierete!

Al prossimo capitolo, che vi giuro arriverà prima!

 

Captain Willard

 

P.S. Io sono un fierissimo fan dei Tokio Hotel e pure dei Cinema Bizarre che sono un po' i loro cugini, praticamente dei mangiacrauti con tendenze Weeaboo ù_ù

P.P.S. Quasi dimenticavo, il titolo del capitolo è tratto dalla canzone Hurt, l'originale è dei Nine Inch Nails ma la cover di Johnny Cash farebbe piangere persino gli angeli. [https://www.youtube.com/watch?v=vt1Pwfnh5pc]

P.P.P.S. Aggiunta last minute: l'Henry Ford Hospital è un dipinto di Frida Kahlo, in cui lei esprime il dolore per l'ennesimo dei tanti aborti spontanei di cui ha sofferto durante tutta la vita. Mi è sembrato terribilmente azzeccato per Alissa.

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