Ten Days of LawLu ~ The alliance (relationship) between a cynical surgeon and a smiling pirate

di _Lady di inchiostro_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Day One ~ Hands ***
Capitolo 2: *** Day Two ~ Smell of Saltiness ***
Capitolo 3: *** Day Three ~ We are not mere friends ***
Capitolo 4: *** Day Four ~ Trust me ***
Capitolo 5: *** Day Five ~ Remembering ***
Capitolo 6: *** Day Six ~ I do not want to lose you again ***
Capitolo 7: *** Day Seven ~ I will help you! ***
Capitolo 8: *** Day Eight ~ How to celebrate a perfect birthday ***
Capitolo 9: *** Day Nine ~ I'm so sorry... ***
Capitolo 10: *** Day Ten ~ Thanks to be here with me ***



Capitolo 1
*** Day One ~ Hands ***


 
Ten Days of LawLu
~
Hands


 


Day One: Meeting/First Impressions

 




«Torao, te lo ricordi il nostro primo incontro?»
Trafalgar aprì un occhio, le braccia completamente abbandonate sul cuscino, ritrovandosi un faccino paffuto che lo osservava in attesa.
«Perché questa domanda?»
Rufy alzò le spalle. «Non so... Ci stavo ripensando.»
Law incarnò un sopracciglio. A volte gli era davvero difficile riuscire a gestire i repentini cambi di umore di Rufy, e ancora si domandava che cosa ci avesse trovato d’interessante in un individuo così scalmanato e a volte instabile.
Magari aveva bisogno che la sua monotona vita fosse scossa un poco?
Adesso era lui che lo osservava, il lenzuolo che lo copriva tutto, lasciando lui quasi completamente nudo, se non fosse per una parte che gli copriva il basso ventre. 
Gli passò una mano sulla spalla, quel faccino sorridente che lo fissava, le mani posate tra la guancia e il cuscino. Law aveva quasi tentato dal ricominciare baciarlo, dal ricominciare a sentirlo di nuovo addosso, di nuovo una parte di sé, nonostante avessero finito di fare sesso soltanto un'ora prima.
Si limitò a fare uno dei suoi soliti ghigni, alla fine. «Oh, stavi ripensando a come mi hai ignorato totalmente, preferendo Bepo al mio posto?»
«Me lo rinfaccerai a vita, non è vero?» disse il corvino, sbuffando.
«Assolutamente!»
Il ghigno si tramutò in un sorriso divertito, mentre Rufy arricciava il naso e faceva una smorfia. 
Forse, quando ancora non sapeva di provare qualcosa per lui, Law non aveva fatto caso a tutte queste attenzioni di Rufy per il suo orso polare. Ora che ci ripensava, però, s’infastidiva. Non che ce l'avesse con Bepo, per carità, era Rufy che era attratto da tutte le cose più strane e assurde. E per lui, Bepo era strano e assurdo. 
«Non è colpa mia se mi sembravi antipatico quando ti ho incontrato!» protestò.
«Ma davvero?»
«Certo! Ancora mi ricordo quando mi hai preso in giro perché ero diventato piccolo!»
«Non ti stavo prendendo in giro» disse, continuando a passare le dita sulla pelle del ragazzo con un movimento costante. «Eri davvero adorabile!» 
Rufy fece un'ennesima smorfia. 
«Avrei voluto strapazzarti a dovere. Mi piacerebbe se tu potessi tornare di nuovo in quel modo...» disse, con fare teatrale.
«Smettila!»
Rimasero in silenzio per un po', Law che continuava a carezzare quella pelle senza potersi fermare, desideroso di poterla tastare ancora centimetro dopo centimetro. «E dimmi, come mai hai deciso di allearti con questo antipatico?» incalzò Law, ancora col ghigno stampato in faccia.
Rufy si strinse nelle spalle. «Che c'entra! Già sapevo che eri una brava persona!»
«Non abbiamo fatto chissà quale conversazione...» gli fece notare il medico. 
«Lo so...» disse Rufy. «Ma mi hai salvato la vita, e Rayleigh mi ha detto che mi hai tenuto al sicuro il cappello!»
Law tentennò leggermente. Non credeva che il Re Oscuro gli avesse parlato di come avesse tenuto compulsivamente quel cappello tra le mani. Pareva quasi che non volesse mollarlo, che le sue dita si fossero attaccate a quella tesa che stringeva con forza.
A Law non era mai importato delle cose degli altri. Anzi, a Law non era mai importato degli altri e basta. Eppure, quel cappello rimase tra le sue mani per tutto il tempo, come se sapesse che il proprietario c’era affezionato. 
Lo stesso proprietario che, a Sabaody, se lo teneva ben fermo al capo per evitare che cadesse durante gli scontri. Lo stesso proprietario di cui, per una volta, Law si era preoccupato. Lo stesso proprietario che sperava si risvegliasse, così da potergli consegnare di persona il cappello tanto amato. 
Lo stesso proprietario che, quella sera, nella piccola branda in cui si trovavano, gli stava accanto. 
«E poi... Ti sei preso cura di me...»
Trafalgar sgranò gli occhi grigi, leggermente sorpreso.
Rufy, dal canto suo, lo fissava intensamente, mordicchiandosi l'interno della guancia. «Ti ho sentito... sai? Quando mi parlavi...»
Se lo ricordava ancora.
Se lo ricordava il dolore che sentiva in ogni parte del corpo, il martellare continuo delle tempie. Non erano ricordi chiarissimi, erano delle chiazze avvolte dal grigio – non erano come le immagini della guerra, quelle se le sarebbe portate dentro a vita –, ma Rufy riusciva lo stesso a riacchiapparli. 
E alcuni di questi riguardavano Law, riguardavano le sue mani che si muovevano dappertutto su di lui, che gli sistemavano le bende candide con parsimonia, che si posavano sulla fronte per evitare che piangesse. 
A Rufy piacevano le mani di Torao. Lo facevano sentire protetto, anche quando erano a letto assieme. 
Perché con lui, Law non aveva usato gli stessi metodi sadici che metteva in pratica sempre. Le sue mani, quella volta, avevano stretto per davvero la mano di un povero paziente, avevano sentito il calore bruciante della sua pelle, febbricitante per via dei farmaci che facevano effetto su delle possibili infezioni. Erano passate su quel visino contratto dal dolore, avevano bloccato un possibile spasmo. Avevano stretto la paglia di quel cappello che, quella sera, stava poggiato lì vicino. 
Per questo, quando le mani di Law andavano a toccare il corpo di Rufy, fino a porsi sul suo viso, il ragazzo sentiva una piacevole sensazione salirgli al petto, calda e simile a quella che si prova quando si è a casa. 
Rufy non aveva timore di lui. Quando l'aveva, gli bastava guardare le proprie mani, ricordare come le dita di Torao si fossero legate perfettamente alle sue, per star tranquillo. 
«Sei stato accanto a me per un sacco di tempo... vero?»
Era vero, il Chirurgo della Morte era rimasto un sacco di tempo accanto al giovane pirata, accertandosi che, stavolta, il nomignolo che la Marina gli aveva gentilmente affibbiato non valesse anche per quel corpicino inerme. Era rimasto, in silenzio, e se parlava era per dire poche cose, le sue mani che scendevano dal suo viso alle sue dita, ai suoi palmi.
Era rimasto, forse troppo o forse troppo poco, decidendo poi che poteva benissimo allontanarsi, la katana piantata là vicino. E ancora non bastava, perché le sue dita erano sempre attaccate a qualcosa.
«Non abbastanza da vederti sveglio...» disse. 
Rufy si fece più vicino, posizionando l'orecchio all'altezza del petto di Law.
Il suo cuore si sentiva. Faceva un bel suono.
«É vero, all'inizio non avrei mai preso in considerazione l'idea di allearmi con te...» Stette zitto un paio di secondi, prima di ricominciare a parlare. «Ma a Punk Hazard era già tutto diverso. Perché sapevo quello che avevi fatto per me, sapevo che eri una brava persona...»
Chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dal quel suono piacevole che gli stava riempiendo i timpani. Era bello sentire i suoi aumenti di velocità, graduali e non troppo immediati. 
«Per questo ti sei alleato con me?» chiese Law, avvertendo anche lui il pompare continuo del suo organo vitale. 
«Soprattutto per questo. Se avessi continuato a starmi antipatico, probabilmente avrei rifiutato!»
Rise e si rese conto che il cuore di Torao adesso batteva velocissimo, ma non per questo lui sembrava minimamente scomposto dalla cosa. 
«E tu? Tu perché ti sei alleato con me?»
«Sai che me lo chiedo anch'io?»
«Torao...»
«Più o meno per lo stesso motivo...» disse, piano, e le sue mani cominciarono a scendere lungo quel corpo, a stringerlo, a farlo un tutt'uno col suo. 
Rufy emise un sospiro di piacere, perché non c'era cosa più bella di poter sentire il calore di Torao che si mischiava al proprio. 
Non c'era cosa più bella di addormentarsi con i battiti di Law, adesso più tenui, nelle orecchie e le sue mani che lo stringevano con delicatezza.

 


Delucidazioni (mi sa che questo termine diventerà una prerogativa delle mie note autore...):
Salve a tutti! 
Ebbene sì, dopo secoli torno nel fandom niente poco di meno che con una raccolta, partecipante ai dieci giorni dedicati alla mia OTP per eccellenza! *v*
E voi credevate che non avrei partecipato a un evento del genere, il primo indetto su Tumblr su di loro? Ah, poveri illusi! 
*ride malignamente*
No, sul serio, ci tenevo tantissimo a partecipare, e cercherò di essere al passo con le giornate, nonostante gli esami imminenti...
*guarda la tesina non ancora pronta e piange*
Parlando della storia, inizialmente doveva nascere a sé, ma poi alla fine ho deciso di inserirla in questa raccolta poiché non sapevo proprio come trattare questo prompt.
(e tutt'ora, non sono convinta della sua riuscita... Proprio un bell'inizio...)
L'idea di Rufy che avverta il tocco delle mani di Law come protettivo, è nata da una teoria che ho letto su Internet, proprio sotto l’immagine riportata e che trovate nel blog di trelldraws, e devo dire che non mi dispiace affatto. Forse non c'era nulla col prompt, eppure volevo che si evincesse come Rufy ha compreso che Law sia, in fondo, una brava persona, uno di quei pirati senza troppe manie di grandezze. 
E sì, qui ci stanno una serie di miei headcanon, come il fatto che il Chirurgo consolasse Rufy durante la sua convalescenza, o che tenesse il cappello con fare compulsivo (e non l'ho notato solo io, ma anche gente che NON LI SHIPPA, quindi sono solo folle a metà! uu). E mi piaceva troppo l'idea di descrivere la scena in cui Law si rivolge a un Rufy nano, la prima volta a Sabaody. La amo! *^* <3
Che dire, fatemi sapere che cosa ne pensate di questo inizio: siate spietati, ve lo concedo, devo sapere se posso cavarmela con una raccolta :') 
Avviso già da adesso che, per possibilità di tempo, non potrò rispondere alle recensioni, pardon :'c
Prometto che lo farò, è giusto che voi, così carini con questa folle, meritiate una risposta! uu <3
Beh, grazie a chi sta dando una possibilità a questa storia :'3
Hasta la vista (?)
_Lady di inchiostro_

P.S: la prima immagine che trovate è quella dedicata all’evento. Se siete curiosi, o volete partecipare, trovate tutto sul blog Tumblr lawlu-week.

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Capitolo 2
*** Day Two ~ Smell of Saltiness ***


 
Ten Days of LawLu
~
Smell of Saltiness



Day Two: Freedom/Savior





Il fischio sordo di uno sparo, il tonfo di un corpo che cade sul legno duro; le nocche che si scorticano, che battono forte, le urla impotenti e non sentite di un bambino, chiuso dentro una cassa. 
Era questo il sogno che faceva, spesso, il Chirurgo della Morte. Un sogno fin troppo veritiero, fin troppo fedele a quei ricordi maledetti, eppure sembrava tutto così etereo, così sfuggente, che si poteva quasi avere la speranza di risvegliarsi in una realtà diversa.
Tuttavia, Trafalgar puntualmente ripiombava nella vita di tutti i giorni, una vita che era stata donata in cambio di un'altra, una vita che, da quel giorno che continuava a rivivere in sogno, non riusciva ad avere pace. Così, Law sognava l'isola di Mignon, la Gabbia, l'attacco di Vergo a Corazon, il suo sorriso prima di chiudere la cassa, gli ultimi bisbigli prima di morire, le sue scuse prima di lasciarlo; ogni notte, ogni volta che chiudeva gli occhi faceva quel sogno, e puntualmente tornavano i colpi d'arma da fuoco, le sue mani che tentavano di aprirsi una via per uscire, il sangue di Cora mischiato alle sue lacrime di disperazione. 
Law credeva, sperava, che il sogno avesse – chissà – la facoltà di svanire, così come la cenere col vento, e che quindi avrebbe smesso di perseguitarlo non appena si sarebbe vendicato di Doflamingo. Anche quando aveva parlato con Sengoku – mentre cacciava giù lungo le viscere il grumo amaro che gli bloccava la gola, e lo sentiva scendere come se fosse acido – aveva creduto che sì, adesso poteva dirsi davvero libero, poteva davvero comprendere cosa significasse avere una vita libera, perché Cora aveva deciso di arrivare a tanto purché lui potesse viverla.
Ma le cose non cambiarono affatto, quel sogno continuava ad apparirgli davanti gli occhi, così che lui li spalancasse, non riuscendo più a chiuderli. Era così, sempre, ogni notte. E se non c'era il suo volto sorridente che gli diceva che sarebbe andato tutto bene, c'era quello di sua sorella che si sfrigolava tra le fiamme, gli occhi vitrei e la pelle fredda dei suoi genitori.
Per questo, Law preferiva passare le ore notturne in altra maniera, portandosi avanti con lo studio di nuove malattie, di nuove diagnosi.
Stando nella nave del nuovo sottoposto di Cappello di Paglia, quel tipo con la cresta a mo' di pollo, tutto questo però non fu possibile.
Avevano lasciato Dressrosa da un paio di ore, quando la bianca luce della luna cominciò a brillare sulle acque scure – sembrava come se un manto bianco si fosse posato su uno specchio di ghiaccio blu –, e Law era stato costretto a dividere la stanza come tutti gli altri.
Ovviamente, non poteva mettersi di certo a leggere a lume di candela come un eremita, e andare nella piccola stanza adibita a biblioteca non era possibile, non di certo con quell'individuo a capo della nave che provava una certa avversione per lui. 
L'unica alternativa, si disse Law, era provare a riposare almeno per un paio di ore.
Ma quando sembrava che stesse finalmente riuscendo a dormire veramente, ecco che quel sogno tornava ad aggredirlo, simile all'artigliata di una mano d'ombra. E Law si agitava, cominciava a tremare, a sudare freddo; solo che, questa volta, i suoi muscoli in costante tensione, i nervi sempre tesissimi, si rilassarono non appena un dolce profumo arrivò a riscuoterlo, in un brivido che, se si poteva definire, sarebbe stato dolce e delicato. 
C'era un odore cui Law era particolarmente affezionato, e non era quello dei suoi medicinali, o del tè alla menta che prendeva sempre – anche se ne aveva i vestiti impregnati, di questi due odori: no, era un odore che lui associava alla libertà, un odore capace di combattere la cappa asettica e insapore che creava la neve, sua nemica di sempre, dei cristalli che si posavano sulla lingua e sulla punta del naso senza lasciarti addosso nulla, solo gelo.
La neve non ha odore, né sapore. La neve ricopre tutto, non lascia nulla, fa spavento, perché non ti permette di sentire, di vivere ciò che ti circonda.
Quando Law stava a Punk Hazard, l'idea che il laboratorio fosse circondato dalla neve non lo entusiasmava molto, aveva fatto di tutto per rimanere il più possibile all'interno.
Con l'arrivo di Smoker-ya, divenne una necessità uscire.
Durante lo scontro con Vergo, buffo il destino, si chiese se potesse davvero riprendersi una rivincita contro di lui e contro quei fiocchi che, se stavano per essere soppressi dal gas letale, quella volta a Minion si erano macchiati del sangue di Cora-san. 
Eppure, sì, c'era qualcosa di diverso. Sconfitti Smoker e Tashigi, quell'odore persistente tornò a farsi sentire, ad accoglierlo come in un abbraccio protettivo; era il primo odore che Law aveva sentito non appena era uscito dalla cassa, seguito da quello pungente della polvere da sparo, e che lui aveva associato subito alla libertà, la libertà che Corazon sosteneva che nessuno potesse togliergli. 
Era l'odore di salsedine, del mare che circondava l'isola. Quello era l'odore della libertà, men che meno per un pirata. 
E quella volta, a Punk Hazard, quell'odore non era tornato per via delle acque circostanti: era proprio una persona a emanarlo, la stessa persona che quella sera si era intrufolata sotto le coperte di Torao, mentre quello aveva aperto un occhio per guardarla.
Rufy dormiva nella branda al di sopra e, nonostante il sonno pesante che si ritrovava, il cigolio del letto di Law era riuscito a svegliarlo. E Law pareva quasi che non riuscisse a stare fermo, come se stesse cercando di sottrarsi a una tortura sempre più crescente. Rufy capì subito, del resto era capitato anche a lui di avere degli incubi così orrendi da sembrare reali. 
Era sceso dalla sua branda, e aveva messo tutta l'accortezza di cui era capace per infilarsi sotto le coperte senza svegliarlo.
Rimase immobile a fissarlo, le labbra piegate all'ingiù, mentre il viso di Torao diventata piano piano più sereno e lui apriva gli occhi.
«Che ci fai qui?» disse, scontroso.
Rufy aspettò un po' prima di rispondere. «Stai sudando.»
«Sto bene.»
«E ti muovevi, poco fa...»
«Non sono abituato a dormire. Cercavo una posizione comoda.»
«Perché, esiste una posizione comoda con cui dormire? Non vanno bene tutte?» Rufy sorrise, prima di tornare serio. 
Law alzò gli occhi al cielo. «Non prendo sonno facilmente, tutto qua.»
«Incubi?»
«Cosa?»
«Dico, io quando non prendo sonno è perché faccio dei brutti sogni...»
Law non seppe in che modo replicare, rimanendo a bocca chiusa. 
Le braccia chiare di Rufy avvolsero il braccio scuro di Torao, e il ragazzino appoggiò la guancia sulla pelle calda. «Torao... Tremi ancora...»
Nessuna risposta, solo un altro brivido piacevole lungo la schiena, un soffio caldo che asciugava quelle gocce di sudore freddo.
«Non devi vergognarti di chiedere il mio aiuto, se ne hai bisogno. Forse non lo sai, ma un po' me la cavo con queste cose» rise, forzatamente, perché Rufy non avrebbe mai voluto saperne di incubi in tutta la sua vita, avrebbe voluto sognare per sempre i boschi verdi del monte Corbo e le corse coi suoi fratelli. «Se pensi che possa fare qualcosa, io...»
«Mugiwara-ya» Rufy alzò la testa verso di lui, verso quella voce solenne e bassa, perché non voleva che altri lo sentissero. «Posso chiederti un favore?»
Prese il silenzio immobile come un consenso. «Puoi rimetterti nella stessa posizione di prima?»
Rufy obbedì, e si ritrovarono faccia a faccia, a neanche dieci centimetri di distanza. Si fissarono senza che nessuno dicesse niente, finché Rufy con titubanza non alzò una mano a spostare una ciocca di capelli che copriva un occhio di Trafalgar; e percorse i lineamenti del suo viso, fino a raggiungere il mento ispido, con la punta del polpastrello. I suoi occhi sembravano quelli di un bambino che stava varcando un confine fino ad allora inesplorato, e ne era rapito.
Balzò nel momento in cui i palmi di Torao si posarono sul suo viso, con un'insolita tenerezza, avvicinando poi la fronte alla sua. 
Rufy abbassò le palpebre delicatamente, mentre quelle dell'altro erano già chiuse. 
«Ti va di dormire con me?»
«Aspettavo che tu me lo chiedessi...»
Law prese un profondo respiro, inalando quel profumo che riusciva a tranquillizzarlo, il profumo di salsedine. E sebbene Rufy puzzasse – eccome, lo diceva persino la renna – di carne, c'era una sola parte del suo corpo che aveva un odore diverso.
Il suo viso, il suo viso che era sempre rivolto contro vento, che si lasciava bagnare dall'acqua che sollevavano i gabbiani quando afferravano il pesce, il viso di un bambino che stava seduto sulla polena della sua nave.
E l'odore era proprio quello della salsedine, l'odore della libertà. 
La libertà per cui Rufy combatteva.
La libertà per cui Corazon aveva combattuto.
E la libertà che adesso Law sentiva realmente sua.


 




Delucidazioni:
Allora, per questo secondo giorno, il prompt ruotava intorno alle parole “Libertà” e “Salvatore”.
Io ho pensato bene di svilupparla in questo modo, trattando ancora una volta il tema dei sogni. Mi piace immagine che i personaggi di One Piece non dormano dei sonni proprio tranquilli, che tutti gli orrori che hanno dovuto passare li rivivano proprio quando dormono, quando il loro inconscio si manifesta. 
In fondo, Freud diceva proprio questo, che le nostre paure possono manifestarsi anche in questi aspetti. 
Da qui, ho sviluppato l’idea che Rufy sia l’unico che riesca a rilassare Law, al punto da farlo addormentare. 
Ritengo Rufy un personaggio piuttosto complesso, che in realtà nasconde una mente parecchio intricata, e prima o poi ci scriverò un’analisi psicologica sopra (??)
Forse è facile da descrivere (a proposito, non vi sembra che Law sia leggermente OOC?), ma sostengo che Rufy nasconde una psiche piena di sorprese. O almeno, questa è la mia idea, perché in fondo è solo un personaggio inventato, sono io che ci infilo la psicologia in ogni cosa che faccio! uu
Comunque, un mio headcanon riguarda proprio gli incubi, dei nemici con cui Rufy deve sempre avere a che fare. E sa benissimo come Law si sente, per questo decide di intrufolarsi nel suo letto, perché vuole aiutarlo.
(e perché gli piace dormire con Torao… *la picchiano*)
Non so, magari ho trattato il tema in maniera un po’ strana, ma a mio avviso Rufy è l’icona perfetta della libertà. La libertà per cui Corazon, salvatore di Law appunto, aveva lottato, per cui il nostro Chirurgo ha lottato per tutta Dressrosa.
L’immagine è tratta da una doujinshi della mitica Secco, che io amo tantissimo: Strings0
Andate a cercarla, perché è davvero stupenda! *w* 
Che dire, fatemi sapere che cosa ne pensate, accetto le vostre opinioni! :33
Ci si vede alla prossima con il Day Three: Friendship/Family
Grazie a tutti di essere arrivati fin qui. Per oggi, l’antro chiude! <3 
_Lady di inchiostro_ 

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Capitolo 3
*** Day Three ~ We are not mere friends ***


 
Ten Days of LawLu
~
We are not mere friends


 



 
Day Three: Friendship/Family (Nakama)
(Attenzione: spoiler per chi seguisse solo l'anime!)




«Mugiwara-ya, tu ed io non siamo amici, chiaro?»
Era sempre la stessa storia. Quando si trattava di parlare della loro alleanza, Rufy non faceva che rimarcare la questione dell'essere solo amici, di non aver alcun bisogno di responsabilità particolari, né di rispetto rigoroso verso il proprio alleato.
O almeno, era così che l’aveva posta ai samurai di Wano, con cui avevano appena stretto un ennesimo patto, e da quanto gli aveva detto il Cecchino tempo fa, tutto si era dimostrato fondato.
Rufy non aveva preso sul serio quest'alleanza: o almeno, non nel modo in cui Law avrebbe voluto. 
Per Rufy, quell'accordo scambiato a Punk Hazard, aveva lo stesso valore di quando s’invita qualcuno a far parte della propria combriccola di amici. Oramai, era come se Law fosse un membro della ciurma, e il chirurgo aveva persino il presentimento che, nel momento in cui avrebbero dovuto prendere strade diverse, Rufy avrebbe persino insistito nel chiedergli di esserlo; e se inizialmente Law avrebbe risposto con un tassativo no, adesso le cose erano notevolmente cambiate, e non sapeva come si sarebbe comportato al riguardo. Per quanto sostenesse che lui e Rufy non fossero amici, restava che provava qualcosa di nuovo per Rufy, qualcosa simile all'affetto e che andava anche oltre, che li faceva comportare in maniera bizzarra per due alleati/amici.
L'altra cosa che Law non poteva sopportare di quest'alleanza, era il suo non essere considerato dall'altro – anche qui, non nel modo in cui avrebbe voluto.
Preparava ogni sorta di piani e strategie, cercava di mettere d'accordo i capricci di Rufy con le sue idee, per poi non essere ignorato come il vento leggero in primavera quando stava parlando, o addirittura non veniva direttamente considerato nel momento di prendere una decisione.
Com’era successo poco prima, quando Rufy aveva preso da sé la decisione di aiutare il piccolo samurai, senza che chiedesse anche il suo consenso, dando per scontato che fosse d'accordo. Ma non era questo il punto, come gli aveva giustamente detto, piuttosto aveva sentito la lealtà nei suoi confronti minata sin nel profondo. E questo non era mai un bene, qualsiasi fosse la vera indole di un'alleanza. 
Alla fine, Law aveva accettato comunque, sottoponendosi a un rituale di “batti pugno” ridicolo, se non perché considerava la possibilità di avere Wano dalla loro parte per eventi futuri, almeno per non rompere il legame stretto con Rufy. 
E qua si ritorna al discorso di prima, che per quanto Law detestasse ammetterlo, per quanto odiasse l'atteggiamento imbarazzante di quella ciurma, c'erano volte in cui Rufy cadeva sempre in piedi con lui.
Quella volta, però, Law avrebbe messo le cose in chiaro una volta per tutte.
Rufy si era girato verso la fonte della voce, una mano tenuta sulla cupola del cappello, interrompendo la sua corsa per raggiungere Inurashi e Nekomamushi, che stavano più avanti a chiacchierare animatamente con i suoi compagni. Non voleva perdersi nulla delle avventure straordinarie di quei due, eppure non poté non fermarsi sentendo le parole di Torao, anche se erano rimasti entrambi un po' indietro.
Zou regalava uno spettacolo mozzafiato da quell'altezza, con la corteccia dell'albero Balena che sembrava percorsa da venature sottili.
Rufy guardò l'altro per un secondo, prima di scoppiare a ridere. «Torao, sei così buffo!»
«Guarda che io sono serio!» affermò il diretto interessato, ponendosi al suo fianco con un paio di passi. 
Rufy mise le braccia dietro la nuca e sorrise, e restarono in questo modo per una manciata di secondi, fin quando quella linea curva che delineava il suo viso non andò dissolvendosi. Non del tutto, giusto un po'; come se un'ombra scura ci fosse passata sopra a coprirla, ma non scura come il nero, di un’oscurità che poteva per assurdo dirsi più chiara, forse viola. Era un sorriso che, se si potesse descrivere con un sapore, sarebbe stato dolceamaro, avrebbe saputo di nostalgia.
«Lo sai, mi ricordi Ace quando fai così...»
Law sgranò gli occhi, anche se da sotto la visiera se ne vedeva solo uno.
Che cosa c'entrava Pugno di Fuoco?
«Sai, all'inizio non gli stavo tanto simpatico... La prima volta che mi ha visto, mi ha persino sputato in faccia.» Mosse un paio di passi, prima di fermarsi di nuovo, il gruppo davanti che non stava poi così lontano. «E quando siamo diventati fratelli, faceva di tutto per apparire come quello cui non interessava nulla di me. Tanto lo sapevo che era per finta, altrimenti... be', non sarei qui, ti pare?»
Rufy si voltò verso Law con un enorme sorriso, e si chiese quanto diavolo gli costasse quell'atteggiamento, col marcio che probabilmente gli stava bruciando la bocca dello stomaco fino a bucargliela. Lo sapeva, lo provava costantemente anche lui.
Rufy era anche questo, era colui che si intristiva nel ricordare, ma che era capace di andare comunque avanti, traendo la sua forza dalle briciole della famiglia passata che gli era rimasta – Sabo, Dadan, Makino, e tutti gli altri – e dalla nuova famiglia che si era creato.
Una famiglia dove chi tendenzialmente doveva rappresentare disciplina e autorevolezza, era trattato come un comunissimo sottoposto. Una famiglia dove, comunque andavano le cose, tutti riponevano fiducia nel proprio capitano, come nelle famiglie poco convenzionali, e Law capì subito che cosa si provasse a mettere nelle mani di qualcun altro una vita preziosa, un dono, come lui aveva fatto con la sua ciurma.
Il fatto che possibilmente Rufy lo credeva parte di una cosa del genere, parte di quella forza che lo mandava sempre avanti, lo faceva dubitare ancora di più sulle sensazioni contrastanti che provava per quel ragazzino.
Avevano ricominciato a camminare, non ancora troppo velocemente da raggiungere gli altri – eppure se qualcuno li avesse visti, avrebbe trovato buffo che si muovessero allo stesso passo, con la stessa cadenza, e con solo due centimetri a separare le loro spalle –, quando Rufy ricominciò a parlare, con l'espressione pura di sempre, come se avesse deglutito per intero quel boccone dolceamaro di prima. «Non credo neanche a te! Altrimenti, perché faremmo tutte quelle cose?»
Law scattò appena la testa verso l'alto. «Che intendi dire?»
«Ma sì, quelle cose che facciamo noi! Li fanno gli amici, no?»
Law aveva capito perfettamente a cosa si riferisse Rufy, ma cercò lo stesso di mantenere un certo contegno. 
Si riferiva alle cose strane che, solitamente, non erano tipiche di un'alleanza, di un'amicizia. Baciarsi, sfiorarsi, inspirare l'odore l'uno dell'altro, il respiro l'uno dell'altro, non erano certo cose che si associavano a queste due parole.
Rufy era troppo ingenuo, c'era un altro modo per definire tutto ciò, e Law lo sapeva. E non lo accettava.
Come non accettava le volte in cui Rufy gliela faceva sotto il naso e la passava liscia, le volte in cui lo ignorava, le volte in cui tutto questo gli era perdonato.
Non accettava che, in cuor suo, avesse già posto la sua vita nelle mani di Rufy, che l'aveva plasmata, gli aveva dato un aspetto nuovo, gli aveva fatto sentire la libertà di cui Cora gli aveva dato solo un assaggio. Non accettava che lui, per Rufy, fosse già un fonte di forza, fosse una medicina di cui aveva bisogno, una droga, l'unico che capace di riempire un vuoto simile a un cratere. 
No, tutto questo il suo cervello lo scartava, mentre il resto del suo corpo vibrava, come se rispondesse di a ognuna di quelle considerazioni.
Deglutì, Law, e sentì scendere i granelli di sabbia di un deserto lungo la gola, e la raschiavano. Che cosa doveva dire in quella circostanza? Fingere che non ci tenesse, come prima? Rufy l'avrebbe presa sempre come una bugia. Era tonto e perspicace, due cose che non andavano quasi mai di pari passo. 
Lo vide in attesa di un qualche segno, la testa inclinata di lato, e Law abbassò la visiera del cappello, combattuto, sconfitto su ogni fronte. E come al solito, la mente se ne dispiaceva, ma il corpo sembrava rizzarsi dalla gioia. Maledette debolezze!
«No, Rufy, quello che facciamo noi, non lo fanno gli amici...»
«Ah no? E allora perché noi lo facciamo?»
Law scese subito sulle sue labbra, assaporando quelle dell'altro, mentre quest'ultimo – colto alla sprovvista – prese a mordicchiare delicatamente le sue. Quando si separarono, gli altri erano ben lungi dal notarli. 
I loro respiri si mischiarono, e ognuno sembrava che potesse appropriarsi dello spirito dell'altro, di quello che si nascondeva nell'inconscio, nella parte più profonda del proprio io, quasi a sanarla.
Fu Law a rompere il silenzio, tipico di quegli atteggiamenti che decisamente stonavano tra due amici, decidendosi finalmente a parlare – e per lui valeva come una sorta di mezza confessione.
«Perché noi» disse «Non siamo semplici amici...»





Delucidazioni:
Che dire? Questa storia si può definire una What if?
Probabilmente sì, ma non potevo non fare rifermento a quanto successo a Zou, con Rufy che andava sbandierando che essere alleati equivaleva a essere amici!
(uso inappropriato di questa parola, ma comunque…)
Niente, quella scena è stata la gioia di tutte le fan LawLu *^*. Soprattutto quando Law si è offeso per essere stato messo da parte, quando poi batte il pugno con i suoi nuovi alleati, cosa che lui NON FAREBBE MAI DI SOLITO!
Niente Law. Ammettilo che sarei sempre fedele alla tua Waif…
*la portano via*
Okay, sto divagando, ma dopo la poca rilevanza che il Chirurgo ha avuto in questa nuova saga, mi sembrava giusto dedicargli un po’ di spazio, e quel capitolo è stato il pretesto perfetto per trattare questo prompt :33
Volevo fare intendere proprio quello che ho detto sopra – e che credo pensano la metà delle fan di questi due uu –, che hanno degli atteggiamenti che spesso fanno pensare ad altro. E, in questo caso, che fanno delle cose che i semplici amici non fanno.
Law non vuole ammetterlo, ma nel profondo sa che tiene a Rufy in un modo diverso a come si tiene a un amico, e approfitta dell’ingenuità del ragazzo per far credere che non sia così. Ma Rufy è stupido fino ad un certo punto: forse non sarà un esperto in amore, però certo sa che tra di loro c’è un rapporto più stretto di quello che si ha con un alleato.
Perché paragonare Law ad Ace?
Per certi aspetti, quei due hanno delle caratteristiche simili: entrambi sembravano volersi chiudere totalmente al mondo, entrambi hanno sofferto la solitudine e l’emarginazione. E, bisogna dirlo, certe volte Law ha degli atteggiamenti scostanti nei confronti di Rufy, quindi potrebbe essere plausibile che al gommoso venga da pensare al primo incontro avuto col fratello in questi momenti. 
E poi, ho inserito un po’ di nakamaship, che non guasta mai! <3 
Come sempre, fatemi sapere che cosa ne pensate, se vi sembra che il prompt sia stato sviluppato a dovere oppure no, se le caratterizzazioni sono andate a farsi benedire.
L’antro non sarà tanto attivo, ma anche se io momentaneamente non posso rispondere alle recensioni, le vostre opinioni contano tantissimo! <3 
Grazie di cuore a tutti! <3
Alla prossima con prompt: Alliance/Trust/Honor
_Lady di inchiostro_ 

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Capitolo 4
*** Day Four ~ Trust me ***


 
Ten Days of LawLu
~
Trust me



Day Four: Alliance/Trust/Honor







«Ti fidi di me?»
Rufy non sapeva come rispondere a quella domanda.
Si fidava di Torao?
Un tempo, avrebbe risposto con un'affermazione anche a occhi chiusi, un tempo in cui non si sarebbe mai sognato di sospettare di lui e delle sue intenzioni.
Anche a Dressrosa, quando sembrava che le cose stessero volgendo nel peggiore dei modi per la loro alleanza, Rufy continuava a fidarsi di Torao. 
C'era qualcosa adesso, però, qualcosa che bruciava all'altezza del cuore, un bruciore che serviva solo a distruggerlo, non a infuocarlo; era una fiamma blu, fredda, inesistente in natura, eppure sfrigolava all'interno di Rufy, e sembrava che gli sottrasse tutte le energie. 
Rufy alzò lo sguardo sul suo alleato, che lo fissava in attesa di una risposta.
«... Sì.»
«Non sei sincero.» Oramai conosceva i toni di voce di quel ragazzino come le proprie tasche, sapeva perfettamente quando stava mentendo. 
Rufy si morse un labbro e produsse uno sbuffo: sentiva gli angoli degli occhi pizzicare e la cosa lo metteva ancora di più in agitazione, era frustrante.
«Non mi fido delle tue intenzioni da adesso in poi, ecco...»
Law si pose davanti a lui, un po' scocciato. «Credi che non abbia un piano? Sei tu che fai le cose di testa tua!»
Rufy lo scrutò per un attimo, desideroso di poter leggere quei lineamenti del viso che non sapeva interpretare, quando l'altro lo leggeva con la stessa facilità di come leggeva un libro sulle malattie veneree. 
Poi abbassò lo sguardo, i proiettili di piombo ancora sul palmo della mano di Law, il sangue secco sui polpastrelli, sul petto, i fori da cui partivano quelle linee rosse e irregolari.
Rufy voleva morire.
Nel preciso istante in cui Doflamingo aveva sparato a Law e non aveva più percepito la sua presenza, Rufy aveva sentito le gambe cedere. Aveva solo avuto il coraggio di gridare.
Si rivide a Marineford, per una lievissima frazione di secondo, un'immagine fugace, una voce che rimbombava in testa. 
«Non cambi mai, Rufy!»
Anche allora le gambe provarono dolore, le ginocchia contro il pavimento di pietra, e dovettero sostenere due pesi, due corpi, e quello di Ace stava cominciando a diventare rigido e freddo. 
Anche allora Rufy aveva gridato con tutte le sue forze, aveva tirato fuori tutta l'aria che credeva di avere nei polmoni; ma questi non collassarono, non lo lasciarono agonizzante vicino al corpo del fratello.
Anche allora, mai come allora, Rufy voleva morire.
Solo che, quella volta, Rufy non aveva avuto la forza di combattere ancora. A Dressrosa sì, avrebbe voluto spaccare quelle sbarre che lo separavano da Torao, da quel corpo che pregò non diventasse freddo. Voleva spaccare a pugni la faccia ghignante di Doflamingo, fino a quando sarebbe stato abbastanza debole da perdere i sensi. 
Rufy era stato così sollevato di vedere Torao vivo, di sentirlo vivo, il fischio del suo battito cardiaco nelle orecchie, e i due cuori producevano un suono bellissimo, musicale e armonico.
Una parte di lui voleva abbracciarlo. Decise di non fare nulla, una bizzarra vocina simile a quella di Law nella sua testa gli disse che non era il momento, non davanti ad altre persone, che avrebbero avuto tutto il tempo del mondo. Eppure, era talmente sollevato, da sentire quella sorta di palloncino che riempiva ogni parte interiore del suo essere sgonfiarsi, era tornato a essere leggero come le nuvole che la mattina vedeva dalla polena della nave. 
In quel momento, però, non c'era più quella sensazione che lo faceva sentire oppresso, incapace di muoversi, di agire come avrebbe voluto. Era molto di più, scottava e lasciva il gelo, il sudore sui palmi era freddo. Bruciava e congelava come una consapevolezza. Rufy l'aveva capito da quei proiettili che ancora stavano sulla mano di Law.
Puntò le iridi in quelle dell'altro, parlando con voce sconvolta. «Tu vuoi morire...»
Trafalgar s’irrigidì, chiudendo il pugno e sbriciolando i proiettili con una forza che credeva di aver perduto dopo tutti quei colpi; o che non credeva di avere e basta.
«Lo sospettavo, dopo ieri sera...» Rufy ricordava ancora come la sua pelle fosse calda, bruciante, e avrebbe voluto che quel fuoco alimentasse quel tipo di sensazione: la sensazione di Torao che lo sfiorava col suo respiro, facendo rilassare i suoi muscoli, la sensazione di Torao che lo fissava dritto negli occhi, e sarebbero rimasti così per un'eternità che non sarebbe bastata comunque. «Non volevo crederci, ma dopo quello che è successo io...»
Rufy si fidava di Torao. Si era fidato di lui la sera prima, quando lui gli aveva assicurato che non gli avrebbe fatto male, mentre entrava dentro di lui, e Rufy – nascosto il viso nel cappello maculato che gli aveva precedentemente rubato – aveva cominciato ad avvertire una sensazione piacevole, una sensazione insolitamente dolce come quando ci si sta per addormentare, e si rese conto che era data proprio dal sentire Torao. Null'altro.
Rufy si fidava di Torao. Non si fidava di lui nel momento in cui affermava che non sarebbe morto, perché si vedeva che le sue intenzioni erano altre. 
Era quando mentiva che Rufy non si fidava. E senza rendersene conto, per la prima volta era riuscito a leggere il viso di Law con la stesse voracità di quando mangiava una fetta spessa di carne. Credeva di non riuscirci mai, eppure erano più le volte in cui era Rufy a capire il chirurgo, che non il contrario. Buffo, no?
Trafalgar mosse qualche passo, così da avere una distanza minima che lo separasse dall'altro. Lo guardò, gli occhi dell'altro che sembravano spaventati – come quelli di ieri sera, che evitavano di cercare il suo sguardo – e lucidi – anche qui, come quelli di ieri sera, dopo che si erano scambiati chissà quanti baci uno dietro l'altro. «Rufy, sai perché mi sono alleato con te?»
Cappello di Paglia parve spazientito. «Che c'entra in questo momento?»
«Rispondi alla domanda.»
La solita espressione gioviale tornò a dipingersi sul volto di Rufy, per una frazione di secondo, il tempo di ragionare. «Perché ti sono simpatico?»
Silenzio. «... No.»
«Perché vuoi usarmi come cavia non appena Kaido vorrà farti la pelle?»
Law alzò un sopracciglio. «L'ho sentito una volta da Nami...» spiegò l'altro.
«Idea che mi rispecchia, ma non è questo il caso...»
«Allora per fortuna?»
«Ascoltami, non l'ho ripeterò mai più un'altra volta.» Gli mise le mani sulle spalle, trovando tutta la forza di volontà che aveva per parlare. «Lo ammetto, ho avuto un'iniziale stima nei tuoi confronti. Hai colpito un Drago Celeste, e nessuno, me compreso, avrebbe mai avuto le palle di farlo. Hai rischiato il tutto per tutto per andare a salvare tuo fratello, e in te ho rivisto il me che non è riuscito a salvare la propria famiglia. Capisci, adesso, perché l'ho fatto?»
Rufy rimase interdetto, la bocca semi spalancata, mentre Law schiariva la gola e toglieva le mani dalle spalle dell'altro.
«Perciò, la domanda è ancora questa: ti fiderai di me e ti deciderai a fare a modo mio, per stavolta, senza andare urlando ai quattro venti che devi prendere a calci tutti?» 
Law aveva appena finto di completare la frase, puntando la custodia della sua spada verso il giovane e cercando di tornare il solito uomo apatico e passivo. Fallì miseramente. Fallì, e se l'aspettava, poiché era certo che Rufy avrebbe reagito davanti a quelle parole in cui Law aveva messo praticamente tutto se stesso, in cui aveva rivelato di avere delle debolezze. In cui aveva dimostrato che, dopo Sabaody, qualcosa era scattato nel Law tutto sorrisi e gestacci lanciati alla prima faccia da schiaffi che si piazzava sul suo cammino.
Law non era più lo stesso di prima. E una parte di colpa l’aveva proprio quel ragazzino che adesso l'aveva abbracciato di scatto, gettandosi su di lui, perché nell'arco dei due anni aveva pensato spesso a quali fossero le sue condizioni, mentendo a se stesso quando si diceva che non era rilevante.
Il naso di Rufy era piantato sulla spalla di Law, e inspirò profondamente prima di spiccar parola.
«Io mi fiderò di te nel momento in cui mi dirai la verità...»
Law deglutì. «No, Rufy, non ho intenzioni suicide.»
Il più piccolo si spostò, giusto per guardarlo meglio. Passarono i secondi, e Law sentì una goccia di sudore freddo che percorreva esattamente la linea della spina dorsale.
«Ora mi fido.»
Law fece un mezzo sorriso, ghignante, ed evitò di prendere fiato per il sollievo.
Rufy tornò nella stessa posizione di prima, il fischio di due battiti provenienti da due cuori diversi e uniti allo stesso tempo che rimbombava piacevolmente nelle sue orecchie come una musica nostalgica.
«Tu invece? Ti fidi di me?»
Law passò le dita su quelle ciocche scure, lasciando la fronte dell'altro scoperta. «Credi che mi sarei alleato con un folle come te, altrimenti?»
Rufy rise, avvicinandosi poi a Law, le punte dei loro nasi che si sfioravano, esattamente come la sera prima, quando stavano a fissarsi per ore che parevano decenni, secoli, millenni, eppure troppo veloci anche per loro. «Torao... tu mi ami?» 
Law rise alla sua sfacciataggine – quel ragazzino aveva appreso qualcosa da lui, alla fine. «Lo sai che non risponderò mai apertamente a questa domanda...»
Rufy gli morse il labbro inferiore prima di cominciare a baciarlo sul serio, la lingua dell'altro che schioccava all'interno della sua bocca. 
«Dillo per me... Ti prego...» ansimò, avventandosi ancora con i denti su quelle labbra invitanti.
La presa di Law si fece più salda sui suoi fianchi, e il fuoco blu e freddo sembrava che avesse ceduto un po' della sua forza innaturale quanto devastante alle mani di Law; e sebbene Rufy volesse sentire il tocco di Law il più possibile, quella volta le sue mani sporche di sangue gli mettevano i brividi. 
Il sangue è una sostanza che non va mai via. Si dice che si possa lavare via. La sensazione rimarrà sempre, lo stesso, e ti tormenterà per tutta la vita. Rufy lo sapeva bene, Law lo sapeva bene.
Si staccarono definitivamente nel momento in cui Law lo prese da dietro, per i capelli, costringendolo a guardarlo negli occhi e a posare la fronte contro la sua. Senza alcuna ragione, gli zigomi di Rufy si stavano rigando di pianto. Law non ci fece caso, i suoi occhi chiusi e concentrati a fissare la presenza di Rufy nella sua mente.
Respirarono nel medesimo istante, prima che Law parlasse.
«...Sì.»



Non si fidava.
Non ci credeva. Non credeva neanche alla vocina, fastidiosa e insistente, simile a quella di Law che adesso trovava graffiante, che gli diceva che sarebbe andato tutto bene. 
Per questo gli aveva chiesto di dire ad alta voce quello che provava, in modo che quel tono di voce potesse mischiarsi al singolo battito del suo cuore, e non sarebbe stata una semplice melodia, ma un'intera esplosione.
I suoi occhi avevano parlato al posto della sua voce, dei suoi pensieri, e le lacrime ne erano la prova.
Rufy voleva crederci, voleva fidarsi, anche se in cuor suo la fiamma continua ad ardere di uno splendente azzurro ghiaccio.
E ora, col ghigno che avrebbe voluto far sparire dalla faccia della terra di Doflamingo alle sue spalle, Rufy era tornato a provare la sensazione del sangue sulla pelle. Dei polmoni che si svuotano per le urla. Delle ginocchia che tremano. Dell'intero corpo che trema per la rabbia, la disperazione, tutte le sensazioni maligne di questo mondo. 
Era tutto vero. Era un incubo.
Un incubo in cui Law attuava l'atto suicida che aveva in mente sin dall'inizio. Un incubo in cui Rufy stava in mezzo al lago di sangue in cui riversava l'ennesimo corpo rigido e freddo.

 



 



Delucidazioni:
Okay, sì, questa storia è una What if? ambientata prima che questi due si ritrovino davanti a Doffy. 
Perché una What if?
Sapete tutti che hanno avuto un ben altro tipo di discussione (“Andare a dire che prenderai a calci tutti, non risolve i problemi!” Ah Law, quanto sei patato quando rimproveri la tua Waifu! <3 *le tirano una cosa sul naso*), e poi dovrebbe comparire anche Sugar...
In realtà, non sapevo bene come trattare questo prompt, ero indecisa, fino a quando non ho trovato questa doujinshi, 37.2 C°, della mitica Secco, che mi ha ispirato da morire! *o*
Ho cominciato a rimuginare sul fatto che Rufy potesse non sopportare le bugie, o l'idea che Law potesse morire, per questo è uscito fuori questo: un Rufy arrabbiato, preoccupato, un Rufy che vuole crede con tutte le sue forze a quello che gli dice il Chirurgo, anche se sa che non è vero. 
Io spero di non aver reso i personaggi OOC, e so di aver già parlato del motivo che ha spinto Law ad allearsi con Rufy, ma le storie della raccolta non seguono un filo logico, sono a sé (tranne il Day Nine, che si ricollega a questa...)
Insomma, spero che la storia vi sia piaciuta ugualmente! :')
La scena finale rappresenta il momento in cui Rufy rinviene il "cadavere" di Law. Quella scena mi causa un dolore immenso, vedo il mio Rufy che trema e mi viene da piangere! t^t
(poi mi dicono che non si amano... *la buttano fuori a calci*)
Va bene miei prodi, vi ringrazio tantissimo per i vostri commenti e per quello che direte in futuro! <3 
Me ne vado in groppa a un cavallo bianco (?) e ci si vede alla prossima! ;) 
_Lady di inchiostro_

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Capitolo 5
*** Day Five ~ Remembering ***


 
Ten Days of LawLu
~
Remembering



 
 
Day Five: Memory







Non tutti hanno il coraggio di ricordare. 
Ricordare non porta sempre belle sensazioni, non è per forza un fluire di pensieri positivi, inconsistenti, cristallini come la rugiada sui boccioli.
No, al contrario, capita più spesso che ricordare implichi delle sensazioni brutte che vengono a galla come un calderone di acido bollente, o come delle anime dannate che ti stringono il cuore in una morsa troppo forte. Non sono inconsistenti questi ricordi, al contrario sono carichi, come una matita nera sul foglio bianco, carichi di male e densi di veleno. 
Per questa ragione, Trafalgar Law era una di quelle persone che non voleva ricordare. Odiava quelle sensazioni, con tutto se stesso. Bastavano gli incubi assillanti e onnipresenti a richiamare alla mente tutto ciò che aveva vissuto, non c'era bisogno che lo facesse anche quando era sveglio. La sua mente aveva bisogno di altro, affamata com'era di sapere, aveva bisogno di tenere lontano i ricordi, le emozioni, i sentimenti, come fa uno scacciapensieri. 
Law non riusciva davvero a ricordare. L'idea di dover mostrare i suoi incubi anche alla luce del sole, in un certo senso, lo spaventava. Avrebbe voluto che la vita fosse fatta soltanto di conoscenza, vero nutrimento per la mente, ma si rese conto che questo non era possibile. E se ne rese conto proprio stando accanto a Rufy, una persona che trovava sempre un pretesto, anche minimo, per ricordare qualsiasi cosa. Passava dal narrare qualche aneddoto con la sua ciurma, a raccontare la prima volta che aveva catturato uno scarabeo. 
Rufy era così: inconsistente come le nuvole e i ricordi belli, che brillavano, e lui lasciava che quella luce fosse tanto accecante da sgretolare quella linea netta e buia che tentava di attraversarlo. 
Ogni tanto, però, quella linea riusciva a passare, forse lievemente, ma lasciava comunque Rufy in uno stato di serietà innaturale, di calma. Non c'era disperazione, era una sorta di aura da un colorito non ben precisato, e si avvertiva sui peli della pelle una sensazione di rassegnazione, tristezza, un pizzico di rabbia, o forse odio. Law non riusciva mai a definirla, perché era diversa dalla sua che si poteva subito avvertire da come trasaliva svegliandosi, sembrava quasi che non la potessi raggiungere.
Come quando Law avvertì la stessa medesima sensazione non appena passò vicino alla polena della nave – molto somigliante alla testa di Rufy –, e lo trovò lì, "seduto" su quello che doveva essere la rappresentazione del suo cappello. All'apparenza tutto sembrava normale, eppure Law continuava ad avere un presentimento strano, fastidioso, ed era tentato o meno di oltrepassare quel confine delicato come un castello di carte.
Alla fine lo fece, con un passo che sembrò quasi un soffio, e il castello rimase ancora in piedi, traballante. Forse sarebbe caduto non appena Law avrebbe raggiunto Rufy, scalando quella polena bizzarra e al quanto ridicola a suo avviso, spezzando completamente il momento delicato in cui il giovane si trovava.
Non successe. Law salì sulla polena e calò il silenzio, come prima, come se il castello di carte avesse riacquistato miracolosamente il suo equilibrio; o come se non l'avesse mai perso. Law poté studiarlo per benino, il naso rivolto al cielo, la bocca lievemente piegata all'ingiù, gli occhi chiusi, la mano sul cuore, sulla cicatrice che si stagliava sul petto in un tenero colorito roseo. Rimase così, immobile, per chissà quanto tempo, e sembrava che avesse persino dimenticato di respirare. Finché non inspirò profondamente e buttò fuori tutta l’aria, e fu in quel momento che aprì gli occhi e cominciò a parlare.
«Stavo pensando ad Ace...» Non si era girato, ma sapeva che accanto a lui c'era Torao, nessuno si muoveva tanto silenziosamente. E nessuno aveva il suo buon odore... 
«Come mai?»
«Siamo passati vicino a un'isola autunnale, ricordi?» Era successo pochi minuti prima: un'isola piuttosto tranquilla per gli standard del Nuovo Mondo, a parte per il forte vento che rischiava di mandarli indietro e di spezzare l'albero maestro.
«Vedere gli alberi di quei colori... Mi ha fatto pensare che io, Ace e Sabo facevamo sempre le lotte con le foglie, in autunno…»
Law non disse niente, permettendo così a Rufy di continuare.
«Era un sacco divertente, anche se ero sempre io quello a essere sommerso di foglie!» Mise il broncio e poi sorrise.
«Cosa c'è di diverso, allora?»
«Come?»
«Di solito, ricordi queste cose con una naturalezza disarmante, ma oggi hai deciso di startene qui da solo, e non è la prima volta che succede...»
Rufy non aveva guardato ancora Law in faccia, perciò non si accorse del brivido che percosse la colonna vertebrale del chirurgo. Eccola, l'aura era tornata, e Law ci si sentiva dentro come in un palloncino. O come le sue vittime nella sua Room. E adesso comprendeva il loro sguardo di panico puro stampato in faccia – anche se il suo sapeva più di disagio in quel momento. Non era piacevole. 
«Perché ho pensato che, appena rivedrò Sabo, gli proporrò di fare questa gara ancora, anche per Ace... Anche se non sarà lo stesso senza di lui...»
Finalmente si girò verso Torao e, inclinando la testa, abbozzò un sorriso. «Da qui ho cominciato a ripensare al resto...»
Law lo fissò per un po’, prima di spostare lo sguardo sul mare colorato di arancione dal tramonto, come una spruzzata di acquerello su un dipinto. 
Rufy era così, ricordava e sorrideva, moriva dentro e non lo dava a vedere, aveva gli incubi durante il sonno e automaticamente cercava la sua mano, uno dei pochi con cui sentiva che, diamine, c'era sintonia tra i loro sentimenti, le loro paure. Questo era Rufy. 
«Come fai?»
«A far cosa?»
«A ricordare senza soffrire...»
Attimo di silenzio. «Non è vero che non ci sto male...»
«E allora perché lo fai?»
«Perché voglio ricordare!» Rufy sorrise, raggiante, una mano sempre a tenersi il cappello. «Voglio ricordare le cose belle e combattere quelle brutte.» S'interruppe un attimo, prima di continuare, come se un pensiero gli fosse passato per la mente e stesse cercando di formularlo. «Ace non credo voglia che io pensi alle cose successe durante la guerra. A volte mi succede, ma ci sono sempre i bei momenti a farmi da supporto! E con Ace ne ho tanti!»
Il sorriso di Rufy era sempre lì, non se ne andava, e Law sbatté le palpebre sempre più incredulo. 
Incredulo, perché lui non ci riusciva. Per quanto cercasse di ricordare lo splendore di Flevance, i sorrisi dei suoi cari, Corazon che lo faceva ridere, puntualmente tornava l'orrore, il vuoto, il sangue a divorarlo vivo. Per quanto cercasse di trovare degli aspetti positivi nel suo passato – perché la vita no, quella era preziosa e un senso ce l'aveva – Law non ne trovava. Non li aveva trovavi, o forse non li aveva mai cercati a dovere. 
Rufy, d'altro canto, li trovava in ogni minima cosa, anche stupida, con questi combatteva i suoi demoni, e vinceva ogni giorno, perché anche la sua vita aveva un senso. I sacrifici di una vita per una vita hanno sempre un senso. 
Nessuno degli artefici avrebbe voluto essere la causa di tanto dolore, ma erano pur certi che ce l'avrebbero fatta da soli, ognuno a modo loro. 
Senza rendersene conto, Law aveva cominciato a ricordare: il festival, il sorriso di sua sorella che gli offre il gelato, un sorriso genuino e puro come quello di Rufy, che automaticamente si trasformava in una macchia rosso fuoco, trapassata da schegge di legno e vetro.
Distolse lo sguardo ed era sul punto di togliere il disturbo, quando Rufy gli disse: «Siediti dietro di me.»
Law alzò un sopracciglio. «Perché?»
«T’insegno come si fa!»
«Mugiwara-ya, io...» Stava per dirgli che non ci riusciva, che i suoi incubi erano troppo radicati dentro di lui, come un germe che crea il suo nido nello stomaco, come quando la morte si porta via l'anima: era il vuoto. 
Ma il sorriso affabile che gli rivolse Rufy, lo convinse a restare, non senza un'alzata d'occhi al cielo. 
Si mise alle sue spalle, in modo che Rufy potesse distendersi su di lui, potesse sentire la sua pelle calda, il suo profumo inebriante. Sorrise lievemente, ed era bello lasciarsi cullare dal battito del suo cuore, poter avvertire i suoi muscoli rilassarsi.
A Rufy bastava questo, bastava la presenza di Torao, il suo profumo per stare bene. E lo stesso sembrava per Law, che a un tratto si ritrovò a combattere tra il desiderio di stringere quel corpicino ancora di più a sé o di lasciar perdere.
Poi, Rufy gli spiattellò le mani sugli occhi e lui si concentrò su altro. 
«Mugiwara-ya, cosa diavolo...»
«Prendi un bel respiro e prova a ricordare, su!»
«Rufy, non credo proprio...»
«LAW!»
Quest'ultimo alzò ancora gli occhi al cielo, pronunciando un "okay", per poi prendere un bel respiro.
E all'improvviso apparve. Il sorriso di sua sorella Lamy che gli chiedeva di giocare con lui, un sorriso che credeva di non rivedere mai più. Un sorriso che avrebbe voluto trovare tutte le mattine non appena si alzava da una bella dormita. Un sorriso che trovava ogni giorno in Rufy, e per un attimo se li immaginò insieme, complici, in un tacito accordo che riguardava lui.
Law, di stella custode, non ne aveva una, ma tre, ed era buffo come una di queste fosse tanto piccola eppure la più interessata a proteggere il suo fratellone.
Non è detto che debbano essere sempre i fratelli maggiori a proteggere i più piccoli, no?
Ci sono volte in cui i minori lo fanno per loro, e non se ne accorgono, nessuno delle due parti. Entrambi danno tutto ciò che possono e non è mai abbastanza. E i fratelli maggiori non si sentono mai all'altezza. 
Law, automaticamente, volendolo o non volendolo, strinse quel corpicino a sé, mentre Rufy alzava il capo per guardarlo meglio. Aveva la bocca semi spalancata, quasi incredula.
«Ci sei riuscito?»
Non rispose subito, ebbro adesso di quell'aura che era diventata inconsistente – o consistente, dipende da chi riesce a coglierla – come le nuvole. 
Ed era stato Rufy a permetterglielo, dopo anni.
La stessa fonte che aveva già rotto le catene delle restrizioni, delle privazioni. Solo una persona al mondo è in grado di riuscirci – e in questo caso, solo una persona al mondo è in grado di ridare a Law i suoi sentimenti e le sue emozioni –  e quella persona è quella giusta. 
Law prese un bel respiro, le mani di Rufy morbide e candide sul suo viso ispido.
«Rufy… Ti ho mai parlato di mia sorella?»





Delucidazioni:
La mia beta sostiene che questa sia una delle migliori storie che io abbia mai scritto. Nella mia testa doveva venire in un altro modo, ma mi fido del suo giudizio c': *le lancia biscotti*
Comunque, qui ho preso la palla al balzo per trattare il tema del ricordo, a me molto caro. Come ben sapete, mi piace molto lavorare sulla psiche dei vari personaggi, men che meno con One Piece, le cui critiche più efferate lo accusano di avere dei personaggi privi di spessore. 
Non la penso così, a mio avviso tali personaggi hanno una mente che una persona senza nulla da fare potrebbe benissimo analizzare. 
In questo caso, ho trattato di un Law che ha paura di ricordare, che ha paura di soffrire ancora, che si porta ancora il peso di un dolore troppo grande. E poi abbiamo Rufy, che invece riconosce che ricordare è importante, perché lui non vuole dimenticare nessuno, anche se sa che soffrirà parecchio.
(cose random: sono stata felice di sapere che non sono l'unica a pensarlo, Tumblr realizza i miei headcanon, WTF?! Per ulteriori informazioni, potete cercare la scena nel blog askluffyandlaw)
Mi piaceva l'idea di un Rufy che aiutava Law a ricordare, non solo le cose brutte, ma anche quelle belle. Ripeto, l'idea iniziale era diversa, spero abbiate apprezzato tutti! :33
Ancora grazie a tutti voi, prometto che risponderò a ogni singola recensione non appena potrò! <3
(*gli esami la risucchiano via*)
E un grazie particolare va a LysL_97, la mia beta, che mi odia perché inserisco Lamy senza alcun preavviso :') <3 
Alla prossima, miei prodi! *fa saluto militare*
_Lady di inchiostro_

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Capitolo 6
*** Day Six ~ I do not want to lose you again ***


 
Ten Days of LawLu
~
I do not want to lose you again



 
Day Six: Loss/Change




Trafalgar aveva ancora stampato bene a mente la scena di Rufy che si disperava ad Amazon Lily. 
Era rimasto incredulo, non credeva che nessun essere umano fosse capace di arrivare a tanto, di scaraventarsi da un sottomarino, distruggendolo parzialmente. 
Era rimasto basito, gli occhi totalmente spalancati, la bocca semi aperta, perché si rese conto che la disperazione di Rufy era tanto simile alla sua, un semplice ragazzino allora, quando aveva gridato per la prima e ultima volta di un dolore non fisico. 
Anche lui si era dibattuto col terreno, e le mani di Rufy che affondavano le unghia nella terra erano come le sue, che allora si scheggiarono, si graffiarono, si squarciarono.
E quel grido di disperazione che invocava il fratello, che chiedeva disperatamente dove fosse, aveva lo stesso suono stridulo del suo, quando allora aveva chiamato con tutte le sue forze sua sorella mentre l'ospedale andava in fiamme.
Law aveva fatto di tutto per tornare lucido nonostante le gocce di sudore freddo che gli bagnavano la schiena, l'innaturale tremore delle mani, gli occhi che non la smettevano di perdersi in una coltre grigiastra e fatta d’immagini a cavallo tra passato e presente. Law ce l'aveva messa tutta, ma la verità era che Rufy l'aveva impressionato. 
Gli aveva fatto riscoprire un lato che non credeva di avere, un lato fatto di emozioni, sentimenti; di preoccupazione, di disperazione. 
Provò con tutto se stesso a tornare quello di sempre, a tornare la giovane Supernova tutta sorrisi e sarcasmo, eppure il suo sguardo non la smetteva di posarsi sulla cupola di quel cappello che, senza alcuna ragione apparente, non voleva lasciare dalle sue mani. E le sue dita andavano a stringere la tesa con forza, lo facevano ogni volta che i suoi parlavano delle possibili condizioni di Cappello di Paglia, lo avevano fatto quando il Re Oscuro affermò che lui l'aveva salvato. 
Qualcosa era cambiato in Law. E se ne rese conto lui stesso, già quando aveva ordinato ai suoi di fare rotta per Marineford. In cosa consistesse questo cambiamento, Law lo scoprì dopo molto tempo, come anche la ragione del suo gesto sconsiderato, di salvare un suo possibile rivale; e la ragione del suo turbamento al risveglio di Rufy, al suo controllare insistentemente come stesse. 
Qualcosa era cambiato in Law, qualcosa per cui non era la stessa persona di due anni prima, quando rivide Rufy a Punk Hazard. I sogghigni e il sadismo li usava solo con i nemici, proprio come se stesse indossando una maschera e stesse recitando un ruolo. Lui, però, non era più così. Nessuno poteva dirlo con certezza – per gli altri, ogni persona può apparire come più gli piace, non ci sono certezze nelle idee che ci facciamo di una persona –, se non Trafalgar stesso. E se ne rese conto, perché c'era qualcosa di diverso nel suo modo di approcciarsi a quel ragazzino, nella sfumatura della sua voce non c'era più la voglia di stuzzicarlo o di prenderlo in giro. Certo, quel ragazzino era sempre un folle, e se Law fosse stato quello di un tempo, di certo l'avrebbe fatto a fette con tanto di sorrisetto compiaciuto, e l'avrebbe mandato a quel paese. Ma non lo fece. E non poté fare a meno di chiedersi se avesse venduto la sua dignità da qualche parte. 
Ben presto, Trafalgar Law si rese conto che la risposta a tutte le sue domande l'aveva già, nascosta in una piccola parte di sé, e lui sapeva di possederla, ma non voleva comunque tirarla fuori. Non voleva tirare fuori la verità, l'idea che Rufy fosse la causa di questo suo cambiamento, che quello che provava fosse la causa di questo suo cambiamento. L'idea che, per quanto trovasse ridicolo perdere le staffe con lui, tutto questo potesse essere una ventata di aria fresca per Law. Un modo per abbassare la maschera, per una volta, ed essere se stesso. E con Rufy gli veniva così naturale, che quasi avrebbe fatto a meno di quella maschera – peccato che gli servisse contro i restanti rivali del Nuovo Mondo, quel ragazzino era un caso a parte. 
Law avrebbe tirato fuori la risposta alle sue domande solo molto tempo dopo, quando già tra lui e Rufy era nata una salda complicità, un saldo rapporto. E il suo cervello lo elaborava, mentre osservava come quel folle si gettasse dall'isola elefante come se fosse un trampolino. 
Law non se lo chiese più il perché di quei sentimenti, semplicemente li accettò e basta, accettando anche le sue preoccupazioni verso il folle che stava prendendo lo scontro contro uno dei Quattro Imperatori come una passeggiata in un negozio di caramelle. 
Law non se lo chiese più. Neanche dopo la separazione. Neanche dopo la vittoria su Big Mom. Neanche dopo lo scontro contro Kaido. Semplicemente, agiva e basta.
Per questa ragione, la prima cosa che fece quando vide Rufy agitarsi nel lettino appositamente allestito per lui, in un groviglio di fili e bende, fu precipitarsi su di lui. 
Lo scontro con l'uomo considerato immortale aveva portato allo stremo il corpo del gommoso – e Law trovò buffo che il destino gli stesse facendo rivivere la stessa scena due volte, come un déjà-vu, perché anche nel suo sottomarino giallo aveva intimato a Rufy di star fermo. Tutti erano allo stremo, persino lui aveva temuto il peggio per la sua vita, ma quello che rischiava di più era proprio il capitano della Sunny. Tutti erano preoccupati per lui: la sua ciurma, l'intero paese di Wa che gli era infinitamente grato... Law stesso. 
L'idea che potesse non farcela, aveva sfiorato le menti di tutti, per quanto fossero pieni di fiducia verso Rufy, però i demoni arrivano sempre, sembrano dei fantasmi rivestiti di nero che ti trapassano l'anima, quasi risucchiandola. Paura e disperazione non se ne vanno tanto facilmente. 
Come la paura di cui erano rivestiti gli occhi di Rufy ora spalancati, la disperazione di cui era rivestito il suo corpo che si dimenava. 
Aveva avuto paura di perderlo, Rufy. Aveva temuto di perdere Torao, scaraventato come una bambola di pezza prima che lui cominciasse lo scontro con Kaido. Si era disperato, come a Dressrosa, perché già allora non voleva perderlo. Non poteva perderlo.
Aveva avuto paura, Law, perché Rufy sembrava non volersi riprendere. Non poteva perderlo, come già non voleva perderlo ad Amazon Lily, mentre lui riposava nel suo sottomarino, solo che le risposte a tutto erano ancorate con catene spesse e dure. 
Ma ora, era tutto finito. Rufy stava bene, era sveglio, e per quanto Law cercasse di farlo tranquillizzare, afferrando con forza le sue braccia e assumendo un tono rabbioso, sentì che il macigno di preoccupazione che gli gravava all'altezza del cuore si sgretolava mano a mano che andava respirando. 
Tutto era troppo simile a quando Rufy aveva avuto gli incubi dopo la sua prima operazione, probabilmente i demoni erano tornati a privare la sua anima del suo solito tratto gioviale, la mente che si riempiva di una nuova consapevolezza, di aver perso qualcuno e di poter perdere ancora, di poter vedere un’altra vita sgretolarsi davanti ai suoi occhi. La vita di una persona per cui, la sua esistenza, l’avrebbe sacrificata volentieri, nonostante tutti i propositi di voler raggiungere i suoi obiettivi. Erano tornate, con tutta probabilità, le immagini della guerra, del fratello, unite a quello dello scontro di poco prima, o del corpo di Torao sporco di sangue a Dressrosa. 
«Rufy, sta calmo!» I suoi occhi erano stralunati, guardavano ma non osservavano, cercavano ancora di ricollegarsi alla realtà che gli sembrava ancora sfocata. «Sono io!»
Rufy continuava a scuotere la testa, come se chiedesse pietà, pietà a quei demoni che non la smettevano di mandargli immagini distorte del suo Torao.
Law lasciò la presa sulle braccia, ora libere di muoversi, per prendere il viso dell'altro tra le mani e costringerlo a fissare i suoi occhi su di lui, a pochi centimetri. 
«Rufy, guardami! Sto bene!»
Rufy ci mise un po' prima di rendersi conto che quello che aveva davanti era realmente il suo alleato, il suo compagno, vivo e vegeto, che gli parlava, che lo stava toccando. Era vivo.
«Law...» mormorò, e il suo respiro denso appannò la mascherina di plastica  che aveva sul viso.
«Sì, sono io...» Abbozzò un mezzo sorriso, anche se non fu sicuro della sua riuscita.
«Law... Law... Law!» Il suo nome era una cantilena che avrebbe ripetuto all'infinito, come una ninna nanna che cantano le madri ai figli per cullarli in sonni docili. Avrebbe fatto capitolare quel nome sulla sua lingua, sulle sue labbra per tutto il tempo necessario a fargli sentire che lui c'era, che non se n'era andato. 
«LAW! LAW! LAW!» Rufy si strappò la mascherina, e con un rapido gesto fu tra le braccia dell'altro, e lui lo stava stringendo con foga, come anche il chirurgo, era tutto reale, finalmente.
Sarebbe voluto rimanere così per tutto il tempo necessario, perché Torao era ancora con lui, lo poteva ancora stringere, lo poteva ancora sentire respirare sul suo collo, e Rufy pianse appena per il sollievo. 
Si spostò giusto per guardarlo, le mani portate sul viso dell'altro, e i polpastrelli poterono sentire il piacevole e reale tatto di quella pelle ispida a loro tanto familiare. 
«Law...» Gli occhi di Rufy vagavano in ogni centimetro di quel volto, alla ricerca disperata di tutti quei tratti che oramai conoscevano.
«Ciao...» sussurrò appena l’altro, anche le sue mani sul viso di Rufy, su quei zigomi sempre rossi e caldi – e in quel momento, Law non li aveva mia sentiti così bollenti –, sorridendo come meglio poteva. 
Le lacrime di Rufy si fecero più copiose, e il ragazzino si lasciò persino sfuggire un singhiozzo prima di cominciare a baciarlo. E quelle labbra, oh, erano così reali e tiepide per entrambi, delle labbra il cui sapore era familiare ma che lasciava comunque un pizzicore nuovo. 
Si staccavano e si baciavano quasi ad alternanza, e avrebbero continuato così per tutto il tempo del mondo. 
Sono queste le cose di cui non si possono fare a meno quando si sta per perdere una persona cara. Le cose più stupide, più banali, come sentire che quella persona c'è col suo calore corporeo, diventano le più preziose in questi momenti di oppressione e panico. 
Rufy si staccò per posare la sua fronte su quella di Law, emettendo altri singhiozzi, e sembrava un bambino che piange irrefrenabilmente. «Sei vivo...»
«Sei vivo...» ripeté l'altro.
«Temevo di perderti...»
Law emise un ghigno sommesso «Guarda che qui tutti temevano per la tua incolumità!»
Rufy accennò una risata e si asciugò il moccio col dorso della mano. «Vi ho fatto preoccupare?»
«L'importante è che adesso stai bene... e che abbiamo sconfitto un altro Imperatore.»
Il moro annuì e tornò a stringere il più grande, la testa che cercava di insinuarsi dentro l'incavo di quel collo in cui Rufy si sarebbe rifugiato volentieri a vita. «Cosa credi che succederà adesso...?»
«Non so...»
Entrambi non si riferivano soltanto alle conseguenze che si sarebbero riversate su di loro dopo questo scontro memorabile; no, parlavano soprattutto di cosa sarebbe successo alla loro alleanza, che oramai non aveva più motivo di esistere. Eppure, troppe cose erano cambiate, in Law, in Rufy, tra loro due, per far finta che non fosse successo niente.
E quello che era da poco successo, la sola possibilità di perdere l'altro, aveva dato conferma a questi loro dubbi. 
Sarebbero stati in grado di mettersi l'uno con l'altro?
«Torao... devo dirti una cosa...» disse Rufy, mettendosi di nuovo davanti al chirurgo, pentendosi quasi subito per ciò che stava facendo, perché a Torao non piacevano i sentimentalismi, e perché la cosa avrebbe aggravato ancora di più i loro dubbi sul loro rapporto, e...
«Ti amo anch'io.»
Rufy rimase un attimo sorpreso dall'affermazione di Law.
«Era questo che volevi dirmi... vero?»
Rufy sbatté le palpebre, sorrise e diede un altro bacio a Law, sulla guancia e sulle labbra. «Ti amo.»
Continuarono così, a scambiarsi baci, a stringersi, finché non si decisero ad informare gli altri del risveglio di Cappello di Paglia. 
Non ci furono risposte quella volta. E anche lì, c'erano e non si vedevano, giocavano a pugni con le domande. Alla fine, però, i due arrivano a un accordo. Un accordo che metteva insieme cambiamenti e preoccupazioni. 
Ma questa, è un'altra storia. 





Delucidazioni:
COSA É?
No, sul serio. Con un prompt del genere, uno si aspetterebbe una storia su Ace o Corazon, e invece io tiro fuori una roba del genere che non segue neanche le linee della trama, e Oda sta buttando tutti i suoi appunti per terra dal dolore! (?)
Okay, per i coraggiosi arrivati sin alla fine, la storia sarebbe una Missing Moments, ovviamente ambientata nel momento in cui l'alleanza, di fatto, non ha più motivo di esistere.
(non fatemi pensare a una cosa del genere, ve ne prego, il mio cuore già soffre nel vederli separati t^t)
Da parecchio volevo analizzare la reazione di Law al risveglio di Rufy dopo Marineford: nel manga non si vede, ma la trasposizione animata ha aggiunto una scena che, boh, poi mi dicono che non li shippano! uu <3
E niente, l'ammetto, mi piaceva troppo l'idea di un Law che tentava di far star calmo Rufy, perché lui è lì, è vivo e sta bene. E mi piaceva l'idea di loro due che si abbracciavano! *^* <3
L’idea delle “maschere” è ripresa un po’ dalla poetica di Luigi Pirandello, che io amo da morire (sì, sto cercando di fare l’acculturata, non si vede?)
So bene che forse sto rendendo la raccolta un po' smielata, e che forse Law non è caratterizzato alla perfezione, perciò ditemelo se la pensate così! :'D
Critiche costruttive sempre accette!
Regalo caramelle a voi, oh impavidi, che avete attraversato la fitta foresta di questa fic senza vomitare (?), mentre mi dileguo.
A presto (mi auguro per voi di no)
_Lady di inchiostro_

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Capitolo 7
*** Day Seven ~ I will help you! ***


 
Ten Days of LawLu
~
I will help you!



Day Seven: Will of D





Trafalgar era solo un ragazzino quando Corazon gli confessò quella storia, quella specie di leggenda su uomini capaci di rovesciare il potere dei Draghi Celesti. 
I possessori della D.
Inizialmente, non ci aveva creduto molto: non riteneva possibile che una semplice lettera potesse contenere una forza tale, una volontà tale, da portarti a dominare persino su i Draghi Celesti, gli uomini più potenti del mondo. O meglio, non credeva che Corazon fosse pazzo, che quella storia se l'era totalmente inventata, ma era pur sempre una leggenda. Si sa, le leggende hanno un fondamento veritiero e poi si perdono in milioni di piccolezze fasulle. Forse, un tempo c'era stato un clan, compatto e omogeneo, che si era distinto rispetto alla popolazione mondiale, che era riuscito a far sentire la sua voce al Governo. Magari col tempo, però, questa caratteristica, quest'unione, era andata perdendosi, poiché l'unica cosa che gli aveva portato l'avere quella lettera nel nome era solo altri guai.
Niente forza di volontà, niente voglia di predominare sugli altri, solo quella di distruggere tutto e di lasciarsi andare.
Che Corazon fosse morto per proteggere soprattutto lui e non il suo nome, il clan della D., che alla fine faceva di Law un essere ancor più speciale, era stata solo una fatalità del destino.
Il futuro "Chirurgo della Morte" non ci credette per parecchio tempo, lasciando la morte del suo salvatore da parte, come un capitolo della sua vita chiuso in un cassetto nella sua testa.
Pensò a farsi un nome, a diventare qualcuno – non che gli importasse granché, alla fine –, a crearsi una ciurma tutta sua.
Come un pirata. Un pirata cresciuto per buona parte da un Marine.
Law credette sempre meno alla storia della D., finché non cominciarono a essere diffuse notizie delle prodigiose imprese di personaggi che portavano quella lettera nel loro nome.
E allora, ecco che la discussione tra lui e Corazon, nel silenzio innaturale intorno a loro, saltava fuori dal cassetto prepotentemente, insieme alla consapevolezza che c'era qualcosa che doveva ancora fare.
Dare un valore a quella vita che Corazon gli aveva dato a costo della sua – perché lo sapeva, lo sapeva che alla fine la questione della D. era solo una dannatissima scusa, lui in realtà era morto per lui, per proteggere lui e nient'altro. Dimostrare che il suo nome, sì, potesse vincere sulle angherie di un mostro come Doflamingo. 
E per quanto continuasse a rimanere una favola che si raccontava ai bambini ricchi per spaventarli, Law non poteva fare a meno di pensare che gli sarebbe piaciuto essere l'uomo nero che veniva a mangiarli durante la notte. 
Voleva credere, per una santa volta, che non fosse solo la forza a determinare le capacità di una persona di battere o no un'altra, ma che potesse esserci anche qualcos'altro.
Quando si recò alla casa d'aste, quella volta a Sabaody, quest'idea gli ronzava da parecchio in testa; inconsapevolmente, era andato lì, proprio in una zona di proprietà della sua nemesi, forse perché voleva riuscire a riscattare il favore che Cora gli aveva fatto anni fa, forse non allo stesso prezzo, ma con la consapevolezza che almeno chi doveva pagare, avrebbe pagato.
Poi accadde. Quel ragazzino, Cappello di Paglia, era piombato dal cielo, disintegrando il tetto della casa d'aste.
Lui era uno di quelli. Uno di quelli che aveva la D. nel nome e che già a questa giovane età era arrivato dove nessuno aveva osato mai. E aveva osato ancora, anche quella volta, arrivando a toccare un tasto dolente, che avrebbe causato dei danni collaterali a tutti.
Monkey D. Rufy si era permesso di alzare le mani su un Drago Celeste. E quello era stato spazzato via come un sacco di juta. 
In quel momento, le parole di Cora tornarono con più forza a fischiargli nelle orecchie, a martellargli le tempie, e Law non poté fare a meno di sogghignare, forse per il nervosismo, forse per la conferma che alla fine non erano tutte frottole quelle storie.
Cappello di Paglia era stato lo stimolo, il pretesto che l'aveva convito che poteva agire benissimo contro Doflamingo. Non subito, bisognava pazientare, agire secondo le giuste strategie, i giusti ingranaggi. 
Almeno, Law pensava che le cose si sarebbero succedute in maniera così lineare per lui, infischiandosene di quello che stava succedendo attorno, infischiandosene del casino che Kizaru stava combinando all'Arcipelago. Lui avrebbe attuato la sua... vendetta? No, era un’ennesima nuova rinascita, che poteva essere realizzata solo totalmente con la perdita della sua vita terrena, preziosa ma niente in confronto a quel gesto di puro affetto.
Tutto stava andando come previsto, fino al momento in cui Law s’interessò a quello che stava succedendo, alle sorti di qualcun altro; e non uno qualsiasi, ma del ragazzino. Il ragazzino che gli aveva fatto scoprire la voglia di fare, di essere, di poter finalmente migliorarsi, stava combattendo fino alla morte per salvare il fratello.
Law si stupì di se stesso mentre ordinava ai suoi uomini di allontanarsi da quell’agglomerato d’isole per far rotta verso Marineford.
Stava andando a salvare Rufy.
Perché? Perché salvare un suo possibile rivale a tutti gli effetti, colui che incarnava davvero il principio che sta affondo della D.?
La risposta, nel frattanto che si ritrovava tra le urla e le cannonate, tra la voglia di scendere in campo e tagliuzzare Doflamingo aggravando ulteriormente la situazione, fu immediata per Law: era proprio per la D. che lo stava facendo, per salvaguardare un bene prezioso, un bene in cui Corazon credeva veramente.
Se lo disse anche tra sé e sé, mentre ripartivano alla volta del mare dopo la sosta ad Amazon Lily per curare Rufy, ripetendo la stessa frase su quella lettera che l'aveva lasciato colpito: "La D. scatenerà una tempesta!"
Ma era davvero questo il motivo?
Law ripeté quella fatidica frase anche a Dressrosa, e non ebbe paura di pronunciarla davanti a Joker, ma si rese conto che c'era qualcosa di diverso nel timbro, qualcosa che facesse intendere che lui non si era alleato con Rufy solo per avere qualcuno al suo livello, quella volta a Punk Hazard.
C'era qualcosa di più.
Rufy era qualcosa di più di quella semplice convezione su quella lettera.
E Law lo capì solo quando si ritrovò disteso su quel toro ad accennare il suo passato proprio a Rufy, proprio la persona che l'aveva convito definitivamente su cosa fosse giusto fare.
Trovò l'orrore negli occhi di Rufy, mentre lui raccontava per sommi capi cosa fosse successo.
Dopo tutto quel casino, Law avrebbe voluto che lui e la sua ciurma ne restassero fuori, quella era una questione solo tra Dofla e lui – o forse era preoccupato di coinvolgerli troppo? 
Fatto sta che, dopo aver finito di parlare, Rufy aveva spostato lo sguardo davanti a sé e aveva detto: 
«Ti aiuterò! Non importa cosa tu possa pensare, ma non permetto a nessuno di far soffrire chi mi sta a cuore! E poi... nessuno sarebbe capace di uccidere il proprio fratello... se gli vuole realmente bene.»
Rufy non era una semplice lettera. Law non l'aveva salvato per quella semplice lettera. Rufy era altro, Rufy era qualcosa in più. Una marcia che a Law serviva per dare una svolta alla sua vita.
Una svolta che gli dicesse che stava usando la stessa scusa del suo patrigno per dare un senso alle sue azioni.
Rufy era speciale, non c'era altro modo di definirlo, nemmeno per uno come Law. E questo suo essere speciale, diverso in tutte le salse, Law stava cominciando ad apprezzarlo, per quanto gli venisse difficile ammetterlo.
Per questo, quando Rufy gridò alla principessa Rebecca, lì sul nuovo altopiano, il suo solito: "Io diventerò il Re dei Pirati!", Law non poté fare a meno di nascondere un lievissimo sorriso.
Di quella personalità dirompente, di quella sensazione di benessere, Law voleva appropriarsene per tutta la vita.
Rufy era così.
Rufy era ingenuo, buono, capace di tutto ma senza troppe pretese. Capace di aiutarti, ma senza conoscere appieno le tue ragioni – o senza averle capite.
Capace di accompagnare per mano una persona durante il suo dolore.
Capace di mantenere le promesse.
Capace di non farti pesare un riscatto non compiuto del tutto. 
E quando lo vide, il suo corpo sotto sforzo, stagliarsi come un puntino nero sul cielo, le parole di Corazon, l'immagine del suo viso, tornarono come consistenza, come se fosse tutto davanti a Law, nonostante fosse troppo concentrato a fissare Rufy.
E ammise a se stesso che, se mai la sua volontà, quella volontà che dicevano fosse racchiusa in una minuscola consonante, si fosse attuata, non sarebbe stato per dominazione, per voglia incontrollata di sottomettere i più forti, né per preservare un futuro e prossimo "clan della D."
Law ammise che, comunque sarebbero andate le cose, D. o non D., avrebbe fatto di tutto per proteggere Rufy.





Delucidazioni:
*si strofina le mani*
Oh, questo era un tema che volevo trattare già da tempo: cosa ne pensa Law del fatto che Rufy abbia la D. 
O cosa ne pensa Law di questa lettera in generale.
Personalmente, e dalla storia si evince, ritengo che Law non avesse più preso in considerazione questa storia fino a quando non ha incontrato Rufy. Se la volontà contenuta in quella lettera non gli aveva permesso di far nulla per Corazon, aveva senso crederci?
Ci crede quando vede che Rufy colpisce un Drago Celeste senza esitazione. E allora anche lui può mettersi contro qualcuno di quello stesso sangue. 
Ritengo che la volontà della D. non conti nel rapporto di questi due. É stata solo una scusa, credendo che fosse quello il motivo che lo ha spinto a salvare Rufy, finendo per comportarsi allo stesso modo del suo salvatore. 
(per me, rimane sempre una scusa. In realtà, Law è rimasto colpito dalla determinazione del ragazzo a salvare il fratello. Almeno, questo è un mio headcanon.)
La scena di Law che sorride alle parole di Rufy l'ho presa dall'anime (e ancora, LA TOEI NON LI SHIPPA, EH?). So che non c'entra nulla, ma mi piaceva troppo l'idea di inserirla qui, proprio a dimostrare che, alla fine, né lui né Rufy sono una semplice lettera. 
Sono qualcosa di più, sono coloro che insieme hanno portato scompiglio in un intero paese. 
Forse molti di voi non saranno d'accordo con questa mia ottica di pensiero, con un Law che nel finale afferma che con quella volontà vorrà proteggere Rufy a tutti i costi (ma si capisce? lol), per questo sono aperta a qualsiasi tipo di discussione! ;)
Ringrazio tantissimo Happy_Ely, che mi ha fornito lo spunto per questa shot, e cui la storia è dedicata! <3
Mi spiace di averti trascinato nel LawLu Hell senza che tu lo volessi :’3
E grazie sempre a tutti voi, a chi mi segue e a chi legge soltanto! <3 
Baci baci, 
_Lady di inchiostro_

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Capitolo 8
*** Day Eight ~ How to celebrate a perfect birthday ***


 
Ten Days of LawLu
~
How to celebrate a perfect birthday



Day Eight: Alternate Universe







Quando si mise seduto sul morbido materasso, aveva ancora gli occhi impastati dal sonno. Li sbatté un paio di volte, giusto per mettere a fuoco lo spazio che gli stava intorno, intanto che stiracchiava le braccia e la schiena. 
Gli ci volle un po’ per capire che non si trovava nella sua stanza, tutta piena di fronzoli e vestiti in giro, piuttosto che si trovava in una stanza ben arredata, con giusto i mobili essenziali a dare quel tocco di classe, e abbellita da pareti di un grigio brillante e da una serie di finestre che sembravano gli oblò di un sottomarino.
Sbatté ancora gli occhi, stavolta ripetutamente, riconoscendo immediatamente il posto in cui si trovava, la sua mente percossa da una consapevolezza con la stessa velocità di un razzo. Si girò alla sua sinistra, trovando il proprietario della stanza – nonché dell’intera casa – che dormiva accanto a lui, il viso mezzo affondato sul cuscino. Il ragazzo sorrise, prima dolcemente e poi euforicamente, gettandosi letteralmente su quel corpo assopito; ovviamente, l’altro non poté che svegliarsi di soprassalto, annaspando alla ricerca di aria, in un groviglio di arti e lenzuola. 
Solo quando il ragazzo riuscì a sistemarsi sopra di lui in modo da non schiacciargli lo stomaco e i polmoni, riuscì finalmente a parlare: «Ma ti è andato di volta il cervello?»
Il ragazzo rise, non curandosi minimamente della vena che pulsava sulla fronte di chi gli stava davanti, visibilmente scocciato. «Buongiorno Torao!»
«Buongiorno un cazzo!» esclamò, cercando di spingere via l’altro, quasi a volerlo buttare per terra. «Togliti di dosso!»
«Torao, lo sai che giorno è oggi?»
Il più grande lo guardò per un attimo, per poi sgranare gli occhi e sospirare. «Il cinque maggio…»
«E cosa succede il cinque maggio?»
Il ragazzo si sporse ulteriormente verso di lui, per poi indicare con l’indice la sua persona. L’altro fu costretto a un ennesimo sospiro. 
«Quel cretino di Monkey D. Rufy compie gli anni…» disse, grugnendo.
«E Trafalgar Law aveva promesso di fargli passare il più bel compleanno di sempre!» soggiunse l’altro, euforico, cingendogli le spalle con le braccia e coprendo definitivamente la distanza che c’era tra loro due.
«Sei stato tu a insistere per voler passare la sera prima del tuo compleanno e tutta la restante giornata con me! Io non ti ho promesso nulla, sono solo stato costretto a cedere!»
«Dai, Torao, lo sai che ci tenevo parecchio a passare un compleanno con te! L’anno scorso non abbiamo avuto modo…»
Il più grande, denominato “Torao”, alzò gli occhi al cielo, ancora irritato per quanto successo prima, anche se doveva ammettere che gli piaceva avere quel moccioso rompiscatole sopra di lui in quel modo – maledizione, doveva essere arrabbiato con lui! 
Il più giovane sporse il labbro all’infuori. «Dai, non vuoi essere gentile con me?»
«No… Mi dai fastidio…»
Rufy fece uno sbuffo, la faccia contratta in un’espressione contrariata. Posò la testa sul petto pieno zeppo di tatuaggi di Trafalgar, producendo un ennesimo sbuffo. «Se ti do un bacio, poi cambi idea?»
Law per poco non sobbalzò: odiava queste manifestazioni di affetto, lo spiazzavo sempre.
Deglutì, cercando di mantenere un certo contegno, nonostante l’imbarazzo gli stesse mandando in fiamme le corde vocali. «Non credo proprio…»
Rufy si sporse verso di lui e gli diede un bacio a fior di labbra. «Sicuro…?»
Gliene diede un altro, stavolta spingendosi un po’ più in là, assaporando quelle labbra con la lingua, lasciandone il sapore sulle proprie. «Sicuro, sicuro?»
La mente di Law stava già cominciando ad annebbiarsi, mentre il flusso del sangue aumentava in tutto il corpo, specie nel basso ventre, e questo non aiutava di certo a vincere quella battaglia con quel ragazzino, non ora che la sua fredda razionalità era stata messa da parte dalla sensazione del calore corporeo di Rufy mischiato al proprio. 
«Guarda… che non cedo…» disse, tra un sospiro e l’altro.
«Che ti costa…» Rufy gli diede un piccolo morso sul labbro. «Dirmi: “Buongiorno Rufy! Sei perdonato per quello che è successo prima”, e farmi gli auguri di compleanno?»
Sentì la mano di Law, anch’essa contornata da tatuaggi scuri, che s’insinuava tra i suoi capelli, spingendo la nuca verso di lui e dando la possibilità alla sua lingua di insinuarsi nella bocca di Rufy. Continuarono con quel gioco di lingue, e baci, e morsi, per un paio di minuti, finché anche l’ultimo briciolo di ragione rimasta in Law non fu del tutto soppressa dall’erezione che sentì pulsare contro il corpo ancora nudo di Rufy.
«Va bene…» disse, stavolta anticipando lui un morso sul labbro di Rufy. «Buongiorno Mugiwara-ya. Sei perdonato per quello che è successo prima… Buon compleanno…»
Stava quasi per avventarsi sul quel giovane collo, col desiderio irrefrenabile di riempirlo di succhiotti, già pronto a fare sesso come la sera precedente, se non fosse che Rufy si liberò del lenzuolo che copriva entrambi e scese dal letto.
«Perfetto Torao, era quello che volevo!» disse, sogghignando e prendendo i suoi vestiti. «Stamattina facciamo la torta e di pomeriggio al cinema, giusto?»
Rufy non attese neanche la risposta da parte dell’altro, rimasto ancora disteso sul letto, gli occhi totalmente spalancati che seguivano i movimenti del minore mentre raccattava le sue cose e usciva dalla stanza, urlando un: “Non entrare nella doccia mentre ci sono io!”.
Trafalgar si passò una mano sul viso, cercando di riprendere fiato e lucidità – anche se non era per niente facile con quella maledetta erezione! –, mormorando poi tra i denti. «Giuro, un giorno di questi l’ammazzo…»


Trafalgar Law e Monkey D. Rufy.
Il primo è un brillante studente di chirurgia, prossimo a ottenere uno studio medico tutto suo, il secondo è un ragazzo appena uscito dalle superiori con la fissa per gli sport estremi e i combattimenti corpo a corpo. 
Due persone di due mondi totalmente diversi: una dedita totalmente allo studio, cresciuta da un patrigno che aveva poco dell’aria di un agente di polizia, l’altra che dedicava tutto il suo tempo ai suoi sport preferiti, non avendo la voglia di sceglierne uno solo, e accompagnata sempre dai suoi due fratelli. 
Sembrerà impossibile che queste due persone, totalmente diverse tra di loro, con gusti e caratteri che insieme non starebbero mai, possano avere una relazione, eppure è così.
La loro relazione stava per approcciarsi a compiere il secondo anno.
E dire che era successo tutto per puro caso, Trafalgar non doveva neanche essere a quella gara di corsa motociclistica, aveva soltanto fatto un favore ad alcuni suoi amici, Penguin, Satchi e Bepo, degli studenti del corso d’infermieristica, incuriositi di vederne una dal vivo. Non poteva di certo aspettarsi che si sarebbe ritrovato a soccorrere una persona, men che meno che questa sarebbe diventata parte integrante della sua vita.
Law non era affezionato a tante persone: a parte quei suoi pochi amici conosciuti all’università e il suo patrigno Corazon, non aveva nessun altro. La sua famiglia di origine era morta in un incendio, cui lui era scampato per miracolo. Trafalgar Law non aveva nessun altro.
Rufy era stato, come si dice in medicina, “un danno collaterale”. O almeno, questo era quello che pensava Law all’inizio, quando il ragazzo era riuscito a trovarlo per poterlo ringraziare di avergli salvato la vita.
Solitamente, non era da Rufy sbagliare una curva, nonostante non fosse ancora espertissimo di motocross, ma quella volta la moto aveva virato senza che lui lo volesse, finendo rovinosamente per terra, con spalla e braccio sinistro in posizione innaturale.
Se non fosse stato per Law, i danni sarebbero potuti essere più gravosi, invece Rufy sembrava essere guarito completamente, anche se gli era stato intimato di smetterla con questi sport – ma figurarsi se quel ragazzino si lasciava prendere dallo spavento e rinunciava a fare ciò che più gli piace!
A volte sembra che le cose siano destinate ad andare in un dato modo, come se fosse stato scritto già tutto; altri dicono che siamo noi a decidere come andranno le cose, come dovremmo scriverle e raccontarle, ma nessuno è mai riuscito a capire quale di queste due affermazioni sia vera.
Sembrerebbe che per Rufy e Law, le cose fossero destinate ad andare così, come se Rufy dovesse sbagliare per forza quella curva, come se Law dovesse per forza aiutarlo, come se dovessero per forza incontrarsi. Ma si potrebbe benissimo dire che la decisione di vedersi, anche dopo quell’incidente, fosse stata solo e soltanto di loro due. 
E, infetti, dopo che Rufy era riuscito a scoprire come si chiamava e dove potesse trovare Law, dopo che non la smetteva di aspettarlo e di riaccompagnarlo a casa all’uscita dell’università, le cose erano andate esattamente così: Law e Rufy decisero di andare oltre, di non fare sempre la solita passeggiata.
Fu una decisione di Law. Nonostante provasse una malsana irritazione per quel ragazzino troppo vispo, specie le prime volte, in seguito si ritrovò ad apprezzare la sua compagnia, a sentirne la mancanza quando non lo scorgeva all’uscita, seduto sulla solita panchina. Trafalgar non voleva accettare i sentimenti che, a poco a poco, stavano nascendo dentro di lui. Non lo volle accettare neanche quando decise di andare oltre, quando decise di invitare Rufy a salire al suo appartamento; neanche quando – per un fortuito caso, forse, o magari perché era così che doveva andare – le sue labbra finirono per incontrare quelle di Rufy.
E continuava a non accettarlo, benché fossero passati già due anni. 
Era come se Law sapesse che oramai – dopo quel bacio, dopo tutte le successive uscite, dopo che Rufy aveva perso la verginità con lui – erano una coppia a tutti gli effetti, ma sembrava che si rifiutasse di dichiararlo apertamente. Cosa che invece faceva Rufy, senza vergogna, senza preoccuparsi se il suo Torao non faceva lo stesso, o non gli diceva che lo amava con la sua stessa frequenza. 
Law gli dimostrava in altri modi che lo amava. Forse gli altri non se ne accorgevano, ma lui sì, e gli andava bene così. Era felice di questa relazione, era felice di essere caduto dal motore quella volta, era felice che Law fosse lì.
Erano, e sarebbero rimasti, una strana coppia, ma in quegli anni ne avevano realmente passate di tutti i colori, cominciando ad accettare i difetti l’uno dell’altro, cominciando a stare insieme per la maggior parte del tempo. Quello che però, ancora, non avevano affrontato insieme – o meglio, Trafalgar Law non aveva ancora affrontato – era festeggiare il compleanno di Rufy. 
Per il compleanno di Law, l’anno precedente, Rufy c’era stato, e aveva speso tutti i soldi che aveva messo da parte per comprargli una valigetta da lavoro decente, visto che la sua era diventata logora. Gli aveva persino improvvisato una festa a sorpresa, anche se Law lo aveva avvertito di non fare nulla, che odiava festeggiare il suo compleanno – e poi, beh, si ritrovò ad apprezzare il gesto. 
Il compleanno di Rufy, per un motivo o per un altro, non erano ancora riusciti a festeggiarlo insieme. E Rufy è un tipo piuttosto scrupoloso quando si tratta dei suoi compleanni.
Quell’anno, però, erano riusciti finalmente a organizzarsi, decidendo di passare tutta la giornata insieme fino alla sera, dove sarebbero venuti anche i fratelli del ragazzo e qualche suo amico a casa di Torao, che era stato costretto a metterla a disposizione. Ed ecco spiegato perché Monkey D. Rufy si era ritrovato la mattina del suo compleanno nel letto a due piazze del suo compagno, dopo una notte passata insieme tra le lenzuola – a dormire e… beh, a fare altro.
Rufy non si atteneva mai ai programmi, era un tipo che seguiva l’istinto, come quando si buttava da un ponte col bungee jumping, ma trattandosi di un compleanno – il suo, per giunta – aveva organizzato le cose nei minimi dettagli, cercando di guadagnare più tempo possibile e rischiando, ovviamente, di combinare casini. 
E per quell’anno, Rufy si era intestardito che la torta di compleanno la dovesse preparare lui, assieme a Torao – perché sapeva che quest’ultimo poteva cavarsela con i fornelli e perché non avevano mai provato a cucinare qualcosa solo loro due.  
Per questa ragione, quando fu il turno di Law di uscire dalla doccia, recandosi in cucina per fare colazione, lo trovò già vestito, con un ridicolo cappello da cuoco sulla testa, mentre versava un quantitativo esponenziale di farina in una ciotola.
Avvertì un leggero tic all’occhio. «Mugiwara-ya…» disse, chiamandolo con l’appellativo riferito al cappello di paglia che portava sempre in testa – e ora coperto in parte dalla toque blanche. «Che cosa stai facendo?»
«Oh, ciao Torao!» esclamò l’altro, sorridendo e non badando alla farina che piano piano scendeva dalla confezione. «Sto cominciando a preparare la torta! Ora tu vieni vero?»
Law gli fece un rapido gesto con la mano, mentre tornava nella sua stanza per mettersi una cosa addosso – anche se si chiese come sarebbe stato preparare una torta con Rufy con solo un asciugamano a coprirgli il basso ventre… Maledetta perversione!
«Non vuoi fare colazione?» domandò con una nota di stupore non appena fu di nuovo in cucina, indossando una delle sue tante felpe blu con uno strambo smile giallo stampato sopra.
«Ho mangiato tutto quello che c’era nella dispensa… Ho fatto male?»
Il moro aprì le credenze, trovando pezzi delle sue amatissime gallette al riso sparsi sulle superfici di legno, e il ripiano in granito che si trovava al di sotto era stato decorato da rimasugli di marmellate diverse. Rufy non aveva mangiato, aveva “aspirato” tutto con la stessa voracità di un uomo rimasto in un deserto per mesi: non c’era più nulla… forse qualche biscotto integrale. 
«No, come al solito hai fatto benissimo…»
Il ragazzo sorrise e riprese ad adoperarsi su come doveva preparare questo benedetto impasto, e la sua reazione fece capire a Law che, no, quel ragazzino non capiva il sarcasmo. 
«Avresti dovuto aspettarmi...» aggiunse poi, osservando i gusci d'uovo che Rufy aveva rotto senza gran successo, senza contare l'intero stato pietoso in cui riversava la cucina. Gli venivano i brividi.
«Non arrivavi più! Stai un sacco di tempo sotto la doccia!» protestò l'altro.
Law sporse un poco il collo, giusto per vedere cosa stava combinando – e anche qui, il ripiano della penisola era ricolmo di farina mischiata ad acqua. 
«Rufy... Non stai preparando una torta, ma una testata nucleare...»
«Una che?»
«Non dovevamo farla insieme?»
Il ragazzo si girò verso di lui, sbattendo gli occhietti. 
Law fece aderire totalmente il torace con la schiena di Rufy, cingendogli le spalle con le braccia, prese un uovo e lo sbatté sul bordo della ciotola in meno di un secondo, con l'albume e il tuorlo che scendevano lungo l'impasto.
«Wow, insegnamelo!» urlò Rufy, battendo le mani.
«Basta che segui quello che ti dico io... e vedi di pulire il macello che hai combinato!»
Fu così che passarono la restante mattinata a preparare quella che infondo doveva essere una semplice torta al cioccolato, seguendo quella che era la ricetta del patrigno di Law – sebbene, per preparare questa torta, avesse quasi incendiato la casa. Era un bene che avesse una buona memoria visiva, altrimenti per Rufy avrebbero preparato la torta seguendo quello che gli dicevano il naso e lo stomaco.
Alla fine, quando la torta uscì dal forno, bollente e che emanava un odore piacevole e morbido di cacao, i due compari avevano facce e grembiuli completamente sporchi di farina, cacao, zucchero e lievito.
«Bene, abbiamo finito?» domandò retorico il più grande, già pronto a togliersi il grembiule, ma Rufy lo fermò con una mano.
«Ancora no» disse. «Manca la panna!»
Trafalgar si sbatté una mano sulla faccia, cercando nella sua mente i motivi per cui gli piacesse quel ragazzino. Di certo, non per i suoi modi infantili e per il fatto che lo lasciasse come un cretino a letto, convinto che stessero cominciando a fare sesso.
Il problema non era preparare un'altra cosa in più per decorare quella semplice torta, d’ingredienti ne aveva a sufficienza; e il problema non era neanche lo stare lì, con Rufy, perché tutto sommato aveva trovato gradevole preparare qualcosa con lui, ma avrebbe sempre detto che era stata una tortura insormontabile. 
No, il reale problema era che Rufy era un disastro in cucina. Anche peggio di Corazon, che mandava a fuoco tutto, persino la sua giacca, ed era quanto dire. Rufy l'avrebbe fatta esplodere una cucina. Rufy avrebbe avvelenato tutti con il suo cibo. E il fatto che ci tenesse a preparare quella stramaledettissima panna, non era un buon segno. 
Law lo studiò con attenzione, preoccupato, lasciandogli campo libero come lui aveva esplicitamente richiesto, dandogli le direttive ogni tanto su quale fosse il dosaggio giusto di un dato alimento. 
Da qui, tutto stava andando bene. Finché Rufy non ebbe un frullatore elettrico in mano. 
Law stava quasi per strapparglielo dalle mani, dicendo che a montare ci avrebbe pensato lui, ma Rufy aveva già azionato il pulsante, così che quasi tutto il contenuto si riversasse fuori sotto forma di piccoli schizzi. I due si ritrovarono completamente ricoperti da quella sostanza, per non parlare della cucina ora pulita, e persino le tende dell'enorme finestra a vetri si erano imbrattate. 
Law si sentiva la faccia appiccicosa, anche più di prima, per non parlare dell'irritazione e della rassegnazione che continuavano a crescere dentro di lui, spostando lo sguardo verso il fautore dell'ennesimo disastro, anch'egli la faccia ricolma di quella strana sostanza. Rufy gli lanciò una lunga occhiata, e scoppiò a ridere come un forsennato.
«Non c'è nulla da ridere, Mugiwara-ya...» sussurrò Law tra i denti.
Tuttavia, Rufy non la smetteva di ridere, le mani portate all'altezza dello stomaco, tanto che lo stesso chirurgo parve rilassarsi, la solita sensazione di calore che gli riempiva il petto ogni volta che sentiva la risata cristallina di Rufy che gli riempiva le orecchie.
«Vieni qua» sbottò poi, tramutando lo sguardo di lieve affetto che gli aveva rivolto, le labbra contratte in un impercettibile sorriso, nel suo solito sguardo serioso e scocciato. «Hai la faccia tutta sporca.»
Law si avvicinò a lui, provando come poteva a ripulire quel visino, ma la risata ridondante di Rufy non aiutava. Senza volerlo, i suoi occhi si spostarono su quelli di lui, e poi sulle labbra, e lo stesso fece anche l'altro, che adesso aveva smesso completamente di ridere. 
Le labbra di Rufy sapevano di quella che doveva essere panna, ma anche di cacao e forse lievito. O almeno, così era per Law mentre lo baciava, passando poi a lasciare il segno sulle sue guance, ripulendole quasi del tutto, per poi passare al collo – e quello aveva sempre lo stesso sapore di Rufy, carne mischiata a salsedine – mentre il giovane emetteva i primi gemiti di piacere. 
E ne emise altri, sempre più crescenti, quando sentì la mano di Law insinuarsi tra i suoi pantaloni e posizionarsi sul suo pene. 
Rufy emise un lamento più forte, e sapeva doveva voleva arrivare Law con quello che gli stava facendo.
«Dobbiamo... farlo adesso?» riuscì a dire, riprendendo fiato.
«Peggio per te che non hai voluto prima...» disse Law, senza fermarsi, strappando a Rufy dei gemiti sempre più crescenti, le brache oramai calate all'ingiù. 
Si avventò sulle labbra di Law, che si erano staccate dal suo collo, anche lui sentendo il sapore della panna, della farina e del lievito. 
La sua lingua pizzicava, l'intero suo corpo pizzicava. E quando capì che sia lui che Law stavano per avere un'erezione, gli sussurrò a uno orecchio: 
«Va bene... dai... ci sto!»
Law sorrise, sghembo, e fu allora che si ritrovarono per terra, i vestiti sparsi un po' ovunque.


Il fatto che Law tendesse a cambiare discorso quando si trattava di parlare della sua storia con Rufy, l'avevano notato tutti. Persino il suo patrigno Corazon, anche se sapeva che era tutta una questione di tempo, prima o poi Law sarebbe sceso a compromessi con se stesso e avrebbe accettato la natura dei suoi sentimenti, lo conosceva troppo bene.
Quelli a essere più preoccupati, in realtà, erano proprio le persone che circondavano Rufy, i suoi amici, che sapevano quanto fosse entusiasta di questa relazione, di quanto ci tenesse, e temevano che stesse commettendo un errore madornale – insomma, quanto era esperto in amore? A stento sapeva come funzionava il suo corpo! 
E se i suoi amici erano semplicemente preoccupati, quelli a vivere con costante apprensione la relazione del ragazzo erano i suoi fratelli. Per carità, neanche per loro era facile accettare con che razza d’individuo si era messo il proprio fratello, ma a loro bastava che fosse felice. E con Law, bisognava ammetterlo, Rufy era davvero felice: una felicità diversa, il sorriso di una persona che sta accanto a chi ama realmente. 
Non era tanto questo a tenerli in ansia. 
Era Law. Era il suo essere quasi passivo. Sembrava che non gli importasse, sembrava che non volesse dimostrare che anche lui ci teneva. Quasi come se tutto fosse un gioco. 
L'idea che potesse ferire irreparabilmente il proprio fratellino, li mandava in paranoia, a tal punto dal passare a torchiarlo. 
Come quella volta, in cui avevano preparato la scusa di andare a riprendere il borsone, onde evitare di ritrovarsi pieni di sacchetti e sacchettini dopo la festa, per andare a controllare come stessero proseguendo le cose nella casa di quel chirurgo sadico. 
Finché non avrebbero visto un gesto di vero affetto verso il proprio fratello – che fosse spontaneo, non un obbligo – da parte sua, finché non si sarebbe deciso a considerare il loro rapporto una relazione seria, anche davanti agli altri, non sarebbero mai stati tranquilli. 
E quando suonarono il campanello, Sabo e Ace si scambiarono una lunga occhiata, perché sapevano che quello che stavano facendo non era per niente giusto, ma si parlava del loro fratellino. Che razza di fratelli sarebbero stati se non avessero fatto di tutto per evitargli di soffrire inutilmente? E poi, per loro, Rufy l'avrebbe fatto, no?
Presero entrambi un profondo respiro, intanto che la chiave girava nella toppa, ritrovandosi un Law con solo i suoi jeans addosso e il torso totalmente nudo. 
Questo li colse un attimo di sorpresa, i loro occhi che probabilmente esprimevano uno stupore che scatenò un piccolo ghigno sulle labbra del chirurgo. 
«Guarda un po' chi è venuto a farci visita...» Si appoggiò allo stipite, indicando entrambi col mento. «Mamma e papà!»
Solo allora, i due fratelli aggrottarono le sopracciglia, tornando alla loro solita espressione d’indifferenza quando parlavano con Law. 
«Waterloo...» dissero all'unisono. 
Il moro storse il naso. Odiava che loro sapessero del suo nome completo, e che per giunta si divertissero a storpiarlo per via della pronuncia.
«Siamo solo passati a prendere le cose di Rufy... E a fargli gli auguri di compleanno...» aggiunse Sabo.
«Oh, che cosa carina» disse Law con tono mellifluo. «Spiacente, ma Rufy è impegnato con la sua torta di compleanno, non vuole che la veda nessuno!»
«Quindi sei venuto ad aprire in questo stato perché Rufy ti ha sporcato una delle tue magliette ridicole? Che peccato...» disse Ace, usando lo stesso tono del medico.
«Che c'è, Ace-ya? Dopo aver visto questo spettacolo, stai pensando di lasciare il tuo ragazzo?»
Ace abbozzò una risata. «Tu non arrivi neanche alla classe di Marco!»
«Credo che Rufy sarebbe felice di vederci, se lo chiamassi...» disse Sabo, stroncando sul nascere quel battibecco tra i due.
«Ma è stato lui a dirmi che non voleva vedere nessuno. Quindi, cari i miei Pincopanco e Pancopinco, posso darvi il borsone e la storia si chiude qui!»
Il biondo e il moro si guardarono incerti, e Law era quasi sicuro di averli in pugno, quando si sentì una vocina che lo chiamava da lontano.
«Torao!»
In pochi secondi, il suo volto si trasformò da quello di un vincente a quello di un criminale colto durante una rapina. Non ci fu nemmeno bisogno che i due fratelli maggiori si sporgessero per assistere alla scena, che si ritrovano Rufy accanto a Law, coperto solo da una delle felpe del più grande. E nient'altro addosso. 
«La panna la devi montate tu alla fine?»
Erano tutti delle statue di sale. Law per via dell'evidente stupidità del ragazzo, cui aveva esplicitamente intimato di stare quatto quatto e zitto mentre lui apriva la porta, per evitare proprio una cosa del genere, e gli altri due... beh, per l'intera situazione.
«Ohi, Ace! Sabo! Che bello vedervi!» Avrebbe voluto tanto abbracciarli, ma si rese conto immediatamente che faticavano persino a rivolgergli il loro solito sorriso.
«Anche noi siamo felici di vederti...» mormorò Ace, il labbro che gli tremava.
«Volevamo farti gli auguri di persona...» continuò Sabo, cercando di schiarirsi la voce.
«Grazie!»
Trafalgar era quasi pronto a trascinare via da quell'impiccio lui e Rufy, sbattendo la porta in faccia a quei due se era necessario, ma fu troppo tardi. 
La domanda che più temeva, in quel momento, non tardò ad arrivare.
«Rufy... Perché indossi solo quella felpa?»
Quando lo domandò, Ace ci mese uno sforzo immane per alzare il dito della mano ad indicare il corpo di suo fratello nella sua interezza, mentre quest'ultimo studiava la faccia sorridente in giallo. 
All'inizio non capiva cosa ci fosse di sbagliato in quella felpa, ma guardando gli occhi di Law gli fu tutto più chiaro. 
Indossava solo la felpa. Non aveva nessun altro indumento. 
Gliela aveva fregata a Law, preso com'era dalla voglia di finire di preparare la panna, e questo dava anche una spiegazione del perché il più grande si fosse presentato in quel modo alla porta, perché non era possibile lasciare una cucina nelle soli mani di Rufy per andare alla ricerca di qualcos’altro da indossare. E spiegava anche come mai gli avesse detto di non venire alla porta per nessuna ragione, perché sapeva che si trattava dei suoi fratelli, e di certo si sarebbero fatti delle domande. Ma Rufy non poteva saperlo, e non gli era passato per l'anticamera del cervello di rimettersi i suoi vestiti, la felpa morbida di Torao era meglio, emanava il suo odore di menta.
«Ecco, io...» iniziò, martoriandosi le mani nella speranza di trovare una scusa plausibile. «É una storia divertente...»
«Me lo auguro...» sbottò Sabo, alzando gli occhi al cielo come se stesse pregando.
Lo sguardo di Rufy vagò dal pianerottolo vuoto – per fortuna –, ai suoi fratelli, a Torao, che in quel momento si trovava in difficoltà quanto lui. Il sudore gli rese le mani scivolose ed era difficile scricchiarle. Che cosa poteva fare?
«Rufy... la verità...» parlò ancora il biondo.
Il giovane si morse il labbro inferiore, spostando lo sguardo su un punto non ben preciso: era a conoscenza che ai suoi fratelli Law non stesse simpatico, forse non sarebbero stati entusiasti di sapere che con lui aveva capito cosa realmente fosse la sessualità collegata al suo corpo. Per lui, erano stati sempre dei concetti astratti. 
Law, invece, cercava di mandargli dei segnali con lo sguardo, con piccoli gesti della testa, volendolo convincere a non dire nulla, ma come al solito non fu ascoltato.
«Io e Torao...» cominciò il più piccolo, la tonalità di voce che si andava abbassando. «Ecco... abbiamo fatto sesso... in cucina... poco fa...»
Cercò di fare un sorriso, mentre i volti dei suoi fratelli si facevano più atterriti e il chirurgo si teneva il ponte del naso tra indice e pollice, ancora appoggiato allo stipite.
«Mugiwara-ya» riuscì a dire, finalmente. «Forse è meglio se tu sparisci...»
«Mi sa che hai ragione...» disse, trovandosi in perfetto accordo con quello che gli aveva suggerito Law. Fece un cenno ai suoi fratelli, ancora in trance, per poi fare dietrofront e camminare a passo di marcia, fischiettando per smorzare la tensione.
Solo quando si allontanò, l’unico che riuscì a spiccicare parola per primo fu Sabo: «Ti scopi mio fratello!»
«No... Stiamo tutto il giorno a fissarci come fai tu con la tua ragazza» disse, sarcastico, e cercando di riprendere la situazione in mano dopo quell’imprevisto – imprevisto? Era una catastrofe di dimensioni abnormi!
Il biondo era sul punto di replicare, il dito puntato verso l’alto, ma alla fine fu costretto a mormorare, di malavoglia, un “Touché” sommesso.
«Non ci posso credere...» mormorava Ace, andando avanti e indietro in direzione dei primi gradini della rampa di scale, per poi tornare verso Law.
Anche qui, non era vero che i due fratelli non ci credevano; inconsciamente, avevano intuito che Rufy non fosse più vergine, ma consciamente fingevano che non avevano mai pensato alla relazione del fratello anche in quel senso. E decisamente non era il loro passatempo preferito immaginare che il loro fratellino potesse realmente sapere come si faceva, men che meno che l'avesse imparato con uno come Trafalgar.
«Non capisco dove stia il problema…» disse Law, incrociando le braccia e cercando di apparire tranquillo – anche se dentro di lui, avrebbe tanto voluto spaccare qualche sedia in testa al quel moccioso! «Rufy non è più un ragazzino.»
«Infatti non è Rufy il problema!» sbottò il moro, piazzandosi davanti a Law, tanto che il suo fiato finì per investire appieno il viso del giovane chirurgo. «Sei tu il problema!»
Trafalgar alzò un sopracciglio. «Andiamo, lo so che vi sto antipatico, ma non potete di certo mettere la cintura di castità a vostro fratello, vi pare?»
«Non è neanche questo!» continuava Ace, e stavolta il tono della sua voce si era abbassato, restando comunque udibile a tutti, e Law poté giurare che l’aria si fosse fatta più rarefatta. «Quello che mi preoccupa è come l’abbia trattato tu…»
«Perché non potrebbe essere che sia Rufy a stare sopra?» Alla faccia del ragazzo, Law intuì che effettivamente la cosa era poco probabile, almeno per adesso, visto il considerato che ancora Rufy non ne capiva granché di sesso e cose del genere. «Non ho sperimentato il bondage, se te lo stessi chiedendo…»
«Forse non con lui… ma in passato sì!»
Il chirurgo ci pensò su un attimo. «Touché…»
«Lurido figlio di…»
Sabo fermò repentinamente il pugno del fratello che si stava per avventare sul viso del loro interlocutore, l’altra mano portata a stringere la sua spalla scura. «Ace…» si limitò a dire, con una nota di rimprovero.
«Ace un corno, Sabo!» sbraitò il diretto interessato. «Come fai a stare calmo? Come non ti viene voglia di prenderlo a pugni sui denti?»
Il biondo lo guardò grave, mentre Law continuava il suo discorso, la mano del lentigginoso che stringeva ancora sulla sua spalla: «Non ne ho mai avuta l’intenzione, con Rufy, ripeto…»
«Lo spero per te» disse Sabo, gli occhi assottigliati e puntanti sulla figura che gli stava davanti. «Il problema rimane, però: sei o non sei innamorato di mio fratello?»
Trafalgar per poco non sobbalzò, anche se non poté evitare di sgranare gli occhi. «Che cosa c’entra con la nostra discussione?»
«C’entra.» E il viso parzialmente sfregiato del biondo si avvicinò sempre di più. «Ti costa così tanto ammetterlo?»
Il chirurgo provò a sostenere lo sguardo, ma pareva che le sue pupille si muovessero senza controllo, puntate verso altro che non fossero gli occhi di quel cretino là davanti, borbottando imprecazioni e mordendosi il labbro inferiore fino a spellarlo.
Sabo si spostò indietro, seguito a ruota da Ace, un sorriso di vittoria stampato in viso. «Vedi, Waterloo, fintanto che tu non farai qualcosa, o dirai qualcosa, che esprima veramente quello che senti per Rufy, continueremo a considerarti un verme che utilizza chi vuole per i suoi scopi sessuali. Non abbiamo intenzione di rovinare il compleanno di Rufy, né di impedirgli di vederti, ma sappi che, se non prenderai una decisione, Pincopanco e Pancopinco ti renderanno la vita un inferno!»
I suoi occhi dardeggiavano mentre parlava, e Law ne rimase piacevolmente sorpreso. Tra i due, Sabo sembrava essere quello più calmo, ma in realtà nascondeva la sua rabbia sotto una maschera di pacatezza e autocontrollo. Erano rari i casi in cui usciva davvero fuori dai gangheri.
«Hai ventiquattro ore, caro!» esclamò poi, dandogli le spalle e facendogli un cenno con la mano.
«Questa storia non finisce qui!» gli intimò frettolosamente Ace, seguendo a ruota il fratello, discorrendo sul fatto che certa gente si doveva minacciare, anche se il lentigginoso rimaneva del fatto che voleva fracassare a botte quella sua dentatura perfetta. 
Law rimase sulla soglia per un po', assorto nei suoi pensieri, assorto in quello che gli era stato appena detto. Era come se stesse collegando quelle parole alle immagini di quello che faceva lui con Rufy. 
E si rese conto... che era fottutamente vero. Destava ammetterlo, destava ammettere che quei due avevano vinto su tutti i fronti quella volta, ma era così. 
Law lo sapeva, come sapeva di amare Rufy, ma era un modo tutto suo di amarlo, un modo che forse non era abbastanza, anche se quel ragazzetto non glielo avrebbe fatto pesare mai. 
Forse, però, era anche ora che Law cominciasse a darsi una svegliata e si rendesse conto che lui amava Rufy come non aveva mai fatto con nessun'altra persona, nelle sue relazioni precedenti. E Law ne era più consapevole non appena si ritrovava a fissarlo, a letto, perché non c'era malizia in quello che stavano facendo, era sentito veramente, i corpi e i cuori di entrambi sentivano che volevano farlo. 
Incredibile, ma le parole di Sabo avevano riportato a galla un desiderio che Law voleva realizzare da tanto tempo, un desiderio che forse avrebbe messo in luce i suoi sentimenti per quel ragazzino, che forse avrebbe fatto tacere per sempre le parole di quei due fratelli trasformati a genitori. 
Magari, si disse Law chiudendo la porta alle sue spalle, era anche ora che lo mettesse in pratica. 


«Mi spiace per stamattina...»
Law spostò lo sguardo su Rufy, la ciotola di popcorn in mano, mentre aspettavano che aprissero la sala dove avrebbero visto, come gli aveva promesso, "Civil War".
«Ti avevo detto di non muoverti...» si limitò a dire Law.
«Non pensavo fossero i miei fratelli! Credevo che fosse il fattorino delle pizze!»
Ci fu un attimo di pausa. «Rufy, le pizze le mangiamo stasera...»
«Beh, non si può mangiare pizza sia a pranzo sia a cena?»
Law alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, la folla di nerd urlanti che gli stava davanti che aspettava solo il via per scatenare una guerra di dimensioni tali a quelle di Sparta.
«Se la sono presa?» chiese Rufy, un po' titubante.
Trafalgar alzò le spalle. «Abbastanza...»
«Ah.» La voce di Rufy era lievemente dispiaciuta, ma era quasi certo che sarebbe andata a finire così. Gli avrebbe chiesto scusa non appena li avrebbe riabbracciati quella sera. «E tu sei arrabbiato con me?»
«No, Mugiwara-ya...» disse, con uno sbuffo. «Sono solo seccato da questa storia...»
«Okay.»
Non spiccarono parola per due minuti buoni, mentre intorno a loro vi era il caos più totale, e tutto quel contatto umano, tra gente sudata e l'odore di unto del bancone di snack alle loro spalle, stava incominciando a far innervosire ulteriormente Law.
Fu il minore che riprese a parlare, deciso a voler cambiare discorso e a voler smorzare la tensione. «Qual è il tuo supereroe preferito?»
«Come prego?»
«Volevo sapere se c'è un supereroe della Marvel che ti piace di più...»
Law alzò un sopracciglio. «Rufy, tu lo sai che se non mi avessi praticamente costretto, io neanche sarei venuto a vedere questo stupidissimo film, vero?»
«Non ci credo che tu non abbia mai letto un fumetto!» protestò Rufy. «Dai, non ti prendo in giro se me lo dici!»
Era esattamente come quella mattina, e come tutte le altre volte in cui Rufy doveva vincere, comportandosi da bambino capriccioso. Solo che, in quel caso, Law non era appagato dall'idea di poter avere ancora quel corpicino tutto per sé, per quanto possente esso potesse essere, stavolta non avrebbe ceduto, soprattutto per una cosa così sciocca.
«Per esempio, a me piacciono un sacco i poteri di Mr Fantastic, però mi piacerebbe un sacco avere anche quelli di Spiderman. Non sono ancora riuscito a scegliere, quando ero piccolo diventava un problema se dovevo giocare con i miei fratelli!» Rufy accennò una risata. «Vedi, non c'è nulla di male nel dirmelo!»
«Ma io non ho nulla da dire, Mugiwara-ya.»
Il ragazzo mise il broncio, il labbro sporto infuori. «Okay, allora provo a indovinare io: Thor?»
«Piantala.»
«Iron Man?»
«Mugiwara-ya, ti rendi conto che non ho idea di cosa tu mi stia dicendo?»
«Ho capito, stai dalla parte di Capitan America.»
«Rufy... Sta zitto...»
Ma il ragazzo non stette per niente zitto: continuò con questa tiritera, tirando fuori i nomi dei supereroi più improbabili, a volte storpiandoli, ma Law sembrava irremovibile, sperando che quella tortura avesse fine al più presto, fissando oltre le capigliature sconosciute di chi gli stava di fronte. 
Poi, ecco che Rufy sparò l'ennesimo nome dalla lista. «Batman?»
Law non lo aveva neanche guardato. Aveva parlato, i nervi oramai a pezzi per via della gente che spintonava, del sudore che impregnava l'aria, delle continue domande del ragazzo che gli martellavano il cervello insieme al chiacchiericcio amplificato della folla. Aveva parlato, senza pensare, e solo due secondi dopo aveva compreso di aver fatto una stronzata, di essersi scavato la fossa da solo.
«Batman non è della Marvel, è della DC Comics.»
Rufy lo sapeva, ovvio. L'aveva fatto apposta.
Non si poteva dire un appassionato incallito di fumetti, ma si poteva dire che ne aveva letto qualcuno, e amava un sacco le trasposizioni animate. Sapeva che c'era una netta differenza tra le due case di produzione più famose al mondo, ed era forse una delle poche cose che gli era rimasta in testa – assieme a tutte le nozioni sugli scarabei e sulle varie tipologie esistenti che aveva imparato nel corso della sua vita.
Non era difficile distinguere le basi su cui si fondavano i supereroi di una o dell'altra casa; o almeno, questo valeva per chi li avesse leggiucchiati e sapesse di questa storia. Perché uno che i fumetti li odiava, come voleva far credere di essere Law, di certo considerava tutto frutto della stessa minestra. 
Il chirurgo si voltò lentamente verso il suo compagno, la stessa espressione di quella mattina, quando Ace e Sabo avevano visto il loro fratello in quelle condizioni, a dipingergli il viso. Pareva un bambino che era stato appena scoperto con le mani dentro la ciotola dei biscotti.
«Almeno... L'ho sentito dire...» si giustificò, con una mezza alzata di spalle.
«Certo» disse Rufy, che sorrideva soddisfatto. Mise un pugno di popcorn in bocca, masticando rumorosamente, prima di ricominciare a parlare. «Tranquillo, il tuo segreto è al sicuro con me!»
Trafalgar stava per replicare che non c'era alcun segreto da mantenere, ma Rufy lo precedette ancora. «Però mi devi comprare un'altra ciotola formato gigante, stavolta di nachos!»
«Non sarebbe il caso di finire i popcorn, prima?»
«No, la voglio adesso!»
Law si spiattellò una mano sul viso. «E va bene, come vuoi tu!» disse, prendendo mano al portafoglio.
«Grazie Torao!»
E fu allora. Fu allora che Law fermò quello che stava facendo, fu allora che le urla di protesta nei confronti del ritardo si dissolsero nel nulla, fu allora che tutto il resto del mondo non esisteva.
C'erano solo lui e Rufy.
Rufy, che gli sorrideva a trentadue denti, che non lo giudicava per nulla, che dimostrava di amarlo con ogni piccola cosa, che ce la metteva tutta per farlo stare bene. Rufy era così: un bambino ottuso, certo, ma anche sincero, puro. 
E fu allora che Law si rese conto che era questo che gli piaceva di Rufy, quel suo sorriso, quegli occhi che trasparivano quell'animo assolutamente privo di macchia. 
E fu allora che Law si rese conto di amare Rufy proprio per questo; anzi, di amarlo e basta, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. 
Per questo, fu anche la prima volta in cui Law non ci pensò due volte a lasciare un bacio sulle labbra a Rufy, con una spontaneità che non era da lui. Non aveva avuto paura di mostrarsi, alla fine, proprio come aveva previsto Cora.
«Torao...» mormorò Rufy non appena si staccò da Law. «Mi hai baciato in pubblico...»
Law finse indifferenza – perché, alla fine, della gente gliene fregava davvero poco – ma sapeva che una cosa del genere era rivoluzionaria per uno come lui. «E allora?» «Non l'hai mai fatto...» gli fece notare Rufy.
«Non ti è piaciuto?»
«No, anzi!» si affrettò a dire. «Solo... mi chiedevo perché...»
Trafalgar squadrò ancora una volta la massa che gli stava davanti, notando che forse sarebbero entrati a breve. «Volevo farti un regalo, non potevo?»
In realtà, era un altro il regalo che Law voleva fargli, un regalo che era rimasto chiuso dentro un cassetto, un regalo che aveva trovato il pretesto perfetto per uscire, soprattutto dopo quel bacio.
Un regalo che nasceva da un possibile cambiamento, da un piccolo desiderio di qualche anno fa. 
Così, quando Rufy fece scendere le dita della mano su quelle di lui per stringere, fece anch'egli esattamente la stessa cosa.


Law se ne stava appoggiato sul ripiano della penisola, lontano dal gruppetto di ospiti che si era accomodato sui divani grigio topo del suo salotto. 
La festa di compleanno di Rufy doveva essere iniziata da un paio di ore circa, più o meno da quando era stata portata la pizza, di cui rimaneva qualche fetta nei vari cartoni sparsi per il tavolino. Non si trattava di una festa al quanto eccessiva, c'erano solo il suo gruppetto di amici e i suoi fratelli, con i rispettivi partner. Una semplice festa fatta a base di pizza, birra e tanti regali, che Rufy si stava apprestando ad aprire a uno a uno, con la sua solita vivacità bambinesca. 
«Devi ringraziare Makino...» gli disse Ace, mentre il fratello si provava il cappello di lana che la loro amica gli aveva regalato. Era stata come una balia per Rufy. 
«Contaci! Domani c'è anche lei al pranzo col nonno, no?» chiese, e nel farlo rabbrividì un poco. Voleva bene a suo nonno, ma tra di loro non correva buon sangue, soprattutto quando discutevano su quale stile di vita bisognasse tenere. 
Ace rise lievemente. Sembrava che sia lui sia Sabo non se la fossero presa per quello che era accaduto la mattina; anzi, quando Rufy li aveva abbracciati, andando subito a parare il proposito di dargli spiegazioni e in tal caso fornirgli delle scuse, loro sembravano cadere dalle nuvole. Come se avessero rimosso tutto. 
Erano tranquilli, gli avevano persino regalato una moto da cross nuova, una di quelle che desiderava da tanto tempo. Rufy si sentiva un po' meglio anche con se stesso. 
Cosa che invece non faceva Trafalgar, che se ne stava in disparte, gli occhi da falco di entrambi i fratelli puntati addosso. Era teso, e il fatto che gli fossero lanciate certe frecciatine, come se ci si aspettasse da lui qualcosa o come se si sapesse che non sarebbe successo niente, lo rendeva ancora più nervoso. Più volte Rufy gli aveva chiesto se c'era qualcosa che non andava, anche durante la strada del ritorno dal cinema, mentre sproloquiava sul film e su cosa gli fosse piaciuto e no. 
Law era stato sovrappensiero per tutto il tempo – anche se, non l'avrebbe ammesso mai, ma il film l'aveva seguito pure lui –, e Rufy temette fosse per via di quello che aveva fatto prima di entrare in sala. 
Di quello, a dir la verità, Law era assolutamente tranquillo. Non se ne era pentito affatto, anzi, si sentiva quasi più leggero. Si sentiva come se questa cosa dovesse farla già tempo addietro, ma c'era qualcosa che glielo impediva – il suo cinismo? O la sua maniacale passione di mostrarsi distaccato dai sentimenti umani?
Era altro che aveva occupato la mente del giovane, e non erano solo le parole di quei due rincretiniti seduti adesso ai lati del proprio fratello, ma il contenuto che si celava dentro la sua tasca e che lui stava stringendo con forza.
Il piccolo desiderio che era rimasto chiuso nel cassetto.
Il proposito che, adesso, avrebbe voluto rendere fattibile.
Il possibile gesto... che avrebbe fatto capire a Rufy che l'amava.
Poco importava cosa ne pensassero i suoi fratelli, a lui interessava solo della reazione di Rufy.
«Bene, questo era l'ultimo!» disse il festeggiato, riposando il cappellino dentro la scatola.
«Come, Trafalgar non ti ha fatto nulla?» disse Ace, mellifluo, lanciando una lunga occhiataccia al diretto interessato.
«Nah, lui non doveva farmi regalo!» disse Rufy, sorridendo. «Abbiamo già passato la giornata insieme, per me basta e avanza!»
«Proprio un bel regalo...» sussurrò Ace, ovviamente in riferimento a quello che era successo la mattina, probabilmente non abbastanza piano da non farsi sentire, tanto che Sabo gli diede uno scappellotto sulla nuca. L'unico a non comprendere fu proprio Rufy.
Law si sentì un po' puntato sul vivo, anche se adesso tutti ridevano delle proteste che Ace aveva rivolto al biondo per via del colpo. E mentre tutti erano distratti, per il momento, si ritrovò a fissare il viso sorridente di Rufy, lo stesso maledetto sorriso che gli aveva rivolto quel pomeriggio.
Quel maledetto sorriso che amava.
Fu facile per lui, da quel momento. I muscoli si fecero meno tesi, e i suoi polmoni, troppo pieni d’ossigeno per i suoi gusti, erano tornati alla loro posizione naturale.
Gli venne così spontaneo, così immediato, che quasi non ci pensò, proprio come quel pomeriggio. Era questo il suo problema, Law pensava troppo. Con una persona che si ama, non si pensa troppo, semplicemente si fa e basta. Il chirurgo aveva appena imparato a farlo. 
Strinse ancora una volta l'oggettino che teneva in tasca, prima di chiamarlo. «Mugiwara-ya!»
Gli diede solo il tempo di girarsi, di sbattere i suoi grandi occhi color ebano, prima di lanciare qualcosa nella sua direzione. 
«Una chiave?» Rufy era perplesso. 
«Gli hai regalato anche tu una moto da cross?» scattò subito Ace, senza neanche accorgersi che, di fatto, quella chiave non era per niente la chiava di un motore, bensì sembrava più...
«Così la prossima volta non rimani fuori sul pianerottolo ad aspettarmi quando non ci sono...» bofonchiò Law, sorseggiando la birra che aveva in mano da quasi tutta la serata. 
Ecco qual era il fatidico desiderio. Il desiderio di poter avere Rufy a casa, pronto ad aspettarlo se necessario. All'inizio, aveva lottato un po' con se stesso, con la paura di lasciare casa sua nelle mani di quel folle, cosicché il duplicato della chiave era rimasto in un cassetto, vuoto, perché sarebbe stato solo di proprietà di Rufy in futuro. Tuttavia, il ricordo di Rufy, seduto sullo zerbino ad aspettarlo davanti casa, un sabato mattina, con l'idea di fargli una sorpresa, aveva vinto su tutti i fronti.
Rufy lo fissò con tanto d'occhi, e con lui tutto il resto degli invitati.
«Hai anche un cassetto, se vuoi... nel mobile della mia stanza...» proseguì Law, nel silenzio più totale, e stava cominciando ad avvertire un certo disagio.
«Buon dio...» sbottò poi Sabo, ancora incredulo. Era quasi certo che Trafalgar l'avrebbe preso alla lettera, ma non così!
Rufy, nel frattempo, aveva deciso di coprire la distanza che lo separava dal suo compagno passando direttamente sopra tavolino e divano, lanciandosi su di lui a braccia aperte. L’altro lo afferrò per miracolo. 
«Grazie Torao! Grazie, grazie, grazie, grazie, è il miglior regalo che tu potessi farmi!» Rufy era euforico, e non sapeva se delle piccole lacrime di gioia gli stavano inumidendo gli angoli degli occhi. 
Law, stranamente, sorrise, ricambiando quell'abbraccio soffocante. 
«Ti amo» gli disse poi, e voleva che fosse lui a sentirlo per prima, gli altri non erano niente. 
C'erano solo lui, Rufy e il loro abbraccio. Proprio come quel pomeriggio. 
Il minore si staccò un po', giusto per poterlo vedere in viso. Non l'aveva mai visto in quel modo, faceva quasi impressione, eppure Rufy sentiva che era sincero. Che l'avevo detto perché, per la prima volta, si sentiva di farlo, non era costretto. 
Torao non sarebbe cambiato: sarebbe rimasto sempre il solito individuo cinico e a volte sgarbato con lui. Ma almeno, aveva finalmente ammesso che anche lui sentiva le stesse cose che sentiva Rufy. E, chissà, forse avrebbe continuato a mostrarle nel tempo avvenire. 
Lo fissò, le pupille che vibravano, un po' per via di un imminente pianto un po' per l'emozione, prima di baciarlo sulle labbra. 
Nessuno dei due seppe per quanto tempo si baciarono, l'unica cosa che sentirono furono lo scrosciare di applausi e il rumore assordante di fischi proveniente dal gruppo di amici del ragazzo.


«Rufy, dobbiamo andare a casa...» bisbigliò piano Sabo, scrollando per una spalla il fratello.
Questo mugugnò qualcosa, prima di tornare a ronfare sonoramente.
La festa era ormai finita da un pezzo, e gli unici a essere rimasta erano il proprietario della casa e i tre fratelli. Gli altri se ne erano andati un po' prima, e anche Koala e Marco avevano lasciato l'abitazione, facendosi ripromettere da entrambi i tontoloni che avrebbero passato una serata da soli molto presto. 
Rufy si era già addormentato, probabilmente da quando aveva finito di mangiare la torta che aveva preparato (senza panna alla fine), a dimostrazione del fatto che lui l'alcool non lo reggeva per niente.
«É tardi...» ritentò il biondo, ottenendo solo il rumore ridondante del russare di Rufy come risposta.
«Abbiamo anche il borsone...» disse Ace, che era già pieno fino al midollo di sacchetti, e ancora ne mancavano altri. Gli amici di Rufy tendevano sempre a esagerare con i regali, ed era solo un gruppo composto da otto persone!
«Lo so...» Effettivamente, quella mattina, la loro visitina serviva anche a evitare una cosa del genere, ma con tutto quello che era successo gli era proprio passato dalla mente. «Come facciamo con Rufy?»
«Problemi?» chiese Law, che aveva ascoltato tutta la conversazione mentre dava una ripulita in cucina. 
Trafalgar era l'ultima persona cui i due fratelli avrebbero chiesto aiuto, ma non ce ne fu realmente bisogno: senza che loro parlassero, Law si era avvicinato al corpo assopito di Rufy, aveva mormorato qualcosa e se l'era caricato sulle spalle, mezzo addormentato.
«Dove avete parcheggiato la macchina?» domandò, come se quella scena fosse all'ordine del giorno. 
Sabo ci mise parecchio ad assimilarla, prima di rispondere. «Davanti al tuo portone.»
Arrivarono alla macchina in pochissimo tempo, intanto che Law sistemava Rufy nel sedile posteriore. 
Gli mise la cintura di sicurezza, mentre quello andava blaterando parole sconnesse, passandogli una mano tra il ciuffo che gli copriva il viso. 
Non poteva di certo aspettarsi di trovare Sabo dietro le sue spalle non appena si girò, lo credeva a sistemare le varie cose nel bagagliaio con Ace. 
«Paura?» disse, sorridendo compiaciuto.
«Con la brutta faccia che ti ritrovi...» disse, sempre nei suoi modi poco cortesi.
«Ti dirò, Trafalgar, mi hai stupito. Non mi aspettavo un gesto del genere da uno come te» si complimentò, mentre apriva la portiera del guidatore.
«Anche se non ci riprenderemo mai dalla consapevolezza che Rufy faccia sesso con te!» si aggregò Ace.
«Ace...»
«No, Sabo, non ribeccarmi, non smetterò di essere scioccato, Rufy neanche sapeva cosa implicasse fare sesso!»
«Fino a qualche tempo fa, Rufy neanche sapeva cosa fossero i genitali, perciò non credi che io sia stupito quanto te?»
Law alzò un sopracciglio, domandandosi se quei due facevano sempre così.
Stranamente, non era in ansia per quello che pensavano, per lui contava come ne era rimasto Rufy. Coscienza o meno apposto, aveva fatto tutto quello che era in suo potere per rendere, almeno una volta, felice Rufy della loro storia. O per dimostrare che anche lui era felice di stare insieme con quel pazzo.
«Vogliamo fidarci, Law...» disse Sabo. «Nel senso che se venissimo a sapere di altri atti sessuali come quello di stamattina, cercheremo di non farci caso...»
«Ma non ti illudere, continuerai a starci sulle scatole!» concluse Ace, entrando in macchina.
«Concordo!»
Il chirurgo non ebbe il tempo di dire nulla, di rispondere, che il finestrino della macchina si abbassò di nuovo, rivelando la chioma bionda di Sabo.
«Puoi rispondere?»
«A cosa?»
Sabo sorrise appena. «Ami o no mio fratello?»
Law, quella volta, non ebbe il bisogno di ragionare come faceva sempre, come faceva anche quando era al fianco di Rufy. Semplicemente, rispose, girandosi a guardare Rufy che gli sorrideva, la faccia imbambolata appoggiata al finestrino e gli occhi semi aperti.
«Io... credo di sì.»
«Bene, perché se ti rammollisci, sarà più facile prenderti in giro!»
Law spostò i suoi occhi grigi verso la fonte della voce, il sorriso che aveva prima sostituito da un'espressione infastidita. Ace teneva la testa inclinata e sorrideva divertito.
Sabo nascose il suo sorriso, ma si rivolse ancora a Law. 
«Quello che cerca di dire Ace è...» s'interruppe, giusto per studiarlo un po'. «Hai fatto un grande passo, lo sai questo?»
«Non l'avrei fatto se non ne fossi stato sicuro» affermò Law.
Sabo sorrise e mise in moto. «Vedi di non sgarrare!» disse prima di partire, sollevando la polvere dalla strada.
Trafalgar Law rimase ancora sul ciglio del marciapiede a fissare l'auto che diventava un puntino, sorridendo, felice di aver compiuto questo strano passo. 
E si ritrovò desideroso di vedere quel cassetto vuoto, nella sua stanza, riempito. Desideroso di trovare il faccino sorridente di Rufy ad aspettarlo quando apriva la porta di casa.



Delucidazioni:
-Tecnicamente, questa storia doveva essere pubblicata per il compleanno di Rufy. Mi sono resa conto, però, che non ce la facevo con i tempi, perciò mi sono detta che era perfetta per questa giornata della raccolta, dove mi veniva lasciato campo libero :')
-Niente, mi faceva troppo ridere l'idea di un Rufy che lascia appeso Law (povero...). Per quanto riguarda la scena in cui preparano la torta, è ispirata a una fanart in cui Law, vedendo Rufy con la faccia tutta sporca di panna, comincia a baciarlo sulla guancia. E niente, la cosa di per sé era tanto carina e pucciosa, io l'ho trasformata... vabbé, in questo
Per non parlare di come piaceva l'idea di vedere Rufy con un touche blanche in testa, dopo gli ultimi capitoli. c': 
(per chi non lo sapesse, è il cappello da cuoco, detto alla francese lol)
-Il fatto che Law abbia un rapporto contrastante con Ace e Sabo è un headcanon che tendo ad inserire in quasi ogni mia AU. E mi piace troppo che si sfottano a vicenda :'D <3 
Tecnicamente, la scena in cui i due fratelli vedono Rufy praticamente nudo (con la felpa di Torao addosso, da non dimenticare, che io amo immaginarmelo così <3 *le mettono una camicia di forza*), nella mia testa fa ridere, ma non so se sono riuscita a renderla a dovere. Fatemi sapere cosa ne pensate, è una delle scene cui tengo di più!
-Perché Civil War? In realtà, ho preso la scusa dopo una discussione con mia sorella su quale supereroe si addice di più a ogni personaggio di One Piece. Abbiamo avuto problemi con Law, sul serio, non sapevamo chi affibbiargli (alla fine, abbiamo optato per Batman, appunto, ma solo perché, diamine, ha pure il suo "Joker". Anche se una meme diceva che Law da piccolo poteva essere paragonato a Robin... *la picchiano*).
La cosa si è protratta per un po', finché non le ho proposto quest'idea e lei mi ha detto di provarci. Lo so, passo da fargli fare i nerd (che poi, Rufy ce lo vedo a leggere qualche fumetto, non implica una lettura chissà quanto complicata. Law no, perché lui è tutto tomi e libri di anatomia, quindi la cosa era fatta per far sorridere. Anche se, possibilmente, Law dentro di sé è un po' nerd... uu), a fargli fare cose dolciose, ma volevo mettermi alla prova con una cosa del genere :')
-La scena di Law che da la chiave a Rufy è presa da una doujinshi (il nome purtroppo è in giapponese, non so come fornirvela :c), e mi ha fatto sciogliere come un ghiacciolo! *W*
Mi piaceva l'idea che Law, per dimostrare che ci tiene davvero a Rufy, sia disposto a lasciargli campo libero a casa sua. In una relazione di coppia, fare una cosa del genere è importante, significa che sta diventando qualcosa di serio. Come anche l'idea del cassetto personale, aww! *^*
Forse è uno stereotipo americano, ma anch’io la peso così. 
A tal proposito, fatemi sapere cosa ne pesate della personalità dei miei due patati e della loro dinamica di coppia, non vorrei aver reso tutto troppo confuso.
-Tengo tantissimo a questa storia, ci ho lavorato tantissimo perché venisse nel migliore dei modi. E lo so che sono state VENTI PAGINE di pura tortura, ma tenevo a inserire tutto quello che avevo a mente. 
Vi prego di perdonarmi! 
*porge medaglia d'onore a chi è arrivato alla fine* (???)
Commenti sempre liberi e accetti, e prometto che risponderò a tutti non appena avrò tempo! ;)
Ancora grazie di rendere questa pazza tanto felice! <3
Ci si vede col Day Nine,
_Lady di inchiostro_

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Capitolo 9
*** Day Nine ~ I'm so sorry... ***


 
Ten Days of LawLu
~
I’m so sorry…



 

Day Nine: A Promise Kept/A Battle Fought
 





L'ultima cosa che si sarebbe mai aspettato nella sua vita, da quando aveva imparato a convivere con Rufy, con la sua instabilità emotiva, col suo essere sempre disponibile e allegro, era litigare proprio con lui. C'era una netta, nettissima differenza, tra l'arrabbiarsi con lui per le sue pazzie, per i suoi modi di fare al quanto stupidi, e il litigare con lui.
Poche erano le persone che avevano avuto il privilegio – si fa per dire – di litigare col quel capitano di gomma tutto sorrisi e scemenze.
Rufy si arrabbiava, eccome, ma erano rari i casi in cui si poteva vedere realmente la sua furia venire fuori, con gli occhi che brillavano e iniettavano sangue, solitamente si arrabbiava per cose sciocche, cose che gli davano fastidio; ecco, il termine adatto sarebbe proprio questo, si scocciava, e per questa ragione non riusciva a stare arrabbiato con qualcuno per parecchio tempo, perché si trattava di una cosa passeggera.
Erano rari i casi in cui Rufy si era arrabbiato realmente, in cui aveva cercato di mantenere la calma e la lucidità di un capitano pirata, in cui aveva cacciato fuori parole che non avrebbe mai voluto dire. Erano rari i casi in cui Rufy aveva litigato seriamente con qualcuno – si potevano contare sulle punte delle dita, perché anche i suoi litigi con Ace erano lievi in fondo, non duravano per più di ventiquattro ore –, in cui aveva fatto di tutto per sostenere la propria opinione, comportandosi da orgoglioso anche quando non voleva, anche quando gli era troppo difficile.
E quella volta, Law poté assistere realmente a quella furia che di solito rimaneva dormiente venire fuori, in una forma più lieve rispetto a quando avvenne a Dressrosa, e riversarsi tutta su di lui.
Non seppe cosa scattò nella mente di Rufy, sapeva soltanto che non stava facendo nulla di male, si stava semplicemente cambiando in bagno; e, per la cronaca, era stato proprio quel ragazzino a entrare senza permesso, avendo continuato a bussare rumorosamente alla porta per richiamare l'attenzione di Torao e invitarlo a uscire, trovandolo mentre armeggiava con i bottoni della camicia.
Rufy aveva indugiato davanti all'uscio, fissando proprio il suo tatuaggio sul petto. 
Law credeva che il suo comportamento fosse dovuto all'imbarazzo, ogni tanto gli capitava in sua presenza – quel ragazzino era così pieno di sorprese, credeva che fosse solo uno zoticone che non collegava il cervello alla bocca, e invece si ritrovava ad avere a che fare con una persona a volte sfacciata e a volte imbarazzata, incostante.
C'era qualcosa, però, uno scintillio che con un guizzo abbagliò le pupille color ossidiana di Rufy. 
Era arrabbiato. Seriamente, e al momento senza alcun motivo apparente.
Law ne ebbe la conferma quando lo vide serrare le labbra e sbattere la porta, costringendolo così a inseguirlo per quella nave piena di stramboidi.
Era in questi momenti che Law cercava davvero di comprendere la natura di Rufy, il perché dei suoi atteggiamenti. Era pur sempre un medico, del resto sarebbe stato anomalo se non si fosse posto delle domande, men che meno quando si trattava di studiare la gente, poco importa se dal punto di vista fisico o psicologico. Con Rufy non ne era capace, gli sembrava che fosse riuscito a interpretarlo, ma poi c'era sempre qualcosa di nuovo che confutava le sue tesi. Come quel suo andarsene in malo modo, con un nervosismo irrazionale: non era mai successo, sembrava che stesse andando tutto più che bene, era stato così contento di festeggiare con i suoi nuovi affiliati, era così entusiasta della nave di quel ragazzetto che lo idolatrava in tutto e per tutto.
Perché faceva così, quando non aveva fatto altro che bussare alla porta insistentemente, con i suoi soliti modi da rompiscatole, pochi minuti prima?
Law non si sapeva dare una spiegazione.
«Mugiwara-ya!» Lo trovò poco dopo, davanti a sé, che camminava a passo di marcia. «Rufy, ti vuoi fermare?»
Non obbedì, Rufy, semplicemente continuò a camminare per la sua strada, costringendo Law ad afferrarlo per il polso.
«Si può sapere che diavolo ti è preso?»
Law poteva benissimo fare finta di niente. Poteva benissimo continuare la sua ricerca di un posto tranquillo in quella nave di psicopatici. Invece, qualcosa gli disse che quello scintillio, che quel luccichio, non era nato per niente. Se Rufy era arrabbiato, se Rufy voleva sfogarsi, una ragione c'era. C'è sempre una ragione, un movente, quando si litiga, entrambe le parti ne hanno uno, più o meno valido che sia.
E Law era quasi certo che il motivo di tanta rabbia era proprio lui, e voleva sapere come mai. Perché, per quanto dicesse che non gli interessava cosa pensassero gli altri, l'opinione di Rufy contava tantissimo per lui – non poteva negarlo più oramai.
Rufy lo squadrò con odio mentre lui lo strattonava per il polso. «Lasciami!» Riuscì a liberare la presa, e spostò lo sguardo verso le assi di legno logore del pavimento. «Sono arrabbiato con te...»
«Questo l'ho capito... Non ho capito il perché.»
Rufy borbottò qualche parola a mezza voce. «Dovresti saperlo...»
«No, non lo so. Quello che so è che sei entrato mentre io mi stavo cambiando, quando ti avevo esplicitamente chiesto di aspettare. Poi, ti sei comportato così...»
Ancora silenzio, spezzato ogni tanto dai borbottii di Rufy.
Trafalgar si premette il ponte del naso. «Senti, non ho voglia di perdere tempo con te... Mi dici perché sembra che ce l'hai a morte con me?»
«Perché sei un bugiardo...»
Law s’irrigidì tutto a un tratto, le iridi grigie che si focalizzarono sul visino di Rufy contratto in una smorfia triste, delusa, amara.
«Sei un bugiardo...» ripeté.
«Si può sapere quale bugia ti avrei raccontato?»
«Mi avevi assicurato... Mi avevi assicurato che non avevi intenzione di morire!» Senza accorgersene, il corpo di Rufy stava cominciando a essere colto dai tremori, dal pianto, dalle urla. 
Trafalgar non replicò, gli occhi adesso assottigliati, la figura di Rufy che si sfocava appena. Sapeva benissimo a cosa si riferiva il ragazzo, alla loro discussione prima che comparisse quella ragazzina dai poteri strani, prima che andassero da Doflamingo, nel palazzo reale di Dressrosa. Lì, dove Law gli aveva assicurato che non sarebbe morto, che non avrebbe fatto niente di così avventato da portarlo a morire come un martire. Era a quel momento cui mirava Rufy, i ricordi della battaglia combattuta che si confondevano nella sua testa, come se fossero delle pellicole oramai vecchie. Quello che a lui interessava, era arrivare alla parte in cui aveva trovato il corpo di Law riverso in un lago di sangue, in cui l'aveva creduto morto per dei secondi che parevano eterni, in cui aveva sentito il gelo alle mani al solo toccarlo. Ed era vero che era stata tutta una bugia, una falsa per permettere che Mingo abbassasse la guardia, ma poteva benissimo succedere veramente. E Law questo lo sapeva, era il suo piano sin dall'inizio, come lo sapeva anche Rufy.
«Quelle ferite...» disse, anche se pareva più un urlo simile allo stridulo di un falco, indicando la parte scoperta del suo petto. «... Non dovrebbero esserci!»
Allora era questo il motivo che l'aveva spinto a tanto, che aveva svegliato la bestia che dormiva nel suo inconscio?
«Ti rendi conto delle assurdità che dici?» protestò alla fine Law, regolando il suo tono di voce per sovrastare Rufy. «Queste ferite me le sono procurare a causa di Joker. Me le ha inflitte lui. Se avessi voluto mettere fine alla mia vita, me le sarei fatte da solo. Anche tu ti sei ferito durante gli scontri, no? Dove sta la differenza?»
Rufy scosse la testa. «É diverso! Tu sapevi a cosa andavi incontro!»
«Anche tu lo sapevi...»
Rufy parlò ancora, agitato, senza riuscire più a mettere due parole coerenti in fila, un vulcano pronto a eruttare la verità da un momento all'altro. «Io lo sapevo... Lo sapevo che volevi morire... Sei un bugiardo. Mi avevi detto che mi ami, mi avevi promesso che staresti tornato...»
«Sono qui davanti a te, ho detto la verità e ho mantenuto la promessa. Dove sta il tuo problema?»
«Il problema è che sono stanco delle promesse impossibili, Law!» Lo confessò, alla fine. Lo confessò con un urlo, un urlo probabilmente sentito da tutti quanti su quella nave, intenti a fare altro per prestare attenzione al loro litigio. La reale motivazione di quella rabbia insensata, stava proprio in queste parole. «Sono stanco che mi siano state fatte promesse che non si possono mantenere! Sono stanco di vedere le persone a me più care strappatemi via! Tu l'hai mai vista la morte in faccia, Law? L'hai mai vista per dirla di volerla affrontare?» 
Certo che Law l'aveva vista: l'aveva vista nei corpi della gente di Flevance, dei suoi genitori, nel corpo di Cora sommerso dal biancore della neve. E questo, Rufy lo sapeva, ma era troppo arrabbiato per ricordarlo.
«Io l'ho vista negli occhi di Ace, nel sangue che ha rigettato davanti ai miei occhi, e lui era come te, è stato capace di affrontare la morte per salvare me. Era un bugiardo...»
Le mani di Rufy cominciarono a tremare con forza, come se avesse un principio di nevrosi, mentre la sua fronte si riempiva di goccioline di sudore freddo e la sua pelle diventava cerulea come la carta.
«Rufy...»
Il suo sguardo sconvolto si spostò su Torao, che adesso lo fissava dall'alto in basso con tono grave e apprensivo. Non credeva di essere riuscito a dire tutte quelle cose, a inveire contro Torao, e non era neanche sicuro che volesse davvero farle tutte queste cose. Se ne avesse avuto la possibilità, forse sarebbe tornato indietro nel tempo – oh, ancora più indietro, così avrebbero permesso a Sabo di non allontanarsi da loro, così avrebbe evitato che Ace morisse.
Rufy non era mai stato colto da un conato di vomito. Una volta, forse, quando aveva avuto la febbre alta, e in quel caso c'erano i suoi due fratelli a sorreggerlo. 
Quella volta, invece, mentre si sporgeva verso il mare e cacciava fuori quella sorta di acido corrosivo che gli infiammava lo stomaco e la gola, mentre cadeva sulle ginocchia, a sostenerlo c'era Torao.
La testa cominciò a vorticare e a pulsare, e gli ci volle un po' prima di riuscire a mettere a fuoco la figura scura di Law che gli puliva un rivolo di saliva con il dorso della mano.
Gli prese il viso tra le mani, piano, cercando di capire se stesse meglio.
«Come ti senti?»
Mugugnò, facendo dei gesti con la testa che facessero intuire che era tutto nella norma.
«Mugiwara-ya, guardami!» Era talmente frastornato, che quest'ultimo obbedì, lasciando che il capo seguisse la traiettoria che gli indicavano le mani di Law. «Lo vedi che sono qui davanti a te?»
Rufy s’irrigidì, ma annuì.
«E non credi che anche Pugno di Fuoco avrebbe voluto essere qui? Pensi davvero che volesse lasciare te?»
Rufy strinse le palpebre prima di rispondere. «Lui non ha rimpianto la sua vita...»
«Lui non ha rimpianto ciò che ha fatto» proseguì Law. «Per quanto sapeva di non stare mantenendo una promessa. É tuo fratello. Non credi che avresti detto anche tu una bugia se fossi stato al suo posto?»
Rufy tirò su col naso, e le prime lacrime cominciarono a formarsi, come dei piccoli cristalli, intanto che annuiva.
Law, inconsapevolmente, sorrise. «Tutto quello che ti ha detto è vero, Rufy.»
Le mani, finora posate a reggere quella testa traballante, si spostarono ad attirare quel corpicino verso di sé, e Rufy poté stringere le dita sul colletto della camicia, sul suo tessuto, e sfioravano quelle cicatrici che, un giorno, forse Law gli avrebbe fatto esplorare meglio. Scoppiò in un pianto dirotto, Rufy, un pianto carico di paure, finzioni, di tutte quello che aveva tenuto nascosto nella sua parte inconscia, chiusa con un cancello ferrato, intanto che Law posava la fronte contro il suo capo.
«Scusa...!» Fu tutto quello che riuscì a scandire tra i singhiozzi.


Per il resto del tempo, anche quando fuori era pomeriggio inoltrato, Law e Rufy rimasero nella stanza adibita al riposo, al buio. 
Nessuno sembrava voler giudicare la scelta del capitano di gomma, ridotto completamente a uno straccio. Non era possibile che non avessero sentito le urla di entrambi, in maniera particolare quelle del minore, e Law si ritrovò ancora una volta ad ammirare il rapporto saldo di quella ciurma, che non sembrava giudicare le debolezze del proprio capitano: Rufy c'era stato sempre per loro, per una volta era anche giusto che fosse lui a sfogarsi. E se preferiva passare il tempo disteso a letto con Torao, poco male, l'avrebbero accolto a braccia aperte e con un caloroso sorriso non appena si sarebbe ripreso. Ci sarebbero stati per lui, sempre. L'esperienza di quei due anni aveva insegnato loro molto.
Furono i veri proprietari di quella nave, la ciurma del Crestone, a fare un po' i capricci, ma ci pensarono la parte di Mugi che viaggiava con loro a metterli in riga.
La stanza non era totalmente buia, un lieve raggio di luce arancione filtrava da un piccolo oblò in alto, e si posava sulle dita di Rufy che stringevano la mano di Law.
Le fissava quasi ipnotizzato, serio, prima di allentare la presa per andarla a stringere con più forza. «L'avrei fatto anche per te...»
«Cosa?» disse l'altro, fingendo una voce assopita.
«Ti avrei mentito, se questo significava tenerti al sicuro» ammise. «Avrei sacrificato la mia vita per salvare la tua.»
«Non lo mettevo in dubbio.»
Rufy si morse il labbro inferiore e abbassò lo sguardo, mentre Law si avvicinava ancora un po' a lui.
«Era questo che volevi fare? Tenermi al sicuro?»
«Anche, ma in fondo non avevi tutti i torti. Il mio intento principale era quello di morire pur di raggiungere il mio scopo.» S'interruppe, dedicandosi a riempire di baci la spalla parzialmente scoperta di Rufy. Sorrise. «Sai, mentre Doflamingo m’infliggeva un colpo dietro l'altro, mi sono ritrovato a pensare che la mia vita forse non doveva andare sprecata in quel modo, che c'era qualcos'altro che mi infondeva la voglia di continuare a vivere.»
«Cos'era?»
Law si avvicinò all'orecchio di Rufy con un soffio leggerlo. «Era la promessa.» disse. «Eri tu.»





Delucidazioni: 
Come vi avevo già anticipato, questa storia si rifà, in parte, a quanto accaduto durante il Day Four
Non avevo un'idea ben precisa su questo prompt, pensavo che l'ispirazione sarebbe venuta da sé, fino a quando Eneri non mi ha fatto vedere l'immagine qua sopra. 
"E se Law e Rufy litigassero?"
Lo so, il mio cuoricino soffre a vederli così, ma l'idea mi piaceva. In effetti, non è una cosa che si vede spesso con loro due, persino io mi do troppo al fluff o all'angst (ah ah, si vede che mi piacciono poco, ah ah)
Forse il motivo del litigio sarà insensato, o troppo povero, ma ho ricollegato subito le due storie. Rufy è arrabbiato, non ce la fa più a sostenere il peso di queste promesse che non vengono mantenute. E lo sa benissimo che Law è lì davanti a lui, ma anche solo l'idea di perderlo come è successo con Ace lo fa star male. 
Ace gliela aveva promesso, non sarebbe morto, e Rufy a quella promesse ci credeva. 
Dopo quella volta, Rufy vorrebbe credere a una promessa del genere, e ha fatto così con Law, ma allo stesso tempo ha paura, perché sa che è troppo grande da mantenere.
(ed è una cosa su cui mi faccio il fegato marcio, ci ragiono spesso sopra...)
Vi dirò, penso che anche Rufy possa avere i suoi momenti di debolezza. Li ha avuti, lo sappiamo tutti, e a mio avviso potrebbe averne ancora. Non vorrei aver esagerato con Law che trabocca miele (?), ma in ogni caso esiste l'OOC per questo :')
Sulla scena finale... Non ho nulla da dire, mi piace l'idea di loro due a letto, anche così, sono bellini e basta <3 
Curiosa di sapere le vostre opinioni :')
Intanto, un grazie speciale va a Eneri_Mess, a cui la storia è dedicata: spero che abbia apprezzato, oh tu che mi pensi sempre quando vedi roba LawLu :'3 (?)
*abbraccio* <3
La prossima sarà l'ultima storia della raccolta. Devo dire che mi sono divertita tantissimo a fare una cosa del genere, devo riprovarci c':
(veramente, avrei in cantiere una long, ma shhh, nessuno deve saperlo...)
Ringrazio sempre e comunque tutti, anche tu che hai aperto per sbaglio! (??)
*abbraccio di gruppo* <3
Oh prodi, allora ci si vede con l'ultima giornata! ;)
_Lady di inchiostro_

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Capitolo 10
*** Day Ten ~ Thanks to be here with me ***


 
Ten Days of LawLu
~
Thanks to be here with me


Day Ten: Thank You






Doveva essere mattina presto. Il cielo fuori era di un colore indaco sfumato, i primi raggi del sole si mischiavano con la luce della luna, che ancora si poteva vedere chiara in cielo, con il biancore che la avvolgeva come un'aureola. Era questo che Law vide dalla piccola finestrella di quella casa di fortuna, costruita per una semplice famiglia qual era quella di Kyros-ya. 
Si era addormentato di botto molto probabilmente, troppo stanco dalla battaglia appena affrontata. Si era sentito le energie che si prosciugavano piano piano, come un flusso d'acqua che gli scivolava addosso e scorreva via, una corrente immaginaria sotto i suoi piedi, che lo scuoteva e lo faceva sentire spossato. Eppure, una parte di Law, per quanto sapesse che sarebbe potuto morire con tutto quello spreco di forze, si sentiva sollevato di aver fatto del suo meglio per la causa. Si sentiva di aver finalmente sconfitto Doflamingo. E non da solo, come credeva, lasciando che quel flusso di corrente lo privasse anche dell'anima, della sua consistenza simile a una nuvola la mattina presto, ma insieme a quella ciurma sgangherata che, alla fine, lo aveva fatto sorridere nonostante la fatica. Non da solo, ma insieme alla persona per cui aveva sprecato il suo ultimo briciolo di energie pur d vederla al sicuro accanto sé, mezza addormentata. E anche quello lo fece sorridere, perché anche se i suoi muscoli erano diventati come il granito, Trafalgar Law poteva ancora sentire il flusso della vita scorrere dentro di lui, e si ritrovò ad apprezzare le voci fastidiose di quella ciurma, il russare del loro capitano, il cielo libero di Dressrosa, e ora capiva perché Cora-san voleva che vivesse, per assistere a cose come quelle. 
Si alzò a fatica dal pavimento, le ferite che si era ricucito lui stesso che tiravano un po', mentre quella del braccio gli procurava dei dolori pazzeschi, come se i nervi stessero attuando l'impossibile processo di riagganciarsi assieme, come due lacci che fanno un piccolo nodo. Ah, la scienza mischiata alla magia di un Frutto!
Law non si era neanche preparato una branda di fortuna, gli era bastata la sua spada usata a mo' di cuscino per dormire serenamente. E, a quanto pare, avevano fatto lo stesso anche tutti gli altri, che riposavano come meglio potevano e nelle posizioni più assurde. 
Law si guardò attorno, gli occhi ancora impastati dalla stanchezza – da quanti anni non dormiva così bene? Aveva perso il conto... –, finché non individuò l'unico letto della stanza completamente vuoto. Spalancò appena le palpebre: l'idea che Rufy potesse essere già sveglio, dopo tutte quelle ferite e con il cielo che ancora non si levava di addosso i colori della notte, lo lasciava leggermente stupito, anche se la cosa che lo preoccupava di più era trovarlo. Ci mancava solo che combinasse qualche altro casino, con la Marina ancora in giro e pronta a schierare un'intera armata. 
Fortunatamente, lo trovò fuori, a pochi metri dalla casa, seduto sui talloni a fissare un po' i fiori, un po' il cielo, e ogni tanto alzava il nasino come a voler annusare l'aria pregna di rugiada e di polline dolce come il miele.
Law si mosse verso la sua direzione, col suo solito modo pacato, quasi evitando di disturbare la quiete di quel paesaggio, ancora per metà immerso nel sonno.
Si fermò solo quando si trovò a pochi metri da Rufy, che in quel momento stava giocando con un soffione. Un petalo gli finì in bocca e scoppiò a ridere, ma senza rompere del tutto quel silenzio piacevole. Lui l'odiava il silenzio, Law lo sapeva, gli ricordava troppo la solitudine. Per quanto a Law ricordasse l'impotenza, invece lui lo apprezzava, e ogni tanto gli faceva sentire come se Corazon fosse dietro le sue spalle e lo stesse abbracciando con la sua pelliccia calda. 
Quel silenzio, però, era voluto dallo stesso Rufy, come se stesse riflettendo, come se adesso avesse bisogno del silenzio per parlare, perché altrimenti la sua voce non sarebbe stata sentita.
Colse un fiore e cominciò ad analizzarne i petali. «Sabo è stato qui...»
«Chi sarebbe?»
Rufy si alzò in piedi, una mano sulla cupola del cappello e l'altra a tenere il fiore di un giallo brillante. «Il mio fratellone!»
Law alzò un sopracciglio. «Non mi avevi detto di avere un altro fratello...»
«Sì, beh... Non sapevo neanch'io di averlo fino a poco tempo fa!» rise.
Law era sempre più perplesso, mentre Rufy si piegava a raccogliere un altro fiore, stavolta di uno strambo blu elettrico, e sembrava il colore che associava a suo fratello, quando faceva dei bei sogni la notte, così rari e speciali da rimanergli impressi nella mente, come un marchio. Sabo era un fascio blu, Ace era un fascio rosso.
«Lo credevo morto...» disse, sorridendo appena, dolcemente e con nostalgia. «Io e Ace lo credevamo morto. E invece lui è vivo, sta bene...»
Law non osò proferir parola.
«Lui e Ace erano così simili da piccoli. E anche ora, quando l'ho visto... mi sembrava simile a lui in quello che diceva...»
Rufy raccolse un altro fiore rosso, rosso fuoco come Ace, e lo mise insieme all'altro ben posizionato sulla fascia del cappello, il fiore giallo ancora in mano.
«Sono sicurissimo che sia passato!» disse, sorridendo. «Non se ne sarebbe mai andato senza salutarmi! Solo, avrei voluto essere sveglio per poterlo vedere prima che partisse!»
Si mise davanti a Law, che adesso lo guardava preoccupato, perché in cuor suo sapeva che c'era una cosa che voleva chiedergli, ma non voleva turbare la sua quiete, il suo essere così allegro e spensierato per questo ritrovamento.
«L'ho sentito, sai? Ho sentito la sua presenza non appena mi sono svegliato, ho sentito che c'era stato. Come sento che c'è una ragione precisa se non è venuto a salvare Ace, perché sarebbe stato più che felice di farlo se avesse potuto, perché altrimenti non avrebbe voluto prendersi il suo Frutto, perché Ace desiderava con tutto il suo cuore che lui fosse vivo!»
«É per questo che ti sei svegliato, allora?» Law sembrava più sollevato nel tono di voce.
«Veramente non lo so perché sono sveglio, in realtà ho ancora sonno!» esclamò, ridendo e sbadigliando in un secondo momento. 
Law alzò gli occhi, facendo finta di essere rassegnato, sebbene un piccolo ghigno cercasse di trapelare dalle labbra.
«Speravo che fosse in giro...» riprese il discorso Rufy. «Ma non l'ho trovato, e poi mi sono lasciato distrarre dal colore del cielo. Tu l'avevi mai visto?»
«Un paio di volte... Quando con il mio sottomarino emergiamo e posso osservare il crepuscolo.»
«Allora, la prossima volta che succede, vedi di svegliarmi, voglio godermelo più spesso! Anzi, mi abituerò a svegliarmi presto da solo!»
«Questa la vedo dura...» disse Law, stavolta senza evitare di sorridere.
Rufy sbuffò e rise, prima di perdersi a osservare la luna, con la sua luce bianco latte.
«C'è una cosa che voglio dirti, Torao...»
Il diretto interessato spostò lo sguardo su di lui, e si rese conto solo in quel momento che entrambi avevano assunto la stessa identica posizione senza volerlo. Era strano come sapessero entrare in sintonia senza consultarsi prima.
«Volevo ringraziarti!»
«Cosa?»
«Hai sentito bene, volevo ringraziarti!» Rufy sorrise dolcemente, col suo modo fanciullesco che sapeva scaldare anche l'animo più affranto. «Lo sai, quando Ace se n’è andato, volevo morire anch'io... Ma tu mi hai salvato. Se non fosse stato per te, sarei morto, e se non fosse stato per Jinbe mi sarei lasciato morire.»
Law lo interruppe, trovando quella situazione del tutto innaturale. Non era Rufy che doveva ringraziarlo. Se c'era una persona che doveva farlo, quella era lui. E Law ne era consapevole.
«Mi sembrava di averti già detto a Punk Hazard che non era necessario ringraziarmi! E mi sembra che tu mi abbia già mostrato la tua gratitudine!»
«Lo so, ma sentivo di doverlo fare ancora» disse, la punta del naso sul fiore giallo. «Se fossi morto anch'io, Sabo sarebbe rimasto solo. E mi sarei sentito per sempre in colpa se l'avessi permesso. Per questo, ti devo ringraziare ancora per quello che hai fatto. Anche da parte sua, perché se sono vivo è solo merito tuo!»
Law sentì la spossatezza, quella che sembrava essersene andata con la brezza mattutina, con i nuvoloni densi di umidità che avvolgevano la roccia, dritta sulle gambe, come delle lance di legno e pietra. Perché i ringraziamenti di quel moccioso lo spiazzavano sempre?
«Ti devo la vita! Non sai che sollievo vederti ancora in piedi! Devo ringraziare anche Ace, mi sa, sono convito che ci sia il suo zampino qui: farmi trovare Sabo e far sopravvivere te, due persone importanti per me... Non credi che sia assurdo che sia accaduto tutto in unico giorno?»
Rufy non si era neanche accorto della mano di Law che stringeva il suo polso con forza, che adesso faceva scendere le dita alla ricerca delle sue.
«Ci sono un sacco di cose per cui devo ringraziarti, Law. A cominciare dal fatto che ci sei...»
Il fiore giallo che prima teneva tra l'indice e il pollice, si perse tra gli altri quando Law lo tirò a sé, metà viso sulla sua spalla. Rufy fece una smorfia di dolore per l'altro, perché sapeva che quello era il braccio ancora dolorante. 
Law, invece, non sembrò curarsene, troppo preso com'era dall'osservare Rufy, un piccolo cucciolo che si nascondeva tra delle braccia confortanti e familiari. Braccia che lo strinsero, braccia che reso possibile la fusione di quei due corpi, di quei due cuori. Rufy amava quando Torao l'abbracciava. Erano momenti così rari, ma che aveva dipinti tutti in testa, perché erano troppo preziosi per essere lasciati via, erano il tesoro di un pirata. Erano momenti che non sarebbero dovuti finire mai, perché ci si sarebbe perso in quel calore, in quel profumo che pizzicava, in quel rumore che produceva il cuore di Torao quando pulsava, veloce, sempre più veloce. E quella volta, fu esattamente come tutti gli altri momenti.
«Torao...»
«Zitto!» mormorò. «Non devi dire niente!»
Rufy si sentiva smarrito, come un cucciolo colto da troppe sensazioni in un colpo solo: il calore di Torao, il rumore del suo cuore, e il presentimento che ci fosse qualcosa che non andava, che si stava smuovendo dentro di lui. 
Rufy non fu l'unico ad accorgersene. 
Trafalgar non era un tipo che andava ringraziando, qualsiasi fosse stata l'occasione, preferiva agire da sé. Di debiti, ne aveva fin troppi, persino col mondo intero.
Quella volta, però, con il respiro di Rufy sul collo, la sua pelle morbida che faceva contatto con la sua, dove ancora scorreva il flusso della vita, dove ancora scorrevano le parole appena dette da Rufy, Law volle con tutto se stesso ripagare il debito. 
Lo stesso che aveva con Corazon, che non era mai riuscito a ringraziare per tutto quello che aveva fatto.
Lo stesso che aveva con la sua ciurma, cui non era mai riuscito a dirgli quanto fossero diventati importanti.
«Non ti ho salvato la vita per sentirmelo rinfacciare ogni santa volta.» Buttò lì, cercando di non far trapelare le sue reali intenzioni, ma le sue braccia, quelle stesse braccia che cercavano quel corpicino gracile, come le dita cercavano le sue mani, lo tradirono e strinsero la presa. «Non sei tu a dovermi ringraziare! Sono io a doverti ringraziare, per tutto quello che hai fatto oggi...»
Rufy non emise neanche un fiato, e Law non poteva vedere come le sue iridi stessero tremolando in quel momento. Cosa gli stava per dire Torao?
«La persona che mi ha salvato... Mi ha reso un uomo libero. Non lo sarei stato realmente se, però, non avessi chiuso i ponti definitivamente con quanto accaduto tredici anni fa. E sono stato in grado di riuscirci solo per merito tuo.»
S'interruppe e prese un bel respiro. «Non sono io ad aver salvato la vita a te... Sei tu ad aver salvato la mia vita dallo sfacelo. Perciò, sì, grazie!»
Era leggero, adesso, Law: le gambe erano tornate a essere allo stesso modo di quei nuvoloni che avvolgevano quello spettacolo, e che adesso si andavano dissolvendo col calore crescente del sole.
Udire la risata cristallina di Rufy – mischiata, chissà, a qualche goccia di lacrima –, lo rese sicuro di ciò che aveva fatto, ed era quasi sicuro che se Corazon fosse stato lì, avrebbe preso quei ringraziamenti come l'atto più sincero che Law avesse mai messo in pratica. 
Quel ragazzino aveva davvero stravolto il mondo del freddo Chirurgo, di quel bambino che voleva solo che la malattia lo sopprimesse. Law era davvero un altro. In meglio. 
Era tornato di nuovo a sorridere, come quando rivolgeva il suo primo sorriso mattutino alla sorella. Era tornato a provare sensazioni che credeva di aver perduto, come l'affetto immenso che provava per Corazon.
Era tornato libero, e tutto grazie a Rufy.
Il cielo aveva ancora il suo colore indaco, simile a una seta che lo ricopriva, e Law e Rufy erano due punti che si stagliavano, che facevano un po' a pugni con quel paesaggio, due punti uniti che non si mischiano.
Rufy chiuse gli occhi, il piacevole abbraccio di Torao che lo riscaldava dal vento mattutino. E lo sentì parlare ancora una volta, un sussurro al suo orecchio.
«Hai ragione. Devo ringraziarti per essere qui con me.»






Delucidazioni: 
L'ho detto che la gente di Tumblr mi legge nel pensiero? 
(quel posto è l'Inferno, consiglio a tutti di astenervisi se vogliono rimanere puri...)
Comunque, lasciando da parte gli scherzi, è automatico che venga in mente un prompt del genere per questi due, con tutto quello che è successo a Dressrosa.
La mia storia è una specie di What if?, perché Rufy dorme serenamente fino a quando non arriva il cibo, e non credo che avrebbe avuto altre ragioni per svegliarsi uu
Qui, invece, ho fatto in modo che lui fosse già sveglio, che ammirasse il cielo di quel colore, che avesse avvertito che il fratello era stato lì (non si nota che ci sono rimasta male che il biondo non l'abbia svegliato... vero?)
Rufy aveva già ringraziato Law per averlo salvato (QUELLA SCENA! <3), ma non l'aveva mai fatto a dovere: c'erano tante cose da dire, a cominciare dal fatto che gli ha permesso di rivedere suo fratello. E sì, poi ci sta lo zampino di Ace, quasi come se gli spiriti potessero un qualche modo mettere mano alla vita dei mortali, un po' la concezione che si ha degli angeli custodi. Come se, nella testa di Rufy, il suo fratellone non volesse farlo soffrire ulteriormente. 
Tutto questo destabilizza il nostro Chirurgo, perché sa che deve essere lui a ringraziare quel pazzo di un pirata per tutto quello che ha fatto per lui (io speravo che avvenisse anche nel canon, ma non importa. C'è ancora tempo... <3)
La raccolta si chiude così, con un abbraccio tra questi due! <3
Ora, apriamo le danze ai ringraziamenti:
Ringrazio chiunque abbia letto, o ci abbia anche solo provato, chi ha recensito (e prometto che risponderò... ma non è questo il giorno...) e chi ha inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate. Siete la mia gioia! <3 
Ringrazio chiunque abbia partecipato a questo evento, che spero si riproponi anche l'anno prossimo. Mi avete reso tanto felice! <3
Ringrazio sempre e comunque la mia beta, e tutte le ragazze del gruppo Facebook sul fandom, che sono costrette a sopportarmi <3
(a proposito, vi sentite soli e volete chiacchierare con qualcuno di OP? Quale occasione migliore per far parte di questo gruppo :'3)
Ho speso tutte le mie forze con questa raccolta, ma ne è valsa davvero la pena! <3
E adesso: ESAMI, NON VI TEMO! (??)
Per chi volesse continuare a seguire l'antro, ci si vede alla prossima storia! ;)
Stay tuned, 
_Lady di inchiostro_

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