Scorci di vita al campo mezzosangue ( perché i mostri stanno sempre in agguato, ma i momenti belli non sono da meno)

di Mirella__
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fiducia e gelosia vanno a braccetto con patate, cipolle e video ***
Capitolo 2: *** Intuito e strategia alle volte non seguono le regole ***
Capitolo 3: *** Non si smette mai di imparare ***
Capitolo 4: *** Sapore di blu ***
Capitolo 5: *** Legami da semidei ***
Capitolo 6: *** La vendetta dei mattoncini ***
Capitolo 7: *** Malattie imbarazzanti ***
Capitolo 8: *** Segreti tra noi ***



Capitolo 1
*** Fiducia e gelosia vanno a braccetto con patate, cipolle e video ***


Serie di one-shot inizialmente auto-conclusive. La raccolta partecipa alla Challenge: “CHI, CON CHI, CHE COSA FACEVANO” indetto da Kukiness.

La challenge prevedeva di fare una lista casuale dei personaggi, l’ordine in cui sarebbero stati scritti avrebbe avuto una corrispondenza con i prompt. Per fare un esempio pratico:

4 e 9 cambiano sesso ops tutta colpa di 10

Ed è proprio questo il prompt con il quale ho iniziato. Chi è 4, chi è 9 e chi è 10? E soprattutto, perché è successo tutto ciò?

Mi sono presa alcune libertà per quanto riguarda l’organizzazione del campo mezzosangue e di caccia alla bandiera, come, per esempio,l’utilizzo di nuove regole che andrete a vedere in questa stessa shot.

Spero che questo primo capitolo vi colpisca e che vogliate lasciarmi un parere, anche critico, il che non è mai un male ;)

Vi auguro una buona lettura.

 

Scorci di vita al campo mezzosangue

( perché i mostri stanno sempre in agguato, ma i momenti belli non sono da meno)

 

Fiducia e gelosia vanno a braccetto con patate, cipolle e video

 

Piper non ci credeva: sì, lei e tutto l'equipaggio dell’Argo 𐤚 erano stati lontani da casa per mesi, prima a causa di Roma, poi a causa di Atene (entrambi eventi catastrofici accomunabili sotto il nome di Gea) ma non pensava che caccia alla bandiera fosse diventata così cruenta!

Era abituata alle case competitive come quella di Ares, ci aveva preso una certa mano anche con i ragazzi di Nike, ma poi era partita e quando era tornata si era ritrovata davanti dei soldati allenati quasi quanto una falange romana.

I suoi alleati erano armati pesantemente: gli arcieri avevano la faretra piena di frecce; i ragazzi di Ermes erano in possesso di piccoli dispositivi elettronici ( sicuramente rubati da quelli di Efesto) capaci di controllare il corpo dell’avversario tramite un chip che poteva essere sparato dritto nel cervelletto; i figli di Atena avevano in mente quattordici piani di azione differenti, ma tutti avevano dato retta a quello di Annabeth.  

Piper era un po’ preoccupata per il trio, che si era proclamato così potente da riuscire a battere tutte le case messe assieme. Nico, Jason e Percy ci trovavano gusto in quel nuovo tipo di organizzazione:  avevano formato una squadra con la scusa del “siamo soli e in minoranza numerica, non sarete mica spaventati dal tuono, dall’acqua e dalle voragini?”.

 

Piper combatteva con i ragazzi di Atena, Annabeth l’aveva presa sotto la sua custodia durante quei giochi perché i ragazzi di Afrodite non volevano sporcarsi le mani. Piper capiva i suoi fratelli, ma lei non si sentiva come loro, non era una semplice figlia di Afrodite. Certo,  aveva capito che il potere di sua madre era temibile, ma in quella specifica battaglia non sarebbe servito l’istinto, non si trovava in un corpo a corpo, era con la strategia che si vinceva; anche se doveva ammettere che nel suo caso il nemico non poteva avere tutto quel grandissimo piano d’azione.

 

“Annabeth, cosa ne pensi?”

Piper prestò attenzione alla conversazione tra il pretore e la figlia di Atena, quest’ultima scosse la testa e analizzò velocemente la situazione.  “Credo che la bandiera sia vicino al Pugno di Zeus, lì la visuale è ottima. Sono abbastanza sicura che ci sia Nico a fare la guardia, Jason andrà a coprire la direzione nord, mentre Percy, ovviamente, sarà vicino al fiume”

“Quindi,” continuò Reyna nel suo ragionamento, “dovremmo aggirare Percy in qualche modo”

Annabeth si accigliò, ma sapeva che era la soluzione più funzionale. Il suo ragazzo era decisamente più disattento di Jason. “Piper, ci pensi tu?” Chiese alla fine Annabeth, lasciando un perplesso Will Solace che era lì solo per curare i probabili feriti.

“Sei sicura che Piper possa tenerlo a bada? Sì, insomma, sai com’è… Percy è figlio di Poseidone e Piper, con tutto il rispetto che posso provare per lei, è pur sempre figlia di Afrodite”

Reyna annuì in accordo con il ragazzo. “Lo so, ha fatto grandi cose, ma la lingua ammaliatrice non è molto efficace contro chi ne conosce gli effetti”.

Annabeth sorrise incoraggiante e guardò Piper che, imbronciata, tentava di non far capire quanto ci fosse rimasta male per le parole dei due. “Io invece credo che Piper ce la possa fare”

Will si stiracchiò e fece spallucce: era decisamente scettico all’idea e la sua espressione, solitamente sorniona, lo lasciava intravedere apertamente. “D’accordo, mettiamo caso che Piper riesca a tenere sotto controllo Percy. Tu, Annabeth, hai detto che tutti e tre stanno difendendo la loro base, come faranno a rubare la nostra bandiera e portarla dalla loro parte, senza un attacco?”

Gli occhi grigi di Annabeth si spostarono tempestosi sulla loro bandiera, dove quella volta era il gufo - simbolo di Atena - che sventolava fiero sulla stoffa. “Credo non ci sarà un attacco diretto. Tenteranno di rubarla utilizzando i loro poteri”

Reyna sbuffò: “Con il viaggio d’ombra di Nico potrebbero rubarci la bandiera da sotto il naso. Sul serio, Annabeth, ammetti di aver toppato con la scelta di questa squadra,” inutile dire che Reyna soffermò per qualche istante, forse involontariamente ( o almeno così volle credere la diretta interessata) lo sguardo su Piper.

Ma Annabeth scosse la testa con decisione, mentre la ragazza Cherokee si decise a parlare: “Dovreste avere più fiducia, sono pur sempre una dei sette, senza di me non avreste potuto tenere a bada Gea,” la punta di risentimento nella sua voce fece indietreggiare sia Reyna che Will.

“Sì,” dissero all’unisono, “abbiamo fiducia in te”

Piper sbuffò, non era sua intenzione usare la lingua ammaliatrice, ma la rabbia aveva preso il sopravvento, stava per scusarsi, ma quando Annabeth le fece l’occhiolino - con un’espressione piacevolmente divertita - si morse il labbro: in fondo Reyna e Will se l’erano cercata.

In tutto ciò nessuno si era accorto che del liquido insolitamente plumbeo si era addensato attorno alle loro scarpe, mentre una lieve brezza aveva iniziato a giocare dispettosamente con i capelli delle ragazze.

“Il punto è che Percy e Jason saranno in parte impegnati a utilizzare i loro poteri per derubarci sul nostro fronte, Nico non può utilizzare viaggi d’ombra, non si è ancora ripreso dal nostro incontro con Gea...”

“Da come parli sembra ci abbiamo preso dei pasticcini,” la interruppe Will, ma Annabeth lo ignorò e continuò il suo eloquio.

“La loro difesa sarà indebolita, noi abbiamo tutte le possibilità di…” mentre parlava, una forte folata di vento si propagò tra la valle, dovettero coprirsi gli occhi,  perché il vento trasportava con sé piccoli granelli di sabbia che andavano a infiltrarsi negli spazi più piccoli.

Un rumore metallico catturò l’attenzione del gruppetto di semidei, “maledizione! Prendete la bandiera!” Urlò Annabeth,  precipitandosi dove un attimo prima c’era l’asta, o, almeno, tentò di farlo, ma si ritrovò faccia a terra, con le suole rese scivolose da… che roba era quella? Melma?

Impotente, guardò la bandiera volare via, mentre anche gli altri semidei erano a terra, sembrava avessero voluto farle compagnia.

Piper cercò di ordinare allo spirito del vento di tornare indietro, ma ogni volta che apriva la bocca la sabbia si infiltrava sotto la lingua,  tra i denti. Annabeth era  a dir poco furibonda, persino Reyna, che aveva acconsentito a protrarre il suo soggiorno al campo mezzosangue per conoscerne le usanze, non se la sentiva di girare il coltello nella piaga con un “te l’avevo detto”.

Pochi minuti dopo, tra le fitte erbacce spuntarono: Percy, con un sorriso da deficiente sul viso, Jason era serissimo, al contrario del figlio di Poseidone, ci teneva a non sembrare spocchioso, mentre Nico sembrava sul punto di chiedere scusa.

Annabeth fissò furente il suo ragazzo, che stringeva tra le mani, tutto fiero, la bandiera con il simbolo di Atena.  

Reyna guardò prima l’uno,  poi l’altra e sorrise: la vittoria le bruciava e l’avrebbe fatta pagare cara a quel trio, specie visto il modo facile in cui era stata ottenuta, ma la vendetta è un piatto che va servito freddo e Reyna, da romana, lo sapeva bene.

“Cosa ho fatto?” Chiese Percy con la vocina più innocente che riuscì a fare, incredibile come bastasse la semplice espressione iraconda della sua ragazza per rimetterlo in riga, o quanto velocemente riuscisse a mettere su quell’espressione da cucciolo bastonato.

“Siete stati sleali,” sibilò Annabeth, “non avete nemmeno aspettato la mezz’ora di tempo canonica per l’organizzazione! La vittoria non è valida!”

Nico sembrò volersi sotterrare, sentiva lo sguardo di Reyna addosso; sapeva esattamente cosa il pretore stesse pensando: l’aveva avuta come compagna di viaggio per un sacco di tempo, qualcosa l’aveva pur imparata.

Percy guardò la sua ragazza con un sorrisetto da ebete: “Andiamo,  Annabeth, dovevamo muoverci in fretta, avevi i ragazzi di Apollo dalla tua e stavano per circondarci!  E poi hai idea di quanto sia difficile controllare i nostri poteri da una simile distanza?”

Anche Jason si sentiva in imbarazzo, quella vittoria era stata più da greco che da romano,  e si vergognava dover ammettere che l’idea era stata tutta di Percy. Era un idiota, ma alle volte aveva colpi di genio che effettivamente funzionavano.  

Annabeth alzò un dito per zittirlo: non ci vedeva più dalla rabbia.  “Questo è un colpo basso, Perseus Jackson”

Reyna sospirò: “Annabeth, forse dovresti ammettere che le forze non erano ben bilanciate”.

Piper abbassò lo sguardo, iniziando a giocare con la piuma che teneva legata ai capelli: si sentiva in colpa. Anche Will sembrava volesse dare la colpa a lei perché non poteva prendere fuoco come Leo. Strinse i pugni e serrò le labbra.

Annabeth non si accorse di nulla e continuò a dare contro il suo ragazzo: “Domani sera. Stesse squadre. Attendere la mezz’ora canonica.”

Reyna inarcò un sopracciglio. Era strano da parte di Annabeth insistere così tanto sulla stessa formazione, ma non poteva obiettare, lì non era pretore, si ricordò ancora, solo ospite.

Will si mise le mani dietro la testa e fece l’occhiolino a Nico. “Io magari cambio squadra, giusto per aiutare chi è in inferiorità numerica”. Poi si diresse verso la sala comune. La caccia alla bandiera era stata così breve che la cena sarebbe stata servita prima del solito.

 

Quando tutti i semidei si riunirono ad Annabeth sembrò che tutti gli sguardi fossero puntati su di lei. Quasi sentiva i giudizi di coloro che dicevano che in quanto figlia di Atena avrebbe dovuto crearsi una strategia migliore. Tsh, le squadre erano più bilanciate di quello che potevano sembrare.  Solo che l’attacco l’aveva colta di sorpresa, il giorno dopo avrebbe fatto vedere a tutti di cosa era capace Annabeth Chase, la semidea che era riuscita a recuperare l’Atena Partenone.  

Quello che più di tutto la preoccupava era il fatto che Piper non avesse emesso un fiato; se ne stava zitta zitta al suo posto, seduta assieme ai suoi fratelli della casa di Afrodite. Annabeth non seppe perché, ma quando la vide offrire agli dei parte del suo pasto ebbe uno strano fremito alla base della schiena: quella era una pessima, orribile sensazione.  

 

Will Solace quella mattina si sentiva proprio strano. Essendo un medico non ci fece molto caso, credeva poco in cose come lo stress, non era una donna quindi non stava per venirgli il mestruo, probabilmente avrebbe dovuto farsi una dormita decisamente più lunga per recuperare il lavoro gentilmente offerto da Gea e i suoi seguaci, ma le regole al campo erano uguali per tutti e la colazione o si faceva prima delle nove e mezza, oppure non si faceva. Indossò frettolosamente la maglietta del campo mezzosangue e cambiò senza pensarci due volte gli indumenti intimi, indossò dei pantaloncini e andò a lavarsi la faccia,  troppo assonnato per badare alla sua immagine riflessa allo specchio, persino quando lavò i denti e risciacquò non notò niente di strano.

Qualcosa di strano la notò, però, una volta fuori dalla sua capanna. Tutti lo guardavano: chi perplesso, chi sconvolto, chi semplicemente incuriosito, ma fu Nico Di Angelo che gli confermò effettivamente che c’era qualcosa che non andava.

“Per gli dei!” Esclamò il ragazzino. “Will?”

Will aprì la bocca per sbadigliare e sorrise sornione. “Ehi, deathboy!” Disse alzando la mano in segno di saluto, poi la ritrasse e se la passò tra i capelli, fino ad arrivare alla nuca, quando vide che non finivano e che non riusciva a toccarne le punte perché troppo lunghe, prese una ciocca di capelli. Ma cosa? Gli si erano allungati tanto mentre dormiva? Sicuramente qualcuno della casa di Ermes aveva dovuto tirargli qualche scherzo.

Gli parse strano, d’altro canto, che Nico non si fosse ancora lamentato per quel nomignolo. “Guarda che cosa buffa,” continuò a parlare solo, visto la non risposta di mister allegria, “mi si sono allungati i capelli in una notte”

Nico sbiancò, capendo di non avere le allucinazioni. “N… non è l’unica cosa ad essere cresciuta,” gli indicò il petto, dove sorgeva una quarta abbondante di seno, alquanto esposto visto l’assenza dell’indumento necessario per quella misura.

Will sembrò accorgersi solo ora dei due grossi problemi, anzi tre, se doveva andare a contare la mancanza d’altro… “Oh,” disse semplicemente Will, per poi riprendere fiato e continuare, “come direbbe Leo: Houston, abbiamo un problema”

 

Reyna quella notte dormì malissimo e non solo perché effettivamente non voleva dormire: visto che era un ospite e come tale doveva soggiornare nella casa di Ermes - vale a dire una casa piena di ladruncoli - ma anche perché aveva delle nausee pazzesche. Si rigirava e rigirava tra le lenzuola, quando ad un certo punto qualcosa cambiò, qualcosa che non sarebbe dovuto assolutamente cambiare.  Si mise a sedere di scatto e fu sorpresa di vedere che l’alba era effettivamente arrivata, eppure non le sembrava d’aver dormito. Credeva fossero passate a malapena tre ore da quando era andata a letto. Sospirò e tornò al problema principale: il seno. Ok, non era mai stata particolarmente abbondante ma arrivava alla terza, adesso non c’era più nulla!

“Giove... “ sussurrò tra sé e sé,  non sapendo come prendere la situazione. Finché c'erano nemici da affrontare andava bene, ma cosa dire quando era il tuo stesso corpo a tradirti? Corse verso lo specchio e si passò una mano tra i capelli corti, dopodiché urlò.  

 

Quella fu senza dubbio una delle riunioni più strane che si fosse tenuta nella Casa Grande. Reyna e Will stavano con le braccia ben conserte, quasi come se si stessero imitando in un gioco nel quale non c’era niente di divertente.

Percy guardò Will con uno strano luccichio negli occhi e Annabeth capì che la battuta stava per arrivare, o una qualche frase stupida. C’era da dire che da quando Leo aveva inviato loro un messaggio con le sue coordinate geografiche ( del tutto sballate) Annabeth aveva sorriso, non faceva più male pensare al suo umorismo mancante, perché stava per tornare.

“Quindi dimmi, Will,” iniziò Percy, “ora devo chiamarti Willa?  E Rey…” non fece in tempo a finire la frase che la romana gli piantò un coltello tra le dita, mancandole di un soffio. Acquaboy si ritirò in uno strano silenzio, reggendosi la mano come se fosse stato davvero colpito. “Cattiva” lo sentì Reyna brontolare, ma la ragazza, o meglio, il ragazzo non aveva voglia di sentire altre sciocchezze.

“Com’è successo?” Chiese Nico di scatto, che guardava Will Solace con gli occhi spettrali sgranati e - Percy l’avrebbe giurato - con una certa disperazione. Il figlio del dio del mare si morse il labbro: no, su Nico non avrebbe fatto battute, e non per essere politicamente corretto,  ma perché si sarebbe ritrovato con ogni osso rotto da Annabeth e Jason… quei due prendevano le cose così seriamente!

Will, del tutto tranquillo e quasi disinteressato, si mise a giocare a ping pong, attirando lo sguardo di altri semidei, ma nessun occhio si soffermava a lungo sulla sua figura, perché c’era Nico al suo fianco e i suoi, di occhi, sembravano voler dire “guarda e sarà l’ultima cosa che vedrai”.

Annabeth prese posto sulla sua sedia e guardò il gruppetto: di tutte le cose che erano capitate loro, grazie agli dei, quella era la più stupida e facilmente risolvibile, non era poi tanto preoccupata.

Piper alzò timidamente la mano: “Credo sia stata colpa mia” annunciò in un soffio, “ero irritata per i loro commenti durante caccia alla bandiera e mia madre…” sospirò, “beh sono un po’ la sua preferita” ammise a malincuore.

Will ridacchiò e scosse la testa: “Se devo essere sincero a me non dispiace,” ma a a quanto pareva a Nico dispiaceva, perché lo fulminò con un’occhiataccia. “Parli così solo perché Jason ti ha pagato la ciambella!”

Piper guardò malissimo il suo ragazzo, un’occhiata che voleva dire “ne parliamo dopo”, poi tornò a sorridere per lo scambio di battute tra Nico e Will. Reyna stava in un angolo a rimuginare sull’accaduto: sapeva quanto Venere potesse essere capricciosa e, da quando la frattura della personalità si era ricomposta, gli dei non erano più imprevedibili.

“Deve esserci un modo per tornare normale, non voglio passare il resto della mia vita in questo modo” l’isterismo nella sua voce era a stento trattenuto, sicuramente chiunque non fosse stato figlio di Bellona avrebbe ceduto, a parte Will Solace: se fosse caduto il mondo - come cantava Raffaella Carrà - si sarebbe limitato a spostarsi un po’ più in là.

Piper sospirò, le dispiaceva per Reyna, non erano mai state in stretti rapporti ma non voleva certo che vivesse per sempre a quel modo. “Ho sognato mia mamma, stanotte,” ammise passandosi nervosamente una mano tra i capelli scuri. “Vuole che vinciamo una partita di caccia alla bandiera e che sia io a guidarvi”

Will guardò Piper per un attimo, poi sospirò e prese un blocco degli appunti. “Allora Annabeth, ogni quanti giorni sanguinerò da qui a… il resto della mia vita? La miglior marca di assorbenti? Quando inizio a giocare a pallavolo?”

La bionda lo guardò gelida: “Fa un’altra battuta del genere e mi assicurerò che tu sanguini ogni giorno”

Rimasero tutti in silenzio, effettivamente Will aveva esagerato.

 

Per lui e Reyna quello fu il pomeriggio più lungo della storia.

Iniziò malissimo, una volta usciti dalla sala riunioni, il signor D l’intercettò nel cortile dell’armeria, diede a entrambi una pacca sulla spalla. “Spero vi troverete bene nella vostra nuova… situazione”

Percy sorrise apertamente. “Si abitueranno prima o poi,” non aveva nessuna intenzione di perdere.

Il signor D sciabolò come un cattivo da avanspettacolo le sopracciglia. “Uh, certo, certo, lo faranno, signor Jason,” il suo nome, storpiato a quel modo, fece innervosire non poco Percy: nonostante si fosse abituato al fasullo disinteresse del signor D, lo infastidiva essere chiamato come il figlio di Giove. “Ma passiamo a cose più importanti,” continuò il dio, “dov’è il mio eroe preferito? Grace!” Urlò, una volta individuato il biondo che cercava di nascondersi dietro un carretto pieno d’armi e  altre cianfrusaglie.  “Spero proprio che il signor testa d’alghe qui presente non vi faccia perdere contro la figlia di Afrodite, questa sera”

Percy si gonfiò il petto. “È tutto merito mio se abbiamo vinto ieri!”

Dionisio inarcò un sopracciglio: “Ah... intendi dire che tu saresti migliore di Jason?”

Dalla faccia di Percy, Jason credette che avrebbe potuto evocare un muro d’acqua.  “Sa com’è, io ho sconfitto Crono e sostenuto il cielo, sono diventato pretore e altre cosucce di poco conto...”

Non era da lui vantarsi, ma quando di mezzo c’era quello scansafatiche di Dionisio le rispostacce risalivano fino alla punta della lingua e scappavano tutte assieme, come se la prima che partisse gridasse: “All’attacco!”

Jason rise: “Disse il figlio del dio del mare scampato a un annegamento. Inoltre mi ricordo che è stato un certo Jason Grace a pararti il deretano contro Polibote sul fondo dell’oceano”

A Dionisio brillarono gli occhi, poi questi si spostarono su Nico. “E poi sono sempre Jason e Person a prendersi i meriti, mai una volta che qualcuno citi Nico Di Angelo, figlio di Ade. Hai guidato l’Argo e il suo equipaggio lungo la tratta Italia-Grecia, trasportato l’Atena Partenone fino a qui, portando le tue forze allo stremo e per cosa poi? Vedere quel fesso di Sonjack passeggiare mano nella mano con Annabeth Chase. Dovresti farla pagare a questi due e far vedere chi è davvero quello che merita più elogi,” detto questo il dio scomparve, lasciando al suo posto una piccola pianta di uva; i tre ragazzi si fissarono, confusi ma non arrabbiati.

Nico scrollò le spalle e osservò Will. “Mi fai vedere quella cosa con la freccia?”

Will sorrise come se l’intervento di Dionisio fosse stato di poco conto e i due si dileguarono verso il campo adibito al tiro con l’arco.

Per Reyna non fu facile come per Will, al quale sembrava non importare di tutti i risolini e le battute, anzi, sembrava averci preso parecchio gusto. Le si sgranarono gli occhi quando vide all’entrata del campo mezzosangue, vicino al campetto da pallavolo, Frank, Hazel, ma soprattutto Hylla! Da Regina delle Amazzoni non aveva qualcosa di meglio da fare che prendersi una pausa proprio quel giorno? Oppure usare il suo giorno libero proprio al campo mezzosangue? Si nascose dietro Jason e Percy, si sentiva incredibilmente umiliata.

Hylla si guardava schifata attorno, come se vedere tutti quei maschi senza collare la mandasse ai pazzi, poi posò lo sguardo dietro Jason e restò di sasso.

Hazel e Frank erano allegri, ridevano e scherzavano con Annabeth e non fecero caso a Reyna.
“Loro non ti hanno riconosciuta! Lo sapevo che erano i più tonti,” disse Percy, guadagnandosi una gomitata nelle costole da parte della sua ragazza. Hazel porse la mano a Reyna per presentarsi, ma la fermò a mezz’aria quando si accorse che c’era qualcosa che non andava.

Frank vedendo quella reazione si fermò per un attimo e studiò più attentamente il viso di Reyna. “Oh. Miei. Dei!”

Dovettero tenere ferma Hylla quando questa scoprì che tutto era successo per colpa di Piper.

“Quindi, fatemi capire,” disse sconvolta e sul piede di guerra, “mia sorella è diventata un maschio per colpa della dea dell’amore e potrà tornare una donna solo se Piper vi guiderà alla vittoria”

Tutti annuirono.

“Contro Percy, Jason e Nico”

Tutti annuirono di nuovo.

“Io ti ammazzo!” E l’amazzone si lanciò di nuono contro Piper.

 

Dopo aver salvato la figlia di Afrodite da un tentato omicidio, i ragazzi si spostarono nella foresta lì vicino. Sul campo mezzosangue sembrava volesse piovere, il che era impossibile visto che all’interno del suo perimetro le condizioni ambientali erano costantemente tenute sotto controllo. Jason era seduto sulla cima del Pugno di Zeus e guardava fiero il territorio circostante.
Percy era calmo, ancora non era vicino al fiume, ma grazie a Nico - che aveva scavato piccoli canali di irrigazione che arrivavano fino a quel punto - era pronto a combattere. “Questa volta la strategia sarà diversa,” annunciò Jason. “Dovremo andare all’attacco, per questo motivo chiamerò più spiriti del vento, li controllerò da quassù. Nico, tu dovrai manipolare i sentieri che portano qui, sei in grado di modificare piccole vie per far perdere i nostri compagni?”

Nico annuì, guardandosi attorno. “Dovrei riuscirci, nessun problema. Dobbiamo attendere davvero la mezz’ora canonica?”

Percy sospirò. “Se vogliamo che Annabeth non ci uccida direi di sì...”

Nico sospirò alquanto preoccupato. “Lo sai che abbiamo vinto per l’effetto sorpresa. Se avessimo aspettato saremmo stati intercettati,  circondati e saremmo diventati spiedini di semidei”.

Percy rabbrividì. “Questo è vero, ma non so cosa mi sia preso. Quando parlo col signor D esce il peggio di me. Mi fa quasi lo stesso effetto di Ares”

Jason lo guardò male. “Beh, se magari non avessi detto che noi tre assieme potevamo battere l’intero campo mezzosangue magari non ci saremmo trovati in questa posizione!”

Percy corrucciò le sopracciglia: “Oh, adesso è colpa mia? Jason Grace non sbaglia mai, lui è sempre perfetto. È il migliore!”

Nico iniziava seriamente ad innervosirsi: “State zitti entrambi!” Sbottò stufo di quei battibecchi. “Almeno Piper e Annabeth sono ancora donne! Will mi ha rotto le scatole tutto il pomeriggio con cose idiote! Gli ho dovuto portare le borse dopo aver fatto tre ore di shopping, tre ore per girare tre negozi! Si cambiava di continuo, chiedendomi come stava con ogni singolo vestito multicolore che trovava! Percy, sì, è colpa tua se siamo in questo casino. Jason, anche tu eri felicissimo di dimostrare quanto fossi forte. Quindi adesso, tacete entrambi e fatemi ragionare!”

Cadde il silenzio, un silenzio di tomba che Nico trovò delizioso.

 

Intanto nella squadra di Piper c’era un certo fermento tra i ragazzi di Apollo, i ragazzi di Ares e quelli di Nike: volevano mettere le mani addosso a quei tre. Da quando qualche giorno prima, durante la cena, parlando ad alta voce con il signor D, Percy si era lasciato sfuggire quella cavolata sul poter sconfiggere tutti assieme a Jason e Nico, i ragazzi delle case più competitive non vedevano l’ora di linciarli.

Piper credeva che tutto ciò sarebbe accaduto la sera prima, ma i ragazzi erano riusciti a mantenere fede alla parola di Percy, trasgredendo alle regole. Quella sera, nonostante fosse Piper a condurre l’attacco, non avrebbero vinto e le altre case li avrebbero ridotti in cenere; sbuffò e si passò una mano tra i capelli scuri, come se quel gesto potesse distenderle i nervi.

Annabeth intanto affilava la sua spada di ossa di drago, il modo in cui lo faceva non piaceva per niente a Piper e supponeva che sarebbe piaciuto ancora meno a Percy.

“Credo che dovremmo trovare un modo diverso di attaccare. Altrimenti…”

La figlia di Atena non le fece finire la frase, “altrimenti si ritroveranno con le frecce dei figli di Apollo ficcate in ogni foro possibile?” Sospirò, nel tentativo di calmarsi. “Lo so che Percy non intendeva quel che ha detto e so che dovremmo aiutarli in modo da farli uscire indenni, ma credo che meritino una lezione”.

Reyna fece spallucce, accanto a sua sorella Hylla che, nonostante avesse voluto appendere Jason, Percy e Nico a testa in giù su un albero, non aveva potuto partecipare a causa delle restrizioni che Afrodite aveva imposto alla squadra.

“Ho un’idea,” annunciò Piper. “Faremo credere all’intero campo mezzosangue d’aver pestato quei tre”.

Reyna la guardò “Credi davvero di poterlo fare?” Chiese perplessa, ma la ragazza annuì ottimista.
“Sono sicura che ci riusciremo, dovremo semplicemente marciare verso di loro”. Disse Piper, sicura delle sue parole, talmente sicura che per un attimo Will, Hylla, Reyna e Annabeth annuirono. Poi Annabeth, Reyna e Hylla tornarono lucide, al contrario di Will che era ancora stregato dalla lingua ammaliatrice. “Sei sicura di quello che dici, Piper? Un attacco diretto…” tentennò Reyna, ma Annabeth sorrise.

“Se Afrodite vuole che ci guidi lei non possiamo obiettare ai suoi ordini. Credo dobbiate avere fiducia in Piper, nel senso, affidarvi completamente a lei, senza nessuna critica”

Will si morse le labbra e disse: “Io non credo che Piper sia inutile. Semplicemente in quel frangente avrei preferito un altro tipo di strategia”

Reyna guardò la ragazza e si rabbuiò. “Io so che hai sconfitto Chione, so che hai convinto Gea a riaddormentarsi, anche se solo per pochi secondi. La realtà è che ero gelosa,” Piper sorrise comprensiva e continuò ad ascoltare il pretore, “forse non ho visto le cose come potevano essere perché tenevo di più a vederti fallire. Probabilmente sono stata infantile, scusami”

Piper le poggiò una mano sulla spalla e annuì. “Mi dispiace, non avrei voluto metterti in questa situazione, spero solo che oggi possa aggiustare le cose”

“Ragazze,” le interruppe Annabeth,  sguainando la spada e tenendo l’asta della bandiera con una mano. “La mezz’ora canonica è finita, andate”

 

Jason convocò i venti, ma questi non risposero, non ne era presente nemmeno uno, che sia fossero offesi per l’utilizzo che ultimamente ne aveva fatto? “Cosa sta succedendo?” Chiese trasalendo.

Percy guardò l’acqua ritirarsi pericolosamente dai canali di irrigazione scavati da Nico, ma fece in tempo a costringerla verso di sé e piegarla al suo potere. “Niente vento? Allora dovremo passare al piano B, Nico?”

Il ragazzo sorrise e fischiò un paio di volte, chiamando la Signora O’Leary e il grande cane infernale apparve immediatamente. Nico sorrise incerto e passò una mano sul muso.

“Devi prendere la bandiera, piccola,” disse Percy, “vai!” La Signora O’Leary abbaiò un paio di volte e andò alla ricerca di una qualsiasi ombra nelle vicinanze, ma improvvisamente tutte le ombre visibili vennero letteralmente trascinate via. “Cosa?” Iniziò a chiedersi Jason, ma improvvisamente un figlio di Efesto, Jake Mason,  sbucò da dietro un albero, tenendo tra le dita una pallina d’argento. “Niente viaggi d’ombra per voi, ma sono sicuro potrete vincere comunque, coraggio!”

Jason guardò il fratello di Leo e maledisse mentalmente tutti i suoi consaguinei. Se c’era qualcosa da inventare, beh, loro ci riuscivano, dannazione. “Percy, piano C!” Urlò invocando un fulmine dal cielo. Improvvisamente tutti i canali di irrigazione vennero elettrificati e grazie al disegno creato da Nico, sulla terra, e al controllo di Percy sulla quantità d’acqua, furono al sicuro da qualsiasi attacco diretto, almeno per qualche istante, Jason doveva continuare a tenere sotto controllo la scarica del fulmine.

I ragazzi di Apollo arrivarono in ritardo, grazie ai vari stratagemmi di Nico, ma quando puntarono le frecce contro loro tre Percy dovette ammettere a se stesso che quello non era abbastanza. “Devo invocare il fiume e sommergerli tutti?” Chiese ad alta voce.

Jason si guardò nervosamente attorno, probabilmente Jake Mason doveva aver creato qualche altra strana invenzione per racchiudere anche i venti. “Sì, oppure Nico potrebbe aprire qualche bella voragine”

Nico scosse la testa. “Vi ricordo che siamo sopra un’entrata del labirinto, forse è meglio non rischiare tanto”

Will Solace fece capolino tra le schiere dei suoi fratelli: “Ricordate, non uccidete, al massimo mutiliate, o ferite gravemente. Mi piace Dobby,” si giustificò poi per la citazione. “A parte Nico,” si ricordò dopo, anche perché il suo ragazzo sembrava essere pronto a farlo risucchiare dalla terra, correndo il rischio di riaprirlo davvero il passaggio per il labirinto.

Piper si mise al fianco di Will e guardò Jason. “Tu ti senti male per aver preso un pugno in faccia da…” ci rifletté un attimo e alla fine optò per due fratelli di Clarisse, “Mark e Sherman, e stai soffrendo, la faccia ti fa talmente male da non riuscire nemmeno a stare in piedi,” immediatamente dai ragazzi della casa di Ares si creò un grido di gioia, mentre Jason si buttava a terra, come se il dolore fosse reale, tenendosi saldamente la mascella. “Percy, tu… sei stato atterrato da Clarisse e da Chris Rodriguez, ti hanno preso alle spalle e ti hanno buttato giù, mentre tu, Nico, sei stato ingannato dai figli di Nike, aprendo un varco molto superficiale per far vedere che sei tu il più forte nella squadra e che senza di te Percy e Jason non avrebbero avuto nessuna difesa elettrificata!” Altre urla partirono dalle casate nominate, mentre Percy si buttava a terra accanto a Jason e iniziava a lottare contro un avversario che di fatto non c’era. Nico fece aprire il terreno, sabotando il piano di irrigazione che tuttavia non serviva a molto, senza più Jason e Percy a controllare i loro elementi. Piper entrò nel campo nemico indisturbata, prese la bandiera e la fece vedere ai suoi compagni di squadra. Tutti la osannarono, se la issarono sulle spalle urlando il suo nome e la portarono esultanti alla mensa.

 

Annabeth bussò ripetutamente alla porta. “Su, coraggio, Percy, esci”

Reyna rise alle sue spalle, da quando era tornata a essere una donna, riusciva a ricordare gli avvenimenti sotto un punto di vista più divertito. “Non ne avrà il coraggio”

Annabeth alzò gli occhi al cielo e Will rise più forte, anche lui tornato di nuovo un uomo, avvertendo piacevolmente l’abbraccio di Nico alle sue spalle. “Dovremo prenderlo con la forza, come abbiamo fatto con Jason”.

Il figlio di Giove strinse di più Piper a sé. “Devo ammettere che la sconfitta brucia e poi volevo evitare di incontrare il signor D”

Annabeth decise di non aspettare un minuto di più, spalancò la porta e annunciò: “Giudizio sull’ordine della camera!”

Percy era seduto a gambe incrociate sul letto, la guardò di sbieco quando la vide entrare e abbassò lo sguardo. “La prossima volta sto con te in squadra,” borbottò.

La sua ragazza annuì. “Questo non ti salverà dal due che ti sto dando per il porcile che c’è qui dentro, due che, casualmente, hanno preso anche Jason e Nico. Vi voglio in cucina a sgobbare”

 

Più tardi, in cucina,  Percy piangeva disperato su delle cipolle, mentre Nico tentava di capire come sbucciare le patate  Jason invece sembrava a suo agio in quell’ambiente e stava dando ordini ai due.

“E mister chef dell’anno è…” sussurrò Percy mentre gli scendevano altre lacrime. Jason lo sentì, ma fece finta di nulla: il video che gli stava facendo era una vendetta decisamente migliore.

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Capitolo 2
*** Intuito e strategia alle volte non seguono le regole ***


Prompt:

1 e 7 sono ubriachi, e 5 ne approfitta.

 

Scorci di vita al campo mezzosangue

( perché i mostri stanno sempre in agguato, ma i momenti belli non sono da meno)

 

Intuito e strategia alle volte non seguono le regole


Piper annuì convinta, mentre Annabeth, rossa in viso, scuoteva la testa. “Ma cosa stai dicendo? Sei impazzita?”

Piper continuò a gesticolare, un po’ infervorata per la notizia, un po’ sconvolta, un po’ decisamente felice.

“Ma lo sai come sono i ragazzi,” disse Annabeth, “magari era solo una cosa innocente e loro hanno frainteso”

Piper sospirò e dondolò le gambe sopra il suo letto a castello, poi scese con un balzo e si fece vicina alla sua amica. “Dobbiamo farli parlare, Annabeth, dobbiamo farci dire i dettagli!”

“E come facciamo?” Brontolò la figlia di Atena, “se usi la lingua ammaliatrice per convincerli ce l’avranno con noi a vita,” né Annabeth né Piper erano poi tanto interessate ai pettegolezzi, ma quella era decisamente una notizia bomba.

Piper fece sciabolare un paio di volte le sopracciglia. “Ho in mente un piano”

“E sarebbe?” Chiese Annabeth, improvvisamente interessata.

“Facciamo un gioco con la birra, si chiama: “Io non ho mai…””

Annabeth inarcò un sopracciglio. “Sarebbe contro le regole del campo mezzosangue!” Disse sconvolta.

Piper sorrise furba. “Tranquilla, non saremo noi a infrangerle, ti assicuro che berremo a malapena un bicchiere, e poi conosco un posto appena fuori dai confini che può fare a caso nostro...”

 

Più tardi, Percy e Frank si presentarono sulla spiaggia, Jason arrivò assieme a Piper e Annabeth.

“Ma Hazel?” Chiese il ragazzo canadese, guardandosi attorno in cerca della sua innamorata. Annabeth e Piper si lanciarono un’occhiata complice, avevano già stabilito al come rispondere per gli assenti. “Hazel è stanca per il viaggio e per oggi ci lascia da soli, mentre Reyna aveva dei documenti da sbrigare del campo Giove per via telematica, Nico e Will sono un po’ a farsi i fatti loro,” spiegò Annabeth.

In realtà nessuno dei nominati sapeva nulla di quell’incontro, insomma, Hazel non avrebbe mai acconsentito e Reyna li avrebbe apertamente denunciati ( e poi era per lei che stavano infrangendo le regole) Will aveva la bocca larga, le due ragazze avevano tentennato persino sulla presenza di Jason, ma alla fine avevano pensato che non avrebbe mai messo Piper nei guai.  

“Allora, questo gioco?”Chiese Percy, alquanto allegro per la sua vicinanza con l’acqua.

Annabeth sorrise e distribuì dei bicchieri, per poi versarvi della birra, quella riservata a Percy e a Frank era decisamente più forte di quella di Piper, della sua e di Jason.

“Beviamo, il primo che finisce il bicchiere deve dire una cosa che non ha mai fatto, chi quella cosa l’ha fatta deve bere”

“Sa molto di obbligo e verità,” disse Frank.

“Senza l’obbligo,” concluse per lui Percy.

Jason guardò perplesso il suo bicchiere e sedette tra Piper e Annabeth. “Beh, se dobbiamo giocare così,” disse incerto: non era da lui infrangere le regole.

Percy rise: “Non fare il broncio, mister perfezione, prometto che nessuno ti scoprirà e che, se in caso qualcuno dovesse vederci, giuro sul mio onore che farò comparire acqua nel tuo bicchiere!”

Frank guardò Percy sconvolto. “Puoi farlo davvero?”

Il figlio di Poseidone incrociò le braccia sul petto e annuì. “Ho il pieno controllo dei fluidi!”

“Il che significa che non avrai problemi di incontinenza da adulto. Forse…” disse Jason.

“Ah… Ah… Ah… che battuta spiritosa!” Rispose Percy. Poi tutti bevvero al tre di Annabeth e risero quando fu Frank a finire il bicchiere per primo.  “B… Beh…” disse confuso. “Io… io non ho mai… baciato altri all’infuori della mia ragazza”

Tutti si guardarono negli occhi, Annabeth non toccò il suo bicchiere, così come Jason e Piper, che si sorrisero.

Proprio quando Frank iniziò a pensare di aver toppato con quella frase, Percy alzò il suo bicchiere e bevve. Annabeth lo guardò scandalizzata. “Chi?” Riuscì a chiedere.

“Rachel,” ammise lui, distogliendo lo sguardo dal suo. “Ma è stato tanto tempo fa e noi non stavamo ancora assieme”

Piper strinse la mano di Annabeth e questa si calmò. “Suppongo ne dovremo parlare poi… in privato,” sottolineò, facendo venire i brividi al suo ragazzo.

Continuarono il giro e toccò a Percy, seduto accanto a Frank, dire qualcosa che non aveva mai fatto. “Mmm… io non ho mai… perduto la mia spada”

Jason alzò il suo bicchiere e bevve. “L’ho persa solo per pochi attimi, nell’Adriatico e Hazel l’ha ritrovata,” tenne a precisare.

“Il signor Mister Perfezione non è poi tanto perfetto,” disse Percy con gli occhi verdi che gli brillavano per la piccola vittoria.

Jason giocherellò con qualche sasso. “Tu non hai mai perso vortice perché ti torna in tasca! Se non fosse stata magica non saresti riuscito nemmeno a riportare la folgore a mio padre!”

“Cosa che avresti dovuto fare tu!” Lo rimbeccò Percy.

Piper decise di troncare la discussione sul nascere. “Ora basta, voi due!” Entrambi parvero sul punto di obiettare ma le espressioni delle ragazze li convinsero a tacere.

“Tocca a me,” disse Annabeth, seduta accanto al suo ragazzo. “Io non ho mai…” ci pensò su, incerta, “parlato ai miei genitori della mia relazione”

“Perché no?” Chiese Percy stizzito, mentre Piper scoppiò a ridere.

Frank guardò Annabeth tra l’offeso e il divertito. “Non so se dovrei prendermela, visto la mia condizione, nel dubbio bevo lo stesso”

Fu il turno di Jason. “Io non ho mai… saltato una lezione,” borbottò arrossendo lievemente.

Frank annuì assieme ad Annabeth, che non toccarono i loro bicchieri, cosa che invece fecero Percy - beh, si sapeva - e Piper - questo era un po’ inaspettato-.

Quest’ultima arrossì: “Beh che c’è? Non tutti abbiamo la stessa voglia di andare a scuola. Comunque tocca a me… io non ho mai avuto l’occasione di essere trasformata in un animale,” disse infine, guadagnandosi un’occhiataccia sia da parte di Percy che di Frank.

Jason e Piper si stupirono quando anche il figlio di Poseidone bevve.

“È stato trasformato da Circe,” rispose al loro muto dubbio Annabeth, “in un porcellino d’india precisamente! Dovevate vedere quanto era carino!” La bionda scoppiò a ridere e Percy si unì a lei: avevano superato il tartaro, sconfitto Crono, Medusa e sostenuto il cielo, di conseguenza Circe poteva essere considerata come una piccola caduta della quale ridere.

 

Ci vollero solo un paio di giri prima che Frank e Percy fossero cotti a puntino: Annabeth, Jason e Piper si erano preparati delle particolari domande in modo da essere sicuri che quei due bevessero quasi a ogni turno.

“Frank… sei il mio migliore amico,” disse Percy, “sul serio, Grover ha troppo pelo per quel ruolo, tu sei perfetto, d… depilato al punto g… g… giustiiiiio,” poi scoppiò a ridere e si accasciò sulla sabbia, iniziando a muovere braccia e gambe, “sono un angelo! Alla faccia di Zeus! Posso volaaaare!”

Frank si unì alla sua risata, senza un motivo preciso, all’inizio quel gioco non lo aveva coinvolto moltissimo, ma poi la birra aveva contribuito a farlo rilassare. “Ricordi quando Hazel ti ha vomitato addosso? Lei mi ha fatto promettere di non dirlo a nessuno, ma dannazione quanto è difficile mantenere la parola! Il suo vomito era verdognolo e faceva pendant coi tuoi occhi verdi!” E rise ancora più forte, “puzzavi quanto l’Hudson!”

Percy lo guardò con gli occhi lucidi, tipici di chi era ubriaco, “ci sono stato nell’Hudson, posso assicurarti che puzzava di più l’East River, o forse era il contrario,” rise sornione.

Piper fece segno ad Annabeth, “è il momento, chiediamo!”

Annabeth annuì e schioccò le dita, “Frank, Percy, ditemi, cosa è successo a Reyna, tre notti fa?”

Percy ridacchiò e diede di gomito a Frank, “Vuole sapere che ha fatto con Talia!” Sussurrò all’orecchio del suo compare, ma non era un sussurro, era più un urlo, di fatto Frank si scostò lamentoso. “Ci sento!” Borbottò, “ma Talia ci fulmina,” rabbrividì al ricordo delle sue minacce.

Percy rise, “ma io qui sono fortissimo! E poi che sarà mai! Annabeth,” singhiozzò, “dammi un altro bicchiere di birra, caz… per Bacco!”

Piper sbiancò.

Annabeth sbiancò.

Jason sbiancò.

Tutti sapevano che i nomi erano potenti, ma non era una considerazione che in tutti i loro anni di avventura era stata poi chissà quanto importante. Tuttavia Percy aveva appena chiamato Bacco, il direttore del campo, il signor D! E Dionisio doveva occuparsi dei semidei del campo, che non facessero sciocchezze, che rispettassero le regole.

Dei piccoli ramoscelli iniziarono a emergere dalla sabbia, pampini dai colori vivaci fiorirono mentre grappoli d’uva iniziarono a formarsi, dando vita a una bellissima vite nel bel mezzo della spiaggia. “Altro vino!” Urlò Frank, precipitandosi verso la pianta non appena Dionisio si palesò, con il risultato di placcarlo come se fosse stato un giocatore di rugby.

Dionisio era più viola del solito, sembrava che stesse per esplodere, cosa che preoccupò parecchio Annabeth, Piper e Jason, ma non Percy, che iniziò a mangiare l’uva, e nemmeno Frank, che decise di addormentarsi sul dio e utilizzarlo a mo’ di cuscino.

“Siete in punizione!” Urlò Dionisio, “tutti quanti!”

 

La mattina dopo Percy stava strofinando assieme a Frank i gabinetti di ogni casa del campo mezzosangue, a loro erano toccate quella di Ermes ( la più schifosa) quella di Ares ( la più bastarda) e quella di Afrodite ( beh, anche Dionisio si era accorto di star esagerando), mentre aveva diviso le restanti a Piper, Jason e Annabeth, visto che erano stati loro gli artefici di tutto. “Sono confuso,” disse Percy.

Frank strofinò con più candeggina e più forza un’incrostazione di origine sconosciuta - ed era meglio che restasse tale - di una tavoletta. “Perché?”

“Solitamente in punizione ci finiamo perché io faccio casini, invece questa volta ho la sensazione che sia stata colpa delle ragazze, sono diviso, non so se essere arrabbiato o fiero. Inoltre,” continuò, “se magari avessero usato il vino e non la birra, il signor D se la sarebbe presa di meno!”

Frank lo fissò per un attimo e trattenne l’impulso di far rientrare il figlio di Poseidone nel suo ambiente naturale, vale a dire all’interno di quella meravigliosa costruzione di ceramica bianca. “Zitto e torna a pulire!”

 

Annabeth si  vergognava da morire, Jason stava ripetendo da mezz’ora un “ve lo avevo detto” e Piper era orgogliosa di sé.

La figlia di Atena finì la dodicesima tazza e sbuffò esausta. “È stato un buco nell’acqua,” ma la figlia di Afrodite scosse la testa.

“Ti sbagli, ora sappiamo delle cose!”

“Tipo?”

“Che Talia e Reyna erano assieme e che non volevano che la cosa si sapesse”

Annabeth si rallegrò, “effettivamente possiamo considerare quella di ieri sera una buona strategia e un buon risultato,” sorrise e si alzò, prendendo il mocio e iniziando a lavare a terra.

“E come no,” disse Jason, “la prossima volta, lasciatemi fuori,” borbottò; Percy aveva ragione, aveva perso il titolo di mister perfezione per ottenere quello di mister spazzolino. Sospirò affranto: avrebbe fulminato chiunque gli avesse ricordato quella storia.

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Capitolo 3
*** Non si smette mai di imparare ***


16) Time Warp! 5 è diventato un bambino! Se è già un bambino, è diventato un adulto.

 

Scorci di vita al campo mezzosangue

( perché i mostri stanno sempre in agguato, ma i momenti belli non sono da meno)

 

Non si smette mai di imparare a conoscere

 

Annabeth si appoggiò alla parete interna dell’ascensore, i piani scorrevano pigri in salita: 34, 35, 36… ci voleva sempre un po’ per raggiungere l’Olimpo e la ragazza, per ingannare l’attesa, si rigirò tra le mani il polos di Era, che riluceva di un flebile bagliore argenteo.

“Stupida dea,” pensò tra sé e sé. “Lo sa che Efesto la odia, potrebbe nascondere i suoi oggetti sacri, piuttosto che lasciarli in bella vista e poi mandare degli eroi a cercarli,” concluse quell’elucubrazione poco prima di arrivare sull’Olimpo, meglio mettere da parte pensieri scomodi: correvi il rischio che Era ti ringraziasse con un bel serpente velenoso nel letto.

Come sempre Annabeth non poté che sorridere quando vide che le costruzioni procedevano: era così fiera! Stava progettando l’Olimpo all’apice del suo splendore, il suo nome sarebbe rimasto inciso in quei monumenti per sempre: “Architetto Annabeth Chase,” disse compiaciuta, mentre passava davanti a una fedele riproduzione del tempio dell’Heraion di Samo; lì Annabeth avrebbe dovuto incontrare la dea che più odiava.

Si sedette su una panchina, intenta a godersi la vista delle ninfe che fuggivano dai satiri, a godersi la musica delle divinità minori e pensò a sua madre… doveva essere sicuramente lì da qualche parte, ma la dea della saggezza preferiva non intromettersi nelle imprese che non la riguardavano.

Era apparve davanti Annabeth, sul viso un’espressione di collera. La ragazza rabbrividì, qualcosa non andava.

“Darmi della stupida sul mio ascensore! Ragazzina, sei una figlia di Atena, ti credevo più intelligente!”

Annabeth arrossì di colpo. Non era mai stata in buoni rapporti con lei e sapeva che avrebbe dovuto tenere a freno i propri ragionamenti e lo aveva fatto… per una settimana. Mentre saliva i piani dell’ascensore le erano passate alla mente tutte le piccole disavventure del viaggio: era finita in una cantina piena di ragni, entrata in un ostello dove la direttrice era niente di meno che Medusa, era fuggita di nuovo per rifugiarsi in un luogo per la notte, dove una lamia l’aveva scoperta.

“Non credevo ci fosse così poca privacy da non poter neppure lasciarsi sfuggire qualche pensiero di troppo!”

Era s’infuriò ancora di più: “Non fare la saccente, oh stolta ragazzina! Non puoi oggi, non nei momenti in cui il dio Socrate è qui!”

“Frena, frena, frena!” Disse Annabeth - ignorando quella parte della sua mente che le fece notare che quell’atteggiamento era un po’ da Percy - “mi son persa qualcosa, Socrate non era un filosofo?”

Era aveva gli occhi letteralmente infuocati. “Dio del pensiero, adesso, poiché tua madre ha reso quell’uomo una divinità, vedendo come grazie a lui l’umanità abbia sviluppato il pensiero astratto e razionale!” Annabeth ebbe l’impressione che quelle informazioni fossero solo la giustificazione di un’azione ben più grande. “Ti credi così intelligente, così furba, così matura! Ma sai che ti dico, figlia della saggezza? Sarai anche scaltra, saprai usare quel cervellino che ti ritrovi nella tua testolina bionda, ma credo proprio tu abbia bisogno di una bella lezione di umiltà!” Era schioccò le dita e Annabeth si sentì restringere, letteralmente! Vide le proprie braccia diventare più corte e quando guardò ai suoi piedi le sembrò che il terreno volesse inghiottirla, ma si rese conto che non era quest’ultimo ad avvicinarsi, ma lei: era come se si fosse accucciata. In un primo momento non capì quello che era successo, ma poi le mura lucide dell’Heraion le mostrarono il suo riflesso, un po’ distorto, certo, ma inequivocabilmente simile a quello di una bambina.

“Cosa?”

Era rise, “divertiti, ragazza, sono sicura che questa settimana per te… sarà uno spasso”

 

Percy stava aspettando Annabeth nella sua Porsche blu, regalo di suo padre, fabbricata da Efesto in persona ( in fondo aveva parato il deretano a quei stramaledettissimi Dei più di una volta, si meritava un piccolo bonus! Per non parlare del fatto che Elena Beckendorf aveva modificato il motore, quindi quell’auto andava proprio a bomba!). Era intento a tamburellare con le dita sul cruscotto, mentre i suoi complessi pensieri si diramavano tra due profondi quesiti divini: Diet Coke o Diet Pepsi?

Sussultò quando vide lo sportello aprirsi senza che nessuno avesse afferrato la maniglia, ma quando la portiera rivelò un adorabile bambina di poco più che tre anni, Percy tolse la mano dal cappuccio di vortice - beh, se si era un semidio si stava costantemente sulle spine. “Piccoletta, mi sa che hai sbagliato macchina, ti sei…” qualcosa negli occhi della bambinetta costrinse Percy al silenzio, qualcosa che il semidio conosceva molto bene: l’ira negli occhi della sua ragazza. “Annabeth?” Riuscì a dire.

“Non un’altra parola,” ordinò la bambina, salendo in auto. “Torniamo al campo mezzosangue”

 

Piper spazzolava i capelli della bambina, mentre Hazel sceglieva tra alcuni vestitini che una figlia di Afrodite le aveva gentilmente offerto. “Staresti così bene in rosa!”

“Hazel!” Borbottò Annabeth, guardandosi a disagio allo specchio. “Devo dire che questa volta Era si è davvero superata”

Reyna la guardava seria, era l’unica a non averla presa in giro da quando era tornata, probabilmente perché sapeva cosa significava non avere più il proprio corpo. “Beh, ha detto solo una settimana, magari anche lei si è ricordata che alla fine hai fatto un’impresa per lei”

“Faccio sempre imprese per lei. Sono stanca, si comporta come se le dovessi sempre qualcosa”

Piper sorrise dolcemente mentre avvolgeva una piuma simile alla sua nella treccia bionda di Annabeth. “Sarà solo una settimana, potrai sopravvivere”

E la figlia di Atena quasi ci credette davvero, poi si ricordò che la sua amica era in grado di utilizzare la lingua ammaliatrice. “Grazie, Piper, ma no grazie”

Hazel si mordicchiò il labbro inferiore e sedette sul letto accanto a Annabeth. “Credo dovresti vedere la situazione da un punto di vista più semplice, insomma, sai quante persone vorrebbero tornare bambine e non ne hanno mai avuto la possibilità? Da bambini si ritrova quel senso di curiosità e meraviglia che ti coinvolge e ti lascia senza fiato, quando diventi un adulta quelle sensazioni non ci sono più, o almeno, non sono così forti, così intense”

Annabeth sorrise tristemente, “questo, Hazel, dipende dall’infanzia che hai avuto,” poi si alzò, sentiva l’urgente bisogno di andarsene da lì, aveva bisogno di stare un po’ da sola. “Ci vediamo a cena, ragazze, scusatemi”

 

Ad Annabeth non piaceva guardarsi allo specchio in quel momento, si sentiva troppo vulnerabile, troppo esposta: nonostante da bambina fosse scappata di casa più volte, aveva sempre avuto Luke e Talia che non l’avevano mai fatta sentire sola, e in quel lasso di tempo, seduta sulla riva del laghetto delle canoe, avvertì di nuovo la loro assenza. Non c’era giorno in cui non li ricordava, ma poi c’era sempre qualcuno accanto a lei che leniva il dolore; una persona che in quel momento era chissà dove; magari sul fondo dell’oceano, a parlare con i pesci, piuttosto che a confortare la sua ragazza tornata bambina.

Piccoli mulinelli incresparono la superficie cristallina dell’acqua e Annabeth ritrovò quello stupore al quale forse si riferiva Hazel. Percy la prese in braccio e la strinse a sé.

“Fino a quando non tornerai normale, Annabeth, ci sono io con te,” e la piccola sorrise, trovando ancora una volta conforto tra le braccia del suo ragazzo.

 

Leo urlò quando vide quella scena. “Percy è diventato un pedofilo, gente!”

Percy arrossì di botto. “Ma cosa stai dicendo, idiota!?” Poi corse verso di lui, soffocandolo in un abbraccio. “Ben tornato, amico!”

Leo rise, aveva accanto una ragazza dai capelli castani, caratterizzati da delicati riflessi color caramello e ad Annabeth quella descrizione ricordava qualcuno, solo che non riusciva a ricordare bene. “Sul serio, Percy,” disse Leo, “non dovresti abbracciare delle bambine in quel modo, cosa direbbe Annabeth se ti vedesse?”

Percy lo guardò male, “era un abbraccio protettivo, cretino!”

Annabeth si avvicinò al ragazzo dai capelli ricci e con una mossa di shorinji kempo lo buttò a terra. “Sono io Annabeth, e chiamami bambina un’altra volta e giuro che non mi limiterò a buttarti a terra,” poi sorrise e lo abbracciò. “Ci sei mancato, Leo!”

Leo era sconvolto. “Cosa? Come?”

Percy alzò gli occhi al cielo, “Era”

Leo annuì. “Beh, se noi stiamo tranquilli a mangiar panini, Era è pronta a portar cas…” Fu interrotto da un colpo di tosse. “Oh, scusatemi,” disse arrossendo lievemente. “Lei è Calypso,” fu allora che Percy spostò lo sguardo su di lei e trattenne il fiato, sia per l’imbarazzo che per il senso di colpa.

“S… scusami, io… non avevamo notizie di Leo da una vita ed ero preso dall’euforia. È un p… piacere vederti”

Annabeth analizzò Calypso come se fosse stata lo schieramento di un esercito nemico, alla fine decise di non esagerare con le elucubrazioni e di limitarsi a stringerle la mano.

“Piacere, Calypso, vedo che conosci già il mio ragazzo, bene, io sono la sua ragazza, Annabeth Chase,” sottolineò volutamente le parole “ragazzo” e “ragazza”.

Gli occhi scuri del titano si posarono a lungo in quelli di Annabeth; Calypso sapeva riconoscere quando vedeva un grande potere, sapeva chi era la bambina bionda che aveva davanti, era al corrente della sua gelosia, ma era un sentimento inutile, perché aveva relegato Percy in un piccolo cassetto della sua mente e aveva buttato la chiave.

“Piacere, Annabeth, spero che la mia presenza al campo mezzosangue non sia un disturbo”

La bambina sorrise, anche se quell’espressione era degna di un film horror. “Nessun disturbo, Calypso”

 

Angolo dell’autrice

Eccoci alla fine di questo capitoletto. Gli accoppiamenti che mi son risultati sono alquanto strani, ma alle volte sembrano calzare a pennello, come per esempio quelli che vi saranno nel prossimo capitolo ;) Ovviamente la situazione di Annabeth non si è risolta in questo capitolo e ( contro ogni aspettativa) procederà nel prossimo. Non mi sono prefissata di fare una long, sono semplicemente scorci di vita quelli che vado a descrivere e magari un prompt può anche protrarsi da un capitolo all’altro.

Inoltre tenevo a dire che so di non sapere(?), nel senso che non ho mai fatto filosofia e le informazioni per  rendere Socrate un dio le ho prese di pari passo da wikipedia, quindi se volete siete liberissimi di urlarmi contro, ma mi sembrava un’idea simpatica(?).

Detto questo vi saluto con un abbraccio, alla prossima!

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Capitolo 4
*** Sapore di blu ***


5)

4 e 1 hanno una cotta per la stessa persona oppure una torta da finire.


Scorci di vita al campo mezzosangue

( perché i mostri stanno sempre in agguato, ma i momenti belli non sono da meno)

 

Sapore di blu

 

Reyna era in crisi: da quando Annabeth era tornata bambina aveva cercato di farle pesare il meno possibile la situazione ed era una cosa che stava facendo con piacere assieme a Percy. Tuttavia si stava accorgendo che il motivo si allontanava sempre più da quello originale, vale a dire: aiutarla perché sapeva quanto brutto fosse non avere più il proprio corpo.

Reyna si rendeva conto che voleva la vecchia Annabeth, la ragazza forte e sicura di sé che aveva incontrato appena l’anno precedente al campo Giove. Non le importava come, ma la voleva indietro, se non nel corpo, almeno nella mente e, di fondo, cosa c’era di più importante per una figlia di Atena se non il proprio raziocinio?

Ed era in quel modo che si era ritrovata in cucina assieme a Percy. Ora, era abbastanza confusa anche lei da non capire il come precisamente fossero finiti lì, lei con una frusta per le uova e Percy con della farina sulla faccia.

“Farò la torta perfetta per lei, sarà la cosa più squisita che abbia mai mangiato” borbottò Percy, mentre teneva tra le mani quella che Reyna sospettava fosse la boccetta del pepe.

“Certamente,” disse lei drizzando le spalle. “se non ci riuscirò io per prima”

Percy la guardò e inarcò un sopracciglio. “Mi stai dicendo che credi di potermi battere?”

Reyna ghignò e fece roteare la frusta nelle mani. “Il tuo tono mi sembra di sfida…”

“E se lo fosse?” Chiese Percy, prendendo un tegamino dallo sportello.

“Credo allora dovresti fare del tuo meglio, perché stai per perdere miseramente,” Reyna prese del burro e lo mise in un pentolino per farlo sciogliere, mentre a velocità estrema con una mano prendeva e rompeva delle uova e con l’altra misurava la farina, lo zucchero, il lievito, il cacao e qualunque altro ingrediente, setacciando il tutto con una velocità ancora più inumana.

Percy dal canto suo non si fece abbattere, prese del colorante blu, tantissimo colorante blu, burro, fragole, panna e tanti altri ingredienti, iniziando a creare l’impasto che in un modo o nell’altro sembrava abbastanza compatto, poi, per sicurezza, aggiunse anche altro colorante blu.

Si fecero entrambi in quattro: in cucina non sembrava ci fossero solo due persone, ma tanti cloni che si muovevano a velocità sincronizzata.

Reyna infornò per prima, ma Percy riuscì anche ad aggiungere altro colorante, quello era l’importante!

“Vedremo di chi sarà Annabeth!” Esclamò Reyna, intenta ad osservare la propria torta cuocere.

“È mia, ovviamente, non riuscirai a conquistarla con una sola torta”

Entrambi si guardarono per un momento, sorpresi e imbarazzati: in quelle parole c’era una tacita dichiarazione da parte del pretore romano.

Poi Percy sorrise e tirò della farina addosso a Reyna. “Battaglia di farina!” urlò, andando a nascondersi dietro il tavolo, lasciando un confuso pretore a scrutarlo, poi la ragazza tossicchiò e sorrise. “Tu sei troppo buono, Percy,” gli si avvicinò e gli sbatté sulla testa tre uova fresche, per poi aggiungervi la farina.

“Non dovevi osare!” strillò lui, iniziando a lanciarle il burro ormai freddo e il cacao in polvere rimasto; lei rispose con del lievito, zucchero a velo, qualche fragola marcia, la panna avanzata.... insomma, nemmeno durante la battaglia contro Gea aveva causato tutto quello sfracello!

“Ma che diamine sta succedendo qui?” chiese Leo, infilando la testa nella fessura aperta della porta, ma ritraendola immediatamente giusto per evitare delle formine di alluminio a forma di papera.

Jason diede una pacca sulla spalla al suo migliore amico. “Entro io, fratello, so cavarmela con entrambi”

Leo rise, “ti prego, aspetta, fammi preparare la macchina fotografica!”

 

Cinque minuti dopo Reyna e Percy  si trovavano seduti davanti a Jason, mentre Leo controllava il timer delle torte nel forno e scattava loro di nascosto qualche foto.

Erano entrambi un disastro! I capelli pieni di così tanti ingredienti ( e colorante) che sembravano parrucche di carta stagnola, i vestiti erano messi peggio: non si capiva nemmeno chi indossasse la maglietta del campo mezzosangue e chi indossasse quella del campo Giove!

“Sul serio, ragazzi, avete fatto delle torte gigantesche! Annabeth non può mangiarle entrambe!” Esclamò Leo, indicando le loro creature dentro il forno.

Reyna lo guardò in cagnesco e Leo avrebbe giurato che sembrava stesse per chiamare Aurum e Argentum. “Perché non può?”

Leo fece per replicare, ma Jason lo salvò in tempo. “Credo che Leo intendesse che Annabeth dovrebbe mangiare solo la migliore”

Leo capì immediatamente il piano del suo amico e lo ringraziò mentalmente. “E quale metodo migliore per scegliere la torta migliore se non affidarci al giudice migliore?”
“Quante volte ha detto migliore?” chiese Percy a Jason, che alzò gli occhi al cielo.

Reyna ghignò, certa della sua vittoria. “E sentiamo, chi sarebbero questi giudici?”

Leo si gonfiò il petto. “Beh, ovviamente i sette della profezia, ma se togliamo Annabeth e Percy sono cinque… sì, va bene, è lo stesso, mi avete capito, no?”

 

Quaranta minuti dopo Frank, Hazel, Piper e Annabeth occupavano i posti meno appiccicosi della cucina - che secondo la concezione di Leo e Percy erano puliti - e ascoltavano il dilemma.

Hazel si mordicchiò le labbra: “Non voglio dover scegliere…” piagnucolò incerta, ma Frank al suo fianco rise apertamente. “Dai, Hazel,  è una sciocchezza,” nel mentre Nico, invitato come giudice di riserva da Leo, si stava occupando del taglio delle fette perfette, soprattutto perché le più appetitose sarebbero state presentate ad Annabeth, che ne avrebbe mangiata solo una, però: la torta suprema.

Il figlio dell’oltretomba sembrò avere qualche problema, ma nessuno ci fece cado, attenti a discutere della situazione.

Gli toccò persino distribuire le torte ai giudici, poi prese posto accanto a loro.

Leo imitò un batterista, “il primo a iniziare è…” il ragazzo si fermò per fare suspense, “Non lo so, Annabeth, decidi tu”

Annabeth prese molto seriamente il suo ruolo, studiò i ragazzi e alla fine puntò il dito su Jason. “Assaggia le torte e dimmi: qual è la migliore?”

Jason annuì, prese il cucchiaino e prima lo utilizzò per prendere un bocconcino della torta di Reyna. “Il cacao è spumeggiante, sobrio, deciso in alcuni tratti, delicato in altri: voto otto,” la frase di Jason lasciò tutti a bocca aperta, nessuno si aspettava fosse un critico di cucina; poi prese la torta di Percy e provò a dividerne una parte con il cucchiaino, ma quando il ferro attraversò la morbida distesa di panna, non riuscì ad andare più a fondo. “Ma cosa…” borbottò Jason, cercando di rompere quello che sembrava calcestruzzo. “Percy… lo sai che la roccia non è commestibile, vero?”

Improvvisamente la pentola a pressione messa sul fuoco da Chirone saltò in aria, il coperchio andò a sbattere sul soffitto, poi sul pavimento e poi sulla fronte di Jason, lasciando il semi-dio semi-svenuto, anzi, no, proprio svenuto.

“Che peccato,” disse Percy in tono sbrigativo, “forza, ci serve un altro giudice”

Leo annuì, senza riflettere: maledetti i suoi riflessi da combattimento, alle volte facevano proprio pena! Prese la torta di Reyna e iniziò a mangiare il primo boccone con diffidenza, ma, appena mandato giù, trangugiò di fretta tutto il resto. “Questa è una torta che non sacrificherei nemmeno a mio padre! Voto diecimila, ma se proprio devo rientrare in una scala allora dieci va più che bene,” Reyna fece un piccolo cenno e sorrise, fiera delle sue abilità. Poi Leo prese quella di Percy, la morse e urlò. Prima che potesse dire qualcosa, esplose il lavabo, andando a colpire dritto in faccia il povero Leo Valdez, così il ragazzo fu costretto a fare compagnia a Jason. A quel punto Piper dovette rinunciare al suo ruolo per portare entrambi i ragazzi in infermeria.

Hazel si alzò di colpo, “no, ragazzi, troppa pressione, io non… non ce la faccio!” e andò via piangendo disperata. Frank si portò una mano sulla fronte.

“Scusate, ragazzi, ma questa cucina… è maledetta,” e per un attimo pensò di essere la controparte maschile e dieci volte più muscolosa di sua nonna, poi rabbrividì per quel pensiero osceno e raggelò ancor di più all’idea che sua nonna potesse sentirlo nei campi Elisi. “E poi devo andare dalla mia ragazza,” detto questo scappò via.

Tutti gli sguardi si spostarono su Nico, che scosse la testa. “Nomino Reyna vincitrice”

“Ma non hai nemmeno assaggiato le torte!” obiettò Percy.

Nico gli penetrò l’anima con quegli occhi neri e profondi, sembravano volergli estorcere la verità con la forza. “Non voglio rischiare di finire KO come Leo e Jason, anche se mi sembra che non ci siano altre condutture d’acqua che tu possa utilizzare per mettermi a tacere. Inoltre Reyna ha già avuto due dieci e mi basta darti un nove per farla vincere”
Percy arrossì vistosamente e fece un’espressione furbesca. “Beh, diciamo che mi ritiro” poi sorrise ad Annabeth che gli restituì il sorriso, divertita da quegli avvenimenti e dimentica dello stress di essere ancora una bambina. “Visto che le cose sono andate così…” prese la torta di Reyna e la assaggiò, facendole l’occhiolino una volta gustato il sapore. “Grazie, Reyna,” e le diede un piccolo bacio sulla guancia. Poi mangiò anche la torta di Percy, tagliandola chissà secondo quale criterio. “Sa di blu,” sussurrò sorridendo. “Grazie anche a te, Percy”

 

Più tardi Reyna e Percy stavano pulendo assieme la cucina dal casino che avevano combinato. Chirone aveva minacciato di farli sventrare dalle arpie se non avessero pulito tutto a tempo record. “Sei stata brava,” disse il ragazzo, cercando di togliere i rimasugli delle uova dal frigo.

“Tu no,” Reyna rise, “per niente, ma mi è piaciuto il modo in cui hai messo Jason KO”

Percy si unì alla sua risata. “Sono nei guai secondo te?”

“Sai la strada per Atlantide?” chiese Reyna, lasciando Percy un po’ destabilizzato.

“No, perché?”

“Allora sì,” continuò Reyna, “sei nei guai, sirenetto”

 

Angolo dell’autrice

Ed eccoci qui con un altro strampalato capitolo.

*Coff coff* ho notato che la storia sembra piacere, solo che il non avere un responso mi preoccupa un po’, dunque… c’è nesshhhuno che vuole lasciare una recensione?

*Fa l’elemosina con gli occhi dolciosi*

Perfetto, ora mi sento alquanto patetica xD Scherzi a parte, grazie per aver letto sin qui, mi ha fatto piacere avere una buon accoglienza all’interno del fandom ( parlo per visualizzazioni e numero ottimo di seguiti/preferiti) e spero di riuscire a coinvolgervi anche nei prossimi capitoli! Adesso andrò a randomizzare qualche numero in modo da vedere su cosa tratterà la prossima shot, sono sicura che sarà qualcosa di alquanto bizzarro.

Ah un ultima cosa, questa shot è un po’ particolare, il prompt diceva di fare o l’una o l’altra cosa, ma a questo punto ho pensato perché non unire le cose? Ed ecco i risultati.

Ora ho finito davvero, credo, un bacio enorme, alla prossima!

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Capitolo 5
*** Legami da semidei ***


27) 4 perde uno dei cinque sensi, ma ne acquista un sesto.

 

Scorci di vita al campo mezzosangue

( perché i mostri stanno sempre in agguato, ma i momenti belli non sono da meno)

Legami da semidei

 

Reyna si rendeva conto di star facendo qualcosa di incredibilmente stupido, ma, quando Annabeth era scoppiata in lacrime per la perdita di una sciarpa regalatale da Percy, aveva deciso che ne aveva abbastanza; sarebbe andata da Giunone e gliene avrebbe cantate quattro.

Stava aspettando la dea davanti alla riproduzione del tempio di Hera Lacinia.

Come ci era arrivata lì? Non lo ricordava nemmeno, eppure sembrava che fosse solo un dettaglio, una cosa irrilevante.

Si guardò attorno e accennò un piccolo sorriso,  Annabeth stava ricostruendo l’Olimpo anche in base a conoscenze architettoniche romane apprese grazie al suo aiuto.

Giunone, nella sua pelle di leone,  apparve all’improvviso, non le aveva lasciato nemmeno il tempo di metabolizzare la sua presenza. “Figlia della lupa, quale buon vento ti porta qui?”

Reyna scosse la testa. “Non è un buon vento, sai qual è la mia richiesta. Voglio che Annabeth torni normale prima della fine della settimana che tu le hai dato”

Giunone era impassibile, non dava la possibilità di far capire al proprio avversario cosa stesse pensando, era una cosa che mandava Reyna ai pazzi.

“Potrei farlo,” disse alla fine, “ma voglio un risarcimento di almeno un’altra settimana da qualche altro semidio”

Reyna pensò che la dea sapesse essere davvero infantile alle volte. “Sono disposta a pagarlo, se è una proposta accettabile”

Giunone sorrise, “voglio i tuoi occhi, per vedere come una dea della guerra, o una semidea - se preferisci - vede il mondo. Li voglio per una settimana”

Reyna provò disprezzo per quella stupida curiosità, “privi un semidio della vista, quando sai dei pericoli che corre? Lo trovo un patto troppo rischioso”

Giunone alzò gli occhi al cielo. “Sarà solo una settimana e se vuoi posso agevolarti la cosa. Sono la dea del matrimonio e in un matrimonio le relazioni sono importanti quindi, al pari di Afrodite, riesco a vedere quanto unite possano essere due persone. Ti darò la capacità di vedere il rapporto che lega la gente. Sarai cieca, questo è vero, ma avrai un potere molto più grande a disposizione”

Reyna credette che quel patto non fosse poi tanto male.

Lei era pur sempre una figlia di Roma e in quanto tale era attratta dal potere; questo spiegava il perché fosse stata ammaliata da Jason, da Percy e, in un certo modo,  anche da Annabeth.

“Può andare,” sussurrò, ma era una frase che era fuggita dalle sue labbra quasi contro la sua volontà.

Giunone sorrise fiera, “e sia, mia semidea, il patto è siglato”

 

Reyna si svegliò nella casa di Ermes. La sua stanza era buia, cosa che non la consolò affatto: aveva la sensazione che non era stato un semplice sogno quello che aveva fatto. Travis Stoll urlò dietro la porta di camera sua, “sveglia! È mattina inoltrata!”

In quel momento Reyna si rese conto che la vaga luminescenza che intravedeva non era causata dal buio trafitto da alcuni flebili raggi di luce.

Lei era nell’oscurità assoluta.

Quei piccoli flash che intravedeva sembravano visibili solo al di là della porta. Si alzò incuriosita e li seguì, ma dovette arrestarsi quando toccò la superficie di legno che doveva essere la porta. Si abbassò fino alla fessura ai suoi piedi e vi sbirciò attraverso: tanti, piccoli filamenti si muovevano, unendosi, disfacendosi, rafforzandosi a una velocità che Reyna non aveva parole per descrivere. Erano di molteplici colori:  blu, giallo, rosso, verde.

Quando aprì la porta rimase stupita da quel che poteva percepire. La casa di Ermes era sempre stata piena di persone, ma adesso Reyna non la vedeva più come un semplice posto affollato. Quella casa era pregna di legami, di affetti, di odio, di amore, di fiducia. Ognuna di quelle relazioni la investì con una tale forza che non poté fare a meno di allungare una mano per toccare un legame che le piaceva in particolar modo: era un filo che legava lei stessa a un’altra persona. Quando toccò la fonte di quel filo verde per metà e rosso per un altra metà, tutti i rumori della stanza la investirono come se fossero stati sparati nelle sue orecchie. Restò stordita quando la sua mano toccò la spalla dell’altra e quella rispose: “Reyna, stai bene?”

 

Era rimasta seduta nella sala delle assemblee del campo mezzosangue per tre lunghissime ore. Anche per lei era stato difficile capire che non aveva semplicemente sognato, che l’incontro con la dea era avvenuto durante il sonno. La cosa la terrorizzava, i sogni dei semidei non erano mai tranquilli, per un periodo lei era riuscita a controllarli, ma adesso, con Annabeth in quella situazione, si era lasciata andare ed era finita nei guai.

Reyna poteva dire di non stare affatto bene. Aveva spiegato la situazione ai ragazzi, ne aveva parlato con Chirone, ed erano giunti alla conclusione che per questioni di sicurezza avrebbe dormito in camera con Annabeth. Ecco, la cosa non le avrebbe dato fastidio se non avesse avuto quei poteri, ma di fatto ora li aveva e si era ritrovata brutalmente faccia a faccia con la realtà. Afrodite glielo aveva rivelato: nessun semidio sarebbe stato suo. Reyna allora non l’aveva capito, ma adesso attorno al suo polso c’era un indizio talmente grosso che era impossibile da fraintendere. Le diceva: svegliati, Reyna! Non è nessun semidio perché è una semidea!

Non si era mai fatta problemi su una simile situazione, o, perlomeno, si era messa l’anima in pace da quando aveva capito che l’amore arrivava con i suoi tempi e con i suoi modi.

Non era stato Percy, non era stato Jason ciò che lei si aspettava potesse essere, quindi, confusa, era andata avanti. Ora che Giunone le aveva dato quel potere, sapeva che la risposta alla sua domanda era davanti ai suoi occhi ciechi. “Annabeth,” sussurrò nel cuore della notte.

La figlia di Atena era tornata ad essere una ragazza di diciassette anni. I festeggiamenti avevano più volte interrotto l’assemblea, quello era uno dei motivi per cui era durata tanto. I graecus erano stati grati a Reyna per il sacrificio che aveva fatto ed erano stati anche molto delicati nei suoi confronti, aiutandola, però, in un modo che lei trovava fin troppo opprimente e fastidioso.

“Sì, Reyna?” Sussurrò Annabeth a sua volta, la voce impastata dal sonno.

Reyna le afferrò il polso sottile e lo guardò con attenzione. “Ho visto il tuo legame e quello di Percy,” disse in un soffio. “È incredibilmente forte, non ne ho visti altri simili al campo mezzosangue, forse a Nuova Roma ne troverò qualcun altro così”

La romana avvertì Annabeth cambiare posizione, le molle del letto cigolarono pigre. “Non ne troverai a Nuova Roma così, perché non ci andrai fino a quando la tua vista non tornerà normale”

Reyna osservò affascinata il raggio di luce rossa attorno al suo polso che andava fondendosi a quello che intuiva fosse il polso dell’altra ragazza; dopo le parole di Annabeth aveva cambiato forma, si era fatto più spesso, il colore vicino ad Annabeth era diventato ancora più verde, mentre quello vicino a Reyna era diventato di un rosso cupo. “Mi impedirai tu di andare a Nuova Roma, figlia di Atena?”

Annabeth sorrise nel buio. “Se ce ne dovesse essere bisogno non esiterò a fermarti”

Reyna si riscoprì a ridere. “Approfittane ora, il tuo vantaggio non durerà ancora a lungo”

Annabeth ridacchiò. “Questo lo so, ne ho tutta l’intenzione. Riuscirò a prendere il controllo di Nuova Roma grazie alla tua cecità, devo solo elaborare un piano ben strutturato”

“Un piano che non sarà migliore del mio e che per questo verrà distrutto,” rispose prontamente il pretore romano.

Annabeth rise di cuore. “Figlia di Bellona, mi sottovaluti,” poi si zittì e rifletté un attimo. “Devo chiederti una cosa”

Reyna annuì, non sapeva cosa potesse incuriosire Annabeth.

“Qual è il legame tra di noi?”

Reyna rimase di stucco. Per assurdo, trovava difficile controllare quale emozione potesse affiorare sul suo viso, se prima non riusciva a vedere quella di colui che aveva di fronte. “Il legame che ci lega?” Chiese come per avere una conferma, poi si rese conto che era una domanda stupida. “Verde e rosso,” disse la verità, quasi come se Annabeth fosse stata la padrona di Aurum e Argentum e avesse potuto estorcergliela con la forza.

Annabeth restò in silenzio, poi chiese: “Che colore lega Leo e Percy?”

“Verde,” rispose Reyna, senza il minimo dubbio, poi però parve ripensarci. “Ma non è brillante per intero, nel filo che lega il polso di Leo c’è una tonalità più cupa. Credo sia gelosia, ma è davvero minima, il legame che lega Leo a Percy è quello di fiducia”

Annabeth cambiò di nuovo posizione. A Reyna non piaceva per niente il non sapere quale espressione passasse sul viso dell’altra. “E il legame che lega Piper a Jason?” Chiese ancora.

Reyna si morse le labbra. “Quello è rosso, intensamente rosso. Devo dire che credo sia merito di entrambi. Si amano alla follia. Non è come il tuo e quello di Percy. Loro sono del tutto rossi, se posso usare questo termine. Voi ne avete passate talmente tante che il vostro legame cambia da un istante all’altro. Alle volte è così verde, così fiducioso, che non sembrate nemmeno amanti, ma fratelli, poi tutto cambia, e l’amore che c’è tra di voi muta quel colore, per un attimo è completamente rosso, ma in modo diverso da quello di Jason e Piper. Il vostro è più chiaro, ma anche più saldo,” mentre parlava, Reyna guardava ipnotizzata il raggio che la legava ad Annabeth: era diventato rosato… che Annabeth fosse imbarazzata in quel momento?

“E invece che colore lega Jason e Leo?”

Reyna trovò strana quella domanda, non capiva dove volesse andare a parare, ma parlare la faceva sentire meglio, si concentrava su quel che riusciva a vedere e non su quello che le era ignoto. “Loro due sono blu, sono fratelli, di tanto in tanto il filo diventa verde, uno di quei verdi accecanti, provano una fiducia che non ha limiti, che li unisce in un modo che è permanente,” Reyna si interruppe per ridere, “alle volte diventa marrone; lo so, è un colore strano, ma succede quando Leo fa una delle sue battute e Jason si vergogna così tanto che sembra l’abbia appena sparata grossa lui e non Leo”

Annabeth si unì alla sua risata, ma poi quel suono scemò e delle dita gentili andarono ad accarezzare i capelli neri di Reyna. “Quindi il rosso è amore?”

“Sì,” sussurrò Reyna, “il rosso è amore,” non provò vergogna nel dirlo, non c’era nulla da nascondere.

Annabeth le baciò la fronte, poi si mosse ancora e Reyna capì che doveva averle dato le spalle. “È tardi,” disse Annabeth, “dormiamo un po’, domani sarà una lunga giornata”

“Notte,” concordò Reyna, chiudendo gli occhi.

Forse, pensò prima di addormentarsi, si era spinta troppo in là.


Angolo dell’autrice

Lo so, lo so, sono in ritardo, ma… c’è un motivo buono: non mi piace il capitolo. Ok, non adoro il personaggio di Reyna, non mi so calare nei suoi panni e questo capitolo è stato un parto, soprattutto all’inizio. La realtà è che mi sento di non conoscere Reyna, di non averla approfondita come magari ho fatto con Percy o Annabeth e quindi per me scrivere di lei è difficilissimo, ma devo dire che l’ultima parte del capitolo è stata scritta in modo più naturale, molto più scorrevole. Beh ecco, spero continuiate a seguirmi nonostante questi piccoli incidenti di percorso! Ho notato che ci siamo fatti in tanti nella lista! Quindi ringrazio gli ultimi arrivati! Detto questo vado a randomizzare di nuovo le situazioni. Spero non spunti fuori qualcos’altro con Reyna, pregate per me!(?)

Un abbraccio enorme e al prossimo capitolo!

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Capitolo 6
*** La vendetta dei mattoncini ***


4)

Primo giorno di lavoro per 6 e 2. Si vedranno le mutande di 6.

 

Scorci di vita al campo mezzosangue

( perché i mostri stanno sempre in agguato, ma i momenti belli non sono da meno)

La vendetta dei mattoncini

 

“Stai bene?” Chiese Jason, passandosi una mano tra i capelli biondi, per poi alzarsi, prendere a pugni il cuscino nel tentativo di dargli una forma più comoda e ributtarsi sul materasso duro dell’infermeria.

“Su una scala che va da schifo a la vita è una fregatura, direi che sto salendo tutti gli scalini,” borbottò Leo in risposta. Aveva l’occhio nero nel punto in cui lo aveva colpito quella sorta di ufo metallico: SOS, aveva detto la sua testa, oggetto metallico non identificato si avvicina a una velocità di… duecento chilometri all’ora. Sbam!

Come risultato c’era l’ematoma che aveva conquistato tutta la parte della sua faccia adiacente all’occhio destro.

“Appena esco di qui lo friggo,” borbottò Jason, alzandosi e avvicinandosi allo specchio. La sua faccia era messa persino peggio di quella di Leo. L’ambrosia aveva fatto molto, ma, dannazione, aveva la forma del coperchio della pentola impressa sulla fronte!

Dei colpi secchi alla porta. Piper entrò con un sorriso a trentadue denti, aveva in mano dei pasticcini. “Mi manda Chirone, dice che siete liberi di andare”

“Finalmente!” Disse Leo. “Calipso ha avuto un sacco di problemi a casa senza di me. Per esempio oggi doveva riprogrammare le mappe degli hotel che vuole mettere sulla sua isola. Sapete, Ogigia è una meta turistica ambita, specie dalle creature immortali, come demoni minori, spiriti e folletti. Abbiamo intenzione di crearci attorno un business”

Jason squadrò il suo migliore amico. “Credo proprio tu abbia bisogno di restare in infermeria, stai dicendo cose da persona responsabile”

Leo scoppiò a ridere. “Abbi fiducia in me, amico. Ti farò vedere che Calipso sarà il titano più ricco mai esistito, grazie a me”

Piper alzò gli occhi al cielo. “Forza, mangiate questi pasticcini e poi prendete le vostre cose!”

 

Al campo mezzosangue c’era un certo fermento. Tutti i semidei correvano avanti e indietro, c’era lo stesso brusio di quando si organizzava caccia alla bandiera, con la differenza che l’espressione sui visi dei semidei era terrorizzata.

“Cos’è successo?” Chiese Jason avvicinandosi a Percy. Il ragazzo intento a controllare che la pioggia non colpisse le abitazioni vicine e restasse concentrata sulla casa di Ares.

“A quanto ho capito  qualcuno dei semidei di Ares ha insultato Zeus in prossimità della sua casa e adesso si è creata una tempesta sulla capanna dedicata al dio della guerra. I fulmini stanno andando a colpire pericolosamente vicino il campo minato e possiamo solo sperare che non colpiscano le armi nucleari che ci stanno sul retro”

Leo spalancò la bocca: non era nuovo del campo mezzosangue, ma non aveva idea che i ragazzi di Ares avessero a disposizione delle armi simili! Un arsenale atomico vicino a casa sua non era una cosuccia da scrivere alla fine delle cose che si dovrebbero sapere sul luogo in cui si vive.

“Adesso spiegatemi perché non le abbiamo usate contro i romani quando serviv…” ma non gli fu permesso di parlare, perché Jason si stava già dirigendo verso il cuore della tempesta. Percy fece un sorrisetto e gli corse dietro, cercando di controllare l’acqua attorno al corpo dell’amico per farlo affaticare il meno possibile. Tuttavia Jason non riuscì né a incatenare i venti, né a far cessare i fulmini, però riuscì a deviarli da una mina lì vicino. “Il massimo che mi è concesso di fare è questo!” Urlò a Leo che era rimasto imbambolato sulla soglia.

La mente di Leo era passata dalla battaglia contro i romani all’energia di quei fulmini, mettendo da parte le armi nucleari ( era un informazione che sarebbe stata elaborata successivamente); non riusciva a pensare ad altro che alla corrente di quelle saette, di come potesse essere utile se giustamente immagazzinata, di come il giusto catalizzatore avrebbe potuto trasmetterla alle apparecchiature elettroniche del campo mezzosangue. Se solo avesse avuto qualcosa di simile…

Il suo cervello fece “ding!” all’improvviso.

“Eureka!” urlò. “Jason, Percy, mantenete tutto sotto controllo!”

“E come no!” esclamò Percy, poi sorrise a Jason. “Primo giorno di lavoro per voi due. Ve la siete presa comoda, eh?”

Jason spostò gli occhi azzurro ghiaccio sul figlio di Poseidone, che fece un passo indietro impaurito.
“Siamo tornati da una vacanza forzata,” rispose con un sorriso cordiale sulle labbra, anche se il suo tono glaciale fece ricordare a Percy ciò che gli aveva detto Reyna qualche giorno prima: “Sei nei guai, sirenetto”.

Meglio non pensarci al momento. Jason poteva controllare i fulmini e se Percy lo avesse disturbato rischiava di diventare un sirenetto alla griglia; la cosa non era propriamente rassicurante. Continuarono a tenere sotto controllo quegli elementi primordiali per un tempo indefinito, quando a entrambi iniziò a far male ogni parte del corpo, la figura di Leo fece nuovamente capolino.

Non appena Leo fu abbastanza vicino, i due ragazzi videro che alle sue spalle vi era una sorta di gigantesco imbuto delle dimensioni di un camion, collegato a cinque casse grandi quanto un auto, il tutto era trainato su una piattaforma guidata da quattro pegasi metallici. “Cosa diamine è quella roba?” Urlò Percy.

Leo agitò le braccia. “No alle domande, agire, adesso! Dirottate la tempesta all’estremità dell’imbuto!”

Percy annuì, aveva il controllo assoluto sui suoi poteri e non gli ci volle molto per spostare la pioggia nella direzione che desiderava. Per Jason era diverso: era stato in infermeria per due giorni, il colpo alla testa lo aveva davvero rincoglionito, i suoi occhiali si erano rotti nell’impatto e stava combattendo una tempesta contando solo sulla sua parte divina, visto che quella umana sembrava aver deciso di fare sciopero.

Leo vide la figura del suo migliore amico ingobbirsi, le ginocchia si piegarono, e la pressione divenne troppa.

STRAAPH!

Si udì un suono che era inequivocabilmente la lacerazione di un tessuto.

Lentamente le nuvole si concentrarono sull’apparecchio di Leo, quest’ultimo premette dei bottoni per catturarle all’interno. “Energia pulita! Grazie papà! Grazie discarica!” Detto questo abbracciò il suo imbuto gigante, “ti amo! Non sai quanto!” mentre i quattro generatori venivano caricati elettricamente.

Il sole fece finalmente capolino anche in quella parte del campo. Jason era l’unico ad essere bagnato, Percy, in grazia dei suoi poteri, era asciutto.

Clarisse si avvicinò ai ragazzi, ignorò del tutto il figlio di Poseidone, e strinse la mano di Jason e Leo. “Vi ringrazio per il vostro aiuto”

“Ehi!” mugugnò Percy, ma nessuno vi badò.

“Se mai dovreste avere bisogno di un favore,” continuò Clarisse, mentre il mugolio di Percy si trasformò in una risatina divertita, “ragazzi, la casa di Ares ha un debito con voi”

Leo annuì immediatamente. “Posso dare un’occhiata al vostro arsenale nucleare?” Altro risolino da parte di Percy.

Clarisse annuì e diede un  pugno sulla spalla al figlio di Efesto. “Fatti guidare da Frank. È pur sempre un figlio di Marte,” altro suono, ma Percy cercava di darsi un contegno e si limitò a sbuffare, “ma alla fine il dio è quello, quindi Frank sta con noi per adesso che soggiorna al campo mezzosangue e conosce bene la casa. Hai il mio lasciapassare” e qui Percy scoppiò di nuovo a ridere, tenendosi la pancia con le mani.

Clarisse si infuriò e - per sfortuna del ragazzo, visto che la guerriera fino a qualche minuto prima stava facendo esercitazione con la lancia - gli puntò l’arma alla gola. “Cosa ci trovi di tanto divertente?” chiese irritata per quella mancanza di rispetto.

Percy continuava a ridere e Clarisse gli avrebbe staccato un braccio, se Leo non si fosse unito alla sua risata, lasciandola confusa. Anche Jason sembrava confuso dalla reazione dei suoi amici, se non di Percy ( che va beh, era Percy), almeno di Leo… no, effettivamente nemmeno di Leo si sarebbe dovuto stupire.

“Allora?” ripeté la figlia di Ares, “volete parlare o dovete continuare ancora per molto?”

Leo indicò Jason e il ragazzo dovette abbassare lo sguardo, ma non vide nulla. “Non c'è niente qui”

Leo continuava a ridere, “non lì!” disse, “dietro di te!”

Jason fece uno stupido giro su se stesso e, finalmente, con la coda dell’occhio la vide: le sue mutande con i mattoncini erano in bella mostra, come a rivelare la sua segreta passione per l’edilizia e tutto ciò che la riguardava. “Oh miei dei,” borbottò, arrossendo di colpo e abbassandosi la maglia arancione del campo mezzosangue. “Devo andare a casa”

“Vai, vai!” Rise Percy.  “Sono sicuro che sarai molto geloso dei tuoi mattoncini”

Jason si voltò verso di lui e Percy dovette ammettere che l’occhiataccia che gli aveva riservato era molto eccit… terrificante - certamente -  stava per dire terrificante. Doveva avere qualcosa in mente, ne era sicuro.

Jason iniziò a incamminarsi, con Leo alle sue spalle, era una bella mossa strategica per non mostrare quanto c’era da vedere.

 

Quella sera il campo mezzosangue era più tranquillo del solito. Il chiacchiericcio tra i tavoli era piacevole e il fuoco riscaldava ulteriormente l’aria tiepida, tipicamente estiva.

Reyna toccò la spalla di Annabeth, era un'abitudine che aveva preso in quei due giorni per orientarsi in un nuovo spazio, poi sospirò: “Mettono per la prima volta al campo un proiettore per mostrare un filmino e io non lo posso nemmeno guardare”

Annabeth ridacchiò: “a quanto ho capito è stato Jason a scegliere il film, sarà qualcosa tipo Sparta o Il gladiatore”

Reyna annuì, “presumo che non mi perderò niente di che allora”

Minuto di silenzio. Reyna avvertì degli strani suoni di sottofondo, poi iniziò a distinguere alcuni singhiozzi. “Non ricordavo che all’inizio del gladiatore qualcuno piangesse”

Annabeth era stranamente silenziosa.

“Lo giuro!” diceva la voce del filmato, “non farò mai più arrabbiare il signor D.”

Altri singhiozzi disperati. “Io non voglio sbucciarvi, cipolle! Smettetela di farmi piangere, non me la volevo prendere con voi! C… cipolline, vi prego!”

Reyna spalancò la bocca. “Non mi dire che è…”

Annabeth annuì. “Deve essere stato dopo quella partita disastrosa di caccia alla bandiera. Jason deve aver fatto il video a Percy durante la punizione”

Il figlio di Giove appena nominato si sedette accanto a loro; secondo le regole non avrebbe dovuto, ma erano tutti intenti a guardare l’eroe che aveva sconfitto Crono venir sopraffatto da degli ortaggi. “Vedere Percy così imbarazzato non ha prezzo” e in effetti Annabeth vide che il suo ragazzo era rosso almeno quanto i capelli di Rachel.

Leo spuntò alle loro spalle, assieme a Piper e Calipso, che salutò le ragazze allegramente. Reyna rimase sbalordita dal legame che collegava Calipso ad Annabeth: era nero per metà, frastagliato da infinite pagliuzze verdi, il resto di quel filo era completamente bianco. Annabeth doveva proprio odiarla! Mentre Calipso, per Annabeth, non provava niente, era neutrale.  Era molto più carino il legame tra il titano e Leo: dorato e rosso, con piccole sfumature bluastre. Reyna capì che i due non andavano esattamente d’amore e d’accordo, ma tenevano molto l’un l’altro.

“Jason Grace!” Un urlo dal tavolo di Poseidone la riportò alla realtà. Reyna avvertì Jason tendersi all’attacco e l’aria farsi elettrica. Poi Percy fece esplodere una diet coke del signor D, vicino alla faccia di Jason, peccato che accanto a lui ci fossero almeno un’altra decina di persone.

“Percy,” sibilò Annabeth, strizzandosi i capelli diventati appiccicosi per colpa di quella bevanda, “considerati morto”

 

Angolo dell’autrice

Eccomi!
Questa volta sono stata più veloce, ma il prompt mi piaceva davvero tanto! E poi ho avuto modo di inserire qualche accenno della Jarcy, coppia che amo! (Piccole grandi confessioni(?)) Sì, amo anche la Percabeth, ma… Percy e Jason… sono così litigarelli che non si può non shipparli(?).

Bene, detto questo, corro di nuovo a randomizzare la situazione! Vediamo cosa becco di carino. Grazie ancora per aver aggiunto la storia in una delle tre liste! Me felice *.*

Alla prossima!

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Capitolo 7
*** Malattie imbarazzanti ***


3)

10 ha una malattia imbarazzante. 9 lo aiuterà o se ne approfitterà?

 

Scorci di vita al campo mezzosangue

( perché i mostri stanno sempre in agguato, ma i momenti belli non sono da meno)

 

Malattie imbarazzanti

 

Corsa delle bighe.

Ogni ragazzo del campo affilava i cavalli e preparava le armi… no, un momento, era sicuramente il contrario! Piper era di nuovo agitata e iniziava a dire sciocchezze.

I piccoli carretti su due ruote venivano sistemati, dalle varie case con molta cura: nessuno voleva deludere il proprio genitore divino e con la nuova casata di Nike pronta a dar battaglia, tutti erano convinti di dover dare il massimo; persino i figli di Afrodite avevano iniziato ad allestire una biga!

Drew stava impartendo ordini come se fosse lei il capo della casa, ma Piper controllava che lo facesse in modo rispettoso e che non andasse oltre il suo dovere.

“E poi,” stava dicendo la ragazza con i tratti asiatici, “ci vuole più rosso! Assolutamente. Insomma, siamo noi i figli dell’amore! Non vorrete mica che ci battano i ragazzi di Eros?”

Ah, già, notizia dell’ultima ora - si ricordò Piper - al campo mezzosangue erano arrivati i figli dell’angioletto con il pannolino armato di arco… era l’angioletto, armato di arco, non il suo pannolino!

Oh… al diavolo! Piper doveva darsi una calmata, era troppo agitata, ma aveva il terrore che i suoi fratelli e sorelle da parte divina le chiedessero…

“Piper?” la chiamò Lacy, “non è che potresti…?”

“No, no, no!” la interruppe Piper, “mi dispiace, sai che di solito mi farei in quattro, ma oggi ho davvero troppo da fare! Devo… stirare i capelli a Reyna; dare da mangiare alla Signora O’Leary, sperando che Percy si sia ricordato di farlo stamattina; aiutare Annabeth con l’arredamento della casa dei figli di Eros e… e…. devo scappare!” La ragazza fuggì con una velocità incredibile.

 

Lezione di equitazione.

Hazel, che aveva posticipato la sua partenza per il campo Giove, stava spazzolando la lunga criniera di Arion, quando Piper entrò nelle stalle. “Ciao, Pipes!” Salutò Hazel in modo amichevole.

A Piper crollò il mondo addosso: possibile che Hazel fosse lì almeno tre ore prima dell’inizio della lezione? Che faceva? Viveva lì, in realtà?

“C… ciao,” balbettò la ragazza cherokee, iniziando a maltrattare la piuma intrecciata tra i suoi capelli. “Sei qui di buon’ora, eh?” Piper si sentì sudare freddo.

Hazel annuì. “E sì, quando Arion viene qui è per farmi visita e farsi una passeggiata assieme a me. Non vuole stare a lezione con gli altri cavalli, lui dice che è su un altro livello”

“Dice? Stai prendendo lezioni di lingua equina da Percy?”

Hazel arrossì lievemente e scosse la testa. “No, certo che no. Ormai riesco a capirlo quando vuole qualcosa, inoltre…” continuò la frase in un sussurro, come a non far sentire Arion, “è un po’ sboccato: provo un po’ di vergogna a sentire qualcuno usare certi toni, quindi è meglio restare nell’ignoranza”

Piper annuì, sorridendo un po’ per la natura ingenua della ragazza. Hazel fece spuntare dal terreno della stalla alcune pepite d’oro e le diede ad Arion, che aveva iniziato a nitrire in modo un po’ agitato. “Ci risiamo,” disse Hazel.

Piper ridacchiò, si era tranquillizzata, Hazel non le stava dicendo nulla di che.

“Non è che vuoi fare un giro da cavallo?”

Piper continuò a sorridere. “Tu non mi hai chiesto nulla del genere,” disse, utilizzando senza pietà la sua lingua ammaliatrice. “Adesso torni a spazzolare Arion, tu, qui, non mi hai mai visto,” mosse un po’ le mani davanti a sé, simulando un’uscita di scena molto melodrammatica.

Hazel si voltò di nuovo verso Arion, dimentica già dell’avvenimento, ma con la sensazione di essersi persa qualcosa.

 

Infermeria.

Will continuava a ridere. “Non ci credo, sei di nuovo qui! Dai! Potevi nascondere le medicine in camera tua, non… non nella stalla!” Poi scoppiò a ridere di nuovo.

Piper era del tutto rossa in viso, ammetteva che non era stata propriamente un’idea grandiosa, ma una serie di sfortunati eventi l’aveva condotta a dover nascondere il tutto lì, senza alcuna scelta. Non ne aveva mai parlato a nessuno e la reazione di Will era un chiaro esempio sul perché si fosse tenuta quel segreto per sé. “Piantala”

Will cercò di calmarsi, ma gli tremava l’angolo delle labbra, cosa che fece irritare Piper ancora di più. “Ti ho detto di smetterla,” tuonò, alzandosi in piedi e fronteggiando il medico, che si mise a sedere davanti la sua scrivania.

“Oh,  come siamo permalosi,” ridacchiò il ragazzo; incredibile come su di lui la lingua ammaliatrice non avesse alcun effetto; “ti darò quel che ti serve. Ma dovrai prenderlo solo un paio di minuti prima dell’ora di tiro con l’arco, altrimenti non avrà molto…” gli tremò il labbro ancora, “effetto!” ahah! E il figlio di Apollo riprese a sganasciarsi dalle risate. Piper non sapeva cosa ci fosse di tanto divertente, ma… contento lui.

“Sì, sì, ho capito. Per favore, Will, sono in ritardo!” Cercò di mettere più forza possibile nelle sue parole e finalmente il ragazzino iniziò a ragionare. “Ok, ok,” frugò un po’ tra gli scaffali fino a quando non trovò una piccola scatolina arancione contenente delle piccole pastiglie. “Buona fortuna!” Disse alla fine e Piper dovette riconoscere che, nonostante la presa in giro e la giovane età, Will aveva quei tratti gentili e delicati tipici dei dottori.

“Grazie!”

 

Lezione di tiro con l’arco.

Piper stava correndo verso il poligono di tiro per avvicinarsi a Jason. “Dannazione,” disse col fiatone, “sono di nuovo in ritardo”

“Già…” c’era qualcosa di strano in Jason, anzi, non nel suo ragazzo, più che altro era la sua maglietta arancione, ricoperta da tanti piccoli peli neri e lunghi, che aveva decisamente qualcosa che non andava. “Senti, ma… non è che hai visto Ch… Ch...e… e…. etchi!” Fu colta da uno starnuto così improvviso che Jason dovette asciugarsi la faccia con l’orlo della maglia. “Che schifo, Pipes!”
Piper voleva scomparire. “M… mi dispiace! Ma… e… e… etchi!”

Oh, no! Forse era diventata allergica anche a Jason! Ecco cosa succedeva a essere onnipresenti a ogni lezione! Il tuo ragazzo diventava un agente patogeno di allergia!

“E… e… tchi!” Stavolta Piper fu abbastanza accorta da prendere le medicine dalla sua borsa, ma… “e… e… etchi!” stava per aprire la scatoletta, solo che l’ennesimo starnuto le fece tremare le mani e le pastiglie finirono a terra.

“Oh, no!” Si mise a terra e iniziò a raccogliere freneticamente quelle medicine, ma ad un certo punto, mentre stava carponi, guardando disperatamente tra le erbacce incolte, degli zoccoli entrarono nel suo ristretto campo visivo. “Oh, miei, dei!”

Le arrivò ovattata la voce di Jason che le chiedeva il perché fosse diventata così gonfia e sentì vagamente Chirone che chiamava i guaritori di Apollo.

 

Infermeria.

Will aggiustò - per quella che a Piper sembrava essere la centesima volta - la flebo accanto al suo letto.

“La prossima volta le medicine nascondile nella tua borsa,” le raccomandò, per poi uscire dalla stanzetta e lasciare lei e Jason a tenersi per mano.

“Sul serio, Piper, c’era bisogno di nascondere questa cosa?”
Piper alzò il mento, un po’ altezzosa, “sono una dei sette semidei che hanno sconfitto Gea; la mia allergia ai cavalli è imbarazzante. A proposito, hai cambiato maglietta?”
Jason ridacchiò e annuì. “Certo che l’ho cambiata”

Piper sorrise, era un’altra cosuccia da aggiungere alla lista “motivi per cui il mio ragazzo è perfetto”.

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Capitolo 8
*** Segreti tra noi ***


21)

One Shot! 1 ha paura di volare.

 

Scorci di vita al campo mezzosangue

( perché i mostri stanno sempre in agguato, ma i momenti belli non sono da meno)

 

Segreti tra noi

 

“Preferivi davvero morire in battaglia?”

Jason trasportava Percy; una mano stretta sulla sua vita  lo stringeva a sé e gli impediva di cadere, mentre il braccio di Percy gli cingeva il collo e le sue unghie gli graffiavano la spalla.

“Piuttosto che tornare al campo mezzosangue così? Diamine, certo che sì!” Percy non si era abbarbicato in stile Koala su Jason solo per non perdere quel minimo di dignità che ancora gli restava. “Quando arriviamo vicino al campo mezzosangue scendiamo di quota”

 

“Certamente,” concordò Jason, “non ho nessuna voglia di farmi vedere così con te”

 

Volarono più in alto, ce n’era di strada da fare. I venti li trasportarono più su e delicati banchi di nubi si libravano vicino a loro. Percy provò a toccarne qualcuna con le dita, ma poi le ritrasse subito: erano fredde.  Si chiese se Jason fosse al suo agio nel cielo, quanto lui era a suo agio nel mare.  Poi il suo cervellino elaborò la frase.

“Ehi!”

E gli avrebbe dato anche un calcio, se non avesse avuto il terrore che in quel caso il ragazzo avrebbe aperto le braccia e lo avrebbe fatto cadere giù, sempre più giù. Si chiese se una caduta da quell’altezza lo avrebbe fatto sfracellare sulle acque, anche se l’ultima volta che gli era successa una cosa simile non gli era andata poi così male.

“Scusami, è che non sei proprio il mio tipo,” Jason ridacchiò e Percy alzò gli occhi al cielo. Ultimamente al campo lo allontanavano con frasi simili, si era messo a farlo pure Chirone!

Non puoi aiutarmi a pulire le stalle, Percy, - aveva affermato il centauro - i pegasi dicono che non sei il loro tipo.

Oppure c’era stata quella volta in cui Leo gli aveva detto: “Calipso ha cambiato idea sul suo tipo di ragazzo e tu non lo sei più”

Ci mancava solo che Annabeth  dicesse qualcos’altro di simile e Percy si sarebbe scavato la fossa.

“Zitto e vola,” borbottò Percy, “e la prossima volta ti faccio fare un giro in fondo al mare”

Jason rise e allentò intenzionalmente la presa sulla sua vita: era divertente l’espressione di terrore assoluto sul viso di Percy, i suoi occhi verde mare zigzagavano ovunque, in cerca di un qualunque appiglio più sicuro di lui.

“Spero di non dovermi trovare in una situazione sim…”
“Cosa fai?!” L’urlo stridulo di Percy gli perforò il timpano, “stringimi più forte!”

Jason alzò gli occhi al cielo. “Ok… non una parola al campo mezzosangue”

“Non una parola,” concordò Percy.

E entrambi volarono verso l’orizzonte, destinazione: Long Island.

 

Zeus si grattava la barba, mentre Poseidone lo guardava con un cipiglio curioso.

“Perché non hai fulminato mio figlio?”

“Perché avrei fulminato pure il mio”

“Ammetti che è divertente vederli litigare in quel modo”

Silenzio.

“Un pochino”.

 

Angolo dell’autrice

Quest capitolo è molto più breve dei miei standard, ma devo dire che la paura di Percy di volare e il suo posto nella lista ( un’incredibile coincidenza) hanno dato vita a una scenetta che è relativamente breve. Con i prossimi capitoli tornerò a una lunghezza più standard, ecco.

Detto questo, ringrazio ancora chi commenta e chi aggiunge la storia a una delle tre liste, siamo a quota 34 in totale, quindi grazie a ognuno di voi!
Alla prossima!

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