Occhi di lupo 2.0

di Mary P_Stark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** cap.3 ***
Capitolo 4: *** cap.4 ***
Capitolo 5: *** cap.5 ***
Capitolo 6: *** cap.6 ***
Capitolo 7: *** cap.7 ***
Capitolo 8: *** cap.8 ***
Capitolo 9: *** cap. 9 ***
Capitolo 10: *** cap.10 ***
Capitolo 11: *** cap.11 ***
Capitolo 12: *** cap.12 ***
Capitolo 13: *** cap.13 ***
Capitolo 14: *** cap. 14 ***
Capitolo 15: *** cap.15 ***
Capitolo 16: *** cap.16 ***
Capitolo 17: *** cap.17 ***
Capitolo 18: *** cap.18 ***
Capitolo 19: *** cap. 19 ***
Capitolo 20: *** cap. 20 ***
Capitolo 21: *** cap.21 ***
Capitolo 22: *** cap. 22 ***
Capitolo 23: *** cap. 23 ***
Capitolo 24: *** cap. 24 ***
Capitolo 25: *** cap. 25 ***
Capitolo 26: *** cap. 26 ***
Capitolo 27: *** cap. 27 ***
Capitolo 28: *** cap. 28 ***
Capitolo 29: *** cap. 29 ***
Capitolo 30: *** cap. 30 ***
Capitolo 31: *** cap. 31 ***
Capitolo 32: *** cap. 32 ***
Capitolo 33: *** cap. 33 ***
Capitolo 34: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


1.

 

 

 

 

 

Narra la leggenda che un uomo vestito di pelli di lupo, dagli occhi color dell’ossidiana e capelli scuri come ali di corvo, si avventurò un giorno nella foresta ai piedi dei Monti Urlanti.

Suo era il desiderio di poter dare voce al proprio dolore, oltre alla remota possibilità di chiedere al dio lupo la possibilità di debellarlo.  

Rimorso e infinita disperazione avevano colto l’uomo quando la moglie, nel partorire la loro prima figlia, era morta tra immenso strazio.

Il suo cuore aveva ceduto allo sconforto, e neppure la salvezza della figlia aveva scongiurato la caduta nel baratro in cui l’uomo era finito.

Colmo di speranza, si era quindi inoltrato nella foresta del dio lupo, nel cuore la preghiera di poter tornare a sorridere come un tempo.

Raggiunta infine la statua del dio-lupo Hevos, alle sorgenti del fiume Fenar, l’uomo si era inginocchiato dinanzi a essa, chiedendo a gran voce di poter riavere la moglie al suo fianco.

Era stato con la paura sul volto, e lo stupore negli occhi, che si era ritrovato a fissare la figura del giovane Hevos, divenuto carne innanzi ai suoi occhi.

Imberbe e dal viso perfetto, la divinità aveva osservato lungamente il postulante con i suoi occhi dorati.

Mentre un lento sorriso si era dipinto sul suo volto immortale, aveva mormorato con voce piana: “Colei che tieni tra le braccia è tua figlia, viandante?”

Osservando il fagotto che teneva stretto a sé, l’uomo aveva assentito, mormorando poi roco: “Sì, lei è mia figlia Hyo.”

Allungando una mano dalle lunghe dita aggraziate, il dio aveva sfiorato il viso della neonata che, puntando due brillanti occhi neri su di lui, aveva sorriso, gorgogliando allegra.

Ciò aveva riempito di letizia il giovane immortale.

“Ella mi diletta, viandante… concedimi di prenderla in braccio, dunque” gli aveva a quel punto ordinato il dio, sorridendo alla piccola.

Il viandante, timoroso di incorrere nelle ire dell’immortale, aveva acconsentito, porgendogli subito la bimba.

Immediatamente, Hyo aveva riso ilare e il dio, carezzandole il viso con espressione divertita, aveva dichiarato: “Ho udito la tua invocazione, viandante. Tu sai che non mi è concesso varcare le soglie del mondo dei morti, che di diritto appartiene a mio fratello, quindi, perché tu chiedi l’impossibile?”

“Seguo il culto del Lupo e non del Corvo, mio signore, per questo ho pensato di rivolgermi a voi. La mia vita non ha più senso, senza Zenah, né io sento più il mio cuore battere, senza di lei. Solo per Hyo sto continuando a respirare, ma questa non è esistenza” aveva ammesso il viandante, sospirando pesantemente.

Continuando a osservare Hyo senza degnare di uno sguardo l’uomo, il giovane dio aveva replicato con una certa acredine: “Vuoi tu dunque dire che neppure una creatura pura come tua figlia, è capace di tenerti in vita con serenità? Non conta dunque nulla, per te? Dimmi, allora, perché l’hai voluta in questo mondo?”

“Era desiderio di Zenah… e lei me l’ha portata via” aveva sibilato suo malgrado l’uomo, reclinando il capo e non accorgendosi perciò del cipiglio del dio.

Assottigliando le iridi dorate, il dio aveva così mutato i bei lineamenti del suo giovane volto e per poi asserire glaciale: “Le tue parole sono come acqua che scorre su un sasso, per le mie orecchie. Nulla conta, per me, se non la vita di ogni essere vivente. Non mi occupo di morti ma, se per te è così importante Zenah da passare sopra all’esistenza della tua stessa figlia, intercederò per te presso mio fratello, così da ricongiungerti alla tua amata… a una condizione, però. Dai a me Hyo, e io ti riunirò a Zenah.”

“Cosa? Ma…” aveva tentennato l’uomo, risollevando il capo per fissarlo timoroso.

“Decidi in fretta, uomo, prima che la mia pazienza venga meno!” aveva esclamato il dio, continuando a vezzeggiare con un dito la bambina.

“Lo farete davvero?”

“Dubiti forse della parola di un dio!?” aveva perciò tuonato Hevos, facendosi di fiamma e fissandolo veramente per la prima volta.

I suoi occhi avevano emanato sdegno e furia al tempo stesso.

L’uomo era infine crollato a terra scuotendo il capo così il dio, sogghignando soddisfatto, aveva dichiarato sprezzante: “Ah… capisco. Allora è vero che, la di lei vita, non conta niente, per te. E sia! Riavrai la tua amata, ma pagherai per sempre lo scotto di averla voluta di nuovo con te.”

“Cosa volete dire?” aveva esalato l’uomo, impallidendo dinanzi alle sue parole profetiche.

“Ciò che per un uomo mortale conta come lo scorrere della sabbia in una mano, così non è per una donna, ma te ne renderai conto da solo. Ora va’, prima che cambi idea!” aveva esclamato a gran voce il dio, svanendo in una nuvola di luce.

Hyo era scomparsa con lui.

 

***

 

  Un alito di vento si incuneò tra le finestre socchiuse della stanza di Aken che, sbadigliando, si risvegliò dal suo sonno leggero.

  Sbattendo più volte le palpebre per comprendere da dove provenisse quella fastidiosa corrente d’aria, osservò cupo i battenti dischiusi prima di decidersi ad alzarsi.

Slanciate le lunghe gambe fuori dal letto, il giovane principe si incamminò verso la finestra, poggiando i piedi sulle morbide stuoie di pelliccia che lo riparavano dal gelido pavimento di pietra.

Chiusi i battenti, osservò ora completamente sveglio le case e i palazzi della città di Rajana, la capitale del regno di Enerios.

Rajana era già desta da ore, centro nevralgico dello scambio di merci provenienti da ogni angolo del loro ricco reame.

Dalle possenti montagne a nord giungevano gemme preziose, pelli pregiate e nobili metalli, che consentivano ai paesini abbarbicati tra rocce e declivi scoscesi di sopravvivere a quelle aride lande.

Dal sud, ove il mare era ricco di vita, pesci di ogni razza e perle rilucenti giungevano in eguale quantità, diretti sia al mercato interno che a quello estero.

Aken sorrise di fronte al brulicare di persone e mezzi, nei pressi della grande piazza del mercato.

Ironico, si chiese cosa sarebbe successo se, un dannatissimo giorno, tutta la prosperità del suo regno fosse scemata di colpo.

Nessuno di loro sarebbe sopravvissuto un solo giorno, a rape ed erbe di campo. Nessuno.

“Troppa opulenza” brontolò tra sé, prima di distogliere lo sguardo dalla finestra per dedicarsi ad altro.

Presi da una sedia gli indumenti che, la sera precedente, aveva ripiegato diligentemente, Aken indossò calze, pantaloni e camiciola di lino finissimo.

A quel punto, indeciso sul da farsi, osservò per un momento una delle sue ricche tuniche ricamate ma, al fine, indossò un giustacuore di cuoio al suo posto.

Un buon allenamento mattutino non gli avrebbe certo fatto male e, vestito come un damerino di corte, non avrebbe potuto farlo.

Così deciso, infilò ai piedi corti e consunti stivali di cuoio e, dopo aver legato in una coda di cavallo i lisci e neri capelli, che ormai gli giungevano ben oltre le spalle, uscì dalla propria stanza.

A grandi passi, quindi, si diresse senza ulteriori indugi verso la caserma di Rajana.

In quanto principe ereditario, Aken avrebbe dovuto fare colazione insieme alla sua famiglia, e non certo nel refettorio dei soldati.

Ormai da tempo, però, si era concesso il lusso di disertare quell’impegno mattutino.

Nel corso degli anni, le persone invitate al tavolo dei reali erano diventate, per lui, sempre più insopportabili e fonte continua di mal di testa.

Non amava la sua posizione e, meno ancora, essere l’oggetto delle brame di potere della nobiltà.

Da quando aveva compiuto diciotto anni, la Corte aveva tentato con ogni mezzo di vederlo sposato a questa o quella dama di corte, ma sempre di ottimo lignaggio.

A sette anni di distanza dal suo primo ballo ufficiale, e alla susseguente investitura a erede della corona, nulla era cambiato.

Quei lugubri pensieri lo portarono ad accigliarsi per alcuni attimi ma, quando raggiunse le scale di servizio, Aken si rasserenò a ogni gradino lasciato dietro di sé.

Non amava il luogo in cui i suoi avi avevano vissuto per secoli.

Non che il palazzo, con le sue alte torri merlate di arenaria grigia, le sue mura possenti e i suoi robusti contrafforti, non fosse bello, o non meritasse di essere osservato con ammirazione.

Semplicemente, vivere lì non lo aggradava.

L’essere costantemente controllato, studiato, vivisezionato dalla Corte, rendeva la sua vita a palazzo ben peggiore di una campagna militare.

Durante la lotta, poteva brandire spada e scudo per difendersi, ma a palazzo?

Un coltellino da burro era ben misera arma, e non poteva certo levarla contro coloro che, il suo ardore di guerriero, riteneva meno che mere caricature di uomini.

Meno che meno, poteva sfoderarlo contro le nobili dame di corte che, con i loro ventagli e i loro profumi svenevoli, erano forse peggio delle zecche.

Con uno sbuffo, lanciò un rapido sguardo all’alta torre di guardia, su cui svettava la bandiera con il lupo nero, su campo rosso, che era il simbolo del suo regno.

Dopo averla osservata sventolare al vento per alcuni attimi, riprese il suo lesto cammino verso la foresteria della caserma.

Meglio non pensare a quanto avrebbe voluto essere come quel lupo, e fuggire per sempre da quei luoghi.

Spartana come ogni ricovero militare, la caserma di Rajana – situata nei pressi del Palazzo Reale – poteva vantare non solo i soldati meglio addestrati del regno, ma anche la più fornita scuderia di Enerios.

I cavalli, scelti esclusivamente per la loro forza, possanza e capacità di resistenza in battaglia, erano i meglio addestrati di tutto il reame.

Solo il regno di Vartas ne vantava di migliori. Non che a loro piacesse ammetterlo, ma era un dato di fatto.

Aken ammirava da sempre quelle bestie indomite che, come autentici guerrieri, correvano incontro alla morte portando al galoppo i propri cavalieri, senza temere colpo di spada o punta di lancia.

Il suo destriero non faceva differenza.

Come ogni mattina, il principe si recò alle scuderie per salutare il suo fedele destriero Rohal, con cui aveva già combattuto diverse battaglie.

Lo stallone nero, scorgendolo sull’entrata della stalla, sbuffò sonoramente, agitando il capo oltre la bassa porta lignea del suo box.

Il giovane principe, sorridendo lieto, si avvicinò per carezzarlo e dire gentilmente: “Buongiorno, mia fulgida tempesta.”

Rohal strusciò il muso contro la sua spalla, dimostrandogli tutto il suo affetto incondizionato e Aken, sorridendo maggiormente, gli allungò un dolcetto, sussurrando complice: “Se mi vede lo stalliere, ci metteremo nei guai, ma di certo te lo meriti. Acqua in bocca, però.”

Il suo nitrito allegro dimostrò al principe quanto il regalo fosse stato gradito.

Dopo un ultimo grattino alle orecchie, il giovane se ne andò in direzione della caserma per raggiungere il refettorio.

Lavatosi le mani in un bacile di acqua fresca, prima di entrare nella bassa struttura a pianterreno ove i suoi uomini si riunivano per il rancio, Aken salutò i presenti, ricevendo in risposta inchini e pacche sulle spalle.

Sorridendo a tutti loro con trasporto, si diresse senza ulteriori indugi verso le vivande già pronte, prendendo un po’ di carne salata e del pane di noci.

Non gli fu difficile trovare un angolo libero ove sedersi. A quell’ora, molti soldati erano già di ronda, quindi la sala era quasi vuota.

Sedutosi a un tavolo di legno grezzo come gli altri soldati presenti, Aken iniziò a mangiare tranquillamente, lo sguardo perso nel vuoto e ora del tutto privo di preoccupazioni.

Era più a suo agio tra i soldati, i cavalli e le spade, piuttosto che tra trine, merletti, profumi speziati e vuote parole.

Che si divertisse il fratello minore, a corteggiare le dame! Lui aveva di meglio da fare!

Quel breve idillio, però, durò ben poco.

Un paggio in livrea, entrando nel refettorio con il chiaro intento di trovare proprio lui, distrusse i suoi piani per quella mattinata.

Non appena quegli occhi spiacenti si posarono sul suo volto aggrottato, Aken seppe di avere terminato lì, per quel giorno.

Bloccandosi subito – era insolito che i paggi si facessero vedere in caserma, se non per questioni urgenti e della massima importanza – Aken gli fece cenno di avvicinarsi.

Annuendo, il ragazzo in livrea si inchinò contrito, mormorando: “Vostra Altezza mi scuserà, ma Sua Maestà richiede la vostra presenza nella sala del trono.”

Storcendo il naso, Aken borbottò: “Cosa vuole, Sodan? Non te l’ha detto?”

Scuotendo il capo, il giovane replicò vagamente imbarazzato: “Non ha ritenuto opportuno dirmi nulla, Vostra Altezza.”

Spostando di lato il piatto di peltro ancora semi pieno, Aken si adombrò ulteriormente in viso, seguendo poi Sodan fuori dal refettorio.

Ripresa la via del palazzo, il principe macinò a grandi passi la distanza che lo separava dalla sala del trono, facendo le scale a due a due per impiegare meno tempo.

Sapeva di non fare cosa gradita alla sua famiglia, desinando in refettorio, ma addirittura interromperlo per spregio, gli sembrava troppo!

Preso un gran respiro quando finalmente raggiunse la porta della sala del trono, Aken lasciò che Sodan lo annunciasse ai genitori.

Con passo deciso, quindi, si avviò verso il palco ricoperto di velluto rosso, dove il padre e la sua matrigna erano assisi.

Re Arkan di Enerios era un uomo possente e fiero, di cui Aken aveva preso in pieno l’aspetto.

Una lunga cicatrice ne solcava il viso, scendendo dal sopracciglio destro fino al mento in una linea frastagliata e sottile, retaggio di un’antica battaglia contro il regno di Vartas.

I suoi capelli, ormai canuti al pari della barba folta, rispecchiavano la sua età, così come la gamba sinistra irrigidita dall’artrite.

Pur non volendolo, questo aveva costretto il re a utilizzare un bastone per muoversi più speditamente.

Nonostante questo, Arkan avrebbe potuto benissimo uccidere dieci uomini con la sola forza del suo braccio, tanta era ancora l’energia vitale insita in lui.

Era un guerriero da cui guardarsi le spalle, nonostante tutto, e Aken lo sapeva.

Inchinandosi dinanzi al padre pur fremendo di rabbia dentro di sé, il principe puntò i suoi occhi smeraldini in quelli d’acciaio dell’uomo che, dopo un momento, esordì dicendo: “Ho notizie preoccupanti da comunicarti, Aken. Ho preferito non aspettare oltre e mettertene al corrente.”

Aggrottando immediatamente la fronte, Aken raddrizzò la figura possente, stringendo le  mani dietro la schiena.

In attesa di ragguagli, fissò un attimo la sua matrigna, sorridendole gentilmente.

Il re sospirò, riprendendo la parola e tornando a ottenere l’attenzione del figlio.

“Due settimane orsono, ho inviato un falco ad Anok Fort, ma non mi sono giunte notizie in risposta dalla guarnigione. Ormai, sono diversi mesi che non riceviamo messaggi da parte loro e comincio a temere che, a Vartas, stiano combinando qualcosa che non vogliono farci sapere.”

Come per ogni abitante di Enerios, il solo sentir nominare  Vartas – regno a loro confinante, e nemico giurato da diverse generazioni – fece irrigidire Aken.

Accigliandosi maggiormente, il giovane guerriero fissò ansioso il padre, presagendo notizie ancora più allarmanti di quelle che già aveva udito.

Anok Fort era stato costruito sul confine tra i due regni, nelle vicinanze della Valle del Silenzio, proprio per tenere sotto stretta sorveglianza i movimenti di Vartas.

Ma se, come il padre sospettava, qualcosa era avvenuto al forte, qualcuno avrebbe dovuto scoprire cosa stesse succedendo prima della riapertura dei passi, la primavera successiva.

“Volete che organizzi una spedizione, padre?” chiese allora Aken.

Annuendo, Arkan disse contrariato: “So che siamo agli albori dell’inverno e che, al nord, le condizioni non sono ottimali, ma non possiamo attendere la primavera, con il rischio che loro ci attacchino trovandoci impreparati. Vorrei inviare qualcuno degno di fiducia, ma conosco solo te, da poter inviare in mia vece.”

Aken preferì non dire nulla in proposito: non era insolito che il padre non si fidasse dei suoi stessi uomini e, più di una volta, lui era dovuto intervenire per sedare eventuali disagi.

Era cosa risaputa, tra le truppe, che i generali erano fedeli ad Aken, e non al re suo padre, e proprio per questa totale mancanza di fiducia.

In questo, re Arkan aveva sempre difettato. Non aveva mai dato lustro a coloro che lo servivano, e questo aveva creato una spaccatura, tra la Corona e l’Esercito.

Solo Aken era il collante che ancora teneva legati i due mondi.

“Contattare il borgomastro di Marhna è stato inutile, perciò procedi con cautela, figlio. Non vorrei trovassi una serpe in seno, al tuo arrivo tra le montagne” aggiunse Arkan, del tutto ignaro dei pensieri del figlio.

Annuendo a sua volta, Aken replicò ombroso: “Sarò cauto nei limiti del possibile, padre. Preparerò i miei uomini, e partirò alla volta del forte entro il più breve tempo possibile. Dovremmo essere in grado di prendere la via delle montagne già domani.”

“Molto bene” assentì Arkan.

A quel punto Anladi, la seconda moglie del re, prese la parola.

Più giovane di Arkan di quindici anni, Anladi era stata data in sposa al re dopo la morte della madre di Aken, perita a causa di una brutta febbre polmonare.

Al re, Anladi aveva dato due figli, di cui Arkan andava particolarmente fiero, e si era presa cura di un bambino di sei anni, senza più una madre, portandolo alla maturità.

Aken provava affetto profondo per quella donna minuta dai biondi capelli e gli occhi azzurri come le acque dei ghiacciai, cui il fratellastro Ruak assomigliava in tutto e per tutto.

Non aveva mai provato risentimento alcuno nei suoi confronti, anche se lei aveva preso il posto che, un tempo, era stato di sua madre.

Osservandola curioso, le sentì dire: “Durante il viaggio di ritorno, vorrei sostassi presso la tribù di Kaihle. E’ molto tempo che non abbiamo sue notizie, e vorrei sapere come sta. Ovviamente, le porterai i miei saluti e ringraziamenti, oltre ad alcuni doni che vorrei farle avere.”

Kaihle era, come Aken ben sapeva, la Signora di una delle tribù di donne-lupo presenti alle pendici della catena montuosa che li separava da Vartas.

Era stato presente anche lui quando, ormai disperati, avevano chiamato a palazzo Kaihle per salvare Anladi - e il principe che portava in grembo - da morte certa.

Nessuno dei loro guaritori era stato in grado di fare nulla, ma quella donna era riuscita laddove tanti uomini avevano fallito.

Aveva accudito la partoriente fino alla nascita del bimbo, scongiurando la morte di entrambi dopodiché, senza chiedere nulla in cambio, se n’era tornata alla sua tribù.

Era l’unica donna-lupo che Aken avesse mai conosciuto in vita sua.

Se lei in particolare non gli era sembrata una donna sciatta o volgare, le voci che circolavano sul loro conto non erano certo delle più lusinghiere.

Di loro, si diceva che fossero più simili a uomini che a donne, e che la loro proverbiale capacità di parlare con i lupi fosse dovuta a un patto fatto con i demoni delle nevi.

Secondo il suo modo di vedere, erano solo sciocche credenze, ma comprendeva senza difficoltà alcuna da dove nascessero quelle storie colme di timore.

Pur essendo una pratica vecchia di secoli, e accettata dalla Corona, gli abitanti di Enerios ancora stentavano a comprendere come interi gruppi di donne vivessero sole nelle foreste del regno.

Figurarsi tra le vette impervie dei Monti Urlanti.

Fra loro non era concessa la presenza di nessun uomo e, quel che più sconcertava, erano seguite a vista, e venerate, dai lupi che condividevano la loro esistenza.

Ma Kaihle, quella donna-lupo che aveva visto solo una volta, aveva salvato la sua matrigna e il fratello, perciò meritava rispetto.

Annuendo, Aken dichiarò: “Le porgerò i vostri saluti, madre, e le porterò i vostri doni per ringraziarla.”

Sorridendo, Anladi annuì al figliastro, e aggiunse: “Ricordati di salutare tuo fratello, prima di partire.”

“Non mancherei mai” sorrise un momento Aken, tornando poi a rivolgersi ad Arkan. “Avete altro da dirmi, padre?”

“Solo avvisarti che lady Tyana è con tua sorella Melantha, e vorrebbe vederti” asserì il padre, con un accenno di irritazione nella voce.

Arcuando un sopracciglio con espressione ironica, Aken celiò: “Ancora, padre? Vi ho già detto che, quando vorrò un cappio dorato al collo e una catena alla caviglia, ve lo farò sapere.”

“Ti ho solo chiesto di conoscerla, nulla più. E’ così difficile?” sospirò a quel punto il re, esasperato dalle intemperanze di lunga data del figlio maggiore.

“Sì, in effetti. E, finché non sarò soddisfatto di ciò che vedrò, non mi sposerò. Con permesso” ironizzò il principe, uscendo dal salone dopo un breve quanto frivolo inchino.

Incamminatosi lungo il corridoio con passo rigido e irritato, Aken raggiunse in breve tempo le scale che conducevano dabbasso, nell’ampio cortile sul retro del palazzo.

Da lì, per giungere al campo da tiro con l’arco, ove solitamente si allenava suo fratello Ruak, avrebbe impiegato pochissimo.

Nel contempo, avrebbe evitato a piè pari i luoghi in cui, solitamente, passeggiavano le dame di corte per mostrarsi ai nobili imbellettati e pronti a maritarsi.

Lui, di certo, non sarebbe stato tra questi. Che si dilettassero pure gli altri, nel rincorrere quelle arpie, pronte soltanto a mettere le mani sugli ori dei poveri malcapitati.

Non voleva neppure sentir parlare di matrimonio, dopo la scandalosa scenata di lady Eluane.

Vistasi rifiutare durante un balletto di gala, aveva strepitato come un’aquila, accusandolo di essere un amante di uomini.

Quel suo accenno, non solo l’aveva spinto a sollevare una mano per schiaffeggiarla – subito calata per rispetto verso entrambe le loro famiglie – ma gli aveva anche fatto comprendere quanto vuota e vanesia fosse la ragazza.

Se non era in grado di accettare un rifiuto senza dare di matto, non poteva certo essere all’altezza della Corona cui tanto ambiva.

Una donna degna di tale nome avrebbe preso il suo diniego con maggiore classe e, sicuramente, facendo meno baccano.

Inoltre, dargli dell’amante di uomini! Lui!

Quel pensiero lo irritò per l’ennesima volta.

Aveva avuto davvero un bel fegato ad accusarlo di una cosa simile, visto quanto fosse risaputa la sua nomea di amante.

Non una di loro, aveva preteso qualcosa di più della sua compagnia e lui, ben volentieri, si era prodigato per ringraziarle per quel comportamento disinteressato.

Non che sguattere o contadine potessero sperare nella Corona, ma ad Aken era servito stare con loro, e condividerne l’intimità del loro letto.

Durante le fredde notti d’inverno, o nei caldi giorni d’estate che bruciavano Rajana e le sue mura, quelle giovani donne erano state la sua salvezza.

Quelle ragazze, che di merletti e regole di comportamento non facevano certo uno stile di vita, gli avevano insegnato a gustare i veri piaceri della vita.

Una risata, una battuta sussurrata all’orecchio nel momento dell’amplesso, una carezza sincera, un bacio d’addio dato col cuore.

Ben poche avevano voluto essere pagate per i loro servigi, limitandosi ad accettare le sue visite come un regalo insperato.

Trattandosi di giovani sole, orfane di genitori o vedove, lui aveva equamente provveduto ad aiutarle e, da loro, non aveva mai ricevuto pressioni o critiche.

Forse, comprendevano più di chiunque altro il suo bisogno di evadere dal palazzo.

Forse, anche loro avevano bisogno di isolarsi dal mondo, per qualche ora, e godere della compagnia di un uomo che non abusasse di loro.

Forse, solo loro lo vedevano realmente per quello che era. Un uomo, e nulla più.

Sbuffando contrariato per la piega melanconica che avevano preso i suoi pensieri, Aken scalciò un ciottolo con rabbia.

Aguzzando poi lo sguardo, cercò tra i molti giovani, impegnati in allenamento, la figura del fratello Ruak.

Tendenzialmente, non era difficile trovarlo, vista la sua passione per l’arco lungo, oltre che per la sua chioma bionda, così rara a corte.

Sorridendo non appena lo scorse, l’alta e longilinea figura abbracciata da neri abiti di pelle, Aken si avvicinò a Ruak e il suo istruttore con passo veloce.

“Buongiorno! Già impegnato a maltrattare il tuo arco?”

Fermandosi di colpo, e ritirando il braccio prima di scoccare la freccia che teneva saldamente tra le dita, Ruak si volse a mezzo nel sentire la voce del fratello.

Sorridendo di rimando ad Aken, esclamò: “Buongiorno a te! Dovresti saperlo che io non maltratto le mie armi. Men che meno il mio fedele arco. Già in fuga da Tyana?”

Ridacchiando insieme all’istruttore di Ruak, che ben conosceva le sue reticenze a sposarsi e l’assidua caccia che, invece, stava conducendo Tyana, Aken ammise: “Più o meno. Quella ragazza è davvero testarda come un mulo. Sembra quasi che, nel raggio di cento miglia, non esista un solo uomo che le piaccia. Tranne il sottoscritto, ovviamente.”

“C’è in palio la corona, Vostra Altezza. Credo sia questo, il vero motivo della sua ritrosia a scegliere altri uomini” commentò l’istruttore, sogghignando suo malgrado.

“Come darti torto! Il punto è che queste nobildonne sono tutte così maledettamente pedanti che…” brontolò il principe ereditario, prima di scrollare le spalle e cambiare discorso. “Ti rubo mio fratello per un po’, Nogarth.”

“Attenderò qui, Altezza” annuì l’uomo, appoggiandosi a una staccionata di legno.

Allontanatisi di qualche passo, Aken si fermò per sedersi scompostamente su un muricciolo di sassi e, fissando il fratello con aria seria, disse a un curioso Ruak: “Devo partire per un viaggio, fratellino, quindi dovrai badare tu alla famiglia.”

Spalancando gli occhi cerulei, incorniciati da scure ciglia nere, Ruak lo fissò sorpreso prima di chiedere turbato: “Non siamo un po’ avanti con la stagione, per un viaggio?”

“La necessità lo impone. Nostro padre prevede guai sul confine, ed è giusto andare a controllare” gli spiegò Aken, stringendogli le spalle con un braccio quando il fratello si sedette al suo fianco.

Ruak era quasi alto come lui, ormai, pur se non altrettanto robusto.

Avevano un’identica carnagione bronzea e volti dai tratti nobili, ma il fratello minore aveva occhi gentili e caldi come quelli della madre.

Quelli smeraldini di Aken, invece, avevano visto troppe morti e troppo sangue, per essere egualmente limpidi, ma non erano meno belli di quelli di Ruak.

“Capisco” annuì il fratello minore. “E, come al solito, nostro padre non si fida che di te, per una missione simile, nonostante tu sia l’erede e quindi, di fatto, assai importante per la Corona.”

Aken sbuffò, sapendo bene cosa volesse dire il fratello, con quelle parole.

“Lo conosci. Non lascerebbe a nessun comandante, una missione così importante.”

“Ma mette a rischio te, nell’impuntarsi a questo modo” sottolineò Ruak, sbuffando a sua volta.

“Da per scontato che io torni, visto che sono suo figlio. Chi mai potrebbe battermi?” ironizzò a quel punto Aken, dandogli una pacca sulla gamba.

Ruak lasciò perdere il discorso, limitandosi a dire: “Starai attento, per lo meno?”

“Quando mai non sono stato attento?” lo irrise bonariamente Aken, ghignando in risposta.

Storcendo il naso, Ruak gli rammentò per contro: “Ti ricordo che sei quasi finito in un crepaccio, per rincorrere una lepre.”

“Un caso fortuito” ridacchiò lui, pur tornando serio subito dopo. “Te lo prometto; starò attento e tornerò a casa tutto intero.”

Ruak lo fissò in cerca di rassicurazioni e, dopo aver scorto negli occhi del fratello tutta la sua buona volontà, accennò un sorriso e celiò: “Non è che questa storia te la sei inventata per evitare le brame della bella Tyana?”

Ridendo fragorosamente, Aken ammise: “Casca a fagiolo, non posso negarlo, e non mi dispiace allontanarmi da chi vorrebbe mettermi una corda attorno al collo. Mi piace ancora troppo divertirmi, e senza restrizioni da seguire.”

“Lo immagino, e non posso darti torto. Finché puoi…” commentò Ruak, con aria saputa.

Storcendo il naso con espressione torva, Aken replicò: “Cosa vuoi saperne, tu, sbarbatello?”

Ruak ridacchiò, strizzandogli l’occhio.

“Più di quanto tu non creda, fratello.”

“Oh” esalò il fratello, basito di fronte all’affermazione di Ruak. “Ah, beh, allora…”

Tornando serio, il giovane principe abbracciò strettamente il fratello maggiore per un attimo, prima di dire contro la sua spalla: “Fai buon viaggio, Aken, e torna da me.”

“Spero proprio di sì” sorrise lui, stringendolo a sé e dandogli sonore pacche sulla schiena.

Amava Ruak come se fosse nato dalla sua stessa madre, e non avrebbe mai voluto causargli alcun dolore.

Questa volta, però, promettere di essere prudente, gli parve una concessione davvero dura da fare.

***

Osservando il suo aiutante di campo, che conosceva da più di nove anni, ormai, Aken sospirò forse per la centesima volta, ed esalò: “E’ davvero necessario starsene qui seduti a elencare tutti i lavori che non eseguirò in mia assenza, e che tu dovrai sobbarcarti in mia vece?”

Sollevando ironicamente un sopracciglio, la penna d’oca stretta nell’unica mano rimastagli, Kannor replicò suadente: “Proprio perché tu non sarai presente, io devo avere ben chiaro cosa fare, mentre tu corri a menar le mani su al nord.”

“Ah-ah. Davvero spiritoso” sospirò Aken, passandosi una mano tra i folti capelli rilasciati sulle spalle.

I suoi uomini si erano dichiarati entusiasti di partire, forse stanchi di crogiolarsi tra le sicure e amene pareti della città.

O, più semplicemente, desiderosi di lucidare col sangue le loro preziose spade.

A ogni buon conto, nel giro di poche ore, ognuno dei soldati da lui scelti per partire, aveva preparato armi e bagagli e ora, a lui, spettava solo il compito di guidarli.

Un’unica lagnanza gli era giunta, e proprio da Kannor.

Non aveva gradito sapere che, anche per un viaggio all’apparenza semplice come quello, sarebbe rimasto a Rajana.

Era stato un autentico inferno fargli comprendere i motivi per cui desiderava lasciarlo a Rajana.

Non a causa del suo braccio monco, ma per avere un amico a gestire i suoi interessi in vece sua.

Ora, a sera tarda e con l’odore pungente della cera di pino ad ardere nei bracieri di ferro battuto, Kannor si stava sottilmente vendicando.

Appioppandogli quel noiosissimo lavoro di ‘controllo scartoffie’, come amava chiamarlo lui, sapeva di fargli un dispetto non da poco.

Non aveva mai dimenticato quando, sul campo di battaglia, aveva dovuto mozzargli il braccio maciullato per salvargli la vita.

Anche a distanza di anni, Aken si sentiva sempre in colpa per non aver potuto far altro per lui, oltre che prendergli quella mano che ora, fantasma, aleggiava vicino alla manica vuota della sua camicia immacolata.

Kannor non gliene aveva mai fatto una colpa e, anzi, lo aveva sempre preso in giro per i suoi rimorsi.

Spesso, lo aveva gratificato con pessime battute sull’essere un uomo con una mano sola, a cui Aken aveva sempre riso a fatica.

Quella sera, quella mano mancante avrebbe voluto prenderlo a pugni, se avesse potuto, tanto si sentiva a disagio.

Ma forse si meritava il vago sentore di fastidio che gli rodeva le carni.

Tornando serio, Kannor puntò la penna sul foglio pergamenato e borbottò: “Non ti servirà a niente ragionare su cose passate, o sulla mia mano che non c’è più. Ho capito perché non mi vuoi lassù tra i monti, e lo accetto perché so quanto poco ti piaccia che degli estranei ficchino il naso nei tuoi affari. Per questo, non per motivi reconditi, stiamo facendo questo lavoro noiosissimo. Anche se un po’ di soddisfazione la sto provando, la ammetto, a rovinarti la serata.”

Il sorriso pacioso con cui terminò la frase fece sorridere Aken che, ghignando, lo indicò divertito, asserendo: “Lo sapevo che avevi uno spirito sadico, nascosto dietro quella faccia da schiaffi!”

“Parla per te, baffetto!” ghignò Kannor, ricorrendo a un vecchio nomignolo che la coorte gli aveva affibbiato al tempo in cui, giovane guerriero in partenza per una battaglia, aveva sfoggiato dei ridicolissimi baffi per darsi un tono.

Ridendo di quel ricordo – a cui era seguito il brutto incidente di Kannor – Aken sussurrò: “Avrei voluto restare là con voi per sempre.”

Sorridendogli comprensivo, l’amico replicò: “E io vorrei tanto toglierti il peso che grava sulle tue spalle, amico mio, ma non posso davvero. Di tutte le cose che posso fare per te, questa mi è impossibile.”

“Lo so” sospirò Aken, prima di aggiungere: “Dai, continuiamo.”

“Sì, agapry. Continuiamo” annuì Kannor, tornando a fissare lo scritto dinanzi a lui.

Amico caro.

Ne aveva così pochi, a ben pensarci!

***

Serrati i lacci e controllato che tutto fosse a posto, Aken sistemò le varie sacche da viaggio, allacciandole agli anelli appositi della sella.

Sulla schiena del cavallo, legò il telo oleato della sua tenda e infine, scrutati i suoi uomini con occhi attenti, chiese burbero: “A che punto siete?”

“Siamo a posto, principe” dissero quasi in coro, senza neppure sollevare gli occhi da ciò che stavano facendo.

Non c’era bisogno di inchini o sguardi compiacenti, con Aken.

Annuendo, lui dichiarò: “Ottimo. Partiamo tra dieci minuti!”

“Sì, Altezza” esclamarono a gran voce i suoi uomini.

Non un cedimento nel tono, non un dubbio. Lo avrebbero seguito ovunque, e in questo lui contava.

Annuendo nuovamente prima di lanciare uno sguardo torvo in direzione del cielo plumbeo, Aken si avviò in direzione dei suoi familiari.

Questi, lo attendevano sotto l’architrave della porta maestra che dava sul cortile di palazzo.

Lì, diede un’occhiata d’insieme a tutti loro, come a volerseli imprimere nella memoria, dopodiché percorse gli ultimi passi che li separavano e abbracciò i genitori e il fratello con calore.

Rivoltosi poi alla sorella, che se ne stava ritta al fianco della madre e dell’amica Tyana, chiese con voce piana: “Pregherai per me, sorella?”

“Come ogni volta” replicò laconica lei, allungando una mano perché il fratello gliela baciasse.

Sogghignando divertito – era risaputa la loro acredine – Aken le baciò il dorso della mano prima di lanciare uno sguardo a Tyana, al fianco di Melantha, e aggiungere: “Chiederò anche a voi una preghiera, mia signora, perché il viaggio sia sicuro e il ritorno vittorioso.”

“Sarò lieta di pregare per voi, Altezza” sorrise melliflua la fanciulla, forse sperando di essere baciata a sua volta.

Aken si limitò però a inchinarsi dinanzi a lei con rigore marziale e, con un movimento elegante, tornò sui suoi passi senza più voltarsi indietro.

Non si sarebbe mai lasciato andare a gesti teneri con Tyana, poiché sapeva bene di non provare nulla per la procace fanciulla.

Se il padre si fosse risentito del suo modo di agire, beh, avrebbe avuto tutto il tempo di sbollire la rabbia.

Raggiunto che ebbe il suo destriero, salì in groppa con un fluido e potente movimento di gambe e, scrutando i suoi con malcelato orgoglio, gridò: “Possiamo partire, uomini! Ci aspetta un bel po’ di strada da percorrere!”

Con un corale grido di esultanza, la compagnia si mosse come un sol uomo verso l’uscita del maniero, Aken in testa al gruppo mentre gli altri guerrieri lo seguivano a gruppi di due.

Non appena raggiunsero le larghe porte difensive, Aken le scrutò aprirsi per loro.

Dopo aver lanciato un ultimo sguardo alla sua famiglia, volse subito gli occhi in direzione della via principale della città, che lo avrebbe condotto fino alla Carovaniera del Nord.

Da lì, avrebbe volto i loro sguardi verso i Monti Urlanti, verso i loro profili netti e seghettati, oltre i quali si trovava il regno di Vartas.

Gli abitanti di Rajana salutarono il loro principe in partenza, e cori festosi si levarono per augurare a lui e ai suoi uomini una vittoriosa spedizione.

In cuor suo, però, Aken dubitò fortemente che dei semplici canti di esultanza potessero bastare; non questa volta.

Questa volta, qualcosa lo turbava, anche se non riusciva a comprendere da dove gli venisse quella sensazione.

Lui era sempre stato un uomo d’azione, non si era mai lasciato scoraggiare da mendaci preoccupazioni, spesso ingannevoli e menzognere.

In quell’occasione, però, il disagio iniziò a insinuarsi in lui fin dal primo passo fuori dalle mura di Rajana, e andò peggiorando a ogni miglio accumulato alle loro spalle.

Osservando gli alberi ricolmi di foglie ingiallite, pronte a cadere sull’erba secca dei prati e sul fondale ghiaioso della Carovaniera, Aken si chiese che genere di tempo avrebbero trovato tra i monti.

Era risaputo che l’inverno, tra le lande del Nord, giungeva prima, e i Monti Urlanti non erano famosi per i loro benvenuti calorosi.

Non era il periodo migliore per avventurarsi sulle alte montagne che li separavano da Vartas, ma la minaccia incombente di un attacco era motivo più che valido per correre qualche rischio.

Non lo avrebbero certo fermato un po’ di vento freddo e del nevischio, questo era assodato.

Solo, avrebbe preferito da parte del padre una maggiore fiducia nei suoi sottoposti.

Denigrare così apertamente l’abilità dei suoi ufficiali, in favore del figlio maggiore, non era cosa che sarebbe passata inosservata.

Già da tempo, Arkan aveva allontanato da sé le più alte sfere del comando militare, preferendo delegare tutto ai figli.

Se questo era stato, di per sé, un segno di fiducia nei confronti di Aken e Ruak, aveva però segnato una netta spaccatura con i comandanti della guarnigione.

In gran segreto, sia lui che il fratello avevano comunque chiesto consiglio agli ufficiali, ma Aken dubitava che la loro mano tesa sarebbe bastata.

Era il re, a comandare, non i figli.

E tenere a distanza i comandanti militari era un errore grossolano.

Aken era un guerriero esperto, e aveva passato anni a combattere come soldato presso il reame amico di Karton, dietro diretto ordine del padre.

Presto, sarebbe spettato anche a Ruak un simile compito anche se, personalmente, avrebbe preferito tenere il fratello sotto la sua ala almeno per qualche anno ancora.

Tutta la sua esperienza, però, gli sarebbe servita ben poco se, durante una guerra, non avesse potuto contare sul valido aiuto dei comandanti delle guarnigioni militari.

Era questo, che suo padre non teneva in debito conto.

Sperava soltanto che, se fosse giunto il momento di utilizzare l’esercito, le alte gerarchie dell’esercito non li avrebbero abbandonati a loro stessi a causa delle decisioni insensate del re.

Guardando un momento Likas, uno dei suoi amici di lunga data, sorrise mestamente e chiese: “Hai portato la tua solita fiaschetta? Credo di aver bisogno di una dose di corroborante liquido.”

“Ma certo, principe” sogghignò lui, mostrandogliela. “Non manco mai di portare il mio porta fortuna. Ci fermiamo al solito posto, Altezza?”

“Piantala di adularmi col mio titolo, Likas. Sai come mi chiamo” rise Aken, afferrando dalla mano dell’amico la vecchia fiaschetta in metallo, colma di idromele speziato.

La madre di Likas soleva sempre prepararne un po’ al figlio, in previsione di missioni come quelle.

“Sì, per la tua gioia immensa, ci fermeremo a Rastanie” aggiunse poi il principe, ghignando all’amico.

“Ottimo! Devo giusto dire due parole a una ragazza che conosco” sorrise soddisfatto Likas, sfregandosi le mani coperte da guanti di cuoio grezzo.

Un altro soldato rise e replicò: “Dirle qualcosa? Tu vuoi farle qualcosa!”

Tutti risero e Likas, sogghignando, ribatté: “Che ci posso fare se Kanania è così bella!?”

Dandogli una pacca sulla spalla, Aken ammise divertito: “Ne siamo convinti tutti, Likas, ma vedi di non arrivare stremato, o potrebbe averne a male.”

“A costo di dormire sulla sella, arriverò fresco come una rosa” rise lui, guardando bramoso la sagoma scura del paese all’orizzonte, che avrebbero raggiunto solo in serata.

Scrutandolo a sua volta, Aken si chiese se, per togliersi dalla mente quelle sgradevoli sensazioni, avrebbe preso a sua volta una donna con cui scaldarsi il letto.

Quando, però, raggiunsero Rastanie, il suo malumore fu così palese da scoraggiare tutte.

Neppure la più audace delle ragazze della casa di piacere - dove fecero tappa dopo cena - si avventurò al suo tavolo, lasciandolo solo con il suo boccale di birra e le sue riflessioni.

Qualcosa nelle parole del padre lo aveva turbato, sebbene non avesse detto niente di specifico.

Era più che ovvio, per lui, che il pericolo di un’invasione fosse più reale di quanto molti dei suoi uomini non credessero.

Per la buona riuscita del viaggio, però, prudenza voleva che quelle preoccupazioni rimanessero solo sue.

Ai suoi soldati non avrebbe espresso alcun timore; lui era la loro guida, e doveva essere un punto di riferimento per tutti loro.

No, nessun cedimento.

Finito il boccale di birra, che aveva acquistato più per abitudine che per reale necessità, Aken si alzò e uscì dalla casa di piacere per gustarsi il fresco della sera.

L’odore fumoso e stantio di quel luogo non aveva certo contribuito a sanarne l’umore, come pure le grida eccitate di alcuni uomini ubriachi.

L’esterno del locale, profumato dei dolci sentori della notte ormai prossima, era preferibile al caos dell’interno.

Sedutosi su un basso muretto di cinta che delimitava un campo a maggese, osservò le prime stelle alte in cielo e il piccolo spicchio di luna apparso all’orizzonte, vicino ai monti ancora lontani.

L’aria era pungente, ma a lui non dispiaceva.

Portava con sé il profumo dei pini e della resina, l’odore freddo della neve che imbiancava le cime dei Monti Urlanti e il calore dei camini accesi nelle case.

Tutt’intorno, non v’era nessuno.

Era solo, in quell’angolo di strada, intento a contemplare il cielo di quella serata di fine autunno, gustandosi aromi e odori che solo in campagna poteva trovare.

Voltandosi in direzione dei prati quando udì il richiamo di un cervo in lontananza, Aken si chiese se, da quelle parti, vi fossero dei lupi.

Come a confermare i suoi sospetti, dalle vicine colline si levò l’ululato inconfondibile di uno di loro.

“Sono a caccia” commentò in un sussurro, appoggiando distrattamente un piede sul muricciolo.

Passò almeno mezz’ora prima che, dalle ombrose cime delle colline, lo stridio di un cervo si levasse improvvisamente nella notte stellata.

A giudicare dal rantolo sorpreso dell’animale, doveva essere stato catturato.

Levatosi in piedi prima di spazzolare via dai pantaloni dei residui di polvere, Aken lanciò un ultimo sguardo al contorno indistinto del bosco, prima di avviarsi pacificamente verso la locanda.

 Sperò, pur senza sperarci troppo, di poter godere di una buona notte di sonno, in previsione del viaggio del giorno successivo.


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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 

 

 

 

2.

 

 

 

Dal libro delle Reminiscenze.

Crescita e vita di Hyo, capostipite della Razza.

 

Hyo crebbe in bellezza e virtù, nel regno immortale di Hevos, e il padre scontò caro il suo baratto con il dio.

Pur avendo riavuto la sua amata Zenah, la notizia della perdita della figlia minò l’animo della donna al punto che, da quel giorno per lei così infausto, non emise più parola.

L’uomo pianse e scagliò maledizioni all’indirizzo del dio, ma nulla ne venne.

Il giovane Hevos, troppo preso dal crescere la sua pupilla, non pensò mai di rispondere alle ingiurie di quel singolo essere mortale.

Vestita di rugiada e di petali di fiori, Hyo divenne una giovane fanciulla dalla lunga chioma dorata e il portamento di una ninfa dei boschi.

La divinità, abbagliata da tanta bellezza, un giorno le disse: “La tua avvenenza, mia diletta, è sgargiante come il sole. Essa potrà crearti non solo gioia, ma anche tristezza infinita. Sii dunque cauta nel concedere il tuo cuore, poiché gli uomini sono creature infide, e non si curano di ciò che può provare il tuo animo.”

Hyo, confusa, guardò il suo mentore e replicò: “Perché mi devo preoccupare degli uomini, se io ho te?”

Sorridendo, il giovane dio le carezzò la guancia e mormorò: “Per quanto io lo desideri, non potrò tenerti per sempre con me, per cui voglio che tu sia preparata a ciò che troverai nel mondo da cui provieni. Sii lesta di mano, come di pensiero. Pondera le scelte e le amicizie. Non fermarti alla prima occhiata, e non credere a tutto ciò che ti verrà detto, ma vaglia sempre quello che udirai e cerca da sola le risposte alle tue domande.”

Annuendo, Hyo abbracciò il suo mentore, chiedendo supplichevole: “Potrò rivederti, una volta che sarò tornata nel mio mondo?”

“Io sarò con te, anche se non potrai più vedermi in queste sembianze. Ti darò la capacità di difendere te stessa e la tua discendenza, in modo da essere indipendente dagli uomini che ti abbandonarono così scioccamente. I lupi del bosco, che a me sono devoti e che ti sono amici, saranno i tuoi fidi compagni e ti sapranno aiutare a conoscere il mondo da cui, fino a ora, ti ho tenuta lontana perché tu crescessi e imparassi a vivere libera” le sorrise Hevos, baciandola sulle labbra.

Hyo pianse tra le sue braccia e il giovane dio, stringendola a sé, disse ancora: “Che questi giorni siano lieti, mia diletta. Il tempo che passerò ancora con te, lo voglio trascorrere nella gioia e nella serenità. Vieni dunque con me e comincia a imparare, tramite i miei occhi, ciò che troverai oltre questo luogo ameno e privo di dolore.”

Lei annuì e smise di piangere e la divinità, sfiorandole il ventre, mormorò soave: “Non sarai mai sola, anche grazie a lei.”

“Sì, mio amato” annuì Hyo, nuovamente felice.

***

Due settimane erano passate, dalla loro partenza da Rajana in quella fredda mattina di fine autunno.

Procedendo verso settentrione lungo la Carovaniera, il tempo si era fatto via via più instabile, e l’aria più fredda.

Le piante avevano perso completamente le foglie ingiallite dal freddo, colorando campi e muriccioli di pietra di tinte dal bruno a biondo dorato.

Se quel viaggio avesse avuto scopi diversi, Aken avrebbe gradito quei paesaggi fiabeschi e il lieve sentore di terra umida, misto a quello della legna bruciata nelle case.

Trattandosi di una missione militare, però, l’unico pensiero che lo sfiorò fu che la stagione  invernale si stava avvicinando a grandi passi.

Per diretta conseguenza, il loro viaggio non avrebbe potuto che peggiorare man mano che i cavalli si approssimavano alla meta.

Quando infine raggiunsero la periferia di Marhna, ultima cittadina di Enerios prima del confine con Vartas, la Carovaniera portava i chiari segni di una breve quanto nefasta nevicata.

Fango e poltiglia si mescolavano a fogliame e piccoli rametti, rendendo il loro procedere più lento e difficoltoso di quanto Aken non potesse sopportare.

La sua pazienza, con il procedere del viaggio, era scemata fin quasi a svanire.

Dacché avevano lasciato il paese di Rastanie, il suo umore si era progressivamente rabbuiato.

Se, in un primo momento, i suoi uomini avevano cercato di rabbonirlo con battute di spirito, al loro arrivo a Marhna nessuno di loro aveva più le forze, o la voglia, per capire cosa stesse succedendo al loro principe.

Neppure il bel paesino alle pendici dei monti, con le sue case di sasso e tronchi di legno, riuscì a restituire il sorriso ad Aken.

Solitamente, era un amante di quei luoghi così distanti dai clamori della città eppure, quel giorno, quasi non li notò.

La sua mente non era abbastanza bendisposta per quel genere di attrazioni, in quel momento.

Seguito dai suoi uomini, si limitò a chiedere un paio di informazioni ad alcuni passanti, così da poter raggiungere la casa del Borgomastro.

Fu solo a mattina inoltrata, che il gruppo armato raggiunse l’imponente casa del sindaco di paese.

Scesi che furono da cavallo, Aken guardò indispettito il fango che, durante l’ultimo tratto di strada, aveva schizzato i suoi stivali.

Detestava le formalità, ma non sopportava di presentarsi a estranei meno che in ordine.

Tenendo sollevato l’orlo del mantello perché non facesse la stessa fine, il principe raggiunse in pochi passi la veranda che proteggeva l’ingresso della villa dalle intemperie.

Lì, dopo aver preso in mano il cordone della campana che penzolava a lato del portone d’entrata, tirò un paio di volte, ascoltando distrattamente il suo scampanio allegro.

Di certo, non rispecchiava il suo umore sempre più nero.

In meno di un minuto, si presentò all’entrata una matrona dai capelli canuti e stretti in un rigoroso chignon che, squadrandolo curiosa, sorrise incerta prima di chiedere: “Vostra signoria desidera?”

“Annunciate al Borgomastro che il principe Aken di Rajana desidera parlargli” asserì con voce stentorea e piana.

Spalancando gli occhi per la sorpresa e il timore insieme, la donna si affrettò a eseguire l’ordine, dopo averlo invitato graziosamente a entrare.

Scrutando distrattamente la matrona allontanarsi attraverso il largo atrio di casa, Aken si avvicinò all’enorme camino acceso che si trovava sul lato opposto dell’entrata.

Toltosi i guanti, si massaggiò le mani intirizzite dal freddo, attendendo paziente che il Borgomastro giungesse.

Guardandosi intorno brevemente, Aken notò subito quanto quell’ambiente fosse sfarzoso, nonostante si trattasse di una casa di montagna.

Le pareti erano sapientemente stuccate e tinte d’azzurro e, quasi ogni dove, arazzi riccamente decorati abbellivano l’ambiente.

Ricchi tappeti percorrevano da un angolo all’altro immenso atrio, portando alle scale di marmo e ferro che conducevano al piano superiore.

Sollevando un sopracciglio con evidente curiosità, Aken si chiese come un semplice Borgomastro di una città montana potesse permettersi dei lussi del genere.

Lui non si occupava di economia, ma non credeva possibile che i tributi pagati dai valligiani bastassero per poterlo far vivere in una simile agiatezza, considerando che  tre quarti dei proventi andavano alla Corona.

Nell’udire dei passi frettolosi giungere dalle scale, lasciò a un altro momento quel pensiero.

Volgendosi a mezzo, vide giungere dal piano superiore un uomo rubizzo sui cinquant’anni, abbigliato con vesti di prezioso velluto damascato e bei stivaletti di capretto ai piedi.

L’uomo in questione, raggiuntolo in gran fretta, si inchinò compitamente, dicendo: “Altezza… è un onore avervi qui. In cosa posso esservi utile?”

Scrutandolo per un momento per fissare nella sua memoria quei lineamenti, Aken dichiarò sbrigativo: “Ho bisogno di sapere da voi alcune cose, e riguardano tutte il forte a nord di qui. Quando avete inviato gli ultimi rifornimenti ad Anok Fort? E perché non avete risposto alle missive di mio padre?”

Apparendo sorpreso dal suo dire, il Borgomastro esordì turbato: “Circa due mesi fa, ho inviato al forte un carro carico di viveri e attrezzi, esattamente come prescritto dal contratto di fornitura stipulato con la Corona.  Per quanto riguarda le missive, mio signore, qui non è giunto alcunché.”

Aggrottando impercettibilmente la fronte, Aken allora disse: “Ho bisogno di parlare con gli uomini che hanno eseguito la fornitura. Potete farli venire qui?”

Sbattendo le ciglia un paio di volte con aria sempre più confusa, l’uomo si affrettò a eseguire l’ordine.

Con un forte battito di mani, chiamò a sé uno dei garzoni che, trotterellando instabile sulle smilze gambe, si approssimò al suo padrone, borbottando un saluto e un inchino.

Ossequioso fino a rasentare il timoroso, il giovane mormorò: “In cosa posso esservi utile, signor Nohann?”

“Corri subito a chiamare  Dankor e suo fratello. Di’ a quei due che il principe desidera parlare con loro. In fretta! Vai!” spiegò l’uomo, rigirandosi nervosamente le mani tra loro.

Il ragazzo parve sorpreso, ma si affrettò a correre verso la porta principale per dirigersi alla casa dei commercianti.

Tirato in volto e vagamente pallido, Nohann riportò lo sguardo sul principe e, con una gentilezza quasi forzata, disse: “Posso invitarvi ad accomodarvi nel salottino degli ospiti?”

Guardandosi gli stivali inzuppati, Aken replicò con un mezzo sorriso: “Meglio che non mi muova di qui. Ho già fatto abbastanza danni all’entrata.”

“Come preferite voi” disse Noann, continuando a guardare lui e la porta a intervalli regolari.

E’ molto nervoso. Chissà cosa nasconde? pensò Aken, aggrottando impercettibilmente la fronte.

Dovettero attendere circa una ventina di minuti, prima di veder ricomparire il giovane sguattero.

Era accompagnato da due uomini corpulenti e abbigliati con pesanti maglioni di lana grezza, brache di pelle scamosciata e alti stivali di cuoio nero.

Le loro mani avrebbero potuto spezzare in due un giovane albero, e Aken non fece fatica a capire quale fosse il loro secondo lavoro, oltre a quello di commercianti.

Le piccole asce che portavano legate in vita, ne erano chiara testimonianza.

Presentatisi al principe con rozzi ma sentiti inchini, i due uomini squadrarono Aken in attesa di conoscere i motivi della loro chiamata.

Il giovane principe, senza attendere oltre, andò diritto al punto e chiese: “Com’era la situazione, al forte, quando siete giunti lì l’ultima volta?”

“Non c’era nulla di strano, Altezza. Abbiamo consegnato il carico e siamo tornati indietro con le lettere dei soldati, come al solito” dichiarò  Dankor, un po’ sorpreso da quella domanda.

Sollevando un sopracciglio con evidente meraviglia, Aken borbottò: “Le lettere, eh? Allora, se qualcosa è successo, è accaduto dopo la vostra partenza.”

“Accaduto? Pensate sia successo qualcosa al forte?” chiese preoccupato Nohann, impallidendo.

“Abbiamo questo sospetto” ammise Aken, pensieroso.

Due mesi.

Più o meno, il periodo di tempo da cui non avevano più notizie.

Possibile che i guerrieri di Vartas avessero tenuto sotto controllo le spedizioni delle provviste, per sapere quando attaccare?

Non era da loro agire così abilmente, ma tutto poteva succedere.

“Ho bisogno di una sistemazione per me e i miei uomini, per questa notte” dichiarò alla fine Aken, rivolgendosi al Borgomastro. “Potete provvedere?”

“Subito, Altezza” mormorò ossequioso Nohann, sospingendo verso la porta il giovane garzone che, a più riprese, annuì agli ordini sibilati dal padrone.

Nuovamente, Aken rimase vagamente sconcertato dal comportamento del Borgomastro.

Non volendo mettere a parole i suoi dubbi di fronte a così tanti estranei, preferì astenersi e, dopo aver ringraziato Nohann, uscì assieme ai due commercianti  raggiungendo la strada infangata dinanzi alla casa.

Lì, Dankor, attirandone l’attenzione, disse a bassa voce: “Altezza, una cosa.”

“Sì?” mormorò Aken, voltandosi curioso verso l’uomo.

“Forse non significa nulla, ma… non c’erano lupi” dichiarò Dankor, notando l’evidente sorpresa del principe. “Solitamente, in quella zona, c’è sempre stato un branco di lupi ma, quando siamo passati l’ultima volta, non si è udito un solo ululato.”

Lupi, eh? Forse, avrebbe dovuto chiedere consiglio a Kaihle, prima di passare il valico di Fenak che conduceva al forte.

Un attimo dopo aver concepito quel pensiero, però, si diede dello sciocco e, scuotendo il capo, disse: “Staremo in guardia. Grazie.”

Dopo aver scrutato i due commercianti allontanarsi lungo la via, Aken rimontò a cavallo e attese paziente che il giovane garzone di Nohann tornasse per indicare loro dove avrebbero alloggiato per la notte.

Questo gli diede il tempo di pensare alle ultime parole del nerboruto commerciante.

Era davvero strano che un intero branco cambiasse zona di colpo.

Sapeva con ragionevole margine di sicurezza che i lupi erano ferocemente territoriali, per cui, un cambio di zona di caccia era impensabile.

Trovava difficile credere che un intero clan di lupi si fosse spostato da un luogo all’altro, senza un motivo apparente.

Quelle montagne pullulavano di branchi piuttosto numerosi, che mal avrebbero preso l’invasione da parte di un altro gruppo di predatori.

No, questa faccenda non gli piaceva per nulla ma non aveva il tempo di badare anche ai lupi sulle montagne.

Il suo compito primario era raggiungere il forte.

Quando fosse stato alla presenza di Kaihle, avrebbe chiesto informazioni al riguardo, non un minuto prima si sarebbe occupato della cosa.

***

Raggiunta la stanza assegnatagli, dopo aver attraversato la sala principale dell’unica locanda di paese, Aken si gettò sul letto dopo essersi tolto stivali e mantello.

In quel momento, giunsero due ragazzi con la tinozza per il bagno e dei secchi fumanti di acqua.

Sorridendo soddisfatto,  attese che tutto fosse pronto per quel gradevole interludio.

Non appena i giovani se ne furono andati, assieme ai suoi stivali da ripulire dal fango, una ragazza dalla chioma corvina si fece avanti e, con un sorriso timido, chiese: “Avete bisogno per il bagno, Altezza?”

Era d’uso che gli uomini di alto rango fossero serviti da giovani fanciulle, anche per intrattenersi allegramente con esse, se fosse capitato.

Personalmente, preferiva pensare da solo al proprio bagno per cui, con un sorriso di scuse, scosse il capo e disse: “No, grazie, ma ti sono grato del pensiero.”

Porgendole una moneta d’argento, che lei accettò con un inchino, Aken la guardò uscire silenziosamente dalla stanza e, quando finalmente fu solo, si spogliò.

Fu con un sospiro di sollievo, che immerse il suo lungo e muscoloso corpo nell’acqua fumante, concedendo a se stesso di rilassarsi per un po’.

Calmandosi gradatamente, man mano che l’acqua bollente agiva sui suoi muscoli tesi, Aken affondò leggermente nella tinozza.

Chiusi gli occhi, cominciò a massaggiarsi con la spugna e il sapone al sandalo che si era portato da palazzo, alleviando i dolori causati dal viaggio e dalla lunga permanenza a cavallo.

Quella stanchezza non lo aiutava a ragionare con chiarezza, perciò avrebbe dedicato tutta la sua attenzione a una cosa frivola come il bagno, prima di tornare a focalizzare la propria mente sulla missione.

Staccare ogni tanto faceva bene, anche a lui.

Passando la spugna sulla pelle abbronzata e segnata da diverse cicatrici, che gli rammentavano i suoi trascorsi nell’esercito, Aken si lavò anche i capelli corvini, sentendoli finalmente profumati dopo tanti giorni.

Amava i cavalli, ma non agognava ad avere il loro stesso odore.

Quando l’acqua cominciò a freddarsi, Aken uscì dalla tinozza per avvolgersi in un morbido panno profumato e, sedutosi sul letto, si asciugò strofinandosi con forza.

Frizionati un poco i capelli per togliere quanta più acqua possibile, indossò abiti puliti e scese infine nel salone per la cena.

Raggiunti i suoi soldati, che avevano seguito il suo esempio, li salutò e si sedette accanto a loro a un tavolo di legno grezzo.

Ordinò spezzatino e zuppa per tutti, insieme alla buona birra di montagna che producevano in quella zona.

Farall, accomodato al suo fianco, lo scrutò in viso per un momento prima di dichiarare gaio: “Se avessimo saputo che un bagno avrebbe fatto miracoli sul tuo umore, ti avremmo buttato in qualche torrente giorni fa!”

Ridendo di se stesso, Aken ammise: “Scusatemi, se vi sono sembrato burbero come un orso, ma tutta questa situazione mi sta portando più mal di testa di quanti non ne vorrei. C’è qualcosa che non mi quadra, e non so raccapezzarmi in tal senso.”

“Quando raggiungeremo il forte, sapremo tutto. E’ inutile preoccuparsi adesso, Aken” asserì Finarr, bevendo da un boccale della birra schiumosa e profumata.

Annuendo debolmente all’amico, Aken prese il suo boccale e disse: “Forse hai ragione. E’ inutile fasciarsi la testa prima di rompersela.”

Vassoi di carne e ciotole di zuppa calda vennero portati al loro tavolo, assieme ad altri boccali di birra e sidro speziato.

Quei profumi così deliziosi solleticarono le papille gustative di Aken che, con un sorriso soddisfatto, affondò la forchetta nel piatto.

“Nessuna cucina è migliore di quella di montagna.”

“Forse, il nostro principe ha scordato come si mangia a palazzo” ridacchiò Finarr, mangiando di gusto.

“Me ne ricordo, amico mio…” replicò ridendo Aken “… e credimi, nulla batte la buona cucina contadina.”

La cameriera che aveva servito loro le libagioni, sorrise compiaciuta nel passare accanto al loro tavolo e, poggiato un boccale accanto a quello del principe, dichiarò: “Sua Altezza ha gusto da vendere. Per voi… offre la casa.”

“Grazie, gentile signora. E fate i complimenti al cuoco. La carne è tenerissima e ben cotta” asserì Aken, prendendone un altro pezzo e masticandolo con gusto.

La matrona sorrise e annuì a più riprese, prima di voltarsi verso l’entrata della locanda quando sentì il portone di legno aprirsi e cigolare leggermente.

Abbigliata di pelli di daino e armata di un corto spadino legato al fianco, una fanciulla entrò nel locale assieme a un uomo di circa una quarantina d’anni.

Insieme a loro, enorme e nero come la notte, un lupo li seguì all’interno, senza però destare alcuna sorpresa nelle persone presenti.

Aken, che aveva levato incuriosito lo sguardo, al pari della matrona che aveva servito loro da mangiare, ne rimase sorpreso e allibito al tempo stesso.

Una ragazza-lupo.

Gli altri avventori non fecero caso a quello strano trio, che ora si trovava accanto al bancone dove servivano da bere.

Era evidente che doveva essere di casa, lì.

Colto da uno strano interesse, continuò a puntare lo sguardo sul trio uomo-fanciulla-lupo, chiedendosi chi fossero.

L’oste, vedendoli, andò loro incontro, stringendo la mano all’uomo e porgendo un pacchetto alla ragazza, che ringraziò con un bel sorriso sul volto grazioso.

Subito dopo, carezzò sul capo il grande lupo, che piegò il muso verso il basso come a ringraziare a sua volta.

Un po’ sorpreso, Aken vide l’oste ridacchiare e allungare un osso al lupo che, con cautela, lo prese tra i denti prima di accucciarsi per terra mentre la ragazza dialogava con i due uomini.

La fanciulla, dai capelli ramati stretti in un’unica treccia lunga fino alla vita, rimase a chiacchierare con loro per una ventina di minuti, prima di abbracciare  l’uomo con cui era entrata.

Richiamato a sé il lupo, quindi, se ne andò dalla locanda per immergersi nel buio della notte, all’esterno del locale.

L’oste, a tal riguardo, si rivolse all’amico e chiese: “Sarà il caso che tua figlia se ne torni a casa tutta sola? E’ notte inoltrata.”

L’uomo rise e replicò divertito: “Sola? E quel bestione di sessanta chili che le stava al fianco, cos’era?”

L’oste rise con lui e gli offrì una birra, del tutto ignari dello sguardo di Aken che, come ipnotizzato, continuò a fissare il punto in cui la ragazza era stata fino a pochi momenti prima.

Farall, stupito dal suo comportamento, gli chiese vagamente preoccupato: “Cosa c’è, Aken?”

“Eh? Oh, niente” disse lui, riscuotendosi da quello strano torpore in cui era caduto.

Quindi, quella era una ragazza-lupo!

Si era aspettato di vedere chissà che cosa, non certo quella specie di frugoletto dalla pelle dorata dal sole e dai capelli color del rame.

E quel lupo!

Avrebbe potuto sbranarla in un sol boccone, eppure la seguiva con una devozione a dir poco singolare.

Davvero non capiva come potessero riuscirvi.

Quando se ne tornò in camera, molto più tardi, i suoi pensieri tornarono alla giovane intravista nella locanda, al suo viso giovane e fresco, al suo sorriso e alla sua risata spontanea.

Con un certo sgomento da parte sua, rammentò anche la curva appena accennata dei suoi fianchi e le sue gambe snelle e slanciate.

Scuotendo il capo per il fastidio, Aken disse tra sé: “E’ troppo tempo che non sto con una donna, se mi metto a guardare le ragazzine.”

Ma, a tutti gli effetti, quella non poteva essere una ragazzina, vista la curva del seno che era riuscito a scorgere.

Spalancando gli occhi di fronte a quella constatazione, si sollevò a sedere, disorientato da quei pensieri.

Raggiunta la finestra, la aprì per osservare la foresta baciata dai bianchi raggi della luna.

Subito, si chiese se la fanciulla fosse al sicuro tra quelle fronde buie, con la sola compagnia di un lupo.

“Quelle donne sono folli, se permettono a una ragazzina di aggirarsi da sola, di notte, per la foresta” brontolò a bassa voce, tornando a coricarsi sul letto per cercare di dormire.

Non erano affari suoi, come vivevano quelle donne. Lui aveva ben altro a cui pensare e, per farlo, doveva riposare!

***

La mattina venne presto, anche troppo presto per i suoi gusti e Aken, sbadigliando stancamente, si levò da letto solo per scoprire di aver dormito con gli abiti addosso.

Ridendo di sé, raccolse la sua roba prima di raggiungere gli altri per colazione.

Era davvero messo bene, se si lasciava sconvolgere sensi e vita da una ragazzina di cui non conosceva nulla!

Presto si sarebbero rimessi in viaggio per il valico, lasciandosi alle spalle il paese di Marhna e, con esso, la strana ragazza-lupo.

In serata, avrebbero sicuramente raggiunto il ponte che oltrepassava la sorgente del fiume Fenak, che li separava da Anok Fort e, da lì, alla verità su quella situazione ingarbugliata.

La sua mente doveva essere concentrata solo su queste informazioni basilari.

Quando abbandonarono la cittadina  in sella ai loro destrieri, Aken lanciò uno sguardo alle cime imbiancate della Catena dei Monti Urlanti.

Tra sé, sperò ardentemente che, per una volta, non rendessero onore al loro nome, scatenando una tempesta di neve, almeno finché loro si trovavano tra quelle pendici  impervie.

Quelle alte montagne, ricche di guglie aspre e ripide, non promettevano nulla di piacevole.

Meno ancora, i metri di neve gravanti sui loro fianchi, che attendevano solo una scusa qualsiasi per staccarsi e abbattersi su di loro.

Poco lontana, la Valle della Luna, la profonda gola scavata dal fiume Fenak per giungere a valle, era luogo ricco di pericoli e via seguita solo dai folli e dai disperati.

Aken conosceva pochissime persone che si fossero arrischiate a percorrere quello stretto cunicolo roccioso, e tutti erano concordi nel dire che quel luogo era la dimora dei demoni.

Beh, di sicuro lui non si sarebbe mai avvicinato a quella gola maledetta!

Fu nel tardo pomeriggio, con Marhna ormai lontana e gli spettri di una valanga a tener loro compagnia, che un vento gelido e tagliente cominciò a spirare sulla valle.

Stringendosi il mantello intorno al collo, Aken rallentò l’andatura e borbottò roco: “Ecco il benvenuto dei monti.”

“Davvero caloroso” commentò Rias, sbuffando.

Una leggera lanugine nevosa era caduta nella notte, imbiancando la vallata alle pendici dei monti e rendendo l’intero paesaggio più sinistro di quanto non fosse in realtà.

Osservando le coste ripide delle colline che si andavano a fondere con le montagne poco distanti, sperò ardentemente che, dietro di esse, non vi fossero spie nemiche.

Non erano numerosi a sufficienza per contrastare un agguato, e quel luogo era un ottimo posto per attaccarli.

Tutto, però, andò per il meglio, almeno finché non raggiunsero il valico. O quello che ne rimaneva.

A quanto pareva, un masso si era staccato dai monti vicini, finendo col distruggere il ponte.

Il che poteva, almeno in parte, spiegare la mancanza di notizie dal forte, ma non l’ignoranza palesata dal borgomastro.

Come poteva non sapere della distruzione del ponte?

Possibile che non avesse mandato nessuno a controllare le sue condizioni, in vista dell’inverno?

Che nascondesse la sua inettitudine? O c’era molto di più?

Aggrottando la fronte di fronte a un sospetto sempre crescente, Aken osservò Farall, anch’egli piuttosto accigliato e, voltato il cavallo verso di lui, disse: “La cosa mi piace sempre meno. Il borgomastro non ci ha raccontato tutto, temo.”

“Non sarebbe il caso di tornare indietro e interrogarlo?” domandò Kinas, ringhiando nervosamente.

“No. Potrebbero tenderci una trappola all’imbocco del paese. Se il caro borgomastro è al servizio di Vartas, potrebbe avere ideato un piano per eliminarci, nel caso rimettessimo piede in paese per vendicarci” decretò Aken, scuotendo il capo. “Anzi, mi stupisce molto che non ci siano saltati addosso nel giungere qui.”

“Forse, non si aspettavano una nostra visita, e non hanno potuto predisporre un agguato degno di tale nome ma, come dici tu, potrebbero benissimo aspettarci al ritorno, ora che sanno che siamo qui e che abbiamo scoperto questo” commentò Gar, massaggiandosi un baffo nell’osservare quel che rimaneva del ponte di roccia.

Sbuffando, Aken assentì al suo compagno.

“Dirigiamoci a sud-est, verso il villaggio di Nestar. Lì, chiederemo consiglio a Kaihle. Lei conosce sicuramente una strada alternativa per raggiungere il forte e, forse, sa qualcosa anche del borgomastro.”

“Ci dovremmo affidare all’aiuto di una donna?” brontolò Likas, facendo tanto d’occhi.

“Sarà anche solo una donna, come dici tu, ma quella stessa donna ha salvato mio fratello e la mia matrigna da morte certa, e io mi fido di lei” replicò Aken, avviando il cavallo verso la costa della collina. “Togliamoci da qui e troviamo un posto riparato dove accamparci. Raggiungeremo il villaggio domani.”

Una volta raggiunta la cima dell’altura più vicina e interamente coperta di neve, Aken individuò una bassa coltre di pini di montagna dalla forma nodosa e raggrinzita.

Fatto cenno ai suoi uomini di fermarsi, dichiarò: “Ci accamperemo qui. Questi alberi ci difenderanno da sguardi indiscreti e dal vento.”

In fretta, montarono l’accampamento senza accendere il fuoco.

Ascoltando il sibilare del vento tra i rami secolari di quei bassi pini dalle forme più svariate, Aken pensò a come meglio comportarsi in quella situazione di potenziale pericolo.

Era ormai chiaro che il borgomastro sapeva qualcosa, ed era più che sicuro che, se fossero tornati sui loro passi, avrebbero trovato ad attenderli degli uomini armati.

Era più che probabile che la popolazione di Marhna ne fosse all’oscuro, o li avrebbero ammazzati notte tempo.

Quindi, i fantomatici uomini di Vartas non erano nelle vicinanze,… ma dove?

Sì, rivolgersi a Kaihle era la soluzione ottimale.

Lei non si sarebbe mai alleata con Vartas, e avrebbe saputo consigliarlo su come raggiungere il forte nel più breve tempo possibile.

Non aveva le conoscenze sufficienti di quel luogo, per affrontare la Valle della Luna ma, a nord-est, il passaggio era più agevole.

Sicuramente, Kaihle conosceva un sentiero sicuro per lui e i suoi uomini.

Con quelle convinzioni riuscì finalmente a prendere sonno, nonostante il rumore incessante del vento.

***

Smontato il campo in tutta fretta, cancellarono le tracce della loro presenza con rami di pino legati dietro i loro cavalli.

Direttisi verso Nestar con il sole che brillava oltre le cime delle montagne innevate, gli uomini di Aken cominciarono a chiedersi come si sarebbe risolta quella missione.

Niente stava andando come previsto, e l’idea di un possibile agguato in quelle lande desolate, non rallegrava nessuno.

Persino Aken, solitamente appassionato combattente, trovò la situazione sgradevole.

Guardandosi intorno con espressione torva e preoccupata insieme, si chiese se non sarebbe stato meglio tornare a Rajana da una strada secondaria, piuttosto che rischiare ancora.

Ma lui aveva una missione da compiere, e non poteva tornare alla capitale come un coniglio. Sarebbe andato ad Anok Fort, a costo di arrivarci prono.

Non lontano, l’ululato di un lupo si aprì la strada fino a raggiungerli sullo stretto sentiero che stavano percorrendo.

Volgendo uno sguardo apprensivo alla foresta che li circondava, Aken temette per un momento per le loro vite.

Sapeva che quasi tutti i branchi del luogo erano governati dalle donne-lupo, ma non poteva sapere se, tra quei boschi impervi, qualche animale solitario stesse mietendo vittime incolpevoli.

Loro non erano nelle condizioni di perdere neppure un cavallo.

Quando poi, dal fitto dei cespugli nodosi che li circondavano, un branco di una ventina di lupi li raggiunse sulla mulattiera, Aken alzò una mano per fermare i suoi uomini.

Apprensivo, osservò i predatori dinanzi a loro, chiedendosi cosa avessero in mente.

I lupi li osservarono a loro volta a denti snudati per alcuni attimi dopodiché, ammorbidendo i loro tratti, si disposero intorno al gruppo come a formare una scorta.

Il capo branco, un lupo dal pelo dorato, affiancò il cavallo di Aken e gli fece cenno con il muso di proseguire.

Il principe parve stupito della cosa, ma avviò il suo cavallo e, con lui, si mossero anche i suoi cavalieri e il branco di lupi.

Appurato che questi predatori in particolare non erano lì per cacciare loro, dove li stavano conducendo?

Quella specie di parata andò avanti fino al villaggio di Nestar e, quando finalmente giunsero in vista delle case di legno delle donne-lupo, il branco si sparpagliò.

Sospirando sollevato, Farall borbottò: “Cominciavo a pensare ci stessero conducendo in un luogo dove banchettare.”

“E’ chiaro che ci stavano controllando da un po’” commentò Aken, contrariato.

Non si era affatto accorto di essere spiato!

Avviatisi verso quello che sembrava essere il caseggiato principale del villaggio, Aken osservò con non poca meraviglia le loro abitazioni.

Erano costruite con tronchi levigati, incastrati gli uni sugli altri, e circondate da bassi steccati e piccoli giardini, ora ricoperti da un basso strato di neve.

Accanto alle case, piccole stalle si ergevano per proteggere gli animali domestici e, forse, gli stessi lupi.

Poco più avanti, procedendo lungo la via, scorse con sorpresa alcune bambine di sei o sette anni che, tenendo in braccio i cuccioli di lupo, correvano da un lato all’altro della strada.

Tutte, portarono i piccoli in un grande recinto coperto da un’enorme tettoia di legno.

Enormi caseggiati in sasso fiancheggiavano la via principale e, sbirciando all’interno dei portoni spalancati, Aken vide fieno, casse stivate e pellami accatastati su pianali di legno.

I loro magazzini per l’inverno.

Separata dal resto delle abitazioni e vicina a un piccolo torrente, una fucina in piena operatività faceva sbuffare il camino di pietra, che sorgeva ritto da un tetto spiovente.

Una donna al mantice controllava che la temperatura dell’altoforno fosse adeguata per la preparazione dell’acciaio.

Ogni attività, ogni movimento all’interno del villaggio, era rigidamente controllato da altissime guerriere in armi, che poco avevano a che spartire con le fragili donne della Capitale.

Come la ragazza che Aken aveva visto a Marhna, anche le altre donne presenti portavano abiti di pelle di daino, più o meno lunghi ed elaborati.

Tutte, invariabilmente, portavano i capelli legati in lunghe trecce che giungevano anche fino alla vita.

Sempre più confuso, il principe lanciò uno sguardo sopra il villaggio, scorgendo imponenti frangi valanga in legno e, nuovamente, si chiese come avessero fatto a costruire tutto da sole.

Solo per trasportare i tronchi, e scavare buche sufficienti per contenere i travi principali, dovevano aver lavorato mesi!

Dopo aver attraversato l’intero villaggio, sotto le occhiate divertite delle donne-lupo, Aken si fermò di fronte alla casa più grande tra tutte e legò le redini a una palizzata.

Data solo una fuggevole occhiata al palco di un cervo appeso sopra l’entrata, raggiunse la porta e bussò.

Dopo pochi attimi, il battente si aprì e una giovane dalla chioma corvina e gli occhi verdi come smeraldi lo accolse con un lieve sorriso, dicendo: “Benvenuti al nostro villaggio, cavalieri. Cosa desiderate dalle donne-lupo di Nestar?”

“La Signora del villaggio è in casa? Sono il principe Aken di Rajana. Vorrei conferire con lei, se fosse possibile” esordì Aken, notando lo stupore dipingersi sul volto della ragazza.

“Mia madre è presente. Sarà onorata di parlare con te, principe” poi, arrossendo leggermente, aggiunse: “I tuoi stivali, prego. Non puoi entrare in casa con quelli.”

Osservando le sue calzature sporche e piene di fango, annuì Aken e li tolse in fretta, mentre la ragazza si apprestava a consegnargli un paio di pianelle di pelle di coniglio.

Entrato nella casa, interamente costruita di legno e pietra, il principe ammirò le splendide pelli stese sul pavimento e i magnifici arazzi che decoravano le pareti.

Una volta di più, dovette ricredersi su quanto si diceva di loro. Non erano affatto rozze, tutt’altro!

Quel luogo denotava cura per i particolari, pulizia e ordine.

Accompagnato l’ospite fino a una stanzetta riscaldata da un bel fuoco, che bruciava in un camino di roccia grigia, Tyura si inchinò a sua madre, assisa su uno scranno.

Imitatala, Aken scrutò la donna alta e magra sulla quarantina d’anni, che lo stava osservando da una pesante poltrona ricoperta di pelli.

Con educazione, disse: “Sono lieto di rivederti, Kaihle, Signora di Nestar. Non so se ti ricordi di me, poiché sono passati molti anni dal nostro unico incontro. Sono Aken di Rajana.”

La donna gli sorrise cordiale e, nell’indicargli una poltrona ricoperta di pelle di daino, dichiarò: “Ricordo il tuo volto, giovane principe, anche se i tratti di fanciullo sono ormai scomparsi, sul tuo viso di uomo. Sii il benvenuto, Aken di Rajan. La mia scorta ti è stata utile per raggiungere il villaggio più agevolmente?”

Un po’ sorpreso, lui annuì.

“Li hai mandati tu, mia Signora?”

Annuendo, Kaihle sorrise con lieve malizia e dichiarò: “Ho ricevuto notizia dal mio lupo, della vostra presenza, così ho preferito farvi scortare perché non vi perdeste. Ci sono molti sentieri che portano qui, e non tutti sono sicuri. Dimmi, principe, cosa ti porta tra la mia gente in un momento così infausto? L’approssimarsi dell’inverno non è mai periodo buono, per avventurarsi tra i monti.”

Ammaliato suo malgrado da quella donna così sagace e affascinante, Aken mormorò con un misto di rispetto e timore: “Ti porto i saluti di mia madre Anladi, mia Signora, e doni per te e le tue sorelle. Spezie del sud e filamenti di canapa. Mia madre pensava potessero esservi più utili di gioielli o stole di seta. Inoltre, vorrei chiederti un favore, se fosse possibile.”

Sorridendo, Kaihle disse divertita: “Sono lieta di ricevere i suoi saluti e i suoi doni, visto soprattutto quanto essi siano lungimiranti. Tua madre adottiva non è mai stata una donna vacua, e lo dimostra anche da gesti come questo. Ma dimmi; come posso essere utile al principe di Rajana?”

“Il valico di Fenak è crollato, e io devo raggiungere il forte che si trova sul passo. Sai se esistono altre strade per raggiungerlo?”

Aggrottando impercettibilmente la fronte a quella notizia, Kaihle batté le mani un paio di volte e attese.

Subito, la ragazza che aveva accolto il principe tornò nella stanza, uno sguardo timoroso stampato sul viso abbronzato e serio.

Osservando la voluttuosa ragazza che aveva detto di essere la figlia di Kaihle, Aken si chiese il perché della sua paura, ma non attese molto per scoprirlo.

Come acciaio, la voce di Kaihle sferzò l’aria in direzione della figlia.

“Era compito tuo riferirmi di eventuali cambiamenti sul valico. Perché non sapevo nulla della caduta del ponte?!”

Accusando il colpo, e avvampando di collera e umiliazione per essere stata ripresa davanti al principe, la ragazza reclinò compita il capo e mormorò: “Me ne dispiace, madre. Ho pensato non fosse necessario tornarvi. C’ero stata solo un mese fa e…”

“Tyura, non ti ho dato licenza di pensare al posto mio” replicò secca la donna. “E ora, vai a chiamare tua sorella Eikhe. Ho bisogno di lei.”

“Ma madre…” esalò la ragazza, impallidendo nel rialzare il capo e fissare la madre con occhi che esprimevano sconcerto e dubbio.

“Ora, Tyura” ingiunse la donna, decisa.

La fanciulla fuggì letteralmente dalla stanza e Kaihle, osservando spiacente Aken, disse: “Mi scuso per il suo comportamento. E’ giovane, e non ha ancora compreso l’importanza del suo compito come mia erede.”

“Non deve essere facile, per una ragazza, avere simili pressioni sulle spalle” commentò conciliante Aken.

“Per noi, è normale” replicò affabile Kaihle, con una leggera scrollata di spalle.

Pochi minuti dopo, accompagnata da Tyura, entrò la stessa ragazza del villaggio e Aken, sorpreso, osservò in viso la fanciulla che tanto l’aveva colpito alla locanda.

Anche Eikhe parve sorpresa di vederlo ma, contenendo la propria curiosità, fece un breve inchino al principe prima di sedersi a gambe incrociate ai piedi della madre.

Sorridendo alla fanciulla, accomodata sulle stuoie di pelle di orso, Kaihle chiese: “Vi siete già incontrati, figlia mia?”

Annuendo, Eikhe dichiarò: “Il principe era a Marhna, due sere fa. L’ho visto alla locanda, mentre salutavo papà.”

“Capisco” chiosò pacata la donna, mentre Aken si stupiva sempre di più. “Principe, lei è la mia seconda figlia, Eikhe. Sarà lei a scortarti oltre la Valle della Luna e, da lì, al forte di Anok.”

“Che cosa?!” esclamarono quasi insieme i tre giovani presenti.

Tyura fissò rabbiosa la sorella, lanciando uno sguardo di aperto desiderio in direzione del principe che, del tutto preso nell’osservare sbigottito Eikhe, non si accorse di nulla.

Kaihle, invece, disse serafica: “Non devi stupirti, principe. Eikhe è perfettamente in grado di compiere il compito assegnatole. Conosce quei luoghi meglio di tutte noi, quindi potrà esserti di aiuto nella tua missione.”

“Ma madre, devo finire il lavoro con i cuccioli! E poi, devo recuperare le mie prede!” esalò Eikhe, avvampando d’ira per quell’imprevisto.

“Madre, manda me, ti prego!” intervenne Tyura, stringendo le mani al petto.

“Figlie, ora basta!” esclamò severa Kaihle, azzittendo entrambe. “Farete come vi ho detto, è chiaro?!”

Eikhe annuì di malavoglia e Tyura, fissando duramente la sorella, le sibilò: “Ti odio!”

“E‘ reciproco” le fece la lingua lei, alzandosi con grazia ferina.

Guardato il principe per un momento con aria più che infastidita, Eikhe disse subito dopo: “Partiremo domani con il sorgere del sole.”

“E sia” assentì Aken, ancora sorpreso da quella situazione assurda.

***

Scalciando con rabbia uno dei suoi cuscini, Eikhe si buttò sul suo letto coperto di pelli, imprecando senza freni.

Nys, il suo lupo nero, le si avvicinò lesto, leccandole il viso per consolarla.

Tutto si sarebbe aspettato, tranne che quell’ordine!

Non voleva accompagnare l’arrogante principe delle pianure, che giungeva lì dal nulla e pretendeva di avere tutte ai suoi piedi!

Lei aveva i suoi compiti da svolgere, e le sue trappole da controllare!

Non poteva perdere tempo in futili questioni!

Strillando rabbiosa, si levò dal letto muovendosi rabbiosamente per la sua camera e, con gesti furiosi, prese a preparare le sacche per il viaggio.

All’esterno della sua casa di tronchi, ignari del suo malumore, gli uomini del principe vennero accolti per la notte nelle abitazioni più grandi del villaggio.

Guardando torva il gruppo di guerrieri oltre la superficie gelida della finestra, Eikhe buttò sul letto il necessario per il viaggio e, ripiegato diligentemente il suo prezioso mantello di pelliccia d’orso, disse a Nys: “Mi mancava solo questa… se l’avessi saputo, sarei andata direttamente a controllare le trappole. Non sarei mai tornata qui!”

Nys uggiolò per farle comprendere il suo dispiacere e lei, sedendosi a terra, lo abbracciò affondando il viso nel suo folto pelo nero.

“Almeno, so che ci sarai tu a tenermi compagnia, caro Nys.”

Il lupo le leccò il viso e si sfregò contro di lei confortante ed Eikhe, sospirando, mormorò: “Non potevo nascere lupo?”

 

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Capitolo 3
*** cap.3 ***



3.

 

 

 

Dal libro delle Reminiscenze

L’addio di Hevos a Hyo

 

 

 

Hyo partorì una bimba dai chiari capelli e gli occhi dorati, retaggio di entrambi i genitori.

Baciando la figlia sulla fronte, il dio-lupo disse orgoglioso: “Porterai con te la mia eredità, mio amore prediletto. Con te vivono le mie speranze e i miei sogni, poiché il mio tempo qui è ormai giunto al termine, e sarai tu a godere le gioie di questo mondo mortale al posto mio.”

Ormai pronta a quanto la aspettava – da mesi, Hevos l’aveva preparata per quella separazione definitiva quanto inevitabile – , Hyo si strinse un momento al dio.

“Questa è davvero l’ultima volta che ci vediamo, vero?”

“Sì, mia amata Hyo, almeno in questa forma. Non mi è più concesso prendere forma umana, ormai,  ma sappi che io sarò in te, e in lei” le sorrise il dio, prima di  riconsegnarle la figlia e aggiungere:“ Non sarete mai sole, e i lupi vi saranno amici e compagni.”

“Non so se sarò capace di fare tutto da sola. E se non fossi in grado di scegliere per il meglio per entrambe?” gli domandò Hyo, stringendo a sé la figlia e guardando spaventata il volto immortale e triste di Hevos.

Cominciando ad avvertire prepotente la stanchezza, il dio si piegò su un ginocchio, sfiorando la candida neve che ricopriva il prato dinanzi la sua casa tra i monti.

Ansante, mormorò alla compagna: “Ciò che porti con te, ti guiderà nella scelta. Hai il dono di poter comprendere a chi concedere il tuo amore, ma presta attenzione, mia adorata! Molti cercheranno di dirti cosa fare, poiché sei donna. Io voglio per te un futuro diverso dalla semplice e cieca obbedienza per cui, anche se i tuoi occhi ti diranno diversamente, basati sempre sul tuo istinto, perché esso ti guiderà nella giusta direzione.”

“Sì, lo farò” annuì alla fine lei, baciando la figlia sui capelli prima di sorridere più fiduciosa a Hevos.

Inginocchiatasi dinanzi a lui, sfiorò le sue labbra ormai fredde con un casto bacio e aggiunse con coraggio: “Insegnerò a nostra figlia quanto l’hai desiderata e amata. Saprà sempre quanto suo padre sia stato buono e amorevole con entrambe noi.”

Carezzandole il viso con il dorso della mano, Hevos allora sorrise.

“I tuoi occhi, che ho voluto per te così simili ai miei, saranno il nostro legame. Da essi, capirò che c’è il tuo sangue nelle figlie e nei figli che verranno dalla tua stirpe… e dalla mia.”

Hyo annuì e sussurrò: “Proteggerò i miei figli e le mie figlie con l’aiuto della forza che mi hai dato, e con il coraggio che il tuo amore ha forgiato in me.”

Annuendo, il giovane dio la lasciò dunque tornare nel mondo degli uomini, ben sapendo di non poter indugiare oltre e, con un sospiro, tornò alla sua casa immortale per non uscirne più in forma umana.

***

Ritta e fiera sulla sella del suo baio, Eikhe era pronta per partire.

Paziente, osservò il gruppo di soldati approssimarsi alle proprie cavalcature per riprendere il viaggio verso Anok Fort.

Levatasi all’arrivo dell’alba, Eikhe aveva caricato le proprie sacche sul cavallo prima di ragguagliare la madre sul percorso che avrebbe intrapreso.

Qualora fosse stato necessario, era preferibile che almeno una donna-lupo conoscesse le sue mosse e, nel caso specifico, chi meglio della madre?

Lanciato uno sguardo al principe, ombroso in viso sin da quando l’aveva visto uscire dalla casa dove aveva riposato quella notte, Eikhe si chiese se disprezzasse la loro presenza.

Forse, semplicemente, trovava assurda l’idea di fidarsi di una donna, per un simile compito.

Con un sorriso ironico dipinto sul viso, fece avvicinare il proprio cavallo al suo e disse: “Buongiorno, principe.”

Sollevando lo sguardo per osservarla, Aken  la scrutò meditabondo per alcuni attimi prima di rendersi conto di un particolare non da poco e che,  sicuramente, avrebbe creato parecchi problemi fra i suoi uomini.

Osservandole la corta gonna di pelle, che indossava sopra alti stivali al ginocchio, il giovane principe esordì torvo: “Buongiorno a te. Sicura di non avere freddo, così abbigliata?”

Scrutando le gambe libere dalla costrizione dei pantaloni, Eikhe scrollò le spalle e disse: “Affatto. Tu, invece, hai freddo?”

“Sono abituato ad altri climi”  scrollò le spalle lui, allacciando saldamente la sella.

“Perché, allora, non mi poni la vera domanda che ti ronzava in testa, principe?” sorrise sorniona la giovane.

Aken si accigliò leggermente a quel commento – che il suo viso fosse divenuto di colpo trasparente? – ma preferì non aprire bocca in merito, chiedendo piuttosto: “Il tuo cavallo non ha morso né briglie. Sei certa di poterlo guidare?”

Scrollando le spalle come a voler liquidare l’argomento abbigliamento, Eikhe rispose succintamente al principe.

“Lui non ha bisogno di nulla. Esegue solo quello che gli dico.”

“Ma davvero?” celiò sprezzante uno dei soldati, alle loro spalle.

Voltandosi a mezzo, Eikhe lo squadrò malamente prima di dire: “L’ho addestrato di mia mano, e non ha bisogno di nient’altro che della mia voce”

Sorridendo vendicativa non appena vide il soldato sghignazzare al suo indirizzo, Eikhe mormorò a bassa voce: “Kalkos, pensaci tu. Un colpo di coda, grazie.”

Il cavallo, nitrendo e scuotendo divertito il muso, mosse la coda colpendo in pieno viso l’impreparato soldato.

Quest’ultimo imprecò contrariato, e si allontanò dall’animale con uno sguardo crucciato.

Sorridendo suo malgrado, Aken fece un cenno col capo a mo’ di ovazione e dichiarò: “Nulla da dire, è addestrato bene.”

“Lo so” rispose lei, aspramente. “E ora, vogliamo partire, o dobbiamo aspettare che il sole tramonti su questo giorno?”

“Do io gli ordini, signorina, se l’avessi dimenticato” precisò il principe, adombrandosi nuovamente prima di salire in sella a Rohan.

“Ma sono io che conosco la pista, non tu, principe” ribatté lei, accigliandosi al pari di Aken.

“Vorrà dire che mi consiglierai, ma nulla più” acconsentì lui a quel punto, dandole un buffetto sulla guancia con aria di superiorità.

Soffiando tra i denti per essere stata trattata come una bambina, Eikhe lo fissò con occhi che mandarono fiamme.

Aken rimase un po’ stupito nel rendersi conto, solo in quel momento, che la ragazza aveva singolari e splendenti occhi d’ambra.

Occhi gialli come quelli di un lupo.

Ripensando all’uomo della locanda e a Kaihle, non ravvide in loro una simile tonalità e, curioso, si chiese da dove potesse essere saltata fuori.

In quel particolare frangente, aveva un che di inquietante e rischiava di rasentare l’assurdo, se si pensava al grande lupo nero che la seguiva come un’ombra.

Gli stessi profondi occhi ambrati scintillavano sul suo muso ricoperto da bel pelo nero.

Con un brivido, Aken si chiese se la ragazza non avesse veramente sangue di lupo nelle vene, come raccontavano tante storie di paese.

Cercando di non farsi prendere da inutile nervosismo, il principe richiamò i suoi uomini perché si sbrigassero dopodiché, scrutata  Eikhe, chiese con voce piana: “Da che parte, ragazza?”

“Di là” accennò lei, muovendo la cavalcatura con un colpetto sul fianco del cavallo.

Affiancatala subito in testa al gruppo, Aken le domandò con sincero interesse: “Sei certa di ricordare la strada?”

“La percorro venti volte l’anno, principe, perciò credo di conoscerla abbastanza bene” celiò Eikhe, sollevando un sopracciglio con ironia.

“Come mai ci vai tante volte?” si informò lui, ora curioso.

“Il ‘sentiero dell’orso’, la via tra i monti che percorreremo per arrivare ad Anok Fort, è il percorso più breve per raggiungere i luoghi in cui vivono i bufali di montagna, che ci servono per fabbricare le coperte e i mantelli per l’inverno” gli spiegò, scrutando distrattamente il riflesso del proprio viso sulla lama del pugnale che aveva tolto dal suo fodero da stivale.

Guardandola accigliato, Aken non poté esimersi dal chiedere: “Sentiero dell’orso? E’ un nome casuale, o c’è un motivo?”

Osservandolo con un certo divertimento, Eikhe mormorò divertita: “Il potente principe delle pianure ha paura di un orso?”

Un basso brontolio si levò dalle fila degli uomini alle loro spalle ma Aken, azzittendoli con un cenno della mano, aggrottò la fronte e replicò con semplicità: “Un orso non dovrebbe turbare il mio pensiero? Se ci stai portando in una trappola, non aspettarti di uscirne viva, ragazzina.”

Aggrottando la fronte, Eikhe non ci pensò su due volte e, puntato il pugnale in direzione del principe, sibilò rabbiosa: “Una donna-lupo non mente mai! Ho ricevuto l’incarico di scortarti, principe, e io eseguo alla lettera gli ordini che mi vengono assegnati! Non sono come voi uomini, che tramate nell’ombra per ottenere ciò che volete, e tradireste persino vostra madre, al fine di giungere allo scopo!”

Colpito dalla sua sfrontatezza, e dal totale disinteresse per le spade che i suoi uomini snudarono per puntarle contro di lei, Aken la fissò in quegli occhi che sprizzavano scintille.

Levando lentamente una mano per chetare i suoi soldati, il principe replicò infuriato: “La tua sfacciataggine  è grande, marmocchia. Ti converrà non irritarmi, se non vuoi che ti sculacci!”

Sperando di spaventarla con il suo sguardo torvo, Aken ricevette una brutta sorpresa quando Eikhe, scoppiando a ridere di gusto, disse per contro: “Devi solo provarci, principe, e ti ritroverai senza mani!”

Alle sue crude parole seguì subito un ringhio sommesso.

Abbassando in fretta lo sguardo, Aken trovò ad attenderlo lo sguardo famelico del lupo della ragazza che, incuneato tra le loro cavalcature, lo stava scrutando in attesa di ricevere l’ordine per attaccare.

Scostando di colpo il suo stallone, il principe ringhiò rabbiosamente: “Attenta a quel che fai, ragazza!”

“Lo faccio sempre” decretò con estrema serietà, prima di schioccare la lingua e fare un cenno del capo al suo lupo.

Immediatamente, Nys partì di corsa scomparendo dinanzi a loro e Aken, confuso da quella mossa improvvisa, chiese sospettoso: “Dove va, ora?”

“In avanscoperta. La neve inibisce il suo olfatto, per cui si deve affidare agli occhi, per esserci d’aiuto” spiegò serafica Eikhe, tornando a guardare davanti a sé e senza più degnarlo di uno sguardo.

Sbuffando, Aken lasciò perdere la loro volubile guida e, ripreso che ebbero il loro cammino, rallentò l’andatura per farsi raggiungere da Farall.

“Se non fosse che ci serve il suo aiuto, la butterei nel primo dirupo disponibile. E’ insopportabile” si lagnò il principe, confidandosi con l’amico di vecchia data.

“E’ una ragazzina e, in quanto tale, è scorbutica e vuole fare la saccente. Però, non è male” commentò Farall, osservandole con un certo apprezzamento le gambe, messe in evidenza dalla corta gonna di pelle.

Storcendo il naso nel rendersi conto che le sue peggiori paure erano appena divenute realtà, Aken ribadì aspramente: “Smettila, maniaco! E’ solo una bambina!”

“Vallo a dire alle curve morbide che ha. Se non fosse per il suo lupo, ci farei un pensierino” ridacchiò piano il soldato, guadagnandosi per diretta conseguenza un’occhiataccia da parte del principe.

“Pensi che vi permetterei di toccarla? E’ la figlia di Kaihle, e la riporterò al suo villaggio senza che nessuno di voi le abbia torto un capello” brontolò Aken.

“E chi vuole torcerle i capelli?” commentò Farall, prima di dichiarare ironico: “Avanti, Aken, perché credi che se ne stiano rintanate nei boschi? E’ per comportarsi in maniera indecorosa, senza che nessuno dica loro niente!”

Storcendo il naso, Aken preferì non rispondere alle asserzioni di Farall.

Volgendo lo sguardo dinanzi a sé, osservò la schiena diritta di Eikhe e il suo portamento fiero mentre, con gesti sicuri, li accompagnava attraverso il bosco.

Chissà se quella ragazza era già scesa a valle per cercarsi un uomo, o se era troppo giovane per farlo?

Doveva avere all’incirca sedici anni, a giudicare dalla statura e dalla conformazione del fisico anche se, a dirla tutta, non poteva esserne sicuro.

Non se ne intendeva molto di giovani donne come lei.

Non poteva negare, comunque, che il lieve ondeggiare della sua treccia biondo-ramata fosse quasi ipnotico.

Soprattutto quando i radi raggi del sole filtravano nel bosco, illuminandola e facendola sembrare d’oro fresco di conio.

Come non poteva negare che il suo portamento in sella fosse elegante e indomito, degno di una guerriera quale lei sembrava essere, nonostante la giovane età.

Il grosso problema, però, era negare a se stesso che le gambe che poteva intravedere grazie al suo abbigliamento succinto, non fossero attraenti e degne di nota.

Quello sì che gli risultava difficile.

Scuotendo il capo di fronte a simili pensieri, Aken si chiese se il viaggio non l’avesse istupidito del tutto.

Adducendo come scusa alle sue divagazioni il fatto che Eikhe avesse un abbigliamento poco consono, portò la sua attenzione al bosco che li circondava.

Torvo, si chiese dove fosse andato a finire il lupo della ragazza.

Come a dar voce ai suoi pensieri, un ululato lontano si levò tra gli alberi ed Eikhe, rizzando le orecchie, si mosse lesta, poggiando i piedi sulla sella.

Lanciato poi uno sguardo veloce ad Aken, esclamò a gran voce: “Seguite il mio cavallo! Io vado avanti!”

“Ehi, aspetta!” esclamò per contro il principe, prima di vederla balzare agilmente dalla sella per afferrare un ramo d’albero e poi sparire alla sua vista, balzando da una pianta all’altra con l’abilità di uno scoiattolo.

Basiti, i suoi uomini fissarono prima lui, poi il cavallo della ragazza e Rias alla fine, fischiando sorpreso, esalò: “Ma come diavolo fa a muoversi così?”

“Non hai visto che peserà sì e no cinquanta chili, coi vestiti addosso?” ghignò aspro Gar, massaggiandosi un baffo con fare pensieroso. “Perché avrà avuto tanta fretta?”

Aggrottando pericolosamente la fronte, Aken decretò lapidario: “Non appena la troveremo, esigerò spiegazioni.”

Kinas, divertito dal cipiglio del principe, asserì: “Aken è furioso.”

“Direi di sì. Non è abituato ad avere a che fare con qualcuno che non gli obbedisce” commentò Lenar, ridacchiando.

“Proseguiamo” ringhiò Aken, al colmo dell’ira.

Avrebbe ricevuto spiegazioni, o l’avrebbe trattata come la marmocchia quale era.

***

Seduta su un masso in compagnia di Nys, Eikhe sorrise nel veder giungere il suo cavallo, subito seguito dalla compagnia di uomini del principe.

Avvicinatasi a Kalkos, lo accarezzò gentilmente, mormorando: “Mio buon amico, bravo. Li hai portati qui sani e salvi.”

Rivolgendo poi uno sguardo distratto ad Aken, aggiunse: “Ora la pista è sgombra.”

“Potrei sapere da cosa?” borbottò Aken, con voce bassa e resa roca dall’ira che covava dentro di lui.

Scrollando le spalle, Eikhe si limitò a dire: “Niente di che.”

Imprecando, il principe smontò di sella con un unico, fluido movimento e, paratosi dinanzi alla ragazza, si chinò verso di lei, sibilando rigido: “Esigo di sapere cosa è successo!”

Puntando i pugni sui fianchi, Eikhe replicò piccata: “Nulla che non potessi risolvere da sola!”

Soffiando rabbiosamente tra i denti, Aken non se lo fece ripetere due volte e, sotto gli occhi sorpresi di tutti, prese la ragazza e se la caricò su una spalla.

Tra le grida indignate di lei e le urla di giubilo degli uomini, si diresse verso un masso con tutta l’intenzione di mettere in pratica le sue minacce.

Quella marmocchia lo aveva davvero stancato!

“Maledizione, lasciami!” strillò lei, inviperita.

“Non ci penso neppure, stupida marmocchia che non sei altro” brontolò lui, prima di avvertire, alle sue spalle, un basso ringhio di avvertimento.

“Attento, principe!” gridò a quel punto Farall, mettendolo sull’avviso.

Imprecando vistosamente, Aken mollò subito la presa lasciando, cadere Eikhe un attimo prima che i denti di Nys si chiudessero sul suo avambraccio.

Osservando poi furioso lupo e padrona, esclamò: “Che diavolo gli prende?!”

Aggrappandosi a Nys perché non attaccasse ulteriormente, Eikhe disse nervosa: “Nys mi protegge da chiunque osi toccarmi, te compreso, principe.”

Sguainando la spada, Kinas  li fissò con sguardo torvo e borbottò: “Penso io al lupo, principe?”

Fissando rabbiosa il soldato, Eikhe estrasse la daga che portava legata dietro la schiena e, voltandosi in direzione dei soldati, disse per contro: “Toccate il mio lupo e, uomini del re o meno, io vi uccido tutti.”

I soldati risero sguaiati, di fronte a quella minaccia ma Aken, che ora poteva scorgere la ragazza di spalle, si accorse di un particolare che, in precedenza non aveva notato.

Torvo, perciò, le chiese: “Hai affrontato un orso, ragazza?”

Rinfoderando la daga quando tornò a scrutare il principe Aken , Eikhe annuì e disse semplicemente: “Era un  giovane orso, ma avrebbe potuto richiamare la madre, se fossimo arrivati tutti insieme coi cavalli, così io e Nys lo abbiamo allontanato.”

Pur aggrottando la fronte di fronte al racconto della ragazza, il principe non disse più nulla.

Annuendo, grata per il silenzio dell’uomo, Eikhe risalì sul suo cavallo e fece cenno a Nys di proseguire, mentre gli uomini la osservavano con il dubbio dipinto negli occhi.

Quando, però, i loro sguardi accusatori caddero sulla sua tunica lacerata, e sui segni inequivocabili di una zampata d’orso, le proteste scemarono fino a scivolare nel silenzio più assoluto.

Fu solo all’imbrunire che Eikhe fermò  la cavalcatura, in prossimità di una sorgiva riparata dal vento.

Aken, che non aveva più detto nulla di ciò che era successo – neppure durante una breve pausa per il pranzo –  la vide scendere da cavallo con il viso tirato da tensione e stanchezza.

Preferendo non aprire bocca per non farla irritare, si limitò a ordinare ai suoi uomini di montare le tende e accendere un fuoco per la notte.

Lanciandole solo brevi occhiate di tanto in tanto per capire se avesse bisogno del loro aiuto, Aken non poté esimersi dal prendere la parola quando la vide prepararsi un giaciglio sotto un albero.

Sorpreso, le chiese: “Non hai una tenda per ripararti dal freddo?”

Un po’ stupita di sentire la sua voce, lei lo fissò a occhi sgranati prima di dire: “Non ne ho bisogno. Sono solita dormire così.”

“E se dovesse nevicare?” replicò Aken, indicando il cielo con un dito.

“Non nevicherà” replicò lei, lanciando uno sguardo alle stelle che stavano comparendo all’orizzonte. “Non c’è vento, e il cielo è sgombro. Dormirò bene.”

“Testarda marmocchia” brontolò lui, volgendole le spalle mentre lei ridacchiava tra sé.

Accomodandosi sulla stuoia di pelle di montone, che aveva steso sotto l’albero come giaciglio, Eikhe volse le spalle agli uomini e sospirò.

Mentre il cavallo le faceva da scudo contro occhiate indiscrete, la ragazza si slacciò la tunica sfilacciata per controllare i danni lasciati dall’orso.

Rivolgendosi a Nys, chiese: “Com’è messa?”

Il lupo osservò la ferita arrossata ma che, fortunatamente, non stava sanguinando e, uggiolando lievemente, leccò la mano a Eikhe, facendola sorridere.

“Ottimo,… basterà un olio ammorbidente, allora” mormorò pensosa, prima di aggrottare la fronte non appena udì Nys ringhiare.

Restando a diversi passi dal cavallo, e tossicchiando per avvertire della sua presenza, Lenar, il più anziano del gruppo, esordì dicendo: “Ti serve aiuto per la ferita, ragazza?”

“Faccio da me” ringhiò caustica lei.

Ammorbidendo i tratti del viso con un sorriso sincero, Lenar tentò di nuovo.

“Ho una figlia della tua età, ragazza, non devi aver timore di me. Desidero solo aiutarti.”

Un po’ sorpresa, Eikhe fece un cenno a Nys di sdraiarsi al suo fianco e l’uomo, annuendo grato per quell’implicito invito, oltrepassò la barriera fornita dall’enorme figura del cavallo.

Inginocchiatosi alle spalle della ragazza, osservò la ferita sulla sua schiena, tastandola gentilmente con una mano.

Con occhio critico, Lenar annuì dopo un momento e disse: “Sei fortunata, non sembra aver fatto infezione, e non dovrebbero rimanere striature a malapena visibili. Hai un balsamo lenitivo?”

“Nella sacca” mormorò Eikhe, continuando a tenere la tunica sui seni, sempre pronta a reagire al minimo accenno di pericolo.

Annuendo, l’uomo cominciò a frugare nella sacca indicata, trovandovi ogni genere di medicinale e di medicazione e, un po’ confuso, chiese: “Tutte queste cose le preparate voi?”

“Quasi tutto. A Marhna, compriamo soltanto l’olio di callan, perché qui la pianta non riesce a crescere”  gli spiegò, sentendo le mani ruvide dell’uomo passare sulla ferita ancora dolente.

Stringendo i denti per il bruciore, si sentì dire: “Hai avuto coraggio, ad affrontare l’orso da sola.”

“Era piccolo, e c’era Nys, con me” si limitò a dire, come se nulla fosse.

Quando ebbe finito, Lenar le prese dalla sacca una tunica pulita e lei, voltandosi a mezzo, sorrise appena e disse: “Grazie della cortesia. Sarebbe stato difficile, farlo da sola.”

“Ringrazia il principe. E’ stato lui a dirmi di venire a prestarti aiuto. Pensava che, con me, saresti stata più a tuo agio” dichiarò l’uomo, sorprendendola.

Nel rivestirsi, Eikhe osservò Lenar allontanarsi per raggiungere i suoi compagni.

Non senza una certa curiosità, la ragazza si appoggiò alla schiena del suo cavallo per guardare la figura imponente del principe, seduto comodamente contro una pianta e intento a bersi del sidro speziato.

Non si sarebbe mai aspettata una simile cortesia, da quella sottospecie di pallone gonfiato.

Alla fin fine, forse si sentiva solo in colpa per averle dato della marmocchia.

Ridendo tra sé, Eikhe si sedette a mangiucchiare un po’ di carne secca prima di sdraiarsi e coprire se stessa e Nys con il suo mantello di pelle d’orso.

Era ben decisa a lasciare il pensiero di quegli uomini di pianura ben lontano dalla sua testa.

Kalkos, per evitarle spifferi durante quella notte fretta e stellata, si mise dietro di lei per scaldarla con il suo corpo e Lenar, osservando la scena da lontano, ridacchiò e disse ai suoi amici: “Lo credo anch’io, che non ha bisogno di una tenda! Quei due terrebbero al caldo una comitiva di persone!”

Aken osservò contrariato  il viso rilassato di Eikhe, poggiato su una delle sue sacche e maledettamente vicino al muso del lupo e, sbuffando, borbottò: “Se a lei sta bene così...”

Farall ghignò beffardo e, dandogli di gomito, mormorò: “Vorresti scaldarla tu, principe?”

Aken gli lanciò un’occhiata ferale e ringhiò: “Taci, Farall, prima che ti faccia ingoiare la mia sporta!”

“Piantala di dire idiozie, Farall. La ragazza ha fegato, e non merita le tue battutacce” rincarò la dose Lenar, lanciando un ceppo nel fuoco, che sfrigolò prepotente, sollevando scintille scarlatte nell’aria ormai gelida della notte.

“La sua ferita?” si informò subito Aken.

“Sta bene. Deve averla colpita solo di striscio” spiegò Lenar. “Mi chiedo solo perché sua madre l’abbia mandata con noi. Non è un po’ piccola?”

“A detta di Kaihle, è la migliore guida che potessimo trovare tra le montagne” dichiarò Aken, scrollando le spalle.

“Sarà, ma l’idea che abbia l’età di mia figlia non mi aiuta” borbottò Lenar, sbuffando.

“Perché? Vorresti rimboccarle le coperte? Il suo lupo ti mozzerebbe una mano, se tu ci provassi!” ridacchiò Rias, ingollando del sidro dalla sua borraccia.

“Razza di idiota…” brontolò Lenar. “… non mi stupisce che Syderna non ti voglia più vedere.”

Aggrottando subito la fronte, Rias mise mano al pugnale e replicò stizzito: “Ripetilo, se hai il coraggio!”

Sollevando una mano, Aken impose il silenzio e, grave, disse a tutti loro: “Smettetela di sbranarvi. Abbiamo una missione da compiere, e questo non comprende il vedervi scannare per opinioni discordanti. Andate a dormire. Farò io il primo turno di guardia.”

Brontolando, Rias rinfoderò il pugnale e se ne andò nella sua tenda mentre Lenar, lanciata un’ultima occhiata a Eikhe, si alzò ed entrò nella propria.

Aken  attese che tutti i suoi uomini si fossero ritirati per la notte, prima di alzarsi per fare un giro d’ispezione per il campo e montare per il suo turno di guardia.

Soffermandosi un momento dinanzi a Eikhe, studiò quel viso di bambina addormentata con occhi pensierosi.

In cuor suo, si chiese come avesse potuto, quel batuffolo di ragazzina, affrontare un orso.

Anche solo un cucciolo, come aveva precisato lei.

Davvero non comprendeva. Era così difficile crederlo.

Eppure, i segni che aveva scorto sotto la tunica erano i graffi di un orso, e non poteva neppure pensare che il suo lupo, per quanto forte, lo avesse scacciato da solo.

No, doveva averlo aiutato lei per forza. Il punto, era che, per lui, era inconcepibile.

Sistemandosi contro una pianta dopo aver abbandonato lo strano trio, la larga spada poggiata sulle gambe accavallate, Aken osservò meditabondo il fuoco.

Fiochi rumori della notte giungevano alle sue orecchie attente, mantenendolo desto.

In lontananza, verso est, una slavina si staccò da una fiancata del monte, scivolando innocua fino a fermarsi alle pendici degli alberi.

Poco distante da loro, nascosti alla vista ma non all’udito, Aken percepì alcuni cervi in cerca di cibo e acqua e, tra essi, riconobbe il richiamo inconfondibile di un maschio.

Chiusi gli occhi per meglio concentrarsi su ciò che lo attorniava, Aken li riaprì sorpreso un attimo dopo quando sentì un fruscio di fogliame nelle vicinanze.

Volgendosi in direzione di Eikhe, scorse la sagoma scura di Nys allontanarsi dopo aver guardato la sua padrona per un lungo istante.

Osservando dubbioso il viso in ombra della ragazza, vide i suoi denti lampeggiare in un sorriso, e il bianco dei suoi occhi brillare in risposta allo sfrigolio del fuoco, prima di svanire di colpo, sotto le palpebre abbassate.

Evidentemente, aveva lasciato andare a caccia il lupo.

In fondo, un po’ di carne fresca non avrebbe nuociuto alla loro dieta; nelle loro sacche avevano solo carne secca e gallette.

Un ben misero sostentamento, visto che non si erano ancora presi la briga di cacciare qualcosa.

A quel pensiero, Aken storse il naso.

Sicuramente, la ragazza glielo avrebbe fatto notare.

Sbuffando, si ripromise di risponderle a tono per non darle l’impressione di non avere il controllo della situazione, cosa che, in realtà, sapeva di non possedere più.

Da quando Eikhe aveva preso in mano le redini della spedizione, lui si era sentito uno stupido, per aver lasciato fare a una ragazzina.

Inoltre, si era lasciato impadronire dal senso di colpa per non aver pensato, in prima persona, alla sicurezza sua e dei suoi uomini.

Avrebbe dovuto immaginare che, su un sentiero con un simile nome, avrebbero potuto trovare degli orsi ad attenderli!

Invece, si era mantenuto saldo nella sua virilità offesa, e non l’aveva seguita per assicurarsi che non avesse bisogno di aiuto, scoprendo poi che era stata ferita per difenderli.

Se il padre fosse venuto a sapere del suo comportamento, lo avrebbe aspramente ripreso.

Prendersela per le cattive maniere di una ragazzina!

Doveva essere davvero arrivato al fondo del barile, per comportarsi così.

Eppure… eppure, sentire la superiorità e la sicurezza nella voce di quello scricciolo di ragazza, lo aveva fatto sentire talmente inadatto al suo compito da infuriarsi con lei.

In un colpo solo, aveva mandato al diavolo tutta l’educazione che il suo precettore aveva faticato tanto per insegnargli.

Eikhe si stava dimostrando così maledettamente diversa da tutte le altre donne che, nel corso degli anni, aveva conosciuto che, alla fine dell’opera, non sapeva come relazionarsi con lei.

L’unica cosa che capiva era che, se avessero voluto giungere ad Anok Fort senza scannarsi, avrebbero dovuto entrambi darsi una calmata.

Ma era così difficile farlo, quando lei rifuggiva tutte le regole che era stato abituato a seguire fin da piccolo.

Servire e proteggere le donne.

Già, come farlo, con quella piccola peste urlante, e il suo lupo dai denti perennemente snudati?

Parlare con proprietà, e senza mai eccedere.

E come, se ogni suo atto lo spingeva a strangolarla, o abbaiarle contro in preda all’ira?

Non toccare mai una donna, neppure sotto la spinta dell’ira.

Al primo giorno, aveva già cercato di sculacciarla. Figurarsi alla fine della campagna, cosa sarebbe potuto succedere!

Passandosi una mano sul viso stanco, Aken tornò con lo sguardo alla loro guida e, con sua somma sorpresa, la ritrovò accucciata contro il cavallo.

Il suo viso appariva imbronciato e le mani erano raccolte a pugno, quasi che la mancanza del lupo le pesasse anche nel sonno.

Chissà che genere di legame c’era tra loro, per spingerla a difenderlo come, poche ore prima, aveva fatto senza alcun timore per la propria vita?

Anche lui era affezionato ai suoi cani da caccia e al suo stallone, ma non era la stessa cosa. Ne era sicuro.

Eikhe poteva comprendere ciò che diceva il suo lupo, e viceversa, il che la metteva su un livello molto superiore al suo.

Chissà cosa le diceva lui, quando erano soli? Come sapeva confortarla con una sola occhiata?

Riscuotendosi da quei pensieri quando udì il lupo tornare, Aken lo vide trascinare un cervo di media stazza, ancorato ai suoi denti affilati.

Alzatosi subito per aiutarlo, si vide ringhiare contro con asprezza.

Comprendendo non fosse il caso di aizzarlo ulteriormente, sollevò le mani in segno di resa e se ne tornò al suo posto, mentre Nys svegliava Eikhe leccandole il viso.

Lei si risvegliò mugugnando qualcosa ma, quando vide il muso del suo lupo, si aprì in un sorriso e lo abbracciò, incurante del fatto che fosse inzuppato di sangue.

Sporcandosi a sua volta, Eikhe rise prima di osservare il cervo morto e dire: “Sei stato bravo, complimenti.”

Nys scodinzolò contento ed Eikhe, preso il coltello, lanciò solo un veloce sguardo ad Aken prima di sedersi a gambe incrociate vicino alla preda.

Con un colpo secco, poi, affondò il coltello alla base del collo dell’animale e spinse.

Attenta, Eikhe lacerò la pelle fino all’inguine e, sotto lo sguardo attonito di Aken, lo aprì con un unico, fluido movimento.

Caparbiamente, cominciò a strattonare la pelliccia per staccarla dal muscolo, ben intenzionata a scuoiarlo.

Sporcandosi ulteriormente di sangue, la ragazza non prestò minimamente attenzione alle occhiate stupite di Aken e, concentrandosi solo sull’animale, mormorò a Nys: “Tienigli ferma la testa.”

Messasi in posizione, cominciò a tirare dopodiché, lacerata anche la pelle sulle zampe, completò il lavoro liberando l’animale dalla sua pelliccia morbida.

Appesala a un ramo basso, Eikhe iniziò a eviscerare il cervo, mettendo provvisoriamente le interiora su una distesa di foglie secche.

Fatto ciò, lo tranciò a pezzi e lo ripulì dal terriccio alla sorgente d’acqua.

Soddisfatta, lasciò che Nys si cibasse dei resti inutilizzabili.

Poggiati infine i pezzi di carne su un panno oleato, che estrasse dalla sua sacca, ve li avvolse con cura.

Per un attimo, osservò la pelle stesa sul ramo prima di scrollare le spalle e dire, rivolta a Nys: “Mi sa che dovremo buttarla… un vero peccato. Mi avrebbe fruttato un bel gruzzolo.”

“Sembri un barbaro, così conciata” celiò Aken dietro di lei, facendola sobbalzare.

Guardandosi, Eikhe notò le macchie di sangue sulla tunica e sulla pelle abbronzata e, liberandosi in una risatina divertita, disse: “Mi laverò alla sorgente… prometti di non guardarmi?”

“Non spio le bambine” brontolò lui, distogliendo lo sguardo.

Lei si limitò a fargli la lingua prima di dirigersi alla sorgente.

Lì, si tolse la tunica ed entrò nell’acqua gelida emettendo uno squittio di sorpresa, e affondando subito dopo nella polla.

Immergendo anche la tunica, la lavò dal sangue, lanciando di tanto in tanto occhiate dubbiose in direzione di Aken.

Quando ebbe terminato, chiamò Nys per consegnargli la tunica da portare dinanzi al fuoco e, uscita che fu dall’acqua, si affrettò ad asciugarsi con un telo prima di indossare il suo cambio d’abito.

Sentendosi nuovamente pulita e in ordine, Eikhe si avvicinò al fuoco per asciugarsi i capelli e Aken, sbirciandole il viso rosso, le chiese: “Non hai avuto freddo?”

“Sono quasi congelata, in effetti, ma detesto sentirmi sporca” ammise con candore, frizionandosi i capelli con forza.

Ora che li aveva sciolti, Aken scoprì che le giungevano fin oltre la vita e che, come pensava, una volta asciutti, erano vaporosi e mossi come spuma marina.

Attirato dalle calde luminosità di quelle ciocche ramate, Aken quasi non si accorse della domanda di Eikhe.

Riscuotendosi dal suo pellegrinaggio mentale sui capelli della ragazza, borbottò: “Puoi ripetere, scusa?”

Scrollando le spalle, lei domandò nuovamente: “Perché hai mandato Lenar, prima?”

“Ho pensato che ti saresti maggiormente fidata di un uomo dell’età di tuo padre, piuttosto che di uno di noi” si limitò a dire, scrollando le spalle.

Annuendo, lei lo sbirciò in viso da sotto le ciglia bionde, e mormorò divertita: “Già, specialmente considerando che, durante tutta la giornata, non avete fatto altro che guardarmi le gambe.”

 Accigliandosi per quel commento, Aken replicò astioso: “E tu vestiti maggiormente, se non vuoi sentirti addosso gli occhi di tutti!”

Lei si limitò a sorridere, sinceramente sorpresa e, socchiudendo gli occhi, dichiarò: “Cosa ci troverete, poi, di così interessante...”

Sinceramente sbalordito, lui replicò: “Si capisce da uscite simili, che sei solo una bambina.”

Piccata, lei borbottò: “Ho diciassette anni, non due mesi, per tua norma e regola, e sono donna da almeno quattro, se vogliamo spaccare il capello in quattro!”

“Oh, ma davvero?” brontolò il principe, sorpreso che non provasse vergogna nel parlare di cose simili.

Neppure sua sorella si sarebbe sbilanciata tanto, con lui.

“Non ho remore a dirtelo. Non credo tu sia così ignorante, in fatto di donne, principe… o, almeno, lo spero per te e per la tua futura sposa” ribatté lei, facendolo infuriare.

“So molte più cose di te, sulle donne!” bofonchiò Aken, rigido come un fuso.

“Non penso proprio, ma ti lascerò crogiolare nelle tue certezze” sorrise ironica lei, prima di vedersi raggiungere da Nys.

Incuneandosi sotto il suo braccio, Nys uggiolò ed Eikhe, abbracciatolo, affondò il viso nel suo bel pelo nero e mormorò: “No, Nys, il principe non mi angustia affatto, stai tranquillo. Niente di quello che dice, può realmente toccarmi.”

Assottigliando le iridi smeraldine, Aken fu tentato di mandarla al diavolo ma, con Nys lì accanto, si trattenne dal farlo.

Dubbioso, però, continuò a guardare i due, chiedendosi ancora una volta se Eikhe, in realtà, non fosse un lupo mancato.

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Capitolo 4
*** cap.4 ***


4.

 

 

 

 

 

La mattina seguente, gli uomini vennero svegliati dal profumo inconfondibile di carne arrostita sul fuoco.

Aprendo gli occhi per lo torpore, Aken fissò confuso Lenar, intento ad aiutare Eikhe a preparare alcune razioni da sistemare nelle sacche per il viaggio.

Alzatosi dal suo giaciglio – non aveva voluto dormire nella sua tenda per puro cipiglio, e ora aveva le ossa rotte e i muscoli indolenziti – Aken si passò una mano sul volto assonnato prima di dirigersi con passi lenti e ciondolanti al torrente.

Dopo un momento di esitazione, immerse le mani nell’acqua gelida e si pulì il viso, svegliandosi completamente.

Sull’erba alla sua sinistra, come Aken poté notare, erano ancora visibili le orme dei piccoli piedi di Eikhe.

Rammentando quando l’aveva osservata avvicinarsi a quelle acque raggelanti, se la immaginò affondare in esse, il bel corpo illuminato dalla luna e che…

Spalancando gli occhi quando si rese conto di dove stessero andando i suoi pensieri, scosse il capo per il fastidio e, rialzatosi in fretta, si avviò speditamente verso il fuoco.

“Buongiorno a entrambi. Avete preparato la carne secca?”

“Buongiorno, principe” esordì Lenar, voltandosi a mezzo per salutarlo. “Ho trovato Eikhe impegnata a prepararne delle strisce da arrostire, così ho pensato di darle una mano.”

Annuendo, Aken osservò per un momento la ragazza che, con dita abili, stava estraendo dal terreno degli involti di foglie d’erba. “E quelli?”

Mostrandone uno ad Aken nell’alzarsi da terra, Eikhe disse: “Buongiorno, principe. Ho pensato di preparare anche un po’ di carne, arrostita col calore delle braci. Sarà più buona da mangiare, per colazione.”

“Buona idea” si limitò a dire il principe, mentre i suoi uomini uscivano dalle tende.

“Non potendo affumicarla, l’unico modo per salvarla qualche giorno in più è stato cuocerla…” scrollò le spalle Eikhe, continuando a mostrare il procedimento al principe. “… ma, sicuramente, non sarà mai buona come stagionata, visto che non ho potuto usare delle spezie. Comunque, può andare, per tenerci in forze.”

“Vero” annuì ancora Aken, non sapendo esattamente cosa dirle.

Non poteva certo farle capire il proprio disappunto, né bacchettarla per una cosa a cui, invece, avrebbe dovuto provvedere lui.

Squadrandolo vagamente dubbiosa per alcuni attimi, chiedendosi il perché della sua reticenza a parlare, Eikhe preferì non discutere con lui di prima mattina.

Dopo aver sorriso a Lenar, perciò, affiancò Nys e disse a bassa voce: “Controlla tu, per me.”

Aken, che l’aveva seguita con lo sguardo nel momento stesso in cui aveva sorriso a Lenar, aggrottò immediatamente la fronte non appena la vide prendere la via del bosco.

A gran voce, le urlò dietro: “Ehi, dove stai andando?!”

Voltandosi a mezzo nel sentirlo parlare, lei lo fissò rabbiosa per un momento prima di infilarsi nella boscaglia senza degnarlo di una risposta.

Già sul punto di imprecare e seguirla, Aken sentì Lenar aprire bocca per mormorare a bassa voce: “Principe, tornerà tra breve.”

“E tu come lo sai?!” ringhiò Aken, offeso dai silenzi della ragazza.

Non aveva davvero il minimo rispetto per il ruolo che lui deteneva?!

Sorridendo leggermente, Lenar disse solo per le orecchie di Aken: “Problemi femminili. Tornerà quando avrà trovato quello che cerca.”

“Oh” esalò lui, calmandosi subito e arrossendo leggermente.

Dopotutto, era una donna, e avrebbe dovuto aspettarsi che cercasse un po’ di intimità ma, ancora una volta, si era lasciato prendere dalla rabbia, senza ragionare.

Ma perché Eikhe gli faceva quell’effetto?

Sedendosi accanto al fuoco mentre Lenar metteva a scaldare il caffè, Aken si perse a chiedersi perché, quella ragazza, riuscisse a scardinare con tanta facilità i suoi principi.

Vi aveva fatto affidamento fino a quando non aveva incontrato sulla sua strada quella creatura imprevedibile.

Che fosse così semplice metterlo in difficoltà?

Dopotutto, era abituato a trattare le donne, di qualsiasi classe sociale o età, eppure lei lo mandava in confusione totale.

Non riteneva di essere una persona dalla mentalità ristretta ma, forse, la sua reticenza a comprenderla dipendeva dal fatto che, in realtà, non accettava il suo stile di vita.

Forse.

Raggiunto dai suoi uomini, Aken sorrise loro nel dare il buongiorno e, quando Kinas ridacchiò nel notare la mancanza di Eikhe, si chiese cosa sarebbe stato meglio dire ai suoi soldati.

Sicuramente, non la verità, o sarebbero saltati fuori i commenti più osceni e irrispettosi.

Mentalità ristretta o meno, le doveva protezione come a un qualsiasi altro membro del suo gruppo.

Alla domanda dei suoi amici, Aken disse soltanto: “E’ andata a cercare delle erbe qui nei dintorni.”

“Con questa neve? Deve sapere a naso, dove trovarle!” ridacchiò Finarr, mordicchiando un pezzo di carne.

Sollevando un sopracciglio con ironia, Lenar celiò: “Prima di prenderla in giro, dovresti ringraziarla per la colazione che stai mangiando adesso, ragazzo.”

Finarr lo fissò stupito per un momento, prima di scrutare il pezzo di carne che stava mangiando e, storcendo il naso, chiese burbero: “Perché, scusa?”

“Il suo lupo è andato a caccia, stanotte, e lei lo ha scuoiato e tagliato perché fosse pronto per stamattina” spiegò loro Aken, chiudendo un momento gli occhi nel bere il suo caffè. Era davvero ottimo o, forse, lui ne aveva più bisogno di quanto non immaginasse.

Facendo tanto d’occhi, Finarr esclamò: “Lo ha scuoiato?!”

“Esatto, come il prossimo che mi seguirà nel bosco con intenti più che ovvi” dichiarò dietro di loro Eikhe, rossa in viso per l’ira e tesa come una corda di liuto.

Accanto a sé, seguito da un Nys a denti snudati, se ne stava Likas che, a mani legate, osservava Eikhe come se avesse voluto sgozzarla da un momento all’altro.

Guardandoli confuso per alcuni momenti, Aken si volse subito dopo per contare i suoi uomini.

Dopo aver imprecato silenziosamente tra sé per non essersi accorto della mancanza del compagno, si alzò per raggiungerli e chiese: “Cos’è successo?”

Sospingendo contro Aken il suo soldato, Eikhe sibilò rabbiosa: “Prova a immaginarlo da te, principe.”

Detto ciò, si allontanò a grandi passi per andare ad appollaiarsi su una roccia sulla sponda opposta del torrente, il volto adombrato e gli occhi che mandavano scintille.

Imprecando a più riprese, il principe liberò Likas con gesti furiosi prima di dire, a gran voce e con fiero cipiglio: “Che diavolo volevi fare, idiota?!”

“Volevo solo rimetterla al suo posto, principe” sbuffò Likas a testa bassa, massaggiandosi i polsi doloranti.

“Te l’ho forse ordinato? Non mi sembra proprio!” ringhiò Aken, dandogli una spinta tale da farlo crollare a terra. “E’ questo il grado di civiltà dei miei uomini?! Un’altra intemperanza del genere, e vi rispedisco a Rajana per farvi radiare dall’esercito!”

Il diretto interessato pensò bene di rimanere in silenzio mentre gli altri suoi compagni, alternando occhiate a Eikhe e Likas, si chiesero silenziosi cosa fosse realmente successo nella foresta.

“Ora, continuate a fare colazione. Tra un’ora si riparte” decretò ombroso Aken, dirigendosi poi verso il torrente a passi lenti e misurati.

Sul ciglio del torrente, in posizione di difesa, Nys cominciò a ringhiare al suo indirizzo ma Aken, ignorandolo completamente, balzò su un paio di massi per oltrepassare il rio.

Era ben deciso a raggiungere Eikhe, e scusarsi con lei per le intemperanze del suo uomo.

La ragazza, raggomitolata su se stessa, lo fissò con occhi funesti ma, non appena lo vide sorridere spiacente, si rilassò impercettibilmente e chiese: “Cosa vuoi, principe?”

“Solo chiederti come stai” mormorò, osservando Nys, che lo seguiva a un passo di distanza. “Mi morderà, se mi siedo un attimo?”

Eikhe guardò un momento Nys e il lupo, come a un muto ordine, si accucciò ai suoi piedi, sempre guardando il principe con occhi attenti.

Interpretandolo come un invito, Aken si accomodò su un masso vicino e le domandò gentilmente: “Ti ha mosso violenza?”

“Ah!” esclamò lei, levando fiera il capo. “Non ci sarebbe riuscito neppure se mi avesse trovata bendata e con le mani legate.”

Di fronte al suo scetticismo, Eikhe precisò: “C’era Nys, con me. E’ stato lui a impedirlo.”

“Ah… quindi, non ti ha toccata, vero?”

“No” scosse il capo la ragazza.

“Bene. Sono cose che proprio non sopporto” annuì Aken, pensieroso.

Guardandola con attenzione, notò subito il suo volto pallido e le labbra tirate perciò, con fare casuale, disse: “Mia madre usa spesso queste foglie, quando non sta bene. Me le ha date qualora mi fossi buscato un raffreddore, qui sulle montagne.”

Sorpresa, Eikhe vide comparire dinanzi al naso un sacchetto di pelle e, confusa, squadrò Aken.

Con un sorrisino conciliante, il giovane dichiarò contrito: “Non ho pensato ai problemi che avresti potuto avere, scusami. Qualora non dovessi sentirti bene per continuare, non hai che da dirmelo.”

Preso il sacchetto tra le mani, lei lo aprì, scoprendovi all’interno delle foglie secche di neralla, un potente antidolorifico e, sorridendo appena, disse: “Non ho bisogno di rallentare tutti. Ne mangerò una foglia, e starò bene.”

“Come preferisci” assentì lui, scrollando le spalle e alzandosi.

Bloccandolo a un polso, Eikhe mormorò: “Principe… grazie.”

Sorpreso da quel momentaneo cedimento, Aken sorrise più tranquillo

“Di nulla, ragazza. Tra un’ora partiamo, va bene?”

“Sarò pronta” annuì Eikhe.

In fretta, posò sulla lingua una foglia secca e, storcendo il naso per il suo sapore acre, la succhiò mentre Aken, con passo lento, se ne tornava dai suoi uomini.

“Che strano tipo” mormorò, una volta sola, continuando fissare la schiena imponente del principe.

***

Udendo l’ululato di Nys nel mezzo della foresta, Eikhe annuì soddisfatta e, rivolgendosi ad Aken, dichiarò: “La strada è sgombra. Possiamo proseguire.”

Annuendo, Aken spronò il suo cavallo e, osservando la ragazza che cavalcava al suo fianco, le domandò: “Come fai a capirlo?”

“Ho imparato da piccola. E’ come imparare a parlare. Allo stesso modo, Nys capisce l’uomo, quando parla” spiegò Eikhe, seduta tranquillamente sul suo cavallo, tenendo le braccia incrociate sul petto.

Guardando Kalkos che, tranquillo, percorreva il sentiero senza aver bisogno della guida di Eikhe, Aken esalò con un risolino: “Mi fa ancora senso, vedere un cavallo che se ne va per gli affari suoi.”

Sollevando un sopracciglio con ironia, Eikhe disse per contro: “Prova a mollare le briglie, principe. Vedrai che il tuo stallone seguirà ugualmente la pista.”

“Non è la pista, a turbarmi, ma gli imprevisti. Cosa succederebbe, se il cavallo si imbizzarrisse?” dichiarò dubbioso, scrutando un momento le enormi conifere che li circondavano.

“Non lo farebbe. Lui sa che sono sulla sua schiena. Potrà avere paura, ma non mi scaraventerà a terra” spiegò con calma Eikhe, prima di volgere lo sguardo su un lato della pista, quando avvertì un frullo d’ali tra i cespugli.

Assottigliando le iridi dorate, Eikhe prese l’arco alle sue spalle e, incoccata in fretta una freccia, attese l’attimo adatto per tirare, gli occhi di Aken puntati su di lei.

Quando l’uccello si levò al loro passaggio, la ragazza lo centrò con sorprendente facilità, facendolo finire tra i cespugli.

Subito, Lenar si esibì in un applauso spontaneo, che portò la ragazza a sorridergli divertita.

Balzata poi dal cavallo, lo andò a recuperare e disse: “Carne fresca per stasera.”

“Sei abile, con l’arco” asserì Aken, fermando la propria cavalcatura per aspettarla.

Allo stesso modo, i suoi uomini bloccarono i cavalli e attesero pazienti il ritorno della ragazza.

“Sono abituata a sfamarmi da sola” gli spiegò con semplicità, legando il pennuto a un anello della sella. “Tutte noi sappiamo farlo.”

In quel mentre, Nys tornò da loro con la lingua ciondoloni ed Eikhe, tagliando con un coltello la testa dell’uccello appena catturato, gliela porse e disse: “Sei stato bravissimo, Nys, grazie.”

Mentre il lupo azzannava la carne da piuma fresca di cattura, Aken scrutò curioso l’arma della ragazza e la faretra da sella piena di frecce.

Prendendone in mano una, la soppesò attentamente tra le mani prima di dire: “Non sono punte di metallo.”

“No, infatti. Sai cosa sono?” chiese Eikhe con un sorriso furbo.

“Di primo acchito, direi che si tratta di qualcosa di simile all’ossidiana, o alla selce” mormorò pensieroso, portando la punta di freccia verso il sole per ammirarne le sottili venature bianche sul fondo nero.

“Sono ‘artigli di demone’, per essere precisi” disse Eikhe, sorprendendolo. “Conosci la loro storia?”

“Non si narra che un cacciatore fu inseguito dai demoni fino a una valle illuminata da sole, e che lì i demoni esplosero in mille pezzi di pietra, perché colpiti dalla luce del giorno?” le chiese Aken, aggrottando leggermente la fronte nel tentativo di ricordare esattamente la storia.

“Esatto. Si dice che questo tipo di pietra sia nata così e che, proprio perché di discendenza soprannaturale, sia così dura e resistente. In realtà, ne esistono filoni interi, all’interno dei Monti Urlanti, basta saperli trovare. Uno molto importante è nelle vicinanze della Valle del Silenzio, dove sorge Anok Fort. Non è un caso, se il re tuo nonno fece costruire il forte proprio lì, a suo tempo” spiegò Eikhe, sorprendendo tutti.

“Quindi, Anok Fort, è costruito con questa pietra?” esalò Aken, sempre più curioso.

“Solo il lato rivolto verso nord-est, quello che punta in direzione di Vartas. La galenda, o ‘artiglio di demone’, è un tipo di roccia estremamente difficile da lavorare, per cui costruire un intero forte con quel tipo di materiale sarebbe costato, oltre che ingenti sforzi, anche un vero e proprio patrimonio in termini di costi.” ammise Eikhe, tamburellandosi pensosa il mento.

Riprese la freccia quando Aken gliela porse e, dopo averla sistemata nella faretra, aggiunse: “A noi torna comodo usarla per lance e frecce. Nella fucina, produciamo solo le nostre daghe… comprare l’acciaio ci costa molto, e lo usiamo con parsimonia. Per cui, tutto ciò che viene usato maggiormente, cioè frecce e lance per la caccia, viene fabbricato con la galenda. Non che sia facile dare la forma alle punte, ma costa sicuramente meno, per le finanze del villaggio.”

“Non ho davvero parole” esalò Aken, fissandola a occhi sgranati.

Eikhe sorrise misteriosa e disse: “Pensavi davvero che fossimo solo delle donne isolate in un bosco?”

Aken preferì non rispondere.

***

Quella sera, dopo aver percorso un buon tratto di strada a cavallo senza intoppi di alcun genere, Eikhe li fece fermare nelle vicinanze di un piccolo tempio rupestre.

Senza dire nulla, vi entrò con una piccola sacca di pelle in mano, lasciando che al campo provvedessero i soldati.

Inginocchiatasi di fronte alla statua del dio-lupo, Eikhe intonò una preghiera per propiziare il loro viaggio dopodiché, poggiato il suo tributo ai piedi del dio, si levò in piedi e osservò con sguardo perso i begli affreschi alle pareti.

I passi leggeri di qualcuno alle sue spalle la portarono a voltarsi di colpo e, un po’ sorpresa, Eikhe vide il principe avanzare lentamente, intento a osservare i dipinti della cappella.

Fermatosi a un passo da Eikhe, Aken mormorò: “Sono molto belli… è il vostro dio, questo?”

“Sì, è Hevos, il dio-lupo. Lo veneriamo al pari della nostra capostipite” asserì, indicando l’immagine di una graziosa fanciulla dai capelli dorati. “Lei è Hyo, colei che diede inizio alla nostra stirpe.”

Osservandola attentamente, Aken notò un particolare non da poco e, chinando lo sguardo su Eikhe prima di guardare la statua del dio, fu colto da un dubbio .

Grattandosi la guancia con fare pensoso, le chiese: “Quanto tempo fa è stato fatto questo dipinto?”

Sorridendo misteriosa, lei dichiarò: “Quasi quattrocento anni fa, perché?”

“Non ho potuto fare a meno di notare la somiglianza che c’è tra te, Hyo e Hevos” dichiarò Aken, accigliandosi leggermente.

Eikhe sollevò un sopracciglio con ironia e domandò: “Cosa c’è? Il potente principe ha paura della mia discendenza divina?”

“Dico solo che è curioso” precisò lui, sbuffando.

Perché doveva ironizzare su tutto?

Addolcendo i tratti del volto, Eikhe tornò a fissare Hyo e disse: “Forse è realtà, o forse no, ma a me piace la morale della storia tra Hyo e il dio-lupo.”

“E cioè?” le chiese, curioso.

Guardandolo per un momento, domandandosi se realmente fosse interessato a conoscere la storia, Eikhe sospirò e cominciò a narrargli gli eventi che la vecchia Harua le aveva raccontato tanti anni prima.

Sorpreso dallo sguardo malinconico che apparve negli occhi dorati della ragazza, Aken cominciò a chiedersi se non gli stesse nascondendo qualcosa.

Quando ebbe terminato il racconto, Eikhe gli domandò: “Tu avresti barattato tua figlia per la tua compagna?”

Sorpreso da quella domanda, Aken ci pensò su un attimo prima di ammettere: “No, non credo. Se avessi una figlia, ella rappresenterebbe l’amore tra me e la mia compagna, quindi non potrei dire di averla persa. E avrei il dovere di crescerla con tutto l’affetto possibile, ricordandole anche l’amore che provò la madre nel metterla al mondo.”

Il sorriso che si dipinse sul volto di Eikhe lo stupì, stregandolo al punto tale da non fargli notare che la ragazza, sfiorandolo al braccio, aveva di fatto annullato ogni distanza tra loro.

Con un sussurro a metà tra il divertito e il sorpreso, lei si appoggiò al suo avambraccio per alzarsi in punta di piedi e, al suo orecchio, disse: “Il principe Aken, a quanto pare, è anche una persona romantica e prodiga d’amore.”

A quelle parole, Aken si scostò da lei come se si fosse scottato ed Eikhe, ridacchiando, domandò: “Ti offende sentir apprezzare il tuo lato più nascosto?”

“Non è questo. Sono solo poco abituato a mostrarlo” brontolò lui, fissandola malamente. “E mi stupisce molto che a te piaccia una storia simile, visto dove e come vivi.”

Indispettendosi subito, lei replicò con un sibilo: “Non ho mai detto che mi piaccia vivere così!”

Detto ciò, se ne uscì a grandi passi e Aken, basito di fronte a quella risposta, si chiese se la ragazza fosse felice di vivere come le avevano insegnato o se, in realtà, non aspirasse ad altro.

Tornando a guardare la statua del dio di Eikhe, Aken mormorò dubbioso: “Sai rispondermi tu, dio che le guidi lungo un cammino così aspro e duro?”

Naturalmente, non ottenne risposta.

Nell’osservare Hyo e il dio insieme alla loro figlia, Aken si chiese se, in realtà, lei non aspirasse tanto ad avere una vita come le altre donne-lupo ma, piuttosto, ad avere un compagno per la vita come era successo alla loro capostipite.

“Come un lupo” disse tra sé, chiedendosi se non fosse quello l’insegnamento ultimo che il dio aveva voluto trasmettere, e non l’odio verso gli uomini.

Scrollando le spalle per cancellare quei pensieri che non erano da lui, Aken se ne uscì dal piccolo tempio, lasciando un obolo ai piedi della statua.

Era meglio non indagare oltre sulla faccenda.

Non era un amante della teologia e, di certo, non avrebbe iniziato in quel momento a occuparsi di uomini e dèi.

Guardandosi intorno per cercare la figura di Eikhe non appena fu fuori dal tempietto, la trovò appollaiata su un masso, diversi metri più in alto rispetto a loro, in compagnia di Nys.

Vedendo le loro teste vicine, si chiese nuovamente se la ragazza non avrebbe preferito essere un lupo.

Sbuffando, distolse lo sguardo e se ne tornò al falò insieme ai suoi uomini.

Preso un po’ di sidro per sé, lasciò che la sua mente si allontanasse dalla figura di Eikhe e da ciò che essa comportava.

Era preferibile pensare unicamente alla sua missione, e a quanto dovesse fare per riportare a casa i suoi uomini sani e salvi.

Da quello che Eikhe gli aveva detto, entro un giorno avrebbero raggiunto la fine della Valle del Silenzio, dove il fiume Fenak estendeva il proprio letto in un altopiano roccioso.

Lì, sarebbe stato possibile guadarlo senza problemi.

Da quel punto in poi, si sarebbero spinti nuovamente a nord-ovest per raggiungere Anok Fort e, se tutto fosse andato bene, lo avrebbero raggiunto in una settimana.

Scoprire cosa fosse successo, a quel punto, sarebbe stato facile.

Temeva solo il giorno in cui avesse scoperto la verità perché, anche nelle più rosee previsioni, non doveva trattarsi di niente di buono.

Sgranocchiando una galletta, Aken chiese a Lenar: “Likas è in perlustrazione?”

“Sì, Aken…” poi, con un sorrisino, aggiunse: “… non gli è piaciuto per nulla il trattamento che gli ha riservato Eikhe, questo è certo. Fossi in te, vedrei di tenerli il più lontano possibile l’uno dall’altra, se non vuoi ritrovarti con due cadaveri durante il percorso.”

“Temevo sarebbe successo…” sospirò Aken, prima di guardare i suoi uomini e dichiarare: “…perciò, vale la pena di spendere due parole in proposito. Quello che ho detto a Likas, vale anche per voi. Non voglio che le manchiate di rispetto, è chiaro?”

“Con quel lupo a farle da guardia, solo uno sciocco poteva pensare di avvicinarla” borbottò Finarr, mangiando la sua cena a testa bassa. “Ma non mi va giù che se ne vada in giro, e si atteggi, come un uomo.”

“La sua tribù le ha insegnato questo” precisò Lenar.

“Piantala di difenderla su tutto!” sbuffò Rias, fissando il compagno con astio. “Se quella femmina si fosse comportata in maniera consona, Likas non avrebbe fatto ciò che ha fatto!”

“Non la difendo, visto che non ne ha bisogno…” precisò Lenar, irritato. “… sto solo dicendo che l’educazione che le hanno dato è questa, quindi non potete pretendere che si comporti diversamente.”

“Che c’è, Lenar, te la sei scopata ben bene, e non ce ne siamo accorti, per decantare tanto quella troietta?” ridacchiò Farall, fissandolo ironico.

Lenar fece per mettere mano al pugnale, mentre Aken si alzava con un diavolo per capello.

Tutti, però, Farall compreso, si azzittirono subito quando, dagli alberi, giunsero le risatine allegre di diverse donne.

Scivolando a terra dai rami su cui erano rimaste appollaiate fino a quel momento, apparvero agli occhi degli uomini interamente coperte da pelli d’orso.

I loro volti, oscurati da maschere di terracotta, resero le loro voci roche e leggermente ridondanti.

“Ma guarda… degli uomini in terra sacra.”

Puntando loro contro le lunghe lance che tenevano in mano, l’unica donna con la maschera tinta di bianco ringhiò torva: “Cosa ci fate, qui?!”

Accorrendo loro incontro, Eikhe si affrettò a dire: “Sono con me, saggia Akeva! Non levate le armi contro di loro, per favore!”

La donna che aveva parlato per ultima, sollevando la maschera, guardò Eikhe per un momento prima di dire: “Ah, figlia sacra. Come mai hai condotto qui questi uomini?”

“Dovevo la mia visita al dio ed ero in zona, così…” scrollò le spalle lei, mordendosi nervosamente un labbro.

“Un uomo si aggira per i boschi,… fa parte del tuo gruppo anche lui?” chiese un’altra donna, rimanendo a volto coperto, la lancia sempre levata verso gli uomini di Aken.

“Sì, Saggia Guardiana” mormorò Eikhe, mantenendosi vigile e attenta, le mani leggermente tremanti.

Osservando uno a uno i soldati, che erano rimasti seduti sotto la minaccia delle loro armi, Akeva asserì severa: “Non ho gradito le parole di scherno che sono uscite dalle bocche di alcuni di loro. Sai che non ammettiamo comportamenti simili, sul territorio del dio-lupo.”

Tutti fissarono malamente Rias e Farall ed Eikhe, cercando di correre ai ripari, disse lesta: “Devi perdonarli, Saggia Akeva, non…non conoscono la prassi e loro…loro…”

Notando le mani tremanti di Eikhe, Aken si chiese se avesse paura di quelle donne.

Nel suo sguardo, però, lesse ben altro, di certo non timore.

Anche Akeva, probabilmente, dovette leggervi un potenziale pericolo perché, assottigliando le iridi perlacee, chiese preoccupata: “Sono tua responsabilità, figlia sacra?”

“Sì… e io…” tentennò, reclinando il capo per poi stringersi le braccia al petto, quasi volesse bloccare se stessa. O qualcosa dentro di lei.

“Abbassate le armi!” esclamò in fretta Akeva, volgendosi verso le sue compagne per essere certa che l’ordine venisse immediatamente eseguito.

Sospirando di sollievo non appena le lance vennero calate, Eikhe si passò una mano sul volto, divenuto pallido come la luna e, scrutando grata Akeva, mormorò roca: “Grazie, Saggia Guardiana.”

“Scusami, figlia sacra, non ho capito subito la situazione per quella che era. Termina pure la tua missione, e che Hevos ti accompagni” asserì Akeva prima di guardare le sue compagne e dichiarare: “Andiamocene, qui non c’è bisogno di noi.”

In pochi attimi, come erano venute, le donne-lupo si dileguarono nella notte e gli uomini, sospirando di sollievo, dissero quasi all’unisono: “Ma da dove sono sbucate?”

Infuriata, Eikhe si volse verso di loro con un diavolo per capello e sibilò: “E’ tutto il giorno che ci sorvegliano, idioti! Se proprio volete dire fesserie, non ditele qui, quando ci sono le Guardiane ad ascoltarvi! Loro odiano gli uomini… più di qualsiasi altra di noi!”

“Ehi, ma non potevi dircelo?!” ribatté Rias, sentendosi un po’ sciocco per non essersi reso conto di niente.

“Pensavo ve ne foste accorti!” sbottò la ragazza, a denti stretti, le mani ancor più tremanti di prima. “Sareste morti, se non fossi intervenuta e, per poco, non mi avete portato allo scontro!”

“Le avresti… attaccate?” esalò Lenar, sorpreso.

Con occhi colmi di lacrime, lei crollò in ginocchio e, scoppiando a piangere, annuì sconvolta, non riuscendo a rispondere di fatto all’uomo.

Lenar, prendendola tra le braccia, la cullò gentilmente, fissando aspro i suoi compagni.

“Sarete contenti, adesso!”

I soldati ebbero la decenza di tacere ma Aken, che non aveva perso un solo attimo di quella strana conversazione, non ebbe il tempo di sentirsi in colpa.

Piuttosto, si chiese cosa avesse voluto dire la Guardiana, definendola ‘figlia sacra’.

Cosa ancora più dubbia, però, cosa avesse voluto dire Eikhe, insistendo sul fatto che lei avrebbe attaccato le sue stesse compagne, pur di difendere loro.

E ancora, cosa aveva voluto dire, col fatto che quelle donne odiavano gli uomini più di loro?

Intendeva dire tutte le donne-lupo e, in quel caso, per quale motivo,… o c’era dell’altro? Qualcosa che Eikhe stava tenendo loro nascosto?

Cosa nascondeva quella ragazza che, solo un attimo prima, era parsa pronta a dar battaglia mentre, in quel momento, piangeva disperata tra le braccia di Lenar?

Davvero non comprendeva, ma quell’episodio presentava più di una lacuna, ai suoi occhi.

Dopo lo scampato scontro, comunque, i soldati si infilarono silenziosi nelle loro tende mentre Aken, come suo solito, si apprestò a fare il primo turno di guardia.

Sedendosi contro un albero, il principe osservò Eikhe che, in quel momento, dormiva placida accanto a Kalkos e Nys.

Per un istante, si chiese come stesse, e se lo scoppio di pianto l’avesse aiutata a calmarsi.

Vederla tremare a quel modo lo aveva preoccupato perché, nei suoi occhi, non aveva letto paura, ma sete di sangue.

Per una ragazza esile come Eikhe, gli aveva dato un po’ i brividi.

Pur essendo più alta di molte altre donne che aveva conosciuto – superava il metro e settanta – il suo fisico era asciutto e, all’apparenza, troppo debole per essere definito pericoloso.

Eppure, aveva combattuto contro un orso e, poche ore addietro, aveva minacciato un intero gruppo di donne-lupo ben più robuste di lei.

Che fosse tenuta per legge a difendere chiunque lei guidasse, fossero essi anche uomini addestrati alla lotta?

No, non credeva fosse questo, il problema.

Quindi, cosa poteva voler dire lo sguardo pieno di livore e furia che aveva scorto in quegli occhi di lupo?

Quando Aken si sentì interpellare, quasi non sobbalzò sulla stuoia che aveva steso a terra.

Sorpreso, vide Eikhe avvicinarlo per poi sedersi al suo fianco, avvolgendosi nel suo pesante mantello d’orso.

“Avevi bisogno di qualcosa, Eikhe?” le chiese, sorpreso di vederla sveglia.

Scrollando le spalle, la ragazza mormorò mogia: “Non riuscivo a dormire, così ho pensato di aiutarti a montare di guardia.”

“Mi spiace per quello che hanno detto i miei uomini. Dovrei mettere un tappo in bocca a ciascuno di loro ma, purtroppo, non ne ho qui con me” brontolò lui, accennando un mezzo sorriso di contrizione.

“Non mi curo di ciò che dicono. Le parole non uccidono nessuno e, a volte, io stessa faccio battute scadenti su noi donne…” ironizzò lei, ammiccando. “…ma le Guardiane non la pensano così, e preferirei stessero attenti a quel che buttano fuori da quelle fogne a cielo aperto che sono le loro bocche”

“Glielo dirò…” assentì lui, prima di domandarle: “…ma puoi spiegarmi perché hai detto che le avresti attaccate? E cosa volevi dire, dicendo che loro odiano più noi uomini che voi donne-lupo?”

“Siete sotto la mia protezione perché io sono la vostra guida, e la mia parola è un impegno. Con tutto ciò che essa comporta” sospirò lei, afflitta. “E, per quel che riguarda la mia asserzione, significa che loro non sopportano quelle come me. Gli occhi gialli, per intenderci. Ci reputano delle… aberrazioni. Non posso dirti altro, principe. Può bastare per sanare la tua curiosità?”

“Mi accontenterò” assentì l’uomo, scrollando le spalle. “Il tuo mantello? Puoi raccontarmi dove l’hai preso?”

Ringraziandolo mentalmente per quel cambio di argomento, Eikhe disse: “Lo abbiamo catturato io e Nys, un anno fa. Io sono tornata a casa con un braccio rotto, e Nys aveva graffi ovunque, ma la pelle ce l’ho io, ora.”

“Eikhe, ma… quanto era grosso?” esalò, sorpreso.

“Un po’…” borbottò, pensierosa. “… ben più alto e grosso di te, comunque.”

“Mi stai dando dell’orso?” ritorse lui, aggrottando la fronte.

“Forse sì” ammise la ragazza, sorridendo sotto la coltre di pelliccia.

“Burlarsi del proprio principe. Non sei molto educata” mugugnò, fingendosi offeso pur non essendolo. Gli piaceva parlare con Eikhe, senza che vi fosse astio tra loro.

“No, forse non lo sono, ma a mio padre sto bene così” sospirò infine la giovane, le palpebre ora pesanti per il sonno.

“Tuo … padre? E Kaihle?”

“Lei? Forse solo il dio-lupo sa cosa vorrebbe da me…” ridacchiò, prima di aggiungere: “… dimentica quel che ho detto; è solo una sciocchezza infantile.”

“Come vuoi” mormorò Aken.

Rimasero in silenzio per diverso tempo finché Aken, sbirciandola in viso, non la vide addormentarsi e crollare a terra per la stanchezza.

Arrischiandosi a coprirla per bene con il mantello, il principe scorse sui palmi delle  mani di Eikhe i segni lasciati dalle sue unghie.

Sorpreso, notò il sangue rappreso dove si era lacerata la carne. Che cosa aveva trattenuto, per ferirsi a quel modo?

***

La mattina venne ed Eikhe, dopo aver lanciato uno sguardo al tempio del dio-lupo, riprese il cammino lungo il sentiero senza dire una parola.

Gli occhi ambrati, vigili e attenti al minimo cambio di luce, setacciavano ogni centimetro visibile del bosco.

Dietro di lei, Aken si chiese se la preoccupazione che aveva letto nei suoi occhi, la sera precedente, fosse scemata.

Quando, però, la sentì discutere con Rias, che si stava lagnando circa i disagi del viaggio, sorrise più tranquillo.

Se non fosse stata irascibile come suo solito, non avrebbe dato risposte così mordaci al suo soldato.

Dopo quel momentaneo scoppio d’ira tra i due, tornò il silenzio nella piccola compagnia guidata da Eikhe.

Più tranquilla, la ragazza si concesse il lusso di estrarre da una sacca un pezzo di pelle, un ago e del filo colorato, e iniziò a cucire seduta sulla sella.

“Ah, finalmente una cosa da donne!” celiò Farall, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Lenar.

Eikhe neppure lo ascoltò e, con occhio attento, si mise a ricamare la borsetta di pelle che stava confezionando per la moglie di suo padre.

Il suo onomastico cadeva nell’anno nuovo ma, per terminare quell’elaborato ricamo, sapeva che avrebbe impiegato molto tempo.

Impegnata com’era con quella missione, e con il ritiro delle prede dalle trappole - cui avrebbe dovuto pensare al suo ritorno -, era meglio sfruttare ogni momento disponibile.

Curioso, Aken spronò il suo cavallo per affiancarlo a quello della ragazza e, nello sbirciare il suo elaborato ricamo, mormorò ammirato: “Ci perderai la vista.”

“Non corro questo rischio” dichiarò lei, senza staccare gli occhi dal suo lavoro.

“Non dovresti guardare la pista?”

“Kalkos sa quale strada percorrere. E Nys è le mie orecchie e i miei occhi” gli spiegò pacata Eikhe.

“Ti fidi molto” asserì Aken, continuando a scrutare il movimento ipnotico della mano di Eikhe. Era davvero veloce, nel ricamare, oltre che molto brava.

Sollevando un momento lo sguardo per puntarlo su Aken, lei domandò con semplicità: “Ti fidi dei tuoi uomini, principe? Daresti in mano loro la tua vita?”

“Beh, sì, certo” ammise lui.

“Al pari tuo, io affiderei la mia vita a loro due. Siamo cresciuti insieme, e il rapporto che ci lega è più profondo di quanto tu non possa immaginare, principe. Questo ci porta a pensare, prima di tutto, al benessere dell’altro prima che al nostro. Ciò fa di loro i miei compagni, come i tuoi soldati sono i tuoi compagni d’arme” gli spiegò Eikhe, tornando al suo lavoro di cucito. “In questo, noi due siamo simili, principe.”

“Credo di sì” ammise Aken, guardando Nys, intento ad annusare l’aria.

Il grande lupo si volse a osservarlo per un momento poi, senza motivo apparente, trottò avanti per aprire la pista, lasciando sola Eikhe insieme a loro.

Era più che evidente che Nys non la volesse lasciare con loro, poiché non aveva idea di ciò che avrebbero potuto farle.

In egual maniera, però, sapeva di doversi spingere in avanscoperta per evitare loro dei guai.

Abbozzando un sorriso, Aken mormorò spiacente: “Povero lupo; gli verrà un esaurimento nervoso, di questo passo.”

“Eh?” esalò Eikhe, sorpresa.

Guardandola un momento in quegli enormi occhi dorati, Aken aggiunse: “E’ preoccupato per ciò che potremmo farti in sua assenza, e non gli piace allontanarsi, anche se sa che deve farlo.”

Sorridendo compiaciuta, lei annuì e dichiarò: “Hai spirito di osservazione, principe, i miei complimenti.”

“Imparo molto, osservando” si limitò a dire lui, scrollando un poco le spalle.

Eikhe emise una breve risatina, dopodiché tornò a dedicarsi al suo ricamo.

Non avendo altro da dirle, Aken osservò il bosco che li precedeva sapendo che, con Nys dinanzi a loro, non correvano pericoli.

Curioso come, in pochi giorni, fosse arrivato a fidarsi tanto di un lupo, eppure era così.




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Capitolo 5
*** cap.5 ***


Questo capitolo è un po’ triste, ma non si poteva evitare, vista l’avventura che attende Aken, Eikhe e Nys. Fatemi sapere che ne pensate! ^_^






5.

 

 

 

 

 

Imprecando vistosamente, quando si trovò a fissare a occhi sgranati il fronte di una frana dalle proporzioni enormi, Eikhe scese da cavallo, incredula e furiosa.

“Non è possibile! E’ a dir poco senza senso!”

Imitandola, Aken la affiancò, guardando amareggiato l’enorme distesa di massi sconnessi color grigio tortora dinanzi a loro.

Pareva che i demoni stessi si fossero divertiti a sparpagliare per il sentiero pezzi di roccia grandi come palazzi.

“La nostra pista passava di lì?”

“Purtroppo sì, e non possiamo attraversarla. I cavalli si romperebbero le zampe, e non possiamo raggiungere Anok Fort a piedi, in questa stagione” sbuffò Eikhe, camminando pensierosamente avanti e indietro, cercando freneticamente di trovare una soluzione a quel guaio colossale.

Lanciando sguardi alterni alla sua compagnia e alla frana, Eikhe finì col dire dubbiosa: “Provo a saggiare il terreno, ma non prometto nulla.”

“Che cosa?! Non se ne parla!” esclamò Aken, bloccandola per un braccio.

Lei lo fissò astiosa per un momento, prima di prendere un gran respiro per calmare i nervi e aggiungere: “Non voglio lasciare nulla di intentato, prima di cercare un’altra via. E’ meglio.”

“Ti accompagno, allora” brontolò il principe, deciso a non mollare.

Subito, Lenar si intromise.

“Vado io con lei, principe.”

Eikhe gli sorrise grata ma Aken, scuotendo il capo, replicò: “Chi comanda, qui?”

La ragazza-lupo fece tanto d’occhi e Lenar, annuendo, reclinò il capo con un cenno di assenso.

Slacciatosi in fretta la spada, il principe dichiarò: “Bene, vedo che ci siamo capiti.”

Sollevando le braccia al cielo, Eikhe esalò nuovamente a gran voce: “Non è possibile!”

Aken si limitò a ridacchiare e, con passo cauto, cominciò ad arrampicarsi sui massi gelidi che, da pochi giorni, avevano tagliato a metà il bosco.

Quell’inconveniente li divideva dalla mulattiera che li avrebbe condotti al fiume Fenar e, da lì, alla pista che conduceva ad Anok Fort.

Affrettandosi a seguirlo, Eikhe ingiunse a Nys di non muoversi dopodiché, raggiunto il principe, borbottò: “Non era necessario che venissi, principe.”

“La spedizione la comando io, e non mi va che la mia guida rischi da sola” replicò lui, mostrandole un mezzo sorriso da sopra la spalla.

“L’importante è che tu possa dire di aver messo in chiaro la tua autorità con una donna” sbuffò per contro la ragazza, accigliandosi.

“Piantala di lamentarti, Eikhe, e cerca di capire se questi affari reggono” si limitò a dire lui, indicando i macigni distribuiti in modo disordinato intorno a loro.

Le guglie della Valle del Silenzio avevano fatto loro proprio un bel regalo, decidendo di crollare poco prima del loro passaggio.

Mostrando i denti per la rabbia e la frustrazione, Eikhe cominciò a guardarsi intorno con occhio clinico, talvolta saltando a piè pari su alcuni massi, sempre sotto lo sguardo vigile di Aken.

Per nulla al mondo, lui si sarebbe perdonato se alla ragazza fosse capitato qualcosa di male.

Aggrottando la fronte a ogni movimento pericoloso dei massi sotto di lei, Eikhe strillò di sorpresa quando una lastra scivolò sotto di loro, minacciando di portarli a valle.

Senza pensarci, la ragazza spinse via Aken al solo scopo di non farlo ruzzolare lungo la scarpata, rimanendo però bloccata sulla roccia pericolante.

Aken crollò su un masso vicino, stordito e sorpreso dal suo gesto e, guardandola scivolare insieme al masso, gridò il suo nome, già prevedendo la sua misera fine.

Al colmo dello stupore, però, la vide piegarsi su se stessa e balzare via con la stessa agilità e forza che avrebbe impiegato lo stesso Nys, ricadendo incolume su un masso, poco più in basso rispetto a lui.

Dietro la coltre di massi, le grida concitate degli uomini dissero ad Aken che avevano udito i rumori prodotti dalla lastra scivolata a valle.

Per rincuorarli, perciò, gridò: “Tutto a posto! Stiamo bene!”

Voltandosi verso valle, poi, si affrettò ad allungare una mano a Eikhe per aiutarla a risalire, fissandola in viso con un’espressione molto simile all’ammirazione.

Avvedendosene, lei arrossì leggermente e borbottò: “Scusa se ti ho spinto. Non ti ho fatto male, vero?”

“Non direi” scosse il capo, sorridendole. “Fai onore al tuo nome. Non avevo mai visto un essere umano muoversi con così tanta agilità. Evidentemente, stare tanto tempo nei boschi, fortifica e rende abili.”

“Come? Oh, sì, … sì” annuì in fretta lei, prima di sentenziare torva: “La pista non è praticabile, comunque. Dovremo passare lungo il Cono del Silenzio.”

“Il che?” esalò il principe, sorpreso.

Storcendo il naso, Eikhe mormorò ombrosa: “Una pista che si trova a poche miglia da qui. E’ su un altro versante, e non è stata sicuramente toccata dalla frana, ma non mi piace percorrerla.”

“E perché?” le chiese, mentre tornavano sui loro passi.

“E’ pericolosa, maledettamente pericolosa. Le correnti d’aria provenienti dal fiume, che scorre a un centinaio di metri sotto il sentiero, impediscono l’uso dell’olfatto e dell’udito. Per questo, viene chiamato Cono del Silenzio, perché nessuno può udire nulla, in mezzo a quel caos di suoni” gli spiegò, fissandolo dubbiosa.

Eikhe si guardò intorno, sempre più turbata e ansiosa, ma aggiunse: “E’ il luogo ideale per un agguato e anche Nys sarà inutile, perché io non potrei udirlo, se anche andasse in avanscoperta e mi segnalasse il pericolo.”

“Capisco” sospirò lui, storcendo la bocca in una amara piega di disappunto.

“Per questo, ho preferito allungare un po’ il tragitto e passare di qui, ma mi è andata male” sospirò a sua volta Eikhe, fissandolo spiacente.

“Non è colpa tua. Hai cercato di evitarci il maggior numero di guai, e te ne sono grato” disse sinceramente Aken.

“E’ il mio compito” annuì semplicemente la ragazza-lupo, scendendo d’un balzo dal muro della frana.

“Montate a cavallo, si torna indietro. Imboccheremo un sentiero più pericoloso, ma è l’unico che ci rimane” dichiarò Aken ai suoi uomini, mentre risaliva in sella al suo stallone.

I soldati annuirono con aria grave ed Eikhe, rimessasi a capo del gruppo, li guidò lungo un sentiero laterale.

In lontananza, il rombo sordo e violento del fiume Fenar cominciò a farsi strada.

Eikhe sapeva bene che procedere lungo quel sentiero poteva essere pericoloso, specialmente se qualcuno aveva intenzione di tendere loro una trappola.

Non esisteva comunque altro modo, per raggiungere la loro meta.

Avrebbero dovuto passare in quella gola che le metteva i brividi, e la faceva sentire inutile e indifesa.

***

Il sole reclinò all’orizzonte, tingendo le nevi dei Monti Urlanti con toni dell’amaranto e del rosso, tanto da apparire come enormi laghi di sangue.

Il vento, che fino a quel momento non avevano percepito perché in mezzo al bosco, cominciò a farsi sentire prepotente, facendo agitare i mantelli e nitrire i cavalli per il fastidio.

Il sentiero che stavano per imboccare procedeva lungo il fianco sud di una valle ripida e stretta, chiamata Valle del Silenzio.

Da essa, quella stretta mulattiera aveva preso il suo sinistro nome.

Imboccarlo, e percorrerlo per raggiungere Anok Fort, avrebbe richiesto molto meno tempo rispetto al Sentiero dell’Orso, ma Eikhe odiava usarlo.

A causa della sua pericolosità, preferiva evitarlo ogni volta che poteva, e anche questa volta non fu diverso.

Dando delle pacche consolatorie a Kalkos, Eikhe mormorò spiacente: “Non cambia mai, questo posto, amico mio.”

Osservando le pareti a strapiombo, che incombevano su di loro come zanne pronte a chiudersi in un colpo solo, Aken osservò oltre la gola e dichiarò torvo: “Il confine con Vartas.”

“Già” annuì Eikhe, guardandolo turbata. “Oltre quelle rocce adunche e quelle pinete impervie, si può raggiungere uno dei loro punti di osservazione più sfruttati. Ogni tanto ci vado, giusto per curiosare, ma è sempre ben presidiato. Poco più in là, verso est, c’è il loro avamposto.”

Proseguendo al passo per non far innervosire i cavalli - il sentiero era stretto e poco agevole - Eikhe e gli altri avanzarono lungo la strada cercando di non lasciarsi distrarre dal sibilo incostante del vento.

Al pari dei cavalli, Nys tenne le orecchie basse per non lasciarsi ingannare dai rumori illusori portati dalle raffiche provenienti da valle.

Un centinaio di metri più in basso, graffiante e rabbioso, il Fenar ruggiva in quella gola stretta e imponente, lanciando gridi disumani che avrebbero spaventato chiunque.

Anche i soldati valorosi a cui si stava accompagnando Eikhe in quel momento.

L’umore di tutti non impiegò molto per farsi più cupo finché, a un certo punto, Rias perse del tutto il controllo.

Sbottando furioso, esclamò: “Dove diavolo ci hai portato, strega?!”

Bloccando la cavalcatura, Eikhe ringhiò da sopra una spalla: “Piantala di urlare, idiota! Peggiori solo la situazione!”

“Smettila immediatamente, Rias. Siamo stati debitamente avvertiti che sarebbe stato un percorso disagevole” disse a sua volta Aken, tenendo a stento il suo cavallo che, al grido di Rias, si era ulteriormente innervosito.

“Non mi interessa! Sono stanco di ascoltare le parole di quella donna! Che se ne stia al suo posto, una volta per tutte!” sibilò il soldato, scendendo da cavallo con aria bellicosa.

“Stupido” sussurrò Eikhe, voltandogli le spalle con aria disgustata.

Lenar fu lesto ad allungare un braccio per fermare Rias e, fissandolo malamente, gli intimò: “Smettila di comportarti come un bambino! Non stiamo giocando!”

“Lo so perfettamente!” esclamò Rias, estraendo un pugnale e allontanando con le minacce Lenar.

Aggrottando la fronte, Aken ordinò perentorio: “Adesso basta. Hai esagerato. Rinfodera quel pugnale, se non vuoi che mi arrabbi sul serio.”

Giunto al fianco del principe, incurante degli sguardi di tutti e degli occhi socchiusi di Eikhe – fissi su di lui con espressione meditabonda – Rias lo guardò con occhi spiritati ed esclamò: “Lo farò subito!”

Detto ciò, senza alcun preavviso da parte sua, Rias affondò il pugnale nel collo di Kalkos, portando Eikhe a urlare rabbiosa mentre il cavallo, con un nitrito, crollava a terra in fin di vita.

Assistendo alla scena, impietrito dalla sorpresa, Aken non fece in tempo ad afferrare Eikhe e, sgomento, la osservò cadere a terra prima di rendersi conto delle intenzioni di Rias.

Nel momento stesso in cui lo vide piegarsi in avanti con l’intento di aggredirla, si mosse veloce sulla sella e lo gettò al suolo con uno spintone, gridando: “Non un passo di più, folle! Uomini, bloccatelo!”

In fretta, Farall e Gar scesero dai cavalli per bloccare Rias.

Volgendosi per aiutare Eikhe ad alzarsi, Aken la vide portare mano alla daga, gli occhi iniettati di sangue e i denti snudati, come in cerca di una preda da azzannare.

“Eikhe, aspetta, tocca a me…” cominciò col dire lui, prima di veder crollare a terra uno dei suoi uomini, colpito al petto da una freccia.

Sorpresa, Eikhe perse subito di vista la sua vendetta e volse lesta lo sguardo in direzione delle guglie che li circondavano.

Sgranando gli occhi, scorse tra esse almeno una ventina di uomini armati fino ai denti, tra cui diversi arcieri.

Strillando a pieni polmoni, spinse Aken dietro il corpo ancora caldo di Kalkos e gridò: “Una ventina di soldati! Sulle rocce!”

Annuendo in fretta, Aken volse lo sguardo verso l’alto per scorgere la posizione dei loro nemici.

Già sul punto di richiamare all’ordine i suoi soldati, dovette azzittirsi alla vista di altri armigeri provenienti dalla strada che avevano appena percorso.

Li avevano accerchiati!

Le spade vennero sguainate, ma il numero di nemici presenti, e le frecce che schizzavano da ogni dove, volsero subito il risultato dello scontro a loro svantaggio.

Pur essendone consapevole, Aken non volle neppure per un momento pensare alla resa.

Non gliel’avrebbero concessa, poiché sapeva bene cosa i suoi nemici volevano in realtà; la sua morte.

Cercando di difendersi come meglio poté, del tutto impotente di fronte alla possibile morte dei suoi uomini, Aken lanciò uno sguardo dietro di sé, cercando Eikhe.

Vedendola assieme a Nys, si sentì stranamente sollevato, sapendola ancora viva.

Quel benessere, però, durò ben poco perché, a peggiorare una situazione di per sé già disperata, arrivò anche una persona che lui, purtroppo, conosceva fin troppo bene.

Fermando il cavallo a poca distanza dai cadaveri dei soldati già caduti durante il primo scontro, il principe Nargan di Vartas sollevò una mano per bloccare le ostilità.

Sorridendo lascivo ad Aken, esordì dicendo: “Finalmente, il primogenito di Arkan è giunto a trovarmi. E’ da un po’ che ti cerco, sai?”

“Nargan. Davvero bello scherzo, mi hai fatto. Se non sapessi che è impossibile, direi che la frana l’hai fatta cadere tu” sbottò Aken, continuando a controllare le mosse del nemico con la coda dell’occhio.

Osservando la strage di uomini che lo circondava, Nargan dichiarò divertito: “Ti rimangono pochi uomini, da quel che vedo e… ah, una donna-lupo. E della peggior specie, oltretutto.”

Eikhe assottigliò le iridi dorate, stringendo maggiormente la daga nel suo pugno e Nargan, sogghignando al suo indirizzo, asserì: “Sììì,… riconosco quegli occhi di fuoco. Molte tue compagne sono al mio servizio, cara… non vorresti seguire il loro esempio?”

“Non vendo me stessa a nessun uomo, come a nessun principe o re” replicò Eikhe, rigida e fiera.

“Sì, dite sempre le stesse cose ma, dopo un breve soggiorno presso le mie reali dimore, cambiate tutte idea” sorrise mellifluo Nargan. “Cambierai anche tu.”

“Morirò, prima che tu possa toccarmi” dichiarò la ragazza-lupo, guardandolo senza timore alcuno nello sguardo.

Tornando a osservare Aken, Nargan gli chiese con sincero interesse: “Hai già assaggiato la sua carne succosa, Aken? Provala, ti saprà soddisfare. Se è come le sue sorelle, è appetitosa come un frutto proibito.”

Assottigliando pericolosamente le iridi dorate, Eikhe digrignò i denti e Nargan, leccandosi le labbra come pregustando un pranzo prelibato, disse ghignante: “Sì, infuriati, figlia sacra, sfoga la tua forza affinché io possa goderne. Mi saprai dare lo stesso piacere che mi hanno dato le tue compagne del Valico, ne sono sicuro.”

“Maledetto!” ringhiò lei, tremando di rabbia.

Ecco spiegato perché, al Valico, non erano più presenti i branchi di lupi!

“Eikhe” mormorò Aken, voltandosi a guardarla con occhi sgomenti.

Pallida in viso e tremante, aveva lo stesso sguardo voglioso di sangue che il principe le aveva scorto pochi giorni addietro, al tempio.

Cosa voleva dire, Nargan, con quelle parole? Perché Eikhe doveva infuriarsi?

“Non userò la mia forza per farti godere del massacro che compirei!” gridò infine lei, gettando a terra la daga, e sorprendendo sia Nargan che Aken.

Tornando impassibile in volto, il Signore di Vartas sollevò nuovamente il braccio e ordinò: “Uccideteli tutti e prendete lei viva! La voglio per la mia collezione!”

Già pronta a dar battaglia, Eikhe sentì Lenar gridare al suo indirizzo: “Eikhe, porta via di qui il principe! Salvalo!”

“Ma che dici, Lenar!?” ringhiò Aken, contrariato.

Spingendo indietro il principe, Lenar si pose tra loro due e i nemici, ingiungendo: “Andate!”

Lanciato uno sguardo disperato ad Aken, la ragazza lo prese per mano ed esclamò: “Seguimi, e non fare domande!”

Dopo aver osservato per l’ultima volta i suoi uomini, la seguì lontano dai combattimenti mentre le grida, dietro di loro, riprendevano senza sosta.

Con gli occhi colmi di lacrime, la ragazza-lupo cominciò a correre lungo il sentiero, tallonata da Aken, che ancora la teneva per mano.

Non appena raggiunse un punto lungo cui calarsi, lasciò andare il principe e cominciò a scendere, tenendosi come meglio poté alle pareti di roccia.

Subito dubbioso, Aken la seguì, pur gridandole: “Dove vai?! Non arriveremo da nessuna parte, così! E dov’è Nys?! Non lo vedo da nessuna parte! Non possiamo abbandonare anche lui!”

“Fidati!” replicò soltanto lei, lanciando occhiate nervose alla strada che correva sopra di loro.

Dovevano scendere il più possibile prima di gettarsi, o sarebbero morti entrambi.

Mentre discendevano il più velocemente possibile, lo scalpiccio del cavallo di Nargan giunse alle orecchie di Eikhe, che si bloccò un momento prima di scorgere il viso ghignante dell’uomo.

Dal sentiero, li stava osservando divertito, già pronto a ballare sul cadavere di Aken prima di fare fiero pasto di lei.

Non vedendo altre soluzioni, Eikhe mormorò ad Aken: “In questo punto, il fiume è abbastanza profondo. Dobbiamo lanciarci.”

“Che cosa? L’impatto con l’acqua ci ucciderà!” esalò Aken, sorpreso e sgomento. “Se devo morire, meglio con una spada in mano, al fianco dei miei uomini!”

“Non si sono sacrificati perché tu morissi sulla spada di Nargan!” lo ingiuriò Eikhe, pur comprendendolo benissimo.

Il pensiero di aver abbandonato essa stessa la lotta, la faceva sentire malissimo, ma c’era molto più che il suo orgoglio, in ballo.

C’era il destino del regno intero, e lei doveva ricondurre Aken a Rajana, perché parlasse con il re suo padre.

“Rimani stretto a me” aggiunse quindi con minore acredine, prima di tornare a osservare Nargan e, a gran voce, urlare: “Non avrai le nostre vite!”

Detto ciò, lasciò andare le mani dalla roccia, tirandosi dietro anche Aken e, chiusi gli occhi, si strinse a lui, mormorando spiacente: “Non c’era altro modo per salvarti, mi spiace.”

“Eikhe! Che vuoi dire?!” esalò lui, osservando l’acqua farsi sempre più vicina.

Le ultime cose che rammentò furono l’impatto con l’acqua e il sorriso di Eikhe.

***

Sputacchiando a più riprese per poter respirare, Eikhe si guardò intorno con aria spaventata, prima di rendersi conto di dove si trovasse.

Rammentando il volo spaventoso che avevano fatto, la ragazza cercò con lo sguardo la figura di Aken.

Non trovandola in mezzo alle rapide che li stavano spingendo a valle, cominciò a chiedersi se avesse fallito.

Spinta dall’ira prodotta da Nargan, Eikhe aveva sfruttato ogni più piccola cellula del suo corpo per attutire il colpo ad Aken, ma non era certa di esservi riuscita.

Purtroppo, non rammentava nulla dell’impatto con il fiume.

Chiamandolo a gran voce più e più volte, Eikhe rinunciò ben presto a cercarlo a quel modo e, tuffandosi sott’acqua, si guardò intorno a più riprese finché non lo trovò bloccato tra due massi.

Apparentemente svenuto e con la testa sanguinante, pareva sul punto di cedere alle rapide da un momento all’altro.

Riemergendo, Eikhe fischiò un paio di volte nella speranza di veder comparire Nys e, nell’udire il suo ululato in risposta, sorrise sollevata e gridò: “Aiutami! Aken è bloccato sott’acqua!”

Lasciate cadere le sacche che teneva tra i denti, Nys si tuffò in acqua per raggiungere la padrona e, insieme a lei, cominciò a strattonare Aken per liberarlo dalle rocce.

Se non lo avessero trascinato via dal fondale, ogni speranza di salvarlo sarebbe stata vana.

Affondando i denti nella cotta di maglie di ferro dell’uomo, Nys riuscì a tirarlo quel tanto da permettere a Eikhe di liberarlo.

Una volta condottolo fino a riva, il lupo si scrollò dall’acqua e osservò preoccupato la sua padrona gettarsi a terra, esausta e piena di graffi.

Leccandole il viso, Nys si sentì dire da un’esausta Eikhe: “Dobbiamo portarlo al sicuro. Non devono trovarci, qualora decidessero di cercarci su questo lato della montagna.”

Il lupo annuì e, assieme alla padrona, cominciò a trascinare Aken verso uno dei tanti rifugi che avevano scoperto, nel corso degli anni, in quei luoghi.

Con non poca fatica, e bloccando più e più volte i loro passi per la troppa stanchezza, riuscirono infine  a scomparire alla vista del crinale, immergendosi in una macchia boschiva ai piedi del Valico di Kortoss.

Non appena raggiunsero la grotta che, anni prima, aveva usato come riparo di emergenza durante una tempesta di neve, Eike e Nys trascinarono all’interno Aken.

Lì, lo poggiarono contro una parete di roccia ricoperta di licheni biancastri, finalmente liberi di sospirare di sollievo.

Quel sollievo, però, durò ben poco, quando Eikhe si rese conto dell’assoluta immobilità del suo principe.

Tremante di freddo, la ragazza si affrettò ad accendere un fuoco di torba – che teneva sempre come scorta di emergenza, nei suoi rifugi – dopodiché, senza ulteriori indugi, cominciò a togliere gli abiti bagnati al principe.

Uno dopo l’altro, li stese sulle rocce appresso al fuoco, che iniziò a sfrigolare, caldo e piacevole, ammorbando l’aria di profumi intensi e speziati.

Indumento dopo indumento, il rossore sul viso di Eikhe crebbe ma, troppo preoccupata per la vita di Aken, preferì non pensare al proprio virginale pudore.

Lasciatolo con il solo perizoma a coprirne le parti intime, cominciò a strofinarlo con le mani per riattivarne la circolazione.

Spaventata quanto sollevata, lo vide rabbrividire e, non potendo fare altro, in attesa che il fuoco prendesse vigore, si sdraiò al suo fianco aderendo alla sua pelle gelata con il suo corpo più caldo.

Fatto ciò, avvolse entrambi con il suo mantello di pelle d’orso, lo abbracciò e mormorò sentitamente: “Ti prego, Aken, devi vivere,… non abbandonare la lotta proprio ora!”

Sfregando le mani sul suo petto, Eikhe si rivolse poi al suo lupo, dicendo: “Nys, sdraiati al suo fianco; ha bisogno anche del tuo calore.”

Il lupo annuì ed Eikhe, ormai al limite del crollo fisico, ma decisa a salvarlo, continuò a massaggiare il suo corpo possente mentre, a stento trattenute, calde lacrime le pungevano gli occhi dorati.

***

La prima cosa che avvertì al suo risveglio, fu il dolce profumo del miele caldo.

Sorridendo placido, avvertì la morbidezza inconfondibile di un seno, premuto contro di lui.

Ridestandosi lentamente da quel meraviglioso torpore che lo avvolgeva, Aken si volse a mezzo, attirando più vicino la donna che aveva al fianco.

Affondando il viso tra i suoi morbidi capelli, avanzò con la mano lungo una coscia tornita fino a raggiungere la curva soda del fondoschiena.

Lì, con sua somma sorpresa, sentì le piccole mani della ragazza spingerlo via e una voce, vagamente ironica, domandare: “Cosa pensi di fare, principe?”

Spalancando di colpo gli occhi nel riconoscere quella voce venata di spirito, Aken fissò senza parole il viso di Eikhe.

Con un piccolo sorriso malizioso stampato sul viso stanco, si appoggiò su un gomito per guardarlo curiosa e aggiungere: “A cosa pensavi, di preciso?”

Scostandosi un poco da lei, più che mai confuso, si accorse di avere il petto nudo e di essere coperto dal pesante mantello di pelle d’orso della ragazza.

Sgranando ancor di più gli occhi, vide i suoi abiti stesi ad asciugare sopra a un mucchio di torba fumante.

Ma che diavolo era successo?

Dubbioso, controllò sotto il mantello e, notando solo il suo perizoma a offrirgli ben poca copertura, la fissò malamente e borbottò: “Mi spieghi che è successo?”

Facendo spallucce, Eikhe si limitò a dire: “Quando siamo finiti nel fiume, tu hai battuto la testa contro un sasso e sei svenuto. Quando me ne sono accorta, ho cercato di tirarti fuori dall’acqua, ma la tua cotta di maglia ti stava portando a fondo, così ho chiamato Nys per aiutarmi.”

“Nys? Si è salvato?” esalò il principe, guardandosi intorno con aria eccitata.

Nonostante tutto, quella notizia lo confortava più di quanto avrebbe mai detto solo a pochi giorni addietro.

“L‘ho fatto allontanare dalla battaglia. Ai soldati di Nargan non interessava nulla di lui, per cui non l’hanno neppure degnato di uno sguardo” spiegò succintamente lei, grattandosi un taglietto sullo zigomo in via di guarigione.

Aken lo guardò sospettoso. Come poteva essere la sua unica ferita, visto il volo che avevano fatto?

E come aveva fatto, lui, a non farsi praticamente nulla, a parte il bernoccolo che aveva in fronte?

“Bene o male, siamo riusciti a tirarti fuori e, per maggiore sicurezza, ti abbiamo portato fino a questa grotta, dove ho potuto curarti la ferita. A quel punto, ti ho spogliato perché eri bagnato fradicio, e rischiavi l’assideramento, se non avessi fatto così. Alla fine, ho dormito accanto a te per scaldarti, visto che tremavi come una foglia. Temevo ti fosse venuta la febbre.”

Guardandola in viso, i suoi occhi sinceri intenti a osservarlo tranquilla e la bella bocca atteggiata a un sorriso,  Aken si sentì in dovere di dire: “Mi hai salvato la vita, …grazie.”

“Dovere, principe…” poi, sogghignando maliziosa, aggiunse: “… era la prima volta che spogliavo un uomo, o che dormivo con lui, se è per questo.”

Sollevando un sopracciglio con ironia, Aken allora le chiese: “E lo spettacolo è stato di tuo gradimento?”

“Credo di sì. Non avevo mai visto un uomo senza abiti, ma devo dire che non mi dispiace” replicò con naturalezza lei, stupendolo.

Non c’era traccia di malizia nella sua risposta, si era semplicemente limitata a dire quello che pensava e, per lui, era già una bella novità.

La schiettezza di questa ragazza cominciava davvero a piacergli.

Appoggiandosi su un gomito, il principe lanciò un’occhiata ai suoi abiti e le domandò: “Pensi saranno asciutti, ormai?”

“Controllo subito” disse lei, uscendo dal caldo giaciglio.

Con non poco disappunto, Aken notò la sua tunica di pelle e, non sapendo trattenere il disappunto, borbottò: “Tu, perché hai gli abiti asciutti?”

Ridendo nel tastare quelli di Aken, la ragazza indicò le sacche a terra e disse: “Nys ha preso con sé le sacche del cavallo, prima di fuggire, così avevo il mio cambio a disposizione.”

“Ah” commentò torvo Aken.

“Ti dispiace non avermi visto senza abiti, principe?” sorrise lei, voltandosi a mezzo.

“Non prendermi per un maniaco, ragazzina”  brontolò per contro il principe, pur sapendo che in parte era vero.

“Sei offeso perché ti ho spogliato? L’ho fatto solo per salvarti la vita, principe” esalò a quel punto Eikhe, sinceramente sorpresa e amareggiata. “Non devi pensare che l’abbia fatto per secondi fini.”

Vedendola così preoccupata, Aken si diede dello stupido per aver parlato a quel modo e, fattole cenno di avvicinarsi, le disse: “Coraggio, torna qua sotto, fa sicuramente più caldo.”

Lei annuì dubbiosa e, guardandolo in viso nell’infilarsi sotto il morbido mantello, gli chiese: “Sei arrabbiato, principe?”

“Eikhe, puoi chiamarmi Aken, non ci sono problemi…” asserì lui, quieto. “… e non sono arrabbiato, né ho pensato male di te. So che non sei capace di concepire un pensiero così meschino.”

Lei tornò subito a sorridere e dichiarò: “Grazie per aver notato che non sono come Tyura.”

“Tua sorella?” esalò lui, ricordando la formosa ragazza che si era presentata al fianco di Kaihle. “Perché dici così?”

Sbuffando, Eikhe borbottò: “Lei è fissata con gli uomini, ne fa un’autentica malattia. Nostra madre le ha detto che, finché non avrà compreso il reale motivo che deve spingerci tra le braccia di un uomo, non le consentirà di scendere a valle. Ma io so che c’è già stata. A lei interessa solo l’aspetto carnale del rapporto tra un uomo e una donna, non pensa a quello che potrebbe succedere durante quell’unione.”

“E cioè?”

“Creare una nuova vita” spiegò lei, pacata, giocherellando con una ciocca dei capelli ramati. “Sai che non viviamo con gli uomini con cui dividiamo il letto, ma forse non sai il perché.”

“In effetti” ammise lui, mettendosi comodo per ascoltarla.

Aveva un che di rilassante, il tono della sua voce.

“Vedi, mia madre me lo ha spiegato. Mi ha detto che noi viviamo da sole, indipendenti dall’uomo, perché così possiamo esprimere noi stesse in ogni cosa, e che non potremmo farlo seguendo le leggi che vigono nel mondo dei maschi. Quando decidiamo di unirci a uno di loro, quindi,  lo facciamo consapevolmente, e pronte ad accogliere la nuova vita che, da quell’unione, potrebbe nascere. Sappiamo comunque, fin dall’inizio, che non potrà mai esserci un vero legame con coloro che condividono con noi l’atto in sé” gli spiegò Eikhe, guardandolo a intervalli regolari. “Non può esistere amore tra uomo e donna.”

“E se nasce un maschio?”

“Torna con il padre dopo essere stato svezzato. Gli uomini con cui si sono sempre unite le mie sorelle, erano consapevoli della cosa” spiegò lei con tranquillità. “Loro avrebbero avuto la possibilità di avere un erede, e noi avremmo avuto la possibilità di generare una nuova sorella.”

“E tu?”

“Io, cosa?”

“Sei contenta di vivere lontano da tuo padre?”

“Lo vedo piuttosto spesso, in effetti. Lui fa il conciatore giù a Marhna, e io passo a trovarlo in laboratorio”  ammise la ragazza, volgendosi prona e appoggiando i gomiti a terra. “Sua moglie mi detesta, ma le piacciono le pelli che ogni tanto le regalo, così abbiamo il tacito accordo che, se io voglio vedere mio padre, lo vado a trovare dove lavora, e non a casa.”

“Oh,… gelosa di tua madre?”

“Non so, forse odia quello che sono. E anche il mio fratellastro. Dice che sono un’incivile e una aberrazione della natura” dichiarò Eikhe, con un risolino. “Ma mio padre non la pensa così, ed è contento di vedermi. E poi, il mio fratellastro ha solo dieci anni, per cui posso anche perdonarlo.”

Sollevando un sopracciglio con ironia, Aken le chiese: “Non hai mai pensato di farla pagare al tuo fratellastro?”

“A Konis? No! Non ne vale la pena. C’è aria nella sua testa, e non capirebbe nulla neppure se gliela rompessi. Sono convinta che, quando crescerà, migliorerà un poco. Deve pur aver preso qualcosa da nostro padre… spero” ridacchiò lei, prima di chiedere. “E tu? Hai un fratello simile?”

“No, Ruak è un ragazzo gentile e onesto, e gli voglio bene. Ma mia sorella Melantha è come tuo fratello. Ci siamo odiati a prima vista, per così dire” le spiegò Aken, ridendo suo malgrado.

“Forse, è anche per questo che nacquero le nostre tribù. Per permettere alle donne libere di pensiero di poter vivere lontane dal giogo dell’uomo” pensò ad alta voce Eikhe, sorprendendolo. “Noi ragioniamo con la nostra testa, non pensiamo solo a ubbidire ciecamente agli ordini degli uomini, quindi non diventiamo così rimbambite come le donne di paese che, invece, ho conosciuto finora.”

A quel punto, Aken rise di gusto ed Eikhe, guardandolo dubbiosa, esalò: “Beh? Che hai?”

“Niente. Pensavo a quello che hai detto…” ridacchiò lui, asciugandosi lacrime di ilarità. “…e la cosa mi ha fatto pensare. Credi davvero che gli uomini siano solo capaci di dare ordini?”

“Tu cos’hai fatto, fin da quando abbiamo intrapreso questo viaggio?” precisò lei, rammentando le reprimende dei primi giorni.

“Beh, pensavo avessi bisogno di una mano, e…” cercò di giustificarsi lui. “… insomma, sei solo una bambina e allora…”

“Una bambina?!” esclamò lei, sbottando. “Prima non mi sembrava fossi di quell’avviso!”

Arrossendo suo malgrado, Aken borbottò: “Mi scuso per prima, Eikhe, ma non ero del tutto cosciente e pensavo che…”

“Sì, pensavi che ci fosse una prostituta, al tuo fianco” lo rabberciò lei, torva.

“Non frequento prostitute, fino a prova contraria. Inoltre, cos’avrei dovuto pensare, scusami?!” protestò Aken, iniziando a irritarsi. Possibile che non lo capisse?

 “Nulla, forse. O forse, che qualcuno stava solo aiutandoti a scaldarti” precisò lei, irrigidendosi non poco.

“Non lo si fa molto spesso, Eikhe, ricordalo. Almeno, non da noi!”

“Maledizione, testone che non sei altro! In che altro modo avrei dovuto fare, visto che stavi congelando?! Ti ho asciugato come meglio ho potuto, ma non è servito a niente, e così ho dovuto usare questo metodo!” urlò a quel punto la ragazza-lupo, scagliandosi contro di lui verbalmente.

“D’accordo, scusami, sono io che ho pensato male, non tu ad aver agito in maniera scorretta” asserì allora Aken, sfiorandole una spalla con la mano con fare conciliante.

Lei, però, se la scrollò di dosso, alzandosi in tutta fretta e, livida in viso, dichiarò aspra: “Sarai un principe di nascita, Aken, ma sei solo un maledetto cafone, come tutti gli uomini!”

“Eikhe, ti ho detto che mi spiace!” le gridò dietro lui.

“E pensi che io sia così sciocca da accettare le tue scuse, solo perché mi hai sorriso e mi hai parlato gentilmente?!” esplose lei, estraendo un pugnale dal suo stivale di pelle.

“Che vuoi fare?” le chiese un po’ teso.

Grugnendo, la ragazza-lupo lo fissò disgustata e, nell’uscire dalla caverna, borbottò: “Vado ad aiutare Nys a cacciare un bufalo!”

“Eikhe, aspetta!” esclamò lui, inutilmente. “E bravo idiota. Ormai dovresti averlo capito che non è come le donne che conosci.”

Guardandosi la mano che l’aveva sfiorata in maniera così intima, Aken sentì un profondo desiderio nascergli all’altezza dei lombi e, buttandosi a terra, grugnì esasperato.

“Per tutti gli dèi! E’ solo una ragazzina!”

***

Risvegliandosi di soprassalto quando udì l’uggiolio di Nys nei pressi dell’entrata, Aken fissò costernato Eikhe che, a fatica, stava portando la carcassa di un bufalo morto all’interno della grotta.

Sistematolo poi in un piccolo anfratto laterale, la guardò buttarsi a terra stremata mentre Nys, premuroso, le leccava il viso per confortarla.

Chiedendosene il motivo, Aken si affrettò a uscire dal suo giaciglio per indossare almeno le brache.

Avvicinatosi alla ragazza, notò con disappunto che, sulla coscia destra di Eikhe, un profondo squarcio ne segnava le carni.

Preoccupandosi immediatamente, Aken fece per avvicinarsi ma Nys, ringhiandogli contro, si mise tra lui e la sua padrona, ben deciso a tenerlo lontano.

Il principe, contrariato, lo rabberciò in malo modo.

“Piantala di essere così geloso di lei. Devo curarle la ferita!”

Ansando, Eikhe mormorò stanca: “Lascialo fare, Nys. Non riuscirei a farlo da sola.”

Nys abbassò le orecchie e lo lasciò passare, pur se controvoglia.

Presala in braccio, a quel punto, Aken la scortò vicino alla torba fumante e chiese alla ragazza: “Cos’è successo?”

“Mi ha caricata” rispose concisa lei, il respiro reso fiacco dalla stanchezza.

“Spostarsi era da codardi?” replicò lui, sollevando un sopracciglio con ironia.

“Non ho più la daga, con me. Dovevo per forza usare il coltello, e così…”

Spalancando lentamente gli occhi quando si rese conto di quello che aveva fatto, Aken esalò turbato: “Ma perché rischiare tanto?”

“Hai bisogno di abiti più pesanti, o morirai. I tuoi vestiti sono rimasti ai nostri nemici, e io devo fartene degli altri” si limitò a dire Eikhe, ansimando per il dolore alla gamba.

Avvedendosi del suo pallore, Aken perse di vista ogni cosa tranne la sua ferita e, affrettandosi a ripulirla con un pannetto, le domandò lesto: “Qui c’è bisogno di qualche punto… hai con te un ago?”

Annuendo, lei gli indicò una delle sacche posate contro il muro di roccia.

Cominciando a guardarvi dentro, Aken trovò il necessario contenuto in un sacchetto di pelle.

In fretta, lo prese insieme a una ciotola per l’acqua e al suo coltello.

Guardandola per un momento, indeciso sul da farsi, ammise con una certa preoccupazione: “Ti farà molto male, Eikhe.”

“Non voglio morire dissanguata. Fai quello che devi fare” disse per contro lei, fissando rabbiosa la ferita.

“Metti questa tra i denti” diciarò allora lui, allungandole un pezzo di carne secca. “E avvertimi, se non ce la fai.”

Lei si limitò ad annuire e Nys, sedendole accanto, poggiò il muso vicino al suo braccio.

Sorridendogli grata, Eikhe mormorò al suo lupo: “Il principe sa il fatto suo, tranquillo. Mi guarirà.”

Allontanatosi un momento, Aken tornò con una manciata di neve in mano e, poggiandola sulla gamba ferita, disse: “Serve a desensibilizzarla.”

Lei annuì, stringendo i denti per il gran male.

Cominciando a ricucire la ferita, Aken si stupì enormemente della grande forza insita in quella ragazza che, stoicamente, resistette all’intero intervento senza mai chiedergli di fermarsi.

Mai una volta emise un solo grido di dolore.

Sul suo viso notò più che evidenti i segni della sofferenza, accentuati dalle lacrime che le colavano sulle gote rosse, ma Aken non udì mai la sua voce.

Quando infine terminò l’operazione, prese a fasciarle la gamba strettamente, asserendo: “Sei stata bravissima, Eikhe. Meglio di tanti uomini che conosco.”

Lei non disse nulla e, quando Aken terminò di bendarla, la vide crollare sulla pelle d’orso, scossa da singhiozzi ora non più trattenuti.

Subito, il principe le fu accanto, attirandosela vicino ed Eikhe, scoppiando in un pianto dirotto, pianse contro il suo torace nudo fino a che non fu troppo esausta anche per singhiozzare.

Carezzandole i fini capelli biondo ramati, Aken mormorò dolcemente: “Ora va meglio, vero? Non devi vergognarti di dimostrare il tuo dolore.”

Sempre contro di lui, Eikhe sussurrò preoccupata: “Rimarrà una brutta cicatrice, vero?”

“Ho ricucito il più sottilmente possibile, quindi dovrebbe diventare quasi invisibile” precisò lui, sorridendo leggermente.

In fondo, era una ragazza fin nel midollo anche lei, e certe cose la preoccupavano esattamente come le altre.

Lei tirò su col naso e si asciugò gli occhi col dorso della mano e, nello scostarsi da lui, disse: “Grazie, Aken.”

“Di nulla,… te lo dovevo, no?” sorrise lui, guardando poi Nys. “Ce l’ha ancora con me?”

“No, non più” sorrise la ragazza-lupo, accarezzando il pelo morbido di Nys. “Ora, sa che non sei malvagio, e che non mi farai del male.”

“Bene, non ci tenevo a ritrovarmi con il sedere punzonato dai suoi denti” commentò lui, facendola scoppiare a ridere.

Gradendo molto vederla nuovamente tranquilla, nonostante sapesse che la ferita doveva farle ancora molto male, Aken dichiarò: “Ora finisco di vestirmi. L’aria comincia a essere fredda.”

“Si avvicina la notte” annuì lei.

“Quanto tempo ti ci vorrà per confezionare i vestiti?” le chiese, infilandosi la blusa di lana.

“Una settimana. La pelle deve asciugare bene, o sarai una calamita per i predatori. Dopodiché, in una giornata al massimo, la cucirò sulla tua tunica” spiegò lei, cominciando a mangiare un po’ di carne secca.

“Speriamo che regga il tempo” sospirò il principe, allacciando gli alamari della tunica.

“Dovrebbe. Una volta che potremo muoverci, ci avvieremo verso il valico di Kortoss, che si trova nei pressi del Monte Ruona e, da lì, prenderemo il sentiero verso Anarsis. Seguiremo il fiume Fenar fino a raggiungere una delle tribù dei Koirant che sorgono lungo il suo percorso, e lì baratteremo qualcosa in cambio di una canoa” gli spiegò per sommi capi il suo piano, tracciando dei simboli sulla terra smossa della caverna.

“Intendi proseguire via fiume?” esalò lui, incredulo.

“Fino alle cascate, almeno. Da lì in poi, prenderemo un paio di cavalli. Saremo vicino alla capitale e lì, tutti ti conoscono. Non avremo problemi a farci fare un prestito” borbottò, aggrottando un poco la fronte. “Il problema lo avremo all’inizio. Il valico è spesso controllato, quindi dovremo essere cauti.”

“Come sai queste cose?” le domandò a quel punto, incuriosito da tanto sapere.

“Sono una cacciatrice, Aken. E’ normale che conosca questi posti. Ho un bel gruzzolo, da parte, con tutte le pellicce che ho venduto finora” sorrise lei, divertita.

“Non finirai mai di sorprendermi” commentò il principe, con un bel sorriso sul volto ruvido di barba.

Lei sorrise di rimando e disse: “Ci conto.”

“Dispettosa” rise lui, prima di guardare Nys e chiedere: “Come può esserti così fedele? In fondo, il lupo è un animale selvatico.”

“Nys è nato nel villaggio. E io mi sono presa cura di lui. E’ così che instauriamo un rapporto simbiotico con loro. Esattamente come con i cavalli” ammise, carezzando il pelo nero del lupo al suo fianco, che le stava leccando la coscia appena sotto la fasciatura. “Ho imparato così a capire cosa mi dice. Dopo un po’, è abbastanza semplice. Hanno un vocabolario piuttosto variegato, ma comprensibile.”

“Quindi…non è…” borbottò lui, sfiorandosi la testa con un dito.

Ridendo suo malgrado, Eikhe esalò: “Davvero si pensa questo, di noi? No, non usiamo la telepatia. Non so nemmeno se esista. Impariamo solo a capire cosa dicono… un po’ complesso, ma non impossibile.”

“E’ più di quanto riuscirei a fare io. Non ho mai avuto molta pazienza nell’imparare le cose” ammise lui, con un risolino.

“Non ti piaceva studiare?” chiese lei, sorpresa.

“Oh, tattica militare, sì. E anche astronomia e fisica, ma non parlarmi di musica, o di poesia. Sono una vera schiappa” ammise, storcendo il naso. “Non sono mai stato quello che si dice una persona elegante, o di classe.”

“Conosci il corso le stelle?” esalò però lei, sorpresa e affascinata.

“Sì, quasi tutte, per la verità. Perché?”

“Io ne ho sempre e solo conosciuto alcune, e solo per capire quale fosse la mia posizione, ma mi piacerebbe imparare a conoscere come si chiamano le altre costellazioni. Puoi farmele vedere?” gli domandò, sorridendo speranzosa.

Lui annuì, indicandole di uscire e, avvolgendo entrambi nel mantello di Eikhe, le indicò un masso vicino su cui sedersi.

Guardando verso l’alto, al cielo punteggiato di piccole lacrime d’argento, le sussurrò: “Vedi quella stella brillante, a nord?”

“Sì, la conosco. Uso quella, per orientarmi. E’ la Veneranda, vero?” annuì lei, lanciandogli un breve sorriso.

“Esatto. Ma forse non sai che fa parte di una costellazione chiamata Centauro” le spiegò allora lui, indicandole un disegno immaginario nel cielo. “Vedi, se segui quelle sette stelle, formano il corpo del mitico animale.”

“E’ vero!” esalò Eikhe, sorridendogli maggiormente.

Soddisfatto per averla fatta sorridere, Aken continuò nella sua lezione di astronomia.

“Più a destra, quella grande U formata da cinque stelle, si chiama Giara. E più a sud, quel lungo serpentone di stelle, rappresenta il Drago.”

Poggiandosi distrattamente a lui sotto il pesante mantello di pelliccia, Eikhe sospirò estasiata.

Osservandone il viso sereno e gli occhi brillanti, Aken fu tentato di stringersela al fianco ma, ben sapendo che l’avrebbe quanto meno spaventata, si limitò a lasciarla in quella posizione.

Con calma, perciò, continuò la sua dissertazione.

Nys, che li osservava guardingo, uggiolò sorpreso quando vide il capo di Eikhe ciondolare e Aken, sorprendendosi, la osservò mentre cedeva al sonno e alla stanchezza, addormentandosi contro di lui.

Sorridendo comprensivo, la sollevò delicatamente in braccio e, sotto lo sguardo attento del lupo, la riportò nella grotta, dove la stese sul loro pagliericcio improvvisato e la coprì con il largo mantello.

Subito, Nys si accucciò al suo fianco per scaldarla e Aken, sdraiandosi dietro di lei, la avvolse con il suo braccio, dicendo al lupo: “E’ solo per tenerla al caldo, è chiaro?”

Il lupo lo fissò con i suoi occhi gialli per qualche attimo, prima di annuire con il muso.

Appoggiato il capo sulla sacca di pelle che fungeva anche da cuscino, Aken inspirò il dolce profumo di miele dei capelli di Eikhe e, poco dopo, si addormentò a sua volta.

***

La mattina seguente li vide ancora in quella posizione ed Eikhe, svegliandosi per prima, si stiracchiò leggermente prima di accorgersi di essere letteralmente inglobata in un’alcova calda e accogliente.

Sorridente, strinse a sé per un attimo Nys, baciandogli il musetto peloso e ricevendo in cambio una leccata sul viso.

Voltandosi poi verso Aken, ancora addormentato, scostò il suo braccio robusto e si alzò in silenzio per preparare la colazione.

Aveva dormito benissimo, avvolta in quel caldo bozzolo, e non poteva certo dire che Aken si fosse comportato male con lei, nonostante all’inizio l’avesse giudicata solo una mocciosa.

Era stato veloce ed efficiente nel sistemarle la ferita, e prodigo di attenzioni nel cercare di distrarla dal dolore.

Sì, era una brava persona, sebbene ogni tanto fosse un po’ rozzo.

Ravvivate le braci con nuova torba e qualche rametto secco che era riuscita a trovare il giorno precedente, Eikhe mise a scaldare un po’ della carne ormai frollata del bufalo.

Estratto poi dalla sua sacca il contenitore del miele, lo avvicinò al fuoco perché  riprendesse la sua forma liquida.

Il profumo della carne cotta portò Aken a svegliarsi dopo poco.

Sollevandosi a mezzo, il principe guardò curioso Eikhe, intenta a spezzare delle gallette e ricoprirle di miele alle nocciole e, sorridendo, mormorò: “Buongiorno. Sei mattiniera, a quanto vedo.”

Voltandosi a mezzo, lei sorrise di rimando, dicendo: “Buongiorno, principe. Sì, non dormo mai molto.”

“La gamba, come va?” le chiese, alzandosi per raggiungerla.

“Meglio, quasi non la sento” asserì la ragazza, allungandogli una galletta col miele.

Addentandola, il principe ne gustò il dolce sapore ed esalò compiaciuto: “Dovrò dire alla mia cuoca di preparare il miele così. E’ ottimo.”

Ridacchiando suo malgrado, Eikhe disse: “Non è difficile da fare, deve solo mettere in un mortaio le nocciole e triturarle, poi le mescola con il miele, e il gioco è fatto.”

Vedendo Nys cibarsi a sua volta di gallette, Aken dichiarò: “Piacciono anche a lui.”

“Preferirebbe cibarsi solo di carne, ma sa di avere bisogno anche degli zuccheri del miele, visto quello che dovremo fare tra qui e una settimana” ammise Eikhe, guardando amorevolmente il suo lupo.

Arrischiandosi ad avvicinare la mano a Nys, Aken chiese dubbioso: “Posso accarezzarlo?”

“Nys?” disse allora Eikhe, guardando gli occhi dorati dell’animale.

Nys fissò per un momento gli occhi smeraldini di Aken, prima di appoggiare la testa a terra e tirare in avanti le orecchie.

Sentendosi invitato a procedere, Aken passò la grande mano sul pelo morbido del lupo, sorrise e mormorò: “Sei proprio un bravo lupo, sai?”

Continuando così per un po’, il principe si spinse a grattare dietro le orecchie di Nys e il lupo, tirando fuori la lingua, fece sorridere divertita Eikhe, che disse a un curioso principe: “E’ contento. Non riesce mai a grattarsi bene, in quel punto.”

“Felice di essere stato d’aiuto” commentò allora Aken.

***

Osservando il fiume insieme ad Aken, Eikhe sospirò e disse: “Sono tornata a controllare, subito dopo essere stata certa delle tue condizioni, ma non ho trovato nessuno. Mi spiace.”

Sospirando a sua volta, Aken si piegò sulle ginocchia e, con aria assente, osservò il turbinare delle acque del Fenar senza dire nulla.

I suoi uomini, i suoi compagni erano morti per salvarlo e ora, per portare a termine la missione, rimanevano solo loro due e un lupo.

“Ho fallito” ansò, il capo reclinato in avanti.

Chinandosi al suo fianco, Eikhe scosse il capo e replicò: “Non è vero, Aken. I tuoi uomini si sono sacrificati per permetterti di avvertire tutto il tuo popolo, quindi non pensare di aver mancato ai tuoi doveri. In casi come questo, era l’unica soluzione.”

“Ma loro avevano lo stesso mio diritto di vivere, Eikhe!” esclamò lui, alzandosi di scatto.

I suoi occhi verdi scintillavano di ira e rancore ed Eikhe, sorpresa da quelle parole, gli sentì ringhiare con frustrazione: “L’essere un principe mi rende davvero così speciale?! Dimmelo!”

Alzandosi a sua volta, Eikhe disse soltanto: “Sei un uomo di carne e sangue come loro, ma tu hai un compito che nessuno di noi potrà mai portare sulle spalle… il Regno. Tu sei il Regno, Aken di Rajana, che ti piaccia o no, e tuo compito primo è quello di difenderlo. Esattamente come io difenderei mia madre e il villaggio, perché è mio dovere.”

“Dovere…” sbuffò lui, voltandole le spalle. “… a volte, ne ho piene le scatole di sentirmi così… speciale.

Reclinando il capo, Eikhe mormorò: “Lo so, anche troppo bene.”

Voltandosi a guardarla, il viso atteggiato a una profonda tristezza, Aken non se la sentì di proseguire nella sua arringa e, con un sospiro, le domandò: “Ti spiace se intono una preghiera per loro… da solo?”

Lei scosse il capo e disse: “No, capisco il tuo bisogno di solitudine. Rimani pure, ma non tardare. Io ti aspetterò alla grotta.”

Lui annuì e, non appena la sentì lontana, si concesse il lusso di piangere.

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Capitolo 6
*** cap.6 ***



6.

 

 

 

 

 

Dopo avere steso ad asciugare al sole la pelliccia di bufalo, Eikhe se ne tornò nella grotta per riposare la gamba ferita.

Notando il suo pallore e il sudore della sua fronte, Aken le ordinò perentorio: “Siediti; devo controllare la ferita.”

“Posso farlo da sola, non devi disturbarti” replicò lei, scrollando le spalle con fare noncurante.

“Sono il tuo principe, e devi obbedirmi” ribatté allora lui, sorridendo divertito nel notare le sue sopracciglia aggrottarsi leggermente.

Senza preoccuparsi del suo titolo nobiliare, Eikhe gli fece la linguaccia e Aken, ridendo, mise mano alle bende.

Dopo averle sciolte, facendo attenzione a non farle male, il principe controllò scrupolosamente il taglio ricucito tastandolo con dita esperte.

Eikhe, nel frattempo, lo studiò durante il suo attento esame e gli chiese curiosa: “Hai curato molti feriti, principe?”

“Diversi, in effetti. E con tagli peggiori del tuo, se devo essere sincero. Una volta, ho dovuto amputare un braccio a un amico, e non ho gradito molto la cosa” le spiegò, spalmando sulla ferita del grasso che aveva trovato dentro la sacca di Eikhe. “Questo impedirà alla pelle di screpolarsi.”

Fasciata nuovamente la ferita, Aken continuò a parlare, dicendo: “Sta guarendo bene. Non ha formato pus, ma non devi sforzarti, almeno per un po’, se vuoi che la guarigione non subisca ritardi.”

“Capisco” annuì la ragazza, incrociando le gambe e appoggiandovi sopra le mani. “Che dovrei fare, allora?”

“Riposarti” scrollò le spalle lui, cercando di guardarla in viso ed evitando di puntare lo sguardo sulle sue gambe tornite, messe in evidenza dalla corta gonna che ancora indossava. “Per fare una bella cosa, dovresti indossare le tue brache, così terrai al caldo l’arto leso.”

Guardandosi un momento, lei sorrise maliziosa e replicò con ironia: “E tu non sarai costretto a guardare dappertutto, per evitare di cascare con gli occhi sulle mie gambe, vero?”

Sbuffando, Aken la fissò torvo, ribattendo: “Ragazza, forse credi che sia insensibile di fronte a uno spettacolo simile, ma ti sbagli. Hai due gran belle gambe, e averle sempre sotto il naso, tutto il santo giorno, ha un certo effetto, su di me.”

Lei parve sorpresa e si affrettò a coprirle con la pelle d’orso così il principe, sospirando, scosse il capo, dandosi mentalmente dell’idiota.

“Scusa, sono stato cafone come al solito.”

“Davvero… trovi siano belle?” chiese allora, lei, scrutandolo da sotto le lunghe ciglia bionde, lo sguardo percorso dal dubbio.

Un po’ stupito da quella domanda, Aken la guardò per capire se lo stesse prendendo in giro, ma nei suoi grandi occhi d’ambra lesse solo un’autentica sorpresa.

Sorridendo indulgente, decise di rispondere con il massimo della serietà.

“Nella mia vita sono stato con più di una donna, Eikhe, come potrai immaginarti, e posso dirti con ragionevole margine di sicurezza che le tue gambe sono molto belle.”

Storcendo un po’ il naso, lei lo fissò torva e brontolò: “Non lo dici solo per consolarmi?”

“Consolarti di cosa?” chiese a quel punto lui, sinceramente confuso.

“Del fatto che mi rimarrà una bella cicatrice” dichiarò la ragazza-lupo, indicando la gamba ferita, ora coperta dalla pelle d’orso.

“Ti ho detto che si vedrà appena e…” cominciò col dire lui, prima di rammentare la carnagione dorata della ragazza.

Arricciando un po’ il naso, si morse un labbro e disse: “Oh, già… la tua abbronzatura.”

“Appunto. Si vedrà una bella riga bianca…” borbottò Eikhe, sbuffando. “… beh, poco male. Tyura si divertirà alle mie spalle come al solito.”

“Oh, e perché?”

“Dice che non mi troverò mai un uomo, perché sono piatta come una tavola e ho il fisico di un ragazzo” borbottò con una smorfia, prima di aggiungere: “Ma io preferisco essere così, che esagerata come lei!”

Ripensando alle forme sode  e piene della ragazza, Aken sorrise divertito e, in dovere di tranquillizzarla, dichiarò: “Personalmente, prediligo le forme più aggraziate, e non così… sovrabbondanti. Inoltre, non credo proprio che tu abbia le forme di un ragazzo. Hai linee morbide su un fisico slanciato, tutto qui.”

Eikhe fece tanto d’occhi, prima di scoppiare in una frenetica risata e Aken, curioso, le chiese: “Perché stai ridendo?”

“Se mia sorella ti sentisse, principe, impazzirebbe di rabbia. Non è mai stata definita… sovrabbondante!” rise lei, asciugandosi lacrime di ilarità.

“Oh, cielo! Forse non sono stato molto educato” commentò contrito, passandosi una mano tra i lunghi e neri capelli, rilasciati sulle spalle.

“No, per niente!” esalò la ragazza, buttandosi sulla pelle d’orso per il gran ridere.

“Ora basta, però,… mi fai sentire un idiota” brontolò il principe, vedendola così smodatamente divertita.

“Non posso farne a meno. Tyura si è sempre considerata bellissima, e diceva di me che ero solo un brutto cucciolo di lupo mentre ora tu, un principe, la sminuisci così… è troppo buffo” rise lei, tenendosi lo stomaco con le mani.

“Cucciolo … di lupo?” ripeté lui, sorpreso.

Annuendo, Eikhe riuscì in qualche modo a riprendersi e disse, tra una risatina e l’altra: “Sì… mi ha sempre chiamata ‘cucciolo di lupo’, per via del colore dei miei occhi. Non li ha nessuna, nella mia famiglia, e così mi ha sempre presa in giro, dicendo che sono un lupo mancato. Inoltre, al villaggio, la vecchia Narhu dice che porta sventura avere gli stessi colori di Hevos e di Hyo, perché è sinonimo di… mancanza di rispetto nei confronti del dio. Come se avessi scelto io, il colore dei miei occhi. Molte si sentono a disagio quando io sono presente, così hanno coniato il termine per darmi una… regolata.”

“Non mi sembra molto carino. In fondo, il color ambra non ha nulla di particolare, per poter essere denigrato a quel modo. E poi, come hai detto tu, non lo hai deciso tu, il colore degli occhi” asserì Aken, stupito da quanto Eikhe gli aveva appena confessato.

“Vallo a spiegare a quelle che dicono che siamo solo portatrici di sventura” replicò lei con tono caustico. “Non ho ben capito il perché, visto che la somiglianza al dio-lupo dovrebbe, invece, inorgoglirle ma, al contrario, tutte quelle che conosco ad avere la mia… sventura, hanno i miei stessi problemi. Siamo viste con pregiudizio e diffidenza.”

“Strano, visto che, come dici tu, la stessa Hyo e il vostro dio, li avevano. Non fu un dono dello stesso Hevos?” dichiarò il principe, aggrottando impercettibilmente la fronte.

“Già. Li cambiò lui, a Hyo, perché la sua stirpe fosse riconoscibile agli occhi di tutti. A volte, mi sono anche sentita dire che… beh, che non è normale che io sia così” scrollò le spalle lei, infischiandosene almeno apparentemente.

Osservandola attentamente, Aken disse: “Però, particolari, li sono.”

“Mi piace essere particolare. E poi, mi donano, no?” celiò Eikhe, prima di vedere trottare Nys verso di sé.

Il lupo le si gettò addosso, mandandola gambe all’aria e Aken, sorpreso, si chiese se il lupo non fosse per caso impazzito.

Quando, però, senti Eikhe ridere divertita, si accorse che i due stavano solo giocando. 

Preferendo non continuare oltre a pensare alle belle gambe della ragazza, o alla stranezza dei suoi occhi, Aken si alzò e andò a controllare che la pelle di bufalo non subisse visite sgradite.

Sedutosi su un masso sotto il sole, dopo aver controllato che i pioli che la sorreggevano fossero ben saldi, il principe osservò le alte montagne alle loro spalle.

Rabbrividendo all’idea di doverle aggirare per raggiungere il passo, si chiese se sarebbero realmente riusciti nel loro intento di raggiungere Rajana.

Tornare dal sentiero dell’orso era impossibile, visto che la parete rocciosa da cui si erano lanciati, era a picco sulla gola del fiume.

Non avevano l’attrezzatura necessaria per una scalata.

L’unica strada possibile era quella indicata da Eikhe.

Seppure non gli andasse di ammetterlo, era interamente nelle sue mani, ed era una cosa cui non era abituato.

Specialmente se si considerava che tutta la missione era nelle mani di una ragazzina.

Già, una ragazzina che ti ha salvato la vita! E che tu hai trattato come una poppante! pensò torvo lui, provando uno strano rimescolio allo stomaco.

Rimorso? Non era davvero in grado di dirlo.

Sentendola ridere dall’interno della caverna, sorrise comunque sollevato e, per qualche motivo a lui sconosciuto, fu quasi invidioso della loro allegria e del loro spirito d’adattamento.

Nessuno dei due pareva realmente preoccupato da quello che li attendeva, ed Eikhe aveva predisposto ogni cosa nel modo migliore per il loro breve soggiorno nella grotta.

Non c’era che dire; era davvero brava. E lui non sapeva come esserle d’aiuto.

Tornando a osservare la pelle stesa al sole, Aken si chiese come sarebbe riuscita a farne degli abiti per lui.

Ridendo tra sé, si domandò se sarebbe sembrato un barbaro, con quella roba addosso.

Il solo pensiero di presentarsi dinanzi alla sorellastra, abbigliato come un uomo di montagna, lo portò a sogghignare divertito.

Sicuramente, lei e la sua inseparabile Tyana sarebbero fuggite a gambe levate, credendolo un bifolco.

“Potrebbe essere un buon metodo per liberarmi di quella strega” commentò tra sé Aken, grattandosi una guancia irsuta di barba. “Ormai, dovrei farmi anche la barba.”

Pensando a quanto, però, gli tenesse caldo il viso, preferì evitare di sbarbarsi e si concesse il lusso di tenerla.

Era da una vita che era sempre perfettamente rasato, e non aveva idea di cosa volesse dire avere un po’ di barba in viso.

Considerando il freddo che avrebbe patito sulla montagna, preferì tenersi quella naturale protezione che gli stava crescendo in viso, senza preoccuparsi del suo aspetto trasandato.

Rilassandosi contro la parete di roccia alle sue spalle, Aken chiuse gli occhi, godendosi il tepore del sole.

Non si accorse quindi dell’arrivo di Eikhe che, osservandolo con un sorriso, lo scosse leggermente, domandandogli: “Ti va di fare un giro di ricognizione, principe?”

Aprendo un occhio per guardarla – aveva nuovamente legato i capelli in una treccia – Aken si alzò, annuendo.

“Ho bisogno di sgranchirmi le gambe, in effetti, ma tu? Dovresti riposare.”

“Rischio di rimanere zoppa, se non mi muovo, e poi ho messo i pantaloni” dichiarò, indicandoglieli.

Osservando con aria curiosa i suoi pantaloni di daino, da cui pendevano belle frange sui fianchi, Aken asserì ammirato: “Sono davvero belli. Hai fatto tu anche questi?”

“Ognuna di noi si fabbrica gli abiti da sola da quando compie dodici anni. E’ la tradizione.”

“E se una non è ferrata nel cucito?” le chiese, cominciando a discendere il crinale con lei.

“Si fa degli abiti più semplici. Oppure, baratta qualcosa in cambio di abiti” gli spiegò, scrollando le spalle. “A me piace arricchirli di particolari il più possibile, invece. Perdo giorni interi a ricamarli, ma il risultato mi piace.”

Dando una seconda occhiata alle brache, Aken notò come le cuciture fossero fatte a regola d’arte.

Con non poca sorpresa, intravide tra le frange una complessa rete di tralci, stampati a fuoco sulla pelle di daino.

“Non li avevo notati, prima. Sono davvero ben fatti. Li fai con una pressa a fuoco?”

“Grazie per il complimento” sorrise lei. “Sì, uso una pressa con l’immagine in negativo. Se avessi più tempo, farei qualcosa del genere anche sulla tua, ma già ricoprire la tunica mi prenderà del tempo, per cui…”

“Mi accontenterò di quello che potrai fare per non farmi morire di freddo” scosse il capo lui, dandole una pacca sulla spalla.

“Probabilmente, non risulterà molto elegante” tenne a precisare la ragazza.

“Pensi mi importi?” sorrise lui, sollevando ironicamente un sopracciglio.

“Volevo solo lo sapessi, principe.”

Guardandola per un momento, lui si bloccò a meta di un passo e sottolineò perentorio: “Voglio che mi chiami per nome, Eikhe. Mi sento un idiota, quando mi chiami ‘principe’.”

“Ma lo sei… un principe, intendo” specificò lei, ammiccando comica.

“Lo spero!” esalò lui. “Senti, Eikhe, mettiamola così, prendilo come un favore che ti chiedo, va bene?”

“D’accordo… Aken” assentì lei, arricciando le labbra all’insù in un sorriso sbarazzino.

Annuendo soddisfatto, il principe dichiarò: “Ora andiamo bene.”

“Come dici tu” mormorò la ragazza prima di fermarsi e, piegandosi su un ginocchio con qualche difficoltà, sfiorare una leggera infossatura nel manto nevoso.

“Problemi?”

“No, cibo. Il bufalo, con l’appetito di Nys, durerà solo un paio di giorni, quindi ci serve altra carne da far frollare” asserì, alzandosi e guardando la spada di Aken. “Quella servirebbe a ben poco, nel cacciare un daino, e io non ho il mio arco.”

“Pensi a un agguato?”

“A una trappola. Di solito le uso per i castori, ma penso di poterne fare una adatta a un daino” borbottò pensierosa, guardandosi intorno con aria attenta.

“Sei una miniera inesauribile di idee” esalò lui, fissandola ammirato.

“Ho solo vissuto più tempo di te nella foresta” replicò lei, pratica, cominciando a raccogliere dei rami piuttosto elastici ai piedi delle alte piante.

Guardandoli con attenzione, Eikhe ne scelse alcuni, che poi legò con i lacci di pelle che aveva nella sua scarsella da cintura.

Fissati i rametti tra la neve, nelle vicinanze di un albero ricco di corteccia giovane, disse: “Verrà quasi sicuramente a mangiarla, visto che è nella zona. In questo periodo, non hanno altro tipo di sostentamento.”

“Ci nascondiamo là dietro?” mormorò lui, indicando dei cespugli vicini.

Lei annusò l’aria e annuì. “Sì, il vento è a nostro favore.”

Seguendola dietro il cespuglio, Aken si accucciò al suo fianco e chiese a bassa voce: “Pensi dovremo aspettare molto?”

“Non saprei, perché?” chiese a sua volta lei, guardandolo curiosamente.

Scrutando il cielo farsi cupo per l’approssimarsi di nubi temporalesche, Aken dichiarò: “Se impieghiamo troppo tempo, potremmo finire in mezzo a una nevicata.”

“Già, hai ragione. Beh, ci sapremo regolare in base al tempo, facciamo così. Se vediamo che peggiora, ce ne andremo via.”

“Va bene.”

Passarono accucciati dietro il cespuglio più di un’ora e Aken, che cominciava ad avere le gambe intirizzite, mormorò piano alla compagna di viaggio: “Devo alzarmi.”

“Male alle gambe?”

“Non solo” commentò lui, sogghignando. “Devo allontanarmi un attimo.”

“Cose da uomini?” sussurrò lei, sollevando un sopracciglio ironicamente.

“Esatto. Non vorrei scandalizzarti, visto che sei ancora illibata” sogghignò malizioso.

“Troppo gentile” celiò lei, portandosi una mano al cuore con espressione falsamente affascinata.

“Stai attenta, mentre non ci sono” replicò a quel punto il principe, dandole un buffetto sulla guancia.

“Come sempre” mormorò lei, guardandolo allontanarsi mentre, con una mano, andava alla guancia che Aken aveva pizzicato.

Un sorriso spontaneo le sorse sul viso mentre, divertita, si chiedeva il perché del gesto.

Tornando con lo sguardo alla trappola, dopo un altro momento passato a scrutare la figura di Aken allontanarsi nel bosco, Eikhe prestò solo una fuggevole attenzione ai rumori dietro di lei.

Quando lo sentì tornare, sussurrò piano: “Sei più libero, ora?”

“Molto, cara” commentò caustico lui.

Lei lo sbirciò in viso con ironia e disse: “Nessuno mi ha mai chiamato ‘cara’, prima d’ora.”

“Neanche tua madre?” chiese sorpreso lui, sbattendo le ciglia con espressione perplessa.

“No. Mi ha sempre chiamata solo per nome” mormorò come se nulla fosse.

Ad Aken parve un po’ strano e, da un certo punto di vista, anche ingiusto perciò, stringendole un braccio intorno alle spalle, le disse: “Mi sembra ingiusto che non ti abbiano mai detto ‘cara’, da piccola.”

Eikhe lo fissò con espressione sconvolta, prima di ridacchiare sommessamente e dire: “Il potente principe di Rajana si dimostra più sensibile d’animo di quanto non voglia dare a vedere.”

Brontolando, lui ritirò lesto il braccio e sentenziò: “Forse avevano ragione a non chiamarti così… sei acida come le lacrime.”

“Lo so” commentò lei prima zittirsi e, con un gesto, indicare ad Aken un daino in  avvicinamento.

Aken si fece guardingo a sua volta, e osservò l’animale avventurarsi sulla neve fino a raggiungere l’albero dove avevano posizionato la trappola, vittima sacrificale designata dal destino.

Tutto si svolse in pochi attimi.

L’animale, ignaro del pericolo, infilò la zampa nell’improvvisata tagliola e la fece scattare con un suono sordo.

Subito dopo, cominciò a scalciare impaurito nel tentativo di liberarsi, ma ogni suo intento risultò inutile.

Eikhe si mosse lesta per impedirgli di scappare e, con un gesto secco e deciso, gli ruppe l’osso del collo, facendolo cadere a terra morto, senza più un suono.

Un po’ sconcertato, Aken uscì dal nascondiglio e, scrutando il corpo esanime dell’animale, esalò: “Perché il collo?”

“Non possiamo lasciare tracce di sangue. Attireremmo dei colleghi che preferirei non incontrare. Anche se gli orsi dovrebbero essere ormai in letargo, non voglio rischiare che qualcuno di loro abbia il sonno leggero, o la pancia vuota” disse lei, prima di indicare la preda e aggiungere. “Da queste parti, amano più la carne, del miele.”

Con un sogghigno, poi, fissò le braccia forti di Aken e, indicando la preda, asserì: “A te il piacere, principe.”

Sollevando un sopracciglio con ironia, si piegò per sollevare sulle spalle il daino e, sogghignando, disse: “Adesso ti torna comodo avere un bestione al tuo fianco, vero?”

“Esatto, e poi sei stato tu a dirmi di non sforzare la gamba” replicò lei, dando una pacca sull’arto in questione.

“Io e la mia boccaccia” bofonchiò Aken, avanzando lentamente sulla neve con il suo pesante carico sulle spalle.

Osservando il cielo plumbeo sopra di loro, Eikhe storse il naso e borbottò: “Temo ci bagneremo.”

Alzando il naso per aria, Aken annuì grave e disse: “Pare di sì. Beh, poco male, ormai sono abituato a denudarmi con te presente.”

“Già, ma io no” brontolò per contro la ragazza, con un leggero rossore a imporporarle le gote.

“Prometto di essere bravo” celiò lui, pur roso dalla curiosità.

Non negava di essere curioso di vedere cosa si celasse sotto quegli strati di pelle di daino.

Quando infine raggiunsero il loro rifugio, Nys li guardò dubbiosi e indicò con il muso il mucchio di torba acceso.

Eikhe, annuendo, disse: “Grazie per averlo rinvigorito.”

“Gliel’hai insegnato?” chiese curioso Aken, posando il daino morto vicino al bufalo.

“Sì. Anche a lui piace stare al caldo, non credere” sorrise la ragazza, cominciando a slacciare i pantaloni.

Subito, Aken si volse per non guardarla ed Eikhe, lasciato scivolare l’indumento a terra, lo raccolse per appenderlo al filo che già aveva steso nella grotta nei giorni precedenti.

Toltasi anche la tunica, la stese accanto alle brache, prima di avvolgersi in un telo di pelle di daino e sciogliersi i capelli per lasciarli asciugare.

Quando ebbe terminato, disse: “Ho finito.”

Aken assentì e si spogliò senza grossi problemi, mettendo gli abiti ad asciugare.

Non senza una certa curiosità, notò come Eikhe stesse tenendo gli occhi saldamente incollati al terreno, ben decisa a non guardarlo in nessun modo.

Avvoltosi nel mantello di Eikhe, lasciando libero solo il torace, si sedette vicino alla torba accesa e la ragazza, tornando a guardarlo, esalò con un risolino: “Mi sento un po’ sciocca, ora come ora.”

“Perché?” chiese lui, incrociando le possenti braccia sul torace muscoloso.

Mordendosi un labbro, pensierosa, Eikhe ammise: “Beh, vedi, quando ti ho soccorso, non sono certo stata lì a pensare a come… insomma, non ho prestato molta attenzione a ciò che facevo. Ma ora, è tutto diverso. Tu sei qui, perfettamente lucido e sveglio, e senza vestiti. E io, uguale. E’ strano.”

“La necessità non ti ha creato disagio, ma ora la cosa è differente” dichiarò lui, annuendo. “Sei incuriosita da qualcosa?”

Sbirciando il suo torace muscoloso e coperto da una leggera peluria scura, al pari degli avambracci possenti, Eikhe mormorò sommessamente: “Per la verità, sono più che altro intimorita.”

“E da cosa?” chiese lui, curioso.

Indicandogli un braccio, lei ammise: “Per quanto io possa essere agile e veloce, tu potresti uccidermi solo con un tuo braccio, vero?”

“E’ possibile” ammise lui, scrollando le spalle.

“Ho sentito che molti uomini picchiano le loro donne, se non sono… soddisfatti” mormorò lei, esponendogli i suoi dubbi.

Sollevando un sopracciglio, Aken le chiese per contro: “Tuo padre lo fa?”

“No!” esclamò subito lei.

“E pensi che io potrei approfittare di te con la forza?” chiese allora il principe, con un mezzo sorriso.

Dopo un momento, lei scosse il capo. “No, non credo.”

“Allora, non preoccuparti di nulla. Guardami pure quanto vuoi, se può contribuire a sanare la tua curiosità. Non mi offendo” sorrise lui, tranquillo.

“Sei molto vanitoso, sai?” celiò la ragazza, con un risolino.

“Un po’, sì. Ammetto che è piacevole essere l’oggetto di osservazione di una giovane donna” sorrise il principe, bonariamente.

Lei ridacchiò, scuotendo leggermente le spalle nude e Aken, osservando quella pelle dorata dal sole, venne colto da un dubbio.

Non sapendo resistere, le chiese: “Eikhe, ma, la tua pelle…”

Socchiudendo maliziosa gli occhi, lei ammise: “Sì, ho preso il sole nuda. C’era Nys a vigilare sulla mia intimità, però.”

Guardando di scatto il lupo, che ricambiò l’occhiata con estrema serietà, Aken brontolò dicendo: “Essere un lupo ha i suoi vantaggi.”

Eikhe scoppiò a ridere, un suono che ad Aken cominciava davvero a piacere molto, ed esalò: “A lui non fa né caldo, né freddo, Aken!”

“Posso immaginarlo” chiosò Aken, grattandosi la barba.

Non era abituato ad averla, e cominciava già a dargli fastidio. Ma teneva caldo, quindi…

Avvedendosi della sua barba incolta, Eikhe asserì: “Hai deciso di lasciarla crescere? Fai bene. Ti aiuterà a sopportare il freddo, anche se ti farà sembrare un barbaro.”

“Avevo pensato giusto al freddo” annuì, prima di chiederle: “Sto così male, con la barba?”

“No, non direi. Solo, non hai più la faccia di un principe, ma di un uomo comune” si limitò a dire lei, allungando una mano per sfiorargli la peluria sul mento. “E’ morbida.”

Guardando la sua piccola mano giocare con la sua barba, Aken fu tentato di prenderla nella sua ma, all’ultimo momento, lasciò perdere per non spaventare Eikhe e far imbestialire Nys.

Non poteva permettersi il lusso di giocare con lei, con il suo lupo in bella posta.

Ritirando la mano, Eikhe si sdraiò e disse: “Ti spiace se dormo un po’? Stare così tanto tempo accucciata mi ha indebolito la gamba, e ora sono stanca.”

“Riposa pure, tranquilla. Io e Nys vigileremo.”

“Grazie” sospirò lei, chiudendo gli occhi.

Quando sentì il suo respiro farsi piano e regolare, Aken  la osservò con un sorriso gentile stampato sul volto.

Era nelle mani di quel frugoletto di donna, ma cominciava a sentirsi a suo agio con lei.

Era svelta di pensiero e molto socievole, per nulla preoccupata di mentirgli o apparirgli diversa da quella che in realtà era, e solo per accattivarsi la sua simpatia.

Era fresca e frizzante come una sorgente d’acqua, e altrettanto piacevole.

Osservando le sue mani raccolte vicino al viso, proprio come avrebbe fatto una bambina, Aken mormorò a Nys: “Sembra indifesa, vero, in questo momento?”

Il lupo guardò Aken per un momento prima di annuire con il muso e il principe, curioso, gli chiese: “Capisci quello che dico?”

Nys annuì ancora e Aken, accarezzandogli cauto la testa, gli domandò seriamente: “Permetterai che mi prenda cura della tua padroncina, qualora ne avesse bisogno?”

Il lupo gli leccò la mano e Aken, sorridendogli grato, disse: “Grazie della fiducia.”

Tornando a fare silenzio, il principe rimase in contemplazione della ragazza, ripensando ai loro primi giorni insieme, a come fosse stato difficoltoso accettarla per quella che era.

Lenar, al contrario, l’aveva presa immediatamente sotto la sua ala, comprendendola e facendosela amica.

Sorridendo tristemente, Aken si appoggiò a un gomito e, a bassa voce, si chiese: “Chissà cosa ti ha raccontato di sé, mio buon amico?”

Già, i suoi amici.

Con tutto il caos di quei giorni, con l’incidente di Eikhe e il resto, aveva avuto poco tempo per pensare a loro, se non quando si era concesso il lusso di piangerli sulle rive del Fenar.

Gli sembrava tremendamente ingiusto non poter dar loro una degna e adeguata sepoltura, ma sapeva bene di non potersi permettere un lusso simile.

La cosa più difficile di tutte, alla fin fine, sarebbe stato dire alle loro famiglie il perché della loro morte, e quella era una situazione in cui odiava trovarsi.

Tutte le volte.

Persino nei confronti di Rias, che aveva ucciso il cavallo di Eikhe e l’aveva aggredita, non riusciva a provare risentimento perché, alla fin fine, era morto anche lui in quella missione.

No, non gli riusciva proprio.

Sospirando, tornò a guardare il grande lupo nero e, accarezzandolo con un movimento ripetitivo della mano, gli chiese: “Eikhe odia qualcuno?”

Il lupo lo fissò, impossibilitato a rispondergli.

Fissando la ragazza addormentata, Aken si chiese se le malelingue che l’avevano etichettata come ‘cucciolo di lupo’ le dessero fastidio o se, nel corso degli anni, avesse desiderato vendicarsi di loro.

Personalmente, trovava ingiusto farle subire ingiurie simili, e per cose così stupide, anche se alcuni aspetti di tutta quella vicenda ancora non gli erano chiari.

Sapeva per certo che le donne delle tribù si definivano ‘figlie del branco’, ma Eikhe era stata etichettata come ‘figlia sacra’, sia dalla Guardiana del Tempio, che da Nargan.

Quindi, cosa c’era di singolare, in lei, per meritare un simile titolo?

Forse, l’epiteto di ‘figlia sacra’ dipendeva dal colore degli occhi, che ricordava quelli del dio?

Ma allora, perché ingiuriarla?

Avrebbero dovuto esserne orgogliose, invece ne avevano quasi paura, da quel che aveva capito dalle parole di Eikhe.

Scuotendo il capo, lui disse: “No, davvero non ti capisco, Eikhe.”


 

 
 
Capitolo un po’ più breve. Qui cominciamo a scorgere un certo avvicinamento tra i due protagonisti, e un affastellarsi di domande di Aken. Naturalmente, tutte le sue domande verranno presto svelate, ma per ora non posso darvi anticipazioni, altrimenti vi rovinerei la sorpresa. Non manca comunque molto al bandolo della matassa. ^_^

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Capitolo 7
*** cap.7 ***


Lacrime e risate, in questo capitolo, e anche la scoperta, nel cuore di Aken, di un nuovo, caldo sentimento. Buona lettura!!!  :-)
 
 
 

 

 

7.

 

 

 

 

 

Intenta a cucire la pelle di bufalo sulla tunica di Aken, Eikhe osservò per un momento il principe, placidamente sdraiato di fronte al fuoco di torba.

Poggiato per un momento l’indumento sulle gambe, sorrise e gli chiese: “Cosa ti turba, principe?”

Lui sollevò di colpo gli occhi per guardarla dubbioso poi, sospirando, sorrise appena e mormorò: “Nulla, in realtà. Pensavo al Passo che dovremo percorrere domani. Sei certa non ci siano altre vie?”

Scuotendo il capo, lei tornò seria e disse: “No, è l’unica strada che ci possa portare al Valico di Kortoss. E, da lì, verso la via della salvezza.”

“Non ci sono altri modi per ritornare sui nostri passi?” si informò a quel punto Aken, pur sapendo già la sua risposta.

“No. Ci sono quasi trecento iarde di parete a strapiombo, tra noi e il Cono del Silenzio” gli spiegò lei, emettendo un sospiro spiacente.

“E, se proseguissimo lungo questo crinale, incontreremmo altre pendici rocciose a frenarci, giusto?”

Non ci aveva realmente sperato, però…

“Sì. Purtroppo non riusciremmo ad attraversare le creste rocciose che ci aspettano più a est. La Valle del Silenzio è impervia da ambo i versanti. Sarebbe troppo rischioso anche solo metterci piede” disse Eikhe, vedendolo adombrarsi in viso. “Cosa c’è?”

“Mi spiace di esserti d’impaccio. Se fossi stato più oculato, non ci troveremmo in questa situazione” dichiarò suo malgrado Aken, sorprendendola.

Lasciando stare il suo lavoro di cucito, Eikhe gli si avvicinò carponi e, guardantolo nei profondi occhi verdi, disse sinceramente: “Non dirlo neppure, Aken. Non mi sei d’impaccio. Tu non avevi un lupo che potesse pensare al tuo bagaglio, né potevi immaginare che saremmo stati attaccati. E’ stata solo sfortuna. O qualcosa di peggio, temo. Ma questo non cambia il risultato finale.”

“Tu, però, mi hai dovuto salvare quando, invece, avrei dovuto essere io a pensare a te!” esclamò lui, facendola sobbalzare per la sorpresa.

“E questo, quando lo hai deciso?” esalò la ragazza, più che mai sconvolta.

“E’ normale che sia così!” sbuffò Aken, contrariato.

Lei sorrise con vago divertimento, a quel punto e, sedendogli vicina, ammise: “Nessuno ha mai pensato alla mia personale incolumità. Mai. E’ un gesto molto cavalleresco, grazie, ma non devi preoccuparti che non sia capace di difendermi.”

“Non lo penso, ragazzina, ma è mio dovere proteggerti. Sei un suddito del mio regno, una donna…” brontolò, sollevandole il mento per scrutarla in viso prima di aggiungere roco: “… poco più di una bambina, e devi guidarmi per territori selvaggi e pericolosi. Pensi davvero che non ti difenderei, anche solo per ringraziarti di quello che fai?”

La ragazza-lupo lo fissò senza parole nelle sue profondità smeraldine e Aken, sorridendole, aggiunse piano: “Non sono solo un rozzo cavaliere delle pianure, Eikhe.”

Lei si allontanò leggermente, turbata dalle strane sensazioni che sentì montare dentro di sé e, annuendo debolmente, tornò al suo lavoro di cucito, borbottando: “Comincio a crederlo.”

“Bene” annuì lui, prima di aggiungere: “Cosa intendevi dire, prima, con ‘o qualcosa di peggio’?”

“Nargan ha parlato di altre donne-lupo, presenti alla sua Corte” gli rammentò Eikhe, adombrandosi nel riprendere in mano la tunica. “Non vorrei che ci avessero trovato a questo modo. Ricordi che ha accennato al fatto di averti cercato per un bel po’? Forse, era sulle vostre tracce fin da quando avete lasciato Marhna.”

“Il borgomastro” ringhiò Aken, aggrottando la fronte. “Scommetto tutto quello che vuoi che li ha avvertiti lui, della nostra presenza in zona.”

“E non deve essere stato difficile rintracciarci, ben sapendo che l’unica pista disponibile per raggiungere Anok Fort, era il Sentiero dell’Orso” sospirò Eikhe, scuotendo il capo. “Nys ha percepito la presenza di un lupo nelle vicinanze, nei giorni precedenti l’agguato, ma non mi è parso affatto strano. Ce ne sono molti, in queste zone, e non mi sono mai preoccupata di loro. Forse avrei dovuto.”

“Non è colpa tua, Eikhe. Nessuno poteva immaginare che ci stessero seguendo con un lupo” ci tenne a dire Aken, comprensivo.

Non voleva assolutamente che si sentisse in colpa, soprattutto per una cosa su cui non avrebbe potuto avere alcun controllo in nessun caso.

“Sarà come dici tu, però…” mormorò Eikhe, reclinando il capo, afflitta. “Lenar e gli altri sono morti, e io…”

“Non osare dire una parola di più, Eikhe” la bloccò sul nascere Aken, avvicinandosi a lei e sollevandole il viso con un dito per fissarla negli occhi.

Dopo un lungo momento, passato a scrutare quegli splendenti occhi dorati,  aggiunse: “Nessuno ha colpa di ciò che è successo. In ogni caso, eravamo inferiori di numero, e sarebbe potuta andare peggio, molto peggio di così. Avremmo potuto morire tutti. E il regno ne avrebbe sofferto.”

“Vero” ammise Eikhe, imbrigliata nelle sue iridi di smeraldo.

“Bene, e ora non pensarci più, o mi vedrò costretto a sculacciarti” ironizzò lui, scostandosi dalla ragazza-lupo per tornare a sedersi.

“Devi solo provarci” ridacchiò a quel punto Eikhe, tornando finalmente al suo lavoro di cucito.

“Ti sconvolgi, se mi tolgo la camicia? Vorrei pulirmi un poco” le chiese dopo un momento Aken, avvicinandosi maggiormente al fuoco di torba.

“Fai pure; non si disprezza mai chi ama tenersi in ordine” sorrise lei, scrollando le spalle.

Lui ridacchiò e disse: “Lo supponevo.”

“Si ha un odorato molto fine, e quindi…” ciangottò Eikhe, sollevando il nasino con aria di sufficienza.

Aken sorrise divertito di fronte al suo spirito così faceto e, toltosi la camicia, prese la ciotola che aveva messo a scaldare vicino al fuoco.

Utilizzando un pezzo di radice di sapone, si ripulì sommariamente il torace con ampi gesti delle mani, prima di sentire Eikhe imprecare.

Voltandosi sorpreso, la vide tenersi un dito tra le labbra e, curioso, le chiese: “Ti sei punta?”

“Sì” ammise lei, con aria aggrottata.

Guardarlo durante le sue abluzioni, non era il metodo migliore per terminare il suo lavoro!

Doveva stare più attenta a ciò che faceva e, soprattutto, doveva piantarla di fissarlo inebetita!

Riprendendo il suo cucito, Eikhe calò il viso con rabbia per concentrarsi unicamente sulla cucitura da terminare.

A sua volta, Aken tornò a pensare alle sue abluzioni, terminando di asciugarsi con un pannetto di daino.

Dopo quel breve interludio, sorrise soddisfatto di sé e infilò nuovamente la camicia, mormorando: “Ora mi sento meglio.”

Rientrando al trotto nella grotta proprio in quel momento, Nys leccò sul viso Eikhe a mo’ di saluto poi, avvicinandosi ad Aken, gli diede un leggero colpetto contro la gamba.

Sorpreso, il principe guardò la ragazza in cerca di spiegazioni, sentendosi così dire in risposta alla sua muta domanda: “Ti sta salutando. Accarezzalo sulla testa.”

Aken annuì e Nys, tirando fuori la lingua, si sedette soddisfatto e incuneò il muso sotto la coda, addormentandosi subito dopo.

“Deve essere esausto” chiosò il principe, continuando ad accarezzarlo.

“Abbastanza. Sta pattugliando il fronte della montagna, per essere certo che non ci siano altri nemici nella zona ma, per farlo, si esaurisce” gli spiegò Eikhe, mordendo il filo per spezzarlo. “Ecco, ho finito. Provatela.”

Aken si alzò subito, prendendo la tunica dalle mani protese di Eikhe e, indossato l’abito con attenzione, se lo saggiò addosso, osservando compiaciuto l’ottimo lavoro svolto dalla ragazza.

Annuendo, dichiarò: “E’ perfetto, grazie.”

“E’ passabile ma, per quello che deve fare, andrà benissimo” annuì critica lei, prima di sbadigliare. “Ora, credo dormirò anch’io.”

Aken, allora, si tolse la tunica riponendola sulle sacche poi, steso che ebbe il panno di daino più grande a terra, coprì entrambi col mantello di pelle d’orso.

“Buonanotte” mormorò a quel punto, sorridendole.

“Anche a te” sorrise lei, accoccolandosi contro di lui prima di chiudere gli occhi.

Passando un braccio intorno alle spalle della ragazza-lupo con fare protettivo, Aken inspirò il dolce profumo di miele dei suoi capelli e, sorridendo, chiese a bassa voce: “Come fai ad avere sempre i capelli così profumati?”

Eikhe ridacchiò suo malgrado, dicendo: “Segreto.”

“Mi piace il loro profumo” mormorò Aken, affondando un momento il viso nella massa morbida della chioma di Eikhe, prima di inspirare a fondo.

“Davvero?” sussurrò Eikhe, riaprendo gli occhi per guardarlo.

I loro volti erano vicinissimi.

Aken annuì e disse: “Hanno lo stesso profumo del miele, e io adoro il miele.”

Eikhe sorrise, a quel commento.

“Non mangiarmeli, però.”

“Vedrò di contenermi” annuì lui, dandole un buffetto sul naso. “Ora riposati. Non ti disturberò più.”

“Non mi hai disturbato” ci tenne a precisare lei, prima di domandargli: “Posso avvicinarmi un po’ di più? Ho freddo.”

“Ma certo, piccola” assentì il principe, afferrandole un braccio perché gli circondasse la vita.

Completamente addossata a lui, Eikhe sorrise nella semi oscurità e mormorò soddisfatta: “Adesso, va meglio. Sembri una fornace.”

“Ho più carne intorno alle ossa per potermi scaldare” celiò lui, massaggiandole delicatamente la schiena. “L’aria si è fatta decisamente più fredda, stanotte.”

“Domani ci sarà bel tempo… e molto freddo” dichiarò Eikhe, prima di sbadigliare.

“Capisco” annuì Aken.

Vedendo le sue palpebre crollare per il sonno, Aken smise di parlare e si limitò a stringerla maggiormente a sé per tenerla al caldo.

Addormentatasi quasi subito, Eikhe sospirò soddisfatta, facendo nascere un sorriso spontaneo sul volto del guerriero.

***

La mattina venne e Aken, svegliatosi per primo a causa di un bisogno fisiologico impellente, aprì gli occhi solo per ritrovarsi il viso di Eikhe a un dito dal suo.

Completamente addormentata e quasi sdraiata su di lui, una gamba mollemente rilasciata sul suo inguine, sembrava del tutto ignara della situazione imbarazzante.

Sbuffando, Aken si guardò con esasperata attenzione e borbottò: “Non è possibile!”

Scostandola piano per non destarla, il principe sibilò irritato verso se stesso: “Non mi ha svegliato lei… ma dell’altro!”

Alzatosi in silenzio, guardò ironicamente la smaccata protuberanza evidenziata dai calzoni stretti, segno primo della sua erezione.

Uscendo perciò in tutta fretta dalla grotta, rise divertito non appena fu fuori dall’antro in cui ancora riposavano i suoi compagni di viaggio.

Dopo essersi liberato la vescica, ma non del suo secondo e impellente problema, disse tra sé: “E ora, come rientro? Anche con sopra la camicia, si vede lo stesso.”

Lanciato uno sguardo alla neve che lo circondava, e che avrebbe potuto risolvere il suo dilemma, storse il naso, borbottando disgustato: “Non ci penso minimamente! Dovrà sopportarne la vista.”

Una volta tornato all’interno della grotta, trovò Eikhe ad attenderlo, assonnata ma sveglia e che, guardandolo con una certa ironia, dichiarò: “Devo aver combinato un guaio.”

Scrollando le spalle, lui chiosò sarcastico: “Purtroppo, noi uomini siamo molto suscettibili, quando siamo in certe situazioni.”

“Ti fa male?” gli chiese lei, alzandosi e mettendosi ad armeggiare con le sacche da viaggio.

“Potremmo parlare di qualcosa che non sia lui?” esalò Aken, sforzandosi di non ridere.

“D’accordo” chiosò Eikhe, sghignazzando suo malgrado.

Dandole un amichevole pugno sulla testa, lui protesto gentilmente, asserendo: “Piantala, Eikhe. E’ anche colpa tua. Mi stavi dormendo addosso!”

Arrossendo nel saperlo, lei tornò subito seria ed esalò: “Scusami, Aken, non l’ho fatto di proposito, credimi!”

Sorridendole cordiale, lui annuì, replicando subito: “Lo so benissimo che non l’hai fatto apposta, sciocchina, ma il mio corpo reagisce al tuo, anche nel sonno, e posso fare ben poco per fermarlo.”

“Capisco” annuì a quel punto Eikhe, sbirciandolo in viso prima di chiedergli: “E’ sempre così?”

“In che senso?”

“Ti è capitato anche le altre sere?”

“Non proprio. Diciamo che, stamattina, è andata così. Sei turbata dal mio… desiderio di uomo?”

Pensandoci su un momento, lei chiese: “E’ involontario?”

Annuendo, pur non essendo del tutto onesto con lei e con se stesso, Aken disse: “Per un uomo è abbastanza normale svegliarsi … eccitato. Diciamo che la tua presenza lo rende solo più facile a succedersi.”

“Ah” gracchiò Eikhe, facendo tanto d’occhi.

“Forse non avrei dovuto dirtelo. Ti imbarazza molto parlare di queste cose, vero?” le domandò, continuando a scaldarsi le mani dinanzi al fuoco.

“Non so come mi devo sentire. Tu ne parli tranquillamente, quindi dovrei esserlo anch’io, ma…” scrollò le spalle lei, sbuffando.

“E’ solo perché non sei mai stata con un uomo, Eikhe, per questo provi imbarazzo” dichiarò Aken, facendo spallucce.

“Tu dici?”

“Credo di sì. Non hai peli sulla lingua, quando parli di cose che conosci, no? Quindi, sei in imbarazzo solo perché, di questo, conosci poco” asserì, trovando l’argomento assai strano.

Non gli era mai capitato di parlare a quel modo con una donna e, soprattutto, di argomenti simili.

Ridacchiando, lei asserì divertita: “Nulla, vorrai dire. Il primo uomo che ho visto senza abiti addosso, sei stato tu.”

“E’ vero” ammise Aken. “Allora, parliamo d’altro. Il mio coinquilino si calmerà a breve, tranquilla. La tua gamba migliora?”

“Non la sento quasi più. L’hai ricucita perfettamente” annuì lei, sorridendogli e cercando, nel contempo, di non pensare al coinquilino eccitato di Aken.

La sua battuta per sdrammatizzare l’aveva fatta divertire ma,  nel contempo, l’aveva incuriosita ancora di più.

Aken le faceva davvero uno strano effetto.

“Molto bene” disse lui nel frattempo. “Dovrai essere in forze, visto che dovremo attraversare quella gola nevosa.”

Alzandosi da terra, Eikhe si stiracchiò e, dopo aver indossato gli stivali e la tunica, si drappeggiò sulle spalle il mantello.

“Tu sei pronto?”

“Come non mai” commentò Aken, con una smorfia ironica.

Lei si limitò a sorridere e, estratte dalle sacche quattro cordelle di pelle, le legò ai ganci delle sacche, facendole diventare dei pratici zaini.

Aken, che osservò stupito i suoi movimenti per tutto il tempo, esalò ammirato: “Ora capisco a cosa servivano quegli anelli!”

“Non si può mai sapere in che situazioni ci si possa trovare, e portare uno zaino è ben più comodo che trascinare una sacca, non credi?” dichiarò pratica Eikhe, sollevandone una per metterla alle spalle del principe.

Lasciato che gliela infilasse, lui annuì, dicendo: “Niente da dire, hai ragione.”

“Fa piacere saperlo” rise la ragazza-lupo, infilando infine il proprio zaino. “Nys, ci precedi?”

Il lupo annuì e trottò fuori dalla grotta ed Eikhe, con un piccolo sospiro, disse: “D’accordo, andiamo.”

Non appena furono all’esterno dell’antro, che li aveva ospitati per più di una settimana, Eikhe rabbrividì leggermente prima di puntare lo sguardo verso il Passo che avrebbero dovuto valicare.

Sbuffando leggermente, mormorò: “Speriamo che tenga.”

“Temi si stacchi un fronte di valanga?” le domandò Aken, seguendola verso il pendio che avrebbero dovuto affrontare.

“Niente di più facile. Se non procediamo nella direzione giusta, rischiamo di rompere il fronte nevoso, provocando un distacco di neve” borbottò lei, controllando le guglie della montagna, che si inerpicavano minacciose verso il cielo terso.

Un vento inclemente batteva la costa su cui stavano faticosamente salendo ed Eikhe, continuando a osservare la neve sopra di loro, aggiunse a bassa voce: “Questo vento non fa che peggiorare le cose. Non mi piace.”

“Non c’è altro modo, no? Allora, tanto vale continuare” dichiarò Aken, dietro di lei.

Lei si fermò per guardarlo malamente e, a mezza voce, disse: “Non è un problema, se io muoio, ma tu sei il principe, Aken. O te ne sei dimenticato?”

Osservandola sinceramente stupito, lui esalò: “E cosa c’entra?”

“Sono responsabile della tua incolumità, sciocco. Se tu morissi, chi pensi ne prenderebbe la colpa? Non impiegherebbero molto a scoprire chi vi guidava tra le montagne . Una volta saputo che una donna-lupo ha guidato alla morte il principe di Enerios, il re si scaglierebbe contro la mia gente. E io non lo voglio” borbottò Eikhe, irritata.

Storcendo il naso, Aken replicò: “I tuoi sono solo ragionamenti contorti e senza senso. Pensi veramente che mio padre potrebbe prendersela con le tue amiche, se anche venisse a sapere di una mia eventuale morte? Mio padre sa perfettamente che gli incidenti possono capitare, e nutre grande fiducia in tua madre, sappilo.”

Tornando a camminare dinanzi a sé, la ragazza-lupo protestò perentoria: “Devo comunque salvaguardare la tua vita, anche se tuo padre si dimostrasse più comprensivo di quanto io non pensi al momento.”

“Mocciosa impertinente” brontolò Aken, prima di lanciare uno sguardo dubbioso a Nys, che procedeva dietro di loro.

Non stava ringhiando, né pareva offeso dal modo in cui aveva parlato a Eikhe.

Che fosse d’accordo con lui, dopotutto? A saperlo!

“Resta dietro di noi, Nys, così non avrai problemi” si sentì in dovere di dire il principe, pur sapendo che era una sciocchezza.

Il lupo non era stupido e sapeva da solo che la neve si era fatta troppo alta, per lui.

Non occorreva un genio, per sapere che doveva obbligatoriamente camminare lungo il percorso da loro tracciato.

Guardando negli occhi gialli del lupo, Aken lo vide snudare i denti in una sorta di sogghigno lupesco, quasi fosse divertito da quelle attenzioni inutili.

Rendendosi conto che si stava solo divertendo alle sue spalle, il principe ridacchiò nervosamente ed esalò: “Nys ha un senso dell’umorismo davvero macabro.”

“Lo so” commentò pacata Eikhe, senza neppure voltarsi.

Voltandosi a mezzo verso Nys, Aken borbottò: “La tua padrona è davvero insopportabile, quando ci si mette.”

Il lupo si limitò a scodinzolare, come volendo fare da paciere tra i due e Aken, ridendo suo malgrado, gli carezzò il capo.

“Le sei molto fedele, eh?”

Nys annuì, leccandogli la mano.

Tornato a guardare dinanzi a sé, Aken aggrottò un poco la fronte e dichiarò: “Se si alza ancora un po’ la neve, dovrò venire davanti io.”

Sbuffando, Eikhe borbottò: “Conto che non superi quest’altezza, principe.”

“Piantala, Eikhe, …ti ho già detto di non chiamarmi così” replicò lui, tirandole la treccia di capelli.

“Ahia!” ringhiò per diretta conseguenza la ragazza, faticando a tenere a freno rabbia e tono di voce.

Fissandolo astiosa da sopra una spalla, gli sibilò contro: “Non rifarlo, è chiaro?!”

“Altrimenti?” ironizzò il principe, più che tranquillo.

Lei sollevò le braccia al cielo come per voler imprecare ma, sapendo di non potersi sfogare a gran voce per non scatenare una slavina, si mangiò le parole in bocca.

Macinando passi su passi, continuò nella salita per almeno un centinaio di iarde prima di aggrottare la fronte e fermare di colpo la sua avanzata.

Bloccandosi dietro di lei, Aken le chiese: “Beh, che c’è?”

“Guarda lì più avanti, …c’è un avvallamento nella neve” mormorò lei, aggrottando la fronte.

“Ebbene?”

“Potrebbe esserci una spaccatura. Un seracco nascosto dalla neve fresca” ipotizzò la ragazza-lupo, sibilando tra i denti per il fastidio.

Storcendo il naso, Aken disse: “Non sembra molto larga. Pensi di poter passare, con un balzo?”

“Se la neve non fosse così alta, sì” annuì lei, prima di guardare le ampie spalle di Aken e sorridere ironica.

Guardandola dubbioso, il principe borbottò: “Cosa ti sta frullando in testa, ragazza-lupo?”

“Fammi salire sulle tue spalle. Salterò da lì” gli spiegò succintamente.

“Come?” esalò lui, sconcertato.

“Non riuscirei a saltare in nessun altro modo. Ti userò da piattaforma” gli suggerì,  scrollando le spalle.

Annuendo lentamente, lui le permise di issarsi sulla schiena fino a sentire i piedi della ragazza sulle spalle.

A quel punto, senza alcun preavviso, la vide balzare oltre l’avvallamento, finendo nella spessa coltre di neve poco dinanzi a loro.

Un po’ preoccupato, Aken disse: “Eikhe, va tutto bene?”

Ridacchiando, lei si rimise in piedi e, togliendosi la neve di dosso, annuì. 

“Sì, tutto a posto. Ora smuovo la neve; se è come penso, crollerà giù come un castello di carte.”

Sedendosi in terra, diede delle spinte alla neve coi piedi e, dopo ripetuti tentativi, si scostò alla svelta quando la sentì tremare e crollare dinanzi a sé.

Aken e Nys si spostarono indietro quando, dinanzi ai loro occhi, si aprì una voragine di diversi piedi di larghezza.

Affacciandosi per controllare, il principe borbottò contrariato: “Avremmo fatto un bel volo. Non se ne vede la fine.”

Annuendo, Eikhe si sporse a sua volta, storcendo il naso.

“Decisamente. Ora, comunque, potete saltare di qua agevolmente.”

Nys non si lasciò pregare e, con un balzo leggero, fu dall’altra parte.

Imitatolo, Aken spiccò un salto per terminare oltre la voragine ma, incespicando con un piede, rovinò disastrosamente contro Eikhe, gettandola a terra in un mucchio di neve.

Strillando per la sorpresa, Eikhe si ritrovò il peso di Aken addosso e, ridendo suo malgrado divertita, lo fissò negli occhi ed esclamò: “Non sapevo ti mancassero così tanto le donne, da saltarmi addosso a questo modo.”

Arrossendo nonostante tutto, il principe si raddrizzò subito, dandole una mano a rimettersi in piedi e, sbuffando, disse: “Come sei spiritosa. Sono scivolato sulla neve.”

Lei rise e replicò: “Lo so, cosa credi?”

Sollevando le braccia al cielo, esalò esasperato: “Ah, che razza di guida doveva capitarmi! Lunatica è dire poco!”

Eikhe si limitò a sorridere e, seguendolo lungo il pendio, ne osservò le ampie spalle diritte e fiere, indice primo della sua forza e del suo spirito indomito.

Niente pareva piegarlo, né la morte dei suoi uomini, né le difficoltà del viaggio che avevano appena intrapreso, e che li avrebbe condotti su vie pericolose e sconosciute.

Il principe delle pianure che lei tanto aveva disprezzato, si stava rivelando diverso da quello che aveva in un primo momento creduto e, suo malgrado, la cosa le fece piacere.

Non si sarebbe prodigata volentieri, per una persona che non lo meritasse.

Per Aken, invece, non aveva problemi a offrire il suo aiuto.

Sapeva ormai del suo orgoglio smisurato, e poteva immaginare cosa potesse significare, per lui, mettersi nelle mani di una donna quando, per una vita, era stato abituato diversamente.

Il principe, però, pareva aver finalmente compreso che, di lei, poteva fidarsi ciecamente, senza temere secondi fini da parte sua.

Ora, doveva ricambiare il favore e lasciare che Aken la aiutasse, qualora lo avesse voluto.

Avvicinatosi perciò a lui, allungò una mano per stringere la sua e Aken, volgendosi a mezzo per guardarla sorpreso, la vide sorridere fiduciosa e cordiale.

Tranquillizzato, le sorrise di rimando e proseguì con lei al fianco, sempre tenendo la piccola mano nella propria.

Fermatisi giusto il tempo di un breve pasto, i due ripresero il cammino fino a raggiungere il Passo nel primo pomeriggio.

Lì, sotto il loro occhi, si aprirono le impervie vallate di Vartas, con i loro boschi e i loro villaggi sparsi sulle alture.

Quello che però colpì i due giovani non fu il paesaggio, quanto quello in esso contenuto.

Decine di migliaia di uomini erano assiepati in svariati accampamenti alle pendici dei valichi montani.

Il fatto che, in valle, i lavori fervessero con energia, non lasciava presagire nulla di buono.

Facendo tanto d’occhi di fronte a quello spettacolo angosciante, Aken guardò sconvolto Eikhe, esalando: “Era questo, ciò che non volevano far vedere a quelli di Anok Fort!”

“Vogliono invadere il regno” ansò sgomenta Eikhe, ugualmente confusa e preoccupata.

“Dobbiamo tornare al più presto, devo predisporre le truppe o…” dichiarò Aken, continuando a fissare quello spettacolo miserevole.

Guardando Nys, Eikhe mormorò lesta: “Vai a fare un sopralluogo, Nys. Noi ti aspetteremo alla Caverna dell’Alce, va bene?”

Il lupo annuì e cominciò a discendere il crinale mentre la ragazza-lupo, tirandosi dietro uno sconvolto Aken, mormorò: “Nys ci farà sapere cosa succede.”

“Non rischia di…” obiettò lui, prima di scorgere il dissenso di Eikhe.

“No, nessuno baderà a lui” precisò lei, prima di notare, su una vicina cresta di monte, un’apertura di poco più di un metro. “Eccola.”

“Come fai a conoscerla?” le chiese Aken, mentre la raggiungevano.

“Ci siamo accampati lì una notte, io e Nys. Fuori, infuriava la tempesta e saremmo morti, se non l’avessimo trovata” gli spiegò succintamente, affacciandosi all’interno per scoprire se il piccolo pertugio avesse già degli inquilini.

“Perché ‘caverna dell’alce’?” chiese a quel punto lui, entrando dopo la ragazza.

“Avevamo catturato un alce, quella volta. Avevamo faticato non poco, a trascinarla nella grotta per non perdere la pelle” rammentò lei, sedendosi a terra dopo aver appoggiato la sacca su un masso.

Storcendo il naso, Aken le chiese: “Toglimi una curiosità, Eikhe, ma da quando vai in giro da sola a cacciare?”

“Da sola, mai, c’è sempre stato Nys, con me. Comunque, caccio senza un’altra donna-lupo al fianco da quando avevo dodici anni” ammise tranquillamente, intenta a spostare un masso poco lontano, mentre rispondeva alle sue domande.

Ancora sconvolto da quella notizia, Aken non si accorse neppure di ciò che Eikhe estrasse da sotto il masso.

Non appena sentì lo schiocco inconfondibile del fuoco, però, osservò senza parole il piccolo mucchietto di legna e torba che aveva ammonticchiato in un angolo della grotta.

Confuso, le si avvicinò per scoprire dove avesse preso quella roba e, con sua somma sorpresa, scoprì una piccola insenatura nella roccia.

Con tutta probabilità, la ragazza vi  aveva raccolto un bel po’ di legname per i casi di emergenza.

Sempre più stupito di fronte alla bravura di quella giovane così strana, che il caso gli aveva fatto incontrare, Aken disse: “Mi stupisci ogni giorno che passa. Non avevo idea tu fossi così oculata.”

“Non è questa gran cosa. Mia madre mi ha insegnato che, se scopro un buon riparo, è sempre meglio tenerci dentro il minimo indispensabile per sopravvivere” si limitò a dire con naturalezza. “Togliti i vestiti e falli asciugare. Quel tuffo nella neve ci ha inzuppati per bene.”

Annuendo, Aken emise un risolino.

“Se non fosse perché sei tu, penserei ti stia divertendo a vedermi spogliare.”

Ridendo nonostante tutto, lei si volse per fare lo stesso e, preso il suo cambio nella sacca, si rivestì alla svelta prima di passare al principe il suo mantello.

“E’ indubbiamente uno spettacolo interessante, ma penso prima di tutto alla tua salute, piuttosto che a guardarti.”

Sedendosi vicino al fuoco, lui annuì e, dandole un buffetto sulla guancia, asserì: “Lo so, e ti ringrazio per le tue cure. Quando parli con quel cipiglio autoritario, dimentico per un momento di essere un guerriero, e torno a essere bambino.”

“Ti manca tua madre, Aken?” gli chiese con estrema serietà, ben sapendo che Anladi era la seconda moglie del re, e non la sua vera madre.

Annuendo, lui tornò con i suoi ricordi a un passato ormai lontano, a ombre e figure talmente vacue da essere quasi indistinguibili.

Una sola cosa era chiara e limpida, in lui: il loro amore reciproco.

Sua madre lo aveva sempre amato, e così lui, lei.

“A volte… specialmente quando sono in pericolo. Ricordo che mia madre non amava affatto la mia passione per le armi. Aveva paura mi facessi male.”

Sorridendogli, Eikhe dichiarò: “Era una madre molto accorta.”

“Oh, sì, fin troppo, direi” ammise lui, ridacchiando. “Ricordo che, a sei anni, poco prima che si ammalasse, mi vietò di andare ad allenarmi con gli altri guerrieri perché aveva il timore che potessi ferirmi.”

“Sei anni? E già ti permettevano di addestrarti?” esalò lei, sollevando sorpresaa  un sopracciglio.

“Non esattamente. Diciamo piuttosto che era l’unico sistema per tenermi lontano dai guai. Diversamente, facevo impazzire i precettori, e mi nascondevo ovunque, col rischio che mi rompessi davvero l’osso del collo. Non ho mai amato rimanere chiuso a palazzo” ironizzò Aken con tono vagamente triste.

Eikhe ne rimase sorpresa. Non avrebbe mai pensato che il principe non amasse il suo luogo di nascita.

“Quindi, l’unico sistema per tenerti più o meno al sicuro, era farti stare con i soldati. Ma non stavi attento come promettevi a tua madre, giusto?” ipotizzò a quel punto la ragazza, piegando le ginocchia per potervi poggiare i gomiti.

“Pensi che un bambino di sei anni faccia quello che gli dice la madre?” sospirò lui, scuotendo il capo, nella voce il mesto ricordo della madre. “Disobbedii, e mi ruppi un braccio durante un allenamento. Mia madre non mi disse nulla ma, da quel giorno, mi allenai solo con il mio insegnante privato di scherma. Bastava un suo sguardo, per capire se avevo commesso un errore o meno.”

“Doveva essere una madre dolce e gentile. La ricordi con un tale affetto” mormorò Eikhe con un piccolo sospiro.

Guardandola sorpreso, Aken allora le domandò: “Kaihle non è affettuosa con te?”

“Eh?” esalò lei, riscuotendosi da quel momentaneo cedimento. “Beh, non in questi termini, se è questo che intendi. E’ molto severa, con me e Tyura, ma so che ci vuole bene. Forse, con me è un poco più scostante perché ho un carattere difficile.”

“In che senso?” volle sapere lui.

“Dice che mi comporto come un lupo selvatico…” scrollò le spalle lei. “… me lo dice spesso, specialmente quando sto tanto tempo nei boschi con Nys.”

“E perché stai così tanto tempo lontana dal villaggio?” le chiese a quel punto Aken, osservandola dubbioso.

“Ti sembrerà strano, ma adoro passare il mio tempo nella foresta con Nys. Amo le mie sorelle del villaggio, ma non mi sento del tutto parte di loro, lo ammetto” sospirò la ragazza, corrucciandosi. “Non… non sono del tutto convinta che sia giusto quello che facciamo.”

“Che intendi dire?” volle sapere lui, accigliandosi leggermente.

Dove voleva andare a parare?

“Beh, vedi… come saprai, i lupi si scelgono un compagno per la vita, e rimane quello fino alla morte di uno dei due. Noi, invece, ci uniamo agli uomini solo quando siamo pronte per procreare” gli spiegò, fissando lo sguardo a terra.

Parlarne con Aken cominciava a farla sentire strana, e non riusciva più a guardarlo negli occhi così apertamente come era stata solita fare quando si erano appena conosciuti.

Ora, sentiva qualcosa ribollirle dentro ogni qual volta i suoi occhi incrociavano quelli del giovane principe, specialmente se ciò di cui stavano parlando era un argomento così personale come quello.

Con un gran respiro, Eikhe cercò di riprendere il controllo delle proprie emozioni e continuò.

“Io non credo ne sarei capace. Trovarmi un uomo solo per concepire un figlio, intendo.”

Sorridendo gentilmente, comprendendo cosa volesse dire, Aken mormorò: “Vorresti anche tu un compagno per la vita, come i tuoi lupi?”

Lei annuì debolmente e il principe, sollevandole il viso per guardarla nelle sue profondità dorate, disse: “E’ bello che tu lo voglia, Eikhe.”

“Ma non è quello che dicono alla tribù. Io non posso averlo” precisò lei, fissandolo spaventata. “Per questo, mi sento più parte del branco dei lupi, che compagna delle mie sorelle, esattamente come Hyo. Lei aveva donato un figlio a Hevos perché amava lui, non perché voleva semplicemente diventare madre e portare avanti una stirpe di donne libere.”

Avvedendosi del suo turbamento, Aken la prese tra le braccia, facendole poggiare il viso contro il suo torace nudo.

Cullandola contro di sé, ascoltò con rammarico i suoi singhiozzi strozzati, e carichi di un dolore che pareva essere antico quanto profondo.

Con voce resa roca dalla tensione che sentì nascere dentro di sé nel percepire il suo dolore, le disse: “Povera bambina… ma perché non vi lasciano decidere liberamente?”

Affondando il viso nell’incavo del suo braccio, Eikhe cercò di non piangere e mormorò: “Non ho il potere di farlo. E’ il Consiglio delle Tribù che ha sempre deciso le regole, almeno da duecento anni a questa parte.”

“Ugualmente, non è giusto privarti di qualcosa che vorresti” sussurrò lui, continuando a cullarla gentilmente.

Cominciando a piangere in silenzio, Eikhe si strinse ad Aken senza neppure accorgersene.

Presala sulle gambe, la tenne in grembo come avrebbe fatto con una bambina, finché lo scoppio di pianto non fu passato.

Quando finalmente i singhiozzi della ragazza scemarono fino a scomparire, le scostò un poco il volto per sorriderle comprensivo.

Asciugandole le lacrime sotto gli occhi sfiorandola con il pollice, Aken le chiese: “Da quanto tempo non parli con qualcuno, Eikhe?”

Arrossendo suo malgrado per quel momentaneo cedimento, lei mormorò contrita: “Da mesi, ormai.”

“Non hai un’amica, al villaggio, che la pensi come te?”

“Parlo con Sendala, a volte… è l’unica che non mi giudica per quello che penso, o per quello che sono, ma…” sospirò lei, reclinando il capo mestamente.

“…ma neppure lei ti capisce fino in fondo, vero?” terminò per lei Aken, sistemandole una ciocca di capelli con gesti gentili di una mano.

Lei annuì, scostandosi lentamente da lui.

“Già. Scusami se sono scoppiata a piangere. Evidentemente, sono più stanca di quanto non credessi. Di solito, non sono così.”

Annuendo, Aken lasciò che si rialzasse. Era meglio non eccedere, con i contatti intimi, o non aveva davvero idea di dove avrebbe potuto condurli.

“Nessuno mi porterebbe a credere che tu sia una ragazza tutta lacrime e fazzoletti, credimi!”

Eikhe tornò a sorridere brevemente poi, piegandosi verso le sacche, disse con la voce ancora un po’ arrochita dal pianto: “Visto che dobbiamo aspettare Nys, tanto vale mangiare un po’, no?”

“Giusto. Cominciavo a sentire un certo languore allo stomaco” annuì Aken, passandosi una mano sul ventre piatto e muscoloso.

Lei gli passò un po’ di carne secca e delle gallette, dopo essersi scostata da lui per sedersi su un masso.

Lì, Eikhe fissò turbata Aken prima di dire: “Se il tempo tiene, saremo al Valico di Kortoss entro domani sera, altrimenti…”

“… altrimenti,  moriremo?” aggiunse lui senza preamboli, masticando lentamente il pezzo di carne secca.

Eikhe annuì. Era inutile girarci intorno. 

“Se la tempesta infuriasse, ci terrebbe bloccati qui per giorni, e non c’è legna a sufficienza per scaldarci per così tanto tempo, né cibo sufficiente.”

“Capisco” annuì Aken, senza scomporsi.

La ragazza-lupo lo fissò per un momento prima di mormorare: “Mi spiace non ci siano altri modi per raggiungere Rajana.”

“Non è colpa tua, no? Quindi, non ti scusare. Stai già facendo fin troppo, visto che non eri stata assoldata per farmi da scorta” scrollò le spalle lui, sorridendole ironico prima di finire la carne secca.

Succhiatosi un dito, dove era rimasto un sentore di carne, Aken la fissò dubbioso per un attimo, prima di dire: “Piuttosto, mi è tornata in mente una frase di Nargan. Ha detto qualcosa circa alcune tue compagne del valico e, a tal proposito, ho pensato a ciò che mi hanno riferito alcuni uomini di Marhna. Mi dissero di non aver visto lupi, al loro ultimo passaggio per raggiungere il forte. Cosa pensi possa essere successo?”

Aggrottando la fronte, Eikhe si mordicchiò la punta di un dito con fare nervoso.

Ci aveva pensato anche lei, quando aveva sentito Nargan parlarne.

“Dubito fortemente che le mie sorelle possano essere passate dalla parte di Vartas, almeno non volontariamente. Odiano i vartassyan perché sono dei veri primitivi, con le donne. Più degli altri, insomma.”

A quel commento, Aken ammiccò divertito, ed Eikhe scrollò una mano come per mandarlo al diavolo.

Ugualmente, comunque, proseguì nel suo discorso.

“Credo piuttosto che le abbiano prese prigioniere, uccidendo nel contempo i lupi della tribù. So per certo che loro accompagnano sempre i convogli fino al Forte, per essere sicure che le scorte arrivino. Non è raro che ci siano slavine da quelle parti, ed è capitato più di una volta che loro abbiano aiutato i carri a liberarsi dalla neve. Fa comodo anche a noi avere la difesa del Forte dalle incursioni di Vartas, quindi credo sia successo qualcosa di simile.”

“E che voleva dire parlando di… di ‘figlie sacre’ come te?” volle sapere lui, non del tutto certo che lei avrebbe risposto alla sua domanda.

Guardandolo per un momento con aria dubbiosa, Eikhe sospirò e disse: “Mi stupisce che siano riusciti a prendere anche loro. Siamo difficili da… catturare.”

“Perché ho l’impressione che mi nascondi qualcosa?” dichiarò il principe, adombrandosi in viso.

“Aken…” esalò la ragazza, chiedendosi se fosse arrabbiato con lei per via dei suoi silenzi.

Aveva un viso così cupo e accigliato, da metterle quasi paura.

Aken, però, aveva tutt’altro per la testa, perché i suoi pensieri non stavano affatto gravitando intorno a quanto lei non gli dicesse, quanto piuttosto alle affermazioni circa i suoi desideri.

Lei voleva un compagno per la vita, e non un semplice amplesso con un uomo al solo scopo riproduttivo come, invece, sembrava dire la loro legge.

Eikhe si era definita più un lupo, che una appartenente alla sua tribù.

Se questo, da un lato, lo aveva stupito, dall’altro lo aveva reso tremendamente consapevole del fatto che, il suo compagno, avrebbe voluto essere lui.

Già il solo pensarlo era pura follia, perché sapeva bene che Eikhe non era la donna adatta a lui.

Non poteva comunque fare a meno di pensare a quanto stesse bene in sua compagnia, a quanto la sua voce gli ispirasse serenità, a quanto il suo sorriso, o il suo pianto, potessero farlo sentire bene, o male.

Mai nella vita, aveva provato tali sentimenti, assieme a una donna.

Erano tutte sensazioni che non riusciva a frenare e, pur dandosi dello stupido, vista la gravità della situazione, non ce la faceva a non pensare a lei.

O al desiderio di diventare un tutt’uno con quella giovane amazzone dagli occhi dorati.

Il suo piccolo lupacchiotto.

Il solo pensiero lo portò a sorridere e, levato lo sguardo su Eikhe, la trovò a fissarlo pensierosa, la bocca atteggiata a una leggera smorfia e le sopracciglia chiare accigliate.

Sembrava non riuscisse a comprendere qualcosa.

Inclinando il capo di lato, le chiese: “Cosa c’è, Eikhe?”

“Posso girare a te la domanda?” replicò lei, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. “Perché ti sei fatto di colpo ombroso? E’ per via della nostra situazione, che sei preoccupato? O c’è dell’altro?”

Scuotendo la mano con un gesto noncurante, lui replicò tranquillo: “No, lo so anch’io che rischiamo di morire, Eikhe. Non ero preoccupato per quello, non temere. Neppure durante le battaglie, la morte mi preoccupava.”

“E cosa ti rende ansioso, allora?” gli domandò sorpresa. Cos’altro poteva angustiarlo?

Ridendo suo malgrado, Aken scrollò la testa, replicando mesto: “Pensieri da uomo, tesoro, niente di cui tu ti debba impensierire.”

Lei arrossì leggermente e sorrise, dicendo: “Tesoro? Ma come siamo gentili!”

Aken sogghignò divertito e replicò: “Ti devo trattare bene, se non voglio che mi lanci da un dirupo, no?”

Eikhe scoppiò a ridere ed Aken, lieto nel vederla finalmente più serena, rimase a fissarla in silenzio per alcuni istanti, abbeverandosi di quella splendida visione.

“Ora sì che mi piaci, Eikhe. Sorridente come dovrebbe esserlo qualsiasi ragazza della tua età.”

“Perché, alla veneranda età di venticinque anni, come bisogna essere?” ironizzò lei, ridendo e asciugandosi una lacrima ilare. “Voglio ricordati che hai solo otto anni più di me, non ottanta.”

Imponendosi un atteggiamento compassato e altero, Aken dichiarò con serietà: “A venticinque anni bisogna essere seri, pacati, estremamente educati e mai impulsivi.”

Chiusi gli occhi, sollevò un dito e aggiunse: “Si deve avere proprietà di linguaggio e di comportamento e…”

Scaraventato a terra all’improvviso da Eikhe, Aken si ritrovò a fissarla da quella strana prospettiva capovolta, lei tutta ridacchiante e soddisfatta.

Storcendo il naso, le domandò: “Ma che ti è preso?”

“Mi davi sui nervi…” rise lei, mettendo mano ai fianchi di Aken. “… soffri il solletico?”

Aken impallidì leggermente – era anche troppo sensibile, da quel punto di vista – e chiese dubbioso: “Perché? Non vorrai infierire su un uomo disarmato, e svestito, per giunta?”

Sorridendo diabolica, Eikhe annuì e disse: “Se può servire a toglierti quell’aria di superiorità dalla faccia, sì. Non mi piacevi per niente, compassato com’eri. Sembravi una prugna secca.”

Rialzandosi di scatto, Aken fece andare gambe all’aria Eikhe e ringhiò falsamente irritato: “Prugna secca, a chi?!”

Lei rise nel rimettersi in piedi e, indicandolo con ironia, esclamò: “Tu, è ovvio.”

Aggrottando la fronte, Aken lanciò un’occhiata ai suoi pantaloni.

Avvedutosi che erano asciutti, si liberò con un gesto negligente del mantello – portando Eikhe e sgranare gli occhi per la sorpresa e l’imbarazzo – e li indossò e disse: “Così, almeno, non rischierò colpi bassi.”

Indietreggiando di un passo, Eikhe aggrottò la fronte e mormorò: “Perché?”

“Per restituirti la pariglia!” esclamò lui, gettandosi sulla ragazza.

Strillando per la sorpresa e il divertimento, Eikhe crollò sulla sacca degli abiti e, ridendo a crepapelle, sentì le mani di Aken farle il solletico sui fianchi con diabolica meticolosità.

Pur dimenandosi per liberarsi, si trovò bloccata dalle sue gambe massicce, del tutto intenzionate a tenerla bloccata a terra.

Con le lacrime agli occhi, Eikhe riuscì a dire: “Dèi, ti prego… basta, Aken! Non resisto più!”

“Ma davvero? Non era quello che volevi fare a me?” ghignò per contro lui, continuando nella sua tortura.

“Sì, ma non l’ho fatto!” protestò lei, riuscendo in qualche modo a liberare un braccio dalla sua morsa.

Raggiungendo un fianco nudo di Aken, Eikhe si vendicò prontamente e il principe, sobbalzando per la sorpresa, si scostò da lei, crollando a terra, scosso da brividi.

Approfittandone immediatamente, la ragazza-lupo gli saltò addosso, iniziando a fargli il solletico.

Pur non volendo, il principe cominciò a ridere senza più riuscire a fermarsi, cercando inutilmente di afferrare la ragazza perché terminasse quell’assalto.

Avvoltala con le braccia, se la schiacciò contro il petto e, osservando le sue gote rosse d’ilarità con un sorriso deliziato, esclamò: “Piantala, strega!”

Lei gli fece la lingua prima di scoppiare ancora a ridere, e dire: “Non stai meglio, ora?”

Il principe la fissò senza capire per un momento, prima di afferrare il gioco sottile cui l’aveva fatto partecipare.

Mettendosi a sedere e trascinandola con sé, annuì e ammise: “Sì, sono più rilassato, grazie. Sembravo così teso?”

Eikhe annuì, ora seria in viso e, messasi cavalcioni sulle sue gambe, dichiarò con semplicità: “Io e Nys giochiamo sempre, per rilassarci. Pensavo ne avessi bisogno anche tu. Ti sei offeso, se mi sono presa questa libertà, principe?”

Era così impulsiva e schietta e, nella sua semplicità,… così maledettamente seducente.

Non si rendeva minimamente conto di quanto, quel suo essere così naturale, lo facesse andare in deliquio?

Pur ritenendosi un egoista, desiderò con tutto se stesso che continuasse per sempre a essere così sincera e diretta, ma solo con lui.

Scuotendo il capo, lui le sorrise e, dandole un buffetto sul naso, disse: “No, piccola, anzi, devo ringraziarti per aver pensato a tirarmi su di morale.”

Lei scrollò le spalle e mormorò: “Di nulla, Aken.”

***

Nys li raggiunse durante la notte, trovandoli ancora addormentati vicini, avvolti dal mantello di pelle d’orso e coi volti che denotavano la stanchezza accumulata in quei giorni di privazioni.

Avvicinantosi silenzioso, si sistemò accanto alla padrona, addormentandosi a sua volta.

Quel che aveva da riferire alla sua padroncina era sì, importante, ma non così tanto da destarla nel bel mezzo della notte.

Avrebbe atteso il sorgere del sole per metterla al corrente di ciò che aveva scoperto.

***

La mattina venne anche troppo in fretta e Nys, svegliatosi per primo, leccò il viso della padrona per svegliarla.

Non poteva più attendere.

Eikhe si mosse debolmente, sollevando le palpebre appesantite dal sonno ma, non appena vide Nys, sorrise lieta ed esclamò: “Aken, svegliati. E’ tornato!”

Strizzando gli occhi per un momento, Aken si ritrovò il muso di Nys dinanzi  al viso e, con sua somma sorpresa, il lupo leccò anche lui.

Eikhe allora rise e disse: “Sei diventato il suo cucciolo!”

“Che cosa?” esalò Aken, sollevandosi a mezzo mentre Nys continuava a leccarlo.

Cercando di intercettarlo senza far finire le dita in mezzo alle sue zanne, Aken lo bloccò scherzosamente, afferrandolo per il muso.

“Che ti prende, stamattina?”

Nys si liberò agevolmente, buttandolo a terra con il suo peso e Aken, sbuffando, chiese ancora: “Allora, si può sapere cos’hai?”

Uggiolando, Nys lo liberò dopo un momento ed Eikhe, aiutato Aken a rialzarsi, gli spiegò il comportamento del suo lupo.

“Dice che ti è grato per le cure che mi serbi, per cui ti ha preso sotto la sua ala, per così dire.”

“Sotto la sua zampa, vorrai dire!” commentò Aken, sorridendo a entrambi. “Ebbene?”

Nys si volse verso la padrona, cominciando a uggiolare e la ragazza, aggrottando più volte la fronte, impallidì leggermente prima di dire torva: “Saranno almeno cinquantamila unità. Hanno cavalli in abbondanza, carri pieni di vettovaglie e catapulte… e altri ne arriveranno dalle pianure, da quel poco che ha sentito.”

Incupendosi, Aken annuì grave. 

“E così, sono davvero decisi ad attaccarci, eh? Ma troveranno pane per i loro denti, questo è certo!”

“Dobbiamo arrivare a Rajana al più presto. Se passano il confine, potrebbero colpire anche i nostri villaggi, vero? L’unica strada percorribile adesso, a causa della frana che ha bloccato il Sentiero dell’Orso, è il Valico di Kortoss. Da lì, passeranno ad Anarsis e, infine, giungeranno a Enerios” mormorò Eikhe, preoccupata.

Annuendo, Aken le chiese: “Quante tribù dei lupi ci sono, sulle montagne?”

“Siamo una trentina… settemila persone circa, in tutto” dichiarò lei, pensosa, sorprendendolo.

“Così tante donne?”  esalò lui.

“Non pensavi, vero?” sorrise lei, divertita.

“Lo ammetto, no.  E sanno tutte combattere?”

“Tolte le anziane e le bambine, saremo circa quattro-cinquemila combattenti esperte” decretò Eikhe, rimuginando sui numeri di sua conoscenza.

Saremo? Verresti in guerra anche tu?” esalò Aken, un po’ turbato dall’idea.

“Ma certo! A cosa pensi andremo incontro, scendendo a valle? Solo a scampagnate nei boschi?” replicò lei, un po’ piccata. “Continui a trattarmi come una bambina, nonostante tutto, eh?”

Alzandosi stizzita, Eikhe raccolse la sua sacca, buttandosela sulle spalle con malagrazia.

Osservandola spiacente, Aken si alzò a sua volta per uscire dal loro riparo, ben deciso a chiederle scusa.

La visione di ciò che li attendeva all’esterno, però, lo ammutolì di colpo e, sgomento, osservò la lastra di neve compatta e ghiacciatasi nella notte.

Mettendo dubbioso un piede su quella massa uniforme e trasparente, per poco non crollò a terra riverso sulla schiena.

Imprecando furiosamente, esclamò: “Ci mancava solo una pista di pattinaggio!”

“Lo praticate anche voi?” chiese curiosa Eikhe, fissandolo sorpresa e dimenticando per un momento l’ira provata all’interno della grotta.

“Qualche volta, quando i laghi a valle ghiacciano” annuì Aken, prima di chiederle: “E ora?”

Guardando Nys, che pareva turbato al pari di Aken, Eikhe sospirò un momento prima di dire: “Ad averci pensato, ne avrei presi un paio anche per te, ma…”

Sbuffando, si sedette su un sasso, estraendo dalla sua sacca un paio di strani sandali dalle suole ricoperte di punte acuminate.

Dopo averli allacciati sotto gli stivali, li saggiò sulla neve ghiacciata e infine guardò il suo principe.

“Aken, tu dovrai prendere in braccio Nys… pensi di farcela?”

Osservando il corpo slanciato del lupo, lui annuì senza problemi.

“Basta che non mi morda.”

Sorridendo con un certo sadismo, lei dichiarò: “Non lo farà, …sei il suo cucciolo.”

Aken storse il naso a quella parola ed Eikhe, tornando seria, disse: “Dovrai tenerti a me come se fossi un appoggio, altrimenti potresti scivolare, portando a valle Nys con te.”

“Ma sei certa di poter tenere entrambi noi? Siamo piuttosto pesantucci” replicò Aken, guardandola turbato.

“Vuoi metterli tu, questi sandali? Dubito riusciresti a calzarli” replicò piccata Eikhe, indicandosi il piede, ben più piccolo di quello del guerriero.

Aggrottando un poco la fronte, Aken però le fece notare un particolare.

“Non li posso calzare, ma li possiamo modificare, no?”

“In che senso?” borbottò lei, aggrottando la fronte.

“Non avrò tutto il piede coperto quei denti metallici, ma avrò sicuramente un appoggio migliore sul ghiaccio, rispetto alle suole di cuoio, no?” ipotizzò lui, fiducioso. “Tagliando un paio di lacci e mettendoli sui lati, risolveremo il problema. Se io scivolassi, non riusciresti a tenermi, Eikhe, mentre io riuscirei di sicuro.”

Lei lo fissò ombrosa per qualche momento ma, alla fine, tornò sui suoi passi, raggiungendo nuovamente la grotta.

Lì, si tolse i calzari e, dopo aver ordinato ad Aken di sedersi, cominciò a operare le modifiche del caso mentre Nys osservava a intervalli regolari il fronte della montagna e i suoi due compagni di viaggio.

Lavorando abilmente con il coltello e i lacci di pelle, Eikhe riuscì a fissare sotto le suole degli stivali di Aken le due basi acuminate e, annuendo debolmente, disse: “Sono rovinati, ma hai ragione. Io non riuscirei a tenervi, se tu scivolassi.”

Il principe, a quel punto, si levò in piedi, saggiando le sue insolite calzature.

Tornato che fu sulla neve, annuì e disse: “Ora va decisamente meglio.”

Poi, piegandosi su un ginocchio, disse: “Coraggio, Nys, in groppa.”

Nys uggiolò contrariato ed Eikhe, ridacchiando, disse: “Lo so che non è molto decoroso, per un lupo ma le tue zampe, sul ghiaccio, non fanno presa, lo sai.”

Sconfitto, Nys venne sollevato da Aken che, sistemandoselo come meglio poté, dichiarò: “Non sei un peso piuma, eh?”

Il basso ringhio di Nys lo portò a azzittirsi ed Eikhe, poggiate le mani sui fianchi di Aken, mormorò: “Procedi pure.”

“Mi perdoni per quello che ho detto prima?” le chiese Aken, prima di muovere un solo passo sulla neve ghiacciata.

Eikhe sospirò e, poggiando  un momento la fronte contro la schiena di Aken, annuì una sola volta.

“Dovrei saperlo che non sei abituato a vedere delle donne combattere, eppure mi dimentico sempre. Sei scusato. Davvero.”

“Bene” annuì lieto il principe.

Iniziata la discesa sulla lastra di neve, le mani di Eikhe strette con forza alla sua tunica,  Aken scrutò innanzi a sé oltre lo scudo fisico di Nys.

Deglutendo a fatica, sperò ardentemente di non combinare un guaio, che avrebbe messo tutti e tre sul primo convoglio per il Regno dei Morti del dio-Corvo.

Non voleva commettere nessun errore, e non solo perché ciò avrebbe significato la morte quasi certa.

Soprattutto, non voleva deludere Eikhe quando, per una volta, non aveva il totale controllo della situazione.

Le doveva troppo, e non solo per quel che riguardava quel viaggio.

Era impressionante quante cose fosse in grado di fare, nonostante la sua giovane età.

Giorno dopo giorno, Aken si stava rendendo conto che, quella ragazza, avrebbe potuto veramente rappresentare per lui la svolta nella vita che tanto aveva cercato.

L’unico problema, e non da poco, era la loro appartenenza a due mondi diversi.

Erano così diametralmente opposti che, neppure in mille anni, avrebbero potuto condividere ciò che lui cominciava a sentire per lei.

Sospirando leggermente di fronte a quella verità incontestabile, Aken cercò di lasciar perdere quei pensieri poco consoni alla missione che stavano svolgendo e, concentrandosi sulla discesa, domandò: “A est?”

“Sì, prosegui di là. Il Valico è circa un miglio oltre quella cresta di roccia” annuì Eikhe, indicandogliela con il braccio teso.

“Ci vorrà tutta la giornata, per raggiungerlo, di questo passo” brontolò Aken, accigliandosi.

“Anche meno, se scivoliamo giù” ribatté lei. “Guarda dove vai, e non ti lamentare.”

“Sì, mamma” la rabberciò lui, caustico.

Senza starci neppure a pensare, Eikhe gli assestò un sonoro ceffone sul didietro e Aken, stringendo i denti, imprecò.  

“Ehi! Vuoi farci cadere?! Che ti prende?!”

“Scusa, mi è venuto spontaneo” fece la lingua lei, ridendo nonostante tutto.

“Stupida” si lamentò Aken.

Eikhe si limitò a sorridere maliziosa e, osservando il muso di Nys, che se ne stava appoggiato sulla spalla di Aken, lo vide snudare i denti in una sorta di sogghigno.

Lei lo ringraziò, accarezzandogli il muso e il principe, sbirciandola da sopra la spalla libera, le chiese: “Cos’avete in mente, voi due?”

“Nulla, Aken, te lo assicuro” sorrise Eikhe, rimettendo la mano sul suo fianco.

Storcendo il naso, non del tutto convinto, il principe procedette sulla parete di neve e ghiaccio fino a che il sole non divenne così accecante da rendere quasi impossibile proseguire.

A quel punto, Eikhe ingiunse ad Aken di fermarsi.

“Dobbiamo mettere le bende sugli occhi.”

“Credo anch’io” annuì lui, di malavoglia.

Come il giorno precedente, per evitare che il riverbero li accecasse, i due giovani indossarono delle diafane strisce di stoffa sugli occhi.

Con calma misurata, ripresero poi la discesa, sempre tenendosi in direzione del Valico di Kortoss.

Riposando le braccia a ogni ora, Aken ripensò a ciò che i suoi occhi, il giorno precedente, avevano scorto.

Gli agglomerati di tende bianche dell’esercito non promettevano niente di buono, e lui doveva assolutamente raggiungere Rajana per preparare i suoi soldati, o sarebbe stata la fine per tutti loro.

Con il sole già ripiegato verso ovest, Aken si volse forse per la centesima volta a osservare Eikhe, che stava dando a Nys un pezzo di carne secca.

Silenziosamente, si chiese cosa sarebbe potuto succederle, se la guerra avesse toccato anche le sue terre.

Come aveva detto lei, avrebbe combattuto al fianco delle sue sorelle, ma sapeva per certo che, il solo pensiero, lo avrebbe fatto rabbrividire di paura.

Ormai non poteva più fare nulla per impedire a se stesso di provare un affetto incondizionato per Eikhe e il suo lupo, e sapeva che questo non era affatto un bene, né per lui, né per la ragazza.

Pur sapendolo, non poté esimersi dall’intenerirsi di fronte al tenero sguardo con cui la ragazza osservò il suo lupo, perciò pregò ardentemente di poter fare qualcosa per entrambi.

Era così strano provare un trasporto così profondo per una persona che conosceva da così poco tempo eppure, per Eikhe, lui sentiva esattamente questo.

E anche per Nys, a dir la verità.

Inginocchiatosi accanto a loro in quel momento di pausa dal loro avanzare lungo la montagna, accarezzò Nys sul capo, grattandolo dietro le orecchie e, sorridendo, disse: “Mio buon Nys…”

Eikhe lo fissò allibita per un momento prima di sorridere.

“Ti piace, eh?”

Aken si limitò ad annuire, lasciando che Eikhe interpretasse come volesse il suo assenso.

Ripreso infine il lupo in groppa, ricominciò a discendere il crinale, intravedendo in lontananza la prima vegetazione montana.

Da quel punto, erano ancora invisibili dal Valico, ma presto quella condizione di vantaggio sarebbe svanita.

Quanto più tardi avessero raggiunto i pini di montagna, tanto più certa sarebbe stata la loro sopravvivenza.

Il problema, in seguito, sarebbe stato trovare un luogo in cui ripararsi per la notte, ma confidava nella bravura di Eikhe nel risolvere dilemmi simili.

A dissolvere le sue speranze, però, pensò Eikhe che, osservando cupa il declinare del sole, brontolò: “Stasera passeremo una nottata piuttosto disagevole, mi sa.”

“Niente ripari, qui?” mormorò allora Aken, cominciando a sentire pesantemente la stanchezza.

“Solo una rientranza nella roccia. Servirà a tenerci riparati dal vento, ma nulla più. Dovremo dormire accucciati contro la parete rocciosa, e usare tutte le pelli che abbiamo a disposizione per tenerci al caldo. La temperatura calerà drasticamente, stanotte” spiegò lei, ombrosa, indicandogli il cielo sgombro di nubi. “Spero solo che basti ciò che abbiamo.”

“Capisco” annuì Aken. “Se facessimo un letto di rami di pino, però, non percepiremmo il freddo della roccia, no?”

Lei annuì dopo un momento e, con un mezzo sorriso, dichiarò: “Dovrai fare il boscaiolo.”

“Già. Taglierò anche qualche ramo un po’ più grosso perché ci ripari ulteriormente dal vento, non si sa mai” annuì pensieroso Aken.

“Ottima idea. Con la tua forza, non avrai problemi” assentì Eikhe stringendosi un poco più a lui. “Sono contenta di non essere sola, stavolta.”

Un po’ sorpreso, comprendendo perfettamente non intendesse parlare di Nys, quanto di una presenza umana al suo fianco, Aken le chiese: “Oh, e come mai?”

“Mi rendo conto che, da sola, non riuscirei a superare tutti gli ostacoli che si pareranno dinanzi a noi. Con te, invece, sono sicura di riuscirci” sorrise lei, illuminando il suo viso stanco e provato dalla fatica.

“Ti sono grato della fiducia, piccola…” sorrise Aken, soddisfatto da quella confessione. “… ma la cosa è reciproca. Sono le tue idee geniali che ci stanno cavando dai guai, e ne sono consapevole.”

“Davvero?” mormorò la ragazza, sbirciando il suo volto.

Aken assentì con decisione.

“Nutro profondo rispetto per quello che sai fare, e per te come persona, Eikhe. Se ogni tanto ti sembra che io oltrepassi i limiti, sembrandoti un maschilista, è solo perché desidero aiutarti, e non lasciare tutto il peso della missione su di te.”

“Io me la prendo per un nonnulla, non devi badare alle mie sfuriate. Come vedi, cominciano e finiscono in breve tempo” replicò Eikhe, arrossendo lievemente.

“Come dici tu” sorrise lui.

***

Dopo aver accatastato una buona quantità di rami contro, e ai piedi, della parete dove avrebbero dormito, Aken andò a recuperare i due grossi arbusti che aveva divelto.

Questo, avrebbe protetto il loro sparuto gruppo dal vento ed Eikhe, quando li vide, rise di gusto.

“Ma hai disboscato il monte!?”

Sogghignando, Aken disse: “Non proprio, ma ho faticato parecchio a convincere questi due a prestare il loro aiuto a tre poveri viandanti.”

Eikhe si coprì la bocca con una mano per non scoppiare in un’altra frenetica risata e Nys, saltellando intorno ad Aken, lo portò a domandare: “Ma che gli prende?”

“Capisce cos’hai fatto, ed è contento” gli spiegò la ragazza, carezzando il suo lupo sulla schiena.

Sistemando i rami in maniera tale da creare una piccola alcova protetta, Aken vi si infilò dentro e annuì soddisfatto.

“Coraggio, bambine e lupi, adesso.”

Eikhe gli fece la lingua prima di sorridere e accovacciarsi al suo fianco dopodiché, allargato un braccio, accolse al suo fianco Nys.

A quel punto, Aken sistemò meglio i grossi rami perché li circondassero completamente e domandò con un certo orgoglio: “Cosa te ne pare, per un rozzo guerriero delle pianure?”

“Ottimo. Non avrei saputo fare di meglio” mormorò Eikhe, affondando nel mantello di pelliccia.

Avvolgendola con un braccio, Aken se la tirò contro e protestò gentilmente: “Sei fredda come un ghiacciolo, piccola. Stammi più vicino.”

“Lo so, ma ora mi scaldo” replicò Eikhe, sorridendogli convincente.

“Nys? Tutto bene, lì?” chiese a quel punto Aken.

Il lupo annuì col muso così Aken, soddisfatto, dichiarò: “D’accordo, rimani solo tu da scaldare, signorina, e ho tutta l’intenzione di non lasciarti infreddolita ancora per molto.”

“Che intendi dire?!” esalò lei, avvampando in viso e guardandolo con occhi sgranati.

Ridendo di sommo gusto, Aken prese le piccole mani tra le sue, dicendo: “Sciocchina! In tanti giorni che dormiamo insieme, ti ho mai toccato in modo intimo?”

“Solo una volta, ma non lo sapevi” precisò lei, pur tranquillizzandosi un poco.

“Ti ho già chiesto scusa, per quello, e non intendo tornare sull’argomento” si lamentò scherzosamente lui, cominciando a massaggiarle le mani intirizzite.

“Che piacevole tepore” sussurrò lei, socchiudendo gli occhi.

“Ti piace?” mormorò Aken.

Lei annuì, appoggiando il capo contro il suo torace e, in breve tempo, si addormentò.

In silenzio, Aken continuò a scaldarla, massaggiandole anche le braccia.

Solo dopo essere stato certo che anche Nys si fosse appisolato, accostò una mano al viso della ragazza e, carezzandolo leggermente, sorrise e disse: “Sei una ragazza rara, Eikhe di Nestar, non c’è dubbio, e io sono orgoglioso di essere qui con te.”

Nel sonno, Eikhe sorrise e Aken, calando sul suo viso, le sfiorò la fronte con un bacio prima di addormentarsi a sua volta.

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Capitolo 8
*** cap.8 ***


 
Le cose cominciano a farsi davvero pericolose e… beh, credo che potreste anche avercela con me, alla fine di questo capitolo, ma siate comprensive! La storia doveva andare così! Non potevo evitare nulla di ciò che sta per succedere. Spero comunque che sarà una lettura interessante.
 

8.

 

 

 

 

 

Una coltre di nubi minacciose e rigonfie ricopriva il sole che, la giornata precedente, li aveva accompagnati fino a raggiungere le pendici del valico.

Un solo giorno di ritardo, e avrebbero trovato ad attenderli una tormenta.

E la morte.

Adombrandosi non appena Aken scorse dietro una guglia di roccia l’avamposto di miliziani vartassyan, che presidiava il Valico di Kortoss, si accostò a Eikhe per sussurrargli: “E’ presidiato. C’è del fumo che esce dal comignolo della casamatta, e quattro uomini sulla mulattiera.”

Aggrottando la fronte, la ragazza-lupo annuì ombrosa.

“Non possiamo evitarli, purtroppo. Dobbiamo ingaggiare battaglia. Non esistono altre vie.”

Annuendo grave, pur sapendo quanto la cosa fosse pericolosa, Aken disse perentorio: “Resta dietro di me. Farò più danni io con la spada, che tu con il tuo pugnale.”

Pur controvoglia, Eikhe assentì ma, afferratolo a un braccio, strinse leggermente e mormorò con voce leggermente incrinata dall’ansia: “Stai attento, però.”

“Certo” le sorrise brevemente lui, prima di attirarla a sé per un abbraccio. “Buona fortuna, Eikhe.”

Irrigidendosi per un momento, la ragazza si rilassò subito dopo tra le sue braccia e, avvolgendolo con le proprie, strinse con forza, sussurrando contro il suo petto: “Buona fortuna a te, Aken. Possa Hevos guidare i tuoi passi.”

“E così i tuoi” mormorò per contro lui, lasciandola andare prima di portare la sua attenzione su Nys.

Carezzandogli la testa e la schiena più e più volte, Aken si chinò verso di lui per stringerselo al petto e, contro il suo pelo nero e folto, disse: “Stai attento anche tu, Nys.”

Il lupo accettò l’abbraccio prima di leccarlo in viso e dargli qualche colpetto con il naso, portando Eikhe a dire con voce rotta dall’emozione: “Vuole che tu stia attento, che tu non ti faccia male, perché gli darebbe grande dolore perderti.”

“Vedrò di accontentarti, amico mio” gli promise Aken prima di guardare Eikhe, che ancora li stava fissando con occhi lucidi. “Cosa c’è?”

Lei si limitò a scuotere il capo d’oro rosso, gli occhi enormi e di una purezza disarmante fissi su di lui.

Ciò che le uscì dalla bocca, fu un sussurro di rassegnata sicurezza, come se ogni pezzo di un enorme e labirintico puzzle fosse infine andato al suo posto.

“Nulla. Per una volta, va tutto bene.”

“In che senso?” le chiese lui, estraendo lentamente la spada, pronto a dar battaglia.

“Te ne parlerò più tardi, se potremo” gli promise lei, afferrando il proprio pugnale prima di scuotere un paio di volte il capo.

Era necessario che ritrovasse la concentrazione, in vista di ciò che dovevano fare entro breve.

Non poteva mettersi a pensare ad Aken e a ciò che Nys aveva appena fatto, non era davvero il momento giusto.

Ma era così difficile non apprezzare il gesto che il suo lupo aveva appena compiuto… per lei.

Carezzandolo con lo sguardo e con la mano libera dal pugnale, Eikhe disse al suo inseparabile compagno: “Grazie, amico mio. Grazie.

Lui scodinzolò un momento, prima di seguire Aken lungo il pendio che li avrebbe portati alla guarnigione.

Con un leggero sospiro, Eikhe si accodò al gruppo, ormai pronta a dar battaglia.

Di tutto il resto, se a Hevos fosse piaciuto, avrebbero parlato più tardi.

Agendo come molte altre volte aveva fatto, Aken sfruttò l’effetto sorpresa per attaccare la piccola guarnigione sul passo.

Lanciando il suo grido di battaglia, si scagliò lesto e mortale contro il nemico, senza minimamente risparmiarsi e cercando di attirare su di sé l’attenzione dei soldati.

Sorpresi da quel proditorio e inaspettato attacco, due sentinelle non fecero neppure in tempo a sfoderare le spade, che Aken pensò a mozzar loro la testa senza troppi complimenti.

Nys ne attaccò un terzo, così da permettere a Eikhe di affondare il suo pugnale nel collo del nemico.

In un solo momento, fu il caos.

Una decina di uomini uscì dalla casamatta, armati di tutto punto, e si avventarono contro gli assalitori con l’unico intento di uccidere.

Fare prigionieri, per i soldati di Vartas, non era contemplato.

Volgendo lo sguardo verso il nemico più prossimo, Aken ingaggiò subito battaglia, notando solo fuggevolmente i movimenti lesti dei suoi due compagni.

Certo, quello non era il momento adatto per farsi prendere dalla paura per la loro incolumità, ma i suoi occhi li cercarono in ogni caso, tra un fendente e l’altro.

Allo stesso modo, Eikhe intervallava sguardi preoccupati in direzione di Aken – che se la stava vedendo con tre soldati – a occhiate al suo lupo.

Tra ringhi e colpi di zanne, Nys tentò in ogni modo di mantenere a distanza di sicurezza il maggior numero di soldati, in modo tale da permettere a Eikhe di combattere più agevolmente.

La superiorità in battaglia, però, divenne ben presto evidente ai tre.

Turbata al pensiero che Aken rimanesse ucciso, proprio mentre tentavano di tornare ad Enerios, lanciò l’ennesima occhiata preoccupata nella sua direzione.

Proprio in quel momento, un soldato si lanciò a spada levata verso Nys.

Scorgendo quel proditorio attacco con la coda dell’occhio, la ragazza fece a malapena in tempo a volgersi verso l’amico fidato.

Quando le sue iridi dorate incontrarono quelle di Nys, la lama acuminata del soldato di Vartas si aprì un varco nel torace del lupo, passandolo da parte a parte proprio dinanzi alla sconvolta padrona.

Spalancando gli occhi fino a farsi male, Eikhe rimase sbalordita da quella scena, troppo scioccata anche solo per parlare, congelata sul posto di fronte al sangue del suo lupo.

Copioso, stava scivolando sul manto di neve battuta, inondandola di un rosso cupo profumato di ferro e morte.

Tutt’intorno a lei la battaglia continuava a infuriare e, morto il lupo, i soldati le si avvicinarono per finire anche lei.

Eikhe, però, non vi badò, tanto era il dolore che in quel momento stava provando.

Forte come piena di fiume, l’ira percorse le sue vene, riempiendola di un livore senza fine.

Aggrottando pericolosamente la fronte nel porsi dinanzi all’uccisore di Nys, gridò come una furia e si avventò contro di lui con il solo ausilio del pugnale.

Avvertendo quell’urlo disumano, Aken si volse in fretta per scoprire cosa fosse successo e, quando vide Nys a terra, il suo cuore perse un battito per lo shock.

Quel che più aveva temuto si era verificato e là, steso sulla neve immacolata, una delle creature più intelligenti e buone che avesse mai conosciuto, aveva perso la vita per salvare la sua.

Hevos non volesse che, a perire sotto la spada nemica, fosse stata anche la sua padrona!

Con gli occhi iniettati dalla paura più atavica, Aken corse perciò subito in cerca della figura di Eikhe , già temendo il peggio.

Fu così con immensa sorpresa che la vide gettarsi a testa bassa contro un soldato, mentre i rimanenti la stavano accerchiando per attaccarla.

Lei, però, non parve per nulla preoccupata dal pericolo incombente e, con un secco gesto della mano, straziò la gola del soldato che aveva attaccato prima di rialzarsi in fretta da terra e ingaggiare battaglia.

Dopo essersi liberato con un fendente al petto del suo nemico, Aken si mosse lesto per andare in suo soccorso ma, ben presto, si rese conto di quanto poco le servisse aiuto.

Inferocita a causa della morte del suo fedele compagno, Eikhe era fuori di sé dalla rabbia e, per questo, mortalmente pericolosa.

Con calma glaciale, si diresse verso i restanti soldati che, divertiti dalla sua furia, la circondarono completamente, ignorando il principe.

Già sul punto di avvicinarsi a loro per distogliere da Eikhe l’attenzione degli uomini, lui la sentì urlare: “Stanne fuori! Sono miei!”

Gli armigeri risero del suo ammonimento e fecero per assalirla ma lei, assottigliando le iridi dorate, mostrò i denti come un lupo e si gettò contro il più vicino tra loro senza dargli il tempo di reagire.

Il pugnale scese dritto al cuore, uccidendolo sul colpo.

Prima ancora che il corpo del soldato morto toccasse terra, Eikhe si lanciò contro un secondo nemico, imitando le movenze di Nys nel muoversi.

Come una furia, lo graffiò in viso con le unghie facendolo urlare di dolore.

Mentre gli altri tre soldati, ora spaventati, cercavano di allontanarsi, Eikhe piantò il pugnale nello stomaco dell’uomo che aveva ferito, rigirando la lama per essere sicura di causarne la morte.

Un fiotto si sangue le schizzò l’abito e le braccia, ma lei neppure vi fece caso mentre, con uno strattone, ritirava il pugnale per pensare ai nemici restanti.

Eikhe era in tutto e per tutto un lupo all’attacco della sua preda, in quel momento.

Di fronte a quello spettacolo macabro, Aken si chiese se le leggende avessero in fondo un loro fondamento.

Non aveva mai visto nessun essere umano muoversi a quel modo,  a quella velocità, con quella forza.

Forse, era proprio di questo che Eikhe aveva avuto timore di parlargli.

Eikhe che, non contenta dello scempio già perpetrato e desiderosa di altro sangue, si volse verso i restanti soldati a denti snudati.

Gli abiti erano lordi del sangue dei suoi nemici, al pari del viso distorto dalla furia e, leccandosi le labbra con aria spiritata, li fissò arcigna prima di ringhiare: “Berrò il vostro sangue, maledetti!”

I soldati, ormai terrorizzati, fecero per scappare ma Aken sbarrò loro la strada, falciando l’aria con la spada.

“Non sfuggirete alla morte. O me, o lei.”

Spaventato e tremante, uno dei soldati riuscì a dire: “Tu non sai di cos’è capace quella strega!”

Aggrottando la fronte, Aken fece per rispondere, quando il rantolo del soldato che gli aveva parlato lo colse di sorpresa.

Spalancando gli occhi, scorse dietro di lui la figura sottile di Eikhe, gli occhi colmi di una luce sinistra e animalesca.

Estratto il pugnale dalla schiena del soldato morto, che stramazzò a terra con gli occhi spalancati e vitrei, Eikhe si volse verso i restanti due, già pronta a colpire.

Questi, tremanti e pallidi come cenci, gettarono a terra le spade e, inginocchiatisi dinanzi a lei, la supplicarono più e più volte.

“Ti preghiamo, figlia sacra, risparmiaci!”

Eikhe li fissò rabbiosa, i denti bianchissimi evidenti sul mare di sangue che le tingeva il viso, mentre un basso ringhio si levava dalla sua gola.

Artigliando alla collottola il più basso tra i due, lo sollevò con una mano sola, staccandolo da terra come se fosse stato una bambola di pezza.

Sbalordito di fronte a quella forza inusitata, Aken non mosse però un dito quando, di colpo, Eikhe spezzò il collo al soldato, gettandolo poi contro il suo compagno ancora in vita.

L’altro, cominciando ad annaspare sulla neve, ormai certo della sua fine, si liberò alla svelta del corpo esanime del compagno e cominciò a correre verso il valico.

Raccolta da terra la spada di uno dei soldati morti, Eikhe la lanciò con tutta la sua forza contro il fuggiasco, trapassandolo.

Di colpo, come era giunto il caos, così scomparve.

Nessun rumore fendeva quei luoghi, solo i loro respiri affannosi e il lieve stormire dei pini sui crinali.

Ansimante e sporca di sangue da capo a piedi, la ragazza osservò la strage che aveva compiuto con occhi freddi e privi di compassione.

Avvicinandosi a lei per essere certo che stesse bene, Aken notò con sgomento quanto le sue mani tremassero di rabbia a stento trattenuta.

“Eikhe… è tutto finito…” sussurrò lui, le mani levate dinanzi al viso come per calmare un animale inferocito.

A quelle parole, Eikhe sollevò due occhi sconvolti sul volto di Aken e, come se in lei si fosse aperto uno squarcio, la maschera di fredda determinazione andò in briciole, sostituita solo dal volto di una ragazza terrorizzata.

Con un singulto strozzato, corse verso il corpo esanime di Nys e, piegatasi in ginocchio, scoppiò a piangere senza alcun freno.

Allungando  le braccia verso di lui, Eikhe lo attrasse a sé per stringerlo al petto e, più e più volte, ripeté il nome del suo lupo, cullandolo come nella speranza che potesse risvegliarsi da un momento all’altro.

Spiacente nel vederla così sconvolta, e sentendosi in colpa per la morte di Nys - e per ciò che l’aveva costretta a risvegliare dentro di sé - le si inginocchiò accanto, poggiandole una mano sulla spalla tremante.

L’unica cosa che poteva fare, in quel momento, era darle il suo silenzioso appoggio e conforto. La sua forza.

Dopo un istante, Eikhe si voltò lentamente per guardarlo in viso e, con voce rotta, esalò: “Non c’è più… non è più con me…ora sono sola!”

Mordendosi un labbro per la rabbia e la frustrazione che sentiva rimordergli la coscienza con zanne poderose, Aken le passò le mani sul viso per ripulirlo dal sangue e dalle lacrime.

Attirandola a sé, lui mormorò piano tra i suoi capelli: “Non sei sola, Eikhe, ci sono ancora io, con te. Non sei sola.”

Dopo un momentaneo rifiuto, in cui si divincolò febbrilmente per scostarsi da lui, Eikhe si addossò completamente al corpo statuario di Aken.

Stringendolo con forza, la ragazza pianse tutta la disperazione che aveva in corpo, senza minimamente risparmiarsi.

Nys se n’era andato.

Il suo fido compagno, l’amico di una vita, il confidente sincero.

Non l’avrebbe più visto balzare per i prati, correre incontro a lei, cacciare per la foresta, ululare alla luna pallida in cielo.

Niente di tutto ciò l’avrebbe più accompagnata. Ora era sola.

Il giovane principe, non sapendo che altro fare per alleviare il dolore di una simile perdita, la prese in braccio per allontanarla da quella carneficina.

Dopo averla portata all’interno della casupola del posto di guardia, si andò a sedere vicino al fuoco e la cullò dolcemente senza mai lasciarla andare.

Sapeva bene cosa volesse dire perdere chi si amava tanto, e chi si aveva sempre avuto al fianco per una vita.

“Rammento quando persi mia madre. Ero distrutto dal dolore, perché non avevo potuto far nulla per aiutarla. Si è spenta lentamente, nel suo grande letto, mentre io pregavo per lei. Non mi sono mai perdonato per non averla salvata.”

“Era… era malata…” singhiozzò Eikhe, sempre stretta a lui, il viso affondato nella sua tunica.

“Lo so, ma avrei voluto ugualmente aiutarla” replicò lui, scostandole i capelli dalla fronte per darle un casto bacio.

Eikhe ne fu immensamente sorpresa e, mentre le lacrime abbandonavano i suoi occhi, lei lo fissò con occhi sgranati e colmi di mille domande.

In quel momento, però, Aken preferì non rispondere a quei dubbi leciti, limitandosi a dire: “So che tu disprezzi il mondo degli uomini, Eikhe, ma mi aiuterai a salvare il mio popolo? Ho bisogno di te, per farlo.”

Eikhe tornò col pensiero all’ultimo saluto di Nys, a ciò che lei non aveva detto ad Aken riguardo al comportamento del suo lupo.

Di fronte a quelle parole colme di una fiducia incondizionata, avvolse le braccia attorno al suo collo e annuì più e più volte, mormorando con voce rotta: “Sì, ti aiuterò. Ti aiuterò, principe, ti aiuterò, Aken.”

Stringendola maggiormente a sé, Aken le massaggiò lentamente la schiena per chetarla e, piano, le disse: “Vado a recuperare le nostre sacche, ora. Aspettami qui accanto al fuoco.”

“Va bene” annuì lei, sciogliendosi di malavoglia dal suo abbraccio.

Aken le sorrise comprensivo, dandole un buffetto sulla guancia prima di uscire dalla stazione di sosta sotto lo sguardo pensieroso di Eikhe.

Una volta rimasta sola, la ragazza-lupo si strinse le mani al petto e sussurrò tra sé: “Cosa devo fare, Nys? Cosa?”

Nel silenzio della notte, immersi nel buio della grotta dove avevano trovato riparo subito dopo la fuga da Nargan, Eikhe aveva scrutato il principe addormentato.

Placidamente stretto a lei nell’intento di scaldarla, gli era parso tranquillo e ingannevolmente innocuo.

Nel vederla sveglia, Nys aveva uggiolato lievemente, mettendola al corrente di ciò che pensava sul comportamento del principe.

Lei lo aveva irriso, definendo le attenzioni di Aken una semplice cortesia ma, con il passare dei giorni, anche Eikhe aveva notato un cambiamento in lui… e in se stessa.

Se, da principio, stare in sua compagnia non le aveva causato nessun problema, tutto era cambiato da quando lui l’aveva curata alla gamba.

Da quel momento in poi, guardarlo in viso le era divenuto più difficile, per lo meno non senza arrossire come una sciocca, o sentire il cuore in tumulto dentro di sé.

Non avendo mai provato sentimenti simili, non aveva compreso cosa le stesse succedendo, almeno finché non si erano trovati nella Grotta dell’Alce, e lui l’aveva consolata durante il suo sfogo di pianto.

Aken l’aveva capita come nessun altro prima di allora, l’aveva accudita fino a quando non si era sentita meglio, e lei si era ritrovata a desiderare che quelle braccia forti non la lasciassero più andare.

Si era così rivolta a Nys per avere un consiglio, e lui non aveva esitato a darle la risposta che lei tanto aveva paventato e sperato al tempo stesso.

Quella mattina, nell’abbandonare il loro rifugio sicuro, il suo lupo aveva tentato di dire ad Aken ciò che il suo cuore avrebbe voluto per entrambi.

Solo lei, però, lo aveva compreso, portandone il peso da quel momento in poi.

Prenditi cura di lei e di te stesso. Amala come io la amo.

Con le lacrime che tornarono a bruciarle negli occhi, Eikhe raccolse le ginocchia al petto e pianse tra i singhiozzi, chiedendosi più e più volte: “Perché devo amare e soffrire al tempo stesso? Perché?”

***

Raggiunti i cespugli dove avevano nascosto i loro oggetti personali, Aken li raccolse con un sospiro prima di tornare sui suoi passi  per raggiungere Eikhe all’interno della casamatta.

Nel farlo, però, fu costretto a sfiorare con lo sguardo il corpo straziato di Nys, steso sulla neve schiacciata e macchiata di sangue.

Era morto per causa sua, e non se lo sarebbe mai perdonato.

Sperava soltanto che almeno Eikhe trovasse il perdono nel suo cuore.

“Non doveva andare così, amico mio” sussurrò lui, carezzando il muso ormai gelido del lupo.

Con un ultimo sospiro tremulo, Aken lanciò uno sguardo ai cadaveri lasciati a terra da Eikhe e, ancora una volta, si chiese come fosse riuscita, uno scricciolo di ragazza, a compiere un simile massacro.

Quel dilemma, però, avrebbe trovato un altro momento per essere risolto; ora aveva un compito ben più importante da portare a termine.

La verità avrebbe atteso ancora un poco.

Avrebbe parlato con Eikhe di quello che era successo, quando si sarebbe sentita in grado di farlo.

Ora, doveva solo pensare a lei, e farla riprendere dallo shock della morte del suo compagno di vita.

Raggiunta infine Eikhe all’interno della casupola riscaldata da un bel fuoco vivace, che strideva appieno con il suo umore plumbeo, Aken le si avvicinò torvo.

“Dovresti toglierti quegli abiti sporchi e farti un bagno caldo, Eikhe.”

Lei lo fissò senza capire e il principe, lanciato uno sguardo a una tinozza di di legno appoggiata contro una parete, disse: “Vedi, là? Puoi usare quella. Ti scaldo l’acqua, così laviamo anche gli abiti.”

Eikhe annuì senza parlare e tornò a voltarsi verso il fuoco, sospirando afflitta di fronte alle fiamme scoppiettanti.

Aken, dal canto suo, non sapendo come reagire al suo silenzio, si diresse verso quello che doveva essere il ripostiglio alla ricerca di sapone e quant’altro.

Cercando a più riprese sugli scaffali, trovò dopo una lunga ricerca una corteccia di pianta saponaria e dei teli di cotone puliti.

Presili insieme a un paio di grossi secchi di latta, li portò nella stanza principale della casamatta e si mise a preparare il bagno per Eikhe.

La ragazza, completamente apatica, osservava muta le lingue di fuoco che danzavano nel camino.

Lanciandole forse per la centesima volta uno sguardo ansioso, Aken non le disse nulla, preoccupandosi solo di fare in fretta quanto si era ripromesso.

Aveva visto molti soldati cadere preda di quel genere di afasia, e non voleva che Eikhe si perdesse nei meandri della sua mente, per non tornarne mai più.

Dopo aver recuperato diverse manciate di neve e averle gettate in un grosso bacile, appese quest’ultimo al gancio nella bocca del camino e infine sistemò la tinozza vicino al fuoco.

A quel punto, il giovane prese un telo di cotone, lo appese a una delle travi della casamatta e infine disse: “Così ti potrai lavare in tutta tranquillità, senza aver paura che io guardi.”

Lei si limitò a scrollare le spalle e Aken, sospirando afflitto, cominciò a chiedersi come avrebbe fatto a smuoverla dal suo silenzio apatico.

Lasciarla stare per un po’ forse era la scelta migliore, anche se non poteva esserne del tutto certo.

Conosceva vari metodi per scrollarle l’apatia di dosso, ma erano tutti piuttosto… violenti.

Per il momento, era meglio evitare.

Doveva darle il tempo di assimilare la morte di Nys. E di scaricare la rabbia che l’aveva …trasformata.

Ripensare a lei nelle vesti di una fredda assassina non gli piaceva per nulla e, anche se quelli che aveva ucciso erano i loro nemici, lo aveva spaventato scoprire cosa fosse in grado di fare.

Ora comprendeva perché, dinanzi a Nargan, si era rifiutata di combattere.

Sapeva cosa avrebbe potuto fare.

Avrebbe rischiato di colpire anche i suoi compagni di viaggio, non solo gli uomini di Vartas, e questo, Eikhe non se lo avrebbe mai perdonato.

Quando finalmente l’acqua fu pronta per il bagno, Aken vuotò i catini di acqua nella tinozza e, rotto un pezzo di pianta saponaria, ve lo immerse  perché formasse sufficiente schiuma.

Richiamata infine l’attenzione di Eikhe, il giovane si esibì in un frivolo inchino, cercando di puntare sull’ironia per smuoverla un poco e, parlando in falsetto, le disse: “Il vostro bagno, signorina.”

La ragazza-lupo lo guardò per diversi istanti, tentando di sorridere.

Ringraziandola per lo sforzo, lui allargò il sorriso sul suo volto – che però non raggiunse mai gli occhi – , e mormorò: “Coraggio, piccola, o si fredderà.”

Eikhe annuì, alzandosi in piedi e Aken, spostandosi oltre il telo, ascoltò con un nodo allo stomaco il fruscio degli abiti di lei e il leggero sciabordio dell’acqua nella tinozza.

Tremante, sentì le mani fremergli per la voglia di raggiungerla ma, dandosi dello stupido, sbuffò e se ne andò in direzione del vicino tavolo per non essere ulteriormente tentato dai suoi desideri così inopportuni.

Quando, però, non udì altro rumore se non il crepitio delle fiamme, cominciò a preoccuparsi.

Avvicinandosi guardingo al telo, chiese titubante: “Eikhe, ti senti bene?”

Non ricevendo risposta, Aken si affacciò timoroso oltre la tenda improvvisata e, con un singulto strozzato, la vide seduta a gambe raccolte contro il petto.

Le braccia stringevano spasmodicamente le ginocchia mentre i capelli le ricoprivano la schiena, immergendosi nell’acqua come una cascata di rame fuso.

Impietosito dal suo dolore, Aken si inginocchiò accanto alla tinozza, mettendosi alle sue spalle.

Scostandole la massa di serici capelli color del miele, prese la spugna e la inzuppò, mormorando poi ansioso: “Devi reagire, Eikhe, o morirai anche tu.”

Cominciando a passarle la spugna sulla schiena macchiata di sangue, Aken si morse un labbro per non cedere all’impulso di toccarla.

Si prese cura di lei come se fosse stata sua sorella, e le massaggiò i capelli con calma, lavandoglieli con cura ed eliminando qualsiasi traccia di corpi estranei.

Quando ebbe terminato quel compito – per lui davvero difficilissimo –  Aken si portò di fronte a lei e le disse: “Eikhe, devi pensarci tu, ora. Io non credo che…”

Lei lo sbirciò in viso senza sollevare il proprio dalle ginocchia e, con voce piana, sussurrò: “Non mi interessa nulla, se mi vedi.”

Imprecando, lui si accigliò immediatamente e replicò con voce roca: “Ma a me sì! Sono un uomo, per tutti gli dèi, e non è così facile, per me!”

Eikhe allora si umettò le labbra e, allungando una mano fuori dall’acqua, la passò sulla guancia coperta di barba di Aken, carezzandolo gentilmente.

Con un mesto sorriso, inclinò il capo e disse piano: “Sì, scusami, non avevo capito. Farò da sola.”

“Bene” annuì lui, passandole la spugna e dirigendosi nuovamente oltre il telo.

Un solo momento in più lì con lei, e le avrebbe messo le mani addosso.

Passò mezz’ora prima che Eikhe terminasse le sue abluzioni e, quando lui si volse, la vide avvolta in un panno di cotone.

Interamente bagnato, il telo le si era incollato al corpo perfetto, disegnando curve che lui aveva solo immaginato nei suoi sogni.

Era morbida e spaventosamente attraente, ma sembrava del tutto inconsapevole dell’effetto che aveva su di lui.

Respirando affannosamente per riprendere il controllo, le disse roco: “Lascia che ti asciughi i capelli.”

Eikhe annuì e, dopo aver preso una sedia per accomodarsi di fronte al fuoco, gli diede le spalle per permettergli di lavorare più agevolmente.

Aken sfruttò quei brevi momenti per ritrovare un minimo di controllo e, dopo aver preso un panno asciutto, cominciò a frizionare dolcemente i lunghi capelli di Eikhe.

Tenendosi il telo sui seni, la ragazza mormorò roca: “Ti avevo giudicato male, Aken.”

“In che senso?” le chiese, prendendo una spazzola per lisciarle i capelli.

Erano serici al tatto e lucenti come oro zecchino, alla luce del fuoco.

“Pensavo fossi arrogante e borioso, ma sei un uomo buono. E gentile” asserì lei, piano, lo sguardo perso nelle fiamme che danzavano dinanzi a loro. “E piaci… piacevi a Nys.”

“Oh, arrogante lo sono” commentò lui, ironico. “Non ricordi quante volte ti ho dato della mocciosa? E quante altre avrei voluto sculacciarti?”

Abbozzando una risatina tremula, lei replicò: “In parte, mi comporto da bambina. Ho diciassette anni, Aken, e non sono così impertinente da credermi già adulta.”

“Lo sei, fidati, lo sei” replicò roco lui, tenendo tra le sue mani i capelli umidi di Eikhe.

“Perché ho ucciso quegli uomini?” buttò lì lei, come se fosse l’unica spiegazione ovvia alla dichiarazione di Aken.

“Non solo” replicò lui. “Porti sulle tue esili spalle il destino di tutta la missione, senza alcuna paura o cedimento, e sei brava nel fare praticamente tutto. Non la reputo una cosa da poco, né una cosa da bambini.”

“Mi hanno insegnato a prendermi cura di me stessa, Aken. Per me, è normale” poi, con un sospiro, aggiunse: “Ma non sono abituata a stare senza Nys.”

Bloccando le mani sulla chioma di Eikhe, Aken sospirò e mormorò spiacente: “Era più dell’affetto che vi legava, vero?”

Annuendo, lei ammise: “Una volta, Nys mi disse che avrebbe preferito fossi nata lupo. Gli sarebbe piaciuto avere una compagna come me.”

Abbozzando una risatina, Aken esalò: “Oh, ecco perché sentiva in me una minaccia!”

Anche lei si concesse il lusso di ridere, dicendo: “Sì, è vero.”

***

Quando riaprì gli occhi dal sonno pesante in cui era caduto, Aken si ritrovò il profumo di Eikhe nelle nari, dolce e intenso come il più esotico degli aromi.

Senza comprenderne bene il perché, il giovane si rese conto subito dopo di averla lì accanto a sé, circondata dal suo braccio e completamente addormentata.

Un subitaneo sorriso sorse sul suo volto.

La sera precedente, Eikhe gli aveva chiesto di poter dormire vicini e lui, ovviamente, non gliel’aveva rifiutato.

Avrebbe fatto qualsiasi cosa, per accontentarla, forse anche correre nudo per il bosco in pieno inverno, anche se dubitava lei gliel’avrebbe mai domandato.

Volgendo lo sguardo verso l’unica fonte di luce della stanza, Aken notò subito quanto le fiamme si fossero assottigliate.

Alzatosi lentamente per non svegliarla, lo rinvigorì con ceppi nuovi prima di tornare da lei e sistemarsi alle sue spalle per riprendere a dormire.

Fu però con sorpresa che, all’improvviso, la sua voce lieve come brezza ruppe il silenzio della stanza, sussurrandogli: “Domani ci sarà tempesta.”

“Eikhe, ma…”

“Lo sento dall’aria che penetra attraverso il camino” mormorò a occhi chiusi. “E da quella che scivola sotto la porta.”

Lanciato uno sguardo al battente ligneo – chiuso da una spranga, disposta di traverso contro di essa – , Aken percepì effettivamente uno spiffero fastidioso provenire da quella direzione e, curioso, chiese: “Come lo sai?”

“Il vento è cambiato, e porta con sé l’odore tipico dei temporali invernali” asserì la ragazza, voltandosi a mezzo e aprendo gli occhi per guardarlo.

Ora, i loro volti erano vicinissimi.

Osservandola alla luce altalenante del fuoco, Aken le chiese preoccupato: “Non hai dormito affatto, vero?”

Lei scosse piano il capo e Aken, carezzandole il viso liscio come pesca, disse roco: “Devi riposarti, Eikhe, o rischierai di ammalarti. E io non voglio che succeda.”

Lei sorrise appena e annuì, prima di chiudere gli occhi e affondare il viso nella pelliccia della sua tunica, tenendo i pugni chiusi contro il suo torace.

Sospirando stancamente, Aken tornò ad avvolgerla tra le braccia e, con attenzione, sistemò il mantello di pelle d’orso su entrambi per ripararsi dal freddo.

Era disarmante la fiducia incondizionata con cui Eikhe si stava affidando a lui, senza minimamente preoccuparsi del fatto che fossero soli, un uomo e una donna, in una capanna sperduta in mezzo alle montagne.

Solo questo bastava a fargli capire quanto la ragazza poco conoscesse gli uomini.

Se da un lato la cosa lo fece sorridere, dall’altra lo fece sentire quanto mai inadeguato a interpretare la parte del fratello maggiore.

Visto soprattutto il desiderio che provava nei suoi confronti.

Non puoi pensare a cose del genere, quando c’è in ballo la sicurezza del tuo regno, idiota!, pensò tra sé, torvo. E’ poco più di una bambina, e tu devi proteggerla, non lasciarti andare ai tuoi sentimenti! Ragiona, e comportati da uomo d’onore!

Stringendo i denti, si costrinse a dormire nonostante sentisse imperiosa una spinta ai lombi.

Imprecando dentro di sé per quella situazione assurda, si assopì col viso tra i capelli di Eikhe, sognando di lei e di Nys, allegri e spensierati mentre giocavano in una radura.

Quando la mattina li abbracciò con il suo gelido tocco, Aken si sentì piuttosto disorientato nel trovarsi da solo, vicino al fuoco allegro che sfrigolava nel camino, e senza alcuna traccia di Eikhe.

Scostato di getto il mantello, Aken si levò in fretta, guardando freneticamente tutt’intorno a sé senza però vederla.

Già preoccupato per lei, fu con immenso sollievo che la vide rientrare nella casamatta, parzialmente coperta di neve, mentre uno sguardo crucciato brillava nei suoi occhi foschi.

Notando subito il vento carico di neve che imperversava all’esterno, Aken la osservò sbarrare la porta.

“Prepariamoci a passare qui qualche giorno. Il fronte della tempesta è enorme.”

“Che cosa?” esalò lui, confuso più che mai.

Liberandosi della neve che le era caduta addosso, Eikhe si avvicinò al fuoco per scaldarsi e, toltasi gli stivali per lasciarli ad asciugare vicino al focolare, si avvicinò a lui a piedi nudi.

“Ero uscita per seppellire Nys e recuperare le armi dei soldati, ma la neve aveva già ricoperto ogni cosa, rendendomi impossibile trovare sia lui che gli uomini. Stanotte è caduto quasi un metro di neve e, se continuerà così tutto il giorno, per domani ce ne saranno due metri, davanti alla porta.”

“Maledizione!” ringhiò il principe, irritandosi.

“La tempesta ritarderà anche i nostri nemici, Aken. Se anche ci fosse una pattuglia in arrivo qui, cosa di cui dubito, rimarrà bloccata a sua volta” gli spiegò, scrollando le spalle.

“Perché dubiti che ce ne sia una in viaggio?” le domandò a quel punto, fissandola curioso.

“Per via della dispensa” asserì, osservando la porta del ripostiglio. “E’ ben fornita, e si vede che la roba è recente. C’è persino della verdura fresca. I rifornimenti sono stati fatti non più di una decina di giorni fa. E so per certo che non ne ricevono che una volta ogni due mesi.”

“Quante volte sei passata di qui?” chiese lui, dubbioso.

“Parecchie volte. Ci sono delle prede ottime, in queste vallate” disse lei, prima di guardarlo e chiedere: “Cosa vuoi per colazione?”

“Eh?” esalò Aken, sconcertato.

“Visto che abbiamo un’intera dispensa da cui attingere, tanto vale rifocillarsi come si deve. Abbiamo entrambi patito ristrettezze, durante questo viaggio, quindi dobbiamo recuperare le forze” si limitò a dire Eikhe, avviandosi verso il ripostiglio.

Messa mano alla maniglia della porta, però, si volse a mezzo e aggiunse gentilmente: “Sei stato carino, stanotte. Grazie.”

“Pensavo avessi bisogno di un po’ di calore umano, dopo quello che è successo. Niente di che” scrollò le spalle lui, sorridendole. “Va un po’ meglio?”

“Mi abituerò” commentò mestamente lei. “Non hai nulla da chiedermi?”

“Solo se ne vuoi parlare” asserì Aken, pacifico.

Sospirando, lei fissò il fuoco nel camino per diversi minuti, indecisa su cosa dire ad Aken senza rischiare di spaventarlo.

Non era un argomento di cui parlava volentieri, ma era giusto dargli delle spiegazioni, dopo quello che aveva visto con i suoi occhi.

Tornando a guardare l’imponente guerriero dopo un tempo che le parve eterno, gli chiese: “Ricordi cosa ti dissi di Hyo e del nostro dio-lupo, vero?”

Lui annuì dubbioso ed Eikhe, umettandosi le labbra, aggiunse: “La forza che Hevos diede alla sua compagna, è quella che tu hai visto. Si risveglia con la rabbia, la rabbia provata quando vogliamo proteggere qualcuno … o salvare qualcuno che amiamo.”

“Quindi…” esalò Aken, sbigottito.

“Non lo so, Aken” ansà lei, reclinando il capo e tremando leggermente. “Ne ho paura, e ce l’hanno tutte coloro che sanno cosa sono, cosa siamo. Anche le altre che portano il Sigillo del dio, sono così.”

“Il… Sigillo?” ripeté Aken, confuso.

Annuendo, Eikhe ammise con un mesto sorriso: “Il colore dei miei occhi è il simbolo di ciò che porto nel sangue. Per questo, tutte le donne delle tribù, e prime tra tutte le Guardiane, mi temono. Ci temono.”

“Quante siete, in tutto?” chiese a quel punto, ancora leggermente sbigottito da quella dichiarazione.

“Non credo più di un centinaio” scrollò le spalle Eikhe. “Capisci, ora, perché non volevo parlartene? Non mi piace quel che faccio, quando la furia mi prende, ma non so come bloccarla, o come incanalarla. E… e così faccio quello che hai visto. Ne ho paura.

Avvicinatosi a lei, le sfiorò le spalle con le mani, lui si limitò a dire con estrema serietà: “Mi hai salvato, e hai vendicato Nys. Io ho visto solo questo.”

Lei spalancò le palpebre apparendo stranamente, e assurdamente, indifesa agli occhi di Aken.

“Dici… davvero?”

Lui le sorrise ed Eikhe, arrossendo nel rispondere al suo sorriso, si limitò a dire: “Ti preparo la colazione.”

Aken la osservò entrare nel ripostiglio per poi armeggiare tra gli scaffali, fino a uscirne con una scatola rettangolare e un sorriso sulle belle labbra rosse.

Curioso, le chiese. “E quella?”

“E’ piena di panini dolci. Metterò a bollire un po’ di infuso di canelda, così li potremo mangiare” dichiarò soddisfatta.

“Sono secoli che non mangio più panini dolci” ammiccò lui, sfregandosi le mani prima di domandarle: “Non hai freddo ai piedi, così?”

“Un po’, ma non ho altre calze, oltre a quelle che stanno asciugando” dichiarò, indicando quelle stese sopra il fuoco, insieme ad altri indumenti che, la sera prima, avevano lavato.

Storcendo il naso, Aken brontolò: “Allora, rimani vicino al fuoco. Ci penso io, dai.”

“Non se ne parla” replicò lei, scrollando le spalle con fare noncurante. “Siediti e mangia il tuo panino dolce. Non sia mai che mi preoccupi per un po’ di freddo ai piedi.”

“Testarda marmocchia” sbuffò lui, andandosene a grandi passi verso il tavolo.

Eikhe ridacchiò nel mettere una pentola piena d’acqua sul fuoco e, ammiccante, disse: “Lo so.”

Aken sorrise nel vederla apparentemente serena sebbene sospettasse che, parte della sua gaiezza, fosse studiata al solo scopo di tranquillizzarlo.

Non faticava a immaginare quanto, ogni suo più piccolo pensiero, fosse focalizzato su ciò che era successo il giorno precedente.

Nys e lei erano troppo legati perché Eikhe non ne sentisse la mancanza, ma lei sapeva anche altrettanto bene quanto fosse rischioso, in quel momento, lasciarsi andare al dolore e al senso di perdita.

Avrebbe avuto un tempo e un luogo migliori per piangerlo, ma non era questo il momento.

Pur sapendolo, e pur comprendendo quanto anche Eikhe ne fosse consapevole, gli spiacque che non potesse lasciarsi andare come, invece, l’occasione avrebbe richiesto.

In silenzio, Aken si gustò il panino dolce, rimuginando su quei pensieri mentre il profumo della canelda si espandeva per tutta la casupola.

All’esterno, il vento infuriava con sempre maggiore forza, e il principe si chiese se avrebbero potuto sopravvivere ugualmente, se non avessero raggiunto il valico per tempo.

Guardando Eikhe dubbioso le sentì dire, come in risposta ai suoi pensieri: “Probabilmente, no.”

“Come temevo” annuì lui, sospirando. “Più a valle, esistono dei punti in cui ripararsi?”

“Alcuni” borbottò, concentrata nel rimestare la tisana con un mestolo di legno. “Ci sono stata diverse volte e, se niente è cambiato, vi potremo trovare riparo, quando ripartiremo.”

“Ottimo” dichiarò Aken, alzandosi dalla panca per avvicinarsi a lei.

Eikhe lo fissò curiosa da sopra la spalla, alto e possente come una quercia secolare e, quando lui le cinse le spalle con un braccio, chiese turbata: “Cosa c’è?”

“Niente, stai tranquilla” scosse il capo lui, godendosi il fuoco vicino alla ragazza.

Era rilassante sentirla accanto a sé e, sebbene la sera prima avesse provato l’impellente desiderio di farla sua, quella mattina era tranquillo come dopo una notte di intensa passione.

Per quanto lo trovasse strano, si rese conto che gli bastava saperla lì, viva e in salute, per essere in pace con se stesso.

Non aveva mai provato sensazioni simili, e provarle per quella ragazza gli pareva strano, vista l’estrazione sociale così differente.

Eppure, di cosa si stupiva, in fondo? Neppure lui era mai stato un vero figlio di Rajana, non l’aveva mai apprezzata come, invece, sapeva fare il fratello.

Lui aveva sempre prediletto la vita libera, all’aria aperta, piuttosto che gli agi di palazzo.

Quindi, perché sorprendersi dei propri sentimenti verso Eikhe?

Non avrebbe scambiato quelle sensazioni per tutto l’oro del mondo, e poco gli importava quello che avrebbero pensato gli altri.

Eikhe era una donna che avrebbe amato volentieri, se le loro condizioni glielo avessero permesso.

Purtroppo, però, sapeva bene che non gli avrebbero mai consentito di condurla a palazzo come sua compagna, e neppure credeva che Eikhe avrebbe accettato di vivere in una città.

Ammesso e non concesso che lei provasse la stessa cosa per lui.

A conti fatti, tutti i suoi ragionamenti contorti erano solo mere speculazioni su una cosa che non sarebbe mai potuta avvenire.

Lui era il principe ereditario di una dinastia millenaria, Eikhe era una ragazza-lupo.

Finché non fossero giunti a Rajana, comunque, lui avrebbe goduto della sua compagnia, imprigionando ogni momento nella sua mente.

Li avrebbe conservati gelosamente per gli anni a venire, finché non fosse morto in solitudine, senza di lei.

Osservandola con occhi colmi di profonda nostalgia al pensiero di doverla lasciare, un giorno non lontano, la strinse impercettibilmente a sé ed Eikhe, preoccupata, chiese ancora: “C’è qualcosa che ti turba, Aken. Perché non me ne parli?”

Perché sei tu, il mio turbamento, pensò lui, prima di dire semplicemente: “E’ solo il viaggio che ci aspetta a darmi pensiero. Ho paura di non poterti difendere come vorrei.”

Aprendosi in un sorriso canzonatorio, lei replicò: “So difendermi da sola.”

“Lo so, ma mi piace pensare che tu possa aver bisogno di me” sorrise lui, disarmante.

Lei arrossì, reclinando il capo e, scostandosi da lui, prese la pentola di infuso per andare al tavolo e versarne il contenuto in due boccali. 

Nell’osservarla allontanarsi, Aken si pentì amaramente di averla confusa con il suo dire.

Andandole incontro per mettere una pezza a quella tremenda gaffe, le disse: “Perdonami, non volevo turbarti.”

Lei sobbalzò leggermente  quando lo sentì parlare, finendo per scottarsi con l’infuso.

Lasciata andare sul tavolo la pentola, si massaggiò dolorante la mano bagnata e già arrossata.

“Accidenti!”

Subito, Aken le prese la mano tra le proprie, mormorando ansioso: “Aspetta, lascia che ti aiuti.”

Eikhe, tremante, si scostò da lui, esalando: “Aken, io…”

Fissandola come se fosse stato tramortito da un colpo alla testa, Aken si rese conto di avere davanti una creatura impaurita e confusa, non la solita coraggiosa Eikhe.

Reclinando le mani lungo i fianchi, disse spiacente: “Devo averti messo veramente in imbarazzo, scusami.”

Lei si morse un labbro e gli volse le spalle, sentendo il suo cuore battere all’impazzata senza che lei riuscisse a fermarlo.

Dandosi della folle per aver reagito in maniera così pavida, di fronte a una semplice dimostrazione di interessamento da parte di Aken, si scrollò mentalmente per riprendere un minimo di controllo.

Non era ciò che voleva? E allora che paure erano, queste?!

Aken era gentile e cortese con lei e, rispetto ai primi giorni, era davvero cambiato, accettandola e rispettandola per quella che era, mettendosi completamente nelle sue mani.

E lei, invece di apprezzare la cosa, lo allontanava per un semplice gesto di cortesia. Sciocca che era!

Certo, il solo sentire il calore delle sue mani, l’aveva mandata completamente nel pallone, ma non era una scusa valida per trattarlo a quel modo!

Dov’era finita, la vecchia Eikhe, che non aveva paura di nulla e di nessuno?

Persa negli occhi smeraldini del tuo principe, disse una vocina impertinente nella sua testa.

Già, persa è dire poco, annuì tra sé Eikhe, prendendo un gran respiro prima di voltarsi nuovamente verso Aken, abbozzare un sorrisino e dire: “Scusami tu, per prima… ho reagito da sciocca.”

Aken, che si era seduto reclinando il capo verso il basso, lo risollevò di slancio non appena la sentì parlare e, fissandola curioso, le sentì dire ancora: “Ho reagito male a un tuo semplice interessamento. Dovrei averlo capito che non stai trattandomi da bambina, eppure ci ricasco sempre. Scusa davvero.”

Lui si mise a ridere sommessamente e, passandosi una mano sul viso con espressione sofferta, la fissò con estrema serietà, mormorando roco: “Lungi da me è l’idea di trattarti da bambina, anche se dovrei eccome.”

“Come?” esalò lei, sgranando gli occhi di fronte al suo sguardo infuocato. “E perché?”

“Ah! Perché?!” esclamò a quel punto lui, battendosi una mano sulla gamba con espressione tragicomica.

Un po’ sorpresa da quell’improvvisa reazione, che non si sarebbe mai aspettata in Aken, Eikhe ansò: “Che ti prende?”

“Mi prende che ti vorrei avere qui, seduta stante, perché sei la donna più intrigante  e desiderabile che abbia mai conosciuto” ammise lui, alzandosi e avvicinandosi a lei con aria minacciosa.

Fuori, il vento soffiava impetuoso, pari almeno al desiderio ormai incontrollato di Aken.

Indietreggiando di un passo, Eikhe lo fissò attonita e, senza poter fare nulla per fermarlo, si sentì prendere per le braccia e attirare contro il suo petto ampio e duro.

Il suo viso, cupo e teso, si chinò su di lei per dirle ancora: “Voglio averti, Eikhe, con una forza che non posso più contenere, ma significherebbe asservirti a me, e non voglio darti l’impressione di essere un animale senza controllo. Perciò, sto cercando di convincermi a trattarti come se fossi la mia sorellina minore, ma mi è impossibile, credimi!”

Eikhe fece tanto d’occhi nell’udire quelle parole e, fissando le profondità smeraldine di Aken, vi lesse una disarmante passione e altrettanta paura.

In quel momento, comprese che ogni frase che le aveva appena detto corrispondeva a verità.

Stava tentando con ogni mezzo di comportarsi da uomo d’onore, con lei, rispettandola e onorandola in ogni modo pur di non farle paura, di ledere i suoi diritti di donna, libera da ogni giogo maschile.

Non voleva prevaricarla in alcun modo, sebbene la volesse come un uomo vuole una donna.

Mordendosi un labbro per la tensione che stava accumulando dentro di sé, Eikhe gli chiese: “Davvero vorresti questo, da me?”

Stringendola a sé, affondò il viso tra i suoi capelli rilasciati mollemente sulle spalle e non più costretti in una treccia e, con voce resa roca dal desiderio, disse: “Ogni singolo istante in cui stiamo insieme. E non so come riuscirò a raggiungere Rajana senza averti, ma sono anche più egoista di così, Eikhe.”

“Perché?” volle sapere lei, stordita dal calore che avvertiva intorno a sé, e dentro di sé.

“Perché ti vorrei per sempre con me, anche dopo la fine della nostra missione. Non voglio separarmi da te, ma so che non posso obbligarti a rimanere a Rajana” mormorò Aken, ormai libero da freni.

Che senso aveva mentirle, a questo punto?

Sorpresa da quella confessione piena, Eikhe sentì le lacrime pungerle gli occhi.

Scostandosi da Aken per guardarlo in viso, lo sguardo ora sicuro, prese tra le sue mani quel volto che le era diventato così caro e, abbassandolo verso di sé, lo baciò senza dire nulla, stupendolo oltre misura.

Era dunque questo, di cui sua madre aveva tanta paura?

Era il rapimento, la confusione, lo stordimento, il calore nel cuore?

Di questo, Kaihle aveva terrore folle?

Per questo la odiava?

Perché lei, invece, era in grado di amare? Voleva amare?

Nel poggiare le labbra su quelle calde di Aken, Eikhe si chiese questo per un attimo, prima di lasciare andare a briglia sciolta tutto ciò che, in quei giorni, si era accumulato dentro di lei.

I suoi sguardi che, dapprima accigliati, si erano fatti caldi e comprensivi.

Le sue parole che, da dure e irrispettose, si erano fatte tenere e gentili.

Il suo tocco che, da aspro e tirannico, si era fatto morbido e dolce.

Questo, odiava sua madre.

Questo, lei amava.

Aken, congelato sul posto dal bacio improvviso quanto inaspettato di Eikhe,  si chiese confuso cosa l’avesse spinta a quel gesto.

Ben presto, però, ogni pensiero logico venne spazzato via dalla sua mente, ormai divorato dal desiderio che aveva di lei.  

Infiammandosi a quel tocco di piuma, la strinse con forza a sé un attimo più tardi e approfondì il bacio, esigendo molto di più da lei.

Piegandole indietro la testa con la mano immersa tra i suoi capelli di fiamma, Aken le schiuse la bocca, affondando nelle sue calde profondità.

Con maschia soddisfazione, sentì il suo ansito di piacere farsi largo nel suo animo combattuto.

Giocando con lei perché  partecipasse attivamente, le titillò le labbra con piccoli baci per poi impadronirsi nuovamente della sua bocca.

A quel punto Eikhe, sopraffatta dalle sue stesse sensazioni, si aggrappò alla tunica di pelle di Aken nel tentativo grossolano di aprirgliela.

Ridendo, il principe la aiutò senza però lasciarle andare la bocca.

Affondando le mani tra la tunica e la camiciola, Eikhe sentì distintamente l’uomo ansimare e tremare sotto le sue dita.

Staccandosi un momento da lui per guardarlo, gli occhi resi cupi dal desiderio, Eikhe sussurrò confusa e meravigliata: “Mi sentivo così sciocca, mentre ti sbirciavo di nascosto, e sentivo il mio cuore battere all’impazzata. Ho impiegato un sacco di tempo per capire cosa mi stavi facendo.”

Sorridendole nel carezzarle i folti capelli, lui le sfiorò uno zigomo con un bacio leggero, replicando: “Non ti sei mai sentita attratta da un uomo, giusto?”

Lei scosse il capo, gli occhi grandi e bisognosi di risposte così Aken, continuando a darle dolci baci sul viso, continuò dicendo: “Immagino anche che tua madre si sia ben guardata dallo spiegarti che cosa si sente, quando ci si innamora.”

“Nessuna di noi lo sa o, per lo meno, ci è vietato saperlo, poiché non ci è consentito innamorarci degli uomini. Credo che lei, addirittura, aborrisca il solo pensiero di innamorarsi di qualcuno” precisò Eikhe, prima di sospirare quando Aken le sfiorò la base della schiena con una mano. “Ora ne so il motivo, però. E’ così… soverchiante.  Vi darebbe un potere enorme, su di noi!”

“Solo se l’uomo fosse sciocco e insensibile” precisò Aken, continuando a carezzarle la schiena con dolci movimenti circolari. “Se amasse a sua volta la donna con la stessa forza, egli stesso non avrebbe alcun potere, poiché esso sarebbe interamente nelle mani di lei.”

Questo parve eccitarla perché, sorridendogli maliziosa, passò un dito sulle labbra tumide di Aken, come a voler saggiare le sue parole.

Lui ansimò, chiudendo un momento gli occhi prima di tornare a fissarla con espressione torva.

“Ne vuoi approfittare?”

“E’ tutto così strano…” esalò lei, portandosi la stessa mano al cuore, che batteva furiosamente. “…e così maledettamente confuso. E’ quel che senti anche tu?”

Aken si limitò a prendere la sua mano per poggiarla sul torace e, di fronte al suo sguardo percorso da un profondo desiderio, lo stupore si disegnò sul suo giovane volto di donna.

“Capisci cosa sento?” sussurrò lui, tornando a baciarle il viso e la curva sinuosa del collo. “Capisci cosa provo?”

“S-sì” sussurrò Eikhe con voce tremante, piegandosi istintivamente all’indietro.

Assottigliando le iridi dorate mentre lui risaliva con una mano sotto la sua tunica, disegnando scie infuocate sulla sua pelle, lei domandò: “Non è la mancanza di una donna a portarti a questo, vero?”

“No, sei solo tu” ansò lui, scostandosi da Eikhe per non proseguire oltre.

La ragazza non disse nulla, limitandosi a far scorrere le mani sulla tunica di Aken prima di afferrarla per le spalle e farla scivolare lungo le sue braccia robuste e dai muscoli rigonfi.

Trattenendo il respiro, Aken la lasciò fare, seguendone con lo sguardo i movimenti lenti, prima di chiederle: “Sei certa di volerlo?”

Lei si limitò a sorridere, dicendogli: “Ti ho mentito, ieri.”

“Come?” esalò lui, completamente confuso.

Poggiando il capo contro la camiciola di Aken, Eikhe sussurrò: “Nys voleva che tu ti prendessi cura di me… che tu mi amassi. Voleva dire questo.”

“Eikhe, ma cosa…?” sussurrò lui, afferrandola per le spalle per scostarla da sé e guardarla in viso.

La ragazza sorrise raggiante, sicura come mai avrebbe potuto essere e, carezzandogli una guancia, ammise: “Era la sua benedizione. Ha accettato la mia scelta, … come la tua. Era convinto che io fossi già nel tuo cuore, prima ancora che io mi rendessi conto di volerti.”

Aken si limitò ad avvolgere il suo viso tra le mani per baciarla con passione, togliendole del tutto il respiro e le forze.

Quando le fu impossibile resistere oltre, si afflosciò contro di lui con tutto il suo esile peso e Aken, ansando contro le sue labbra, esalò: “Tu mi vuoi?”

Lei annuì con decisione.

“Dici di essere egoista, ma la sono anch’io. Ti voglio come una donna-lupo non dovrebbe volere un uomo. Ti voglio come mio compagno, mio amante, mio amico per il resto dei miei giorni, e so che è sbagliato.”

“Perché?” ansò Aken, stringendola a sé così forte da aver quasi paura di farle male.

“Perché tutto ci è contro. Il tuo titolo, il mio ruolo, tutto!” esclamò  in un soffio lei, prima di aggiungere: “Ma, come ti ho detto, sono una creatura egoista.”

Scoppiando in una risatina tremula, lui la baciò per un momento prima di dire: “Allora, siamo davvero fatti l’uno per l’altra, perché io sono ugualmente egoista.”

“Non avrei mai pensato di arrivare a dire che l’egoismo fosse una virtù” sorrise lei, prima di chiedere: “Mi amerai?”

“Ti sto amando anche ora, Eikhe, anche se non come il mio corpo sta urlandomi di fare” le sorrise lui, con aria vagamente straziata.

Per diretta risposta, Eikhe si sciolse dall’abbraccio di Aken e, con mani ferme, slacciò la tunica poco per volta sotto il suo sguardo affamato.

Denudando i seni piccoli e pieni, lasciò infine scivolare a terra l’indumento ormai inutile.

Imitandola, Aken tolse la camiciola per gettarla poi a terra con negligenza mentre lei, tranquilla, lo osservava senza alcun timore nello sguardo.

“Sicura di voler andare avanti? Non vorrei che…” tentennò lui, quando le mani gli scivolarono sui lacci delle brache.

Eikhe sorrise replicando: “Sono nata e cresciuta nella foresta, Aken. So come sono fatti i maschi.”

“Non gli uomini” precisò lui, denudandosi di fronte a lei dopo un momento.

Eikhe fece tanto d’occhi di fronte all’adamitica bellezza dell’uomo che aveva dinanzi e, pur avendolo già visto senza abiti, sfiorò con reverenziale timore quei muscoli possenti e solcati da cicatrici vecchie di anni.

Immersa in sua contemplazione, Eikhe si accorse solo vagamente delle mani voraci di Aken che, sciogliendole i lacci dei pantaloni, la denudarono con facilità, lasciandola senza nulla addosso oltre la sua chioma lucente.

Sorridendogli quando lui la scostò da sé per abbeverarsi lo sguardo con la sua immagine, Eikhe gli sentì dire: “Sei più bella di quanto avessi immaginato nei miei sogni.”

“Mi sognavi?” chiese lei, deliziata all’idea che quel possente guerriero delle pianure potesse averla vista in sogno.

Annuendo, Aken la avvicinò per sentirla accanto a sé, pelle contro pelle, e mormorò: “Sin da quando mi sono svegliato con te accanto, la prima volta.”

Inarcandosi contro di lui quando lo sentì muoversi con abile maestria sulla sua pelle accaldata, Eikhe non badò minimamente al crescere della furia della tempesta che imperversava all’esterno.

Era unicamente desiderosa di dedicare i suoi pensieri all’uomo che aveva al suo fianco.

Tracciando scie di baci sulla sua pelle dorata dal sole, Aken le sfiorò con reverenziale timore i piccoli seni con le mani.

Ansimando sorpresa, Eikhe lo guardò chinarsi per baciarglieli, scatenando in lei una ridda di emozioni mai provate.

Accompagnandola con gesti teneri all’alcova che avevano diviso vicino al fuoco, lui la fece sdraiare sul mantello di pelliccia, seguendola subito dopo.

Continuando nell’esplorazione del suo corpo, le disse roco: “Hai un corpo stupendo, Eikhe.”

“Non sono troppo magra? O alta?” riuscì a chiedere lei tra una carezza e l’altra.

“Sei esattamente come ti immaginavo. Tonica, forte, morbida dove serve… affascinante e pericolosa” mormorò lui, scendendo fino al fulcro della sua femminilità.

“Aken!” esclamò lei, sorpresa e affascinata da quel turbinio di sensazioni piacevolissime.

“Tranquilla, amore, so come fare” sussurrò lui, continuando nella sua magia, facendole toccare vette di piacere mai raggiunte.

Tremando sotto il suo tocco esperto, Eikhe perse completamente di vista la loro missione e il pericolo che li circondava, divenendo una creatura fatta solo di sensazioni.

Sensazioni che Aken stava portando a dei livelli che mai, nella vita, avrebbe creduto di poter raggiungere.

Le sue mani si mossero sensuali sul suo corpo, abituandola a quanto avrebbe sperimentato entro breve.

Quando divenne per entrambi impellente raggiungere quel traguardo, lei sussurrò ansiosa: “Aken, ti prego, non resisto più!”

“Sarà solo un attimo, piccola.”

“Non ho paura del dolore” sorrise lei, baciandolo con trasporto.

Tenendo le sue labbra unite a quelle di Eikhe, Aken affondò in lei con un’unica spinta e, quando sentì il suo ansito di sorpresa e dolore, lo lenì con dolci carezze.

Poco alla volta, abituò il corpo della ragazza alla sua intrusione, finché non fu certo di potersi muovere senza causarle ulteriore disagio.

Lentamente, le spinte si fecero più audaci e Aken, sorridendo fiero, ascoltò i gemiti di Eikhe unirsi ai propri.

Senza più trattenere il proprio desiderio, la condusse per mano fino alle più alte vette del piacere.

Insieme, gridarono nell’estasi di quel momento prima di ritornare al presente, dimentichi di tutto e di tutti se non del compagno che stringevano tra le braccia.

Dopo un istante che parve durare in eterno, Aken scivolò via da lei tenendola stretta al petto e, con un movimento del braccio, coprì entrambi con il mantello.

Ansando leggermente, Aken la osservò negli enormi occhi dorati, che lo fissavano vacui e colmi della passione che aveva saputo risvegliare in lei.

In un sussurro, le chiese: “Sono stato troppo brutale? Hai sentito dolore? Forse avrei potuto…”

Azzittendolo con una mano, lei gli sorrise e, sollevatasi a mezzo per baciarlo sulle labbra, disse: “Sei stato meraviglioso. Smettila di preoccuparti.”

“Continuo a pensare che avrei dovuto fermarti, fermarmi…ma…” mormorò, ancora preoccupato.

Eikhe si limitò a sorridergli, dicendo per contro: “Era ciò che entrambi volevamo. E questo non potrà mai essere un male, Aken. Mai!”

“Ma tu sei ancora in lutto, e…” tentennò ancora lui, sfiorandole la fronte con la propria e fissandola con occhi addolorati.

“La morte di Nys mi accompagnerà per sempre, Aken, non potrò mai cancellarlo dal mio cuore, ma mai lui avrebbe voluto che io smettessi di vivere a causa sua. A maggior ragione, sapendo che avevo trovato il mio compagno, il mio lupo” cercò di tranquillizzarlo lei, carezzandogli una guancia.

Sorridendo a quelle parole, lui annuì e, baciandole teneramente la punta del naso, sussurrò: “Sì, sono e sarò sempre il tuo lupo.”

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Capitolo 9
*** cap. 9 ***


 
Capitolo più breve, ma decisamente più rilassante rispetto al precedente. Si scoprono molte parti oscure su Hevos e Hyo, oltre al vero messaggio che il dio-lupo avrebbe voluto tramandare alle sue figlie. Buona Lettura!
 

9.

 

 

 

 

 

Seduto comodamente all’interno dell’enorme tinozza di cui disponevano nella casamatta, Aken sospirò sollevato nel passarsi la pezzuola umida sulla pelle.

Quei lunghi giorni di stenti, e la battaglia che li aveva visti protagonisti sul valico, lo avevano logorato nel corpo e nello spirito non meno di Eikhe.

In quel momento, la ragazza-lupo era intenta a rammendare uno strappo nella sua tunica di pelle di daino.

Dopo il loro primo atto d’amore, Aken aveva preferito non starle troppo addosso, preferendo che la ragazza si abituasse a lui nelle sue nuove vesti di amante, oltre che di amico e compagno.

Trovava stranamente rilassante anche il solo fatto di poterla avere accanto a sé.

In passato, non avrebbe mai detto di essere capace di apprezzare anche la semplice intimità domestica con una donna.

Il genere di intimità che tanto aveva bramato – e che aveva avuto – l’aveva, sì, soddisfatto appieno, ma gli aveva anche aperto le porte di fronte a un nuovo mondo.

Guardarla dormire, placidamente rannicchiata contro il suo torace, scorgere le sue palpebre tremare al risveglio, salutarla con un bacio e un sorriso.

Erano tutte sensazioni nuove, per lui.

Certo, ogni donna con cui era andato a letto era stata, per lui, quanto di più simile a un’amica avesse mai avuto.

Parlare con loro, passare il suo tempo con loro, l’aveva risollevato da angosciosi momenti in cui tutto, ai suoi occhi, era parso inutile e menzognero.

Con Eikhe, tutto questo si era trasformato, evoluto in qualcosa di più complesso e più semplice al tempo stesso, facendogli finalmente scoprire il vero significato della parola ‘amore’.

Non gli sembrava sciocco o superficiale pensare all’amore, pur conoscendola da così poco tempo.

In lei aveva trovato tutto ciò che aveva sempre desiderato e, con sua somma sorpresa, anche diverse cose che mai si sarebbe immaginato di volere.

Al tempo stesso, aveva gioito nello scoprire che, non solo lei ricambiava appieno i suoi sentimenti, ma che anche lo stesso Nys lo aveva accettato come potenziale compagno di Eikhe.

Già, Nys.

Mentre la tempesta continuava a infuriare fuori dalla casamatta, Aken si figurò il suo corpo ormai ghiacciato e ricoperto da palmi e palmi di neve.

Nessuno avrebbe pianto su una tomba con il suo nome, o avrebbe portato fiori per lui.

Al disgelo, la sua carcassa sarebbe stata divorata da qualche predatore e, del suo corpo mortale, non sarebbe rimasto che il ricordo.

“Pensare così affannosamente ti farà venire le rughe” mormorò Eikhe dalla sedia su cui era accomodata.

Aken sollevò il capo a guardarla, l’esile corpo ricoperto solo dalla sua camiciola di lino – che le stava tremendamente grande – e, con un mezzo sorriso, celiò: “Con le rughe, non mi vorresti più?”

Lei si limitò a sorridergli da sopra la spalla prima di riprendere il suo ricamo e dire: “Ti prenderei anche se fossi vecchio e curvo, mio lupo.”

Suo lupo.

Da quella prima volta assieme, Eikhe non aveva più smesso di chiamarlo così.

Invece di sentirsi vagamente sciocco per quel nomignolo, Aken aveva provato di volta in volta un calore sempre più profondo nel petto.

Sapeva perfettamente che, secondo le leggi cui era stata indottrinata fin da piccola, ciò che stava compiendo era qualcosa di molto simile all’apostasia, ma Aken non voleva nulla di diverso da questo.

L’aveva desiderata, aveva imparato ad amarla e comprenderla e ora, il solo pensiero di non poterla avere al suo fianco per la vita, era così straziante da togliergli il fiato.

Ugualmente, proprio perché l’amava, non poteva costringerla a regole che ne avrebbero minato la libertà di pensiero e di movimento.

Lui amava anche questo, di lei.

Non c’era nulla, in Eikhe, che avrebbe cambiato.

Lasciato sulla sedia il suo lavoro di cucito, Eikhe lo raggiunse alla tinozza e, carezzandogli la guancia ricoperta di folta barba, sorrise e disse: “Credo dovremmo darle una spuntata. Ormai è davvero lunga, e cominci a sembrare un vero barbaro.”

Massaggiandosi il mento, dove stava crescendo un morbido cuscinetto lungo almeno un paio di dita, Aken annuì.

“In effetti, potrei anche rischiare di non riconoscermi io stesso. Sai se qui dentro c’è il necessario per farsi la barba?”

Lei si limitò a sogghignare e Aken, storcendo il naso, chiese: “Che hai in mente?”

Da dietro la schiena tirò fuori una forbice dall’aspetto piuttosto sinistro e, con un luccichio negli occhi, domandò: “Vuoi concederti a me?”

“Preferirei concederti qualcos’altro…” precisò Aken, percependo un leggero irrigidimento all’altezza dei lombi. “… ma, visto che sei armata e sembri pericolosa, mi metterò nelle tue mani.”

Eikhe si limitò a ridacchiare e, dopo aver preso accanto a sé una sedia, si accomodò e iniziò ad accorciare diligentemente la barba di Aken, stando ben attenta a non tagliarlo.

Dopo una ventina di minuti passati sotto le mani della ragazza, il principe saggiò con mano esperta il lavoro di sbarbatura, annuì e disse: “Potrei sempre tenerti come mio aiutante.”

Lei storse il naso e replicò: “Non mi fermerei mai in un castello, neppure per te.”

“Lo so…” sorrise mesto lui. “… non lo pretenderei mai, comunque.”

Eikhe scivolò contro di lui per abbracciarlo e, poggiando il capo contro il suo, mormorò spiacente: “Non sarebbe comunque possibile, non credi? Io sono solo una semplice ragazza di una tribù di montagna, mentre tu sei un principe. Non vorresti davvero una compagna così per la vita, anche se te lo permettessero, no?”

“E questo, chi te lo dice?” replicò con veemenza lui. “Eikhe, pensi che mi sarei sbilanciato a dirti ciò che ti ho detto, se il mio fosse stato solo un riflesso dovuto al bisogno fisico che avevo di una donna? Ho resistito ben più tempo di ora, senza godere di un corpo femminile!”

Fissandolo per un momento senza parole, Eikhe gli sorrise dolcemente prima di asserire contrita: “Non funzionerebbe comunque. Viviamo agli antipodi, Aken.”

Sbuffando, lui replicò ombroso: “Non ne parliamo più, ti va?”

“Come desideri” annuì lei, baciandolo sulla fronte per poi rialzarsi. “Preparo il pranzo.”

Aken si limitò ad annuire, preferendo non pensare alle parole profetiche di Eikhe.

Sapeva perfettamente quanti ostacoli c’erano tra loro due, ma non voleva sentirglieli elencare proprio in quel momento.

Non quando aveva appena assaporato sulla pelle il profumo del suo amore.

***

Per i successivi tre giorni, a parte rare escursioni esterne per mantenere sgombro il passaggio di fronte alla capanna, i due giovani passarono la maggior parte del tempo scoprendo i segreti più intimi dei loro rispettivi corpi e animi.

Al tempo stesso, però, tentarono di non pensare a quello che li avrebbe aspettati, una volta intrapreso il viaggio di ritorno verso Rajana.

Nessuno di loro voleva rovinare quei brevi momenti di pace pensando alla guerra imminente, o alla loro prossima separazione.

Per Eikhe, era già difficile non perdersi nei ricordi di Nys.

Se avesse anche pensato al momento in cui avrebbe dovuto dire addio ad Aken, avrebbe sicuramente perso la testa.

Non credeva comunque che, per lui, fosse diverso.

Il quarto giorno, con un bel sole alto e splendente nel cielo invernale, Eikhe decise infine di riprendere il cammino verso le vicine valli di Anarsis.

Non aveva senso non approfittare di quella tregua nel maltempo, sebbene sapesse che questo costituiva, per entrambi, il primo ceppo delle pira su cui entrambi sarebbero arsi al momento definitivo del distacco.

Ugualmente, il Reame aveva bisogno delle notizie che portavano con loro, e questo non potevano dimenticarlo.

Stazionando silenziosamente di fronte a un tumulo di sassi - che aveva eretto nel punto in cui si trovava Nys - Eikhe si ripromise di portare a termine la missione anche per il suo fidato e amato compagno di vita.

Aveva speso così tanto, di sé, per salvaguardare sia lei sia l’uomo che stava imparando ad amare con tutto il cuore!

Fermo accanto a lei, il viso serio e ombreggiato dalla colpa e dal dolore, Aken osservò in silenzio sia Eikhe sia il tumulo.

Quanto potevano essere forti e strazianti, i sentimenti che stavano squassando il suo giovane cuore di donna?

Sapeva di poter fare ben poco, in quel momento, a parte starle accanto e dimostrarle tutto il suo affetto.

Dubitava fortemente che, qualsiasi cosa lui avesse detto in quel momento, avrebbe pacificato il suo animo dal senso di colpa e dallo sconforto.

Con un ultimo sospiro e un bacio abbandonato sulle rocce, che indicavano il luogo in cui giacevano i resti mortali di Nys, Eikhe si volse verso Aken.

Sorridendogli appena, mormorò con forza: “Coraggio, procediamo pure.”

Aken annuì ed Eikhe, allungandogli una delle pezze di cotone da sistemare dinanzi agli occhi.

“La tua cara amica.”

Di malavoglia, Aken la indossò prima di dire: “Speravo di non doverla più rimettere. Mi sento un idiota, con questa cosa addosso.”

“Non è vero che lo sembri e poi, serve a ripararci gli occhi dal riverbero del sole. Rimarremmo accecati, con tutta la neve che è caduta, e il sole a picco su di essa” replicò lei, bendandosi a sua volta.

“Avrai anche ragione, ma mi sento comunque un idiota” brontolò lui prima di notare un particolare di cui, in precedenza, non si era avveduto.

Con sommo stupore di Aken, Eikhe aveva letteralmente sradicato il coperchio di una delle casse delle provviste all’interno della casamatta.

Dopo aver apportato alcune modifiche, l’aveva posizionata all’esterno della casupola dicendogli ironicamente che, quello strano oggetto sgraziato, sarebbe stato il loro asso nella manica.

In un primo momento, l’aveva preso come uno scherzo ma, quando la vide dirigersi verso il coperchio in questione, la fissò dubbioso, apertamente confuso di fronte alle sue mosse.

Divertita dalla sua confusione, Eikhe domandò: “Mai andato su uno slittino?”

“Rajana è in una pianura, Eikhe… dove avrei dovuto scivolare?” celiò lui, dubbioso.

“Allora, comincerai adesso. Se vogliamo scendere, dovremo per forza fare così. Tu pesi troppo, per poter camminare sullo strato di neve caduto in questi giorni, quindi procederemo su questa slitta improvvisata” dichiarò lei, indicandogli per l’appunto il coperchio capovolto, dotato di alcune corde robuste ai lati.

“Ecco perché ti sei messa a fare il carpentiere, l’altro giorno!” esclamò l’uomo.

Storcendo il naso l’attimo dopo, però, le domando dubbioso: “Perché non me l’hai detto subito?”

“Non sapevo se il vento avrebbe formato una crosta sufficientemente spessa per permettermi di usarla” scrollò le spalle lei.

“Dobbiamo parlare di più, noi due” brontolò lui, prendendola per la vita con un braccio.

Eikhe ridacchiò, arrossendo leggermente, e disse per contro: “Abbiamo avuto altro a cui pensare, credo.”

“Già” sogghignò Aken, sedendosi sullo slittino improvvisato prima di avvolgerle la vita con un braccio e aggiungere: “Sei davvero sicura di non esserti pentita di niente?”

Guardando dietro di sé per scrutarlo in viso, Eikhe disse: “Pentirmi di te? Affatto. Non cambierei niente di ciò che abbiamo condiviso. Mi spiace soltanto di non aver potuto gioirne appieno come avrei voluto.”

“Ti senti in colpa?” le chiese Aken.

A lui era successo in ogni momento.

“Non in colpa” scosse il capo lei. “Ma avrei voluto che Nys vedesse quanto sono felice con te, adesso.”

“Sei… felice?” sorrise più che lieto Aken, dandole un bacetto sulla guancia.

Eikhe rise suo malgrado ed esalò sorpresa: “Hai davvero bisogno di rassicurazioni in tal senso?”

“No, ma mi piace sentirtelo dire” scrollò le spalle il principe, prima di aggiungere: “Partiamo?”

“Sì.”

Con un sospirone, Aken disse: “Che gli dèi ce la mandino buona.”

“Fidati” si limitò a dire lei.

“Detto da una donna, suona come una condanna a morte” replicò lui, guadagnandosi una gomitata nel fianco. “Ahia! E’ questo il modo di trattare il tuo principe?”

“Quando fa lo scemo, sì” celiò la ragazza, ridacchiando e dandosi una spinta coi piedi. “Quando ti dico ‘frena’, punta i calcagni fuori dalla slitta.”

“D’accordo” annuì lui, avvolgendole la vita anche con l’altro braccio. “A volte, dimentico quanto sei piccola.”

“Sono io a essere piccola, o tu a essere grande?” replicò lei, mentre la slitta cominciava il suo viaggio sulla neve.

“Un po’ tutt’e due le cose” ammise lui, sorridendo. “Questa tua idea è comoda. Ci sta risparmiando ore e ore di cammino accidentato nella neve.”

“Lo so. Spero solo che il tragitto sia sempre così agevole” dichiarò Eikhe, spostando di quando in quando il peso a destra o a sinistra.

Procedettero a buona velocità per più di mezz’ora, mantenendosi paralleli alla cresta di monte che li separava dal fiume Fenar, che avrebbero dovuto percorrere più a valle con una canoa.

Eikhe, comunque, dubitava che avrebbero potuto proseguire in eterno in quel modo e, quando si frappose tra loro e la valle uno squarcio, la giovane sospirò demoralizzata.

Fermando la slitta dopo aver lanciato l’ordine ad Aken, la ragazza avanzò sullo strato di neve, guardando oltre un apparente seracco.

Con non poco sgomento, esalò: “Questa non ci voleva, pur se me l’aspettavo.”

“Cosa c’è?” chiese Aken, curioso, avvicinandosi a sua volta.

“Una costa del monte è franata. Deve essere successo di recente perché, l’anno scorso, non c’era” brontolò Eikhe, tornando indietro. “Come te la cavi con le arrampicate?”

“Benino…” dichiarò lui, torvo. “… quant’è il dislivello?”

“Dovrebbero essere trecento metri, più o meno” asserì Eikhe, legandosi ben bene una delle sacche sulle spalle. “Ma, per lo meno, questa parete è ricca di appigli e non è a strapiombo. Non dovremmo incontrare troppe difficoltà, nello scendere.”

“Ottimo! Poteva andare tutto liscio? No, certo!” mugugnò lui, imitandola. “La slitta?”

“Lasciala pure lì. Una volta discesi più a valle, la neve dovrebbe essere più bassa, e ci sono troppi massi sporgenti. Rischieremmo solo di farci male” scosse il capo lei, sospirando scontenta.

“Come temevo” borbottò Aken, lanciando uno sguardo affranto in direzione della slitta.

“Dai, vieni” lo incitò lei, tirandogli una mano.

***

La discesa sfiancò entrambi, pur se il tragitto risultò essere più semplice del previsto.

Non appena ebbero raggiunto il fondo del crepaccio, i due giovani si lasciarono cadere su un mucchio di neve, incuranti del freddo e della possibilità di essere avvistati da qualche vedetta nella zona.

Si trovavano ancora a Vartas e, sebbene il confine con Anarsis fosse poco distante, non potevano concedersi il lusso di rimanere all’aperto per troppo tempo.

Nargan era lontano, probabilmente di ritorno verso il suo esercito e li credeva morti, ma nulla vietava che avesse messo dei franchi tiratori un po’ ovunque per scoraggiare eventuali ‘curiosi’.

Di malavoglia, Aken fu il primo a risollevarsi dalla neve e, presa per mano Eikhe, la tirò in piedi.

“Dove andiamo, guida?”

Sbuffando affaticata, lei indicò una pineta poco distante e disse: “Laggiù. In quel bosco, c’è una piccola grotta che può fare al caso nostro. Sempre che non sia occupata.”

“Orsi?” domandò Aken, rabbrividendo involontariamente.

“Già ma, alla peggio, posso sempre…” disse lei, digrignando i denti e mostrando le unghie con fare minaccioso.

Sollevando un sopracciglio con espressione curiosa, Aken le chiese: “Ma… non ti succede solo se c’è di mezzo qualcuno in pericolo, o che desideri proteggere?”

“Sì” assentì lei, guardandolo con espressione dolce.

Aggrottando la fronte, Aken scosse il capo e dichiarò: “Scordatelo, tesoro, non farò da esca solo per farti diventare una belva.”

“Antipatico” brontolò lei.

“Se ci sarà un orso, lo sistemerò da solo” asserì lapidario il principe, battendo un paio di volte la mano sulla sua spada.

“Ah!” esclamò lei. “Questa la voglio vedere!”

“Mi credi incapace di uccidere un orso?” le ritorse contro lui, accigliandosi.

“Aken, non hai la più pallida idea di quanto sia grosso un orso, vero?” replicò lei, sollevando un sopracciglio con aria scettica.

“Beh, non ne ho mai cacciato uno, però…” tentennò un poco lui.

“Appunto. Quello che ho catturato con Nys era grosso il doppio di te, in altezza e larghezza” specificò lei, prima di sospirare e scuotere il capo.

Stringendola a sé per un momento, lui le baciò i capelli, sperando di poterla trascinare lontana dai ricordi.

“D’accordo, niente colpi di testa, allora.”

“Sì” annuì lei, restandogli accanto mentre, con tutta calma, riprendevano il cammino verso il bosco.

Facendosi strada tra la neve e i sassi sporgenti, i due impiegarono il resto del pomeriggio per raggiungere il riparo offerto dalla foresta di abeti.

Una volta penetrati all’interno, l’oscurità li avvolse ed Eikhe, per la prima volta in vita sua, dovette fare affidamento solo sui suoi occhi e sulle sue orecchie.

Un po’ confusa da quella tragica novità, si bloccò, guardandosi intorno come cercando un appiglio cui aggrapparsi.

Comprendendo cosa volesse dire, per lei, affrontare quell’avventura senza Nys, la strinse a sé e disse: “Prenditi tutto il tempo che vuoi, Eikhe.”

Lui si era sentito ugualmente spaesato e nudo, senza i suoi uomini, pur se aveva avuto al suo fianco Eikhe.

Aveva dovuto imparare nuovamente a camminare, per così dire ma, grazie all’aiuto della ragazza, era infine riuscito a risollevarsi.

Ora, Eikhe avrebbe dovuto fare la stessa cosa, e Aken l’avrebbe aiutata a farlo, per quanto possibile.

Lei gli sorrise, sollevando il viso per meglio cogliere odori e rumori e, chiusi un momento gli occhi, annuì debolmente  e disse: “Da quella parte.”

Annuendo, Aken la seguì fiducioso ed Eikhe, tenendo la mano in quella grande e forte dell’uomo, cominciò a muovere i primi passi in un mondo per lei del tutto nuovo.

Un mondo in cui Nys non c’era più, un mondo dove era Aken il suo compagno, la sua spalla. E il suo uomo.

Sorridendogli per un momento, disse sorpresa: “E’ tutto così strano! Con Nys, prestavo più attenzione alle sue reazioni, che a quello che mi circondava. Ora, invece, sono io a dover decifrare il linguaggio della foresta e, pur sapendo riconoscere ogni cosa, mi sembra di essere una straniera in una terra mai vista.”

“E’ come essere appena nati, e scoprire tutto per la prima volta” annuì Aken, al suo fianco.

“Sì, esatto” assentì a sua volta, lieta che Aken riuscisse a capirla.

“Beh, vorrà dire che scopriremo le cose in due. Spiega anche a me quello che devo ascoltare” le propose lui, sorridendole.

E lei cominciò a parlargli del soffio del vento tra le fronde, del borbottio delle acque dei ruscelli, o del fruscio delle ali di un uccello tra le foglie di un cespuglio.

Abbeverandosi della voce suadente di Eikhe, Aken dimenticò ogni preoccupazione e ogni dolore, consapevole solo della ragazza che camminava al suo fianco e che lo teneva per mano.

Quando infine raggiunsero la caverna, Eikhe buttò all’interno un sasso per ascoltarne l’eco e, annuendo, dichiarò con sicurezza: “Se vi fosse stato qualcosa… o qualcuno, all’interno, avrebbe prodotto un suono più sordo.”

“Per maggiore sicurezza, comunque, vado avanti io” asserì Aken, sguainando la spada.

“Come vuoi” sorrise lei, sollevando le mani in segno di resa.

Aken la baciò fuggevolmente sulle labbra e, con fare guardingo, entrò nella grotta per controllare che tutto fosse in ordine.

Quando, però, ebbe oltrepassato di alcuni metri l’entrata dell’antro, dovette fermarsi per fissare allibito le escrescenze luminose che decoravano la caverna.

Queste, sottili come lamine e apparentemente infinite, illuminavano la grotta come se vi fosse stato acceso un fuoco all’interno.

Dietro di lui, Eikhe gli spiegò succintamente: “Sono muffe. Risplendono come le lucciole, non ti pare?”

“Sapevi che c’erano?” esalò Aken, rinfoderando l’arma per guardarla stupefatto.

“Sì, ma non fioriscono sempre. A volte, non brillano affatto” asserì lei, scrollando le spalle. “Non so dirti perché.”

“Beh, poco importa. L’importante è che non ci sia compagnia” borbottò il principe,  sedendosi a terra. “Hai la scorta anche qui?”

“Ovvio” annuì lei, sollevando un sasso per liberare un po’ di fascine e dei pezzi di legno più grandi. “Non manco mai di rifornire i luoghi in cui mi fermo spesso.”

“Non è rischioso avventurarsi fin qui solo per cacciare?” chiese a quel punto lui, intento a osservarla accendere il fuoco.

“In realtà, no. Siamo più o meno a due settimane di cammino da Nestar. Di solito, io e Nys imboccavamo il Sentiero dell’Orso e, da lì, svoltavamo a sud-est per oltrepassare il Monte Ruona, percorrendo uno stretto valico che c’è sopra il paese di Royconea” gli spiegò, pulendosi le mani prima di sedersi vicino ad Aken. “Da lì, si evita a piè pari il Valico di Kortoss e i suoi sgradevoli abitanti.”

“Hai viaggiato molto” esalò Aken, ammirato.

“E tu? Non penso tu sia sempre stato a Rajana, vero?” gli domandò, usando l’acciarino per accendere il fuoco.

“No, infatti. A quindici anni, sono partito per il Regno di Karton, risiedendo per quattro anni alla corte di re Nikos, per fare praticantato come soldato. Ho preso parte a diverse battaglie, prima di tornare a Rajana e terminare il mio addestramento”  le raccontò succintamente,  rammentando gli anni che aveva passato lontano da casa.

In fondo, era stata una bella vita.

“Non era male, a dir la verità. Tra i soldati di re Nikos, ero un semplice combattente, come tutti gli altri. Non avevo favoritismi di nessun genere, e la cosa mi stava più che bene.”

“Rimpiangi quel periodo, vero?” intuì Eikhe, stringendosi le ginocchia al petto.

Annuendo, lui emise un sospiro e disse: “Il cameratismo che si crea tra commilitoni è una cosa che, solitamente, un erede al trono non può mai provare. Tutti i soldati, alla fin fine, ti guardano con una certa apprensione, perché si aspettano da te che, da un momento all’altro, possa rivoltarti contro di loro. Come semplice soldato, invece, mi sono fatto degli amici fidati che, al termine del mio apprendistato, sono venuti con me a Rajana per passare sotto il mio comando.”

“Chi?” volle sapere lei.

“Ricordi che ti dissi di un mio amico, a cui dovetti amputare un braccio?” disse Aken, vedendola annuire. “Uno è lui. Ora, Kannor è a palazzo, ed è il mio attendente. Non ha gradito molto il fatto che io sia partito senza di lui, per questa missione, ma ora sono doppiamente felice che non sia venuto con me.”

Lei sorrise comprensiva, annuendo debolmente.

“Come perse il braccio?”

“Durante una scaramuccia tra clan. Io e una cinquantina di uomini fummo inviati presso un feudo vicino a Rajana per sedare una battaglia tra alcuni signorotti di campagna e, durante gli scontri, Kannor venne ferito da una lama arrugginita. Il braccio andò quasi subito in cancrena, così fui costretto ad amputarlo fino al gomito.”

Nel dirlo, Aken sospirò.

“Capisco come ti senti. Pensi che, se fosse rimasto nel suo paese natio, lui avrebbe ancora il suo braccio mentre, seguendoti, ha dovuto subire questa triste sorte” dichiarò Eikhe, sorridendogli mestamente.

Annuendo, Aken la avvolse con un braccio e disse: “So che è assurdo, ma continuo a sentirmi colpevole, come lo sono per Nys.”

“Non devi. Nys non avrebbe mai voluto che ti succedesse qualcosa, e neppure io. Non si è battuto solo per me, ma per entrambi” gli rammentò, scrollandolo leggermente. “Eri il suo cucciolo, ricordi?”

“Già, il suo cucciolo” sospirò lui, chinandosi a baciarla.

Eikhe si strinse a lui per approfondire il contatto e Aken, senza lasciarsi pregare, si lasciò andare a terra assieme alla ragazza.

Avvertiva forza quanto entrambi avessero bisogno di stare insieme, per superare l’enorme dolore e la solitudine che, la morte di Nys, aveva lasciato nei loro cuori.

Molto tempo dopo, avvolti nel mantello di Eikhe, Aken ridacchiò nel dire: “Mi sento ancora un idiota, per averti spiattellato tutto a quel modo.”

Ridendo, lei gli passò una mano tra i lunghi capelli per sistemarglieli e replicò: “Se non l’avessi fatto tu, ci avrei messo molto poco io. Ricordi che, prima di attaccare il Valico di Kortoss, ti dissi che ti avrei spiegato il perché del mio sorriso?”

“Sì, e allora?” annuì lui, curioso.

“Ti avrei detto che quel che poi ti ho confessato nella casamatta. Che ti desideravo come mio amante e compagno, perché ti amavo” sussurrò lei, poggiando il capo contro la sua spalla.

“Mi ha fatto piacere sentirtelo dire” ammise Aken, intrecciando le dita di una mano alla sua. “Ed è questo che non capisco, delle vostre leggi. Perché vi vietate di amare? E’ davvero così spaventoso, amarmi? Trovi sia un peccato mortale?”

“E’ lo Statuto e, su questo punto, mia madre è irremovibile. Lei e le altre, i membri del Consiglio delle Tribù, odiano gli uomini perché portatori di problemi e schiavitù. Da almeno duecento anni, è fatto divieto assoluto di amare un qualsiasi uomo, anche colui con cui si è generato una figlia. So per certo che, con mio padre, Kaihle mantiene un rapporto più o meno formale, ma la cosa finisce lì. Col padre di Tyura, neppure parla più, quando scende a Marnha.”

“Continuo a non capire” ammise Aken. “Come può aver accettato di stare con loro – e quindi, avere un rapporto intimo decisamente profondo – per poi non degnarli neppure di sentimenti come l’amicizia, o l’affetto?”

Storcendo il naso, Eikhe disse a mo’ di spiegazione: “Cosa fanno gli uomini, dopo una battaglia?”

“Oh” esalò, ammettendo tra sé l’innegabile verità. “Quindi, ci sfruttate?”

“Il nocciolo è questo, anche se credo sia stupido. Ci lamentiamo che gli uomini sono gretti e insensibili, degli sfruttatori, e poi li ripaghiamo con la stessa moneta. E’ assurdo, e non credo proprio sia questo l’insegnamento che Hevos voleva portare nel mondo, dando una figlia alla donna che amava” sospirò Eikhe, prima di guardarlo negli occhi e dire: “Quando sapranno quel che ho combinato, finirò nei guai.”

Facendo tanto d’occhi, lui esalò falsamente sorpreso: “Perché? Cos’hai combinato?”

“Mi sono innamorata di te, ecco cosa” brontolò lei, cercando di non ridere.

“Ah. Ma non ne sembri contenta” ammise lui, sollevando un sopracciglio con ironia, gongolando però dentro di sé nel sentirle professare il suo amore per lui.

“Sento già i colpi della sferza sulla schiena, ecco perché” precisò lei, ombrosa.

Accigliandosi immediatamente, Aken le chiese torvo: “E’ questa la punizione prevista?”

“Sì. L’ho vista comminare solo una volta, e non è stato piacevole. Ora, quella donna vive a Marhna con il suo attuale marito, e ha due figli maschi” gli spiegò lei, sospirando.

 “Non hanno un cuore!” sbottò lui, indispettito.

“Sono ligie alla legge” precisò Eikhe.

“Sono testarde” precisò Aken.

“Mantengono l’ordine, giusto o sbagliato che sia” sottolineò lei, pur non credendogli essa stessa.

“Ma non capisci, Eikhe, che ciò che dici è assurdo? Come possono, tante donne, non essersi mai innamorate? Mi sembra impossibile. E’ più facile credere che, semplicemente, si siano piegate alla legge, pur provando dei sentimenti per un uomo.”

“E’ possibilissimo” ammise Eikhe, aggrottando la fronte.

Ora che sapeva dare un nome agli strani sentimenti che aveva sentito crescere dentro di lei, dubitava fortemente fosse possibile tenerli ingabbiati dentro il proprio animo per molto tempo.

Ma, come diceva Aken, era quasi impossibile che nessuna di loro si fosse innamorata di qualcuno.

“Sì, e credo che l’odio di tua madre derivi proprio da questo. Forse, ha amato qualcuno a tal punto che, pur di rispettare quella stupida legge, ha trasformato l’amore in odio” dichiarò il principe, sempre più sicuro di sé. “E, come lei, molte altre donne-lupo devono essersi trovate nella stessa situazione. Il punto è; perché?”

“Cosa vuoi dire, Aken?” gli chiese, accigliandosi leggermente.

“Pensa a ciò che mi hai detto del mito. Hevos disse a Hyo di badare a ciò che gli uomini le avrebbero detto, così da non rimanerne ingannata. Di non cedere alle lusinghe degli uomini perché, per loro, sarebbe risultato normale cercare di assoggettarla ai loro voleri, con le buone o con le cattive” mormorò Aken, gli occhi leggermente sgranati di fronte a quella scoperta.

“Ho la netta impressione che la leggenda sia stata travisata, e in peggio. Se hai ragione, ci siamo chiuse volontariamente in una sorta di prigione dorata per non correre il rischio di rimanere deluse ma, così facendo, ci siamo anche precluse la felicità” esalò Eikhe, sbattendo le palpebre con aria confusa e scioccata.

“Per non dover più soffrire a causa di scelte sbagliate, vi siete allontanate dalla strada tracciata da Hyo e dal dio-lupo senza neppure accorgervene” annuì Aken, spiacente.

“Credo di sì” annuì lei, fissandolo con occhi sgranati.

Sorridendo indulgente, Aken le sfiorò la guancia con il dorso della mano, asserendo: “A ogni modo, il saperlo non ci può aiutare, ora come ora. Inoltre, le mie sono solo supposizioni. Non mi permetterei mai di mettere becco in cose simili, visto che io non appartengo a questa professione di fede.”

“Non si tratta di seguire o meno Hevos, si tratta di capirlo, e penso che tu sia il primo a farlo da secoli” ansò Eikhe, scuotendo il capo afflitta. “Che abbiamo mai fatto?”

***

In ginocchio di fronte a un enorme lupo bianco che, come un’emanazione spettrale, se ne stava ritto sulle zampe anteriori, Eikhe sorrise e mormorò gaudente: “Mai avrei sperato di vederti, Maestro.”

“Sono fiero di te, figlia mia, poiché finalmente fra di voi si sta risvegliando la piena consapevolezza delle mie parole, dopo così tanti anni di oblio e infelicità” asserì il lupo, ammantato di luce dorata.

“Perché abbiamo perso la strada, Maestro?” chiese allora lei, affranta.

“Per paura. La paura frena anche gli spiriti più indomiti. Finché non avessi sentito il cambiamento in almeno una di voi, non avrei mai potuto presentarmi qui per parlare. Non è nei miei poteri piegare le volontà altrui. Ma ora, grazie a te, e altre come te, mi è concesso portare il messaggio che avrei tanto voluto avessero tramandato tutte le donne-lupo, quando lasciai andare Hyo perché raggiungesse la sua Casa Mortale.”

“Abbiamo smarrito la via. Anch’io stavo per smarrirla per paura” sospirò Eikhe, reclinando il capo.

“Essa non alberga più nel tuo cuore, figlia mia diletta. Il tuo spirito è ancora piegato dal dolore, ma esso guarirà, non dubitare.”

“Nys mi manca tremendamente” sussurrò la ragazza-lupo, con occhi colmi di lacrime.

“E tu manchi a lui, ma egli gioisce nel sapere che hai con te un compagno che ha a cuore la tua felicità.”

Sorridendo più tranquilla, Eikhe disse: “Grazie per queste parole, mio Maestro.”

Scodinzolando, il grande lupo bianco la mise in guardia.

“Prestate attenzione, durante il vostro cammino, poiché il nemico non è lontano da voi. Affrettatevi dunque a raggiungere il fiume.”

“Sì, Maestro” annuì lei prima di udire, alle sue spalle, un sospiro di sorpresa.

In piedi accanto all’entrata della grotta, Aken li osservava a occhi spalancati quando increduli.

Il grande lupo bianco, guardandolo con i profondi occhi dorati, esclamò stentoreo: “Proteggi e ama mia figlia, mortale dal cuore sincero!”

“Lo… lo farò” riuscì a dire Aken, ancora sbalordito dalla sua vista.

Il lupo assentì al suo indirizzo e, trottando via senza dire altro, svanì tra gli abeti, lasciandoli soli.

Rialzandosi quando non scorse più la sua diafana figura, Eikhe raggiunse Aken che, senza parole, la fissò sbalordito e lei, annuendo, disse: “Sì, era lui.”

“Ora, credo che non mi stupirò più di nulla. Cosa voleva?” esalò lui, appoggiandosi alla parete di roccia con le gambe leggermente tremanti.

“Dirmi che sto percorrendo la giusta via, e ci mette in guardia dai nostri nemici, che non sono lontani” dichiarò, sorridendo eccitata. “Capisci, Aken? Ero nel giusto! Fino a ora, sono sempre stata nel giusto! Anche se nessuno mi ha mai ascoltata!”

Sorridendole di rimando, lui la abbracciò con calore, replicando: “Uno c’è stato.”

“Sì, il mio mortale dal cuore sincero” annuì lei, stringendosi all’uomo. “Porterò il suo messaggio tra le mie sorelle, se loro vorranno ascoltarlo ma, in un modo o nell’altro, seguirò la sua Parola.”

Tornando con lo sguardo al punto in cui, poco prima, Aken aveva scorto l’emanazione del dio-lupo in cui Eikhe credeva, aggiunse piano: “E io ti proteggerò con tutta la mia forza, e ti amerò con tutto il mio cuore.”

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Capitolo 10
*** cap.10 ***



10.

 

 

 

 

 

Appollaiata su un ramo, a circa una decina di metri d’altezza, Eikhe lanciò un breve ululato per avvertire Aken della presenza di alcuni soldati di Vartas.

Questi, si stavano avvicinando al nascondiglio del principe, tra il fitto dei cespugli.

Subito, uno dei guerrieri di ronda si guardò intorno con aria curiosa ma il suo comandante, richiamandolo subito, lo rabberciò in malo modo.

“Non perderti ad ascoltare i lupi! Lo sai che tra queste foreste se ne trovano a frotte!”

“Pareva vicino, però” borbottò il soldato, storcendo il naso.

“Poco importa, lo infilzerai con la tua spada. Esattamente come abbiamo fatto con quei pezzenti del villaggio” sogghignò il comandante, facendo ridere anche gli altri.

Ma non Eikhe.

Assottigliando le iridi dorate, la ragazza-lupo strinse nella mano il corto pugnale e, lanciandosi dalla pianta che l’aveva nascosta fino a quel momento, si gettò contro uno dei soldati, buttandolo a terra.

Immediatamente, gli uomini della compagnia misero mano alle spade per difendersi dal misterioso assalitore che li aveva aggrediti.

Quando, però, videro solo una donna accanto al corpo morto del soldato, aggrottarono confusi la fronte.

Erano semplicemente incapaci di comprendere come fosse riuscita, una ragazzina, a uccidere con un sol colpo un uomo ben più grande di lei, e armato di tutto punto.

Eikhe si limitò a fissarli a denti snudati quando all’improvviso, alle loro spalle, Aken lanciò il suo grido di battaglia per distrarre l’intera compagnia dal secondo attacco della ragazza.

Spiazzati da quell’agguato nella foresta, che mai si sarebbero aspettati, i soldati si ritrovarono a combattere per la vita.

In breve, comunque, tra i fendenti micidiali di Aken e la forza smisurata di Eikhe, lo sparuto gruppo di soldati di Vartas fu spazzato via.

Al loro posto, il silenzio riprese possesso di quei luoghi ancestrali.

Ansante, Eikhe ringuainò il pugnale dopo averlo ripulito dal sangue e, ripreso faticosamente il controllo di sé, guardò Aken per essere sicura che stesse bene.

Quando se ne fu accertata, emise un lungo sospiro e decretò soddisfatta: “Non compiranno più stragi, ora.”

“A quanto pare, si sono divertiti, più a valle” grugnì il principe, osservando le sacche piene d’oro che pendevano dalle cinture di alcuni di loro.

“Motivo di più per eliminarli” sibilò Eikhe, stringendo i pugni per l’ira.

“Calma, tempesta. Non ci sono più nemici da abbattere” sorrise lui, avvicinandosi a Eikhe con passo tranquillo.

Sollevando una mano, lei però gli disse: “Aspetta un momento.”

“Cosa c’è?” chiese il principe, accigliandosi subito.

“Non è ancora passata, c’è qualcos’altro…” ringhiò lei, guardandosi intorno e fiutando l’aria a più riprese. “… c’è pericolo.”

“Dove?” esalò Aken, assottigliando le iridi smeraldine mentre si guardava attorno con fare minaccioso.

Un sibilo tagliò l’aria immota della foresta ed Eikhe, gettato a terra Aken senza troppi complimenti, venne colpita al braccio dalla freccia destinata al principe.

Ringhiando di rabbia, il suo viso si fece di ghiaccio e, strappandosi il dardo di dosso senza sentire alcun dolore, gridò con voce metallica: “Franchi tiratori!”

Senza perdere tempo, Aken trascinò Eikhe al riparo tra i cespugli e, già sul punto di prendersi cura di lei, la sentì soffiare tra i denti, come se attendesse solo il momento di affondare gli artigli nell’uomo che l’aveva ferita.

Piano, le chiese: “Eikhe, cosa posso fare?”

“Niente… devo… devo prenderlo…” soffiò lei, ansimando nel tentativo di trattenere la furia.

La tensione stava salendo.

Doveva agire, o avrebbe rischiato di impazzire.

Aken era in pericolo, lo sentiva, e doveva eliminare alla radice il problema.

“Resta nascosto” sibilò la ragazza, con voce resa innaturale dalla collera.

Annuendo, Aken lasciò che Eikhe desse libero sfogo alla furia che l’attanagliava, sebbene fosse lacerato dalla paura per lei.

Senza fiato, la vide uscire dal nascondiglio con l’agilità e la velocità di un lupo, il corpo piegato in avanti come se stesse per andare a caccia.

Schivando abilmente le frecce che gli arcieri le scagliarono contro, Eikhe li attaccò uno dopo l’altro con mortale precisione, lasciando sul campo solo una scia di corpi esanimi.

Ansante, si fermò unicamente dopo aver dato la morte anche all’ultimo nemico dopodiché, fatto segno ad Aken, crollò a terra sfinita ed esalò: “Non ne posso più!”

Accorrendo da lei, la vide nuovamente tranquilla, il viso pallido e stanco e il braccio lordo del sangue che stava perdendo dalla ferita di freccia.

Presala in braccio, la portò al riparo da eventuali sguardi e, liberatala dalla tunica, cominciò a pulirle la ferita.

“E’ sempre così?”

“La furia?” mormorò lei, vedendolo annuire. “Purtroppo sì. Quando mi prende, devo darle sfogo.”

“Sembravi… un lupo” ammise lui, fissandola negli occhi dorati. Occhi di lupo.

“Hai paura… di me?” esalò lei, mordendosi un labbro mentre cercava di scostarsi dal suo tocco.

“No” scosse il capo Aken, convinto.

Con un gesto deciso della mano, la tenne ancorata a sé ed Eikhe, dopo un momento di ritrosia, smise di muoversi.

“Solo, mi sembra così strano vederti cambiare a quel modo. Sei così fredda, così impassibile, quando la furia ti coglie. Tu non sei così! Sei una ragazza dolce e sensibile, dal cuore generoso e forte, non una guerriera sanguinaria e spietata.”

Sentendo le lacrime pungerle gli occhi, Eikhe le ricacciò indietro e asserì: “E’ un’arma di difesa di cui farei volentieri a meno.”

“Lo immagino, ma non mi farà mai cambiare opinione su di te. Tu, per me, sarai sempre e solo la piccola, dolce Eikhe” le sorrise, baciandola sul naso.

“Grazie” sussurrò lei, ben più che grata. “Sei la prima persona che non ha paura di me.”

“A parte le altre figlie sacre, giusto?” replicò lui, terminando di fasciare la ferita di Eikhe.

“Già” annuì lei, addossandosi a lui con aria stravolta. “Mi fa un male cane!”

“Lo credo!” si arrischiò a ridere Aken, abbracciandola. “Ah, la mia piccola furia ferita.”

“Piantala” brontolò lei, cercando di non ridere.

“Giammai, tesoro. D’ora in poi, ti chiamerò piccola furia” sorrise il principe, dandole un buffetto sul naso.

“Ah, ah, divertente” mugugnò Eikhe, storcendo il naso prima di sorridergli. “Ti amo, Aken.”

“Anch’io, piccola” dichiarò Aken, mordendole la punta di un dito.

“Che fai?” ridacchiò lei, guardandolo divertita.

“Gioco. I lupi non giocano per tirarsi su di morale?” rise lui, mordendole un altro dito.

“Sì” annuì lei.

***

Attraversando il villaggio che i soldati di Vartas avevano depredato e dato alle fiamme, Eikhe fissò inorridita i cadaveri carbonizzati di uomini, donne e bambini.

Fermatasi in prossimità di una donna che, inutilmente, aveva cercato di proteggere la figlia con il proprio corpo, sospirò e disse: “Non hanno certo mostrato molta pietà.”

“Per questo, dobbiamo impedire che mettano piede a Enerios. Vartas è senza scrupoli, e le terre di confine sono i luoghi preferiti da quei banditi dei suoi soldati. Non è insolito che facciano scorribande simili. Anche sui nostri confini, ogni tanto, ci sono di questi problemi” brontolò Aken, fissando accigliato quell’inutile massacro.

“Anarsis non ha un esercito stabile che possa confrontarsi con loro?” gli chiese Eikhe, passando con lo sguardo da una casa all’altra, alla ricerca di qualche superstite.

Il principe scosse il capo, sollevando una porta divelta per osservare dentro la casa data alle fiamme.

 “Anarsis è guidato da una federazione di capi-tribù ma, alla fin fine, nessuno lo governa realmente e, di conseguenza, quando succedono avvenimenti simili, ricade unicamente sugli abitanti delle tribù vicine. I capi tribali sono lontani da qui, al sicuro nelle loro case in pianura e del tutto decisi a rimanervi. La difesa del territorio è compito di quei pochi valorosi che hanno a cuore famiglia e amici ma, di certo, possono fare poco contro un esercito regolare e ben addestrato.”

“Un esercito regolare… armato malissimo” brontolò per l’ennesima volta Eikhe, ripensando a quando aveva controllato le armi dei soldati morti.

Aveva sperato di poter rubare almeno una spada o due, da usare come baratto, giù a valle, ma era stato tutto inutile.

Non solo i vartassyan erano mal riforniti di vestiario, ma anche di armi, pressoché arrugginite o di pessima fattura.

Niente che avrebbe potuto interessare le tribù valligiane.

Aken sorrise appena a quel commento sprezzante, ma assentì. Anche lui era rimasto disgustato da quella vista.

Nargan non era certo un re generoso con il suo esercito.

“Quindi, se anche Vartas li invadesse, non muoverebbero mano!?” esalò Eikhe, indignata.

“Esatto, ma sanno bene che Vartas non verrà mai qui per invaderli perché, a parte le capre e la lana, non hanno altro da offrire. E Vartas vuole molto di più” le spiegò Aken, dando un calcio a un ciocco di legno bruciato. “Vartas vuole la ricchezza di Enerios. Si limiteranno a passare di qui, utilizzando questo canale naturale verso Enerios e faranno terra bruciata intorno a loro ma, in definitiva, non faranno altri danni.”

“Ma noi glielo impediremo” sorrise a quel punto la ragazza, stringendogli una mano.

“Sì” assentì il principe. “E gli impediremo di distruggere i vostri villaggi.”

Eikhe sorrise maggiormente, a quelle parole e, per Aken, fu come veder sorgere il sole.

No, non avrebbe mai potuto aver paura di una creatura così celestiale, neppure quando la furia la prendeva.

Lei era Eikhe, il suo amore, e tanto gli bastava.

“Proseguiamo. Più a valle, c’è un rifugio sicuro” lo mise al corrente lei, stringendo la mano di Aken. “Conosco una piccola famiglia che abita nella foresta. Potranno darci riparo e cibo fresco.”

“Hai conoscenze anche ad Anarsis?” esalò lui, sorpreso.

“Qualcuna ma, purtroppo, non sul fiume” scrollò le spalle Eikhe. “Per quello, dovremo inventarci qualcosa.”

“Ogni cosa a suo tempo” annuì Aken con fare tranquillo.

Annuendo a sua volta, Eikhe gli sorrise prima di incamminarsi per lasciare i resti del villaggio distrutto dagli uomini di Vartas.

Imboccato uno stretto sentiero che li condusse in un bosco di querce, lo mise al corrente di un suo ricordo.

“Qui, ho sempre trovato un sacco di lontre. Ci sono parecchi torrenti, e sono solite fare le tane in questi luoghi. Ci ho fatto una bella sciarpa per la moglie di mio padre, una volta.”

“Ne sarà stata compiaciuta.”

“Abbastanza. Mi permise addirittura di vedere mio padre a casa, per una volta” chiosò lei, ridacchiando.

“Accidenti” sorrise divertito Aken.

Indicandogli una quercia particolarmente vecchia, Eikhe disse: “Una notte di tempesta, io e Nys ci siamo rifugiati qui sotto per ripararci dalla pioggia battente. Se ci vuoi credere, tra le sue fronde non è riuscita a passare neppure una goccia.”

Lanciando uno sguardo ai folti rami ora sgombri di foglie, annuì convinto.

“Non fatico a crederlo, con tutti i rami che ha.”

Sorridendo, Eikhe lo tenne per mano durante tutto il tragitto, raccontandogli aneddoti sulle sue avventure per i boschi assieme a Nys.

Del tutto perso nell’ascolto della sua giovane vita, Aken si lasciò assorbire completamente dal suo racconto.

Qualsiasi cosa uscisse da quelle labbra a forma di cuore, meritava di essere ascoltato.

Inoltre, ad Aken faceva piacere vedere come il ricordo di Nys, per Eikhe, si stesse facendo via via più dolce, e non più guastato dalla sua morte prematura.

Era il segno evidente che lo sconforto non avrebbe più preso Eikhe.

Almeno fino alla loro separazione ma, di questo, preferiva non parlare. Neppure pensarci, a dir la verità.

Quando infine raggiunsero una piccola casa di tronchi, costruita nel fitto di una querceta, Eikhe si fermò e mormorò: “Avanzerò io, per prima. Vedendo te, potrebbero spaventarsi.”

“Sono così brutto?” celiò Aken, strappandole un risolino.

“Non per quello, sciocco. Perché non ti conoscono” fece la lingua lei, avanzando guardinga.

Dalle finestre della casa, Eikhe vide muoversi una tenda e, subito dopo, la porta si aprì per lasciar uscire due ragazzini di circa dieci anni.

Tra allegre risate e grida di giubilo, corsero ad abbracciarla, esclamando: “La zia Eikhe è tornata! La zia Eikhe è tornata!”

Abbracciando quei ragazzini con le lacrime agli occhi, Eikhe baciò ciascuno di loro sulle guance prima di veder uscire anche una donna dai corti capelli dorati.

Sorridendole, la donna mormorò: “Bentornata, figlia sacra.”

Rispondendo al suo sorrido di benvenuto, Eikhe si rialzò per abbracciare anche lei e, affondando lo sguardo nelle iridi così simili alle sue, replicò: “Grazie, figlia sacra.”

“Il tuo lupo non è qui?” domandò la donna, guardandosi intorno turbata.

Sospirando, Eikhe scosse il capo e, facendo cenno ad Aken di avvicinarsi, asserì: “Stiamo andando a Rajana per parlare con il re. Portiamo gravi notizie dal confine con Vartas. E Nys è morto sul Valico di Kortoss, mentre tentavamo di oltrepassarlo.”

Annuendo grave di fronte a quella notizia, la donna osservò l’alto guerriero che aveva raggiunto il fianco di Eikhe e, arcuando un poco un fine sopracciglio, chiese: “Sei un guerriero di re Arkan?”

“Sono suo figlio Aken” ammise lui, esibendosi in un piccolo inchino prima di guardarla con aria curiosa e chiedere: “Siete anche voi una figlia sacra, vero?”

Annuendo, Seletta scrutò un momento Eikhe prima di chiedere a sua volta: “Conoscete il perché del nome?”

Aken sorrise complice a Eikhe e disse: “Molto bene.”

Sorridendo sollevata, Seletta dichiarò più serena: “Prego, seguitemi in casa. Sarete sicuramente stanchi e sofferenti per il viaggio. Cenerete alla mia tavola e dormirete qui, per stanotte.”

“Grazie, Seletta” sorrise Eikhe, tenendosi al fianco i due bambini.

“Se non ci si aiuta tra di noi, elyken, chi dovrei aiutare?” sorrise Seletta, chiudendosi alle spalle la porta.

“Scusate l’impertinenza, ma cosa vuol dire?” chiese Aken, sedendosi su una delle sedie che la donna offrì loro.

“Significa ‘occhi d’oro’. Solitamente, tra di noi, ci chiamiamo così” scrollò le spalle Seletta. “Spero che uno stufato possa bastare. Non ho altro, sul fuoco.”

“Sarà una cena regale, dopo giorni passati a mangiare carne arrostita o gallette” sorrise Aken, prendendo sulle ginocchia i due ragazzini. “E voi, ometti, come vi chiamate?”

Sorridendo timidi, ma anche assai curiosi, i due dissero in coro: “Kalon e Raltan.”

“E date una mano a vostra madre?” chiese ancora Aken, sorridendo loro.

“Sììì” esclamarono in coro i due.

Scompigliando loro i capelli, e facendo il solletico ai due ragazzini, Aken li fece ridere a crepapelle e Seletta, sorridendo indulgente, disse loro: “Non disturbate il principe e andate a prendere dei secchi d’acqua. Penso vorranno fare un bel bagno, dopo tanto camminare.”

“Sarebbe gradito, in effetti” annuì Aken, vedendo correre fuori i due bambini con le facce sorridenti e rosse di allegria.

Lanciato un ultimo sguardo grato ad Aken, Seletta ricominciò a mescolare lo stufato, che stava sobbollendo sul fuoco del camino, dicendo: “Ai ragazzi manca la figura paterna, ma non mi sono più fidata ad avvicinarmi al villaggio per trovare un uomo.”

Sospirando, Eikhe spiegò la storia ad Aken che, a quella menzione, aveva fissato confusamente l’alta donna dalla chioma dorata.  

“Quando Seletta decise di non lasciare al suo uomo i due gemelli avuti da lui, ma di andarci a vivere insieme, la sua tribù la scacciò, dopodiché uccise il padre dei bambini, lasciandola a vagare da sola nel bosco coi due neonati.”

Aken fece tanto d’occhi nell’udire quella storia e, guardando Eikhe sconvolto, le sentì aggiungere: “Trovò rifugio presso un villaggio, per un po’, accudita da alcune donne che compresero la sua situazione e le diedero una mano a crescere i piccoli. Quando i figli furono più grandi, si trasferì qui per allevare un nuovo lupo e far crescere i suoi figli secondo i suoi dettami, non quelli della tribù.”

“Ogni tanto scendo al villaggio, e la gente è gentile con me, ma non mi trovo bene, tra loro. Così, ho deciso di rimanere qui da sola, insieme ai miei figli e al mio lupo” ammise Seletta, sorridendo mesta ad Aken.

L’attimo seguente, lanciò un’occhiata amorevole al bel lupo grigio sdraiato di fronte al fuoco e che, sentendosi interpellato, scodinzolò felice prima di emettere un singolo guaito.

Seletta lo carezzò in testa prima di tornare a dedicarsi allo stufato e il lupo, con uno sbadiglio, si sdraiò nuovamente a terra e chiuse gli occhi.

Dopo aver osservato quel breve scambio di delicatezze, Aken sospirò, pensando a quanto dovesse aver sofferto la donna per la perdita della persona amata.

Stringendo a sé Eikhe sovrappensiero, brontolò: “Davvero non capisco perché dobbiate sottostare a queste stupide leggi.”

Un po’ imbarazzata, Eikhe sorrise a Seletta che, sollevando un sopracciglio con aria sorpresa, esclamò: “Oh, ma tu pensa!”

Aken si limitò a sorriderle prima di chiederle: “Non vi sentite offesa, vero?”

“Dovrei? Vi limitate a comportarvi come un uomo innamorato della sua donna, e sono d’accordo con voi. Sono stupide leggi” chiosò Seletta, tornando al lavoro.

“Ho visto lui, Seletta”  mormorò a quel punto Eikhe, sfiorando la spalla dell’amica con una mano.

La donna si irrigidì a quelle parole e, puntando sull’amica due occhi sbalorditi, esalò confusa: “Si è manifestato?”

Annuendo, Eikhe dichiarò con veemenza: “Sì, e ci ha dato ragione. Ha detto che ormai il tempo è maturo per un cambiamento radicale.”

Mordendosi un labbro, Seletta sospirò e, reclinando il viso, mormorò commossa: “E’ una ben magra consolazione, visto quello che hanno fatto al mio povero Melak. Ma sono lieta che il suo sacrificio non sia stato vano, se ha permesso a Hevos di riemergere dal suo Regno Immortale per parlare con te.”

“Nulla potrà mai ripagarti per la sua perdita, ma farò in modo che le nostre sorelle ascoltino la verità. E’ ormai tempo” sospirò Eikhe, staccandosi da Aken per abbracciarla.

Comprendendo quanto le due donne avessero bisogno di parlare da sole, Aken si alzò e, con un piccolo inchino, disse: “Vado ad aiutare i ragazzi con i secchi d’acqua.”

Detto ciò uscì e Seletta, stretta a Eikhe, mormorò spiacente: “Sai che non potrete rimanere insieme, vero?”

Annuendo con un nodo alla gola, Eikhe sospirò, bene conoscendo la realtà dei fatti.

“Non posso reprimere ciò che sento, per cui rimarrò con lui per tutto il tempo che ci concederanno. So bene che neppure lui può esimersi dal riprendere su di sé i propri doveri, e che io non potrei mai essere la sua donna, ma non credi che un po’ di felicità sia meglio di niente?”

“Sì, credo di sì. Prestate attenzione, però. Sai bene cosa potrebbe accadere” le rammentò, scostandosi da Eikhe per guardarla negli occhi e poggiarle una mano sul ventre piatto.

Annuendo, Eikhe seguì con lo sguardo il gesto dell’amica, ma la sua risposta fu salda, senza paura di alcun genere.

“Lo so, ma correrò il rischio. Comunque.”

Seletta le sorrise comprensiva e, quando vide rientrare Aken con i suoi figli appollaiati sulle spalle, rise allegra ed esclamò: “Ma cosa state facendo, discoli che non siete altro?!”

Ridendo, i due bambini saltarono giù dalle spalle di Aken e dissero insieme: “Il principe ci ha fatto fare un giro sulle spalle!”

Sorridendo grata ad Aken, Seletta disse: “Spero non vi abbiano fiaccato la schiena.”

Con un gran sorriso, Aken scosse il capo e replicò: “Devono crescere ancora un bel po’, prima di diventare pesanti. Ora, sarà meglio che vada a recuperare i secchi al torrente, altrimenti il bagno ce lo sogneremo e basta.”

Eikhe rise felice e disse: “Vengo ad aiutarti.”

Aken annuì e insieme uscirono dalla capanna mentre Seletta, con un piccolo sospiro, mormorò tra sé: “Spero vada tutto bene, ragazzi”

***

Sdraiato su un comodo pagliericcio vicino al fuoco, Aken scrutò pensieroso le fiamme sfrigolare nel camino di pietra.

Con la mente, tornò alla cena di quella sera, condivisa con Seletta e i suoi figli, e alle allegre risate dei bambini.

Con un tremulo sorriso, pensò a cosa avrebbe voluto dire avere dei bambini da Eikhe, graziosi frugoli dai capelli dorati e gli occhi d’ambra che scorrazzavano per casa, combinando disastri e urlando come matti.

Volgendosi su un fianco per osservare il viso addormentato dell’amata, se la figurò come madre e tornò a sorridere.

Poteva anche essergli sembrata una ragazzina, quella notte alla locanda, ma ormai sapeva che non la era affatto.

Era una donna in tutto e per tutto, e lui l’amava.

Sapeva bene che i suoi desideri non si sarebbero mai tramutati in realtà, perché le loro vite erano troppo diverse.

Erano troppo agli antipodi per essere compatibili, ma non riusciva a non pensare a lei, e a cosa volesse dire averla al fianco ogni giorno.

Lo spaventava pensare a quando sarebbero giunti alla capitale, e avrebbero dovuto separarsi per prepararsi alla guerra.

Non lo stimolava per nulla l’idea di saperla in mezzo all’esercito di donne che, come speravano, si sarebbe mosso contro Vartas insieme a loro.

Sapeva però bene che lei non avrebbe rinunciato a combattere, perché il suo sangue l’avrebbe spinta in difesa della sua gente, come le aveva visto fare fino a quel momento, per lui.

Attirandola vicino, Aken la strinse a sé baciandole i capelli profumati e, chiusi gli occhi, pregò che nulla le succedesse e che il suo dio-lupo la proteggesse da ogni male.

Pur sapendo della sua reale esistenza, quell’accorata preghiera non bastò a confortarlo e, per tutta la notte, continuò a rigirarsi insonne, turbato da immagini di lotta e sangue.

La mattina giunse anche troppo alla svelta e, con il volto percorso dalla stanchezza e da profonde occhiaie che ne segnavano il viso, si levò dal pagliericcio per andarsi a lavare al vicino torrente.

Con l’aiuto di Seletta, Eikhe invece le sacche per il proseguo del viaggio, che li avrebbe condotti fino alle tribù dei Koirant, poco più a valle.

Liberatosi infine della stanchezza, grazie alle acque fredde provenienti dai nevai a monte, Aken tornò alla capanna giusto in tempo per vedere Eikhe nuovamente armata di daga.

Osservando dubbioso Seletta, la sentì dire: “Una donna-lupo che si rispetti ha sempre la sua daga al fianco. Ne avevo una in più, e così…”

“Almeno, non dovrò vederla lottare con il solo pugnale alla mano” annuì grato Aken, sorridendo a Eikhe.

“Oltre alla carne secca e a qualche frutto essiccato, ho aggiunto del grasso di bufalo da spalmare sulle gallette. E’ molto calorico, quindi vi darà energia qualora doveste rimanere senza carne per un po’.”

Volgendo lo sguardo verso est, indicò loro la via da percorrere e aggiunse: “Proseguendo verso est, troverete una tribù piuttosto grande, quindi non vi dovrebbe essere difficile fare un buono scambio per una canoa. Fate attenzione alle rapide, però. Ci sono un paio di punti piuttosto pericolosi.”

“Presteremo attenzione” sorrise Eikhe, avvicinandosi a Seletta per abbracciarla. “Grazie ancora di tutto.”

Dopo un momento, Seletta ricambiò la stretta dell’amica, mormorando con voce rotta dall’ansia: “Di nulla, amica mia, sarete sempre i benvenuti, da me. Siate prudenti e, per amore di Hevos, non commettete sciocchezze inutili!”

Detto ciò, si sciolse dall’abbraccio di Eikhe per stringere a sé anche il principe, dicendogli: “Se gli dèi ce lo concederanno, ci rivedremo, Altezza.”

“Solo Anken, Seletta. Solo Aken. Pregherò ogni giorno perché avvenga il nostro incontro, e grazie ancora per l’ospitalità” replico lui, dandole un bacio sulla guancia prima di chinarsi a fare lo stesso con i bambini, che si strinsero con forza a lui, tentando con tutte le loro forze di non piangere.

Seletta li osservò al pari di Eikhe con una stretta al cuore, prima di dire: “Fate buon viaggio.”

I due annuirono, salutandoli con ampi cenni della mano prima di rimettersi in cammino.

Dopo aver abbandonato la casa di Seletta, procedettero di buona lena attraverso la foresta, senza sentire il bisogno di parlare.

Ciascuno di loro aveva la mente attraversata da pensieri discordanti, pensieri che non desideravano mettere a parole per non darsi vicendevolmente false speranze.

Nessuno dei due aveva bisogno di sentirsi dire che niente valeva come una vita spesa insieme.

I rispettivi doveri da assolvere, però, gli impedivano di fuggire per restare soli per sempre.

Dovevano raggiungere Rajana vivi, e dichiarare ciò che sapevano.

Non potevano semplicemente sparire tra i boschi, fingendo di essere morti per il mondo, ma non per loro.

Il dovere li stava portando avanti con forza instancabile, e nulla potevano per fermare il corso degli eventi.

Neppure il loro amore poteva bloccare i loro passi nel sottobosco, né tanto meno la consapevolezza che, una volta giunti a destinazione, non si sarebbero più potuti rivedere.

Accompagnati da un sole diafano, adombrato da chiare nubi di vento, i due viandanti percorsero diverse miglia prima di decidere di fermarsi nei pressi di una radura.

Lì, aperte le sporte per pranzare, si sedettero su un paio di massi, mangiando nel più completo silenzio.

Rari uccelletti cantavano allegramente tra le fronde spoglie di alcuni faggi secolari ed Eikhe, ascoltandoli con aria persa, sospirò e terminò di mangiare.

Silenziosa, si inoltrò da sola nel bosco sotto gli occhi attenti di Aken, che preferì non chiedere nulla, immaginando il motivo del suo riserbo.

Terminato il suo pranzo, Aken rimise in ordine le sacche prima di sdraiarsi al sole per riposare un poco.

Chiusi gli occhi, si ritrovò a dormicchiare placidamente, ignaro del ritorno della ragazza che, con gli occhi colmi di lacrime, lo osservò con il cuore straziato dalla sofferenza.

Ricacciato indietro a fatica il pianto, Eikhe mormorò infine a mezza voce: “Dobbiamo riprendere il cammino, Aken. Mi spiace.”

Riaprendo gli occhi, Aken si rialzò con un movimento fluido di gambe e annuì in silenzio, caricando in spalla la sua sacca prima di porgere alla ragazza la restante.

Con un sorriso obliquo, si limitò a dire: “Fatti coraggio, piccola, andrà tutto per il meglio.”

“Non ti posso più nascondere nulla, eh?” celiò lei, sbuffando.

“Temo di no” ammise lui, dandole una pacca sul sedere, facendola così ridere.

***

Impiegarono due giorni per raggiungere la prima tribù di Koirant di quella zona.

Erano una popolazione locale, dedita alla pastorizia e basata su una rigida cultura a caste, in cui la figura della donna era fortemente succube dell’uomo.

Aken osservò dubbiosò le casupole di fango, sassi e paglia, che si intervallavano a mucchi di legna e bassi recinti, costruiti con semplici rami d’albero intrecciati tra loro.

“Ma siamo sicuri che potranno esserci d’aiuto?” non poté esimersi dal chiedere il principe, chinandosi sull’orecchio della compagna.

Il degrado di quel luogo, era più che evidente.

I bambini giocavano insieme agli animali, abbandonati nella più completa sporcizia, in barba al fango che insozzava gli uni quanto gli altri.

“Non pensavo fossero messi così male” sussurrò di rimando lei, continuando a camminare al suo fianco, mentre i primi koiranii uscivano dalle loro casupole per scrutarli con aria preoccupata e sprezzante al tempo stesso.

Avanzando guardinghi lungo quella che doveva essere la via principale della tribù, Eikhe si tappò il naso disgustata, quando si accostarono a un recinto di maiali.

Questi, gozzovigliavano felici e luridi in mezzo alla melma, in cui erano mescolati come se nulla fossero anche i loro escrementi.

Quello che però le fece rischiare sul serio di stare male, fu vedere alcune donne in catene, gettate in mezzo a quello stesso lerciume e legate agli steccati come bestie.

La loro pelle appariva grigiastra, allo sguardo e, in più di un punto, violacee ecchimosi e tagli freschi denotavano le violenze subite.

Quella visione fu troppo, per Eikhe.

Già sul punto di portare la mano alla daga, sentì Aken dire a denti stretti: “Non cerchiamo guai, Eikhe, ricordalo.”

“Scusa, hai ragione, ma è degradante vedere certe cose” sbuffò lei, ricomponendosi solo a stento prima di distogliere lo sguardo.

Sapeva che non erano lì per quello e che, una volta liberate le donne, quelle sarebbero tornate alla tribù o, peggio, si sarebbero uccise per la vergogna di essere state tolte al loro padrone.

Ma quello spettacolo era così osceno!

“Resta dietro di me e non parlare. Non credo gradirebbero un tuo intervento” si premurò di dirle Aken, notando alcuni uomini avvicinarsi con in mano rozzi forconi di legno, e l’aria di avere dimenticato le buone maniere a casa.

“Va bene” annuì lei, guardandosi intorno con sguardo accigliato, la mano pronta sull’elsa della daga.

Fattole segno di aspettarlo a qualche passo di distanza, Aken si rivolse agli uomini del villaggio, parlando un dialetto in lingua franca in uso tra le montagne.

Quello che doveva essere il capo, si avvicinò di un passo per rispondere al saluto, lanciando poi un’occhiata curiosa a Eikhe, ritta e fiera e per nulla intenzionata a chinare il capo in presenza di così tanti uomini.

Aken, che la scrutò preoccupato per un momento - timoroso che perdesse le staffe da un istante all’altro - disse lentamente: “Siamo qui di passaggio, e avremmo bisogno di una canoa per discendere il fiume.”

L’uomo studiò Aken con occhi cupi, lanciando di tanto in tanto occhiate turbate alla lunga spada che gli pendeva al fianco dopodiché, con voce cauta, domandò: “Cosa puoi darci, per la canoa?”

“Ho ben poco con me, oltre agli abiti che indosso, e alla spada che porto” ammise Aken, allargando le braccia con aria sconsolata.

“La ragazza è tua?” chiese l’uomo con il suo parlare stentato, indicando Eikhe con il forcone.

“Più o meno” disse cauto Aken.

“L’hai rubata?” volle sapere l’uomo, accigliandosi subito.

“Affatto. La ragazza è di una tribù di donne-lupo” gli spiegò Aken, vedendo l’uomo farsi guardingo.

“Non sarà… una di quelle?” borbottò l’uomo, assottigliando le iridi di pece.

“In che senso?” volle sapere Aken, già presagendo guai.

“Quelle dagli occhi gialli” dichiarò lui, sputando in terra per diretta conseguenza.

“Perché? Se anche fosse?” chiese a quel punto il principe, pregando che non succedesse il finimondo.

“Sono le più cattive, non lo sai? Hanno il sangue malvagio” sbottò l’uomo, tornando a guardare Eikhe che, con un sorriso ironico, lo guardò di rimando.

“Questa in particolare non è cattiva. Mi ha salvato la vita in più di un’occasione” replicò sobriamente Aken.

Massaggiandosi il mento barbuto e sporco di pezzetti di cibo, l’uomo pensò per un poco a quelle parole, prima di dire: “Se è così forte, allora vendimela, e io ti darò la canoa.”

“Che cosa?!” ansò Aken, spalancando gli occhi.

“La legherò con le catene, e la userò per la difesa del villaggio” annuì l’uomo, sorridendo soddisfatto.

Adombrandosi, il principe replicò il più pacatamente possibile: “Non se ne parla neanche. Cercati qualcos’altro, altrimenti niente.”

Oscurandosi in viso, l’uomo disse: “Non hai nient’altro che mi interessi. O lei, o niente canoa.”

“Niente canoa, allora” sbuffò Aken. “Non ti lascerò la ragazza perché tu la riduca in schiavitù.”

“Beh, allora vattene da qui, se non vuoi fare affari con me. Non ci piacciono gli stranieri, soprattutto gli stranieri come te” gli sputò contro l’uomo, scacciandolo con il forcone.

“Non mi faccio pregare” ringhiò Aken, girandosi e allontanandosi a grandi passi, prendendo Eikhe per un polso per portarla via.

Confusa, la ragazza lo seguì in silenzio, mentre uscivano dal villaggio senza aver combinato uno scambio per la canoa.

Guardando l’agglomerato allontanarsi mentre percorrevano la sponda del Fenar verso valle, la ragazza si chiese dubbiosa cosa mai fosse successo da far infuriare Aken a quel modo.

Osservando il viso torvo del principe che, burbero, stava ancora camminando a passo di carica, Eikhe gli chiese: “Allora, mi vuoi dire cosa ti hanno detto, e perché ce ne siamo andati così?”

Lui si fermò per guardarla in viso e, con un pesante sospiro, le avvolse le spalle con un braccio prima di ammettere mestamente: “Mi hanno chiesto di lasciarti là in cambio della canoa, e io non ho accettato.”

Lei fece tanto d’occhi e, sorridendo dolcemente, disse. “Sei stato molto carino a difendermi, ma sarei potuta fuggire nella notte, e avremmo avuto la canoa.”

“Non ti baratto per una canoa!” sibilò lui, furioso. “Né per tutto l’oro di questo mondo, è chiaro?!”

Stringendosi a lui per un momento, Eikhe disse per contro: “Sei gentile, a dirlo, ma così dovremo attendere di raggiungere il prossimo villaggio.”

“Non mi importa. Tu non sei una merce di scambio” brontolò lui, arrossendo suo malgrado. “Sei una persona, per tutti gli dei, non capisci?!”

La ragazza-lupo e disse con un gran sorrisone: “Capisco benissimo e, soprattutto, capisco che in te qualcosa è cambiato. Non si tratta solo del fatto che provi affetto per me, vero? Hai cambiato idea sulle donne in generale, giusto?”

Annuendo suo malgrado, Aken borbottò contrito: “La mia ottusità è stata ben plasmata dalle tue mani, non c’è dubbio.”

“Ne sono felice…” sorrise lei. “… ma, la prossima volta, non farti scrupoli di coscienza.”

“Non se ne parla. Non ti avrei lasciata in quella tribù neanche se mi stessi antipatica. Sono solo dei selvaggi senza ritegno! Trattano le donne al pari di oggetti senza valore. No, niente da fare” scosse il capo lui, con un tono che non ammetteva repliche.

Saltandogli con le braccia al collo, lei lo baciò allegra esclamando: “Oh, Aken, ti amo tanto!”

Ridacchiando nonostante fosse ancora piuttosto turbato dallo scambio di battute con il capo tribù, lui la strinse a sé e replicò: “Anch’io, piccolo lupo.”

Eikhe gli sorrise felice ma, con tono serio, aggiunse: “Al prossimo villaggio, mostragli il mio mantello di pelle d’orso. Forse, gli basterà. Alla peggio, potremo aggiungere anche la borsa ricamata che avevo preparato per la moglie di mio padre.”

“Con tutto il tempo che ci hai speso sopra, sarebbe un vero peccato privarsene” sospirò Aken, guardandola spiacente nei suoi occhi dorati. “Ma hai ragione. Sono le uniche cose che possiamo dare in cambio della canoa.”

Annuendo, Eikhe scrollò le spalle, rassegnata.

“La borsa la posso rifare, e posso sempre trovare un altro orso a cui chiedere la pelle, no?”

Aken rise suo malgrado.

“Non credo sarà molto d’accordo, l’orso in questione.”

“Poco male” celiò lei, prima di dire, più seriamente: “Non possiamo permetterci altri scrupoli di sorta. Ormai sono settimane che manchi, e avresti già dovuto dare tue notizie. Dobbiamo raggiungere Rajana prima che tuo padre faccia partire una seconda spedizione, e finisca in una trappola di quelli di Vartas.”

Il principe non poté che darle ragione.

“Sì, il tuo discorso non fa una piega. Se, come penso, il borgomastro di Marhna ha avvisato Nargan del nostro arrivo, nulla mi vieta di pensare che una seconda spedizione potrebbe essere decimata molto prima del Sentiero dell’Orso.”

“Lo eviteremo” promise Eikhe, stringendogli la mano.

Aken le sorrise e, dandole un bacio sulla fronte, annuì e disse: “Con il tuo aiuto, ne sono più che certo.”

***

La notte venne ed Eikhe, trovando riparo assieme ad Aken nel tronco cavo di un’enorme quercia, dormì poco e male.

Il sibilo del vento tra i rami spogli del querceto, che aveva offerto loro protezione, la tenne sveglia per gran parte della notte, impedendole di riposarsi.

Aken, non poco divertito dal suo aspetto, la canzonò per un po’ finché lei, esasperata, non gli mostrò i denti e fece l’atto di morderlo.

A quel punto lui, caricandosela su una spalla, la portò per un bel pezzo di strada celiando: “Se volevi montare su, bastava dirlo, no?”

“Piantala di fare lo stupido e fammi scendere!” brontolò lei, dandogli dei pugni sul torace.

“Perché, invece, non ti metti comoda sulla mia schiena e non dormi un po’? Non hai minimamente riposato, stanotte, e hai bisogno di essere fresca come una rosa” le fece notare lui, di nuovo serio.

“Sono pesante, Aken” protestò lei, mettendo il broncio.

“Sì, come un uccellino. Avanti, sistemati e dormi” le ordinò con un sorriso.

Lei brontolò ancora ma accettò e Aken, con un sorriso, la sentì assopirsi poco dopo mentre, con passo lento, lui proseguiva lungo la sponda ovest del Fenar.

Accompagnato da un bel sole raggiante e dal cinguettio di alcune allodole di bosco, Aken percorse diversa strada con Eikhe sulle spalle.

Quando finalmente scorse un secondo agglomerato di Koirant poco più a valle, la svegliò, sussurrandole con gentilezza: “Secondo tentativo, Eikhe. Tira fuori la borsetta e togliti il mantello. Proviamo a fare come hai detto tu. E, stavolta, rimani fuori dal villaggio. Chissà che, non vedendoti, siano più invogliati a trattare.”

Annuendo, lei sbadigliò ancora assonnata prima di riferirgli: “Ti aspetterò più avanti, lungo il fiume, va bene?”

“D’accordo. A più tardi, allora” disse Aken, baciandola. “Stai attenta.”

“Anche tu, non si sa mai” annuì lei, allontanandosi di corsa con passo leggero e silenzioso.

Ammirandola per un momento con aria deliziata, i suoi movimenti così simili a quelli di Nys, Aken si riprese a sufficienza per dirigersi verso il villaggio con la sua mercanzia in mano.

Richiamata quindi l’attenzione del capo-tribù, gli offrì i suoi oggetti in cambio di una canoa.

Come si era aspettato, però, l’uomo fece delle rimostranze, adducendo come scusa lo scarso valore degli oggetti offerti, rispetto a quanto richiesto.

A quel punto, non potendo fare altrimenti, si slacciò la spada e la mostrò all’uomo, borbottando: “Prendere o lasciare. Non ho altro.”

Il capo-tribù sfilò l’arma dal fodero per saggiarla in mano e infine, dopo alcuni attimi interminabili, annuì e disse: “Avrai la tua canoa, straniero.”

Detto ciò, fece segno a un ragazzo male in arnese di accompagnarlo verso il fiume.

Con un piccolo cenno di ringraziamento, Aken si avviò fuori dal villaggio a passo lesto, non essendo ancora del tutto sicuro delle intenzioni di quegli uomini.

Disarmato e senza altre armi a parte i suoi pugni, avrebbe potuto rimanere vittima di un agguato quindi, quanta più strada avesse messo tra quella gente e se stesso, meglio sarebbe stato.

A circa cinque minuti dal villaggio, e dopo aver attraversato una piccola faggeta dai giovani virgulti, Aken riuscì finalmente a scorgere un pontile grossolano sulla sponda del fiume.

Lì, il ragazzo gli indicò una rozza canoa di pelle e legno, armata di un paio di pagaie.

Annuendo, il principe lo ringraziò con un sorriso forzato prima di salire a bordo e allontanarsi dalla riva per essere sicuro di non incappare in qualche guaio.

Dopo aver saggiato le pagaie tra le mani per un momento, si lasciò trasportare dalle acque del Fenar, pagaiando di tanto in tanto per tenersi a distanza dai massi sporgenti e i punti più impetuosi della corrente.

A circa un miglio dal villaggio, come promesso, Aken si accostò alla riva per raccogliere Eikhe che, con un sorriso, disse: “A quanto pare, sono stati esosi. Non hai più la spada.”

“Già, dei veri sciacalli. Per questa specie di bagnarola, hanno voluto un pagamento esorbitante. Solo la mia spada, vale una decina di canoe, non certo una!” brontolò Aken, tornando a pagaiare.

“Lo so, Aken, ma l’importante è essere riusciti nell’intento. Da qui in poi, il viaggio sarà sicuramente più semplice” lo rincuorò lei, aiutandolo a contenere la forza della corrente con al sua pagaia. “Risparmieremo giorni e giorni di marcia, proseguendo sul fiume. Entro breve saremo a casa.”

“Sarà anche vero che questa canoa vale qualsiasi prezzo pagato, visto quello che risparmieremo in termini di tempo, ma mi sento nudo senza la spada” sbuffò lui, con un piccolo sospiro.

“Ti presterò la mia daga, se questo servirà a farti stare meglio” gli propose Eikhe con un sorrisino.

“Non prendermi in giro, cucciolotta. E’ davvero snervante essere senza armi quando, per una vita, le hai sempre avute al fianco” replicò lui, contrariato.

“Lo so, infatti, non scherzavo” assentì Eikhe, più che mai seria.

“Vedremo, va bene?” borbottò dopo un momento Aken.

“Come vuoi” annuì Eikhe, scrollando le spalle.

Aken le sorrise e le baciò il capo dicendo: “Seletta l’ha regalata a te, non te la toglierei mai.”

“Per te, sono disposta a fare un’eccezione” replicò lei, con un sorrisino.

“Grazie, piccola.”

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Capitolo 11
*** cap.11 ***



11.

 

 

 

 

 

Lasciata la canoa sul bordo del fiume quando raggiunsero le Cascate del Cielo – già nel Reame di Enerios – Eikhe ed Aken ne discesero per prendere la via per il villaggio più vicino.

In lontananza, le colline ormai brulle e spruzzate di neve leggera si intervallavano a lunghi filari di viti e frutteti a riposo.

Campi a maggese riposavano in attesa di essere coltivati l’estate successiva, ignari che, ai primi albori della primavera, sarebbero stati sacrificati per la guerra.

Sarebbero stati schiacciati sotto il passaggio di zoccoli di cavalli e stivali di soldati che, per la difesa del regno, avrebbero fatto scempio di quei terreni agricoli.

Camminando speditamente lungo una mulattiera, circondata da prati rinsecchiti dal freddo invernale, Eikhe sospirò leggermente.

“Tra qualche mese, queste terre brulicheranno di morte e devastazione.”

“L’alternativa sarebbe la distruzione del regno” replicò Aken, pur comprendendo il suo dispiacere. “Mio padre ripagherà per le coltivazioni distrutte.”

“Non a questo stavo pensando, ma al sangue che lorderà la terra” sussurrò Eikhe. “Il dio-corvo sarà lieto del tributo a lui versato. Haaron il Nero griderà sulle alture, mentre Hevos piangerà la morte delle sue creature.”

“Esiste un motivo per cui Hevos ti si è mostrato sotto le sembianze di un lupo?” le domandò, ancora intimidito da quell’evento più che inaspettato, e desideroso di far cambiare argomento a Eikhe.

Non voleva vederla così turbata.

Inoltre, tentare di dare un senso alla visione che aveva avuto, era decisamente importante, per lui.

Poter dire di essere stato alla presenza un dio, non era da tutti.

“E’ la sua vera forma, quella primigenia. Per lo meno, è quel che sappiamo noi. Non conosciamo i motivi che lo spinsero a camminare tra gli uomini, prendendone le sembianze, né sappiamo cosa lo obbligò a riprendere sembianze animali, ma tant’è. Il fatto stesso che, però, si sia scomodato a tornare e camminare tra noi è indice del fatto che qualcosa, effettivamente, sta avvenendo. Lui ha detto che c’è in atto un cambiamento. Forse, non solo io e Seletta abbiamo compiuto la scelta da lui desiderata anni e anni orsono.”

“Non si era mai manifestato, prima?” esalò sorpreso Aken.

“No, ma forse, ove lui risiede, il tempo scorre diversamente, e non si è neppure reso conto di quanti anni siano passati dalla morte di Hyo” scrollò le spalle Eikhe, prendendolo per mano con un sorriso timido. “Posso?”

“Certo” le sorrise di rimando lui. “E’ plausibile, o si sarebbe reso conto molto tempo fa degli errori commessi dalle sue discendenti.”

“Già” sospirò Eikhe, reclinando il viso verso terra.

Se fosse intervenuto prima, lei forse non avrebbe dovuto dire addio ad Aken, e Seletta non avrebbe perso il compagno.

Comprendendo i motivi del suo silenzio, Aken preferì non chiederle più nulla.

Turbato, osservò in lontananza la spianata dove si trovava il villaggio di Elcantar, che avrebbero raggiunto entro un paio di giorni al massimo.

Con tutta probabilità, avrebbe fornito loro i mezzi per raggiungere Rajana, interrompendo di fatto la loro solitudine beata.

***

Uno spicchio di luna si intravedeva oltre le colline, illuminate dai raggi del sole morente, quando misero finalmente piede a Elcantar.

Trattandosi dell’ultimo villaggio prima del confine con Anarsis, il paesino poteva contare su una vasta gamma di magazzini merci, spesso usati dai mercanti per gli scambi commerciali con l’estero.

Non fu un caso se, nell’entrarvi con passo spedito, scorsero un gran numero di carri impegnati nel carico e scarico delle merci.

Le costruzioni abitative erano in netta minoranza, rispetto alla zona prettamente commerciale, ma a loro stava bene così.

Non di un’abitazione avevano bisogno, ma di un mercante di cavalli.

Sollevato e accigliato al tempo stesso all’idea di poter finalmente contare su un aiuto esterno, Aken si rivolse a Eikhe, dicendole: “Qui potremo trovare una cavalcatura.”

“Quanto distiamo da Rajana?” gli chiese, guardandosi intorno curiosa, mentre un facchino le passava accanto armato di un carretto a due ruote.

“Se i miei calcoli sono esatti, il villaggio dovrebbe distare più o meno quattro, cinque giorni di viaggio dalla capitale” le spiegò lui, stringendole la mano che, per tutto il giorno, aveva tenuto saldamente nella sua.

“Allora, siamo quasi arrivati” sospirò lei, con un sottofondo malinconico nella voce.

“Purtroppo sì” ammise il principe, fermandosi per guardarla in viso.

Lei sospirò afflitta e disse: “Senti Aken, ne abbiamo già parlato, no? Io non posso rimanere, e tu non puoi andartene. La cosa finisce qui.”

“E il mio cuore? E il tuo?” replicò Aken, prendendola per le spalle.

“Pensi veramente che alla Corona interessi?” sbottò lei, seria in viso. “O che a mia madre interessi?”

Sospirando, lui rilasciò le braccia lungo i fianchi, assentendo suo malgrado.

“No, non interesserebbe a nessuno.”

“Appunto. Lasciamo le cose come stanno, Aken. E’ meglio” decretò lei, pur sentendosi morire dentro.

Era penoso il pensiero di separarsi, ora che la sua presenza le era diventata vitale come il respirare.

Ma aveva saputo fin dall’inizio che, donarsi a lui, avrebbe significato la separazione, quindi non poteva lamentarsi o concedersi falsi vittimismi.

Donando se stessa ad Aken, aveva scelto la via più difficile da percorrere, e doveva accettarne le conseguenze.

Avrebbe potuto tacere sul suo crescente interesse verso di lui, ma aveva deciso di dare ascolto al cuore, per una volta, e non sarebbe tornata indietro rimpiangendo le sue scelte.

Non poteva farlo, né per se stessa, né per rispetto nei confronti dei sentimenti di Aken.

Riprendendo il cammino, Eikhe disse: “Non appena saremo a Rajana, io tornerò alla mia tribù e chiederò a mia madre di indire un Concilio delle Anziane, così da darvi man forte sul confine.”

“Capisco” sospirò lui, prima di bloccarla un momento, baciarla con gentilezza e dirle: “Quando saremo in città, non potrò più farlo.”

“No” sorrise triste lei. “Ne va della tua reputazione.”

“Sapessi quanto mi interessa” sbottò lui, lasciandola andare.

***

Ben conoscendo il commerciante di cavalli di quel piccolo villaggio di frontiera, Aken si diresse a colpo sicuro verso la bassa costruzione di mattoni che si trovava al confine più estremo del paese.

Non appena scorse le recinzioni di legno ove il vecchio amico Ekeros teneva i suoi animali, sorrise a Eikhe e disse: “Qui potranno aiutarci.”

Lei annuì mesta e si allontanò di un passo da lui – preferendo non attirare troppa attenzione  – , prima di soffermarsi a guardare la tunica sdrucita e i calzari sporchi di terriccio seccato e fango.

Allo stesso modo, Aken scrutò se stesso sapendo bene che, nel complesso, dovevano apparire piuttosto malandati.

Non poteva però sopperire a quel particolare di cui, alla fin fine, non gli importava minimamente.

Una volta a Rajana, avrebbero potuto sistemare anche questo ma, per il momento, il fatto di apparire più o meno in ordine lo turbava davvero poco.

Quando infine raggiunsero la casa del commerciante, Aken sorrise nel vederlo sulla porta di casa, intento a parlare con un vicino.

Sollevando una mano, esclamò a gran voce: “Ekeros, buongiorno!”

L’uomo, sentendosi chiamare da quella voce familiare, si volse sorpreso e, con un profondo inchino, esalò strabiliato: “Vostra Altezza, ma… cosa vi è successo?”

Guardando dubbioso la ragazza al suo fianco e l’aspetto trasandato di entrambi, il mercante si chiese confuso quali peripezie avessero superato, per giungere al villaggio così conciati.

“Parecchi guai, da quel che puoi tu stesso notare” dichiarò lui, conciso. “Hai un cavallo da prestarmi, per raggiungere Rajana?”

Arrossendo suo malgrado, Ekeros si passò una mano tra i radi capelli e borbottò contrito: “Mi spiace, Altezza, ma i cavalli che avevo sono andati alle guardie forestali, giusto un paio di giorni fa. L’unico animale che mi rimane è uno stallone da monta, ma non è abituato né al morso, né alla sella.”

“Niente di meglio” dichiarò lesta Eikhe, prendendo l’iniziativa. “Potete mostrarmelo?”

Ekeros parve sorpreso dalla sua richiesta ma Aken, prendendo le redini della situazione, disse: “Fai come dice.”

Annuendo, l’uomo li accompagnò all’interno del recinto, seguiti dappresso dal curioso vicino di casa.

Nel vedere il possente stallone all’altro capo dell’entrata, Aken mormorò piano alla ragazza: “Sei certa di quel che fai? E’ un bel bestione.”

“Fidati” celiò lei, entrando nel recinto e prendendo in mano una cavezza di corda.

Ekeros si preoccupò non poco nel vederla procedere in direzione dello stallone fremente e, rivolgendosi al proprio principe, esalò ansioso: “Siete certo che la vostra amica possa…”

Sorridendo, Aken replicò: “Se sapessi la metà delle cose che è capace di fare, non ti stupiresti affatto delle sue mosse!”

Eikhe si approssimò silenziosa al possente stallone che, annusando la presenza di un estraneo, pestò furiosamente uno zoccolo a terra, sbuffando tra i denti.

La ragazza, per nulla impensierita, sollevò lentamente una mano come per calmarlo e cominciò a parlargli con voce suadente, producendo dei suoni soffusi e dolci tali da tranquillizzarlo.

Il cavallo indietreggiò di un passo, ma Eikhe proseguì nella sua nenia fino ad accarezzargli il muso vellutato e il collo possente, muovendo la mano con delicatezza, senza fretta.

Le carezze si prolungarono, diventando un tutt’uno con la strana melodia canticchiata da Eikhe.

Lentamente ma inesorabilmente, lo stallone piegò remissivo il muso, poggiandosi contro di lei e nitrendo soddisfatto.

Sorridendo soddisfatta, la ragazza-lupo allora lo abbracciò, mormorando piano al suo orecchio: “Grazie, mio bel cavallo.”

Sorpreso e sgomento al tempo stesso, Ekeros guardò il suo principe e domandò timoroso: “Ma chi è quella ragazza?”

Orgoglioso, lui si limitò a dire: “Una figlia sacra.”

I due uomini parvero intimoriti da quella notizia.

Quando poi la videro tornare indietro la ragazza insieme al cavallo, che la seguiva fiducioso, la fissarono con un timore così evidente che Aken dovette faticare non poco per non scoppiare a ridere loro in faccia.

Trattenendosi dal fare qualsiasi commento, si limitò a chiedere: “Avete una coperta da mettere sulla schiena del cavallo?”

“Volete montarlo a pelo?” esalò Ekeros, sempre più sorpreso.

“Sì” annuì Eikhe, portandolo fuori dal recinto. “Principe, lascia che ti annusi, così potrà riconoscerti” aggiunse poi, rivolgendosi ad Aken.

Aken annuì, avvicinandosi all’enorme bestia dal manto nero e, lasciato che lo annusasse, le domandò: “Ti ha anche detto come si chiama?”

Sorridendo, lei si limitò a dire: “I cavalli non hanno nomi, ma lui si vede molto elegante e distinto, quindi penso che lo si potrebbe chiamare Leance.”

Annuendo, il principe disse a un esterrefatto Ekeros: “Te lo riporteremo a tempo debito.”

“Non… non è un problema, Altezza” riuscì a dire l’uomo, fissando ancora Eikhe mentre montava a cavallo con un gesto fluido, aiutata da Aken che le fece scaletta con le mani intrecciate.

Messosi alle sue spalle, Aken le disse: “Guidalo pure, Eikhe.”

“Nessun problema” assentì lei, dando una pacca leggera sul collo del cavallo.

Subito l’animale partì al trotto e, non appena ebbero lasciato il villaggio, seguiti dagli sguardi attoniti di tutti, Eikhe lo lanciò al galoppo.

Tenendosi aggrappata alla criniera del cavallo, mentre Aken la stringeva alla vita per non cadere, sorrise beata, gustandosi la frescura sulla pelle e il profumo di freddo della neve.

Sorridendo, Aken chiosò: “Lo hai scioccato a morte, quel pover’uomo.”

“Peggio per lui. Leance è un cavallo docilissimo. Basta tenergli lontano il ferro del morso. Allora, diventa nevrastenico” sorrise a sua volta lei, scoppiando a ridere.

“Te l’ha detto lui?”

Assentendo, Eikhe lanciò uno sguardo veloce al cielo, prima di rispondere.

“Il vocabolario dei cavalli è molto limitato, Aken, e di certo non sarei riuscita a intavolare una simile discussione con Leance, credimi. Ma si può capire molto, di un cavallo, da come si muove.”

Indicandogli i segni intorno alla bocca del cavallo, aggiunse: “Ho notato subito quelle piaghe, perciò ho dedotto che gli stallieri gli avessero fatto molto male. I suoi occhi roteavano furiosi tutte le volte che muovevo la mano vicino alle sue labbra, poverino.

Aken assentì, non trovando nulla da ridire nel suo ragionamento. Non vi era magia alcuna nei suoi gesti, solo semplice logica e un pizzico di sensibilità.

“Capire come chiamarlo, invece, è stato più semplice. Me l’ha detto il suo portamento fiero. Ma è stato divertente far credere a quel commerciante che io potessi leggergli nella mente” ironizzò Eikhe, ammiccando comicamente.

“Che dispettosa!” ridacchiò Aken, dandole un bacio sul capo.

Lei si limitò a sorridere prima di scorgere le prime stelle in cielo.

“Per quanto tempo vuoi viaggiare?”

“Finché Leance se la sentirà” propose a quel punto Aken.

“Sentito, mio bel cavallo?” sorrise Eikhe.

Il cavallo nitrì orgoglioso e, forte della sua possanza, riuscì a percorrere la distanza che li separava da Rajana in soli tre giorni e mezzo.

Quando infine giunsero alle porte della città, Eikhe bloccò la cavalcatura e, sbalordita, fissò le miriadi di case che si paravano tra loro e le alte mura perimetrali.

Sconvolta, esalò: “Niente può essere così grande!”

Fiera e maestosa, la città di Rajana si estendeva per diverse centinaia di iarde attorno alle mura di cinta, che proteggevano il centro nevralgico della città e il suo imponente maniero.

Alti torrioni di guardia si levavano ai quattro angoli dei camminamenti, che percorrevano la lunga muraglia difensiva.

Possenti porte di ferro e legno, invece, – in quel momento aperte per consentire il passaggio di carri e uomini – proteggevano gli ingressi alla parte più antica di Rajana.

Proseguendo al passo attraverso l’agglomerato urbano, dove abitavano i contadini e i cittadini di ceto inferiore, Eikhe continuò a osservare ogni cosa con la bocca leggermente socchiusa.

Gli occhi erano sgranati, e dava l’idea di avere una gran paura di ciò che vedeva.

“Non sei mai stata in città?” chiese allora Aken, sorpreso dal suo timore.

Scuotendo il capo, Eikhe indirizzò la cavalcatura verso una delle torrette di guardia, dove si trovavano un paio di soldati preposti al controllo dei portali e, piano, disse: “L’unico paese che ho mai visto, è Marhna. Non pensavo esistessero costruzioni così imponenti.”

“Tranquillizzati, non succederà niente” la rassicurò, sorridendole comprensivo.

Poteva ben immaginare quanto, quella profusione di cose e persone, potesse confonderla.

Effettivamente, Rajana era davvero grande, se vista da un occhio straniero.

A conti fatti, dovevano ancora entrare all’interno delle mura, dove si trovavano i palazzi dei nobili e le case dei commercianti, ben più imponenti delle piccole abitazioni che in quel momento li circondavano.

Non appena furono abbastanza all’ingresso alla città, una delle guardie impose loro l’alt, prima di esclamare con voce stentorea: “Le vostre generalità, viandanti!”

Eikhe si fece muta e Aken, preferendo evitare guai, esordì dicendo: “Non mi riconosci più, Rokus? Capisco di avere un aspetto piuttosto trasandato, ma…”

La guardia lo fissò attonito per alcuni attimi, impallidendo visibilmente.

“Mio principe, ma… e la tua scorta? Cos’è successo? E la ragazza con te?”

Eikhe lanciò un’occhiata torva al soldato, che si stava soffermando un po’ troppo a osservarle le cosce tornite così Aken, ridendo, lo rabberciò bonariamente, asserendo: “Fossi in te, presterei attenzione a quel che guardi, Rokus, o potresti trovarti senza un orecchio. La mia giovane amica è molto lesta di mano, e le ragazze-lupo non amano essere oggetto di occhiate leziose da parte degli uomini.”

Il soldato osservò dubbioso l’elsa del coltello che usciva dallo stivale della ragazza e, tornando velocemente a scrutare il suo principe, tossicchiò per mascherare l’imbarazzo.

“Vi faccio precedere dalle trombe… arriverete più velocemente a palazzo” asserì soltanto il giovane soldato, preferendo soprassedere sul resto della conversazione.

“Molto bene, grazie” disse Aken, con un sogghigno.

In poco meno di un minuto, dalle torri di guardia si levò uno squillo di trombe lungo e prolungato, dal timbro alto quanto trillante.

Sotto gli occhi stupiti di Eikhe, la strada che avrebbero imboccato al loro ingresso si liberò come per magia.

Spiegandogliene il motivo, Aken ammise: “E’ un accorgimento che abbiamo inventato per poter attraversare Rajana in breve tempo altrimenti, in un giorno di mercato, si rischierebbe di impiegare più di un’ora, per oltrepassare la piazza principale.”

“Ottimo metodo” esalò lei, dando un colpetto ai fianchi di Leance perché procedesse al trotto leggero. Meglio non rischiare troppo.

Lanciarlo al galoppo avrebbe potuto essere pericoloso, nonostante i presenti si stessero tenendo rigorosamente sui due lati della via.

Quando fu abbastanza sicura di non incorrere in qualche incidente, Eikhe si arrischiò a ridacchiare, dichiarando: “Non gli avrei mica tagliato un orecchio, sai?”

“Forse, ma non mi piaceva come ti stava guardando e, alla fine, l’orecchio gliel’avrei tagliato io” precisò lui, adombrandosi leggermente.

Eikhe si limitò a sorridere compiaciuta, prima di lasciarsi andare a un’esclamazione non propriamente femminile quando, dinanzi ai suoi occhi, iniziarono a comparire le elaborate quando smodatamente costose dimore dei nobili.

Stucchi e alti colonnati si inframmezzavano a larghe vetrate colorate, e bei balconi dai parapetti in ferro battuto.

Eleganti carrozze, nel frattempo, percorrevano le vie laterali, o uscivano da portoni riccamente decorati da antichi blasoni gentilizi.

“Incredibile…”sussurrò strabiliata, mentre il cavallo procedeva spedito e diretto verso l’immenso castello ormai prossimo.

Attraversarono la piazza principale della città dove, in quel momento, banchi di mercanti e carri di bestiame la stavano invadendo con vivaci colori e varietà di suoni.

Eikhe osservò quello scenario per lei insolito con occhi per metà sorpresi e per metà turbati, chiedendosi come la gente di città potesse sopportare quel caos così infernale.

Quando infine raggiunsero le porte del palazzo, che conducevano al largo cortile di selciato, Eikhe tirò un sospiro di sollievo e rallentò l’andatura del cavallo.

Segretamente, ringraziò Hevos per averle fatto superare quello sbarramento di persone e cose, che l’avevano intimidita più di quanto avrebbe mai realmente confessato.

Aken, nel frattempo, scrutò tutt’intorno, familiarizzando nuovamente con quelle pareti a lui famigliari.

Sorrise nel veder giungere alcuni stallieri, già pronti a prendere in consegna Leance e, prevenendoli per evitare incidenti, si affrettò a scendere e dire: “Non avvicinatevi a lui, se non volete perdere una mano. Se ne starà buono dove lo lascerà la ragazza.”

Gli stallieri annuirono tra profusi inchini e ringraziamenti agli dèi per il suo ritorno.

Aken li ringraziò per il loro sentito benvenuto,  e lanciò che a occuparsi dell’enorme cavallo fosse Eikhe.

Di certo, non aveva bisogno di consigli su come trattare quel focoso stallone.

Attendendo che la ragazza terminasse di legare le briglie di Leance a un palo nei pressi della vicina stalla, Aken la prese per un braccio non appena lei gli fu vicina.

Insieme, si avviarono poi all’interno del palazzo sotto lo sguardo un po’ sconcertato dei domestici.

Passando attraverso lunghi corridoi riccamente decorati, e ampie anticamere ricoperte di elaborati arazzi dai mille e più colori, Eikhe rimase turbata nel notare l’opulenza di quel luogo e lo sfarzo che ivi regnava.

Con un tremulo sospiro, scrutò gli ori e i velluti che ricoprivano le pareti di quel palazzo apparentemente interminabile, simbolo primo di ciò che era Aken.

Lì, dinanzi a lei, stava il tragico epitaffio della loro storia d’amore.

Ogni dipinto, ogni affresco, ogni bardatura era una stilettata al cuore, per lei.

Lui apparteneva a quei luoghi, non a lei. Non alle montagne. Non ai ruscelli impervi. Non ai boschi ombreggiati.

Diversamente da Eikhe che, invece, viveva e respirava di montagne, di ruscelli e di boschi.

Lei era una donna-lupo, non una nobildonna di Corte, né tantomeno una cortigiana.

Anche se, sporca e stanca per quel viaggio massacrante, non si sentiva più neppure tale.

Se c’era una cosa che non voleva, era far fare brutta figura a sua madre e le sue sorelle, presentandosi a quel modo al re.

Non voleva dare una scusa ai detrattori dei clan delle donne-lupo, per parlare in malo modo di tutte loro.

Strattonando con decisione la mano di Aken, che ancora la tratteneva con gentilezza, la ragazza esalò: “Non posso!”

Volgendosi verso di lei e avvedendosi subito della sua titubanza a proseguire, lui le chiese: “Ma che ti prende?”

Guardandosi accigliata, Eikhe borbottò: “Non vorrai davvero che mi presenti a tuo padre conciata a questo modo?! Sembro appena stata gettata in un letamaio.”

Un po’ sorpreso, Aken guardò anche se stesso, piuttosto sbattuto dal viaggio e con la barba lunga e, con un sospiro esasperato, ammise: “Anch’io sembro preso, sbatacchiato e gettato via, Eikhe, ma capirà, quando gli diremo cos’è successo.”

Prima ancora di poter replicare, la ragazza-lupo si volse ansiosa, non appena udì i passi concitati di qualcuno lungo il corridoio che stavano a loro volta percorrendo.

Con sua somma sorpresa – e disappunto – Aken vide avvicinarsi la sorella Melantha in compagnia di Tyana, entrambe riccamente abbigliate e fresche come rose.

Di certo, in netto contrasto con le loro attuali condizioni.

Imprecando debolmente, Aken cercò di fare buon viso a cattivo gioco e, ironico, si esibì in un frivolo inchino, asserendo: “Buonasera, sorella… milady. E’ un piacere vedere due facce conosciute, dopo tanto viaggiare.”

Facendo tanto d’occhi nel vedere in che condizioni fosse ridotto il fratello, e squadrando malamente la ragazza vicino a lui, Melantha si portò una mano al naso, esalando: “Dunque, eri tu! Stavo giusto accorrendo al cortile per scoprire chi fosse giunto, di così importante, da meritare l’uso delle trombe. Ma cosa ti è successo? Sembri un barbaro! E quella… quella ragazza, chi è?”

Subodorando guai, Aken attirò dietro di sé Eikhe e, trattenendo a stento una risposta piccata, replicò serafico: “Sono scampato alla morte diverse volte, in queste settimane, e non ho badato molto a come potessi apparire, quando sono entrato a Rajana pochi minuti fa, cara sorella. Inoltre, la ragazza che hai osservato con tanta malagrazia, è colei che mi ha salvato, quindi, portale il rispetto dovuto.”

Spalancando gli occhi per la sorpresa e il livore, Melantha fece per rispondere per le rime al fratello, ma l’arrivo di Ruak e della madre le impedirono di procedere oltre.

Scostandosi per permettere loro di avvicinarsi, si portò contro la parete assieme a Tyana che, fino al quel momento, era rimasta in sconfortato silenzio, di fronte alle condizioni miserevoli di Aken.

Abbracciando senza troppi problemi il figliastro, Anladi esclamò al colmo della gioia: “Figliolo, meno male! Quando abbiamo sentito suonare le trombe, abbiamo sperato fossi tu!”

Nello scostarsi con un sorriso carico di sollievo, la regina scorse infine Eikhe dietro di lui, e aggiunse: “Oh, ma… è una ragazza-lupo, vero?”

“Sì, madre, e mi ha salvato la vita” tenne a precisare lui, prima di salutare il fratello con una stretta di mano.

Avvicinandosi a Eikhe, che la stava osservando guardinga e silenziosa, Anladi le sorrise e, cordialmente, allungò le mani verso di lei per stringere le sue.

“Posso immaginare che abbiate passato dei momenti molto spiacevoli, a giudicare dalle vostre attuali condizioni. Vieni con me, bambina, e lascia che mi prenda cura di te. Avrete tempo per parlare con il sovrano più tardi, quando vi sarete ripresi dal viaggio.”

Eikhe cercò con lo sguardo Aken, che però le sorrise rassicurante.

Non potendo fare altro – e non volendo mancare di rispetto proprio alla regina, la ragazza si risolse a seguirla, ben decisa a non mettere in imbarazzo nessuno.

Né se stessa, né le sue sorelle, né tanto meno Aken.

Fermo assieme al fratello maggiore nel bel mezzo del corridoio, Ruak scrutò le due donne allontanarsi assieme e, solo quando ebbero svoltato l’angolo, si arrischiò a domandare: “Davvero ti ha salvato?”

“Almeno una dozzina di volte…” annuì Aken, allontanandosi dalla sorella e la sua amica senza neppure salutarle. “… e ha perso il suo lupo, durante uno scontro.”

“Non pensavo avrei mai visto una donna-lupo in vita mia” esalò Ruak, sorridendo divertito. “Sembra molto carina, a parte la sporcizia che, tra l’altro, ricopre anche te.”

Ridacchiando suo malgrado, il fratello maggiore ammise divertito: “Saresti sporco anche tu, se avessi viaggiato a tappe serrate come abbiamo fatto noi, attraverso ghiacciai, boschi e sassaie.”

“Spero mi vorrai raccontare qualcosa, fratello” asserì speranzoso Ruak, con occhi brillanti di eccitazione.

“Vieni con me, mentre riprendo sembianze umane” rise allora Aken, avviandosi verso i suoi appartamenti con passo spedito.

***

L’appartamento in cui la regina aveva condotto Eikhe, era interamente ricoperto di pelli e tappeti, per contrastare il freddo pavimento di pietra.

Alle pareti, abbellite da stupendi arazzi a fantasie fiorate, pendevano una decina di torce, appese a pesanti anelli di metallo.

Un enorme letto occupava quasi completamente la parete opposta al largo camino, già debitamente acceso e sfrigolante.

Intimidita suo malgrado dall’eleganza di quel luogo, Eikhe si guardò intorno sperduta, chiedendosi chi vivesse in quell’enorme stanza.

Indulgente, Anladi lasciò che la ragazza curiosasse tutt’intorno a sé, comprendendo in parte la sua confusione.

Doveva essere uno shock, per lei, vedere luoghi simili, e così diversi da ciò cui era abituata.

Colse perciò l’occasione di studiarne la figura slanciata, adatta a una vita tra i boschi e, al tempo stesso, si chiese come una ragazza potesse aver salvato il figlio da morte certa.

Non che non si fidasse delle parole di Aken, ma ammetteva senza remore che quella ragazza-lupo appariva tutto tranne che una pericolosa guerriera.

Non in quel momento, almeno, spaesata e intimorita come sembrava essere.

Non avrebbe comunque commesso l’errore di sottovalutarla, né di mettere in dubbio il dire del figlio.

Cauta, perciò, le chiese: “Dimmi, bambina… sei della tribù di Nestar?”

“Sì, mia regina, sono figlia di Kaihle, la Signora del villaggio” annuì Eikhe, intenta a sfiorare con dita leggere il contorno armonioso di una poltrona di legno.

Sorridendo più tranquilla – di Kaihle, si sarebbe fidata a occhi chiusi – Anladi allora disse: “Kaihle? E come sta? La ricordo con così tanto affetto.”

Eikhe la scrutò in viso per alcuni attimi prima di sorridere più tranquilla.

La regina non sembrava scorbutica come le era parsa, invece, la sorellastra di Aken, perciò non le sarebbe costato nulla essere gentile a sua volta.

“Mia madre sta bene, mia regina. Ti ringrazia per i saluti, e ti è grata per i preziosi doni che ci hai inviato. Ricambia con altrettanto affetto le tue attenzioni.”

Sorridendo sollevata, Anladi le domandò: “Sei la figlia più giovane? Se non ricordo male, quando Kaihle giunse qui, aveva una bimba di un anno, assieme a lei.”

“Mia sorella Tyura, sì” annuì Eikhe, prima di chiedere contrita: “A chi ho rubato la stanza, mia signora? Non vorrei aver disturbato inavvertitamente qualche nobile di Corte.”

Guardandola con grande comprensione, Anladi scosse il capo, bene decisa a rasserenarla.

“Stai tranquilla, cara. Questa è una camera per gli ospiti, per cui non hai disturbato nessuno. Ti farò portare una tinozza per il bagno, e degli abiti puliti. Potrai riposarti, nel frattempo.”

“Ti ringrazio molto, mia regina” mormorò Eikhe con un inchino formale, guardandola uscire dopo un ultimo sorriso di commiato.

Rimasta sola, la ragazza-lupo tornò a osservare con non poco stupore il lusso da cui era circondata.

Non osando sporcare le belle coperte dell’enorme letto a baldacchino che aveva innanzi a sé, si avvicinò al camino e si sedette su un tappeto per scaldarsi.

Nel giro di cinque minuti, servitori e cameriere le prepararono un bagno degno di un re.

Curiosa, Eikhe scrutò divertita la gamma di profumi e saponi che le misero a disposizione, e infine scelse l’aroma più semplice che le riuscì di trovare.

Affondando poi nella tinozza, si liberò finalmente dallo strato di sudiciume che la ricopriva e, nel contempo, ripulì i suoi vestiti da polvere, fango e terra.

Dopo aver pulito il tutto più che adeguatamente, Eikhe appese gli abiti ad asciugare vicino al camino, prima di avvicinarsi al letto per controllare cosa le avessero portato.

Attonita, fissò senza parole la bracciata di abiti che, vaporosi, ricoprivano tutta l’ampiezza del talamo.

Più che mai confusa, si chiese turbata come diavolo si facesse a indossarli.

Dopo vari tentativi, Eikhe riuscì infine a indossare solo una sottoveste di mussolina bianca, che le arrivava fino alle ginocchia.

Guardandosi allo specchio, scoppiò a ridere di gusto, trovandosi quanto mai ridicola.

 Prima ancora di potersela togliere, però, sentì bussare alla porta e, sorpresa, chiese: “Chi è?”

“Sono Aken, posso entrare?”

“Certo” assentì lei, tornando a guardarsi allo specchio con un risolino a fil di labbra.

Sorpreso nel trovarla seminuda e di fronte allo specchio, Aken si affrettò a richiudersi la porta alle spalle perché altri non la vedessero.

Osservandole la lunga chioma umida, che si era incollata alla sottoveste che indossava, si avvicinò alla ragazza e, avvoltala tra le braccia, sussurrò: “Vuoi tentarmi, piccola strega?”

Lei si volse a mezzo, sorridendogli nel ricevere il suo bacio.

Fu a quel punto che notò i suoi abiti, lo sfarzo delle stoffe e dei ricami e, timorosa, mormorò: “Se ti avessi conosciuto abbigliato così, forse mi avresti spaventato.”

“Non sto bene?” esalò lui, guardandosi con aria divertita.

“Sì, ma sei distante come la luna, ora” sospirò lei, reclinando il capo.

Sollevandoglielo con un dito, lui le sorrise, replicando: “L’abito non conta nulla, Eikhe. Sono ancora Aken.”

“Lo so, ma…”

Indulgente, le chiese: “Come mai indossi solo la sottoveste?”

“Oh, si chiama così?” esalò la ragazza, sfiorando l’indumento con dita esitanti.

Ridendo suo malgrado, Aken le domandò: “Immagino tu non abbia la più pallida idea di come fare a indossarli, vero?”

“Appunto” celiò lei, sorridendo.

Scrutandola alla luce del fuoco, che disegnava il contorno del suo corpo attraverso la diafana trasparenza della sottoveste, Aken le disse roco: “Se non avessi fretta di condurti da mio padre, ti farei mia anche adesso.”

“Non voglio presentarmi a tuo padre con abiti che non sono miei” replicò lei, seria in volto. “Sono una ragazza-lupo e mi presenterò a lui così, non come la copia sbiadita di una delle vostre donne.”

Annuendo, e comprendendone i pensieri, Aken le si portò alle spalle e, presa una salvietta, le propose: “Lascia che ti aiuti con i capelli, allora. Così, daremo il tempo alla tua tunica di asciugarsi. Dopodiché, ti aiuterò a spazzolarla perché recuperi morbidezza, va bene?”

Lei annuì, ma ai capelli e alla tunica pensarono molto tempo dopo.

***

Quando Anladi raggiunse la stanza di Eikhe per sapere se fosse pronta, bussò un paio di volte, dopodiché entrò senza attendere risposta e disse: “Bambina, sono io, Anladi,… volevo sapere se…”

Bloccandosi subito quando vide Aken seduto alle spalle di Eikhe, intento a pettinarle i capelli, Anladi esalò: “E questa, che novità è?”

“Ah, madre…” sorrise lui, senza smettere di passare la spazzola sui capelli della ragazza. “… la sto solo aiutando. L’ho fatto spesso, in queste settimane.”

Avvicinandosi ai due, e notando che Eikhe indossava il suo abito di pelle nuovamente pulito, la regina dichiarò con aria decisamente scioccata: “Non sapevo neppure che fossi capace di una simile gentilezza nei confronti di una donna, visto come sei solito schivare le attenzioni di tutte!”

“Madre, ti prego” replicò il figlio, indulgente quanto divertito.

Prima ancora di punzecchiare nuovamente il figliastro, Anladi si avvide della fresca ferita alla gamba di Eikhe e, sgranando un momento gli occhi, chiese spiacente: “Oh, mia cara, ma cosa ti è successo?”

“Un bufalo. Lo stesso che indossava tuo figlio quando siamo arrivati” sorrise Eikhe, sfiorando con un dito la linea rossa che si estendeva sulla sua coscia. “Non era propenso a darmi la sua pelle, e così…”

Sorridendo suo malgrado divertita, Anladi assentì.

 “Lo immagino. E lo hai ucciso tu, bambina? Allora, hai ben più coraggio di me. Ho visto la tunica che hai confezionato e devo dire che, viste le condizioni in cui hai dovuto lavorare, hai fatto un lavoro degno di nota.”

“Grazie, mia regina. Mi sono arrangiata con quello che avevo” mormorò lei, apprezzando il suo complimento. La regina le piaceva.

Non le stava affatto facendo pesare il suo ruolo e, anzi, la trattava con gentilezza e semplicità.

Del tutto preso dal suo ruolo, Aken non le stette minimamente ad ascoltare e, preso un laccio, il principe intervenne, dicendo: “Una treccia, Eikhe? O due?”

“Una, per favore.”

“Agli ordini” annuì lui, lavorando con abilità con i capelli della ragazza.

Decisamente divertita dal comportamento del figliastro, Anladi celiò: “Devi essere riuscita a mettere un po’ di sale in zucca, a questo mio debosciato figliolo, se si prodiga così per te. Ora so a chi farò fare le mie trecce, d’ora in poi.”

Aken si limitò a ghignare ed Eikhe, con un risolino, dichiarò: “Abbiamo passato dei brutti momenti e, di solito, gli eventi eccezionali sgrossano i difetti e ammorbidiscono le menti.”

“Parole sagge, cara” assentì Anladi prima di notare, nello sguardo di Aken, una luce diversa dal solito.

Sollevando un sopracciglio con aria sorpresa, lanciò un’occhiata di sottecchi in direzione di Eikhe e si chiese se, i due, non stessero nascondendo qualcosa.

Preferendo non mettere in imbarazzo la ragazza, si astenne dal parlarne in sua presenza dei suoi dubbi.

In fondo, non sarebbe stato educato porle domande personali, visto che si erano appena conosciute.

Quando la treccia fu pronta, Eikhe si alzò e disse: “Possiamo andare.”

Annuendo, Aken si levò in piedi a sua volta  e si avviò verso l’uscita della stanza, seguito a ruota da Eikhe e Anladi.

Nel percorrere i corridoi di palazzo, la ragazza-lupo non badò minimamente agli sguardi sorpresi della servitù, ora che era nuovamente presentabile.

Se non accettavano il fatto che lei fosse diversa da loro, questo non doveva minare la sua sicurezza.

Aveva l’approvazione di Aken, ed era orgogliosa di ciò che era, perciò questo le dava la forza per affrontare qualsiasi cosa.

Quando infine raggiunsero la sala del trono, accompagnati dalla voce stentorea di un paggio e dal suono di trillanti trombe dalla strana forma a S, Eikhe lasciò che Aken la scortasse fino al palco ove si trovava il re.

Lì, con un aggraziato movimento, il principe si inginocchiò di fronte al suo sovrano, subito imitato dalla ragazza.

Nel farlo, comunque, Eikhe lanciò in fretta uno sguardo ai lati dell’enorme sala, notando la presenza dei fratelli di Aken, oltre a una decina di guardie e un paio di nobili dall’aspetto piuttosto sparuto.

Consiglieri? Non avrebbe saputo dirlo con certezza.

Mentre Aken si rialzava per raggiungere il padre e ricevere da lui un abbraccio di benvenuto, la ragazza osservò tra il folto delle ciglia l’imponente sovrano che aveva di fronte.

Riconoscendo in lui i tratti del figlio, si sentì trapassare dal suo sguardo d’acciaio, e faticò non poco a reggerne il confronto.

Era ovvio che la stava valutando e, nonostante si sentisse intimorita dall’enorme sala in cui si trovava, Eikhe gonfiò il petto e rammentò di essere figlia di Kaihle, della tribù di Nestar.

Non doveva avere timore di nessun uomo, o sovrano che fosse.

Arkan, dopo aver osservato il figlio tornare sui suoi passi per affiancare la giovane ragazza-lupo giunta con lui, scrutò quella fanciulla che pareva non aver paura di lui.

Discendendo i gradini del palco tenendosi al suo bastone, disse mestamente: “Solo voi due, di tutti gli uomini inviati al forte?”

“Purtroppo sì, padre” sospirò Aken, prima di guardarlo curiosamente mentre si avvicinava pensieroso a Eikhe.

Fermatosi proprio di fronte alla ragazza, che sollevò lo sguardo per guardarlo in viso, l’uomo chiese torvo: “Non hai paura di me, ragazza-lupo?”

“Dovrei, sire?” replicò lei, tesa.

Il sovrano fece comparire un sorriso furbo sul volto solcato da rughe, e disse: “Ora so come sei sopravvissuta alle montagne, ragazza-lupo. Qual è il tuo nome, figlia sacra?”

Sorpresa che l’uomo conoscesse l’etichetta usata nelle loro tribù, cosa che stupì anche Aken, lei mormorò: “Sono Eikhe, sire, figlia di Kaihle, del villaggio di Nestar.”

“Ah…” annuì lui, compiaciuto. “…molto bene. Appartieni a una famiglia che io apprezzo. Alzati Eikhe, figlia di Kaihle, e dimmi ciò che sai. E’ dunque giustificato il timore di mio figlio, figlia sacra?”

Levandosi in piedi con grazia di movimenti, Eikhe annuì e dichiarò: “Dopo essere stati attaccati proditoriamente da alcuni uomini di Vartas, siamo stati costretti a fuggire, rifugiandoci oltre confine. Nei pressi del Valico di Kortoss, ho inviato in avanscoperta il mio lupo per scoprire con esattezza cosa stesse succedendo a valle. E’ così che abbiamo saputo del prossimo attacco di Vartas, e dei motivi per cui, da Anok Fort, non inviavano più notizie. E’ molto probabile che siano tutti morti.”

Sospirò, nel pensare alle decine di persone abitavano quel forte.

Molti li aveva conosciuti, durante le sue caccie e, pur se non avrebbe saputo ricordarne tutti i nomi, le spiacque per loro.

“A occhio nudo, abbiamo contato circa due centinaia di tende campo, che possono contenere fino a dieci uomini ciascuna, ma il mio lupo ha parlato di altri uomini in arrivo dalle pianure. Inoltre, nell’acquartieramento a valle, erano già presenti carri con vettovaglie, armi e diverse catapulte.”

Presente in sala, e  ritta in una delle alcove destinate ai membri più altolocati della Corte, Melantha borbottò dubbiosa: “Dobbiamo affidare la nostra sicurezza ai vaneggiamenti di una ragazza e di un lupo, padre?”

Fulminando con lo sguardo la sorella, Aken fece per parlare ma il re, sollevata una mano per bloccare l’ira del figlio, dichiarò: “Ti è permesso stare qui, ma non parlare durante i miei colloqui, Melantha, dovresti saperlo. Inoltre, non sei addentro a simili argomenti, perciò evita di disquisire su cose che non conosci.”

Rivolgendosi a Eikhe, e ignorando il cipiglio della sua unica figlia, il re domandò: “Dove si trova, ora, il tuo lupo? Posso capire un poco quel che dice, e vorrei conoscere ciò che ha visto dalla sua bocca.”

Lo stupore per quella scoperta venne presto surclassato dal dolore per la perdita di Nys così, incurvando leggermente le spalle, Eikhe mormorò: “Purtroppo è morto sul Valico, sire.”

Il re allora batté la mano libera sulla spalla di Eikhe, asserendo: “Comprendo il tuo dolore, e non ti chiederò altro di lui, figlia sacra. Lo ricorderò con affetto, sapendo che ha lottato al tuo fianco per riportare a casa mio figlio. Ora cos’altro potete dirmi?”

Mentre Eikhe fissava apparentemente sconvolta il re, Melantha si ribellò vibratamente, esalando: “Non vedo cosa possa interessarci la morte di un lupo, padre, né perché tu debba mostrarti tanto gentile con lei! E’ un nostro suddito! E’ suo dovere servire la Corona!”

Lanciandole uno sguardo di fuoco, Eikhe strinse i denti e la sua mano corse istintivamente alla daga che portava alla cintura.

Prevedendo le sue mosse, però, il sovrano accentuò la stretta sulla sua spalla, asserendo: “Placa la tua ira, figlia sacra. Mia figlia non conosce la tua forza, e non sa cosa significhi offendere persone come te né, a quanto pare, ha imparato cosa voglia dire essere un membro della famiglia reale.”

“Comprendo che tua figlia non conosca le nostre usanze, sire, ma non ammetto si disonori la morte del mio compagno” mormorò in un sibilo Eikhe, cercando di chetarsi.

Melantha, nel frattempo, la fissò con un livore sempre crescente, indispettita dalle parole cupe del padre.

“Un’altra parola, sorella, e giuro che provvederò a darti una lezione. Nys era migliore di tante persone che io conosco, te compresa!” sbottò a quel punto Aken, accigliandosi.

Offesa, Melantha scrutò in viso la madre per cercarvi conforto ma, notando solo il suo sguardo ferito, raccolse le gonne e se ne andò sdegnata.

Re Arkan allora sospirò e lasciò andare la presa dalla spalla di Eikhe, quando fu abbastanza sicuro di poterlo fare senza rischi per se stesso e per gli altri presenti nella sala.

Non senza una certa tensione, tornò all’argomento principale della loro conversazione e ordinò: “Parlatemi di ciò che avete scoperto.”

Aken intervenne per primo e disse: “Il borgomastro di Marhna sa quasi sicuramente qualcosa. Quando gli chiesi informazioni su Anok Fort, si fece molto titubante, quasi temesse ripercussioni. Forse, non si aspettava che qualcuno giungesse così presto a chiedere notizie del silenzio dal forte. Quando poi giungemmo al ponte sul Fenar, lo trovammo distrutto, così decisi di recarmi al villaggio di Kaihle per chiedere consiglio su che strada seguire per raggiungere Anok Fort. Eikhe  fu mandata come guida dalla stessa Kaihle ma, dopo aver oltrepassato la Valle del Silenzio, ci attaccarono, probabilmente dietro indicazione dello stesso borgomastro. Nargan era con loro.”

Annuendo grave, il re asserì torvo: “Invierò un battaglione di uomini a prelevarlo, e una scorta per la nostra ospite perché possa tornare a casa in sicurezza. Immagino tu sia ansiosa di rivedere tua madre. Quando ti sentirai in forze per partire, non avrai che da dirlo.”

Eikhe lo ringraziò con un cenno del capo, ma replicò: “Non ho bisogno di una scorta, sire. Se potessi prestarmi una cavalcatura veloce, la rimanderei indietro con il primo mercante di passaggio a Marhna.”

“Sia come vuoi, figlia sacra” assentì il re, prima di guardare il figlio con orgoglio. “Sapevo che affidare a te questa missione, sarebbe risultata la scelta vincente. Nessun altro avrebbe saputo fare ciò tu hai fatto, figlio. Ora, comincia a preparare i tuoi uomini, Aken. Io, nel frattempo, invierò messaggi alle guarnigioni perché si preparino. Pare che, al disgelo, ci sarà da battagliare.”

“Sì, padre” annuì Aken, lanciando uno sguardo affranto in direzione di Eikhe.

“Accompagna nelle sue stanze la nostra ospite. Immagino vorrà riposarti dopo un così periglioso viaggio.”

Rivoltosi poi a Eikhe, aggiunse: “Ritieniti libera di rimanere quanto vuoi, figlia sacra. La mia casa è a tua disposizione. Ti devo la vita di mio figlio, e sono un uomo che onora i propri debiti.”

Inchinandosi profondamente al re, Eikhe mormorò soltanto: “La tua generosità è grande, mio re, ma non ci sono debiti, tra di noi. Tu permetti a me e le mie sorelle di vivere in pace nel tuo regno, seguendo le nostre regole di condotta, perciò salvare tuo figlio è stato il minimo che io dovessi a te. Prometto che farò di tutto per convincere i nostri clan a darti man forte, al risveglio della primavera.”

“L’aiuto delle tribù dei lupi sarà ben accetto, grazie, giovane Eikhe” dichiarò il re, con un cenno del capo.

A un cenno della mano del sovrano, il gruppo poté accomiatarsi.

Subito seguita da Aken, Eikhe uscì perciò dalla sala del trono e, una volta raggiunto il corridoio, mormorò sorpresa: “Tuo padre è un uomo davvero incredibile! Non sapevo conoscesse l’etichetta delle nostre tribù.”

“A dir la verità, non lo sapevo neanche io” sorrise lui, affiancandola. “Rimarrai almeno un poco, vero?”

Sospirando, lei disse: “Mi concederò un poco per riprendermi dalle fatiche del viaggio, ma non rimarrò molto. Non possiamo rischiare, lo sai bene, Aken. E poi, ora sei nel tuo ambiente naturale ma io no, e comincio già a sentirmi soffocare.”

Presala per le spalle, Aken protestò con veemenza: “Non voglio che tu te ne vada!”

“Ma devo, o morirò. Vuoi vedermi morire, Aken?” sorrise tranquilla la ragazza, vedendolo inorridire a quelle parole.

“Perché dici così?” esalò lui, sgranando gli occhi.

“Io ho bisogno dei miei boschi, dell’ululato dei lupi, del suono dell’acqua nei ruscelli, del cinguettio degli uccellini e dello stridio delle aquile” gli spiegò, sospirando malinconicamente: “Per quanto bella e imponente possa essere la tua casa, io non potrei mai vivere qui. E poi, in che ruolo? Di tua amante? Sii serio, Aken.”

“Non saresti la mia amante, e lo sai!” ringhiò lui, irritato dalla veridicità delle sue parole. “Saresti mia moglie!”

Un po’ sorpresa, e non poco commossa da quelle parole, Eikhe si arrischiò a sfiorargli la guancia con una mano.

“Mesi fa avrei riso di una frase simile, ma ora non più. Mi onori, dicendomi tutto ciò, mio principe, ma non te lo permetterebbero. Sii felice di ciò che abbiamo condiviso, e fattelo bastare come me lo farò bastare io.”

“Ma Eikhe…” protestò debolmente lui.

“Ti prometto che non mi unirò mai ad alcun altro uomo, mio principe. Non posso darti altro, oltre a ciò che già hai di me” sospirò la ragazza, rilasciando la mano lungo il fianco.

“E cioè?” sussurrò Aken, prossimo ad abbracciarla.

“Il mio cuore, la mia anima e il mio amore imperituro, mio principe” sorrise lei.

“Smettila di chiamarmi così, Eikhe. Sai il mio nome!” ringhiò lui.

“Se lo usassi ora, ne morirei” singhiozzò lei, stupendo enormemente Aken che, presala per le spalle, la condusse fino a un’alcova, riparata da sguardi indiscreti.

Strettala in un abbraccio, lasciò che sfogasse le sue lacrime, sentendo il suo cuore andare in frantumi come la speranza di una vita insieme alla donna che aveva imparato ad amare più di se stesso.

Ma, proprio perché la amava tanto, doveva accettare di perderla per il suo stesso bene.

Lasciatala andare quando le lacrime furono solo un ricordo, le sentì dire: “Ora, vorrei rimanere un momento da sola.”

Annuendo mesto, la vide allontanarsi con passo sicuro lungo il corridoio e, accondiscendendo alla sua richiesta, non la seguì per lasciarla ai suoi pensieri.

Raggiunti i camminamenti lungo le mura di palazzo dopo un lungo peregrinare per i corridoi, Eikhe lanciò uno sguardo sofferente all’enorme città che si apriva ai suoi piedi.

Poggiandosi pensierosa a una merlatura del muro di cinta, ascoltò il vociare della gente dabbasso e il rumore dei carri e degli animali nel mercato.

Stordita da quella cacofonia informe, Eikhe aggrottò più e più volte la fronte, nel vano tentativo di darvi un ordine logico.

Tutto era troppo strano, per lei, troppo estraneo, troppo soffocante.

Le mura del palazzo sembravano volerla fagocitare e, pur sapendo che era solo una sciocchezza puerile, rimanere fuori al freddo era preferibile che starsene all’interno, tra quelle ricchezze fin troppo opulente.

Il suo mondo era fatto di creature viventi, non di fredda e inerte roccia.

Sfiorando con un dito la dura consistenza della pietra sotto cui riposava la sua mano, Eikhe sospirò leggermente, affranta dalla sensazione di perdita che già sentiva nel suo cuore palpitante.

Non poteva indugiare molto, o separarsi da Aken sarebbe stato impossibile, quasi come strapparsi un arto dal corpo.

Permettere a se stessa di far vedere quel lato debole ad Aken, sarebbe equivalso a pura follia.

Sarebbe stato male per lui, ed era l’ultima cosa che desiderava.

“Un giorno, e poi me ne andrò” sussurrò tra sé Eikhe, prima di notare un’ombra lunga estendersi fino a sfiorare la sua.

Levando lesta il capo per scrutare in viso una delle guardie di ronda sul camminamento, Eikhe provò un istintivo groppo in gola nel riconoscere quei tratti, quegli occhi, ora percorsi dal dubbio.

Deglutendo a fatica, riuscì a dire: “Avevi bisogno di qualcosa, soldato? O temi possa essere un pericolo per te e gli altri?”

La guardia abbozzò una risatina nell’appoggiare a terra il puntale dell’alabarda che teneva saldamente in mano e, scuotendo il capo bruno, si limitò a dire: “Niente di tutto ciò. Mi chiedevo solo se tu fossi la giovane giunta a palazzo con il nostro principe.”

Lei annuì guardinga, il dolore alla gola ora più forte, e chiese: “Sì, perché?”

“Allora, puoi dirmi cos’è successo a mio padre, vero?” le domandò a quel punto il soldato, perdendo di colpo il sorriso che era balenato sul suo viso sbarbato.

Eikhe sentì il cuore spezzarsi in due, a quella domanda e, sospirando amareggiata, mormorò: “Tuo padre si chiamava Lenar, giusto?”

Il giovane annuì e chiese semplicemente: “Com’è morto?”

Mordendosi un labbro per non piangere – già molte volte aveva pianto l’amico, e non doveva farlo proprio di fronte al figlio – , Eikhe disse mestamente: “Durante l’agguato che ha massacrato tutti i compagni del principe. Ci trovavamo in una gola senza vie di fuga. Ci attaccarono dall’alto e alle spalle, avvertiti da una spia della via che avevamo intrapreso. Non potei fare nulla, per lui. Fu gentile con me, e lo ricordo con affetto ogni giorno.”

Annuendo con un nodo alla gola, il ragazzo dichiarò: “E’ morto da eroe, allora.”

Eikhe assentì con vigore, non avendo remore ad ammetterlo.

“Si è sacrificato per permettermi di salvare il principe, perciò sì, è stato a dir poco eroico.”

Il soldato le sorrise, forse confortato dalla sicurezza insita nelle sue parole.

“Grazie per le tue parole, ragazza-lupo. Ora mi sento un po’ meglio.”

“Vorrei averti potuto dare notizie migliori. Lenar avrebbe meritato ben altro destino” sospirò Eikhe, reclinando spiacente il viso.

“Era un soldato valoroso, e non avrebbe potuto desiderare fine migliore” disse soltanto il giovane, prima di ricomporsi e aggiungere: “Scusami, ora devo continuare la ronda.”

“Sì, certo” annuì Eikhe, rimanendo di nuovo sola.

Un venticello leggero si levò improvviso sulla città, portando con sé l’odore del fumo dei camini e, un po’ a sorpresa, il sentore fresco della neve.

Scrutando curiosamente il cielo, la ragazza scorse cupe nubi addensarsi sulla capitale, dense e minacciose e foriere di tempesta.

Presto si sarebbero scatenate, ne era sicura.

Eikhe sospirò afflitta, insofferente alla sola idea di percorrere tutto il tragitto verso Marhna sotto una tempesta di neve.

Già sul punto di ritornare all’interno del palazzo per riposarsi un poco, in previsione della sua partenza, si trovò a fronteggiare la figura del principe Ruak, fermo a pochi passi da lei in attenta contemplazione.

Ricomponendosi subito dopo l’iniziale sorpresa, Eikhe si esibì in un piccolo inchino, prima di domandare: “Mi cercavi, principe?”

“In effetti, sì” annuì Ruak. “Posso rubare un po’ del tuo tempo, figlia sacra?”

“Tuo fratello mi chiama per nome, perciò puoi farlo anche tu, principe” dichiarò la ragazza, seguendolo all’interno del palazzo mentre i primi fiocchi di neve cominciavano a cadere sulla città.

“Grazie” mormorò il giovane, invitandola ad accomodarsi in un bel salottino dalle ampie finestre, rivolte sul cortile interno di palazzo. “Posso offrirti qualcosa?”

“No, grazie. Sto bene così. Di cosa volevi parlarmi?” volle sapere lei, incrociando le mani in grembo e accavallando le gambe.

Cercando di non pensare alla deliziosa piega delle sue cosce, o al colore dorato della sua pelle, Ruak si accomodò su una poltrona e, guardandola ostentatamente in viso, disse: “Aken mi ha parlato a grandi linee del vostro viaggio, e mi ha detto che avete combattuto diverse volte.”

“E ?” lo incitò lei, con un gesto della mano.

“Non ho potuto fare a meno di notare che mio padre ti ha chiamata ‘figlia sacra’, mentre so perfettamente che le donne-lupo vengono chiamate ‘figlie del branco’. Mi sono chiesto il perché” le chiese semplicemente Ruak.

Un po’ sorpresa, Eikhe si ritrovò a sorridere a quel giovane dalla ribelle chioma dorata e i profondi occhi azzurri.

“Hai orecchio per i particolari, principe. Sì, è vero, tra la mia gente vengo etichettata come ‘figlia sacra’. Vuoi sapere il perché, giusto?”

“Se non è vietato da qualche convenzione che io non conosco” precisò subito Ruak. “Inoltre, non ho mai visto mio padre così preoccupato come quando ti sei rivoltata contro Melantha, e mi è parsa una cosa strana. Mi sono chiesto perché, un uomo forte come mio padre, si sia allarmato.”

Poi, con un risolino, aggiunse: “Anzi, avrei preferito vi lasciasse accapigliare un po’. Mia sorella è buona, ma ha un caratteraccio, perché è viziata all’inverosimile, e le sarebbe servita una batosta.”

“Non da me, credimi” replicò Eikhe, del tutto seria.

Ruak, allora, la fissò sinceramente stupito, e colmo di ancor più domande che in precedenza.

Sospirando, la ragazza-lupo scrutò un momento fuori dalla finestra – ora nevicava davvero forte – prima di domandare al principe: “Quanto sai della nostra religione?”

“So che credete nell’esistenza di un dio-lupo, e che, secondo la leggenda, una donna umana si è unita a lui, generando la vostra stirpe. Non so molto di più, mi spiace”  le spiegò Ruak, arrossendo leggermente e passandosi una mano tra i capelli con fare nervoso.

“E’ più di quanto sperassi” replicò lei, fissandolo nei brillanti occhi azzurri.

No, non era come Aken, ma aveva il suo stesso sguardo sincero e diretto.

“Il titolo di figlia sacra nasce dalle caratteristiche somatiche che mi sono proprie. Per intenderci, pelle dorata, occhi d’ambra e capelli biondo-ramati. Sono i tratti salienti di Hevos, il nostro dio-lupo, e di sua figlia. Coloro che nascono con questi tratti caratteristici, beneficiano del titolo di figlia sacra.”

“Quindi, il titolo verrebbe assegnato solo per una vostra somiglianza al dio-lupo?” replicò scettico Ruak, sollevando un sopracciglio arcuato.

Ridendo di fronte alla sua incredulità – in questo, somigliava tantissimo ad Aken – Eikhe sciolse le gambe per allungarvi sopra gli avambracci.

Scrutando con le sue profondità ambrate il viso serio e attento di Ruak, gli domandò con estrema serietà: “Davvero vuoi sapere cosa significhi essere una ‘figlia sacra’?”

Ruak annuì, imitando la sua posizione e fissandola con sincero interesse.

Eikhe, a quel punto, sorrise compiaciuta, ben decisa a esporre ogni cosa al principe, quando Aken entrò quasi di corsa, trafelato e con uno sguardo più che accigliato stampato in faccia.

Vedendoli insieme, aggrottò la fronte prima di sbottare. “Cosa stai facendo, Ruak?!”

“Nulla, fratello. Stavo solo amabilmente chiacchierando con Eikhe, prima che tu penetrassi qui come una furia scatenata” dichiarò il fratello minore, sorridendo sornione alla ragazza, che restituì il sorriso.

“Tuo fratello si stava chiedendo cosa potesse significare essere una ‘figlia sacra’, tutto qui” gli spiegò Eikhe. “Mi sembra una domanda lecita, non ti pare?”

Infuriandosi immediatamente, Aken fissò in malo modo il fratello prima di replicare seccamente: “Che ti è saltato in mente di farle domande così personali?! Eikhe, scusalo da parte mia.”

“Aken, non c’è problema…” scosse il capo lei, sorprendendolo. “… tuo fratello ha il tuo stesso spirito, e non ho paura di parlarne con lui.”

“Ne sei certa?” borbottò lui, titubante, continuando a fissarla con aria esitante.

“E’ una cosa così terrificante da ammettere?” esalò Ruak, stupito dalla reazione del fratello.

“Per Eikhe, forse sì” sbuffò Aken, appoggiandosi al davanzale della finestra e continuando a fissare ombroso il fratello.

“Beh, se è così tremendo, allora…” tentennò Ruak, deglutendo di fronte allo sguardo accigliato di Aken.

“Non è tremendo, ma può spaventare chi mi ascolta. E chi mi vede” precisò Eikhe, alzandosi in piedi per poi porsi di fronte a lui. “Attaccami, principe.”

“Cosa?” esalò Ruak, facendo tanto d’occhi e schiacciandosi contro lo schienale della poltrona dov’era accomodato.

Sospirando divertita, Eikhe allora gli propose: “D’accordo, la faccio più semplice. Punta un coltello al collo di tuo fratello.”

“Ehi, dico!” esclamò Aken, con un mezzo sorriso, fissandola con ironia.

Sollevando un sopracciglio con aria ammiccante, lei disse per contro: “Disarmerò tuo fratello prima ancora che dica bah!”

Un po’ sorpreso, Ruak estrasse lo stiletto che teneva alla cintura e, come chiestogli da Eikhe, si mosse per raggiungere il fratello, l’arma saldamente stretta nel suo pugno.

Come sempre, la ragazza-lupo percepì il correre del sangue nel suo corpo, l’accelerarsi del suo cuore, i muscoli tendersi.

Sapeva che Aken non era in pericolo, sapeva che quello era solo un gioco, ma il fuoco dentro di sé non comprendeva la differenza tra realtà e finzione.

In un lampo, si mosse veloce come un lupo e disarmò Ruak senza dargli il tempo di reagire, strappandogli di mano lo stiletto con una tale forza da torcere quasi le dita del giovane principe.

Fissandola basito mentre, massaggiandosi la mano indolenzita, Eikhe consegnava a un divertito Aken lo stiletto del fratello, Ruak la squadrò in viso per alcuni attimi prima di esclamare: “Mi venisse un colpo! Come hai fatto?”

Rilassando i tratti del volto – che si erano tesi come corde di liuto nel momento stesso in cui Ruak aveva mosso il primo passo verso Aken – Eikhe lo fissò a sua volta per sincerarsi sulle sue prime reazioni.

Con un sorriso sollevato, apprezzò non poco il fatto che fosse eccitato da quel piccolo spettacolino improvvisato.

Non spaventato.

Sorridendo ad Aken che le stava strizzando l’occhio complice, Eikhe asserì con tranquillità: “E’ quanto volevo spiegarti prima. Possiedo la forza di un lupo, o forse di più, e questo è il tratto più peculiare dell’essere una figlia sacra, anche se non il più evidente.”

“Credimi, sei più forte di un lupo” celiò Aken, scrollando le spalle. “Quell’uomo sul Valico, lo hai sollevato con una mano sola, Eikhe, ed era più del doppio di te.”

“Dovevi proprio ricordarmelo?” replicò lei, con un sospiro tremulo.

“Scusa, ma la faccenda è reale” dichiarò Aken, adombrandosi nuovamente. “Stavo pensando a quanto detto da Nargan. E’ possibile che le figlie sacre che sono presso di lui, possano schierarsi contro Enerios?”

“Non saprei ma, per difendere i propri figli, combatterebbero eccome” sospirò Eikhe, sorprendendolo. “Mi viene il sospetto che Nargan le abbia legate a sé con il vincolo dei figli. Se lui le avesse messe incinta con la forza, o ne tenesse prigionieri i figli, loro sarebbero costrette dal sangue a combattere.”

“Il sangue? Il legame affettivo coi figli?” le chiese Aken, cercando di seguirne i pensieri.

Annuendo, Eikhe asserì mestamente: “Per una donna-lupo, non c’è vincolo più forte di quello esistente con le proprie figlie ma, per una figlia sacra, la cosa è ancora più profonda. E’ un bisogno fisico, come tu ben sai.”

“Cosa intende dire?” volle sapere Ruak, guardandoli con espressione confusa.

“Eikhe aveva il compito di portare a termine la sua missione, che comprendeva tenere in vita me e, per una figlia sacra, è un vincolo viscerale” gli spiegò Aken. “Durante una scaramuccia con alcuni uomini di Vartas, nonostante Eikhe fosse ferita a un braccio, non ha smesso di combattere finché non ha avvertito che il pericolo era scemato.”

“Potete…fare questo?” esalò Ruak, con reverenziale timore.

Lo sguardo terribilmente grave di Eikhe parlò per lei.

“Le figlie sacre possono avvertire il pericolo nell’aria come farebbe un lupo. Sentiamo gli stessi odori che percepiscono loro, udiamo le stesse cose, anche se solo quando… beh, quando siamo attive, per così dire.”

“Quando, insomma, acquisite questa forza.” ipotizzò Ruak, cercando di capire cosa volesse dire.

Eikhe annuì più volte, grata per gli sforzi del principe di comprendere ciò che stava tentando di spiegare.

“Se loro sentissero minacciati i propri figli, muterebbero immediatamente e, finché la minaccia non fosse terminata, continuerebbero a lottare, fino a morire, ma continuerebbero.”

Aken sospirò ombroso e Ruak, preoccupato, disse grave: “Se tanto mi da tanto, nemici simili si possono solo uccidere, ma non ferire, e neppure tanto facilmente, temo.”

“Già” sospirò Eikhe.

***

Muovendo la mano sul lenzuolo mentre, insonnolito, cercava la figura sinuosa di Eikhe, Aken si risvegliò di soprassalto quando non trovò altro che le pellicce.

Sorpreso, si mise a sedere sul letto per cercare la sua figura nella stanza. Nulla. Di lei, neanche l’ombra.

Già terrorizzato all’idea che Eikhe avesse approfittato del suo sonno, per andarsene, Aken bloccò immediatamente qualsiasi suo tentativo di cercarla quando un suono lontano attirò la sua attenzione.

Afferrata la sua vestaglia da camera, uscì dalla sua camera da letto per dirigersi sulla balconata della sua stanza, ormai ampiamente ricoperta di neve.

La coltre di nubi nere che copriva Rajana gli impediva di vedere la luna, ma la luce era sufficiente per scorgere una figura scura appollaiata sul parapetto del balcone.

Eikhe.

Ancora un ululato. Sì, non si era sbagliato. Nel silenzio della notte, un lupo stava ululando.

Aken si avvicinò in silenzio alla ragazza che, assorta, stava ascoltando quell’ululato solitario.

Quando lui le fu accanto, la vide alzarsi e scendere con un balzo, mentre quel lugubre suono si spegneva nella notte.

“Cosa succede?” volle sapere il principe, stringendola a sé perché potesse scaldarsi col calore del suo corpo.

Con un piccolo sorriso, lei si strinse ad Aken, prima di mormorare: “La tempesta infurierà per una settimana o più. Lui ne ha bisogno per mandare il suo monito a tutte noi.”

“E’ chi penso io?” esalò Aken, impallidendo leggermente.

Annuendo, Eikhe disse: “E’ tornato per aiutarci, Aken. Sa bene che la mia sola parola non cancellerà la paura e il risentimento delle mie compagne, ma la sua parola sarà come il sole sulla neve. Scioglierà ogni resistenza, e le donne-lupo combatteranno al vostro fianco.”

Sfiorandole una spalla con la mano, Aken le domandò intuitivo: “Diceva anche dell’altro, vero?”

Lei sospirò e assentì.

“Mi sta… concedendo un po’ di tempo.”

“Per cosa?” volle sapere lui.

“Per stare con te” ammise Eikhe, guardandolo negli occhi.

Ad Aken non servì sapere altro.


**********
Mi sento sempre un po’ carogna, quando arrivo a questo punto, ma non si può evitare ciò che succederà entro breve. Spero che la lettura sia stata piacevole, e spero di poter aggiornare quanto prima! Fatemi sapere cosa ne pensate! ^_^

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Capitolo 12
*** cap.12 ***



12.

 

 

 

 

 

Seduta sul parapetto interno di uno dei camminamenti, che sporgeva sul cortile di palazzo, Eikhe stava osservando assorta Aken.

In compagnia di Ruak e Kannor – che aveva conosciuto il giorno seguente il loro arrivo – scrutavano il principe, impegnato a spiegare ai soldati cosa volesse dire avere a che fare con le figlie sacre.

Non essendo mai state affrontate su un campo di battaglia, erano vere incognite per tutti loro.

Sinceramente divertita dallo scetticismo dei soldati e dagli strenui, quanto inutili, tentativi del principe di mettere a parole quanto sapeva, la ragazza chiese ai suoi due compagni di passeggiata: “E’ davvero convinto che gli crederanno sulla parola?”

“Forse, dovrai dimostrarlo coi fatti” ammise Ruak, guardandola con un sorriso complice, dopo aver scrutato a sua volta Aken e aver ridacchiato senza ritegno alcuno.

Ammiccando nella sua direzione, Eikhe gli spazzolò il mantello coperto da un dito di neve e mormorò premurosa: “Ti buscherai un raffreddore, principe, a startene qui fuori. Perché non torni dentro?”

Ridendo divertito, lui scrollò le spalle e ribatté tranquillamente: “Sono abituato a stare all’aperto. Tu, piuttosto, non hai freddo con quell’abito così leggero?”

Guardandosi la tunica lunga al ginocchio e gli stivali di pelle che le arrivavano sì e no a metà polpaccio, Eikhe storse il naso e disse per contro: “Da dove vengo io, questa temperatura è gradevole.”

Ruak la fissò con autentica sorpresa prima di scoppiare a ridere ed esalare: “Allora, preferisco non sapere cosa intendi tu, per freddo!”

Ridendo con lui, Eikhe replicò: “Chiedilo a tuo fratello; lui lo sa.”

“Posso immaginarlo. Se i Monti Urlanti sono degni del loro nome, non credo sia stata una passeggiata attraversarli” brontolò Ruak, prima di vedere Aken volgersi a mezzo per guardarli curioso. “Penso sia giunto il tuo momento, Eikhe. Mi sembra essere ormai a corto di parole.”

“Dici?” ammiccò lei, alzandosi con un piccolo balzo dal muro di cinta per tornare a poggiare i piedi sul camminamento, appena ripulito dalla neve.

Nelle vicinanze, sempre ligi al loro dovere, i soldati scrutavano la città armati di alabarde, sui loro volti la concentrazione massima dipinta a lettere cubitali.

Ma i loro occhi scintillavano di ilarità, forse divertiti dall’atteggiamento materno di Eikhe nei confronti di Ruak, o per via della loro aperta mancanza di rispetto del protocollo.

Era a dir poco indecoroso che la giovane ragazza-lupo passasse così tanto tempo da sola – e senza una nobildonna al seguito – con il principe Ruak, ma a entrambi non sembrava importare nulla.

La prima volta che Melatha aveva fatto ‘accidentalmente’ notare la cosa al fratello, lui le aveva riso in faccia, proponendole per contro di essere lei la dama di compagnia della loro ospite.

Con uno sguardo sdegnato e un insulto piuttosto colorito, Melantha si era allontanata in uno svolazzare di gonne e pizzi, lasciando il fratello a ridere sguaiatamente di fronte a tanto livore.

Quando poi aveva raccontato ogni cosa a Eikhe, l’ilarità era cresciuta alle stelle.

Da quel momento, come per un tacito accordo tra di loro, i due giovani avevano fatto il tutto e per tutto per farsi sorprendere in luoghi appartati e, sovente, senza la compagnia di Kannor o Aken.

Anche grazie a quell’infantile scherzo ai danni della sorella, Ruak aveva avuto l’opportunità di fare conoscenza con la giovane amica del fratello.

Certo, aveva dovuto rassicurarla circa le sue buone intenzioni ma, alla fine, Eikhe si era rilassata al punto tale da essere sincera e diretta anche con lui, non solo con Aken.

Non che non valesse la pena di puntare a una ragazza come lei, ma Ruak aveva capito ben presto che Eikhe non era la persona adatta per un semplice giro tra le lenzuola.

E neppure lui avrebbe voluto un simile sollazzo, da lei.

Le piaceva in mille modi diversi, ma non come donna da portarsi a letto, il che era una bella novità, per lui e per i suoi giovani ormoni impazziti di sano diciottenne.

Eikhe era davvero una donna speciale.

Sorridendole mentre continuava a osservare il cortile gremito di soldati, le chiese: “Hai bisogno di una mano, per convincerli?”

Pensandoci su un attimo, Eikhe gli propose a sorpresa: “Tieni puntata su di me una freccia.”

“Che cosa?” esalò Ruak, impallidendo visibilmente.

Accennando una risatina divertita, Eikhe aggiunse: “Mentre Aken mi presenterà agli uomini, scagliala contro di me, ma senza alcun preavviso.”

“Sei… sicura?” tentennò il giovane principe, storcendo il naso prima di cercare con lo sguardo l’aiuto di Kannor.

L’attendente di campo di Aken fissò la ragazza parimenti sorpreso e le chiese preoccupato: “Non è un po’ troppo rischioso, Eikhe?”

Strizzando un occhio con aria complice, Eikhe si limitò a dire: “Fidatevi,… Ruak non mi centrerà.”

“Lo spero, o mio fratello mi farà a fettine sottili, e poi mi mangerà” deglutì vistosamente Ruak, portando la ragazza-lupo a ridere dolcemente.

“Aken non ti torcerebbe un capello. Ti vuole troppo bene, per farlo” scrollò le spalle Eikhe, ammiccando poi a Kannor, che annuì più sicuro.

“Tu dici?” gracchiò Ruak, lanciando uno sguardo al fratello e al suo aiutante di campo.

“Io dico di sì” annuì lei, avviandosi poi verso le scale che l’avrebbero condotta nel cortile dabbasso.

“Dici che devo fidarmi?” chiese ancora Ruak, guardando Kannor con espressione dubbiosa e disperata assieme.

“Eikhe mi pare convinta, e io sono sicuro che non le succederà nulla. Aveva uno sguardo più che tranquillo” annuì l’attendente, dandogli una pacca sulla spalla.

“Parli bene, tu. Non sei tu a dover puntare una freccia su di lei” brontolò Ruak, andando a prendere il suo arco di malavoglia.

Con un sorriso divertito a illuminargli il viso, Kannor rimase sui bastioni a osservare gli uomini, dabbasso, in attesa dell’arrivo di Eikhe.

Curioso, si chiese cosa sarebbe successo, una volta che la ragazza avesse mostrato loro cosa sapesse esattamente fare una figlia sacra.

Lui era già stato testimone della sua bravura, e aveva insistito a sua volta con il principe perché l’esercito ne venisse messo al corrente.

Ora, però, si chiedeva se non fosse un’impresa troppo complessa, convincere dei guerrieri fatti e finiti della pericolosità di una donna che, alla fin fine, arrivava a malapena alla spalla del loro principe.

Certo, Eikhe non era piccola – superava di poco il metro e settanta e, per una donna, era un’altezza mirabile – ma il metro e novanta di Aken rimarcava la differenza di statura.

E di stazza.

Voltandosi a mezzo quando vide tornare Ruak con il suo arco stretto in mano, Kannor disse: “Speriamo basti. Non vorrei davvero vederla al suo peggio.”

“Neppure io. Mi spaventa la sola idea” borbottò Ruak, incoccando una freccia al suo arco. “Una volta, per scherzo, ho provato a fare un agguato a mio fratello, e non ti dico dove mi sono ritrovato.”

Sollevando un sopracciglio con evidente sorpresa, Kannor lo fissò come in cerca di spiegazioni e Ruak, sospirando, allentò la presa sulla freccia per parlare.

“Dopo la prima volta in cui ho visto in azione Eikhe, ho voluto scoprire fin dove si potesse spingere il suo dono, così mi sono nascosto in una delle alcove dei corridoi e ho aspettato di veder passare lei e Aken. Beh, nel giro di mezzo secondo, mi sono ritrovato lungo disteso sui tappeti, con lei a cavalcioni su di me e la sua maledetta daga piantata contro la gola.”

Kannor sgranò gli occhi, sinceramente sorpreso, prima di sentirlo aggiungere: “Non ti dico quanto ero sconvolto… e quanto era sconvolta lei! Si è profusa in scuse per più di un’ora, mentre mio fratello mi insultava a più riprese, finché non ho detto a Eikhe di smetterla, altrimenti mi sarei mortalmente offeso.”

“Beh, se non è una prova quella!” esclamò Kannor, fischiando ammirato.

“Da quel momento non ho più provato a fare nulla, anche perché Eikhe ci resterebbe troppo male, se per disgrazia finisse col farmi anche solo un graffietto, e io non voglio in alcun modo ferirla. E’ una ragazza troppo dolce e sensibile, perché io mi diverta con lei solo per dare sfogo alla mia curiosità” dichiarò Ruak, tornando a incoccare la freccia.

Sorridendo sornione, Kannor celiò al suo indirizzo: “Qualcuno ha preso una cotta?”

Sbuffando, lui replicò accigliato: “Qualcuno si è reso conto che ci sono ben più di un paio di tette e un bel culo, in alcune ragazze.”

Limitandosi a ridacchiare, Kannor gli sorrise vagamente orgoglioso mentre  Eikhe raggiungeva Aken sotto gli occhi curiosi e dubbiosi degli uomini radunati nel piazzale.

Sorridendo al principe dopo aver fatto un breve cenno a tutti i soldati presenti nel cortile, la ragazza dichiarò senza preamboli: “Sono scettici, eh?”

“A dir poco” borbottò Aken, guardando curiosamente suo fratello e Kannor sui bastioni interni del maniero. “Perché Ruak ha l’arco? Deve andare a lezione?”

“Qualcosa del genere” mormorò vaga Eikhe, sorridendogli misteriosamente.

Lui storse il naso, poco convinto, ma tornò a rivolgersi ai suoi uomini.

“So che, all’apparenza, una figlia sacra può apparire come una qualsiasi altra donna, ma credetemi, non è così.”

“Detta a questo modo, crederanno che io abbia corna e coda nascoste da qualche parte” celiò Eikhe, facendo scoppiare a ridere diversi uomini.

Ridendo a sua volta, Aken scrollò le spalle prima di continuare il suo discorso.

“Potrete riconoscerle perché  hanno tutte i capelli chiari e gli occhi ambrati, oltre ad avere una forza smisurata, e una velocità di movimento di molto superiore a quella di un uomo comune.”

In quel mentre, il sibilo di una freccia oltrepassò il cortile ed Eikhe, con destrezza, si volse a mezzo e intercettò il dardo con una mano sotto gli occhi sgomenti dei soldati e di Aken.

Un coro di sorpresa si levò dai presenti mentre Aken, fissando furioso il fratello – che lo stava salutando con aria imbarazza e impertinente al tempo stesso –, si chiese che razza di scherzo fosse quello.

Gli era quasi venuto un colpo nel sentire il sibilo della freccia, ma non aveva affatto capito da dove stesse provenendo.

Quando Eikhe l’aveva intercettata senza difficoltà, aveva di sicuro perso almeno dieci anni di vita.

Prevenendo qualsiasi reazione violenta da parte di Aken, Eikhe disse lesta: “Gliel’ho detto io. Era il modo migliore per far capire ai tuoi uomini cosa significhi avere a che fare con una come me.

Spezzando il dardo tra le dita, Eikhe continuò seria, rivolgendosi ai soldati ancora attoniti: “Avvertiamo per natura il pericolo rivolto contro di noi, o contro coloro che riteniamo di dover proteggere, esattamente come farebbe un lupo per la propria famiglia. Dovrete tener conto del fatto che, molto probabilmente, le figlie sacre contro cui combatterete saranno guidate dal bisogno impellente di proteggere le loro creature. Penso sia l’unico modo in cui Nargan le abbia legate a sé, e cioè mediante i figli, o altre sorelle di sangue tenute prigioniere.”

“Vorresti farci credere che …” tentennò un soldato, guardandola dubbioso “…che non è tutta una messinscena, questa? Eri d’accordo con il principe!”

Sbuffando, Eikhe fissò Aken e dichiarò sgarbata: “Gli uomini delle pianure hanno la testa più dura di un macigno, a quanto vedo, non ero solo un problema dei tuoi compagni d’arme! Mi chiedo come potrete vincere contro Nargan, se ragionate così!”

Prima ancora di poter replicare all’aspro commento di Eikhe, Aken scorse il soldato che aveva parlato  lasciare le fila del gruppo per avventarsi contro la ragazza.

Già sul punto di bloccarlo e di rimproverarlo a male parole, il principe sì bloccò non appena si avvide del sorriso soddisfatto di Eikhe, dipinto sul suo volto sereno.

Lo aveva fatto di proposito!

Come un bisonte infuriato, il soldato si avventò contro Eikhe con tutta l’intenzione di gettarla a terra.

I sensi della ragazza, però, risvegliati dal pericolo, registrarono con dovizia di particolari ogni suo movimento e ogni difetto nella sua postura offensiva.

Approfittandone istantaneamente, lei lo atterrò con una spazzata prima di arrampicarsi lesta sul cornicione di una finestra nelle vicinanze, fissando il gruppo dall’alto con i suoi occhi ambrati, ridotti a due esili fessure infuocate.

Un basso ringhio di gola le scaturì dalla bocca dai denti snudati e gli uomini, osservandola al colmo dello stupore, fecero istintivamente un passo indietro.

Ma non il soldato gettato a terra.

Lui, indifferente al pericolo, sguainò un pugnale dal fodero e si lanciò nuovamente contro Eikhe sotto lo sguardo sofferente di Aken.

Pur comprendendo le motivazioni della ragazza, temette per la sua incolumità.

Non vista, Anladi osservò a sua volta la scena dalla Sala della Musica, stringendo convulsamente le mani attorno alla stoffa dell’ampia gonna.

Eikhe sogghignò nel vedersi nuovamente attaccare dall’uomo e, preferendo una risposta diretta, si avventò contro di lui come avrebbe fatto Nys.

Atterrandolo senza sforzo alcuno, strinse una mano attorno al suo collo, mentre l’altra lo disarmava con uno schiaffo violento.

Senza fatica, lo immobilizzò a terra, poggiando le ginocchia sugli avambracci del soldato.

Una mano stringeva il suo collo taurino, mentre l’altra era sollevata sopra la sua testa, come monito a non muoversi.

La voce che scaturì dalla sua bocca era metallica e fredda come il ghiaccio.

“Avresti dovuto restare dov’eri, e non attaccarmi!”

Rivoli di sudore ghiacciato scesero sul volto attonito e spaventato del soldato che, invano, cercò di liberarsi dal suo peso.

Gli altri soldati e Aken osservavano muti la scena, in ansiosa attesa dell’esito finale dello scontro.

Eikhe, non contenta, chinò il viso verso di lui, i denti messi in evidenza dal sogghigno dipinto sul suo volto, reso inespressivo dalla furia.

Con un sussurro di ghiaccio, aggiunse: “Berrò il tuo sangue e godrò del suo calore lungo la gola.”

“Eikhe” si arrischiò a richiamarla Aken, temendo potesse perdere il controllo.

Le sue mani stavano tremando considerevolmente.

La furia stava avendo il sopravvento sul suo intento primario.

Il lupo stava uscendo in tutta la sua violenta e primordiale ferocia.

La ragazza si volse rabbiosa verso di lui e a quel punto Aken, non potendo fare altro per fermarla, si avvicinò guardingo a lei e si inginocchiò al suo fianco.

Con voce carezzevole, mormorò: “Non ti è nemico, Eikhe. Anche lui è sotto la tua tutela. E’ uno dei miei uomini, come lo era Lenar.”

Nel sentirlo nominare, Eikhe sgranò gli occhi, che si fecero liquidi di lacrime e, lasciando immediatamente la presa dal collo del soldato, fissò Aken e disse confusa: “Scusa, io non… non avrei dovuto… però…”

Sul collo del soldato era presente un’ecchimosi più che evidente.

“Sst, non dire nulla, Eikhe…” la azzittì gentilmente lui, aiutandola ad alzarsi mentre alcuni soldati accorrevano a dare una mano al compagno ancora steso a terra. “… hai fatto bene. Era l’unico modo per chiarire le idee a tutti.”

Mordendosi un labbro per la tensione nervosa, Eikhe strinse i denti fino a far spillare una goccia di sangue e Aken, turbato, esalò: “Eikhe, attenta, ti stai facendo male!”

Devo. E’ l’unico modo che conosco per calmarmi” ansimò la ragazza prima di fissare lo sguardo sui soldati ed esalare con voce roca: “Non si fermeranno mai, mai! L’unico modo per bloccarle è ucciderle.”

I soldati annuirono, ora più che convinti della veridicità delle sue parole.

Guardandola spiacente, Aken mormorò contrito: “Non avrei dovuto obbligarti a portare a galla un simile potere.”

“Se servirà a salvare i tuoi uomini, allora il mio dolore sarà stato speso per una giusta causa” disse per contro Eikhe, leccandosi il labbro ferito e calmandosi gradatamente.

Le mani le tremavano ancora, ma ora in maniera meno convulsa.

Pur desiderando abbracciarla e aiutarla a farle passare la paura, il principe si limitò a fissare i suoi uomini uno a uno, prima di asserire torvo: “Non sottovalutatele mai, se non volete ritrovarvi con la gola mozzata.”

“Lo… lo avresti fatto sul serio?” chiese il soldato ferito, fissando Eikhe con occhi ancora leggermente sgranati dalla paura.

Eikhe annuì lapidaria, senza remora alcuna.

“Una volta che il processo è innescato è difficile, per non dire impossibile, bloccarlo. Il principe mi ha detto l’unica cosa che avrebbe potuto frenare la mia mano.”

Il figlio di Lenar, presente tra le fila dei soldati, le sorrise benevolo e dichiarò: “Penso che tu ci abbia dato una grande lezione di umiltà, ragazza-lupo… per quanto mi riguarda, io ti ringrazio.”

Eikhe annuì debolmente, rivolgendo un sorriso grato al giovane.

Più tranquillo, Aken la fissò in viso per comprendere come stesse.

I suoi occhi erano nuovamente limpidi, privi del ghiaccio rovente che era brillato ferale nel suo sguardo. Forse, il peggio era passato.

“Quante figlie sacre hai detto che ci sono, sulle montagne?” chiese a quel punto Aken, intrecciando le braccia sul petto per impedirsi, ancora una volta, di stringerla a sé.

Averla così vicina e non poterla toccare come avrebbe voluto, era un’autentica tortura.

Rimuginandoci un attimo, Eikhe asserì: “Saremo poco più di un centinaio, non di più.”

“E Nargan, quante ne avrà con sé?” chiese allora lui, aggrottando leggermente la fronte.

“Spero il meno possibile. Ma, visto che ha nominato le donne del passo, so con certezza che, tra quelle tribù, erano presenti almeno una ventina di figlie sacre. Inoltre, non posso sapere se quelle che risiedono nel regno di Anarsis abbiano o meno avuto a che fare con Nargan, perché non abbiamo molti contatti con loro. Il loro numero potrebbe variare da venti, a cento, senza alcun problema” ammise Eikhe fissando cupa Aken, spiacente per ciò che stava dicendogli.

Lui annuì grave prima di sentire sulla pelle il calore inconfondibile di un raggio di sole.

Impallidendo leggermente, tornò a guardare Eikhe, notando sul suo viso lo stesso pallore.

La neve aveva smesso di cadere e, entro breve, le sarebbe stato possibile prendere la via di Marhna.

Il tempo era scaduto.

Tornando a rivolgersi agli uomini di Aken, Eikhe dichiarò lapidaria: “Non esiste nulla, in natura, che possa fermare una figlia sacra lanciata in battaglia. Quindi, dovrete ucciderle, perché ferirle non basterà. E dovrete essere rapidi, perché una figlia sacra è pericolosa finché non muore.”

Gli uomini la guardarono con serietà ed Eikhe, con un piccolo sospiro, aggiunse mestamente: “Credo non ci sia altro da dirvi. Avrei preferito avere più tempo per mostrarvi come ci muoviamo durante una battaglia, ma credo di non poter più rimanere. Devo tornare a Nestar.”

“Non puoi proprio aspettare?” esalò Aken, restio a lasciarla andare.

Scuotendo il capo, Eikhe mormorò a capo chino: “Lui è stato chiaro. A tempesta finita, avrei dovuto ripartire. Sono passate due settimane, e non posso più attendere. Ormai, l’inverno è cominciato e devo approssimarmi ai monti, se non voglio rimanere bloccata qui.”

“Capisco” sospirò Aken, prima di veder avvicinarsi il fratello e Kannor.

Sui loro volti, era evidente che anche loro avevano compreso che il tempo di Eikhe alla capitale era terminato.

Come sicuramente era visibile nei suoi occhi, anche nei loro brillava una triste luce di rimpianto.

“Voi due, rimanete con gli uomini e spiegate tutto che avete imparato a vostra volta sulle figlie sacre. Avere più opinioni in merito non farà che bene. Poi, io e te, fratello, parleremo un po’.”

Annuendo preoccupato, Ruak prese Eikhe per una spalla e disse: “Di’ una buona parola per me, ti prego.”

“Contaci” gli sorrise Eikhe, avviandosi in direzione del palazzo in compagnia di Aken.

Una volta avvolti dalle pareti gradevolmente calde del maniero, Aken scortò la ragazza in una sala d’armi del pianterreno.

Dopo aver controllato attentamente, e per diversi minuti, le rastrelliere colme di spade e daghe di antica fattura, si volse in direzione della ragazza.

“Vorrei farti dono di una daga nuova, se per te va bene. Un piccolo segno della mia riconoscenza, per tutto ciò che hai fatto per me e per il Regno.”

“Sai che non ce n’è bisogno” replicò lei, sorridendo.

“Mi va di farlo” replicò Aken, volgendosi per mostrarle l’oggetto scelto per lei.

Avvolta da un elegante fodero di cuoio nero a ricami dorati, una daga dall’ampia lama pendeva dalle mani di Aken.

Prendendola con timore reverenziale, osservò ammirata la bella trafilatura in oro che percorreva tutta l’elsa fino al pomo e lì, con eleganza, andava a formare un giglio sulla superficie liscia e lucida di un’ossidiana.

“E’ davvero un dono degno di nota. Sei sicuro di volermela regalare?” esalò Eikhe, guardandolo negli occhi verdi e brillanti di lacrime.

Annuendo, lui tornò a togliergliela dalle mani per poi mormorare: “Meriteresti mille altre cose ancora, e lo sai.”

“Aken” sospirò lei, guardandolo spiacente, le lacrime che pungevano anche i suoi occhi ambrati.

Allacciatagliela al fianco, Aken ristette un momento con le mani sulla cinghia di cuoio poi, con un sospiro, le domandò: “Posso avere un ultimo bacio, almeno?”

A Eikhe sfuggì un risolino e, alzatasi in punta di piedi, gli prese il viso tra le mani e lo baciò con la stessa passione che aveva sempre messo in ogni loro incontro amoroso.

Aggrappandosi a quelle sensazioni, le disse subito dopo: “Abbi pietà del mio cuore, Eikhe, e promettimi che resterai solo mia.”

“Te l’ho già detto, manterrò il patto, principe” sorrise lei, allontanandosi di un passo quando udì i passi leggeri di qualcuno raggiungerli nella sala d’armi.

Sulla porta dell’armeria comparve Anladi che, notando l’arma al fianco di Eikhe, asserì mestamente: “Immaginavo avresti voluto partire, a tempesta finita, per cui vorrei prendessi questo, con te.”

Avvicinatasi alla coppia, le mostrò un mantello di pelliccia di volpe, aggiungendo con tono roco e sentito: “Ho notato che, tra le tue cose, mancava un indumento pesante per il viaggio che ti appresti a fare, così vorrei accettassi uno dei miei. Ti terrà al caldo durante tutto il tragitto, bambina.”

Stringendosi al petto il bel mantello pregiato, Eikhe esalò a occhi sgranati: “Siete molto buona con me, mia regina, grazie.”

“Non potrò mai sdebitarmi a sufficienza con la tua famiglia, Eikhe, ed è il minimo che io possa fare per colei che mi ha riportato mio figlio” sorrise la donna, abbracciandola con calore prima di aggiungere solo per le sue orecchie: “Vorrei darti ben altro, ma non è in mio potere, mia cara.”

Eikhe si limitò a restituire l’abbraccio, sorpresa e lieta che la regina sapesse, e approvasse.

***

Appoggiata alla sella che aveva messo a Leance, una volta giunta nella stalla dove il cavallo aveva soggiornato in quelle settimane, Eikhe osservò Aken con divertimento.

Intento a controllare che le sacche da viaggio fossero chiuse correttamente, sembrava volesse uccidere qualcuno da un momento all’altro.

Lo capiva, perché avrebbe voluto sfogarsi a sua volta allo stesso modo, ma era inutile infuriarsi con l’ineluttabilità del destino.

“Vanno benissimo, Aken. E’ inutile che le fissi così male.”

Aken sbuffò, lasciando infine perdere le sacche e la ragazza, arruffando i capelli del principe con una mano, celiò: “Non essere così ombroso, Altezza.”

Scostandosi, lui si passò nervosamente una mano tra i capelli per risistemarli e, fissandola malamente, sbottò: “Ho tutte le ragioni per esserlo, e lo sai! Smettila di burlarti di me, piccola strega!”

“Adoro quando mi chiami così” ghignò lei, ben decisa a non mostrare la sua tristezza.

Sospirando afflitto, lui si volse a mezzo come per andarsene ma poi, bloccandosi a metà di un passo, le ordinò: “Stai attenta, quando ti troverai sulla carovaniera.”

“Non sono sempre stata attenta?” replicò lei, prima di vedere Ruak entrare nella stalla. “Principe, buongiorno.”

“Eikhe” le sorrise cordialmente lui, notando subito il cipiglio irritato del fratello. “Ti sei svegliato male, Aken?”

“Lasciami in pace, Ruak” brontolò il fratello maggiore, uscendo a grandi passi dalla stalla e scalciando un sassolino con rabbia.

Scrollando le spalle di fronte al comportamento insensato di Aken, Ruak ridacchiò e si avvicinò a Eikhe per abbracciarla.

Depostole un bacio sulla fronte, disse: “Fai buon viaggio, e porta con te i miei ringraziamenti per ciò che hai fatto.”

“Lo rifarei altre mille volte” replicò Eikhe, prima di aggiungere: “Prenditi cura di tuo fratello. Fa tanto il gradasso, ma ha un cuore sensibile.”

“Lo so” annuì Ruak, sorridendole. “Mi sarebbe piaciuto che tu fossi rimasta più a lungo. Avrei voluto approfondire la nostra amicizia, ma so che c’è bisogno della tua parola tra le tue sorelle.”

Abbracciandolo nuovamente con forza, Eikhe mormorò contro il suo petto: “So che sei una persona buona come tuo fratello, Ruak, e anch’io avrei voluto rimanere di più.”

Sospirando, Ruak la tenne stretta a sé per un momento, prima di mormorare: “Ad Aken si spezzerà il cuore.”

Eikhe preferì non dire nulla e, quando si scostò da lui, gli carezzò una guancia con affetto.

“La donna che conquisterà il tuo cuore, troverà in te un uomo degno e capace.”

“Grazie, Eikhe” le sorrise lui, prendendo Leance per le briglie di corda per accompagnarlo fuori dallo stallaggio.

“Lo penso veramente” disse solo lei, seguendolo all’esterno con passo lesto.

Nel cortile antistante il largo portone che conduceva fuori dal perimetro protetto del maniero, trovò ad attenderla Aken, insieme ad Anladi.

Abbracciandola e baciandola sulle guance, la regina le disse: “Sii prudente, bambina, e porta i miei ringraziamenti a Kaihle.”

“Lo farò, mia signora” mormorò la ragazza, scostandosi dalla donna per sorriderle.

Infilata poi la mano nella sua scarsella da cintura, le pose tra le mani due piccole pietre dure e dalla forma sferica.

Anladi, sorpresa, fissò quelle gemme trasparenti e dal colore dorato senza sapere bene cosa fossero.

“Sono chiamate ‘occhio di lupo’, per via del loro colore  e della forma. Noi figlie del branco le portiamo sempre come portafortuna, e volevo farne dono a te e a tua figlia, mia regina. Possono essere indossate solo da donne.”

“Ma… e tu, Eikhe?” esalò Anladi, rigirandosi le pietre tra le dita, e notando il minuscolo foro passante che contraddistingueva entrambe le gemme.

“Facevano parte di un bracciale a sette pietre. Ne avrò in abbondanza, per portarmi fortuna nel rientro” sorrise Eikhe, lanciando uno sguardo divertito verso le porte del palazzo, da cui si poteva intravedere la figura semi nascosta di Melantha.

Anche Anladi la notò, e sorrise mesta nel richiudere la mano sulle gemme, mormorando: “E’ troppo abituata a essere solo una principessa. Ed è in parte colpa mia.”

“E’ figlia del luogo in cui è cresciuta, esattamente come me” scrollò le spalle Eikhe.

Nelle settimane passate a palazzo, aveva notato quanto Melantha fosse imprigionata nel suo ruolo, e quanto questo la condizionasse.

Dubitava fosse una persona veramente cattiva, ma il suo ruolo le imponeva un comportamento che non poteva andare d’accordo con quello di Eikhe.

Ugualmente, voleva lanciarle quell’offerta di pace. In fondo, dopo quel primo incontro, non era più stata fastidiosa, con lei.

Come aveva detto alla regina, era figlia del luogo in cui era cresciuta.

Salendo a cavallo dopo aver lanciato un ultimo sguardo ad Aken, che reclinò il viso e disse: “Vi ringrazio per la gentile ospitalità, e prometto che farò il tutto e per tutto, per convincere le mie sorelle a darvi man forte.”

Ciò detto, diede un colpo di tacco ai fianchi del cavallo e partì.

Alle sue spalle, Anladi e Ruak la salutarono con gesti leggeri delle mani mentre Aken, in disparte, mormorò: “Eikhe.”

Fu il tonfo sordo dei battenti del portone che si chiudeva, a restituire al principe un minimo di contatto con la realtà.

La figura di Eikhe era sparita. Forse, per sempre.

E a lui sarebbe rimasto solo il ricordo di lei, a imperitura memoria dell’amore che provava per quella giovane ragazza-lupo.

Anladi gli sfiorò comprensiva un braccio per ricondurlo a palazzo e lui, con un cenno di assenso, la seguì.

Melantha li osservò entrare con un misto tra curiosità e contegno e la madre, nel prenderla sottobraccio, le sorrise, dicendole: “Potevi venire a salutarla, se volevi.”

La principessa storse il naso, scuotendo poi la testa, limitandosi a dire: “Non le piacevo. Perché rovinarle il viaggio con la mia presenza?”

“Non hai fatto molto per piacerle” brontolò in risposta Aken, vedendosi poi rivolgere uno sguardo di biasimo dalla madre.

“Tyana ti ha detto qualcosa in merito?” le domandò intuitiva Anladi, vedendo arrossire la figlia per diretta conseguenza.

Melantha la fissò con occhi enormi e spaventati, ma la madre non chiese altro. Sapeva quanto, la figlia, fosse sensibile ai commenti delle dame di corte.

Purtroppo, vivere in quel mondo non era facile per nessuno, e la figlia aveva un carattere molto sensibile ai rimbrotti.

L’idea di perdere la stima di una sole delle nobili cortigiane, era per lei sinonimo di terrore puro.

Non faticava a immaginarsi ciò che l’amica le avesse paventato, se solo si fosse comportata come i fratelli.

Mostrandole perciò una delle pietre dono di Eikhe, Anladi le disse: “La farò montare su un bracciale, perché tu possa portarlo quando vuoi. E nessuno saprà mai che te lo ha regalato lei.”

Melantha fece tanto d’occhi e, nel prendere in mano la singolare pietra ambrata, mormorò: “E’ davvero per me?”

“Solo le donne possono portarlo. E’ un portafortuna.”

La principessa, allora, sollevò il suo polso per mostrare un sottile monile in argento che indossava e, sorridendo appena, mormorò: “Puoi farlo mettere qui?”

“Tutto quello che vuoi, figlia mia” assentì Anladi, sorridendo nel vedere come Melantha stringeva nella mano la piccola pietra.

***

Lasciando andare il grande stallone alla maggior velocità possibile, Eikhe macinò miglia su miglia impiegando quasi due settimane a raggiungere la sua gente.

Nonostante le strade fossero ormai dissestate, e i sentieri boschivi fossero coperti di neve, raggiunse infine Nestar, la sua casa.

Quando il branco di lupi del suo clan la accolse nei pressi del villaggio, Eikhe fu lesta a calmare il cavallo, pregandolo di non spaventarsi.

Procedendo al passo, e tenendo saldamente le briglie di corda per tenere sotto controllo i lievi tremori di Leance, Eikhe eruppe in un sorriso colmo di gioia e mestizia insieme, quando scorse le prime case di legno della sua tribù.

L’arrivo al villaggio di Nestar fu, per la ragazza, quanto di più doloroso le fosse mai successo fino a quel momento.

Ormai era lontana da Aken, lontana da metà del suo cuore, e non poteva far nulla per riavvicinarsi a lui.

Il suo compito era portare la parola del Re tra le sue compagne, sperando che tutte avessero udito gli ululati del dio-lupo e avessero compreso la gravità della situazione.

Doveva farsi forza per dare ad Aken la possibilità di sconfiggere i suoi nemici, offrendogli il maggior numero possibile di alleati a dargli man forte.

Al tempo stesso, avrebbe dovuto dimenticarlo e relegarlo in un angolo segreto del suo cuore, sperando nel contempo di sopravvivere alla separazione.

Non era sicura di poter continuare a vivere senza di lui, ma aveva fatto una promessa, e lei manteneva sempre la parola data.

A qualsiasi costo, anche se sapeva che, questa volta, il prezzo sarebbe stato elevatissimo.

Smontando da Leance con un agile movimento di gambe gambe non appena giunse di fronte alla casa della madre, Eikhe lo legò alla palizzata dell’abitazione prima di percorrere i due gradini di pietra che portavano all’entrata.

Lì, toltasi gli stivali infangati, bussò un paio di volte al battente di quercia prima di ritrovarsi davanti la sorella.

Sorprendendola oltremodo, Tyura la abbracciò ed esclamò con foga: “Sorella! Ormai ti davamo per morta! Cos’è successo?!”

Dopo aver ricambiato l’abbraccio con una punta di imbarazzo, Eikhe entrò in casa e indossò le pianelle di coniglio ai piedi, dicendole con autentico affetto: “Ti spiegherò tutto, Tyura, tranquilla. Mi fa piacere vedere che stai bene. Sai se la mamma è  in casa?”

Al nominarla, la donna comparve dalla sua stanza e, con un sorriso, la strinse un momento a sé in un rapido abbraccio, prima di dichiarare: “Il dio-lupo ha risposto alle mie preghiere. Sei salva, figlia mia.”

Annuendo, Eikhe mormorò seria in volto: “Lo avete udito, vero?”

Grave in viso, Kaihle annuì e, nel condurla in salotto, disse: “Spiegami cosa significa il suo messaggio. Diceva di parlarne con te.”

“Sarà la guerra, madre, e il Re ha bisogno del nostro aiuto. Durante la mia missione per accompagnare il principe Aken ad Anok Fort, siamo stati attaccati da re Nargan, che ha massacrato tutta la scorta di Sua Altezza. Noi ci siamo salvati per miracolo e, nel risalire verso il Passo di Kortoss, abbiamo visto cosa stanno preparando. Ci sono decine di migliaia di uomini pronti a invadere il Regno, decisi a distruggere tutto ciò che incontreranno sul loro cammino” spiegò Eikhe con enfasi. “Non risparmieranno nessuno, madre. Sono esseri spietati!”

Aggrottando la fronte, Kaihle si guardò intorno con aria accigliata e, infine, le chiese: “Dov’è Nys? Perché non è con te?”

“E’ morto sul passo, e Kalkos è stato ucciso durante l’agguato di Nargan, che ha decretato la morte dei compagni del principe” sospirò Eikhe, reclinando il capo e sentendo l’ormai familiare dolore al petto.

Sospirando spiacente, Kaihle le poggiò una mano sulla spalla, comprensiva.

“Hai subito gravi perdite, figlia mia, e penso tu sia stanca e provata dal viaggio. Vai a riposare, mentre io penserò a come risolvere questa situazione. Il Consiglio delle Anziane si deve riunire quanto prima.”

Annuendo, Eikhe sottolineò con foga: “E’ importante mettere da parte l’ostilità con gli uomini, madre, e aiutare il Re, o non ci sarà futuro per nessuna di noi!”

“Hai parlato con Arkan?” volle sapere Kaihle, accigliata.

“Sì, è stato cortese, e ha usato i titoli che mi sono dovuti…” le spiegò Eikhe, prima di aggiungere: “… Nargan è una bestia, invece. Voleva… sobillarmi perché usassi la mia forza… e mi ha detto che molte di noi sono in mano sua. Non oso neppure pensare a cosa possa aver fatto loro.”

Sollevando un sopracciglio con evidente sorpresa e preoccupazione, Kaihle asserì: “Questo è allarmante. Devo parlarne con le altre capo-tribù. Sei disposta a ripetere ciò che sai anche a loro?”

“Sì, madre” assentì Eikhe, ben sapendo il perché di quella domanda.

Fin da quando, alla sua nascita, il Consiglio delle Anziane era stato informato della sua peculiare rarità, nessuna di loro aveva mai voluto avere a che fare con lei.

Le figlie sacre erano temute e odiate dalla maggioranza delle figlie del branco.

Durante le sessioni di Consiglio tenutesi a Nestar, Eikhe non aveva mai potuto essere presente, per non scatenare le ire di molte delle consigliere.

Ora, però, avrebbe dovuto affrontarle nonostante la loro ostilità e i membri del Consiglio, a loro volta, avrebbero dovuto tacere le loro rimostranze dinanzi a lei, per una volta.

No, non era una cosa che le facesse piacere fare, ma doveva.

“Bene, ora vai e riposati” ordinò a quel punto Kaihle, accomiatando la figlia minore.

Annuendo, Eikhe tornò sui suoi passi per uscire dalla casa matronale  assieme alla sorella e lì, notando la cavalcatura della sorella, Tyura le chiese: “Dove hai preso quel bel cavallo? E il mantello che indossi?”

“Lo stallone me lo ha regalato il re, come ringraziamento per ciò che ho fatto. Si chiama Leance” le spiegò Eikhe, rimettendosi gli stivali. “Il mantello è dono della regina, invece, mentre la daga me l’ha donata il principe Aken.”

Carezzando il bel pelo serico dell’animale, Tyura esalò ammirata: “E’ davvero un bell’animale, dai muscoli possenti e le zampe forti. Deve costare una fortuna.”

“Non lo so davvero  ma sì, è bello. Ed è molto veloce” ammise con un sorrisino Eikhe, prendendo l’animale per le redini per condurlo verso la piccola stalla di casa sua.

“Mi spiace per Nys, sorella. Era un lupo davvero buono e fedele” disse a quel punto Tyura, seguendola lungo la via principale del villaggio, e tenendo a debita distanza le loro sorelle con occhiate accigliate.

Avrebbero avuto tempo per parlare con la sorella, ma non in quel momento.

“Ora come farai?”

“Ne sceglierò uno dal recinto, e gli insegnerò quel che devo” sospirò Eikhe, bloccandosi a metà di un passo prima di dirle: “Non temere per me, Tyura. Posso cavarmela anche senza che tu incenerisca con lo sguardo tutto il villaggio.”

Ridendo suo malgrado, Tyura si passò una mano sulla chioma scura, e ammise: “Eh, già, credo tu possa farlo davvero. So che abbiamo litigato spesso, in questi anni ma credimi, mi sei mancata davvero. Quando non abbiamo più avuto tue notizie, ho capito che la tua morte mi avrebbe spezzato il cuore. Siamo diverse in tante cose, ma ti voglio bene.”

Sorridendole con autentico affetto, Eikhe la abbracciò per un istante, replicando: “E io ne voglio a te, Tyura. Ma ora torna pure dalla mamma. Avrà bisogno anche di te per scrivere le missive; sono tante e, in due, finirete prima.”

“Già. Ti vedremo per cena?” annuì lei, sciogliendosi dall’abbraccio.

“Sì, verrò” sorrise Eikhe, prima di allontanarsi per raggiungere casa sua.

Raggiunta la sua capanna – che aveva voluto per sé all’età di sedici anni, trovando ormai impossibile vivere sotto lo stesso tetto della madre – , mise Leance nel suo box al coperto e gli diede biada e avena.

Dopo aver riempito l’abbeveratoio, gli tolse sella e sacche da viaggio e lo strigliò a dovere.

Sistemato che ebbe il cavallo, lasciò le sacche nell’atrio di casa e ne uscì subito dopo per dirigersi al capanno dei lupi, così da scegliere il suo nuovo compagno.

Non le piaceva sostituire Nys come se niente fosse, ma sapeva di non poter rimanere senza un lupo.

Facendosi forza, entrò perciò nell’ampio capanno dove solevano addestrare i cuccioli e, dopo essere stata accolta dagli uggiolii allegri dei lupacchiotti, si inginocchiò accanto a loro.

Presone uno in braccio, dichiarò con un mesto sorriso: “Sarai il mio nuovo compagno, Liar.”

Il bel lupetto grigio le leccò allegramente il viso e lei, nonostante tutto, rise stringendoselo al petto e, nel suo pelo, affondò il viso e pianse lacrime amare.

Pianse per Nys, che era morto per difenderla, e pianse per Aken, che aveva lasciato a Rajana forse per sempre.

Sapeva che il loro amore non avrebbe potuto avere altro esito e, pur a malincuore, aveva dovuto partire senza voltarsi più indietro.

Il suo posto era lì, con le sue sorelle, e non tra le mura di pietra di un castello.

Anche se, in quel castello, c’era l’altra parte del suo cuore spezzato.

Dopo diversi minuti passati in ginocchio nel capanno, circondata dall’allegria inconsapevole dei cuccioli impegnati in un innocuo gioco, Eikhe se ne tornò alla capanna con il suo nuovo lupo in braccio.

Non senza sorpresa, si vide raggiungere dalla cara amica Sendala.

Con un sorriso e un bacio sulla guancia, le disse: “Ciao, Sendala. E’ bello rivederti.”

“Eikhe, cara! Non sai che paura mi hai fatto prendere, quando non ti abbiamo più vista tornare!” esclamò lei, abbracciandola con foga.

Ridacchiando nel sentire il lupo protestare, schiacciato malamente contro i seni dell’amica, Eikhe si liberò dell’abbraccio e disse: “Spaventi Liar, Sendala.”

“E Nys?” esalò la ragazza, impallidendo nel guardarsi intorno con espressione accigliata.

“E’ morto, come Kalkos, ed è tutta opera di quei maledetti di Vartas” le spiegò Eikhe con asprezza, invitando l’amica a seguirla nella sua capanna.

“Quando abbiamo sentito la voce del dio, ci siamo spaventate a morte. Non era mai successo prima” esalò Sendala, accomodandosi su una sedia coperta di morbida pelliccia di volpe.

Nell’accendere il fuoco nel camino di pietra con l’intento di scacciare il freddo che, tante settimane di assenza, si era impadronito di quelle pareti, Eikhe commentò con un risolino: “Dillo a me, che l’ho visto!”

“Dici davvero?” gracchiò Sendala con timore reverenziale. “E com’è?”

“Oh, non era in forma umana. Mi ha detto che non può più riprendere quelle sembianze. Era un enorme lupo bianco, dagli occhi ambrati e scintillanti. Mi ha detto del pericolo che incombeva su tutte noi, e mi ha lasciata col monito di convincere tutte le nostre sorelle a collaborare con il Re. Se vogliamo salvarci, dobbiamo aiutarli”  asserì Eikhe, preferendo tralasciare la parte che riguardava il suo calvario personale.

Nessuna di loro era ancora pronta ad accettarlo, forse neppure Sendala.

“La vecchia Nahru ha detto che ci avviciniamo a un’era di grandi cambiamenti, perché il dio non si sarebbe mai preso la briga di intervenire personalmente per una cosa meno che importantissima” annuì Sendala, torva in viso.

Gli scuri capelli neri scintillavano rossastri alla luce del fuoco.

“Ti ha detto quali cambiamenti?” chiese curiosa Eikhe, continuando a tenere il lupetto sulle gambe.

Era importante che Liar imparasse a riconoscere soprattutto il suo odore.

Scuotendo il capo, Sendala sbuffò contrariata.

“Ci ha solo detto che le figlie sacre avranno un ruolo molto importante in questa fase di cambiamento.”

“Capisco” sospirò Eikhe, reclinando il capo per dare un bacio al musetto di Liar che, per diretta conseguenza, la leccò su una guancia strappandole un risolino.

Sfiorando il capo dell’amica con una mano, Sendala disse: “Sembri molto abbattuta, Eikhe. Senti la mancanza di Nys e Kalkos, vero?”

Eikhe non poté che assentire, pur se sapeva di non stare dicendo interamente la verità.

“Era il mio lupo da così tanto tempo che… beh, mi ha spezzato il cuore vederlo morire a quel modo.”

“Cos’è successo, Eikhe?” chiese allora lei, accigliandosi leggermente.

“Eravamo sul Valico di Kortoss, e ci siamo scontrati con gli uomini di Vartas. Uno di loro lo ha infilzato con una spada e io…beh, io…” sospirò Eikhe, scrollando le spalle. “… ho reagito. Li ho uccisi tutti, uno dopo l’altro, sotto gli occhi del principe.”

“Lui… cos’ha detto?” ansò Sendala, sgranando gli occhi.

Lei era una delle poche ad aver visto la parte animalesca di Eikhe, e sapeva quanto potesse essere sconvolgente, la sua vista.

“Nulla. Mi ha solo chiesto come ci ero riuscita, ma non era spaventato” le spiegò Eikhe, tralasciando il modo in cui l’aveva accudita dopo quello scoppio di rabbia.

“Beh, dopotutto, gli hai salvato la vita. Era il minimo, da parte sua, non metterti in imbarazzo” precisò Sendala, annuendo grave.

Ha fatto ben di più, pensò Eikhe, sorridendo al ricordo.

 

 

 

 *************

Non mi uccidete, ma Aken ed Eikhe dovevano separarsi, altrimenti la storia sarebbe finita lì. Le loro avventure, comunque, sono bel lungi dall’essere terminate, perciò continuate a leggere! :)

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Capitolo 13
*** cap.13 ***


 

13.

 

 

 

 

 

La riunione delle capo-tribù si svolse il mese seguente il ritorno di Eikhe.

Con un misto tra sorpresa, sgomento e gioia, la ragazza scoprì suo malgrado di aspettare un figlio da Aken.

Per evitare qualsiasi problema con la madre, preferì tacere quella scoperta.

Complice le basse temperature e i pesanti abiti invernali che erano costrette a indossare, il suo segreto fu ben protetto dai potenziali sguardi accusatori di tutte.

Nel giorno del Consiglio delle Anziane, il villaggio di Nestar era in fibrillazione.

Nessuna di loro aveva idea di quello che le Signore delle tribù avrebbero potuto decidere.

Inoltre, Eikhe non era del tutto sicura che le preghiere di Hevos avrebbero potuto qualcosa, se tutte loro non si fossero trovate d’accordo a intervenire per aiutare Arkan contro Vartas.

L’odio che, nei secoli, si era esteso nei cuori delle donne-lupo nei confronti degli uomini, era così radicato e potente che, forse, neppure la preghiera di Hevos avrebbe potuto spezzarlo.

Usati solo per poter avere delle figlie che portassero avanti la tradizione, gli uomini avevano ben poca voce in capitolo, nella crescita della prole.

Nel caso in cui fosse nato un maschio, il bimbo veniva svezzato e poi ricondotto dal padre, indegno del suo sangue e non adatto a crescere nei boschi accanto alla madre.

Era una tragica verità il fatto che, pur opponendosi a tante illogiche pratiche sessiste, come le percosse e il maltrattamento in famiglia, le donne-lupo fossero miopi al pari degli uomini.

Per Eikhe, ora era evidente come il sole che brillava tranquillo tra i monti.

Non v’era più alcuna differenza, tra loro e gli uomini.

Sfruttavano per il proprio interesse l’altrui sesso, ormai dimentiche della lezione di Hevos che le aveva volute sì, indipendenti e fiere, ma mai egoiste.

E non v’era forse egoismo, in ciò che facevano?

L’amore che Hyo e Hevos avevano condiviso nel dare alla luce la piccola Evanna non esisteva più, nelle tribù di donne-lupo a loro devoti.

Era stato sostituito dalla diffidenza, dal sospetto e dalla cieca cocciutaggine.

Cocciutaggine che, quel giorno, Eikhe sperava di spezzare o, quanto meno, di veder in parte scemare.

Per l’evento così importante di quel giorno, Eikhe, Tyura e un altro paio di sorelle erano state incaricate di preparare la Sala Consigliare.

Le giovani si erano perciò impegnate per far risplendere ogni più piccola asse del pavimento, o pietra del camino, che componeva l’enorme salone.

Raccolti  per il fuoco odorosi rami di Abete delle Nebbie, il camino era poi stato acceso nella sala consigliare perché fosse degnamente accogliente per le ospiti.

Avvolte dal dolce profumo di resina, una quarantina di donne si erano infine accomodate su morbidi cuscini ricamati, in attesa dell’intervento di Kaihle e della figlia.

Un vento inclemente sibilava tra le case di Nestar, mentre una neve fredda e leggera cadeva sulle montagne, andando sommarsi a quella precedentemente caduta in quelle settimane.

Servendo tisane calde e vino speziato alle ospiti, Tyura si ritirò in un angolo del salone non appena ebbe terminato quel compito.

Alzandosi infine in piedi per meglio osservare le sue ospiti, Kaihle esordì con tono stentoreo: “Grazie a tutte voi per essere intervenute, nonostante il tempo inclemente di questi giorni. La situazione è grave, e penso che tutte voi abbiate udito la voce del nostro dio, tra le guglie di queste montagne.”

Molte annuirono silenziose e la Signora del Villaggio, proseguendo nel suo dire, aggiunse: “A tutte noi è parso preoccupante il suo monito ma, chiedendo conferma a mia figlia, ho scoperto il perché di tanta sollecitudine.”

“Dovremmo dunque schierarci con gli uomini?” insorse una donna, irritata.

“Per la salvezza di noi tutte, è di vitale importanza accettare quest’alleanza” annuì Kaihle, seria in viso. “Di’ quello che sai, figlia.”

Annuendo, Eikhe si alzò in piedi dall’angolo della stanza che stava occupando assieme a Tyura e si avvicinò alla madre con passo lesto.

Cercando di ignorare le occhiate accigliate di molte di loro, si schiarì la voce e iniziò a narrare ciò che sapeva.

 “Agli albori dell’inverno, ho accompagnato il nostro principe e alcuni suoi uomini sul Sentiero dell’Orso, per scoprire cosa fosse successo ad Anok Fort. Siamo però stati attaccati dagli uomini di Vartas e, solo per pura fortuna, io e il principe siamo riusciti a salvarci.”

Un coro di sommesso stupore si levò tra le donne, ma Eikhe preferì non ascoltare i borbottii di alcune di esse.

Il fatto che non reputassero la morte di quegli uomini incresciosa, non le serviva a rimanere vigile e controllata.

“Quando ci siamo ritrovati in territorio nemico,…” proseguì la ragazza con tono fermo. “…abbiamo scoperto cosa cercassero di celare ai nostri occhi i nostri comuni nemici. Vartas sta radunando un esercito che, attraverso il Valico di Kortoss, invaderà Anarsis e, da lì, il regno di Enerios. Ho udito lo stesso re Nargan affermare con orgoglio i propri intenti bellicosi e credetemi, non mentiva.”

Un brusio preoccupato si levò tra le presenti e un’anziana donna, guardandola torva, dichiarò torva: “Perché dovremmo abbassarci ad aiutare gli uomini? Sappiamo difenderci da sole. Inoltre, perché dovremmo credere proprio a te, sik’neam?!”

Accusando il colpo pur non volendo – odiava essere definita ‘abominio’, soprattutto da loro – Eikhe reclinò un momento il capo prima di dire umilmente: “Sono solo un’ambasciatrice della Sua parola, come Lui stesso vi ha detto. E porto con me la gentile richiesta del Re, che con me è stato generoso e prodigo di lodi verso tutte noi.”

“Ah, sappiamo bene come gli uomini cerchino sempre di blandire le donne con le lusinghe e tu, come una sciocca, ci sei cascata?” replicò l’anziana che l’aveva insultata, irridendola senza ritegno. “Sei anche andata a scaldare il suo letto, per ringraziarlo della sua cortesia?”

Avvampando in viso, Eikhe strinse le mani a pugno lungo i fianchi e, con ira a stento trattenuta, si limitò a dire: “Mai mi sarei permessa di insozzare il nome delle mie sorelle o di mia madre, compiendo un simile gesto. Ma tengo a precisare che le nostre tribù vivono grazie alla stirpe dei re di Enerios, che non ne hanno mai impedito la sopravvivenza. La famiglia reale non è mai stata contro di noi.”

“Potremmo ricacciare i loro eserciti in pianura tutte le volte che vorremmo!” sbottò la donna, pur con meno enfasi di prima.

“Ora non dire sciocchezze, Neralla. Gli uomini del Re ci farebbero a fettine sottili, se solo volessero. Sono molti più di noi, e con più mezzi” replicò una delle Consigliere, con una nota aspra nella voce.

Sollevando una mano per interrompere sul nascere una discussione inutile, Kaihle si rivolse alle due contendenti per chetarle.

“Neralla, Ophiana, pace, per favore. Non siamo qui per disquisire di Re e uomini, ma di una guerra imminente. Lasciate finire di parlare mia figlia e, solo in seguito, parlerete.”

All’assenso di tutte, Eikhe tirò un sospiro di sollievo e proseguì nel suo discorso, sapendo bene di aver lasciato la vera nota dolente per ultima.

“L’esercito di Nargan può contare su un numero imprecisato di figlie sacre, tra le loro fila.”

Vedendo impallidire molte Consigliere, a quell’accenno, aggiunse: “Re Nargan mi ha detto di averne diverse, nel suo esercito, e sapete bene quale sia il loro potere. Non so quante siano schierate sotto la sua egida, ma dieci di loro valgono come cento di  noi.”

“Com’è possibile che si siano vendute a degli uomini?!” ringhiò Neralla.

Levatasi in piedi, mosse i primi passi verso Eikhe con il chiaro intento di infierire su di lei.

“Non potevamo certo aspettarci niente di meglio, da feccia come te e le tue compagne! Siete un insulto allo stesso Hevos! Non meritate di avere simili doni, poiché siete solo foriere di infelicità e malasorte!”

Intervenendo dal fondo del salone, Tyura accorse per bloccare Neralla e, frapponendosi tra sé e la sorella, sibilò con tono aspro e lapidario.

“Un solo passo di più, Consigliera, e mi riterrò in dovere di snudare la daga. Non si levano le mani, in questa sala, e tu stai ingiustamente denigrando mia sorella per una cosa che non ha fatto.”

“E’ così che le educhi, Kaihle?” brontolò Neralla, fissando malamente la padrona di casa.

Imperturbabile, la donna replicò: “Al rispetto delle leggi? Sì. Tyura ha detto il vero. Non si levano mani, qui dentro, e mia figlia minore non ha tradito noi tutte per congiungersi a Vartas. Potrà anche non incontrare il vostro favore per ciò che è, e su questo non discuto, ma non ha detto nulla che possa incorrere nel tuo biasimo.”

Preferendo non dare troppo peso alle parole della madre che mai, nel corso della sua breve vita, l’aveva difesa dall’accusa di essere una sik’neam, Eikhe poggiò una mano sulla spalla di Tyura perché si scostasse.

Dopo averne visto l’assenso, disse: “Non ho mai levato la mano contro nessuna di voi, Consigliera, né comincerò certo oggi, ma non ti permetto di insultarmi gratuitamente, non avendone motivo.”

“Non mi scuserò con te, figlia di Haaron” le sputò in faccia Neralla, usando il peggior epiteto possibile si potesse rivolgere a una figlia sacra.

Sgranando gli occhi di fronte a quell’esplicita violazione del protocollo, Eikhe rimase senza parole.

Tyura, al contrario, si lanciò in un’esclamazione piuttosto colorita, replicando furiosa: “Non sarai d’accordo nell’usare il titolo che spetta a mia sorella, ma non osare mai più nominare in questa stanza il nome del dio-corvo, quando ti rivolgi a lei!”

“Avremmo dovuto cancellare quel titolo assurdo secoli fa!” sbottò Neralla, fissando in cagnesco Tyura. “Solo Evanna La Splendente ne era degna! Loro…” e, nel dirlo, puntò il dito contro Eikhe. “…sono solo delle aberrazioni della natura! Non meritano il potere di un dio nelle mani!”

“E’ la gelosia, a parlare?” intervenne all’improvviso una donna sul fondo della sala, sorprendendo tutte le presenti.

Tutte le Consigliere si volsero verso la figura che, per ultima, era entrata nella sala e la diretta interessata, levatasi in piedi, mostrò a tutte i suoi splendenti occhi dorati – al pari dei capelli stretti in una treccia.

“Prima di rivolgere simili insulti a quella piccina, che non può difendersi da te perché molto più educata di  una certa Consigliera di cui non farò il nome, accanisciti contro di me, se ne hai il coraggio, e pagane le conseguenze.”

Neralla tentennò un momento, allentando la tensione alle spalle e la figlia sacra, sorridendo divertita, esclamò: “Ah, una volta giunti al dunque, taci, Neralla? Dov’è il tuo coraggio? Non combatti contro chi può risponderti a tono?”

“Kreathe, ti prego…” sospirò Kaihle, scuotendo il capo per il fastidio.

Seccamente, Kreathe replicò al suo tono scocciato con uno serafico e vagamente punteggiato di ironia.

“Non voglio venirti a noia, Kaihle ma, visto che tu non difendi tua figlia dalle ignobili accuse rivolte contro di lei, ho deciso di muovermi io. Voi ci odiate per motivi che non volete neppure prendere in esame, e vi accanite su tutte noi a priori, senza tener conto che ogni individuo è diverso dall’altro, e portare rancore non ha senso.”

“Una di voi sterminò un’intera tribù! L’hai forse dimenticato?!” ringhiò Neralla, riprendendo vigore.

Eikhe si morse un labbro per non parlare, ma pensò Kreathe a redarguirla con asprezza: “Successe più di cento anni fa, e sappiamo tutte perché avvenne!”

“Sì, perché quella maledetta voleva tenersi il suo bambino. Il suo maschio impuro!” sputò con rabbia Neralla, inveendo contro la figlia sacra con ampi gesti delle braccia.

Ridendo sardonica, Kreathe ribatté: “Che c’è Neralla? Furiosa perché lei ha avuto il coraggio di farlo, mentre tu hai dovuto riportare al villaggio i tuoi tre maschietti senza mai avere una figlia a cui lasciare i tuoi preziosi insegnamenti? Chissà cosa vorrà mai dire?”

“Non li avrei tenuti neppure sotto tortura!” sbuffò Neralla, prima di replicare aspramente: “Se Hevos ha voluto così, per me, così sia. Ma non accetterò mai ciò che Luesrea fece alla sua stessa gente.”

“Dimentichi un punto chiave” intervenne pacata un’altra donna, scrutando seriamente Neralla. “Il legame tra una figlia sacra e le proprie creature può scatenare la freoha, e lo sai bene.”

Il Marchio di Hevos, o Ferocia Divina.

La freoha era sempre stata temuta da tutte, fin da quando Luesrea aveva fatto scempio di tutto il suo villaggio, reo di averle tolto, e ucciso, il figlio maschio perché lei non potesse riprenderlo con sé.

Da quel momento in poi, la nomea delle figlie sacre era caduta nel baratro, divenendo monito di sventura e presagio di morte, invece di dono e grazia del cielo.

Siveya, che aveva parlato per chetare Neralla, volse lo sguardo in direzione di Eikhe e, con un gesto grazioso della mano, disse: “Prosegui pure, figlia sacra, e scusa la maleducazione di alcune di noi. Non ti interromperemo più.”

Sbuffando, Neralla tornò a sedersi al pari di Kreathe mentre Tyura, per qualsiasi evenienza, fiancheggiò la sorella prima che ella riprendesse a parlare.

“Per rispondere alla Consigliera Neralla, penso che le figlie sacre nelle mani di Nargan siano state catturate, stuprate e torturate e, se quel che temo è vero, ne tengono in ostaggio i figli avuti da quegli stupri, o mantengono in schiavitù altre sorelle per imporre su di loro il dominio. Questo le spingerebbe a muoversi contro Enerios… per salvare loro la vita, non per alto tradimento.”

Alcune delle donne presenti reclinarono il capo, combattute di fronte allo sguardo inquisitorio di Eikhe.

Approfittando di quel momento di pace ritrovata, Kaihle dichiarò con una certa veemenza: “Non possiamo fermarci di fronte alla nostra proibizione di aiutare gli uomini, quando c’è in ballo qualcosa di più di una legge. Da sole, non potremo mai fermare lo stuolo di soldati mosso da Vartas, neppure se tutte le figlie sacre presenti  tra le nostre fila muovessero contro di loro. Dobbiamo unire le nostre forze a quelle di re Arkan.”

A quel punto, le capo-tribù annuirono di malavoglia e Kaihle, volgendo lo sguardo in direzione della figlia minore, ancora ferma al suo fianco, chiese: “Eikhe, che disposizioni ti ha dato, il re?”

“Avrebbe atteso un mio messaggio, mehem. Nel frattempo, avrebbe comunque inviato un primo contingente a Marnha per prelevare il borgomastro, che sospettiamo essere in combutta con Vartas” spiegò succintamente la ragazza.

“Quel vecchio pallone gonfiato…” sbuffò Kaihle, accigliandosi. “… avrei dovuto capire che nascondeva qualcosa. Era troppo guardingo e ruffiano, nei suoi affari.”

“Beh, ormai dovrebbe già essere ai ferri degli uomini del re, quindi…” commentò Eikhe, prima di chiedere. “… cosa dovrò scrivere a Sua Maestà, madre?”

“Digli che accettiamo di dar loro una mano, e che ci troveremo col grosso dell’esercito più a sud, in direzione di Royconea. Suppongo che sarà da lì che attaccheranno” le spiegò la madre, dopo aver lanciato un ultimo sguardo alla sala.

Eikhe assentì. “Secondo i loro Maestri della Guerra, è molto probabile.”

“Bene. Siamo tutte d’accordo, allora?” domandò Kaihle, osservando le altre donne.

Tutte annuirono ed Eikhe, sempre guardando la madre, chiese: “Posso usare il tuo studio per scrivere a re Arkan, madre?”

“Vai pure. Noi abbiamo altro di cui parlare” disse a quel punto Kaihle, guardandola con i suoi occhi profondi color del ghiaccio.

Eikhe si affrettò a distogliere lo sguardo, timorosa che, anche con una sola occhiata, la madre potesse venire a conoscenza del suo segreto.

Dopo aver salutato le altre donne, si recò nello studio della madre, seguita a breve distanza da Tyura che, con un sospiro, borbottò: “Non ho davvero voglia di mettermi a combattere, anche se malmenerei volentieri Neralla, ora come ora.”

“Credo non ci sia molta scelta, sorella. O combattiamo, o ci ammazzano. Però mi unirei a te contro la Consigliera, onestamente” celiò con un sorrisino Eikhe, sedendosi alla scrivania della madre.

Preso un foglio di carta e il calamaio, Eikhe vi intinse la penna e cominciò a scrivere al sovrano, confermando la loro disponibilità a combattere con l’esercito.

Fluenti, le parole scivolarono sul foglio pergamenato e, quando terminò il tutto, lo asciugò con carta assorbente e appose un sigillo di ceralacca sul foglio ripiegato.

Tenendo la lettera nella mano destra con aria pensosa, Eikhe si chiese se non fosse il caso di scrivere anche ad Aken ma, all’ultimo momento, preferì evitare.

A che pro, rinfocolare un dolore già forte dentro di sé e, immaginava, anche dentro di lui? Meglio lasciarlo in pace.

Levatasi in piedi sotto lo sguardo attento di Tyura, Eikhe le disse: “Domani la porterò a Marhna, e la consegnerò a un corriere della Corona.”

“Andrai a trovare tuo padre?” chiese allora Tyura.

“Perché?” esalò sorpresa la sorella minore.

“Così, per dire. Vedo che non ci sei più andata, ultimamente” scrollò le spalle lei.

“Forse lo farò. Ho avuto così tanto da fare, con l’addestramento di Leance e di Liar, che non ho fatto caso al tempo che passava” ammise Eikhe, pacata.

In effetti, mancava da Marhna già da un po’ di tempo, ma aveva aspettato che le acque si fossero calmate un poco, prima di muoversi.

Sapeva benissimo che, se avesse visto subito il padre, avrebbe ceduto all’impulso di parlargli di Aken, e sarebbe scoppiata a piangere.

Ora, invece, consapevole del fatto che, in ogni caso, una parte del suo amore impossibile sarebbe rimasta con lei, si sentiva più tranquilla e poteva affrontare il padre con il cuore più leggero.

Uscita dalla casa della madre dopo aver salutato la sorella, Eikhe indossò il suo pesante mantello di pelliccia per tornarsene alla sua capanna.

Una volta all’interno, si divertì a giocare un poco con Liar vicino al fuoco, prima di stendersi di fronte a esso e sfiorare il ventre ancora piatto, ma che conteneva la piccola, giovane vita che stava crescendo dentro di lei.

Sospirando, Eikhe chiuse gli occhi e si assopì sul tappeto vicino al camino.

Premuroso, Liar le si accoccolò vicino, come se avesse percepito il suo bisogno di compagnia.

Con un sorriso, Eikhe lo abbracciò e si addormentò completamente, cullata dal respiro regolare del suo lupo e dallo scricchiolio della legna nel fuoco.

Niente avrebbe potuto riportarle Aken, Nys e Kalkos, ma doveva lottare con tutta se stessa per non cedere allo sconforto, ora che una vita cresceva in lei giorno dopo giorno.

Quel fragile legame, quel lieve battito d’ali che, ogni tanto, avvertiva sfarfallare dentro di sé, sarebbe stata la sua ancora di salvezza dalla follia e dal crollo emotivo.

Lui, o lei che fosse, Eikhe lo avrebbe amato con tutta se stessa, perché in quel bambino era racchiuso tutto il suo amore per l’uomo che lo aveva generato.

***

La mattina seguente, di buonora, uscì per sellare Leance e, dopo avergli avvolto i garresi con pesanti teli di pelle, salì in groppa e si diresse verso Marhna assieme a Liar.

La sua missiva doveva partire quanto prima per la Capitale.

La neve caduta durante la notte aveva ispessito la coltre già presente da settimane, rendendo più difficoltosa la discesa a valle.

Con tutta calma, quindi, Eikhe procedette lungo il sentiero tenendo salde le redini di corda di Leance.

Quando fosse stato abbastanza abituato a lei, avrebbe tolto quell’inutile fardello ma, per il momento, entrambi avevano la necessità di quell’ingombrante strumento.

Dopo aver impiegato quasi tutta la mattina per scendere a Marhna, Eikhe raggiunse la casa del borgomastro, dove sapeva avrebbe trovato il comandante della guarnigione inviata da Sua Maestà.

Nel presentarsi di fronte all’enorme casa a due piani, chiese udienza e si mise in attesa vicino all’entrata, accanto ad alcuni soldati di guardia che la scrutavano curiosi.

Evidentemente, la vista di una ragazza-lupo doveva essere un’autentica novità, per quei giovani soldati di città.

Pareva non fossero in grado di staccarle gli occhi di dosso.

Se, per la gente di Marnha, lei non rappresentava affatto un evento degno di nota, per quei soldati non sembrava essere lo stesso, e questo la portò a sorridere divertita.

Sorridendo cordiale ogni qualvolta riusciva a intercettare i loro sguardi curiosi, Eikhe si vide infine avvicinare guardinga da un soldato.

Tossicchiando imbarazzato, costui le domandò: “Scusami, ma… sei tu, per caso, la ragazza che ha salvato il nostro principe?”

Annuendo un po’ sorpresa – che si fosse sparsa tanto in giro, quella notizia, a Rajana? – Eikhe replicò: “Sì, perché?”

“Laograd, laggiù, diceva che eri tu, che ti aveva vista a palazzo, e volevamo esserne certi” le spiegò il soldato, scrutandola con un misto tra curiosità e confusione.

Ridendo sommessamente, Eikhe domandò maliziosa: “E cos’altro ti ha detto, Laograd, su di me?”

“Beh, che tu… tu…” tentennò il giovane, guardandosi sovente alle spalle per cercare aiuto nei suoi compagni.

 Nulla. Tutti sembravano impegnati a fare altro.

Presa a compassione per quel giovane soldato, Eikhe si fece più gentile e, seria, gli disse: “Se conosci un soldato di nome Podgard, parlagli di me e digli di raccontarti di Eikhe di Nestar. Lui era presente, quando ho spiegato agli uomini del re cosa sono.”

 “Eh?” esalò lui, prima di vedere la porta della casa del borgomastro aprirsi.

Sull’entrata, Ruak apparve a sorpresa davanti agli occhi sorpresi di Eikhe che, avvicinandosi a lui a grandi passi, esalò: “Principe! Non sapevo avessero mandato te.”

“Mio padre non si fida che dei propri figli, perciò…” ironizzò il giovane, allungandole una mano per stringere quella della ragazza. “Vieni dentro, Eikhe, qui fuori si gela e io ho tanta voglia di parlare un po’ con te in un luogo più ameno.”

Annuendo, Eikhe seguì il principe all’interno dell’abitato, debitamente riscaldato dai camini accesi.

Dopo essere stata invitata in un salottino dalle rosee pareti, dove brillava l’ennesimo camino acceso, si accomodò a un cenno del giovane.

Guardandosi intorno incuriosita – era la prima volta che entrava in quella enorme casa – , ne studiò le pareti scevre di ogni ornamento, al pari delle piccole alcove nei muri.

Sorridendo sorniona a Ruak, chiese: “Le macchie più scure alle pareti stanno a significare che avete tolto dei quadri?”

Al suo assenso, Eikhe domandò: “Pensate siano il pagamento offerto da Vartas per corrompere il borgomastro?”

“Non lo pensiamo. Ne siamo sicuri” sogghignò Ruak, sorprendendola un poco. “Ho condotto personalmente l’interrogatorio, e ha cantato come un’allodola. Davvero uno spettacolo disgustoso.”

“Posso immaginarlo, conoscendo il tipo” ammiccò Eikhe prima di dire divertita: “I tuoi uomini mi guardavano come se avessi le corna e la coda nascoste da qualche parte.”

Ridendo nell’offrire tè caldo e pasticcini a Eikhe, non appena la domestica li consegnò loro, il principe dichiarò: “Devi capirli, Eikhe. Non hanno mai visto una ragazza-lupo in vita loro. E poi, tu sei speciale, visto che hai salvato mio fratello da morte certa.”

“Se lo dici tu…” celiò lei, sorseggiando la bevanda ambrata. “Quindi, stavolta il re ha mandato te in missione?”

Ruak sbuffò nonostante tutto e, accavallando le lunghe gambe, borbottò: “Mi ha fatto piacere uscire da palazzo, ma trovo assurdo che lui voglia delegare sempre a me e Aken il comando delle missioni, quando abbiamo dei comandanti degni di tutto rispetto, e che opererebbero ugualmente bene al posto nostro. Denigra l’ordine militare, comportandosi così, ed è deleterio per il buon nome della Corona.”

Annuendo, Eikhe asserì: “E’ come se mia madre preferisse delegare sempre alle Madri, lasciando Figlie sempre senza compiti da eseguire. Minerebbe la sua autorità, un simile comportamento.”

“Esatto. Perciò, per quanto io sia stato felice di venire – e incontrarti – sono anche assai contrariato, e non solo io.”

“Essere l’autorità in capo a tutto, non deve essere facile. Neppure per tuo padre” chiosò diplomaticamente lei.

Ruak rise con sarcasmo, levando una mano come per chiudere l’argomento. “Eri venuta qui per un motivo, Eikhe?”

Allungatagli la missiva, dichiarò: “Ho con me una lettera per tuo padre. Le tribù accettano di aiutarvi.”

“Benissimo. Invierò oggi stesso un corriere a Rajana” annuì Ruak, prima di guardarla con intensità, e dire con un leggero imbarazzo: “Vuoi mandare un messaggio anche a mio fratello?”

Guardandolo con estrema serietà da sopra l’orlo della tazza di ceramica bianca, Eikhe domandò cauta: “Lui sta bene?”

“Fisicamente, direi di sì, ma credo senta la tua mancanza. Non me la raccontate giusta, voi due e credimi, conosco mio fratello meglio di chiunque altro. I suoi sospiri non sono dovuti a stanchezza fisica” dichiarò Ruak, appoggiando un braccio sullo schienale della poltrona dov’era accomodato.

“Che vuoi che ti dica, principe…” scrollò le spalle Eikhe, finendo il suo the. “…qualsiasi cosa tu immagini, gradirei rimanesse per te.”

“Gli dirò che lo saluti, va bene?” le propose allora Ruak.

Sorridendo per quella gentilezza, lei assentì.

Trovava assurdo mentire proprio a Ruak. Inoltre, desiderava che Aken sapesse quanto ancora lei tenesse a lui.

“Può andare” lo rassicurò Eikhe, estraendo poi un paio di sacchetti dalla sua scarsella da cintura. “Ah, principe, una cosa.”

“Sì?” disse lui, un po’ teso.

“Avevo pensato di inviarli in buste separate, assieme alla missiva, ma visto che sei qui…”

Mostrandogli la mano aperta, aggiunse: “Sono portafortuna. Mentre ero a Rajana, non avevo nulla con cui confezionarli e, visto che ho regalato l’occhio di lupo a vostra sorella…”

A quell’accenno, Ruak sorrise divertito.

“Da quando glielo regalasti, non fa che rigirarselo tra le dita. Lo ha fatto inserire in un sottile bracciale d’argento che le piace molto, e quando è nervosa ci gioca.”

“Bene. Sono lieta che lo abbia tenuto” assentì Eikhe, suo malgrado felice di saperlo.

Addolcendo lo sguardo, il principe disse: “Melantha può esserti sembrata scorbutica e fredda, ma non lo è. Non del tutto, almeno. Purtroppo, è succube delle giovani dame che frequenta, e bada molto alla loro opinione. Fare amicizia con te sarebbe stato…”

“… inaccettabile?” gli venne incontro lei, ammiccando.

“Esatto. Due rozzi principi come me e Aken potevano permetterselo…” ironizzò Ruak, strizzandole l’occhio. “… ma non certo lei. Così, per evitare critiche, ha preferito rimanere defilata. Ma il dono le è molto caro, credimi.”

“Ti credo. E ne sono felice” annuì Eikhe.

Nel rigirarsi i sacchetti di pelle, ricamati con fili d’oro e d’argento, Ruak mormorò sentitamente: “Ti ringrazio per questo delicato pensiero, Eikhe. Sono sicuro di parlare per entrambi, dicendoti che li porteremo con orgoglio.”

 

“Per quello che può valere, sono fatti col cuore” mormorò lei, accennando un sorriso un po’ triste.

Se fosse rimasta lì ancora per qualche minuto, sarebbe certamente scoppiata in lacrime, e l’ultima cosa che voleva era turbare Ruak.

Levandosi perciò in piedi, lo fissò con affetto e disse:  “Ora vado, non voglio rubarti altro tempo, principe.”

“Il tempo passato con te non è mai rubato” disse sinceramente Ruak, levandosi in piedi a sua volta. “Non so come la pensi tu, ma io sto bene in tua compagnia, e sono stato felice di conoscerti, e di rivederti qui, oggi.”

Eikhe lo guardò con occhi al limite delle lacrime e, con un sospiro strozzato, mormorò: “Devo andare.”

Già sulla porta, Eikhe si sentì trattenere per un braccio e, voltandosi a mezzo, scorse il viso di Ruak percorso da una profonda preoccupazione, rivolta unicamente a lei.

Non resistendo più, Eikhe prese un gran respiro e sussurrò con voce roca: “Di’ ad Aken che non l’ho dimenticato; capirà.”

“Va bene” annuì mesto Ruak, sfiorandole una guancia con la mano. “Soffrite entrambi così tanto!”

“Si vede molto, eh?” sospirò ancora lei, cercando di sorridere.

Lui annuì senza dire nulla e, piano, si chinò verso di lei per baciarla su una guancia, prima di sussurrarle: “Sii prudente, Eikhe, e abbi cura di te.”

“Lo farò” annuì lei, uscendo di gran carriera per non essere costretta a crollare a piangere proprio di fronte al fratello di Aken.

Sapeva che, di lui, si poteva fidare.

Non avrebbe messo in pericolo il loro segreto, e avrebbe portato il messaggio di persona, perché suo fratello capisse che diceva la verità.

Era il minimo, e glielo doveva.

Aver affidato il suo cuore e le sue speranze a Ruak, era l’unica cosa che potesse fare in quel momento e, probabilmente, l’unica cosa che avrebbe mai potuto fare.

Null’altro poteva dare ad Aken, se non qualche parola sgorgata dal suo cuore in fiamme, e la promessa di un legame che sarebbe andato oltre la vita.

Dopo aver sommariamente salutato i soldati della guarnigione, Eikhe riprese Leance per le briglie e si diresse verso la casa di suo padre.

Sperò ardentemente che Ildera, quel giorno, non fosse di cattivo umore.

Era ancora troppo scossa dall’incontro con Ruak, per poter sopportare anche soltanto un’occhiata strana.

Non aveva voglia di litigare con lei e, forse, grazie alla borsetta che le aveva confezionato, avrebbe evitato una lite.

Lo sperava davvero, o non avrebbe saputo come comportarsi.

Raggiunta che ebbe la casa del padre, disse a Liar di aspettarla fuori insieme a Leance.

Attraversato infine il piccolo giardinetto, ora coperto di neve, bussò alla porta e si vide aprire subito dopo dalla donna che, dubbiosa, la squadrò da capo a piedi prima di chiederle: “Eikhe? Cosa ci fai qui?”

“Buongiorno, Ildera, c’è mio padre?” le chiese il più cortesemente possibile.

“Sì, è in casa” annuì la donna, prima di guardare confusa al suo fianco. “Dov’è il tuo lupo?”

“Nys è morto, e Liar mi aspetterà con il cavallo. Non è ancora abituato a stare con le persone, e non voglio che sporchi in casa” dichiarò in fretta Eikhe, e con fare conciliante.

Nominare Nys le faceva ancora male, ma prima o poi si sarebbe abituata. O almeno, così sperava.

La notizia della morte del suo lupo parve sorprendere Ildera, e le addolcì un poco i tratti del volto, tanto da sorprendere la stessa Eikhe.

Possibile che provasse compassione per lei?

Invitatala ad entrare, Ildera la accompagnò in salotto dopo averle fatto appendere il mantello nel corridoio d’entrata.

Preferendo usare con lei tutta la cautela possibile, si sentì in dovere di dire: “Non sarei venuta a disturbare qui, se l’avessi trovato al laboratorio.”

“Dubito l’avresti trovato, visto che ha un’infreddatura” celiò Ildera, entrando nel salotto con lei. “Harm, c’è tua figlia.”

Sollevando il viso dal piccolo ciocco di legno che stava scalfendo con un coltellino, Harm le sorrise ed esclamò: “Eikhe, ciao! Vieni avanti.”

Annuendo, Eikhe fece per muoversi verso di lui ma, ripensandoci all’ultimo momento, preferì pensare prima di tutto a Ildera.

Controllando all’interno della sacca che portava a tracolla, ne estrasse il dono per lei e mormorò: “L’avevo fatta per la festa di  Inizio Anno, ma… beh, non sono riuscita a venire prima, a Marhna.”

“E’ molto bella, come sempre” annuì Ildera, scrutando la borsetta con apprezzamento. “Siediti, Eikhe, mentre  vi preparo qualcosa di caldo.”

“Oh, no, grazie, Ildera. Non ti disturbare. Sono stata alla Casa del Borgomastro, e mi hanno già offerto tè e pasticcini” scosse il capo Eikhe, ringraziandola con un sorriso.

“E sei riuscita a entrare?” disse sorpresa Ildera.

“Portavo un messaggio per Sua Maestà. Inoltre, conosco il principe Ruak, perciò è stato semplice chiedere udienza” scrollò le spalle lei, come se nulla fosse.

Un po’ sorpresa, Ildera se ne andò senza più dire nulla e Harm, sorridendo alla figlia, disse: “Mi sei mancata, in questi mesi; cosa ti è successo?”

“Un po’ di tutto, padre. Sai che ci sarà la guerra contro Vartas, vero?”

Annuendo, lui tornò serio e disse: “Se ne sente parlare dai soldati. C’è un gran subbuglio, a Marhna, e la gente comincia a preoccuparsi.”

“Beh, io e il principe Aken abbiamo scoperto le mosse di Vartas, durante un giro di perlustrazione sui confini del Regno, e siamo andati a Rajana per dirlo al re ma, nel frattempo, ne sono successe di tutti i colori, e Kalkos e Nys sono morti” sospirò Eikhe, accomodandosi vicino al padre sul divano.

“Mi dispiace tanto, figliola. So quanto eri loro affezionata” mormorò il padre, sfiorandole il capo biondo-ramato con una mano.

“E’ così difficile pensare che non sono più con me… Leance e Liar sono buoni compagni, ma…”

“Non sono cresciuti con te, vero?” terminò per lei il padre, sorridendole comprensivo.

Eikhe annuì, prima di veder entrare il fratellastro nel salotto, trafelato in viso e con gli occhi sgranati.

Scorgendola, la fissò sorpreso prima di chiederle: “Di’ un po’, Eikhe. E’ vero quel che dicono i soldati? Che una donna-lupo avrebbe salvato il principe Aken?”

“Direi di sì. E non è stato affatto facile, credimi” ammise lei, vedendolo spalancare la bocca per la sorpresa.

“Tu?!” sbottò lui, a occhi ancor più sgranati.

“Esatto, ma preferisco non parlarne ora. Sono morte troppe persone, in quel maledetto viaggio” sospirò Eikhe, scuotendo il capo. “Un’altra volta, forse, te lo racconterò.”

Pensare a Lenar e gli altri, era quasi altrettanto doloroso che pensare a Nys e Kalkos.

Erano stati i suoi compagni di viaggio, per un po’, e non avrebbe mai potuto dimenticarli.

“E non hai chiesto neppure una ricompensa?” gracchiò il fratello, fissandola scioccato.

“Portare a casa il principe sano e salvo, è stata la mia ricompensa” dichiarò Eikhe prima di aggiungere: “Comunque, il re mi ha regalato lo stallone che c’è qui fuori, la daga che è legata alla sella è dono di suo figlio Aken, e il mantello di volpe che c’è nell’atrio me l’ha donato la regina.”

“Posso andare a vedere il cavallo?” chiese allora Konis, sfregando uno stivale sul pavimento di sasso con fare contrito.

Un po’ sorpresa da quell’atteggiamento stranamente remissivo, Eikhe disse guardinga: “Sì, certo. Leance non ti morderà, e neppure il mio lupo. Ricordi cosa ti ho detto? Fai loro annusare la tua mano e muoviti con cautela. Soprattutto, non estrarre la daga. E’ molto tagliente, e potresti ferirti. Se vuoi vederla, portamela nel suo fodero, e io te la mostrerò.”

Konis annuì prima di fuggire letteralmente dalla stanza ed Eikhe, curiosa, si rivolse al padre per chiedergli: “Cos’è questa storia?”

“Va in giro vantandosi con gli amici di avere come sorella una ragazza-lupo, da quando si è saputo ciò che hai fatto per il principe” ridacchiò Harm.

“Oh” esalò sorpresa Eikhe. Tutto si sarebbe aspettato tranne questo, dal fratellino. “Beh, è un inizio come un altro, per iniziare ad andare d’accordo.”

Sorridendo indulgente, Harm disse: “Siete sempre stati come cane e gatto.”

“Più o meno, ma è ovvio. Veniamo da due mondi troppo diversi. Chissà che adesso non vada meglio, però?” ammiccò Eikhe prima di domandargli: “Tu, come stai?”

“Miglioro in fretta. Era una cosa banale, niente di che. E tu? Ti vedo un po’ pallida” scrollò le spalle lui, prima di guardarla con intensità.

“Sono solo un po’ indaffarata al villaggio, tutto qui. Sai, con il Consiglio delle Anziane e tutto il resto, siamo piuttosto indaffarate” replicò frettolosa lei, preferendo non dirgli che aveva le vertigini, in quel momento.

Quella era una pecca della gravidanza che proprio non le andava a genio.

Alzandosi con calma misurata, Eikhe gli sorrise contrita e ammise: “Purtroppo, non posso restare quanto vorrei. Devo aiutare mamma con i preparativi per la guerra, perciò ho l’obbligo di non assentarmi troppo dal villaggio.”

“Parteciperai anche tu?” domandò turbato Harm.

“Se me lo consentiranno” annuì Eikhe, pur dubitandone fortemente.

Con un figlio in arrivo, non sarebbe servita all’esercito.

“Ti manderò delle erbe medicinali, caso mai non passasse” gli promise, avviandosi verso la porta del salotto.

“Allora, grazie per la visita, e torna presto” le sorrise lui.

“Di nulla. Sei mio padre, no?” scrollò le spalle Eikhe prima di uscire nel corridoio, dove incrociò Ildera.

“Vai di già?” le disse sorpresa Ildera.

“Ho molte commissioni da fare e …” cominciò col dire lei, prima di doversi aggrappare alla donna per non cadere.

Sempre più sorpresa, Ildera la sorresse e, sgomenta, notò il suo pallore sospetto e l’aria emaciata.

Facendo tanto d’occhi, esalò: “Non sarai…?”

Fissandola ai limiti del panico, Eikhe si lasciò praticamente trascinare da Ildera fino alla cassapanca che si trovava nell’entrata.

Lasciandosi cadere sopra di essa come un sacco di patate, prese dei gran respiri prima di annuire e dire sconsolata: “Non dirlo a mio padre, ti prego.”

“Non sei venuta a Marhna dall’anno precedente. Come diavolo…” cominciò col dire Ildera, aggrottando poi la fronte con aria confusa.

Mordendosi un labbro, Eikhe scoppiò in un pianto silenzioso quanto dolente, sorprendendo non poco Ildera che mai, in quegli anni, l’aveva vista crollare a quel modo.

Con un piccolo sospiro, la donna la aiutò ad alzarsi e disse: “Coraggio, vieni in cucina. Hai bisogno di una tisana calda e di parlare, vero?”

Eikhe la guardò più confusa che mai e, senza dire nulla, la seguì docile attraverso una piccola porta di legno, raggiungendo una calda e accogliente cucina.

Le credenze erano ricolme di composte di frutta, pasta secca contenuta in bei vasi di vetro, pane infilato nelle rastrelliere a seccare e, cosa che la sorprese, i suoi sacchetti di pelle appesi al muro e colmi di spezie.

“Pensavi non li avessi usati?” la irrise bonariamente Ildera, facendola sedere su un alto scranno senza schienale.

Arrossendo suo malgrado, Eikhe annuì e la donna, scrollando le spalle nel prendere un bricco dal fuoco, versò un po’ dell’acqua in esso contenuta in una ciotola.

Spruzzatovi dentro un miscuglio di erbe profumate, asserì: “Il fatto che abbiamo divergenze di opinione su molte cose, non vuol dire che non riconosca la tua bravura nel cucire. Nessuna donna, a Marhna, è brava quanto te nel confezionare oggetti di pelle.”

“Grazie” sussurrò Eikhe, stringendosi le mani in grembo.

Porgendole la ciotola fumante, la invogliò a berla e la ragazza, ubbidendo, la sorseggiò con calma.

Le membra si rilassarono subito, al passaggio caldo della bevanda nel suo corpo.

Dopo un minuto buono passato nel più assoluto silenzio, Eikhe disse: “Non voglio che mio padre, né nessun altro, sappia che sono incinta.”

“Non lo sa neppure tua madre, vero?” intuì Ildera.

“No, meno che meno lei. Non capirebbe” sospirò Eikhe, reclinando il viso.

Un po’ sorpresa, Ildera le chiese: “Non capirebbe cosa?”

“Il perché del bambino che porto in grembo” ammise la ragazza-lupo, sfiorandosi il ventre ancora piatto. “Non capirebbe che io amo l’uomo che l’ha generato.”

Sollevando un sopracciglio con evidente sorpresa, la donna mormorò sconcertata: “Lo ami?”

“Sai che non ci è permesso provare simili sentimenti nei confronti degli uomini. La legge ci vieta di legarci sentimentalmente a loro.”

“Cosa che, sinceramente, non capisco” brontolò Ildera, vedendola ridacchiare tristemente in risposta.

“Neppure io, ora come ora. Per questo non voglio che lo sappia, almeno non ora, quando sarebbe ancora in grado di… di fargli del male” mormorò Eikhe, notando un pallore spettrale salire alle gote della donna.

“Metterebbe davvero a repentaglio la vita di tuo figlio, e la tua, solo perché ami il padre del bambino?” esalò Ildera, passando dallo stupore all’indignazione.

Annuendo grave, Eikhe disse: “La legge va rispettata da tutte, a maggior ragione dalla figlia della capo-tribù. Io ho contravvenuto alle leggi, unendomi con quest’uomo senza il benestare di mia madre e, per legge, loro dovrebbero… beh, hai capito.”

Sbuffando contrariata, Ildera incrociò le braccia al petto con fare bellicoso.

“Queste sono davvero sciocchezze senza fondamento. Non vedo come, l’amore per quell’uomo, possa nuocere a te, o alla vita che conduci.”

“Mi renderebbe debole e sua schiava, o meglio, secondo loro mi renderebbe debole e schiava di lui” precisò Eikhe. “Anche se so di essere nel giusto, le altre non capirebbero.”

La strana espressione sul viso di Eikhe, portò Ildera a chiederle: “Che intendi dire?”

Con un mesto sorriso, replicò alla sua domanda con un’altra.

“Avete udito l’ululato di un lupo, pochi mesi addietro, come se provenisse da ogni direzione e, al tempo stesso, da nessun luogo in particolare?”

Ildera assentì, vagamente ansiosa, ed Eikhe aggiunse: “Era Lui. Il dio-lupo Hevos, giunto tra noi per metterci in guardia contro il prossimo pericolo rappresentato da Vartas.”

La donna si portò istintivamente una mano al petto dove portava, come ogni donna delle montagne, un sacchetto con la propria pietra di occhio di lupo.

Una delle rare usanze che, donne comuni e figlie del branco, avevano in comune, e per una comune ragione.

Tra i monti, il dio-lupo non era venerato solo dalle tribù delle sue figlie, ma anche dai cittadini qualunque.

“So da fonte più che certa di non aver sbagliato a innamorarmi del padre del mio bambino” sorrise misteriosa Eikhe, passandosi una mano sul ventre.

Ildera mormorò una silenziosa preghiera, prima di annuire.

“Mettiamo pure che tua madre ti lasci portare avanti la gravidanza… e se nascesse un maschio?” dichiarò a quel punto Ildera, ancora piuttosto infuriata.

“Lo terrò con me, a costo di isolarmi dalla tribù” asserì torva Eikhe, poggiando ora entrambe le mani sul grembo.

“Ti ammazzerebbero, e lo sai” precisò Ildera, torva.

“Non oseranno mettersi contro di me e mio figlio” sibilò la ragazza, assottigliando le iridi dorate.

Sospirando, Ildera scosse il capo e replicò: “Sarai anche più forte delle tue compagne, come tutti sostengono quando parlano di voi ragazze con gli occhi gialli, ma una donna che ha appena partorito è piuttosto debole e, a conti fatti, indifesa come il bambino che ha dato alla luce.”

Spalancando gli occhi di fronte a quell’eventualità, Eikhe esalò: “Pensi che… che lo ucciderebbe in quel momento?”

Annuendo preoccupata, Ildera disse: “Fossi in te, se davvero pensi che tua madre possa essere un pericolo per voi, mi farei assistere da una persona più che fidata e, forse, anche dal tuo lupo. Non mi stupirebbe, se facesse la differenza tra la vostra morte e la vostra salvezza.”

Assentendo a sua volta, spaventata suo malgrado dalle parole di Ildera, le chiese confusa: “Perché sei così disponibile con me?”

Abbozzando un sorriso, Ildera ammise senza problemi: “Perché, divergenze o meno, sei una bambina che sta per diventare mamma, e non hai nessuno con cui parlare. Non potrei certo lasciarti in balia di una cosa che non conosci. Che donna sarei?”

Sorridendole grata, Eikhe disse con voce commossa: “Ti ringrazio davvero tanto.”

“Se dovessi sentirti di nuovo debole, usa delle erbe di girfolio per prepararti delle tisane. Servono più che altro per stimolare il cuore, ma potrai farle passare come lenitivo contro il raffreddore” scrollò le spalle Ildera.

Annuendo, la ragazza si levò in piedi e, sorprendendo un poco Ildera, la abbracciò baciandola sulle guance.

“Ti sono grata per quello che hai detto.”

Battendole goffamente le mani sulle spalle, Ildera la scrollò un poco, replicando: “Coraggio, non abbatterti a questo modo. Pensi davvero che, se anche rimanessi senza le tue compagne, tuo padre ti lascerebbe in mezzo alla strada?”

“No” ammise Eikhe.

“Bene, allora pensa a questo e non preoccuparti. Più sarai calma, meno problemi ti darà il bambino” la rassicurò Ildera.

“Va bene” annuì la giovane, prima di veder entrare il padre in cucina. Sorpreso, le fissò confuso, chiedendosi il perché si trovassero lì, e assieme.

“Coraggio, bambina, corri a casa prima che si scateni una bufera, lì fuori” disse a quel punto Ildera, senza badare al marito.

“Lo farò, grazie” le sorrise Eikhe, prima di passare accanto al padre, baciarlo su una guancia e sparire oltre la porta.

“E da quando, voi due, andate d’accordo?” celiò Harm, divertito suo malgrado da quella situazione.

“Oh, piantala, Harm. Non ho mai odiato tua figlia, e lo sai bene” brontolò Ildera, scuotendo negligente una mano. “E’ solo sua madre che mi fa venire un diavolo per capello.”

Ridendo, raggiunse la moglie e le avvolse la vita prima di domandarle: “Non vuoi dirmi di cosa parlavate?”

“No. Sono cose da donne” brontolò Ildera, prima di sospirare e dire: “Se venisse a trovarti, mandala da me. Devo darle una cosa.”

Un po’ sorpreso, Harm si limitò ad annuire mentre la moglie, ripensando alle parole di Eikhe, si preoccupò non poco.

Non poteva credere che una donna, per quanto ligia alle leggi, potesse arrivare a uccidere il proprio nipote.

Eppure, Eikhe ne sembrava convinta, e questo non la confortava di certo.

Le sue non erano le paure di una giovane madre alla prima esperienza, ma sembravano fondate su timori reali, e questo non poteva che metterla in allarme.

Non le erano mai piaciute le regole cui sottostava la figlia del marito, ma non erano mai stati affari suoi, visto che non la toccavano in prima persona.

Ora, però, con Eikhe incinta, si sentiva spinta a difenderla.

In quel momento, vedeva solo una madre in pericolo e lei, come donna e madre, non se la sentiva di abbandonarla a se stessa.

Inoltre, quel bambino, o quella bambina, sarebbe stato il nipote, o la nipote di suo marito, e non poteva passarci sopra come se niente fosse.

No, per amore di suo marito, l’avrebbe aiutata.

 
************
 
Finalmente qualche spiegazione sul perché le figlie sacre sono tanto bistrattate, voi direte! (se ve lo siete chiesto XD) Ho pensato che Ildera fosse la persona più giusta, in questo momento particolare per Eikhe, per darle una mano. Perché ne avrà davvero bisogno!

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Capitolo 14
*** cap. 14 ***



14.

 

 

 

 

 

Con l’avvicinarsi della primavera le giornate, si allungarono progressivamente.

Sempre più spesso, dai Monti Urlanti, piccole slavine scivolarono pericolosamente dai pendii e dalle guglie minacciose, giungendo fino ai frangi valanga che riparavano il villaggio di Nestar.

I danni, per lo più, si ridussero a qualche pino sradicato dal terreno, o alla distruzione delle strutture di protezione, erette a difesa del centro abitato.

Con le loro grida raggelanti, le valanghe ricordarono a ogni abitante della montagna che, ben presto, i cori della guerra sarebbero giunti ai confini del Regno.

La fucina lavorò a pieno ritmo per tutto l’inverno, senza mai essere spenta, mentre artigiane dalle abili mani forgiarono archi da guerra e frecce in quantità mai prodotte in precedenza.

Le più giovani tra le donne-lupo, designate al controllo delle infanti e dei lupi da svezzare, si  alternarono nei loro compiti senza attendere gli ordini delle adulte.

Troppo impegnate ad allenarsi, o a preparare le armature per le battaglie che le avrebbero viste protagoniste, non avevano tempo di occuparsi di cose simili.

In tutto quel via vai di persone e animali, Eikhe fece la sua parte, nascondendo la gravidanza all’intero villaggio ma non a Sendala che, più di chiunque altra, la conosceva a fondo.  

Sapeva comunque che, non appena gli abiti pesanti fossero stati smessi per indossare le più leggere tuniche primaverili, il suo segreto sarebbe venuto alla luce.

Una calda mattina di inizio primavera la sua preoccupazione divenne sgomento quando, osservandosi allo specchio, notò ansiosa la curva del suo ventre.

Essendo alta e dalla struttura longilinea, la sua rotondità appariva più che evidente, alla se stessa riflessa sulla superficie di lucido piombo.

Si era fatta così evidente che, anche indossando la lunga tunica di pelle di daino, non avrebbe più potuto celarla.

Sospirando, Eikhe scrollò coraggiosamente le spalle e lasciò perdere ogni precauzione.

A quel punto, al quinto mese di gravidanza, la madre non avrebbe più potuto nuocerle né, tanto meno, far del male al bambino.

Sapeva che avrebbe subito la sferza della sua ira, ma era pronta a tutto pur di difendere la sua creatura.

Che la ingiuriasse pure. Che la punisse. Lei non aveva nulla di cui vergognarsi.

Sendala le aveva fatto una predica quasi infinita circa la sua pazzia.

Eikhe, però, aveva insistito a tal punto sulla purezza dei suoi sentimenti, e di quelli di Aken che, alla fine, anche la sua recalcitrante amica aveva ceduto e le aveva creduto.

Non era del tutto sicura che, con la madre, sarebbe avvenuta la stessa cosa.

Sapeva quanto radicate fossero le sue idee, e quanto il credo delle loro progenitrici fosse ben impresso nella sua mente severa.

Nulla, neppure le sue accorate preghiere, avrebbero fatto cedere Kaihle.

Un bussare discreto alla porta la portò a coprirsi con la tunica, che aveva lasciato aperta sul ventre.

Avviandosi per vedere chi fosse, sbuffò contrariata quando si ritrovò dinanzi la sorella maggiore.

Vedendola, Tyura la squadrò confusa prima di portarsi le mani alla bocca per reprimere uno strillo di sorpresa.

Entrando in fretta e chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo sordo e violento, la sorella la fissò inorridita ed esalò: “Che diavolo hai combinato?!”

“Secondo te?” celiò Eikhe, poggiando una mano su un fianco e fissandola con aria di sfida.

“Per tutti i demoni delle montagne, Eikhe, non scherzare!” la rimproverò Tyura, squadrandola male.

Sbuffando, la sorella minore reclinò il capo e mormorò: “E’ del principe, se vuoi saperlo.”

“Che cosa?!” ansò l’altra, impallidendo. “Ti sei lasciata abbindolare da…”

“… abbindolare, un corno! Io amo Aken!” ringhiò Eikhe, avanzando minacciosa verso di lei.

Intimorita suo malgrado dallo sguardo furente della sorella, che voleva solo dire guai, Tyura sollevò le mani in segno di resa, sperando che si calmasse.

Eikhe, sospirando, si bloccò subito.

“Scusami, non ha senso aggredirti verbalmente, e per una cosa di cui non sai nulla.”

“Davvero… tu e lui…?” tentennò Tyura, continuando a osservare il suo ventre rotondo con occhi leggermente sgranati.

La ragazza annuì in silenzio, prima di attirarla verso una delle poltrone del suo salottino perché si accomodasse.

Non appena la vide seduta, Eikhe si appoggiò alla parete accanto al camino e disse: “Non è stato fatto per divertimento, Tyura, e stiamo entrambi patendo le pene dell’inferno, a stare separati. Ma la legge è legge, e io non posso vivere con lui, né lui con me, visto che è un principe ereditario.”

Sospirando, la sorella maggiore si afflosciò contro lo schienale della poltrona, osservando Eikhe con espressione combattuta.

“Devi dirlo alla mamma; ormai non puoi più nasconderti. E poi, non appena metterai piede fuori, se ne accorgeranno tutte comunque, quindi è meglio che, per prima, lo sappia lei.”

“Lo so, ma…” tentennò la ragazza, portando istintivamente una mano sul ventre.

“Hai taciuto perché avevi paura per lei?” mormorò Tyura, alzandosi per sfiorarle il ventre prominente, sorridendo spontaneamente quando sentì scalciare.

“Sei una veggente, per sapere che sarà femmina?” sbuffò Eikhe, sogghignando aspramente.

“Lo spero per te, altrimenti…” ansò ombrosa la sorella maggiore, lasciando a metà la frase.

Sapeva bene che Eikhe avrebbe compreso ciò che non aveva il coraggio di dire ad alta voce.

Esposizione. Morte.

“Nessuna di voi toccherà il mio bambino, sia esso maschio o femmina” decretò la sorella minore prima di richiamare al suo fianco Liar che, fino a quel momento, era rimasto accucciato vicino al fuoco. “Lui e gli altri lupi mi difenderanno.”

“E come lo sai?” le chiese Tyura, scrutando scettica il piccolo lupo grigio che, per diretta conseguenza, le ringhiò contro.

“Perché me lo ha detto lui” le spiegò con semplicità, guardando Liar con un sorriso.

Liar si limitò a scodinzolare e Tyura, sospirando, scosse il capo e replicò: “Sarà meglio che non lo diciamo alla mamma, questo, o potrebbe decidere di decimare il branco, piuttosto che dartela vinta.”

“Temo anch’io” sospirò Eikhe. “Si infurierà molto?”

“Io direi di sì. Neppure io ho il permesso di andarmi a cercare un uomo per avere un figlio, figurarsi tu!” esalò la sorella maggiore, storcendo il naso.

“Tyura, tu gli uomini li hai già avuti, e non certo per avere un figlio” tenne a precisare la ragazza, sollevando un sopracciglio con ironia.

“Questo non c’entra. E’ del tuo bambino, che stiamo parlando” scrollò le spalle Tyura con fare indifferente, pur sorridendole. “Verrò con te, non si sa mai. Non vorrei mai che pensasse di fare di te uno sfilatino.”

“Grazie” ammiccò Eikhe, uscendo con lei e Liar dalla capanna.

Attraversando il villaggio, dove ancora poche donne si trovavano lungo la strada, vista l’ora, Eikhe notò subito i loro sguardi più che sorpresi e sì, la loro aperta condanna.

Con duro cipiglio, Tyura le rimise al loro posto guardandole malamente e, per un attimo, la sorella gliene fu grata.

Sì, Tyura poteva essere scorbutica, ma aveva il piglio del comando, e sarebbe stata un’ottima capo-tribù, a tempo debito.

Non appena ebbero raggiunto la casa matronale entrarono insieme a Liar e, nell’attendere che anche quello di Tyura si unisse a loro, si diressero verso lo studio della madre.

Nel sentire bussare, Kaihle levò gli occhi d’acciaio dallo scritto per poi fissarli sulle due figlie e, in particolare, sul ventre di Eikhe.

Aggrottando pericolosamente la fronte, la donna si levò dallo scranno con calma misurata, ma bruciando d’ira dentro l’animo e, affrontandole con cupo cipiglio, chiese aspramente: “Cosa sta succedendo, qui?!”

“Madre, lascia che ti spieghi…” cominciò col dire la figlia minore, prima di vederla aggirare la scrivania in pochi, rapidi passi.

“C’è poco da spiegare! Chi ti ha dato il permesso di scendere a valle per…”

Bloccandosi, scrutò il viso abbattuto della figlia minore, assottigliò le iridi di perla e sibilò: “Chi è stato, degli uomini del principe? Chi?!”

“Madre, ti prego!” esclamò Eikhe. “Pensi davvero che anche solo uno di loro avrebbe potuto stuprarmi!?”

Ringhiando nervosamente, Kaihle assottigliò le iridi che, in quel momento sprizzavano scintille di fuoco gelido.

“A chi ti sei concessa, allora, sciocca ragazzina? Con chi hai perso il tuo onore?!”

Aggrottando la fronte, la ragazza mormorò con voce il più calma possibile: “Con nessuno ho perso il mio onore, e non ho bisogno della tua benedizione, visto che ho quella di Hevos.”

Un ceffone violento seguì le sue parole ed Eikhe, fissando inorridita la madre che, con occhi spiritati, la stava osservando in preda all’ira, le sentì dire: “Non nominare il Suo Nome come se niente fosse, blasfema!”

“Tu non sai, e non vuoi sapere la verità! Ma io dico il vero, e difenderò mio figlio da tutte voi!” esclamò allora lei, coprendosi il ventre con le mani.

“Hai tradito la mia fiducia, le tue compagne, tutta la tua gente! Non hai niente da dire, a tua discolpa?!” ringhiò furiosa Kaihle.

“Non ho colpe, visto che il mio bambino è stato concepito dall’amore!” sibilò a quel punto Eikhe.

Spalancando gli occhi per il furore, Kaihle fece per schiaffeggiarla nuovamente ma la figlia, fulminea, le bloccò il polso.

Assottigliando le iridi dorate, ora liquide gocce d’ambra infuocata, la figlia minore sibilò tra i denti con voce gutturale: “Non dimenticare chi sono.”

Bloccata dalla forza disumana della figlia, mentre il suo viso si imperlava di sudore e i lupi cominciavano a ringhiare furiosi, la Signora del Villaggio fissò Eikhe con astio e dichiarò: “Quando vidi i tuoi occhi, avrei dovuto gettarti da una rupe. Sapevo che avresti portato solo sventura!”

Rimasta in religioso silenzio durante tutto il loro battibecco, Tyura sobbalzò sconvolta di fronte alle parole velenose della madre e asserì: “Madre, non puoi dire una cosa simile. E’ pur sempre tua figlia, fa parte del branco e…”

“Non del mio!” esclamò implacabile Kaihle, fissando i due lupi dai denti snudati per poi ringhiare astiosa: “A quanto pare, fa parte del branco dei lupi, non di quello delle sue sorelle!”

“Non mi spaventi con le tue parole, madre. Di’ pure quel che vuoi, ma non potrai fare nulla contro di me” decretò allora Eikhe, pur sentendosi morire dentro.

Sua madre la odiava, ora ne aveva la riprova.

Aveva sempre avuto paura di lei, di ciò che era, di ciò che rappresentava, e ora che si rendeva conto di non poterla controllare, sorgeva il suo vero Io a smascherarla.

“Esci da questa casa, e non metterci più piede. Non posso scacciarti, visto che potrebbe nascere una bambina, e lei meriterebbe a pieno titolo la mia protezione, ma non azzardarti a rivolgermi più la parola, è chiaro?!” esclamò Kaihle respirando a fatica, il viso cinereo ove splendevano, ferali, i suoi occhi adamantini.

Senza dire nulla, Eikhe uscì dalla stanza a passo di carica, seguita dopo un momento dalla sorella che, sfiorandole una spalla con la mano, sussurrò accorata: “Cercherò di parlarle. Ora, tu vai subito a casa a riposare. Sei pallida come un morto.”

“Devo fare il mio turno alla stalla” brontolò la giovane, lo sguardo fisso sul suo ventre.

“Sì, figuriamoci!” ritorse Tyura, sprezzante. “Non appena sentirai l’odore dello sterco di cavallo, sverrai come una pera cotta. Vai a riposare, mentre io cerco di calmare la mamma. Poi, vedrò di cambiarti le mansioni con qualcosa di più leggero e meno… profumato.”

Eikhe la fissò senza capire e la sorella, con un sorrisino, si limitò a dire: “So che non potresti mentire, su ciò che hai detto di Hevos, visto ciò che sei, e io ho fede in Lui, prima di tutto.”

“Grazie, Tyura” sorrise a quel punto Eikhe.

“Coraggio, vai, hai già fatto abbastanza danni, per oggi” la sospinse fuori la sorella, ridacchiando.

Annuendo, la ragazza si defilò alla svelta e una volta fuori, si ritrovò ad affrontare la sua amica Sendala che, turbata, la prese sottobraccio per accompagnarla a casa.

“E’ scoppiato il finimondo?”

“Quasi” annuì Eikhe, lanciando occhiate dubbiose in direzione delle donne che la stavano osservando. “L’hai detto a tua madre?”

“Era fuori di casa, e ti ha vista. E’ stata lei a venire a chiamarmi. Kaihle ti ha picchiata?” la informò Sendala, notando poi la sua guancia arrossata e gonfia.

“C’è riuscita solo una volta” precisò lei, ghignando tristemente. “Sanno chi è il padre?”

“Non l’ho detto a nessuno, come ti avevo promesso” scosse il capo l’amica. “Molte anziane pensano che dovresti essere punita, ma le ragazze sono tutte dalla tua parte.”

“Bene, perché nei prossimi mesi ci sarà da discutere” sospirò Eikhe, scuotendo il capo per la stanchezza.

“Temi possa nascere maschio?” si preoccupò di chiedere Sendala, sorreggendola.

“E’ una possibilità e, se dovesse succedere, avrò bisogno di tutto l’appoggio possibile, visto che non potrei in ogni caso mandare mio figlio dal padre” ammise la ragazza, raggiungendo casa sua con l’amica.

Annuendo, Sendala la bloccò sull’entrata prima di dirle: “Sei mia amica, e il neonato sarà mio figlioccio in ogni caso. E’ quanto di meglio possa fare per te, Eikhe. E sono più che sicura che altre ragazze si proporranno per fare da madrina al frutto della tua gravidanza. La legge sta diventando stretta a molte, ormai.”

“Non ti chiederei di più, visto che significherebbe mettersi contro mia madre e le altre” sorrise Eikhe, prima di vedersi raggiungere da altre sue amiche che, preoccupate, la attorniarono curiose. “In quanto alla legge, Hevos è stato chiaro. Siamo vicini alla svolta.”

Sendala annuì, lasciando che le altre ragazze si avvicinassero alla figlia sacra per conoscere le sue condizioni di salute.

Sospirando, Eikhe sorrise loro e le invitò a entrare in casa sua per spiegare loro la situazione.

Se, da quel che pareva, le Anziane erano contrarie alla sua gravidanza, avere l’appoggio delle figlie sarebbe stato già qualcosa.

Non voleva pensare che una delle matrone potesse farle del male di proposito, ma i pregiudizi radicati fin nel profondo potevano cambiare l’animo di molte.

Avere al suo fianco qualche buona amica, oltre ai lupi, non avrebbe fatto male.

***

Sistemando l’ultima camiciola nella sacca da viaggio, che avrebbe caricato sul suo cavallo prima della partenza verso il fronte, Aken lanciò uno sguardo al sacchetto di pelle ricamata che Ruak gli aveva consegnato al suo ritorno da Marhna.

Non aveva voluto partecipare alla missione che sarebbe tornata tra le montagne.

Se mai avesse incontrato Eikhe, avrebbe mollato tutto e l’avrebbe rapita, scomparendo con lei tra le montagne per vivere per sempre al suo fianco.

Con quel folle gesto, però, avrebbe condannato entrambi a una vita solitaria, braccati dai soldati del Regno e, con tutta probabilità, anche dalle figlie del branco.

Inoltre, Eikhe non gli avrebbe mai e poi mai permesso di comportarsi in maniera egoista, nei confronti delle persone che lui era deputato a proteggere.

Era generosa fino allo sfinimento e pensarci, a volte, lo uccideva.

Avrebbe tanto voluto che lei fosse stata meno ligia al dovere. O anche lui.

“Come se tu fossi veramente capace di abbandonare tutto, come se nulla fosse” sussurrò tra sé Aken, levando di colpo il capo quando udì la porta della sua stanza aprirsi.

Bloccandosi a metà di un passo, le braccia ingombre di lenzuola pulite e gli occhi sgranati per la sorpresa, la governante fissò il principe per alcuni attimi prima di esalare: “Vostra Altezza! Perdonatemi, pensavo che…”

Fermandola sul nascere con un gesto della mano, Aken le sorrise bonariamente prima di avviarsi verso di lei, toglierle di mano il pesante fagotto che portava e poggiarlo sulla scrivania.

“Nessun disturbo, Iruna. Stavo per andarmene.”

Scrutando le sacche da viaggio del principe, la giovane donna annuì e, sorridendo, disse: “Sarete il vanto del Regno, sul campo di battaglia. Noi tutti ne siamo sicuri.”

“Grazie della fiducia” ghignò Aken prima di perdere il sorriso e osservarla con occhi profondamente turbati.

Vagamente sorpresa da quel cambio repentino d’umore, Iruna si arrischiò ad avvicinarsi al principe e lui, afferrandole le mani con una presa gentile, la fece accomodare sul letto.

Dubbioso, le domandò: “Pensi io sia stato un uomo insensibile, Iruna? Con te, intendo.”

Sbarrando le palpebre per un momento e fissando in viso l’uomo che aveva di fronte, Iruna non poté esimersi dal sorridere comprensiva.

Scuotendo il capo, quindi, replicò: “Voi siete molte cose, principe, ma di certo non un uomo insensibile.”

“Ma ho approfittato della tua solitudine, del tuo dolore, per un mio piacere personale” precisò Aken, arrossendo leggermente suo malgrado.

La visione di quel tenue rossore sulle gote dell’uomo dissero a Iruna che qualcosa di molto profondo era accaduto al principe, in quei mesi.

Arrischiandosi a carezzargli una guancia sbarbata di fresco, mormorò: “Ci siamo approfittati della vicendevole solitudine, allora, principe. Mio marito era scappato con una donna dalla dote più cospicua della mia, lasciandomi sola con i suoi debiti. Voi eravate tutto solo di fronte a quel boccale di birra, perso in mille e più pensieri, niente più che un ragazzo dinanzi a un evento troppo grande per il vostro giovane cuore. Abbiamo cercato solo di guarire per qualche istante le rispettive ferite.”

Storcendo la bella bocca, Aken replicò: “Non era la prima volta che perdevo uomini in battaglia, e non avrei dovuto crollare a quel modo. O chiederti di salire nelle mie stanze.”

“Avevate vent’anni, e non perdeste solo degli uomini, ma degli amici. Foste voi stesso a dirmelo” precisò Iruna, sorridendo indulgente. “Voi mi conduceste via dallo squallido locale in cui lavoravo per colpa del mio ex marito, e mi assumeste qui a palazzo, dandomi questo lavoro profumatamente pagato. Quindi, non mi venite a dire che siete un uomo insensibile.”

Aken sospirò afflitto, ma la governante scosse nuovamente il capo, aggiungendo con enfasi: “Se foste stato crudele e freddo, vi sareste preso il vostro piacere con la sguattera di turno, e mi avreste lasciato due monete di rame sul comodino prima di andarvene, infischiandovene del mio futuro. Invece, avete cercato in tutti i modi di aiutarmi. Avete pagato il mio debito, liberandomi da quell’aguzzino e ora, a distanza di anni, ho un marito e un figlio amorevoli, che io amo e apprezzo, e da cui sono amata e apprezzata.”

“A ogni modo, ho cercato il piacere senza mai amare le donne con cui sono andato a letto” precisò lui, reclinando il capo con afflizione.

“Eravate giovane, colmo di sogni e speranze, ma anche pieno di dubbi e paure. Ma, da quel che so, nessuna delle donne che avete visitato, si è mai lamentata di voi, o sbaglio? Le ragazze che ho potuto conoscere io, concordano nel dire che siete un giovane gentile e altruista” sottolineò Iruna, trovando abbastanza ironico trovarsi nella stanza del principe per rincuorarlo su faccende così delicate.

Sbuffando, Aken replicò con voce roca: “Mi sembra di non averle apprezzate come meritavano,… come meritavi.”

Sorridendo spontaneamente, Iruna gli chiese: “Avete… conosciuto solo alcune delle ragazze pagate dall’esercito per seguirvi in guerra, vero?”

Annuendo dubbioso, Aken attese che lei continuasse e la governante, dandogli una pacca su un braccio, aggiunse: “Non ho mai capito perché voleste dirmi di loro, ma forse ora vedo più chiaro. Volevate la mia approvazione, volevate dimostrarmi che, nonostante voi non le amaste, vi eravate preso cura di loro come avevate fatto con me. Portarle via dai bordelli destinati ai soldati è stato un gesto coraggioso… se vostro padre avesse scoperto che, dietro a quelle fughe improvvise, c’eravate voi, non credo avrebbe gradito.”

“Dovevo loro più di due monete sul comodino” ironizzò tristemente Aken.

“Solo perché avete un cuore nobile… altri uomini non l’avrebbero mai fatto.”

Nel dirlo, gli sorrise benevola.

“Forse, parlartene fu un po’ troppo…” ridacchiò imbarazzato il principe.

“Sulle prime, mi imbarazzaste un po’, ma fu in qualche modo piacevole sapere che vi fidavate al punto tale di parlarmi di cose così intime. Non potendone parlare con la regina, né tanto meno con il re, volevate avere il parere di qualcuno che vi conosceva e vi desse una risposta sincera” scrollò le spalle Iruna, vedendolo annuire.

“Dunque, ho commesso qualche errore, secondo te?” chiese a quel punto Aken.

“No, mio principe. Nessuno. Ma dubito voi me l’abbiate chiesto esplicitamente, adesso, perché siete preoccupato di un mio eventuale diniego” notò gentilmente la governante, levandosi in piedi per prendere tra le mani il sacchetto di pelle confezionato da Eikhe.

Aken la scrutò dubbioso, gli occhi che indugiavano sulle sue mani giunte.

Scrutandolo in viso con un mesto sorriso, Iruna mormorò: “La ragazza che giunse qui all’inizio dell’inverno… Eikhe di Nestar. E’ lei che portate nel cuore con così tanta infelicità a tingervi lo sguardo?”

“E’ così evidente?” chiese allora l’uomo, distogliendo lo sguardo per fissarlo sulla balconata, dove poteva scorgere il contorno lontano delle montagne.

Imitandolo, la donna annuì.

“Non avete mai avuto quello sguardo perso e sofferente, se non dopo la sua partenza. Da quando lei non è più qui, voi non sembrate più lo stesso. Inoltre, il suo profumo permeava le vostre lenzuola, in quei giorni e, anche non volendo ficcare il naso, me n’ero accorta.”

Tornando a guardarla con una domanda silenziosa nello sguardo, Aken le sentì dire: “E’ la persona migliore che avreste mai potuto scegliere, pur se ogni cosa vi divide. Lei comprende voi, chi siete veramente. E questo è l’essenziale.”

“Anche se non potrò rivederla mai più?” sospirò Aken, levandosi in piedi e ricevendo il portafortuna di Eikhe dalle mani di Iruna.

“Siete il principe ereditario e, per onorare la Corona, dovrete sposarvi e dare degli eredi al reame che vi succedano, ma il vostro cuore ha conosciuto l’amore vero e non potrà mai essere di nessun altro, se non di quella fanciulla” sospirò la governante, dando delle pacche leggere sulla spalla di Aken.

Il principe assentì, pur odiando ogni sua parola.

“Non vi invidio per il peso che dovete portare, giovane principe ma, per quello che vale, conoscere un amore così vale sempre la pena, anche se lo si può stringere tra le mani solo per breve tempo.”

Sospirando tremulo, Aken annuì dopo un attimo e, sorridendole calorosamente, disse: “Grazie, Iruna, di tutto. Parlare con te mi ha fatto bene. Mi ha sempre fatto bene.”

“Ci sarò ogni volta che vorrete, principe” gli promise Iruna, prima di accennare un sorriso e aggiungere: “Lottate con valore, e tornate da noi vivo.”

“Lo farò” annuì lui, raccogliendo le sue sacche per poi uscire dalla stanza.

***

Avanzando con il grosso dell’esercito lungo la piccola carovaniera che conduceva a Royconea, poco a nord-ovest delle Cascate del Cielo, Aken sospirò pesantemente.

Il pensiero di incontrare Eikhe, dopo quasi cinque mesi dalla loro separazione, lo metteva a disagio.

Certo, aveva saputo da Ruak che lei stava bene, e che lo salutava con affetto, ma non gli bastava.

Neppure avere al collo il suo portafortuna lo faceva sentire meglio e, in qualche modo, era geloso del fatto che Eikhe ne avesse confezionato uno anche per il fratello.

Sapeva che era stato solo un gesto d’amicizia.

Eikhe stessa aveva ammesso, prima di partire, di trovare molto simpatico suo fratello, ma non gli andava giù lo stesso.

Dividere qualcosa di Eikhe con Ruak, fosse anche un innocente portafortuna, non gli garbava.

Era come strapparsi di dosso un pezzo di cuore. E del suo ne era rimasto ben poco, dalla sua partenza.

Sollevando un momento il capo per osservare le rade nubi che tingevano un bel cielo terso di inizio primavera, Aken si chiese quando avrebbero avuto notizie delle donne-lupo.

Il confine non distava molto, e di loro non v’era ancora traccia.

“Pensieri profondi, fratello?” gli chiese Ruak, interrompendo il suo divagare silenzioso tra le nubi.

Volgendo lo sguardo per osservarlo, fiero e diritto sulla sella nonostante i molti giorni di marcia che avevano sulle spalle, Aken scosse il capo e disse: “Mi chiedevo quando avremmo incrociato il contingente di donne-lupo, tutto qui.”

“Sono sicuro che le incontreremo quanto prima” dichiarò sicuro il giovane principe cadetto. “Preoccupato per Eikhe?”

“Per una miriade di cose, in verità” sospirò lui. “Non so come dovrei comportarmi, con lei, ed è una cosa che mi irrita non poco.”

“Vedi di non farlo diventare un annoso problema perché, sul campo di battaglia, potrebbe costarti la vita” precisò Ruak, facendosi serio prima di allungare  una mano e stringere la sua, poggiata sul pomo della sella. “Non voglio perdere un fratello per colpa delle sue pene amorose.”

“Ne riparleremo quando sarai tu a sanguinare dal cuore” precisò Aken. “Ma no, lascerò fuori Eikhe e tutto il resto, una volta che saremo al dunque. E’ solo il viaggio a rendermi un po’ musone.”

“Alla nostra partenza da Rajana, sembravi più sereno” gli rammentò il fratello minore, sollevando dubbioso un sopracciglio.

Aken allora si esibì in un sorriso tutto denti e il fratello, scoppiando a ridere, esalò: “Non sei normale, fratello mio!”

“Mai detto di esserlo” replicò il principe ereditario prima di volgere lo sguardo verso ovest, non appena l’ululato di un lupo si espanse nella vallata.

“Eccole!” sussurrò, sorridendo a Ruak.

Alcune ore dopo quel primo ululato, Aken vide il primo lupo uscire in avanscoperta dal bosco vicino.

Levato il pugno in alto per bloccare la colonna di uomini e mezzi che guidava, attese paziente che le donne uscissero allo scoperto con il resto dei loro animali.

Dietro di lui, l’esercito interruppe la marcia con efficienza e velocità e, sotto gli occhi sorpresi di tutti, un fiume incessante di donne-lupo si allargò intorno a loro come un gigantesco ventaglio vivente.

Lupi di tutte le dimensioni e colori si unirono a loro mentre, dal grosso dell’esercito, cori soffusi di sorpresa si intervallavano al nitrito di alcuni cavalli e al muggire dei buoi che trasportavano le vettovaglie.

Di fronte a un simile spettacolo – non potevano esserci meno di cinquemila donne-lupo, innanzi a loro – Aken non poté che sbattere meravigliato le ciglia.

Ruak, al suo fianco, osservò tutte loro a occhi sgranati e bocca spalancata.

I loro pesanti mantelli di pelle, le maschere di terracotta che ne deformavano i lineamenti e le lunghe lance che portavano con fierezza, gridavano ai quattro venti quanto fossero pericolose, pur se donne.

Sia Aken che Ruak non si sognarono neppure per un istante di sottovalutarle.

Dopo quel breve momento di sgomento, il principe ereditario scese da cavallo per andare loro incontro e attese che una di lro si avvicinasse per presentarsi al suo cospetto.

Quando scorse infine una figura alta e aggraziata muoversi verso di lui, riconobbe in quei movimenti la persona di Kaihle, nonostante la maschera di terracotta dal profilo bizzarro ne confondesse i lineamenti.

Scostando la maschera dal volto quando fu abbastanza vicina a lui, la donna lo fissò con cupo cipiglio prima di sospirare e dire: “Come promesso al re, le donne-lupo sono giunte per appoggiarvi durante la battaglia.”

Allungando una mano per stringere quella di Kaihle, Aken le sorrise cordiale e replicare: “Vi sono grato per aver accettato la nostra richiesta. Sono sicuro che sarete un aiuto più che valido per il mio esercito e, fin d’ora, la Corona vi ringrazia per tutto ciò che potrete fare per la causa.”

Guardandosi intorno con brevi cenni del capo, Kaihle schioccò le dita una volta sola e, dal gruppo di donne alle sue spalle, i lupi si mossero in formazione per avvicinarsi all’esercito.

“Devono imparare a riconoscere i loro odori. Dite agli uomini di non muoversi, se non vogliono essere morsi” spiegò poi Kaihle, lo sguardo adamantino fisso su di lui.

Annuendo, il principe riferì il messaggio ai suoi luogotenenti e al fratello, prima di sorridere nel vedere avvicinarsi un bel lupo dal manto dorato.

Allungando una mano, gliela avvicinò al naso sorridendo tranquillo e, con voce soffusa, mormorò: “Ciao.”

Il lupo lo annusò per un momento prima di scodinzolare e Aken, piegandosi su un ginocchio, lo grattò dietro le orecchie, sorridendo soddisfatto quando lo vide ciondolare la lingua con aria appagata.

Aggrottando leggermente la fronte di fronte al suo lupo, e a quello scambio di confidenze inaspettate, la donna disse atona: “Pare tu non ne abbia paura.”

“A Nys piaceva che lo grattassi dietro le orecchie” spiegò Aken, prima di sospirare e mormorare mestamente: “Mi è spiaciuto vederlo morire. Era un bravo lupo, e un ottimo compagno di viaggio.”

“Ehi, fratello, dici che posso farlo anch’io?” intervenne Ruak, sorridendo incerto al lupo che, alla stessa maniera, lo stava guardando con il muso piegato su un lato.

“Prima lascia che senta il tuo odore, e non mostrare mai i denti, perché potrebbe interpretarlo come una sfida” gli spiegò Aken, senza accorgersi dello strano cipiglio sul volto di Kaihle.

Ubbidendo, Ruak si piegò in ginocchio vicino al lupo come suggeritogli dal fratello e, ridacchiando, esalò: “Ha un pelo morbidissimo, e un gran bel colore.”

“Avy è uno dei pochi lupi della nostra tribù ad avere questo tipo di pelo” spiegò loro Kaihle, richiamando a sé il suo lupo con uno schiocco secco della lingua contro il palato.

“Eikhe ne ha uno grigio. Gliel’ho visto quando è venuta alla guarnigione, a Marnha” asserì pensieroso Ruak, grattandosi il mento ricoperto da leggera barba chiara. “Lei c’è? Mi piacerebbe salutarla.”

“Eikhe è rimasta a Nestar. Si deve occupare delle difese del villaggio in mia assenza” dichiarò la donna, con  gelo nella voce.

“Oh, che peccato! Mi sarebbe piaciuto parlare ancora con lei” sospirò allora il giovane principe, guardando di soppiatto il fratello, che era impallidito a quella notizia. “Posso mandarle un messaggio con i miei saluti, Signora?”

“Vi informerò quando spediremo le nostre missive al villaggio” replicò succinta Kaihle, allontanandosi subito dopo con il suo lupo per tornare dalle altre donne.

“E così, non c’è” commentò Ruak, guardando di straforo Aken.

“Parrebbe di  no” disse cauto il guerriero.

“Forse, la madre ha preferito tenerla al sicuro dai combattimenti” ipotizzò allora il fratello minore, scrollando le spalle.

“Eikhe può tener testa a venti donne normali” dichiarò per contro Aken, storcendo il naso. “E a una decina di uomini, se è per questo. Non penso proprio che la battaglia c’entri con la sua mancanza dal fronte.”

“Credi non sia voluta venire?” borbottò il giovane, un po’ sorpreso.

“Tu che dici? Sei tu ad averla vista per ultimo” ringhiò Aken, fissandolo con cupo cipiglio.

Sostenendo il suo sguardo d’acciaio, Ruak replicò piccato: “E’ inutile che mi guardi come se ti avessi fatto il più grande torto del mondo. Eikhe mi piace, ma non quanto piace a te, questo è sicuro. Io e lei siamo amici, ma era più che evidente che lei avrebbe visto dieci volte più volentieri te, quel giorno, a Marnha.”

Sospirando, Aken reclinò il capo e gli domandò: “Sei sicuro che stesse bene, vero?”

“Sì, era un po’ pallida, ma forse era dovuto al freddo. Quello che sicuramente le faceva male, era saperti lontano” gli spiegò Ruak, calmandosi immediatamente e dando una pacca consolatoria al fratello.

Lo faceva soffrire vedere Aken così abbattuto e, per un momento, se la prese con Eikhe; perché non era venuta?!

“Esattamente come fa male a me” ammise il guerriero, appoggiando una mano alla sella del suo stallone. “Non chiedo molto, solo di rivedere ancora una volta i suoi occhi.”

“E pensi che basterebbe? Andiamo, Aken! Si vede benissimo che l’ami, e credo che la cosa sia più che ricambiata” sbottò Ruak, con veemenza. “Perché non ne parli con nostro padre? Se gli spiegassi la cosa, sono sicuro che si troverebbe una soluzione.”

“E cosa dovrei fare? Farla diventare la mia amante?” ritorse Aken, aspro. “Non la accetterebbero mai come regina, e lei non vivrebbe mai in un castello per tutta la vita, come semplice concubina, sapendo bene di non potermi avere tutto per sé. Maledizione, Ruak, non posso certo farle uno sgarbo simile!”

Annuendo grave, Ruak gli chiese con delicatezza: “Sei stato insieme a lei?”

“Sì” disse solo Aken, passandosi una mano sul torace coperto dalla cotta di maglie di ferro dell’armatura.

“Se io… se io prendessi il tuo posto, non avresti più il peso della corona sulle spalle e…” tentennò Ruak, guardandolo con aria dubbiosa da sotto le lunghe ciglia.

Sinceramente sorpreso, il guerriero esalò a occhi sgranati: “Ti sobbarcheresti un peso simile… per me?”

“Sei mio fratello. E poi, per me non sarebbe un peso come lo è per te. Sono più propenso di te ad ascoltare i ministri e i prelati” scrollò le spalle il giovane principe.

Il principe ereditario sospirò, così il fratello tornò alla carica.

“Andiamo, Aken, credi non mi sia accorto che non sei felice neppure tu, a palazzo? Sembri schiacciato dalle pareti del castello, come se ti soffocassero. In questo, credo tu sia molto simile a Eikhe. Amate entrambi la libertà, e penso sia stato questo ad avvicinarvi così tanto, in primo luogo. Già da prima di scoprire di amarla, tu potevi benissimo comprendere i suoi sentimenti.”

Sorridendo con autentico affetto al fratello, Aken gli strinse una mano sulla spalla e disse: “Dammi uno ceffone, la prossima volta che ti dirò che non sei abbastanza adulto per darmi consigli.”

Ridacchiando, Ruak replicò: “E rischiare di prenderlo indietro? Neanche per sogno!”

***

Seduto accanto a uno dei tanti fuochi accesi nel campo allestito dall’esercito, Aken osservava pensieroso le fiamme danzanti che ardevano di fronte a lui.

Una lieve brezza profumava l’aria dell’odore caratteristico dei pini da resina, che circondavano la radura dove si erano fermati.

In lontananza, nel fitto dei boschi, alcuni cervi stavano dichiarando al mondo a chi appartenevano quei luoghi.

I molti lupi presenti, frementi all’idea di cacciare, uggiolavano infastiditi dall’intraprendenza di quelle prede, che li stavano apertamente sbeffeggiando.

Il loro compito non era cacciare, per quella notte, ma il loro istinto di predatori cozzava con gli ordini ricevuti e, di sicuro, più di un lupo avrebbe sofferto le pene dell’inferno, quella notte.

I cori degli uomini intorno ai fuochi si inframmezzavano alle chiacchiere allegre delle donne, poco distanti dal loro accampamento.

Il nitrito dei cavalli, invece, si accompagnava al muggito sommesso dei buoi, pronti per il riposo notturno.

Alta in cielo, la luna disegnava uno spicchio candido e freddo come le stelle sue compagne.

Sorridendo al ricordo di una lontana notte in cui, con un cielo come quello, aveva spiegato il corso delle stelle a Eikhe, Aken si chiese cosa stesse facendo in quel momento la ragazza.

Sdraiandosi a mani conserte dietro al nuca, il lungo corpo disteso su un telo di pelle, il principe rimase in silenziosa ammirazione del manto celeste.

Questo fin quando, all’improvviso, di fronte al suo viso si allargò il muso affilato di un lupo maculato grigio e nero.

Sollevandosi a mezzo, il giovane principe lo fissò confuso per un momento prima di chiedere: “Cosa c’è’?”

Il lupo lo tirò debolmente per la tunica, come a volergli dire di seguirlo e lui, dopo un attimo di sconcerto, si levò in piedi e seguì il lupo dal pelo maculato, dirigendosi verso il fitto del bosco.

Non appena oltrepassarono alcuni cespugli, l’oscurità si fece quasi totale e il lupo si fermò, scrutando Aken dietro di sé.

Fermo a pochi passi dall’animale, il principe aggrottò la fronte per un attimo prima di scorgere, vicino a un abete sottile, la figura ammantata di una donna.

Intenta a osservarlo da dietro la maschera che indossava, la figlia del branco esordì dicendo: “Eccoti, finalmente.”

La sua voce era esile e aggraziata e denotava la sua giovane età per cui Aken, con un sorriso sghembo, si esibì in un frivolo inchino prima di chiedere: “Posso esserti utile in qualcosa, figlia del branco?”

Sobbalzando leggermente per la sorpresa, la ragazza si tolse la maschera dal viso mostrando un incarnato d’alabastro, neri capelli legati in una treccia e occhi nocciola.

Avanzando di un passo, gli chiese dubbiosa: “Come sapevi che non ero una Madre?”

“La voce tradisce la tua età…” le spiegò Aken. “…quindi torno a chiederti; in cosa posso esserti utile?”

“Volevo solo conoscerti…” scrollò le spalle la ragazza, prima di aggiungere: “… sono un’amica di Eikhe.”

Accigliandosi subito, Aken le chiese preoccupato: “Lei, come sta?”

“Bene, direi. Volevo solo capire cosa ci trovasse di così interessante, in te” ammise con sincerità la ragazza, girandogli intorno con aria meditabonda, studiandone le forme come se dovesse scegliere un capo di bestiame.

Un po’ teso di fronte a quell’esame non previsto, lui le chiese vagamente nervoso: “Posso sapere il tuo nome?”

“Sendala, principe” mormorò la giovane, ancora intenta a guardarlo.

“Bene, Sendala, vedi di piantarla. Non sono un toro in vendita alla fiera, pronto solo per essere macellato” sbottò Aken, facendola scoppiare a ridere.

“Sì, scusami” annuì lei, tornando dinanzi all’uomo e intrecciando le mani dietro la schiena.

“Cosa ti ha detto, Eikhe?” si informò allora lui, scrutandola in quegli occhi limpidi e attenti.

Ogni cosa. Per questo, ho insistito per venire qui. Per vederti” lo informò Sendala. “Non ho mai fatto mistero di non fidarmi degli uomini, ed Eikhe è la mia migliore amica, quindi volevo essere sicura che avesse perso la testa per un uomo degno di lei. Non che la cosa mi riempia di gioia ma, se è contenta lei...”

Poggiando le mani sui fianchi, Aken borbottò piuttosto scocciato: “E pensi che, soltanto guardandomi, riusciresti a capire tutto, di me?”

“Non sarei mai così superficiale…” precisò Sendala, assottigliando le iridi nocciola. “…ma, dal tuo portamento, capisco che sei un uomo fiero e valoroso. Nei tuoi occhi posso scorgere un cuore nobile e puro, e dalla piega amara della tua bocca so che un dolore profondo ti squarcia l’animo.”

Sorpreso da quella dichiarazione, espressa senza alcuna accusa nella voce, né condanna, il principe sospirò e ammise: “Siete davvero creature speciali, voi ragazze-lupo. Pensavo che Eikhe, per quello che è, fosse un caso a sé, ma ora scopro che lo siete tutte, a vostro modo.”

“Non hai paura di lei?” chiese allora Sendala, inclinando il capo per scrutarlo con espressione guardinga.

“Perché dovrei?” mormorò semplicemente Aken, allargando un poco le braccia come se la sua fosse stata una domanda inutile. “Lei è Eikhe. Punto. Non mi interessa un accidente se è capace di stendermi con un pugno, …anche se spero non lo faccia mai.”

A quel punto, Sendala sorrise comprensiva e disse: “Bene, credo di poter stare tranquilla, allora.”

Scrutandola con attenzione, lui decise di essere non meno diretto della ragazza e le chiese senza mezzi termini: “Tu l’ami, vero?”

Imperturbabile, la giovane annuì e rispose con veemenza: “Certo che l’amo. Credevi di avere l’esclusiva? Ma Eikhe non mi ama nello stesso modo in cui l’amo io, visto e considerato che, quel tipo di amore, lo ha concesso a te.”

“E non sei gelosa?” le chiese allora Aken.

“No. Perché, innanzitutto, io voglio il suo bene e, se può essere felice con te, io non dirò nulla” scrollò le spalle Sendala.

“Sai bene che non potremo mai vivere insieme. Nessuno dei due può soverchiare le leggi che ci guidano” precisò il principe, aggrottando la fronte.

“Lo so, ma spero sempre che qualcosa cambi, per lei e, a questo punto, per te” sospirò Sendala, prima di chiedere: “Kaihle ti ha detto nulla di Eikhe?”

“No, perché?” volle sapere lui, curioso.

Mordendosi un labbro, Sendala scosse il capo e mormorò: “No, nulla, allora.”

“Cosa succede, Sendala? Cosa dovrei sapere?” aggrottò la fronte Aken.

Che succedeva?

“Come hai detto tu, ci sono leggi che non si possono soverchiare. Io sono legata a esse non meno di te, per cui…” scrollò le spalle la figlia del branco, allontanandosi di un passo da lui. “Non avrei neppure dovuto parlare con te, visto che Kaihle lo ha proibito, ma dovevo essere sicura che tu… beh, che tu amassi Eikhe di amore sincero.”

“Capisco” annuì Aken, sorridendole mestamente. “Quando tornerai al tuo villaggio, le porterai un mio messaggio?”

Annuendo, Sendala disse: “Dimmi pure.”

“Dille che non smetterò mai di amarla e che, se non ci consentiranno di vivere insieme, io non sposerò mai nessuna donna” mormorò il principe, un sorriso triste a tingergli il viso.

“Ma tu… sei il principe ereditario. Non puoi rimanere senza moglie!” esalò la ragazza, sgranando gli occhi per la sorpresa.

“Ci penserà mio fratello, se mai vorrà, a dare un erede alla Corona, ma non certo io.”

Poi, con un sospiro, aggiunse: “I lupi non rimangono con il proprio compagno per tutta la vita?”

Sendala annuì infelice e, guardandolo con comprensione, mormorò: “Riferirò il tuo messaggio, principe.”

Senza dire altro, sgattaiolò via nell’oscurità del bosco, seguita in silenzio dal suo lupo.

Dopo aver scrutato quell’ombra lesta muoversi e svanire tra gli abeti, scrollò le spalle e se ne tornò al campo.

Presto ci sarebbe stata battaglia, e lui doveva concentrarsi solo su quella, altrimenti sarebbe morto.

Crogiolarsi col pensiero dei bei capelli di Eikhe tra le mani, o del suo viso acceso dalla passione, lo avrebbero deconcentrato al punto tale che chiunque avrebbe potuto conficcargli una spada nel ventre.

No, meglio non pensare a lei, almeno per un po’. Anche se era decisamente difficile non farlo.

Tornando a sedersi dinanzi alla sua tenda, dove splendeva un allegro fuocherello, ne vide uscire Ruak.

“Si sente tensione nell’aria.”

“A me viene la pelle d’oca” celiò Aken, con un sogghigno.

“Allora, siamo a posto. Vuol dire che sono vicini” dichiarò il giovane, sedendosi accanto al fratello.

Estraendo il portafortuna di Eikhe, nascosto dalla casacca che indossava, Aken lo guardò a lungo senza dire nulla, immaginandosi le dita abili della ragazza mentre cucivano quel sacchetto colmo di erbe profumate.

Sorridendo mesto, mormorò: “Eikhe mi ha insegnato a muovermi per i boschi, ad ascoltare il respiro delle piante. Dopo un po’, diventa piuttosto facile, anche senza avere le sue doti.”

“E’ questo che stai facendo, ora?” gli chiese Ruak, scrutandolo curiosamente.

Annuendo, Aken asserì: “Sento i lupi che vorrebbero muoversi dal campo per andare a caccia, e il chiacchiericcio delle donne, poco lontane dai qui, che discutono di tattiche di guerra, mentre nel bosco i cervi passeggiano placidamente.”

Guardando ammirato il fratello, Ruak asserì con un sorriso: “Stare con Eikhe ti ha reso estremamente riflessivo, sai?”

“Dici?” ridacchiò Aken. “Ammetto tranquillamente che, prima, non brillavo per pazienza o attenzione per i particolari.”

“Per niente. Eri più un bufalo che attaccava a testa bassa” annuì sogghignando Ruak. “Ma ora sei diverso. Il tuo viso è più posato, e sembri più controllato, meno propenso a perdere la calma.”

“Perdere il controllo ti rende debole, l’ho imparato piuttosto bene” ammise Aken, rigirandosi il portafortuna in una mano.

“Vuoi dire che non salterai sul tuo cavallo per buttarti in mezzo alla mischia come un folle sanguinario?” ghignò Ruak, ridacchiando.

“No, penso proprio che non lo farò” decretò Aken con aria saccente.

Dandogli una pacca sulla spalla, Ruak celiò divertito: “Beh, ti voglio proprio vedere!”

Aken lo fissò con aria pensierosa, ripensando alle parole del fratello.

Sì, stare con Eikhe lo aveva cambiato per sempre, ormai se ne rendeva conto anche da solo, così come si rendeva conto che Ruak aveva visto giusto anche su un altro punto.

Il castello era sempre stato una gabbia, per lui, non lo aveva mai amato come, invece, lo amava il fratello, o il padre.

Per lui, era solo un luogo in cui tornare e ritrovare i suoi affetti ma, non appena quelle pareti di roccia gli si chiudevano intorno, un senso di soffocamento lo prendeva ogni volta.

Senso di soffocamento che si annullava ogni qual volta sgusciava dall’abbraccio di Rajana, per gettarsi in mezzo alla mischia.

Non era un uomo fatto per starsene seduto entro quattro mura a discutere di politica, ma un uomo d’azione, un uomo che amava il respiro della terra, l’urlo del vento e il grido possente delle acque vorticose.

In questo, era uguale a Eikhe, e questo li aveva avvicinati come i due pezzi separati alla nascita di un’unica medaglia.

Saperlo non lo rincuorava, anzi, il peso sul suo cuore era ancora più schiacciante.

Per amore del suo Regno e di Eikhe, avrebbe fatto di tutto per proteggere quelle terre che lui tanto amava, anche stare lontano da lei per tutto il resto della sua vita.

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Capitolo 15
*** cap.15 ***


 
Per questo capitolo mi sono in parte ispirata alla battaglia di Austerlitz. Non sempre, avere una posizione elevata durante la battaglia, è sinonimo di vittoria. Buona lettura!
********************

 

15.

 

 

 

 

 

Le prime avvisaglie della tempesta in arrivo, si ebbero in una uggiosa mattina di primavera inoltrata.

L’esercito di Aken presidiava la spianata nei pressi di Royconea da più di un mese, preparandosi alla lotta e attendendo impaziente che il pericolo giungesse da Anarsis.

Sapevano per mezzo di pattuglie in avanscoperta, del lauto banchetto che stavano portando avanti nelle terre sguarnite di protezione che si estendevano oltreconfine.

Aken, però, aveva intenzione di interrompere alla prima portata quel luculliano pasto e, con i suoi uomini, avrebbe spezzato quelle fauci spalancate e pronte a divorarli.

Avrebbe ridotto il nemico in condizioni tali da ritornare sui propri passi, o morire tra quelle lande per loro straniere.

O, per lo meno, questi erano i suoi piani.

Scrutando pensieroso le nere colonne di fumo che si levarono poco oltre il confine, Aken aggrottò la fronte nell’indicarle al fratello e ai suoi ufficiali, chiosando torvo: “Eccoli che arrivano.”

“Avranno una bella sorpresa, quando passeranno il fiume” dichiarò uno dei comandanti, sogghignando al suo fianco. “Non si aspettano che ci sia un intero esercito, nascosto nei boschi. E, di sicuro, non uno di una simile portata. L’idea di nascondere il grosso degli uomini tra la boscaglia potrebbe rivelarsi decisiva, in caso di scontro diretto con il nemico.”

“Lo spero” sospirò Aken, prima di guardare  Kaihle, a pochi passi da lui, e chiederle: “Ci sono stati avvistamenti di lupi?”

“Sono stati prontamente uccisi, quindi sanno che qualcosa si nasconde qui, ma non ne conoscono le dimensioni” spiegò Kaihle tranquillamente, le braccia intrecciate sotto il seno.

“Molto bene” annuì il principe, tornando a guardare il fumo denso e scuro che si levava dalle colline oltreconfine.

“Noi ci sposteremo verso nord per attaccare la colonna dei cavalieri che si trova sul fianco sinistro dell’esercito di Vartas” dichiarò Kaihle, sempre in tono pacato. “I lupi hanno già fiutato i cavalli, e ci hanno riferito che la loro posizione non è mutata nelle ultime miglia, quindi non possiamo sbagliare.”

“Ottimo, procedete come stabilito. Mi fido del vostro buon senso. Noi penseremo alla fanteria di terra, mentre le figlie sacre baderanno agli arcieri”  acconsentì Aken, prima di volgersi verso il sergente Kerada per dargli rapide istruzioni.

Annuendo a più riprese nell’ascoltare gli ordini dettagliati del principe, il soldato si allontanò in fretta per riferire il piano di azione agli altri ufficiali presenti sul campo.

Rimasto solo con Kaihle e il fratello, il principe chiese cautamente: “Posso chiederti una cosa, mia Signora Kaihle?”

“Dimmi, principe” replicò serafica lei.

“Una volta finita la guerra, vorrei venire al villaggio per salutare Eikhe. In fondo, è per merito suo se io posso combattere per difendere il mio popolo, e volevo ringraziarla” le spiegò Aken, cercando di non mostrarsi troppo interessato.

“Lei non ti vuole più vedere” rispose seccamente Kaihle, volgendo lo sguardo per fulminarlo con gli occhi.

Cercando di non sobbalzare dalla sorpresa di fronte a parole così dure, Aken la fissò confuso, esalando: “Come mai, se è lecito chiedere?”

Fissandolo con astio, Kaihle asserì rigida: “Mi chiedi perché?! Dovresti saperlo! L’hai portata su una via sbagliata e ora si vuole redimere e, per farlo, non ti deve più vedere. Quindi ti avverto, non mettere piede nei miei territori o, principe o meno, ti farò attaccare dai miei lupi.”

Cercando di non risponderle a tono, Aken dichiarò torvo: “Preferirei sentirlo dalla sua bocca.”

“Allora, preparati a morire. Non ti permetterò di rovinare ulteriormente mia figlia. Lei vuole dimenticarti, e io la aiuterò a farlo, perciò stai alla larga da noi, quando tutta questa follia sarà conclusa” sibilò Kaihle, calando sul viso la sua maschera di terracotta prima di abbandonare un attonito Aken.

Osservandola allontanarsi con passo deciso, il principe avvertì una morsa stringergli il petto e, cercando di riprendere fiato, imprecò sottilmente prima di sentire sulla spalla la mano comprensiva del fratello.

“Credo sia solo furiosa con te, ma non penso proprio che Eikhe abbia detto una cosa simile” sussurrò Ruak, sorridendo timidamente.

“Eikhe non vuole rivedermi” ripeté ad alta voce Aken, posando una mano sul pomo della spada.

“Non lo credo possibile. La ragazza che ho visto a Marhna non può aver detto una cosa del genere” ripeté Ruak con veemenza.

 “Allora come te la spieghi, questa uscita?!” ringhiò il fratello, fissandolo con astio malcelato.

“L’hai detto tu che le loro leggi non prevedono che si possano innamorare di un uomo, perciò sua madre ha semplicemente cercato di tenerti alla larga da lei, ma questo non vuol dire che Eikhe la pensi alla stessa maniera” replicò con logica ferrea Ruak, accigliandosi a sua volta.

“A ogni modo, la sostanza non cambia. Non posso andare da lei” sospirò Aken, scrollando il capo, incredulo.

Possibile che fosse tutto davvero finito? Che, in tutta la sua vita, non avrebbe mai più incrociato lo sguardo con le sue calde profondità ambrate?

“Cosa vorresti fare? Mollare tutto? Solo perché lei ti ha detto di non andare?!” replicò scettico Ruak.

“Che altro posso fare? Rompere il trattato e scatenare una guerra? Potranno anche essere inferiori numericamente, rispetto a noi, ma combatterebbero su terreno a loro favorevole, e sarebbe un bagno di sangue. No, non voglio scatenare una seconda guerra, e solo per il mio amore per Eikhe. Se Kaihle dice così, sono costretto a cedere e rimanere in silenzio” gli spiegò suo malgrado Aken, un groppo in gola a rendere mozza la sua voce.

“Ma… e la tua felicità? Non vorresti stare con lei?” tentennò Ruak.

“Certo che lo vorrei!” esclamò Aken. “Cosa credi?!”

Sospirando, il fratello scosse il capo e asserì: “Sì, lo so, scusami. Rischieresti davvero di far scatenare una guerra intestina, e non è il caso. Vartas ne approfitterebbe subito.”

“Appunto” commentò aspro Aken, aggrottando la fronte.

“Pensiamo alla battaglia, Aken. Se anche non puoi vederla, puoi sempre scriverle, no?” abbozzò un sorriso Ruak, sfiorandogli un braccio con la mano inguantata.

“Già” sospirò a quel punto il fratello maggiore, annuendo e cercando di concentrarsi sulla battaglia imminente.

Entro il giorno successivo, avrebbero sicuramente cozzato contro la fanteria nemica.

Se le rilevazioni delle donne-lupo erano esatte, si sarebbero ritrovati le cavallerie reali di Vartas sul lato nord del loro schieramento.

Un’autentica spina nel fianco.

Non era piacevole ammettere che i cavalieri di Vartas rappresentavano la loro maggiore preoccupazione, perché voleva anche dire che il loro braccio armato a cavallo, al confronto, aveva ben poche speranze di prevalere.

Per annullare il divario di forze che esisteva tra di loro, si sarebbero affidati agli attacchi fulminei delle donne-lupo.

Forti dei loro animali e della loro capacità di muoversi tra i boschi, avrebbero creato scompiglio nelle formazioni a V dei possenti cavalieri vartassyan.

Questo avrebbe permesso agli uomini di Enerios di attaccare più efficacemente quell’imponente, quanto pericolosa, armata nemica.

La fanteria sarebbe stata più facile da controbattere, essendo l’esercito di Aken più preparato alla battaglia a viso aperto, nel corpo a corpo mortale.

Quello era pane per i loro denti, e di questo nessuno di loro aveva paura.

Enerios poteva contare su picchieri possenti e dalla resistenza quasi illimitata, che bene si sarebbero trovati su un campo di battaglia del genere.

Agli arcieri, infine, avrebbero pensato le figlie sacre.

Una sola volta, in quelle lunghe settimane di attesa, Aken aveva parlato con la loro comandante in capo, una donna di nome Kreathe.

Da quell’unico colloquio, però, il principe era tornato tra i suoi compagni rinfrancato e rassicurato.

Sapeva di avere le spalle ben coperte, nonostante non avesse mai conosciuto prima quella donna.

Aveva lo stesso spirito di Eikhe e, anche solo per questo, lui si sarebbe fidato a occhi bendati della sua mano in battaglia.

Paradossalmente, molto più di Kaihle, che conosceva da maggior tempo.

Sapeva benissimo che eliminare gli arcieri era il compito più pericoloso – notoriamente protetti dalla fanteria e dai picchieri – ma, data la forza e la velocità delle figlie sacre, avevano speranza di vittoria.

Non si sbagliava, confidando in loro. Avrebbero prevalso.

***

Appostati nelle loro posizioni, e nascosti agli occhi del nemico dal fitto bosco, i soldati di Aken non si meravigliarono più di tanto quando udirono, in lontananza, l’eco delle urla dei cavalieri di Vartas.

Furono quei suoni a dire loro che l’attacco delle donne-lupo, e dei loro compagni, era avvenuto.

Nel giro di pochi attimi, grida di lotta e clangore di spade si levarono tra gli alti pini da resina mentre il fronte principale dell’esercito di Vartas compariva dall’alto della collina.

Aken, annuendo al trombettiere, ascoltò la nota squillante che scaturì dall’ottonato strumento levarsi verso il cielo ed estendersi per tutta la piana.

Questo, avvertì l’esercito dell’arrivo della fanteria nemica che, nell’udire i suoni di lotta provenienti dal vicino bosco, si bloccò e serrò le fila in attesa di ordini.

Soddisfatto dell’attacco a sorpresa sferrato dalle donne-lupo, il giovane principe scorse con la coda dell’occhio i movimenti furtivi delle figlie sacre, già pronte a muoversi sui lati delle coorti di Aken.

Levando un braccio per dare il via all’attacco, il principe di Enerios lanciò un grido spaventoso, che riverberò sinistro tra le pareti naturali che circondavano la piana.

Come un sol uomo, la fanteria si mosse per fronteggiare quella di Vartas mentre i cavalieri, schierati ai due lati dei picchieri – che circondavano i fanti di battaglia – , presero la via dei boschi per dare man forte alle donne-lupo.

Ben presto vi furono solo il caos, le grida, il sangue, la morte.

Fendenti di spade si mescolavano a sibili di frecce e colpi di lance, mentre le urla degli uomini si confondevano con le grida delle donne e gli ululati dei lupi.

Spezzando il fronte nemico con l’attacco a sorpresa delle donne-lupo, Aken aveva reso quasi del tutto inutile la presenza della cavalleria di Vartas.

Vistasi accerchiata in più punti dai lupi e dai cavalieri di Enerios, aveva dovuto retrocedere per unirsi al grosso dell’esercito di fanteria.

Esercito che, in quel momento, stava tentando di forzare le linee anche grazie agli arcieri presenti sul colle da cui provenivano.

Serrando man mano le fila per avere così un esercito più compatto, e utilizzando gli ampi scudi per proteggersi dalle frecce, Aken riuscì finalmente a vedere all’opera la maestria nel combattimento delle donne-lupo.

Armate delle loro corte spade e aiutate dai loro lupi, cominciarono a colpire sul fianco nord la fanteria di Vartas.

Quando, però, entrarono in azione le figlie sacre per respingere l’azione degli arcieri, tutti trattennero per un attimo il fiato, nonostante la battaglia fosse serrata e il tempo per crogiolarsi fosse davvero esiguo.

La loro agilità nel muoversi, e la velocità disumana di cui disponevano per natura, permisero alle figlie sacre di scavalcare di peso la prima difesa formata dalla fanteria.

Questo, concesse al gruppo di donne di puntare direttamente alla fonte principale del problema.

E lì fu il massacro.

Le figlie sacre dello schieramento di Vartas - presenti in numero inferiore rispetto al previsto - si lanciarono contro quelle capitanate da Kreathe, scatenando un autentico putiferio in mezzo lo schieramento nemico.

Cozzando tra di loro come tori alla carica, le figlie sacre iniziarono a menar fendenti con la stessa velocità con cui i lupi azzannavano le prede per ucciderle.

Nel giro di pochissimi secondi, il sangue cominciò a scivolare a fiotti dai corpi di coloro che crollarono sotto i colpi delle nemiche.

Superiori per numero, le figlie sacre devote a Enerios, e non impegnate in combattimento, si occuparono degli arcieri prima dell’arrivo dei rinforzi da parte di Vartas.

Nel frattempo, le loro sorelle impegnate nella lotta diedero fondo a ogni più piccola stilla di energia, per avere il sopravvento sulle nemiche e permettere loro di avere campo libero.

Pur desiderando con tutto se stesso sincerarsi delle condizioni delle sue alleate, che combattevano nei pressi del colle, Aken non ebbe la possibilità di controllare come stessero svolgendosi i fatti.

Quando, però, le frecce smisero di piovere su di loro come fitta pioggia, seppe che il loro gruppo di figlie sacre aveva avuto il sopravvento sul nemico.

I pochi soldati che furono in grado di scorgere l’intera scena dell’assalto agli arcieri, rimasero basiti di fronte a quello spettacolo e non seppero se gioire della loro presenza, o esserne spaventati.

Quei dubbi, in ogni caso, dovettero essere ben presto lasciati in secondo piano quando l’esercito di Vartas, capitanato da un furioso quanto sconvolto Nargan, portò in campo le catapulte.

Facendo un cenno al fratello, non appena si avvide di quelle armi sul campo di battaglia, Aken lo vide scartare immediatamente con il cavallo per raggiungere la sinistra del loro compatto schieramento di forze.

Con brevi, rapide parole, inviò uno dei comandanti delle coorti a predisporre le armi per il contrattacco.

Con un ampio gesto del braccio, Aken fece disserrare le formazioni per creare svariati e più piccoli gruppi di uomini.

Questo avrebbe reso più difficile al nemico concentrare l’attacco su un’unica porzione di campo.

Nel frattempo, lanciando un fischio alla donna-lupo che, dall’inizio della battaglia, era rimasta al suo fianco come portavoce, esclamò a gran voce: “Tocca alle vostre arciere! Devono bruciare le catapulte!”

“Subito!” gridò la donna, dando un semplice colpo di tacco sul fianco del suo cavallo, prima di galoppare velocemente sulla destra del corpo dell’esercito.

Dinanzi a lui, mentre il contrattacco veniva predisposto il più velocemente possibile, i primi colpi di catapulta cominciarono a piovere con violenza.

Rinfoderando la spada, Aken fece scartare il cavallo sulla sinistra mentre teneva d’occhio la fanteria nemica, che si stava allineando sui fianchi della pianura, ben lontana dai colpi delle loro catapulte.

Nel giro di pochi minuti, anche le loro catapulte cominciarono a rispondere al fuoco, cercando con ogni mezzo di disperdere il nemico e rendere inefficaci i suoi affondi lungo il fronte collinare.

Neppure un lancio venne sprecato per distruggere l’arsenale nemico; non era questo lo scopo.

A quello, avrebbero pensato le figlie sacre.

Sguarniti di arcieri che potessero scagliarsi contro le catapulte di Enerios, la fanteria di Vartas dovette correre in ritirata, quando le frecce incendiarie delle figlie sacre cominciarono a bersagliare lo schieramento nemico.

Aiutate dalla loro forza spinta ai massimi regimi, le figlie sacre utilizzarono archi lunghi dall’ampiezza quasi sovrumana, capaci di coprire distanze che, in casi normali, nessun uomo sarebbe stato in grado di eguagliare.

Con micidiale precisione, le frecce raggiunsero una dopo l’altra le piattaforme mobili delle catapulte.

Nel giro di pochissimi minuti, queste presero fuoco, costringendo non pochi uomini a correre ai ripari per non venire a loro volta colpiti dai ferali dardi infuocati.

Di fronte a una simile disfatta, e non sapendo come altro ribattere a quell’attacco sferrato a sorpresa, re Nargan dovette chiamare la ritirata con un grande stridore di trombe.

Mentre le prime nubi si chiudevano sul cielo inaspettatamente tinto di rosso e amaranto, gli eserciti si mossero per terminare le ostilità di quel primo giorno di lotte.

Affannato e stanco, Aken si guardò intorno con aria vagamente confusa, incredulo che le forze in campo si fossero fronteggiate per quasi mezza giornata senza che lui se ne fosse reso conto.

Nel raggiungere Ruak al trotto leggero, si passò una mano sulla fronte madida prima di chiedere con voce roca: “Tutto bene?”

“Sì, sto benissimo. E tu?” annuì Ruak, stiracchiandosi le braccia prima di levare il capo verso l’alto e sospirare strabiliato.

Sogghignando all’indirizzo del fratello minore, Aken chiosò: “Tutto a posto. E neppure io mi sono accorto del passare del tempo.”

“Mi è parso che tutto stesse succedendo in un lampo” esalò eccitato Ruak, prima di aggiungere: “E’ stato qualcosa di strabiliante.”

Osservando il campo di battaglia, dove i chiari segni della lotta erano mescolati al sangue e ai corpi dei caduti, Aken sospirò e replicò mestamente: “Terrificante, direi.”

Seguendone lo sguardo, Ruak tornò immediatamente serio e mormorò: “Dico agli uomini di raccogliere i morti e i feriti.”

“Sì, vai pure. E manda un messaggero a Vartas. Permetto anche a loro di raccogliere i morti. Non voglio ritrovarmi un campo di battaglia assediato dal Bacio di Rostor” annuì torvo Aken, continuando a osservare la piana di Royconea, ormai irriconoscibile ai suoi occhi.

Rabbrividendo, Ruak annuì con fare deciso.

“Non sia mai! Preferirei combattere mille anni, che morire per colpa di quell’orrenda malattia.”

Aken accennò solo un sorriso, ripensando alle volte in cui aveva visto il pallore spettrale prendere possesso dei corpi di coloro che erano stati colpiti dal Bacio di Rostor.

Nessuna cura, nessuna salvezza. Solo una morte indicibile, dolorosa, e per nulla rapida.

I dottori non avevano mai trovato una cura per quel morbo, ma tutti sapevano che cresceva e prosperava sui campi di battaglia, ove i morti erano lasciati a imputridire.

Per nessun motivo avrebbe corso un simile rischio, e sapeva bene che neppure Nargan, per quanto suo nemico, si sarebbe permesso di commettere un simile errore.

La notte era per i morti, e a essi loro si sarebbero dedicati. Non era fatta per le lotte, ma per lo sfrigolare del fuoco e i sussurri delle preghiere.

Sospirando stancamente nel tornare a osservare la piana, Aken scrutò ciò che un tempo  non era stato che prato incolto e fiorito.

Ora, era solo terra divelta in zolle, ricoperta di sangue e morte e totalmente distrutta dal passaggio di cavalli e uomini in armi.

Ogni dove si poteva percepire l’odore metallico della mano della morte.

I suoi figli prediletti, volteggiando sulla spianata all’imbrunire, non attendevano altro che di poter fare fiero pasto di ciò che gli uomini, nel loro sciocco guerreggiare, avevano offerto loro in dono.

Scuotendo il capo, Aken ricondusse il suo stallone in direzione del loro campo, ben lontano dalla zona della battaglia e libero dal fetore mortale che aleggiava su quei terreni.

Quando finalmente raggiunse l’accampamento, nascosto tra il fitto bosco, le tende dei dottori dell’esercito brulicavano già di feriti più o meno gravi.

Così pure avveniva nell’accampamento di Kaihle dove, con sua somma sorpresa, le figlie sacre non erano presenti.

Esse si erano ritagliate un angolo di bosco ben lontane dalle loro sorelle, e stavano occupandosi di ferite più o meno importanti senza essere in alcun modo aiutate dalle compagne di Kaihle.

Fermo sulla propria cavalcatura in contemplazione di quella strana divisione, Aken si volse a mezzo non appena udì la voce del fratello richiamare la sua attenzione.

Atteso che lui gli fosse accanto, gli domandò: “Le hai viste combattere, oggi?”

Ruak annuì, gli occhi leggermente sgranati nell’osservare le figlie sacre.

Con reverenziale timore, asserì: “Non avrei mai immaginato che fossero così forti. Ero in buona posizione per osservarle, quando hanno puntato gli arcieri e, dèi, è stato come veder infrangersi un uragano contro la costa!”

“Capisci cosa intendeva dire Eikhe, mettendoci in guardia?”  chiese allora Aken, continuando a osservare il piccolo accampamento di figlie sacre poco lontano da loro.

“Hai mai visto combattere Eikhe a quel modo?” chiese per contro Ruak, curioso.

“Due volte” annuì Aken, senza scomporsi. “E sono felice che non sia qui, ora.”

“Lo immagino” annuì torvo Ruak, prima di scorgere Aken avviarsi con il suo cavallo in direzione dell’accampamento delle figlie sacre.

Seguendolo dopo un istante di titubanza, Ruak lanciò un breve sguardo in direzione del campo delle donne-lupo, che risposero alla sua occhiata con occhi feroci e sdegnosi.

Nell’accampamento delle figlie sacre, invece, ebbero tutt’altro genere di accoglienza.

Lì, il giovane principe scorse solo stanchezza, curiosità e gentili sorrisi di benvenuto, di certo non astio o disprezzo.

Un clima decisamente più benevolo, si disse Ruak fermando il cavallo accanto a quello del fratello.

Imitatolo, Ruak scese dalla cavalcatura e, assieme a lui, attese che una delle figlie sacre si avvicinasse per parlare, lasciando nel frattempo vagare lo sguardo tra le tante figure presenti nel campo.

Nessuna di loro sembrava essere particolarmente disturbata dalla loro presenza, alcune erano addirittura incuriosite.

Non potendo trattenersi, Ruak si dipinse un sorriso spontaneo sul viso, e ammiccò simpaticamente a coloro che incrociarono il suo sguardo.

A sorpresa, le donne che lo scrutarono di rimando ridacchiarono divertite prima di rimettersi, chi a curar ferite, chi a farsi curare.

Lanciata un’occhiata curiosa in direzione del fratello, Aken sussurrò: “Che stai combinando?”

“Faccio amicizia” chiosò piano lui, prima di zittirsi nel momento in cui vide avvicinarsi una donna dall’aria seria e posata.

Alta di statura e dalle spalle robuste, la figlia sacra che si presentò al loro cospetto li studiò con attenti occhi ambrati, prima di accennare un sorriso e domandare: “Cosa vi porta qui, cavalieri?”

Sorridendo spontaneamente e accennando un breve inchino di saluto, Aken esordì dicendo: “Sono il principe Aken, figlia sacra. Posso esservi di aiuto in qualche modo?”

La donna, dai capelli striati di grigio e la bocca a forma di cuore, lo fissò per un momento con aria sorpresa prima di ridacchiare, abbozzare un inchino e dire: “Non abbiamo bisogno di nulla, principe, ma grazie. Le ferite delle mie compagne non hanno necessità dell’intervento dei tuoi cerusici.”

“Ci sono state perdite?” volle sapere Aken, osservando con quanta calma una donna si stesse facendo sistemare un taglio di una ventina di centimetri su un braccio.

“Quattro, ma era prevedibile, visto con chi ci siamo battute” scrollò le spalle la donna, come se niente fosse. “Mi hanno detto che hai saputo della loro presenza nell’esercito grazie a una nostra compagna; è vero?”

Annuendo, Aken le disse a mo’ di spiegazione: “E’ stato grazie a lei se mi sono salvato, e ho potuto avvisare il mio popolo. Forse la conosci. Si chiama Eikhe, del villaggio di Nestar.”

“La tribù di Kaihle?” esalò la donna, sorpresa.

“Esatto, è la sua figlia minore” annuì Aken.

“Non l’ho mai vista. Ma dici che è come noi, eh?” disse curiosamente la donna.

Ridacchiando, Aken annuì e dichiarò: “Decisamente come voi.”

Scrutando Kaihle, che se ne stava a qualche centinaio di iarde da loro, la donna aggrottò la fronte e borbottò: “Non mi piace scoprire le cose a questo modo. Sei certo che Eikhe sia una figlia sacra?”

“Occhi e pelle dorati, capelli biondo-ramati, forza pari a quella di tre uomini, movenze simili a quelle dei lupi…” la descrisse Aken, annuendo più volte. “… direi che non posso sbagliarmi.”

Sollevando un sopracciglio con evidente sorpresa, la donna sorrise divertita.

“Hai fatto una descrizione piuttosto particolareggiata. Eikhe ti ha dunque parlato di noi?”

“Sì. Le ho chiesto come mai fosse così rassomigliante a Hyo e al vostro dio, e…”

Interrompendolo con un gesto della mano, la donna chiese con una certa enfasi: “Come sa, un uomo delle pianure, di Hyo e di Hevos? Voi adorate altri dèi.”

“Durante il nostro viaggio, ci siamo recati in un piccolo tempio del dio. Eikhe mi disse che doveva una visita a Hevos, così ho visto i dipinti e la statua” le spiegò Aken, scrollando le spalle con fare noncurante.

Annuendo pensierosa, la donna  sospirò un attimo dopo e mormorò contrita: “Perdonami la scortesia, principe, non mi sono presentata. Mi chiamo Esteria. Mi hai stupito, principe Aken, e in positivo. Il che non avviene molto spesso. Ti devo ringraziare per le informazioni che mi hai dato. Solitamente, vengo sempre informata della presenza di figlie sacre nelle tribù ma, evidentemente, Kaihle non ha ritenuto opportuno avvertirmi.”

Nel dirlo, assottigliò pericolosamente gli occhi ambrati.

“Mi chiedevo cosa avesse spinto il nostro dio a darti manforte, ma ora so il perché. Fin d’ora, ti do la mia parola che, se mai avrai bisogno del mio aiuto, io ti sosterrò.”

Un po’ sorpreso, Aken la ringraziò con un sorriso e disse: “Spero valga anche per mio fratello.”

Sorridendo all’alto giovane al fianco di Aken, Esteria asserì: “Si vede che avete lo stesso spirito. Sì, guarderò anche le sue spalle, se un giorno lo ritenesse necessario.”

“Grazie infinite” sorrise Ruak, permettendosi di prenderle una mano per baciarne il dorso con eleganza.

A quel punto, Esteria scoppiò a ridere e esclamò: “Cielo! Una simile smanceria per un vecchio orso come me!”

Ruak ammiccò e mormorò malizioso: “Non vedo orsi, in giro.”

Anche altre ragazze ridacchiarono e Ruak, con un esagerato inchino, dichiarò: “Sempre pronto a dir fesserie per far sorridere ragazze così belle e coraggiose.”

“Porta via tuo fratello, principe Aken, prima che istupidisca le mie sorelle più giovani!” rise Esteria, sorridendo benevola ad entrambi.

“Credo ti prenderò in parola. Andiamo, Ruak. E smettila di fare il cascamorto” esalò Aken, prendendolo sottobraccio.

“Non stavo facendo niente del genere…” precisò Ruak “… le ringraziavo solamente per il loro importante aiuto.”

“Non lo metto in dubbio, ma ora andiamo” rise Aken, allontanandosi dal campo dopo aver salutato Esteria.

Rimasta sola, Esteria si volse a mezzo non appena udì dei passi avvicinarsi a lei.

Scorgendo la figura leggermente ricurva di Kreathe, la salutò con un leggero cenno del capo prima di dire: “Non mi avevi parlato di questa Eikhe di Nestar.”

“Ammetto la mia colpa, sorella. Nella concitazione di questi tempi, ho dimenticato di fartene cenno” ammise candidamente Kreathe, sorridendole.

Sollevando un sopracciglio con ironia, Esteria celiò: “Kreathe, la tua testa ha più buchi di un formaggio di mucca stagionato. Dimmi, quanti anni ha la fanciulla? O hai dimenticato anche questo?”

Ridendo sommessamente, la donna dichiarò: “Diciassette, forse diciotto. Mi è parsa molto matura, per la sua età.”

L’attimo seguente, scrutò in lontananza la figura dei due principi a cavallo.

“Cosa volevano?”

“Sapere se avevamo bisogno di aiuto” sorrise divertita Esteria, prima di tornare seria e aggiungere: “I giovani principi mi piacciono molto, Kreathe. Sono nobili d’animo, e rispettosi di tutte noi.”

“Ne avevo avuto l’impressione, l’unica volta in cui ho parlato con il principe Aken” annuì soddisfatta Kreathe. “Mi fa piacere sapere che la pensi come me.”

“So riconoscere gli uomini di valore, quando li vedo” ammiccò la donna, prima di chiederle: “Sai come mai Eikhe non sia giunta qui con sua madre? Sarebbe stata un’ottima risorsa in più per la battaglia.”

Kreathe aggrottò la fronte, scuotendo il capo.

“Quando ho chiesto lumi a Kaihle, mi ha cacciata via a male parole.”

Sbuffando infastidita, Esteria commentò aspra: “Prima mi tiene nascosta la nascita di una figlia sacra, poi ti tratta a questo modo. Non la sopporto davvero.”

“Non sei l’unica” brontolò Kreathe. “Un po’ di sidro, amica mia?”

“Volentieri” annuì Esteria, lanciando un ultimo sguardo ai due principi, ormai giunti al loro campo.

***

Dissellati i cavalli e lavato via fango, terriccio e polvere, Ruak e il fratello si sedettero finalmente accanto a un bel fuoco scoppiettante.

Allungato un boccale ad Aken perché glielo riempisse di idromele, il giovane principe gli domandò: “Fratello, non ti è parso che avessero la stessa aura di potere di Eikhe?”

“L’hai notato, eh?” chiosò Aken, ammiccando al suo indirizzo.

Sono diverse, non c’è che dire, ma mi farei difendere mille volte da loro, piuttosto che una volta sola da Kaihle” dichiarò Ruak, rabbrividendo suo malgrado.

“Anch’io, anche perché credo che Kaihle, se potesse, mi pianterebbe un coltello nelle costole” brontolò Aken, sorseggiando pensieroso l’idromele.

“Beh, Esteria ti ha dato il suo appoggio, quindi sei a posto” sorrise Ruak, dandogli una pacca sulla spalla.

“Già” sorrise Aken, sollevato.

“A ogni modo, non pensavo che il corpo di una donna potesse sopportare simili stress fisici. Hai visto quanto erano grossi, gli archi lunghi che hanno usato oggi? Ci dovremmo mettere io e te assieme, per riuscire a incoccare una freccia!” sbuffò Ruak, prima di rabbrividire.

“C’è sangue divino, nelle loro vene” mormorò sommessamente Aken, masticando un pezzo di carne secca, mentre osservava distrattamente l’altalenante danza sinuosa delle fiamme.

Scettico, Ruak sollevò un sopracciglio al suo indirizzo e replicò: “Ma che dici? Non vorrai farmi credere che pensi una cosa simile!?”

Accennando un sorrisino, Aken allungò il piatto con la carne secca al fratello e, dopo averlo servito, tornò a posarlo sull’erba calpestata.

“L’ho visto, Ruak. Hevos, intendo.”

Strabuzzando gli occhi e sobbalzando sulla stuoia di cuoio su cui era seduto, Ruak impallidì leggermente di fronte all’uscita del fratello e, con voce vagamente strozzata, esalò: “Dici… sul serio?”

Annuendo nel grattarsi pensosamente una tempia, Aken mormorò: “Lo incontrammo una notte, nel bel mezzo di un bosco, poco lontano dal confine tra Anarsis ed Enerios. Era un enorme lupo bianco, e scintillava come un fuoco vivo. E parlava.”

“Non ti stai prendendo gioco di me, vero?” sussurrò esterrefatto Ruak, continuando a fissarlo con occhi spalancati e sconcertati.

“No, affatto” scosse il capo il fratello, sorridendogli mestamente. “Mi disse di amare e proteggere Eikhe, perché aveva riconosciuto in me un cuore impavido e puro, degno di rimanere al fianco di sua figlia. Ti pare possibile?”

“Beh, di doti ne hai, fratello ma… cavoli!” esclamò Ruak, decisamente impressionato. “Ribadisco, non mi stai pigliando per i fondelli, vero?”

“Pensi che mi inventerei una cosa del genere? Non credi che la cosa non faccia venire i brividi anche a me, tutte le volte che ci penso?” replicò Aken, adombrandosi. “Ruak, pensa solo a questo. Se esiste lui, significa con tutta probabilità che anche Haaron il dio-corvo, esiste. E se esistono i loro dèi, possono esistere anche i nostri? Può esistere la Vergine Iralva, Colei-Che-Tutto-Creò? O Rostor lo Sfregiato, il Padrone della Notte Eterna? O sono tutti le diverse manifestazioni di un’unica entità divina? Chi può dirlo?”

“Davvero non so risponderti, Aken” sussurrò Ruak, gettando un ciocco di legno nel fuoco.

Lamelle di fiamma sfrigolarono sopra le loro teste, mentre una miriade di scintille scarlatte galleggiavano nell’aria prima di svanire nella notte fosca.

Levando lo sguardo per osservare il viso del fratello maggiore, ripeté: “Non so risponderti. Davvero.”

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Capitolo 16
*** cap.16 ***


 

16.

 

 

 

 

 

Il secondo giorno di lotta non fu differente dal precedente, e fiumi di sangue si mescolarono alla terra e all’erba schiacciata dal passaggio dei soldati, o falciata dai colpi degli zoccoli dei cavalli.

Le fauci dei lupi giungevano laddove il braccio delle donne-lupo non poteva, mentre le spade di Enerios fendevano l’aria ricca dei profumi del bosco in fioritura.

Nargan, racchiuso da una bolla protettiva offertagli dai suoi migliori soldati, osservava inquieto e nervoso l’evolversi della battaglia.

Nella sua mente non aveva ancora chiaro come procedere di fronte a quello schieramento così eterogeneo di forze ma che, a conti fatti, lo stava tenendo sotto scacco con indubbia bravura.

Con il duplice apporto delle donne-lupo e delle figlie sacre, Aken aveva annullato il vantaggio di Nargan, offertogli dai suoi cavalieri e dalla sacra stirpe di Hevos, su cui lui aveva contato per eliminare alla radice qualsiasi resistenza da parte di coloro che aveva deciso di conquistare.

Per colpa di Aken, invece, ora doveva fronteggiare un esercito esperto e agguerrito, non sparute squadre di guardie forestali di confine.

Scioccamente, il Re di Vartas lo aveva creduto morto tra le acque del Fenar, invece la piccola lupa dai capelli d’oro che viaggiava con lui era riuscita in qualche modo a salvarlo, consentendogli di predisporre quel nutrito esercito per fermarlo, ed ora non sapeva come procedere.

Invece di una guerra-lampo, vinta con facilità e pochissimo dispendio di energia, ora si prospettava una snervante quanto incerta lotta senza esclusione di colpi, di cui non poteva prevedere l’esito finale.

Avrebbe dovuto eliminarlo di persona a suo tempo, nel Cono del Silenzio, invece di giocare al gatto col topo contro il nemico sbagliato.

Irritato, Nargan fissò il campo di battaglia gremito di soldati mescolati tra loro in un miasma purulento di corpi aggrovigliati tra loro e, parlando al suo aiutante di campo senza mai distogliere lo sguardo dalla lotta, disse: “Dovete uccidere il principe Aken a tutti i costi. Ucciso lui, l’esercito si sfalderà come un castello di carte.”

“Non è facile, sire. Due figlie sacre sono sempre accanto a lui e, anche se così non fosse, il principe è abile, con la spada” replicò l’ufficiale, timoroso di incorrere nelle ire del proprio re.

Digrignando i denti, Nargan ringhiò: “Quel maledetto ha stretto patti con tutte le figlie sacre della montagna, forse?! Uccidetelo! Non mi interessa come, ma voglio il suo sangue su quella radura!”

“Parlerò coi comandanti delle coorti” annuì l’uomo, allontanandosi da Nargan con passo lesto e a testa bassa.

Stringendo le redini del cavallo su cui sedeva con piglio rigido, Nargan sibilò tra i denti: “Avrò il tuo sangue, in un modo o nell’altro, Aken. Non ti permetterò di vanificare così i miei sforzi!”

***

Accorrendo nella strada principale del villaggio, quando videro arrivare un paio di carri su cui si trovavano le donne di ritorno dal fronte, Eikhe e le sue compagne osservarono sgomente le pesanti ferite delle loro sorelle.

Avanzando velocemente – per quanto glielo consentisse la gravidanza – si affiancò al carro ed esalò sgomenta: “Cos’è successo?”

La donna che guidava il carro, una guerriera di circa cinquant’anni, le disse stancamente: “Ci hanno attaccate sul fianco sinistro dell’esercito con frecce incendiarie. Sono stati dei veri pazzi, a usarle in mezzo a un bosco. Ne hanno bruciato diversi acri.”

“Che idioti” esalò Eikhe, aiutando a scendere dal carro una donna ferita a una gamba. “Le fasciature vanno cambiate. Sono zuppe di sangue.”

“Beh, di certo non me le cambierai tu, razza di animale!” le ringhiò contro la donna, scostandola di malagrazia.

Impreparata a quella spinta, Eikhe caracollò all’indietro fino ad aggrapparsi al carro con espressione turbata e sgomenta insieme e, senza capire, esalò: “Ma cosa ti ho fatto?”

“Sei una bestia come le altre, e io non voglio avere niente a che fare con te!” esclamò la figlia del branco, andandosene claudicante insieme a una sua compagna.

Fissando senza capire la guidatrice del carro, la sentì dire a mo’ di spiegazione: “E’ stata ferita da una delle figlie sacre che combattono per Vartas.”

“Figlie sacre!” le ritorse contro la donna in questione, voltandosi a mezzo per fissare Eikhe con disprezzo. “E’ uno spregio, degnarle di un titolo simile! Sono solo belve sanguinarie! Le Guardiane dovrebbero avere il potere di ucciderle appena nate, come era stato proposto ai tempi del Massacro di Eskit!”

“Smettila, Evena! Non devi permetterti di parlare a questo modo! Sai benissimo che la legge parla chiaro!” le ritorse contro la conduttrice del carro.

“Kilana, non venirmi a dire cosa dice la legge, perché lo so benissimo!” sbuffò Evena, accigliandosi ulteriormente. “Quel che non concepisco è che quella ragazzina se ne stia lì, col suo pancione in bella vista, senza aver ricevuto la punizione dovuta a chi infrange le regole!”

Reclinando il capo, Eikhe cercò di non dire nulla ma Evena, di tutt’altro avviso, le si avvicinò rabbiosa e le sputò in faccia con rabbia: “Perché nessuna di noi sa chi è il padre del tuo bastardo?! Cos’hai da nascondere?!”

Spalancando gli occhi a quelle parole, Eikhe assottigliò le iridi dorate e, puntandole sul volto aggrottato di Evena, sibilò: “Non ti permetto di parlare a questo modo della mia creatura, né di offendere suo padre. Le ragioni per cui taccio devono interessare solo a me e, quanto alla punizione di cui vai blaterando, penso che queste siano più che sufficienti a placare il tuo bisogno di sangue!”

Detto ciò, mise mano agli alamari della tunica che indossava e, dopo averla fatta scivolare dalle spalle, si volse per mostrare la sua schiena alla donna.

Sollevato l’orlo della camiciola di lino, mostrò con orgoglio ciò che essa nascondeva.

Rosse striature rigonfie e grandi come un dito segnavano la pelle come corde sigillate nella carne, dodici nerbate fresche e pulsanti che dichiaravano senza bisogno di parole quanto la legge fosse stata rispettata.

Con voce resa tesa dall’odio malcelato che provava, Eikhe sbottò aspra: “Ti sembrano abbastanza, o devono farmene delle altre?”

Evena non parlò, fissando con mani tremanti quei segni scarlatti sulla sua giovane pelle.

Scendendo d’un balzo dal carro, Kilana sistemò in silenzio la camiciola di Eikhe, mentre lei aggrottava la fronte al passaggio del lino sulle ferite ancora fresche e doloranti.

Guardando con cupo cipiglio le donne presenti, Kilana dichiarò a gran voce: “Chi di voi vuole infierire ancora sulla figlia sacra, sappia che avrà da ridire con me. A voi, forse, non interessa che Eikhe sia innanzitutto una ragazza in procinto di diventare madre, ma a me sì. E la prima che troverò a ingiuriarla, assaggerà la mia spada!”

“Kilana!” ansò sorpresa Eikhe, fissandola a occhi sgranati.

Sfiorandole una guancia con la mano irruvidita da anni di lavoro con la spada, la donna si limitò a chiederle: “Chi te le ha fatte, Eikhe? Non può essere stata Kaihle. Sono troppo recenti, e lei manca da casa da più di un mese e mezzo.”

Scuotendo il capo, Eikhe replicò mesta: “Non importa, Kilana. Se è il prezzo da pagare per non perdere il bambino, lo accetto volentieri.”

Arcuando un sopracciglio, Kilana borbottò contrariata: “Avrebbe voluto farti abortire… così avanti con la gravidanza?”

Sospirando, Eikhe scosse nuovamente il capo, preferendo non parlarne in mezzo alla strada, sotto lo sguardo di tutte.

“Non ne parliamo, ti prego.”

Aggrottando pericolosamente la fronte, Kilana la rispedì a casa con la promessa che avrebbero parlato in privato.

A quel punto, si volse per occuparsi delle donne ferite e disse aspramente: “Ora vediamo di sistemarvi, e non una parola su Eikhe, o finirò il lavoro dell’esercito di Vartas.”

Nessuna ebbe il coraggio di contraddirla.

Kilana impiegò più di tre ore per curare tutte le donne di ritorno dal fronte, prima di poter uscire dall’ultima casa dove aveva prestato il suo servizio di medico.

A passo lento, quindi, si diresse verso la capanna di Eikhe con il chiaro intento di parlarle.

Non le era affatto piaciuto quello che era venuta a sapere, e doveva andare a fondo della questione per poter avvisare chi di dovere.

Dopo aver bussato, Kilana trovò Eikhe semidistesa su un divano coperto di pellicce, il ventre reso evidente dalla tunica aperta sul davanti.

Sorridendo, le disse con un risolino: “Sembri una palla.”

Ridacchiando, Eikhe smise un momento di passare un unguento ammorbidente sulla pelle tesa del ventre.

“Accomodati pure, Kilana. Finisco e sono da te.”

“Fai pure con comodo. Non mi disturba vederti mentre ti prendi cura del tuo corpo” dichiarò Kilana, sedendosi su una poltrona accanto al divano.

Ammiccando, Eikhe proseguì passando l’unguento sulla pancia con mano gentile, prima di interrompersi quando il bambino le calciò in corrispondenza dell’ombelico.

Ridendo sommessamente, la ragazza fece cenno a Kilana di avvicinarsi e, piano, disse: “Senti come tira calci.”

Sfiorando il ventre caldo della ragazza, Kilana ridacchiò all’ennesimo colpetto sottopelle.

“Potrebbe sfondarti la pancia, di questo passo.”

“Spero di no!” esalò Eikhe, canticchiando piano e avvicinando il viso al suo ventre prominente.

Subito, il bambino smise di calciare ed Eikhe, sospirando, mormorò: “Ama questa canzone. Si calma sempre, quando la canto, anche se parla di guerre e di uccisioni. Valli a capire, i bambini.”

“Dalla sua forza, e dalla forma della pancia, direi che è un maschio” mormorò Kilana, aggrottando la fonte preoccupata. “E anche bello grosso. Tu, invece, hai fianchi così snelli che...”

“Non mi interessa” sbottò bonariamente Eikhe, bloccando le sue preoccupazioni con un gesto della mano. “E’ mio figlio, non devo sapere nient’altro. Vedrai che in qualche modo faremo, io e lui. E, visto che non posso mandarlo dal padre, lo crescerò io. Anche senza il consenso di mia madre, o della tribù. Ho la benedizione di Hevos, e non mi interessa altro.”

Impallidendo, Kilana esalò: “L’hai … incontrato?”

Annuendo, Eikhe ripensò a quei momenti nella foresta, quando le era sembrato possibile persino rimanere per sempre al fianco di Aken.

“Sì, e ha visto il padre di mio figlio, benedicendo anche lui. A me non occorre sapere altro.”

Sospirando, Kilana tornò a chiederle: “Chi ti ha fatto quelle ferite? Spero non Tyura.”

“No, lei non ne sapeva niente. Me le ha fatte Narhu, quando mia sorella si è recata a Marnha per alcune commissioni. Mia madre le disse di occuparsene, mentre lei era impegnata al fronte” spiegò Eikhe, tranquilla, le dita che tamburellavano ritmicamente sulla pelle tirata dell’addome rotondo.

“E tu non ti sei rifiutata?” esalò Kilana, vagamente sorpresa.

“Che dovevo fare? Mettere nei guai Narhu, e solo perché eseguiva un ordine?” replicò Eikhe, scuotendo il capo. “Kilana, posso sopportare più dolore di quanto voi tutte non crediate, quando ho qualcosa da difendere. Certo, dopo ho pianto per ore, quando l’effetto dei poteri di Hevos è svanito, e Tyura ha piagnucolato come una fontana, quando mi ha dovuto curare le ferite, ma ho ancora mio figlio, e tanto mi basta.”

Sospirando, Kilana scosse il capo, dispiaciuta e irritata.

“Un episodio isolato non può costarvi così tanto. Meritate a pieno titolo la nomea di figlie sacre, anche solo per il dono che portate nel vostro sangue. Ciò che successe a Eskit fu una disgrazia, ma la colpa non avrebbe dovuto ricadere unicamente su Luesrea. Uccidere il suo bambino fu un errore delle sue sorelle.”

“Kilana, la maggior parte delle donne ha paura di noi. E la paura genera odio. Loro ricordano solo la furia di Luesrea, non ciò che la generò, quindi io e le altre rimaniamo, e rimarremo, solo bestie, ai loro occhi” replicò fatalista Eikhe, sorridendo un attimo dopo, quando Liar si mise a strusciare il muso contro la sua pancia.

“Pare gli piaccia” sorrise Kilana, osservando il lupo mentre, con gesti teneri, accarezzava il ventre della padrona con il musetto morbido.

“Piace a tutto il branco. Se non avessi il loro appoggio e quello delle mie amiche, non so come farei ad arrivare alla fine della gravidanza” sospirò Eikhe. “Ormai ho la schiena a pezzi, e non sono ancora entrata nel settimo mese di gravidanza. Non fosse per le ragazze, che mi danno una mano in tutto, a quest’ora avrei già abortito spontaneamente, temo.”

“Beh, io ora sono qui, e avrai anche me, al fianco” asserì con veemenza Kilana. “Per almeno un mese non dovrò più presentarmi sul fronte, perciò mi avrai a tua completa disposizione.”

“Come procede la battaglia?” chiese a quel punto Eikhe, fissandola turbata.

“Direi bene. Sono settimane che continuiamo a rintuzzare gli attacchi di Vartas e, tra le loro fila, serpeggia già il malumore. Nessuno di loro si aspettava che fossimo così preparati a combatterli, e Nargan pare alquanto disgustato dalla faccenda” spiegò Kilana, con un sogghigno.

Liar abbaiò soddisfatto, scodinzolando giulivo mentre osservava Kilana con interesse.

“I principi stanno bene?” si informò Eikhe, tentando di non mettere troppa enfasi nella sua voce.

Era più che sicura che avrebbe avvertito un dolore al cuore, se ad Aken fosse accaduto qualcosa, ma preferiva saperlo dalla bocca di una persona fidata.

L’intuito, spesso, poteva essere foriero di falsi presagi di sventura.

“Sì, sono entrambi in salute” annuì Kilana. “Combattono sempre uno a fianco dell’altro, e non si mollano un secondo. Una decina di giorni fa, quando siamo partite per venire qui, avevano quasi accerchiato la guardia privata di Nargan.”

“Non mi stupirebbe se il principe Aken volesse tagliargli la testa personalmente. L’ultima volta che lo abbiamo incontrato, non è stato la quintessenza della cortesia” dichiarò Eikhe, con un sogghigno.

Si immaginò Aken in sella al suo stallone da guerra, la spada levata sopra il capo fiero, e il suo urlo possente librarsi nell’aria a dichiarare i suoi intenti bellicosi.

“Posso crederci! E, forse, è proprio per questo che il principe sembra così determinato ad ammazzarlo di sua mano” commentò Kilana, ridacchiando.

“Ha visto i suoi uomini venire massacrati sotto gli occhi, senza poter far nulla per salvarli…” mormorò Eikhe, rammentando con l’amaro in bocca quella battaglia impari. “… lo farei anch’io, onestamente.”

Aggrottando la fronte, Kilana le chiese: “Cos’è successo, quella volta?”

“Fui costretta a trascinarlo via a forza, per salvarlo, e ci gettammo nel fiume per sfuggire a Nargan. Non fu davvero un bel momento” spiegò succintamente Eikhe, reclinando il capo a fissare il suo ventre prominente.

Immediatamente, il suo cuore si chetò, liberando in tutto il suo corpo pace e tranquillità. Ne aveva così bisogno!

“Immagino…” annuì torva Kilana, prima di aggiungere: “… se continuano così, riusciranno a sconfiggere Vartas prima della nascita del bambino.”

Impallidendo leggermente, Eikhe asserì: “Da un certo punto di vista, preferirei di no. Se mia madre non ci fosse, sarei più tranquilla.”

“In ogni caso, lei tornerà. Ha già dato disposizioni in merito, qualora le cose si prolungassero più del dovuto” la avvertì Kilana, accigliandosi.

“Lo temevo…” sospirò Eikhe. “… mi assisterai, durante il parto?”

“Sì, figlia sacra. Sarò la tua spalla” annuì Kilana, con un elegante gesto del capo.

“Grazie” sussurrò la ragazza, allungando una mano per stringerla nella propria.

Sperava davvero di non averne bisogno ma, con sua madre, non poteva davvero sapere.

L’importante, per il momento, era avere la certezza che sia Aken che Ruak stavano bene. Null’altro le interessava.

***

Una pioggia scrosciante si era abbattuta sulla piana dei combattimenti, e il fango ora ricopriva i prati calpestati dai soldati, insieme al sangue mescolato con l’acqua melmosa.

Tuoni fragorosi rimbombavano funesti sulle loro teste mentre, a fasi alterne, scoppi di grandine crollavano su di loro costringendoli a ritirarsi tra il fitto del bosco.

Anche il tempo infernale ci si metteva a complicare, e allungare, quella maledetta guerra!

Combattere con simili condizioni meteorologiche era pressoché impossibile, sia per loro che per Vartas.

Fermo accanto al fratello, al riparo degli abeti della foresta, in trepidante attesa che quel maledetto temporale scemasse a sufficienza per far riprendere i combattimenti, Aken mormorò fosco: “Ci mancava solo questo tempo allucinante. Quando smetterà, sarà come cercare di camminare nella melassa.”

“Non ci tengo proprio a ricominciare in quel macello” storse il naso Ruak, dondolando le braccia con aria indolente mentre, con lo sguardo, osservava irritato il campo di battaglia.

Il tutto era ormai ridotto a uno sfacelo indistinguibile di terra, fango, pietre e corpi martoriati.

Guardandolo curiosamente, e cercando nel contempo di non pensare a ciò che li avrebbe aspettati una volta terminato quel fortunale, Aken abbozzò un sorrisino prima di dire: “Sembri annoiato.”

“Non proprio; sono stanco di ruzzolarmi nel fango, nella polvere, nella melma, in mezzo ai cadaveri, e solo perché quell’idiota di Nargan non si rende ancora conto di avere già perso. Le sue forze sono ormai decimate, gli uomini demoralizzati, eppure lui non vuole cedere” sbottò Ruak, disgustato.

“Che vuoi che ti dica? Nargan non ha mai brillato per intelligenza” replicò il fratello maggiore, prima di scrutare le nuvole in cielo.

Ribollendo nel cielo, come smosse da enormi mani demoniache, si stavano allontanando da loro, spostandosi verso sud.

Nel giro di poche ore, forse già nel primo pomeriggio, avrebbero potuto riprendere i combattimenti, ma non sapeva se gioirne o meno.

Anche lui era stanco di quella guerra assurda, stanco di veder morire compagni e animali, stanco di sentire il cozzare delle spade e lo sfrigolare dei fuochi delle frecce incendiarie, stanco di non poter dire la parola ‘fine’ a quel delirio.

Sospirando, Aken si volse a mezzo per richiamare l’attenzione delle due figlie sacre che, come ombre, li avevano seguiti fin da quando avevano stretto un patto con Kreathe ed Esteria.

Non appena Liase e Vesthe furono accanto a loro, disse: “Dite alle vostre compagne di tenersi pronte. Nel giro di poche ore, il fronte della tempesta si sarà spostato a sufficienza perché quelli di Vartas ricomincino a menar le mani, perciò vi voglio già pronte e inferocite.”

Vesthe ridacchiò e dichiarò divertita: “Oh, non abbiamo bisogno che tu ce lo dica, principe. Siamo inferocite a priori. Per colpa di quel folle di Nargan,  abbiamo perso un sacco di tempo, e di compagne. Non passerà di qui neppure tra un secolo.”

Abbozzando una risatina, Aken commentò: “Lieta di sentirtelo dire, Vesthe.”

Ammiccando, la donna scrutò il cielo e disse: “Hai letto bene il cielo, principe. Chi ti ha insegnato così bene?”

“Una tua sorella” sorrise il principe.

“Oh, allora è per questo che sei così esperto! Le farò i miei complimenti, quando la vedrò. Il suo nome?” chiese allora Vesthe, curiosa.

“Si chiama Eikhe, ed è del villaggio di Nestar” le spiegò Aken, prima di aggiungere: “Qualora dovessi incontrarla, le daresti un messaggio da parte mia?”

“Quel che vuoi, principe” scrollò le spalle Vesthe.

“Dille che le auguro ogni bene, e la ringrazio per ciò che ha fatto per Enerios” si limitò a dire Aken, sperando che Eikhe potesse capire quanto non poteva dirle.

Annuendo, la donna si mise sull’attenti e dichiarò: “Ricevuto, principe. Fai conto io gliel’abbia già detto. Ora, andiamo dalle nostre compagne a riferire il messaggio. Voi due non muovetevi da qui.”

Ruak non poté che scoppiare a ridere.

“Adoro farmi dare degli ordini da una donna così affascinante!”

A quel punto intervenne Liase, rimasta in silenzio fino a quel momento, e celiò ilare: “E io adoro gli uomini che si fanno comandare a bacchetta!”

Aken scoppiò a ridere assieme al fratello, mentre le due figlie sacre si allontanavano di corsa, quasi galleggiando sull’erba bagnata.

Era impossibile non notare la loro leggiadria, davvero impossibile.

Ammiccando al fratello, Ruak domandò: “Chi l’avrebbe mai detto che mi sarebbe piaciuto avere le spalle coperte da una donna?”

“E’ più piacevole di quanto tu non immaginassi, eh?” chiosò Aken, osservando le loro due guardie del corpo mentre, con ampi gesti e gran parlare, spargevano la voce tra le sorelle del loro esercito.

Tornando serio, Ruak si guardò intorno, scrutando i soldati, l’accampamento, gli animali da tiro e i cavalli da guerra.

“Mi sono fatto un’idea molto romantica della guerra, negli anni e, quando ho saputo che avrei potuto partecipare alla campagna contro Vartas, ne ero felice, in fondo al cuore.”

Aken si volse a guardarlo, cercando di comprendere dove volesse andare a parare il fratello.

“Ora, so di aver non solo sbagliato, ma di essere stato superficiale. Non c’è nulla di poetico nello stroncare una vita, né niente di appassionante nel partecipare a una battaglia. I cantori ne decantano le bellezze eroiche solo perché non l’hanno mai vissuta sulla pelle, ma ora ho compreso quello che le canzoni non dicono mai.”

Scrutando le sue mani libere dai guanti, Ruak scorse solo piaghe, vesciche da poco guarite, tagli e lividi violacei, davvero nulla di poetico.

Battendogli una mano sulla spalla, Aken gli sorrise orgoglioso e disse: “Pensavo fosse troppo presto, per te, partecipare a una guerra, ma sbagliavo. Sei maturato tantissimo, e in breve tempo, e io sono fiero di averti al mio fianco, fratello mio.”

Aprendosi in un sorriso, Ruak si limitò ad annuire, forse troppo imbarazzato per mettere a parole quanto, ciò che il fratello maggiore gli aveva appena detto, lo rendesse felice.

Lui era sempre stato il suo modello da imitare, molto più del padre, che gli aveva dispensato ben poco affetto, e molti più ordini di quanti avesse mai amato seguire.

Non che re Arkan non amasse i suoi figli, Ruak non lo aveva mai pensato ma, semplicemente, non era mai stato un uomo amorevole, o una persona cui piacesse esternare i propri sentimenti.

Il governo del Regno aveva la sua piena attenzione, tutto il resto veniva sempre e comunque dopo, sua moglie e i figli compresi.

Non era del tutto sicuro che sua madre Anladi fosse lieta di quell’unione, giunta in fretta e furia subito dopo la morte della precedente regina e madre di Aken.

Il suo corpo non era stato tumulato, e le esequie terminate, che la madre era stata data in moglie ad Arkan.

La discendenza del Regno non poteva contare su un unico erede di poco meno di otto anni, avevano detto all’epoca.

Questo aveva condotto la sua giovane madre, poco più che sedicenne, a sposare un uomo già maturo e duro di carattere.

Loro erano nati a distanza di un anno l’uno dall’altra. Ruak il primo, Melantha la seconda.

La discendenza era salva, la speranza di alleanze future rese più sicure dalla presenza di una fanciulla di nobile lignaggio da dare in sposa a un principe straniero.

Non faceva mistero di mal sopportare la petulante sorella, ma non le invidiava il ruolo di pedina che, in quanto principessa, le spettava.

Era ingiusto e crudele ma, in quanto figlia di Re, questo le spettava per ‘diritto di nascita’.

Sospirando, Ruak si passò una mano tra i capelli umidi per scrollare via le goccioline d’acqua che li inzuppavano.

“A volte, vorrei tanto essere nato in mezzo ai boschi.”

Aken si limitò ad annuire, preferendo non mettere a voce i suoi desideri, ma comprendendo ampiamente quelli del fratello.

Portare il peso della corona potenziale che gli spettava di diritto, era un lusso a cui avrebbe volentieri rinunciato, anche se in cambio gli avessero dato una vanga o un badile.

Si doveva essere portati per ogni cosa, anche per fare il principe ereditario e lui, evidentemente, era negato.

Certo, amava il suo popolo più di se stesso, questo era evidente – non si sarebbe trovato lì, altrimenti – ma non desiderava vivere tra le mura di Rajana a sfornare figli da una perfetta sconosciuta, e solo ‘per il bene della corona’.

Lui voleva Eikhe, punto e basta. Ma era esattamente l’unica cosa che non avrebbe mai potuto avere.

Quando Vesthe e Liase tornarono di corsa, le belle chiome bionde e intrecciate sul capo, Aken sospirò e disse: “Manca poco.”

Ruak annuì e, non appena la corsa delle due giovani donne terminò loro accanto, domandò: “Avete avvisato tutte?”

“Come ordinato” annuirono in coppia le due ragazze.

“Bene” annuì Aken, lanciando uno sguardo a uno dei suoi ufficiali che, con un inchino, si avviò verso le coorti per rendere noto agli uomini di prepararsi per la ripresa delle ostilità.

“Kreathe vi manda a dire che, dal colle a nord-ovest, uno dei lupi ha visto sopraggiungere un nuovo contingente di fanteria da Anarsis. Forse, lo avevano tenuto oltreconfine per ogni evenienza, per tenere uomini freschi per la battaglia” asserì Liase, accigliata.

Imprecando senza tanti complimenti – aveva sentito dire ben altre oscenità dalle donne, per sapere che la sua non avrebbe sortito alcun effetto sulle figlie sacre – Aken ringhiò: “Quel maledetto bastardo! Ma di quanti uomini dispone?”

“Figliano come conigli, per caso, a Vartas?” brontolò Vesthe, cupa in viso.

Ridendo nervosamente, Ruak lanciò un’occhiata alla collina, dove erano appostate le forze di Vartas, e borbottò: “Magari fossero anche conigli.”

“No, sono muli. Muli duri come macigni” sbuffò Aken, prima di guardare le due donne e chiedere: “Qualche idea?”

Le due ragazze si guardarono sorprese per un attimo e il principe, abbozzando una risatina, celiò: “Ehi, più consigli mi giungono, meglio è.”

“Beh, principe, non siamo abituate ad avere un rapporto così paritario con gli uomini, come tu ben potrai immaginare…” replicò Liase, fissandolo con aperta ironia. “… ma la cosa mi piace alquanto. Non è che, finita questa pazzia, ti andrebbe di passare un po’ di tempo con me? Non mi spiacerebbe avere un figlio con la tua testa.”

Aken strabuzzò gli occhi, sconvolto da quella proposta, mentre Ruak scoppiava in una frenetica risata e Vesthe scuoteva il capo con aria divertita.

“Beh, che ho detto? Mica voglio diventare Regina. Mi serve solo il suo seme!” protestò Liase, prima di scoppiare a ridere con loro.

Passandosi una mano sul viso, su cui spiccava la sua bocca spalancata per il gran ridere, Aken esalò a un passo dalle lacrime: “Oh, cielo! Di tutte le cose che potevo aspettarmi… giuro, questa proprio mi ha sconvolto a morte!”

“Hai sentito, Aken? E’ forse la prima donna che non ti vuole per la corona che porterai. Perché non ne approfitti?” rise ancora più forte Ruak, dandogli sonore pacche sulle spalle.

Vesthe, che aveva ascoltato le loro battute a metà tra il risolino e disappunto, sollevò interessata un sopracciglio e chiosò: “Dopotutto, Liase non ha avuto  una cattiva idea. Sei un po’ giovane, per i miei gusti, ma anche la tua testa è buona, principe Ruak, perciò non avrei problemi ad aggirare il piccolo particolare dell’età, per una volta.”

A quel punto fu Ruak a sgranare gli occhi, fissando poi la figlia sacra con aria smarrita e un copioso rossore a incipriargli le gote e le orecchie, ora scarlatte come rubini.

Aken lo fissò solo per un attimo, e fu sufficiente per farlo tornare a ridere di gusto, mentre tutt’intorno a loro il campo riprendeva vita in attesa del proseguo della battaglia.

Quella dorata spontaneità gli era sempre piaciuta, e Aken non poté che trovare idilliaco quel breve momento di ilarità, strappato alle maglie di una guerra che sembrava non volere dare loro tregua.

Eikhe lo aveva sconvolto in tutti i sensi, con il suo modo di fare, facendo sì che lui si innamorasse perdutamente di lei e del suo spirito libero e privo di freni inibitori.

Ora, quelle due fanciulle che, come Eikhe, condividevano il dono di Hevos, gli avevano restituito un attimo di pace, di serenità, di libertà.

Allungandosi per abbracciare entrambe le ragazze, che sobbalzarono sorprese, Aken baciò entrambe sulle guance prima di dire: “Guai a voi se vi farete male, durante la lotta. Non mi interessa un accidente se Kreathe vi ha detto diversamente. Io vi ordino di vivere, qualora io mi trovassi in un pericolo tale da non poter essere salvato. E’ chiaro?”

Ruak fu lesto a aggiungere: “E lo stesso vale per me.”

Liase e Vesthe si guardarono in viso dubbiose, prima di annuire e dichiarare: “Ve lo promettiamo.”

“Allora, andate. E preparatevi a dar battaglia. Ci fidiamo di voi, e combatteremo più tranquilli, sapendovi al nostro fianco” decretò Aken, sorridendo loro con orgoglio.

Le due ragazze si aprirono in larghi sorrisi e, annuendo, corsero via mentre Ruak, tornato serio, fissò il fratello e mormorò mesto: “Pensavi a Eikhe?”

“Già” annuì lui, prima di dargli una pacca sulla spalla. “Andiamo a prepararci anche noi, fratellino. Oggi ho davvero voglia di menar le mani.”

“Ottimo. Ti seguo a ruota!” esclamò il fratello, lanciando un ultimo sguardo al cielo.

I primi lembi di azzurro cominciavano a intravedersi, tra il nero delle nubi temporalesche.

Sì, mancava davvero poco, alla ripresa della lotta. Ma loro erano pronti.

“Va bene… ricominciamo” sbuffò Ruak, sguainando la spada.

“Calmati, testa calda… passerà ancora un po’, prima che qualcuno si muova in quel guazzabuglio” ridacchiò Aken, sorpreso dalla veemenza del fratello.

“Voglio finire questa cosa il prima possibile… sono stufo marcio di starmene qui a fare i comodi di quel pazzo” borbottò il fratello minore, aggrottando la fronte.

“Hai ragione… gli abbiamo concesso fin troppo, del nostro tempo” annuì ombroso Aken, sfoderando lentamente la spada, con aria sinistra.

Sogghignando, Ruak gli diede una pacca sulla spalla e assentì convinto.

“Finiamola oggi.”

Annuendo, Aken guardò per un momento i suoi uomini, sparsi per tutto il bosco e in attesa come loro che quella pioggia cessasse.

Nessuno di loro voleva protrarre quella guerra più del necessario, e avrebbe fatto il tutto e per tutto perché quella follia avesse termine quel giorno stesso.

Nargan sarebbe penzolato da una picca entro sera.

Lanciato uno sguardo al campo delle donne-lupo, Aken si chiese per l’ennesima volta perché Kaihle se ne fosse andata prima della fine della guerra.

Si impose comunque di non dare spazio alle sue paure, per non perdere la concentrazione.

Chiedendo a Esteria, aveva solo saputo che aveva passato il comando a un’altra capo-tribù ma, sul motivo del suo allontanamento, nessuno sapeva nulla.

A peggiorare il tutto, anche Sendala era andata via con lei, quindi non aveva potuto domandare neppure all’unica altra donna-lupo che conosceva.

Non gradiva l’idea che se ne fosse andata via su due piedi, tirandosi dietro l’amica del cuore di Eikhe.

Doveva credere che Eikhe stesse bene, e che quell’allontanamento improvviso non avesse nulla a che fare con la donna del suo cuore.

Non doveva deconcentrarsi proprio in quel momento. Eikhe doveva stare bene.

Scuotendo il capo per il fastidio, Aken cercò di non perdersi in quei lugubri pensieri per non essere distratto in battaglia e, quando finalmente vide muoversi i primi soldati nel campo nemico, disse: “Bene… si comincia.”


 

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Capitolo 17
*** cap.17 ***


 
Un po’ di risposte e una verità davvero scomoda, per il nostro eroe dal cuore impavido. Ma che ci volete fare, almeno per un po’, deve andare così. Spero non mi odierete. Buona lettura!

 


 

 

17.

 

 

 

 

 

Il fatto di non dover più preoccuparsi di faccende pesanti, come dar da mangiare agli animali o pulire le stalle, non voleva certo dire che Eikhe non si rendesse utile al villaggio.

Sorda a tutte le raccomandazioni di amiche e sorella, Eikhe aveva continuato imperterrita a prendersi cura dei lupacchiotti nella stalla.

Insegnava a tutti loro ciò che c’era da imparare per vivere nel villaggio e, soprattutto, assieme alle donne-lupo.

Il bimbo che cresceva a vista d’occhio dentro di lei, a ogni modo, non sempre era stato d’accordo con la sua scelta di vita.

Ben più di una volta era dovuta rimanere a letto, percorsa da dolori tremendi al ventre, o trafitta da atroci tormenti provocati da lancinanti mal di schiena.

In non poche occasioni, si era ritrovata a imprecare all’indirizzo di Aken, per poi pentirsene amaramente un attimo dopo che il male era svanito.

Quella mattina, però, la fitta di dolore che la colpì fu molto diversa dal solito.

Ansando quando, nell’attraversare la via principale del villaggio, avvertì un dolore lancinante al basso ventre, Eikhe si portò le mani in grembo, sconvolta. 

Guardando Sendala al suo fianco – e che teneva tra le braccia un cucciolotto di pochi mesi – esalò con voce tremula: “Credo che ci siamo.”

Impallidendo visibilmente, l’amica lanciò un fischio a una bambina perché prendesse il lupetto e lo conducesse dagli altri, dopodiché si volse verso Eikhe, che se ne stava con le mani serrate sotto il pancione.

Rapida, Sendala la afferrò saldamente a un braccio ed esclamò: “Torniamo subito a casa, Eikhe! Non vorrai partorire in mezzo alla strada, spero!”

“Non ci penso neanche!” esalò lei, prima di bloccarsi quando una contrazione le fece perdere le forze, costringendola ad addossarsi completamente a Sendala.

“Oh, cielo!”

“Ti prego, non svenirmi qui!” esalò la ragazza-lupo, spaventata a morte. “Kilana, presto, vieni!”

Kilana, a quel richiamo, osservò le due ragazze e, intuendo al volo cosa stesse succedendo, corse da loro.

Nell’uscire sul pianerottolo di casa, richiamata dalle urla di Sendala, Kaihle assistette alla scena con occhi torvi e la mente pronta.

Finalmente, era giunto il giorno.

Accompagnata Eikhe nella sua capanna sotto lo sguardo curioso di molte donne, Kilana lasciò la ragazza nelle mani dell’amica e si affrettò a stendere sul letto un telo pulito.

Ordinato a Sendala di far bollire dell’acqua, prese poi per la vita la partoriente e la invitò a camminare.

“Ora devi camminare, Eikhe. Accompagna il tuo bambino verso la giusta via.”

“Credo lo stia già facendo più che bene da solo” riuscì a ironizzare la figlia sacra, stringendo i denti all’arrivo di una contrazione.

Senza accorgersene, quasi stritolò la mano di Kilana, che teneva saldamente nella sua.

Sorridendole comprensiva, nonostante il male provato a causa della stretta convulsa di Eikhe, la donna le disse incoraggiante: “Te la stai cavando benissimo, figlia sacra, credimi.”

“Se lo dici tu…” esalò Eikhe, osservando turbata Liar che, spaventato, le saltellava al fianco non sapendo bene cosa fare. “Povero amico mio! Stai tranquillo, non mi succederà niente.”

“Quel lupacchiotto sverrà prima del tempo, se non si darà una calmata…” ridacchiò Kilana, prima di veder entrare Kaihle nella capanna. “… Signora…”

Eikhe squadrò la madre senza dire nulla.

La Signora del Villaggio si limitò a poggiarsi a braccia conserte contro la prima parete utile, mantenendo un silenzio di tomba mentre osservava la figlia minore, come a voler decidere della sua sorte.

A pochi attimi di distanza sopraggiunse anche Tyura.

Nel vedere la madre perfettamente immobile mentre Eikhe camminava a fatica, sorretta da Kilana, sbuffò contrariata e andò ad affiancarsi alla sorella.

Ringraziata Tyura con un sorriso, la ragazza strillò non appena una contrazione le fece cedere del tutto le gambe.

Sotto i suoi occhi sorpresi e sgomenti, una chiazza d’acqua e sangue si formò ai suoi piedi, imbrattando il pavimento di legno e la sua tunica di pelle.

“Direi che è cominciato” chiosò Kilana, sciogliendosi dalla sua stretta.

“Tyura, sostienila tu, mentre io pulisco qui.”

Annuendo, la giovane fece scostare una pallidissima Eikhe che, ancora sgomenta e con gli occhi sgranati, osservava il disastro che aveva appena combinato.

Ridendo suo malgrado, esalò con voce roca: “Guarda che casino!”

Scostandole una ciocca di capelli umidi dal viso mentre percorrevano lentamente, un passo alla volta, il perimetro dell’ampia camera da letto, Tyura aggiunse: “Sei sempre stata una combina guai.”

Eikhe cercò di sorriderle, come per ringraziarla, ma le contrazioni la costrinsero a mordersi un labbro per il gran male.

Non avendo coraggio sufficiente per spingere fuori dalla gola altre battute di spirito, Tyura si limitò a sorreggerla, aiutandola a camminare poco alla volta.

A ogni passo, però, avvertiva sempre lo sguardo da falco della madre.

Aggrappandosi completamente alla sorella quando un’altra contrazione la prese, Eikhe cominciò a piangere dal dolore e Kilana, annuendo a Tyura, le concesse di portarla a letto.

“Falla sdraiare, ormai non ne può più.”

Affrettandosi a fare quanto ordinatole, la giovane fece stendere sul letto la sorella.

Strette convulsamente le mani al lenzuolo, Eikhe gridò a una nuova contrazione, maledicendo tutto quello che le venne in mente in quel momento.

Ridendo nonostante tutto, Sendala le arrivò al fianco e, presale una mano, le disse: “Devi avere ancora forza da vendere, se riesci a strillare a quel modo.”

“Piantala di fare la spiritosa…” brontolò lei. “… vorrei vedere te, al mio posto!”

“Questo, scordatelo!” rise l’amica, asciugandole il viso con un pannetto.

“Ne riparleremo a tempo debito, io e te.”

Eikhe sbuffò, cercando di mantenere un ritmo respiratorio il più regolare possibile, ma fu molto, davvero molto difficile.

Sorridendo alle due ragazze, Kilana sollevò la veste della partoriente e le poggiò un telo sulle gambe dopodiché, controllatane attentamente la dilatazione, mormorò: “Siamo ancora indietro, Eikhe. Mi sa che ne avremo per un po’.”

“Ci avrei giurato.”

Un attimo dopo, urlò.

***

Aken affondò la lama nel petto di un nemico prima di levare il capo di scatto e, turbato, guardarsi intorno. Gli era sembrato di udire un grido di donna.

Il grido di Eikhe.

Sapeva che era impossibile, visto che lei era lontana giorni di viaggio dal luogo della battaglia, eppure gli era sembrata proprio la sua voce.

E stava male.  

Sperò ardentemente di sbagliarsi.

***

Ansando all’ennesima contrazione, Eikhe guardò fuori dalla finestra e, notando la colorazione violacea del cielo sopra la cresta frastagliata dei monti, imprecò.

“Ma quanto tempo è passato?!”

“Diverse ore, in effetti” ammise Kilana, tergendosi la fronte con il dorso della mano prima di tornare  a fissare lo sguardo su Eikhe.

“Ma siamo a buon punto, ormai. Sei dilatata a sufficienza. Alla prossima contrazione, spingi.”

“Non ci penserò due volte” sibilò furente la ragazza, stringendo le mani di Sendala e di Tyura.

“Possibilmente, senza spezzarci le dita” sottolineò la sorella, sorridendole nonostante si sentisse a sua volta ormai allo stremo.

“Vedrò di conte…” cercò di dire lei, prima di urlare dal male. “… maledizione!”

“Spingi, Eikhe, spingi!” le ordinò subito Kilana, accigliandosi.

Stringendo i denti, la ragazza gridò nuovamente nel mettere tutte le sue forze residue in quella spinta.

Sorridendo soddisfatta, Kilana esclamò: “Vedo la testa… una bella testolina nera!”

Subito, Kaihle si staccò dal muro ove, per tutto il tempo, era rimasta in silenziosa osservazione dell’esito finale di quello che, per mesi, aveva reputato un autentico abominio.

Uccidere madre e creatura sarebbe stato un errore; solo per questo si era impedita di farlo a suo tempo.

Non le era servito sapere dalle labbra della figlia il nome del miscredente padre, poiché aveva letto la verità sul volto preoccupato del principe Aken, la prima volta che si erano rivisti sulla piana di Royconea.

Quegli occhi smeraldini così pieni di amore, amore verso sua figlia, l’avevano mandata in bestia, ma non aveva potuto fare nulla per sfogare l’ira che aveva sentito montare in lei.

Non si poteva levare la mano su un principe, lo sapeva bene anche lei.

Ma non tollerava che lui avesse insozzato con il suo seme una delle sue figlie, e che quella stessa figlia si fosse fatta abbindolare al punto di innamorarsi del padre del nascituro.

No, era inconcepibile!

La legge lo vietava!

Nessuna donna-lupo poteva permettersi di amare un uomo, soprattutto colui – o coloro – con cui aveva deciso di avere una figlia per la loro stirpe.

Questo avrebbe voluto dire diventarne schiave, non più padrone dei propri sentimenti, non più indipendenti nelle decisioni, ma deboli e indifese di fronte a un sentimento schiacciante e prevaricatore!

No, non avrebbe mai permesso al frutto di quell’unione di rimanere con la propria madre.

Sua figlia avrebbe imparato la lezione, perdendo ciò che la sua carne impura aveva generato, e tutto sarebbe tornato a posto.

L’equilibrio sarebbe stato ripristinato, e nulla sarebbe cambiato.

Se fosse stato un maschio, lo avrebbe consegnato nelle mani delle genti di Marhna, forse allo stesso Harm, perché vivesse tra loro come uomo.

Se Hevos, invece, avesse deciso per una figlia, sarebbe stata lei, ad allevarla, non Eikhe e, per lei, avrebbe disposto l’esilio.

Nessuno sarebbe stato ucciso, e la frehoa non si sarebbe risvegliata. Nessuno avrebbe macchiato col sangue il suo governo su Nestar.

Ma, più di ogni altra cosa, non avrebbe mai permesso Eikhe potesse ottenere ciò che lei si era vietata per una vita intera!

Avvicinandosi silenziosa alla stanza da letto di Eikhe, ristette sulla porta osservandone il viso contratto dal dolore, rammentando il proprio quando l’aveva messa al mondo, rischiando di perdere la vita.

Solo a cose fatte, aveva scoperto con rammarico di avere dato alla luce una di quelle. Una figlia sacra.

Si era sempre rifiutata di dire a Esteria, che guidava super partes le Marchiate di Hevos, della sua esistenza, come invece era previsto dalla legge del branco.

Aveva sempre ritenuto la sua nascita uno spregio, un insulto.

Ma anche, e più di tutto, il chiaro segno che l’amore che si era concessa di provare per l’uomo con cui l’aveva generata era sbagliato, impuro!

Questa era l’ennesima punizione che lei doveva pagare, per ciò che si era concessa in un momento di cedimento.

Quella figlia, nata da un amore che non avrebbe dovuto provare per alcun motivo, ora partoriva un figlio senza il suo consenso, senza il consenso della legge, amando l’uomo con cui aveva generato quella creatura.

Ma lei avrebbe spezzato quella catena di sventure!

Non avrebbe più pagato per i suoi errori di gioventù!

Del tutto ignara dei pensieri torvi della madre, Eikhe diede un’altra spinta, ormai allo stremo delle forze.

Intuendo dalla larghezza delle spalle il sesso del nascituro, Kilana rimase in silenzio finché il bimbo non uscì con uno strillo poderoso, dichiarando al mondo intero la sua nascita.

Una risatina collettiva si levò tra le tre ragazze mentre Kilana, dopo aver clampato e tagliato il cordone ombelicale, avvolse in un telo il frugoletto urlante.

Un attimo dopo, lo depositò sul fasciatoio per pensare alla madre del bimbo.

Dopo averla sollecitata a espellere la placenta con massaggi delicati sull’addome, ripulì Eikhe con delicatezza, mentre il bimbo continuava a strillare alle loro spalle, desideroso di attenzioni.

Stremata ma sorridente, la ragazza sollevò le braccia verso la donna che la stava curando con gentilezza materna e mormorò: “Ti prego, Kilana, dammelo.”

Già sul punto di voltarsi per prendere il bimbo, Kilana lo vide tra le braccia di Kaihle che, furtiva, si era avvicinata a loro proprio nel momento in cui, le maggiori cure, erano spettate alla partoriente.

Rabbiosa e con il volto percorso dall’ira, Kaihle tolse la copertina, esclamando a gran voce: “Un maschio!”

Sgomente, Sendala e Tyura si levarono in piedi lasciando le mani di Eikhe che, senza forze, osservò la madre con il suo bambino in braccio.

“Dammelo… è mio…”

“Non ti permetterò di tenerlo! Sarebbe un sacrilegio! Se ne andrà immediatamente, come è giusto che sia!” ringhiò Kaihle, fissando con occhi spiritati il bimbo che ancora teneva in braccio e che, furioso, strepitava come un’aquila, quasi avesse compreso il pericolo che stava correndo.

“Kaihle, Signora, non costringermi a muovere contro di te” la minacciò Kilana, avanzando di un passo.

Sendala e Tyura imitarono la possente guerriera, sbarrando di fatto qualsiasi fuga a Kaihle.

La Signora del Villaggio le fissò rabbiosa e si strinse il frugoletto tra le braccia, non tanto per proteggerlo, quanto per impedire alle tre donne di toglierglielo dalle mani.

Già sul punto di intimare loro di stare indietro, la donna si volse verso la porta quando udì distintamente il ringhio chiaro e sibilante di un lupo.

Sgomenta, vide Liar puntarla con sguardo rabbioso mentre, sulla porta di casa, altri lupi la scrutavano allo stesso modo.

“Il branco lo protegge. Non puoi decidere per lui, Signora.”

Sendala si avvicinò a lei in fretta e le strappò il bimbo dalle braccia, prima che potesse recuperare la lucidità necessaria per tenerle lontane.

Osservando poi il piccolo con un sorriso stampato sul volto, non trovò nulla di strano nello scorgere i suoi occhi dorati ben spalancati sul viso grinzoso e, con voce limpida, disse: “Benvenuto, figlio sacro.”

“Lui è…?” esalò Eikhe, vedendoselo consegnare dall’amica.

Annuendo, Sendala mormorò: “E’ come te, amica mia. Per questo, il branco gli è fedele. Nessuna di noi potrà toccarlo.”

Stringendoselo al petto con le lacrime agli occhi, Eikhe sussurrò: “Saresti orgoglioso di lui, Aken.”

Il bambino si esibì in un ciangottio allegro che stregò subito la madre.

Ridacchiando, lo baciò sulla fronte sistemandogli i fini capelli neri ma Kaihle, di tutt’altro umore, sibilò: “Sia come vuole il branco, ma non rimarrai al villaggio. Qui governo io, non loro, e non vi ci voglio!”

“Non sarà un problema. Costruirò una nuova casa fuori dal villaggio, se così ordini, madre, ma non osare mai più cercare di separarmi da mio figlio, o te la vedrai con la mia ira” sentenziò lapidaria Eikhe, stringendosi al petto il figlio. “Io e Antalion vivremo per conto nostro, non più sotto il tuo giogo oppressore.”

“Davvero un bel nome” dichiarò Tyura, lanciando uno sguardo spiacente alla madre quando la vide uscire a passo di carica, il viso oscurato da un’ira più che profonda. “Sarà meglio vada da lei, o potrei rischiare di essere bandita  a mia volta. Verrò a trovarti appena la tempesta sarà passata, piccola.”

“Grazie, Tyura, di tutto” le sorrise Eikhe, stringendo calorosamente una sua mano

Strizzandole l’occhio, Tyura celiò: “Sei o no, mia sorella?”

***

Sollevando la testa di Nargan perché tutti la vedessero, Aken lanciò un grido di guerra tale da far tremare coloro che gli erano vicini.

Gridando con lui per l’esultanza assieme a Vesthe e Liase, Ruak esclamò a gran voce, levando alta la spada grondante di sangue: “Gloria al principe di Enerios! Siamo vittoriosi!”

Ora tutto era finito e, finalmente, Aken avrebbe potuto tornare a casa e parlare col padre.

Certo, non sarebbe stato facile fargli comprendere il suo amore per Eikhe e il suo desiderio di non salire al trono dopo di lui.

Il suo unico pensiero, al momento, era abbandonare per sempre Rajana per avvicinarsi il più possibile all’unica donna da lui mai amata.

Sì, Kaihle gli aveva vietato di avvicinarsi a Nestar.

Ma il padre di Eikhe si trovava a Marhna, e a lui sarebbe bastato soggiornare lì per poterla vedere.

A quel modo, avrebbe potuto parlare nuovamente con lei, convincerla a intraprendere una via comune, in cui avrebbero potuto finalmente vivere insieme.

La sola idea gli fece sorgere un sorriso in viso.

Nel tornare vittorioso dai suoi uomini, con la testa di Nargan ben levata verso il cielo, osservò soddisfatto l’esercito nemico che, ormai senza un capo, stava sparpagliandosi per tornarsene da dove era venuto.

A nessuno di loro importava proseguire nella conquista di Enerios, visto che non avevano più nessuno a dar loro ordini.

Tagliata la testa dell’Idra, il corpo del mostro di nome Vartas era morto sul colpo.

Sorridendo al fratello mentre, acclamati dai loro uomini, rientravano tra le loro fila di soldati, disse sollevato: “Ora è tutto compiuto.”

“Sì, fratello mio” sospirò soddisfatto Ruak, sorridendogli.

Il sole illuminò il campo di battaglia, ricoperto di ciò che restava della lunga guerra appena terminata.

Osservando quei corpi distesi e già prede dei corvi, pronti per il banchetto, danzavano sulle loro zampette per avvicinarsi alla carne sanguinolenta, Aken mormorò mesto: “A cosa è servita la sua follia? Solo a ingrossare lo stomaco del vostro dio Haaron.”

Vesthe, al suo fianco, sorrise indulgente.

“Haaron ha banchettato per mesi, grazie alla stupidità di Nargan, ma ora tocca a Hevos dare nuova vita a questi luoghi. E’ un cerchio eterno di nascita e morte, principe. Non dovresti stupirtene. Come non devi pensare che Haaron sia il male incarnato. Deve essere ciò che è, o il ciclo non si chiuderebbe.”

“Parli con saggezza, Vesthe, ma ugualmente piango per tante vite spezzate. E mi chiedo solo quanto ancora andranno avanti queste guerre, prima che l’uomo capisca quanto siano inutili” sospirò Aken, rinfoderando la spada.

Ora che aveva sconfitto Nargan, ogni forza gli era venuta meno, e il suo unico desiderio era quello di trovare la pace.

Per il suo popolo e per se stesso.

“Ti poni una domanda senza risposta, principe. L’uomo, come la donna, sono fatti per combattere, per dare vita e per toglierla... è nella loro natura. In tutti noi, Haaron ed Hevos albergano in egual misura” dichiarò Liase, lanciandogli un’occhiata comprensiva. “Che parla, ora, è la stanchezza, più che lecita dopo tanti mesi di sangue e morte. Non appena rimetterai piede nella tua amata città, tutto andrà a posto.”

“Lo spero, Liase” asserì Aken, trovando la forza per sorriderle.

“Ne sono più che convinta” annuì con vigore la donna.

“E’ giunto il momento di separare le nostre strade, principi. E’ stato un onore e un piacere lottare al fianco di uomini coraggiosi e leali come voi. Io e mia sorella decanteremo le vostre doti alle figlie del branco che non hanno potuto unirsi a noi, perché la vostra gloria non abbia fine, e l’amore verso la Corona sia ancora più saldo di oggi.”

“Grazie a entrambe. Non solo il vostro aiuto è stato prezioso, ma ci ha regalato due nuove amiche che…” e nel dirlo, guardò il fratello Ruak, che sorrise annuendo: “…spero vorranno farci l’onore di rimanere tali per sempre.”

Le due ragazze ridacchiarono imbarazzate prima di annuire e Vesthe, dando una pacca sul braccio ad Aken, celiò: “Ora non cominciare a fare lo sdolcinato, principe, o potremmo sorprenderti, mettendoci a piangere come due viti tagliate.”

Ridendo, Aken la strinse in un rapido abbraccio, allungandosi sulla sella al pari di Ruak, che strinse gentilmente a sé Liase.

Dopo averle osservate ancora un momento in viso per imprimere nelle loro menti quegli ormai familiari  lineamenti, si allontanarono per radunare l’esercito e tornare a Rajana.

Era infine giunto il tempo di rimettere piede nella capitale del Regno.

L’esercito decimato di Nargan era in fuga, ogni velleità di lotta scomparsa nel  mare di sangue sparso tra quei colli ora desolati che, per molto tempo ancora, avrebbero recato sui loro profili il segno tragico di quella guerra insana e folle.

A ogni buon conto, fidarsi di Vartas non era la mossa più sensata da fare, nonostante l’esercito in rotta e la fuga dei comandanti.

Per evitare eventuali recrudescenze, Aken decise di lasciare una compagnia di fanteria sul crinale, con la promessa di un nuovo invio di truppe non appena avessero raggiunto la capitale.

Dopo aver sistemato anche quel problema, con il sole ormai prossimo al crepuscolo, si mise alla testa dell’esercito assieme al fratello e puntò verso sud-ovest, verso casa.

A ogni passo percorso lungo la piccola carovaniera che li aveva condotti in quelle lande, cori di bimbi e acclamazioni di uomini e donne si sommavano a offerte di cibo e di bevande fresche.

Qualsiasi cosa per celebrare semplicemente, ma con grande cuore, la vittoria del loro regno nei confronti dell’odiato Vartas.

Un falco fu fatto levare in direzione di casa, perché il re fosse avvisato del buon esito della spedizione.

Mentre i giorni si affastellavano gli uni sugli altri, i festeggiamenti non vennero mai interrotti, sulla via del ritorno.

Per ogni villaggio attraversato, le stesse scene si ripeterono all’infinito, mentre la voce della vittoria della guerra si espandeva per il reame come un fuoco tra gli sterpi.

Di pari passo con l’avvicinarsi della città, molte coorti si staccarono dal corteo principale per tornare alle rispettive guarnigioni, non senza prima aver ricevuto le lodi dei due principi.

Un premio sarebbe spettato a tutti coloro che coraggiosamente avevano combattuto con valore per le sorti di tutto il regno, così come alle famiglie di coloro che avevano perso la vita tra quelle lande insanguinate.

Quando infine, con l’approssimarsi del ventesimo giorno di viaggio, l’esercito scorse le amene mura di Rajana, i due principi non poterono esimersi dal sorridere lieti, ben felici di essere infine giunti a destinazione.

Grande fu la festa e la pompa, quando varcarono il portone principale della capitale, e infinite furono le libagioni offerte al popolo per rendere onore ai guerrieri tornati dal fronte.

Ogni volto era percorso da un sorriso, e i bambini saltellavano allegri nel veder tornare il proprio padre dal fronte.

Contro ogni aspettativa, le perdite erano state minime, nonostante i lunghi mesi di lotta, e furono poche le famiglie cui Aken dovette portare la triste notizia della dipartita di un padre, di un fratello, di un figlio o di un marito.

Quando finalmente fu il turno per Aken e Ruak di riabbracciare la famiglia, il sole era già reclinato verso occidente, tingendo il cielo dei cupi colori della sera.

I due giovani, scendendo ormai stremati dalle proprie cavalcature, si lasciarono abbracciare dai propri cari, dispensando strette vigorose e baci sentiti e amorevoli.

Ruak stentò a non piangere, stretto tra le braccia tremanti di Anladi e Aken, sorridendo nell’osservarli, si unì a loro stringendo entrambi in un abbraccio stritolante che li fece entrambi scoppiare a ridere.

Melantha trovò parole di lode persino per Aken – cosa alquanto strana, visto che non si sopportavano – ma, visto cosa le era stato risparmiato, il fratello maggiore non trovò difficile comprendere il perché di quei complimenti.

Anladi, dopo aver scrupolosamente controllato che ai due figli non fosse successo niente, si ritirò assieme alla figlia con il cuore più leggero.

Aken, perciò, scelse quel momento per parlare con il padre; la fresca vittoria lo avrebbe reso più disponibile alle sue richieste.

Lanciata un’occhiata furtiva a Ruak, Aken entrò infine all’interno del palazzo assieme al resto della famiglia.

Dopo aver promesso al fratello che avrebbero giocato assieme a wisth, seguì con passo tranquillo il padre, diretti verso il suo studio nel mastio del castello.

Percorse in relativo silenzio le tre rampe di scale necessarie per raggiungere il mastio – non senza aver ricevuto lodi e congratulazioni da tutti coloro che incrociarono nel loro cammino – Aken aprì per il padre la pesante porta di legno.

 Osservatolo entrare con sguardo pensieroso, lo seguì all’interno dell’enorme stanza circolare prima di chiudersi il battente alle spalle.

Dopo essersi accomodato sul suo scranno ricoperto di pelli di lupo, re Arkan fece segno al figlio maggiore di accomodarsi di fronte alla scrivania del suo studio e, orgoglioso, fissò l’uomo che aveva di fronte.

“Come si è comportato, Ruak?”

“Molto bene, padre. E’ un ottimo combattente, e un buon stratega. Ancora un po’ irruente, ma è dovuto all’età. Credo sia pronto per il suo apprendistato all’estero” dichiarò Aken, sorridendo.

“Ottimo. Scriverò a re Ordang domani stesso” annuì più volte Arkan. “Ebbene, figlio, cosa volevi dirmi di così importante da non poter attendere neppure un minuto?”

Sospirando, il figlio poggiò gli avambracci sulle cosce e, allungandosi verso il padre, ammise con voce roca: “Riguarda me, padre. Mi sono reso conto di non volere ciò che la Corona ha da offrirmi e…”

“Cosa stai dicendo, Aken?” lo interruppe subito il padre, fissandolo accigliato.

“Padre, lasciatemi finire, vi prego. Sapevo già di non volere questa vita e, trovandomi con Eikhe in mezzo a quel ginepraio in cui siamo finiti, ne ho avuto la conferma. Io non sono fatto per starmene rinchiuso in questo palazzo, a parlar di politica. Io sono un uomo d’azione, amo la libertà, l’aria aperta, il…” proseguì  Aken con veemenza.

Sbattendo una mano sulla scrivania, Arkan lo interruppe furioso e, levandosi in piedi con ferocia, ringhiò: “Non una parola di più, figlio!”

“Padre, ma…” esalò il giovane, sorpreso dalla sua reazione, fissandolo a occhi sgranati.

“Tu sei mio figlio, l’erede al trono, non un qualsiasi contadino di paese!” sbottò Arkan con tono sempre più rabbioso. “Non voglio sentire da te parole simili, è chiaro?! Tu mi succederai, e questo è quanto!”

“Non è mio desiderio” replicò Aken, cercando di mantenersi calmo.

Aggredire a male parole il padre sarebbe stato oltremodo controproducente.

“Tu ti sposerai, avrai un figlio che erediterà il tuo titolo, e mi succederai al trono!” gli ordinò ancora Arkan, fissandolo con occhi lividi.

“Non farò nulla di tutto ciò. C’è già un’altra donna nella mia vita, perciò non potrei mai prendere in moglie alcun’altra per soddisfare i vostri desiderio. Io desidero vivere con lei, se mi sarà possibile. Ma non qui” ammise allora Aken, sfidandolo a replicare.

Aggrottando pericolosamente la fronte, Arkan oltrepassò la scrivania reggendosi al bastone e, sempre più furioso, esclamò: “Quella puttana di una selvaggia! Lei! E’ stata lei a farti uscire di senno!”

Alzatosi come una furia, Aken fece cadere a terra la poltrona su cui si era accomodato – tanta fu la veemenza del suo gesto – e replicò furente: “Non osate parlare di Eikhe a questo modo! Non merita le vostre parole rabbiose!”

“Non lascerò che mio figlio vada a stare con una pezzente suo pari. Sei il figlio del re, l’erede al trono, ricordalo sempre!”

“E a me non interessa! L’unica cosa che voglio, è lei!” urlò a quel punto anche Aken, picchiando i pugni sulla scrivania.

“Tu obbedirai ai miei ordini, o io la farò uccidere, ti è chiaro?!” sibilò Arkan, facendolo impallidire.

“Non potete far questo. C’è un trattato, con le donne-lupo. Voi non potete!”  tentennò Aken, non essendosi aspettato una simile reazione dal padre. “Vi volete rimangiare tutte le parole di lode che le avete tributato, padre?”

“Non metto in dubbio ciò che a fatto per noi, e tutto quello che le dissi a quel tempo, rispondeva al vero, ma non la accetterò mai come tua moglie. Inoltre, passerò sopra senza problemi al trattato, se potrò evitarti di screditare il buon nome della nostra famiglia. Pensaci bene, Aken, prima di scatenare un’altra guerra, e solo per sfogare i tuoi più bassi istinti.”

 Arkan lo fissò furibondo, gesticolando ampiamente con la mano libera dal bastone.

“E voi pensateci bene, prima di mettere a repentaglio la vita di Eikhe. Se solo vengo a sapere che le avete torto un capello, porrò fine di mia mano alla mia esistenza, così potrete piangere sulla mia tomba e chiedervi se sia valsa la pena impormi simili restrizioni” replicò Aken, con sguardo adamantino quanto fermo.

“Rinunceresti a vivere… per lei?” sibilò Arkan, adombrandosi ulteriormente in viso.

“In qualsiasi momento” annuì il figlio, ergendosi in tutta la sua statura e fissando il padre con fredda determinazione. “E vi dirò di più. Non pensate che io mi sposi perché, se non potrò avere Eikhe, voi non avrete un mio erede. Ci penserà Ruak, se mai vorrà sposarsi, a proseguire la vostra stirpe, ma non certo io. In cambio, vi prometto che rimarrò a Rajana. Ma solo a queste condizioni.”

Arkan lo fissò negli occhi per diversi minuti, troppo furioso per aprire bocca anche solo per ingiuriarlo.

Alla fine, preso un gran respiro, il re annuì e dichiarò: “Sia come vuoi. Non la toccherò, né pretenderò da te che ti sposi, ma non uscirai mai più da Rajana. Non posso rischiare che tu fugga per seguire questa follia, gettando fango sulla nostra casata e sul suo buon nome secolare.”

“E sia” sospirò Aken, reclinando il capo senza più avere la forza di guardare il padre negli occhi. “Preferisco sapere Eikhe libera e viva, che braccata da voi perché io non ho voluto cedere alle vostre minacce.”

“Tu sei folle” scosse il capo Arkan, disgustato.

“Forse, ma non più di voi. Con permesso, padre” disse a quel punto Aken, uscendo dallo studio con passo fiacco.

Non appena si ritrovò nel corridoio, il giovane sobbalzò nel trovare sua madre Anladi a pochi passi da lui e che, con occhi leggermente sgranati, lo fissò turbata.

“Perché urlavate? Cos’è successo?”

“Nulla, madre, non preoccuparti. Va tutto bene” le sorrise mesto lui, stringendola in un abbraccio tremante.

“Aken, tesoro, cos’hai?” gli sussurrò la donna contro il torace ampio e tremante, carezzandogli sommessamente la schiena.

“Permettimi solo di abbracciarti un momento, madre,… ora mi passa” mormorò soltanto lui, sentendosi prossimo alle lacrime.

Non avrebbe più rivisto Eikhe, non avrebbe più scorto i contorni burrascosi dei Monti Urlanti, o le placide colline dei Rinnail, o la cascata di Atrohos.

Nulla, solo le pareti del castello e i tetti delle case di Rajana. Solo fredda, inospitale roccia, fino alla fine dei suoi giorni.

Ma non poteva rischiare che suo padre mettesse a rischio la vita di Eikhe, o il trattato con le donne-lupo.

No, lui avrebbe rinunciato alla sua libertà per lei e, se un giorno gli dèi avessero avuto pietà di lui, avrebbe rivisto i suoi occhi dorati e il suo sorriso sincero.

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Capitolo 18
*** cap.18 ***



18.

 

 

 

 

 

Le rimostranze di molte donne della tribù si unirono allo sguardo feroce di Kaihle che, incessante, seguì i movimenti di Eikhe attraverso la via principale del villaggio.

Con Antalion in braccio e le sue amiche al fianco, si diresse verso il piccolo tempio di Hevos per pregare in onore del nuovo nato.

La notte che aveva seguito la nascita di Antalion si era trascinata lenta e tesa come la corda di un liuto, mentre la notizia si spargeva come fuoco tra le donne-lupo.

Nonostante quel clima di fiele, Eikhe aveva pensato unicamente al suo bimbo, attaccandolo al seno per la prima volta sotto gli occhi vigili e gentili di Sendala e di Kilana.

 Per l’intera nottata, entrambe erano rimaste al suo fianco, mentre Tyura era rimasta fuori dalla porta della casa della sorella per vigilare in compagnia dei lupi.

La mattina seguente, Eikhe aveva almeno in parte recuperato le forze.

Seguita da coloro che più l’avevano spalleggiata, assieme ai lupi del branco di Nestar, la giovane aprì la porta del piccolo tempio votivo dedicato a Hevos.

Lì, una miriade di candele splendevano altalenanti, illuminando le mura dipinte e l’altare di pietra in fondo alla navata, dove si ergeva una statua del dio a grandezza umana.

Il fruscio dei mocassini delle donne-lupo si mescolò al tintinnio delle unghie dei lupi che, senza emettere fiato, si posizionarono ai lati della stretta navata centrale.

La giovane madre invece, con il bimbo perfettamente sveglio e stretto tra le braccia, si avvicinò all’altare e si inginocchiò reclinando ossequiosa il capo.

Dietro di lei, le altre donne presenti la imitarono mentre i lupi, levando i loro musi, si esibirono in un breve ululato collettivo prima di tornare in religioso silenzio.

Quando anche l’ultimo eco fu scomparso tra le quattro mura del tempio, Eikhe tornò a levare il capo.

Scrutando con un sorriso fiducioso il rosone decorato che si trovava alle spalle della statua del dio, esordì dicendo: “Oggi porto al tuo cospetto tuo figlio, Hevos. Egli reca il Marchio, egli porta con sé il mio sangue e il tuo sangue, oh, grande dio-lupo. Egli oggi rivendica la tua benevolenza, in quanto discendente del branco e figlio sacro, depositario della tua nobile stirpe.”

In coro, le donne ripeterono la litania appena cantata da Eikhe, perché vibrasse all’interno delle sacre mura del tempio.

La figlia sacra, nel frattempo, tolse  dall’altare una candela per continuare il rito di benedizione del bambino.

Piegando la candela su un lato, alcune gocce di cera bollente caddero sul suo palmo aperto e, con voce forte e limpida, esclamò: “Sia salda la mia mano nel difenderlo, anche quando il dolore è forte!”

Dietro di lei, le donne ripeterono la stessa frase, mentre i lupi si univano a loro con bassi ululati di gola.

Baciando il figlio sulla fronte liscia e rosea e sulle mani paffute, Eikhe continuò l’omelia.

“Sia gentile la mia mano nel crescerlo, anche se le difficoltà saranno immani.”

Ancora, le donne si unirono alla sua supplica e la ragazza, ergendosi in piedi con grazia, sollevò sopra la sua testa il bimbo perché la luce che attraversava il rosone lo colpisse in pieno.

“Sia sicura la mia mano nel dargli conforto e certezze, anche quando tutto sembrerà insormontabile!”

Detto ciò, si volse verso le sue amiche mentre le ultime frasi del rito venivano cantate con vigore e coraggio.

Con un sorriso, Eikhe sussurrò: “Sia il mio cuore esultante e lieto, poiché oggi è nato un figlio di Hevos.”

In coro, le donne urlarono: “Un figlio di Hevos!”

I lupi tornarono a ululare festanti mentre, all’esterno del tempio, Kaihle passeggiava nervosamente avanti e indietro, lappandosi le labbra secche nel vano tentativo di calmarsi.

Fin da quando quel bambino era nato, il malcontento era sceso su Nestar.

Molte  anziane si erano rivolte alla loro Signora perché Eikhe avesse la sua giusta punizione, assieme al frutto peccaminoso cui lei aveva dato vita.

Kaihle aveva promesso un fio degno di tale nome da comminare alla figlia degenere, ma non poteva in alcun modo mettersi contro un intero branco di lupi, schierato come un fronte compatto in difesa di quel piccolo abominio.  

Inoltre, non voleva ripetere il Massacro di Eskit proprio a casa propria.

Non faticava a comprendere cosa fosse andato storto quella volta, sebbene non approvasse la condotta della figlia.

Uccidere il neonato – anche se maschio – era stato un errore che le sue sorelle avevano commesso senza pensare alle conseguenze.

Togliendo la vita al bambino, le donne-lupo di Eskit avevano attirato la sventura su tutte loro, scatenando la freoha di Luesrea che, come un animale assetato di sangue, si era accanita su di loro, uccidendole tutte.

Quando infine erano giunte le Guardiane di Hevos – allertate da una donna scampata al massacro – tutto si era ormai compiuto.

Le possenti guerriere avevano perciò avuto gioco facile con Luesrea, ormai prosciugata di ogni forza e ridotta a una misera creatura senza più un’anima.

Non era stata promulgata una legge contro le figlie sacre solo perché alcune Anziane dell’Antico Consiglio si erano dimostrate, se non d’accordo, ma disposte a comprendere le azioni di Luesrea.

Ma ora, a distanza di un secolo, si ripeteva il misfatto.

Un altro figlio sacro era nato nelle loro terre e, in un modo o nell’altro, lei avrebbe dovuto liberarsene, evitando così che tutto il villaggio di Nestar venisse colpito dalla sventura.

Tenere lì Eikhe e il suo cucciolo sarebbe stato impensabile, un abominio! La figlia minore non avrebbe passato un solo momento di più in quel villaggio.

Non l’avrebbe permesso, per nessuna ragione al mondo, così come non l’avrebbe più ripresa in seno alla famiglia.

Era morta, per lei.

E, lupi o meno, l’avrebbe sbattuta fuori con le sue stesse mani, quant’era vero Iddio!

Narhu, ferma a pochi passi da Kaihle, interruppe il suo incessante peregrinare sussurrandole: “Hanno terminato, mia Signora.”

La Signora del Villaggio bloccò immediatamente i suoi passi, fissando biecamente la porta del tempietto.

Il branco di lupi uscì assieme alle donne che si erano assiepate all’interno per la benedizione di rito ai nuovi nati e, senza più attendere oltre, esclamò a gran voce: “Non un solo passo di più su questo suolo, za’hrin! Non ti permetterò di insudiciare oltre il mio villaggio!”

Accigliandosi nel sentirsi chiamare ‘traditrice’ con quel tono sprezzante e privo d’amore, Eikhe strinse impercettibilmente al petto il piccolo Antalion e si bloccò a un passo dai gradini.

“Non esistono altre vie per uscire da Nestar, Signora del Villaggio perciò, a meno che io non impari testé a volare, dovrò passare innanzi a te e a tutte coloro che così malignamente mi stanno osservando.”

Facendo  un cenno a Narhu perché andasse a recuperare Leance dalla stalla, Kaihle replicò con stizza a stento controllata: “Procederai in sella al tuo cavallo, e te ne andrai immediatamente da qui! Nessuna delle donne che così ingenuamente ti hanno seguita in questa folle impresa potrà concederti asilo e, per nessun motivo, dovrai ricevere da loro sostentamento, o aiuto! Tu non sei più una figlia di questo villaggio, o mia! Io ti bandisco, Eikhe!”

Un soffuso coro di sgomento si levò tra le donne alle sue spalle mentre la figlia sacra, lo sguardo ancora fisso sul volto pallido della madre, ascoltava quelle parole senza colpo ferire.

Era già pronta a una simile punizione, ed era ben disposta ad accettarla.

Sendala mosse un passo verso di lei, le iridi nocciola percorse da un’agonia così profonda da farle male e, nonostante sapesse di darle un ulteriore dolore, scosse il capo per bloccarla.

“Non un passo di più, Sendala. Hai sentito la Signora del Villaggio.”

“Ma Eikhe…” ansò lei, scuotendo freneticamente il capo. “Hai partorito solo ieri sera! Sei ancora stanca, nonostante tutto. Non puoi metterti in viaggio proprio ora!”

La ragazza le sorrise gentilmente, replicando: “E’ mattina presto, mia gentile amica, e ho tutto il tempo di trovare un luogo ove rifugiarmi assieme ad Antalion.”

Quando, però, vide giungere Leance senza sacche da viaggio, armato solo di sella, Eikhe aggrottò la fronte e domandò: “Posso recuperare le mie cose da casa, oppure devo lasciare tutto qui, Signora del Villaggio?”

“Tutto ciò che è qui ci appartiene di diritto” decretò gelida Kaihle. “Non posso tenere il tuo lupo e il tuo cavallo perché sono legati al tuo spirito, e morirebbero a essere separati da te. Io non li voglio sulla mia coscienza, pur se lo meriterebbero, dopo questo voltafaccia. Ma, tutto il resto, lo terrò come degno risarcimento per il disonore che hai riversato su tutte noi senza minimamente pensare a ciò che facevi.”

Accigliandosi, Eikhe replicò con altrettanta freddezza: “Ho rispettato la legge di Hevos, e questo mi basta. La legge delle donne-lupo non mi appartiene più, e neppure la vorrei, ora che conosco la verità. Vi ritenete sagge a sufficienza per dire a tutte noi quando, e con chi, avere figli, così da poterci tenere sotto controllo e impedirci di vivere la nostra vita pienamente, ma questo non è ciò che voleva Hevos per noi! Non ci ha mai negato l’amore!”

Un brusio nervoso si levò tra la folla di donne assiepate attorno a Kaihle, mentre le ragazze al fianco di Eikhe le sorridevano coraggiose, infondendole forza e sicurezza.

Ugualmente, la giovane lanciò un breve fischio per chiamare accanto a sé Leance e terminò dicendo: “Non discuterò oltre con te, Signora del Villaggio, perché so che non credi a una sola parola di ciò che ti ho detto. Ma basta mio figlio a dire a tutte che io dico il vero. I lupi erano, e sono, con me, mehem Kaihle. Ti serve sapere altro?”

Con un ringhio, la Signora del Villaggio sollevò un braccio per spazzare l’aria attorno a sé.

“Vattene di qui! Non una sola parola in più, maledetta! Vai via! Io non sono più tua madre, quindi non usare con me quello sdolcinato mehem.

Reclinando il capo per baciare la fronte del suo Antalion che, fino a quel momento, se n’era stato in silenzio contro il suo seno, Eikhe sussurrò: “Andiamo a fare un giro per i boschi, mio bel bambino.”

“Eikhe!” esclamò Sendala, afferrandola a un braccio con occhi lucidi di lacrime. “Non andare, ti prego.”

Avvicinandola a sé con un tocco gentile della mano, Eikhe le sorrise tristemente prima di darle un casto bacio sulle labbra.

“Sarai sempre la mia amica più cara, Sendala, ma ora devo andare. Non voglio che voi abbiate a soffrire per causa mia.”

Detto ciò, se la strinse al petto e, perché nessun altro potesse sentirla, sussurrò al suo orecchio: “Cercami da mio padre, quando le acque si saranno calmate.”

“Sì” alitò debolmente Sendala, scostandosi da lei prima di scappare via di corsa, intenzionata a non farsi vedere in lacrime dall’amica.

Un coro silenzioso di sguardi comprensivi e sorrisi commossi la accompagnò, mentre si ergeva sulla sella di Leance.

Dopo aver scrutato le amiche con occhi gentili, si volse verso la madre e il suo comitato di commiato prima di dare un piccolo colpo di tacchi ai fianchi del cavallo.

Subito, l’animale si mosse al passo e, lentamente, attraversò la via principale del villaggio, sotto gli sguardi furiosi delle donne-lupo che avevano seguito Kaihle in quella guerra intestina tra figlie del branco.

Ritta sulla sella e fiera di ciò che teneva teneramente tra le braccia, Eikhe non si volse più indietro per osservare un’ultima volta la sua casa natia.

Poco prima di uscire dal villaggio, trovò però la forza di sorridere alla sorella Tyura che, sola e poggiata mollemente contro un grosso abete, la scrutò da sotto le ciglia scure.

“Dirai a tuo figlio che la zia gli vuole già tanto bene?”

“Lo farò. Ma ora torna dalla mamma, se non vuoi passare un guaio” le sussurrò Eikhe, dando un colpetto a Leance perché accelerasse il passo. “Mi troverai da mio padre.”

La sorella non disse altro, limitandosi ad ammiccare al suo indirizzo prima di rientrare al villaggio con passo strascicato.

Eikhe, ora veramente sola di fronte al sentiero boschivo che si allontanava da Nestar, sospirò e disse: “Andiamo, mio bel stallone. Abbiamo un bel po’ di miglia tra noi e un nuovo tetto sulla testa.”

Leance non si fece pregare e, al trotto leggero, percorse buona parte del tratturo che conduceva a Marhna senza mai fermarsi, ormai pratico di quelle foreste.

Non potendo resistere oltre, la giovane pianse per gran parte del tracciato mentre Antalion, tra le sue braccia, ascoltava muto i suoi esili singhiozzi.

Fermatisi solo per il tempo di dare la poppata al piccolo, che fortunatamente digerì senza problemi e, soprattutto, senza far preoccupare una già tesa Eikhe, lo sparuto gruppetto giunse infine alla cittadina di montagna col fare della notte.

Ormai infreddolita e stanca, la ragazza diresse il cavallo verso la casa del padre, sperando di trovarlo senza dover prima passare dal laboratorio.

Smontando a fatica dalla sella, Eikhe si morse un labbro quando si rese conto di avere la tunica macchiata di sangue.

Non potendo fare altro per se stessa se non bussare alla porta del padre, ordinò a Liar di fermarsi in giardino prima di legare Leance alla staccionata che delimitava la proprietà.

Cominciando a sentire i morsi della fame e la stanchezza per il viaggio, la giovane raggiunse infine l’entrata dell’abitazione del padre.

Lì, dopo aver bussato alla porta, attese alcuni attimi prima di udire dei passi tranquilli raggiungere il battente e aprirlo a metà.

Illuminata dal chiarore delle lanterne accese nell’atrio, Ildera la osservò sorpresa per alcuni attimi prima di sgranare gli occhi alla vista del bimbo tra le sue braccia.

Ma fu soprattutto la macchia scura sulla tunica della ragazza, a spaventarla.

Affrettandosi ad attirarla in casa, Ildera esclamò subito concitata: “Per tutti gli dèi, ragazza, ma cosa ci fai qui?!”

Allungando il bimbo verso la donna, Eikhe riuscì a dire a stento: “Tienilo tu, io…”

Ildera non fece in tempo a prendere quel tenero frugoletto tra le braccia che Eikhe crollò in ginocchio proprio innanzi a lei, stremata e ansante per le troppe emozioni e le troppe fatiche cui era stata sottoposta.

Impallidendo spaventata, la matrona si volse a mezzo verso la porta della cucina e, a gran voce, urlò: “Harm, presto! Vieni qui!”

Giungendo a rapidi passi a seguito di quell’accorato richiamo, l’uomo si affacciò sul piccolo atrio d’entrata e disse: “Ildera, cosa sta…Eikhe! Oh, dèi!”

“Presto, portala in camera!”

Ildera non badò a spiegare nulla al marito, cullando il bimbo tra le sue braccia che, nel frattempo, si era messo a piagnucolare.

“Ti dirò tutto dopo. Ora devo prendermi cura di lei!”

Annuendo senza dire una parola, Harm sollevò tra le braccia la figlia che, poggiando stancamente il capo sulla sua spalla, riuscì a sussurrare spiacente: “Non sapevo dove altro andare… scusatemi.”

“Non devi scusarti di nulla, bimba mia” scrollò la testa Harm, correndo a grandi passi su per la scala di legno per portare la figlia al piano superiore.

Dietro di loro si infilò Ildera e, a pochi passi, il curioso Konis che, sgambettando sulle sue gambe ossute e lunghe, esclamò: “Mamma, che succede?!”

“Konis, vai subito a prendere delle pezzuole pulite e un secchio di acqua calda. Corri!” esclamò la madre, aprendo la porta della stanza matrimoniale con un colpo di spalle mentre Harm vi si infilava in fretta.

Richiamato all’ordine dal monito imperioso della mamma, Konis tornò di sotto di corsa e raccattò tutto il necessario alla svelta.  

Fatto ciò, sollevò uno dei secchi poggiati sulla stufa in cucina e lo portò al piano superiore, tra brontolii sommessi e imprecazioni soffocate.

Quando però mise piede nella camera padronale per consegnare il tutto alla madre, sgranò gli occhi nel vedere la sorellastra – pallida come un cencio e sudata in viso – e un neonato poggiato sul suo ventre leggermente arrotondato.

Posato il secchio a terra, gli occhi ancora sgranati per la sorpresa, Konis esalò: “Mamma… ho il secchio e…”

Voltandosi immediatamente verso il figlio, Ildera annuì in fretta e, preso tutto il necessario per curare Eikhe, disse torva: “Ora, voi uomini andate fuori di qui. Immediatamente!”

“Ma Ildera…” brontolò Harm, accigliandosi. “…preferirei rimanere al fianco di mia figlia…”

“Vola subito fuori di qui, Harm. E anche tu, Konis! Rendetevi utili e preparatemi un infuso di kellara, poi tagliate una delle lenzuola per farne delle fasce per il bimbo. Sbrigatevi!” 

Ildera non li degnò di una sola occhiata, cominciando a slacciare gli alamari della lunga tunica di Eikhe.

Vistosi letteralmente cacciato via dalla stanza assieme al figlio minore, Harm sorrise un momento a Eikhe – che ricambiò – prima di chiudersi la porta alle spalle e dire a Konis: “Sentito la signora? Andiamo.”

“Papà, ma… cos’aveva Eikhe?” chiese a quel punto Konis, confuso.

Scrutando dubbioso la porta chiusa della sua stanza, scosse il capo e dichiarò: “Non vorrei dire stupidaggini, Konis, ma credo tu sia appena diventato zio, e io nonno.”

Il ragazzino sgranò gli occhi per l’ennesima volta mentre Harm, avvolte le spalle del figlio con un braccio, cominciò a scendere lentamente le scale per eseguire gli ordini della moglie.

Per le domande avrebbe avuto tempo in seguito.

***

Ansante e dolorante da capo a piedi, Eikhe osservò grata Ildera mentre, con competenza e gentilezza assieme, la ripuliva dal sudore e dal sangue prima di farle indossare una camicia da notte.

“Non temere, era solo una lieve perdita dovuta alle tante ore passate a cavallo. Un po’ di riposo, e sarai come nuova.”

“Grazie, Ildera, e scusami se sono piombata qui a questo modo, ma non sapevo proprio dove andare” sospirò Eikeh, piegando il capo di lato sul morbido cuscino di piume.

Dandole una goffa pacca sulla spalla, la donna replicò: “Te l’avevo detto io, no, di venire qui, qualora avessi bisogno di aiuto? Hai fatto bene.”

Poi, sorridendo maggiormente nell’osservare il piccolo addormentato al fianco della madre, aggiunse: “Hai davvero un bel bambino.”

Eikhe annuì, allungando una mano per sfiorare la zazzera di scuri capelli che gli cresceva sul capo.

“Peccato che sua nonna non la pensi così.”

“Vi ha cacciati dal villaggio?” chiese torva Ildera, prima di sentire bussare alla porta.

Volgendosi a mezzo, la donna vide entrare un attimo dopo sia Harm che Konis che, dubbiosi e in attesa di un assenso, ristettero sulla porta con l’aria di non sapere bene cosa fare.

Eikhe rise divertita nel vederli così sull’attenti e, alzandosi a sedere sul letto, si posizionò dietro la schiena un altro guanciale per poi celiare: “Avete paura di due donnicciole e di un neonato, forse?”

Harm ridacchiò nell’avvicinarsi, subito seguito da Konis.

“Sbaglierò, ma una sa usare più armi di me, mentre l’altra brandisce il mattarello come un guerriero. Sì, che ho paura!”

Ildera arrossì a quel commento ma sorrise mentre la ragazza, ridacchiando sommessamente, sollevò un sopracciglio con aria divertita.

“Non ti facevo così guardingo, padre.”

Allungandole una tazza di infuso, Harm fissò il bimbo steso accanto alla figlia e, sorridendo spontaneamente, celiò: “E io non sapevo che sarei diventato nonno. Che novità è questa, Eikhe?”

Sorseggiando lentamente l’infuso caldo e profumato, la giovane sospirò labilmente prima di ammettere: “Mi hanno cacciata dal villaggio perché ho voluto tenere lui, rifiutandomi di dire chi è il padre e, più di ogni altra cosa, asserendo che Hevos è dalla mia parte.”

Accigliandosi immediatamente, Harm si accomodò sul ciglio del letto mentre Konis scrutava curioso il neonato addormentato.

Da quanto tempo hai il bambino?”

“Da ieri sera” ammiccò tristemente Eikhe, ben sapendo quale sarebbe stata la reazione del padre a quella notizia.

Come previsto, si adombrò in viso digrignando i denti.

Ildera, più tranquilla e prosaica, gli batté una mano sulla spalla per calmarlo, ben sapendo quanto fosse inutile irritarsi.

“Non innervosirti per niente, Harm.”

“Strangolerei volentieri tua madre, ora come ora, Eikhe” ringhiò l’uomo, furente come poche altre volte era stato in vita sua. “Come le è saltato in mente di metterti su un cavallo, a così poche ore dal parto?!”

“La legge va rispettata, no?” sentenziò ironica Eikhe. “Forse, non voleva un secondo Massacro di Eskit in casa propria.”

Sia Harm che Ildera impallidirono nell’udire quel nome poiché, di quella vicenda, si era narrato per anni e anni anche al di fuori dei villaggi di donne-lupo.

Da racconto sussurrato con timore, era diventato nefasto mito tramandato tra le genti delle montagne.

Konis, curioso come ogni bambino di dieci anni, levò il capo in direzione della sorellastra e chiese: “Che intendi dire, Eikhe?”

Sorridendo debolmente al ragazzino, Eikhe scosse il capo e disse: “Una gran brutta vicenda, Konis. Molto brutta.”

“Con dei morti?” chiese allora Konis, con il candore dei bambini.

“Parecchi” annuì la sorella, prima di rivolgersi ai due coniugi. “Posso rimanere qui, finché non avrò costruito una casa per me e il piccolo Antalion?”

“Potrai restare tutto il tempo che vorrai, anche per sempre, se lo desideri” disse subito Harm, prima di veder annuire la moglie.

Scuotendo il capo, Eikhe replicò gentilmente alla sua offerta.

“Non sono fatta per abitare in città, neppure una carina come Marhna, perciò mi costruirò una casa nel bosco, anche se non troppo lontana dal paese, così sarà facile per me e per voi restare in contatto. Voglio crescere il mio bimbo seguendo le leggi di Hevos.”

Annuendo suo malgrado, Harm asserì: “Se questo può renderti felice, ti aiuterò a costruirla dove vorrai, ma rammenta che qui sarai sempre la benvenuta.”

“Grazie” sussurrò Eikhe.

Un attimo dopo, scoppiò in una risatina nell’udire le proteste del figlio e, dopo averlo preso tra le braccia, mormorò: “Credo abbia fame.”

Tutti risero con lei.

Konis, invece, arrossì leggermente e le chiese: “Posso restare mentre lo allatti?”

“Ma certo, Konis” annuì Eikhe, slacciandosi la camicia da notte per permettere ad Antalion di attaccarsi al seno.

Battendo una mano sul materasso, sorrise al fratello per invitarlo ad avvicinarsi.

“Vieni a sederti qui accanto a me, cucciolo di lupo.”

Ridacchiando nel sentirsi chiamare a quel modo, Konis si arrampicò sul letto per mettersi al fianco della sorella e, ammirando in silenzio il nipotino mentre mangiava, non si accorse dell’occhiata amorevole dei suoi genitori.

Senza alcun rumore, si allontanarono dalla stanza per scendere dabbasso.

“Farà bene a entrambi stare un po’ da soli” disse quasi tra sé Harm, prima di scrutare il giardino e notare la presenza del lupo della figlia e del suo cavallo, legato alla staccionata.

“Mi sa che avranno fame anche loro. Li porto nella stalla, va bene?”

“D’accordo. Io, nel frattempo, preparo una camera per Eikhe e il suo bimbo” annuì Ildera.

Già sul punto di allontanarsi, si bloccò a mani serrate e sbottò per l’irritazione fin lì trattenuta.

“Mi spieghi perché diamine sei stato a letto con una donna capace di cacciare sua figlia a quel modo? Che ti diceva la testa?”

Con un mesto sorriso, Harm scrollò le spalle e disse per contro: “Non riconosco Kaihle in ciò che ha fatto, Ildera, lo ammetto. Non era così, da giovane. Per nulla.”

“Mah! Meglio che vada a dare una ripulita alla camera degli ospiti. Tanto, non la capirò mai quella donna!” sbottò Ildera, andandosene a grandi passi e con le mani piantate sui fianchi.

Tristemente, Harm uscì fuori di casa e, scrutando la luna alta in cielo, cercò in essa risposte che già sapeva non sarebbero venute.

“Cosa ti ha cambiato tanto, Kaihle? Cosa?”

***

“Ecco, vedi come si fa, Konis? Prima pieghi questo angolo poi…” cominciò col dire Eikhe, prima di interrompere la sua lezione nell’udire un ululato fuori casa.

E non si trattava di Liar.

Levato a sua volta il capo, Konis corse in fretta alla finestra per curiosare all’esterno e, con una risatina, richiamò l’attenzione della sorellastra.

“C’è una ragazza-lupo, qui fuori, e sta facendo le coccole a Liar.”

Avvolgendo tra le braccia Antalion, Eikhe raggiunse la finestra in pochi, rapidi passi e, con un sorriso spontaneo, sussurrò: “Sendala.”

“E’ amica tua?” chiese allora il fratellino mentre, insieme, si dirigevano dabbasso.

“Sì, è la mia migliore amica” annuì lei, aprendo la porta d’ingresso prima di dire a gran voce: “Sendala! Ciao!”

Il capo bruno della ragazza si levò di scatto, mostrando i suoi limpidi occhi accendersi di gioia.

Con un rapido scatto di gambe, la giovane fu da lei sulla porta di casa per abbracciarla con calore, stando ben attenta a non fare in alcun modo del male al piccolo Antalion.

“Oh, amica mia… che bello vederti in salute!” ansò Sendala, baciandola sulle guance.

Un attimo dopo, si scostò per sorridere al piccolo Antalion, che la scrutava con i suoi enormi occhi giallo paglierino.

“E tu, An, come stai?”

Il bimbo si esibì in un piccolo strillo acuto prima di allargare le labbra in quello che avrebbe dovuto essere un sorrisone, se solo vi fossero stati i denti a rendergli giustizia.

“Gli stai simpatica” commentò Konis con aria saputa, intrecciando le braccia sullo striminzito petto. “Fa sempre così, con chi trova carino.”

“Buono a sapersi, visto che è un mese che non mi vede” ammiccò Sendala, allungando verso di lui una mano inguantata. “Io sono Sendala, e tu devi essere Konis, il fratellastro della mia amica, giusto?”

“Esatto” annuì lui, stringendo la mano protesa con una stretta decisa.

Sorridendo soddisfatta, la ragazza-lupo tornò a osservare l’amica, dicendo: “Il piccoletto, qui, ha una stretta tenace. Sarà uno zio valido per il bimbo, casomai dovesse servirgli protezione.”

Gonfiandosi come un pavone, Konis annuì con vigore e sorrise tutto soddisfatto.

“Ci penso io a difenderlo!”

Ridendo, Eikhe annuì divertita, passando una mano tra i folti riccioli scuri del fratello.

“Mi affido a te, allora, Konis.”

“Sì, sorella” annuì lui, prima di aggiungere: “Vado a chiamare la mamma nell’orto. Magari si ferma per due chiacchiere anche lei.”

Arrossendo debolmente, Sendala reclinò il viso imbarazzata e replicò stentata: “Oh,… no, non posso fermarmi tanto. Ho usato una scusa per scendere a Marhna ma non posso tardare molto, o capiranno che sono venuta a cercarti. Mi spiace.”

Annuendo, pur dispiacendosi non poco della notizia, Eikhe batté una mano sulla spalla dell’amica.

“Ti capisco. E’ già molto averti rivisto. Di’ a mia sorella che sto bene, Sendala. Di lei ci si può fidare.”

“Va bene” assentì Sendala prima di scrutare Antalion e chiedere: “E… beh, hai avvertito il padre della sua nascita?”

“No” sospirò Eikhe scuotendo il capo. “Né mai dovrà saperlo. Lo affliggono già troppi problemi, e noi non saremmo che uno in più. Va bene così.”

“Mi rimetto al tuo giudizio, ma credo che meriti più di semplice silenzio” brontolò Sendala, facendola sorridere divertita.

“Ma come? Non eri tu che, neppure un anno fa, mi hai quasi malmenato per aver dormito assieme a lui, e averci pure fatto un figlio?” replicò ironica Eikhe.

“Dimentichi che l’ho visto sul campo di battaglia. Ho molto rispetto per lui, Eikhe, e credo debba sapere ma, se tu ritieni diversamente, tant’è. A me sta bene. Ma un giorno lui…” e nel dirlo, indicò Antalion. “… vorrà sapere. E allora, cosa gli dirai?”

“Lo saprò a tempo debito. Non voglio pensarci ora” dichiarò soltanto la figlia sacra, con un leggero sospiro ad accompagnare le sue parole.

Mordendosi un labbro, Sendala la abbracciò dolcemente, non sapendo in quale altro modo perorare la causa di Aken.

“Non voglio litigare con te la prima volta che ti vedo dopo tanto tempo, amica mia. Mi lascerai con un sorriso, vero?”

“Ma certo” annuì Eikhe, dandole un bacio sulla guancia prima di sorriderle con sincero affetto. “Possa Hevos guidare i tuoi passi, Sendala.”

“E l’ululato del lupo guidare il tuo cammino, figlia sacra” replicò la ragazza-lupo, chinandosi poi a baciare Antalion e ripetere la benedizione anche per lui.

Nel vederla allontanarsi in groppa al suo cavallo e con il suo lupo al fianco, Eikhe sussurrò: “Non è ancora il tempo, ma verrà il giorno.”

“Cosa vuoi dire, sorella?” chiese Konis, fissandola curioso.

Liar scelse quel momento per giungere loro a fianco, tutto felice e scodinzolante ed Eikhe, chinandosi per togliergli dal pelo un filo d’erba solitario, sorrise al lupo per un attimo.

“E’ ancora presto per un cambiamento tra noi donne-lupo, Konis, ma presto o tardi avverrà. E Antalion è la prima pietra del nuovo tempio che sorgerà in onore di Hevos.”

“Parli strano, a volte, Eikhe” commentò confuso Konis, prima di avvicinarsi a Liar e chiederle: “Posso giocare un po’ con lui?”

“Prima cambiati, o Ildera ti batterà di sicuro, se sporchi quella tunica nuova. Solo in seguito, potrai giocare con lui” acconsentì Eikhe con indulgenza.

“Vaaa beeeneee” disse a gran voce Konis dando una grattatina dietro le orecchie al lupo. Un attimo dopo, già correva a gambe levate in casa per cambiarsi.

“Grazie” disse alle sue spalle Ildera, giungendo dall’attiguo orto. “Se l’avesse sporcata, mi sarei arrabbiata davvero.”

Volgendosi a mezzo, Eikhe le sorrise.

“Mi arrabbierei anch’io, credimi. Vuoi una mano con le erbe aromatiche?”

“No, grazie. Piuttosto, volevo sapere se potevi rammendare alcune camicie di Harm. Hai una mano migliore della mia, e lui è così pignolo!” esclamò Ildera, scrollando le spalle con enfasi.

Ammiccando, Eikhe annuì dicendo: “Oh, lo so che è pignolo.”

Detto ciò, lanciò uno sguardo alla foresta che si ergeva imponente a poche centinaia di iarde dal confine orientale del paese, dove loro si trovavano.

Con un sospiro, ne osservò le piante sospinte dal vento e ne ascoltò il leggero stormire, provando la consueta nostalgia per quei luoghi a lei così cari.

Affiancandola, Ildera le diede una pacca sulla spalla, mormorando confortante: “Sarà solo questione di qualche mese, Eikhe, e poi sarà pronta.”

“Lo so. E io qui mi trovo bene, ma…” tentennò Eikhe, sorridendole spiacente.

“La foresta è come casa tua, per te. L’ho capito” annuì Ildera, prima di dare un buffetto ad Antalion sul mento, e dire in falsetto: “E tu, bell’ometto? Cosa dici?”

Il bimbo si esibì nel suo solito sorrisone sdentato e la donna, scoppiando a ridere, gli arruffò i corti e sottili capelli.

“La nonna va a prepararti subito il bagnetto, tesorino.”

Sorridendo nel vederla entrare in casa, Eikhe ringraziò silenziosamente Hevos per l’aiuto che Ildera, in quel primo mese passato a casa del padre, le aveva dato per imparare il difficile mestiere di madre.

Non rimpiangeva di aver avuto Antalion, neppure per un momento ma, durante certe notti passate sola nel buio nella sua stanza, ascoltando solo il respiro del figlio al suo fianco, aveva pianto infelice.

Aveva sentito tremendamente la mancanza di Aken e sì, della madre.

Per quanto lei potesse odiarla, o disprezzare ciò che le aveva fatto, rimaneva pur sempre la donna che l’aveva messa al mondo, che l’aveva allattata e curata perché diventasse grande.

Tornando a scrutare il folto della foresta, Eikhe sussurrò: “Spero che un giorno capirai, mamma. E smetterai di odiarmi.”

 
Per un po’ avremo a che fare con Antalion e la sua nuova famiglia, mentre ritroveremo Aken un po’ più avanti. Portate pazienza, e tornerà anche lui! Per ora vi saluto e passo a produrre il prossimo capitolo! Ciao!

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Capitolo 19
*** cap. 19 ***


19.

 

 

 

 

 

Passandosi una mano sul volto madido di sudore, ma che tradiva un’indubbia soddisfazione, Eikhe scrutò con occhi scintillanti gli uomini seduti a cavalcioni sul tetto della sua nuova casa.

Tra risate e imprecazioni, stavano terminando di fissare le lastre di pietra, che fungevano da copertura, mediante l’utilizzo di ramponi metallici.

Grazie al passaparola di Harm tra colleghi e amici, Eikhe si era ritrovata a fare da capocantiere a una squadra di almeno venti uomini giovani e in salute che, ben volentieri, si erano messi al suo servizio.

Da principio, Eikhe non si era sentita per nulla tranquilla all’idea di dover aver a che fare con così tante persone, ma Harm l’aveva rassicurata.

Non solo erano tutte degne di fiducia, ma anche giovani devoti alla Corona, desiderosi di ringraziarla per ciò che lei aveva fatto per il regno.

Certo, aver salvato il principe aveva contato di sicuro, ma Eikhe aveva faticato non poco a venire a patti con la loro gratitudine, almeno i primi mesi.

Con l’approssimarsi dell’inverno e della fine dei lavori, però, ormai la giovane aveva fatto amicizia con tutti loro.

E, non pochi tra essi, si erano accollati diversi turni accanto alla culla di Antalion che, per espresso volere della giovane madre, non era mai rimasto lontano da lei.

Ildera e Konis si erano fatti carico di portare loro i viveri, durante quei lunghi mesi di lavoro, nonostante Eikhe si fosse più volte impuntata per il contrario, a tal proposito.

Entrambi, però, l’avevano azzittita adducendo come scusa il desiderio di vedere il nipote, che si trovava sempre al cantiere con lei.

In realtà, e con grande piacere della giovane, aveva ormai compreso che non solo il piccolo Antalion era al centro dei loro pensieri, ma anche lei, nonostante tutto ciò che, fino a un anno prima, li aveva divisi e resi quasi degli estranei.

Quella forzata vicinanza aveva creato un legame duraturo che nulla, neppure la distanza, avrebbe più spezzato, ed Eikhe ne era felice perché, a conti fatti, lei e Antalion potevano contare solo su di loro.

Il luogo in cui era nata e cresciuta, purtroppo per lei, le era ormai ostile.

Nonostante Sendala e Tyura fossero riuscite, in quei mesi, a raggiungerla in diverse occasioni, sapeva che Nestar sarebbe stato per sempre un posto off-limits.

Ma le stava bene anche così.

Aveva Antalion, l’amore del padre e l’affetto della matrigna e del fratellastro, oltre all’amicizia di tutte quelle persone che, nel corso di quei mesi, le si erano avvicinati per dimostrarle appoggio.

Certo, ricominciare da sola sarebbe stato complesso, ma non impossibile.

Inoltre, si trovava solo a mezz’ora di cavallo da Marhna, dalla sua famiglia acquisita. Non era un’eternità.

E lì dove aveva scelto di vivere, nei pressi di un ruscello e nel bel mezzo di un’ampia radura riparata da alti pini da resina, c’era abbondanza di selvaggina.

Ben presto, avrebbe potuto ricominciare a cacciare e preparare nuovi pellami lavorati.

Con i soldi che avrebbe guadagnato, vendendo i suoi articoli d’artigianato, avrebbe acquistato quel poco che la foresta non poteva offrirle e, nel contempo, avrebbe cresciuto il figlio nel rispetto delle leggi di Hevos.

Di tutto il resto, del proprio amore per Aken e della possibilità di rivederlo, non poteva occuparsene, non in quel momento, e neppure nel breve periodo.

Se avesse pensato troppo ad Aken, si sarebbe intristita al punto tale da perdere di vista il suo compito principale, e cioè fare da madre ad Antalion.

E quello era un compito che voleva assolvere nel migliore dei modi.

“Ehi, Eikhe! Vuoi anche un gallo segnavento, sul camino?” le urlò Sebatt, dall’alto del tetto di casa.

Osservando l’imponente falegname, e amico di vecchia data del padre, Eikhe annuì.

“Te ne sarei grata! Fa sempre piacere vederlo puntare il becco a destra e a manca!”

“Come ordina sua signoria!” gridò allora l’uomo, con una gran risata di gola.

Lei rise a sua volta, più composta e Antalion, dalla sua culla, se ne uscì con quello che avrebbe dovuto essere una risata, ma che risultò essere più uno sbuffo confuso.

Sorridendogli, la giovane lo prese in braccio dicendo divertita: “E’ buffo, vero, Sebatt?”

Il bimbo le sorrise, afferrandole una delle trecce che portava poggiate sulle spalle.

Trattenendo un ‘ahia’ non appena il figlio gliela strinse con forza, Eikhe esalò con esasperazione: “Dèi, sei già forte come tuo padre! Figurarsi quando sarai grande!”

Affiancandosi ad Eikhe con una cesta ricolma di legna, il giovane figlio ventenne di Sebatt le sorrise, celiando: “Non potrebbe che esserne orgoglioso, secondo me. E’ davvero bello.”

Volgendosi a mezzo per sorridere all’alto e prestante spaccalegna che, dal padre, aveva preso in tutto e per tutto il sorriso ammaliante, Eikhe replicò: “Può darsi. Peccato che non lo sapremo mai.”

Poggiando la gerla a terra, Enok intrecciò le possenti braccia al petto, dubbioso.

“Un così grande mistero può voler dire solo due cose, Eikhe. E di una, dubito fortemente.”

Sollevando un chiaro sopracciglio sottile, la figlia sacra lo fissò con autentica curiosità prima di chiedere: “Cosa vorresti dire?”

Allungandosi per prendere Antalion in braccio, il quale accettò di buon grado, Enok lo fece ballonzolare per un po’ prima di fissare la donna al suo fianco.

“O si tratta di un delinquente, e perciò non ne vuoi fare menzione… ma dubito sia questa l’ipotesi, perché sei troppo intelligente per farti abbindolare…”

“Oppure?” chiese allora lei, sul chi vive.

“Oppure, il padre di An è di così alto lignaggio che la sua famiglia rifiuterebbe persino di farvi entrare dalla porta d’ingresso” asserì Enok, prima di aprire la bocca per fare una smorfia ad Antalion.

Il bimbo rise di gusto e il giovane, non contento, poggiò le labbra sul pancino del bambino e soffiò forte, producendo assurdi suoni che divertirono un mondo Antalion.

Eikhe sorrise di fronte alle gentilezze di Enok nei confronti di suo figlio, e  immaginò Aken fare le stesse cose, forse in maniera ancor più estremizzata.

Era più che sicura che, con il figlio, sarebbe stato un’autentica calamità, sempre pronto a scherzare, vezzeggiarlo e viziarlo all’inverosimile.

Ma non l’avrebbe mai scoperto, perché non poteva presentarsi a Rajana con Antalion in braccio, e accampare alcun diritto sul principe ereditario del Regno.

Era pur vero che, in quei mesi, nessuna nuova era giunta dalla Capitale del Regno.

Aken non si era ancora formalmente fidanzato con nessuna donna, ma non poteva certo pretendere che questo continuasse in eterno.

Presto o tardi, un messo sarebbe giunto alle porte di Marhna per portare la lieta novella del prossimo matrimonio di Aken di Rajana con la nobile di turno, e lei avrebbe dovuto accettarlo.

Indipendentemente dalle parole confortanti che il suo unico amore le aveva sussurrato il giorno della sua partenza.

Sarò tuo per sempre.

Già, nel suo cuore lo sarebbe stato di sicuro ma, a conti fatti, il re non glielo avrebbe mai permesso.

Inoltre, nessun uomo era giunto a cercarla tra quelle lande a suo nome, perciò anche a lui stava bene mantenere le distanze da lei.

Forse, per la sanità mentale di entrambi.

Era giusto così. Si erano promessi amore eterno, ed era tutto ciò che avrebbero entrambi ottenuto dalla loro breve relazione.

Un sacco di ricordi e lui, il piccolo Antalion, a ricordarle ogni giorno e ogni notte quanto avesse amato colui con cui si era unita per farlo nascere.

Scompigliando la chioma corvina del bimbo, Enok la riportò alla realtà, dicendole seriamente: “Sai bene che non tradirei mai la tua fiducia, Eikhe.”

Sorridendogli mestamente, la giovane replicò: “Sapere il suo nome cambierebbe molto?”

Stringendo il bimbo contro il torace con un braccio solo, il giovane allungò la mano libera per carezzarle la guancia e, con voce resa roca dall’emozione, sussurrò: “Vorrei solo sapere chi sa renderti così triste e così felice al tempo stesso. Vorrei sapere se merita davvero le lacrime che versi, quando guardi dormire tuo figlio.”

Mordendosi un labbro per contenere il flusso di emozioni che quelle parole scatenarono in lei, Eikhe poggiò una mano su quella di Enok, che ancora sfiorava il suo viso.

“Come puoi pretendere di giudicare una persona da un nome, Enok?”

Sollevando un sopracciglio con evidente sorpresa, lui esalò: “Non è… un uomo di queste parti? Un nobile della montagna che io posso conoscere in qualche modo?”

Scuotendo il capo per negare le sue supposizioni, Eikhe scostò la mano del giovane con gentilezza, pur tenendola stretta tra le sue dita fredde.

Intrecciandole a quelle di Enok, la ragazza mormorò: “Se io ti dico il nome di suo padre, voglio la tua promessa che esso morirà con te.”

Dando una stretta significativa alla mano di Eikhe, lui annuì con veemenza.

“Te l’ho detto. Di me ti puoi fidare!”

“E’ il principe Aken” disse allora la giovane, con semplicità.

Gli occhi azzurri di Enok si sgranarono per la sorpresa mentre, con lentezza, lo sguardo si spostava dal volto sereno di Eikhe al visino paffuto di Antalion, ignaro di tutta la loro discussione.

“Lui ti ha…” tentennò Enok, continuando a fissare Antalion come se non lo avesse mai visto prima.

“Lui mi ha amata fino al giorno in cui ci siamo dovuti dividere, e ha ricevuto la benedizione di Hevos, e ciò mi basta” gli spiegò, scrollando le spalle. “Capisci perché non ne posso parlare, e perché non posso presentarmi al suo cospetto?”

“Il re ti farebbe uccidere all’istante, e così pure tuo figlio” assentì il giovane, adombrandosi. “Per re Arkan, conta solo il sangue di stirpe reale, temo.”

“E’ probabile” ammise Eikhe, prima di aggiungere: “Ora sei più tranquillo, sapendolo?”

Scoppiando in un’aspra risata, Enok scosse il capo e replicò: “Oh, no! Non sono affatto più tranquillo, tutt’altro. So che, grazie a lui, con te non avrò mai speranze.”

Sbattendo le palpebre più volte, del tutto disorientata dal suo dire, Eikhe esalò: “Cosa stai dicendo, Enok?”

Guardandola con disarmante sincerità, ammise: “Pensi che non avrei fatto volentieri da padre a questo frugoletto, se tu mi avessi accettato al tuo fianco? Diamine, An è adorabile, e io lo avrei amato come se ne fossi stato veramente il padre. Ma ora che so chi è il suo vero genitore, dubito che potrò mai chiederti di essere la mia compagna.”

Osservandolo con affetto e comprensione al tempo stesso, la giovane gli carezzò un braccio, asserendo divertita: “Non crederai che il fatto che lui sia un principe sminuisca ciò che tu sei, spero?”

“Forse no, ma… andiamo! E’ di tutt’altra pasta!” celiò lui, ridacchiando imbarazzato. “Vuoi mettere la differenza di educazione?”

Scoppiando in una risatina argentina, rara ormai per lei, la giovane si asciugò una lacrima di ilarità e dichiarò: “Allora, cosa penseresti se sapessi che Aken voleva sculacciarmi, la prima volta che ci siamo conosciuti?”

Il giovane strabuzzò gli occhi per la sorpresa ed Eikhe, tornando seria, disse: “Con me, Aken non ha usato né poesie, né astuzie da damerino, Enok. Anzi, a dire la verità, odia quel genere di cose! Con me è stato semplicemente… Aken. Non il principe, non il guerriero. Solo l’uomo.”

“Allora, deve essere davvero una persona degna di nota, e non solo un grande stratega militare” esalò con sincera ammirazione Enok, sorridendole comprensivo. “Motivo di più per non credere che tu potrai mai volermi come compagno.”

“Se avessi il cuore libero dall’amore che provo per lui, tu saresti un compagno ideale, Enok. Inoltre, a tuo favore va detto che ami davvero mio figlio. Ma per me c’è,  e ci sarà, sempre solo lui, mi spiace. Sarebbe sbagliato illuderti e prenderti al mio fianco, sapendo che non potrei amarti come merita una persona in gamba e buona come te” gli disse sinceramente Eikhe, appoggiandosi un momento a lui prima di scostarsi e sorridergli.

Ammiccando, lui replicò: “Io ti amerei per tutti e due, sai?”

Ridendo suo malgrado, lei scosse il capo e disse semplicemente: “Non funzionerebbe, e finiresti con l’odiarmi. Cosa che, di certo, non voglio.”

“Non potrei mai odiarti, ma ti capisco. E ti sono grato per le premure che nutri nei confronti del mio cuore. Io e lui ti ringraziamo” disse a quel punto lui, sorridendole.

“La donna che sposerai sarà fortunata ad avere un uomo come te al suo fianco” asserì a quel punto Eikhe, dandogli di gomito.

Sentendo uggiolare Liar al suo fianco, tutto allegro e scodinzolante, la sua padrona lo guardò divertita ed Enok, ridacchiando, disse: “Al piccolo, qui, penso io. Tanto, ha mangiato da poco e non avrà bisogno di te che tra qualche ora. Se vuoi portare fuori Liar, fa pure. Ormai, sono settimane che rimandi perché salta sempre fuori qualcosa a bloccarti.”

Sospirando, Eikhe annuì.

“In effetti, questa parte del suo addestramento è stata rimandata anche troppo a lungo. Sicuro di voler tenere An? Posso portarlo da Ildera, se preferisci.”

Scuotendo il capo, il giovane ammiccò all’indirizzo degli uomini sul tetto e disse a bassa voce: “Preferisco rimanere qui a giocare con il tuo bambino, che starmene a cavalcioni su quelle pietre taglienti, con il rischio di danneggiare i sacri gingilli di famiglia.”

Eikhe lo fissò per alcuni attimi, allibita, prima di scoppiare a ridere di gusto.

“Hai perfettamente ragione. Allora, prendo le armi e vado.”

“Fai con comodo. Noi resteremo qui ad aspettarti” dichiarò tranquillo Enok, sistemandosi meglio An contro una spalla.

Il bimbo osservò curioso la madre mentre, con calma, si avvicinava a Leance per preparare il necessario per la caccia e, di colpo, Eikhe tornò a essere una qualunque donna-lupo, e non più soltanto la madre di Antalion.

Con attenzione meticolosa allacciò il fodero della daga alla cintola e, dopo averlo assicurato al cuoio, afferrò un corto pugnale e lo inserì all’interno di uno degli stivali di pelle.

Saggiatane la comodità contro il polpaccio, Eikhe prelevò l’arco, che si mise a tracolla, e la faretra con le frecce, che si sistemò su una spalla con fare professionale.

Armata di tutto punto, Eikhe lanciò un fischio all’indirizzo del padre che, vedendola in armi, le chiese: “Vai a caccia, allora?”

“Sì! Vi porteremo un daino per cena, va bene?” rispose lei, ammiccando tranquilla.

“Sarà un piacere mangiarlo, allora!” commentò Harm, prima di aggiungere: “Fai attenzione, nella foresta!”

“Non sono sempre stata attenta?” replicò lei sorridendo, prima di fare un cenno a Liar perché si tenesse pronto a partire.

Avvicinandosi a grandi passi a Enok, Eikhe tornò per un attimo al suo consueto sguardo dolce e tenero e, baciando Antalion su una guancia, mormorò: “La mamma starà via per poco. Per un po’ starai con zio Enok, va bene?”

Il bimbo lanciò uno strillo prima di aggrapparsi con forza ai capelli del giovane che, trattenendo a stento un ‘ahi’, ridacchiò e disse: “Credo fosse un sì.”

“Ottimo. Ci vediamo dopo, allora” dichiarò a quel punto Eikhe.

“Vai e stendili tutti, Eikhe” la incoraggiò lui, sogghignando.

“Mi basterà stenderne uno” scrollò le spalle lei prima di guardare Liar. “Andiamo, bello mio. Comincia la festa.”

In un attimo, gli occhi di Eikhe tornarono a essere attenti e sicuri, non più lo sguardo della madre amorevole, ma della guerriera tenace e fiera.

Muovendosi al fianco del suo lupo come se fossero stati un’unica entità, sparirono tra gli alberi in un fruscio di pelle e di zampe, scalciate sul terreno morbido della radura.

Sospirando leggermente, Enok mormorò: “Tua madre è davvero splendida, lo sai?”

***

Macchie di viola e di rosso si confondevano con l’azzurro cupo e il blu, annunciando il crepuscolo e il sopraggiungere della sera.

Proprio mentre Enok e gli altri cominciavano a dare i primi segni di ansia di fronte al copioso ritardo di Eikhe, ella comparve dai margini del bosco assieme a Liar.

Insieme, stavano trascinando con fare alquanto scocciato una pesante carcassa di daino, grande almeno il doppio della ragazza.

Subito, Harm e un altro paio di uomini accorsero a darle una mano e lei, sospirando per la gran fatica, esclamò: “Si vede che sono fuori forma! Ci abbiamo messo quasi mezz’ora, per beccarlo.”

“Beh, però mi sembra ne sia valsa la pena” commentò Orgoth, ammiccando all’indirizzo della ragazza.

Sogghignando, lei annuì al mastro ferraio che, assieme agli altri, aveva dato una mano nella costruzione della sua casa.

“Con questo daino, ricaverò una bellissima borsetta per tua moglie, Orgoth, e una cintura per i tuoi utensili. Così, comincerò in qualche modo a ripagarti per il lavoro che hai svolto qui.”

Scoppiando in una grassa risata di gola nel portare la carcassa verso la nuova casa di Eikhe, l’uomo replicò: “Andiamo, bambina, pensi davvero che io sia venuto qui per farmi pagare? L’ho già detto a tuo padre. Era un favore personale, tutto qui.”

“Ugualmente, farò ciò che ho detto” ribatté tranquillamente lei. “Non vorrai davvero offendermi rifiutando i miei doni, vero?”

“Non sia mai!” ridacchiò Orgoth prima di scrutare Enok, che li attendeva sulla porta della baita. “Certo che lo hai ammaestrato bene, il ragazzo.”

Sebatt sghignazzò, strizzando l’occhio a Eikhe, che era lievemente arrossita a quel commento.

“Non prendere in giro la signorina! E poi, come si fa a dirle di no?”

“Siete impossibili” brontolò la giovane, correndo via per raggiungere il figlio.

Con poche, rapide falcate, la giovane raggiunse Antalion che, a braccia spalancate e tese verso di lei, strillò felice quando lei lo accolse nel suo abbraccio.

Baciandolo in viso più volte, sussurrò: “Non vedo l’ora di darti da mangiare. Ho il seno che mi sta scoppiando.”

“Non sono cose da dire davanti a un uomo che vorrebbe essere al posto di tuo figlio” ridacchiò Enok, facendola scoppiare in una bella risata di gola.

“Oh, cielo, scusami! Pensate voi alla carne, mentre io lo allatto?” chiese a quel punto Eikhe, accarezzando distrattamente Liar che, nel frattempo, l’aveva raggiunta e stava tentando di arrampicarsi su una sua gamba per leccare Antalion.

“Penseremo noi a tutto. Dobbiamo stare attenti a non rovinare le pelli, giusto?” si informò Enok, tornando serio.

“Sì, grazie” annuì lei, prima di ridere, scacciare a terra Liar e ordinare: “Basta, Liar! Giocherai con lui dopo che ti sarai lavato il muso dal sangue.”

Con un uggiolio spazientito, il giovane lupo se ne andò via a testa bassa verso il ruscello ed Enok, poggiando le mani sui fianchi con aria divertita, celiò: “Sì, sì,… come si fa a dirti di no?”

“Non ti ci mettere anche tu, Enok” brontolò lei, andandosene in casa con il volto in fiamme.

Lui scoppiò a ridere prima di andare ad aiutare gli altri uomini con il daino.

Quell’animale sarebbe stato il piatto forte della loro prima cena all’interno della nuova casa di Eikhe, finalmente ultimata.

Potevano ritenersi soddisfatti del lavoro svolto in quei mesi, perché ora la ragazza poteva contare su una baita dotata di ogni servizio possibile.

Alle finestre – dotate di piccole pannellature di vetro molato a mano – erano state montate pesanti inferriate per proteggerla dall’eventuale attacco di qualche orso troppo zelante.

La porta d’ingresso, composta da due pannelli di quercia sovrapposti, era stata rinforzata con un’intelaiatura di ferro temprato.

L’interno era composto di tre camere, una cucina dotata di stufa in ghisa e un ampio soggiorno, dove sorgeva un enorme camino in pietra.

All’esterno, gli uomini avevano inoltre costruito una piccola stalla rinforzata, sempre a prova di orso, e un recinto per il cavallo.

Il tetto, interamente ricoperto di pietra e fissato con possenti chiodi di ferro, avrebbe retto anche le nevicate più forti e, grazie al forte angolo spiovente, non avrebbe rischiato di trattenere troppa neve.

“Cosa guardi, ragazzo?” chiese a un certo punto Harm, interrompendo le divagazioni di Enok.

Sobbalzando leggermente, il giovane disse: “Oh, nulla. Stavo solo pensando che la casa è venuta bene.”

“Direi di sì. Abbiamo cercato di renderla il più sicura possibile, e penso ci siamo riusciti” annuì l’uomo, afferrando un coltello per eviscerare il daino.

“Credo che Antalion crescerà bene, qui” ammiccò Enok, prima di chiedere: “Penso io a spellarlo?”

“Tu tira, noi teniamo questo bestione” annuì il padre, afferrando una delle zampe dell’animale.

In breve, l’animale fu spellato, eviscerato, infilato su un enorme spiedo, e infine condotto su un trespolo preparato appositamente per la sua cottura sul fuoco.

All’interno della casa, nel frattempo, Eikhe terminò di allattare An prima di metterlo a riposare nella sua cesta di vimini.

Ildera si era premurata di prepararle una piccola scorta di emergenza, per i primi giorni in cui avrebbe abitato nella baita tutta da sola e, tra sé, la ringraziò calorosamente.

Quello che la madre non le aveva offerto, lei glielo aveva donato a braccia aperte.

Pur se non avrebbero mai avuto la stessa opinione sul suo personale stile di vita, ormai avevano imparato ad apprezzarsi vicendevolmente, e questo non sarebbe mai più mutato.

Avrebbe sempre avuto un pensiero gentile per Ildera, anche a distanza di anni.

***

Battendosi una mano sull’ampia pancia, ora rigonfia di cibo e di birra speziata, Nedor sospirò soddisfatto, esalando: “Mai mangiato così tanto in vita mia.”

Dandogli una pacca sul braccio, Harm replicò: “Dubito fortemente che, avendo per moglie la cuoca di un’osteria, tu non abbia mangiato così altre volte.”

Eikhe passò attorno al tavolo versando loro un altro giro di birra, prima di dire a difesa del vecchio amico del padre: “A onor del vero, Lenoria è sempre stata molto attenta a ciò che mangia il marito.”

“Vedi? Ascolta la tua figliola. Lei sì che ha sale in zucca” commentò Nedor, sghignazzando.

“Solo perché ti sta difendendo?” replicò Harm, prima di scoppiare a ridere con il resto del gruppo.

Eikhe sorrise divertita di fronte alla tavola imbandita, e circondata da cinque uomini gaudenti e sfamati appieno.

Con una leggera smorfia ironica, si chiese cos’avrebbe pensato la madre.

Penserebbe che mi sono rammollita, visto che ho chiesto aiuto a degli uomini, pensò tra sé la ragazza, sghignazzando.

Levando il capo a scrutarla curioso, Enok si levò in piedi, cominciando a raccogliere i piatti.

Dandole un colpetto con la spalla, sussurrò: “Come mai quella faccia?”

“Pensieri profondi” replicò lei, facendo spallucce, prima di udire a sorpresa lo scalpiccio di un cavallo nella radura antistante la baita.

Tutti i presenti si azzittirono di colpo ed Enok, lasciati da parte i piatti, si affrettò ad andare alla finestra, subito seguito a ruota da Eikhe.

Al colmo dello stupore, e vagamente preoccupata per l’ora tarda – la notte era scesa ormai da tempo – uscì di gran fretta dalla baita per raggiungere cavallo e cavallerizza, esalando sgomenta: “Sendala, per tutti gli dèi, che ci fai qui?!”

Smontata dalla sella con un volteggio elegante e fluido, la giovane si sistemò la treccia dietro la schiena e, con un gran sorriso, esclamò: “E’ questo il benvenuto che dai alla tua nuova coinquilina?”

Gli uomini, che erano usciti fuori da casa quasi calpestandosi l’uno con l’altro per la fretta, osservarono confusi le due giovani accanto al cavallo mentre Eikhe, a occhi sgranati, esalava al colmo della sorpresa: “Ma che stai blaterando?”

Con una scrollata di spalle, e indicando con il pollice la sella del cavallo – completamente sguarnita di sacche da viaggio – Sendala si  limitò a dire: “Mi sono fatta sbattere fuori dal villaggio, esattamente come te.”

La figlia sacra sollevò ironica un sopracciglio e, indicandole la pancia piatta e abbracciata da una pesante cintura di cuoio scuro, replicò serafica: “Dubito che sia esattamente come me.”

Seguendo il suo dito, Sendala ridacchiò imbarazzata.

“Beh, insomma, non proprio per lo stesso motivo, ma quasi.”

Nello scuotere il capo con espressione esasperata e affettuosa assieme, Eikhe poggiò le mani sui fianchi e borbottò: “Cosa devo fare, con te? Non volevo che ti cacciassi nei guai per me.”

“Non l’ho fatto solo per te, ma anche per me stessa” replicò Sendala tornando seria. “Sono stanca di regole a cui non credo più. C’è qualcosa di profondamente sbagliato in ciò che sta accadendo nei villaggi di donne-lupo, ma le Anziane non vogliono capirlo. Beh, io non rimarrò là ad aspettare che aprano gli occhi, perciò ho deciso di venire via, mandando alla malora tutto e tutte.”

“E tua madre?” le chiese gentilmente l’amica, mentre gli uomini alle loro spalle ascoltavano curiosi la storia della ragazza.

Ridacchiando con fare da cospiratore, Sendala ammise: “Questa è la parte più divertente. Mamma era d’accordo con me, ma non poteva mandarmi via così semplicemente, così mi ha presa per un orecchio nel bel mezzo della via, mi ha praticamente sbattuta dentro casa urlandomi dietro di tutto e poi, una volta al riparo dagli sguardi di tutte, ha preso la sferza e ha cominciato a picchiare il letto, mentre io mi lamentavo e imprecavo al suo indirizzo.”

Concedendosi un risolino, Eikhe chiosò: “Riana è sempre stata mitica.”

“Eh, già. A mamma è spiaciuto vedermi andare via, ma sapeva che venivo da te, quindi era tranquilla” scrollò le spalle Sendala, prima di guardare oltre la figura di Eikhe e ironizzare: “Ti sei data alla pazza gioia, tesoro?”

Gli uomini al gran completo scoppiarono a ridere mentre la figlia sacra, arrossendo leggermente, replicava: “Ma dai, che vai a pensare?! Mio padre te lo ricordi, no? Gli altri sono suoi amici, e mi hanno aiutato con la costruzione della baita.”

Accigliandosi leggermente, Sendala li squadrò bene uno per uno, prima di aprirsi in un sorriso di riconoscimento.

“Ah, ora ricordo un paio di loro! Scusa, sono venuta così poco, qui, che alcuni non li ho proprio visti.”

Avvolgendole la vita con un braccio, Eikhe la scrollò leggermente, dicendo: “Beh, allora, benvenuta a casa, amica mia.”

“Grazie” le sorrise lei, prima di indicare col capo il suo cavallo e chiedere: “Dove posso infilare Kray?”

“Nella stalla c’è posto anche per lui” le spiegò l’amica, indicandogliela.

Rivoltasi poi al lupo di Sendala, aggiunse: “Epos, vai dentro a giocare un po’ con Liar. Si sente solo.”

Il lupo in questione, annuendo con il bel muso grigio, trotterellò in casa oltrepassando lo schieramento di uomini senza neppure fare loro caso.

Abbracciando infine di slancio l’amica, Eikhe esclamò: “Sono così felice di saperti qui, Sendala!”

“E io di essere venuta” le sussurrò lei, stringendola con calore.

***

Dopo le presentazioni di rito e i commenti più o meno spiritosi sull’arrivo a sorpresa di Sendala, gli uomini si avviarono verso l’uscita della baita con il chiaro intento di tornarsene a casa.

Sulla porta, Enok si volse a sorridere ad Eikhe, dicendo: “Sono contento che tu non sia da sola, qui nel bosco.”

Dandogli una spintarella nel sorridergli benevola, lei replicò: “Dimentichi spesso che, assieme a me, avrei sempre avuto Liar e la mia fida daga da guerra.”

Con una scrollatina di spalle, lui si limitò a dire: “Due daghe e due lupi, sono meglio di uno.”

“Vero. Ora vai, però. E’ tardi” dichiarò Eikhe, tornando seria.

“Potrò venire a trovarti ugualmente, anche se la casa è finita, e tu mi hai rifiutato il più grande dei regali?” ammiccò a quel punto Enok, sollevando le belle sopracciglia arcuate.

Ridacchiando, lei lo spinse fuori di casa.

“Potrai venire tutte le volte che vorrai, basta che la pianti con questa storia.”

“Come vuole lei” scherzò il giovane, esibendosi in un frivolo inchino. “E’ stato un piacere conoscerti, Sendala. Buonanotte a entrambe voi.”

“Buonanotte a te, Enok” mormorò Sendala, salutandolo con un cenno della mano mentre lui balzava sul cavallo prima di lanciarlo al trotto per raggiungere il resto del gruppo, già avviatosi verso Marhna.

Dopo aver atteso che anche l’ultima ombra dei loro cavalli fosse scomparsa nel bosco, Eikhe chiuse la porta, sprangandola.

A quel punto, volgendosi in direzione di Sendala, intrecciò le braccia sotto il seno e disse: “Ebbene? Dimmi quello che ti frulla nella mente.”

“E’ carino” commentò solo lei, sbuffando comicamente.

“Non è Aken, e lui lo sa” replicò l’amica. “Ma mi fa piacere avere la sua amicizia. Pensi sia sbagliato?”

“Affatto. Mi è sembrato un bravo giovane e, quando è andato a dare un bacio ad Antalion prima di andarsene, l’ho guardato ben bene. Adora tuo figlio, e questo non può che deporre a suo favore” scrollò le spalle Sendala, seria in viso.

Senza dire nulla, Eikhe si recò al camino per buttare alcuni ceppi di legno nel fuoco.

Direttasi poi verso la stanza che avrebbe diviso con Sendala, almeno fino all’arrivo di un nuovo letto per lei, si tolse la tunica e mormorò: “Non posso farci niente se il mio amore per Aken è così forte, ma quasi mi sembra di fargli un torto.”

“Sei stata onesta con lui” ribatté Sendala, imitando l’amica. “Se gli avessi mentito, quello che sarebbe stato un torto vero e proprio.”

Eikhe le sorrise grata, lieta che l’amica fosse lì a consolarla con le sue parole.

Ammiccando al suo indirizzo, disse: “Sarò egoista, ma sono contenta che tu ti sia fatta sbattere fuori dal villaggio.”

Ridendo sommessamente per non svegliare Antalion, che dormiva saporitamente nella culla, Sendala si infilò sotto le pesanti coltri di pelliccia e celiò: “L’ho sempre detto che sei matta, tu.”

“Allora, siamo un’accoppiata vincente, perché neppure tu scherzi” replicò la figlia sacra, scivolando sotto le coperte pesanti prima di poggiare il capo sul guanciale.

“Buonanotte, coinquilina.”

“Buonanotte a te, figlia sacra” disse sommessamente Sendala, sorridendole dall’altra parte dell’enorme letto a due piazze.

Con un sorriso, Eikhe chiuse gli occhi e si assopì e, per la prima volta da mesi, non sognò. E di questo fu molto grata.

 

 

 

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N.d.A.: Piccolo spaccato della vita di Eikhe. Dal prossimo capitolo, comunque, tornerà anche Aken.

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Capitolo 20
*** cap. 20 ***


20.

 

 

 

 

 

Se Aken aveva pensato di poter portare avanti con cuor leggero la promessa strappata al padre, dovette ricredersi quasi subito.

Impedire a se stesso di uscire dalle mura di Rajana, fu più penoso e difficile di quanto lui stesso non avesse in un primo momento pensato, o sperato.

Per salvare Eikhe dalla lama di un coltello, o dalla freccia di un franco tiratore, Aken avrebbe pagato anche mille volte lo stesso prezzo, ma il suo cuore dovette fare ben presto i conti con l’inedia e lo sconforto.

Il respiro delle montagne innevate, che racchiudevano come uno scrigno metà del suo animo, gli mancava con la stessa intensità con cui percepiva la mancanza fisica di Eikhe.

Il ricordo del fruscio del vento fra le fronde dei faggi, o tra i rami secolari dei pini da resina, lo risvegliavano di soprassalto la mattina, pieno di un desiderio che non avrebbe mai più potuto soddisfare.

Neppure le intense ore di lettura, contrapposte a estenuanti allenamenti con la spada, lenirono la sua fame di Eikhe, il suo bisogno fisiologico di vederla, di toccarla, di odorarla.

Di avere tutto, di lei.

Ma oltre a lei, avvertiva la mancanza delle montagne, degli odori penetranti che scivolavano tra le piante, la mattina, quando il sole bagnava coi suoi raggi la rugiada sulle foglie e il terreno umido.

Cuore e anima erano tra i monti impervi che scorgeva all’orizzonte e che, con le loro cime seghettate, coloravano di bianco e nero l’orizzonte terso di quei mesi estivi e caldi.

Silenzioso spettatore del suo lento ma inesorabile declino, Ruak chiese più volte al fratello, almeno nei primi mesi di quella autoimposta prigionia, perché avesse deciso di non andarsene.

Mai, una sola volta, Aken rispose alle domande del fratello.

Il giovane erede, che pure giunse a odiare il padre per le imposizioni cui l’aveva costretto, non disse mai al fratello la causa prima di quel volontario esilio.

Non avrebbe mai permesso che i suoi sentimenti personali influenzassero la stima, e l’affetto, che Ruak provava per il loro comune genitore.

Non potendo fare altro, fece di un’arma il silenzio e di uno scudo il suo malumore, costringendo ben presto il fratello minore a desistere dall’impresa di scoprire la verità.

Ruak non avrebbe mai dovuto scoprire cosa lo spingesse a rinchiudersi all’interno della sua stessa casa, impedendosi di respirare, di vivere, di amare colei che lo aveva conquistato.

Sua unica consolazione in quel mare di inedia in cui aveva voluto, e dovuto, sprofondare per salvare Eikhe, fu il giovane figlio di Iruna.

Sin dall’inizio di quella sua reclusione forzata, la sua domestica personale aveva notato il malumore del proprio principe, e il suo sguardo sempre puntato a nord, verso i monti impervi e canuti.

Nulla era valso allo scopo di scoprire la verità. Domandare, sussurrare gentilmente spiegazioni, impuntarsi con cipiglio militaresco.

Aken si era trincerato dietro un secco ‘non ho nulla’, ogni qual volta Iruna gli aveva chiesto i motivi dei suoi lunghi silenzi e dei più cupi pensieri.

Le sue interminabili occhiate perse verso l’orizzonte, i suoi infervorati studi – cui mai si era sottoposto con così tanta assiduità – e le sue sfiancanti lezioni di scherma, erano rimasti un mistero per tutti.

Agli albori dell’autunno, però, Iruna si stancò di vedere il suo principe ridotto all’ombra di se stesso.

Dopo aver ragionato non poche ore sulla sua idea – e averne menzionato a Kannor, l’attendente di Aken – la donna decise di condurre a palazzo il figlio di soli quattro anni.

Non appena Aken lo vide accanto a Iruna, piccolo e timido e aggrappato alle lunghe gonne di panno della madre, il principe si aprì in un sorriso spontaneo.

Piegatosi su un ginocchio per guardarlo meglio negli occhi, esordì dicendo: “Ciao, Meyor. La mamma mi ha tanto parlato di te. Io sono Aken.”

Il bimbo, dai folti riccioli biondo cenere e gli occhi nocciola, lo fissò con autentica sorpresa, non aspettandosi di certo che il potente principe di Rajana conoscesse il suo nome.

Mordendosi timoroso il labbro inferiore, sussurrò: “Ciao.”

Il sorriso del principe si allargò e, dopo aver lanciato uno sguardo a Iruna, che assentì, allungò le braccia in direzione del bambino per prenderlo in braccio.

“Che ne dici se io e te andiamo a fare un giro per il palazzo, così lasciamo lavorare in pace la mamma? Temo che le saremmo solo d’intralcio, se restassimo nella mia stanza a gironzolare senza fare nulla.”

Il bambino fissò la madre da sopra la spalla del principe e Iruna, annuendo gradevolmente, disse: “Resta pure con il principe, Meyor. E’ un uomo buono, e ti tratterà bene.”

Meyor allora annuì fiducioso e, tornando a guardare il volto del principe, intenerito dal suo sguardo innocente, domandò: “Hai una spada?”

Iruna se ne uscì con un’esclamazione esasperata mentre Aken, scoppiando a ridere, annuiva al ragazzino, incamminandosi lungo le scale per raggiungere la sala d’armi della sua famiglia.

Osservandoli compiaciuta mentre scendevano le scale, parlottando tra di loro con il cameratismo tipico dei maschi – anche se capire gli strafalcioni di Meyor doveva essere un dramma – Iruna sorrise più serena.

Già sul punto di entrare nelle stanze del principe, sobbalzò per la sorpresa quando vide comparire da una porticina laterale la figura nivea della regina Anladi.

Sin da quando i principi erano tornati dalla guerra, l’estate appena conclusasi, Anladi aveva deciso di utilizzare il colore bianco, solitamente usato per celebrare eventi di somma importanza, per ogni suo abito.

Allo stesso modo, e con una certa dose di divertimento, aveva ‘imposto’ la stessa cosa anche alla figlia Melantha.

Per quanto belli fossero i suoi vestiti, però, il sorriso spento che, ormai da mesi, si apriva come un fiore morente sul viso infinitamente elegante della regina, rendeva il tentativo di festeggiare la vittoria una mera utopia.

La regina era triste, molto probabilmente per il figliastro, ma a nessuno era dato sapere perché il principe Aken fosse di umore così nero, o perché la consorte di re Arkan fosse così sofferente.

Inchinandosi in fretta non appena si riprese dallo shock, Iruna esalò compitamente: “Mia regina, buongiorno. Non immaginavo voi foste qui.”

Allargando leggermente il sorriso, che non raggiunse mai gli occhi cerulei, Anladi le afferrò gentilmente le mani per farla risollevare.

Gentilmente, poi, le disse: “Dubito vi sareste mai aspettata che la vostra regina comparisse dal corridoio solitamente usato dalla servitù.”

Arrossendo suo malgrado di fronte a quello sguardo così tenero – e, soprattutto, per le loro mani ancora giunte – Iruna sorrise appena, replicando: “No, non me lo sarei mai aspettata, lo ammetto. Avevate bisogno dei miei servigi, mia Signora?”

Volgendo lo sguardo verso la scala ora sgombra e silenziosa, Anladi scosse il capo, pensierosa.

“E’ vostro figlio, il bimbo che Aken aveva in braccio, vero?”

“Sì, mia regina” arrossì copiosamente Iruna prima di aggiungere: “Vedete, pensavo che…”

Interrompendola con un sorriso disarmante e ferocemente triste, Anladi sussurrò: “Pensavate di distrarlo dalla sua tristezza, dico bene?”

Annuendo suo malgrado – non sapendo davvero come la regina avrebbe interpretato il suo gesto – Iruna sospirò e ammise: “Mi è parsa una buona idea. Mi si straziava il cuore a vedere vostro figlio così triste, così ho pensato che la vista di un bambino potesse, come dire, rallegrarlo un po’. Ho chiesto anche il parere di Mastro Kannor, prima di portarlo, e anche lui mi era d’accordo con me.”

“Kannor è un buon amico, per mio figlio, e credo anche voi, Iruna” assentì Anladi, inclinando leggermente il capo a osservarla con attenzione. “Non posso che ringraziarvi per la vostra gentilezza e, se mai questo esperimento dovesse funzionare, vi prego, conducete ancora vostro figlio qui a palazzo.”

“Sarò lieta di ripetere la visita, se scoprirò che il mio intento ha dato dei frutti” annuì Iruna, sorridendo gentilmente ed esibendosi in un elegante cenno del capo. “Devo troppo, a vostro figlio, per non tentare il tutto e per tutto perché si rassereni almeno un poco.”

Stringendo con più forza le mani di Iruna, che non aveva mai lasciato andare, Anladi esalò un sospiro affranto e abbandonò infine la presa.

“Se dovesse in un qualsiasi modo aprirsi con voi, per favore, ditemelo. Vorrei tanto saperlo in grado di aprirsi con qualcuno, visto che pare non voler parlare neppure con il fratello.”

“Ci sarò sempre, per il principe. Anche se vorrà parlarmi dei suoi problemi” annuì Iruna prima di sgranare gli occhi di fronte alle lacrime a stento trattenute di Anladi.

Dopo un attimo di tentennamento, la regina lasciò andare le mani della domestica per scivolare silenziosamente dietro la porta che conduceva ai corridoi della servitù.

Stringendosi le mani al petto, Iruna sussurrò tra sé: “Cos’è mai successo, a questa famiglia?”

***

“Ma è grossa. Si usa davvero davvero?” esalò sorpreso Meyor, fissando a occhi sgranati Aken che, con un sorriso divertito, gli stava mostrando la sua enorme spada da guerra.

Ben più alto del bambino, il grande spadone di Aken era saldamente nella mano del possente guerriero quando, sulla porta della sala d’armi, comparve la figura della regina.

Fissandola vagamente sorpreso, mentre Meyor si incuneava tra le sue gambe per la timidezza, il principe sorrise in segno di benvenuto alla madre.

Con un leggero cenno del capo, la invitò silenziosamente a entrare.

“Buongiorno, madre. Avevi bisogno di me?”

“No, mio caro” scosse il capo la donna, avvicinandosi alla coppia prima di sorridere al bimbo, ancora nascosto dietro le possenti gambe del figliastro. “E tu, bel bambino, chi sei?”

Ridacchiando del profuso rossore che salì alle gote di Meyor, Aken ripose in fretta la spada con un agile movimento del polso e, dopo un attimo, accolse tra le sue braccia il bambino. 

“E’ il figlio di Iruna, la mia governante personale. Ha pensato di portarlo a palazzo per farmelo conoscere. Era già da qualche tempo che me ne parlava.”

Addolcendo ulteriormente i tratti del volto, Anladi carezzò con un dito il mento del bambino, mormorando: “Sei un bimbo davvero molto carino. Mio figlio ti sta facendo fare un giro del castello?”

Meyor si limitò ad annuire e la donna, scrutando da sotto le ciglia folte il sorriso benevolo di Aken, rivolto unicamente al bambino, sospirò impercettibilmente prima di chiedere: “Pensate che potrei unirmi a voi? Non ho nulla da fare, e mi sto annoiando molto.”

Sollevando con non poca sorpresa un sopracciglio nell’osservare il volto apparentemente tranquillo della madre, Aken asserì: “Ci onoreresti, madre. Tu che ne dici? La prendiamo con noi?”

Meyor annuì ancora, stringendosi al collo di Aken prima di sussurrare: “E’ bella!”

Ridacchiando, il principe annuì.

“Sì, lo so, ho una bella mamma. Come te, del resto. Siamo fortunati, non ti pare?”

Che padre magnifico saresti, figlio mio!, pensò tristemente Anladi, affiancando il figliastro nell’uscire dalla sala d’armi.

Sapeva fin troppo bene cosa lo costringesse a palazzo, e a cosa avesse rinunciato pur di ottenere dal re la promessa di non essere obbligato a sposarsi, e dare così un erede a Enerios.

Conosceva ogni parola di quel maledetto accordo, e le si spezzava il cuore al pensiero di non poter far nulla per dare una mano ad Aken per liberarsi di un simile fardello.

Purtroppo per lei e per il figlio maggiore, non aveva alcun potere decisionale.

Da sempre, fin da quando era stata condotta da Arkan all’età di sedici anni, Anladi non aveva mai avuto voce in capitolo su nessuna decisione.

Era stata scelta per la sua avvenenza e per il suo alto lignaggio, pochissimo tempo dopo la morte della prima moglie del re e madre del principe ereditario.

Come un prezioso animale da fiera, era stata esposta su un palco e comprata dal miglior offerente.

Era a conoscenza del fatto che sua figlia Melantha avrebbe subito la stessa sorte e, forse anche per questo, l’aveva cresciuta piena di vizi.

Era straziata all’idea che, per la maggior parte della sua vita, sarebbe stata null’altro che un trofeo nelle mani del nobile di turno che l’avesse presa in sposa.

Certo, spesso era intrattabile e superficiale, ma non se la sentiva di rimproverarla, soprattutto sapendo cosa covava in sé in realtà.

Melantha era tutt’altro che una sciocca ma, per sopravvivere in quella Corte piena di veleni, aveva dovuto impersonarla spesso e volentieri.

Allo stesso modo, non se la sentiva di rimproverare Aken per la sua decisione di voltare le spalle alla famiglia per vivere isolato da tutti, pur se accanto a loro.

Come poteva rifiutargli un simile sfogo, dopo quello a cui aveva dovuto rinunciare?

Perché chiedere al padre di raggiungere Eikhe di Nestar, se non per un solo motivo?

La parola amore non era mai stata detta in sua presenza, ma aveva aleggiato per ore nello studio di suo marito quando, dopo il furioso litigio tra lui e il figlio, lei era entrata per sapere cosa fosse successo.

Arkan si era rivolto a lei con parole di fiele, accusandola di non averlo educato nel modo giusto, di non aver badato a imprimere nella mente di Aken il rispetto per il suo lignaggio e per il nome che portava.

Anladi, sempre più confusa, aveva chiesto spiegazioni in merito, venendo così a scoprire dello scellerato patto stretto dai due uomini.

Nulla era valso, né le sue accorate preghiere, né il suo fiero cipiglio di fronte allo sguardo adamantino del marito.

Si era presa uno schiaffo in difesa del figlio, e questo era stato l’unico risultato ottenuto.

Da quel giorno, aveva osservato con timore sempre crescere il lento ma inesorabile declino del figlio, senza poter fare nulla per alleviarlo.

Neppure Ruak era riuscito nell’intento di sradicarlo da quell’inedia tremenda, di cui però non conosceva le cause, se non in parte.

Lasciando perdere quei pensieri quando raggiunsero le scale, Anladi si lasciò aiutare dal figliastro a discendere, finché non raggiunsero il cortile interno di palazzo.

Da lì, lo strano trio percorse la sua ampiezza con passo tranquillo, dirigendosi verso le stalle reali.

Sotto gli occhi sgranati dalla sorpresa di Meyor, il principe presentò quindi al bambino il suo enorme stallone da guerra, Eskatt.

Poggiatolo delicatamente sulla sua imponente schiena, Aken lo tenne per una mano, domandandogli: “Non credi sia un bellissimo animale?”

“Bello! Sì!” esclamò Meyor, aprendosi in un sorriso radioso.

Il principe vi rispose con trasporto e Anladi, mordendosi un labbro per non scoppiare in lacrime proprio dinanzi a loro, se ne uscì dicendo: “Vorresti imparare a cavalcare, piccolo Meyor?”

Il bambino la fissò sorpreso per alcuni attimi prima di annuire e Aken, scrutando la madre con fare dubbioso, disse: “Potrei insegnargli io. Tanto, di tempo ne ho in quantità.”

“Proprio quello che speravo” sussurrò la regina, prima di raccogliere le gonne e aggiungere: “Vado a parlarne con Iruna per essere certa che vada bene anche a lei, poi faremo portare qui uno dei pony che abbiamo nella nostra tenuta di campagna. Penso che per lui andrà benissimo.”

“Sì… madre” acconsentì Aken, assottigliando le iridi smeraldine nello studiare il suo viso leggermente pallido.

Affrettandosi a distogliere lo sguardo da quello fin troppo acuto del figlio, Anladi si scusò con entrambi, ritirandosi in grande stile e uscendo dalla stalla a passo veloce.

Era certa che, se fosse rimasta un solo attimo di più assieme a loro, sarebbe crollata.

Non appena fu al riparo dalla vista del figlio, la donna si appoggiò stancamente contro la parete della stalla.

Con un singhiozzo strozzato, si coprì la bocca con la mano per soffocare qualsiasi ansito la sua gola avesse deciso di lasciarsi sfuggire per la troppa debolezza.

Era solo questo che poteva fare per il figlio? Acconsentire a che divenisse l’allenatore di un bambino?

A quanto pareva, sì.

Sperava solo che Iruna fosse d’accordo con l’idea che le era balzata in mente in un momento di follia, e la aiutasse a trasformare quella prigione dorata che era divenuta il palazzo, in qualcosa di più sopportabile, di più umano.

***

Sorseggiando del buon vino mentre, con fare noncurante, piluccava dal proprio piatto alcuni acini d’uva dall’aspetto invitante, Ruak se ne uscì dicendo: “Allora, è vero che darai lezioni d’equitazione al figlio della tua governante?”

Levando lo sguardo dal proprio piatto per scrutare il viso ora arrossito di sua madre, Aken ammiccò all’indirizzo della donna, celiando: “La nostra illustre genitrice pensa sia una buona idea, forse per non farmi diventare un vecchio irascibile e dalla parlata volgare.”

Ridacchiando nel poggiare il bicchiere di peltro sul piccolo tavolo di legno dove si erano raccolti per un frugale pasto – il re era impegnato alla Tavola Grande con alcuni emissari del Reame di Karton – Ruak ghignò: “Sei già un vecchio irascibile, quindi non credo tu abbia speranze.”

“E’ il bimbo con cui stavi passeggiando nei giardini oggi pomeriggio?” si informò Melantha, spezzando una pagnottella di pane sul suo piatto.

Scrutandola curioso – era raro che gli rivolgesse domande senza il suo consueto tono puntiglioso – il fratellastro annuì, asserendo atono: “Sì, era lui.”

“E’ carino” replicò la principessa, scrollando leggermente le spalle.

Aken assottigliò le iridi di smeraldo, fissandola da sotto il pesante mantello di ciglia scure.

Notando il suo pallore e le mani leggermente tremanti, le chiese con tono insolitamente premuroso: “Non ti senti bene, sorella?”

“Come?” esalò lei, sobbalzando leggermente a quelle parole.

Il suo cipiglio mutò in sospetto e, scrutando un momento la madre con aria pensierosa, chiese torvo: “Si parla di un eventuale matrimonio di Melantha, nella sala accanto, madre?”

Annuendo debolmente, Anladi sorrise comprensiva alla figlia, che reclinò il capo a scrutare il piatto, praticamente intonso, come se vi fossero nascosti i segreti del mondo.

“Il re di Karton desidera una moglie di nobile lignaggio per suo figlio Mynias, così hanno mandato un rappresentante del sovrano perché si discutesse di un’eventuale unione” mormorò spiacente Anladi, non sapendo come affrontare lo sguardo adamantino del figliastro.

“E io non ne sono stato informato” commentò asciutto Aken, aggrottando la fronte.

Da tempo si occupava soltanto del commercio interno di merci e servizi, preferendo non avere a che fare con il Concilio della Corona e la gilda del Ministero degli Esteri che, di fatto, si occupavano di tutt’altro.

Aver lasciato fuori dalla porta gli Affari Esteri e Interni, però, gli aveva negato la possibilità di venire a conoscenza di quella notizia, che suo padre si era ben guardato dal comunicargli.

E così volevano maritare Melantha.

Non che la cosa lo sorprendesse, ma gli sembrava maledettamente presto.

Aveva diciassette anni appena compiuti, ed era ancora troppo infantile per essere messa al fianco di un uomo per divenirne la moglie.

A onor del vero, però, il principe Mynias era persona degna di nota, oltre  che gentile con il prossimo.

Lui stesso ne era stato amico e compagno, durante il suo apprendistato presso la corte di Karton, ove regnava suo padre.

Allungando una mano in direzione di quella della sorella, ne sfiorò il dorso con dita leggere e, nel vederla sobbalzare per la sorpresa, le sorrise benevolo.

“Conosco Mynias da tempo, Melantha, ed è un uomo buono e cortese. Se nostro padre accetterà di darti in moglie a lui, sarà una buona unione. Non finirai in mano a un orco.”

Mordendosi un labbro per non piangere – dopotutto, era una principessa fin nel midollo, e certe debolezze erano bandite, in pubblico – Melantha annuì e disse con voce flebile: “Com… com’è, lui?”

Maledetta legge!, pensò tra sé il principe, imprecando all’indirizzo di suo padre e di tutti i suoi predecessori.

Era una crudeltà costringere a simili matrimoni giovani donne come la sorella, senza la benché minima conoscenza di ciò che le attendeva!

Imponendosi la calma, Aken accostò la propria sedia a quella della sorella.

Volgendosi completamente verso di lei, le disse con la massima onestà: “Mynias è un guerriero e perciò, come me, ha subito diverse ferite, in passato. Una lo ha sfregiato su una guancia, ma i dottori sono stati molto bravi a ridurre al minimo il danno. In ogni caso, la ferita è visibile e, forse, potrebbe urtare un po’ la tua sensibilità di fanciulla.”

Nell’annuire compita, Melantha si lappò nervosamente le labbra, sussurrando: “Non è… non è un problema.”

Ammirando i suoi tentativi di apparire tranquilla, il fratellastro le afferrò quindi la mano per stringerla nella propria e, accarezzandola con lenti passaggi delle dita nel tentativo di calmarla progressivamente, continuò dicendo: “Naturalmente, come qualsiasi altro principe, è stato educato al rispetto del gentil sesso, ma si aspetta anche la più totale sottomissione da parte della sua futura moglie.”

“Aken…” sussurrò leggermente contrariata Anladi, senza però avere il coraggio di levare il capo per guardarlo.

“Sbaglio, madre?” replicò scettico lui. “Ricorderò male, ma il mio precettore mi disse più volte che una moglie irrispettosa andrebbe battuta. Cosa che trovo del tutto assurda, ma questo si insegna, nei grandi regni.”

Anladi preferì non dire nulla e Melantha, impallidendo leggermente, gli chiese: “Credi… mi batterebbe?”

Ridacchiando senza allegria, Aken scrollò le spalle e celiò: “Melly, certe volte dovresti essere battuta davvero, ma solo per la tua totale mancanza di assennatezza. Devi ricordare di pensare, prima di parlare. L’essere una principessa non ti dispensa dall’usare il cervello e, visto che so che tu ne hai uno ben sviluppato, usalo.”

Non sapendo se essere più stupita dall’uso di quel nomignolo, che Aken non utilizzava mai, o furiosa per quello che aveva detto subito dopo, Melantha fissò il fratellastro senza riuscire ad aprire bocca.

Il giovane ne approfittò per aggiungere: “Mynias non sarà mai crudele con te, se è questo che temi, ma ha ricevuto la mia stessa educazione, e sai cosa ci si aspetta dai principi come me, giusto?”

Reclinando il capo, Melantha annuì mogia e ripeté a memoria ciò che le era stato insegnato fin da piccola.

“Che siano inflessibili quando non vengono rispettate le regole, anche se a trasgredirle fosse la stessa moglie.”

Con un lieve sospiro, Aken si avvicinò a lei e, poggiando la fronte contro quella di Melantha, che sospirò per la sorpresa, le disse sommessamente: “Parlerò io stesso con Mynias e gli dirò di trattarti bene, pena un mio castigo severissimo, ma anche tu devi fare la tua parte, e non lasciarti andare a inutili infantilismi, d’accordo?”

“Cosa dovrei fare?” sussurrò lei, afferrando la mano libera del fratellastro prima di chiudere gli occhi, quasi avesse paura di ascoltare le sue parole.

“Sii la donna che so albergare dentro di te. Rendi fiera te stessa, prima di noi tutti, e diventa la principessa reale che sei” disse con orgoglio Aken, staccandosi da lei e sfiorando il bracciale su cui brillava l’occhio di lupo che le aveva regalato Eikhe.

Anche la sorellastra lo guardò e, annuendo con forza, lo coprì con la propria mano, stringendo fin quasi a sbiancare le nocche.

Sbattendo poi furiosamente le ciglia, ora inumidite di lacrime che non avrebbe mai versato in loro presenza, mormorò roca: “Una… principessa reale. Tutto qui?”

Abbozzando una risatina, Aken replicò: “Già, tutto qui. Una sciocchezza, no?”

“Sì, una sciocchezza” annuì lei, levandosi poi dallo scranno con grazia contegnosa. 

Imponendosi poi una riverenza degna di tale nome, sussurrò: “Con il vostro permesso, mi ritiro.”

“Permesso accordato” annuì il fratello maggiore, levandosi in piedi e prendendole una mano per baciargliela con galanteria.

Melantha non ebbe il coraggio di guardarlo e, con un fruscio di stoffe, uscì dalla stanzetta lasciando dietro di sé il suo dolce profumo e l’amaro delle lacrime che avevano cominciato a scorrere sulle sue gote.

Tornando a sedersi, il giovane si versò una dose generosa di vino, che bevve in un sol sorso e, dopo un momento di imbarazzato silenzio, disse atono: “Sarà una brava moglie, per Mynias.”

“Grazie, Aken” sussurrò Anladi, abbozzando un sorriso al figlio.

Non riuscendo in alcun modo a rispondere a quello sguardo, lui si limitò a mormorare: “Se potrò evitarle una sofferenza, lo farò. Non è giusto che soffra anche lei.”

A questo, Anladi non seppe replicare.

 

 

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Capitolo 21
*** cap.21 ***



 

 

21.

 

 

 

 

 

Cinque anni erano passati dalla grande battaglia di Roiconea, che aveva visto vittorioso il regno di Enerios, contrapposto a quello di Vartas.

In una fresca mattina d’autunno, giunse a palazzo una giovane che avrebbe scardinato completamente la vita di Ruak e, in qualche modo, alleviato le sofferenze di Aken.

Finalmente di ritorno dopo quattro anni di apprendistato militare passati a Kantor, presso la corte del marito di Melanth, Ruak aveva appena fatto in tempo a rientrare, quando la notizia gli era giunta tra capo e collo.

I colloqui con la nobile famiglia di Renke si erano tenuti in sua assenza e, grazie soprattutto alla grande amicizia tra il re e il padre della ragazza, tutto si era svolto senza problemi.

Non che la presenza di Ruak, o le rimostranze di Renke, figlia di Lothar di Elcantas, avrebbero contato qualcosa, per re Arkan.

Il rapporto ormai sfilacciato tra il sovrano e suo figlio minore era cosa nota ai più, ormai, così come la decisione di Aken di non prendere moglie.

Il fatto che Ruak fosse stato avvisato solo al suo ritorno, quindi, non aveva stupito nessuno, neppure il diretto interessato.

Aken non aveva neppure mettere voce in merito, visto il suo rifiuto tassativo di partecipare attivamente alla discendenza della loro famiglia.

Famiglia che, invece, Melantha aveva già provveduto ad allargare.

Quanto meno, nel regno di Karton.

Dopo poco meno di un anno dal suo matrimonio, aveva dato due gemelli al principe Mynias.

Nelle sue lettere ai fratelli, teneva sempre a sottolineare quanto, la sua nuova vita, fosse assai più lieta di quanto, in un primo momento, avesse anche solo osato sperare.

Nel vedere come Melantha si fosse prodigata per il suo nuovo reame, si era quindi spazientito con i due figli, iniziando così a cercare una moglie per Ruak.

Il sovrano desiderava a sua volta che un pargolo lanciasse il suo vagito all’interno delle mura di palazzo ma, contrariamente a quanto aveva sperato, la scelta si era rivelata difficile.

Erano occorsi anni per trovare una donna che incontrasse il suo favore ma ora, grazie a Renke, sperava di poter controllare almeno le sorti di uno dei due figli.

Poiché con Aken tutto era ormai perso, Arkan puntava su Ruak per una discendenza sana e forte.

Un evento inaspettato, però, intrecciò i cammini dei futuri sposi prima che la mano dei potenti potesse unirli.

La mattina del giorno d’autunno in cui Ruak avrebbe incontrato, come da accordi, la sua futura sposa, il principe scese prima del solito nella stalla per occuparsi del  proprio stallone.

Sperava di trovare, in quei gesti così naturali e rilassanti, un balsamo per il nervosismo che lo aveva attanagliato durante tutta la notte precedente.

L’intera corte sarebbe stata presente, lieta di officiare tali nozze e pronta a sparlare alle spalle di entrambi i giovani eredi al trono.

Non dubitava di questo; sarebbe stato come dubitare della vita stessa, o dell’aria che respirava.

Era quasi certo che, come era stato per Melantha a suo tempo, le dame di corte si sarebbero spartite la compagnia della futura regina per ottenere favori e concessioni.

Pur sapendo di non poter fare diversamente, la notizia del fidanzamento ufficiale con una donna mai incontrata neppure una volta, lo aveva lasciato esterrefatto, se non addirittura basito.

Aveva sempre sperato di poter incontrare una fanciulla da amare almeno la metà di quanto il fratello Aken amava la sua Eikhe.

Invece, veniva proposta per lui la grande unione con una casata nobiliare dalla superba nomea.

Un’unione con una donna di cui conosceva solo il nome, e null’altro.

Cos’avrebbe mai potuto sperare, da un matrimonio simile? Nulla.

In quegli anni di separazione, Aken non aveva mai smesso di pensare a Eikhe, nonostante non avesse più avuto da lei alcuna notizia, nonostante di lei non si sapesse più nulla.

In barba a tutto, il fratello continuava ad amarla, soffrendo incessantemente, ma rimanendo dolcemente fedele a quel sentimento così profondo.

Quanto avrebbe dato, lui stesso, per un amore simile? Tutto.

Ma, avendo concesso la sua parola al padre, giurando che avrebbe pensato in prima persona al proseguo del loro lignaggio, Ruak doveva accettare a bocca chiusa le scelte del re.

E farsi perciò andare bene la donna che lui, e il Concilio, avevano scelto dopo attenta e approfondita analisi.

Un vero strazio, insomma.

Fu con passo strascicato e un pesante sospiro che entrò nella stalla, illuminata dal sole che penetrava dalle finestre socchiuse.

Data una pacca sul fianco al suo stallone Enki, Ruak mormorò sommessamente: “Quanto vorrei essere al tuo posto, amico mio.”

Lo stallone nitrì scrollando la testa, come se avesse compreso le parole del padrone.

Il principe, con un risolino, prese il necessario per strigliarlo ed entrò nel box armato di spazzola e di un secchio di legno ricolmo d’acqua fresca.

Nulla lo tranquillizzava più dello stare con i suoi amati e fidati compagni a quattro zampe e quel giorno, di tranquillità, ne aveva bisogno più che mai.

Conoscere una donna con cui, nel giro di poche settimane, sarebbe finito a letto con l’unico scopo di generare un figlio, gli sembrava non solo un’idea ignobile, ma davvero disgustosa.

E decisamente capace di stroncare sul nascere qualsiasi tipo di pulsione sessuale.

Dèi! Quella donna avrebbe potuto essere anche un’autentica ninfa dei boschi dallo sguardo ammaliante, e forse non sarebbe riuscito a combinare niente lo stesso, tanta era la tensione che provava in quel momento!

Sarebbe stato tutto molto più facile se non avesse badato ai sentimenti di entrambi, e avesse guardato all’atto puramente fisico, ma gli era davvero impossibile.

Non era un troglodita, né un uomo delle caverne.

Era più che sicuro che la misteriosa donna in questione non si sentisse più tranquilla di lui.

Inoltre, per una fanciulla illibata, il sesso doveva apparire come un autentico incubo a occhi aperti!

E lui doveva iniziarla. Oh, cielo! Il solo pensiero lo atterriva!

“Più ci penso, e peggio mi sembra l’intera faccenda” brontolò tra sé Ruak, spazzolando con energia il manto sericeo del cavallo, mentre quest’ultimo scodinzolava tranquillo sotto il suo tocco esperto.

Del tutto preso da quei gesti ritmici, e dall’effetto terapeutico e calmante che il suo stallone Enki aveva su di lui, il giovane si sorprese non poco quando, da uno dei box, giunse un rumore soffuso e un bisbiglio flebile.

Più che convinto che, a quell’ora antelucana, nessuno degli stallieri fosse già al lavoro, Ruak si levò lesto per controllare chi fosse dunque presente nella stalla.

Uscito che fu dal suo box, seguì la traccia sonora che l’aveva incuriosito, udibile ora in maniera più chiara, e si affacciò oltre una spalliera di legno per controllare la fonte di quel brusio.

Tale fu la sua sorpresa nello scorgere una ragazza impegnata a ripulire lo zoccolo di una giumenta che, a bocca aperta, fissò basito la giovane amazzone.

Fu con quell’espressione di totale sconcerto che la giovane lo trovò, i suoi occhi di giada screziati d’oro puntati su di lui e vagamente incuriositi.

Un lento sorriso sorse a piegare all’insù le belle labbra carnose mentre la voce, bassa e suadente, esordì dicendo: “Non avete mai visto una donna prendersi cura della propria cavalcatura?”

Riscuotendosi da quel momentaneo stato di shock, Ruak si aggrappò al box e replicò per contro: “Nessuna che io conosca, in tutta onestà, mia Signora. Mia sorella non si avvicinerebbe neppure lontanamente agli zoccoli di un cavallo.”

“Allora la compiango” scrollò le spalle la fanciulla dall’aspetto esotico e i bei capelli bruni legati in una trina di trecce.

Tornando a occuparsi dello zoccolo con attenti movimenti dello scalpello, la giovane mormorò atona: “Permettetemi di finire, poi mi offrirò volentieri alle mille domande che vi stanno passando per la mente e sul volto, messere.”

Ruak rise del suo dire e, intrecciate le braccia al petto, si appoggiò a una delle pareti dei box in quieta attesa della giovane fanciulla che, così sfrontatamente, gli aveva parlato.

Doveva esserle parso più che evidente quanto la sua presenza lo avesse sorpreso, se gli aveva offerto una simile risposta.

Solitamente, era più bravo a schermare i suoi pensieri ma, in tutta onestà, non si era aspettato di trovare una fanciulla infilata in box a quell’ora del mattino e, a quanto pareva, una nobile fanciulla.

Chi poteva mai essere? Di certo, non l’aveva mai incontrata prima di allora.

Forse, era la figlia di qualche nobilotto di provincia, giunto in città per il suo imminente matrimonio.

Il solo pensiero lo fece rabbrividire.

La ragazza rimase in ginocchio nella paglia per almeno un’altra decina di minuti, senza mai rivolgergli una seconda occhiata.

La sua attenzione era massima, e interamente rivolta alla bella giumenta dal manto grigio.

Quando infine annunciò di aver terminato il suo lavoro, e ripose diligente scalpello e lima in un secchio, sorrise a Ruak da sopra la spalliera e dichiarò: “Ora, mi potrete martellare con le vostre domande.”

Non appena la vide uscire e chiudersi la porta dello stallaggio alle spalle, Ruak si sorprese ulteriormente.

Indossava solo una camiciola di lino, un paio di calzoni da equitazione e alti stivali al ginocchio, il tutto interamente cosparso da un leggero strato di polvere.

Ruak rimase incantato da tale semplice, disarmante candore.

Con un movimento fluido, crollò ai suoi piedi poggiando un ginocchio a terra e, teatrale, le afferrò una mano ancora sporca di terriccio, chiedendole ironicamente di sposarla.

Non che non ci avesse pensato sul serio, vedendo quella splendida amazzone comparire davanti ai suoi occhi a quel modo, ma dubitava fortemente che suo padre glielo avrebbe permesso.

Anche se avesse tessuto le lodi della sua famiglia di nobili natali, qualunque essa fosse.

Nessuna donna di umile discendenza avrebbe potuto permettersi quegli stivali borchiati d’oro, o il bracciale che le solleticava l’esile polso.

Inoltre, lui aveva già il nome di una donna, nel suo futuro.

Sognare per qualche minuto, però, non lo avrebbe certo fatto morire, no?

La fanciulla, presa alla sprovvista da quella dichiarazione capitata all’improvviso, fu così sorpresa dal suo dire che sorrise deliziata, e disse per contro: “Temo dovrete battervi con il principe per ottenere la mia mano, mio buon stalliere, poiché mio padre ha preso accordi per offrirmi in sposa a lui.”

La notizia lo lasciò basito per un minuto buono, minuto in cui temette che la splendida ragazza che lo stava osservando con espressione divertita, si stesse riferendo al fratello Aken.

Quando lei si decise a correre in suo soccorso, aggiunse: “Mio padre si è accordato con re Arkan perché io sposi il principe Ruak, visto che il fratello maggiore sembra destinato a condurre vita monacale a tempo indeterminato.”

Quella notizia lo rincuorò non poco ma, ben deciso a non scoprire ancora le sue carte, mormorò educato: “Suppongo che voi non conosciate neppure di vista il principe Ruak.”

“No, purtroppo, visto che non abito a Rajana, né vi sono mai stata prima di oggi. Oh, mio padre è stato fin troppo prodigo di complimenti, tanto che mi chiedo se un giovane così perfetto possa esistere” disse a quel punto la ragazza, guardando a momenti alterni la mano ancora stretta in quella di Ruak.

Il principe gliela lasciò andare solo a fatica e, per un attimo, la ragazza rimase con la mano distesa verso di lui, prima di ritirarla verso i seni, quasi spiacente.

“Io mi chiedo, piuttosto, come possa pretendere che rispetti un uomo che accetta una donna offertagli solo per il buon nome che essa porta” aggiunse infine lei, sospirando leggermente.

“Lo riterreste un debole?” chiese allora lui, sogghignando nel rialzarsi da terra per poi spazzolarsi il calzoni con piccoli gesti delle mani.

Renke. Quella ragazza meravigliosa era destinata a lui e, a quanto pareva, lei non aveva una grande opinione del principe che lui era.

 “Questo è dire poco!” annuì fermamente lei, prima di cambiare argomento, ben decisa a non irritarsi ulteriormente. “Lo stallone di cui vi stavate prendendo cura… di chi è?”

“Del principe Ruak, mia Signora” disse il principe, con un mezzo sorriso.

“Sono Dama Renke. O semplicemente Renke, messere” replicò la ragazza con un risolino. “Posso vederlo?”

“Sarà un vero onore mostrarvelo, Dama Renke” annuì Ruak, profondendosi in un inchino che la fece sorridere deliziata.

“Sicuro di essere un semplice stalliere, messere? O forse, qui a Rajana, insegnano l’etichetta di corte a tutta la servitù?” ridacchiò Renke, seguendolo lungo la stalla.

“Una cosa o due le ho imparate anch’io. E poi, avendo a che fare con un sacco di amazzoni, qualche finezza bisogna pure elargirla” commentò lui, scrollando le spalle, indicandole poi il box di Enki.

Il principe la fece avvicinare all’animale subito dopo essersi esibito in un’atra stupida riverenza – che la fece ridere deliziata – e, carezzata la fronte di Enki, Ruak sussurrò all’amico dolci parole perché non si imbizzarrisse.

Lo stallone sbuffò una sola volta prima di calmarsi, non appena Renke gli carezzò la serica criniera.

Con voce soffusa, la giovane mormorò al cavallo: “Sei un magnifico animale, amico mio, l’emblema stesso della regalità. Almeno nei cavalli, il principe ha buon gusto. Potremmo andare d’accordo, su questo punto.”

“Vi piace cavalcare, mia Signora?” chiese Ruak, attirando di nuovo la sua attenzione e rivolgendole un sorriso cordiale.

Renke lo fissò per un momento a occhi socchiusi, lasciando scivolare la mano dalla fronte del cavallo fino alla sua spalla.

Con un gesto aggraziato quanto improvviso, poi, montò in groppa allo stallone, che rimase immobile sotto il suo delicato peso, in attesa di una sua mossa.

Sorpreso e ammirato da quel gesto impavido quanto inaspettato, il principe ne osservò la postura perfetta e lo sguardo sicuro e, accentuando il suo sorriso, dichiarò: “Se anche mio padre non avesse accettato le richieste del vostro, penso proprio che avrei usato la mia spada e il mio pugno, pur di avervi.”

A quel punto Renke fece tanto d’occhi e, a bocca aperta e con un delicato rossore a imporporarle le gote, esalò sgomenta: “Il principe?”

“In carne e ossa, mia Signora. Al vostro servizio per qualunque cosa vi potesse servire” asserì Ruak, inchinandosi nuovamente con fare scherzoso.

La giovane rise imbarazzata nello scendere dal cavallo e, dandogli uno scherzoso schiaffo sulla spalla, esclamò: “Mi avete presa in giro! Non è giusto! Vi siete burlato di me fino a questo momento!”

“Solo in parte” precisò lui, tornando serio. “Non mentivo, prima, quando vi ho chiesto di sposarmi.”

“Non siamo destinati in ogni caso a questo grandioso evento?” replicò Renke, divenendo seria al pari suo.

“Non desidero ascoltare quel che dirà mio padre, o il vostro, né interessarmi di quanto questa unione porterà all’una o all’altra casata. Voglio una risposta onesta da parte vostra. Solo questo conterà, per me. Non i vaneggiamenti della corte, o di qualche togato di parte” replicò con veemenza, fissandola con intensità senza mai abbandonare la presa dal suo sguardo acceso di interesse.

“Se la mettete così, allora, risponderò a voi come ho risposto a mia madre prima di partire per giungere qui. Avrei amato e onorato il principe solo se si fosse dimostrato un uomo, e non un fantoccio guidato dagli interessi del padre. L’uomo che ho di fronte a me, potrei amarlo e onorarlo” dichiarò Renke, sorridendo leggermente.

“Perché?” chiese allora Ruak, inclinando il capo a scrutarla curioso.

“Perché vi siete sporcato le mani per pulire gli zoccoli del vostro cavallo, e avete preso la mia mano tra le vostre senza curarvi del fatto che fossero impolverate e macchiate di terra.”

Nel dirlo, si scrutò le mani impolverate e sorrise imbarazza, prima di proseguire nel suo dire.

“Mi avete guardata con interesse nonostante avessi i capelli in disordine, gli abiti sporchi e null’altro a rendermi donna se non le forme del mio corpo. Insomma, è stato abbastanza lusinghiero, secondo me.”

“Neppure con vesti d’oro, potreste apparirmi più bella di quanto non siate già ora” ammise onestamente Ruak, scrollando le spalle.

Renke allora rise di gusto e, arrischiandosi a baciare Ruak su una guancia, mormorò: “Manterremo per noi questo entusiasmo reciproco. Non sia mai che i nobili della vostra corte non pensino di poterci controllare. Non vorrei rovinare loro la festa prima ancora che inizi.”

“Mi trovate d’accordo, mia Signora” annuì il principe, ridendo di cuore assieme a lei.

Adorava già il modo in cui la sua voce trillante gli solleticava le orecchie.  

“Di questa conversazione non parleremo con nessuno, e io mi mostrerò solo pacatamente soddisfatto di voi, una volta nella Sala del Trono.”

“Mentre io farò finta di essere terrorizzata da voi, e rassegnata all’inevitabile” commentò ironica Renke, fissandolo con aria da cospiratore.

Risero ancora, le mani che si sfioravano come in una muta promessa e, con un ultimo sorriso complice, si accomiatarono.

Il proseguo della giornata fu, per entrambi, fonte di ansia e aspettativa, anche se non per i motivi che i più pensarono nel vederli così carichi di nervosismo.

Contare le ore che li separavano dal loro incontro ufficiale, fu la cosa più snervante che i due giovani dovettero sopportare.

Quando, finalmente, trombe dai suoni squillanti annunciarono l’arrivo della futura sposa, il diretto interessato si passò una mano sul cuore per il terrore che esso scoppiasse per la troppa agitazione.

Era sciocco comportarsi a questo modo – dopotutto, aveva visto Renke quella stessa mattina – eppure, non riusciva a trovare il modo di calmare il proprio respiro e il proprio cuore fuori controllo.

Aken, al suo fianco, si piegò verso di lui per sussurrargli: “Guarda che dovresti arrivare al ‘sì’ da vivo, e non da morto. Pensi di farcela?”

“Cercherò di non restarci secco, ma è dura” celiò roco Ruak prima di sgranare leggermente gli occhi non appena la giovane entrò nel suo campo visivo.

Come un’autentica visione idilliaca, Renke avanzò al fianco del padre indossando un sontuoso abito di seta blu scuro a balze, stretta in un corpetto nero come la notte che non faceva che evidenziarne le forme flessuose e sensuali.

Nonostante la bellezza dell’abito, la prima cosa che balzò alla mente del principe non fu quanto fosse bella, ma la sensazione delle sue labbra sulla guancia.

Era davvero fregato. E ne era ben felice.

Cercando comunque di darsi un contegno per non attirare troppo l’attenzione su di sé, Ruak si impose di fissarla con quieto favore.

Mentre ella avanzava con passo leggero lungo la navata, ricoperta di pesanti panneggi color rosso fuoco recanti lo stemma del lupo, lui non poté evitare di scorgere il luccichio vittorioso nei suoi occhi di giada screziata d’oro.

Era divertita e questo, invece di farlo scoppiare a ridere, gli diede la forza per mantenere il suo contegno impeccabile.

Arkan, alla destra di Ruak, osservò a sua volta la futura sposa del figlio avanzare con grazia e regalità assieme e, annuendo con vigore e soddisfazione, disse al secondogenito: “Questa donna sarà l’orgoglio della nostra corona.”

“Sì, padre” annuì semplicemente lui, imponendosi di non dire altro.

Era ovvio quanto quelle parole fossero, al tempo stesso, rivolte sia a lui che al fratello maggiore.

Per quanto fosse d’accordo sul fatto che Renke sarebbe stata una regina stupenda, mal sopportò l’implicito rifiuto ad accordare un simile tributo anche a Eikhe.

La figlia sacra era donna di valore, indipendentemente dal suo sangue non nobile, ma questo non avrebbe mai potuto dirlo ad alta voce.

E non a suo padre.

Quando, però, Renke raggiunse il palco dove si trovava Ruak, lasciò da parte qualsiasi altro pensiero e, allungando una mano in direzione della giovane genuflessa, disse: “La Corona di Enerios è lieta di accogliere tra le sue forti braccia un simile fiore di perfezione.”

A quelle parole, lei sollevò i suoi occhi screziati a scrutare il viso luminoso del principe e, accennando un sorriso compito, la fanciulla replicò soave: “E’ un onore e un piacere essere accettata in una così grande e potente casata.”

Null’altro udirono le loro orecchie, da quel momento in poi.

Né le promesse reciprocamente scambiate dai genitori, né il contratto prematrimoniale letto con voce stentorea da un messo reale a tutta la corte.

Il banchetto in loro onore si svolse senza che nessuno dei due fosse attivamente partecipe alla serata, ma nessuno se ne curò.

Seppur dando risposte argute ogni qualvolta uno dei due giovani venne interpellato, a Ruak e Renke non interessò minimamente ciò che avvenne quella sera.

La cerimonia matrimoniale si sarebbe svolta da lì a due settimane ma, per i due ragazzi, questo non contava affatto.

Per quel che li riguardava, i voti erano già stati scambiati quella mattina, tra la paglia profumata della stalla, sotto lo sguardo curioso dei cavalli e il bacio leggero del sole mattutino.

***

Autoproclamatosi accompagnatore dei due giovani, Aken si ritrovò a sorseggiare del buon vino aromatizzato, spaparanzato su un divano di uno dei tanti salottini di palazzo.

Sogghignando all’indirizzo del fratello, celiò: “Avete ben giocato il vostro ruolo di compiti promessi sposi, ragazzi, ma con me non funziona.”

Le scuse accampate dai due giovani, in quei giorni, erano state molteplici e molto fantasiose, e tutte mirate a un unico scopo; restare un po’ di tempo da soli.

Rinchiusisi in quel salottino del terzo piano per essere al sicuro dalle occhiate dei cortigiani, la futura coppia di sposi fissò con un mezzo sorriso Aken, prima di scoppiare a ridere di fronte al suo sguardo indagatore.

Fu così che, entrambi gaudenti, spiegarono al giovane del loro primo, folgorante incontro nelle stalle, e della decisione di nascondere alla corte quel particolare, quanto il subitaneo affiatamento nato tra loro.

Annuendo compiaciuto e soddisfatto, Aken abbracciò entrambi e disse con voce stentorea, colma di affetto incondizionato: “La sorte vi ha fatto un dono prezioso quanto raro. Stringetelo a voi con tutte le vostre forze, e non permettete a nessuno di incrinarlo.”

Percettiva come pochi, Renke sorrise al suo futuro cognato e, in un abbraccio consolatorio, gli disse: “Non lascerò mai che qualcuno spezzi il mio legame con Ruak. Ve lo prometto, Aken.”

E fu così che Renke si unì alla loro famiglia, dando alla corona un figlio dopo neppure un anno dal suo matrimonio con Ruak.

Il bimbo venne ufficialmente adottato da Aken, perché diventasse suo erede designato, mettendo così finalmente a tacere il padre e le sue continue, incessanti richieste di mantenere al sicuro il trono.

Renke non chiese mai al cognato il perché della sua scelta di restare solo, né domandò mai a Ruak spiegazioni in tal senso.

Cercò, però, in tutti i modi di spezzare il velo di apatia che, anno dopo anno, vide calare sul volto a lei caro dell’uomo che, più di tutti, giunse a considerare come un fratello.

***

Intenta a sistemare il filo della sua daga, mentre Antalion scrutava la madre con attenzione quasi maniacale, Sendala giunse a cavallo in compagnia di Enok.

Scesa dalla sella quando ancora la cavalcatura non si era fermata, corse dall’amica e disse a gran voce, con il fiato corto: “E’ il principe! E il principe Ruak a essersi sposato!”

Lasciando quasi cadere la daga a terra, Eikhe si levò lesta dal treppiede su cui era seduta e, fissando l’amica con la paura nel cuore, esalò: “Sei sicura, vero?”

Annuendo più volte, Sendala la afferrò per le spalle mentre Enok si avvicinava a loro con un mezzo sorriso sulle labbra.

Con voce a stento controllata, la giovane ripeté ancora: “E’ Ruak a essersi sposato. Ruak!”

Eikhe abbracciò con forza la ragazza mentre Antalion, fissando la madre e la zia acquisita, chiedeva a Enok: “Che c’è?”

Preso in braccio il bimbo di quasi sei anni, il giovane si diresse verso il torrente che scorreva nei pressi della baita e, afferrati un paio di secchi con la mano libera, mormorò: “Prendiamo un po’ d’acqua per la mamma e Sendala, mentre loro chiacchierano.”

“Cose da donne?” storse il naso il bambino con un sorriso sbieco.

“Già” ammiccò il giovane con un risolino.

Scostandosi da Sendala quando sentì il sangue tornare a fluire nel corpo, Eikhe si sedette sul treppiede, incerta se essere o meno capace di restare in piedi.

L’amica si accoccolò a terra, dinanzi a lei, e sorrise lieta.

“Beh, dopotutto ha mantenuto la promessa.”

Quando erano giunte voci di un prossimo matrimonio per il principe della casa regnante, Eikhe era sprofondata nella più nera disperazione, pur sapendo che presto o tardi avrebbe dovuto accadere.

Vedere Antalion crescere, e divenire sempre più simile al padre, era già un tormento enorme, ma scoprire che la promessa del suo unico amore sarebbe stata presto infranta, l’aveva quasi uccisa.

Sendala aveva praticamente malmenato Konis, reo di essere piombato alla baita tutto allegro, portando quella notizia smozzicata e priva di certezze.

Fin da quel primo momento di sconcerto totale, la donna-lupo si era messa alla ricerca di qualche commerciante proveniente da Rajana, con la speranza che sapesse qualcosa di più sul grande matrimonio previsto per uno dei principi di Rajana.

Chiedere al borgomastro sarebbe stato impossibile, del resto.

Nessuna donna-lupo era ben accetta alla sua porta, e di questo non poteva che esserne lieta.

Avere a che fare con gli uomini della corona non era certo uno dei suoi sogni nascosti, questo era poco ma sicuro!

Dopo settimane di andirivieni tra Marhna e la baita, settimane in cui Eikhe aveva fatto di tutto per non mostrare la propria tristezza al figlio ignaro, Sendala era infine riuscita ad avere la meglio.

Trovato un commerciante appena giunto dalla pianura, si era fatta descrivere con dovizia di particolari la giovane coppia di sposi.

Felice come poche altre volte era stata, Sendala era corsa da Enok per dargli la bella notizia – anche lui aveva mostrato preoccupazione nel vedere Eikhe così abbattuta – e, insieme, si erano diretti a spron battuto verso la baita.

Esalando un profondo respiro, Eikhe sorrise all’amica, dicendo: “Dopo tanti anni di silenzio da parte sua, pensavo di fosse dimenticato di me. Eppure, questo matrimonio vuole dire l’esatto contrario.”

“D’altra parte, tesoro, come pretendi che lui possa scriverti, o anche solo contattarti, se tu non ti fai sentire? Come potrebbe mai trovarti, qui?” precisò Sendala, accigliandosi. “Lui ti crede ancora a Nestar e stai pur certa che, se ha provato a contattarti là, tua madre avrà sicuramente bruciato ogni lettera del tuo bello.”

Accigliandosi leggermente, Eikhe le chiese: “Hai saputo come sta?”

Scrollando le spalle con fare noncurante, Sendala borbottò: “Tua sorella mi ha detto che si è ripresa un po’, ma non parla più. La Falce di Haaron* ha minato il suo corpo e il suo spirito, e più di quanto il medico chiamato da Marhna avesse diagnosticato in un primo momento.”

Reclinando leggermente il capo, Eikhe sospirò mestamente, ripensando a quando Tyura le aveva portato la notizia della malattia improvvisa della madre, e delle condizioni disperate in cui versava.

La Falce di Haaron colpiva pesantemente colui che era sottoposto a simile travaglio, privando il più delle volte il malato della capacità di muoversi e, in alcuni casi, strappandogli via la vita stessa.

Kaihle, per certi versi, era stata fortunata, sopravvivendo al peggio grazie alla sua tempra di guerriera ma, della donna di un tempo, era rimasto ben poco.

Costretta a letto per la maggior parte del tempo, troppo debole per rimanere in piedi per più di qualche ora, la donna non aveva più aperto bocca dal primo giorno della malattia.

Secondo il medico, il tutto era dovuto ai danni che la Falce aveva prodotto nel suo corpo.

Pur sapendo quanto fosse sbagliato, Eikhe non era riuscita a trovare nel suo cuore il perdono e, solo per quello, si sentiva un’ingrata.

Avrebbe dovuto essere migliore di così, eppure non ci riusciva.

Poggiando una mano su quella dell’amica, Sendala le sorrise benevola.

“Dai tempo al tempo, Eikhe. Per ogni cosa.”

Con un mezzo sorriso, l’amica mormorò mesta: “Il tempo non mi manca, e so di certo come riempirlo.”

Entrambe le donne volsero lo sguardo verso il torrente, dove Enok stava aiutando Antalion a riempire uno dei due secchi con l’acqua zampillante.

Ammiccando all’amica, Sendala ammise: “Era davvero in ansia per te.”

“Come sempre” scrollò le spalle Eikhe, prima di aggiungere: “Mi sembra di avere un fratello maggiore sempre alle calcagna.”

“Fratello… maggiore?” esalò la donna-lupo, sollevando dubbiosa un sopracciglio.

Annuendo a più riprese, la figlia sacra asserì: “Enok si comporta così, con me. E dovresti sentire le paternali che mi fa!”

“Oh. Mi sono persa questo spettacolo!” esclamò lei, divertita.

Storcendo il naso, Eikhe replicò: “Fossi in te, non spererei di esserne la protagonista. Neppure mio padre è così puntiglioso, quando vuole farmi qualche reprimenda. Cosa rara, tra l’altro.”

“E tu dici che non sono le attenzioni di un innamorato” si interessò Sendala, scrutandola con aria indagatrice.

“Riconosco gli sguardi di una persona innamorata, e lui non lo è più, te lo posso assicurare” ammiccò Eikhe, tornando a osservare Enok che, con fare premuroso, stava osservando Antalion, tutto impegnato a riportare indietro il suo secchio colmo a metà di acqua cristallina. “Adora An, e vuol bene a me, ma non più come prima. Il suo sguardo non è percorso né dal rammarico, né dal desiderio.”

“Ah” sbatté le palpebre, Sendala, vagamente sorpresa. “Beh, sono passati anni dal tuo rifiuto. Può darsi gli sia passata davvero.”

“Io ne sono convinta” annuì l’amica, rialzandosi per raggiungere figlio e amico. “Ma come sei stato bravo, An! Guarda quant’acqua!”

Aprendosi in un sorriso mezzo sdentato, Antalion le mostrò orgoglioso il secchio.

“Zio Enok dice che va bene!”

Eikhe lanciò un sorriso grato all’uomo prima di annuire e dire al figlioletto: “E ha ragione. Hai fatto un ottimo lavoro. Ora, lo verso nella botte, così avremo acqua a sufficienza per un po’.”

“Tutto bene?” le sussurrò Enok, vedendosela passare accanto.

“Ottimamente, grazie” replicò lei, infilandosi in casa sotto il suo sguardo soddisfatto.

Avvicinandosi ai due, Sendala sorrise al figlioccio e dichiarò soddisfatta: “Stai diventando davvero un ometto forte, eh, An?”

Mostrando i muscoli, Antalion esclamò: “Forte, io!”

“Molto” annuì lei, mostrandosi impressionata.

Enok ridacchiò dell’espressione buffa di Sendala prima di dire a gran voce, all’indirizzo di Eikhe – che ancora si trovava in casa: “Io vado! Tornerò dopodomani con le nuove ordinazioni dall’emporio!”

“Va bene!” urlò di rimando lei, dall’interno della baita.

“Vai già, zio?” chiese a quel punto Antalion, mettendo il broncio.

“Sarà per poco, cucciolotto. Tornerò presto, vedrai” gli promise Enok, scompigliandogli i capelli prima di rivolgersi a Sendala con un sorriso.

Chinatosi verso di lei, le sussurrò all’orecchio: “Ci vediamo, Sendy.”

Detto ciò, le sfiorò la guancia con un bacio prima di avviarsi tranquillo verso il suo cavallo, consapevole degli occhi puntati su di sé, e quasi certo dell’espressione basita della donna-lupo.

Senza voltarsi indietro, balzò in sella e si allontanò al trotto dalla baita.

Sul suo viso brillava un bel sorriso soddisfatto mentre la depositaria del suo bacio, ancora a occhi spalancati e bocca socchiusa, lo fissava senza avere il coraggio di parlare.

Antalion, di tutt’altro avviso, ridacchiò ghignante prima di indicarla e urlare: “Zio Enok ha baciato zia Sendy… l’ha baciata, l’ha baciata!”

Sulla porta, poggiata contro lo stipite e l’aria divertita come poche altre volte le era capitato in quegli anni, Eikhe commentò: “Ma tu guarda…”

Volgendosi di scatto come se l’avesse punta una vespa, Sendala avvampò in viso e fissò l’amica in cerca di una qualsiasi banalità da dire, ma Eikhe la precedette.

“Qui, qualcuno mi nasconde qualcosa.”

“Non. Osare. Dire. Niente” sbottò Sendala, arrossendo, se possibile, ancor più di prima.

Scoppiando a ridere assieme al figlio, Eikhe esalò senza fiato: “Oh, dèi, dovresti vedere la tua faccia, Sendala.”

Sbuffando a più riprese, la giovane donna-lupo la spinse da parte per entrare in casa e, bofonchiando tra sé, ringhiò: “Uomini! Ah!”

 

 

 

 

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*Falce di Haaron: E’ l’equivalente del nostro ictus.

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Capitolo 22
*** cap. 22 ***



 

22.

 

 

 

 

 

Dopo aver sistemato attorno alla vita del figlio una pesante cintura di cuoio dalla fibbia di ottone a forma di testa di lupo, Eikhe sorrise soddisfatta e annuì.

Con calma, allacciò il fodero della piccola daga che Harm le aveva donato per An e disse: “Stai davvero benissimo, tesoro.”

Ammirandosi con aria eccitata, le braccia che si muovevano avanti e indietro veloci, mentre il capo si voltava da parte a parte per scrutare la sua nuova, primissima arma da taglio, Antalion esclamò: “Wow, ma è bellissima, ma’! Il nonno è un mito!”

Ridendo nel vederlo così eccitato, nonostante sapesse che era infine giunto il tempo di insegnargli a usare l’arma che aveva accettato di porre nella sua mano, Eikhe si rialzò con un sorriso orgoglioso.

Poggiate le mani sui fianchi, fissò quegli occhi in tutto simili ai suoi e disse con un sospiro: “Sei proprio tutto tuo padre.”

Come sempre, Antalion fu ben attento a non pronunciare la fatidica domanda che, ormai da dieci anni, gli frullava nella testa.

L’unica volta che aveva osato pronunciarla, aveva scatenato il pianto della madre, le ire di zia Sendala e lo sguardo triste di zio Enok.

Era evidente dai discorsi dei nonni e di zio Konis che loro, invece, di suo padre non sapevano assolutamente nulla.

Chiedere di nascosto a loro sarebbe stato perfettamente inutile, ma ormai gli sembrava di essere abbastanza grande per sapere qualcosa del misterioso uomo che, a quanto pareva, la mamma non aveva mai dimenticato.

E che, nelle notti più fredde d’inverno, lei piangeva in silenzio nella sua stanza.

Mordendosi un labbro con fare titubante, una mano leggermente tremante mentre si posava sul gomito della madre, Antalion la fissò serio nei suoi occhi ambrati e chiese con un filo di voce: “Mamma, posso sapere chi è mio padre?”

La sentì immediatamente irrigidirsi, mentre gli occhi venivano momentaneamente oscurati dalle palpebre, e un pallore evidente si manifestava sul suo viso perfetto e bellissimo.

Subito, Antalion si pentì di aver proferito parola ma Eikhe, prendendo un gran respiro nel tentativo di prendere coraggio, sospirò e prese sottobraccio il figlio, che ormai le giungeva quasi alla spalla.

“Andiamo a sederci in casa, An.”

Storcendo il naso nel sentire quel nomignolo che trovava assai infantile, Antalion preferì non rimbeccare la madre per paura che perdesse la voglia di parlargli.

In silenzio, entrarono nella baita, dove una pentola di minestrone stava ribollendo tranquilla sulla stufa accesa.

Sul tavolo in legno, un bel centrotavola di vimini era ricolmo di frutta fresca mentre, sul camino, il palco dell’ultimo cervo catturato dalla madre faceva bella mostra di sé con la sua imponente e ramificata struttura.

Negli anni, quel rifugio era divenuto un’autentica casa per tutti loro.

Dopo tanti sacrifici, ora potevano tranquillamente vivere senza il pensiero fisso sul denaro utile per la loro sopravvivenza.

I lavori della madre erano più che degnamente venduti nell’emporio locale di Marhna, mentre la selvaggina che Sendala catturava, andava a rimpinguare la locanda della cittadina, e alcune ville di nobili signori delle montagne.

Nel complesso, vivevano più che dignitosamente.

Inoltre, nonna Ildera, nonno Harm, zio Konis e zia Tyura non mancavano di mandare loro dei regali, anche senza badare ai loro onomastici.

Quando Antalion vide la madre accomodarsi sulla sedia a dondolo, che il nonno le aveva regalato l’anno precedente, lui si sedette ai suoi piedi e la guardò pensieroso.

Non sapeva bene se parlare o rimanere zitto, in attesa che fosse lei a riprendere le redini del discorso.

Osservato il figlio per un tempo che le parve interminabile, Eikhe gli sorrise leggermente prima di dire: “Tuo padre è un guerriero. Un uomo delle pianure che conobbi tanto tempo fa, ai tempi della grande guerra che venne combattuta contro Vartas.”

Spalancando gli occhi per la sorpresa, Antalion si protese verso di lei come a cercare di farle comprendere quanto ancora volesse sapere di lui ma lei, scrollando il capo, aggiunse soltanto: “Non posso dirti chi è, poiché è di vitale importanza che la sua famiglia non sappia mai della tua esistenza. Una sola parola sfuggita dalle tue labbra, potrebbe metterci in pericolo. In un pericolo più serio di quanto tu possa soltanto immaginare.”

Sconcertato da quelle parole, Antalion esalò: “Non mi vorrebbe?”

“Non pensarlo mai!” esclamò Eikhe, sorprendendolo per la veemenza delle sue parole. “Lui ti amerebbe con tutto se stesso, lo so, ma è la sua famiglia che potrebbe mettere a rischio la tua stessa vita, oltre che la mia.”

Storcendo il naso, Antalion replicò scocciato: “Come puoi saperlo, visto che non è mai venuto a cercarti, da quando sono nato?”

“Lui non sa di te, non gliel’ho mai detto” gli sorrise tristemente lei. “Per ragioni che non posso spiegarti, non ho potuto menzionare nulla di te a tuo padre, perché non potrebbe fare nulla per raggiungerci. Occupa un ruolo troppo importante, all’interno della sua famiglia, perché gli possa essere permesso di averci al suo fianco, così ho preferito non angustiarlo ulteriormente, facendogli sapere di avere anche un figlio.”

“Come sai che ti ama ancora?” chiese allora il figlio, non del tutto convinto.

“Ha mantenuto una promessa che ci facemmo anni fa, quando dovemmo dividerci” sorrise debolmente Eikhe, allungando una mano per carezzargli i morbidi e lunghi capelli neri, che Antalion portava stretti in una coda di cavallo.

Proprio come il padre.

“Gli somigli davvero tantissimo.”

Abbozzando un sorrisino timido, Antalion mormorò: “Allora, era molto bello.”

Scoppiando a ridere, Eikhe annuì e disse: “Sì, tesoro mio, era molto bello. Ma non l’ho amato per questo. Erano soprattutto il suo cuore e il suo animo, a essere belli. Come il suo coraggio e il suo amore incondizionato verso coloro che doveva difendere.”

“E non avrebbe dovuto difendere anche noi?” chiese a quel punto Antalion, alzandosi in piedi per fronteggiarla.

Lei lo imitò e, stringendolo a sé in un abbraccio caloroso, gli sussurrò: “Gli dissi io di non anteporre il nostro amore a ciò che doveva compiere. Prima di tutto, doveva pensare a chi dipendeva da lui. Io sapevo difendermi benissimo da sola e, all’epoca, non sapevo ancora di te. Una volta nato, sarebbe stato impossibile fargli sapere di te, proprio a causa del suo ruolo, e della sua famiglia.”

“Ma… non è cattivo, vero?” mormorò lui, cercando di non far tremare la propria voce.

“No. Spero sempre che un giorno voi due vi possiate incontrare, perché so che lo ameresti come l’ho amato io” ammise Eikhe prima di scostarlo da sé, sorridergli e aggiungere: “Non odiarlo, se puoi.”

“Non lo odierò, perché so che tu lo ami ancora. E so che non potresti amare una persona, se non ne fosse meritevole. Ma è tanto difficile, mamma” sospirò Antalion, reclinando il viso.

Dandogli un buffetto sulla guancia, Eikhe gli sorrise benevola.

“Hevos lo conobbe, e accettò ciò che ci univa. Puoi credere a un dio, se non a tua madre?” gli svelò a quel punto lei, vedendolo sgranare gli occhi per la sorpresa.

Ammiccando, preferì non proseguire oltre e, nel dargli una pacca sulla spalla, disse: “Torniamo fuori. Voglio insegnarti a usare quel ferro che ti ho appeso addosso.”

Sempre serio in viso, Antalion le gettò le braccia al collo e, stringendola con foga, esclamò: “Ti voglio bene, mamma! Scusami se ti faccio soffrire, e se ti ho fatto soffrire. Per causa mia, non puoi vivere con le tue sorelle e, forse, neppure con l’uomo che ami. Ma mi farò perdonare, mamma, te lo giuro!”

“Non c’è nulla da perdonare, tesoro. Sono orgogliosa di te, e non mi importa di crescerti lontano da Nestar. Ti sto crescendo come io ritengo giusto, e tanto mi basta. E ora fuori, guerriero. Ad allenarsi!” esclamò la madre, scostandosi nuovamente da lui prima di puntare la porta con un dito.

Lui le sorrise con amore prima di correre fuori sulle sue gambette già muscolose ed Eikhe, annuendo fiera, disse tra sé: “Sta crescendo forte e generoso come te, Aken.”

***

Stentoreo come suo solito, Aken esclamò: “Meyor, per tutti gli dèi, vedi di non ammazzarti, con quel cavallo!”

Ridendo divertito dal tono severo del suo maestro di equitazione, e principe di Rajana nei tempi morti, il ragazzino si fermò a pochi passi da lui ed esclamò: “Avevo la situazione perfettamente sotto controllo!”

Storcendo il naso, e nascondendo un sorriso dietro un’occhiata burbera, Aken replicò secco: “Lo dirò io quando avrai la situazione sotto controllo, non certo tu, sbarbatello.”

Meyor si limitò a ghignare spudoratamente prima di fare un cenno di saluto a Kannor, l’attendente del principe.

“Puoi calmare tu il principe, Kannor, e dirgli che non volevo ammazzarmi, su quell’ostacolo?”

Sogghignando, l’uomo fiancheggiò il suo principe e, nello strizzare l’occhio al ragazzino, chiosò a suo beneficio: “In effetti, se la stava cavando bene.”

“Non ti ci mettere pure tu, amico!” sbottò a quel punto Aken, intrecciando le braccia sul petto con fare offeso. “Se il ragazzo si fa male, primo, me la vedrò con sua madre, secondo, con suo padre. Ti pare poco? E, probabilmente, riceverei sonori sganassoni anche da parte di mia madre, oltre che da quella fuori di testa di mia cognata.”

“Parlavi di me, cognatuccio?” esordì una voce squillante alle loro spalle.

Rabbrividendo in maniera più che evidente, Aken si volse a mezzo e impallidì leggermente alla vista della donna.

“Cara, carissima Renke. Dove te ne vai con quel pancione enorme a farti da apripista?” esalò a quel punto, aprendosi in un ghigno, seminascosto dalla barba di due settimane che ne copriva il viso.

Incinta del terzogenito, e già all’ottavo mese di gravidanza, Renke non ne voleva sapere di starsene tranquilla a palazzo, prediligendo le passeggiate nei giardini privati della reggia.

O, come in quel caso, le visite al campo di addestramento dei cavalieri del regno.

Da anni, ormai, Aken si era preso il personale impegno di addestrare Meyor perché diventasse un cavaliere degno di tale nome.

Con il consenso di entrambi i genitori, lo aveva anche fatto iscrivere all’accademia militare di Rajana.

Desiderando essere pienamente partecipe della crescita culturale del ragazzino, che ormai aveva preso sotto la propria ala, si era  impuntato fino a divenire l’insegnante di equitazione dei giovani virgulti della scuola.

Dopotutto, la parte amministrativa del suo lavoro a palazzo lo impegnava talmente poco che insegnare a così tanti giovani l’arte della cavalleria, gli era sembrato un ottimo modo per non impazzire del tutto.

Sua madre si era dichiarata pienamente d’accordo con lui.

Suo padre Arkan, al contrario, aveva storto il naso, ma a lui era importato ben poco.

Se avesse anche solo provato a proferire qualcosa di traverso, avrebbe messo subito in pratica le sue minacce.

A onor del vero, comunque, quel suo nuovo compito lo aveva riempito di insperata soddisfazione, cancellando almeno in parte il senso di vuoto perenne che provava nei momenti di solitudine.

Inoltre, Meyor si era dimostrato non solo un bravo studente, ma anche un autentico asso nello stare in sella.

Anche se non lo avrebbe mai ammesso apertamente con il ragazzino, vederlo in sella lo rendeva assai orgoglioso.

“Il nostro caro Meyor sta diventando davvero bravissimo, da quanto ho visto dalla finestra” commentò Renke non appena ebbe raggiunto i due uomini e il giovane cavaliere.

“Principessa Renke, come sempre siete gentilissima” asserì il giovane cavaliere, profondendosi in un inchino dalla sella.

Ridendo, la donna assottigliò maliziosa le iridi di giada screziata d’oro e fissò Aken, celiando: “Gli hai anche insegnato a essere un adulatore, mio caro?”

“Meyor è educato di suo” replicò il principe, prima di aggiungere: “Non dicevo sul serio, prima.”

Battendogli affettuosamente una mano sul braccio, Renke tornò seria e gli disse: “So sempre quando la gente mi vuole offendere, e tu non sei tra quelli. Ma hai ragione; se Meyor si facesse male, ti ridurrei in poltiglia.”

“Buono a sapersi” scrollò le spalle Aken, prima di rivolgersi all’allievo. “Hai sentito, ragazzo? La mia vita dipende da te.”

“Starò attento, promesso” annuì Meyor, dando un colpetto leggero ai fianchi dello stallone per riprendere gli allenamenti sul campo.

Avvolgendo le braccia attorno a quello possente del cognato, Renke mormorò con un sorriso: “Quel ragazzino è un autentico toccasana, per te, Aken, te ne sei reso conto? E non solo lui! Il lavoro che svolgi in Accademia è davvero un balsamo, per il tuo umore altrimenti nero.”

Annuendo gravemente, Aken disse: “Se non ci fossero loro, sarebbe davvero dura… rimanere.”

Kannor sospirò pesantemente, scrutando spiacente il principe senza avere il coraggio di mettere a parole il proprio disappunto.

Conoscere i motivi del suo dolore e non poter far nulla per alleviarlo, per un amico di vecchia data come lui era, gli pesava come un macigno ben piantato sul cuore.

D’altra parte, cos’avrebbe potuto fare?

Spingerlo a cercare Eikhe per i monti, quando per anni la stessa figlia sacra non lo aveva mai cercato?

Sapeva perfettamente che le spie di re Arkan controllavano la posta in arrivo al principe, così come quella in partenza, perciò era più che certo che nulla, di lei, fosse giunto da Marhna.

Chissà cosa le era successo, e cosa l’avesse spinta a un tale e lapidario silenzio?

Che sospettasse un possibile pericolo? Era probabile. Eikhe, dopotutto, non era una sprovveduta.

Conosceva i doveri del principe, ma non era così ferrato su quelli di una donna-lupo, perciò poteva solo fare delle vaghe ipotesi su ciò che l’aveva condotta a questo assordante silenzio.

Ugualmente, Kannor imprecò tra sé.

Se anche solo uno dei due fosse stato meno ligio ai rispettivi doveri, a quest’ora non avrebbe dovuto essere il muto spettatore del declino di un amico.

Per distogliere l’attenzione di Renke dallo sguardo turbato di Aken, Kannor disse con causalità: “Magari, se ci aggregassimo alla prossima missione che deve recarsi ad Anok Fort, non sarebbe male. Comincio ad avere il disgusto di Rajana.”

Abbozzando una risatina cattiva, il principe fissò l’amico con aria scocciata.

“Se tu provi disgusto, io allora dovrei mettermi una corda al collo e tirare forte, credimi.”

“Aken!” esclamò Renke, impallidendo visibilmente a quelle crude parole.

“Perdonami, cognata” mormorò subito lui, battendole una mano sulle quelle intrecciate di lei. “Non dicevo sul serio.”

“Ma non prenderai in considerazione l’offerta di Kannor, vero?” brontolò la principessa, scrollando leggermente il suo braccio.

“No” asserì lapidario, chiudendo una porta in faccia a entrambi gli amici con quella secca risposta.

Sbuffando, Renke scostò lo sguardo dal suo viso corrucciato al giovane Meyor che, abilmente, stava balzando con il suo stallone oltre una staccionata.

Con voce resa roca dalla rabbia, sibilò piano: “Sai essere più testardo di un mulo, quando ti ci metti. Perché tanta ostinazione?!”

“Perché così dev’essere” replicò semplicemente lui prima di scostarsi da lei e baciarle una mano. “Con permesso, mia cara. Vado a insegnare qualche trucchetto ai nostri giovani stambecchi.”

Imponendosi di non sorridergli per pura ripicca, Renke non poté che scoppiare a ridere quando Aken posò un bacio anche sulla sua enorme pancia, mormorando all’indirizzo del bambino: “Preparati a quando uscirai. Tua madre è una vera strega.”

“Vattene, malefico fratello!” sbottò lei, ridacchiando e scacciandolo via con ampi gesti delle mani.

Lui ammiccò prima di tornare al suo solito sguardo chiuso in se stesso e, nell’osservarlo allontanarsi in direzione delle stalle, Renke sospirò e chiese: “Un’amante, o un figlio?”

Kannor la guardò con un sorriso ammirato, lodando silenzioso la sua perspicacia.

“Lo strazio che prova è per un amore che ha dovuto abbandonare. Ma la sua volontà di rinchiudersi qui per sempre, non oso dire da dove provenga.”

“Quale strega lo ha lasciato a se stesso senza alcun ritegno?” protestò veemente Renke, aggrottando le sopracciglia.

“Si sono lasciati perché le esigenze lo imponevano, non perché ne avessero reale desiderio” precisò l’attendente, osservando il principe uscire dalla stalla al trotto leggero, fiero e imponente sulla sella e lo sguardo ombroso fisso sul campo di addestramento.

“Una donna non di nobile lignaggio, allora?” chiese la principessa, ora vagamente sorpresa.

Annuendo, Kannor asserì: “Preferirei ne parlaste con lui, mia Signora. Sono affari suoi, dopotutto.”

Con un modesto sorriso, Renke annuì all’uomo e disse: “Hai ragione, Kannor, perdonami. Ficcanaso perché non posso fare a meno di chiedermi da dove venga tutta la tristezza che alberga nei suoi occhi.”

“Posso solo dirvi che la donna che ama è degna di grande rispetto” mormorò l’uomo, affondando la sua unica mano nella tasca del giustacuore che indossava.

“Non mi sarei aspettata nulla di meno, da Aken” sorrise lei, prima di esclamare eccitata quando lo vide balzare oltre una serie di doppi ostacoli, come se nulla fosse.

C’era ancora un grande guerriero, sotto quella scorza apparentemente infrangibile di dolore e orgoglio.

“Voglio il tuo bacio in pegno, bel cavaliere!” esclamò a quel punto, salutandolo con ampi gesti del braccio.

Aken scoppiò a ridere sulla sella mentre, scartando con il cavallo per raggiungere una nuova serie di ostacoli, lasciava andare le briglie sotto gli occhi sgomenti della principessa.

“Dèi, ma che fai?!”

Incurante del suo grido, il principe si piegò in avanti per assecondare i movimenti dell’animale e, dopo aver stretto maggiormente le gambe attorno alla cassa toracica del cavallo, gli sussurrò all’orecchio: “Mi fido di te.”

Come una sola creatura pulsante, animale e cavallo si librarono sopra due serie di ostacoli prima di atterrare indenni sulla spianata di terriccio, acclamati dagli applausi degli allievi e scrutati con autentico stupore da Renke.

Oltrepassato lo steccato che delimitava l’area di allenamento, la principessa si avvicinò al cognato e ringhiò furente: “Che ti è saltato in mente?! Vuoi farmi partorire prima del tempo!?”

Smontando di sella con un fluido movimento di gambe, Aken la ignorò per un momento per parlare a Meyor, fermo a pochi passi da lui con la bocca ancora spalancata dalla sorpresa.

“Devi fidarti del tuo cavallo, e devi fare in modo che lui si fidi di te. Non è diverso da un tuo compagno d’armi, ricordalo. Ti servirà bene, se tu servirai bene lui. Più intenso sarà il vostro rapporto, maggiore sarà ciò che ne ritornerà a tempo debito.”

“Sì, Aken” annuì tutto sorridente Meyor prima di riprendere gli allenamenti.

Ancora ferma accanto a lui, Renke lo schiaffeggiò su un braccio, strillando: “Mi hai fatto prendere paura!”

Abbozzando una risatina, Aken diede una pacca sul fianco del cavallo, che si incamminò accanto a loro e, presa sottobraccio la cognata, lui le disse tranquillamente: “Non ricordavo non mi avessi mai visto fare una cosa simile. Perdonami. Ma non rischiavo nulla, davvero.”

“Come puoi dirlo? Hai abbandonato le redini come se  nulla fosse!” sbottò Renke, ancora piccata.

Con una scrollatina di spalle, lui replicò: “Non c’è bisogno delle redini per guidare un cavallo. Basta che lui si fidi di te, e il resto non conta.”

“E da dove viene fuori tutto questo grande sapere?” brontolò lei, ancora poco convinta.

Il suo sorriso divenne misterioso e, mentre i suoi occhi tornavano a posarsi sul cavallo al suo fianco, la voce di Aken si fece calda, persa nei ricordi.

“Una cara, vecchia amica me lo insegnò, tanto tempo fa.”

“Doveva essere un genio dell’equitazione, allora” commentò Renke, vagamente sorpresa da quella confessione.

Una breve risata lo accompagnò per alcuni attimi prima di dire: “Oh, direi proprio di sì.”

***

Rimboccate le coperte ad Antalion, che stava dormendo della grossa dopo un giorno intero di allenamenti con la daga, Eikhe chiuse alle sue spalle la porta della stanza.

Raggiunta Sendala al tavolo del soggiorno, dove la donna aveva preparato le carte per giocare a whist, le sorrise complice, pronta a giovare.

Non ve ne fu il tempo, però.

Eikhe sobbalzò sorpresa al pari di Sendala, quando udì bussare alla porta di casa, in piena notte, e senza che loro aspettassero alcuna visita.

Balzando in piedi fulminea, Sendala afferrò la sua daga, poggiata contro un muro, mentre Eikhe si avvicinava guardinga alla porta per chiedere: “Chi è?”

“Sono Kreathe di Norfol. Spero ti ricorderai di me, giovane figlia sacra” esordì una voce oltre la porta.

Sgranando gli occhi per la sorpresa, Eikhe si affrettò a togliere la sbarra di ferro che serrava il battente.

Aperta che ebbe la porta, fissò basita la donna che, dieci anni addietro, aveva conosciuto durante la seduta del Consiglio delle Anziane a Nestar.

Non l’aveva più rivista, da quel giorno, ma rammentava perfettamente i suoi lineamenti taglienti, da falco, e la sua voce possente e forte.

“Prego, entrate, Madre. Siete la benvenuta” mormorò la padrona di casa, reclinando rispettosa il capo mentre Sendala tornava a poggiare la daga contro la parete.

Osservando l’interno della baita con ampi cenni del capo, la donna si accomodò al tavolo a un cenno della sua ospite e disse: “Vi siete sistemate bene, a quanto pare.”

“Siamo state aiutate” disse sinceramente Eikhe, chiedendosi nel contempo il perché di quella visita a sorpresa.

“Non è stato facile rintracciarti, figlia sacra” le confidò Kreathe, fissandola curiosamente. “Ma possiamo anche dare la colpa al fatto che, in questi anni, ho avuto un po’ troppe cose a cui pensare, per riuscire anche a scovarti in mezzo alla foresta.”

“Perché mi cercavate, Madre?” chiese cortesemente Eikhe, prima di aggiungere: “Posso offrirvi qualcosa?”

Scuotendo il capo con un gentile sorriso, Kreathe andò subito al punto.

“In questi anni, io e altre figlie sacre abbiamo deciso di sganciarci completamente dalle nostre tribù di appartenenza per creare un nuovo ordine, una nuova via, un nuovo inizio. Poco alla volta, roccia dopo roccia, tronco dopo tronco, abbiamo innalzato un nuovo villaggio, a due giorni di cammino da Marhna, che abbiamo chiamato Hyo-den, la casa di Hyo, in onore della nostra capostipite. Lì, la vita  scorre diversamente rispetto agli altri villaggi di donne-lupo. Abbiamo ritenuto saggio seguire ciò che tu e poche altre figlie sacre avete fatto, e cioè abbandonare l’odio per seguire solo il nostro cuore.”

“Parli di Seletta?” chiese Eikhe, aggrottando la fronte.

Rammentava di averne parlato a Kreathe poco prima della sua partenza ma, da quel lontano giorno, non aveva più saputo nulla dell’amica e dei suoi figli.

Annuendo, Kreathe la mise al corrente del suo destino.

“Siamo riuscite a raggiungerla seguendo le tue indicazioni, e ora vive nel villaggio di Hyo-den assieme a noi e i suoi figli.”

Timorosa di stare solo sognando – davvero esisteva un luogo simile, per loro? – , Eikhe esalò: “Ma… come avete potuto farlo? Le altre avranno sicuramente protestato!”

Scoppiando in una risatina leggera, Kreathe replicò con malizia: “Pensi davvero che si sarebbero messe contro quasi mille figlie sacre contemporaneamente?”

“Mille?!” esclamò Eikhe prima di veder strabuzzare gli occhi di Sendala.

“Come si può dire? Negli ultimi anni, c’è stata un’autentica fioritura, a quanto pare, e molte figlie sacre di Vartas si sono unite a noi, una volta che la voce ha raggiunto anche i loro villaggi” ridacchiò Kreathe, prima di aggiungere più seriamente: “E’ un segno. Il segno che stavamo aspettando. La nostra personale rivoluzione è iniziata e io, assieme alle altre donne che compongono il Consiglio di Hyo-den, siamo partite alla ricerca di coloro che ancora non avevano saputo di noi.”

“Incredibile” sussurrò Eikhe, passandosi una mano sul volto, ancora basita di fronte a quella notizia sconvolgente.

Aggrappata alla tavola fino a farsi sbiancare le nocche, Sendala esclamò: “E’ una roba portentosa!”

Con un risolino, Kreathe proseguì nel racconto.

“Naturalmente, l’accesso è libero anche alle normali donne-lupo. Non si vuole escludere nessuna, ma le regole sono decisamente diverse, rispetto a un comune villaggio di figlie del branco.”

“Oh” esalò sorpresa Sendala, colta alla sprovvista dalla sua affermazione.

“Cosa vi ha spinte a questa decisione, Kreathe?” chiese a quel punto Eikhe, turbata da un dubbio che le faceva formicolare le mani.

Fattasi di colpo ombrosa, la donna esalò un sospiro affranto, colmo di rabbia inespressa.

“Non ho potuto impedire la morte di un figlio sacro, e questo mi ha spinta a muovermi una volta per tutte.”

“Che intendi dire?” sussurrò Eikhe, accigliandosi.

“La tragedia si è ripetuta. Un altro figlio sacro è morto per la cecità delle donne-lupo. Non si è ripetuto il Massacro di Eskit solo perché la madre è morta durante il parto, non accudita e lasciata sola a morire nel suo stesso sangue” spiegò loro Kreathe, stringendo i denti per la rabbia.

Un sospiro, e proseguì nel suo tetro racconto.

“Niandre di Margoth mi aveva mandata a cercare, avvisandomi che il parto sarebbe stato imminente, ma giunsi con un giorno di ritardo al suo villaggio, troppo tardi per lei e per il suo bambino. Mi dissi che non avrebbe mai dovuto ripetersi un simile scempio, e così raccolsi attorno a me le donne che meglio conoscevo e iniziammo la nostra opera di costruzione. Naturalmente, ho dovuto digerire parecchi insulti ma, a conti fatti, nessuna ha mai realmente voluto mettersi contro me e le altre, perché sapevano bene come sarebbe finita.”

Sbuffando, Eikhe emise una risata altrettanto ruvida e commentò: “Certo! Non avrebbero mai permesso che la freoha si scatenasse.”

“Esatto” annuì Kreathe, gelida.

“Quindi, ora avete creato di sana pianta un villaggio dove portare avanti la vostra legge” riassunse Sendala, annuendo lieta. “Beh, i miei complimenti.”

“Lo dirà il tempo, se abbiamo fatto bene o male, ma per ora viviamo meglio così” asserì la figlia sacra. “Unisciti a noi, Eikhe, assieme a tuo figlio e alla tua fidata amica. Ne saremmo liete. Lietissime.”

“Anche se Antalion è un maschio?” chiese titubante la giovane, indecisa se credere a quel miracolo o meno.

Annuendo più volte, Kreathe disse con orgoglio: “Mia figlia ha appena partorito un maschietto, e anche lui è un figlio sacro. E il suo compagno ha deciso di rimanere assieme a noi per vivere al villaggio. Inoltre, non dimenticarti i maschietti di Seletta.”

Più che mai sorpresa, non tanto dalla possibilità di tenere i figli maschi, ma di poter vivere con gli uomini amati, Eikhe esalò: “Possono… gli uomini possono realmente farlo? Rimanere accanto alle loro compagne?”

“Chi lo desidera, può farlo, ma tutti sono perfettamente consapevoli che, al villaggio, le regole sono diverse. Nessun uomo regnerà mai su noi donne-lupo. Potranno vivere con noi, ma non elevarsi sopra di noi” dichiarò Kreathe con orgoglio.

Levandosi in piedi con un sorriso sulle labbra, Eikhe disse: “Allora, lo chiederò a mio figlio.”

“Saggia decisione, figlia sacra” annuì la donna, seguendola nella stanza del ragazzo assieme a Sendala.

Armata di una lanterna, Eikhe entrò nella stanza buia del figlio, illuminando dinanzi a sé per non inciampare nei suoi giocattoli, sparsi disordinatamente a terra.

Accostandosi a lui con un sorriso sulle labbra, sussurrò: “An, tesoro, svegliati.”

Occorsero due richiami perché il bambino si svegliasse sonnacchioso, e fissasse i suoi occhi velati sulle tre donne che, gaudenti, lo stavano osservando.

Passandosi svogliatamente una mano dinanzi al viso per cancellare come un colpo di spugna i segni del sonno, Antalion biascicò: “Che c’è, mamma? Va a fuoco la casa?”

Ridacchiando, Eikhe si accomodò su un lato del letto, poggiando poi la lanterna sul comodino.

Scrutato il figlio negli occhi con una nuova speranza nel cuore, disse: “La signora che vedi si chiama Kreathe e sarebbe tanto felice se io, tu e Sendala andassimo ad abitare nel suo villaggio.”

Accigliandosi immediatamente, le residue tracce di sonno ora del tutto svanite, Antalion fissò torvo Kreathe prima di borbottare: “Io sono un maschio. Nessun maschio può vivere tra le donne-lupo, lo so fin troppo bene! Persino la zia Tyura non è riuscita a convincere le sue compaesane a riammetterci a Nestar, sebbene ora lei sia la loro Signora!”

Kreathe sorrise comprensiva, di fronte al giusto nervosismo del ragazzino.

“Lo so, figliolo. Certe volontà non si possono cancellare semplicemente volendolo. Ma noi abbiamo costruito un villaggio dove le vecchie regole non valgono più. Saresti ben accetto tra di noi, esattamente come tua madre e la tua madrina. Sei figlio di Hevos, e a noi basta. Inoltre, avresti già compagnia maschile, visto che ho un nipotino maschio.”

“Davvero, mamma?” chiese dubbioso Antalion, fissandola ai limiti del terrore prima di tornare a scrutare dubbioso la donna sconosciuta.

La speranza galleggiava attorno a lui, ma era restio ad afferrarla, ed Eikhe ne comprendeva benissimo i motivi.

In quegli anni era cresciuto solo, lontano dai suoi coetanei, malvisto dalle donne-lupo e abituato a vedere solo e unicamente adulti, che ben poco avevano a che fare con il suo stile di vita.

Persino gli zii Konis ed Enok, per quanto gli volessero bene, vivevano diversamente da lui, e non potevano comprendere appieno cosa volesse dire essere un figlio sacro.

Lui era un’autentica rarità, anche nel mondo delle figlie di Hevos.

Vivere in un luogo in cui tutti e tutte avrebbero potuto comprenderlo, aiutarlo, amarlo, in cui altri bambini e bambine avrebbero giocato con lui senza deriderlo, crescendo assieme a lui, sarebbe stato stupendo.

Ma poteva cedere al sogno, abbracciare quel sordo desiderio?

Abbracciando il figlio, Eikhe diede voce alle sue speranze, dicendo: “Se tu sei d’accordo, allora andremo.”

“Sì” sussurrò lui, contro il suo petto. “Sì.”

***

Bloccandosi a metà di un passo quando Sendala aprì bocca, Eikhe fissò l’amica a occhi sgranati ed esalò: “Ho capito bene? Tu non verrai con noi?”

Arrossendo suo malgrado, Sendala si morse imbarazzata un labbro prima di dire: “Beh, ecco, vedi… mi piacerebbe, credimi. Ma insomma, io…”

Accigliandosi leggermente, Eikhe strinse le braccia al petto e domandò severa: “Cosa non mi stai dicendo, Sendala?”

Reclinando il capo perché l’amica non la fissasse con i suoi occhi inquisitori, Sendala disse in un soffio: “Resto per Enok, ecco! L’ho detto!”

Spalancando occhi e bocca in egual misura, Eikhe reclinò lentamente le braccia, basita suo malgrado da quella notizia, prima di riuscire a dire: “Sii più chiara, per favore.”

Ormai rossa in volto oltre ogni ragionevole dubbio, Sendala parlò in fretta, gli occhi serrati per l’imbarazzo.

“Per farla breve, Enok mi piace, io piaccio a lui e alla sua famiglia e, visto che la sua attività è qui a Marhna, sarebbe sciocco spostarci così tanto. Avevo già pensato da tempo di chiederti il permesso di ampliare la baita, visto che è tua, perché vorremo tanto…”

Sendala non fece in tempo a terminare la frase che Eikhe, come un piccolo tornado, le si fiondò addosso per abbracciarla con foga.

“Oh, dèi, non ci posso credere! Oh, grazie, grazie!”

“Grazie, cosa?!” esalò Sendala, cercando in qualche modo di respirare. “Eikhe, mi stai strozzando…”

“Oh, scusa, scusa!” esclamò l’amica, ridacchiando e lasciandola andare per guardarla in viso. “Pensavo di essermi sbagliata, di aver interpretato male i vostri sguardi, invece… oh, dèi, mi rendi così felice!”

“Ribadisco; felice per cosa?! Perché non verrò con voi?” sbottò a quel punto Sendala, adombrandosi in viso.

“Felice che due delle persone che più amo al mondo si amino a loro volta” replicò Eikhe con semplicità. “E ti capisco, non temere. Ha più senso rimanere qui, per voi due. Ma tu che farai, a questo punto?”

Accigliandosi, Sendala sbottò piccata: “Non penserai davvero che mi metterò dei vestiti come quelli che porta Ildera o robe simili, spero?! Non se ne parla! Sono, e resto, una donna-lupo, e questo lui lo sa benissimo. Lo accetta senza problemi. Persino sua madre è affascinata dalla cosa, e suo padre è affascinato, quando mi vede maneggiare la daga come un guerriero. No, non ci saranno problemi, da quel punto di vista.”

“E da quale punto di vista ci saranno dei problemi, allora?” chiese Eikhe, ora incuriosita.

Sospirando afflitta, l’amica borbottò: “E’ dura ammettere che mi piaccia così tanto…”

Allo sguardo accigliato di Eikhe, si corresse in fretta dicendo: “… d’accordo, che io ami così tanto un uomo quando, per anni, li ho odiati, ma so che quel che sento per Enok non è semplice attrazione fisica. Ne sono convinta.”

Sorridendo all’amica, Eikhe annuì battendole una mano sulla spalla.

“Lo leggo nei tuoi occhi. Stai facendo la cosa giusta. Unirete due culture, e questo non potrà che essere un bene.”

“Oh, di certo i suoi amici avranno da ridire, visto che non avrà una moglie convenzionale sotto il tetto,  o dentro il letto, ma lui ha detto che non gliene importa nulla. Gli basta avere me” celiò Sendala, scrollando le spalle prima di chiederle: “Pensi sia pazzo?”

“Enok? Forse, o forse è solo uno spirito illuminato” asserì Eikhe prima di avvertire, assieme all’amica, l’ululato solitario di un lupo tra le montagne.

Subito, Liar ed Epos corsero come due forsennati fuori dalla baita, subito seguiti da Antalion che, scrutando gli alti monti visibili dalla radura, esclamò: “Accidenti, che ululato possente!”

Sia Eikhe che Sendala sorrisero liete nell’udire quel suono struggente, e che portava con sé un muto messaggio.

La giovane figlia sacra, stringendo la mano dell’amica, chiosò: “Beh, direi che questo chiude il cerchio.”

“E’ bello sapere che Lui è d’accordo” esalò Sendala con reverenziale timore.

Eikhe assentì e, nel darle una pacca sul braccio, corse fuori con lei ed esclamò al figlio e ai lupi: “A chi arriva prima al ceppo?”

“Sììì” urlò Antalion, mettendosi a correre verso la parte opposta della radura, dove si trovava lo scheletro rinsecchito di un abete morto ormai da anni.

Eikhe restò nei pressi della casa in silenzioso e assorto ascolto dell’ululato di Hevos, sorridendo fiera e sentendosi libera di sperare, per la prima volta, dopo anni.

Certo, le mancava ancora un pezzo importante del suo cuore, ma ora poteva scorgere un avvenire migliore, per sé e il figlio. Sarebbero stati bene.

Hevos lo voleva.

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Capitolo 23
*** cap. 23 ***


23.

 

 

 

 

 

Seduto comodamente alla scrivania del suo studio, Aken sollevò lo sguardo non appena udì bussare alla sua porta.

A mezza voce, lasciò entrare Kannor che, con un sorriso e un saluto, gli consegnò un paio di missive, entrambe sigillate con ceralacca e marchiate con il simbolo del cervo bianco di Karton.

Dubbioso, Aken sollevò un sopracciglio nello spezzare il sigillo della prima lettera, domandando all’amico: “Cosa fanno? Spediscono in duplice copia, ora?”

“Chissà” scrollò le spalle l’attendente, accomodandosi sulla poltrona di cuoio che si trovava dinanzi alla scrivania del principe.

Dopo aver dispiegato il foglio pergamenato, Aken sgranò leggermente gli occhi nello scorrere con lo sguardo sulla scrittura fluente dell’amico e principe Mynias.

“Che mi venga…” sbottò, ridacchiando un attimo dopo. “Senti un po’ qui!”

 

Mio carissimo e fedele amico, da decenni il nostro legame è saldo e duraturo

 ma devo ammettere che, ultimamente, mi sento quasi di odiarti. Non so cosa

sia preso alla dolce, tenera e a volte un po’ permalosa Melantha. Da quando ha

avuto il nostro quarto figlio, che lei – come pure io, ovviamente – ha voluto

chiamare Aken in tuo onore, si è messa in testa di non volermi più nel suo letto.  Ora, con tutto il rispetto parlando… non mi avevi detto, ai tempi del nostro matrimonio, che tua sorella aveva problemi di follia a lungo termine! Avresti

dovuto farmene cenno perché, per lo meno, mi sarei preparato. Continua a dirmi

che non vuole farsi toccare da me, e la cosa sta prendendo i contorni dell’assurdo. Ti avverto che ho scritto anche a tuo fratello Ruak per avere conforto anche da lui, perché ormai non so più che pesci prendere. Aiutami a recuperare mia moglie o, per quanto ho di più sacro, verrò lì e ti riempirò di pugni per non avermi preparato a un simile avvenimento!                                                   Tuo fedele amico (con riserva)

Mynias

 

Scoppiando a ridere assieme a Kannor, che si batté la mano sulla coscia abbracciata da comodi pantaloni di lana leggera, Aken si asciugò una lacrima di ilarità, sconcertato da quella missiva.

Aperta poi la seconda lettera, chiaramente scritta da Melantha, mormorò: “Non oso immaginare cosa ci sarà scritto in questa.”

 

Stimato fratello e primogenito del Regno, mi rivolgo a te sperando

in una tua buona parola e in un consiglio. Dopo la nascita del tuo

omonimo, il tuo stimatissimo amico (quanto mio stimatissimo marito)

Mynias vorrebbe nuovamente dividere con me il letto, ma io non riesco

in alcun modo a fargli capire, o meglio, a dirgli, che mi imbarazza

fargli vedere cosa, la nascita del bimbo, abbia lasciato sul mio corpo.

Vorrei per lo meno avere il tempo di ritrovare la linea, prima di concedermi

a lui ma, quando veniamo al dunque, divento rossa e mi arrabbio,

riuscendo solo a farlo innervosire e fuggire dalla stanza con la rabbia

come compagna. Non puoi dirglielo tu, per me? A te darà ascolto, e tu

salverai tua sorella minore da un guaio enorme. Lo amo così tanto

che non vorrei mai essere deludente, ai suoi occhi, ma quando provo

a dirglielo, ricado nei miei vecchi difetti e divento petulante. Con anni di

ritardo, mi scuso per essermi comportata come una sciocca bambina

e un’ingrata, ma spero saprai trovare nel tuo cuore il perdono per tua

sorella minore. Ti ringrazio fin d’ora per ciò che potrai fare per me, e ti

 mando un bacio e un abbraccio.    La tua leale e devota sorella         

 Melantha

 

“Oh, vi prego… ditemi che non è vero!” ridacchiò Aken, passandosi una mano sul volto prima di esalare: “Come fanno due persone a cacciarsi in guai simili!?”

“Perché si amano troppo?” ironizzò Kannor, ammiccando.

“Non fare dell’ironia su quest’argomento” brontolò lui, sospirando nel prendere in mano carta, penna e calamaio. “Ma tu guarda se devo mettermi a spiegare a un uomo fatto e finito come trattare la moglie, e viceversa.”

“Si fidano di te” precisò l’attendente con un sorrisino.

“Mi hanno preso per Madama Sputaconsigli?” sbuffò Aken, intingendo la punta di metallo della penna nel calamaio di marmo nero.

Scribacchiando in fretta una risposta a entrambi sotto lo sguardo divertito di Kannor, il principe si informò infine su una questione a lui cara.

“Hai avuto notizie degli esami all’Accademia? Come stanno andando, i ragazzi?”

“Da quanto mi hanno detto, finora se la stanno cavando tutti egregiamente. Per stasera, dovremmo già avere i risultati finali” gli spiegò l’attendente, osservando, oltre la finestra spalancata sul giardino, il lontano profilo fumoso dei Monti Urlanti.

Certo, viste da lì, quelle montagne sembravano solo fragili agnellini, ma sapeva bene quanto fosse un sentimento ingannevole, il suo.

Pur non essendoci mai stato, conosceva bene la loro nomea, e sapeva per bocca dello stesso Aken quanto il loro nome fosse ben più che meritato.

Ora, agli albori dell’inverno, con l’autunno inoltrato a tingere di giallo e di rosso le colline circostanti, mentre le vigne venivano prese d’assalto dai lavoranti per la vendemmia annuale, sembravano ancor più innocui.

Velati com’erano dalle nebbioline mattutine che, dal mare, giungevano silenti fino alla capitale, sembravano solo evanescenti presenze lontane e insignificanti.

Portando con sé un vago profumo salmastro, la nebbia in quel momento avvolgeva le campagne circostanti, conferendo al paesaggio un che di mistico, di soprannaturale.

Folletti e streghe avrebbero potuto spuntare fuori dal nulla, e Kannor non se ne sarebbe stupito più di tanto.

Adorava quel periodo dell’anno, perché tutto appariva calmo e pacifico, con la natura ormai pronta per il suo annuale riposo, e le genti pronte per fare altrettanto.

Quando udì la penna di Aken tintinnare all’interno del suo piedistallo di cristallo opaco, Kantor tornò a fissare il principe.

“Le porto subito al messo postale.”

“O a mio padre?” ironizzò il principe, prima di scusarsi con un gesto della mano. “Perdonami. E dire che sono anni, ormai, che sono abituato a essere tenuto sotto controllo, neanche fossi una pestilenza incarnata.”

“Non credo che tuo padre ti veda come una pestilenza” precisò per dovere di cronaca Kannor, levandosi in piedi e prendendo le due missive che Aken gli consegnò.

“No? Io credo il contrario” ironizzò il principe, scacciandolo poi via con un gesto comico della mano.

L’attendente ridacchiò nel vederlo così stranamente allegro, quella mattina, ma ipotizzò fosse l’idea di sapere Meyor finalmente diplomato, a renderlo tanto ilare.

Il ragazzo, ormai ventunenne, sarebbe uscito dall’Accademia giusto quel giorno, e Aken era sempre andato fiero di lui e dei suoi risultati scolastici.

Dubitava fortemente che le cose fossero cambiate nell’ultimo mese in cui non si erano più visti, dacché il ragazzo si era messo sotto con gli ultimi preparativi per gli esami, non uscendo praticamente più di casa.

Lasciando il principe solo nel suo studio, sapendolo così su di morale, Kannor si diresse dabbasso.

In quel mentre le trombe delle vedette, suonate a perdifiato da ogni angolo della città, dichiararono a chiare lettere il ritorno del principe Ruak nella capitale.

Dopo più due mesi di assenza, era tornato dal suo viaggio nelle lande del nord.

Nell’udire a sua volta quel suono così struggente, Aken sorrise deliziato e disse piano tra sé: “Bentornato, fratello.”

Non sarebbe corso incontro a Ruak, preferendo che Renke e i loro figli lo vedessero in santa pace e in privato.

Avrebbe parlato con lui degli aspetti prettamente ‘tecnici’ di quel viaggio esplorativo più tardi, a tu per tu di fronte a un buon vino invecchiato.

Ci sarebbe stato tempo, per chiacchierare. Di tempo, ne aveva sempre avuto fin troppo.

***

Impegnato nella rilettura di una pergamena, che riassumeva in maniera piuttosto stringata entrate e uscite dei primi sei mesi dell’anno sul commercio di pellame, Aken levò lo sguardo non appena vide entrare il fratello.

All’esterno, una lieve brezza portava con sé il profumo dei camini accesi e delle spezie utilizzate nelle cucine, il tutto mescolato al chiacchiericcio della gente nelle strade, e allo sferragliare dei carri dei commercianti.

Rajana, come sempre, splendeva per ricchezza e beltà, ma ormai da tempo la sua visione non interessava al suo principe primogenito.

Sconsolato, egli osservava sempre oltre le sue mura, perdendosi in contemplazione del profilo seghettato dei monti, che circondavano e proteggevano il regno con la loro imponenza.

Anche questa volta, non fu diversa dalle altre.

Uno sguardo sconsolato alle montagne visibili oltre le finestre aperte e un’occhiata al fratello, fermo dinanzi a lui in attesa di un suo sorriso di benvenuto.

Poggiato il rotolo di pergamena che stava leggendo, Aken disse con un mezzo sorriso: “Bene, vedo che sei tornato incolume. Com’è stato, il viaggio?”

Sedendosi e accavallando le lunghe gambe, ancora abbracciate dalle brache di pelle della tenuta da viaggio, Ruak sospirò sollevato e ammise: “Ottimo, direi! Marhna diventa sempre più bella, a mio dire. Ho anche provato ad avvicinarmi al villaggio di Nestar come mi avevi chiesto, ma mi hanno detto che Eikhe non abita più lì. Purtroppo, non ho potuto parlare con la nuova Signora del Villaggio, perché era fuori per un viaggio e le sue compaesane, come immaginerai, non sono state per nulla felici di vedere un uomo alla loro porta.”

“Nuova… Signora? E chi è?” esalò sorpreso Aken, irrigidendosi sulla poltrona.

“A quanto pare, si chiama Tyura. Ti dice nulla?” scrollò le spalle Ruak, massaggiandosi il pizzetto che si era fatto crescere sul mento.

Annuendo, il principe ammise pensieroso: “E’ la sorella maggiore di Eikhe. E così, lei non è più lì.”

“Già. E le poche persone con cui ho potuto parlare, non la conoscevano” asserì spiacente Ruak.

Sospirando, Aken annuì lentamente.

“E’ uno strazio non sapere nulla di lei da più di sedici anni. D’altra parte, non è che possa farci granché. Se anche avesse tentato di scrivermi…”

“Cosa?” borbottò Ruak, accigliandosi leggermente di fronte a quella frase lasciata in sospeso.

Il fratello lo fissò lungamente, restio se parlare o meno mentre Ruak, fissandolo dubbioso, dichiarava aspramente: “Tieniti pure i tuoi segreti, visto che sembri esserne così geloso. Ormai, sono anni che ho perso la speranza di sentirti ammettere i motivi di questo tuo volontario esilio.”

Sospirando, il principe primogenito scosse il capo, replicando stizzito: “Pensi sia divertente starsene qui, mentre vorrei essere da tutt’altra parte?!”

“Non lo so proprio, visto che ti ostini a fare il monaco muto!” sbottò il fratello minore, assottigliando le iridi cerulee. “O forse, monaco non tanto?”

“Che intendi dire?” ritorse Aken, accigliandosi subito alle sue parole.

Scrollando le spalle, Ruak sollevò una mano, ciondolandola da una parte all’altra con fare svogliato, ben intenzionato a far infuriare il fratello.

“Mentre ero a Marhna, ho visto una cosa parecchio strana.”

 “Che cosa?” insistette il fratello maggiore, fissandolo con attenzione.

Sbirciando in viso il fratello, Ruak gli domandò turbato: “E’ possibile che Eikhe ti abbia tenuto volutamente nascosto qualcosa?”

“Perché?” esalò Aken, ora più che mai sorpreso.

“Forse è stata solo la mia immaginazione ma, quando siamo passati da Marhna per fare visita al borgomastro, abbiamo incontrato alcune figlie sacre in città e, tra loro, c’era un ragazzo” ammise il principe, la voce pensierosa e confusa.

“Come? Ma… la loro legge…” esalò Aken, ora sgomento. E anche vagamente pallido.

“Lo so, lo so, me l’hai sempre detto. Ma quel giovane era abbigliato di pelli come loro, sedeva su un cavallo senza briglie e aveva un lupo al suo fianco. Ma quello che mi ha stupito maggiormente, oltre ad averlo visto con loro, è stata la somiglianza che aveva con te” asserì infine il fratello minore, vedendo impallidire ulteriormente Aken.

“Non… non è possibile…” esalò quest’ultimo, crollando contro lo schienale della sedia, le mani serrate sui braccioli ricoperti di velluto color amaranto.

“Ora, dando per scontato che tu sia stato solo con lei…” e nel dirlo, ricevette per diretta conseguenza un’occhiata ferale da parte del fratello. “…mi viene un dubbio atroce, a cui solo tu puoi darmi risposta. Quando sei stato con lei, non hai badato a certe cose, vero?”

“Non ho nessunissima intenzione di entrare in argomento con te, né con nessun altro” grugnì Aken, passandosi nervosamente una mano sul viso.

“Pensi che io mi diverta a chiedertelo? Non sono un ficcanaso e, di certo, non voglio sapere cosa combinavi di preciso con Eikhe. Ma esistono diversi modi per non far rimanere incinta una donna” replicò il giovane principe, tossicchiando imbarazzato. “Sei stato attento o no, in definitiva?”

“No” ammise alla fine Aken, arrossendo suo malgrado sotto lo sguardo attento di suo fratello.

“Questo spiegherebbe un po’ di cose, ma di certo non tutte” commentò Ruak con tono leggermente aspro.

Passandosi le mani sul viso pallido e ricoperto da una lieve patina di sudore, il fratello maggiore esalò sgomento: “Non posso credere che… che non mi abbia detto nulla. Dèi, non può avermi tenuto nascosto una cosa simile!”

“Aken, può darsi che mi sia sbagliato. Esistono tanti giovani dai capelli neri” sottolineò a quel punto Ruak, conciliante.

“Ma non penso ce ne siano molti, in una tribù di donne-lupo, che mi assomiglino come tu sostieni!” esclamò il fratello, furioso, levando il capo a guardarlo con espressione rabbiosa.

Accigliandosi, Ruak intrecciò le mani dietro la schiena e disse senza mezzi termini: “Anche quanto, di cosa vorresti incolparla? Pensi che avrebbe potuto tranquillamente presentarsi qui con un pargolo tra le braccia, piazzartelo in grembo e dirti che era tuo?!”

“Avrei preferito sapere!” sbottò Aken, pur sapendo che sarebbe stato impossibile.

Se anche Eikhe avesse tentato di farglielo sapere, in quegli anni, suo padre avrebbe certamente intercettato la sua lettera.

E forse, era meglio così.

Dubitava seriamente che, a conoscenza di un simile segreto, suo padre avrebbe semplicemente taciuto tutto.

Si sarebbe preso il personale incarico di far fuori anche il neonato, oltre alla madre impura e indegna di partorire il figlio di un principe.

“E a me piacerebbe sapere perché tu non hai provato a rintracciarla di persona! Spiegami perché ti sei segregato qui quando, alla nascita del mio primogenito, avresti potuto prendere armi e bagagli e andartene!” sbottò Ruak, adombrandosi in viso.

Reclinando il capo, preferendo non mostrare al fratello l’odio repentino che era sorto nei suoi occhi, Aken si limitò a dire: “Ho un compito, qui a palazzo. Eikhe lo sapeva meglio di me.”

Preferiva non pensare a quanto, quei sedici anni trascorsi tra le mura di quel palazzo, gli fossero parsi come una condanna a morte procrastinata all’infinito.

“Storie!” sbottò il fratello minore, piantando un pugno sulla scrivania.

Il calamaio tremò sotto quel colpo violento, mentre alcuni fogli di pergamena scivolarono dal ripiano, finendo sulle punte degli stivali di pelle di Aken.

Nell’osservarle distrattamente, il principe ereditario dichiarò pacato: “Se anche non mi distruggi la scrivania, io sarei contento lo stesso.”

Percorrendo in pochi, rapidi passi la distanza che li separava, Ruak afferrò il fratello per il colletto della tunica e, scrollandolo con forza per fargli sollevare il mento, gli ringhiò contro: “Voglio la verità, una volta per tutte! Cosa. Ti. Ha. Trattenuto. Qui?!”

Spingendolo via con un impeto d’ira, Aken sibilò tra i denti: “Pensi mi sia piaciuto restare qui a respirare l’aria fetida di questo schifoso palazzo? No, per niente! Ma avrei dovuto condannare a morte Eikhe?!”

Sobbalzando a quelle parole, il giovane principe perse qualsiasi animosità, limitandosi a fissare basito il fratello che, con un pesante sospiro, scosse il capo, sconsolato.

“Pensi che volessi sobbarcarti del peso di questo segreto? No, per nulla.”

“Aken, ti prego, fidati. Non hai il minimo rispetto per me?” esalò a quel punto Ruak, sinceramente dispiaciuto.

Passandogli accanto per raggiungere la finestra, Aken lanciò uno sguardo alle colline vicine, dove qualche leggero filamento di nebbia pallida persisteva tra i filari.

Con voce piana, mormorò: “Rispetto per te, fratello? Ne ho più di quanto tu non creda, ma non volevo rovinare per sempre la reputazione di nostro padre ai tuoi occhi.”

“Non dirmi che…” ansò Ruak, non riuscendo neppure a terminare la frase che aveva iniziato.

Volgendosi per scrutarlo in viso, il fratello si appoggiò al muro perimetrale e annuì.

“La decisione da prendere era semplice quanto definitiva. O io sceglievo di rimanere a palazzo, salvando Eikhe dalla forca e le figlie del branco da morte certa, oppure nostro padre avrebbe inviato un assassino a ucciderla prima ancora che io avessi messo piede fuori da Rajana per raggiungerla.”

“Oh, dèi, no! Non può averlo veramente fatto!” esclamò Ruak, cercando a tentoni la poltrona di Aken per potersi sedere.

La sola idea di un simile quanto scellerato patto fece impallidire il giovane principe che, scrutando il fratello, esalò con voce flebile: “Neppure la nascita di Meriton è servita a…”

Scuotendo il capo, Aken mormorò: “Non gli interessava sapere che la dinastia fosse salva, quanto piuttosto che il mio sangue non venisse mescolato con qualcuno di impuro. Così, per salvare Eikhe, accettai di rimanere qui, a patto che lui non la toccasse, altrimenti io mi sarei ucciso nel momento stesso in cui avessi scoperto che le era successo qualcosa. E credimi, l’avrei saputo. Non solo nostro padre utilizza delle spie per tenermi sott’occhio, ma anche io per tenere sotto controllo lui e i suoi sgherri.”

Passandosi le mani tra i corti e chiari capelli, Ruak imprecò vistosamente prima di esclamare: “E non potevi rivolgerti a me, maledizione?!”

Fissandolo sinceramente stupito, Aken esalò: “Che vuoi dire?”

Imprecando nuovamente, il fratello minore si levò in piedi in modo così violento da far barcollare lo scranno su cui si era accomodato e, raggiunto il fratello, poggiò pesantemente le mani sulle sue spalle.

“Avremmo potuto aiutarti! Sciocco presuntuoso che non sei altro! Hai perso sedici anni solo per il tuo stupido orgoglio?!”

“Non volevo rovinare la stima che tu hai di lui” disse semplicemente Aken, sorridendo a mezzo. “Sei mio fratello, Ruak. Prima di tutto, viene il tuo bene. Inoltre, come avresti fermato gli assassini di nostro padre? Ponendoti semplicemente dinanzi a loro?”

“Aken…” esalò il giovane, sgranando lentamente gli occhi prima di assottigliarli pericolosamente e scostarsi dal fratello.

Senza nessun preavviso, scaricò un destro sul mento di Aken che, completamente colto di sorpresa, incassò senza difendersi e finì contro il muro, sbattendo rumorosamente il capo.

Imprecando per il male e per quel colpo proditorio, il fratello maggiore digrignò i denti e lo afferrò per la collottola, sollevandolo di peso prima di sbatterlo con forza contro la parete.

“Che accidenti fai, idiota?!”

“Allora, hai ancora le palle per reagire!” sogghignò Ruak, cercando di fare forza sulla mano del fratello, che ancora lo teneva strettamente al collo.

“Deficiente che non sei altro! Volevi che ti spaccassi la testa, per provartelo?” sibilò Aken, mollando la presa prima di restituirgli la pariglia e tirargli un destro in faccia.

“Ahia!” esclamò il secondogenito, tenendosi il naso dolorante.

Un attimo dopo, una scia di sangue percorse il suo viso, macchiandogli le mani e il colletto inamidato della tunica. “Ottimo davvero.”

“Te la sei cercata” sbottò Aken, accennando un sorrisino prima di dire, più seriamente. “Grazie, Ruak. E scusami.”

“Per cosa? Per il pugno?” gli replicò lui, estraendo in fretta un fazzoletto dalla tasca dei calzoni per tamponarsi il naso dolorante e già gonfio.

Scrollando le spalle, come se del pugno non volesse affatto scusarsi, Aken si limitò a dire: “Mi scuso per non aver confidato di più in te. Ho voluto fare tutto dannatamente da solo, e ho finito con il rinchiudermi in un circolo vizioso che non mi portava da nessuna parte. Nel farlo, ho ferito te, la mamma, Kannor, Renke… tutti voi. Ma onestamente, cosa avreste potuto fare? Abbiamo comunque le mani legate.”

Annuendo lentamente, Ruak lo squadrò accigliato dicendo: “Meno male che lo ammetti. Meglio tardi che mai, dicono.”

“Quindi, ora che sembro essere rinsavito, cosa dovrei fare?” ironizzò il fratello maggiore, massaggiandosi la mandibola. “Maledizione, Ruak, ma tirare più piano, no?”

Indicandosi il naso malconcio, Ruak replicò caustico: “Mi sembra di aver pagato con gli interessi.”

“Forse” ammise l’altro, lanciando nuovamente uno sguardo al panorama fuori dalle finestre. “Pensi che, se anche li trovassi e scoprissi che, effettivamente, quello è mio figlio, mi vorrebbero con loro? E rimane comunque nostro padre, e la minaccia di uccidere Eikhe e fare del male alle figlie del branco.”

“Ti farai fermare dal dubbio?” lo irrise bonariamente Ruak. “Aken, a ogni modo, qui sei infelice, e non penso tu vorrai passare più della metà della tua esistenza ancora qui. Ricorda che abbiamo un’aspettativa di vita maledettamente lunga, nella nostra famiglia. Hai quarantun anni, e passarne altri quaranta, come minimo, a struggerti per un amore lontano, è un’idea molto più che orrenda. E’ stupida.”

Il fratello aveva ragione.

Per quanto il padre avesse già settant’anni, era ancora forte come un toro, e non sembrava affatto intenzionato a mollare le redini del comando.

Aken sarebbe morto di inedia, prima di vedere il padre prendere la via dei Cieli Azzurri.

Pensiero davvero crudele, ma del tutto veritiero.

Non poteva aspettare ancora.

Di certo, comunque, non ora che aveva scoperto che, molto probabilmente, aveva lasciato sola la sua famiglia per più di sedici anni.

“Dèi, avrebbe tutto il diritto di uccidermi! Non ho minimamente pensato al fatto che avrei potuto lasciare molto più del mio seme, dentro di lei” sbottò Aken, dandosi uno schiaffo in fronte per la stupidità dimostrata.

Abbozzando un sorrisino, Ruak celiò: “Mi sa che eri troppo preso da lei, per pensare a questo o forse, inconsciamente, speravi che il tuo seme attecchisse. Chissà.”

“A ogni buon conto, devo scoprire la verità. Ho lasciato che la situazione mi sfuggisse di mano, lasciando che nostro padre potesse minacciare di attentare alla vita di Eikhe, ma ora cercherò di fare ammenda… se tu mi aiuterai” stabilì Aken, sorridendo speranzoso all’indirizzo del fratello.

“Ora non darti tutte le colpe. Anche nostro padre ci ha messo del suo, imponendoti quell’assurdo accordo. E io ci ho messo del mio non arrivando a capire che non tu, ma qualcun altro, ti tratteneva qui a palazzo” replicò Ruak, scrollando il capo quando vide Aken tentare di negare il suo dire. “Ti aiuterò a recuperare ciò che hai perso, fratello. Fosse anche l’ultima cosa che faccio.”

“Grazie, Ruak” mormorò il fratello maggiore, avvicinandosi per stringergli il braccio con affetto.

Ruak, allora, lo abbracciò strettamente e mormorò: “Per te, questo e altro. E’ giunto il tempo che io aiuti te, e protegga te.”

***

Disporre che, il mattino seguente, lui e la sua scorta personale partissero per un viaggio in direzione dei Monti Urlanti, avrebbe sicuramente attirato le attenzioni del re.

Il padre si sarebbe sentito in dovere di conoscere tutti i particolari dei loro spostamenti e, come da sua abitudine, avrebbe interrogato in prima persona ogni componente della compagnia.

Per sua sfortuna, però, essa contava trentacinque uomini, quindi avrebbe avuto il suo bel daffare per terminare gli interrogatori prima dell’avvento della sera.

Per quell’ora, Aken sarebbe stato ben lontano, mentre suo padre si sarebbe ritrovato con un mucchio di deposizioni inutile, in cui nessuno era al corrente di nulla.

Ammetteva candidamente che avrebbe voluto tanto essere una mosca, ed essere presente nel momento in cui avesse scoperto la verità.

Certo, sarebbe stato subito ovvio quale fosse la sua destinazione, una volta scoperta la realtà dei fatti.

Contava comunque di ottenere un discreto vantaggio sulla squadra che, sicuramente, il re avrebbe inviato a cercarlo per i monti.

Per una volta, sarebbe stato costretto a delegare il comando a qualcuno che non fossero i figli, e questo gli avrebbe rubato tempo ulteriore.

Partire all’ora undicesima, con il favore della notte e quando solo i mercanti si muovevano da Rajana per raggiungere le Carovaniere, era il sistema migliore per uscire in incognito dalla capitale.

Indaffarato com’era nel preparare i bagagli che, a breve, avrebbe caricato sul cavallo, Aken sobbalzò di sorpresa e si lasciò andare a un ben poco mascolino urlo di sgomento quando, di colpo, qualcuno bussò alla porta.

Preso fiato e nascoste in fretta le sacche sotto il letto, Aken domandò: “Chi è?”

“Sono tua madre. Posso entrare?” chiese Anladi, con voce soffusa.

Sospirando di sollievo, l’uomo le concesse di entrare dopo un attimo e, mentre la donna emergeva nella stanza come un’evanescente figura, lui le chiese: “Avevi bisogno di me, madre?”

Lei si limitò a oltrepassare la distanza che li separava e, dopo aver sfiorato il livido che dipingeva la mandibola del figlio, sorrise divertita.

“Certo che ve le siete date di santa ragione.”

“Già. Ed è andata anche bene che Renke non si è voluta rivalere su di me, per aver malmenato il suo maritino” ridacchiò Aken, prima di notare lo sguardo serio della madre. “Che succede, madre?”

Scuotendo il capo, Anladi infilò una mano tra le falde della gonna e, estratto da una tasca un piccolo pugnale ingioiellato, afferrò una mano del figlio e ve lo pose sopra.

“Non è che un misero pegno, rispetto a ciò che ha dovuto pagare Eikhe in questi anni a causa nostra, ma vorrei che tu glielo donassi da parte mia.”

Accigliandosi leggermente, il figliastro strinse il pugnale tra le dita, mormorando: “Ruak ti ha detto che…”

Lei annuì, un gesto secco e dignitoso.

“Non ho fatto a sufficienza per te, figlio mio, ma ora che hai deciso di ribellarti allo sciocco patto che hai stretto con tuo padre, voglio essere con te fino in fondo” dichiarò Anladi, salda nelle sue convinzioni. “Insieme, riusciremo a battere sul tempo tuo padre, ed Eikhe non verrà mai raggiunta dal lungo braccio della corona.”

“Madre, ma tu non…” tentò di replicare Aken, subito azzittito da Anladi.

Poggiato un dito sulle labbra del figlio, la donna sorrise tristemente e mormorò: “Non ho la forza di Eikhe, né il suo coraggio. Ma posso fare qualcosa per te, anche se non quanto vorrei.”

“Che intendi dire?” volle sapere lui, aggrottando leggermente la fronte.

“Darò un sonnifero a tuo padre perché si svegli più tardi del solito, così avrai qualche ora in più per renderti irrintracciabile e, se gli dèi lo vorranno, le nevi dell’inverno cancelleranno il tuo passaggio, impedendo di fatto ad Arkan di preparare una spedizione da inviare al nord perché trovi te ed Eikhe” gli spiegò Anladi, sorridendo mesta.

“Madre, sei certa di volerlo fare?” le chiese allora Aken, stringendole delicatamente le spalle con le mani.

Annuendo con orgoglio, Anladi dichiarò: “Non sarò una guerriera, ma sono una madre. Perciò, sì, sono certa di volerlo fare.”

Abbracciandola con tenerezza, lui le sussurrò tra i folti capelli: “Non sarò tuo figlio di sangue, ma sono tuo figlio col cuore.”

“Ti ho sempre voluto bene come se fossi nato dal mio grembo” sussurrò Anladi prima di scostarsi da lui e chiedergli: “A che punto sei con i preparativi?”

“Ho quasi finito. Contavo di partire tra mezz’ora” le spiegò Aken, vedendola annuire.

“Andrò a preparare la tisana per tuo padre come al solito, e aggiungerò della radice di elanna per farlo riposare lungamente. Prima delle undici di domattina, non riuscirà ad aprire occhio” gli spiegò a quel punto Anladi, fissandolo con sguardo determinato.

“Grazie” sussurrò Aken. “Visto che già sai, posso chiederti un favore personale?”

“Tutto ciò che vuoi, figlio mio” annuì la donna, ben lieta di rendersi utile.

Consegnandole alcune lettere,  le spiegò a chi fossero indirizzate.

“Sono per Renke, Kannor, Iruna e Meyor. Non ho materialmente il tempo di spiegare loro cosa stia per succedere, ma non voglio lasciarli senza neppure una spiegazione. Penserai tu a che vengano consegnate loro?”

“Le porterò di persona, e Iruna verrà a lavorare con me, cosicché il suo posto di lavoro sia salvo. E io, in cambio, avrò un’amica davvero fidata tra le mie fila. Kannor lavora già spesso con tuo fratello, quindi anche lui non avrà problemi” sorrise Anladi prima di stringere al petto le missive, protettiva. “Mi farai sapere in qualche modo che stai bene?”

“Se gli dèi me lo concederanno, lo farò, madre” la rassicurò Aken, baciandola sulle guance.

La donna allora annuì in silenzio, non fidandosi a parlare e, con passo silenzioso, uscì dalla stanza del figlio per recarsi, come ogni sera, nelle cucine del palazzo per preparare la tisana al suo consorte.

In tanti anni, Arkan aveva sempre voluto che quel particolare compito spettasse a lei, e lei sola, anche se non aveva mai compreso i reali motivi di quella richiesta.

Forse, come nel caso dei figli, per certe questioni si fidava unicamente della propria famiglia.

Alle cuoche era sempre parso normale, quindi ne aveva dedotto che anche la madre di Aken, a suo tempo, avesse fatto la stessa cosa.

A onor del vero, comunque, mai vizio le era parso più propizio e utile di questo, in quel preciso momento.

Con un sorriso che rasentava la soddisfazione, entrò perciò nell’enorme salone delle cucine, dove quasi tutti i fuochi erano stati spenti, e solo alcune sguattere erano presenti.

Erano così indaffarate a strofinare pentolame, da non rendersi neppure conto della presenza della loro regina.

Solo la capocuoca, ancora presente sul posto come suo solito, le tributò il saluto a lei dovuto.

Dopo averle consegnato la busta di pelle contenente le foglie per la tisana, si inchinò e si allontanò per lasciarla ai suoi doveri.

Quando fu certa che nessuno la osservasse, Anladi fece scaldare l’acqua assieme alla radice di elanna, che aveva tenuto nascosta nella tasca della gonna fino a quel momento.

Non appena vide bollire l’infuso, vi aggiunse le solite foglie di uwera azzurra per facilitare il riposo del suo consorte.

Così facendo, il sapore amaro della radice non si sarebbe percepito in alcun modo, e Arkan non avrebbe sospettato nulla nel berlo.

Non le piaceva agire a quel modo, specialmente nei confronti del marito ma, per aiutare suo figlio, avrebbe commesso ben altri misfatti.

Mescolando con cura l’infuso fin quando non prese la sua consueta colorazione verdognola, Anladi poggiò la tazza su un vassoio d’argento e, in silenzio come era giunta, uscì dalle cucine per recarsi ai piani superiori.

Da lì, raggiunse la camera padronale dove, entro breve, sarebbe giunto Arkan di ritorno dalla Sala del Fumo.

L’odore rancido dei suoi abiti, quella sera, le sarebbe apparso dolce, visto che quell’assidua abitudine le aveva permesso di muoversi in tutta calma.

Avrebbe addirittura acceso lei stessa una delle corte sigarette fumate dalle nobildonne per regalarsi un attimo di evasione, se non le avesse trovate a dir poco disgustose.

No, meglio pensare alla buona riuscita del piano.

Le sarebbe bastato veder dormire Arkan fino a tardi, per avere il suo momento di compiacimento.

Fu perciò con un sorriso e un saluto che Anladi accolse il marito quando, una decina di minuti dopo, varcò la soglia con il suo passo claudicante e, al tempo stesso, possente.

La bianca criniera che ne incorniciava il viso, non faceva che mettere in risalto i suoi tratti scolpiti.

Odiandolo per ciò che aveva fatto al figlio primogenito in quegli anni, non riuscì a provare un briciolo di compassione per lui, che non era stato in grado di comprendere Aken come, invece, Eikhe era riuscita con così tanta chiarezza.

Prenditi cura di lui, e abbi pietà di tutti noi, pensò tra sé Anladi prima di indicare la tisana al marito e dire: “Il tuo tonico, caro, come sempre.”

“Grazie, moglie” borbottò al solito Arkan, sedendosi sul bordo del letto prima di prendere in mano la tazza.

Scrutandolo dalla parte opposta del talamo, lo sguardo fisso sulle labbra del marito dischiuse sulla ceramica bianca, si lasciò andare a un sorriso di autentico trionfo quando scorse il liquido scivolare nella sua bocca.

Al movimento della sua gola nel deglutire, la donna esultò tra sé: “E’ fatta, Aken! E’ fatta!”

***

L’aria mattutina era frizzante sulla sua pelle e, oltre le mura di Rajana, il paesaggio era bello come pochi.

Ora che poteva vederlo senza sognarlo a occhi aperti come aveva fatto in quegli interminabili sedici anni, non gli sembrava vero poter riprendere la via dei monti e visitare nuovamente il suo regno.

Spronando il suo cavallo a proseguire lungo la Carovaniera Settentrionale in direzione di Marhna, Aken sorrise nel pensare al putiferio che, la sua mancanza, avrebbe prodotto a palazzo.

Alla fin fine, però, poco gli importava.

Doveva trovare Eikhe e sapere se, realmente, avevano avuto un figlio insieme.

Stavolta, corona o non corona, sarebbe arrivato in fondo alla cosa e non l’avrebbe abbandonata mai più.

***

“Come sarebbe a dire che nessuno sa dove sia andato mio figlio?! Non può essere svanito nel nulla!” sbraitò re Arkan, dopo aver interrogato uno a uno la scorta privata di Aken.

Non solo quella mattina si era alzato più tardi del solito, provando oltretutto un insolito quanto fastidioso mal di capo, ma aveva scoperto con orrore della decisione del figlio di abbandonare Rajana.

Naturalmente, si era mosso lesto per raggiungere le stanze di Aken, e solo per scoprire che lui era svanito nel nulla.

La sua scorta di soldati, invece, era ferma da ore nel cortile del palazzo, in attesa di ordini che non erano mai giunti.

Interrogati gli uomini uno a uno, per essere certo che nessuno di loro volesse coprire il loro principe mentendo spudoratamente, Arkan si era ben presto ritrovato davanti a un autentico rompicapo.

Neppure un soldato era stato in grado di riferirgli alcunché. Avevano tutti trovato l’avviso, la sera antecedente, di prepararsi per la partenza il mattino seguente.

Null’altro. Né la destinazione del viaggio, né tanto meno la durata.

In piedi alle spalle del pare, Ruak rimase impassibile per ore a osservare gli interrogatori portati avanti dal sovrano con sempre crescente irritazione.

Il comandante della guarnigione, a sua volta presente, non seppe che dire, di fronte a un simile mistero e, contrito, mormorò spiacente: “Abbiamo ricevuto ordine di tenerci pronti per stamani, Sire, ma il principe non si è mai presentato, né ci ha mai fatto sapere la destinazione del suo viaggio.”

“Maledizione! E le guardie di vedetta, …non hanno visto nessuno?!” esclamò il re, battendo a terra il suo bastone quand’anche l’ultimo soldato, all’imbrunire, fu mandato via dall’ufficio del comandante.

Incassando il capo tra le spalle, il comandante mormorò contrito: “Escono molti commercianti, la notte, mio Signore e, se il principe  si fosse accodato a loro, nessuno avrebbe potuto riconoscerlo, né tanto meno notarlo.”

“Siete degli incompetenti! Tutti quanti! Vi siete fatti sfuggire un uomo da sotto il naso!” ringhiò Arkan, fuori di sé dalla rabbia. “Non è un caso se i miei ordini vengono sempre eseguiti dai miei figli! Siete del tutto inutili!”

“Padre, Aken è abbastanza bravo, in questo. Non puoi dare loro la colpa per non averlo notato” commentò Ruak, conciliante.

“E tu… ha parlato con te, prima di questa follia! Cosa gli hai detto?!” sbottò per contro l’uomo, fissando il figlio minore con espressione torva.

“Nulla di così eclatante. Gli ho solo fatto un resoconto del mio viaggio, com’era mio dovere fare” dichiarò il figlio, imperturbabile.

“Vieni con me, Ruak. Io e te dobbiamo parlare” gli ordinò il re, avviandosi con passo claudicante fuori dall’ufficio del capo guarnigione.

Lasciando che suo padre rientrasse a palazzo per i fatti suoi, Ruak fece cenno al comandante di non preoccuparsi di nulla dopodiché, raggiunto il padre dopo una breve corsetta, lo affiancò e disse: “Secondo me, non c’è di che preoccuparsi, padre. Sono sicuro che tornerà presto. Inoltre, trattare i soldati a questo modo, è tutt’altro che utile alla corona.”

“Oh, lo farà di certo, perché scandaglierò ogni centimetro del regno, per riportarlo indietro. Quanto ai soldati, meritano le reprimende che ho rifilato loro, poiché non sono in grado di fare quanto assegnatogli” sentenziò Arkan, sorprendendo il figlio col suo dire. “Gli era vietato uscire da Rajana, e lui lo sapeva, e posso solo pensare a un’unica cosa, o meglio, a un’unica persona che lo abbia spinto a un simile gesto.”

Aggrottando la fronte, Ruak aprì per il padre un portoncino di legno per rientrare all’interno del palazzo ma, prima di lasciargli libero accesso, si volse verso di lui tenendo il braccio teso contro lo stipite della porta.

“Tu hai tenuto rinchiuso tuo figlio per sedici anni, e solo perché non si è voluto piegare ai tuoi voleri?!”

“Rinchiuso! Rajana non è una prigione!” replicò il re, furibondo, dando una spinta al braccio del figlio, ma senza ottenere grossi risultati.

Accigliato, lo fissò con sguardo sempre più ombroso ma Ruak, incurante del suo fiero cipiglio e del suo orgoglio ferito, replicò con ferocia: “Per una persona con il cuore di Aken, la è eccome! Per questo si è fatto più ombroso e cupo, anno dopo anno, impedendosi di vivere come avrebbe voluto!”

“Tuo fratello ha accettato il patto, quindi era consapevole di ciò che lo avrebbe aspettato!” replicò Arkan, testardamente. “Tu non sai cosa avrebbe voluto fare!”

“Oh, se lo so! E mi chiedo con che coraggio tu gliel’abbia vietato, però!” sbuffò il figlio, disgustato.

“Maledizione, Ruak! Mi ha chiesto di lasciare Rajana per… per una semplice donna-lupo!” esclamò il re, ora sconvolto di fronte alle esternazioni del figlio.

“Quella stessa donna-lupo che ha salvato Aken e il regno, con le sue informazioni, e che tu hai tanto elogiato al suo arrivo qui a palazzo! O l’hai dimenticato? Spiegami perché Eikhe non meritava l’amore di mio fratello e, forse, ti concederò di comprendere anche il tuo punto di vista” sibilò Ruak al colmo della rabbia, gli occhi azzurri freddi come lame di ghiaccio.

“Non puoi capire. Tu ti sei sposato con Renke perché io l’ho deciso, ma solo per vostra fortuna siete uniti anche dall’amore. Ma le cose non funzionano quasi mai così, nella vita. Aken ha dei doveri, e deve assolverli!” ringhiò Arkan, diventando scarlatto in viso per l’ira.

“Ma ha anche un cuore, e io reputo sia più importante questo, piuttosto che gli stupidi doveri cui è sottoposto! Non ti sei mai reso conto che Aken, qui a corte, non si è mai trovato bene, anche prima di conoscere Eikhe?” replicò Ruak, ormai livido.

Sbatté le braccia, furente come mai prima, e tornò ad affrontarlo.

“Lui si sentiva appagato solo quando era fuori da palazzo, in aperta campagna, con i suoi uomini, ma non qui, non in questo suppurato di veleni che è la corte!”

“Che vuoi dire, Ruak!?” ringhiò il padre, aggrappandosi con forza al suo braccio teso per scostarlo.

Nulla da fare, il figlio era irremovibile.

“Che stavi uccidendo tuo figlio, padre, e solo perché non sei riuscito a vedere oltre il tuo naso!” disse Ruak, spietato. “E io non ti aiuterò a perpetrare questa immonda opera! Se realmente lo vuoi riportare qui, dovrai fare da solo. Da me non uscirà una sola parola.”

Detto ciò, Ruak abbassò finalmente il braccio per lasciarlo passare e il padre, sbuffando sprezzante, esclamò: “Lo troverò senza il tuo aiuto, stanne certo! E farò ciò che avrei dovuto fare tanti anni addietro, indipendentemente dalle parole di mio figlio. Uccidere quella donna.

Accigliandosi mentre, con passo claudicante quanto fiero, il padre si allontanava da lui per dirigersi verso il suo studio, Ruak si volse per tornare alla guarnigione.

Lì, parlò direttamente a uno dei suoi uomini più fidati e, dopo essersi assicurato di venire avvisato di qualsiasi mossa del padre, tornò a palazzo, da sua moglie.

Fu sul mezzanino delle scale, che portavano all’ala del palazzo che divideva con Renke, che si vide sbarrare la strada dalla madre.

Il suo sguardo preoccupato le fece capire quanto fosse in ansia – per il marito o Aken, non avrebbe saputo dire – e, torvo, si limitò a chiederle: “Perché non capisce?”

Anladi non disse nulla, limitandosi ad abbracciarlo con delicatezza e Ruak, stringendola a sé, sospirò tra i suoi capelli striati di bianco sulle tempie.

“Se riesce a riportarlo qui, ne morirà. Non ci sarà speranza, per lui.”

“Eikhe riuscirà a salvarlo, ne sono sicura” mormorò la madre, sorridendo mesta al figlio nello scostarsi da lui. “Insieme riusciranno laddove, da soli, avrebbero avuto pochissime possibilità.”

“Lo spero. Non ho intenzione di vedere ancora mio fratello  nello stato in cui versava quando era qui” sospirò Ruak, prima di aggiungere: “Vado dai miei figli, madre. Se avessi bisogno di me, sai dove trovarmi.”

“Sì, Ruak, pensa a loro. Io me la caverò. L’ho fatto per così tanti anni” annuì Anladi, con un lieve sospiro.

“Se dovesse toccarti anche solo con dito, io…” iniziò col dire Ruak, prima di venire azzittito dalla madre che, con un dito, sfiorò le sue labbra tese in una smorfia.

“Starò alla larga da lui finché non avrà ripreso il controllo di sé e, a quel punto, non rischierò più nulla. Ormai, penso di aver imparato bene a capire come prendere tuo padre” replicò la donna, abbozzando un sorriso.

Dandole un bacio sulla fronte, Ruak si allontanò dopo averle sussurrato torvo: “Imparato o meno, se ti tocca, lo ammazzo.”

***

Seduto di fronte al letto della sua terzogenita, Naell, Ruak levò lo sguardo quando udì i passi a lui familiari della moglie e, sorridendole, la accolse vicino a sé.

“La febbre mi sembra sia calata.”

“Sì, caro” annuì Renke, sorridendogli. “Ho controllato anche prima, e pare stia procedendo tutto bene. Per domani, comincerà a fare di nuovo i capricci.”

“Ottimo” ridacchiò lui, stringendole una mano prima di portarsela alle labbra per un casto bacio.

“Tra la servitù, si fa un gran parlare della lite con tuo padre, oltre che della fuga di Aken. Cos’è successo?” chiese a quel punto Renke, fissando curiosa il marito.

“Aken ha scoperto di non poter più vivere qui, punto” riassunse il marito, glaciale. “Se mio padre non lo capisce, tanto peggio per lui. Io non lo aiuterò a trovarlo.”

“Tu sai dov’è?” gli chiese allora la moglie, carezzandogli il collo con un dito in lente, dolci carezze.

“A grandi linee, ma non te lo dirò, così potrai dire in tutta sincerità di non saperlo, se mai un giorno oseranno chiedertelo” le sorrise Ruak, prendendola con calma sulle sue ginocchia.

Affondando poi il viso tra i suoi capelli, rilasciati mollemente sulle spalle, l’uomo aggiunse: “Ho visto mio fratello farsi sempre più cupo, anno dopo anno, senza saperne i motivi, ma ora che so farò il possibile perché non lo riportino indietro.”

“Tuo fratello sarebbe orgoglioso di te” sorrise Renke, baciandolo sulle guance con tenerezza. “E’ andato dal suo amore perduto?”

“Come lo sai?” esalò Ruak, sorpreso, fissandola con estrema curiosità.

Ridacchiando, la moglie disse: “Voi uomini siete trasparenti come il vetro, per certe cose. Si vedeva bene che il cuore di Aken era lacerato da un amore che non poteva vivere pienamente, quindi ho dedotto che la sua fuga fosse dovuta a quello.”

“Sei una miniera inesauribile di sorprese, mio amore…” sorrise Ruak. “… sì, sta andando da lei.”

“Sono sicuro che saprà trovarla. Quando si mette in testa una cosa, tuo fratello fa di tutto per portarla a termine. Nel bene e nel male, almeno da quanto abbiamo visto, ti pare?” sorrise Renke.

“Già, hai ragione” annuì Ruak.

 

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Capitolo 24
*** cap. 24 ***


24.

 

 

 

 

 

L’imbrunire stava scivolando lentamente attorno ad Aken, con i suoi colori cupi e  l’aria sempre più fredda.

Cercando con lo sguardo un luogo per nascondersi per la notte, il principe desiderò trovare quanto prima un rifugio adatto allo scopo.

Era impensabile fermarsi in un villaggio – era possibile che qualcuno lo riconoscesse, nonostante gli anni passati chiuso al castello.

Ancora di più, era rischiosa la sola idea di utilizzare una delle capanne che sorgevano sul ciglio della Carovaniera.

Pur se adibite appositamente allo scopo di ospitare i viandanti, sempre in transito lungo la via del nord, non erano adatte a lui, che era un fuggiasco ricercato.

Sarebbe stato il primo luogo in cui gli armigeri di suo padre – e un tempo suoi uomini – lo avrebbero cercato.

Alla capitale, ormai, il padre doveva aver compreso le sue intenzioni e, se lo conosceva bene, stava già predisponendo una squadra di ricerche.

E una pronta a riversarsi su Nestar per uccidere Eikhe, pur se ora sapeva che lei non si trovava più lì.

Questo, però, i soldati non lo sapevano e, per evitare che innocenti donne-lupo pagassero per loro, avrebbe dovuto raggiungere Marnha per primo, e alla svelta.

Per questo, era consigliabile non lasciare in giro neppure il più piccolo brandello di prova della sua presenza.

Il bosco era l’unica soluzione.

Oltre a un aiuto insperato, pensò un secondo dopo, sorpreso.

Aken levò il capo con sguardo colmo di stupore quando, alle sue orecchie, giunse il familiare ululato di un lupo. Un lupo molto particolare.

Si volse a destra e a sinistra, ben deciso a comprendere da dove provenisse quel suono ancestrale.

Solo una volta nella vita aveva udito quel particolare suono, e non era più riuscito a dimenticarlo.

Sapeva fin troppo bene chi era.

Evanescente come un’apparizione spettrale, una bianca figura ammantata da un alone di luce spuntò come dal nulla dal bordo della foresta.

Mentre il cavallo scartava nervosamente sotto di lui, Aken fissò a lungo quella divina emanazione, senza peraltro riuscire ad aprire bocca ed esternare in qualche modo la sua sorpresa.

Mai, nella vita, si sarebbe aspettato di veder comparire nuovamente dinanzi a lui la figura immortale di Hevos.

A quanto pareva, però, il dio-lupo lo stava onorando della sua presenza per motivi che ignorava completamente.

Il principe diede delle pacche leggere sul collo del cavallo per calmarlo mentre, con lievi sussurri all’orecchio, lo pregava di non spaventarsi.

Allo stesso tempo, la voce stentorea del dio-lupo gli giunse alle orecchie come una musica magistralmente eseguita.

“Vieni a me, figlio del branco, e ripara il tuo corpo mortale dalla notte!”

Smontando da cavallo con un’espressione sul volto che rasentava lo sconcerto, Aken attirò il cavallo verso il bosco, strattonandolo gentilmente per le briglie.

Hevos, imperturbabile, si sedette sulle zampe posteriori, attendendo paziente il suo arrivo.

Quando fu abbastanza vicino per scorgere bene la sua figura, il principe notò un particolare curioso e che, la prima volta che si erano incontrati, non aveva scorto.

Attorno al lupo, un lieve strato di brina ricopriva le foglie secche del prato ove era assiso.

Come se Hevos avesse compreso il motivo di tanta curiosità, dipinta nei suoi occhi di smeraldo, disse a mo’ di spiegazione: “Io e la neve siamo eterni compagni. In nessun altro modo avrei potuto chiamare a Rajana la tempesta, tanti anni addietro.”

Rammentando il tempo in cui Eikhe era rimasta a palazzo proprio grazie ai buoni uffici di Hevos, Aken sorrise leggermente.

“Ti ringrazio, per quella volta. Non ho mai avuto occasione di dirtelo.”

Il lupo si levò sulle zampe, incamminandosi silenzioso verso la foresta mentre, a ogni suo passo, l’erba si ricopriva di brina frastagliata e dall’aspetto di fragile cristallo.

Lesto, il principe lo affiancò silenzioso e Hevos, lanciatagli un’occhiata veloce con gli occhi ambrati, tornò poi a osservare il contorno oscuro del bosco nel quale si sarebbero presto inoltrati.

Triste, il dio mormorò: “Mi spiace che abbiate dovuto soffrire entrambi così tanto ma, ciò che doveva essere fatto, è stato compiuto. Il tempo è giunto.”

“Cosa intendi dire?” volle sapere Aken, continuando ad accarezzare il collo del cavallo a momenti alterni, mentre il suo sguardo era tutto per il dio-lupo.

Quando raggiunsero il limitare della foresta, Hevos scartò verso sinistra e domandò con voce piana: “Cos’hai compiuto, in questi anni, a Rajana?”

“Un bel nulla, direi” sbottò lui, sentendo il lupo ridacchiare sommessamente per diretta conseguenza.

Accigliandosi, Aken si chiese se il dio si stesse per caso prendendo gioco di lui ma Hevos, prevenendo qualsiasi sua risposta sdegnata, si spiegò meglio.

“Davvero definisci ‘nulla’ ciò che hai fatto all’Accademia, in questi anni?”

Sobbalzando per la sorpresa, il principe esalò costernato: “Come fai a sapere che…?”

Se il lupo avesse potuto sorridere, probabilmente l’avrebbe fatto.

I suoi occhi, comunque, gli comunicarono un certo divertimento e Aken, storcendo il naso, si rispose da solo.

“Sei un dio. Ovvio che tu lo sappia.”

“Per l’appunto. Ciò che serviva per il cambiamento, è stato fatto da ambo le parti. Eikhe ha portato avanti la sua personale battaglia, e tu la tua. Hai fatto germogliare nuove idee, nelle menti dei giovani soldati che sono usciti dall’Accademia militare ove tu ti sei prodigato nell’insegnare e, a loro volta, essi insegneranno ad altri giovani come loro, e tutto per merito tuo.”

“Non mi sembra di aver fatto granché” precisò Aken, storcendo la bocca in una smorfia di disappunto.

“Hai cambiato il loro modo di rapportarsi alle donne, fin da quando conducesti Eikhe a palazzo, dimostrando ai tuoi soldati quanto esse valgano. Hai poi proseguito su questa linea, insegnando ai tuoi giovani cavalieri come essere dei buoni soldati… e dei buoni uomini. Hai dato la forza a tua madre di essere più di una semplice moglie e madre. Tua sorella ha imparato l’umiltà e il coraggio di chiedere consiglio. Tuo fratello è maturato seguendo il tuo esempio, Renke ti ha sempre tenuto in grande stima, desiderando sempre il tuo beneplacito. Ti sembra poco?” replicò Hevos con tono leggermente divertito.

“Se così credi…” borbottò lui, ancora poco convinto.

Ridacchiando, il dio esalò: “Così modesti! Tu e lei vi somigliate talmente tanto!”

“Parli di Eikhe? Lei come sta?” chiese subito Aken, sperando che lui sapesse qualcosa sull’amata.

“Ella vive in un luogo adatto a lei e al figlio, ora” poi, notando l’irrigidimento delle spalle dell’uomo, aggiunse comprensivo: “Sì, vostro figlio, Aken di Rajana.”

“Oh, dèi!” esalò a quel punto lui, aggrappandosi alla sella per non correre il rischio di crollare a terra.

Hevos si fermò, attendendo paziente che il principe si riprendesse e, nel notare un bagliore di rabbia negli occhi dell’uomo, asserì con tono fermo: “Non era il tempo, all’epoca. Nessuno di voi due aveva compiuto i passi che dovevano essere fatti per raggiungere lo scopo finale.”

“E quale sarebbe, questo scopo finale?!” sibilò allora Aken, accigliandosi non poco.

Di cosa mai stava blaterando?

“Una nuova Via. Non solo le donne-lupo dovevano prendere nuovamente coscienza di sé, ma anche gli uomini. Voi avete dato inizio a una nuova Era, avete concesso alle future generazioni la possibilità di scegliere ma, per farlo, è stato necessario un sacrificio, cui vi siete prestati volontariamente e con grande coraggio” gli spiegò Hevos, scodinzolando orgoglioso.

Passandosi una mano tra i folti capelli, lui replicò vagamente stizzito: “E naturalmente, nessuno di noi doveva sapere un bel niente, vero?! E parli di prestazione volontaria? Col cavolo!”

Per nulla sconvolto dal suo sfogo, Hevos si limitò a scodinzolare tranquillo.

“Esiste il libero arbitrio, principe. Il Fato non è scritto, è solo una luce che vi guida nell’oscurità, ma avete sempre la possibilità di non seguirla, e vagare nel buio alla ricerca di strade alternative. Io non avrei mai potuto obbligarvi a seguire la strada scritta per voi. Avreste potuto dimenticare tutto e tutti e restare assieme, ma sareste stati braccati a vita come animali e, alla fine, non avreste vissuto felici.”

Aken non poté replicare. Anche lui era giunto più e più volte a quella conclusione, pur non trovandola affatto giusta.

“Ligi al vostro dovere, avete scelto la strada più difficoltosa, ma più giusta per un fine superiore, e vi siete sacrificati per il bene delle persone che volevate proteggere, dando così il via a un nuovo corso. Ora, però,  avete la possibilità di godere di questi frutti, perché avete creato attorno a voi un nuovo mondo in cui poter vivere, e persone abbastanza forti da sostenere il vostro desiderio, non più quello del Fato” decretò infine il dio, fissandolo con estrema serietà.

Sospirando afflitto, Aken si appoggiò al cavallo mentre osservava indeciso il dio-lupo, a metà tra la rabbia e l’orgoglio dolente.

Con voce resa roca dalle emozioni contrastanti che provava, esclamò torvo: “Ma ho sacrificato mio figlio!”

Scuotendo il muso, Hevos replicò: “Tuo figlio è cresciuto amato e vezzeggiato, fortificato nello spirito e nel corpo dalla madre, e da tutti coloro che gli sono stati vicino in questi anni.”

“Sa di me?” chiese allora Aken, con un groppo in gola.

Sarebbe soffocato entro breve, se non avesse saputo qualcosa in più su di lui.

“No. Eikhe ha preferito non dirgli nulla per non farlo soffrire. Ti pensa molto e prova sentimenti contrastanti per te, e ha un sacco di domande che non ha mai osato fare alla madre, ma penso potrai rispondervi tu stesso quando vi incontrerete” gli spiegò il dio-lupo, riprendendo a camminare speditamente nella foresta, silenzioso nel suo cammino come un fiocco di neve nel suo lento discendere dal cielo.

Seguendolo a distanza di qualche passo, Aken allora chiese: “Quindi, non mi odia?”

“Si odia profondamente solo chi si ama profondamente” disse laconicamente Hevos. “E’ un ragazzo, ed è confuso. Dovrai essere tu a instillargli la fiducia di cui ha bisogno perché ti ami senza condizionamenti.”

Annuendo con veemenza, Aken sussurrò: “Lo farò. Anche a costo di impiegare una vita intera per farlo.”

“Sono lieto tu lo dica. Sono orgoglioso del ragazzo, e così pure Eikhe” assentì Hevos, prima di indicare con il muso una protuberanza rocciosa. “Lì c’è una piccola grotta. Ti servirà per la notte.”

“Grazie” annuì il principe, dirigendosi verso l’oscura apertura assieme a Hevos. “Posso sapere il suo nome?”

“Antalion. Il nome di tuo figlio è Antalion.”

Hevos entrò per primo nella grotta e continuò nel dire: “Ti accompagnerò fino a Marhna ma, da lì in poi, dovrai proseguire da solo.”

“Come mai fino a Marhna?” chiese sorpreso Aken.

Aveva pensato che, dopo quella visita estemporanea, se ne sarebbe andato come un fantasma nella notte.

“L’unico modo per fermare tuo padre è mettere di fronte a lui una barriera che non potrà superare in alcun modo” gli spiegò il dio, accucciandosi a terra prima di poggiare il muso sulle zampe anteriori. “Sta già radunando uomini a sufficienza per scandagliare le montagne nella tua ricerca, e in quella di Eikhe.”

Aken imprecò, ma il dio non vi badò.

Un attimo dopo, proseguì dicendo: “Porterò sulla Carovaniera del Nord una tempesta di neve come mai si è vista prima, ed essa bloccherà gli uomini di tuo padre per tutto l’inverno. Di più non posso fare, per voi. Non posso permettermi di interferire più di quel tanto con il clima. Anticiperò solo di poco l’inverno vero e proprio, ma non posso stravolgere l’ordine delle cose.”

“Te ne sono grato. Non speravo in niente del genere” mormorò Aken, un caloroso sorriso dipinto sul viso stanco.

Chiudendo gli occhi, Hevos sussurrò: “Devo pur ripagarti in qualche modo, per il tempo speso per una causa superiore, no?”

“Non saprei. Sei un dio, perciò non so come puoi pensarla” precisò l’uomo, posando a terra la sella del cavallo prima di accomodarsi su un masso.

Pensieroso, scrutò il grande lupo bianco ammantato di candida brina.

“Penso al bene superiore, è ovvio, ma penso anche a coloro che mi hanno aiutato a portare avanti i miei intenti, perciò ho a cuore sia te che Eikhe. Come tutti coloro che vi hanno dato una mano a creare ciò che sta ormai camminando sulle proprie gambe. Non c’è più bisogno della vostra guida, poiché il processo è irreversibile” sussurrò Hevos con voce tenue, apparentemente non meno stanca di quella del principe.

“E se perdessero di nuovo la via?” chiese a quel punto Aken, intrecciando le braccia sul torace.

“Confiderò nella nascita di due spiriti affini che possano nuovamente trovare il giusto cammino” mormorò il dio. “Anche perché è sempre più difficile, per me, camminare su questo mondo e, ormai, le mie creature sono abbastanza grandi per poter procedere sulle proprie gambe senza il mio aiuto.”

“Un immortale può morire?” chiese Aken, leggermente turbato dal tono di voce mesto del dio-lupo.

“Se rimanessi troppo tempo tra di voi, sì. Il mio mondo non è questo. Per questo non potei rimanere con Hyo quanto avrei voluto, né lei poté restare nel mio come era mio desiderio. Fu a causa di ciò, che dovetti trascorrere secoli nel mio universo, dopo la nostra separazione, senza  poter tornare qui e dare una mano alle mie figlie e ai miei figli” disse Hevos, tristemente. “Dovetti rigenerarmi.”

“E quanto ti costerà il tempo che passerai con me?” si informò Aken, sentendosi in colpa per averlo mal giudicato in precedenza.

“Dovrò abbandonarvi per diversi anni, ma penso ne sarà valsa la pena” asserì Hevos, prima di esalare stancamente: “Ora riposa, Aken di Rajana. Ne abbiamo entrambi bisogno.”

“Sì” sussurrò il principe, chiudendo a sua volta gli occhi prima di lasciarsi trasportare in un sonno privo di sogni e, per una volta, piacevole.

***

Spinto dal desiderio e dall’aspettativa, Aken percorse le miglia che lo separavano da Marhna in un tempo insolitamente breve.

A valle, nel frattempo, nere e dense nubi temporalesche si chiusero come un coperchio sulla pianura che circondava Rajana, senza più muoversi da lì.

Hevos, per tutto il tempo, camminò al suo fianco lungo il sentiero boschivo che scelsero di percorrere e, incessante, il suo potere dilagò attorno a lui come brina argentata.

Fu al calar del sole del loro decimo giorno di viaggio che Hevos, ormai fiaccato dall’uso continuo dei suoi poteri, bloccò di colpo le sue emanazioni.

Fissando il suo compagno di viaggio con aria stanca e provata, disse con voce piana: “La via del nord è preclusa fino al disgelo, ora. Vai, figlio del branco, e trova l’altra metà del tuo cuore che, per tanto tempo, ho tenuto separato da te.”

“Grazie per l’aiuto che mi hai dato, e per ciò che mi hai detto. Terrò a mente ogni tua parola, e onorerò il tuo nome e le tue imprese” asserì Aken, con un cenno ossequioso del capo.

Hevos si limitò ad annuire prima di trotterellare via nel bosco, pallido come uno spettro e luminescente come una stella.

In breve, la sua figura galleggiò nell’aria fino a svanire e, in quel momento, Aken comprese di essere nuovamente solo.

Dinanzi a lui, Marhna.

Ammirato e lieto, entrò a cavallo percorrendo la via principale, osservando con meraviglia ciò che il tempo aveva saputo creare in quel paese di montagna tanto amato.

Ora, splendeva come fulgida perla per bellezza ed eleganza.

Molto più imponente rispetto a quanto non ricordasse, Marhna era diventata un’autentica cittadina, con le sue alte mura di cinta, le torri di guardia e le porte di ferro a delimitarne le strade di accesso.

In quella giornata di sole, alle soglie di un inverno che, per bocca di Hevos, sarebbe stato più rigido dei precedenti, Aken proseguì lungo la via, ben deciso a dirigersi verso l’unico luogo in cui avrebbe potuto chiedere di Eikhe.

La locanda ove l’aveva vista per la prima volta non era cambiata molto, nel corso di quegli anni.

L’insegna era stata ammodernata, ma l’interno del locale era sempre profumato di carne speziata e legno aromatizzato.

I tavoli, come ben rammentava, erano disposti per il lungo nell’enorme sala da pranzo, dove l’imponente camino bruciava allegro.

In quel momento, un enorme cervo stava cocendo per la cena di quella sera.

Al bancone del bar, però, non vide il vecchio locandiere di un tempo, ma un giovane imberbe e dall’aria solare che, vedendolo entrare, si aprì in un largo sorriso di benvenuto.

“Buongiorno, messere. In cosa posso esserle utile?”

Poggiate le sacche da viaggio accanto a un alto sgabello di legno, ricoperto da uno scuro cuscino imbottito, Aken vi si accomodò ordinando una birra alle spezie.

Poggiata poi una moneta di rame sul bancone, chiese gentilmente: “Cerco una donna-lupo di nome Eikhe. La conosci?”

Versando la birra in un grosso boccale di legno, il giovane accompagnò la bibita da una fresca pagnotta di pane alla crusca dopodiché, con aria pensierosa, porse il tutto ad Aken.

“E’ un nome che non mi è nuovo, ma direi un’eresia ammettendo di sapere di chi parla. Ma posso chiedere al mio titolare, se è una cosa importante.”

“Lo è, in effetti” annuì il principe, afferrando il boccale prima di portarsi la birra profumata alla bocca. “Ahhh, è sempre buonissima.”

“E’ già stato nostro cliente?” chiese allora il giovane, incuriosito.

“Tanto tempo fa” annuì lui, strappando dalla pagnotta un pezzo da portare alle labbra. “Sì, la mano della cuoca la riconoscerei ovunque.”

Ridacchiando, il giovane sorrise compiaciuto.

“Laranna sarà contenta di sapere che, dopo tanti anni, ci si ricorda ancora del suo pane. Vado a chiedere al mio padrone, mentre lei beve la birra.”

“Grazie” asserì Aken, continuando a servirsi.

Da quando aveva lasciato Rajana, tutto era tornato a piacergli, ogni cosa aveva ripreso ad avere il sapore giusto, persino gli odori forti degli animali, o quello dei suoi abiti non più tanto puliti.

Pareva che persino i suoi sensi, in quegli anni, si fossero assopiti assieme al suo spirito ma che, con il ritorno a luoghi da lui così amati, ogni cosa avesse preso la giusta direzione.

Non poteva che esserne felice. Era stanco di non essere più in grado di assaporare nulla, di non godere più di nulla.

Quando, infine, il giovane tornò, la birra era già terminata e così pure la pagnotta.

A un cenno di Aken, il ragazzo gliene servì una seconda dose e, nel farlo, disse: “Il mio capo ha detto che lui conosce una sola donna-lupo di nome Eikhe, ed è la figlia del mercante di pellami che c’è in fondo alla via, ma non abita più nei pressi di Marhna da anni. Dice che si è trasferita in un paesino di donne-lupo a due giorni da qui, verso nord-ovest.”

“Molto bene. Non speravo in niente di meglio” annuì soddisfatto, sorseggiando la buona e fresca birra. “Mi puoi far preparare un cestino con la cena? Dovrei rimettermi in viaggio quanto prima.”

“Naturalmente. Torno subito” annuì il ragazzo, quando vide posare sul bancone una moneta d’argento per il servizio.

Rimasto solo, Aken lanciò uno sguardo verso le finestre che davano sulla strada e, sorriso che ebbe, disse tra sé: “Manca ancora poco, Eikhe, e sarò da te.”

Dopo aver atteso per una ventina di minuti il suo cestino per il pranzo, ringraziò il giovane per i servizi resi, dopodiché tornò dal suo cavallo e salì in groppa.

Era ben deciso a non rimanere un secondo di più nell’accogliente cittadina; per quanto amena, non era la sua destinazione finale.

Rivedere Marhna lo aveva riempito di gioia e soddisfazione, ma non voleva più sprecare un solo attimo, lontano da Eikhe.

Ogni respiro lo stava conducendo da lei, perciò, perché trastullarsi?

Imboccata la mulattiera che conduceva al sentiero per Anok Fort – ora più ampia e battuta – Aken osservò meditabondo le alte montagne che circondavano imponenti il regno.

Con un sospiro, si chiese se avrebbe trovato facilmente il villaggio in cui dimoravano Eikhe e il figlio, o se avrebbe passato giorni interi tra i boschi alla loro ricerca.

Avvicinarsi alle tribù delle donne-lupo, se non invitati, poteva risultare veramente difficile, e lui non aveva idea dell’accoglienza che avrebbero potuto riservargli.

Deciso comunque a non arrendersi, proseguì verso ovest finché il sole non scomparve alla vista.

Dopo aver trovato un riparo per la notte, tolse la sella al suo cavallo, si preparò un giaciglio ai piedi di un enorme abete e si concesse il lusso di mangiare la saporita cena preparata dalle abili mani di Laranna.

Meno di mezz’ora dopo aver terminato il lauto pasto, si assopì  contro il tronco ruvido di un’enorme conifera, che gli avrebbe dato riparo per quella notte.

Ormai a briglia sciolta, lasciò i suoi pensieri liberi di vagare senza meta.

Non più condizionata dal pesante fardello che, per sedici anni, avevano reso orrende e interminabili le sue solitarie notti insonni, la sua mente si librò leggera, libera.

E finalmente, dopo sedici anni, riuscì a dormire un sonno sereno.

La mattina seguente, fresco e riposato, venne però svegliato da uno strano umidore al volto.

Aperti di colpo gli occhi, chiedendosi se per caso non stesse nevicandogli in testa, si ritrovò a fissare due profondità dorate e, cosa un po’ inquietante, un sogghigno lupesco ben poco confortante.

Rimanendo fermo per non spaventare il lupo o peggio, irritarlo, Aken avvertì dei passi leggeri sopraggiungere dalla foresta in cui si era inoltrato la sera prima.

Subito, volse lo sguardo in quella direzione.

Come se il tempo fosse tornato indietro solo per stuzzicarlo un po’, fissò a occhi sgranati una ragazzina dai capelli dorati e gli occhi d’ambra che, lancia alla mano, gli si parò innanzi.

“Sei nel nostro territorio, viandante. Cosa ti porta qui?”

“Eikhe?” esalò lui, prima di scuotere il capo, confuso.

Ovvio che non poteva essere lei ma… le somigliava così tanto!

Anche la ragazza parve sorpresa dalla sua esternazione perché, abbassando un poco l’arma e puntando la punta di pietra verso terra, esalò confusa: “No, non sono Eikhe, ma… come conosci questo nome?”

Speranzoso, Aken fece per mettersi a sedere ma il lupo, lesto, cominciò a ringhiare, impedendogli di fatto di muoversi.

Restando perciò sdraiato, sebbene la cosa non gli piacesse neanche un po’, chiese: “Conosci una donna di nome Eikhe?”

Aggrottando la fronte nell’osservare l’uomo bruno, e dalla barba incolta, che la stava osservando con un sorriso tranquillizzante stampato in viso, la ragazza mugugnò: “Forse. Perché la cerchi?”

“Sono un suo vecchio amico. E’ da tanto che la cerco, e vorrei poterle parlare” asserì Aken, rimanendo sul vago.

Non era il caso di dire chi fosse.

Storcendo il naso, la ragazza conficcò la lancia a terra e, dopo aver lanciato un fischio acuto in direzione del bosco alle sue spalle, richiamò al suo fianco il lupo dal pelo grigio.

“Una donna di nome Eikhe abita nel mio villaggio, ma non so se è la stessa donna di cui tu parli. Puoi descrivermela?”

“Oltre al fatto che ti somiglia molto, dovrebbe avere trentatré anni.  Se ve lo ha raccontato, partecipò a una missione per conto della corona, circa diciassette anni fa” spiegò sommariamente Aken, mettendosi a sedere, finalmente libero dalla minaccia delle zanne del lupo.

Accigliandosi, la ragazza annuì grave.

“E’ sicuramente lei ma, prima di poterla vedere, dovrai parlare con qualcun altro, per sapere se puoi venire al villaggio o meno. Devo troppo, a Eikhe, per portargli sotto casa uno scocciatore.”

Sorridendo suo malgrado, Aken si limitò ad annuire e domandò: “A chi devi domandare?”

La ragazza si fece evasiva e non rispose.

Lanciò solo uno sguardo ansioso in direzione del bosco da cui, alcuni minuti più tardi, Aken vide comparire la sagoma di quello che non poteva essere altro che un giovane a cavallo.

Sgomento, spalancò gli occhi fin quasi a farsi male quando il sole - che penetrava tra le fitte fronde - gli permise di scorgere il viso del ragazzo.

Aken vide un volto serio e posato, incorniciato da una cascata di neri capelli e lisci.

Essi erano trattenuti sulla fronte da una fascia ricamata di pelle, e due occhi dorati lo fissavano attentamente, come per valutarlo.

Il suo portamento a cavallo era elegante e fiero e, quando scese dalla sella con un fluido movimento di gambe, Aken poté notare quanto fosse alto nonostante la giovane età.

Ancora in pieno sviluppo, il ragazzo poteva contare su un fisico già discretamente sviluppato, messo in evidenza dalla tunica cucita su misura e dai calzoni stretti e lunghi fino alle caviglie.

La sua andatura era flessuosa e morbida, tipica di una persona abituata a vivere a cavallo e nei boschi.

Il suo incedere, poi, così sicuro e fiero, gli fece comprendere quanto fosse coraggioso, e questo gli fece perdere un battito.

Questo era suo figlio, la sua eredità, sangue del suo sangue.

Avvicinandosi alla ragazza-lupo senza mai staccare lo sguardo curioso dal volto di Aken, il giovane esordì dicendo: “Avevi bisogno, Liana?”

Aken sorrise a mezzo, nel sentire la sua voce.

Il timbro non era certo infantile, anzi, tutt’altro.

Prometteva di trasformarsi in un tono profondo e sonoro, nel giro di qualche anno al massimo.

“Quest’uomo vuole vedere tua madre, Antalion” dichiarò subito la ragazza, indicando Aken con un cenno della mano.

Il principe dovette fare appello a tutte le sue forze per non svenire, a quelle parole, pur conoscendo già l’identità del ragazzo.

Senza riuscire ad aprire bocca, rimase in contemplazione del figlio per un tempo che a lui parve eterno.

Antalion, da par suo, studiò il nuovo venuto con attenzione, cercando di comprendere se, da esso, potessero venire potenziali pericoli.

Nulla avvertendo in proposito, scrollò impercettibilmente le spalle e disse: “Lo scorteremo al villaggio, così potremo chiedere direttamente a mia madre.”

“Istrea non sarà felice di sapere che abbiamo un ospite improvvisato” brontolò Liana, lanciando uno sguardo dubbioso in direzione di Aken, che accennò un sorriso di circostanza. “Sai quanto le piaccia essere informata su tutto.”

Sogghignando, Antalion replicò con una scrollatina di spalle.

“A Istrea parlerò io.”

Sollevando un sopracciglio con ironia, Liana sbuffò, ma rise.

“Quando parli tu, la tribù cade ai tuoi piedi. Dovresti fare lo sciamano, tanto sei bravo a incantare la folla.”

Ridacchiando, il ragazzo diede un buffetto sulla guancia all’amica e replicò: “Molto spiritosa.”

“Realista” ribatté Liana, sorridendogli comicamente.

Tornando a scrutare Aken con quieta cortesia, Antalion  dichiarò: “Dovrai consegnarmi la tua spada e la tua daga, straniero, se non ti dispiace. Non puoi entrare armato all’interno del villaggio, se non sei stato precedentemente invitato.”

Affrettandosi ad alzarsi per toglierle dalla sella, Aken le consegnò subito al figlio. Dèi, suo figlio!

“Non ho alcun bisogno di entrare armato. Non vengo con cattive intenzioni” dichiarò con voce roca, quasi cedendo all’istinto di abbracciarlo.

Del tutto ignaro dei desideri di Aken, Antalion sistemò le sue armi accanto alla sella del suo cavallo, dopodiché indicò all’uomo dinanzi a sé di salire sul proprio.

“Bene, ora possiamo andare. Il villaggio non dista molto, da qui, e non impiegheremo molto.”

Appollaiata dinanzi all’amico sulla grande sella del suo stallone nero, Liana asserì: “Io devo recuperare le trappole, prima di tornare al villaggio. Pensi tu ad accompagnarlo?”

“Sì. Ti lascerò dal tuo cavallo, poi procederò verso Hyo-den” poi, sorridendole generosamente, aggiunse: “Ma prometti di tornare per l’imbrunire. Non mi piace saperti sola per il bosco.”

Lei ridacchiò e replicò divertita: “Sola! C’è Nak, con me!”

Osservando i due lupi che li seguivano trotterellando ai fianchi del cavallo, Antalion sorrise ma replicò perentorio: “Per quanto mi riguarda, non basta. Presta attenzione.”

“Lo farò” gli promise Liana, dandogli un bacio sulla guancia prima di scendere al volo dalla cavalcatura quando raggiunsero la sua giumenta, ferma vicino a una pianta. “A dopo!”

“A presto, Liana!” sorrise il ragazzo-lupo, prima di voltarsi verso Aken e dire: “Seguimi, viandante. Da questa parte.”

“Certo” annuì l’uomo, sorridendo impercettibilmente.

A quanto pareva, il giovane aveva una simpatia speciale per quella ragazza.

Avanzarono lungo un sentiero che affondava nel bosco di abeti, entro il quale stavano procedendo con passo tranquillo.

Aken si guardò intorno curioso, rammentando un viaggio simile che lo aveva condotto, anni prima, fino al villaggio di Nestar.

Sorridendo ad Antalion, disse con casualità: “Vivete lontani dagli altri villaggi.”

Sbirciandolo, il giovane annuì e ammise: “Siamo una tribù particolare, e non siamo ben visti da molte figlie del branco. E’ nell’interesse di tutti, se stiamo un po’ isolati da loro. Quanto agli altri, siamo vicini alla strada per Anok Fort, e forniamo spesso appoggio logistico alle carovane che procedono verso il forte, e loro gradiscono la nostra presenza.”

“Posso immaginare. Ma come mai tanta animosità nei confronti delle vostre sorelle?” volle sapere Aken, curioso.

Sollevando un sopracciglio con ironia, il giovane ignorò completamente la sua domanda e chiese per contro: “Cosa ci fa un ricco uomo delle pianure, qui tra queste lande? E quest’uomo, come fa a conoscere mia madre?”

“Come sai che sono un ricco uomo delle pianure?” replicò Aken, fissandolo con curiosità.

“I tuoi abiti, così come i finimenti del tuo cavallo, sono di alta qualità, e prodotti con materiali pregiati. E così pure la tua parlata, mi dice da dove provieni. Il tuo accento è tipico delle genti delle pianure, ma il tuo conversare è dotto ed elegante, quindi ne deduco che non sei un contadino, o un falegname” gli spiegò Antalion, affascinando il padre con il suo parlare.

Quel ragazzo aveva spirito d’osservazione e, sebbene fosse cresciuto nelle foreste del nord, lontano dai centri abitati, il suo colloquiare era cortese ed erudito.

Segno inequivocabile che Eikhe si era impegnata al meglio, per fornirgli una buona educazione.

“Ti ripeto la domanda; come fai a conoscere mia madre?” chiese ancora il giovane, accigliandosi.

“La conobbi anni fa, al tempo delle guerra contro Vartas. Tu non eri ancora nato, se non erro” ammise alla fine Aken. In fondo, non era una bugia.

“Ah! Quindi la conoscesti quando ricondusse il principe a Rajana. Sei un nobile della Capitale? Un soldato?” gli domandò allora Antalion, facendosi di colpo più interessato.

“Tua madre ti ha raccontato quella storia?” si informò lui, non sapendo bene quanto dirgli.

“A grandi linee. So della loro missione, e dei pericoli che corsero per tornare alla capitale” gli spiegò Antalion, scrollando le spalle. Ora aleggiava un sorriso sul suo volto.

“Capisco. Beh, io conobbi tua madre quando rientrò a Rajana col principe, e divenni suo amico” asserì vago il principe, facendo spallucce. “Imparai molto, da lei, nel breve periodo che passò a palazzo.”

“E ti rifai vivo dopo sedici anni. Perché?” volle sapere il ragazzo, facendosi di colpo sospettoso.

“Non sapevo dove fosse, fino a questo momento, finché non ho avuto sue notizie per puro caso. Quando se ne andò, non potei chiederle se, un giorno, avremmo potuto rivederci così, una volta saputo dove si trovava, ho deciso di venire a farle visita per rinsaldare una vecchia amicizia” buttò lì Aken, sperando che, per il momento, potesse bastargli.

Se prima non parlava con Eikhe, non poteva certo buttare in faccia al ragazzo la sua paternità! Sarebbe stato tremendamente indelicato, da parte sua.

Pur storcendo il naso, Antalion preferì non proseguire oltre con le domande.

Lasciando che il suo lupo Mykos proseguisse dinanzi a loro, rimase in assorto silenzio per quasi tutta la durata del viaggio.

Approfittando di quel silenzio, Aken si perse in contemplazione del figlio, trovando in lui i tratti della sua giovinezza.

La mascella volitiva, il mento marcato, il naso diritto, le sopracciglia arcuate e le labbra carnose, erano eredità del suo retaggio.

A differenza di lui, però, gli occhi erano color dell’ambra fusa, esattamente come li aveva la madre.

Osservando gli abiti di pelle che indossava, riconobbe la mano di Eikhe nelle elaborate decorazioni che abbellivano la casacca frangiata e i pantaloni.

Con un sorriso, studiò il fodero dello spadone del ragazzo, notando come la donna vi avesse ricamato l’anagramma del figlio con bei caratteri in rosso e blu.

Devi amarlo alla follia, Eikhe, pensò Aken, sospirando impercettibilmente.

Sperava davvero che quegli anni non avessero minato, in lei, la fiducia provata nei suoi confronti, perché aveva tutta l’intenzione di recuperare il tempo perso, se mai fosse stato possibile.

Per il momento, a ogni modo, dovevano prima di tutto raggiungere il villaggio. Da lì in poi, sarebbe stata un’incognita.

Fu agli albori della sera che raggiunsero le porte di un ampio paesino, costruito in una larga spianata alle pendici dei monti circostanti.

Osservando gli enormi sbarramenti frangi valanghe che sorgevano lungo le coste frastagliate della montagna, Aken mormorò assorto: “Sono ancora più imponenti di quelli di Nestar.”

Fissandolo sorpreso, Antalion si chiese come, e soprattutto perché, quello straniero potesse aver visto il suo villaggio natio.

Prima ancora di poterglielo chiedere, però, scorse la figura della madre in fondo alla via principale, impegnata a portare un sacco sulle spalle.

Facendole un cenno con una mano, le urlò a gran voce: “Madre, sono tornato!”

Eikhe sollevò lo sguardo e ricambiò il saluto, prima di fissare con aria curiosa la figura sconosciuta che Antalion aveva al fianco.

Di certo, non si trattava di Liana, ma non attendevano nessun altro, a Hyo-den, a parte loro due. Quindi, di chi si trattava?

Avvicinandosi a loro con passo tranquillo per avere lumi sul viandante al fianco del figlio, cominciò a dire: “Antalion, chi c’è lì con…”

Bloccandosi non appena i suoi occhi scorsero un viso a lei familiare ma che mai, nella vita, avrebbero sognato di rivedere, Eikhe lasciò cadere a terra il sacco, inebetita dalla vista di Aken.

L’uomo, fissandola a sua volta con occhi lucidi e che, fin dal momento in cui l’aveva scorta, non l’avevano mai abbandonata, sussurrò: “Eikhe…ciao.”

Portandosi una mano alla bocca per reprimere un singhiozzo, lei corse verso Aken, che stava scendendo da cavallo sotto gli occhi confusi di Antalion.

Senza dire nulla, si gettò tra le sue braccia baciandolo in viso e ridendo, mentre calde lacrime le bagnavano le gote arrossate.

Sconvolto da quella vista, il ragazzo fissò i due scambiarsi tenere occhiate e dolci effusioni.

Sceso a sua volta da cavallo, sbraitò confuso: “Madre, ma chi è quest’uomo?!”

Accorgendosi solo in quel momento di dove si trovava, e della curiosità che inevitabilmente stavano sollevando tra le poche persone presenti, Eikhe disse in fretta: “In casa, andiamo in casa, Antalion.”

“Madre!” esalò lui, chiedendo spiegazioni immediate mentre fulminava con lo sguardo Aken, ancora stretto a Eikhe.

Trascinando quasi Aken per la mano, la donna sbottò perentoria: “Dopo, An, dopo!”

“Ahhh! Ancora quel nome!” esclamò il figlio, fissando malamente con lo sguardo entrambi gli adulti davanti a lui.

Legati i cavalli di fronte alla loro abitazione di tronchi, Antalion li scrutò entrare in tutta fretta e, non volendo lasciarli soli neppure per un attimo, si affrettò a seguirli.

Era più che desideroso di ricevere spiegazioni, che sentiva di dover ricevere assolutamente.

Quando, però, aprì il battente per catapultarsi all’interno, si bloccò di colpo, al colmo dell’imbarazzo, ritrovandoli abbracciati e in lacrime nel bel mezzo dell’ingresso.

Furioso e col volto rosso come un peperone, Antalion sbroccò.

“Allora, mi vuoi spiegare chi è?!”

Non sapendo bene se scoppiare o meno a ridere, Eikhe mormorò: “Lui è il principe Aken di Rajana, Antalion.”

“Che cosa?!” esalò il giovane, fissando sbalordito il viandante che aveva accompagnato al villaggio. “E perché non me l’ha detto subito?! Non gli avrei fatto il terzo grado!”

“Non sapevo quanto tua madre ti avesse raccontato di me” sorrise l’uomo, spiacente.

Confuso, il giovane allora scosse il capo e ringhiò: “Vorreste spiegarmi il perché della vostra… intimità? Anche se è il principe, non penso sia prassi salutarlo a questo modo!”

Ridendo suo malgrado, la donna passò distrattamente le mani sul torace di Aken, come a voler essere sicura che lui fosse realmente lì accanto a lei.

Con voce resa insicura dalla gioia che stava provando in quel momento, disse al figlio: “Devi scusarmi, tesoro, ma pensavo non l’avrei più incontrato e, quando l’ho visto… perché non hai mai tentato di contattarmi, in questi anni?”

“Tua madre mi fece chiaramente capire che non volevi vedermi, che volevi ritrovare i tuoi equilibri all’interno della tribù” le spiegò Aken, adombrandosi un poco. “Inoltre, ci furono motivi ben più gravi che mi spinsero al silenzio.”

Indispettita, Eikhe esclamò: “Non è affatto vero! Non dissi mai niente del genere, a mia madre!”

Sorridendo un momento ad Antalion, Aken tornò a guardare il suo unico amore, dicendole a mezza voce: “Credo che il modo in cui mi fulminò quel giorno, sul campo di battaglia, avrebbe dovuto farmi capire ogni cosa, ma all’epoca ero solo distrutto all’idea di non poterti più parlare, o rivederti. Dovevo capire che la sua rabbia poteva solo significare una cosa.”

“Mamma è sempre stata percettiva, in questo, ma non pensavo che arrivasse ad aggredirti verbalmente per via… della mia gravidanza” asserì Eikhe, prima di guardare il figlio, ormai al colmo dello sbigottimento. “Aken è tuo padre, Antalion.”

Il giovane, che aveva subodorato la cosa fin dalle loro prime parole, fece tanto d’occhi di fronte alla conferma circa i suoi dubbi.

Puntato lo sguardo sul principe, riuscì solo a balbettare: “Mio… padre?”

Sorridendo con fare contrito, Aken mormorò: “Quando mio fratello Ruak mi disse di aver visto un giovane che mi somigliava, e insieme a un gruppo di donne-lupo, ammetto di essere stato geloso, per un momento.”

Sorridendo spiacente, Eikhe gli carezzò un braccio, consolatoria.

“Dopo quello che mi disse mia madre, e cioè che tu preferivi lasciarmi vivere la mia vita tra le sorelle del branco, non potevo certo mandarti a dire di Antalion. Inoltre, preferivo non sobbarcarti anche di questo peso, soprattutto considerando il tuo ruolo di principe ereditario. Sapevo già che non avresti potuto occuparti di lui. O di noi.”

“Ma io non ho mai detto di…” cercò di discolparsi Aken, bloccandosi a metà della frase quando comprese cosa aveva fatto Kaihle.

Sbuffò contrariato, e sorrise spiacente a Eikhe.

“Aspettate un momento, voi due!” esclamò Antalion, bloccando sul nascere qualsiasi loro ulteriore battuta. “Vuoi dirmi che lui è veramente mio padre?!”

“Esatto, tesoro. Capisci perché non ho mai potuto parlartene? Dovevo proteggere l’anonimato di tuo padre. Non sapevo se, parlando, avrei potuto scatenare problemi più grandi di me” ammise la madre, andandogli incontro per abbracciarlo.

Sconvolto, il figlio la strinse a sé, mormorando con voce rotta: “Per anni ho pensato che stessi mentendo, su mio padre, decantandomi le sue doti. Pensavo volessi solo darmi un’immagine perfetta di lui, e ora scopro che è il principe ereditario del regno.”

“Non ha molta importanza chi sono, figlio mio” replicò Aken, avvertendo un groppo in gola nel proferire quelle parole per la prima volta.

Figlio. Lui aveva un figlio!

Sentendo le lacrime fare capolino, Antalion sbottò amaramente: “Sì che ne ha, perché ti ha tenuto lontano da noi per così tanti anni!”

Sospirando a quelle parole cariche di risentimento, il principe non poté che assentire.

“Hai ragione, ma non avrei potuto fare altrimenti. Non sapevo di te e…”

“Ma sapevi della mamma! Dovevi rimanere con lei!” esclamò il figlio, tenendo stretta a sé la madre.

“An, non dire così. Non avrei mai accettato che Aken rinunciasse ai suoi doveri per seguire me” disse per contro Eikhe, scostandosi dal figlio per guardarlo in viso con estrema serietà.

“Ma, mamma…” esalò lui, sorpreso.

Sorridendogli comprensiva, gli disse: “Io e Aken discutemmo a lungo su come comportarci, visto ciò che provavamo l’uno per l’altra. Nessuno dei due poteva abbandonare il proprio mondo, in favore di quello dell’altro. Per lo meno, non in quel preciso momento storico.”

Sorrise un istante ad Aken, prima di tornare a scrutare il figlio e carezzargli amorevole una guancia.

“Io non potevo vivere a Rajana, e neppure me lo avrebbero permesso, temo, e Aken aveva dei doveri da assolvere come figlio primogenito della corona di Enerios. Doveri che non gli avrei mai permesso di non adempiere, neppure per averlo al mio fianco. Per questo, nessuno dei due si è mai unito ad alcun altro. Indipendentemente dalle bugie che ci vennero dette, nulla sarebbe comunque cambiato, tra noi. Anche se questo volle dire non rimanere assieme.”

Ancora confuso, Antalion fu costretto a sedersi su una sedia, sentendo le gambe ormai prossime a cedergli.

Tenendosi il capo corvino tra le mani, si piegò in avanti e gracchiò roco: “Ho un padre… è qui… e non so che fare…”

Sorridendo a quelle parole, Aken gli si inginocchiò innanzi e, prese le mani del figlio tra le proprie, gli domandò: “Possiamo imparare insieme, non credi? Neppure io ne so molto, di come si fa il padre. Perciò tu sei ampiamente scusato, se non sai di cosa fartene, di me.”

Il ragazzo lo fissò nelle iridi smeraldine che, in quel momento, lo stavano guardando con un orgoglio e un amore che non comprendeva appieno.

Era così strano, per lui, pensare di avere suo padre lì, in quella casa, quando per anni aveva dato per scontato di non poterlo mai conoscere.

Non sapendo bene come esprimersi, sorrise appena e mormorò: “Posso abbracciarti?”

“Mi offenderei, se non lo facessi” sorrise allora il principe, alzandosi per prenderlo tra le braccia.

Osservandoli con un rimestio di sentimenti contrastanti che le rombavano nel cuore, Eikhe sentì un enorme peso scivolarle dalle spalle, finalmente libere.

“Non avrei mai sperato di vedervi insieme.”

“Ma ora lo siamo, Eikhe” le sorrise Aken, scostando un braccio per accoglierla vicino a loro. “Lo siamo.”

***

Seduti a terra, di fronte alle alte fiamme del camino, Aken, Eikhe e Antalion osservavano pacifici l’altalenante dondolio del fuoco.

Era difficile comprendere da dove iniziare, per colmare l’enorme spazio vuoto che riempiva i loro animi.

Tra loro, poggiati a terra e racchiusi in una sacca di pelle, c’erano i doni che Aken aveva portato con sé da Rajana.

Fino a quel momento, però, il principe non aveva avuto il coraggio di mostrare nulla alla sua nuova famiglia.

A spezzare quel silenzio imbarazzato pensò Eikhe che, sorridendo all’uomo – ora sbarbato e molto più simile ad Antalion di quanto lo stesso giovane non avesse immaginato – domandò curiosa: “Posso sapere cosa nascondi in quella scarsella, visto che ti ostini a tirartela dietro fin da quando abbiamo messo piede in casa?”

Ridacchiando, l’uomo la prese tra le mani con dita leggermente tremanti e, dopo averne tirato il cordello di cuoio, la aprì.

Con attenzione, ne estrasse un corto coltello ricurvo dal fodero metallico, ricoperto da un intricato disegno a rilievo e dall’elsa a forma di testa d’orso.

Completamente frastornata di fronte alla bellezza dell’arma, Eikhe la prese dalla mano protesa di Aken e, con un sussurro ammirato, esalò: “Cos’è?”

“Un dono di mia madre a te, Eikhe” le spiegò lui, sorridendole sghembo. “E’ interamente in argento, e la lama è in acciaio temprato akantaryan.”

Sobbalzando sorpresa mentre Antalion sfiorava con reverenziale timore il fodero del pugnale, la donna chiese turbata: “Perché, Aken?”

Con una scrollata di spalle, lui disse a mo’ di spiegazione: “In qualche modo, ha sempre saputo dei sentimenti che ci legavano, e ha pensato che questo fosse un pegno che ti spettava per gli anni che ci hanno visti divisi. Mi ha pregato di chiedere il tuo perdono, prima che abbandonassi il palazzo.”

Sorridendo commossa nello sfoderare lentamente l’arma, ammirandone poi i riflessi del fuoco sulla lama di acciaio temperato, Eikhe sussurrò: “E’ un dono davvero importante. Come è importante sapere che ha accettato il nostro sentimento.”

“Penso che abbia sofferto quanto me, in questi anni, sapendoci separati” le confidò l’uomo, poggiando i gomiti all’indietro per poi scrutare pensieroso il soffitto di travi. “Non l’ho mai vista sorridere veramente, con me, se non quando mi ha visto partire per venire da te.”

Porgendo il pugnale ad Antalion perché lo guardasse con maggiore attenzione, Eikhe gli domandò: “Devo supporre che la stessa cosa non si possa dire di tuo padre, vero?”

Annuendo con un sorriso forzato, Aken borbottò: “Fu un bene, da parte tua, non cercare di metterti in contatto con me perché, con tutta probabilità, a quest’ora tu e Antalion sareste morti. E anche io.”

Il figlio per poco non lasciò cadere il pugnale a terra mentre la donna, aggrottando la fronte, esalava: “Sei rimasto a causa sua, quindi?”

Con una scrollata di spalle, Aken asserì torvo: “Il patto era semplice. La mia vita in cambio della tua. Io avrei dovuto rimanere a palazzo fino alla sua morte, pena la tua morte, in caso di una mia fuga. Lui, in cambio, non avrebbe ucciso te e le tue sorelle scatenando, molto probabilmente, una guerra intestina nel regno.”

Imprecando tra i denti, Antalion rinfoderò stizzito il coltello mentre Eikhe, sorridendogli benevola, tentava di chetarlo.

“Non potevo aspettarmi nient’altro dal re, tesoro, perciò non irritarti per nulla. Sapevo che non avrebbe mai voluto una come me, al fianco di suo figlio.”

Una come te! Lo dici come se non fossi degna di lui!” protestò con veemenza il figlio, gli occhi che sprizzavano scintille di orgoglio ferito.

Ridendo senza provare alcun divertimento, Aken fissò comprensivo il figlio, asserendo: “Furono le stesse parole che usai rivolgendomi a mio padre, e ciò che è successo in questi anni, è il risultato del mio scontro con lui.”

“Ma ora sei qui” precisò Antalion, fissandolo dubbioso.

“Già” annuì lui, prima di arrossire leggermente nell’estrarre un secondo oggetto dalla scarsella.

Lappandosi nervosamente le labbra, Aken mormorò: “Grazie a Hevos, ho potuto giungere qui senza pericoli e, grazie a Lui, ho saputo di te e del tuo nome, figlio mio.”

A occhi sgranati e con il viso abbronzato ricoperto da lieve rossore, al pari del padre, Antalion fissò i suoi occhi dorati su quel viso a lui così familiare ed estraneo assieme.

Con un certo imbarazzo, il padre gli allungò un bracciale di pelle, spiegandogli: “Non sapendo cosa potesse piacerti, ho pensato che un braccialetto di pelle, con il tuo nome inciso sopra, potesse andare bene. Nella capitale, di solito, lo si regala ai propri figli, e così…”

Afferrando con dita esitanti il bel bracciale di cuoio conciato su cui, in bella grafia, era stato inciso a fuoco il suo nome, Antalion lo indossò con un sorriso impacciato.

“Grazie… è bellissimo.”

Ridacchiando, Aken  si schernì subito di fronte a quel complimento.

“Non so quanto possa essere venuto bene, visto che le incisioni le ho fatte a mano, con un pugnale, e non con una pressa, comunque non mi sembra sia venuto così male.”

Scuotendo il capo con veemenza, il figlio sussurrò roco: “E’ perfetto…”

Notando il suo imbarazzo, oltre alla frase lasciata in sospeso, Aken asserì: “Puoi chiamarmi per nome. Non pretendo tu mi chiami ‘padre’ da un giorno all’altro. Né che tu lo faccia in ogni caso.”

Mentre Eikhe sorrideva di fronte all’espressione grata e impacciata del figlio, chiese ad Aken: “Hai parlato di Hevos, prima. Che intendevi dire?”

A quel punto, e sotto gli sguardi sempre più sorpresi della sua famiglia, l’uomo raccontò del suo viaggio e delle parole del dio-lupo.

Fu così che vennero a conoscenza della missione cui, inconsapevolmente, Eikhe e lui stesso erano stati gli ignari protagonisti.

Ridacchiando a metà tra l’irritato e il divertito, alla fine la donna celiò: “Beh, di sicuro, averlo saputo mi avrebbe facilitato le cose.”

“Gliel’ho fatto notare anch’io, ma lui ha replicato che esiste il libero arbitrio, e lui non può andare contro di esso” chiosò Aken, prima di sbadigliare sonoramente. “Dèi, credo mi stiano per crollare addosso tutti i giorni di viaggio da Rajana a qui, e in un colpo solo.”

Con un mezzo sorriso, Eikhe si levò da terra e, allungata una mano ad Aken, disse: “Andiamo a riposare un po’, ti va?”

“Credo di averne davvero bisogno” annuì lui.

Un attimo dopo, però, scrutò in viso il figlio, che li stava osservando a metà tra l’impacciato e il geloso, e disse: “Ma penso che, per stanotte, dormirò sul divano.”

“Eh? Oh… no, no, non è necessario!” esclamò a quel punto Antalion, come riscuotendosi dalla trance in cui era caduto. “Insomma, lo so cosa fanno maschio e femmina, assieme e… che, beh…”

Scoppiando a ridere di fronte al volto sempre più paonazzo del figlio, Eikhe lo abbracciò dolcemente prima di baciarlo sulle guance.

“Aken può dormire in camera tua, se preferisci così. E, quando ti sentirai pronto, verrà da me.”

Accigliandosi di colpo, il figlio brontolò: “Ora mi fai apparire come un bambino piccolo e capriccioso. Insomma, ho capito che volete stare da soli e che…”

Bloccando sul nascere il discorso del figlio, Aken gli batté una mano sulla spalla e disse per contro: “Mi piacerebbe passare la notte accanto a mio figlio, per una volta, visto che per sedici anni non ho mai potuto farlo.”

Con aria leggermente dubbiosa, Antalion gli chiese: “Sei sicuro?”

“Più che sì” annuì il padre.

“Tanto ci sono due letti, nella stanza. Non ti disturberò” borbottò allora il ragazzo, andandosene dal salottino con le spalle contratte e il volto rivolto verso il basso.

Ridendo sommessamente, Eikhe sussurrò ad Aken: “Hai fatto una cosa davvero carina, per lui.”

“L’ho fatto perché lo volevo” precisò lui, prima di piegarsi verso le sue labbra e sussurrare: “Sono qui solo perché lo volevo.”

“E io ne sono immensamente felice” asserì lei, accettando il suo dolce bacio. “Ora vai da lui. Conosci tuo figlio, fai amicizia con lui.”

“E’ nelle mie intenzioni” ammiccò lui, prima di stringerla in un frettoloso quanto stritolante abbraccio.

Sorridendo, Eikhe lo vide sgattaiolare fuori dalla stanza con passo allegro e, con un quieto sospiro, anche lei abbandonò il salotto.

Quasi senza crederci, si beò delle chiacchiere impacciate dei due uomini più importanti della sua vita e che, per la prima volta, potevano stare assieme sotto lo stesso tetto.

Ci sarebbe stato tempo per riavvicinarsi ad Aken in tutti i sensi. Così come lo scoprire come, solo ora, fosse riuscivo a sfuggire alle maglie del re.

Ora, l’importante era Antalion.

Lui non conosceva affatto suo padre, ed era giusto che imparassero a prendere confidenza l’uno con l’altro.

Lei si sarebbe abbeverata di quella vista finché le fosse stato permesso di farlo.

Perché sapeva che, per quanto lontana, la corona non era mai troppo distante da Aken e che, prima o poi, sarebbero venuti a cercarlo.

A cercarli.

 

 

 

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Capitolo 25
*** cap. 25 ***


25.

 

 

 

 

 

Aprendo gli occhi dopo un lungo e piacevole sonno ristoratore, Aken li sgranò di colpo quando, a sorpresa e con una certa apprensione, si ritrovò a fissare da vicino gli occhi ambrati del figlio.

Accomodato su una sedia accanto al suo letto, il mento poggiato sulle mani, era tutto intento a guardarlo con aria pensierosa.

La sera precedente, tra frasi imbarazzate e risolini sciocchi, i due si erano augurati la buona notte, rimanendo al buio di quell’ampia stanza che, solitamente, Antalion non divideva con nessuno.

Almeno per quanto lo aveva riguardato, Aken aveva passato ore senza riuscire a dormire, godendosi unicamente il rumore ritmato del respiro del figlio, a pochi passi da lui e disteso sul letto.

Doveva essersi addormentato solo a notte tarda ma, di sicuro, non si era aspettato, il mattino seguente, di ritrovarselo così vicino, e con gli occhi puntati addosso da distanza ravvicinata.

Sobbalzando leggermente sulla sedia come il padre nel letto, Antalion si ricoprì di purpureo imbarazzo prima di alzarsi frettolosamente – rischiando di ribaltare la sedia, nel farlo – e biascicare stentate scuse e un mezzo ‘buongiorno’.

Passandosi una mano tra il folto dei capelli neri, e striati sulle tempie da qualche filo argenteo, Aken abbozzò un risolino.

“Come mai tanto interesse per il mio sonno? Russavo?”

“Eh? No, no” scosse il capo il figlio, volgendogli le spalle per raggiungere la sua cassapanca ed estrarre una casacca pulita, che indossò con movimenti nervosi e insicuri.

Levatosi da letto con un sorrisino divertito dipinto sul volto, l’uomo si tolse la camiciola che aveva usato per dormire.

Dopo aver sollevato una delle sacche da viaggio sul letto, ne estrasse una pulita e fresca prima di indossare un paio di brache e le calze.

Nel farlo, però, mise in mostra il torace nudo al figlio che, sgranando leggermente gli occhi alla vista delle sue molteplici cicatrici, gli domandò: “E quelle? Te le sei fatte in battaglia?”

Allacciandosi lentamente la camiciola di lino, Aken annuì.

“Tutte rimediate in battaglia, sì, ... quando avevo qualche anno più di te.”

Con passo incerto, Antalion si avvicinò al padre, continuando a osservarlo da sotto le lunghe ciglia scure e, morsosi pensoso un labbro, chiese ancora: “E’ stato… beh, la guerra, è stata dura?”

“Intendi quella contro Vartas?” chiese a sua volta Aken, infilando i lembi della camicia nelle brache di pelle conciata.

Annuendo, Antalion si guardò intorno con aria persa, prima di chiedergli di getto: “Hai avuto paura di morire?”

Sorridendogli, l’uomo si sedette sul letto per infilare le calze di lana e i bassi stivaletti di cuoio, dopodiché tornò a fissarlo per dirgli onestamente: “Paura? L’avevo ogni giorno, ma non tanto per me, quanto per mio fratello. Mi sentivo responsabile per lui, e non volevo si facesse male. Inoltre, dovevo pensare a tutti i miei soldati, alle figlie sacre, alle donne-lupo,… a tutti coloro che erano giunti lì a combattere per un mio ordine. Non avevo tempo per avere paura solo per me stesso.”

“E pensavi mai alla mamma?” chiese allora Antalion, tornando ad arrossire.

Con un risolino, Aken celiò: “Anche troppo. Mio fratello, una volta, mi rimbrottò dicendomi che mi sarei fatto ammazzare, se non avessi smesso di pensare così tanto a lei. E ci andai vicino, una volta.”

“In che senso?” esalò il figlio, impallidendo.

Scrutando il ragazzo con fare pensieroso, poggiò il mento su una mano prima di chiedergli: “Sei nato il giorno della vittoria contro Vartas, vero?”

Con evidente sgomento dipinto nei chiari occhi d’ambra, Antalion esalò sorpreso: “Come fai a saperlo? Te l’ha detto Hevos?”

Scuotendo il capo in segno di diniego, Aken replicò: “Ti sembrerà folle, ma quel giorno udii tua madre urlare di dolore e, subito dopo, gridare il mio nome.”

“Davvero?” sussurrò Antalion, a occhi sgranati.

“Ho ricollegato la tua età e quell’episodio solo quando ho saputo di te e, visto che le cose sembravano coincidere, ho pensato che, in qualche modo, io e tua madre fossimo collegati nonostante la distanza” gli spiegò il padre, pur trovando assurdo ciò che stava dicendo. “Magari è sciocco pensarlo, però, mi piace come idea.”

Non vista né udita dai due uomini, Eikhe se stava in assorta contemplazione sulla porta della stanza del figlio e, dopo aver udito le parole di Aken, avanzò con un sorriso verso di loro e disse: “Non è poi tanto strano.”

“Eikhe! Buongiorno!” sorrise l’uomo, levandosi subito in piedi per abbracciarla e darle un casto bacio sulla fronte. “Cosa dicevi, scusa?”

“Mi riferivo a ciò che hai detto prima” gli spiegò Eikhe, sorridendo al figlio prima di aggiungere: “E’ possibile che la mia particolare condizione di partoriente abbia acuito i poteri del Marchio di Hevos, permettendomi di contattarti in qualche modo. Avrei tanto voluto averti al mio fianco, quel giorno.”

“Lo immagino” sussurrò lui, spiacente. “Ma ora, difficilmente ti libererai di me.”

“Ma il re non cercherà di riportarti a casa, al disgelo? Hevos non potrà tenere chiusa la Carovaniera in eterno” disse per contro Antalion, adombrandosi in viso.

Scrutando il figlio con cieca convinzione, Aken disse perentorio: “Niente e nessuno mi strapperà a voi. Affronteremo i guai quando busseranno alla nostra porta. Per il momento, abbiamo tutto l’inverno davanti da passare assieme senza problemi. Al resto, penseremo dopo.”

“Sarà il caso che vada a scaldare l’acqua per la colazione” borbottò a quel punto Antalion, dirigendosi a grandi passi verso la porta della sua stanza.

Prima di svoltare l’angolo, però, si volse a mezzo e, impacciato, chiese: “Ehm, senti… vuoi il caffè, per caso,… A-Aken?”

“Andrà benissimo quel che prendete voi” gli sorrise lui, prima di veder letteralmente fuggire il figlio con il viso in fiamme.

Ridendo sommessamente, Eikhe si strinse all’uomo, dicendo: “Ci vorrà un po’ di pazienza… scusalo.”

“E di cosa? Ha preso tutta la faccenda fin troppo bene” sorrise Aken, stringendola con forza a sé prima di schiacciarle le labbra in un bacio possessivo e carico di promesse. “Non mi aspettavo niente di più. Anzi, qualche insulto, sì.”

Intrecciando le mani dietro il suo collo taurino, Eikhe socchiuse gli occhi e gli sussurrò: “Ho educato bene nostro figlio. Non dice parolacce se non è strettamente necessario.”

“Meglio” le sussurrò sulle labbra. “Pensi se la prenderebbe se io e te arrivassimo in ritardo per la colazione?”

Scoppiando a ridere di gusto, lei annullò le distanze che li separavano per dargli un bacio divorante, con cui riassaporò la sua bocca dopo lunghi anni di separazione.

Solo dopo essersi ritenuta soddisfatta, si staccò da lui, e unicamente per sussurrargli: “Stanotte recupereremo gli anni che abbiamo passato separati, ma adesso devo davvero muovermi, e anche tu. Devi presentarti da Istrea per dirle che sei giunto qui e che abiterai con noi, d’ora in poi.”

“Si può davvero?” le domandò, ancora incredulo.

“Vedrai con i tuoi occhi quanto è diversa questa tribù. E incontrerai anche due nostri vecchi amici” gli sorrise, notando il suo stupore farsi più ampio.

“Chi intendi?” esalò l’uomo, fissandola a occhi sgranati.

“Seletta e i suoi figli sono qui. Vedessi come si sono fatti grandi!” trillò Eikhe, prima di avvolgere con un braccio quello di Aken e aggiungere: “Vieni, andiamo a vedere cosa combina nostro figlio in cucina.”

“Sì, andiamo” assentì il principe, ancora frastornato ma molto, molto felice.

***

Fu con un sorriso a stento trattenuto che Aken scoprì cosa, il figlio, aveva fatto nei dieci minuti passati da lui ed Eikhe a sbaciucchiarsi prima di raggiungere la cucina.

In pratica, aveva svuotato la dispensa per preparargli una colazione coi fiocchi.

Il principe fu quindi ben lieto di assaggiare le uova strapazzate, insaporite con la pancetta fresca e, in brevissimo tempo, si scolò ben tre bicchieri di latte, oltre al caffè fumante e aromatizzato.

Il tutto sotto lo sguardo vagamente sorpreso di Antalion.

“Devi sapere che adoro il latte” gli spiegò Aken, prima di picchiettare con un dito il piatto ormai vuoto. “E ora che so che sai cucinare così bene, ne approfitterò più spesso.”

Il figlio ridacchiò imbarazzato prima di guardare la madre, che stava sorridendo fiera.

“Mi ha insegnato mamma. Mi ha detto che gli uomini, come le donne, devono essere in grado di badare a loro stessi… e cucinare fa parte del pacchetto.”

“Sempre sostenuto che tua madre fosse una donna molto intelligente” chiosò l’uomo, allungandosi per stampare un bacio sulle labbra a Eikhe. “Mi accompagnerai tu dalla capo-tribù, Antalion?”

“Eh? Sì, va… va bene” balbettò lui, prima di diventare paonazzo in viso e, più deciso, aggiungere: “Sarà un onore presentarti alla Signora del Villaggio.”

Ridendo sommessamente – era ovvio quanto il figlio si sentisse ancora a disagio, all’idea di avere finalmente il padre lì con lui – Aken gli batté una mano sul braccio, consolatorio.

“Se hai altro da fare, andrò da solo. Di certo non mi morderanno, ti pare?”

Sgranando gli occhi, il figlio scosse con veemenza il capo di capelli lisci e corvini, replicando subito: “No, no! Ci tengo, davvero!”

“Faremo solo quello che vorrai tu” ci tenne a precisare il padre, sorridendogli generosamente.

Imprecando tra i denti, Antalion distolse lo sguardo sotto gli occhi sorpresi di Aken e quelli generosamente comprensivi di Eikhe che, terminata in silenzio la sua colazione, si levò in piedi per raggiungere la porta.

Il figlio la seguì con lo sguardo, come se non sapesse bene come comportarsi e lei, lanciandogli un sorriso da sopra la spalla, si limitò a dire: “Sii te stesso.”

Detto ciò, uscì dopo aver strizzato l’occhio ad Aken che, tornato a fissare il figlio, intrecciò le braccia sul petto prima di chiedere: “Cosa ti turba, ragazzo? Puoi dirmelo. Ho le spalle larghe, e reggo praticamente tutto. Insulti compresi.”

Mordendosi un labbro per il profondo imbarazzo che stava provando in quel momento, Antalion si levò dalla sedia per avvicinarsi al padre.

A testa bassa e con le spalle contratte, sussurrò debolmente: “Posso… posso abbracciarti ancora?”

Senza dire nulla, Aken si alzò in silenzio e, allargate le braccia muscolose, avvolse in un caloroso abbraccio il figlio.

Gentilmente, poggiò una mano sul suo capo per spingerlo gentilmente a poggiare la testa contro la sua spalla, cosa che Antalion fece dopo un attimo di smarrimento.

Senza neppure accorgersene, il giovane abbracciò con forza il padre e, cominciando a singhiozzare pur riuscendo a trattenere le lacrime, mormorò contro il suo torace muscoloso: “Non sapevo cosa provare, quando pensavo a te. La mamma continuava a dirmi che eri una persona buona e valorosa, ma io non riuscivo a crederle, visto che ci avevi abbandonati. Ti ho odiato, alcune volte, mentre altre avrei tanto voluto averti vicino.”

Continuando a carezzargli il capo con lenti e continui movimenti della mano, Aken chiuse gli occhi e poggiò la guancia contro i suoi capelli soffici.

“Mi sono sentito spezzato a metà per anni, laggiù a Rajana, sapendo Eikhe lontana e per sempre persa, per me. Se anche avessi saputo di te, ben poco avrei potuto fare, perché scioccamente avevo deciso di vivere nel mio dolore tenendo tutti fuori dalla mia vita. E’ stato tuo zio Ruak ha darmi una sonora lezione di vita.”

“In che senso?” volle sapere Antalion, scostandosi dal padre per scrutarlo in viso.

“Ti dissi che ti vide a Marhna, ricordi?”

Al suo assenso, il principe proseguì nel racconto.

“Pensò che Eikhe mi avesse tenuto nascosta la sua gravidanza, visto che io mi trovavo ancora a palazzo, e non qui con voi. Mi aggredì verbalmente chiedendomi perché, per tanti anni, mi fossi rinchiuso spontaneamente a Rajana, rinunciando alla felicità.”

“Lui non sapeva!” esalò il figlio, sgranando leggermente gli occhi per la sorpresa.

Annuendo, Aken ammise: “Avrei dovuto spezzare l’immagine di nostro padre ai suoi occhi? No, non l’avrei mai fatto, neppure per essere felice. Così, quando scoprì ogni cosa, mi diede un bel pugno in faccia e litigammo della grossa, prima di chiarire un punto fondamentale del nostro rapporto.”

“E cioè?” chiese allora Antalion.

“Che, in quanto fratelli, dovevamo spalleggiarci a vicenda e che, tenerlo all’oscuro di tutto, era stato un errore. Anche se, a detta di Hevos, la mia reclusione forzata è comunque servita ai suoi scopi” scrollò le spalle Aken, con un mezzo sorriso.

Storcendo la bocca, il ragazzo replicò torvo: “Avrei preferito avere un padre i miei primi sedici anni di vita, e litigare con la corona.”

“Che ci vuoi fare? E’ andata così, ed Eikhe e io eravamo abbastanza testardi e ligi al dovere da sacrificare tutto, per gli altri” commentò aspro Aken, prima di aggiungere: “A volte mi chiedo se, invece, non siamo stati solo dei grandi stupidi.”

“Mi asterrò dal rispondere” asserì diplomaticamente Antalion, guadagnandosi per diretta conseguenza un’occhiataccia dal padre.

“Fatto sta che, dopo aver saputo della mia probabile paternità, ci siamo mobilitati in gran segreto per permettermi di fuggire da palazzo e, dal quel che posso immaginare conoscendo mio padre, a quest’ora gli saranno venuti così tanti travasi di bile da averlo reso praticamente intrattabile” chiosò l’uomo, poggiando le mani sui fianchi con aria vagamente soddisfatta.

“Mi sarebbe piaciuto vedere mio zio. Peccato non abbia fatto caso alla presenza dei soldati in missione, provenienti da Rajana” mormorò sconsolato Antalion, reclinando il capo.

“Faremo in modo che, prima o poi, questo tuo desiderio possa avverarsi” gli promise Aken, dandogli una pacca sulla spalla. “Allora, andiamo dalla Signora del Villaggio?”

“Sì, andiamo pure” annuì con vigore Antalion, prima di chiedere imbarazzato: “Potresti evitare di dire alla mamma che, per poco, non mi sono messo a piangere come un lattante?”

“Niente uscirà dalle mie labbra” gli promise il padre, avvolgendogli con una certa titubanza le spalle con un braccio.

Antalion si irrigidì per un istante, di certo ben poco abituato a un simile gesto, prima di sorridere impacciato.

“E’ piacevole.”

“Non puoi sapere quanto” annuì Aken, avviandosi verso la porta assieme a lui.

***

La vista di un uomo a passeggio per la via principale del villaggio, a quanto pareva, doveva essere una cosa abbastanza comune, da quelle parti.

A parte poche rapide occhiate da parte di alcune donne, al lavoro fuori dalle loro case, Aken non vide alcun altro tipo di reazione al suo passaggio assieme ad Antalion.

Quando poi, a sorpresa, scorse un uomo ben piantato, e armato di ascia, uscire da una casetta a due piani, il principe si stupì ancora di più.

Lo spaccalegna in questione, dopo aver dato un bacio a una altissima quanto giovane figlia sacra, scese i due gradini che conducevano in strada prima di salutare con un gesto Antalion.

Rivolgendo poi uno sguardo curioso ad Aken, domandò: “Ehi, salve, ragazzo. E questo giovanottone al tuo fianco, chi sarebbe?”

Sogghignando, Aken guardò il figlio con ironia e lui, ridacchiando, disse: “Beh, buondì, Yvok. Lui è mio padre. Aken.”

Facendo tanto d’occhi, lo spaccalegna riuscì a riprendere il controllo di se stesso dopo alcuni attimi di meravigliato stupore e, allungata subito la mano all’indirizzo di Aken, esclamò: “Per Hevos! E chi l’avrebbe mai detto che avremmo mai visto in faccia il compagno di Eikhe. Tanto piacere, Aken!”

“Piacere mio, Yvok” disse a sua volta il principe, stringendo quella forte mano con una stretta altrettanto poderosa.

Con un gran sorriso, Yvok diede una pacca sulla spalla ad Antalion, annuendo più e più volta.

“Buona stretta, la sua. Mi piace già, tuo padre. Mi fermerei a farvi il terzo grado, ma le piante non aspettano. O meglio, loro sì, ma il commerciante che le vuole, no. A presto!”

Salutandolo nel vederlo allontanarsi a grandi passi, Aken commentò sorpreso: “Beh, che diamine!”

“Ti fa strano, eh?” ammiccò Antalion, fissando il padre con un risolino.

“Eccome! Abituato com’ero alle regole di Kaihle…” assentì Aken, prima di notare lo sguardo accigliato del figlio. “Che succede?”

Ombroso in viso, Antalion gli chiese: “Sai che cercò di uccidermi appena nato?”

Accigliandosi immediatamente a quelle parole, Aken ringhiò aspramente: “Non mi stupisce, visto come la pensava degli uomini e delle figlie sacre.”

“Il branco mi salvò la vita. E anche mia zia Tyura” gli spiegò Antalion, rasserenandosi un poco. “Ma, anche se ora lei è la Signora di Nestar, visto che Kaihle è malata, le donne del villaggio non vogliono ancora che io o mamma ci avviciniamo a loro. Zia Tyura, giustamente, deve fare il bene di tutte, e così ci incontriamo spesso a Marhna, dai nonni, oppure a casa di Sendala, nel boschetto nei pressi della città.”

Nell’udire quel nome familiare, Aken sollevò un sopracciglio con aria curiosa e gli domandò: “A proposito di Sendala. Come mai non è qui? Quando la conobbi io, era come l’ombra di tua madre.”

Ridacchiando, Antalion perse del tutto il suo umor nero e disse: “Si è sposata, quando io avevo all’incirca dieci anni, con uno spaccalegna di Marhna di nome Enok. Hanno una figlia di quattro anni di nome Amill, e io sono il suo padrino.”

“Beh, accidenti a lei!” esclamò Aken, passandosi una mano tra i capelli con fare sorpreso. “Tutto mi aspettavo tranne che si sarebbe sposata. Quindi… ha ripudiato le sue sorelle?”

“E’ il contrario. L’hanno sbattuta fuori, quando lei ha voluto venire ad abitare con me e mamma, quando ancora abitavamo nei pressi di Marhna. Mi ha fatto da zia assieme a Enok, che è stato tra quelli che hanno costruito la nostra baita nei boschi” gli spiegò Antalion. “Enok mi ha insegnato a camminare, sai?”

“Mi sono perso un sacco di grandi eventi, eh, in questi anni?” mormorò spiacente Aken.

Con un gran respiro, Antalion disse per contro: “Però ci sono ancora tante cose che possiamo fare assieme, no?”

“Tantissime” annuì il padre, sorridendogli orgoglioso prima di udire, in lontananza, la voce squillante, e familiare, di una ragazza.

Sorridendo quando vide giungere di corsa la figura slanciata e sottile di Liana, la ragazza che aveva visto nel bosco, Aken la salutò al pari di Antalion con un gesto educato della mano.

Quando lei si fermò loro innanzi, non poté esimersi dallo scoppiare a ridere di gusto.

Trafelata per la corsa e con gli occhi ambrati spalancati fino al limite, Liana li fissò sbalordita per alcuni interminabili secondi prima di esclamare: “Cielo! Senza barba, vi assomigliate come due gocce d’acqua!”

Antalion, sorridendo all’amica, indicò il padre con aria vagamente tronfia.

“Liana, posso presentarti mio padre?”

“Tuo … padre?” esalò l’amica, levando lo sguardo a fissare ben bene Aken in viso.

“Il mio nome è Aken, tanto piacere” disse a quel punto il principe, chinandosi elegantemente per farle un baciamano di tutto rispetto.

Ridacchiando, del tutto impreparata a quel gesto, Liana esclamò: “Oh, mamma! Hai un papà molto bello, Antalion! E molto galante!”

“Grazie” replicò il ragazzo, prima di aggrottare la fronte e chiedere: “E’ più bello di me?”

Dandogli di gomito, l’amica replicò maliziosa: “Lui è l’uomo di tua mamma, sciocchino.”

“Ah, ecco” mormorò Antalion, ritenendosi soddisfatto.

Aken li squadrò curiosamente per qualche secondo, incuriosito dal loro rapporto.

“Mi spiace dover fare il guastafeste, ma dovremmo andare da Istrea.”

“Oh, hai ragione!” esclamò il ragazzo, ridacchiando. “Vieni con noi?”

Scuotendo il capo spiacente, Liana replicò: “Non posso. Sono di turno nella stalla dei puledri ma, se volete, dopo potete raggiungermi lì e raccontarmi com’è andata.”

“Non mancheremo” le promise Aken, sorridendole generosamente prima di vederla correre via con la stessa leggiadria di un lupo.

Guardandola percorrere la via con passo veloce e ferino, Aken venne inondato da vecchi e piacevoli ricordi riguardanti Eikhe e, guardando il figlio, commentò: “Ha la stessa eleganza di Eikhe.”

“Ed è altrettanto bella. Tu che ne dici, padre?” asserì Antalion, sorridendo.

“Dico che la ragazza stravede per te. E’ la tua fidanzata?” gli domandò a quel punto il padre, curioso.

Storcendo il naso, Antalion ci pensò su un attimo prima di rispondere.

“Non esiste una definizione simile, tra noi. Siamo solo ottimi amici e, beh, ci siamo baciati un paio di volte, ma la cosa finisce lì.”

“Capisco… ma tu le vuoi bene, no?” insisté l’altro, sempre più interessato.

“Ma certo!” esclamò lui, con veemenza. “Ma ne voglio anche alle altre ragazze del villaggio. Come ai ragazzi, del resto. Sono tutti mie sorelline e miei fratellini, in qualche modo.”

“Ma con lei è diverso” precisò Aken, sogghignando divertito.

“Credo di sì” ammise Antalion, arrossendo un poco.

Ridacchiando, il padre gli batté una mano sulla spalla dicendo: “Tranquillo, quando diventerà qualcosa di più, te ne accorgerai.”

“Se lo dici tu…” borbottò il figlio, tornando a incamminarsi con lui.

Non occorse loro molto per raggiungere la casa della Signora del Villaggio, posta nel mezzo di Hyo-den.

Disposta su tre piani e costruita, come le altre, in roccia e tronchi d’albero levigati, la casa disponeva di un’ampia veranda d’ingresso, raggiungibile grazie a due scalini di pietra grigia.

Sulla porta, una testa di lupo intagliata in bassorilievo sovrastava un piccolo rosone, incastonato nel pannello di quercia con cui era stato costruito il battente d’ingresso.

Una piccola campanella di metallo, appesa a fianco alla porta, lasciava penzolare un batacchio a forma di artiglio.

Rammentando bene l’etichetta, Aken si tolse gli stivali al pari di Antalion.

Dopo aver preso due paia di pianelle di pelo di coniglio da una scarpiera che si trovava sulla veranda – a uso esclusivo degli ospiti in visita – , fecero tintinnare la campana.

Da una finestra vicino all’entrata apparve per un momento un giovane volto di donna che, un attimo dopo, comparve sull’entrata con un gentile sorriso e una domanda inespressa sul bel volto dorato.

“Benvenuto, Antalion, e benvenuto a te, straniero. La Casa della Signora è sempre aperta per chi giunge con cuore sincero. In cosa posso esservi utile?”

“Ciao, Selden. Tua madre è libera? Mio padre vorrebbe parlarle per presentarsi degnamente a lei” esordì Antalion, sorridendo alla giovane donna.

Aprendosi in un sorriso estasiato, che letteralmente le illuminò il viso, Selden esclamò: “Oh, quindi lo straniero di ieri era tuo padre! Sono lieta per te, Antalion. Mia madre vi riceverà subito.”

Notando solo in un secondo momento le pianelle ai piedi di Aken, accentuò il suo sorriso e chiosò: “Conosci il protocollo, padre di Antalion. Bene; mia madre ne sarà favorevolmente compiaciuta.”

“Ne sono lieto” mormorò Aken, entrando con il figlio all’interno dell’enorme casa.

La prima volta che aveva incontrato Kaihle nel suo ambiente naturale, Aken si era trovato in un’abitazione in tutto simile a quella.

Con ammirazione, osservò i bei palchi di cervi appesi ai muri, gli arazzi finemente ricamati che abbellivano il corridoio e, enorme quanto ben fatto, l’imponente camino che giganteggiava nel salone.

Dopo averli condotti lì, Selden si scusò con loro, lasciando la stanza per andare in cerca della madre.

Nella sala delle visite, illuminata da grandi vetrate, si trovavano tre bei divani dal telaio di legno e i morbidi cuscini color cannella.

Fu lì che Istrea li trovò, accomodati su uno di essi in quieta attesa del suo arrivo.

Aken levò subito lo sguardo e, in fretta, si alzò in piedi per rendere omaggio alla Signora del Villaggio.

Lo sguardo di lupo della donna lo studiò per un attimo, divenendo subito docile e mansueto non appena si posò sul viso di Antalion.

Con un sorriso, il giovane disse: “Ben trovata, Istrea. Sono giunto qui stamani per presentarti mio padre, com’è mio dovere secondo la legge.”

Rivolto un cenno alla figlia, che si dileguò silente lasciandoli soli, Istrea invitò i nuovi venuti ad accomodarsi nuovamente,

Sorridendo poi ad Aken con autentico interesse, dichiarò: “Anche se non avessi udito le parole di Antalion, il tuo viso parlerebbe da solo. Siete due gocce d’acqua, uomo del sud.”

Reclinando graziosamente il capo per omaggiare, Istrea, Aken asserì: “Non so se ti ricordi personalmente di me, ma sono lieto di poterti rivedere dopo tutti questi anni, Signora del Villaggio, e sono altrettanto lieto di poter essere annoverato tra i tuoi concittadini.”

Ridacchiando, Istrea si sedette sul divano dinanzi a loro.

“Mio caro, dovrei essere folle a rifiutare qualcosa a Eikhe e Antalion. Inoltre, la nostra legge prevede senza alcun problema la presenza dei compagni delle mie care figlie qui al villaggio, sempre che tu sia disposto a lasciare da parte il credo secondo cui gli uomini sono superiori alle donne.”

“Sono decenni che so quanto sia sciocco crederlo. Siamo diversi, e come tali abbiamo pregi e difetti, punti di forza e punti deboli. Ma siamo complementari, e perciò paritari” chiosò Aken, vedendo Istrea annuire più e più volte nell’udire le sue parole.

Antalion si gonfiò come un pavone, fiero del dire del padre e Istrea, notandolo subito, ridacchiò.

“Per anni ho sperato che questo baldo giovane, che io amo e apprezzo come un figlio mio, incontrasse suo padre, e ora è successo. Ma ciò che mi chiedo è questo; può il principe di Rajana restare impunemente entro i nostri confini, senza che la corona lo reclami per sé?”

Se Antalion si mostrò stupito nell’apprendere che la Signora del Villaggio era a conoscenza della sua reale identità, non lo fu per Aken che, sorridendo malizioso, celiò: “Bene. Sono lieto di essere rimasto nella tua memoria, figlia sacra. Quanto alla tua domanda, è difficile a dirsi.”

Annuendo, Istrea asserì con tono divertito: “Scioccamente, non ho mai collegato il viso di Antalion al tuo, principe, ma avrei dovuto capirlo molto prima. A volte, non sono così veloce di pensiero come voglio far sembrare.”

“A onor del vero, sono anni che non mi vedi” precisò l’uomo, sorridendo. “A ogni modo, rimarrò qui finché sarà sicuro per voi. Se dovessi anche solo sospettare che mio padre intende muovere guerra contro di voi, me ne andrò.”

“Se, e quando, la corona si muoverà, noi agiremo di conseguenza come un branco coeso. Non hai nulla da temere, Aken, figlio di Arkan e di Lioanna” dichiarò Istrea, sorridendo con aria comprensiva.

Alzandosi in piedi con fare solenne, il principe si inchinò formalmente dinanzi a lei.

“Sono onorato di fare parte del tuo branco, Signora di Hyo-den, e ti prometto fin d’ora che, tutto ciò che potrò fare per te e per tutti coloro che abitano nel villaggio, io lo farò.”

“Sei figlio di nobile lignaggio, ma più nobile ancora è il tuo spirito, figlio del branco…” cominciò col dire Istrea, levandosi in piedi a sua volta prima di posare una mano sul capo chino di Aken. “…perciò, io ti accolgo a braccia aperte e con il cuore libero. Sii figlio, padre e amico di tutti coloro che ivi risiedono. Sii lupo, come tutti noi.”

“Lo farò” annuì debolmente Aken.

Guardando il giovane Antalion che, in silenzio, stava osservando l’intera scena con occhi lucidi, Istrea aggiunse: “Tuo figlio ha bramato per anni la tua comparsa, principe Aken e, ora che sei qui, una nuova luce brilla nei suoi occhi, e io ne sono felice e fiera al tempo stesso. Imparate a conoscervi, poiché è ormai tempo. Sei dispensato dai tuoi obblighi per tutta la settimana, Antalion. Passa più tempo che puoi con tuo padre e impara a conoscere l’uomo che è, mentre lui imparerà a conoscere il giovane che sei.”

“Grazie, Istrea” mormorò Antalion, sorpreso dalle sue parole.

Sorridendo a entrambi, la donna aggiunse calorosamente: “Ora andate da Eikhe; anche lei ha bisogno di vedervi insieme. Il suo cuore, come il vostro, ha bisogno di risanare tante piccole ferite, e solo stando uniti, potrete guarire.”

“Faremo così… e grazie” annuì Aken, con un altro piccolo inchino.

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Capitolo 26
*** cap. 26 ***


N.d.A: Un capitolo avventuroso, per i nostri eroi....

 

 

26.

 

 

 

 

 

Aken aprì svogliatamente gli occhi, al suono melodioso degli uccelli boschivi.

Sorridendo nell’osservare il viso addormentato dell’amata, stiracchiò le braccia fino a sfiorare il muro di tronchi, prima di chinarsi a baciare Eikhe.

“Sveglia, dormigliona.”

Lei, dopo un momentaneo stordimento, sollevò sonnacchiosa le palpebre pallide.

Sorridendo serena non appena rammentò chi stesse dormendo al suo fianco, si arrampicò su di lui e mormorò: “Non sei un sogno, allora,… sei veramente qui.”

“Sì, e ci resterò” sorrise lui, facendola sorridere piacevolmente.

Le mani, guidate dall’istinto e da vecchi ricordi, scivolarono lente dall’attaccatura delle natiche lungo la spina dorsale di Eikhe.

Quando, però, sfiorarono i residui di cicatrici ormai vecchie, i suoi occhi ebbero un guizzo leggero, prima di mascherare il proprio disappunto dietro un sorriso.

Senza lasciarsi ingannare, la donna baciò delicatamente le labbra di Aken, sussurrando: “Non farci caso.”

“Sapere che te le hanno fatte per causa mia, non mi aiuta a non farci caso” replicò gentilmente lui, continuando a esplorare la sua schiena nuda, tracciando con le dita i contorni di ogni cicatrice come a volersele imprimere nella mente.

Socchiudendo gli occhi, Eikhe calò la bocca sul suo mento, leggermente punteggiato di barba, e alitò sulla sua pelle calda: “Ogni cicatrice, io la porto con orgoglio.”

“Non avevo alcun dubbio” ridacchiò lui, prima di scostarla gentilmente da sé per scavalcarla e mettersi sopra di lei.

Ancora prona, la donna volse il capo sul cuscino per scrutarlo con la coda dell’occhio e Aken, sogghignando furbamente, si chinò su di lei e iniziò a percorrerle la schiena con lenti, caldi baci a fior di pelle.

Quel ritmo blando e sensuale scatenò in Eikhe una lunga, interminabile serie di piccoli brividi bollenti.

Mordendosi un labbro per trattenersi dall’ansimare al suo tocco così delicato ed esperto, affondò le unghie nelle lenzuola.

Aken, implacabile e apparentemente mai sazio, continuò a baciarla con straziante lentezza, godendo di ogni centimetro della sua pelle calda.

Scendendo sempre di più, poco alla volta.

Le sue mani, complici maliziose della bocca, percorsero viziosamente i suoi fianchi – ormai liberi dalle lenzuola – lasciando dietro di sé scie infuocate sulla carne morbida e profumata.

Sotto quella piacevole tortura, Eikhe si dimenò nel vano tentativo di voltarsi per dare sfogo anche ai propri desideri.

A ogni suo tentativo, però, lui la bloccò con decisione ai fianchi, affondando le forti mani nella sua pelle dorata.

“Non ancora.”

Fu solo un sussurro, ma bruciò nelle orecchie di Eikhe come fuoco.

Non potendo più resistere, la donna si lasciò sfuggire un ansito di piacere, subito soffocato contro i cuscini.

Ridendo roco, Aken si scostò un momento dalla schiena dell’amata per alitarle all’orecchio: “Pensi che Antalion si scandalizzerebbe, sentendoti urlare?”

“Aken! Non vorrai…” esalò lei, sgranando gli occhi prima di avvertire, all’improvviso, la spinta possessiva e vogliosa del suo membro.

Con un unico, fluido movimento, fu dentro di lei ed Eikhe, impreparata a quell’assalto, si lasciò sfuggire un gridolino di piacere.

Il principe, con un sorriso tronfio, tornò a muoversi con straziante lentezza, facendola sua ancora una volta.

Ritrovarsi, dopo anni e anni passati a sognare un incontro in cui, nessuno dei due, aveva mai creduto veramente, aveva spalancato le porte dei loro desideri, soppressi con la sola forza di volontà.

Durante l’intera notte passata assieme, entrambi avevano ripreso confidenza con i rispettivi corpi, ridendo dei cambiamenti che il tempo aveva portato su ciascuno di loro.

E sgomentandosi, dinanzi alla sciocca ignoranza di coloro che non li avevano compresi.

Le cicatrici di Eikhe erano state, per Aken, il punto più dolente da sopportare.

La donna aveva impiegato ore a calmare la sua giusta rabbia, rabbia che il principe avrebbe voluto sfogare su coloro che l’avevano fatta soffrire negli anni.

Sapere della grave malattia di Kaihle, e della morte di colei che le aveva inferto le frustate, non era servito a chetare il malumore del principe.

Ma, di fronte alla richiesta accorata dell’amata, lui non aveva potuto che accontentarla.

A quel punto, però, l’aveva cullata tra le braccia, baciandola teneramente sul viso e sull’attaccatura dei seni ed Eikhe, non riuscendo a trattenersi, si era stretta a lui e aveva pianto.

Lacrima dopo lacrima, gli aveva raccontato quanto avesse sofferto e quanto, avere accanto sua sorella e i lupi, l’avesse aiutata in quei momenti drammatici.

Si erano addormentati l’uno tra le braccia dell’altra e, quando il sole aveva fatto capolino oltre il muro di montagne che sovrastavano il villaggio, Aken aveva avvertito dentro di sé il desiderio di darle nuovamente piacere.

Sentirla venire sotto di sé, appagata e con gli occhi velati dalla passione appena risvegliata, fece sorridere soddisfatto l’uomo.

Chinandosi per baciarla su una guancia, le sussurrò roco: “Ti amo.”

Eikhe si limitò a sospirare appagata, ascoltando gli ansiti di Aken come se fossero musica per le sue orecchie, lieta di poter finalmente assaporare il suo tocco, la sua presenza, il suo amore.

Molto tempo dopo, sdraiati supini sul letto e nuovamente coperti dalle lenzuola e dalla pesante coperta di pelliccia, la donna si volse a mezzo per scrutare il profilo regale di Aken.

“Cosa provasti, quando Ruak ebbe il suo primo figlio?”

Sorpreso, Aken la guardò curioso prima di chiederle: “Come mai questa domanda?”

Poggiandosi su un gomito per sollevarsi e avere una migliore visuale del suo viso, lei gli chiese ancora: “Ti sentisti tradito da me? O dal Fato?”

“Da te, mai, Eikhe” scosse il capo lui, carezzandole il contorno del viso con un dito. “Con il Fato, ho avuto prolungate discussioni, ma ero più impegnato a piangermi addosso e rendere nervosi tutti, che altro. Ci è mancato poco che mia cognata mi uccidesse, un giorno, ma per fortuna ha avuto pietà di me.”

Ridendo divertita e sorpresa, Eikhe sollevò ironica un sopracciglio e dichiarò: “Mi piacerebbe tanto conoscere la principessa Renke. Deve essere davvero un tipo interessante.”

“La adoreresti. E’ uno spirito libero, anche se non come te, e Ruak ne è follemente innamorato. E io, ovviamente, la amo da impazzire” le spiegò Aken, sollevandosi a sedere.

Acuendo il sorriso, la compagna lo imitò prima di raccogliere le ginocchia contro il petto, avvolgerle con le braccia e chiosare: “I due principi di Enerios messi in ginocchio da una donna che, con tutta probabilità, pesa la metà di loro. Sì, mi piacerebbe di sicuro.”

Perdendo parte della propria allegria, lui sussurrò spiacente: “Mi dispiace tantissimo che non si possa contattarli in nessun modo ma, finché mio padre non cambierà idea su te e me, sarà impossibile avere alcun rapporto con la corona. Eppure, mi sarebbe piaciuto tanto che voi vi conosceste.”

Dandogli una pacca su un braccio con fare comprensivo, Eikhe fece spallucce.

“Sarà quel che Hevos vorrà. Io ho te, e tanto mi basta. Neppure in questo, ormai, speravo più, perciò averti qui è il più grande dono che mi sia mai capitato, dopo la nascita di Antalion.”

“Grazie” sussurrò il compagno, allungandosi verso di lei per baciarla sulle labbra tumide.

“Ci alziamo? Sicuramente, An piomberà qui da un momento all’altro, se non ci vede arrivare in cucina nei prossimi minuti. Ormai il sole è alto da un po’, e non è mia abitudine gingillarmi a letto” dichiarò allegramente Eikhe, levandosi in piedi con un agile movimento di gambe.

Scrutandola con malcelato desiderio mentre, completamente nuda, si avventurava tra un tappeto di pelliccia e l’altro, fino a raggiungere il mobile a cassettoni, Aken la imitò un attimo dopo.

Messosi accanto a lei dinanzi allo specchio, ridacchiò e mormorò divertito: “Venire qui è stato un toccasana per più di un motivo. Stavo mettendo su pancia.”

Dando uno schiaffetto agli addominali piatti e muscolosi dell’uomo, la figlia sacra replicò maliziosa: “Io non ne ho trovata, ieri notte, né ne vedo ora. Stai vaneggiando, uomo?”

“E’ calata grazie alle tappe serrate che mi hanno condotto qui, e alla dieta frugale che ho tenuto. Hevos non mangiava mai, perciò le fermate erano veramente poche” sghignazzò Aken, prima di allungare una mano ad afferrare una camiciola.

“Mi pare ancora così strano che tu abbia passato così tanto tempo con lui” sussurrò lei, con occhi colmi di reverenziale timore.

“Dillo a me! La prima volta che lo vidi sbucare dalla foresta, per poco non ebbi un infarto!” esclamò divertito lui. “E’ stato di enorme aiuto, perché mi ha permesso di venire a patti con ciò che ci è successo e di apprezzare, nonostante tutto, ciò che entrambi avevamo creato, stando separati. Anche se è stato per assecondare un suo desiderio, sono felice del lavoro che ho svolto a Rajana e, da quel che ho visto qui, anche tu e le tue compagne avete dato vita a una cosa grandiosa.”

Eikhe annuì, sistemandogli con gesti premurosi il laccio della camiciola.

“Le figlie sacre stanno aumentando esponenzialmente di numero, e credo che questo sia il segno che tutte noi aspettavamo. La nuova Via è stata ormai imboccata e, dopo aver saputo ciò che hai compiuto all’Accademia Militare di Rajana, sono pronta a scommettere che il futuro sarà  un po’ diverso, per noi tutti.”

“E’ quello che spero. Certo, ci saranno sempre incomprensioni ma penso che, tra tutti e due, abbiamo gettato delle buone basi per un futuro più roseo” asserì soddisfatto Aken, allacciandosi i pantaloni di pelle prima di raccogliere calze e stivali alti di cuoio per dirigersi verso il letto.

“Io ne sono più che convinta” dichiarò lei, infilandosi una tunica imbottita di pelo di coniglio prima di allacciare gli alamari in corno di cervo.

Quando entrambi furono pronti, uscirono assieme dalla camera da letto e, percorso che ebbero il breve corridoio che conduceva alla cucina, incontrarono Antalion, già impegnato a preparare la colazione.

Eikhe lo salutò con una carezza su un braccio e un sorriso – subito ricambiato dal figlio – mentre Aken, datagli una pacca sulla spalla, esordì dicendo: “Dormito bene, figliolo?”

“Insomma” buttò lì il figlio, aprendosi subito dopo in un sorrisone falsamente innocente.

Sollevando un sopracciglio con evidente perplessità, il padre replicò: “Perché ho l’impressione che tu muoia dalla voglia di dirmi qualcosa?”

“Io? Nooo” scosse il capo Antalion, le labbra tremolanti e pronte al riso.

Accigliandosi leggermente, Aken scosse il capo – preferendo lasciar perdere – prima di dire a Eikhe: “Penso che il ragazzo mi stia bonariamente prendendo in giro.”

“Credo sia così, caro” annuì la donna, mettendo in tavola le ciotole e le posate prima di uscire per andare a mungere la mucca, che tenevano nella stalla dietro casa.

Rimasti soli, i due uomini si studiarono per lunghi momenti senza aprire bocca quando infine, con un lungo, imbarazzato sospiro, Antalion si sedette a tavola.

Fissando ostinatamente le proprie mani, alitò nervosamente: “Tu e mamma… beh…insomma… siete stati assieme?”

“Intendi dire se abbiamo fatto l’amore, Antalion?” chiosò Aken, senza tanti giri di parole.

La pelle dorata del figlio mutò in un caldo color ciliegia e, mentre il suo capo bruno annuiva nervoso, il padre sorrise placidamente. “Sì, figliolo. Abbiamo fatto l’amore. La cosa ti turba? Ti crea noie di qualche genere?”

“No, però…” tentennò il giovane, prima di trovare la forza di guardarlo e chiedergli titubante: “… non è che mi spiegheresti com’è?”

“Oh. Credo di aver capito il problema” esalò Aken, azzittendosi nel momento stesso in cui udirono i passi di Eikhe, di ritorno dalla stalla.

Strizzando l’occhio al figlio, l’uomo fece finta di niente e si limitò a sorridere alla compagna che, del tutto ignara del loro scambio di battute, mise a scaldare il latte.

La polvere di caffè, nel frattempo,  venne mescolata all’acqua, e pagnotte di pane di segale vennero posate sul tavolo assieme a marmellata e miele.

Era meglio parlare in separata sede, di certi argomenti.

***

Seguendo Antalion lungo un sentiero boschivo, in groppa al suo cavallo, Aken sorrise nel ripensare alla strana conversazione di quel mattino, interrotta dal ritorno di Eikhe.

Mentre attraversavano il fitto bosco, desiderosi di raggiungere una polla d’acqua non ancora congelata per dedicarsi alla pesca, il principe si chiese se il figlio avrebbe ripreso spontaneamente il discorso.

Era più che ovvio che, pur non volendolo turbare, qualcosa doveva aver sentito, la notte precedente.

Da quel poco che aveva compreso, non era un argomento di cui aveva trattato con la madre e, di sicuro, non ne avrebbe parlato per nulla neppure in futuro.

Fuggevolmente, si chiese se si fosse in qualche modo confidato con lo zio o il nonno, o forse con il marito di Sendala, visto quanto forti erano i loro legami.

Ancora una volta – come spesso gli capitava in quei giorni – percepì prepotente una fitta allo sterno, dovuta a un mero attacco di gelosia.

Era deprimente rendersi conto di quanto avesse perso, in quegli anni, della crescita del figlio, ma lo rincuorava il fatto che avesse avuto il desiderio di parlare con lui.

Lo faceva ben sperare, gli dava l’ottimismo sufficiente per credere che un giorno – e Aken sperava non fosse lontano – suo figlio non avrebbe avuto più segreti, per lui, e il contrario.

Oltrepassato uno spuntone di roccia, Aken non poté esimersi dal sospirare di meraviglia quando, di fronte ai suoi occhi, comparve una piccola cascata ancora libera dai ghiacci.

Protuberanze rocciose, levigate dall’incessante passaggio del torrente, si estendevano come lunghe dita a spezzare la possente caduta d’acqua.

Tutt’intorno, una piccola radura – quasi interamente ricoperta di neve – era baciata da delicati raggi di sole che, a fatica, riuscivano a penetrare lo scudo naturale fornito dagli abeti.

Grazie a Hevos, la neve caduta tra quelle lande era ben poca, rispetto a quella che aveva bloccato la pianura e la collina.

Ben presto, però, anche quel microscopico paradiso sarebbe stato reso inavvicinabile dalle abbondanti nevicate.

Bloccata la propria cavalcatura, Aken si guardò intorno affascinato, scrutando il contorno seghettato delle alte vette imbiancate, che vegliavano su di loro grazie alla loro imponenza.

Ammirato, sussurrò: “E’ davvero un posto magnifico. Non avrei mai immaginato di poter vedere un luogo simile.”

“La mamma pensava ti sarebbe piaciuto” disse soddisfatto Antalion, smontando a sua volta da cavallo. “E poi, è il posto migliore per pescare, da queste parti. E’ l’ultimo luogo a cedere ai ghiacci, qui nei dintorni.”

“Ottimo! Sono secoli che non mangio più del buon pesce di montagna” sorrise soddisfatto Aken, sollevando fino ai gomiti le maniche di tunica e camicia. “Cominciamo?”

Ridacchiando, il figlio fissò il padre, in quel momento illuminato dal sole che, libero dalla presenza di nubi in cielo, li riscaldava con i suoi benefici raggi.

Grattandosi una guancia con aria divertita, disse: “Ancora fatico a credere che tu sia qui, eppure dovrei averci fatto il callo, dopo due giorni.”

“Credimi, fatico anch’io a credere di non stare sognando, Antalion. Per anni ho creduto di dover morire da solo, senza poter rivedere Eikhe, mentre ora sono qui, con mio figlio, e posso stare con la donna che amo ogni minuto della giornata” replicò con sentimento l’uomo, prendendo la sua canna da pesca dalla sacca appesa alla sella. “E’ più di quanto avessi sognato, quando partii da Rajana per venirvi a cercare.”

“E’ stato difficile abbandonare la mamma?” gli chiese allora il ragazzo, issandosi su una roccia e fissando il padre con aria curiosa, gli occhi ambrati che esprimevano tutto il suo garbato interesse.

“La cosa più difficoltosa che mi capitò di fare, ma credo che la parte più dura sia spettata a lei. La tribù non fu certo gentile, con tua madre, e dovette affrontare la gravidanza sapendo di essere odiata da colei che la generò. Credo che nessuna donna possa sopportare questo, senza soffrire tremendamente” ammise roco Aken, lanciando l’amo in acqua.

Scuotendo il capo con espressione affranta, Antalion assentì amaramente.

“Kaihle non gliel’ha mai perdonato. E mia madre è viva solo perché alcune delle sue amiche, insieme al branco, si schierarono dalla sua parte. Altrimenti, credo l’avrebbero ammazzata senza pietà. E me con lei.”

“Non sai quanto mi spiaccia che anche tu abbia dovuto affrontare un simile dolore…” sospirò Aken, fissandolo con occhi colmi di comprensione. “…ma dimmi di te, figliolo. Mi hai parlato di Sendala e di suo marito, e della famiglia di Eikhe. Sono stati gentili, con te?”

Annuendo, e lasciando che un sorriso carico di amore incondizionato sbocciasse sul suo viso imberbe, Antalion disse sommessamente: “Enok, zio Konis e nonno Harm sono stati degne figure paterne, per me. E’ stata una fortuna poter contare su di loro. E zia Tyura, Sendala e nonna Ildera mi hanno sempre fatto sentire protetto e amato. La mamma si è sempre sentita al sicuro, con loro, e anch’io. Anche adesso, quando vado a trovare lo zio o il nonno, a Marhna, sento che mi vogliono bene e che vorrebbero vedermi più spesso. Nulla è cambiato, nonostante la distanza, e io ne sono felice.”

Muovendo la lenza, e osservando distrattamente la mosca galleggiare altalenante sulla corrente feroce del torrente rigonfio di acqua gelida, Aken annuì pensieroso.

“Quando nacque il primogenito di tuo zio Ruak, tuo cugino, mi chiesi cosa avrebbe voluto dire avere un figlio mio, accudirlo, cullarlo, coccolarlo… sgridarlo, anche!”

Antalion emise un risolino e il padre, ammiccando al suo indirizzo, continuò nel suo discorso.

“Sono felice che qualcuno abbia fatto queste cose per te, e che tua madre non sia stata sola ad affrontare tutto questo, anche se avrei preferito essere io ad affiancarti nella crescita.”

“Non l’ho mai detto a nessuno” biascicò Antalion, tenendo la testa bassa per osservare unicamente la propria canna da pesca.

Vagamente sorpreso, Aken esalò: “Che cosa, figliolo?”

“Papà” sussurrò lui, mordendosi nervosamente un labbro. “Anche quando Enok si prendeva tanto spesso cura di me, non l’ho mai associato a… a un papà. E dire che lui avrebbe anche voluto!”

Sobbalzando leggermente sullo spuntone di roccia, su cui era seduto a gambe ripiegate, Aken sollevò accigliato un sopracciglio prima di bofonchiare: “Scusa, che hai detto?”

Ridacchiando, il figlio fece spallucce, ammettendo candidamente: “Me l’ha detto mamma. Enok le chiese di sposarlo, ma lei rifiutò perché amava ancora te, così lui le rimase amico e, in quegli anni passati al fianco suo e di Sendala, cambiò rotta, per così dire.”

“Meglio” brontolò Aken, prima di ritirare l’amo e rilanciare l’esca nella corrente tumultuosa.

Lo stridio di un falco, in lontananza, disse loro che una preda del bosco, in breve tempo, sarebbe stata catturata e divorata.

Loro, per contro, erano ancora a secco e, se così fosse stato ancora per un po’ di tempo, avrebbero fatto una magra figura con Eikhe.

Antalion sorrise di fronte alla gelosia piuttosto evidente del padre, e chiosò: “Un uomo dovrebbe tenere sempre d’occhio le proprie cose, no?”

“Diciamo che ero liberamente costretto in altro loco” borbottò il padre. “A te sarebbe andato che Enok diventasse tuo padre?”

Ben sapendo che non era una domanda fatta per caso, ma che implicava ben più di una lettura, Antalion rimase in silenzio per diverso tempo, tempo in cui Aken dubitò seriamente avrebbe risposto.

Quando fu quasi del tutto certo che il figlio avrebbe glissato sulla domanda, il giovane se ne uscì dicendo: “Per la mamma, non per me.”

“In che senso?” volle sapere l’uomo, davvero curioso di comprendere appieno la sua risposta.

“Volevo che non piangesse più di notte e pensavo che, se Enok fosse stato sempre con lei, non sarebbe più stata triste. Io non riuscivo a colmare il vuoto nel suo cuore, e neppure Sendala, così pensai che, se avesse avuto un uomo nella sua vita, avrebbe sorriso sempre” scrollò le spalle Antalion, ritirando a sua volta l’amo prima di rilanciare più in lontananza. “Sciocco, vero?”

“Affatto. Pensavi al suo benessere, ed è lodevole” precisò Aken, sorridendogli comprensivo. “Anche se sono lieto che lei abbia rifiutato.”

“Vedendo come è felice con te, anch’io ne sono contento” assentì il figlio, abbozzando un sorriso.

“E tu? Tu sei felice?” gli chiese a quel punto il padre, deglutendo a fatica.

Distogliendo in fretta lo sguardo, Antalion lo puntò sul volo solitario del falco che in precedenza avevano udito stridere nel cielo e, ammirandone il volo lineare e perfetto, sussurrò: “Sì.”

Non disse altro, ma ad Aken bastò.

Sempre sorridendo, si concentrò sulla pesca mentre il lupo di Antalion, Mykos, se ne stava placidamente abbarbicato su un masso a godersi il tepore del sole di quella giornata di inizio inverno.

I pesci non sembravano essere disposti a farsi prendere, quel giorno, ma ad Aken importava ben poco.

Antalion era lieto che lui fosse lì, e nulla avrebbe potuto renderlo più felice. Aveva l’approvazione del figlio, che altro gli serviva?

Il cinguettio di alcune allodole di bosco parvero inneggiare alla sua gioia, ma Mykos e Antalion non parvero d’accordo con la loro allegria.

Notando la loro subitanea ansia, Aken mise subito a terra la canna da pesca e li osservò, turbato.

Accigliandosi, si guardò attorno con occhio attento, chiedendo a bassa voce: “Problemi?”

“Ascolta” sussurrò il figlio, sollevando un dito come a voler indicare il bosco.

Chiusi un momento gli occhi per meglio concentrarsi, udì non soltanto il canto degli uccelli, ora colmi di ansia, ma percepì anche dei fruscii crepitanti e il correre frettoloso di alcuni ungulati.

Niente di buono.

Sollevate le palpebre, si allontanò dal torrente per avvicinarsi alla sua cavalcatura che, al pari di quella di Antalion, appariva spaesata e in ansia.

Estratta la spada dal fodero con un sordo sibilo di metallo, domandò lesto: “Cosa mi devo aspettare?”

“Orsi, forse” ringhiò Antalion, imitandolo, mentre Mykos li sopravanzava, puntando il muso verso un punto preciso del bosco, che li circondava come una morsa.

Accigliandosi immediatamente alle parole del figlio, Aken si mise in posizione di attesa, la spada ben stretta nella mano destra mentre la sinistra accarezzava il pugnale nel suo fodero.

Ombroso, esalò: “Ma non dovrebbero essere già in letargo?”

“Se si tratta di un orso schiena grigia, no. Loro non vanno in letargo” brontolò il ragazzo, assottigliando le iridi ambrate prima di lanciare a destra e a manca rapidi sguardi esplorativi.

“Dimmi una cosa, figliolo…” cominciò col dire Aken, stando ben attento alle mosse di Mykos, fermo e ringhiante dinanzi a loro, il pelo ritto sulla schiena e i denti snudati al loro massimo.

“Cosa, Aken?”

“Sei come tua madre?” chiese a quel punto il padre, prima di sobbalzare non appena un ringhio furibondo si levò dall’oscurità del bosco, diffondendosi come un’inondazione tutt’intorno a loro.

Senza avere il tempo di rispondere alla domanda sibillina del padre, Antalion sollevò la spada in direzione del punto da cui era giunto quell’infernale suono.

Un attimo dopo, un’enorme creatura argentea spuntò come un incubo a occhi aperti dal fitto del bosco.

Senza avere il tempo di reagire, Antalion sgranò gli occhi nel vedere levarsi la zampa poderosa della bestia, subito intercettata dal fendente di Aken che, assieme a Mykos, attaccarono l’orso distogliendolo dai suoi intenti.

Il colpo di spada del principe andò a segno, ferendo l’animale che, irritato da quell’intervento indesiderato, scartò verso di lui con il chiaro intento di colpirlo.

Il lupo, pur con tutto il suo impegno, non riuscì a scalfire la pesante pelliccia e la pelle coriacea della caviglia della belva che, incurante del suo attacco, levò una zampa per colpire Aken.

Per nulla scosso, l’uomo si preparò a ricevere il suo avversario.

Antalion, nel frattempo, recuperò il controllo di sé dopo quel momentaneo stallo, e volse in fretta lo sguardo in direzione del padre.

Questo gli permise di scorgere sul quel volto volitivo la totale mancanza di paura e, sì, la determinazione a vincere sul suo nemico.

Con una destrezza che non si era aspettato da lui, lo vide parare la zampata dell’orso con il piatto della spada mentre, con un movimento rapido di gambe, si spostava per predisporre il contrattacco.

Mykos, al tempo stesso, saltellava nei suoi dintorni, indeciso su come attaccare l’animale, consapevole di essere ancora troppo giovane per poter riuscire nei suoi intenti bellicosi.

Esattamente come Antalion.

Già pronto a dar battaglia assieme al padre, si bloccò per la sorpresa quando lo vide attaccare il fianco dell’orso, urlando con le fiamme negli occhi: “Non farai del male a mio figlio!”

Il colpo andò a segno, facendo ringhiare di dolore l’orso che, spalancando le zampe in tutta la loro ampiezza, scaraventò a terra Aken.

La caduta gli procurò un sordo dolore alla gamba, che andò a urtare contro un masso sporgente.

A quel punto, lo sguardo di Antalion si fece rosso, segno che la freoha stava affiorando dentro di sé con forza.

Quando vide l’orso puntare verso il padre con il chiaro intento di finirlo, il giovane perse del tutto il controllo e, a testa bassa, si avventò contro l’animale.

Ringhiando come un lupo famelico, lo atterrò a pochi passi di distanza da Aken che, affrettatosi a strisciare via nonostante il dolore lancinante alla gamba, fissò lo sguardo sul figlio impegnato in combattimento.

Esattamente come Eikhe aveva fatto tanti anni addietro sul Valico di Kortoss, anche Antalion si abbatté con ferocia animale contro l’orso.

Ormai succube della superiore potenza del giovane guerriero, l’animale crollò a terra sotto i suoi colpi senza più riuscire a reagire.

A quel punto, Aken, risollevandosi a fatica con l’ausilio della sua spada, gridò: “Antalion, la spada! Usa la spada per finirlo!”

Il figlio si volse a mezzo per guardarlo, forse per sincerarsi che stesse bene, o sorpreso dal suo dire.

A ogni buon conto, un attimo dopo sollevò la mano in direzione di Aken per ricevere un’arma.

L’uomo, affrettandosi a lanciargli la propria, urlò: “La giugulare! Presto!”

Mortale e lucido, il figlio sacro affondò la lama d’acciaio nella carne dell’animale che, esalando un ultimo respiro, scivolò esanime a terra senza più dibattersi. 

Sollevandosi lentamente tra le sue zampe spalancate, ringhiò poi furente: “Non avresti dovuto toccare mio padre!”

“Antalion” sussurrò a quel punto Aken, avvicinandosi lentamente a lui mentre, guardingo, osservava il corpo del figlio ancora teso per la battaglia appena sostenuta.

Pareva ai limiti dello svenimento.

Nell’udire il suo nome, il giovane si volse a mezzo e fissò il padre per alcuni attimi, senza comprendere cosa stesse succedendo.

Come se al suo interno avessero interrotto un flusso di energia, che dava a ogni figlio sacro la forza di combattere come un lupo, si accasciò accanto all’animale e iniziò a tremare.

Stringendo le braccia attorno alle gambe come se avesse paura di spezzarsi, piegò in avanti il capo e iniziò a piangere silenzioso.

Subito, Aken accorse claudicante al suo fianco e, inginocchiatosi a fatica accanto a lui, lo strinse a sé carezzandogli i lunghi capelli che gli solleticavano le spalle.

Confortante, gli mormorò all’orecchio: “E’ tutto finito, figliolo. E’ tutto finito. L’orso è morto.”

“Stava… ti stava…” singhiozzò Antalion, non riuscendo a parlare con chiarezza. “Eri… in pericolo, ma…”

“Ssst. Non devi spiegarmi nulla, Antalion. So cosa vi succede, non temere” gli sussurrò il padre, baciandolo sulla fronte prima di stringerlo maggiormente a sé. “Non aver paura che io non capisca. Non ho paura di te, Antalion.”

Avvolgendolo dapprima con una certa timidezza e poi con sempre maggiore forza, il figlio scoppiò in un pianto dirotto.

Tra singhiozzi sempre più forti, esalò: “Non mi era mai successo… sapevo che avrebbe potuto ma… è così… così forte… e fa male!”

“Oh, dèi, Antalion” gracchiò Aken, cullandolo contro di sé e continuando ad accarezzargli lentamente la schiena, con la speranza che questo lo aiutasse a calmarsi. “E’ colpa mia se è successo.”

“Non volevo… ti facesse… male…” ansò il figlio, affondando il viso nella spalla del padre. “Sei mio padre. Non volevo perderti.”

“Non sarebbe successo, tra te e Mykos ad aiutarmi” ridacchiò a quel punto Aken, sperando con tutto se stesso che il figlio si calmasse.

Gli si spezzava il cuore, a vederlo così sconvolto. “Siete stati bravissimi.”

“Mi sono lasciato cogliere impreparato” replicò Antalion, calmandosi leggermente. “Tu, invece, hai agito subito e… eri una furia…”

“Stava cercando di farti del male. Pensavi sarei rimasto fermo ad aspettare?” lo irrise bonariamente il padre, scostandosi un poco da lui per guardarlo negli occhi umidi. “Che padre sarei, scusa?”

“Giusto” annuì debolmente il figlio, prima di socchiudere gli occhi e sorridere quando la mano ruvida di Aken scivolò sulla sua guancia ad asciugargli le lacrime. “Scusa se ho pianto.”

“Non devi scusarti di nulla. Sei stato bravissimo, e mi hai salvato” scosse il capo il padre, terminando di tergergli il viso. “Non sarà un pesce, ma che dici? Andrà bene alla mamma?”

Scoppiando a ridere nervosamente, Antalion annuì e, con l’aiuto di Aken si rimise in piedi. “Credo le piacerà avere un altro mantello d’orso.”

“Penso anch’io” sogghignò l’uomo, poggiando le mani sui fianchi con espressione pensierosa. “Il punto è un altro; come lo portiamo a casa?”

Antalion a quel punto ridacchiò e gli propose una soluzione.

“Lo leghiamo ai cavalli con le corde e glielo facciamo trascinare fino a casa, che dici?”

“Ottima pensata, figliolo” annuì Aken, sorridendogli.

“Grazie… papà” sussurrò Antalion, abbozzando un sorriso timido.

L’uomo si limitò a scompigliargli i capelli con una mano, prima di dire: “Recuperiamo armi e bagagli e torniamo casa. Voglio vedere che faccia farà tua mamma.”

“Beh, quando ti vedrà zoppicare, non sarà felicissima” sottolineò il figlio, guardandolo preoccupato.

“Sarà più felice quando dovrà curarmi, così avrà una buona scusa per mettermi le mani addosso” ridacchiò Aken, afferrando la spada di Antalion prima di porgergliela.

Con un risolino, il giovane la rinfoderò.

“Come hai fatto a capire che era il momento giusto per… per fare l’amore con lei?”

“Quando ogni particella del mio animo desiderò ardentemente farlo, quando ogni suo respiro divenne per me la vita, quando ogni suo sorriso e ogni suo pianto si trasformarono in gioia, o sgomento, per me, quando anche le ragioni più ovvie al mondo non bastarono a tenermi lontano da lei” disse semplicemente il padre, fissandolo con estrema serietà.

Attese un attimo, poi aggiunse: “Ma, soprattutto, quando lei volle questo da me. Perché, per quanto forte possa essere il tuo desiderio, se esso non è ricambiato, allora deve essere tenuto fortemente sottochiave e ammansito. Mai, mai dovrai obbligare una donna a sottostare a un tuo desiderio. Se esso non è reciproco, allora non potrà mai essere un piacere, ma sarà solo un abuso.”

Annuendo, Antalion gli sorrise grato e disse: “Grazie, papà.”

“Di nulla, figliolo” replicò l’uomo, dandogli una pacca sulla spalla. “E ora, torniamo a casa.”

“Sì, torniamo a casa” sussurrò il giovane, volgendosi per iniziare a legare l’orso.


 

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Capitolo 27
*** cap. 27 ***


27.

 

 

 

 

 

Di certo, il rientro di Aken e Antalion al villaggio suscitò scalpore.

E anche un po’ di ansia.

Il successo per quella caccia proficua passò presto in secondo piano, tra le genti del villaggio, quando i presenti si resero conto delle condizioni di salute del principe.

Dopo aver passato più di due ore a cavallo per raggiungere il villaggio, il dolore alla gamba di Aken era decuplicato e, a quel punto, persino scendere di sella avrebbe potuto essere un problema.

Fu ben accetto, quindi, l’arrivo di Kalon e Raltan, i figli di Seletta che, avvisati da alcune donne-lupo della situazione, accorsero subito in aiuto del loro vecchio amico.

Non appena lo videro appollaiato sulla sella del potente stallone, il viso sorridente ma segnato dal dolore - che sembrava voler nascondere a tutti i costi - , i due giovani sorrisero benevolmente.

Ridendo sommessamente, Kalon esordì dicendo: “Beh, tutto mi sarei aspettato tranne che di rivederti qui, principe!”

“Che mi venga un colpo!” esclamò Aken, scoppiando in una grassa risata di cuore. “Vuoi due giganti non potete essere Kalon e Raltan!”

“Eccome se li siamo!” rise a sua volta Raltan, allungando una mano per stringere con calore quella dell’uomo. “Non avrei mai pensato di rincontrarti, principe.”

“Solo Aken, ragazzi” scosse il capo lui, continuando a sorridere ai due giovani che sembravano eguagliarlo in altezza, almeno a un primo esame.

Indicandosi comicamente, domandò loro: “Siete venuti per tirarmi giù di peso?”

“A quanto pare, hai bisogno di questo” dissero quasi in coro i gemelli, posando le robuste mani sui fianchi.

Antalion, nel frattempo, era sceso da cavallo e aveva osservato incuriosito il loro scambio di battute.

“Davvero, li hai conosciuti quando erano piccoli?”

Annuendo, il padre allungò le mani in direzione di Raltan, che lo afferrò saldamente sotto i gomiti. 

Kalon, nel frattempo, passò sul lato opposto della cavalcatura per aiutarlo a scavalcare la sella con la gamba malandata.

“Quanto tua madre e io eravamo di ritorno dal nostro tragico viaggio in direzione di Anok Fort, incontrammo Seletta e questi due bricconi. Ci fermammo da loro per una notte, prima di ripartire per Rajana. Ahia! Vacci piano, Kalon! La gamba la rivorrei intera!”

“E’ di un’altra gamba che ti devi preoccupare, e quella non mi sembra abbia subito danni!” rise per contro il giovane, facendo esplodere in una risata collettiva le poche donne ancora presenti a capannello attorno a loro.

“Dèi, per favore! Usa un linguaggio più consono!” rise suo malgrado il principe, riuscendo in qualche modo a scavalcare la sella prima di crollare quasi di peso contro Raltan. “Ahia… scusa, ragazzo.”

“Nessun problema, Aken” scosse il capo il giovane, avvolgendogli la vita con un braccio, prima di sussurrare: “Oh, oh. Arriva la consorte.”

Impallidendo leggermente non appena vide giungere Eikhe di corsa, lo sguardo accigliato e le sopracciglia arricciate come solo lei sapeva fare, Aken si esibì in un sorriso stentato, mormorando: “Ehm, …ciao.”

La donna lanciò solo un breve, fuggevole sguardo all’orso morto e al figlio, prima di puntare i pugni sui fianchi, fissare malamente Aken e ringhiare: “Ti lascio uscire mezza giornata con nostro figlio, e tu riesci a tornare con le ossa rotte?”

“Non è detto che siano rotte” sottolineò l’uomo, pur non volendo sperimentare davanti a tutti la solidità della sua gamba dolorante.

Kalon e Raltan fecero di tutto per non ridere, mentre le donne si allontanavano più tranquille, sapendo che Eikhe era al corrente di ogni cosa.

Avrebbe pensato lei al suo uomo, a quel punto.

Mordendosi titubante un labbro, Antalion si intromise con voce leggermente tesa e preoccupata. “Mamma, senti,… non è colpa di papà.”

Sobbalzando nel sentirlo parlare a quel modo, Eikhe gli sorrise per un momento – lieta per quel cambiamento apparentemente sentito e voluto – prima di tornare seria e chiedere: “E come dovrebbe essere, caro?”

“Vedi, l’orso mi ha colto di sorpresa e…”

Bloccandosi per un istante in preda all’imbarazzo, il ragazzo si passò una mano tra i capelli, prima di aggiungere: “…insomma, papà lo ha attaccato per difendermi. Solo che, come avrai potuto notare, è un tantino più grosso di noi e…”

Cominciando a comprendere dove volesse andare a parare il discorso balbettante del figlio, Eikhe si avvicinò lesta a lui e poggiò delicatamente le mani sulle guance di Antalion.

Abbozzando un sorriso, il figlio esalò: “E’ successo.”

“Oh, tesoro mio” sussurrò la madre, avvolgendolo in un abbraccio consolatorio.

“Finché papà stava combattendo non è successo nulla, perché sapevo che non era in relativo pericolo ma, quando l’orso l’ha gettato a terra, io… ho visto tutto rosso e…” ansò Antalion, stringendosi alla madre prima di sussurrare tra i suoi capelli: “… non volevo che lo uccidesse, mamma. Non volevo perdere mio padre.”

“Lo, so, tesoro, lo so. Succede a tutti coloro che hanno il Marchio di Hevos. Solo, speravo di essere presente per assisterti, quando fosse avvenuto” gli spiegò gentilmente lei, baciandolo sulle guance prima di sorridergli orgogliosa.

Volgendo lo sguardo a scrutare il padre, ancora sorretto dall’amico Raltan, Antalion ritrovò il sorriso replicando: “Papà è stato bravo. Sapeva cosa mi stava succedendo, e mi è stato vicino.”

“Vorrà dire che lo scuserò, se si è rotto la gamba” commentò a quel punto Eikhe, sorridendogli fiera.

Con aria complice, Kalon si piegò nella sua direzione per sussurrare: “Ti sei salvato il tuo posto nel letto, amico.”

“E tu devi darti una regolata nel parlare. Ma sei sempre così a senso unico, tu?” esalò Aken, ridacchiando nell’osservare l’aria comica stampata sul volto del giovane al suo fianco.

Sospirando nello scuotere il capo con aria falsamente afflitta, Raltan chiosò: “Di certo, in questo villaggio non mancheranno mai figli.”

“Che intendi dire?” chiese vagamente sconvolto l’uomo, fissando a occhi sgranati Kalon che, nel frattempo, stava ridacchiando divertito.

Eikhe gli si avvicinò con un sorrisino sulle labbra e, baciato Aken sulle labbra, asserì: “Il  nostro caro Kalon ha già tre figli, qui nel villaggio, e da tre madri diverse. Si è reso più che disponibile per tutte coloro che non volevano un compagno fisso, ma solo un pargolo da crescere, esattamente come prevede la vecchia legge delle donne-lupo.”

“Oh. Santo. Cielo” sillabò Aken, molto più che sorpreso.

“Andiamo, amico… non ti sembra ingiusto che il mio indubbio fascino sia esclusività di una sola donna, quando posso accontentarne tante, avendo pure la certezza che non sono neppure gelose le une delle altre?” gli fece notare Kalon, strizzandogli l’occhio. “Inoltre, adoro i miei figli, e mi prodigo allo spasimo per loro. Sono un papà eccezionale.”

“E un montato pieno di sé, ma questo lasciamolo da parte” aggiunse con ironia Raltan, sorridendo divertito al fratello.

“Tu, invece, Rally, sei anche troppo modesto. Ci sono un sacco di ragazze che farebbero carte false, per te, e tu non ci senti neppure, da quell’orecchio” brontolò bonariamente Kalon, sussurrando poi cospiratorio con Aken. “Il ragazzo si vuole mantenere puro per una sola donna, pare.”

“Non fa male” asserì l’uomo, scrollando le spalle.

“Già, ma…”

Interrompendo sul nascere la discussione, Eikhe dichiarò perentoria: “Continuerete questa interessante conversazione dentro casa. Io, nel frattempo, andrò a cercare Vesthe perché gli controlli la ferita.”

“Come? Vesthe?” esalò Aken, sobbalzando per la sorpresa. “Vesthe è qui?”

“Sì” assentì la compagna, prima di ricordare un particolare e sorridere. “Mi portò i tuoi ringraziamenti per ciò che avevo fatto per il regno, se può farti piacere saperlo.”

“Ehm… sì. Certo che ne sono felice” assentì lui, accennando un sorrisino.

Accigliandosi appena, Eikhe domandò: “C’è altro che devo sapere, riguardo alla vostra conoscenza durante la guerra?”

“Diciamo che è stata la mia ombra durante tutto il periodo e…” tentennò Aken, lappandosi nervosamente le labbra, non sapendo esattamente cosa dire.

“E…” lo incitò Eikhe con un gesto voluttuoso della mano.

“Beh, ecco, possiamo dire che, finalmente, potrà vedermi una buona porzione di pelle, come voleva lei” sospirò l’uomo, facendo sorridere la compagna. “Portatemi dentro, prima di ammettere altre cose imbarazzanti.”

Facendo tanto d’occhi, Eikhe scoppiò a ridere subito dopo, incamminandosi divertita lungo la via e sussurrando tra sé: “Questa voglio proprio saperla.”

“Sei nei guai, amico” chiosò Kalon, sogghignando.

Aken preferì non dire nulla. E sperò che anche Vesthe fosse di quell’avviso.

***

Quando mai le donne stanno zitte? Non in quell’universo, di sicuro.

Vesthe non solo raccontò a Eikhe della loro amicizia, nata e cresciuta durante la guerra – tristemente interrotta una volta terminato il conflitto – ma anche della sua interessante quanto imbarazzante richiesta.

Eikhe non parve esserne particolarmente colpita, o quanto meno, non le parve offesa, quando  rientrò a casa assieme alla donna che, a quanto pareva, era anche il medico del villaggio.

Osservandola con attenzione, mentre Vesthe gli controllava scrupolosamente il ginocchio gonfio e il fianco ammaccato e ormai violaceo, Aken le sfiorò una mano con la propria, sussurrando: “Tutto bene?”

“Ma certo, perché?” gli chiese lei, scrutando a momenti alterni il viso di Aken e quello concentrato di Vesthe.

Antalion e i figli di Seletta stavano attendendo in salotto di avere notizie mentre, fuori dalla casa, un piccolo capannello di gente si era riunito spontaneamente per sapere delle condizioni del compagno di Eikhe.

Indicando con un cenno del capo la donna che lo stava visitando, Aken sussurrò: “Sì, insomma, per quello che ti ha detto.”

La compagna si limitò a sorridere benevola.

“Non mi turba affatto, Aken, anzi, mi lusinga che un’altra donna ti abbia guardato con interesse. E mi lusinga ancora di più il fatto che tu abbia rifiutato la sua richiesta. Significa che mi sei stato fedele sempre, anche di fronte a un invito del tutto privo di controindicazioni.”

Voltandosi un momento per sorridere al suo paziente, Vesthe disse divertita: “Era così imbarazzato, quando gliel’ho chiesto! E si vedeva lontano un miglio che, nella sua testa, c’era solo una donna a cui avrebbe concesso volentieri quel favore.”

“Hai sempre dimostrato buon gusto, Vesthe” ridacchiò Eikhe, carezzando gentilmente la chioma corvina del compagno.

“Farò sempre un po’ fatica a capirvi ma, se non sei offesa, va bene” si rassegnò a quel punto Aken, sorridendole più tranquillo.

Un attimo dopo, lanciò un’imprecazione degna di uno scaricatore di porto, subito seguita dalla risatina di Vesthe e lo sguardo preoccupato della compagna che, turbata, esalò: “Che succede?”

“Qui, abbiamo una contusione al ginocchio, mio caro principe” sentenziò il medico, piegandosi sulla borsa dei medicinali per estrarne un sacchetto di pelle nera. “Dovrai tenere la gamba sollevata per almeno due settimane, e fare degli impacchi di ghiaccio alternandoli a spugnature con foglie di elegor imbevute nell’olio. Il fianco è a posto, dovrai solo massaggiarlo con un composto antidolorifico. E la caviglia è solo un po’ gonfia, ma non c’è niente di rotto. Spunterà sicuramente un livido anche lì, ma non c’è da preoccuparsi.”

“Ottimo” brontolò Aken, guardando la propria gamba nuda, e ricoperta da lieve peluria nera, con il desiderio pressante di prenderla a sprangate.

Non che avrebbe risolto molto, ma si sentiva vagamente idiota, in quel momento.

Comprensiva, Eikhe gli disse: “Non devi arrabbiarti, Aken. Poteva capitare a chiunque. Inoltre, per difendere tuo figlio, non ti saresti anche tagliato un braccio?”

“Ovvio!” esclamò l’uomo, prima di aprirsi in un sorriso tronfio e aggiungere: “Hai sentito, il ragazzo?”

“Sì, ho sentito. E’ molto orgoglioso del suo papà” rise la compagna, chinandosi a baciarlo su una guancia. “Vado a dire ai ragazzi che possono entrare. Io, intanto, mi prenderò un caffè con la nostra dottoressa e mi farò raccontare tutte le tue prodezze di guerra.”

“Sii brava, Vesthe, mi raccomando!” la pregò gentilmente Aken, vedendola sghignazzare.

“Ovviamente, principe” promise lei, ammiccando divertita.

L’uomo non si sentì per nulla confortato da quella promessa.

Un attimo dopo l’uscita delle due donne, entrarono di corsa il figlio e i ragazzi di Seletta e, della parola data da Vesthe, Aken non si preoccupò più.

Dopotutto, se Eikhe non si era arrabbiata per la proposta di Vesthe, non si sarebbe neppure infuriata per il suo modo, a volte un po’ troppo avventuriero, di combattere.

***

Quasi mezzo villaggio si presentò alle porte della casa di Eikhe per sapere di Aken, e augurargli una pronta guarigione.

Fu solo verso sera che l’abitazione tornò finalmente quieta e tranquilla, e il principe poté dedicarsi a una cosa che gli stava decisamente a cuore.

Sorridendo soddisfatto nel saggiare sulle mani la spada del figlio, poggiò il piatto della lama su un dito e la guardò bilanciarsi perfettamente.

L’artigiano che l’aveva forgiata aveva dato il massimo, con quell’arma.

Pomolo e lama erano perfette mentre l’elsa, ricavata da un unico blocco di osso sapientemente lavorato, era stata intagliata per l’uso esclusivo della mano del figlio.

Sulla guardia di acciaio temprato, invece, era stato inciso in negativo il suo nome con caratteri eleganti e rotondeggianti.

Passando con attenzione un dito sul piatto della lama a doppio filo, ne saggiò la superficie perfettamente liscia e lavorata con sapiente cura.

Sfiorò con un mezzo sorriso la rotondeggiante ambra incastonata proprio accanto alla guardia della spada, simbolo sicuramente dei Marchiati da Hevos.

“E’ un oggetto davvero prezioso. Te l’ha presa la mamma?” chiese a quel punto Aken, restituendola al figlio perché la riponesse nel fodero di cuoio.

“Il nonno. La comprò da un armaiolo di Marhna per il mio quattordicesimo compleanno” gli spiegò succintamente Antalion.

 “Sei anche capace di usarla come merita?” lo irrise bonariamente il padre, strizzandogli l’occhio.

“Spero di sì!” ridacchiò il figlio. “Istrea e mamma mi hanno insegnato tutto ciò che sanno ma, visto che tu sei qui e sei bravo a tirar di spada, potresti darmi qualche ripetizione, quando starai meglio.”

“Lo farò volentieri. Mi fa piacere sapere che si siano presi cura del tuo addestramento. Non mi sarebbe piaciuta l’idea di saperti in giro con un ferro del genere, ma senza alcuna conoscenza base della scherma.”

“Mamma mi avrebbe legato al letto, piuttosto” ghignò Antalion, figurandosi la scena. “E’ sempre stata protettiva, specie nei primi anni.”

“Posso immaginarlo” annuì Aken, meditabondo. “Ricordo Seletta molto bene, e anche lei era molto protettiva coi suoi ragazzi. Dopotutto, ha dovuto crescerli da sola, e lontano da tutti.”

Sbirciandolo curioso in volto, Antalion gli chiese: “Kal e Rally mi hanno detto che li portasti in giro sulle spalle e giocasti con loro, quando erano piccoli. E’ vero?”

“Sì. Mi piacquero subito, e mi parve naturale stare con loro mentre la mamma e Seletta chiacchieravano tra loro. Penso ne avessero entrambe bisogno, come i ragazzi avevano bisogno di passare qualche tempo con una figura maschile. Se avessimo potuto, saremmo rimasti maggiormente da loro, ma purtroppo la nostra missione era troppo urgente” gli spiegò il padre, notando un accenno di gelosia negli occhi del figlio, subito mitigata da un sorriso.

“Ti ricordano con affetto, quindi penso che il piacere di conoscerli sia stato reciproco.”

“Mi sarebbe piaciuto fare lo stesso con te, credimi” sussurrò Aken, allungando una mano per stringergliela.

Antalion restituì la stretta, sorridendo sghembo. “Devo metterti l’impacco sul ginocchio.”

“Che schifo!” sbottò il padre, lanciando un’occhiata disgustata alla brocca di legno che conteneva l’unguento.

“Pensa a me che lo devo spalmare!” sottolineò il figlio, sogghignando nell’infilare due dita nel contenitore ripieno di poltiglia nerastra. “Bleah!”

***

Sospirando deliziato, quando la mano di Eikhe risalì lentamente lungo tutto il suo torace fino a fermarsi, quasi esitante, nei pressi di un capezzolo, Aken volse il capo sul cuscino e le sorrise malizioso.

“Non sai dove andare, ora?”

“Oh, lo so dove andare, ma non vorrei che ti venisse voglia di qualcosa che, al momento, non puoi avere” precisò lei, sorridendo sorniona.

“E perché mai non dovrei averlo? Puoi cavalcarmi finché vuoi, donna, e io non avrò nulla da ridire” ribatté lui, sollevando malignamente le sopracciglia mentre un lento sogghigno si dipingeva sul suo viso.

“Ehm,… Aken, anche volendo, dovresti far forza sulle gambe e, se non erro, una è piuttosto ammaccata” gli fece notare lei, giocherellando con i peli del suo petto.

“Tu non mi dai credito, ragazza mia. Pensi che una semplice gamba ferita possa bloccarmi?” sospirò l’uomo, scuotendo con falsa mestizia la testa.

A quel punto Eikhe si sollevò su un gomito per scrutarlo per bene in viso e, notando il suo sguardo più che divertito, storse la bocca in un ghigno diabolico.

“Vuoi che ti metta alla prova, vero?”

Senza dire nulla, l’uomo la afferrò alla vita, caricandosela sopra il corpo come se non pesasse nulla.

Sorridendo al suo indirizzo, sentenziò: “Ti sfido a sfiancarmi, Eikhe.”

“Aken, non hai bisogno di dimostrarmi niente, sai?” sorrise divertita lei. “So che non hai novant’anni, credimi. Anzi, sono sicura che mi hai mentito, anni fa, dicendomi di avere venticinque anni. Ora non ne dimostri affatto quarantuno, ma trenta, giuro. Non uno di più.”

“Non siamo longevi solo nell’età, nella mia famiglia, sai, piccola?” ridacchiò lui, muovendosi a fatica per districarsi con i lacci dei pantaloni.

Eikhe rise, divertita dai suoi goffi tentativi di liberarsi dei calzoni e, messasi in ginocchio per dargli una mano, sgranò leggermente gli occhi nel vederlo già pronto per lei.

“Beh, mio buon principe, di certo non perdi tempo” commentò a quel punto, sfiorandolo con una mano.

Sospirando, Aken chiuse gli occhi e sussurrò: “Cavalcami, mia bella lupa, e rendimi felice.”

“Se domani sarai tutto acciaccato, non dare la colpa a me. Dopo un simile spettacolo, non mi terrai lontano dal tuo corpo neppure se tu lo volessi” precisò la compagna, sistemandosi sopra di lui fino ad averlo dentro di sé.

Con un unico, simultaneo sospiro, chiusero gli occhi per il piacere e a quel punto Aken, sussurrò roco: “Non ti riterrò personalmente responsabile della mia salute, domattina.”

“Tienilo bene a mente” ansò lei, iniziando a muoversi.

***

Non fu esattamente una brillante idea, dare libero sfogo ai suoi desideri.

Quando Eikhe glielo fece notare, il mattino seguente, sentendolo lamentarsi come un uomo in punto di morte, Aken non poté prendersela con la sua focosa compagna di letto, visto quanto promesso solo la notte precedente.

Il fisico, già provato dal combattimento contro l’orso, non resse bene alla loro notte d’amore piuttosto movimentata.

Al risveglio, quando si ritrovò con più dolori che muscoli e ossa disponibili ad accoglierli, Aken dovette ammettere che, forse, avevano un po’ esagerato.

Naturalmente, Antalion cercò di non ridere di fronte alla faccia pesta del padre e a quella rosso fuoco di sua madre.

Per nessun motivo, nessuno dei due volle scendere in particolari con lui, circa il peggioramento delle condizioni di salute del padre.

Non che i rumori della notte precedente lasciassero adito a dubbi.

Erano arrivati fino all’altro capo della casa, dove si trovava la sua stanza, facendolo sogghignare contro il cuscino prima di addormentarsi.

In un certo qual modo, l’idea di sapere i genitori ancora così affiatati, dopo i molti anni di separazione, gli faceva piacere.

Anche se non lo rendeva felice vedere il padre così malconcio da non volersi alzare da letto, se non per espletare i suoi bisogni fisiologici.

L’essere a conoscenza dei motivi che l’avevano ridotto così, comunque, non poteva che farlo sorridere.

Di certo, non ne avrebbe fatto parola con nessuno dei due – non gli erano parsi vogliosi di parlarne.

Limitandosi, perciò, a prendersi cura del padre senza aprire bocca in merito, Antalion portò la colazione ad Aken subito dopo le abluzioni mattutine.

“Quando starai bene, verrai con me a conoscere i nonni, lo zio e la famiglia di Sendala? Di solito, durante l’inverno faccio loro visita almeno una volta, assieme a mamma, e sarebbe carino se venissi anche tu.”

“Sicuro che non vorranno ammazzarmi, visto che non sono mai stato con voi in questi anni?” sottolineò Aken, sogghignando all’indirizzo del figlio.

“Mamma ha sempre detto loro, come a me, che non potevi stare con noi per gravi motivi quindi, vedendoti e sapendo chi sei, capiranno immediatamente” lo tranquillizzò Antalion, facendo nel frattempo spallucce come se il problema non esistesse affatto.

“Oppure, mi ammazzeranno pensando che, in quanto principe, io mi sia semplicemente approfittato di Eikhe” ipotizzò per contro Aken, sorseggiando un po’ di caffè bollente.

“Approfittare della mamma?” lo irrise il figlio, davvero scettico in proposito.

Il padre ci rimuginò sopra un istante, prima di ridacchiare e convenire con il figlio.

Sì, sarebbe stato impossibile avere la meglio su Eikhe in quel particolare frangente, a meno che lei stessa non volesse la stessa cosa.

Una figlia sacra, a meno di un agguato in grande stile, tale da bloccarla su ogni fronte, non avrebbe mai potuto essere presa con la forza.

E lui, di certo, non aveva usato la forza, per farla sua. O lei per farlo suo.

Con una scrollatina di spalle, Aken acconsentì alla proposta del figlio.

“Quando starò meglio, e se il tempo lo permetterà, andremo a trovare i nonni e gli zii, va bene?”

“Grazie” sorrise lieto Antalion prima di ridacchiare e aggiungere: “Ammesso che tu sopravviva, è ovvio.”

Sollevando un sopracciglio con evidente sarcasmo, il padre borbottò: “Non credo siano affaracci tuoi, figliolo.”

“Se rimango orfano, sì” ridacchiò lui, schivando di un soffio uno scappellotto giocoso di Aken. “La parte più divertente, però, sarebbe spiegare i motivi della tua morte!”

“Dovrei pulirti la bocca col sapone! Tua madre l’ha mai fatto? Dubito” brontolò il padre, ridacchiando suo malgrado di fronte all’evidente divertimento del figlio. “Ammettilo, che ti piace avere una famiglia al gran completo.”

Tornando serio, il ragazzo annuì ed esclamò: “Certo che mi piace! Ma, soprattutto, adoro vedere la mamma sempre sorridente. E questo è tutto merito tuo.”

Abbozzando un sorriso, Aken replicò: “Non ti sei accorto che ci somigliamo come due gocce d’acqua, Antalion? Pensi che fosse facile, per lei, averti accanto ogni momento della giornata?”

Mordendosi un labbro con fare pensoso, il ragazzo assentì torvo.

“Le ricordavo te ogni secondo, eh?”

“Esatto. E visto che, con mio sommo piacere, tua madre mi ama tanto quanto la amo io, pensi sia stato facile guardarti tutti i giorni e sapere che non avremmo mai potuto rincontrarci?”

“No” ammise Antalion.

“Inoltre, amandoti come ti ama, per lei era ancora più difficile. Mescolava rimpianto e amore, ogni qual volta posava lo sguardo su di te” disse sommessamente Aken, carezzando una guancia del figlio con il dolore negli occhi.

Quanta sofferenza aveva dovuto patire in silenzio, in quegli anni! Era un autentico miracolo che Eikhe non avesse finito con l’odiarlo.

“Ma ora che sei cui, è tutto più facile” asserì speranzoso il ragazzo. “Almeno, fin quando ti permetteranno di rimanere.”

“Te l’ho detto; anche se venissero a cercarmi, troveremo il modo di rimanere insieme. Non sono più disposto ad accettare compromessi, quando si tratta di voi” gli rammentò il padre, con un tono che non ammetteva repliche. “Ho sacrificato abbastanza della mia vita, per la corona e per Hevos.”

“Già” ammiccò Antalion, volgendosi a mezzo nel sentire bussare alla porta della stanza. “Sì?”

“Sono Seletta. Posso entrare?”

Aprendosi in un sorriso, Aken la invitò ad entrare e il figlio, immaginando volessero parlare da soli di vecchi ricordi, li lasciò alle loro chiacchiere portando via gli unguenti e le fasciature da pulire.

In cucina, intenta a sistemare un cesto di biscotti sicuramente portato da Seletta, Antalion si rivolse alla madre.

“Papà è a posto. C’è altro che posso fare?”

“Fai già anche troppo” scrollò le spalle Eikhe, sorridendogli. “Perché non vai fuori a divertirti con i tuoi amici? Tanto, qui in casa è tutto in ordine e papà, di sicuro, non scapperà da letto molto presto.”

Indeciso sul da farsi, il ragazzo tornò con lo sguardo al corridoio, che conduceva alle stanze da letto, restio ad abbandonare casa.

Raggiuntolo con un sorrisino comprensivo stampato in viso, la madre gli diede una pacca sulla spalla e disse: “Non se ne andrà, davvero. Non aver paura di lasciarlo per qualche ora.”

“Ho il terrore di svegliarmi da un bel sogno, e di non trovarlo più qui” ammise Antalion, ridacchiando imbarazzato.

“Ci sarà ancora, quando tornerai, promesso” annuì con convinzione lei, dandogli un buffetto sulla guancia prima di sospingerlo verso la porta.

Il figlio allora le sorrise grato e corse via, sbattendo la porta dietro le spalle dopo aver infilato un pesante giaccone di pelo di bufalo.

Poteva capire benissimo le paure del figlio, perché erano anche le sue.

Non si illudeva davvero che la corona lo avrebbe lasciato al suo destino, senza nemmeno provare a ricondurlo a Rajana, ma sapeva che, almeno per quell’inverno, non avrebbero corso rischio alcuno.

In primavera, sarebbe stata tutta un’altra storia.

Istrea, comunque, le aveva detto che le tribù più a sud, allertate, avevano dato la loro disponibilità per avvertire Hyo-den, qualora vi fosse stato pericolo.

Questo avrebbe concesso loro il tempo necessario per approntare un piano di fuga o, quanto meno, per evitare di essere trovati al villaggio, in modo tale da non mettere a rischio l’incolumità delle persone presenti.

Certo, non le piaceva affatto l’idea di scappare come una ladra nella notte, ma non era più disposta a farsi strappare dalle mani l’amore della sua vita.

Con le unghie e con i denti, avrebbe lottato per tenersi Aken, anche a costo di sfoderare veramente gli artigli.

Non le piaceva richiamare la freoha ma, per Aken, l’avrebbe fatto mille e mille volte.

Lo aveva fatto un tempo, nel loro viaggio verso Rajana. Lo avrebbe fatto ancora, per scappare da essa, stavolta.


 

 
 
********************
Ancora un po’ di focolare domestico, per la famiglia di Aken. Ma non dubitate, Arkan non si è dato per vinto. L’inverno, però, è ancora lungo, e lui dovrà pazientare, cosa che però non gli viene molto bene…ihihih

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Capitolo 28
*** cap. 28 ***


 

28.

 

 

 

 

 

Occorsero quasi tre giorni per giungere a Marhna.

La tanto attesa neve era infine giunta a imbiancare anche le vallate montane, bloccando non poche vie e rendendo impervie le restanti.

Raggiungere la cittadina montana seguendo la carovaniera di Anok Fort, però, aveva facilitato – e di molto – il viaggio della famiglia di Eikhe.

Quella strada era forse l’unica, in quella zona, a rimanere sempre sgombra.

Agli albori della sera del terzo giorno, con i ghiacciai simili a laghi di fuoco e il cielo di un caldo color lilla e arancione, entrarono infine in una delle vie laterali di Marhna.

Diretti a passo tranquillo verso la parte nord del paese, dove si trovava la casa del padre di Eikhe, parvero non destare alcun interesse nei pochi valligiani presenti.

Segno di come i tempi fossero cambiati anche lì.

Avvisati tramite l’ausilio di un falco della loro prossima visita, Eikhe era quasi certa avrebbero trovato ad attenderli non solo Konis e la sua futura moglie, ma anche Sendala, Enok e la piccola Amill.

Erano soliti riunirsi tutti, in occasione delle loro fugaci visite invernali.

Perciò, prevedeva che, anche questa volta, non sarebbe stata dissimile dalle altre se non per un unico, insignificante particolare.

Di proposito, aveva evitato di dire a Harm che, con loro, sarebbe stato presente anche il padre di Antalion.

Durante quei tre giorni di viaggio per i boschi, Eikhe si era chiesta come la sua famiglia lo avrebbe accolto e, soprattutto, se lo avrebbero accettato come aveva fatto suo figlio.

Aken e Antalion erano diventati praticamente inseparabili, in quel breve periodo passati assieme, e sembravano l’uno l’ombra dell’altro.

Con la gioia nel cuore, aveva assistito giorno dopo giorno alla rinascita di entrambi i suoi due uomini più importanti.

Se le paure del figlio erano scomparse, man mano che i giorni e le notti si susseguivano regolarmente, le ansie del compagno erano via via scemate fino a divenire solo un pallido ricordo.

Anche le sue, di insicurezze, erano svanite come neve al sole, e ora si sentiva rafforzata nel fisico e nello spirito dalla presenza di entrambi loro.

Era finalmente libera di amare ed essere riamata, senza rimpianti o ferite sanguinanti a guastare le sue giornate.

Sorridendo ai suoi uomini, che le viaggiavano al fianco assieme ai loro due lupi, Eikhe si sentì più forte di mille uomini, pronta a dar battaglia contro chiunque avesse tentato di dividerli.

Era però terrorizzata da ciò che avrebbe trovato al loro arrivo.

L’idea che la sua famiglia non comprendesse le motivazioni di Aken, era un pensiero fisso nella sua mente.

Sarebbe stato difficile far capire loro quanto, l’intera situazione, fosse stata complessa e pericolosa per entrambi.

Quando infine raggiunsero la casa del padre, Eikhe fermò la propria cavalcatura – subito imitata da Aken e Antalion – e, scrutate le luci accese al pian terreno, sospirò e disse: “Bene, ci siamo.”

“Vuoi che vada io per primo, mamma?” ironizzò Antalion, dando un colpetto di gomito al padre prima di fargli l’occhiolino.

“Io mi nasconderò dietro di te per sicurezza, An” precisò Aken.

Era l’unico a poterlo chiamare così.

Persino a Eikhe, ormai, era vietato usare quel nomignolo, mentre al padre, forse per sopperire agli anni in cui non aveva potuto farlo, Antalion lo permetteva senza battere ciglio.

“Non dovrebbe succedere nulla, in teoria, però…” tentennò la donna, voltandosi quando sentì la porta di casa aprirsi, con un lieve fruscio di legno e ferro sfregati tra loro.

Sobbalzando leggermente, il viso imporporato dall’imbarazzo, Eikhe scrutò il padre che, sull’entrata, li stava guardando  con aria confusa.

“Beh, che ci fate lì fuori al…”

Con occhi sgranati e bocca leggermente aperta per lo sconcerto, Harm fece un passo all’esterno, chiudendosi lentamente la porta alle spalle.

Avanzando poi lungo il vialetto, lo sguardo incollato al nipote e all’uomo al suo fianco, riuscì  in qualche modo a dire: “O io ci vedo doppio, oppure…”

“Lui è il padre di Antalion, papà” emise in un soffio la figlia, cercando in qualche modo di ricamare un sorriso sul suo volto teso all’estremo. “E’ il principe Aken di Rajana.”

Lanciata un’occhiata veloce al viso ora pallidissimo della figlia, che storpiò la bocca in una lieve smorfia – ben poco rassomigliante a un sorriso – Harm esclamò: “Mi prendi in giro, ragazza?!”

“Ehm, …no” precisò lei, prima di allungare una mano in direzione di Aken, che subito le si portò accanto, fissando dubbioso l’uomo ancora accigliato. “Come potrai capire, non potevo dire a nessuno la sua reale identità.”

“Questo è poco ma sicuro!” chiosò seccamente Harm, intrecciando le braccia sul petto, ancora intento a fissare con fiero cipiglio il viso contratto e preoccupato del principe.

“Nonno, dai, non prendertela con lui!” intervenne allora Antalion, avvicinandosi al padre per avvolgere, con la propria, la mano libera dell’uomo. “Lo hanno obbligato a rimanere a Rajana per tutto questo tempo! Avrebbero ucciso me e la mamma, se fosse venuto da noi!”

Quella notizia fece sobbalzare di sorpresa Harm che, scrutando i tre a momenti alterni, sospirò lungamente e infine dichiarò: “A ogni modo, il vialetto d’ingresso non mi sembra il luogo più adatto per parlare di una cosa così delicata. Venite dentro, così potrete spiegare a tutti che diamine sta succedendo.”

Aken impallidì un tantino a quelle parole ma Eikhe, stringendo con forza la sua mano, sussurrò: “Io e Antalion ti difenderemo, vedrai.”

“Saremmo in tre contro… quanti? Perché ho la netta impressione che avrei dovuto venire armato?” si lagnò il compagno, seguendoli all’interno della casa con passo strascicato, tallonato d’appresso dai due lupi. “Meno male che abbiamo la cavalleria, con noi.”

“Non avrai paura della mia famiglia, spero!” esalò Eikhe, ridacchiando di fronte alla sua aria aggrottata.

Arcigno, Aken replicò: “Ti devo ricordare che io sono scappato dalla mia?”

“Solo da tuo padre, ricordalo bene” ribatté la donna, dandogli una consolatoria pacca sul braccio, prima di sentire Antalion chiudere la porta alle loro spalle.

Fermo sulla soglia del corridoio, Harm indicò loro di seguirli nel salotto e lì, la famiglia di Eikhe si esibì in larghi sorrisi di benvenuto prima di sgranare gli occhi di fronte al nuovo venuto.

Ridendo divertita, Sendala lasciò il fianco del marito, che nel frattempo stava osservando Aken come se avesse di fronte un fantasma, e allungò una mano in direzione del principe.

“Beh, tutto mi sarei aspettata tranne questa tua entrata in grande stile.”

“Sendala! E’ un vero piacere rivederti!” esclamò per contro Aken, stringendo affettuosamente la sua mano prima di attirarla in abbraccio amichevole e baciarla sulle guance.

Più che mai sorpresa, la donna rispose però all’abbraccio con uno altrettanto caloroso.

“Non avresti potuto fare scelta migliore, anche se mi chiedo perché tu l’abbia fatta solo ora.”

“E’ proprio quello che vorrei sapere” brontolò Harm, prendendo la parola dopo quel breve scambio di saluti.

Mentre Eikhe scrutava la sua famiglia, ancora basita di fronte a quella situazione davvero imprevista, Enok guardò confuso la moglie e gracchiò: “E’ veramente il principe?”

“Eccome se lo è!” esclamò Sendala, prima di guardare Aken con un ghigno beffardo. “Mio marito Enok. E la piccola lì sul divano è mia figlia Amill.”

“Enok, eh?” commentò divertito Aken, avvicinandosi a lui per stringergli la mano.

Accigliandosi leggermente, l’uomo in questione strinse la mano del principe e, dubbioso, domandò: “Perché ho la netta sensazione che dovrei preoccuparmi di qualcosa?”

Scoppiando a ridere, Antalion disse: “Gli ho raccontato un po’ di cose su di te, Enok, scusa.”

Facendo tanto d’occhi, Enok arrossì imbarazzato di fronte ad Aken, che gli stava sorridendo piacevolmente.

Ridacchiando, commentò: “Cose di gioventù, niente di cui preoccuparsi.”

“Oh, lo so” ammiccò lui, lanciando un sorriso a Eikhe, che ricambiò.

“Possiamo sapere qualcosa di più, ora?” borbottò nuovamente Harm, che non aveva smesso un secondo di guardare male Aken.

Fattosi serio, il principe quindi raccontò per filo e per segno gli avvenimenti che seguirono il suo ritorno dalla guerra.

Parlò loro dalle minacce del padre, così come della sua promessa di non partire alla volta delle montagne, in cambio della salvezza di Eikhe.

Il cipiglio di Harm scemò leggermente, ascoltando le parole di Aken e ciò che in esse era contenuto.

Di fronte al suo autentico dolore, e all’afflizione che il principe aveva patito in quegli anni passati lontano da Eikhe, Harm dovette abbandonare del tutto la rabbia per lasciar spazio alla comprensione.

Quando Aken ebbe terminato di raccontare ciò che Hevos stesso gli aveva riferito, Harm non poté che dire: “Non hai certo vissuto meglio di mia figlia, a quanto pare.”

“No davvero ma, quando mio fratello mi riferì di aver visto un ragazzo che mi somigliava molto e che, tra le altre cose, sembrava avere stretti legami con le figlie sacre, decisi di volerne sapere di più.”

Sorrise tristemente, ma aggiunse: “Compresi di essere stato sciocco a non fidarmi della mia famiglia e, grazie al loro aiuto, uscii di nascosto da Rajana per giungere qui, supportato anche dall’inatteso intervento di Hevos. Speravo che Eikhe mi rivolesse al suo fianco, nonostante gli anni passati lontani.”

“Tuo padre, quindi, verrà a riprenderti. Se non ti ha dato il permesso allora, dubito che abbia cambiato idea adesso” esternò a quel punto Konis, fissandolo a metà tra il meravigliato e il preoccupato.

“E’ probabile, ma stiamo già programmando un’eventuale contromossa” disse per contro Aken, prima di sorridere e aggiungere: “Altre domande?”

“Direi che ti abbiamo tartassato fin troppo” sorrise generosamente Ildera. “Visto che non ho ancora messo in tavola la cena… ti piace lo stufato di cervo?”

“Più che sì” annuì il principe, prima di prendere in braccio la piccola Amill, che già da un po’ gli stava gironzolando attorno. “Posso fare qualcosa per te?”

“Sei davvelo un plincipe?” chiese la bimba, tutta sorridente.

“Direi di sì” abbozzò un sorrisone lui.

“E la tua colona dov’è?” domandò allora Amill.

Ridacchiando, Aken la poggiò su un ginocchio e replicò candidamente: “L’ho lasciata a casa. Volevi vederla?”

“Sì” annuì con veemenza la bambina, facendo sorridere tutti.

“Prometto che, la prossima volta che verrò, te la porterò” disse solennemente Aken, poggiandosi una mano sul cuore.

“Glazie” rispose Amill, con altrettanta solennità.

Sendala, con una calda risata di gola, recuperò la bimba dalle braccia del principe e, carezzandole gentilmente i capelli, disse: “Non disturbare Aken con le tue sciocchezze.”

“Ma, se è un plincipe, deve avele la colona!” sbottò la bimba, mettendo il broncio e puntando i pugni sulle cosce.

Tutti risero di gusto e Aken, guardando Eikhe sorridente e felice, fu più che lieto di aver rischiato il tutto e per tutto per raggiungerla.

Avrebbe anche dato la vita, pur di saperla per sempre così serena.

***

Accomodato di fronte al camino, il fuoco ancora scoppiettante e le calde fiamme sfrigolanti nella bocca rocciosa che le conteneva con fare protettivo, Aken sorrise cordiale a Enok.

Dopo aver messo a letto figlia e moglie, era sceso per dormire in salotto, sul pagliericcio messo a disposizione per lui da Harm e Ildera.

Aken si era rifiutato profusamente di utilizzare la camera di Konis, lasciando che Eikhe e Antalion dividessero il letto di una delle camere degli ospiti, mentre l’altra era occupata da Sendala e Amill.

“Di sicuro, hai fatto un’entrata degna di nota. Eikhe non ci aveva avvisati del tuo arrivo” esordì Enok, passandogli un boccale colmo di birra leggera alle erbe.

“E’ un’amante delle sorprese” ridacchiò lui, poggiandosi sui gomiti e continuando a osservare le lingue di fuoco danzare sinuose.

Accomodatosi sul pagliericcio, Enok allungò gli avambracci sulle cosce e, scrutando a sua volta il fuoco, disse sommessamente: “Per un po’ ti ho odiato, sai?”

“Per tanto tempo mi sono odiato da solo, quindi non c’è problema” rise Aken, ammiccando al suo indirizzo.

“Era per Antalion, più che altro” si spiegò meglio Enok, abbozzando un sorriso sghembo.

“Uhm?” fece il principe, fissandolo curiosamente.

“Certo, avevo anche un’infatuazione per Eikhe…” precisò Enok, sorridendo. “… ma amavo alla follia soprattutto Antalion. L’ho amato fin da quando l’ho conosciuto, e mi sembrava spaventoso che tu non fossi lì con lui a vederlo crescere.”

“Non hai idea di quanto la cosa mi pesi tutt’ora, sebbene adesso io e lui andiamo d’accordo” sospirò il principe, fissando in viso Enok per un lungo momento prima di dire: “Ti ho odiato anch’io, quando ho saputo di te. Per l’amore che tu hai potuto dargli, mentre io non ero presente.”

“Beh, siamo pari, allora” sorrise benevolmente lo spaccalegna, accennando un brindisi con lui.

Accettandolo, Aken ascoltò il sordo toc dei boccali di legno mentre cozzavano tra loro prima di dire: “Amill è davvero bellissima.”

“Ed è scapestrata come la madre” ridacchiò Enok, con un dolce tono di voce.

“E’ stata dura venire a patti con la sua natura di donna-lupo?” gli chiese il principe, curioso.

“No. Ho sempre ammirato sia lei che Eikhe, fin dal primo giorno in cui le ho conosciute, e non ho mai trovato nulla da ridire sulla loro libertà, o sul loro modo di vedere le cose. Mi piace come ragionano.”

Scosse il capo e sorrise.

“Non ho mai voluto una donna sottomessa, o troppo timorosa di parlare con me. Sendala mi da tutto ciò che io voglio. E’ spigliata, generosa, testarda, coraggiosa… bellissima.”

“Quello non guasta mai!” ammiccò Aken, sorridendo. “L’ho vista serena e appagata, il che direi che è la summa di tutto. Non potrebbe esserlo, se non avesse da te ciò che anche lei vuole.”

“E’ quello che spero, ma fa piacere sentirtelo dire…” sorrise Enok “… come mi fa piacere vedere Eikhe priva di ombre negli occhi. E’ felice come mai l’ho vista prima, ed è bello vederla così. Ti spiace se mi preoccupo ancora per lei?”

“Affatto. Eikhe ha vissuto per anni, sapendo di non essere amata dalla madre e di essere invisa a molte sue sorelle. Avere una famiglia unita, e amici che le vogliono bene, non può che essere positivo, e io non posso che esserne felice per lei” replicò Aken, scuotendo il capo. “Inoltre, sapere che c’eri tu a tirar su mio figlio, nonostante tutto, mi ha tranquillizzato. E’ stato un bene che abbia avuto una figura maschile al suo fianco, anche se non ho potuto essere io.”

“Non mi ha mai chiamato ‘papà’ come fa con te, però” tenne a precisare Enok.

“Me l’ha detto” annuì il principe, con un piccolo sorriso.

“Bene” sospirò allora l’altro, sdraiandosi su un fianco dopo aver poggiato a terra il boccale. “Avete davvero un piano pronto, casomai il re venisse a cercarvi?”

“Sì. E, se dovremo allontanarci, faremo in modo di farvi sapere dove ci troviamo” gli promise Aken, serio in viso non meno di Enok.

“Non avete avuto una vita facile, eh?”

“Ogni attimo passato con Eikhe e An, vale il prezzo pagato” sospirò il principe, sdraiandosi a sua volta prima di coprirsi il volto con un braccio. “Sono pronto a pagarlo altre mille volte, pur di stare con loro.”

“Se avrete bisogno di aiuto, io ci sarò, ricordalo” si sentì di dire Enok, con un tono di voce che non ammetteva replica alcuna.

“Non rifiuterò mai più l’aiuto di qualcuno perciò ti dico grazie, Enok e, se dovessimo aver bisogno di una mano, te lo farò sapere” gli promise Aken, prima di sbadigliare e ammettere: “Quel terzo grado mi ha quasi ucciso!”

Ridacchiando, l’altro assentì comprensivo.

“Non è da tutti scoprire di avere come parente il principe di Rajana.”

“Vorrei tanto non esserlo mai stato. Non avrei avuto tutti questi problemi” sbuffò Aken, grattandosi nervosamente la guancia con un dito.

“Questo è vero. Ma su cose come queste non si ha controllo” chiosò Enok.

“Non fare della filosofia a quest’ora, perché non la capirei” ghignò il principe.

Un attimo dopo, però, non poté esimersi dal chiedergli: “Hai mai baciato Eikhe?”

“No” replicò concisamente Enok.

“Bravo” si limitò a dire Aken prima di augurargli la buonanotte.

***

“Come sarebbe a dire che non riuscite a proseguire oltre Medrasta?!” ringhiò re Arkan, battendo furiosamente il bastone sul pavimento di pietra della Sala del Trono.

Reclinando maggiormente il capo di fronte all’ira funesta del sovrano, il comandante della quinta spedizione inviata verso il nord alla ricerca del principe Aken, sussurrò spiacente: “Sono dolente ma, come hanno riferito gli altri ufficiali di ritorno dalle precedenti spedizioni, non è possibile proseguire oltre quella città, poiché la neve è troppo alta e i cavalli non riescono ad averne ragione.”

Lanciando in malo modo il bastone, che finì lungo riverso sul tappeto color ocra dinanzi a sé, Arkan si levò rabbiosamente dallo scranno di legno e urlò: “Non ho dei soldati, ma delle mezze tacche! Esci subito di qui e sparisci dalla mia vista!”

Inchinandosi frettolosamente, il comandante si affrettò a eseguire l’ordine, lasciando che il re sfogasse le sue ire su qualcuno che non fosse lui.

Sulla porta, però, venne fermato dal principe Ruak che, con uno sguardo comprensivo, mormorò a bassa voce: “Non vi preoccupate. Non succederà nulla neppure a voi. So benissimo che vi è impossibile eseguire i suoi ordini.”

“Vi ringrazio, Altezza” esalò l’ufficiale prima di andarsene per lasciare la Sala del Trono.

Fatto un cenno ai paggi perché chiudessero le porte dietro di lui, Ruak avanzò lungo il tappeto di fine lana ricamata e, con un gesto di mano, raccolse il bastone del padre.

“Non vi sembra di stare esagerando, padre?”

Voltandosi nervosamente in direzione del figlio minore, ed erede al trono di Rajana, Arkan si accigliò subito, adombrandosi in viso.

Con voce resa dura dalla rabbia che serpeggiava in lui con la forza di una marea, tuonò: “Non osare dirmi come debbo comportarmi con i miei sottoposti! Se non siete tuo o tuo fratello a guidare l’esercito, nessuno è in grado di fare nulla! Sono tutti incompetenti!”

“State chiedendo loro l’impossibile, e lo sapete” precisò Ruak, imperturbabile di fronte alla sua ira.

Dalla fuga di Aken, che ormai mancava dalla capitale da più di tre mesi, Ruak e il padre non si erano più rivolti la parola con tono pacato, alternando sonore discussioni a lunghi periodi di silenzi assordanti.

Questo, non solo aveva preoccupato la regina, ma aveva portato a far nascere chiacchiere su chiacchiere all’interno della venefica corte di palazzo.

“Sono soldati, non donnette! Non dovrebbero uscirsene con scuse così risibili!” protestò Arkan, zoppicando nervosamente avanti e indietro per il palco.

Tutt’attorno, le guardie nascoste nelle alcove del salone si attenevano al più rigoroso silenzio, ma i loro sguardi parlavano molto più di un’intera folla urlante.

Cominciavano a  dubitare del re, e Ruak non faceva fatica a comprenderli.

Non solo, inviare così tanti uomini verso il nord, e distribuiti su così tante spedizioni, era stato un gesto folle, ma anche inveire sui loro comandanti, minacciando le loro carriere, era stato assurdo.

La corte, ben presto, avrebbe iniziato a screditare la figura del re, tacciandolo di non essere più in grado di governare su tutti loro con saggezza.

Anche se Ruak era ancora adirato con lui, non voleva che venisse obbligato a deporre lo scettro a causa dei suoi colpi di testa.

Questo, lo avrebbe ucciso.

Come fermarlo dalla sua stessa follia, però? Davvero non lo sapeva.

Consegnatogli il bastone con un gesto secco del braccio, Ruak intrecciò le mani dietro la schiena e, camminando lentamente per il palco come, in precedenza, aveva fatto il padre, disse conciliante: “Lasciate Aken al suo destino, e occupatevi degli affari di Rajana. Rischiate di rendervi ridicolo e ossessivo, con questa vostra fissazione nei suoi confronti.”

“Non si tratta di fissazione! Lui è figlio di re, e non può mescolare il suo sangue con una … una barbara come quella donna! Non mi interessa nulla se ha salvato tuo fratello e il regno, a suo tempo. Era suo dovere di suddita, comportarsi a quel modo. Ma non lo era di certo quello di irretire mio figlio con le sue grazie!” sbottò Arkan dal suo trono, ove si era accomodato nuovamente, ormai stanco e provato.

Cercando di trattenere un’imprecazione, Ruak replicò rigidamente: “Vi ostinate a non voler leggere la verità per quella che è, padre, ma io non ve la ripeterò più, poiché sono stanco di parlare con un muro. Sappiate solo una cosa; non potrò difendervi ancora per molto da voi stesso. O cambiate idea ora, oppure non avrete più nessuno a sostenervi!”

Tu, difendere me? Follie, dici! Tutte follie!” inveì il padre, brandendo il bastone come una spada. “Non sei mai stato all’altezza di tuo fratello, e decidendo di approvare la sua scelta, non fai che darmene atto!”

Tentando in ogni modo di non rimanere ferito dalle sue parole piene di fiele, il figlio rimase impassibile di fronte a lui e, serafico, replicò: “Vedetela come volete. Io vi ho avvertito.”

“Non lascerò mai che lui faccia ciò che vuole! Lui è la Corona, e la Corona deve restare qui a Rajana!” sbraitò il re, ormai paonazzo in viso. “Vattene da qui, ora! La tua vista mi disgusta.”

“Non avevo comunque intenzione di rimanere oltre, padre” sussurrò Ruak, defilando dal palco per passare da una stretta porta, solitamente usata dalla regina per entrare e uscire dalla Sala del Trono.

Come sempre, anche quella volta trovò nell’ombra sua madre Anladi.

Il viso era stravolto dal dispiacere e gli occhi che, solo a stento, trattenevano le lacrime, lo fissarono senza riuscire a parlare.

Le labbra erano tese in una smorfia dolente.

Scuotendo il capo al suo indirizzo, Ruak le sfiorò la guancia con un bacio leggero prima di uscire dal salone e dirigersi senza alcuni indugio verso le sue stanze.

Era ben deciso a non lasciarsi rovinare la giornata dalle bizze del padre.

Per quanto continuasse ad amarlo, non poteva permettergli di rovinare la sua vita come aveva fatto, per sedici anni, con quella di Aken.

Per questo, avrebbe combattuto strenuamente.

Risalendo lentamente le scale, dove alcune domestiche stavano ripulendo gli elaborati mancorrenti di metallo, Ruak sorrise brevemente loro nel salutarle con educazione.

A capo chino, poi, raggiunse il terzo piano del maniero, svoltando lungo un corridoio ricoperto di tappeti color amaranto a fantasie geometriche.

Renke li aveva fatti sostituire tutti, nella loro ala del castello, trovando che il classico color ocra non si intonasse con i suoi gusti più allegri.

Ruak, tra un risolino e una spallucciata, aveva acconsentito nonostante i brontolii del padre.

Una volta raggiunta la stanza dei bambini, che volgeva verso nord le sue ampie vetrate, e da cui proveniva il chiassoso risolino dei figli, Ruak aprì la porta solo per trovarsi davanti un’autentica scena di devastazione.

E la vittima designata, questa volta, era niente meno che la bambinaia.

Circondata da una montagna di morbidi cuscini a mo’ di mura di un castello, la donna non sapeva se mettersi a urlare o scoppiare a ridere.

I tre figli del principe, di tutt’altro avviso, la stavano bombardavano con i loro peluche, negli occhi la scintilla della vittoria.

Renke, seduta accanto a una delle ampie porte-finestre che conducevano ai balconi, stava placidamente ricamando una blusa, un sorriso beffardo dipinto sul volto pacato.

Gli occhi vispi, a momenti alterni, passavano dal suo lavoro di cucito alla scena di lotta nel mezzo della stanza, giusto per sincerarsi che i figli non esagerassero.

Poggiato contro lo stipite della porta, Ruak non riuscì a nascondere il sorriso che, spontaneo, sorse sul volto alla vista della sua famiglia così allegramente giocosa.

Intrecciate le braccia sul petto, esordì dicendo: “Vedo che avete cinto d’assedio la povera Nivela.”

“Padre!” esclamarono in coro i figli, lasciando subito da parte i giocattoli per corrergli incontro a braccia spalancate.

La bambinaia, vista finalmente una via d’uscita, distrusse con un colpo di mani le mura di cuscini.

Con un sorriso di ringraziamento al principe, si rifugiò vicino a Renke che, ammiccando al suo indirizzo, le sussurrò: “Grazie per la pazienza.”

“Si stavano divertendo tutti assieme… ne è valsa la pena” commentò la donna, con una scrollata di spalle.

Presa in braccio la più piccola, Naell, Ruak entrò nella saletta lasciando che fosse Meriton, il primogenito del regno, a chiudere la porta.

Divertito, il principe ed erede si rivolse alle due donne accanto alla porta-finestra per commentare quanto appena visto.

“Dovrò assoldare questi bricconi, per la prossima guerra. Sanno cingere d’assedio un castello che è una bellezza.”

Sollevando un sopracciglio con evidente ironia, Renke replicò candida: “Dubito fortemente che Naell voglia diventare una guerriera.”

“Sì, invece, mamma!” protestò la bimba, lanciando uno strillo disumano prima di scivolare via dalle braccia del padre per tornare a giocare con i fratelli maggiori.

“Ti ha smentito subito” ridacchiò Ruak, lasciandola andare, non senza prima guardare Meriton per alcuni istanti perché fossero chiari un paio di punti; d’accordo giocare, ma senza farsi male.

All’assenso veloce del primogenito, il padre li lasciò correre per la stanza senza dire più nulla e, rivolto uno sguardo d’intesa con la moglie, le chiese: “Posso rubare un minuto al tuo ricamo?”

Poggiata la tunica sul cesto delle spolette di colore, Renke lasciò la stanza in silenzio dopo aver sorriso brevemente a Nivela, che prese posto più vicino ai bambini, giusto per stare più tranquilla.

Una volta affiancato il marito, entrambi oltrepassarono una porta ad arco per ritrovarsi nell’adiacente salottino da tè dove, solitamente, la principessa era a uso intrattenersi con le amiche.

Ascoltando solo fuggevolmente il baccano proveniente dalla stanza accanto, Renke fissò il marito in viso, non appena egli si sedette su una poltrona di velluto color amaranto.

Accigliandosi immediatamente quando vide la stanchezza balenare come un velo ad adombrargli il viso, domandò duramente: “Cos’ha combinato, stavolta, tuo padre?”

Con una risatina aspra, Ruak si passò una mano tra i folti capelli biondi e sospirò.

“Come sai che si tratta di mio padre?”

“Solo lui riesce a farti infuriare a questo modo” brontolò lei, accomodandosi a sua volta. “Un’altra sfuriata?”

“Sì, e stavolta peggiore delle altre” annuì lui, la voce percorsa da una stanchezza più grave del solito. “Il Concilio della Corona chiederà ben presto la sua abdicazione, se non la smette di comportarsi così. Lui è il re, ma non è padrone di fare tutto quello che vuole. Secoli fa, i miei antenati crearono il Concilio proprio per evitare che il sovrano diventasse un despota e tiranno, e mio padre si sta pericolosamente avvicinando al bivio per il non ritorno.”

Allungando una mano per afferrare quella del marito, Renke gli sorrise benevolmente.

“E’ possibile che non vi sia altra soluzione, Ruak.”

“Ma perché è così cieco?!” sbottò il marito, stringendo con forza la mano della moglie, prima di portarsela alle labbra per un bacio lievissimo. “Possibile che non veda il baratro che si avvicina?”

“E’ così abbarbicato nelle sue convinzioni che niente e nessuno può sfiorarlo, nemmeno le tue sagge parole” sospirò Renke, scuotendo mesta il capo.

“Non potrò nulla, se il Concilio deciderà di farlo abdicare in mio favore. La mia unica paura è che una notizia simile possa ucciderlo” le confessò lui, con occhi ora colmi di timore.

Fattasi di ghiaccio, la moglie replicò secca: “Non mi sembra che abbia fatto nulla per evitare questo dramma, anzi, ha dato vigore alle fiamme che lo circondano già da tempo. Trattare Aken a quel modo, non ha fatto che peggiorare la situazione. Tuo fratello è sempre stato amato, specialmente dall’esercito e, negli ultimi anni, ha svezzato un’intera generazione di soldati che, semplicemente, lo venerano.”

Ruak non poté che annuire, e Renke proseguì nella sua filippica.

“Il re pensa davvero di poter ordinare a tempo indeterminato a questi uomini di cercarlo, neanche fosse un ladro della peggior risma? Se non sarà il Concilio, saranno i militari stessi a chiedere che venga deposto.”

“Purtroppo hai ragione” ammise Ruak, carezzando distrattamente il dorso della mano della moglie mentre, nella stanza accanto, la guerra messa in piedi dai figli continuava senza esclusione di colpi.

Naell sembrava aver avuto la meglio su Staryn, il secondogenito, e immaginava soltanto quando il fratellino fosse indispettito dalla cosa.

Preso un gran respiro, Renke cercò in qualche modo di calmarsi e, con voce più tranquilla, disse: “Se vuoi, posso provare a parlare con tuo padre a mia volta. Non prometto nulla, ma almeno potrò dire di aver tentato.”

“Non credo che avere intorno una donna che parla di politica possa fargli piacere, ora come ora. E’ già piuttosto nervoso quando mia madre è nei paraggi della Sala del Trono, figurarsi se fosse la nuora a prendere un’iniziativa simile” ridacchiò senza alcuna allegria Ruak.

“Vecchio testardo e retrogrado” borbottò la donna, mettendo un adorabile broncio che fece sorridere di piacere il marito.

Lasciata con un gesto repentino la poltrona dov’era accomodato, Ruak raggiunse la moglie con una rapida falcata e, sollevatala di peso, se la pose sulle ginocchia.

Preso il suo posto sul morbido velluto dello scranno, le carezzò il viso con il dorso di una mano e le sussurrò sulle labbra: “Prometto di non diventare mai come lui.”

“Vorrei vedere!” rise Renke, dandogli un bacio a schiocco sulla bocca, prima di aggiungere maliziosa: “Moriresti per mia mano, se solo ci provassi.”

Ruak allora esalò: “Ho sposato una nobildonna, o un’assassina?”

“Una donna inferocita, e con ottime ragioni a farle da compagna, può essere più pericolosa di un mercenario prezzolato” chiosò la donna con un sorrisino presuntuoso.

Afferrandola alla vita con un braccio, se la strinse forte contro il petto e, in un sussurro di fuoco contro il suo orecchio morbido, mormorò roco: “Mia bella assassina, non avrai modo di dar voce alla tua vena violenta, perché non te ne darò mai motivo.”

“Sarà meglio” alitò lei contro il suo collo prima di sussurrare: “E’ proprio necessario andare alla festa di stasera?”

Scoppiando in un’allegra risata, Ruak la lasciò lentamente andare.

Annuendo con aria falsamente affranta, disse mesto: “Non vorrai davvero fare un torto a così tanti dignitari terrieri, giunti a Rajana solo per vedere te!”

“Puah! Vedere me!” brontolò lei, scrollando negligente una mano. “Sono qui solo per strappare i migliori affari possibili con la corona e, ora che tuo fratello non è più qui a occuparsene, sperano di fregarti per il meglio, credendoti a torto meno preparato di lui.”

“Peccato che non sappiano quanto mi sia di aiuto Kannor” ammiccò lui, prima di sollevarsi con lei in braccio e dire: “E a proposito del mio caro amico; sarà meglio mi faccia dare qualche dritta, così che stasera io non commetta fesserie.”

Scivolando via dalle braccia del marito, Renke gli sfiorò il torace ricoperto di elegante velluto ricamato e, come una bimba petulante, chiese: “Potrò averti tutto per me, più tardi, nella sala da bagno?”

“Starò via solo lo stretto necessario” promise sulle sue labbra Ruak, rubandole un bacetto per poi correre via di filata.

Sospirando, la moglie lo guardò sgattaiolare fuori da una porta di servizio prima di udire gli strilli inferociti di Naell.

Con una forza di volontà che proprio non provava, poggiò le mani sui fianchi e tornò nella saletta accanto, esclamando: “Il primo che trovo con le mani addosso al proprio fratello, o sorella, lo scotenno!”

Con uno scalpiccio di piedi e un ‘togliti’ affrettato e detto a mezza bocca, Renke entrò a passo di carica nella stanza dove si trovavano i figli.

Non certo senza divertimento, si ritrovò a fissare i tre bambini con i vestiti tutti scomposti, le chiome in disordine e i colletti delle camiciole ben più che allentati.

Sollevando le mani verso l’alto con espressione impotente, Nivela disse: “Tecnicamente, non si sono fatti male.”

“Si sono strattonati, eh?” esalò la principessa, fissando a turno i figli, ora testardamente con lo sguardo fisso verso il pavimento, ricoperto di tappeti fiorati.

“Già” confermò la bambinaia.

Sogghignando, Renke si sollevò le maniche del raffinato abito di lana secca color cannella e, dopo aver controllato per bene cosa vi fosse nei paraggi, prese in mano tre peluche e li tirò.

A turno, colpì con precisione i figli che, sorpresi da quell’attacco, fissarono la madre senza parole per alcuni attimi prima di gettarsi contro di lei e buttarla a terra senza troppi complimenti.

Subito preoccupata per la sua padrona, Nivela sorrise più tranquilla quando la vide sorridente e divertita, intenta a fare il solletico ai suoi figli che, impotenti, subivano i suoi attacchi senza riuscire a replicare.

“Me lo direte voi, quando intervenire?” chiese per cortesia la bambinaia.

“Sì, certo!” esclamò Renke, afferrando per la vita Staryn, prima di gettarlo su un cuscino a pancia in giù e fargli il solletico sotto le ascelle.

Con un risolino sulle labbra, Nivela allora si sedette su una sedia e, preso il lavoro di cucito della principessa, afferrò ago e filo e proseguì imperturbabile il ricamo.

Le grida allegre dei bambini si confusero con la voce stentorea e divertita della madre, in un crescendo di gioia e di serenità.

Ignari, o volutamente distanti, dalla cappa di oscurità che cingeva il castello.


 

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Capitolo 29
*** cap. 29 ***


 

29.

 

 

 

 

 

Il boato che li svegliò di soprassalto nel cuore della notte, non fu spaventoso a causa di ciò che lo aveva provocato, ma quanto piuttosto per l’oscuro presagio che portava con sé.

Sobbalzando nel letto che ormai da mesi divideva con Eikhe, Aken si levò a sedere di scatto, le orecchie vigili in cerca di ulteriori rumori chiarificatori.

Le mani della compagna, nel frattempo, corsero all’acciarino nel tentativo di accendere la candela sul comodino il più in fretta possibile.

Bussando alla loro porta con fare concitato, nemmeno un minuto dopo quel suono disumano, Antalion esalò con voce ancora impastata dal sonno, ma già allerta: “Posso entrare?”

“Vieni pure, An” disse lesto Aken, levandosi da letto mentre una fiammella purpurea prendeva vita sulla candela.

Armato della propria, che gli illuminava il viso tirato e i capelli scompigliati dal sonno, Antalion entrò a grandi passi nella camera padronale.

Fissati alternativamente i genitori, domandò torvo: “Una slavina?”

“A giudicare dal rumore, o era bella grossa, o si è trattato di una valanga in piena regola” brontolò il padre, indossando alla svelta camiciola, pantaloni e una pesante casacca di pelle di bufalo, che Eikhe aveva confezionato per lui come regalo per la sua venuta.

Storcendo la bocca carnosa, il figlio annuì mentre la donna, imitando il compagno, indossava i suoi abiti più pesanti assieme ad alti stivali di cuoio nero, che usava per i lavori di fatica.

Quando furono entrambi pronti, si volsero a guardare il figlio, già abbigliato per uscire e, senza una parola, imboccarono il corridoio per raggiungere l’ingresso della casa e, da lì, la via principale di Hyo-den.

Era necessario scoprire se i frangi valanga avevano retto, o se le parti più esterne del paese fossero state colpite dal fronte nevoso.

Diverse donne, e non pochi uomini, si riversarono a loro volta sulla via mentre Istrea e la figlia, uscendo di gran carriera dalla loro abitazione, si univano al gruppo via via più folto di persone.

Salutandole con sorriso di circostanza prima di affiancarle, Aken chiosò: “Risveglio sonoro, eh?”

“Avrei preferito non doverlo mai sentire, ma dopotutto non mi stupisce. Siamo in primavera, ormai” brontolò Istrea, prima di accorgersi del cipiglio cupo dell’uomo al suo fianco.

Una valanga agli albori dell’alba poteva voler dire solo una cosa; le temperature si erano irrimediabilmente alzate.

Se già non lo era in quel momento, la Carovaniera del Nord sarebbe stata ben presto percorribile.

Questo significava anche che, da quel momento in poi, re Arkan avrebbe inviato i soldati alla ricerca del figlio, rivoltando quelle lande così isolate e lontane dalla Capitale del Regno.

Aken vi aveva pensato nell’istante stesso in cui, quel sordo tuono mortale, si era allargato nella valle con le sue vibrazioni raggelanti.

Pur avendo a cuore le sorti di coloro che, per disgrazia, si fossero trovati in mezzo a quella furia di neve e ghiaccio, non aveva potuto esimersi dal chiedersi quanto tempo sarebbe passato prima di ricevere notizie dai clan del sud.

Non voleva andarsene da lì, e neppure voleva costringere la famiglia all’ennesimo sacrificio per causa sua, ma cos’altro gli rimaneva da fare?

Non avrebbe mai rimesso piede a Rajana alle condizioni del padre, e non voleva che l’esercito se la prendesse con le figlie sacre che, così gentilmente, lo avevano accolto nel loro abbraccio.

Certo, si era guadagnato il suo posto all’interno del clan, lavorando operosamente e prendendosi cura dell’educazione militare di tutti i giovani del villaggio, comprese alcune figlie sacre già avanti con l’età.

Oltre a ciò, aveva dato una mano alla sistemazione di alcune case, al consolidamento di diversi tetti e alla fortificazione dei frangi valanghe.

Non si poteva certo dire che si fosse tenuto in disparte.

In ogni caso, non voleva ripagare con l’esercito e la morte la loro calda ospitalità.

Se fosse stato necessario, avrebbero fatto i bagagli e se ne sarebbero andati.

Avevano già l’appoggio di Enok, nel caso si fossero diretti a nord, così come avevano da tempo diversi contatti con alcune tribù di donne-lupo nel reame di Karton.

Quest’ultime si erano rese disponibili ad accoglierli nella malaugurata ipotesi che, restare a Enerios, fosse risultato per loro troppo pericoloso.

Per il momento, in ogni caso, dovevano occuparsi di ciò che era successo al villaggio.

Solo se avessero ricevuto notizie negative, si sarebbero mossi, non un minuto prima.

Aken teneva troppo a quel luogo e ai legami che Eikhe, Antalion e lui stesso avevano creato a Hyo-den.

Non vi avrebbe rinunciato se non tassativamente costretto.

“Tutto bene, papà?” sussurrò al suo fianco Antalion, strappandolo a quei lugubri pensieri.

Cercando di abbozzare un sorriso, lui annuì dicendo soltanto: “Tutto a posto, An. Tutto a posto.”

***

“Non siamo più disposti ad accettare le intemperanze di Sua Maestà” precisò, alla fine di un lungo discorso, il comandante della guarnigione di Rajana, osservando spiacente il principe Ruak.

Ruak aveva ipotizzato senza problemi i motivi di quell’incontro segreto, fin da quando aveva ricevuto quell’invito tramite missiva vergata a mano.

Era raro che un membro dell’Alta Aristocrazia di Rajana venisse chiamato al cospetto di un ufficiale militare.

Ma il principe non aveva faticato a comprendere a cosa fosse dovuta quell’infrazione alle regole.

Senza dire nulla alla moglie, che si stava occupando dei figli assieme alla bambinaia, aveva disceso perciò le scale che, dalla torre nord del palazzo, conducevano fino all’atrio del maniero.

Da lì, era uscito in silenzio pur mantenendo un contegno regale come il suo ruolo gli imponeva.

Distante poco più di un isolato dal palazzo, la Caserma Ufficiali di Rajana era un’imponente struttura di pietra grigia, a forma di ferro di cavallo.

Posta sulla via principale, che costeggiava il castello reale, era dotata di ampi portoni di ferro, da cui due o più carri potevano passare agevolmente senza intralciare il passaggio di eventuali pedoni.

Due piccoli gabbiotti di legno, in cui stazionavano giorno e notte un paio di soldati di guardia, delimitavano le estremità dell’entrata.

Quando gli uomini al loro interno avevano scorto la figura del principe, si erano messi immediatamente sull’attenti, salutandolo con voce stentorea.

Ruak aveva risposto con cortesia a quel saluto così altisonante – e di cui non sentiva necessariamente il bisogno – , prima di fermarsi in prossimità della guardiola e attendere che il secondino al suo interno aprisse.

Un attimo dopo, la porticina a lato dell’entrata carrabile era stata aperta per permettere loro di oltrepassare le mura di cinta della caserma.

Una volta all’interno dell’ampio cortile lastricato, il soldato si era voltato verso il principe, dicendo: “Prego, Vostra Altezza, da questa parte.”

Ruak lo aveva seguito lungo un interminabile porticato ad arco, dove spuntavano come bocche da fuoco una miriade di porte, sui cui battenti erano scritti i nomi di altrettanti ufficiali della guardia cittadina.

Giunti infine all’ultimo ufficio, il soldato aveva bussato prima di inchinarsi al principe e andarsene in silenzio, lasciando che Ruak entrasse da solo all’interno della stanza.

Era chiaro che quel colloquio sarebbe stato privato.

Il generale Sedarr non aveva perso tempo, esponendogli le sue lagnanze con profonda dignità, ma anche con il viso percorso da un profondo dissenso.

Era forse la prima volta in vita sua che scorgeva sul suo volto abbronzato, e solcato da rughe profonde, una simile indisposizione nei confronti dell’autorità costituita.

E ora, al termine delle infinite accuse sottolineate dal comandante, Ruak non poté che annuire.

Le intemperanze del sovrano avevano ormai superato ogni limite.

Accomodatosi stancamente quando, fino a quel momento, era riuscito a sopportare in piedi il monologo del generale, Ruak piegò in avanti il capo e lo poggiò sulla mano destra spalancata a sorreggerlo.

Spiacente, sussurrò: “Non avremmo mai dovuto raggiungere questo punto.”

Sedendosi sul suo scranno e poggiando gli avambracci sui braccioli, ricoperti di fine velluto blu mare, il generale Sedarr annuì a sua volta, scuotendo il capo con espressione afflitta.

“Non avrei mai voluto proferire simili parole, Vostra Altezza, ma punire uno dei miei ufficiali, a mia insaputa, e per una cosa al di sopra delle possibilità di chiunque, forse persino di un dio, non può essere tollerato!”

Avrebbe dovuto rimanere a palazzo e vigilare sui movimenti del padre, ma la sua decisione di avvisare Aken dei prossimi spostamenti delle truppe, lo aveva distratto.

Questo aveva permesso ad Arkan di muoversi indisturbato, data la sua assenza.

Dopo l’ennesima quanto infruttuosa missione inviata verso il nord, il sovrano si era sfogato sul comandante di turno, facendolo fustigare dalla sua guardia privata nel bel mezzo del cortile di palazzo.

Il tutto, senza avvisare né i comandi militari, né tanto meno il Concilio della Corona, in spregio a tutte le consuetudini e le regole che anche il re doveva seguire.

Naturalmente, non appena Ruak aveva saputo della notizia, era andato su tutte le furie.

Dopo aver parlato brevemente con il padre – senza peraltro ottenere alcunché – aveva incontrato la madre e alcuni membri del Concilio, che avevano espresso il loro dissenso.

Gli era spiaciuto vedere sul volto della madre la rassegnazione e, sì, la ferrea volontà di andare contro le decisioni del marito ma, in fondo, non avrebbe potuto aspettarsi null’altro, dopo ciò che era accaduto.

Per quanto legata al padre, Anladi non lo aveva mai amato veramente, non quanto amava il suo popolo, per lo meno.

La donna sapeva benissimo che dare ancora corda al marito avrebbe potuto causare ben più di un danno, alla gente di Rajana e a Enerios.

Arkan non era più in grado di controllarsi, ormai troppo simile a un despota e perciò non più degno del trono del Regno.

Certo, la fuga di Aken aveva segnato la svolta, ma già da anni il suo comportamento si era fatto pericolosamente simile a quello dei regnanti di Vartas.

La Corona non era più stata, per lui, un onore da portare avanti con dignità e coraggio, ma un mezzo per soggiogare tutti al suo volere, cosa che un re di Enerios non poteva permettersi.

Era giunto infine il momento di fermarlo.

“Comprendo benissimo cosa volete dire, Generale, e io stesso ho parlato con alcuni membri del Concilio non appena sono tornato da Elior. So cosa vuole la Corte come so cosa volete voi, e non mi trovate impreparato” sospirò Ruak, raddrizzandosi prima di imporsi un controllo marziale.

Era l’erede al trono, il Re dopo suo padre, e non poteva mostrarsi debole proprio in quel momento, quando tutti cercavano in lui un’ancora a cui aggrapparsi nel momento del bisogno.

Doveva dimostrare di avere non solo sangue nobile e puro nelle vene ma, soprattutto, il coraggio di ergersi sopra gli altri e comandare, duramente se necessario.

Il suo compito era portare giustizia e senso di equità, cosa che il padre aveva dimenticato nell’attimo stesso in cui aveva rinchiuso entro quattro mura il figlio primogenito.

Castigando le ambizioni più che giuste di Aken, aveva anteposto il sangue e il nome della sua famiglia all’onore e alla giustizia, condannandosi con le sue stesse mani.

Aveva posto la prima pietra per la costruzione dell’altare su cui, ora, Concilio e Casta Militare, volevano immolarlo per le sue colpe.

A quel punto, non c’era nulla che Ruak potesse fare per salvarlo da se stesso, poiché già troppe parole erano state spese in tal senso.

Ora, era giunto il momento di agire.

Levandosi in piedi con grazia e forza assieme, Ruak si fece marmoreo in viso e, con un tono di voce che mai, in precedenza, aveva usato, disse al generale: “Indirò un Concilio della Corona, ove saranno presenti i più alti in grado della Casta Militare, e proporrò l’abdicazione del re come è in mio potere in quanto erede al trono.”

Scattando sull’attenti, il generale piegò rispettosamente il capo in avanti e, portando il pugno in corrispondenza del cuore disse con voce stentorea e piena di ammirazione: “Ve ne sono grato, Vostra Maestà.”

Già. Vostra Maestà.

Ben presto, quel titolo altisonante e di cui, per motivi vari, aveva sempre avuto timore, gli sarebbe crollato sulle spalle prima di quanto avrebbe immaginato.

D’altra parte, non si poteva fare altrimenti, e non solo per salvare Aken dalle grinfie degli uomini del padre, ma anche per Rajana ed Enerios.

Tutto il popolo meritava un re equo, e Arkan non lo era più ormai da tempo.

“Ora è il mio turno” sussurrò tra sé Ruak.

***

“Certo che ha schivato le case di un soffio!” commentò Kalon, osservando a braccia intrecciate il fronte nevoso disceso dal monte solo poche ore prima.

Sotto il sole di quella frizzante mattina di inizio primavera, Aken e altri uomini del paese stavano osservando ciò che la valanga non aveva danneggiato grazie ai frangi valanga che avevano rinforzato l’inverno precedente.

Le travi che il fronte nevoso aveva divelto come fossero stati stuzzicadenti, facevano comunque impressione.

Avrebbero dovuto lavorare per settimane, per sistemare tutti i frangi valanga distrutti dal passaggio della neve ma, poiché servivano a proteggerli, erano ben visti i danni a loro, piuttosto che alle case di Hyo-den.

Non che questo compensasse il fatto che una simile distruzione voleva significare.

Giorni e giorni nei boschi ad abbattere nuovi alberi, e ore e ore di estenuante lavoro di piallatura, incasso e lavoro di martello e chiodo.

Guardandosi vicendevolmente in faccia, non del tutto certi da dove poter cominciare con i lavori, Yvok intervenne per primo dicendo: “Allora, direi che io e questi robusti gemelli potremmo andare a fare legna, mentre voi liberate le buche dai tronchi distrutti e controllate quelli che sono stati solo divelti.”

Annuendo, Aken guardò Antalion, che sorrise compiaciuto, prima di ammiccare all’indirizzo di Kersten e Siak – compagni di un paio di donne-lupo del villaggio – e dichiarare: “Qui ci penseremo noi. Se vi servono dei cavalli per trainarli, sentite Eikhe. Oggi è di turno lei, nel maneggio.”

“A dopo, allora” chiuse il discorso Yvok con un gran sorriso, tornando verso valle assieme ai due gemelli, mentre il resto del gruppo restava in prossimità dei frangi valanghe distrutti.

Il resto degli uomini teoricamente presenti al villaggio erano, o impegnati a Marhna per lavoro – e risiedevano lì solo nei fine settimana – , oppure alle prese con i malanni di stagione.

Quei pochi che restavano fuori da quelle categorie, erano davvero troppo piccoli per poter partecipare a simili lavori di ristrutturazione.

Visto che, per almeno un paio di giorni, non ci sarebbe stata altra manovalanza se non la loro, dovevano darsi da fare per iniziare almeno i lavori.

Tirandosi su le maniche, Aken e gli altri si avviarono perciò verso i tronchi divelti, iniziando a controllarli uno per uno per essere certi che non avessero danni.

Dopo averne salvati almeno una decina, accatastarono quelli irrimediabilmente distrutti su una slitta, e inviarono il cavallo che la guidava direttamente al villaggio.

Fu solo verso sera inoltrata che, stanchi e affamati, tornarono a Hyo-den, più che desiderosi di una cena e di un bagno caldi.

Dopo essersi salutati e dati appuntamento per il giorno seguente per proseguire i lavori ai frangi valanghe, Antalion e Aken salirono lentamente i gradini che conducevano alla veranda di casa.

Con un saluto stentato e fiacco, Aken fu il primo a entrare, già pronto ad avventarsi sulla cena come un orso affamato.

Quando però vide Eikhe seduta al tavolo della cucina, lo sguardo perso nel vuoto e il suo cucciolo di lupo poggiato in grembo e tutto preso a leccarle il viso, si bloccò a metà di un passo ed esalò: “Tesoro… che c’è?”

Antalion, dietro di lui, lo oltrepassò preoccupato non appena sentì quel tono di voce ansioso.

Squadrando la madre con il cuore in gola e il viso percorso da mille e più paure, corse subito dopo verso di lei, esclamando: “Mamma, cos’hai?!”

Scuotendosi non appena Antalion le scrollò le spalle con una certa violenza, Eikhe fissò il volto innaturalmente pallido del figlio prima di sorridere leggermente e dire: “Oh… siete già tornati?”

Avvicinatosi a sua volta con passo solo apparentemente più tranquillo, Aken le si sedette accanto e, afferrata una sua mano, se la poggiò sul petto, mormorando: “Amore, non stai bene?”

“No, tutt’altro” asserì lei, prima di aprirsi in un sorriso vero e proprio e aggiungere: “Oh, cielo, scusate! Ero un po’ stralunata, e voi mi avete vista così, pensando non stessi bene.”

Scansando gentilmente il suo lupo, Luak, che atterrò sulle zampette morbide prima di accoccolarsi sotto la sua sedia e sbadigliare felice, Eikhe guardò dapprima il compagno prima di volgere gli occhi verso il figlio e chiedergli: “Te la senti di fare il fratello maggiore?”

“Oh. Cacchio!” se ne uscì Antalion, crollando scompostamente su una sedia prima di guardare il padre che, letteralmente, si era fatto di marmo.

Bianco come un cencio e del tutto privo di espressione, Aken si limitò a sbattere furiosamente le ciglia senza avere la forza di parlare.

Comprendendo il suo ovvio sconcerto, Eikhe gli carezzò una guancia con la mano libera, sussurrando: “Non sei dispiaciuto, vero?”

“No, affatto, ma… sei sicura che…” tentennò lui, riprendendo solo in parte il controllo di sé.

Lei annuì una sola volta e Aken, non sapendo che altro fare, si inginocchiò accanto alla sua sedia e, sfiorandole il ventre ancora piatto con una mano, sussurrò: “Crescerai amato e protetto. Io, tuo fratello e tua madre non ti faremo mai mancare nulla.”

Levando poi lo sguardo a cercare quello del figlio, ancora piuttosto confuso di fronte a quella notizia inaspettata, Aken gli sorrise prima di dirgli: “Vieni qui con me a dare il benvenuto a tuo fratello… o a tua sorella, vedremo.”

Antalion annuì come in trance e, inginocchiatosi all’altro lato della madre, la baciò su una guancia prima di dire: “Sarò un bravo fratello maggiore, vedrai.”

“Ne sono sicura, tesoro mio” annuì Eikhe, sorridendo poi divertita al compagno. “Stavolta, potrò insultarti senza ritegno.”

“Non avevo alcun dubbio” ridacchiò Aken, scrutando pieno d’amore la compagna e il figlio. “Sarà bellissimo affrontare tutto questo con voi due al fianco. Sarà un po’ come ripagarvi degli anni in cui non ho potuto esserci.”

“Sei già stato ampiamente scusato, per quello” bofonchiò Antalion, levandosi in piedi in fretta. “Vado a farmi il bagno, visto che la cena ancora non è in tavola.”

Osservandolo mentre, con passo stanco e strascicato, Antalion si allontanava da loro per prendere la via delle camere, Eikhe sorrise benevola al compagno.

“Vai da lui, prima che si metta in testa strane idee.”

“Sarà meglio” annuì Aken, levandosi da terra prima di darle un bacio maritale sulla fronte e correre dietro al figlio.

Raggiuntolo nella stanza da bagno, dove una stufetta di ghisa serviva non solo a riscaldare l’ambiente ma anche i secchi d’acqua, Aken lo osservò in silenzio per alcuni attimi, indeciso su cosa dire.

“Temi possa amarlo di più perché potrò vederlo nascere e crescere?” chiese d’improvviso Aken, facendo sobbalzare il figlio per lo spavento.

Rovesciando a terra parte dell’acqua, Antalion trattenne a stento un’imprecazione prima di sospirare e bofonchiare a mezza voce: “Ma che razza di idee ti vengono in mente?”

Non del tutto convinto, Aken si avvicinò al figlio e, precedendolo, prese un canovaccio per asciugare il pavimento di legno.

“Non è questa la tua più grande paura, ragazzo?”

“Perché dovrei avere paura di un nanerottolo non ancora nato?” sbuffò Antalion, prima di posare con una certa malagrazia il secchio vuoto a terra per prenderne un altro.

Bloccando la mano del figlio prima che versasse nella tinozza il secondo secchio, Aken gli sorrise comprensivo e disse: “Perché saresti umano, a pensarlo, tutto qui. Credi che non avessi le tue stesse paure, quando mia madre morì e Anladi prese il suo posto, dando a mio padre altri due figli? Pensavo mi avrebbero messo da parte, dimenticato, relegato in un angolo.”

“Invece?” chiese in un sussurro Antalion, posando a terra il secchio ancora pieno.

Con una scrollatina di spalle, Aken si sostituì al figlio nel riempire la tinozza e, mentre il fruscio dell’acqua scivolava dal secchio in metallo, disse tranquillo: “Anladi mi prese sotto la sua ala, nonostante fosse poco più che una bambina ella stessa e, insieme, diventammo adulti, crescendo il piccolo Ruak e la sdolcinata Melantha. E credimi, avere a che fare con mia sorella, finché è rimasta a palazzo, è stato un inferno. Abbiamo faticato molto ad andare d’accordo, ma alla fine siamo riusciti a trovare una via di mezzo.”

Abbozzando un sorriso, Antalion allora disse: “Quindi, anche se lo vedrai nascere e crescere, per te non farà differenza?”

“Sarà differente perché ci sarai anche tu al mio fianco. Non potrò mai dimenticare che tu sei stato il mio primo figlio, mai!” esclamò con enfasi Aken, prima di indicare la tinozza e aggiungere: “Ma se starai qui a crogiolarti al caldo per più di venti minuti, giuro che ti preleverò di peso e ti scaricherò in mezzo alla neve per avermi fatto aspettare.”

Scoppiando a ridere, Antalion annuì più tranquillo.

“Ti voglio bene, sai, papà?”

“Anch’io, An” disse Aken, allargando il suo sorriso.

Storcendo appena il naso, il ragazzo si sfilò la tunica e borbottò: “Mi sa che non permetterò più neanche a te di chiamarmi così, quando sarà nato il piccolo. Sai, devo mostrarmi adulto per lui o lei, dopotutto.”

Ridacchiando, Aken andò verso la porta per uscire dal bagno e disse: “Come vuoi tu, figliolo. A tra poco, allora.”

“Sì, papà. A tra poco” sussurrò Antalion terminando di svestirsi mentre il padre usciva dal bagno.

***

La Sala del Concilio era una lunga stanza rettangolare, posta a fianco della più imponente Sala del Trono dove, solitamente, si svolgevano le adunanze pubbliche e le celebrazioni più importanti.

Interamente rivestita di pannellature di legno per attutire i rumori e le voci, la stanza aveva nel mezzo un lungo e tavolo di legno scuro.

Attorno a esso erano posizionati gli scranni perfettamente uguali designanti a ciascun componente del Concilio della Corona.

Nato alcune centinaia di anni prima, così da mettere un freno alle mire dittatoriali del Sovrano dell’epoca, era composto da ventisette membri.

Il Concilio poteva vantare la presenza di ventitré nobili di alto lignaggio, scelti in ogni contea del regno mediante elezioni decennali.

I restanti quattro membri facevano parte della Casta Militare e, contrariamente ai nobili, erano scelti in base al grado e all’anzianità di servizio, e restavano in carica fino alla morte, o per abbandono del seggio.

Quel giorno di inizio primavera, chi in alta uniforme, chi sfoggiando vesti pregiate quanto apparentemente dimesse – nel Concilio era vietata l’ostentazione dei propri mezzi– l’assemblea si riunì.

Accanto all’unico scranno più altro degli altri, ove solitamente sedeva il Re, si trovava la figura ritta e fiera di Ruak.

Interamente vestito di nero, con l’unico plastron bianco a recare un qualche stacco di colore in quell’uniforme tenuta oscura, Ruak appariva rigido e statuario.

Lo sguardo era come di ghiaccio e la bocca, solitamente piegata in un sorriso, quel giorno disegnava un’unica linea sottile e pallida sul suo volto.

Era ben chiaro a tutti il motivo di quel suo atteggiamento così inconsueto, e nessuno dei membri del Concilio si sorprese nel vederlo così accigliato, visti i motivi che li avevano spinti a riunirsi quel giorno.

All’esterno, le piante da frutto del giardino di palazzo avevano messo le prime foglie smeraldine, mentre il cinguettio delle allodole e dei passerotti scandivano le note allegre della primavera ormai giunta.

Il tutto era in netto stridore con il silenzio tombale di quella stanza, dove la morte – e non la vita – sembrava aleggiare come una cupa minaccia.

Ruak si volse in direzione della porta a due battenti non appena udì, all’esterno, i due battiti sordi del bastone del cerimoniere, segno distintivo che il padre era giunto al loro cospetto.

La mano che teneva sullo schienale dello scranno, tamburellò nervosa.

Un attimo dopo, mentre i membri del Concilio si levavano per salutare il re, e Ruak si allontanava dal seggio di un paio di passi, le porte vennero aperte e sull’entrata comparve Arkan.

Armato come suo solito del bastone e di tutta la sua fiera spavalderia, era ritto di spalle e con la bocca piegata in una lieve smorfia di disappunto.

Seguito in silenzio dalla moglie, che si accomodò su un basso scranno posizionato poco a destra rispetto alla porta d’entrata della sala, Arkan raggiunse con passo claudicante ma svelto il suo scranno.

Dopo aver lanciato un’occhiata venefica in direzione del figlio – che lo aiutò a sistemarsi più accanto alla tavola – esordì dicendo: “Accomodatevi e spiegatemi a cosa dobbiamo questa riunione straordinaria. Sono curioso!”

Lo sguardo serio e compassato, Anladi osservò un attimo il figlio prima di annuire lievemente e lui, abbozzando un sorriso nella sua direzione, prese un gran respiro e disse: “La riunione si è resa necessaria a causa del vostre scelte dissennate e dispotiche.”

Volgendo lentamente lo sguardo su tutti i membri del Concilio, che in silenzio osservavano Ruak con fiducia, Arkan terminò il suo studio sul viso del figlio prima di dire arcigno: “Vuoi togliermi la corona, figlio? E’ questo?!”

“Mi ci avete costretto” precisò Ruak, abbassando finalmente lo sguardo a osservare gli occhi adamantini del padre.

No, non lo riconosceva davvero più.

Non c’era che gelo, in quelle iridi che, un tempo, aveva amato.

“Avete usato il vostro potere per agire in maniera ossessiva, sprezzante della sicurezza delle genti, che avete mosso per il vostro solo diletto, e avete punito un uomo solo per il gusto di farlo, poiché nulla avrebbe potuto per accontentarvi, e voi lo sapevate benissimo!”

“I miei soldati sono dei rammolliti, se basta della semplice neve a fermarli” sbottò il re, tornando a guardare il Concilio con aria di sufficienza. “Basi davvero su queste misere accuse, la tua richiesta di abdicazione? Neppure uno sciocco accetterebbe.”

Cercando di mantenere la calma, Ruak continuò imperturbabile.

“Sono mesi, per non dire anni, che le vostre scelte ipocrite hanno minato la fiducia di noi tutti nei vostri confronti. Senza toccare i motivi veri che hanno costretto mio fratello a rimanere praticamente prigioniero in questo castello per sedici anni, sono anche altri, e non meno gravi, i motivi che mi spingono a parlare qui, oggi.”

Ciò detto, lanciò un’occhiata in direzione Consiglio, come a sincerarsi di avere ancora il loro appoggio, e proseguì.

“I vostri colpi di testa hanno messo a rischio la vita dei soldati preposti alla difesa del regno, quest’inverno e, quando li avete tacciati di codardia, non vi siete neppure premurato di conoscere il loro parere. Avete mandato alla morte dodici dei nostri migliori cavalli, sei cavalieri hanno dovuto vedersi amputare almeno un dito di un piede, o di una mano, a causa dei geloni e, come spregio ultimo, avete fatto fustigare un ufficiale senza il benestare del suo comandante. Questi mi sembrano ottimi motivi per chiedervi, anzi, ordinarvi di abdicare in mio favore.”

Sordo alle parole del figlio, Arkan gli sorrise beffardo, replicando: “Se tuo fratello fosse stato alla guida di una sola di quelle spedizioni, sarebbe giunto a Marhna senza problemi!”

Chiusi un momento gli occhi per ingoiare la bile che, feroce, era risalita fino alla bocca, Ruak li riaprì subito dopo e solo per dire: “Mio fratello non si sarebbe mai mosso da Rajana con simili condizioni di tempo ma, cosa ancora più importante, non avrebbe permesso a nessuno dei suoi uomini di farlo! Non parlate di mio fratello come se lo conosceste, perché così non è! Voi non sapete chi è Aken di Rajana!”

Assottigliando le iridi perlacee a fissare malamente il figlio, Arkan si levò dallo scranno per affrontarlo direttamente e, postosi di fronte a lui con sguardo becero, sibilò: “Prendi le distanze, eh? Molto bene, figlio, farò lo stesso. Visto e considerato che siamo qui riuniti, ti butterò ufficialmente fuori da questo Concilio!”

“Negato” intervenne con voce piana il generale Sedarr.

Voltandosi di scatto non appena la sua voce stentorea si dissolse tra le mura lignee della stanza, Arkan lo fissò con autentico stupore prima di irritarsi e ringhiare: “Come vi permettete?!”

“In quanto membro del Concilio a tutti gli effetti, ho il diritto di votare come meglio credo, e il mio voto è no” ingiunse con aria serafica Sedarr, intrecciando le braccia nerborute sul petto.

“Negato” disse a quel punto il Conte Visteritz, volgendo a mezzo il capo per fissare in viso il re, per nulla intimorito dal suo fiero cipiglio.

Uno dopo l’altro, i membri del Concilio votarono contro Arkan che, sempre più paonazzo in viso per la rabbia, li squadrò a turno con furore cieco.

Man mano che i voti aumentavano, dichiarando a chiare lettere su chi fosse riposta la loro fiducia, l’atmosfera nella sala cambiò.

Quando anche il Colonnello Yriacon votò a favore di Ruak, Arkan si mosse con insospettata velocità sui piedi.

Levato alto il bastone fin sopra la testa, si scagliò furente contro il figlio, urlando: “Tu sia maledetto!”

Lesto, Ruak si scansò in tempo utile per evitare di essere colpito mentre il Sergente Kirua – il più vicino di tutti al Re – si levava dal suo scranno per bloccarlo alla vita e impedirgli di andare oltre con l’attacco.

Anladi, a sua volta alzatasi in gran fretta quando vide il marito attaccare il figlio, avanzò veloce verso la porta e, apertala senza esitazione, ordinò con voce secca e dura: “Guardie, presto, entrate!”

Trattenuto dal Sergente Kirua e il Colonnello Yriacon per le braccia, mentre la sua bocca sputava insulti a tutti i membri del Concilio e maledizioni al figlio, Arkan fissò i soldati appena entrati nella sala ed esclamò: “Presto! Toglietemeli di torno!”

Ignorato completamente dai due alabardieri – che fissarono la loro regina in attesa di ordini – Arkan iniziò a strillare con sempre maggiore rabbia.

Gli occhi fuori dalle orbite, e l’aspetto di un vecchio folle scriteriato, il re continuò a urlare e dimenarsi, distruggendo un pezzo alla volta la figura che era stata un tempo.

Un re valido e capace, in grado di guidare un intero regno.

Pur sentendosi morire dentro, Anladi strinse le mani a pugno sul ventre e disse, stentorea: “Prendetelo e rinchiudetelo nelle sue stanze. Io giungerò a breve.”

“Sì, Vostra Maestà” dissero in coro i due alabardieri, muovendosi verso il loro Re senza tema alcuna.

Lasciatolo alle cure dei due soldati, gli ufficiali lo lasciarono andare non senza qualche difficoltà.

Mentre altri uomini giungevano in aiuto dei due già presenti nella sala, Ruak sospirò affranto prima di allungare una mano verso la madre per averla vicino a sé.

Le urla si intensificarono, quando Arkan venne condotto fuori a forza dai soldati, e solo quando le porte della sala vennero chiuse, Ruak ebbe il coraggio di tornare a parlare.

Lappandosi nervosamente le labbra, il viso pallido e le mani leggermente tremanti, dichiarò con voce il più possibile controllata: “Voto per l’abdicazione di Arkan di Rajana, figlio di Erecton di Midana e di Yulea di Seriken, a favore dell’Erede al trono.”

“Approvato” esclamò stentoreo il Concilio, senza alcuna inflessione nella voce.

Reclinando infine il capo, mentre col braccio destro cingeva la vita sottile della madre per sostenerla, e sostenersi, Ruak mormorò con voce ora sommessa: “Vi chiedo una cortesia. Non facciamo parola con il popolo di ciò che è successo qui. Che non si sappia che il loro buon re ha perso il senno; lasciamo che lo vedano ancora come il sovrano buono che ha a cuore la sua gente.”

Avvicinandosi allo scranno reale, il generale Sedarr gli batté calorosamente una mano sulla spalla, asserendo con un mesto sorriso: “Così sarà fatto, Vostra Maestà. Non ha senso turbare le genti con argomenti simili. Chiederemo alla Maestà Vostra di consigliare a vostro padre di ritirarsi nel palazzo estivo di Elion, cosicché possa curarsi e vivere in pace il tempo che gli resta.”

“Saggio consiglio” annuì Ruak, cercando di abbozzare un sorriso in risposta.

“Non è necessario apparire lieto, mio re, perché sappiamo quanto questo vi sia costato” replicò gentilmente Sedarr prima di osservare la regina e aggiungere: “Così come deve essere costato a voi, mia Signora. Avete tutto il mio rispetto e la mia comprensione.”

Annuendo garbata, Anladi disse sommessamente: “Me ne compiaccio, Generale. Un simile complimento, detto da un uomo così coraggioso, non può che suonare doppiamente gradito.”

“Esistono molti tipi di coraggio, Regina Madre, e voi avete dimostrato a noi tutti quanto voi ne possediate” asserì sinceramente Sedarr, chinandosi a baciarle la mano, ossequioso.

“Potete pensare voi a tutto?” chiese a quel punto Ruak, cominciando a sentirsi vagamente fuori fase. “Desidero sapere come sta mio padre, ora. Mi recherò nel mio studio più tardi per firmare tutte le carte del caso. So che posso fidarmi di voi, per tutto.”

Il nobile Gavin, sorridendogli benevolo, disse: “Vai, ragazzo, e riposati. Occupati di tua madre e di tuo padre. Alle scartoffie penseremo noi.”

“Grazie, zio” sussurrò Ruak, annuendo debolmente prima di uscire dalla Sala del Concilio assieme alla madre.

Non appena le porte del salone vennero chiuse alle loro spalle, il principe sospirò affranto e sussurrò: “Cos’ho fatto, madre? Cosa? L’ho ucciso!”

Scostandosi da lui per afferrarlo alle spalle, Anladi lo scrollò con forza e dichiarò perentoria: “Hai salvato il regno, tuo fratello e tuo padre. Se fosse andato avanti così, qualcuno avrebbe potuto decidere di ucciderlo, figliolo, mentre ora può uscire a testa alta da Rajana senza che nessuno sappia il reale motivo della sua abdicazione. Gli hai fornito un lascia condotto che non meritava, ed è più di quanto avrei fatto io, se fossi stata al tuo posto. Non biasimarti di nulla, mai!”

Ruak trovò la forza di sorridere e, fissando con nuovo rispetto la madre, piccola in confronto a lui ma forte al pari di un soldato, disse: “Sedarr ha ragione, esistono molti tipi di coraggio. E tu ne hai più di tanti uomini di mia conoscenza.”

Con un mesto sorriso, Anladi commentò: “Ci costringete a essere coraggiose, visto che sapete perdervi anche sul più semplice dei sentieri.”

“Come darti torto?” chiosò Ruak, prima di abbracciarla e sussurrare: “Andiamo da lui.”

“Sì” annuì lei, prendendolo sottobraccio prima di incamminarsi silenziosi lungo la scalinata di pietra che  conduceva ai piani superiori.

 

 

 

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Capitolo 30
*** cap. 30 ***


30.

 

 

 

 

 

Aggiustandosi forse per la ventesima volta il colletto della camicia che indossava sotto una tunica scura lunga al fino al ginocchio, Konis fissò con un mezzo sorriso il cognato e il padre prima di ridacchiare.

“Non sembro un completo idiota, vero?”

Aken scosse il capo e, poggiate le mani sui fianchi, chiosò: “L’uomo che non si dimostra nel panico totale prima del matrimonio, non è un vero uomo.”

“Tu non ti sei sposato con mia sorella, quindi come puoi dirlo?” replicò bonariamente Konis, guardandosi nell’alto specchio che aveva in camera sua.

La tunica che la sorella le aveva cucito durante l’inverno, gli stava a pennello.

I neri pantaloni erano perfettamente infilati in alti stivali di cuoio lucido mentre il rubino che brillava nel bel mezzo del plastron – dono di Aken – non si era mosso di un millimetro, nonostante i suoi ripetuti ritocchi.

Da quel poco che aveva capito della storia di quella spilla, il principe l’aveva condotta con sé come regalo per Eikhe.

Una volta raggiunto il villaggio di Hyo-den, aveva però compreso quanto inutile sarebbe stato, come dono per lei, e così l’aveva semplicemente conservata in attesa di uno scopo più elevato.

Non appena aveva saputo del matrimonio suo e di Ylliana, aveva compreso come usarla, e gliene aveva fatto dono con la più calda approvazione di Eikhe stessa.

Sfiorando quel prezioso per l’ennesima volta con reverenziale timore, Konis tornò a voltarsi in direzione di Aken e chiese: “Sicuro che vuoi regalarmela?”

Ridacchiando, Aken gli diede una fraterna pacca sulla spalla e disse sinceramente: “Se potessi, te ne regalerei anche altre, ma sfortunatamente le ho lasciate a Rajana. Credimi, è tua.”

“Beh, grazie” sorrise allora Konis prima di guardare il padre e chiedere: “Sai a che punto sono messe, di sotto?”

Con un sogghigno che sapeva di consapevolezza ed esasperazione assieme, Harm scrollò le spalle e dichiarò: “Mykos e Luak stanno piantonando le scale e, al minimo cenno di intrusione, ringhiano come forsennati. Non ci penso proprio a scendere per dare un’occhiata!”

“Vedrai che, quando le signore saranno pronte e il Sacerdote di Iralva arriverà per la benedizione, ci chiameranno” sentenziò Aken, saggiamente.

Anche se, in principio, gli era parso praticamente scontato chiedere in moglie Eikhe, dopo averla trovata, Aken aveva presto compreso quanto, quel sacramento, fosse nel loro caso del tutto inutile.

Hevos lo trovava superfluo, poiché la semplice promessa dell’amore imperituro bastava a rendere grazie al suo nome.

Poiché Aken era entrato a pieno titolo nella tribù, ed era da tutti considerato un figlio del branco, non aveva senso perdersi in simili, vecchie abitudini.

Inoltre, visto che lui aveva avuto l’indubbio onore di conoscere e parlare con Hevos stesso per quasi due settimane, e aveva compreso il suo pensiero meglio di chiunque altro, sapeva di non aver sbagliato a non chiedere la mano di Eikhe.

Erano compagni, di nome e nello spirito, e tanto bastava, sia a loro che alla famiglia di Eikhe, che aveva compreso senza bisogno di tante spiegazioni le motivazioni di entrambi.

Un rumore di passi, dabbasso, richiamò la loro attenzione e, pochi attimi dopo, con un paio di colpetti alla porta, entrò Antalion.

Unico a essere stato ammesso al piano inferiore, sorrise agli uomini presenti e disse: “Enok è arrivato assieme al Sacerdote, e ora sta parlando con la futura sposa. Dice di tenersi pronti.”

Konis impallidì visibilmente e Harm, affrettandosi ad affiancarlo, lo sorresse per un gomito, mormorando: “Su, ragazzo, va tutto bene. Non vorrai svenire al posto di Ylliana, vero?”

“No, però…” tentennò lui, prima di tirare un sospiro e aggiungere: “D’accordo, ci sono!”

“Sia lodato Hevos” sussurrò Aken, prima di affacciarsi oltre la porta della stanza.

Mykos e Luak erano spariti, segno che ormai il loro compito di guardiani si era esaurito.

Da pian terreno, proprio in quel momento, spuntò il viso di Eikhe che, sorridendogli complice, disse: “Potete venire.”

“Va bene” annuì lui, rientrando in fretta. “Si può.”

Harm sorrise al figlio, che accennò un ghigno stentato prima di ridere del suo terrore e fare il primo passo verso la porta che lo avrebbe condotto al piano inferiore e, da lì, al salotto riccamente decorato per quell’evento.

La dea Iralva, oltre a essere la divinità creatrice di ogni cosa – secondo il mito seguito per la maggiore, nei regni di Enerios e Karton – era anche la protettrice del focolare.

Per questo motivo, ogni matrimonio veniva celebrato in casa di uno degli sposi.

I templi eretti in suo nome erano usati solo per le funzioni dedicate al suo giorno sacro, o per le preghiere personali.

Per ciò che riguardava sacramenti come il matrimonio, o la benedizione di nascituri e defunti, avvenivano sempre nelle abitazioni.

Mentre Konis discendeva le scale – al cui mancorrente era stato intrecciato un nastro di seta candido come neve – dabbasso, un tenue suono di flauto si librò nell’aria e la voce di Ildera si levò sommessa a intonare il Cantico di Gioia della dea.

 

Benedetta sia l’acqua che scorre dal ghiacciaio,

 che con la sua dolcezza terge i peccati e purifica l’animo.

 

Benedetta sia l’aria che galleggia ogni dove,

 che con la sua purezza dilava le anime e purifica le menti.

 

Benedetto sia il fuoco che illumina il tuo cammino,

 che con il suo calore riscalda il cuore di ogni creatura.

 

Benedetta sia la terra che calpesti con i tuoi piedi,

 che con la sua forza da’ frutti per il sostentamento di tutti.

 

 

Al suono dell’ultimo verso intonato dalla madre, Konis fece il suo ingresso nel salotto.

Il tutto era addobbato con sete multicolori, fiori secchi appesi alle finestre e alle pareti, oltre a belle candele dalle cere profumate.

Il giovane sorrise spontaneamente alla fidanzata che, dalla parte opposta della stanza, stava a sua volta entrando per raggiungere il Sacerdote.

Sito nel mezzo della stanza, e abbigliato con una lunga tunica argentea e ricamata con motivi a tralci d’uva, il rappresentante di Iralva sollevò le mani per indicare entrambi i giovani.

Con voce limpida e ben impostata, esordì dicendo: “Sia reso grazie a queste due giovani creature che, in questo giorno, hanno deciso di unire le loro vite sotto lo sguardo benevolo di Colei-Che-Tutto-Creò.”

Lentamente, passo dopo passo, i due giovani si avvicinarono al Sacerdote e, in quella lunga processione, Konis ebbe tutto il tempo di ammirare la sua sposa.

Come da tradizione, indossava una lunga veste argentata, lunga fino ai piedi, e un sopra-tunica blu scuro a ricami dorati.

Al pari delle vesti del rappresentante di Iralva, i ricami ricreavano un tralcio di vite infinito e ricco di fogliame.

Sul capo di biondi capelli, raccolti in una trina di trecce perfette, portava un singolo fiore bianco, simbolo della dea.

In mano, invece, tratteneva una fascia di raso blu dalle lunghe frange argentee, che il Sacerdote avrebbe utilizzato per legare le loro mani durante la cerimonia.

Quando infine entrambi raggiunsero l’uomo canuto nel mezzo della sala – circondati dai i loro cari e gli amici più stretti – la cerimonia vera e propria ebbe inizio.

Chinandosi verso Ylliana, Konis le sussurrò all’orecchio: “Ti amo.”

Lei si limitò a sorridere, sbattendo le lunghe ciglia chiare e fissandolo per alcuni attimi con i profondi occhi nocciola, prima di tornare a guardare il Sacerdote che, bonario, disse: “Un bravo giovane davvero.”

“Sì” sussurrò lei, reclinando modesta il capo, subito imitata da Konis.

***

Sorseggiando del buon succo di frutta da un calice, Eikhe sorrise divertita nel vedere Amill rincorrere Luak per tirargli la coda.

Dando di gomito a Enok, commentò: “Sei sicuro di non voler fermare Amill? Non hai paura che si faccia male?”

“Brye ha imparato mesi e mesi fa, a stare lontana dalle sue manine stritolatrici e infatti, se hai notato, è voluta rimanere fuori casa” le spiegò divertito Enok, parlando del lupo di Sendala che, da quando erano giunti a casa di Harm per preparare la sala per il matrimonio, non era mai voluta entrare all’interno dell’abitazione.

“Oh, azione preventiva!” esclamò Eikhe, sorridendo. “Quindi, non devo preoccuparmi che si faccia male?”

“Piuttosto, il contrario” precisò Enok, prima di levare il suo calice non appena vide giungere Aken.

Sendala stava chiacchierando amabilmente con Ylliana che, liberatasi della scomoda sopra-tunica, ora stava parlando un po’ con tutti gli invitati alla festa.

Brindando con l’amico, Aken affiancò la compagna e disse: “I genitori di Ylliana sono davvero simpatici. Naturalmente, non ho detto loro chi sono per non attirare l’attenzione su di me, visto che è il matrimonio della figlia e di Konis, ma temo che prima o poi dovrò pur dirglielo.”

“Avremo tutto il tempo di farlo, tranquillo” scrollò le spalle Eikhe, sistemandosi distrattamente un laccio della lunga tunica che indossava quel giorno.

Al pari del compagno e del figlio, Eikhe aveva preferito partecipare al matrimonio con abiti consoni al loro status di figli del branco.

Tutti loro, infatti, portavano lunghe tuniche ricamate e brache frangiate della foggia più elegante.

Per quei vestiti, Eikhe, Istrea e Liana avevano quasi perso la vista, ma il risultato era davvero superlativo.

Alamari di osso erano trattenuti da sottili nastri di pelle di cuoio conciato mentre, lungo le maniche e sull’orlo della tunica, applicazioni di pelliccia di coniglio bianco abbellivano il già ricercato taglio dell’abito.

Sulle brache di pelle di daino, esili frange si allungavano lungo tutta la lunghezza della gamba, così come elaborati ricami che ricalcavano quelli della tunica.

Gli stivali di cuoio scuro, infine, erano abbelliti da placche metalliche bulinate a fantasie di fiori e applicate sui calcagni.

“Con il bambino, tutto bene?” si informò Enok, premuroso.

Sorridendogli generosamente, Eikhe annuì – aveva mandato loro una lettera il giorno stesso in cui l’aveva scoperto – e disse: “Ancora non si vede, ma dovrei essere di circa tre mesi.”

Ammiccando ad Aken, che stava scrutando distrattamente il figlio in compagnia dei nonni, l’amico domandò: “An come l’ha presa?”

“Va a giorni” ammise lui, facendo spallucce. “A volte, ne è felice e non lascia quasi niente da fare alla madre, altre volte, se ne sta ore e ore a fissare il cielo o la foresta, come se qualcosa lo turbasse ma, quando gli chiedo cos’abbia, nicchia e cambia argomento. Non so se sia in ansia per il bambino o meno, ma qualcosa lo preoccupa.”

Tornando serio, Enok asserì: “Può darsi che, più che per il bambino, sia in ansia per l’avvento del bel tempo.”

Storcendo il naso, Aken annuì turbato.

“Forse, teme che anche questo figlio cresca senza il padre, …chissà.”

“Faremo in modo che non succeda” gli promise Eikhe, stringendogli una mano prima di sentire bussare febbrilmente alla porta d’entrata della casa del padre.

Subito, si irrigidì al pari di Aken ed Enok, muovendosi prima di loro, ordinò pressante: “Nel dubbio, nascondetevi.”

Annuendo, Eikhe attirò vicino a sé Aken, mentre Antalion li raggiungeva in pochi rapidi passi.

Quando dall’entrata giunse solo la voce di Liana, però, tutti si bloccarono a metà della porta che dava sul retro e attesero impazienti che entrasse.

Apparentemente trafelata e con gli occhi ambrati dilatati, si affrettò a salutare tutti con un cenno rispettoso del capo prima di avvicinarsi ad Antalion, afferrarlo a un braccio e mormorare: “Ho fatto prima che ho potuto. Giungono notizie dai clan del sud.”

Sgranando gli occhi per l’impazienza e l’ansia, Antalion le strinse con forza le spalle, esalando: “Dicci tutto!”

Sentendo su di sé gli sguardi di tutti i presenti, Liana domandò pensierosa: “Non è meglio parlarne fuori?”

Lesta, Eikhe si scusò con gli invitati al matrimonio e, procedendo verso l’esterno assieme alla sua famiglia, si chiuse la porta alle spalle non appena furono tutti usciti e mormorò: “Ebbene?”

“Beh, non ci crederete, ma deve essere successo qualcosa di veramente strano, a Rajana” esordì Liana, scrollando le braccia con fare ancora confuso. “Insomma, in pratica, c’è un contingente di giovani guerrieri che, guidati da un uomo con una mano sola, sta girando di tribù in tribù chiedendo del principe Aken… per conto di re Ruak di Rajana.”

“Re… Ruak?!” esclamò Aken, sobbalzando e impallidendo al tempo stesso.

“Aken” sussurrò Eikhe, stringendogli comprensiva una mano.

Antalion osservò a sua volta il padre e, preoccupato per lui, gli poggiò una mano sulla spalla per fargli percepire anche il suo appoggio.

Serio in viso, poi, chiese all’amica: “Non sai altro?”

“Solo che erano diretti qui a Marhna e che, se non ho fatto male i conti, dovrebbero già essere arrivati, o in procinto di mettere piede in città” brontolò Liana, guardandoli spiacente a momenti alterni. “Non sono passata dinanzi alla casa del Borgomastro per arrivare più in fretta qui… forse, avrei dovuto.”

“Sei stata bravissima, Liana, non preoccuparti” la tranquillizzò Aken, dandole un buffetto sulla guancia.

Lei sorrise spontaneamente, e aggiunse: “Il messaggio giunto tramite falco specificava che gli uomini non sembravano affatto minacciosi e anzi, erano in ansia per le condizioni del principe e desideravano solo consegnargli una lettera da parte del fratello.”

Guardando a turno la sua famiglia senza sapere bene cosa dire, Aken sussurrò: “Davvero non capisco. L’uomo senza una mano è sicuramente Kannor, ma non comprendo il perché della sua presenza fuori dal palazzo. E … re Ruak? Che è successo a mio padre, per tutti i demoni delle montagne?!”

“Il messaggio dice solo che re Arkan si trova al palazzo di Elior, a causa di una grave malattia” spiegò succintamente Liana.

Accigliandosi, Aken intrecciò le braccia al petto e disse: “Kannor non mi tradirebbe mai, questo è sicuro. Preferirebbe perdere anche l’altra mano, piuttosto che eseguire un ordine di mio padre che potrebbe ledermi in qualche modo.”

“Ne sei sicuro, padre?” chiese timoroso Antalion, accentuando la stretta sulla sua spalla.

“Più che sicuro, figliolo. Lascerei volentieri la mia vita nella sua unica mano, perché so che sarebbe al sicuro” gli sorrise benevolo prima di guardare Eikhe e chiederle: “Tu che ne dici?”

“Dico che andrò a curiosare vicino alla casa del Borgomastro, mentre tu e Antalion vi andrete a nascondere nella foresta” dichiarò lei con aria torva.

Accigliandosi, Aken scosse il capo e disse per contro: “Non se ne parla. Non mi nascondo come un codardo.”

“Io sono l’unica, qui, a conoscere Kannor e, se lo vedrò, saprò che nessuno vuole farci del male” precisò Eikhe, fissandolo uguale cipiglio.

“Oh, no… è una di quelle volte” sospirò Antalion, scuotendo il capo.

“Che intendi dire?” sussurrò Liana, avvicinandolo e fissando i due compagni fissarsi in cagnesco.

“Quando entrambi vogliono imporre la propria volontà sull’altro, scatta la battaglia di sguardi” le spiegò Antalion, prima di stringere un braccio al padre e suggerire: “Senti, per quanto mi dia fastidio ammetterlo, la mamma stavolta ha ragione. Tu saresti in pericolo, se ti avvicinassi a loro, mentre lei è più al sicuro.”

“Ma è…” tentennò lui, indicando la sua pancia ancora piatta con lo sguardo.

“Incinta? Ma va?” sbuffò Eikhe, irrigidendosi. “Mio caro, se proprio lo vuoi sapere, ho lavorato fino al giorno del parto, quindi non venirmi a dire quello che posso, o non posso fare!”

“Ahia” sussurrò Aken, prima di levare le mani in segno di resa e dire: “D’accordo, tesoro, faremo come dici tu, ma non ti scaldare. Fa male al bambino.”

Fissandolo con occhi biechi, Eikhe soffiò tra i denti prima di calmarsi e Antalion, guardandola vagamente sorpreso, esalò: “E’ la gravidanza che la rende così… acida?”

“A me, lo chiedi? Non c’ero, l’altra volta, ma mia cognata si è comportata come una vipera per tutte e tre le gravidanze, quindi posso solo ipotizzare di sì” sentenziò Aken prima di sorridere alla compagna, baciarla sulla fronte e aggiungere: “E’ inutile che mi guardi così. Faremo quello che hai detto, ma non puoi impedirmi di essere in ansia per entrambi voi.”

Rilassandosi gradatamente, Eikhe tornò a sorridergli debolmente, asserendo: “E’ reciproco, Aken. Io mi preoccuperò sempre per voi due. Ma ora andate. Spiegherò tutto io, a mio padre e a Konis. Prendete i cavalli nella stalla e i lupi. Sarà più sicuro.”

“Solo Mikos. Voglio che Luak resti con te. E’ piccolo, ma è già molto legato a te” si rifiutò Aken, scuotendo il capo.

“E va bene” concesse Eikhe.

“Io resterò con lei, e la accompagnerò alla casa del Borgomastro” intervenne Liana, sorridendo a Eikhe con aria fiduciosa.

“Non è necessario, tesoro” precisò la donna.

Scuotendo il capo, Liana replicò: “Non solo loro ti hanno a cuore, Eikhe.”

“Grazie” le sorrise Antalion, chinandosi per darle un bacio sulla guancia. “Stai attenta anche tu, allora.”

“Come sempre” ridacchiò la ragazza, dandogli un buffetto affettuoso sulla guancia prima di guardare nuovamente Eikhe e domandare: “Andiamo?”

“Sì, è meglio” annuì lesta Eikhe dopo aver lanciato un ultimo sguardo a compagno e figlio.

In fretta, le due donne tornarono in casa per ragguagliare sommariamente Harm e Ildera di ciò che stava accadendo, mentre Konis  e Ylliana intrattenevano gli ospiti per non dare l’impressione che stesse succedendo qualcosa di grave.

Sendala ed Enok, avvicinatisi a loro, ascoltarono le ultime parole di Eikhe e subito, il giovane disse caparbio: “Vi accompagno anch’io!”

“Non se ne parla! Pensa a tua figlia e tua moglie. Ce la caviamo benissimo da sole” sbottò Eikhe, accigliandosi. “Non ho bisogno di litigare anche con te, Enok!”

“Che male c’è ad avere una persona in più al fianco, Eikhe?” replicò il giovane, storcendo il naso per il disappunto.

“C’è che tua figlia si preoccuperà se sparisci anche tu, Sendala starà in ansia per tutto il tempo e anche gli altri ospiti si insospettiranno. Non voglio rovinare il matrimonio di mio fratello più del necessario. Rimarrai qui anche tu. Punto e basta!” dichiarò perentoria Eikhe, puntando le mani sui fianchi.

Harm sospirò, annuendo lentamente prima di borbottare: “Coraggio, facciamo come vuole lei, o non ne verremo più a capo. Prometti solo che starete attente, va bene?”

“Questo è scontato” annuì Eikhe, prima di levarsi sulle punte dei piedi per baciare il padre su una guancia. “Non preoccupatevi per noi, andrà tutto bene.”

“Lo spero. O Aken taglierà la testa a tutti noi” ridacchiò senza allegria Harm.

“Non lo farà” lo rassicurò bonariamente Eikhe, prima di afferrare il braccio di Liana e uscire con lei da casa.

Luak, al loro fianco, raggiunse Nak nel cortile antistante la casa di Harm e, assieme alle loro due padrone, si avviarono a piedi lungo la via.

Camminarono poi con passo spedito sul marciapiede, mentre carri con mercanzie varie o semplici cittadini a cavallo percorrevano la strada di acciottolato senza badare alle due donne-lupo.

Spronate dall’ansia e dal desiderio di scoprire la verità, le due donne percorsero la breve distanza che le separava dalla casa del Borgomastro nel minor tempo possibile.

Bloccatesi solo quando raggiunsero l’incrocio che le avrebbe condotte sulla via principale di Marhna, fissarono costernate lo spiegamento di uomini e mezzi presenti sulla strada.

Ma quello che stupì maggiormente Eikhe non fu la quantità di soldati, quanto la loro giovane età e, soprattutto, il fatto che stessero aiutando i domestici del Borgomastro a caricare su un carro tutti i suoi averi personali.

Guardando confusamente Liana, che stava osservando l’intera scena con altrettanto stupore, esalò: “Ma che sta succedendo?”

“Un cambio della guardia?” ipotizzò la ragazza, facendo spallucce.

Sulla porta della villa a due piani, intento a stringere la mano del Borgomastro, si trovava la figura di un uomo imponente e scuro di capelli, coperto da un leggero mantello di lana ricamata.

Potendolo vedere solo di spalle, Eikhe non fu sicura di chi potesse trattarsi ma, quando l’uomo si volse per osservare il Borgomastro raggiungere la propria cavalcatura, sorrise spontaneamente ed esalò: “E’ Kannor! E’ davvero lui!”

“Dici che possiamo fidarci, allora?” chiese Liana, ancora scettica.

“Se c’è un uomo di cui fidarsi, è proprio lui” annuì più volte Eikhe  prima di aggiungere: “A ogni buon contro… Luak, Nak, non schiodatevi da noi, chiaro?”

I due lupi annuirono con i loro musi affilati e le due donne, guardatesi per un momento come per farsi coraggio a vicenda, ripresero il cammino verso la casa del Borgomastro.

Era il momento di mettere la parola ‘fine’ a tutta quella faccenda.

Mentre il carro con le vettovaglie del Borgomastro iniziava ad avanzare lungo la via assieme al loro proprietario, Eikhe e Liana attraversarono la strada e fiancheggiarono silenziose il gruppo di soldati.

Molti sguardi le seguirono, voci soffuse sfiorarono le loro orecchie, ma nessun commento sgarbato venne loro addebitato.

Fissandoli curiosamente da sotto le lunghe ciglia non meno di Liana, Eikhe si chiese da dove venissero quei giovani guerrieri dall’aria educata e sorridente.

Certo, non pensava che tutti gli uomini delle pianure fossero sgarbati e offensivi con il genere femminile, ma le donne-lupo erano viste con sospetto persino dagli uomini di montagna, ben più abituati alla loro vista.

Quei baldi soldati sembravano sicuri di sé, ma non strafottenti, e gli sguardi discreti che lanciarono loro non furono mai offensivi o lascivi, quanto piuttosto curiosi.

Kannor, ancora fermo sull’entrata della villa e intento a scrutare la figura sempre più distante del Borgomastro, si accorse a un certo punto della disattenzione di parecchi dei suoi.

Curioso, si volse in direzione della strada per capire cosa stesse succedendo e, a gran voce, esclamò ai suoi uomini: “Ehi, giovinastri, che diamine state…”

Le parole gli morirono in gola, non appena Eikhe e Liana oltrepassarono lo sbarramento naturale creato dai corpi enormi dei giovani guerrieri presenti in strada.

Scendendo i due gradini che lo separavano dallo stradello che conduceva alla via principale, Kannor esalò a occhi sgranati: “Eikhe? Sei tu? Sei davvero tu?”

Un sorriso spontaneo salì alle labbra della donna che, accorrendogli incontro sotto gli occhi sorpresi di tutti gli armigeri, lo abbracciò con calore ed esalò: “Speravo di rivederti, Kannor. Non sai quanto io sia felice!”

“E io sono felice di vedere te, Eikhe!” rise lui, dandole una rapida stretta con il braccio sano prima di scostarla da sé, scrutarla in viso con una sorta di orgoglio amichevole e dire: “Sei bella come ti ricordavo.”

Lei rise grata mentre Liana, ferma a pochi passi da loro, li scrutava curiosa.

Fissandola benevolmente per alcuni attimi, Kannor si rivolse alla vecchia amica, chiedendole: “E’ tua figlia, per caso?”

Comprendendo al volo l’equivoco – tutte le figlie sacre si somigliavano tra loro – Eikhe scosse il capo e replicò: “E’ una mia amica, e si chiama Liana.”

Con un inchino frivolo quanto formale, Kannor si piegò in avanti con grazia e le disse: “Beh, tanto piacere di conoscervi, signorina Liana.”

Ridendo di gusto, Liana rispose al suo inchino con il classico saluto delle figlie del branco – una mano poggiata sul cuore – replicando sommessamente: “L’onore è mio, signor Kannor.”

“Le hai parlato di me?” sogghignò l’uomo, ammiccando a Eikhe, che annuì.

“Le ho detto di starti alla larga perché sei uno sciupa femmine” commentò maliziosa Eikhe, facendo scatenare dei risolini tra i soldati.

Kannor li fulminò immediatamente con lo sguardo, prima di fissarne uno in particolare e borbottare: “Meyor, vieni qui e accompagna le signore nel salottino al pian terreno. Io, intanto, sistemo i tuoi compagni.”

“Subito, mastro Kantor!” annuì lesto il giovane bruno che Kannor aveva interpellato.

Affiancando Eikhe con un sorriso smagliante, le offrì il braccio dicendo: “Siamo a uso accompagnare le signore porgendo loro il braccio, ma non vi dovete ritenere in obbligo di accettare.”

Sollevando un sopracciglio con evidente curiosità, Eikhe accettò l’offerta prima di guardare Kannor e chiedere: “Questi giovani li ha addestrati Aken, vero?”

“Si vede?” le strizzò l’occhio lui, prima di tornare serio e aggiungere: “Ragguaglia le signore mentre io sono impegnato. Tu sei il più adatto, ragazzo.”

“Sarà un onore” annuì Meyor, offrendo il braccio libero a Liana, che accettò con un sorrisino divertito.

Avviandosi verso la porta – che venne aperta dall’interno da un paggio in livrea grigia e bianca – Meyor si rivolse timidamente a Eikhe, chiedendole: “Posso avere l’ardire di chiedere una cosa, madama?”

Sorridendogli con spontaneità, Eikhe si limitò a dire: “Chiamami Eikhe, e dammi del tu. E sì, chiedi pure quello che vuoi sapere.”

Un volta all’interno della villa, Meyor le accompagnò all’interno di un salottino che Eikhe riconobbe immediatamente per esservi stata molti anni addietro.

Con un tuffo al cuore, ripensò all’abbraccio mesto che aveva scambiato con Ruak, prima di abbandonare per sempre l’idea di rivedere Aken.

Era successo di tutto, nel frattempo, ma le sembrava giusto che la fine di quelle peripezie avessero un termine proprio lì.

Scostandosi dal giovane e accomodandosi a un suo cenno assieme a Liana, Eikhe si sentì chiedere con cortesia: “Prima di partire, il principe Aken mi lasciò una lettera in cui mi spiegò i motivi della sua fuga. Vedete…”

Bloccandosi e ridacchiando di fronte all’ironico cipiglio di Eikhe, Meyor tossicchiò e continuò dicendo: “Vedi, mi disse che partiva per raggiungere il suo unico amore, e mi pregava di capire perché non potesse più rimanere alla capitale, così da continuare l’addestramento degli allievi più giovani dell’Accademia. Incuriosito, chiesi lumi a mia madre, che a sua volta aveva ricevuto una missiva a suo nome, e lei mi parlò di te, di ciò che facesti per il principe e di quanto foste innamorati.”

Meyor si passò una mano tra i corti capelli bruni, imbarazzato, prima di proseguire.

“Sono molto affezionato al principe Aken e, per anni, lui ha vegliato su di me come un fratello maggiore, perciò sono stato contento di sapere che, finalmente, avrebbe potuto essere felice, dopo un periodo troppo lungo di dolore.”

Intrecciando le mani in grembo, Eikhe inclinò un po’ il capo a scrutare quel giovane viso, solcato da un leggero strato di barba, e chiese ironica: “E cosa ti fa pensare che io sia io la stessa donna di cui ti ha narrato tua madre?”

Sorridendo, Meyor disse soltanto: “Non so di nessun’altra figlia sacra che abbia conosciuto Kannor, e di nessuna in particolare che si sarebbe presa la briga di ficcare il naso negli affari della corona, specialmente viste le norme che, fino a poco tempo fa, vigevano in merito.”

“Bravo” sussurrò Eikhe. “La donna sono io, e Aken sta bene. Abbiamo preferito venire noi in avanscoperta, visto che…”

Risate allegre e cori di felicitazioni si levarono dall’esterno ed Eikhe, bloccandosi a metà della frase senza capire bene cosa stesse succedendo, si levò dal divano assieme a Liana.

Con Meyor che si volgeva a mezzo dalla poltrona, fissarono tutti l’esterno attraverso la larga porta finestra che dava sul giardino.

Esasperata, Eikhe sbuffò intrecciando le braccia sotto il seno e, assottigliando le iridi d’ambra, commentò burbera: “Che diamine è servito dirgli di stare al sicuro, se poi ci ha seguite lo stesso?!”

Scoppiando a ridere bonariamente, Meyor si levò in piedi a sua volta e, osservando i suoi compagni e Kannor che, tra pacche sulle spalle e grandi abbracci, stavano salutando il loro principe, chiosò: “Di sicuro, è uno che ama stupire.”

“E’ un idiota, ma già lo sapevo” brontolò Eikhe, mentre Liana ridacchiava sommessamente.

Un attimo dopo, la porta d’ingresso venne aperta e rapidi passi si affaccendarono l’uno sull’altro prima di raggiungere il salottino, dove Aken fece il suo ingresso assieme ad Antalion e Kannor.

Il braccio sano drappeggiato sulle spalle del vecchio amico, Kannor disse allegramente: “Non ho fatto in tempo ad abbracciare Eikhe, che tu salti fuori dal nulla! E con tuo figlio, per di più! Dèi, siete davvero due gocce d’acqua!”

Antalion sorrise timidamente all’uomo che, per tutta risposta, rise e asserì: “Coraggio, ragazzo, non siamo qui per combinare guai, quanto piuttosto per disfarli.”

“Quindi, non porterete via mio padre, vero?” chiese a quel punto Antalion, speranzoso.

“Tutt’altro. Al momento, stai parlando con il nuovo Borgomastro di Marhna” dichiarò tronfio Kannor, sorprendendo tutti i presenti a parte Meyor, già al corrente della qualifica.

“Che mi venisse un colpo! Anzi no!” esclamò Aken, sorridendo raggiante prima di abbracciare l’amico. “Non sai quanto la notizia mi renda felice!”

“Re Ruak pensava che fosse la persona migliore da inviare qui tra le montagne” spiegò loro Meyor, attirando l’attenzione di Aken che, con un sorriso, si avvicinò a lui per abbracciarlo e dargli due baci sulle guance.

“Sono pochi mesi che non ti vedo, ragazzo, ma mi sembra passato un secolo. I tuoi genitori stanno bene?” gli chiese Aken, sorridendogli affettuosamente.

“La mamma vi saluta, principe, e sarà lieta di sapere che finalmente siete felice” sorrise Meyor prima di guardare curiosamente il figlio di Aken e dire: “Avevate davvero ottime motivazioni per fuggire da Rajana.”

Eikhe sorrise bonaria al compagno, prima di esalare: “E meno male che dovevate stare al sicuro.”

“Dovresti saperlo che faccio a modo mio, quando si tratta della tua sicurezza” replicò ghignante Aken. “Ora, però, qualcuno di voi mi vuole spiegare cos’è questa faccenda di mio fratello che è divenuto re?”

Fattosi serio, Kannor li invitò a sedersi e, quando tutti si furono accomodati sui morbidi divanetti di velluto chiaro, disse: “Ruak ha ritenuto necessario far abdicare tuo padre in modo coatto, dopo tutto ciò che ha fatto quest’inverno nel tentativo di raggiungerti qui tra le montagne. Il Concilio della Corona non era comunque contento di Arkan già da tempo. La Corte Militare ti è sempre stata fedele e aveva compreso da anni che qualcosa ti turbava, e che quel turbamento era legato indissolubilmente al re. La goccia che ha fatto traboccare il vaso, però, è stata la fustigazione senza giusta causa di un ufficiale.”

Inspirando rumorosamente dalle narici per la gran rabbia, mentre le iridi si assottigliavano pericolosamente, Aken ringhiò: “Non può averlo fatto davvero!”

Sospirando, Kannor annuì spiacente.

“Già da tempo, Aken, era diventato un despota e tiranno solo che, fino a quel momento, si era accanito soprattutto su di te. Non che la cosa fosse giusta, intendiamoci ma era, come dire, circoscritta. Da quando te ne sei andato, la sua follia si è estesa come una piaga ogni dove.”

“Dèi…” esalò Aken, passandosi una mano sul viso mentre Antalion gli posava una mano sulla spalla, confortante.

Fissando spiacente Eikhe, Kannor proseguì dicendo: “Aken può aver sbagliato, non parlandoci subito dello scellerato patto stretto con il padre, ma anche noi non abbiamo scusanti. Avremmo dovuto capire prima, quanto bisogno avesse del nostro aiuto, e invece ci siamo limitati ad assecondare il suo umor nero e il suo desiderio di isolamento. Potrai mai perdonarci, Eikhe?”

Sorridendo comprensiva all’amico, la donna replicò: “Abbiamo avuto rassicurazioni in merito, Kannor, e sappiamo che ciò che è avvenuto aveva uno scopo preciso e, ora che ho visto Meyor e gli altri soldati, so che Aken ha fatto più che bene a rimanere a Rajana per così tanto tempo.”

Pacificato solo in parte, Kannor asserì con tono formale: “A ogni modo, reco con me anche una richiesta ufficiale del re. Desidera invitare te e la tua famiglia a palazzo per scusarsi formalmente con te, per tutto il dolore arrecatoti negli anni.”

“Non ce n’è davvero bisogno!” esalò Eikhe, sgomenta.

Abbozzando un sorrisino, Kannor aggiunse: “La Regina Madre vi supplica di accettare, e Sua Maestà la Regina Renke è ansiosa di conoscervi.”

Lanciando uno sguardo ad Aken, ancora turbato per i fatti testé raccontati da Kannor e riguardanti la follia del padre, Eikhe domandò sommessamente: “Tu cosa desideri fare?”

“Non abbiamo nulla da temere, da loro” scrollò le spalle Aken, prima di chiedere: “Dov’è, ora, mio padre? E il popolo sa?”

“Tutti hanno ritenuto saggio far sapere solo l’indispensabile, e cioè che il re era stanco e riteneva più giusto abdicare in favore del figlio. Ora risiede nel palazzo estivo di Elior, circondato da guardie armate e da dottori che si stanno prendendo cura di lui.”

“Guardie… armate?” esalò Aken, sempre più strabiliato da quel fiume di notizie.

“E’ stato necessario, visto quel che è successo durante la sessione di Concilio che ne ha deciso le sorti” fu costretto a dire Kantor, tossicchiando imbarazzato.

“Capisco” sussurrò Aken, reclinando il capo tristemente.

Eikhe comprendeva bene come potesse sentirsi il compagno.

Il senso di colpa era un mostro dalle unghie e i denti poderosi, che non guardava in faccia a nessuno e che scorticava l’animo delle persone, anche coloro che erano a pieno titolo dalla parte del giusto.

Non si era mai sentita in obbligo nei confronti della madre che, fin da quando era tornata da Rajana incinta, l’aveva apertamente odiata e poi ripudiata dal villaggio, eppure le spiaceva tuttora che fosse malata.

Non era mai andata a trovarla perché, nonostante Tyura fosse divenuta la nuova Signora del Villaggio, ancora troppe donne-lupo la odiavano.

Non voleva creare inutili tensioni laddove non ve n’era bisogno, perciò sapeva di lei solo ciò che la sorella le riferiva.

D’altra parte, non era certa che una sua visita le avrebbe fatto bene, visto in che modo si erano separate e, per quanto le paresse sciocco, si sentiva in colpa per il solco ormai enorme che si era creato tra loro due.

Immaginava che, per Aken, fosse lo stesso con suo padre.

Era difficile amare una persona e non essere ricambiati come si vorrebbe, e a loro era successo in maniera davvero traumatica.

Levandosi in piedi per raggiungerlo, si inginocchiò dinanzi a lui e, stringendogli le mani, gli sorrise comprensiva.

“Andremo a Rajana e, se i dottori lo riterranno opportuno, andremo a trovarlo, va bene?”

“D’accordo” annuì lentamente Aken prima di levare il capo per scrutare le persone attorno a lui. “Come facevo a lasciarla tutta sola tra le montagne, una donna così?”

***

Annuendo a più riprese, Konis e Ylliana sorrisero ad Aken che, dopo averli ragguagliati su quanto successo, li aveva pregati di scusarli per quell’inconveniente avvenuto proprio durante i festeggiamenti per il loro matrimonio.

Stringendogli una mano con affetto, Ylliana replicò comprensiva: “Tutt’altro. Ricorderemo questo giorno per due motivi gioiosi; il nostro matrimonio e la tua libertà. Non mi sembra poco.”

“Mia moglie ha ragione, Aken. Siamo felici per voi” assentì Konis, sorridendo ad Aken, Antalion ed Eikhe. “Sei felice, ora, sorella?”

“Come poche altre volte” annuì Eikhe, prima di guardare il padre, visibilmente più sollevato e aggiungere: “Possiamo lasciare i lupi qui da voi? Portarli fino a Rajana mi sembra troppo, e Luak è ancora un cucciolo.”

Il lupo in questione uggiolò infelice, saltando sulle zampe attorno alle gambe della padrona per attirare la sua attenzione.

Chinandosi per prenderlo tra le braccia, lo baciò sul musetto peloso dicendo: “Sarà solo per poco, davvero.”

Anche Mykos parve in disaccordo con le sue parole e Sendala, ridacchiando dal divano in cui era seduta assieme ad Amill ed Enok, commentò: “Mi sa che te li dovrai sorbire entrambi, sorella, perché non paiono ben disposti a rimanere.”

Harm sorrise generosamente, dando una pacca sulla schiena nerboruta di Mykos.

“Decideranno loro se restare o meno. Io e Ildera non abbiamo problemi.”

Luak poggiò uggioso il musetto sulla spalla di Eikhe, alternando quella posa drammatica a brevi leccate sulla sua guancia.

A quel punto, la figlia sacra non poté che sentenziare: “Mi sa che Sendala ha ragione. Non ne vogliono sapere di rimanere.”

Guardando il padre con aria interrogativa, Antalion accarezzò distrattamente un orecchio di Mykos prima di chiedere: “Pensi che tuo fratello avrà qualche problema ad accettarci a palazzo con i nostri lupi?”

“Dubito fortemente, visto come si è comportato l’ultima volta che ne ha visto uno. Di ritorno dalla guerra, voleva portarsi a casa il lupo di Vesthe” ridacchiò Aken, facendo sorridere spontaneamente il figlio.

Guardando i suoi due uomini per alcuni attimi, Eikhe scrollò le spalle e sentenziò: “D’accordo, si va a Rajana con i lupi.”

Mykos abbaiò soddisfatto mentre Luak riempì letteralmente la faccia di Eikhe di bava prima che lei, indispettita e divertita insieme, lo mollasse a terra per poi borbottare disgustata: “Ma dai, Luak!”

Tutti risero mentre lei, con un passaggio veloce del fazzoletto, si ripuliva la faccia prima di dire scocciata: “Ildera, uso l’acqua in cucina.”

Ridendo, la donna annuì. “Vai pure, Eikhe.”

“Grazie” bofonchiò lei, prima di fissare male il suo lupo e grugnire: “Con te me la vedrò dopo.”

Uggiolando, Luak si nascose dietro le gambe di Aken che, ridacchiando comprensivo, lo prese in braccio e, carezzandolo dolcemente, gli sussurrò: “Ti difenderò io, tranquillo.”


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Capitolo 31
*** cap. 31 ***


31.

 

 

 

 

 

Costretto dal suo nuovo ruolo di Borgomastro entro i confini di Marhna, Kannor salutò Aken e famiglia con un abbraccio e con la promessa di rivedersi a breve.

La mattina seguente il matrimonio di Konis e Ylliana, un gruppo di dieci soldati – capitanati da Meyor – partì alla volta della capitale scortando la famiglia di Eikhe con la stessa pompa magna tributata a una famiglia reale.

Sulle prime, Eikhe aveva protestato vibratamente, ritenendo la cosa del tutto inutile e superflua.

Aken, ben più abituato di lei a simili comportamenti, aveva nicchiato e lasciato fare il suo mestiere a Meyor che, con blandi sorrisi e svenevoli complimenti, aveva infine raggiunto lo scopo di pacificare l’animo della figlia sacra.

Liana, che si era unita a loro perché desiderosa di vedere per la prima volta la pianura e la capitale, si era ritrovata spesse volte a guardarsi intorno con aria smarrita, quasi terrorizzata all’idea di non avere più le sue fide montagne a proteggerle le spalle.

Antalion, non meno in ansia di lei, le era stato vicino durante tutto il viaggio.

Accoccolati vicini la notte e stretti ai loro lupi, erano riusciti in qualche modo a superare lo shock di lasciare dietro di loro luoghi ameni e conosciuti per andare incontro all’ignoto.

Con un sorriso sulle labbra e uno sguardo comprensivo, ogni notte Eikhe aveva sistemato loro le coperte prima di dare a entrambi un bacio e tornare al falò con i soldati.

Grazie a ciò, aveva scoperto il lavoro portato avanti da Aken, e saputo ciò che avevano imparato, nel corso degli anni, grazie agli insegnamenti del principe.

Era anche venuta a sapere, con sua somma sorpresa, che Aken aveva insegnato a tutti loro l’arte di cavalcare senza briglie, oltre alla benevolenza necessaria per avere un rapporto simbiotico con il proprio cavallo.

Meyor le aveva poi accennato agli anni passati a palazzo sotto la sua guida.

Pur preferendo non essere additato come una specie di mentore illuminato, Aken aveva ascoltato in silenzio i complimenti proferiti dai suoi allievi, sentendosi scaldare il cuore di soddisfazione.

Man mano che i giorni passavano e il cameratismo tra loro aumentava, Eikhe notò con apprezzamento che anche il giovane figlio pareva interessato alle esperienze di vita dei soldati che li stavano accompagnando.

Preferendo non disturbarlo durante le sue caute domande, passò gran parte del tempo in compagnia di Liana, unica donna a parte lei in quell’omogeneo mare di uomini in armi.

Dopo averle più volte chiesto se andasse tutto bene e se sentisse nostalgia di casa,  aveva iniziato a domandarle dei motivi che l’avevano spinta a seguirli fino a Rajana.

Sulle prime, Liana era stata sul vago, lanciando di tanto in tanto brevi sguardi in direzione di Antalion per poi tornare in fretta a scrutare nervosamente la sua ascoltatrice.

Messa alle strette dalle domande sibilline di Eikhe, però, si era presto smascherata e, con un pesante sospiro di sconfitta, le aveva confessato: “Dopotutto, Antalion non è solo figlio tuo, ma anche di Aken… e Aken è un principe. Quindi, se tanto mi da tanto, anche Antalion è nobile.”

“Parlando in linea di principio, sì” aveva ammesso cautamente Eikhe, cercando di seguire il filo dei suoi pensieri.

“Bene, chi mi dice che la vita di corte non gli piaccia più di quella che facciamo tra le montagne? Cosa ne so che non decida di rimanere con lo zio, e cambiare strada?” brontolò Liana, nervosa come poche altre volte l’aveva vista.

“Hai paura non torni con noi? Che ti dica addio?” le aveva chiesto gentilmente Eikhe, con un delicato sorriso.

Dopo aver annuito, aveva reclinato il viso in avanti sussurrando: “E se trovasse una nobildonna che gli piace, e si innamorasse di lei? Io cosa farei?”

Eikhe le aveva dato una pacca confortante sulla spalla prima di lanciare uno sguardo pensieroso in direzione del figlio e dire sommessamente: “Sarà quel che gli dèi vorranno, ma credo che questo pericolo non sussista.”

“Tu dici?” aveva esalato Liana, sollevando due iridi d’ambra colme di dubbi.

“Perché non glielo chiedi tu stessa? An è sempre stato sincero, con te, per cui lo sarà anche stavolta” le aveva proposto Eikhe prima di sollevare lo sguardo, allungare un braccio e dirle: “Guarda, Liana. E’ Rajana.”

“Niente può essere tanto grande!” aveva esclamato lei, sgranando gli occhi per lo sgomento.

Tutti loro si erano fermati ad ammirarla dal basso colle che avevano raggiunto a cavallo e, mentre i lupi erano rimasti diligenti al fianco dei cavalli, Antalion si era avvicinato alla madre e le aveva chiesto: “E’ come te la ricordavi?”

“Molto più imponente, non c’è che dire” aveva sospirato Eikhe, leggermente turbata.

“E’ splendida” aveva sussurrato Antalion al suo fianco, prima di sorridere al padre.

Eikhe lo aveva guardato per un istante, dubbiosa, prima di chiedersi se le paure di Liana fossero veritiere.

L’avrebbe perso per quel mostro colmo di palazzi e di agi?

                                              ***
  Oltrepassate che ebbero le porte di Nord-Est e avventuratisi lungo una delle vie principali di Rajana, il gruppo di soldati si diresse al passo in direzione del castello.

Dietro richiesta di Aken, era stato vietato di suonare le trombe per avvisare del loro arrivo.

Il principe era infatti deciso a fare una sorpresa alla coppia reale.

Senza fanfare di alcun tipo, e passando attraverso la città come un semplice drappello di cavalieri, il gruppo si diresse verso il palazzo reale.

Guardandosi intorno con espressione a metà tra il sorpreso e lo sconcertato, Antalion ammirò le grandi botteghe artigiane e le enormi case dei nobili che si affacciavano sulla via.

Liana, al suo fianco, squadrò il tutto con aria a dir poco disgustata, infastidita da quell’agglomerato di case che impediva di scorgere con chiarezza l’orizzonte e le montagne, ormai lontane e pallide.

Di comune accordo con Aken, cui aveva espresso i suoi dubbi circa Antalion, Eikhe non disse nulla in merito alla città che, per quanto bella, ella non apprezzava al pari di Liana.

Non voleva che il suo giudizio in parte negativo rovinasse la gita del figlio che, invece, sembrava apprezzare tutto ciò che li circondava.

La gente presente per le vie lanciò loro solo brevi occhiate, troppo impegnata nelle rispettive attività commerciali per badare veramente a loro.

Ridendo di quel comportamento così differente rispetto agli abitanti di Marhna, Antalion si rivolse a Meyor e dichiarò: “Sembra che vedano tutti i giorni delle donne-lupo… non sembrano minimamente sconvolti.”

“E’ che, più semplicemente, non vi vedono realmente” scrollò le spalle Meyor con una risatina contrita. “Solo se avessimo uno stendardo al seguito e una carrozza con le insegne, attireremmo la loro attenzione. Così, siamo solo un branco di soldati con quattro originali cavalieri al seguito.”

“E i lupi?” indicò Antalion, notando quanto il naso di Mykos vibrasse nervosamente.

Era indubbio che tutti gli odori presenti in città rappresentassero un’autentica aggressione per il suo olfatto e, di questo, se ne spiacque.

“Credo immaginino siano cani” ipotizzò Meyor, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Mykos che, levato il muso verso di lui, ringhiò a denti snudati prima di tornare a guardare dinanzi a sé con le orecchie calate all’indietro.

Ridacchiando, il giovane soldato esalò: “Fatico ancora a capacitarmi del fatto che capiscano tutto ciò che diciamo.”

“Oh, capiscono tutto e sentono anche di più” ammiccò Antalion, prima di tornare a guardare davanti a sé e ammirare il profilo merlato delle mura di cinta del palazzo ormai prossimo. “Più ci avviciniamo e più diventa imponente. Quando ci troveremo entro le sue mura, mi sentirò un moscerino.”

“Può fare quest’effetto, le prime volte” ammise Meyor prima di indicare Liana, che procedeva al fianco di Eikhe, in quel momento, e chiedere: “E’ la tua fidanzata, per caso, Antalion?”

“Non ci ‘fidanziamo’, nella tribù” precisò Antalion, sollevando le mani per fare il gesto delle virgolette. “Però, andiamo molto d’accordo e, beh, mi piace, ecco.”

Annuendo con un sorriso furbo, Meyor si piegò verso di lui con fare complice e sussurrò: “Fossi in te, starei attento, perché alcuni miei amici la trovano davvero molto affascinante.”

“In che senso?” si accigliò immediatamente il giovane, voltandosi indietro per scrutare pensieroso i loro compagni di viaggio.

“Nell’unico senso possibile, Antalion. Non si sono fatti avanti con lei perché non hanno ancora ben capito come funzioni la dialettica, con le donne-lupo, ma non giurerei sul fatto che, ora che siete qui e che, per un po’, resterete a palazzo, non possano provare ad avvicinarla” gli spiegò Meyor, strizzandogli l’occhio.

Storcendo la bocca carnosa, Antalion bofonchiò: “Si ritroveranno a mordere la polvere, se provano anche soltanto a darle fastidio.”

“Fossi in te, chiarirei le cose con i ragazzi, visto che loro immaginano che sia libera” ci tenne a precisare Meyor, serafico.

“Grazie per la dritta, Meyor” disse a quel punto Antalion, fissando la schiena diritta dell’amica con una nuova, più forte sensazione di possesso.

“Di nulla” si limitò a dire il soldato, dando poi un colpetto ai fianchi del cavallo per portarsi in testa al gruppo e dirigersi verso le porte del maniero.

Affiancato Aken, il giovane soldato sollevò una mano in direzione di uno dei guerrieri di guardia alle porte secondarie del palazzo reale.

Dopo essersi fatto riconoscere – e aver visto lo stupore dipingersi sul viso dell’alabardiere al solo vedere Aken – dichiarò a mezza voce: “Fai aprire le porte, cosicché si possa entrare.”

“Subito, caporale” annuì lesto il soldato prima di inchinarsi ad Aken e dire lieto: “E’ un piacere rivedervi, Vostra Altezza.”

“Il piacere è mio, Sanast” replicò bonario Aken, notando il sorriso dell’armigero farsi ancora più ampio.

In breve, i portoni di legno e ferro vennero aperti per loro e, in gruppo, entrarono all’interno delle mura di pietra grigia per ritrovarsi nell’ampio cortile retrostante il palazzo.

Come Aken sospettava, era già ingombro di stallieri pronti a offrire i loro servigi.

Antalion e Liana, del tutto estranei a una simile operatività, si guardarono intorno disorientati.

Nello scendere dalle loro cavalcature, non riuscirono che a bofonchiare stentati ringraziamenti, quando giovani garzoni presero in consegna i cavalli per condurli docilmente nelle stalle reali.

Subito, i soldati salutarono Aken e famiglia per poi disporsi in file ordinate di due e proseguire in direzione dell’Accademia.

Meyor, rimasto con loro, sorrise di fronte ai volti ancora pallidi dei membri più giovani della spedizione, dicendo: “Siamo un po’ marziali, per certe cose, scusate.”

Afferrando saldamente la mano di Antalion, fredda e tremante al pari della sua, Liana esalò: “Credo che morirò di paura, prima della fine della giornata.”

“Comincio a pensarlo anch’io” sussurrò Antalion, fissando con una certa ansia il padre che, invece, appariva tranquillo e per nulla preoccupato.

Persino sua madre, nonostante avesse pensato il contrario, non sembrava particolarmente ansiosa e, nonostante tutto, la cosa gli diede un po’ fastidio.

Non voleva apparire come un bamboccio, ai loro occhi!

Fattosi perciò coraggio, si volse a sorridere a Liana e disse: “Vedrai che andrà tutto bene.”

“Lo dici solo per non fare una figuraccia coi tuoi genitori” sbuffò lei, accigliandosi.

Ridacchiando, Aken si rivolse a Meyor e disse: “Sarà meglio che ci avviamo.”

“Subito, Aken” annuì il giovane, allungando un braccio per indicare loro di seguirlo verso una porticina di legno, che si apriva sull’immenso contrafforte che si parava loro innanzi.

Scrutando verso l’alto per scorgere la fine di quella immensa parete di pietra, Antalion deglutì a fatica quando scorse l’imponente dispiegamento di alabardieri di ronda sui camminamenti.

Fissando turbato il padre, gli chiese: “Temete attacchi, per caso?”

“Affatto. E’ il normale schieramento di soldati, qui a Rajana” gli spiegò lui, mentre Meyor apriva loro la porta di servizio per entrare all’interno del palazzo.

“Ah” esalò lui, sgranando leggermente gli occhi e tornando a stringere con forza la mano di Liana.

I loro lupi, invece, li seguirono con le orecchie basse e gli occhi stralunati.

Voltandosi per controllare che Luak fosse lì con loro, Eikhe lo prese in braccio e mormorò: “Povero tesoro, sei terrorizzato, vero?”

Il lupetto guaì e infilò il musetto peloso sotto l’incavo del braccio della padrona, tremando come una foglia sospinta dal vento.

Carezzandolo gentilmente sulla schiena, Aken gli disse sommessamente: “Stai tranquillo, piccolo. Ti prometto che non ti succederà nulla, qui. Siamo tra amici.”

Mykos e Nak non sembravano essere d’accordo con lui, e cominciarono a girare attorno alle gambe dei loro padroni.

I due giovani, ansiosi e con i nervi a fior di pelle non meno dei loro lupi, si accosciarono per stringerli con forza nel tentativo di chetare le loro paure e le proprie.

Guardandoli spiacente, Meyor sospirò.

“Non immaginavo che per i lupi sarebbe stato così traumatico trovarsi all’interno del palazzo, ma immagino che questi luoghi chiusi e tutti gli odori presenti, che di sicuro sentono meglio di noi, li mettano un po’ a disagio.”

“Dobbiamo dare loro il tempo di abituarsi” sussurrò gentilmente Eikhe, continuando a tenere in braccio Luak e cullarlo come se fosse stato un bambino.

Occorsero quasi dieci minuti, prima che i tre lupi riuscissero in qualche modo a chetare le loro ansie.

In quel breve periodo di tempo, uno dei paggi di palazzo si avvicinò al gruppo con non poca sorpresa prima di sorridere nel riconoscere Aken, nonostante i suoi strani abiti di pelle.

Preferendo evitare un mare di domande, Meyor decise di intervenire subito e ordinò perentorio: “Avvisate Sua Maestà che dei visitatori del nord desiderano chiedere udienza, ma non dite che si tratta del principe. Vorremmo fosse una sorpresa.”

Annuendo formale, ma con un sorriso dipinto sul volto imberbe, il paggio si inchinò a tutti loro e scivolò via veloce lungo il corridoio, svanendo oltre una porta di servizio senza quasi fare rumore.

Con un risolino, Aken celiò: “Sono proprio curioso di vedere che faccia farà Ruak.”

“Di sicuro, sarà felicissimo di vederti” sorrise Meyor, scrutandolo divertito. “E di certo, troverà i tuoi abiti davvero inconsueti.”

Partiti da Marhna con ciò che avevano portato con loro prima dell’arrivo di Kannor, Aken e la sua famiglia indossavano dei comodi e morbidi abiti da viaggio tipici delle tribù delle donne-lupo.

I loro abiti da cerimonia, invece, se ne stavano ben ripiegati nelle sacche ancora appese alle selle.

“Ora sono un figlio del branco, e come tale mi vedranno” dichiarò tronfio Aken, prima di guardare i due giovani ancora in ginocchio accanto ai loro lupi e chiedere: “Tutto bene, lì?”

“Sì, sono più tranquilli” annuì Antalion, prima di risollevarsi e, guardandosi intorno, domandare: “Tu vivevi qui, dunque. Non è un tantino… dispersivo?”

Scoppiando a ridere, Aken poggiò le mani sui fianchi e disse per contro: “Non se pensi che  a palazzo vivono stabilmente non meno di cento nobili, la famiglia reale, i domestici e parte degli ufficiali più alti in grado.”

“Ah” sussurrò basito Antalion.

Avvicinatosi a lui, gli circondò le spalle con un braccio e disse comprensivo: “Vieni, lascia che ti mostri casa mia.”

“Ci vorrà una settimana, allora” bofonchiò Antalion, facendolo sorridere.

Eikhe si occupò di Liana dopo aver posato a terra un più sereno Luak che, a ogni modo, le rimase incollato alle gambe mentre la padrona prendeva sottobraccio l’amica.

“Vedrai che, dopo un paio di giorni, ci si fa l’abitudine” asserì la figlia sacra alla sua giovane amica.

“Ma mi mancano le montagne” alitò lei, mettendo il broncio.

“Lo so, mancano anche a me” ammise Eikhe.

Nulla era cambiato, per quanto riguardava quel particolare aspetto di lei.

Le montagne erano il suo ambiente, non certo quel palazzo ricco di splendori e di agi.

Non poteva farci nulla.

Procedendo in testa al gruppo mentre percorrevano una larga scalinata di arenaria grigio scuro, Meyor indicò loro di svoltare a sinistra non appena raggiunsero il soppalco del primo piano.

Poiché Aken parve sorpreso, l’amico gli disse: “La Sala delle Udienze si trova in fondo a questo corridoio, ora.”

Un po’ sorpreso, Aken replicò: “Ruak non accoglie più i visitatori nella Sala del Trono?”

“Gli sembrava troppo pomposa, e così ha preferito adibire a sala udienze la saletta del primo piano che, un tempo, era usata per la  musica. Inoltre, lì l’acustica è migliore, e non c’è bisogno di urlare le proprie richieste come nella Sala del Trono” spiegò succintamente Meyor, con un sorrisino.

“Ottima scelta” annuì orgoglioso Aken, prima di fermarsi un momento di fronte a un quadro in particolare, e raffigurante una donna incinta e dai capelli castano scuri.

Osservandola con occhi attenti e studiando i caldi occhi smeraldini ben riprodotti dall’artista, Antalion chiese al padre: “E’ tua madre?”

“Sì, lei è una delle tue nonne. Morì quando io avevo sette anni, per una brutta infreddatura” gli spiegò Aken, sfiorando con lo sguardo il viso sereno della madre per un altro attimo prima di riprendere il cammino.

“E la Regina Madre com’è?” chiese a quel punto Antalion, curioso, mentre gli occhi scivolavano a destra e a sinistra per studiare la galleria di quadri appesi alle pareti di nuda pietra scura.

“Lo vedrai presto” ammiccò il padre, dandogli una pacca sulla spalla.

“Tua madre era una donna davvero bellissima, Aken” intervenne Liana, sorridendogli benevola.

“Grazie, tesoro, l’ho sempre pensato anch’io” assentì, dandole un buffetto sulla guancia.

Quando infine raggiunsero le porte della Sala delle Udienze, un paggio in livrea si inchinò loro innanzi prima di stringere con maggiore forza il bastone che teneva in mano. 

“E’ un vero onore riavervi qui tra noi, Altezza. Siamo felici che mastro Meyor vi abbia ricondotto a casa.”

In visita” precisò Aken, pur sorridendogli.

“Oh, sì, certo, in visita” si corresse subito il paggio, ridacchiando, prima di ammirare curioso gli sconosciuti presenti. “Posso osare chiedere se il giovane con voi è vostro figlio, Altezza? La somiglianza è davvero impressionante.”

Voltandosi per sorridere orgogliosamente in direzione del figlio, Aken annuì e disse: “Sì, è mio figlio Antalion, la signorina al suo fianco è una nostra amica e si chiama Liana. E la donna qui con me è Eikhe,… forse ti ricorderai di lei.”

Facendo tanto d’occhi, il paggio si affrettò a inchinarsi anche dinanzi a Eikhe - che lo fissò al colmo dello stupore - prima di dire: “L’Eroina del Regno! E’ un vero onore rivedervi.”

A quel punto, tutti i presenti fissarono lo sguardo su Meyor in cerca di spiegazioni e lui, sorridendo tronfio, commentò: “Non solo tu, Aken, volevi fare una sorpresa a tuo fratello.”

Sollevando con ironia un sopracciglio, Aken poggiò una mano sul fianco con aria curiosa e disse: “E tu sapevi tutto fin dall’inizio.”

“Ovviamente” annuì Meyor prima di fissare spiacente una sconvolta Eikhe. “Le mie scuse, ma Sua Maestà era stato categorico.”

“Va bene… nessun … problema” annuì stentatamente Eikhe, prima di ridacchiare quando il figlio le diede una gentile pacca sulla spalla.

“La mia mamma è un’eroina del regno, adesso” le disse orgogliosamente.

“Sono solo parole, figliolo” replicò lei, pur arrossendo un poco.

“Beh, mia cara Eroina del Regno…” sogghignò Aken, offrendole galantemente il braccio. “… vogliamo porgere i nostri omaggi al re?”

“Molto volentieri” annuì lei, accettando il braccio prima di sentire il paggio battere un paio di volte il bastone cerimoniale a terra.

“Io aspetterò fuori” dichiarò Meyor sorridendo loro. “E’ giusto che questo momento appartenga solo alla vostra famiglia.”

“Avremo altro tempo da passare assieme” gli promise Aken prima di guardare le porte della sala aprirsi.

Mentre le porte venivano aperte dinanzi a loro a seguito di quel suono ridondante, la voce limpida e stentorea del paggio si librò alta tra le pareti a volta del corridoio dove si trovavano.

“Sua Altezza Reale, il principe Aken di Rajana e madama Eikhe, Eroina del Regno di Enerios!”

Assiso su un trono dall’apparenza modesta, pur se riccamente decorato da fregi lignei, Ruak sobbalzò per la sorpresa al pari di Renke, in piedi al suo fianco assieme alla Regina Madre. 

Fissando entrambi i giovani regnanti per un attimo, Anladi corse subito con lo sguardo allo specchio della porta dove, ritti e fieri, Aken ed Eikhe stavano avanzando lungo il tappeto.

Nuovamente, la voce del paggio si elevò, rimbombando tra le pareti ed esclamando con vigore: “Sua Altezza Serenissima, il principe Antalion, figlio di Aken di Rajana e di Eikhe di Nestar!”

A quel punto, Ruak si levò in piedi, il viso pallido al pari di quello di Renke che, afferratagli una mano, esalò sconvolta: “Figlio? Ha un figlio?”

“Era quello che pensavamo…” riuscì a dire Ruak, mentre un sorriso si dipingeva sul suo viso e la madre si lasciava sfuggire un singulto di gioia dalle labbra tremolanti.

Per la terza volta, la voce del paggio si levò attorno a tutti loro, declamando: “Madamigella Liana, figlia sacra del villaggio di Hyo-den, accompagnata dai lupi Mykos, Nak e Luak!”

Rossa in viso per quella stentorea presentazione, Liana si affrettò a raggiungere Antalion.

Non meno imbarazzato di lei, le afferrò una mano per dare forza all’amica e, al tempo stesso, trarne a sua volta.

Al loro fianco, camminando lentamente sulla pietra nera del pavimento, il ticchettio delle unghie dei lupi faceva da contrasto all’insolito silenzio della sala.

Sorridendo al colmo della felicità mentre Ruak, ancora fermo dinanzi al suo scranno, li osservava senza sapere bene se ridere o piangere, Aken sussurrò alla compagna: “Te l’immaginavi un’entrata in grande stile come questa?”

“No di certo. E mi tremano le gambe, per la cronaca” precisò lei, fissando curiosamente la donna alta e sottile al fianco di Ruak che, a sua volta, la stava studiando con stupore e interesse assieme.

“E’ Renke?” chiese poi al compagno.

“Sì, è lei” annuì Aken, prima di rimanere del tutto sbalordito di fronte alla reazione improvvisa della madre.

Senza che fosse possibile fermarla, Anladi accorse in direzione di Eikhe e, con le lacrime agli occhi, crollò in ginocchio di fronte a lei piangendo a dirotto.

Tutti si fermarono di botto, e un silenzio tombale cadde come un velo sulle persone presenti, infranto solo dai singhiozzi della Regina Madre.

Affrettandosi a sciogliere lo stupore che l’aveva raggelata sul posto, di fronte a quella scena imprevista, Eikhe si inginocchiò accanto alla Regina Madre.

Sfiorandole le spalle con delicatezza, le chiese: “Mia Regina, cosa ti succede?”

Tra i singhiozzi convulsi, Anladi riuscì a dirle: “Ho tante colpe da espiare, Eikhe, prima tra tutte non aver avuto abbastanza forza per liberare mio figlio. E’ anche colpa mia, se non avete potuto vivere assieme per così tanti anni!”

Sgranando gli occhi per la sorpresa, Eikhe la strinse in un abbraccio consolatorio mentre anche Aken si inginocchiava accanto a loro per avvolgerle entrambe tra le sue braccia.

“Madre, non fare così. Eikhe non ce l’ha mai avuta con te.”

“Ma avrebbe dovuto!” sbottò nervosamente Anladi, affondando il viso nella spalla di Eikhe prima di aggiungere: “Potrai mai perdonarmi?”

Sorridendo comprensiva mentre, con lo sguardo, scorse Ruak e Renke avvicinarsi a loro, Eikhe si limitò a dire: “Non c’è nulla da perdonare, Mia Signora. Ma mi renderesti molto felice se tramutassi le lacrime in un sorriso per mio figlio, se tu volessi.”

Levando il capo dalla sua spalla e asciugandosi con il dorso della mano il viso, Anladi fissò i suoi grandi occhi azzurro cielo sul volto preoccupato del giovane che si trovava alle spalle di Eikhe.

Abbozzando un sorriso, esalò: “Sei mio nipote, caro?”

Con un timido sorriso di risposta, Antalion annuì e, offrendole una mano per rialzarsi, chinò rispettoso il capo e disse: “Sono figlio di Eikhe e di Aken, Mia Signora, ma non pretendo che tu mi veda come…”

Prima ancora di poter terminare la frase, Anladi lo aveva già abbracciato strettamente.

Sobbalzando per la sorpresa, Antalion si ritrovò a sostenere il dolce peso della donna che, con insospettata forza, lo avvolse ancor più forte, esclamando: “Certo che sei mio nipote!”

Una risata di sollievo collettivo prese tutti i presenti e Anladi, sciogliendo dall’abbraccio un Antalion confuso quanto profusamente arrossito, sorrise impacciata e disse: “Allora ti chiami Antalion, se ho ben capito.”

“Sì, Mia Signora” annuì impacciato lui, sorridendole goffamente.

“Se non mi chiamerai nonna, mi sentirò mortalmente offesa” precisò con fiero cipiglio la donna, prima di ridacchiare.

“Come desideri,… nonna” acconsentì allora Antalion, prima di volgersi a mezzo e far avvicinare Liana al gruppo. “Lei è una nostra amica. Si chiama Liana.”

Inchinandosi subito, la ragazza mormorò con voce limpida e priva di tentennamenti: “E’ un vero onore fare la tua conoscenza, Regina Madre.”

Sollevandole con delicatezza il viso con un dito, Anladi la scrutò negli occhi biondo miele e sorrise benevola.

“La tua bellezza è sopraffina, figlia sacra, così come le tue maniere. Sei la benvenuta a palazzo, mia cara, e spero che la tua permanenza qui possa essere piacevole.”

“Grazie” disse semplicemente lei, aprendosi in un largo sorriso.

Prendendo finalmente la parola, Ruak si rivolse al fratello ed esclamò: “Non avresti potuto farci sorpresa più gradita!”

Abbracciandolo con gioia e dandogli sonore pacche sulla schiena, Aken replicò: “E tu a noi. Quando abbiamo saputo del titolo di Eikhe, per poco non siamo svenuti di fronte alla porta della sala.”

Ridendo all’indirizzo di Eikhe, che lo abbracciò subito dopo, Ruak dichiarò: “Non potevo non conferirglielo, visto ciò che ha rappresentato per il Regno. Mi spiace solo che il titolo sia arrivato così in ritardo.”

Sciogliendosi dall’abbraccio, Eikhe si limitò a dire: “Non era necessario, davvero.”

“Più che sì” replicò Ruak prima di volgere lo sguardo verso la moglie e dire: “La mia amata Renke.”

Messe finalmente faccia a faccia, le due donne si studiarono con reciproco interesse e alla fine Renke, fissando maliziosa il cognato, commentò: “E tu sei riuscito a rimanere lontano da una donna simile per così tanto tempo? I miei complimenti, caro. Non ti facevo così tenace.”

“Mi è mancato il tuo spirito, tesoro” ridacchiò Aken, dandole un bacio sulla guancia.

Ammiccando divertita, Renke si rivolse a Eikhe, asserendo: “Lo hai messo a bacchetta subito, per tutto il tempo che non ti ha dedicato attenzioni? Spero di sì!”

Con un risolino, Eikhe scrutò il viso raggiante di Aken e disse: “Per la verità, ha pensato bene di rompersi una caviglia al secondo giorno di permanenza al villaggio, così ha passato un mese a letto, circondato dalle attenzioni di mezzo paese.”

Scoppiando a ridere di gusto, Ruak diede una pacca sulla spalla del fratello.

“E bravo Aken. E dire che ti facevo più furbo!”

“A onor del vero, va detto che l’incidente è occorso perché stava salvando suo figlio dall’attacco di un orso” precisò Eikhe, sorridendo ad Antalion prima di allungare una mano verso di lui perché si avvicinasse a loro.

“Oh, un orso, mio caro? Non un po’ troppo sopra le tue possibilità?” ironizzò caldamente Renke, strizzando l’occhio ad Aken, che ghignò nella sua direzione.

Avvolgendo le spalle del figlio, che aveva ancora un tiepido rossore sulle gote, Aken replicò: “Forse per me, sì, ma non per Antalion. Lo ha steso senza problemi, quando mi ha visto in pericolo. E’ stato bravissimo.”

“Papà, ti prego…” esalò lui, sgranando gli occhi per lo sconcerto quando lo sentì accennare a quel particolare incidente.

Battendo le mani per l’entusiasmo, Renke non badò al suo sconcerto ed esclamò: “Ho un nipote così coraggioso e forte? E’ strepitoso!”

“Beh, no, ecco, veramente…” tentennò Antalion, sempre più in imbarazzo.

Scambiato uno sguardo d’intesa con Eikhe – che annuì alla sua muta domanda – Ruak sorrise benevolmente al nipote e mormorò comprensivo: “Conosco bene cosa può fare una figlia sacra, quindi immagino che, quel che va decantando tuo padre, sia lo stesso tipo di dono, giusto?”

“Sì, Mio Signore” annuì imbarazzato Antalion.

“Zio” precisò con un risolino Ruak. “Non temere, non hai di che sentirti in imbarazzo, con noi, davvero. E neppure la tua attraente amica. Ma potresti fare una cosa per me, se tu volessi, nipote.”

“Dimmi” annuì lesto Antalion, facendosi subito attento.

“Presentami ai tuoi amici lupi, per favore” lo pregò con un sorriso.

Antalion allargò il suo sorriso a quella richiesta e, con un fischio sommesso, chiamò a sé i tre lupi per presentarli formalmente al re.

Inginocchiatosi dinanzi a loro, Ruak accarezzò le loro teste con mano esperta e asserì: “Ne ho sempre voluto uno, sai?”

“Papà sta imparando il loro gergo. Quando avrà compreso correttamente come parlano, potrà averne uno anche lui” spiegò Antalion, sorridendo al padre con orgoglio.

“Cosa che io non potrò mai fare” sospirò afflitto Ruak. “I lupi non sono adatti a vivere in un ambiente chiuso come un castello.”

“Temo di no… zio” tentennò un attimo Antalion, prima di sorridergli timidamente.

Rivolgendosi a Liana, che se ne stava ritta accanto ad Antalion, Renke sorrise e chiese: “Pensi che possa toccare il tuo lupo?”

“Sì, Mia Regina. Nak è docile come un agnellino, quando vuole” poi, rivoltasi al suo lupo, aggiunse: “Sii bravo e fatti toccare dalla signora, va bene?”

Il lupo, per diretta conseguenza, si mise seduto sulle zampe posteriori e lasciò scivolare fuori a penzoloni la lingua, in quella che secondo lui avrebbe dovuto essere un’espressione pacata e tranquilla.

La vista dei canini prominenti fece sollevare un sopracciglio a Renke che, sistematasi la gonna attorno alle gambe nell’accosciarsi accanto al lupo, chiosò ironica: “Se volevi mettermi in ansia, ci sei riuscito.”

Il lupo inclinò il capo con fare interessato, scrutandola con i suoi penetranti occhi mielati e Renke, conquistata suo malgrado da quel faccino peloso color ghiaccio, allungò fiduciosa una mano e accarezzò la testa di Nak.

Sorridendo sorpresa e deliziata quando affondò le dita nella gorgiera morbida, esalò:

“E’… strabiliante! Ruvido all’esterno, quando morbido all’interno. Ed è così caldo!”

Ruak le sorrise eccitato mentre Mykos gli leccava una mano e, ridacchiando, disse: “Sono magnifici, eh?”

“Quello che so è che, quando li vedranno i nostri figli, li vorranno a tutti i costi, e spiegare loro perché non potranno averli, sarà un dramma” sospirò con falsa afflizione Renke, puntando poi lo sguardo verso Luak che, scodinzolante e tutto zampe e testa, stava giocherellando con l’orlo della sua gonna.

“E tu, bellissimo, come ti chiami?” ridacchiò Renke, facendogli un grattino sotto il mento.

Subito, il lupetto fece scivolare fuori la lingua, soddisfatto e, sotto gli occhi ridenti della regina, si rotolò a terra a zampe all’aria.

Scoppiando a ridere, Eikhe si accosciò accanto al suo lupo e disse: “Lui è Luak, ed è il mio nuovo lupo. E’ ancora un cucciolotto, come vedi, e gli piace molto ricevere attenzioni.”

Con un gran sorriso a Eikhe, Renke disse: “Dimmi che posso prenderlo in braccio. E’ davvero adorabile.”

Accentuando il suo sorriso, Eikhe annuì dicendo: “Adora essere preso in braccio, ma ti avverto. Ama anche leccare la faccia.”

“Nessun problema” scosse le spalle Renke, prima di allungarsi verso Luak e sussurrare dolcemente: “Vieni qui, bel cucciolone! La zia Renke ti vuole assolutamente abbracciare!”

Con una torsione fulminea della schiena, Luak si mise ritto sulle zampette e, tutto contento, si fece prendere in braccio da Renke.

La regina sospirò di sorpresa, nel rendersi conto del suo effettivo peso, ed esalò: “Sei un falso magro, mio caro, ma ti voglio bene lo stesso.”

                                             ***
  Seduta comodamente su un divanetto in uno dei piccoli salottini del secondo piano di palazzo, Eikhe sorseggiò del buon vino speziato da un calice a forma di corolla.

Sorridendo gentilmente al cognato, dichiarò: “Un benvenuto migliore non ce lo saremmo aspettati. Come non mi sarei mai aspettata che i tuoi figli non avessero alcun problema nel vedere Antalion. Temevo potessero sentirsi minacciati da lui.”

Scuotendo il capo, Ruak passò distrattamente un braccio attorno alle spalle di Renke che, con movimenti lenti e sinuosi, stava accarezzando la schiena di Luak – seduto sul divano con loro e con il muso poggiato sulle sue gambe.

“Ho cercato di insegnare loro l’umiltà e il rispetto altrui, oltre che un po’ di sana educazione.”

Renke annuì, aggiungendo: “Non ho mai voluto che i nostri bambini fossero dei boriosi figli di papà.”

“E non li sono davvero” annuì con convinzione Aken, prima di sbirciare oltre la porta-finestra e curiosare verso il basso, in direzione del cortile.

Dabbasso, nonostante fosse già sera inoltrata, Antalion, Liana e i figli di Ruak e Renke stavano allegramente giocando a rincorrere Mykos e Nak.

Per nulla impressionati dalle urla dei più piccoli, i lupi saltellavano da un angolo all’altro del cortile con il chiaro intento di non farsi acchiappare.

Le guardie di ronda, tra un controllo e l’altro ai bastioni, assistevano a quell’allegro vociare con dei sorrisi divertiti sul volto.

La bambinaia, invece, se ne stava al limitare del perimetro fortilizio con lo sguardo accigliato e le mani strette dietro la schiena, pronta a intervenire qualora ve ne fosse stato bisogno.

“Stanno ancora inseguendo quei poveri lupi?” esalò Ruak, passandosi una mano sul viso con aria sconcertata.

Ridendo, Aken annuì.

“Dubito che si stancheranno tanto facilmente. I lupi possono andare avanti a correre per ore e ore. Si stancheranno prima i tuoi figli, o i miei.”

“Miei?” ripeté curiosamente Renke, sollevando un sopracciglio con evidente interesse. “Mi era parso di capire che Liana non fosse tua figlia.”

Con un sorrisino, Eikhe intervenne per spiegare ogni cosa.

“Quando i giovani figli del branco lasciano il villaggio senza la presenza dei genitori, ma accompagnati da altri adulti, questi ultimi prendono sotto la loro ala i figli degli amici, considerandoli come dei figli. Per questo, Liana è come se fosse nostra figlia, al momento. Lo sarebbe in ogni caso, ma Aken voleva dire questo.”

“Oh, capisco” annuì Renke, ammiccando all’indirizzo del cognato. “Ti piace fare il papà, allora?”

“Molto. E, tra qualche mese, Antalion avrà veramente un fratello, o una sorella” sorrise orgoglioso Aken, sfiorando il ventre ancora piatto di Eikhe.

Renke fece tanto d’occhi, e così pure Ruak che, preoccupato a morte, esalò: “E tu… tu l’hai fatta viaggiare nonostante tutto? Avresti potuto mandarmi un messaggio in cui mi spiegavi ogni cosa. Avrei capito!”

“Aken, davvero, non pensavo che fossi così sconsiderato!” rincarò la dose Renke, accigliata non meno del marito.

Ridendo suo malgrado, Eikhe corse in soccorso del compagno, replicando bonariamente: “Io sto benissimo, e qualunque donna-lupo può affrontare viaggi simili, anche all’inizio della gravidanza. A maggior ragione una figlia sacra, che ha il Marchio di Hevos a proteggere il bambino.”

Con aria serafica e quasi tronfia, Aken aggiunse: “Le donne-lupo sono più robuste per costituzione, essendo abituate fin da piccole a prendersi cura di loro stesse. Inoltre, crescendo in un luogo più spartano e più pericoloso di questo, si fortificano nel corpo e nello spirito.”

“Vorresti dire che io sono una mammoletta, mio caro?” brontolò Renke, storcendo la bella bocca.

Scoppiando a ridere sommessamente, Aken scosse il capo e si spiegò meglio.

“Non voglio dire questo, carissima, ma Eikhe sarebbe più forte di te anche senza essere una figlia sacra. Lei è stata cresciuta per difendersi da sola, per vivere unicamente con le proprie forze e quelle del suo lupo e,  per quanto tu sia una donna eccezionale e sopra le righe, non hai ricevuto questo tipo di addestramento.”

“Vero” si imbronciò Renke. “Ma non pensi che io sia una mammoletta, giusto?”

“No, cara, per nulla” scosse il capo Aken, con un risolino.

Strizzando l’occhio a Eikhe, che aveva seguito il loro battibecco con interesse e un sorriso stampato in viso, Ruak le disse: “Hanno sempre fatto così.”

“Sono felice di saperlo” ridacchiò Eikhe, fissando ironica il compagno. “Almeno, so che non passavi tutto il tempo a compiangermi.”

“Non tutto, lo ammetto, ma parecchio, sì” precisò Aken, con un mesto sorriso.

“Ora non succederà più che tu debba sentirti così” gli rammentò lei, stringendogli con forza la mano.

Sbuffando, Aken restituì la stretta ma disse: “Ma a che prezzo?”

Accigliandosi immediatamente, Ruak allungò gli avambracci sulle cosce per sporgersi verso il fratello.

“Non osare neppure prenderti la responsabilità di ciò che è successo a nostro padre! Non te lo permetto!”

“Non si troverebbe nel palazzo estivo, se io non avessi voluto seguire i miei desideri” precisò Aken, adombrandosi in viso. “Per quanto io sappia di non aver fatto nulla di male, l’idea di averlo fatto impazzire non può riempirmi di gioia.”

“Non è certo colpa tua!” brontolò Ruak, con uno sbuffo infastidito. “Sono anni che non aveva più una visione reale del suo ruolo, e il modo in cui si è comportato con te, da quando siamo tornati dalla guerra, ne è il più chiaro esempio! Un re saggio non si sarebbe mai imposto a questo modo su nessuno, figurarsi il proprio figlio!”

“Ero l’erede al trono, dopotutto. In fondo, l’ho deluso” precisò Aken, sollevando con acida ironia un sopracciglio.

“Puah! Deluso!” ringhiò Ruak, scuotendo nervosamente una mano. “Lui ha deluso noi! E la mamma! Pensi le facesse piacere vedere come si comportava con te? O con i suoi sottoposti? Era diventato un tiranno, ma gli occhi dei figli sono spesso ciechi, anche di fronte alle evidenze, e ci abbiamo messo anni a comprenderlo. Credimi, non sei tu la causa del suo malessere interiore, ma lui stesso e la sua sete di potere.”

Annuendo all’indirizzo del marito, Renke rincarò la dose con un sorriso comprensivo e aggiunse: “Ruak ha ragione. Da osservatrice esterna, posso parlare con cognizione di causa, e non posso che essere d’accordo con mio marito. Non sei tu il colpevole, Aken.”

“Mi crogiolerò ugualmente nel mio malumore, se permettete. Con discrezione, naturalmente” precisò lui, non appena vide Renke accigliarsi.

Sbuffando contrariata, la regina fissò una divertita Eikhe ed esalò: “Pensavo che, trovandoti, la sua testardaggine sarebbe scemata, ma a quanto vedo è congenita!”

“Decisamente” annuì bonariamente la figlia sacra, fissando poi curiosa la porta del salottino.

Proveniente dal corridoio, una serie di pesanti passi dichiarò a chiare lettere il ritorno dei ragazzi dal cortile.

Pochi attimi dopo, la porta del salotto venne aperta da Meriton – che guidava la lunga carovana di giovani – mentre Naell, sulle spalle di Antalion, esclamava: “Battaglione, alt! Rompete le righe!”

Ruak scoppiò a ridere di fronte ai suoi modi da generale mentre Renke, inorridita dal comportamento ben poco femminile della figlia, esalò sconcertata: “Oh, cielo, Naell! Ma è il modo di trattare tuo cugino?”

Ridacchiando, Antalion afferrò la cugina alla vita e, con un abile movimento di braccia, la fece scendere con facilità.

“Non è pesante, zia. E mi ha fatto piacere farla giocare.”

Tutta contenta, Naell si strinse al cugino ed esclamò: “Grazie, cugino An!”

“Pare vi siate divertiti” commentò Aken, facendo un cenno al figlio di sedersi al suo fianco.

“Molto” ammise Antalion prima di guardare la madre e chiedere: “Tutto bene?”

“Tutto regolare, grazie” annuì lei, prima di spiegare alla coppia reale: “Me lo chiede tutte le sere, per via del bambino in arrivo. Sa essere molto premuroso, quando vuole.”

“Un fratello maggiore davvero degno di nota” annuì compiaciuto Ruak.

Arrossendo copiosamente, Antalion reclinò il capo per l’imbarazzo e sussurrò: “Mi tengo solo informato, tutto qui. Non so davvero se sarò bravo, o meno.”

Avvolgendo le spalle del figlio per dargli coraggio, Aken gli sorrise comprensivo.

“Sarai davvero bravo, ne sono sicuro. E farai in modo che io sia un bravo padre, va bene?”

“Oh, non dubito che lo sarai” commentò Antalion, prima di ammiccare all’indirizzo dei cugini. “Non hanno fatto altro che parlare bene di te.”

“Grazie, ragazzi” ghignò Aken, strizzando l’occhio ai nipoti.

Sedendosi su una poltrona libera e prendendo sulle ginocchia Naell – che la fissava con autentica venerazione – Liana sorrise all’amico e disse: “Ora che sai che non perderai tuo padre, potrai respirare tranquillamente.”

“Liana!” esclamò Antalion, diventando paonazzo.

La famiglia rise sommessamente mentre Aken, stringendo maggiormente le spalle del figlio, si limitò a sorridergli con maggiore enfasi.

“Questo non potrà più succedere, Antalion. Te lo posso giurare su quanto ho di più sacro, nipote.”

“Lo so, zio” annuì il giovane in un sussurro imbarazzatissimo.

“Maschi! Sembra che sia un delitto, ammettere di voler bene a qualcuno!” ridacchiò Liana, strizzando l’occhio a Naell, che annuì con vigore.

“E’ vero! Io voglio bene a Meriton e Staryn, ma loro non me lo dicono mai, se mi vogliono bene!” disse simpaticamente la bambina, mentre i due fratelli la fissavano disgustati.

“Come volevasi dimostrare” chiosò Liana, guadagnandosi per diretta conseguenza un’occhiataccia da Antalion.

Con un sorrisino saputo, Renke le disse: “Il bello di questi uomini, mia cara, è che è più divertente cavargli fuori i loro sentimenti più intimi. Pensa se fossero tutti lacrime e fazzoletti?”

“Per Hevos, no!” esalò lei, prima di scoppiare a ridere con Renke ed Eikhe.

“Perché ho la netta impressione che ci stiano prendendo in giro?” chiese furbamente Ruak, ammiccando al fratello e al nipote.

“Forse perché sono donne?” ipotizzò Aken, sogghignando.

Serafica, Eikhe sentenziò con ironia: “Sia quel che sia, io ho sonno e desidero andare a dormire. Parleremo domani con più calma, e io potrò conoscere meglio i miei nipoti, ma stasera ho davvero bisogno di un cuscino su cui appoggiare la testa.”

Renke le sorrise comprensiva e annuì.

“Sì, sarà il caso che ci ritiriamo tutti per la notte…” poi, prevenendo le proteste dei figli, aggiunse: “… così, domani, zia Eikhe sarà fresca e riposata come una rosa e potrete stressarla a morte finché volete.”

“Vaaa beeeneee!” esclamarono in coro i tre principi, mentre Liana sorrideva divertita.

Messisi in fila indiana, i bambini attesero frementi che i genitori si mettessero in cima al piccolo drappello e Ruak, sorridendo al fratello nel mettersi alla testa della sua famiglia, disse: “Vi ho fatto preparare le stanze nella torre nord,… spero vadano bene.”

“Saranno perfette” annuì Aken, alzandosi in piedi a sua volta.

Nello scrutare Eikhe, il principe rammentò un’altra sera, in un altro tempo, in cui per la prima volta aveva diviso la sua stanza con la donna amata, passando ogni notte con lei senza sapere per quanto ancora avrebbero potuto rimanere insieme.

Ora, quel pericolo non aleggiava più sulle loro teste.

Ora, erano insieme e insieme sarebbero rimasti.

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Capitolo 32
*** cap. 32 ***


 

32.

 

 

 

 

 

La notte era fresca e umida, fuori dalle mura del castello, e il pavimento di pietra ove Liana stava camminando silenziosamente, era freddo sotto le piante dei suoi piedi nudi.

Con passo lesto, si avvicinò alla stanza di Antalion, proprio accanto alla sua e facente parte dei tre appartamenti che si trovavano nell’enorme maschio a nord del palazzo.

Certo, tutto ciò che aveva trovato all’interno della raffinata stanza, le era parso bellissimo ma alla fine, non era neppure riuscita a trovare il coraggio di scostare le preziose coperte ricamate.

Spazientita da tutta l’opulenza che la circondava come un guanto di velluto soffocante, era infine giunta alla decisione di raggiungere Antalion.

Sperava davvero che, per quella notte, avrebbe potuto dormire assieme a lui o, per lo meno, sul pavimento della sua stanza.

La sola idea di starsene da sola in quel luogo sconosciuto, tra oggetti a lei così alieni, le era del tutto insopportabile.

Grazie alla luce offerta dalle rade torce appese ai muri, Liana riuscì infine a raggiungere la porta della stanza di Antalion e lì, dopo aver bussato, attese che lui venisse ad aprire o, per lo meno, che le desse il permesso di entrare.

Neppure tre secondi dopo la porta si aprì e, dinanzi a lei, Antalion comparve con la sorpresa dipinta in viso e una chiara domanda negli occhi.

Sorridendo imbarazzata, gli chiese: “Posso entrare? Il pavimento è freddo, e non ho pensato di mettermi i mocassini.”

“Vieni” si affrettò a dire Antalion, aprendo completamente il battente per farla entrare.

Quando Liana si infilò nella stanza, notò che neppure il giovane era riuscito a prendere sonno.

Ancora vestito e con il letto integro, a muta testimonianza della sua reticenza a utilizzare alcunché di ciò che era stato offerto loro, Antalion la accompagnò fin davanti al camino acceso.

Lì, fattala accomodare su una poltrona, le drappeggiò una calda coperta di lana sulle spalle prima di chiederle: “Come mai ancora in piedi? Credo sia passata da poco la mezzanotte.”

Stringendosi la coperta addosso e inspirando il buon profumo di lavanda che emanava, Liana intrecciò le gambe sul morbido cuscino della poltrona.

Antalion, nel frattempo, si accomodò sul tappeto, a poca distanza dal fuoco sfrigolante.

Scrollando le spalle, alla fine la ragazza ammise: “Non mi sentivo a mio agio.”

Sorridendole comprensivo, Antalion annuì e, scrutando dubbioso l’enorme letto a baldacchino che lo aspettava già da ore, asserì sommessamente: “Neppure io ho avuto il coraggio di usarlo.”

“E’ solo un letto, però…” tentennò Liana, prima di ridacchiare imbarazzata e aggiungere: “… non so, mi sembrava assurdo sciuparlo.”

“Ti capisco più di quanto tu non creda” ammise Antalion.

“Posso rimanere qui con te? Non me la sento di tornare in camera” gli chiese a quel punto Liana, senza remora alcuna.

Con una spallucciata, Antalion annuì.

“Per me puoi rimanere, non ci sono problemi. Non sarebbe la prima volta che dormiamo assieme, dopotutto.”

“Beh, abbiamo sempre dormito nei boschi” precisò lei, arrossendo e guardandosi intorno con espressione accigliata. “Qui è diverso.”

Mordendosi un labbro, Antalion assentì suo malgrado e, sbirciando il viso di Liana, illuminato dalle fiamme altalenanti del camino, la trovò più bella che mai.

Certo, aveva sempre saputo quanto fosse bella e intelligente, ma venire pungolato dalle parole di Meyor, lo aveva messo di fronte a un fatto ormai chiaro.

Teneva a lei, e non solo come amico, e l’idea che qualche altro uomo le avesse messo gli occhi addosso gli aveva dato fastidio.

D’altra parte, non aveva la minima idea di come la pensasse Liana in tal senso, soprattutto in considerazione del fatto che aveva solo quindici anni, e perciò era ancora giovane, troppo giovane per pensare a un legame duraturo.

Non che lui fosse molto più vecchio di lei, visto che ne aveva appena sedici, ma gli sembrava di averne molti di più, quella notte.

Le parole di Meyor gli avevano ronzato nella mente per tutto il giorno e, nel guardarla giocare con i suoi cugini, si era sentito ribollire il sangue all’idea di vederla con qualcuno che non fosse lui.

Aveva dato la colpa di tutto agli immensi cambiamenti di quei giorni, ma non era sicuro che dipendesse solo da questo.

“Antalion?” sussurrò Liana, strappandolo alle sue peregrinazioni mentali.

“Sì?” esalò lui, sperando di non essere arrossito.

“Ti piace questo posto?”

Sorpreso dalla domanda, Antalion si guardò intorno per ammirare la controsoffittatura a cassettoni del soffitto, gli arazzi appesi alle pareti e i mobili di legno scuro riccamente decorati.

Alla fine di quell’esame fatto alla luce altalenante del fuoco, disse sinceramente: “Beh, il palazzo è bello, ma… non credo tu voglia sapere questo, vero?”

Liana si limitò a scuotere il capo e il giovane, raggruppando le gambe per poggiare il mento sulle ginocchia, disse pensieroso: “Non sono sicuro che riuscirei a resistere a lungo, qui. Certo, mi interessa sapere dove è nato e cresciuto papà, e voglio conoscere la sua famiglia, ma il mio posto è tra i monti, indipendentemente dal sangue che scorre nelle mie vene. Mi ha fatto uno strano effetto sentirmi chiamare ‘Sua Altezza Serenissima’, lo ammetto, e per un momento mi è piaciuto, ma poi ne sono rimasto atterrito. Questo posto non è per me.”

“Ne sono felice” gli sorrise lei, scrutandolo con i profondi occhi d’ambra liquida.

Lui rispose al sorriso e replicò: “E tu? Vorresti vivere qui, se ti innamorassi di uno dei soldati?”

Sobbalzando sulla poltrona come se le avessero dato un pizzicotto, Liana lo fissò con tanto d’occhi prima di esalare: “Chi ti ha messo in testa una scemenza simile?!”

Con un risolino, Antalion levò le mani in segno di resa e disse lesto: “Non ho detto che ti sei innamorata di un soldato, Liana. Ti chiedevo se mai ti saresti fermata qui a Rajana, se fosse successo.”

“Assolutamente no! E poi, non mi piace nessun soldato” precisò la ragazza, scuotendo furiosamente il capo.

“D’accordo, ho capito” ridacchiò lui, levandosi in piedi prima di offrirle una mano e dire: “Andiamo a dormire, è meglio.”

Lei si levò dalla poltrona senza accettare la sua mano e, sporgendosi in avanti, lo abbracciò strettamente, mormorando contro il suo petto: “Non farti venire mai più in mente che io possa innamorarmi di qualcuno che non sia tu.”

“Liana” esalò Antalion, sobbalzando leggermente di fronte alle sue parole così spontanee e sicure.

Accentuando la stretta, Liana continuò dicendo: “Sei sempre stato tu, e solo tu, fin dal primo giorno che ci siamo conosciuti. Sapevo che saresti stato tu, e nessun altro.”

Carezzandole gentilmente la lunga treccia che le pendeva sulla schiena, Antalion la strinse delicatamente tra le braccia, sussurrando tra i suoi capelli: “Eri una bambina, quando ci conoscemmo.”

“Certe cose si sanno e basta e, su di te, sono sempre stata sicura” precisò Liana, prima di levare il capo e aggiungere: “Ma, se mai ti innamorerai di una donna che non sarò io, voglio tu sia sincero con me e tu lo dica a me, prima di tutti gli altri. Innanzitutto, io sono tua amica, e voglio saperle certe cose.”

Sorridendole generosamente, le carezzò il viso con il dorso della mano e sussurrò: “Non penso di dover dire altro nome che il tuo.”

Sgranando leggermente gli occhi mentre Antalion calava la bocca sulla sua, Liana si ritrovò a sfiorare quelle labbra che altre volte aveva assaggiato, ma mai con il calore e il trasporto di quella notte.

Non era il solito bacio che lei e Antalion si erano scambiati in quegli anni. No, era molto diverso.

Intenso e struggente, quanto passionale e coinvolgente.

Lentamente quanto inesorabilmente, Antalion le divorò la bocca prima di schiuderla come un fiore al risveglio mattutino.

Preda e predatrice, Liana si lasciò consumare e consumò lui, afferrando i suoi capelli sciolti sulle spalle e trascinando maggiormente verso di sé il viso del giovane, perché il contatto fosse ancor più intenso.

Possessiva, la mano di Antalion risalì lungo la schiena fino a fermarsi sul suo collo e, con un ansito strozzato, approfondì il bacio fin quasi a farle male.

Incurante di tutto, Liana lo afferrò alla tunica con la mano libera prima di scostarsi da lui, prendere fiato ed esalare: “An, un attimo!”

Affondando il viso nell’incavo del suo collo profumato di miele e rosa, Antalion inspirò con forza per un momento, prima di sussurrare contro la sua pelle rovente: “Non andrò oltre, non temere. Non è né il luogo, né il momento adatto.”

Abbozzando una risatina, lei si schiacciò contro il suo torace, sussurrando: “Non intendevo quello… volevo solo dirti che stavo per cadere sulla poltrona.”

Con una gran risata, subito soffocata con una mano per non svegliare i genitori - che dormivano nella stanza accanto - Antalion le sorrise subito dopo.

“A questo punto, però, dubito che riusciremo a dormire nella stessa stanza senza lasciarci andare.”

Liana guardò il muro che li separava dalla camera padronale e Antalion, annuendo, disse: “Credo sia il sistema migliore.”

“Prendo un po’ di coperte” sogghignò Liana prima di voltarsi verso Antalion, sorridere e mormorare: “Grazie.”

“E di che?” ammiccò lui, raggiungendola in prossimità del letto. “Non l’ho fatto per farti un favore, ma perché lo volevo. Solo che non l’avrei mai fatto se tu non fossi stata d’accordo.”

“Sono felice di avertelo detto, allora” sentenziò lei, afferrando un largo cuscino ricamato per lanciarlo tra le braccia di Antalion. “Questo andrà benissimo per stanotte.”

“Sicuro” annuì lui, afferrando  una stola di pelliccia dal copriletto.

***

Con lente carezze circolari sui capelli d’oro di Eikhe, Aken osservava pensieroso il viso addormentato della moglie mentre, in lontananza, una campana suonava il rintocco della prima mezz’ora dopo la mezzanotte.

Erano davvero successe un sacco di cose, in poche ore e, per quanto forte, Eikhe alla fine era crollata.

Certo, Aken sapeva bene che, se lei fosse stata male, non avrebbe esitato a dirglielo, ma vederla così pallida, alla fine del giorno - nonostante lei lo avesse più volte rassicurato - non gli era affatto piaciuto.

Non voleva mettere in dubbio le capacità decisionali di Eikhe, visto che già ci era passata.

Quello che lo assillava era il pensiero che, nel caso specifico, la sua compagna era stata costretta a fare un lungo viaggio a cavallo e che, in quel momento, si trovava in un luogo che lei non amava.

A dirla tutta, sebbene gli fosse piaciuto tornare a casa e riabbracciare i suoi cari, quelle pareti di roccia fredda e l’altisonante agiatezza in cui erano stati immersi fin dal loro arrivo, lo aveva lasciato vagamente stordito.

Possibile che fossero bastati pochi mesi, per cancellare anni di vita passati a palazzo?

A quanto pareva, sì.

Questo la diceva lunga su quanto, anche prima di conoscere Eikhe, si fosse mal trovato nella sua stessa casa.

Quel luogo non gli diceva più nulla e, anche se lì risiedevano persone a lui care, la sua casa era in mezzo alle montagne impervie, nella stretta vallata dove si trovava Hyo-Den, tra le braccia dei suoi amici.

No, il palazzo non era più la sua casa, e forse non lo era mai stata.

Un quieto bussare fece sobbalzare Aken nel letto ed Eikhe, aprendo debolmente gli occhi prima di stropicciarseli con una mano, chiese sonnolenta: “Cosa c’è?”

“Scusa, amore. Vado subito a vedere chi bussa a quest’ora” le sussurrò lui, dandole un bacio sulla guancia rosea, mentre lei gli sorrideva insonnolita.

Scivolato in fretta fuori dalla coltre di lenzuola e pellicce, Aken indossò la sua veste da camera – nella sua stanza erano rimasti molti dei suoi abiti, e della vestaglia si era rimpossessato non appena vi aveva messo piede – prima di raggiungere il battente di quercia in poche, rapide falcate e dire: “Chi è?”

“Papà, sono Antalion. Qui con me c’è anche Liana. Possiamo entrare?” esordì a sorpresa il figlio, sorprendendolo.

Più che mai confuso da quella visita in un orario così antelucano, Aken si affrettò ad aprire la porta solo per trovarsi davanti i due giovani con le braccia ricolme di coperte e cuscini.

Apparivano più che mai imbarazzati e, sui loro volti, era evidente una muta richiesta di soccorso.

 “Avanti, entrate e spiegatemi che ci fate qui fuori, a quest’ora di notte” disse a mezza voce Aken, prima di volgersi verso la moglie e aggiungere: “Abbiamo due profughi alla porta.”

“Come?” esalò Eikhe, sollevandosi a mezzo sul letto per fissare vagamente confusa il figlio e l’amica. “Che succede?”

“Non riuscivamo a dormire nelle nostre stanze” dissero praticamente in coro i due giovani.

Con un risolino, Aken andò a riattizzare il fuoco nel camino e, scostando un paio di poltrone per far loro spazio sul pesante tappeto di pelliccia di orso bianco, propose loro: “Venite ad accucciarvi qui, briganti, e spiegatemi cosa c’era che non andava, nelle vostre camere.”

Accosciatisi a terra quasi all’unisono, i due giovani si avvolsero le spalle con le pesanti coperte e Antalion, presa la parola, ammise: “Beh, le camere erano perfette… ma non ci trovavamo a nostro agio.”

Liana annuì con vigore per confermare le parole dell’amico e Aken, accomodandosi sul bordo del letto con un sorrisino accondiscendente dipinto sul volto, chiosò: “Mi sa che soffriamo tutti dello stesso male.”

“Anche tu?” esalò Liana, sorpresa.

Con un cenno d’assenso, Aken si limitò a dire: “Non sento più mia, questa casa, come voi non sentite vostre le camere che vi sono state assegnate. Per stanotte, potrete dormire qui, ma vorrei un favore da voi.”

“Dicci” annuì Antalion dopo un cenno di assenso da parte di Liana.

“Visto che resteremo qui per un po’, potreste farmi il favore di farvele piacere? Non vorrei che Ruak ci rimanesse male” chiese loro Aken, togliendosi la vestaglia prima di infilarsi a letto.

“Vedremo di abituarci” gli promise Antalion, prima di notare lo sguardo del padre fisso su di lui. “Che c’è?”

Lanciando dubbiose occhiate anche in direzione di Liana, Aken socchiuse leggermente gli occhi prima di sogghignare e celiare: “Dateci un po’ meno dentro con i baci, voi due, oppure aspettate un po’ prima di presentarvi davanti a me, se non volete farvi beccare.”

I due giovani avvamparono in viso mentre Eikhe, poggiandosi su un gomito, fissava i due ragazzi con un ilare sorriso stampato in viso.

“Avete le labbra tumide, e si vede abbastanza bene.”

“Oh, dèi” ansò Liana, coprendosi il viso per la vergogna mentre Antalion scoppiava a ridere di gusto.

Sdraiatasi a sua volta dopo un ultimo sguardo al figlio, Eikhe mormorò sommessamente: “Buonanotte, ragazzi.”

“Buonanotte mamma… papà” sussurrò Antalion, buttandosi a terra per poi coprirsi con la coperta sequestrata dalla sua stanza.

“Buonanotte” mormorò Liana, coprendosi fino alla testa con la pelliccia, troppo imbarazzata per dire altro.

***

Seduta a gambe incrociate sul muricciolo di cinta che divideva il cortile interno di palazzo dall’adiacente campo di addestramento, Eikhe indicò con una mano un roano dalla coda intrecciata e disse: “Ecco, quel cavallo è davvero molto bello, così bardato, ma credete che quell’acconciatura sia utile, per lui?”

I tre figli del re la fissarono attentamente in volto, mentre Renke sorrideva alla cognata.

Ammiccando all’indirizzo dei suoi attenti allievi, continuò nella sua breve lezione.

“A cosa serve la coda?”

“Per l’equilibrio?” provò a dire Meriton, l’aria accigliata e l’indice della mano destra che picchiettava pensieroso sul mento.

“Nient’altro? Pensate a cosa è solito fare, con la coda” li spronò Eikhe, con un sorrisino.

“Le mosche?” tentò allora Naell, la faccia aggrottata e seria.

“Con la coda intrecciata, non potrebbe scacciare le mosche” aggiunse Staryn, sorridendo alla sorellina minore.

“Bene. Siete attenti osservatori” annuì compiaciuta la figlia sacra prima di veder comparire Antalion e Liana sul campo di addestramento. “Ora, invece, guardate come stanno a cavallo dei figli del branco, e noterete subito una differenza sostanziale.”

“Perché vi chiamate figli del branco, zia Eikhe?” chiese Naell, avvicinandola per salirle in braccio.

Sciolte le gambe per prendere in spalla la nipote più piccola, Eikhe osservò il figlio e l’amica esibirsi in un giro di pista al trotto, prima di passare al galoppo sostenuto, mantenendo le mani saldamente attaccate al collo dell’animale tramite la criniera.

Il sole splendeva gagliardo sulla città, quel giorno e, dopo una buona notte di riposo, Eikhe non si sentiva più così oppressa da Rajana e dalle sue costruzioni come le era successo il giorno precedente.

Certo, essere tra quattro mura ancora non le piaceva, ma il senso di soffocamento era decisamente diminuito, anche grazie ai bambini di Ruak e Renke.

Fin dalla prima colazione, si erano dimostrati interessati a lei e al suo stile di vita e, letteralmente, Naell le era parsa affascinata dal modo in cui lei e Liana indossavano i loro abiti di pelle.

Renke aveva sorriso con condiscendenza alla figlia che, per tutta la durata del pasto, l’aveva bombardata di richieste più o meno impossibili.

Alla fine, sospirando, la regina aveva pregato la figlia di smetterla con i desideri irrealizzabili e la bimba, messo il broncio, si era rifugiata dalla zia, chiedendole il permesso di vestire come lei.

A quella richiesta, il re era scoppiato a ridere di gusto mentre Renke, accigliandosi, l’aveva pregato di contenersi nelle uscite e spiegare alla figlia i vari perché che le impedivano di utilizzare un tale vestiario.

Eikhe non sapeva bene se quella di Naell fosse una semplice presa di posizione data dalla novità, o  un sincero desiderio – avendo solo sei anni, era troppo piccola per comprendere appieno il ruolo di una donna-lupo.

Per venire incontro alle preoccupazioni della regina, aveva spiegato alla bambina che, per potersi abbigliare a quel modo, si dovevano superare diverse prove molto difficili.

Non convinta, Naell aveva chiesto quali fossero ed Eikhe, con un risolino, le aveva detto che, prima di ogni altra cosa, avrebbe dovuto saper vivere all’aperto, senza servitù e senza guardie a proteggerla.

La cosa l’aveva raffreddata subito e, mogia, era tornata al suo posto, pur con la fronte aggrottata e l’aria pensierosa.

Ora, ferme in contemplazione delle esibizioni ippiche del cugino e della sua amica, Naell era tornata all’attacco.

Con un dolce sorriso, Eikhe le carezzò i capelli sericei e sciolti sulle spalle prima di dirle: “Noi ci consideriamo figli e figlie del branco perché viviamo come i nostri lupi. Ognuno di noi aiuta l’altro, e tutti e tutte seguiamo il nostro capo, il nostro lupo alfa, per così dire.”

Annuendo, Naell le chiese ancora: “Ma voi siete sudditi di mio papà, vero?”

“Certo, sudditi fedeli, direi” le sorrise la donna. “Ma, nel nostro villaggio, siamo agli ordini della nostra Signora.”

“Ed è buona come papà?”

Con un risolino, Eikhe asserì: “Direi di sì. E’ incisiva quando serve, ma generosa di cuore come di spirito. Conobbe tuo padre quando era ancora giovane,… all’epoca, aveva solo qualche anno più di mio figlio.”

“Davvero?” esalò Naell facendo tanto d’occhi.

Meriton e Staryn si avvicinarono ulteriormente alla zia e Renke, accomodandosi al suo fianco, le domandò: “Raccontaci un po’ di questo giovane Ruak. Sono curiosa di sentire la sua storia.”

“Vi racconterò del mio primo incontro con Ruak, e di come le mie sorelle combatterono al suo fianco e a quello di Aken” spiegò allora Eikhe, prima di sollevare una mano a salutare il compagno che, affacciato alla finestra dello studio del fratello, li stava osservando pensieroso.

Subito dopo averlo salutato, Eikhe iniziò il suo racconto e Aken, richiusasi la finestra alle spalle, tornò a volgere lo sguardo in direzione del fratello.

“C’è qualcos’altro che devo firmare?”

“Direi di no, anche se non sono del tutto sicuro che sia giusto ciò che hai fatto” precisò Ruak, accomodandosi dietro il suo scrittoio di legno scuro.

Con un leggero sospiro, Aken si sedette su una larga poltrona ricoperta di candido velluto color panna e disse serio: “Non penso proprio che mi occorra un palazzo di campagna, e neppure la mia scuderia di stalloni. Come sono più che sicuro che non mi interessino i vari possedimenti terrieri intestati a me, o le mie vigne. Viviamo una vita semplice, su al nord, Ruak, e tutte queste cose non hanno alcuna importanza, per noi.”

“Non credi che quest’eredità andrebbe lasciata ai tuoi figli?” ci tenne a dire Ruak, tamburellando le dita sul foglio pergamenato che Aken aveva appena firmato in calce.

“Gliene ho parlato stamattina, poco prima di scendere a fare colazione” gli spiegò Aken. “Sapevo già che mi avresti chiesto di sistemare l’aspetto burocratico della mia fuga da palazzo, e così mi sono informato sulle intenzioni di Antalion.”

“E lui ha deciso così, su due piedi!?” esalò Ruak, vagamente sorpreso.

Aken abbozzò un sorrisino e asserì: “I beni di cui abbiamo bisogno, li possediamo già. Non abbiamo bisogno di oro o di terre, né di tutto ciò che essi comportano.”

“Ho comunque predisposto che una parte del tesoro reale sia destinata a lui e a tutti i tuoi futuri figli…” lo informò Ruak, sorprendendo non poco il fratello. “…perché, checché tu ne dica, loro sono e rimangono dei principi, e io mi sentirei un mostro a non trattarli al pari dei miei. Me lo concederai, come zio?”

Abbozzando una risatina, Aken assentì: “Se ti fa sentire meglio, fai pure.”

“Molto bene, allora. Manterranno il titolo di Altezze Reali, ma senza terreni annessi e patrimoni immobiliari” decretò Ruak prima di arrotolare la pergamena e chiuderla con alcune gocce di ceralacca, che sigillò con il suo anello reale.

Fatto ciò, suonò la campanellina d’argento che si trovava sul sottobraccio in cuoio della sua scrivania, per chiamare il suo paggio personale.

Dopo alcuni attimi, si presentò nello studio oltrepassando in silenzio la porta d’entrata prima d’inchinarsi e chiedere: “Desiderate, Vostra Maestà?”

“Consegna questo all’Ufficio del Registro e di’ a Mastro Kaitel di riporlo nella documentazione riguardante mio fratello” gli spiegò Ruak, consegnandoglielo.

“Sarà fatto, Vostra Maestà…” sussurrò il giovane prima di inchinarsi anche di fronte ad Aken e aggiungere: “Vostra Altezza…”

In silenzio com’era venuto, il paggio se ne andò e Aken, sospirando lievemente, esalò: “Dèi, pochi mesi di mancanza da palazzo, e già certe smancerie mi mettono a disagio.”

Ridendo suo malgrado, Ruak poggiò un gomito sulla scrivania e chiosò: “Ti hanno sempre messo a disagio, se ben ricordi. Ora, la faccenda si è solo acuita.”

“Già” annuì lui, lanciando uno sguardo in direzione dell’orizzonte sereno e delle lontane montagne.

Un lievissimo velo di nebbia adombrava le vette e, mentre un falco si librava libero nel cielo, in corrispondenza del giardino pubblico di Rajana, Aken disse sommessamente: “Non ho mai fatto veramente parte di tutto questo.”

“In effetti, no” ammise Ruak, fissando intensamente il fratello. “Ve ne andrete presto.”

“Non me lo stai domandando” sogghignò Aken.

“Te lo leggo in faccia, come lo leggo sul viso di Eikhe e dei ragazzi. Vi manca da impazzire casa vostra, e stare qui vi sta stretto. Ma vi ringrazio per aver detto ai miei figli che sareste rimasti per un mese. Penso gli farà bene stare in vostra compagnia” dichiarò Ruak, con sincero affetto.

Passandosi le mani tra i folti capelli sciolti sulle spalle, Aken esalò: “La cosa che mi mette più in ansia di questo mese qui, onestamente, è l’idea di rivedere Melantha, visto soprattutto come aveva trattato a suo tempo Eikhe.”

“E’ cambiata, e tu lo sai” precisò Ruak, prima di volgere lo sguardo in direzione della porta non appena sentì bussare. “Sì, chi è?”

“Tua madre, caro”  esordì Anladi, aprendo lentamente la porta per entrare.

Pur apparendo stanca e con il viso segnato da una precoce vecchiaia che non combaciava con la sua età, Anladi mostrava ancora un riflesso della bellezza di un tempo.

Purtroppo, essa era velata dai troppi dolori e dal ruolo che essa stessa aveva avuto nel crollo del suo matrimonio, e del rapporto con il marito.

Confinato nel palazzo estivo di Elion, Arkan non l’aveva più voluta vedere.

Fin da quando era stato condotto via dalla Sala del Concilio per mano degli stessi armigeri che, fino al giorno precedente, lui aveva guidato con mano fin troppo ferma, Anladi era stata rifiutata ogni volta.

Non volendo esacerbare più del dovuto il marito, si era attenuta alle sue richieste, lasciando che a badare a lui pensassero i medici di corte.

Non v’era mai stato amore profondo, tra loro, ma la sua mancanza da palazzo le pesava non poco, e ricominciare una vita da sola le sembrava quasi assurdo.

Non era vedova, ma era come se lo fosse.

Davvero un assurdo paradosso.

Aken e Ruak si  levarono dalle poltrone in cui erano accomodati per inchinarsi formalmente a lei, prima di baciarla a turno sulle guance.

Sorridendo loro nel sedersi sul divanetto vicino alle larghe finestre dell’ufficio, Anladi scrutò dabbasso prima di dire: “Eikhe ha conquistato i suoi nipoti, a quanto vedo.”

“E’ una piacevole novità, per loro” ammise Ruak, con un risolino. “Sono soliti vedere sempre le stesse persone e, di sicuro, questa è una ventata d’aria fresca nelle loro vite. E anche nella mia e di Renke.”

Con un cenno d’assenso, Anladi sorrise ad Aken, dicendogli: “Mi ha fatto piacere vedere che Eikhe indossava il mio regalo. Dimmi, le camere andavano bene per tutta la tua famiglia?”

Aken ridacchiò per un momento prima di dirle: “Abbiamo avuto una piccola defezione, ieri notte, ma penso che i problemi siano più o meno risolti. Si sentivano un po’ a disagio, in tutto quel lusso.”

Sinceramente sorpresa, Anladi si aprì in un sorriso divertito, esalando: “Oh, cielo! Dici che ho esagerato? Forse dovrei togliere qualcosa dalle loro stanze?”

“Tranquilla. Ho parlato sia con An che con Liana, e ora sono più tranquilli, ma li capisco. Ero a disagio anch’io, lo ammetto” scrollò le spalle Aken, con un ghigno stampato in viso.

Guardandolo con amorevole comprensione, Anladi annuì e disse sommessamente: “Questo palazzo ti è sempre stato stretto, fin da quando eri giovane, per cui non mi stupisce che, pochi mesi di libertà, ti abbiano cambiato tanto” poi, indicando l’abito di pelle del figlio, aggiunse: “Lo ha fatto Eikhe?”

“Sì. Quando Kannor è arrivato a Marhna, stavamo festeggiando il matrimonio del fratellastro di Eikhe, e così ci siamo tirati dietro gli abiti da cerimonia” le spiegò Aken, tirando una delle frange dei pantaloni con aria distratta. “Ho pensato che indossarlo mentre eravamo a palazzo, fosse carino. Faccio la mia figura, dopotutto.”

Ruak ridacchiò, annuendo.

“Di sicuro, non appena le damigelle di corte ti vedranno, cadranno ai tuoi piedi ancor più di prima.”

“Dubito che Eikhe glielo permetterà” replicò Aken, ghignando. “Da quando è incinta, è ancora più nervosa del solito, e se solo qualcuna si azzarderà ad avvicinarsi a me, tirerà fuori gli artigli senza permetterle di dire ‘bah’, puoi scommetterci.”

I due fratelli esplosero in una calda risata mentre Anladi, sorpresa da quella notizia, si volse a fissare il figlio adottivo, esalando: “Eikhe è incinta? Oh, dèi! E tu l’hai portata fino a qui da Marhna?!”

Affabile, il figlio maggiore le spiegò: “Come ho detto a Ruak, lei è una donna robusta, anche se la struttura fisica così slanciata potrebbe smentire le mie parole. Inoltre, il Marchio di Hevos protegge il bambino, per cui Eikhe non ha avuto alcun problema ad affrontare questo viaggio. Certo, si stanca prima ed è più irritabile, ma sta bene.”

“Lo spero per te, figliolo, o potrei decidere di sculacciarti anche se hai più di quarant’anni” brontolò Anladi con fiero cipiglio.

“Se non mi credi, chiedi a lei” replicò Aken, con un’alzata di spalle prima di alzarsi dalla poltrona e dirle: “Stai tranquilla, madre, Eikhe sta bene e, se ne avremo la possibilità, torneremo qui per farti conoscere il tuo ennesimo nipote.”

“Ne sarei lieta” annuì a quel punto Anladi,  salutandolo quando lo vide procedere verso la porta per uscire.

Rimasta sola con Ruak, Anladi lo fissò in silenzio per un attimo prima di chiedergli: “Ha rinunciato a tutto, vero?”

“Alle terre, ai possedimenti… tutto. Ha mantenuto il titolo di Altezza Reale, soprattutto per i figli, ma non ha più possedimenti o appannaggi di alcun genere” annuì torvo Ruak, intrecciando le dita sul sottobraccio ci pelle della scrivania. “E’ un figlio del branco del villaggio di Hyo-Den, tutto qui.”

“Se per lui è sufficiente, lo sarà anche per noi. Nel nostro cuore, le cose non sono cambiate affatto” si limitò a dire Anladi, con quieta sicurezza.


 

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Capitolo 33
*** cap. 33 ***


33.

 

 

 

 

 

Il suono delle trombe delle porte a ovest della città di Rajana, furono il primo segnale dell’arrivo della famiglia reale di Karton.

Il veloce formicolare di paggi, domestici e guardie, fu il secondo.

Seduto comodamente su uno dei merli del muro di cinta di palazzo, lo sguardo perso sull’orizzonte leggermente velato di nebbia, Aken lanciò uno sguardo al soldato di ronda che gli stava al fianco e, ammiccando, sentenziò: “La mia regale sorella è infine giunta, a quanto pare.”

“Così sembrerebbe, Vostra Altezza” annuì l’alabardiere prima di allungargli una mano per aiutarlo a scendere dalla merlatura, così da rimettere i piedi sul più sicuro ponte di pietra su cui lui si trovava.

Atterrando sulle pietre scure con un lieve fruscio di pelli, Aken ringraziò il soldato per l’aiuto prima di ripercorrere il camminamento verso la porta in legno che conduceva all’interno del maschio occidentale del maniero.

Da lì, imboccò le scale che lo avrebbero portato fino al corpo principale del castello.

Discesi i gradini di roccia a due a due, Aken si ritrovò ben presto al quarto piano del maniero, dove si trovavano le camere della famiglia reale.

Fermo sul ballatoio da cui si poteva scorgere l’ampio ingresso dabbasso, trovò il fratello Ruak, intento a scrutare la servitù mentre deponeva i tappeti rossi all’entrata e drappeggiava le bandiere dello Stato di Karton accanto ai portoni d’entrata.

Messosi al suo fianco per ammirare quello spettacolo di efficienza e perfetta sincronizzazione, Aken disse al fratello: “Spiegami ancora una volta perché si ostinano a farlo all’ultimo minuto.”

“Perché dicono che, altrimenti, il tappeto si ricoprirebbe della sottile patina di polvere che proviene dal cortile, e questo inficerebbe sul bel color amaranto di cui è composto quel mostruoso serpentone che stanno distendendo con tanta facilità” gli spiegò Ruak con un mezzo sorriso divertito.

“Oh, dèi! Non sia mai che succeda!” esclamò Aken, fingendosi inorridito prima di scoppiare a ridere e chiedergli: “Ma hai detto loro che non farebbe alcuna differenza? Si sporcherà in ogni caso.”

Con una spallucciata, il sovrano si limitò a dirgli: “Non mi hanno ascoltato. Pretendono che tutto sia perfetto, e chi sono io per dire loro di no?”

Aken si liberò in una risata che coinvolse anche il fratello, abbigliato quel giorno con un semplice completo tunica e pantaloni nero e oro.

I sottili ricami dorati che impreziosivano il colletto e le maniche della severa e lunga tunica al ginocchio, brillavano timidi alla luce delle lanterne appese alle pareti.

“Come mai così informale, fratello?” gli chiese con un mezzo sorriso Aken, mentre iniziavano a discendere le scale per raggiungere l’atrio di palazzo.

“Era nostro padre ad amare le frivolezze. Io preferisco i vestiti più sobri” spiegò succintamente Ruak, lasciando che la mano scivolasse leggera sul mancorrente in ferro brunito.

Quando raggiunsero infine il pian terreno, l’orda perfettamente coordinata della servitù era ormai rientrata nelle rispettive stanze di competenza.

Nell’enorme atrio così allestito, restarono soltanto gli alabardieri in alta uniforme, oltra al paggio che avrebbe presentato l’entrata dei reali di Karton.

Renke e i bambini erano fuori nel cortile, in quel momento, mentre Eikhe, Antalion e Liana, silenziosi come ombre, attendevano nell’atrio l’arrivo dei parenti di Aken.

Scusandosi con Ruak, che si avviò all’esterno per andare a controllare che i figli non finissero con lo sporcarsi prima dell’arrivo degli zii, Aken raggiunse la sua famiglia.

“Come mai vi siete nascosti qui?”

“Non ci siamo nascosti. Abbiamo evitato di venire travolti dalla servitù” precisò Eikhe, sorridendogli nell’afferrare la sua mano protesa. “Se avessimo anche solo tentato un qualsiasi movimento, ci avrebbero sicuramente steso assieme a questo gigantesco tappeto.”

Come darle torto?

Aveva ben visto anche lui con quanta maniacale - e militare - precisione si fossero mossi i domestici.

Qualunque cosa si fosse trovata sulla loro strada in quel momento, loro l’avrebbero travolta senza tanti complimenti, fosse anche la nuova Eroina del Regno.

Appoggiato alla colonna e con le gambe intrecciate al pari delle braccia, Antalion chiese al padre: “Come dovremo comportarci, in questo caso?”

“Sono d’accordo con Ruak di incontrare Melantha e la sua famiglia nel Salottino Azzurro. Preferisco evitare questo genere di eventi non meno di voi” riferì Aken, guardandosi intorno prima di individuare un lacchè.

Fattogli segno di avvicinarsi, gli disse: “Riferisci a Sua Maestà che lo attenderemo nel Salottino Azzurro, come da accordi.”

“Sarà fatto, Vostra Altezza” annuì compito il giovane prima di sgattaiolare via a un’andatura a metà strada tra il passo veloce e la corsa, pur senza apparire trasandato o scomposto.

“Ma come fanno?” esalò Liana, facendo tanto d’occhi. “Glielo insegnano a scuola, per caso? Non uno che abbia una cadenza di corsa diversa dall’altro. Vanno tutti a quella velocità.”

“Si chiama efficienza sul lavoro, Liana, e qui a palazzo è, o meglio, era vitale, se non volevi incorrere in una tirata d’orecchi da parte di mio padre” ghignò Aken con una certa acredine nel tono di voce. “Ora che c’è mio fratello al governo, le cose cambieranno, ma è dura togliere un’abitudine quando è molto radicata.”

“Ah” borbottò la ragazza, continuando a osservare perplessa la figura ormai lontana del lacchè.

“Vogliamo andare?” propose a quel punto il principe, non avendo altro da fare in quel posto in particolare, se non continuare a osservare l’atrio tirato a lucido.

All’unisono, annuirono e lo seguirono in fila indiana per raggiungere il salotto al primo piano, ove avrebbero incontrato in separata sede la famiglia reale di Karton.

Aken non sapeva davvero cosa aspettarsi né, tantomeno, quali sarebbero state le reazioni delle due donne che maggiormente lo preoccupavano; Eikhe e Melantha.

Di certo, il loro primo incontro non era stato dei più idilliaci e, il proseguo della loro ‘relazione’, non era stato meraviglioso.

Dire che si erano guardate in cagnesco per la maggior parte del tempo, era un eufemismo.

Sì, Eikhe le aveva regalato quell’occhio di lupo, prima di partire, e Melantha l’aveva tenuto al pari di una reliquia, ma trovarsele entrambe in una stanza, era altro affare.

Sperava soltanto che, con la maturità, Melantha si fosse ammorbidita, e che Eikhe non avesse intenzione di fargliela pagare per gli sgarri subiti in passato.

Quando aprì la porta del salotto, vi trovò ad attenderli la regina, come sempre vestita di scuro e con il viso oscurato da  una veletta color blu notte.

Non era un abito da lutto, ma ci si avvicinava davvero molto.

Salutatala con un bacio e una stretta gentile alla spalla, Aken le sedette al fianco sul divanetto color cielo mentre la sua famiglia si accomodava sulle poltroncine nei pressi dell’enorme porta finestra che dava sul cortile.

Preoccupato, il principe chiese: “Madre, non ti senti bene? Ti vedo più pallida del solito.”

Un esile sorriso tese le sue labbra esangui e Anladi, scuotendo debolmente il capo, si limitò a dire: “Non preoccuparti per me, tesoro. Va tutto bene.”

Non del tutto convinto, Aken le strinse con forza una mano ricoperta di fine pizzo scuro e domandò nuovamente: “Non me la dai a bere così facilmente. Ti ripeto; cosa succede?”

Anladi sospirò pesantemente mentre le sue dita stringevano convulsamente quelle del figlio e, flebili, le parole scivolarono dalla sua bocca formando una frase che sconcertò all’inverosimile Aken.

“Tuo padre è entrato in coma questa notte. Stamani, ho ricevuto un messaggio dal falconiere reale di stanza a Elion, che mi informava delle sue condizioni di salute. Il medico ha indetto le quaranta ore di preghiera per il deposto regnante, ma ho preferito non dire nulla a Ruak, né desidero che tu gli dica alcunché, almeno finché Melantha non sarà qui.”

Se Antalion e Liana mostrarono il loro dispiacere con il pallore dei loro volti e le bocche atteggiate a un mesto broncio, Eikhe si affrettò ad alzarsi per raggiungere Aken.

Avvertendo la mano dell’amata sulla sua spalla, si volse a mezzo per sorriderle.

“Sto bene, tranquilla.”

Eike accennò un sorriso prima di inginocchiarsi accanto a lui, poggiare il capo sulle sue ginocchia e, in un sussurro, dire: “Se tu lo vorrai, intoneremo il canto delle donne-lupo per le anime in transito.”

La carezza che scivolò sui suoi capelli stretti in una treccia fu leggera come le ali di una farfalla, quasi come la voce che uscì dalla bocca di Aken.

“Grazie.”

Non disse altro, e a Eikhe non servì udire altro.

Con un bacio leggero al ginocchio di Aken, Eikhe si risollevò prima di fare un cenno ai due giovani, già pronti a seguirla.

In fretta, presero uno dei candelabri poggiati sopra il camino e lo posizionarono verso est, dove il sole reclina ogni sera dietro i monti.

Inginocchiatisi l’uno accanto all’altro, inclinarono verso terra i loro volti e cominciarono a cantare sommessamente.

Anladi e Aken si alzarono per raggiungerli mentre Eikhe, preso un bastoncino dal fuoco sfrigolante nel camino, iniziò a dire con la sua brillante voce di contralto:

 

“L’alba è ormai lontana, dispersa oltre le nubi che si addensano

nel cielo all’imbrunire.”

 

Con uno svolazzo compiuto con mano abile, Eikhe accese la prima delle tre candele del candelabro, dopodiché si piegò su se stessa fino a poggiare il capo sulle ginocchia, in posa penitente e sottomessa.

Liana fu la seconda a intonare il canto e, preso esempio da Eikhe, afferrò un secondo stoppino e disse con voce sottile e leggermente tremante:

 

“L’imbrunire avvolge ogni cosa, dal palazzo del ricco signore al misero

tugurio del povero contadino.”

 

Come in precedenza, anche Liana accese con gesto elegante la seconda candela, prima di sistemarsi in posa postulante non meno di Eikhe.

Dopo un momento passato a osservare le figure ricurve e immobili delle due donne, prese il suo stoppino e recitò con voce baritonale e magistralmente intonata:

 

“Contadino o ricco signore, l’ala di Haaron scenda su di te con clemenza

e sia aperto per te un regno di luce, ove la tenebra non possa mai

mettere piede. Sia questo il mio augurio per te, anima che ti

accingi a seguire la via ultima e più difficile tra tutte.”

 

Dopo aver recitato la frase di rito, anche Antalion accese la candela e si piegò in avanti, prostrandosi dinanzi al candelabro acceso e alle fiamme ardenti del camino.

Silenzioso spettatore assieme alla madre, Aken tratteneva a stento lacrime che si era ripromesso non avrebbe mai e poi mai versato per il padre.

Non perché non l’avesse amato, ma perché l’Arkan che lui conservava nel cuore non era lo stesso uomo che stava rendendo l’anima agli dèi in quelle ore.

Quell’uomo tanto adorato, lui lo aveva perso anni addietro, forse nel momento stesso in cui la sua vera madre era morta, e Arkan lo aveva definitivamente chiuso fuori dalla sua vita.

Lui era stato niente più che un oggetto per perpetrare il suo dominio, per il padre, da quel giorno in poi.

Le lacrime per quel vecchio Arkan, che lo prendeva in braccio e lo coccolava durante le infreddature, o dopo un brutto sogno, le aveva già piante a suo tempo.

Per questo Arkan, non ve n’erano più, anche se si sentiva male al solo pensarlo.

Dopo un minuto circa dal momento in cui anche Antalion si era piegato in avanti per prostrarsi di fronte al Signore dei Morti, i tre figli del branco si levarono in ginocchio.

All’unisono, soffiarono sulle tre candele, lasciando che il fumo scuro e lieve si innalzasse sopra di loro, formando una leggera nuvoletta opaca.

In quel mentre, le trombe suonarono a festa nel cortile di palazzo e Aken, aiutando Eikhe a rimettersi in piedi, sussurrò: “Sono giunti.”

***

Quando la porta del salottino si aprì, un bambino sui sette anni entrò trotterellando prima di fermarsi di botto nel notare persone che non conosceva assieme alla nonna e allo zio.

Bloccato a metà dell’entrata, il bimbo si volse per guardarsi alle spalle, dove lo attendeva paziente il padre, il principe Mynias che, sorridendogli beffardo, gli chiese: “Cosa ha frenato la tua baldanza, Kregan?”

Sollevato il mento con fierezza, Kregan dichiarò impettito: “Nulla, padre. Ma si conviene che un principe, quando entra in una stanza già occupata, saluti i suoi ospiti, prima di proseguire.”

Cercando di trattenere un risolino, il principe annuì con enfasi e, con un gesto elegante della mano, indicò i presenti strizzando l’occhio ad Aken.

“Ebbene? Saluta i nostri gentili ospiti.”

Raddrizzatosi e sistematosi la corta tunica blu scuro a ricami argentati che indossava, il principe Kregan, terzogenito del regno di Karton, disse con voce ben impostata: “Ben trovata, nonna Anladi e zio Aken. Sono lieto di vedervi e di salutare i vostri ospiti.”

Con una calda risata di gola, Mynias si decise a entrare, dando una pacca sulla spalla al figlioletto.

Allungata poi una mano in direzione del vecchio amico che, nel frattempo, si era levato dal divano, esordì dicendo: “E’ un piacere rivederti, Aken, e devo supporre dal tuo vestiario, e dalla gentile signora che vedo accanto alla finestra, che la tua Cerca abbia avuto buon fine.”

“Direi di sì” ammiccò Aken, prima di veder entrare nel salotto i due gemelli, Berhen ed Elren, e Melantha, che teneva in braccio il piccolo Aken.

Dietro di loro, si trovavano Ruak e la sua famiglia, che pensarono a chiudere la porta alle loro spalle.

Con una breve riverenza, Melantha sorrise al fratellastro prima di dire: “Ben trovato, fratello. Sono lieta di rivederti dopo tanto tempo e…”

Interrompendosi non appena lo sguardo le cadde su Eikhe e due giovani che non conosceva, accentuò il suo sorriso mescolandolo con l’aperta sorpresa. “… e sono affascinata nello scoprire che ho un nipote già così grande e così affascinante. O sono due?”

Antalion si limitò a sorridere impacciato prima di reclinare il capo ossequioso mentre Eikhe, muta, la scrutava dubbiosa, indecisa sul da farsi.

Pensò Melantha a riempire quel vuoto imbarazzato.

Lasciato al marito il piccolo Aken, si avventurò oltre la selva di persone che le dividevano e, una volta di fronte a lei, allungò  una mano – cosa più che mai inusitata, tra la nobiltà – e disse sommessamente: “Sono Melantha, figlia di Arkan di Rajana. Non ci hanno mai presentate formalmente.”

Vagamente sorpresa da quel gesto davvero inaspettato, Eikhe tentennò solo un attimo prima di riscuotersi e allungare una mano verso di lei per stringere quella della donna. “Io sono Eikhe di Nestar, molto piacere, Altezza.”

Quando le loro mani si incontrarono, Eikhe trovò ad attenderla  una stretta vigorosa, sicura di sé e, a sorpresa, gli occhi si posarono su un oggetto che mai si sarebbe aspettata di vedere.

Piccolo e solitario, l’occhio di lupo che, tanti anni addietro, Eikhe aveva donato a Melantha, pencolava da un bracciale in argento intrecciato e di mirabile fattura.

“Lo hai tenuto?” mormorò sorpresa la figlia sacra, vedendo annuire la principessa.

“Non l’ho mai tolto, e Mynias può esserne testimone” le sorrise appena la donna, ammiccando all’indirizzo del marito, che assentì.

L’attimo dopo, Melantha si aprì in un sospiro di sollievo, esalando: “Dèi, ero terrorizzata da questo momento! Non sapevo come l’avresti presa, se mi avresti insultato – come meritavo, aggiungo – o se mi avresti mandato contro uno dei lupi che ho visto nel cortile di addestramento dei cavalieri!”

Un coro generale di risate scaturì dopo l’uscita a sorpresa di Melantha mentre Eikhe, sempre più sgomenta, esalò: “Oh… cielo… no, non l’avrei mai fatto!”

“Meno male!” sospirò Melantha, prima di tornare seria e voltarsi in direzione del nipote per dire: “Assomigli davvero molto a tuo padre, ma gli occhi sono tutti di tua madre. Qual è dunque il tuo nome, giovane figlio del branco?”

Vagamente sorpreso, il ragazzo disse: “Il mio nome è Antalion, Altezza.”

Un ‘ma che le è successo?’ comparve a caratteri cubitali sul viso di Eikhe mentre osservava il suo compagno e Aken, facendo spallucce, non seppe che rispondere.

Avvicinandosi alla moglie con un gran sorrisone sulle labbra, Mynias avvolse con un braccio la vita sottile di Melantha e, rivolgendosi a Eikhe, asserì: “Finalmente posso conoscere la donna che ha stregato il mio vecchio amico, e posso dire che ha davvero buon gusto. E’ un onore conoscerti, Eikhe. O dovrei chiamarti Eroina del Regno?”

“Eikhe basta e avanza, Altezza” replicò con un sorriso la donna.

“Cognato, mia cara. E la splendida fanciulla con voi, chi è? La sorellina di Antalion, forse?” chiese Mynias, strizzando l’occhio ad Aken.

“Una nostra amica di nome Liana” spiegò la figlia sacra, mentre la ragazza si inchinava compita.

“I tuoi sudditi nascondono bellezze sopraffine, mio caro Ruak. Sono un po’ invidioso” commentò a quel punto Mynias, facendo sorgere un nuovo accesso di risa tra i presenti.

Dopo quell’inizio davvero insolito, la famiglia si accomodò, chi sui divani, chi sulle sedie presenti nel salotto.

Mentre tè e pasticcini venivano serviti, un pacco venne consegnato alla coppia reale di Karton da un valletto in livrea, che si dileguò un secondo dopo senza il minimo rumore.

Melantha e Mynias si scambiarono un’occhiata d’intesa, prima di ricominciare a parlare del più e del meno con la famiglia.

Berhen, l’erede dei reali di Karton e sua sorella gemella Elren, invece, dialogavano con interesse assieme al cugino e a Liana.

Spostatisi sul balcone assieme ai cugini più piccoli – con l’eccezione di Aken, rimasto in braccio alla madre – Berhen si chiuse le porte finestre alle spalle e disse: “Lasciamo alle loro chiacchiere gli adulti.”

“Come preferisci, Altezza” concesse Antalion, con una scrollata di spalle.

“Dovrei chiamarti anch’io Altezza, visto che sei figlio di Aken, ma credo che non te ne importi un accidente di quel titolo, o sbaglio?” chiosò furbamente Berhen, ammiccando al cugino con aria saputa.

Trovandosi al volo con quel giovane dai capelli color cannella - stretti in una coda di cavallo - e gli occhi attenti di un falco, Antalion annuì complice e dichiarò: “Da cosa si capisce?”

“Dal fatto che, nonostante tu ti trovi a palazzo da un po’, almeno da quel che mi è dato sapere, non indossi abiti come i nostri ma quelli che, sicuramente, usi alla tribù dove vivi” rispose flemmatico Berhen.

Elren sorrise al cugino come per scusarsi dei modi del gemello, e soggiunse: “Non badare alle parole di mio fratello, cugino Antalion. Da grande, vorrebbe fare il Capo Coordinatore del Servizio di Spionaggio di Karton, e non il principe regnante, perciò non fa altro che ficcare il naso dove non dovrebbe.”

Facendo tanto d’occhi, Antalion esalò: “Capo… cosa?”

Scoppiando a ridere, Berhen fissò con autentico affetto la sorella gemella prima di spiegare al cugino: “Devi sapere che Karton ha uno dei servizi di spionaggio più sviluppati di tutti i regni del nord del continente di Medrasta. Io vorrei solo occuparmi di una cosa che mi riesce bene, dopotutto. Non mi sembra una grande pretesa, dopotutto.”

“Peccato che papà non lo sappia ancora” ci tenne a precisare Elren, mentre Kregan, il terzogenito, ridacchiava divertito.

Meriton e Staryn fissarono dubbiosi il cugino Berhen che, spallucciando, chiosò: “E dai, non sarà mica la fine del mondo, no? Di altri eredi, papà ne ha finché vuole!”

Liana inclinò il capo con aria divertita a fissarli tutti e, poggiandosi contro il parapetto del balcone, asserì ironicamente: “A quanto pare, il trono sta scomodo a molti, nonostante siate nati in diverse famiglie reali.”

Berhen ammiccò maliziosamente al suo indirizzo e replicò sommessamente: “Che attrattiva può avere, un misero trono se, stando sul campo, potrei incontrare bellezze come te, gentile Liana?”

Antalion mosse un passo con fare piuttosto incisivo e, guardando dall’alto al basso il cugino, che superava di mezza testa, dichiarò serafico: “La bellezza in questione è già impegnata, grazie.”

“Ho capito l’antifona, cugino” ridacchiò Berhen, prima di dargli una pacca sul braccio ed esalare subito dopo: “Dèi, con un braccio simile potresti ridurmi la testa a un colabrodo!”

Arrossendo leggermente, Antalion ridacchiò del suo commento mentre Liana, avvolgendo la vita dell’amico con un braccio, si limitava a dire: “La vita nei boschi fortifica, principe.”

Elren la fissò con autentica curiosità prima di dirle: “Nostro padre ha spesso dei contatti con alcune Signore di diversi villaggi di donne-lupo che si trovano nei nostri territori, e io ho potuto imparare da una di loro le arti della guarigione. Ho studiato l’uso delle erbe medicinali che si possono trovare nella foresta, oltre all’erboristeria pura e semplice.”

Sinceramente sorpresa, Liana esalò: “Mia madre è una guaritrice, e anch’io so un po’ di erboristeria e di medicina.”

“Allora, se tu fossi così gentile da acconsentirlo, vorrei che tu mi spiegassi l’utilizzo della radice di edherna. Non ho avuto molto tempo per studiarla, e il suo uso mi rimane in parte oscuro” si eccitò subito Elren, afferrandole con foga una mano e guardandola con eccitati occhi azzurro cielo.

“Oh, dèi, salvateci da una lezione di erboristeria, vi prego!” esalò falsamente disperato Berhen, passandosi una mano sul volto abbronzato.

“Possiamo andare a giocare coi lupi, mentre loro chiacchierano” propose speranzoso Meriton, fissando il cugino Antalion con occhi sgranati e sorriso ammirato.

Ridendo, Antalion annuì e, dopo aver lanciato uno sguardo a Liana per capire se a lei andasse bene restare sola con la principessa Elren, rientrò insieme ai suoi numerosi cugini.

Dopo aver salutato le rispettive famiglie, se ne andarono al campo di addestramento, dove i loro lupi erano rimasti per non intralciare i lavori dei domestici.

Mentre Liana ed Elren parlavano fittamente sulla balconata e gli altri ragazzi, seguiti da una Naell eccitata, si dirigevano verso il cortile, Melantha sorrise a Eikhe e disse: “Ho imparato a mie spese che la superbia non porta a nulla, e Mynias mi ha fatto capire che valevo come persona, e non solo come principessa. Sono contenta che anche i miei figli l’abbiano compreso.”

Con un sorriso comprensivo, Eikhe guardò i due reali e dichiarò: “Hanno avuto dei bravi insegnanti, evidentemente.”

“Era una nostra speranza” ammise Mynias, prendendo in braccio il pacco precedentemente portato dal paggio. “Un dono da parte nostra, con la speranza che possa essere ben accetto.”

Aken aiutò Eikhe a prendere il pesante involto, dicendo all’amico: “Non c’era bisogno di nessun dono.”

Rivolto un sorriso a Ruak, che se ne stava in piedi alle spalle del divano ove erano accomodati Aken, Eikhe e Anladi, Mynias ribatté: “C’era, invece. Quando ho saputo che avevi un figlio già adulto, tramite i buoni uffici di tuo fratello - che ci ha anche avvisati della tua presenza qui - abbiamo pensato di portarvi qualcosa, visti tutti i regali che tu, a tua volta, avevi fatto ai miei alla loro nascita.”

“Sciocchezze” ridacchiò Aken, scartando l’involto con un po’ di curiosità.

Dinanzi agli occhi sorpresi e confusi di Eikhe, pezze su pezze di pelli diverse, e tra le più pregiate che avesse mai visto, scivolarono tra le sue mani.

Con voce resa incerta dall’imbarazzo, esalò: “Ma… sono stupende… e sono davvero troppe! E costosissime!”

Teli di pelli di daino bianco si inframmezzavano a stole di volpe grigia e cervo maculato e, mentre la donna continuava a osservarli con reverenziale ammirazione, Melantha intervenne imbarazzata: “Beh, mi sono ricordata della volta in cui mamma mi disse che i tuoi abiti, e la tunica che Aken indossava al suo ritorno dalla missione, li avevi confezionati tu, così ho pensato che un dono del genere avrebbe potuto andare bene. Spero di non essermi sbagliata.”

Il viso di Eikhe si aprì in un largo sorriso mentre si sollevava per scrutare Melantha e, allungata una mano nella sua direzione, le disse: “Possiamo anche non esserci comprese all’inizio, ma so che ora sei cambiata, come anche io, del resto. Hai scelto in maniera oculata, e apprezzo moltissimo questo dono. Grazie.”

“Grazie a te” replicò Melantha stringendo la mano di Eikhe.

“Continuo a credere che Mynias abbia nascosto nelle segrete del castello la vera Melly, e che qui abbia portato una concubina molto somigliante a mia sorella” sogghignò Aken, guadagnandosi uno schiaffetto sul braccio dalla madre, e un’occhiataccia da parte di Melantha.

Ghignando, Mynias si servì un pasticcino e brontolò: “Concubine? Vorrai scherzare, spero! Melly mi ha fatto togliere quella legge dopo solo sei mesi dal nostro matrimonio. Non potrei averne neppure se volessi.”

“Prevenuta, la sorellina” ridacchiò Aken.

Melantha mise un adorabile broncio mentre Renke, scrutando curiosamente il marito, chiedeva: “Non ho controllato ma… c’è qualcosa del genere nel nostro statuto?”

Ruak si limitò a ridere, coinvolgendo tutti gli altri. Tranne Renke.

***

“Come avranno preso la notizia?” sussurrò Eikhe all’orecchio di Aken, mentre gli massaggiava la schiena con movimenti circolari delle mani.

“Non saprei. Mamma ha voluto parlare loro in privato, perché non se la sentiva di parlarne ancora davanti a me. Forse, temeva di fare riaffiorare il dolore” fece spallucce Aken, afferrandole una mano per baciargliela.

“E che tipo di dolore è?”

“E’ mancanza di dolore, credo. Mi sento un po’ ipocrita, onestamente, ma non so cosa farci. Lui non è più il padre che ho conosciuto e amato” sospirò Aken, reclinando indietro il capo fino a scivolare sui seni nudi e bagnati della compagna.

L’acqua nella vasca dove si trovavano fluttuò leggera attorno a loro, al movimento del suo imponente corpo.

Avvolgendogli il collo con le braccia, Eikhe allora lo baciò teneramente su una guancia punteggiata di barba, prima di dirgli: “Il tuo cuore ha subito molti lutti, Aken, ed è stanco di soffrire. Non fargliene una colpa, se ora non vuole piangere per un uomo che, come dici tu, hai perso ormai da tempo. Ciò che ora si trova a Elion è un corpo vuoto, non contiene più lo spirito che instillò in te l’amore.”

“Da dove ti viene tanta saggezza?” cercò di ironizzare Aken, pur non avendone voglia.

“Dai miei molti lutti” fece spallucce lei, aprendosi in un sorriso. “Tutto quel dolore, però, non potrà mai annullare la gioia che provo avendoti al mio fianco.”

“E’ così anche per me” annuì lui, voltandosi per averla di fronte, mentre lo sciabordio dell’acqua si schiantava contro i fianchi della vasca e i loro corpi caldi e umidi. “Ti amo, e non smetterò mai di amarti.”

Socchiudendo gli occhi a fissarlo con tutto l’amore che aveva dentro, Eikhe gli prese il viso tra le mani per avvicinarlo al proprio e, sulle sue labbra tumide, sussurrò: “Finché il sole sorgerà e calerà oltre le montagne, finché l’inverno tornerà a lambire le nostre terre, finché il vento soffierà nella valle che ci ha ospitati, io ti amerò.”

Baciatolo con tenerezza, Eikhe lo attirò a sé con la fermezza di ogni donna innamorata e Aken, portandola con un gesto veloce sopra di sé, la fece sedere in grembo e le sussurrò tra un bacio e l’altro: “Sei sicura che si possa?”

“Non sono così avanti con la gravidanza” emise un risolino lei prima di cercare la sua erezione nel rimestio d’acqua che galleggiava attorno a loro, e accompagnarlo dove desiderava tanto andare.

“Mooolto bene” ansò lui, baciandola sul collo per poi iniziare a muoversi dentro di lei con spinte lente e penetranti.

Chiusi gli occhi lentamente, Eikhe si lasciò andare alle carezze leggere del compagno, mentre il dondolio sonoro dell’acqua si alternava ai suoi mugolii di piacere e a quelli di Aken.

Il suo respiro si fece sempre più accelerato, all’unisono con gli affondi del compagno che, deliziandosi con il sapore mielato della pelle di Eike, alternava lunghe spinte a baci infuocati.

Sussurrando più e più volte il nome di Aken, Eikhe affondò le unghie nelle sue spalle, quando sentì ormai prossimo il momento in cui avrebbe ceduto alla passione più accecante.

Prese con foga le sue labbra, soffocò nella sua bocca l’urlo di piacere che le eruppe dalla gola quando raggiunse l’acme assieme a lui e infine si accasciò contro di lui.

Mentre il rollio dell’acqua andava rallentando attorno a loro, Aken continuò a massaggiarle la schiena e le braccia, scivolando piano fuori da lei per riprendere a baciarle i seni.

Eikhe lo lasciò fare, sfiorando i suoi capelli bagnati e le poderose spalle muscolose e segnate dal pesante lavoro invernale che aveva svolto al villaggio.

“C’è così tanto ardore, in te, mio caro, che dubito fortemente potrai mai invecchiare” sussurrò la figlia sacra, inarcandosi verso di lui quando le carezze si fecero più audaci.

“Sei tu a mantenermi giovane, tesoro” ridacchiò Aken prima di guardarsi intorno, scrutare la selva di candele che avevano acceso nel bagno e aggiungere: “Sai una cosa, però?”

“No, dimmi” si interessò lei, abbracciandolo prima di guardarsi a sua volta intorno per comprendere cosa lo avesse bloccato.

Scostandola da sé, Aken le stampò un bacio sulle labbra e dichiarò: “Voglio tornare a casa.”

“Non avrei saputo esprimermi meglio, sai?” ridacchiò lei, tornando ad abbracciarlo strettamente. “E sei giunto a questa conclusione facendo l’amore con me in questa vasca enorme?”

“Qualcosa del genere” ammise lui, sollevandosi scrosciante dalla vasca e attirandola in piedi a sua volta.

Divorandola con lo sguardo alla luce altalenante delle candele, dorata e perfetta ai suoi occhi, identica a come l’aveva vista quella volta nella casamatta, tanti anni prima, sussurrò: “Il nostro amore è nato e cresciuto nelle avversità. Non è fatto per gli agi di un castello.”

“Come ho detto prima, non avrei saputo esprimermi meglio” sussurrò lei, avvolgendogli il collo con le braccia per poi levarsi in punta di piedi. “Pensi che Ruak se la prenderà?”

“Il mese è quasi passato. Non siamo venuti meno alla nostra parola, e Hyo-Den ci aspetta” replicò Aken, stringendola a sé prima di portarla fuori dalla vasca per avvolgerla in un pesante asciugamano profumato.

Eikhe si limitò ad annuire e, lasciando cadere l’asciugamano, se ne tornò in camera sotto lo sguardo famelico di Aken.

Dopo aver spento le candele nel bagno, decise che, quella sera, si sarebbe concesso una doppia porzione di dolce, visto quant’era buono quel dolce.

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Capitolo 34
*** Epilogo ***


Epilogo.

 

                                                      

 

 

 

Un rintocco di campana riverberò nel suo subconscio, sorprendendola.

Il suono era cupo, prolungato, lugubre, si estendeva all’infinito nella sua mente, come se quel rumore così strano e improvviso non volesse avere un termine, come se la gabbia del suo cervello lo rendesse eterno.

Insonnolita e stranamente tesa, Eikhe allungò a tentoni la mano al suo fianco, alla ricerca del corpo caldo del compagno ma, nulla trovando, spalancò gli occhi solo per trovarsi avvolta dalla quasi totale oscurità.

Le esili fiamme rimaste a sfrigolare nel camino, ove gli ultimi ciocchi si stavano velocemente trasformando in carbone, si univano al baluginare candido della luna piena.

Ben visibile dalla porta-finestra spalancata sul balcone, penetrava nella stanza di Aken con un chiarore debole, permettendole di vedere almeno in parte ciò che la circondava.

Lunghe e cupe ombre si estendevano sopra i pesanti tappeti e una figura scura, in piedi sulla balconata, creava dietro di sé quella più oscura tra tutte.

Dopo essersi stropicciata gli occhi nel tentativo di cancellare le ultime tracce di sonno, Eikhe si rese conto che il suono da lei udito nella mente non era solo frutto della sua fantasia, ma qualcosa di reale.

Proveniente dalla città, il rintocco lontano di una campana rimbombava tutt’intorno, scivolando sopra i tetti e contro i muri di Rajana, portando con sé un sinistro messaggio.

Lasciate scivolare a terra le gambe in un fruscio di stoffe e pellami, Eikhe afferrò la vestaglia da camera di Aken che si trovava appoggiata su una sedia.

Dopo essersi avvolta nel leggero tessuto di raso scuro, si avviò a piedi nudi verso l’imponente e oscura figura sul balcone, ascoltando distrattamente il sibilo sordo della stoffa sulle pelli su cui stava camminando.

Quell’esile rumore fece volgere a mezzo la figura e il viso di Aken, ora in ombra,  fissò quello preoccupato della compagna prima di esalare: “Come mai sei sveglia?”

“La campana” si limitò a dire lei, prima di raggiungerlo e avvolgergli la vita con un braccio.

A torso nudo e con indosso solo le brache di pelle, Aken le avvolse teneramente le esili spalle.

“Suona a lutto.”

Il corpo di Eikhe si irrigidì immediatamente mentre gli occhi correvano al viso del compagno, scolpito nella luce diafana della luna come una statua di marmo.

I suoi occhi, quasi trasparenti sotto quel candido bagliore, non riflettevano alcun tipo di emozione, quasi fossero stati congelati in quell’istante eterno.

Stringendosi a lui, Eikhe gli posò il viso contro il torace, sussurrando: “Tuo padre?”

Lui si limitò ad annuire mentre, alla porta della loro stanza, un quieto bussare si accompagnò alla richiesta di Antalion di poter entrare.

Aken borbottò un assenso sforzato e, mentre il figlio si avventurava nella stanza con aria accigliata e preoccupata assieme, Eikhe si scostò dal compagno per accoglierlo e chiedergli: “Cosa c’è, Antalion? Qualche problema?”

“No, mamma, ma… è quello che penso?” le chiese, indicando poi con un cenno del capo il padre, che non si era ancora voltato a guardarlo.

La madre annuì una sola volta e il figlio, senza dire nulla, raggiunse il padre accanto alla finestra e gli avvolse la vita con un braccio prima di appoggiarsi a lui.

Aken non aprì bocca, né ve ne fu alcun bisogno e, strettosi il figlio al fianco, gli avvolse le spalle con il braccio prima di baciarlo silenziosamente sul capo.

Gli occhi erano serrati, e le labbra tese in una linea sottile e pallida.

Non c’era molto da dire, in quel momento, né Eikhe aveva la minima idea di come si sentisse Aken in quel particolare frangente, visto quando il suo rapporto con il deposto re fosse stato complicato, in quegli anni.

“Eikhe?”

Volgendosi a mezzo verso la porta, rimasta socchiusa, la donna scorse il viso pallido e insonnolito di Liana spuntare oltre il battente di quercia.

Sorridendole, le andò incontro e chiosò: “Non dorme nessuno, stanotte?”

Con l’abbozzo di un sorriso a illuminarle il viso, Liana entrò, sistemandosi sulle spalle il panno di lana che si era portata dalla camera.

Fissando le due alte figure silenziose alla finestra, sussurrò: “E’ morto il padre di Aken, vero?”

“Già” annuì Eikhe, portando a sua volta lo sguardo su compagno e figlio.

“L’ho immaginato, quando ho sentito il suono di quella campana” sospirò Liana, mordendosi un labbro. “Posso fare qualcosa?”

“Vai da lui. Sono sicuro che apprezzerà anche la tua presenza” le consigliò Eikhe, sorridendole benevolmente.

Senza lasciarselo ripetere, Liana trotterellò verso l’imponente figura di Aken e, incuneandosi con delicatezza sotto il suo braccio libero, lo strinse con tutta la forza di cui era capace prima di sussurrargli: “Mi spiace tanto, Aken!”

“Liana!” esalò lui, sorridendole spontaneamente. “Tesoro, che ci fai in piedi a quest’ora?”

“Ho sentito la campana, e ho pensato potesse essere successo il peggio” gli spiegò lei, mettendo il broncio.

Piegatosi per darle un bacio sulla fronte, Aken se la strinse al petto e disse: “Grazie, bambina. Mi fa piacere che sia qui anche tu.”

Eikhe li ammirò ancora per qualche attimo prima di avvicinarsi a sua volta, poggiarsi contro la schiena del compagno e mormorare sommessamente: “Siamo tutti qui per te, amore mio. Saremo il tuo sostegno.”

Aken annuì un paio di volte, in silenzio, non sapendo bene come esprimere a parole tutto ciò che stava provando in quel momento.

Era soffocato da contrastanti emozioni, tutte troppo violente per poter essere controllate da un semplice strumento come la voce.

Ristette perciò in piedi a contemplare quella che un tempo era stata la sua città, senza più conoscerla veramente, sentendosi estraneo tra estranei, mentre il suo mondo, il suo vero mondo, lo avvolgeva protettivo.

Sì, quel luogo non era più suo, ormai, né lui ne era più parte.

Era tempo di andarsene, di tornare alla sua vera casa.

Avrebbe reso onore al padre e alla sua vecchia famiglia, ma non se la sentiva più di rimanere.

Questo non era più il suo posto.

“Andiamo a letto a cercare di riposare. Non ha senso restare qui in piedi a prendere freddo” disse a un certo punto, tirandosi dietro Antalion e Liana, mentre Eikhe si scostava per lasciarlo indietreggiare.

Chiuse le imposte, e tirati i pesanti tendaggi di panno scuro solo dopo aver dato il tempo ad Aken di accendere una candela, Eikhe guardò i due giovani con loro e disse: “Rimanete qui, per favore.”

Antalion e Liana annuirono e, mentre Aken si sistemava nell’enorme letto a baldacchino, i due ragazzi si sistemarono al suo fianco, abbracciandolo stretto e stringendosi a lui per non fargli mancare il loro calore umano.

Eikhe, da ultima, si issò sul letto e abbracciò Liana, allungandosi poi ad accarezzare il capo di Aken, dicendo con un sussurro debolissimo: “Così il branco cura il dolore.”

“E’ un buon metodo” esalò Aken, poggiando la fronte contro quella del figlio.

“Condivideremo il tuo dolore finché lo vorrai” gli promise Antalion con voce leggermente incrinata dall’emozione.

“Grazie. A tutti voi” sussurrò l’uomo, chiudendo finalmente gli occhi mentre la candela da lui accesa, solitaria, brillava sul comodino lanciando ombre tremolanti per tutta la camera.

***

Un cielo plumbeo ricopriva la città di Rajana, stranamente silenziosa, quella mattina.

La campana fatta suonare a lutto era stata sentita – e ascoltata – da ogni abitante della capitale e, come da prassi, qualsiasi attività commerciale sarebbe rimasta chiusa per l’intera giornata.

Ciò avrebbe permesso ai cittadini di rendere omaggio al ricordo del defunto re di Enerios.

Nessuno di loro sapeva cosa lo avesse portato a quella fine prematura, e così avrebbe dovuto essere fino alla fine dei tempi.

Né Aken, né tanto meno Ruak, avevano intenzione di rimuginare troppo su ciò che erano stati costretti a fare, per difendersi dalle azioni sempre più sconsiderate di un uomo che aveva perso, molto tempo prima della morte, il lume  della ragione.

Il popolo sarebbe stato tenuto all’oscuro di ogni cosa, e ricchi festeggiamenti sarebbero stati celebrati per accompagnarne la sua anima nel regno dei morti.

Per i figli del deposto re, però, non vi sarebbe stata soddisfazione alcuna, né pace dell’animo.

Chi per un verso, chi per un altro, tutti loro avevano sofferto dei suoi capricci, e nessuno aveva la forza di ricordarlo con l’affetto che ci si potrebbe aspettare da dei figli devoti.

Aken era stato recluso nella sua stessa città per sedici, lunghi anni, a causa dello sciagurato patto sottoscritto con il genitore.

Melantha era stata costretta a sposarsi pur quindicenne, pur senza conoscere minimamente il suo futuro marito.

Per quasi un anno, inoltre, aveva ricevuto lettere dal padre che le intimava di rimanere incinta, se non voleva essere pubblicamente disconosciuta come figlia.

Quando Mynias aveva scoperto il contenuto delle missive, le aveva fatte bruciare tutte e, da quel giorno in poi, non una sola lettera inviata dal re di Enerios era più stata aperta nel palazzo reale di Karton.

Finalmente, Melantha si era potuta sentire libera dall’opprimente ombra del padre.

Ruak, da ultimo, si era caricato sulle spalle non solo il dolore di vedere la sofferenza del fratello – senza conoscere anche quella della sorella – ma aveva dovuto prendere l’annosa decisione di destituire il proprio padre dal trono.

Segregarlo perché non potesse più fare del male a nessuno, era stato poi l’ultimo peso da sobbarcarsi sulle spalle.

Nessuno di loro, in quella fredda mattina solcata da gelidi venti provenienti da nord, aveva voglia di pregare per l’anima del loro defunto padre.

La regina madre non se la sentì di criticare, né di replicare alcunché di fronte alle loro facce pietrificate.

I figli dei principi erano chiusi in uno dei salottini del primo piano, intenti a raccontarsi vicendevolmente aneddoti sul loro nonno ormai trapassato.

Antalion e Liana li ascoltavano assorti, cercando di dare un volto a un uomo di cui avevano solo sentito parlare, e non certo in maniera positiva.

A ben vedere, nessuno di loro sembrò discostarsi molto dall’immagine che il giovane figlio sacro si era fatto del nonno, e cioè di una persona fredda, poco propensa al riso e alle dimostrazioni di affetto.

Stentava sempre di più a comprendere da chi avesse preso suo padre che, al contrario, era prodigo di attenzioni e di certo non lesinava con i sorrisi e le risate.

Forse, la nonna che nessuno di loro aveva conosciuto, doveva essere la causa prima del buon carattere di Aken, ma non avrebbe mai potuto saperlo con certezza.

Eikhe raggiunse i ragazzi verso metà mattina e, con un mesto sorriso rivolto a tutti quei giovani virgulti dell’alta società, si accomodò al fianco del figlio e disse: “Nel pomeriggio, si terrà la processione fino al tempio. Mangeremo leggero e subito dopo indosseremo i mantelli neri per raggiungere il Prelato di Rostor, e lì pregheremo perché l’anima di vostro nonno raggiunga il Nulla assieme alla Luce di Iralva.”

“Voi figli del branco non credete nei nostri stessi dèi, vero, zia Eikhe?” gli chiese con sincera curiosità Berhen.

“Infatti, Berhen. Sei ben informato. Noi crediamo nel dio-lupo Hevos e nel dio-corvo Haaron. Sono i detentori della vita e della morte e di tutte le loro declinazioni” gli spiegò succintamente Eikhe, sorridendogli.

“Ho studiato qualcosa in merito, grazie alla figlia del branco che ha conosciuto mia sorella Elren…” assentì pensieroso Berhen, massaggiandosi distrattamente il mento imberbe. “… ma mi è parso di capire che voi li consideriate qualcosa di più, di semplici emanazioni spirituali.”

Il sorriso sornione che sorse sul viso di Eikhe disse molto al giovane che, impallidendo leggermente, esalò: “Ci credete sul serio!”

“Posso dirti questo, giovane principe e nipote…” esordì Eikhe, prima di sorridere al figlio per un momento, e aggiungere: “…io incontrai Hevos, durante il mio viaggio di ritorno verso Rajana e, con me, c’era anche tuo zio. Lui, invece, passò più di dieci giorni assieme al dio-lupo, quando venne da me per ritrovarmi. Chiedi a tuo zio Aken, se non vuoi credere alle mie parole.”

Deglutendo a fatica, mentre tutti gli altri ragazzi fissavano la zia con aperta sorpresa e reverenziale timore, Berhen scosse debolmente il capo e mormorò con voce insicura: “No…no, ti credo, zia. Non avresti motivo di mentire. So che non vuoi impressionarci.”

“Molto bene, nipote. Sono lieta di sapere che sai riconoscere la verità, quando la senti” sorrise bonariamente Eikhe prima di dargli un buffetto sulla guancia e aggiungere: “Hevos è un dio generoso, ma sa anche essere implacabile, quando vuole. E’ un dio giusto e, come tale, non concede sconti a nessuno, anche se a volte agisce in modo per noi incomprensibile.”

“E’ stato giusto anche quando non ha fatto nulla per riavvicinarti ad Aken prima di qualche mese fa?” si arrischiò a chiedergli Berhen, sorprendendola leggermente.

“Come sai che…” tentennò Eikhe.

Arrossendo leggermente, Berhen le spiegò: “Mamma mi disse di averti fatto un grave torto, in gioventù, e si raccomandava spesso che io e i miei fratelli non commettessimo i suoi stessi errori. Mi disse di te, di come salvasti suo fratello senza paura del pericolo, e di come ti avesse mal giudicata solo perché non conosceva il tuo stile di vita, così diverso da quello cui lei era abituata. Quando si sposò con papà, vide quelle vicende con occhio diverso, e comprese cosa legasse te e lo zio.”

“E da dove le è venuto questo pensiero?”

“Da papà. Almeno, stando a quel che mi ha detto lei. Era terrorizzata all’idea di non aver compiuto abbastanza passi avanti, di non essere degna del tuo perdono” sorrise imbarazzato Berhen, passandosi una mano sui morbidi capelli castani.

“Anch’io non fui cordiale con lei, all’epoca, e temo per lo stesso motivo” ridacchiò Eikhe. “Venivamo da due mondi differenti, ed eravamo in un’età in cui non si è molto altruisti, tutt’altro. Per questo, prima di partire, le feci dono dell’occhio di lupo. Fu il mio modo di chiedere scusa per non aver neppure tentato di capirla.”

Berhen assentì, e la zia proseguì nel dire: “Avere al fianco persone generose, e in grado di aprirci gli occhi, può servire a smussare certi difetti, e tua madre è una donna molto diversa, oggi. Migliore. E, per rispondere alla tua domanda, Berhen, Hevos aveva altri progetti, per me e Aken.”

“In che senso?” volle sapere lui, piegandosi per poggiare un gomito sul ginocchio.

“Sai quello che Aken ha fatto qui a palazzo, vero?”

Al suo assenso, proseguì dicendo: “Mentre lui compiva un cambiamento qui, io lo facevo lassù, tra le mie sorelle. Neppure noi eravamo esenti da difetti e, in questi anni, abbiamo entrambi compiuto ciò che era necessario fare. Nulla poteva rimanere come un tempo, c’era bisogno di una svolta.”

“Quindi Hevos vi ha… usati? Si può dire?”

“Ci ha ritenuti idonei a compiere il primo passo lungo una nuova via” precisò Eikhe, sorridendogli generosamente. “Voi siete il frutto di quel cambiamento. Siete di mentalità aperta, non vi fate fuorviare dall’aspetto, o dall’ipotetica importanza di coloro che vi trovate davanti, e trattate le persone con equità e rispetto. Questo è ciò che Hevos voleva.”

Berhen si limitò a emettere un basso fischio prolungato, fissando con ammirazione la zia e Naell, seduta accanto ad Antalion, chiese ad Eikhe: “Posso venire al villaggio con te, zia?”

La donna scoppiò a ridere assieme a tutti i suoi nipoti mentre Naell, non comprendendo appieno i motivi di quell’ilarità, si limitò a fare spallucce prima di bofonchiare: “Prima o poi verrò.”

Sulla porta del salottino, abbigliata con un vestito di seta e velluto neri, Renke sorrise per un breve momento a quel quadretto rilassato.

“Quando sarai più grande, se ancora lo vorrai, chiederemo alla zia di accoglierti per qualche settimana. Va bene, Naell?”

Tutti si volsero sorpresi in direzione della regina ed Eikhe, fissandola a occhi sgranati, si alzò in fretta, chiedendole: “Ma… ne sei sicura?”

Reclinando il viso a scrutare quello speranzoso e pieno di aspettative della figlia minore, Renke chiosò: “Come hai detto tu, loro sono il cambiamento. E chi sono io per bloccarlo? Mi spiacerà vederla partire ma se, quando avrà compiuto dodici anni, vorrà ancora venire da te per conoscere come vivono le figlie del branco, non glielo impedirò. E’ sbagliato compiere scelte per loro, che condizioneranno la loro vita per sempre. Nei limiti del possibile, permetterò sempre loro di fare quel che vogliono. Mi accontenterò di consigliare, se mai vorranno darmi ascolto.”

Meriton, Staryn e Naell raggiunsero la madre per abbracciarla e Renke, sorridendo loro con amore, ridacchiò mentre Eikhe commentava: “Direi che questa è un’ottima risposta.”

***

Il cappuccio di velluto scese a coprire parte del suo volto, un’ombra scura e morbida che le fasciava il viso e il corpo, rendendola in tutto e per tutto simile a coloro che aveva al fianco.

Non v’erano gradi, corone o stemmi che tenessero.

Di fronte a Rostor, si era sullo stesso piano, e i mantelli servivano ad annullare la bellezza degli abiti, quanto l’identità dei partecipati al rito funebre.

Il cielo si era rischiarato leggermente, lasciando che tra le nubi si incuneassero sprazzi di azzurro e qualche lama di sole, che illuminava tratti di strada e tetti di case.

L’aria continuava a essere fredda e i mantelli, di certo, erano un conforto, ma Eikhe dubitava fortemente che i figli e la moglie del defunto re ne avrebbero tratto giovamento alcuno.

A pranzo, non avevano mangiato nulla e, sui loro volti smunti, non si era mai palesato neppure un sorriso di circostanza.

La figlia sacra, però, non sapeva dire se fosse per il troppo dolore, o per la totale mancanza di esso.

Parevano frizzati nel tempo, come se non fossero realmente lì e, quando Eikhe prese per mano il suo compagno, sentì solo il gelo, ad accoglierla.

Come un lento fiume d’inchiostro, la famiglia reale e la corte tutta si incamminò mestamente, oltrepassando i portoni aperti del castello e riversandosi sulla via principale.

A muta testimonianza del lutto, i cittadini attendevano il loro passaggio, tenendosi alle spalle di due cordoni di soldati preposti al mantenimento dell’ordine.

Qualche fiore venne gettato sul selciato della strada, prima del passaggio di re Ruak che, a capo chino e completamente velato in viso dal pesante cappuccio di velluto, non salutò né indirizzò sorrisi di ringraziamento alla folla.

Renke, al suo fianco, pensò a sostituirlo, sorridendo alle persone presenti e ringraziandoli con brevi cenni della mano o del capo.

Poco addietro, assieme a suo marito e ai figli, Melantha tenne un comportamento non dissimile dal fratello maggiore, le braccia strette intorno al piccolo Aken e il viso poggiato sui suoi capelli profumati.

Non una mosca si udiva tutt’intorno, solo il fruscio dei mantelli e lo scalpiccio delle scarpe sulla pietra della strada.

Eikhe non seppe mai quanto tempo impiegarono per raggiungere il tempio.

Né, di certo, quanto tempo passarono all’interno delle mura della casa di Rostor, costruzione dalle pareti dipinte di nero e abbellite solo da alcuni rosoni colorati.

Solo una cosa le fu chiara; non vi sarebbero state lacrime, da parte di nessuno di loro.

Arkan non poteva più essere pianto, ormai, perché egli non dimorava più tra loro da molto, moltissimo tempo.

Quando infine, verso sera, il corteo tornò entrò i confini del palazzo reale, e le rispettive famiglie si riunirono in uno dei salottini, Aken prese da parte Ruak e, con un sospiro, disse: “Intendo andarmene domani stesso.”

“Mi sorprende che tu abbia voluto partecipare alla commemorazione di oggi” replicò Ruak senza alcuna sorpresa nella voce.

“L’ho fatto solo per nostra madre, ma non credo che neppure a lei sia interessato granché, quel che abbiamo celebrato oggi” sbuffò Aken, lanciando uno sguardo verso l’esterno.

Il sole aveva ormai lasciato il posto al crepuscolo, e i tetti delle case erano illuminati da lame di luce rosso fuoco, sempre più deboli e solitarie.

Ben presto, i lampioni a olio sarebbero stati accesi per le vie, e le ronde notturne avrebbero iniziato i loro giri di controllo per la città.

I bambini sarebbero stati ben presto messi a dormire, e i genitori si sarebbero ritagliati del tempo per riposare le membra e passare qualche minuto con l’amato o l’amata.

Il ciclo della vita non aveva subito mutazioni, tutto era rimasto intatto e, pur se tutto ciò era vero come il sorgere e il calar del sole, nessuno di loro era più lo stesso.

Aken sentiva ormai il bisogno di ritrovare se stesso.

“Hai perso la luce nello sguardo, stando qui. Pensi non me ne sia accorto?” continuò a dire Ruak, dandogli una pacca sulla spalla. “Sono stato felicissimo di vedervi tutti, ma diamine, non voglio distruggerti quando, per tanto tempo, ho agognato solo che di salvarti!”

“Mi sento soffocare, ma non è colpa vostra. Vorrei che fosse chiaro…” tenne a precisare Aken, tornando con sempre maggiore frequenza a scrutare l’orizzonte ormai buio. “… ma questo non è più il mio posto, e ho bisogno di tornare a casa. Alla mia vera casa.”

“Lo so” sospirò il re, seguendo lo sguardo del fratello oltre il pannello di vetro della finestra. “Mi mancherai tremendamente, ma so che qui non ti trovi bene… indipendentemente da tutti noi.”

“Scusami” abbozzò un sorriso Aken, aggiungendo: “Mi sento tremendamente egoista, ma proprio non ci riesco.”

“Hai tutto il diritto di essere egoista, visto quello che hai passato qui in questi anni” replicò gentilmente Ruak, prima di voltarsi a fissare il profilo serio e pacifico della madre e dire: “Penso che ora si sentirà in qualche modo più leggera. Dopotutto, neppure la sua vita è stata immune da sofferenze.”

“Già” annuì Aken, senza aggiungere altro.

“Desideri salutarci in pompa magna, domattina, o andrai via al sorgere del sole?” gli chiese a quel punto il fratello.

“Vale la seconda.”

Si volse per abbracciarlo strettamente e aggiunse: “Vi saluterò tutti stasera e poi, col fare dell’alba, ripartiremo.”

“Hai la mia benedizione, fratello, e tutto il mio amore” gli sussurrò contro la spalla Ruak, accentuando la stretta per un attimo. “Manderò le mie lettere a Kannor perché le giri a te, va bene?”

“Scendiamo a Marhna almeno una volta al mese, quindi non ci saranno problemi. Io, Eikhe o An passeremo da lui per avere notizie, o per inviartene. Non sarà come bussare alla porta del tuo studio tutte le mattine ma… beh, potrà funzionare anche così.”

“Funzionerà, ne sono sicuro” annuì certo Ruak prima di sorridere alla madre e alla sorella, che si stavano avvicinando a loro con passo tranquillo.

“Quell’abbraccio sapeva tanto di addio” esordì Melantha, scrutando i due fratelli con occhi lucidi.

“Sei diventata sensitiva, sorella?” ridacchiò Aken, chinandosi a darle un bacetto sulla guancia prima di stringerla in un tenero abbraccio.

“Anni di pratica passati a imparare come si stava al mondo” brontolò Melantha, dandogli una pacca sul torace prima di aggiungere: “Ma posso sempre tornare al mio vecchio Io, se vuoi assaggiare la sferza della mia lingua per l’ultima volta.”

Scoppiando a ridere sommessamente, il fratello maggiore declinò gentilmente l’invito e asserì: “Come ho detto a Ruak, potremo sempre tenerci in contatto tramite lettera. Non sarà lo stesso ma…”

“…è sempre meglio di niente. Ma desidero conoscere il mio futuro, o la mia futura nipote. Quindi, vedi di escogitare qualcosa, fratello, perché non accetterò un ‘no’ come risposta” tenne a puntualizzare Melantha prima di lasciarsi sfuggire una lacrima ribelle.

Aken la raccolse con il pollice, cancellandone la vista con una carezza. “Troverò il modo, promesso.”

“Bene” ansò lei, ormai senza voce e con un groppo in gola più che mai doloroso.

Sorridendo alla madre, Aken abbracciò anche lei e le chiese: “Non sei arrabbiata con me, vero?”

“Perché vuoi continuare a vivere la tua vita? Direi piuttosto; finalmente!” disse Anladi, cercando di fare dell’ironia. “Tu e la tua famiglia avete bisogno di tornare a casa, ed è giusto che sia così. Aspetterò notizie da parte tua e di tutti i tuoi cari, ma non sarò mai così egoista da tenerti qui, perché desidero vederti tutti i giorni. Sei libero, Aken, e il nostro amore ti seguirà in ogni momento.”

“Lo so, mamma. Lo so” annuì lui, baciandola sulla fronte.

***

“Come ti senti?”

Aken volse il viso per puntarlo su quello tanto amato di Eikhe, che cavalcava al suo fianco lungo la Carovaniera Settentrionale.

“Come se mi avessero tolto un peso dalle spalle.”

Quella mattina, al sorgere del sole, come promesso alla sua famiglia, avevano fatto armi e bagagli ed erano scesi alle scuderie per prendere i cavalli e prepararli per il viaggio.

Lì, ad attenderli, avevano trovato Meyor e un cesto di vimini ricolmo di cibo fresco.

Da quello che aveva spiegato loro il ragazzo, sua madre aveva voluto prepararlo per tutti loro, per il viaggio che li avrebbe condotti fino a Marhna, e oltre.

Aken l’aveva ringraziato al pari della sua famiglia, raccomandandosi di salutare calorosamente sua madre.

Mentre Meyor li aiutava a legare sacche e mantelli alle selle dei cavalli, il principe gli aveva infine detto: “Diventerai un grande cavaliere.”

“Perché ho avuto un grande insegnante” gli aveva replicato Meyor con un gran sorriso.

Ora Rajana occupava solo un piccolo posto nello sconfinato orizzonte alle loro spalle, e le creste innevate dei monti si facevano di momento in momento più vicine.

Ci sarebbe stato da sfacchinare, da costruire una culla per il piccolo in arrivo, sicuramente da aggiustare qualche finestra rotta o da sistemare le tegole sul tetto, ma andava bene così.

Era la vita che si era scelto, non che gli avevano imposto.

E lui voleva quella vita, con tutto se stesso.

Lasciando vagare lo sguardo sul volto del figlio, che gli stava sorridendo raggiante, e su quello di Liana, che non sapeva se rallegrarsi del loro ritorno a casa, o preoccuparsi a morte per come l’avrebbe accolta la madre, Aken seppe di essere nel luogo in cui voleva stare.

“Parleremo noi a Fyona, stai tranquilla, Liana” la rassicurò Aken, dandole una pacca sulla spalla.

Lei lo ringraziò con un sorriso dolcissimo, e Aken si sentì più sollevato.

Tornando sul viso di Eikhe, illuminato dal sole e brillante come l’oro dei suoi occhi, annuì al suo sguardo e aggiunse alla sua precedente affermazione: “Mi sento bene. Mi sento vivo.”

 

 

 

Noi due, quanto a lungo fummo ingannati,
ora metamorfosati fuggiamo veloci come fa la Natura,
noi siamo Natura, a lungo siamo mancati, ma ora torniamo,
diventiamo piante, tronchi, fogliame, radici, corteccia,
siamo incassati nel terreno, siamo rocce,
siamo querce, cresciamo fianco a fianco nelle radure,
bruchiamo, due tra la mandria selvaggia, spontanei come chiunque,
siamo due pesci che nuotano insieme nel mare,
siamo ciò che i fiori di robinia sono, spandiamo profumi nei sentieri

intorno le mattine e le sere,
siamo anche sterco di bestie, vegetali, minerali,
siamo due falchi, due predatori, ci libriamo in alto nell’aria e guardiamo sotto,
siamo due soli splendenti, siamo noi due che ci bilanciamo
sferici, stellari, siamo come due comete,
vaghiamo con due zanne e quattro zampe nei boschi, ci lanciamo sulla preda,
siamo due nuvole che mattina e pomeriggio avanzano in alto,
siamo mari che si mescolano, siamo due di quelle felici
onde che rotolano l’una sull’altra e si spruzzano l’un l’altra,
siamo ciò che l’atmosfera è, trasparente, ricettiva, pervia, impervia,
siamo neve, pioggia, freddo, buio, siamo ogni prodotto, ogni influenza del globo,
abbiamo ruotato e ruotato finché siamo arrivati di nuovo a casa, noi due,
abbiamo abrogato tutto fuorché la libertà, tutto fuorché la gioia.

Walt Whitman

 

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Spero che la storia vi sia piaciuta. Grazie a tutti coloro che mi hanno seguita, hanno commentato e hanno condiviso con me quest’avventura! La prossima avventura dei nostri eroi si intitola 'L'eredità del lupo'! Vi aspetto! ^_^

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