May we meet again

di _Kurai_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** One Hundred and One ***
Capitolo 2: *** We are alone ***
Capitolo 3: *** We are NOT alone ***
Capitolo 4: *** Broken Balance ***
Capitolo 5: *** Resolution ***
Capitolo 6: *** Warning ***
Capitolo 7: *** Fear ***
Capitolo 8: *** Different Paths ***
Capitolo 9: *** Lost and found ***
Capitolo 10: *** Complications ***
Capitolo 11: *** The calm before the storm ***
Capitolo 12: *** Chaos ***
Capitolo 13: *** Through it all ***
Capitolo 14: *** The end is where we begin ***
Capitolo 15: *** Hymn for the missing ***
Capitolo 16: *** We fall apart ***



Capitolo 1
*** One Hundred and One ***


One Hundred and One 

Il bracciale metallico gli stringeva impietosamente il polso, mentre quattro piccoli aghi gli pungevano la carne, lievemente intorpidita. Intorno a lui, decine e decine di persone con il suo stesso sguardo, allo stesso tempo deluso e pieno di aspettativa.

Tooru deglutì, abbassando lo sguardo sulla mano che stava sfiorando la sua. Quella mano che mai si sarebbe aspettato di stringere di nuovo, appartenente a quella centounesima persona che non avrebbe dovuto esserci.

Invece Hajime era lì, al suo fianco, assicurato al sedile della navicella con spesse cinture di sicurezza, con il viso contratto e l'espressione seria.

Erano appena decollati.

Hajime era salito all'ultimo momento, con lo sguardo dritto davanti a sé, senza esitazione. Non aveva detto nulla da quando si era seduto nel posto accanto a Tooru, che al contrario si era concesso un lungo sospiro che significava allo stesso tempo “Sono felice che tu sia qui con me” e “Sei un idiota, almeno tu avresti dovuto salvarti!”.

Non c'era bisogno di parole, tra loro due. Non ce n'era mai stato.

 

Tornare sulla Terra era sempre stato il sogno di Oikawa, e nelle poche settimane in cui gli era stato concesso di fare il mestiere dei suoi sogni si era incantato spesso a contemplare lo splendore di tutto quel blu punteggiato di verde che galleggiava nello spazio profondo attorno a lui.

Aveva fatto in tutto tre passeggiate spaziali dopo aver passato l'esame con il massimo dei voti e con un anno di anticipo, prima di quel maledetto giorno.

Quel maledetto giorno che aveva segnato l'inizio della fine.

Ma poteva forse essere un nuovo inizio? O sarebbe stato solo un modo diverso per ucciderli?

 

* * *

 

Così noioso, così stupido, così dannatamente prevedibile.

Kenma soffiò via sbuffando una ciocca bionda da davanti agli occhi, poi tornò a perdersi nei suoi pensieri. Rimpiangeva il piccolo computer che aveva costruito da solo con componenti rubate da Kuroo in giro per le varie stazioni, che gli aveva tenuto compagnia per i tre lunghi anni che aveva trascorso a nascondersi, rinchiuso nel suo abisso personale di dolore nel quale solo Tetsurou riusciva a entrare.

Tre anni prima i suoi genitori erano stati mandati in quarantena nella zona apposita sulla stazione Walden e non erano più tornati. Il giorno che erano venuti a prelevarli Kenma si era nascosto in un armadio e vi era rimasto per ore, mentre mute lacrime gli inondavano il viso.

Era rimasto lì dentro per due giorni, poi si era presentato sulla porta della misera unità abitativa dove Kuroo – il suo unico amico - viveva da solo e, senza una parola, gli era letteralmente crollato addosso.

Aveva dovuto nascondersi, temendo che prima o poi le guardie avrebbero prelevato anche lui. L'avevano cercato a lungo, ma alla fine sembrava che le acque si fossero calmate: nonostante ciò Kenma aveva continuato a vivere nascosto nell'armadio di Kuroo per la maggior parte delle lunghe giornate scandite dalle luci circadiane dell'Arca.

Nonostante tutto, era convinto che i suoi genitori fossero ancora vivi da qualche parte.

O almeno così lo rassicurava Kuroo ogni volta che durante la notte si svegliava, sorpreso dagli incubi.

Aveva deciso di credergli.

 

Non lo vedeva da tre mesi, da quel terribile giorno in cui Tetsurou era corso da lui per avvisarlo dell'arrivo di un controllo ed era arrivato troppo tardi, giusto in tempo per essere tramortito con la frusta elettrica e poi incriminato.

Era stato prelevato anche lui, ma ad attenderlo c'era stato un freddo laboratorio in cui degli scienziati gli avevano iniettato alcune strane sostanze per un paio di giorni, per poi trasportarlo in una cella senza alcuna spiegazione. Lì era rimasto fino al momento in cui l'avevano convocato per imporgli quel dannato braccialetto metallico.

Kuroo in quegli anni aveva rubato diversi libri dalla biblioteca per Kenma, nonostante fosse tassativamente proibito.

Kenma amava soprattutto i libri di storia, e sapeva che quando gli uomini vivevano ancora sulla Terra e avevano ancora territori da scoprire, pieni di rischi, incognite e minacce, avevano avuto una certa propensione a mandare avanti i prigionieri, gli schiavi, gli scarti della società.

Non bastavano secoli, millenni di errori: gli uomini sbagliano sempre allo stesso modo, da sempre.

Erano lì, in cento (in realtà centouno, se voleva contare anche quella guardia entrata di straforo quando si stava ormai per chiudere il portellone, per motivi a lui ignoti) ragazzi sotto i diciotto anni, destinati altrimenti ad essere condannati a morte appena dopo la maggiore età, a causa di vari tipi di crimini per cui l'Arca aveva deciso di punirli.

Erano lì, destinati ad atterrare su un pianeta probabilmente ancora impestato di radiazioni, pronti a giocare alla roulette russa con la morte.

Del resto, in ogni caso non ci sarebbe stata altra scelta.

 

* * *

Asahi non riusciva a impedirsi di tremare impercettibilmente.

Nishinoya, la sua (piccola) roccia, al suo confronto sembrava in viaggio per una piacevole gita fuori porta, niente di eccezionale o rischioso.

Niente che comportasse un serio pericolo di morte, vari tipi di incognite, scarsità di cibo e mezzi di comunicazione e altri spiacevoli imprevisti molto probabili.

In fondo Yuu si era sempre comportato così, e non aveva battuto ciglio neppure quando era stato messo in cella con lui per aver cercato di difenderlo dalle accuse che gli erano state rivolte.

Asahi era il figlio del precedente Cancelliere dell'Arca, e qualcuno aveva deciso di incastrarlo per punire suo padre e cercare di estrometterlo del tutto dal Consiglio. Aveva funzionato, e ogni notte Azumane fissava il muro scrostato della cella in preda ai sensi di colpa: se solo non fosse stato così debole e facile da ingannare, forse non avrebbe finito per rovinare la vita a suo padre. Come se non fosse bastato aver indebolito la madre con la sua nascita: la donna non era sopravvissuta ai suoi due anni, a causa di una malattia che poteva solo essere rallentata con dei medicinali razionati, il cui approvvigionamento oltre il consentito aveva fatto perdere il posto di Cancelliere al padre.

Per quanto Asahi si fosse sempre comportato bene, era stato quindi incluso nel numero dei Cento inesperti esploratori (o carne da macello, come aveva detto Tanaka con una certa sfumatura di orgoglio assolutamente fuori luogo nella voce) destinati a toccare il suolo terrestre dopo un centinaio di anni nello spazio, passati a razionare aria e cibo e ad applicare discutibilmente le leggi.

In tutto questo, Nishinoya era stato il suo sole. Gli si era perfino parato davanti – nonostante la più che significativa differenza tra le loro stature – quando le guardie erano venute a prelevarlo, riuscendo in qualche modo a disarmarne una a mani nude, anche se aveva finito per seguire la sua stessa sorte e ottenere anche qualche giorno di isolamento per aver colpito una guardia.

Era tornato sorridendo, come se nulla fosse successo.

Gli era rimasto accanto, senza chiedere nulla.

Talvolta Azumane pensava che, se gli angeli fossero esistiti veramente e non avessero lasciato i pochi uomini sopravvissuti alla guerra nucleare soli nell'immensità del cosmo, uno di loro avrebbe sicuramente avuto le sembianze di Yuu.

 

* * *

 

Il viaggio sarebbe durato meno di venti minuti, ma era comunque un tempo più che sufficiente per perdere la calma. Intorno a Kuroo iniziavano a verificarsi scene di panico e agitazione, man mano che i piccoli oblò rivelavano una porzione sempre maggiore del pianeta che si faceva via via più vicino. Kenma era silenzioso come al solito, la testa leggermente inclinata di lato, a un soffio dalla sua spalla. Se solo avesse voluto avrebbe potuto appoggiarsi a lui, e Tetsurou l'avrebbe protetto, come aveva sempre fatto. Anche se l'ultima volta aveva fallito.

Kuroo sospirò. Non voleva pensarci, non in quel momento.

Alzò lo sguardo: una voce inequivocabile aveva appena attirato la sua attenzione, con il suo volume insopportabilmente alto. Ecco Koutarou con il suo enorme carico di irresponsabilità che galleggiava per la navicella, divertendosi come un bambino per l'assenza di gravità.

Era durissima avere pazienza con lui, ma Tetsurou era uno dei pochi che riusciva a farsi ascoltare da Bokuto (anche se solo in occasioni particolari); dopo essere stato confinato per aver aperto un portellone per sbaglio in una zona off limits per i non addetti ai lavori, causando una perdita di pressione che avrebbe potuto avere tremende conseguenze (“volevo solo vedere cosa sarebbe successo schiacciando quel pulsante!”) quel ragazzo non sembrava aver imparato nulla.

“Ehi, vedi di tornare al tuo posto e riallacciarti la cintura: l'atterraggio non sarà uno scherzo” sospirò Kuroo, ricevendo in risposta una stupida parodia di un saluto militare.

 

Improvvisamente ci fu uno scossone, e Bokuto si trovò catapultato contro la parete opposta della navicella.

Un enorme “te l'avevo detto” rimase inespresso dalle labbra serrate di Kuroo, troppo occupato a cercare di dominare sé stesso per non perdere la calma; tutto intorno a lui stava tremando, molti urlavano e qualcuno aveva un colorito verdognolo a causa della turbolenza. Bokuto sembrava svenuto e continuava a galleggiare privo di sensi in mezzo a loro, come a mettere un'indesiderata ciliegina su quella torta di terrore e caos.

Poi, tutto si accese di arancione.

Stavano attraversando l'atmosfera, e l'esterno della navicella era avvolto dalle fiamme.

Kenma era pallidissimo e teneva gli occhi chiusi, mentre le sue mani avevano le nocche bianche per lo sforzo di stringere i pugni fino ad affondare le unghie nei palmi.

 

Tutte le luci si spensero, mentre almeno una decina di spie rosse si accendevano contemporaneamente.

 

* * *

 

“Non va per niente bene” Tooru strinse più forte la mano di Hajime, poi la lasciò andare prima di mettersi ad armeggiare con la cintura di sicurezza “Bisogna fare qualcosa o ci schianteremo, Iwa-chan… solo io so come stabilizzare questo affare, qui”.

“No. Non puoi farlo.” Hajime gli strinse quasi dolorosamente il polso poco sopra il bracciale, trattenendolo.

“Cosa stai dicendo? Vuoi che ci schiantiamo? O non ti fidi di me, Iwa-chan?”

“Non sto dicendo questo, idiota. Li ho sentiti dire che la navicella è controllata solo da remoto, non puoi fare nulla. Possiamo solo sperare.”

Tooru lasciò cadere le mani lungo i fianchi, sconfitto, mentre tutt'intorno le urla di panico iniziavano a farsi insopportabili e la navicella prendeva sempre più velocità avvicinandosi al suolo.

 


Dopo una settimana di chiusone con la stupenda serie tv di "The 100" è nata questa strana creatura, un crossover che fa incontrare le ambientazioni della serie post-apocalittica con i personaggi di Haikyuu che tanto amo: questo è solo l'inizio, un piccolo preludio prima che gli eventi entrino nel vivo.
I punti di vista cambieranno nel corso della storia, e per questo ho preso ispirazione dal libro di Kass Morgan al quale il telefilm è ispirato: ci saranno infatti riferimenti sia all'universe del telefilm che a quello del libro, che differiscono su molti aspetti. La storia non ricalcherà quella originale (sennò sarebbe troppo facile) e ad un certo punto il rating potrebbe alzarsi, ma lo scoprirete solo vivendo~
Ed ecco che inizia questa nuova piccola sfida (è il mio primo crossover)... siete pronti a partire?

_Kurai_

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** We are alone ***


We are alone

Dieci secondi.

Dieci secondi durò il disastroso atterraggio della navicella partita dall'Arca con il suo carico di speranza e disperazione.

L'impatto fu violento, logica conseguenza della perdita di stabilità e dell'accelerazione incontrollata dopo l'ingresso nell'atmosfera. I retrorazzi si erano accesi all'ultimo minuto e avevano attutito l'urto, ma non era stato decisamente un atterraggio tranquillo.

Poi fu tutto fumo, urla e confusione.

Aprendo gli occhi che aveva tenuto serrati fino a quel momento, Koushi Sugawara si meravigliò di essere ancora vivo e tutto intero. Slacciò la cintura che lo teneva ancora legato al sedile della navicella e si guardò intorno, distinguendo le sagome dei suoi compagni di viaggio a poco a poco man mano che il fumo si diradava. Molti si stavano muovendo, ma la cacofonia di lamenti che sentiva intorno a lui significava anche che alcuni si erano feriti in qualche modo durante l'atterraggio. Da alcuni macchinari surriscaldati uscivano dense volute di fumo e dei cavi tranciati ronzavano ed emanavano scintille.

 

Qualcuno stava cercando di raggiungere il portellone per guadagnare il mondo esterno, incurante del fatto che l'aria fuori potesse essere ancora irrespirabile o che le radiazioni potessero ucciderli in poco tempo. In effetti, in un momento del genere qualsiasi cosa sarebbe stata preferibile a quell'ambiente soffocante, semibuio e pieno di fumo.

Koushi si alzò rapidamente, per poi lanciarsi nella direzione dalla quale provenivano i lamenti più vicini. Doveva fare il suo dovere, e il suo dovere era salvare vite.

 

Per una strana ironia del destino, si trovava lì proprio per aver salvato una vita.

Era stato confinato come un criminale perché era riuscito a salvare la vita della persona che amava, violando le leggi sull'eccesso di cure: l'equilibrio sull'Arca era fragile come quello di un castello di carte, e sprecare risorse importanti per mantenere in vita qualcuno dato ormai per spacciato poteva costituire un problema per tutti gli altri.

Aveva voluto giocarsi tutto, perché Daichi sopravvivesse: la sua carriera di promessa della medicina appena iniziata, la sua libertà, la sua vita. E Daichi era sopravvissuto, senza immaginare il prezzo che era stato pagato per lui.

Per quanto Koushi fosse maggiorenne ormai da qualche mese, non era stato condannato alla morte immediata – come ormai accadeva sempre più spesso – tramite espulsione nello spazio, ma le guardie lo avevano scortato in una cella buia e fredda, dove aveva trascorso gli ultimi due giorni prima di essere chiamato e informato della missione sulla Terra, per cui era stato selezionato insieme ad altri novantanove “criminali”.

L'aveva accettato, anche se non aveva potuto vedere Daichi per l'ultima volta prima della partenza.

Dopo il decollo aveva guardato indietro mentre l'Arca si faceva sempre più distante, sussurrando “spero che ci rincontreremo...”, con una sola piccola lacrima appesa alle lunghe ciglia.

 

 

Mentre la navicella precipitava, Tadashi ci aveva messo un po' ad accorgersi che quella voce che stava urlando fosse davvero la sua. Gli era suonata quasi estranea, mentre il panico montava crescente e il suono si perdeva tra altre decine di voci spaventate.

Al momento dello schianto era rimasto per qualche istante come dentro una bolla di plastica: i rumori gli giungevano ovattati, il suo sguardo era annebbiato e i pensieri confusi e sconnessi.

Si era ripreso dopo un istante lunghissimo, e il suo primo pensiero era stato rivolto al suo migliore amico, seduto accanto a lui e ancora immobile.

“T-Tsukki?”

La risposta fu un grugnito soffocato: Kei era sveglio, ma era evidente che qualcosa non andava.

Si stava mordendo con forza il labbro inferiore fino a sanguinare ed era pallidissimo; teneva gli occhi socchiusi e cercava di calmarsi, ma era evidente che stesse soffrendo.

Strizzando gli occhi per sfidare il fumo, Tadashi scoprì il motivo del gemito di dolore di Tsukishima: una scheggia di metallo, probabilmente staccatasi dal rivestimento interno che si era rotto in diversi punti durante l'atterraggio, era conficcata profondamente nella sua gamba destra, poco sopra il ginocchio.

Yamaguchi si lasciò prendere istantaneamente dal panico, iniziando a balbettare frasi confuse che nella sua mente avrebbero dovuto suonare come un tentativo di sostenere l'amico ma in realtà ottennero l'effetto opposto, mentre andava quasi in crisi di iperventilazione alla vista del sangue che inondava la stoffa dei pantaloni di Kei.

“Toglilo. Prendi un bel respiro, calmati e poi toglilo” mormorò Tsukki cercando di mantenere ferma la sua voce. Tadashi deglutì rumorosamente, mentre iniziava ad avere ancora più difficoltà a respirare a causa del fumo.

Proprio in quell'istante qualcuno riuscì ad aprire il portellone, e una zaffata di aria fresca iniziò a dissipare lentamente la coltre grigiastra.

Yamaguchi si mosse lentamente fino a sfiorare il grosso frammento frastagliato con le dita, mentre Tsukishima si mordeva il labbro ancora più forte. Per quanto Tadashi fosse dannatamente insicuro e convinto di essere un buono a nulla, Kei sapeva che ne sarebbe stato capace. Si erano aiutati a vicenda migliaia di volte sull'Arca, consapevoli di essere loro due da soli contro tutti. Sarebbe andato tutto bene anche sulla Terra, doveva andare tutto bene.

 

Tadashi si stava accingendo a tirare fuori il pezzo di metallo nonostante le mani che tremavano incontrollabilmente, quando all'improvviso sentì una voce preoccupata ma autoritaria alle sue spalle: “Non farlo, se non vuoi rischiare di recidere l'arteria femorale e ucciderlo. Strappa un pezzo di stoffa e legalo stretto sopra la ferita, qui ci penso io”.

Una mano dalle dita sottili si era posata sulla sua spalla e poi Tadashi aveva infine visto in faccia il suo interlocutore, un ragazzo che sembrava poco più grande di lui ma aveva in sé qualcosa che lo faceva apparire molto più maturo: forse erano i capelli così chiari da sembrare quasi argentei, forse l'espressione di chi aveva già visto la morte da vicino troppe volte, riflessa negli occhi dei suoi pazienti.

Yamaguchi obbedì, legando stretta una manica della sua camicia sopra la ferita e poi scostandosi per lasciare che Sugawara estraesse il frammento con calma olimpica e precisione maniacale.

Tutto si concluse in pochi istanti, con tre sospiri di sollievo all'unisono e un altro pezzo di stoffa premuto sulla ferita sanguinante.

“Ora andate fuori, qui c'è ancora troppo fumo e i vostri polmoni potrebbero danneggiarsi...” si interruppe da solo per un istante, ricordandosi che stava parlando come se si trovassero ancora sull'Arca: a pensarci bene non c'era una scelta migliore tra un ambiente saturo di fumo e uno spazio esterno probabilmente pregno di radiazioni, ma da fuori sentiva arrivare inequivocabili affermazioni di sollievo e addirittura urla di giubilo e meraviglia.

 

Koushi aiutò Tadashi a sorreggere Kei fino al portellone, per poi tornare a perlustrare un'ultima volta ogni angolo della navicella parzialmente distrutta, in cerca di altri feriti.

 

 

La meraviglia invase tutti i sensi di Kuroo non appena il portellone si aprì abbastanza per vedere il mondo esterno.

I colori erano così vivi da far male agli occhi: l'azzurro terso del cielo e il verde cangiante delle fronde gli riempirono lo sguardo, mentre i suoni che nessun uomo udiva da almeno trecento anni lo avvolgevano. Kenma, immediatamente davanti a lui, sembrava anch'egli incantato da quello spettacolo, ma temeva di fare il primo passo all'esterno.

E se una volta posati i piedi sul suolo terrestre qualche esalazione tossica li avesse uccisi? Gli ultimi tre anni passati in un minuscolo cubicolo all'interno di un grande congegno metallico nel silenzio del cosmo lo avevano reso particolarmente timoroso, e nella sua testa galleggiavano migliaia di domande destinate probabilmente a non avere risposta. Tremò leggermente.

Kuroo si era caricato in spalla il corpo inerte di Bokuto, che aveva il respiro regolare e sembrava miracolosamente solo un po' ammaccato dopo la sua bravata, ma era ancora privo di sensi.

Conosceva Bokuto da anni, ma l'aveva rivisto nella cella che avevano condiviso sull'Arca dopo un lungo periodo in cui avevano perso i contatti; solo in seguito aveva scoperto che Koutarou era stato confinato pochi mesi prima di lui per le sue ripetute violazioni delle zone off limits della grande stazione spaziale orbitante. Del resto Kuroo se l'era sempre aspettato, fin da quando lo accompagnava nelle sue bravate, e per un po' il rischio lo aveva anche fatto sentire elettrizzato.

Poi la responsabilità di proteggere Kenma era diventata più importante di tutto il resto.

 

Tutti i ragazzi assiepati davanti al portellone si spingevano per uscire e borbottavano tra loro, ma nessuno era tanto coraggioso (o imprudente) da uscire per primo.

 

“Beh? Avete intenzione di restare qui a bloccare la porta per sempre?” un ragazzo alto e magro con la testa rasata iniziò a sgomitare più degli altri. A forza di gomitate si fece largo fino al portellone, e con un salto scese dalla navicella.

Appena poggiò i piedi sul terreno erboso si tolse la maglietta e iniziò a rotearla in aria urlando: “Sono il primo uomo sulla Terra! Sono il primo fottuto uomo sulla Terra!”

 

“...Sembra che l'aria sia respirabile. O almeno, forse non moriremo subito...” mormorò Asahi, facendo qualche passo in avanti mentre anche tutti gli altri iniziavano a prendere coraggio.

“E io sarò il secondo, bro!” Nishinoya, che gli era davanti, con uno scatto felino seguì Tanaka e lasciò indietro Asahi, che si affrettò a raggiungerli. In pochi istanti erano tutti in piedi nella radura, ad annusare l'aria e ad esplorare lo spiazzo di un centinaio di metri circondato da una folta foresta nel quale erano atterrati.

 

 

Hajime sorreggeva l'amico Takahiro, che aveva metà faccia coperta di sangue e continuava a tossire: lui e Tooru l'avevano trovato così, prossimo a perdere i sensi, e un ragazzo dai capelli chiari che Iwaizumi aveva riconosciuto come uno dei medici dell'Arca gli aveva fatto una fasciatura improvvisata, prima di correre ad aiutare qualcun altro. Hajime aveva tutta l'intenzione di uscire all'esterno, ma non poteva abbandonare Tooru, ostinato a cercare di salvare le apparecchiature di localizzazione e comunicazione della navicella.

“Se solo riuscissi a isolare questo segmento e trovare una fonte di energia...” mormorava tra sé, in preda alla frustrazione, escludendo Hajime dalla sua personale battaglia contro i macchinari in avaria.

“Te lo dico l'ultima volta… usciamo subito da qui, non ha senso cercare di riparare questi strumenti se rischiamo di morire qui dentro…” sospirò Iwaizumi, alterato.

“Non serve a niente sopravvivere se non possiamo comunicare a nessuno che siamo vivi, lo vuoi capire?” rispose Oikawa, più alterato di lui. Detestava sentirsi impotente, e per quanto volesse toccare il suolo terrestre più di ogni altra cosa non riusciva ad accettare che tutti i macchinari che gli sarebbero serviti per comunicare con l'Arca e localizzare il luogo preciso dov'erano atterrati fossero andati perduti per sempre.

“Come vuoi… io porto fuori Hanamaki, non può resistere oltre qui dentro… ma se non sarai fuori entro cinque minuti tornerò qui, ti tramortirò a pugni e ti trascinerò fuori!” detto ciò, Hajime si allontanò verso il portellone, caricandosi in spalla il corpo ormai privo di sensi di Takahiro.

Oikawa rimase in silenzio, pensieroso. I bracciali che portavano tutti al polso (eccetto Iwaizumi, che si era infiltrato sulla navicella all'ultimo secondo) sarebbero serviti agli scienziati dell'Arca per monitorare i loro segni vitali, ma tutte le loro conclusioni si sarebbero basate su supposizioni.

Era stato lui a scoprire il guasto nel sistema dell'Arca, solo lui sapeva che in assenza di risposte certe dalla Terra il Cancelliere avrebbe provveduto a dare il via ad una selezione programmata per aumentare la disponibilità di ossigeno ancora per un po'… in pratica, se non avessero potuto comunicare con certezza l'abitabilità del suolo terrestre, lui sarebbe stato indirettamente responsabile di uno sterminio di innocenti. Non l'aveva detto neanche ad Hajime, perché convinto di dover sostenere da solo il tremendo peso di quella consapevolezza.

Tutto perché non era in grado di far funzionare quei dannati strumenti, tutto perché quel maledetto giorno aveva fatto rapporto sulla sua scoperta ai superiori e non si era accontentato delle loro risposte evasive, tutto perché aveva voluto indagare per capire di più, peggiorando la situazione e comprendendo l'enorme gravità di quello che stava succedendo solo quando era troppo tardi.

 

Tirò un pugno sul quadro comandi, con una potenza tale da fargli sanguinare la mano, ed imprecò ad alta voce. Non c'era più nessuno sulla navicella, e anche se il fumo si era dissipato quasi del tutto l'aria era comunque densa e gli bruciavano gli occhi.

 

Decise che avrebbe tentato di ricollegare i fili scoperti che portavano l'elettricità al quadro comandi: se la poca energia che ancora faceva sfarfallare le luci di emergenza avesse potuto far funzionare i macchinari almeno per qualche minuto, Tooru avrebbe potuto inviare un segnale: sicuramente dall'Arca avevano perso i contatti e la localizzazione della navicella molto prima dell'atterraggio, e senza il GPS non aveva idea di dove fossero realmente atterrati.

 

Era rischioso, ma chi altro poteva farlo?

 

Hajime gli apparve alle spalle mentre stava cercando di ricollegare i due fili con i pochi strumenti per la manutenzione che fortunatamente erano stati messi in dotazione alla navicella (al contrario dei viveri sufficienti per tutti, ma in fondo sarebbe stato uno spreco dilapidare risorse preziose per un centinaio di criminali minorenni destinati a morte certa), ma Tooru era talmente concentrato da non accorgersene.

Aveva appena avvicinato i due capi con la massima accortezza quando per un istante un'immagine telemetrica si materializzò sullo schermo, per poi sparire subito dopo. Oikawa ebbe un sussulto di sorpresa quasi impercettibile, ma sufficiente a fargli perdere la concentrazione per il tempo di un battito di ciglia.

 

Fu questione di un attimo, e la sensazione fu la stessa di quando era stato colpito dalla frusta elettrica di un collega di Hajime il giorno in cui era stato arrestato.

Vide nero solo per pochi minuti – o almeno fu questa la sua impressione – e quando riaprì gli occhi era fuori dalla navicella, con la testa appoggiata sulle gambe di Iwaizumi, che aveva l'espressione più corrucciata che gli avesse mai visto.

 

Spalancò gli occhi: tutto intorno a lui era così meraviglioso da dimenticare ogni altra cosa.

La Terra era esattamente come l'aveva immaginata.

Si riempì lo sguardo dell'azzurro acceso del cielo terso sopra di lui, che mai aveva visto dall'Arca.

Respirò per la prima volta l'aria della Terra, così fresca e strana da provocargli un bizzarro prurito alla gola, poi fissò gli occhi in quelli verdi di Hajime, che stava lentamente virando da un'espressione di rimprovero e preoccupazione ad un lieve sorriso (che solo lui riusciva a distinguere davvero, visto che in realtà si trattava della sua solita espressione vagamente corrucciata ma con gli angoli delle labbra impercettibilmente rivolti verso l'alto).

Hajime avrebbe voluto arrabbiarsi, ma constatare che Tooru era sano e salvo e che erano davvero arrivati vivi sulla Terra gli aveva fatto passare quasi del tutto la voglia di prenderlo a pugni (in ogni caso, di sicuro avrebbe avuto numerose occasioni in seguito per farlo).

Oikawa si mise lentamente a sedere, constatando che tutt'intorno gli altri ragazzi (o almeno quelli che stavano bene) stavano già iniziando ad ambientarsi e ad esplorare i dintorni.

 

Improvvisamente un pensiero gli attraversò la mente: abbassò lo sguardo, in cerca del tenue bagliore della lucina blu che indicava che il bracciale di metallo fosse acceso e funzionante, la stessa lucina blu che lampeggiava sul bracciale di Hanamaki, coricato accanto a lui su una piccola barella di fortuna e ancora privo di conoscenza.

 

Era spenta.

La scossa, per quanto modesta, aveva bruciato i circuiti del suo bracciale.

Da quel momento in poi, chiunque sull'Arca avesse controllato i loro segni vitali, avrebbe pensato che Oikawa Tooru, ragazzo prodigio della meccanica spaziale il cui desiderio più grande era stato quello di calpestare il suolo terrestre, fosse morto appena atterrato sul pianeta che aveva sempre popolato i suoi sogni.

 


E così pare che questo intenso secondo capitolo sia finito... ho esitato un po' nello scriverlo perchè non volevo far già succedere troppe cose all'inizio, ma alla fine è nato così, e chi sono io per distogliere Oikawa dai suoi piani autodistruttivi? In ogni caso è solo l'inizio, preparatevi a dosi di angst mai viste prima (no vabbè, ho fatto anche di peggio) e a tanti tanti personaggi che appariranno lentamente nei prossimi capitoli!!
Ringrazio tanto chi ha avuto voglia di recensire e spero che apprezzerete anche questo aggiornamento!


_Kurai_

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** We are NOT alone ***


We are NOT alone

 

Il sole era alto nel cielo privo di nuvole.

Secondo le nozioni dei libri di competenze terrestri che aveva divorato nascosto nel guscio sicuro dell'armadio di Kuroo, probabilmente erano passate almeno due ore da mezzogiorno. Kenma si era disabituato perfino alle luci circadiane dell'Arca a causa della sua lunga prigionia (prima autoimposta, poi obbligata) al buio, e tutta quella luce gli bruciava gli occhi e scottava la sua pelle diafana.

Tuttavia non si era mai sentito meglio. Per quanto tutto quello spazio aperto lo spaventasse, gli sembrava di respirare e di vivere davvero per la prima volta.

Era seduto all'ombra, con la maglietta di Kuroo sulla testa per ripararlo dai raggi del sole, mentre Tetsurou lavorava a torso nudo e di buona lena con gli altri per costruire dei ripari per tutti. Lui all'inizio aveva provato ad aiutarli, ma poi Kuroo lo aveva visto vacillare per il caldo e nonostante le sue proteste gli aveva ficcato in testa la sua maglietta e lo aveva spedito a riposarsi. Quindi era lì, seduto su un sasso sporgente ai margini della piccola area all'ombra costruita per i feriti con alcuni bastoni e dei teli trovati sulla navicella, a contemplare il luogo che avrebbe potuto diventare la loro nuova casa.

Kozume all'inizio aveva rivolto a Tetsurou uno sguardo storto, poi si era rassegnato e aveva respirato a pieni polmoni il profumo di Kuroo di cui era intrisa la maglietta, un profumo vagamente metallico che conosceva bene e che ormai associava alla sicurezza, alla protezione.

Quanto gli era mancato quando si svegliava continuamente nella sua cella sudando freddo, solo e in preda agli incubi in cui quegli uomini vestiti di bianco gli iniettavano siringhe e siringhe di quell'inquietante sostanza nera nel braccio!

Talvolta sentiva ancora quelle iniezioni bruciare nelle sue vene, come se avessero acceso un fuoco impossibile da estinguere. Ma ora Kuroo era nuovamente accanto a lui, e Kenma avrebbe potuto di nuovo stringere forte la sua mano e affondare il viso nel suo petto finché gli incubi non se ne fossero andati del tutto.

 

Dietro di lui erano allineate quattro barelle di fortuna, costruite con pezzi di sedili e teli di plastica. Solo due erano occupate: una ospitava un ragazzo dai capelli corti di uno strano castano rossiccio, con gran parte del viso fasciata e gli occhi chiusi. Sull'altra era seduto uno spilungone con i capelli biondi con mezzo pantalone strappato e una gamba fasciata, che con sguardo assente guardava in alto, verso le montagne. Un suo coetaneo con il viso spruzzato di lentiggini continuava a parlargli, ma lui non sembrava ascoltarlo.

 

Sembrava ci fossero state già due vittime dell'atterraggio, che giacevano sotto dei teli dal lato opposto della navicella.

Si trattava di due ragazzi che Kenma non aveva potuto vedere dal suo posto, che avevano deciso di seguire l'esempio di Bokuto ma non avevano avuto la sua stessa fortuna. Koutarou, infatti, che dava sfoggio di una vistosa fasciatura sulla fronte ma era energico e vivace come sempre, in quel momento stava cercando di sollevare un tronco più grande di lui nell'ottica di tagliarlo e usarlo per alimentare un falò, anche se con risultati opinabili, e continuava a scambiarsi con Kuroo battute altrettanto discutibili.

 

Solo un'altra persona come lui stava in disparte, dall'altro lato della radura. Era un ragazzo che non dimostrava più di sedici anni, con i capelli corti e scuri e un onnipresente sguardo torvo. Dall'atterraggio non aveva rivolto la parola a nessuno, e si stava costruendo un riparo di fortuna lontano da tutti gli altri, sbuffando e prendendo a calci ogni ostacolo che trovasse sul suo cammino.

 

Erano passate almeno quattro ore e i ripari per la notte sembravano quasi ultimati quando Hajime prese in mano la situazione: “Ho controllato la navicella e ho recuperato tutte le razioni di cibo. Non basteranno nemmeno fino a domani, è necessario andare in esplorazione nei dintorni. Oltretutto dobbiamo cercare di scoprire in che punto siamo atterrati esattamente...”.

Tirò fuori una mappa sicuramente vecchia di almeno un secolo, che sembrava essere stata trafugata dalla biblioteca dell'Arca. “Dalla telemetria che ha calcolato il dispositivo di localizzazione della navicella prima di saltare del tutto… dovremmo essere da qualche parte in questo quadrante, ad almeno 2 giorni di cammino dal monte Tsukuba, ossia il luogo dove teoricamente dovremmo trovare dei rifornimenti” commentò Tooru, guardando la mappa di Hajime.

 

Se aveva avuto il tempo di rubare una mappa (lui, una delle Guardie più rispettate dell'Arca!) doveva aver progettato di fare la pazzia di seguirlo da giorni, e Tooru desiderava parlargli fin da quando l'aveva visto salire sulla navicella. Da quando era stato confinato era rimasto in isolamento, e se anche avesse potuto scegliere avrebbe preferito non vedere Hajime: non voleva coinvolgerlo e rovinare anche il suo sogno, non voleva condividere con lui i suoi fantasmi.

Ma ora le carte in tavola stavano cambiando, e Oikawa non era più così sicuro della sua decisione di cercare di risolvere tutto da solo.

 

“Io proporrei di andare subito a caccia… al resto penseremo domani” li interruppe Kuroo, con un sorriso furbo. “A stomaco vuoto non si possono prendere buone decisioni!” aggiunse Bokuto, ancora esaltato per qualche oscuro motivo. “Tu non hai mai preso una buona decisione da quando ti conosco, bro” lo mise a tacere Tetsurou.

 

“...in effetti penso che sia un'ottima idea” convenne Hajime, rivolgendo lo sguardo all'esiguo mucchio di razioni liofilizzate che aveva trovato nella navicella “avremo bisogno di più acqua e di più legna, oltre che di qualsiasi fonte di cibo disponibile”.

Così i quattro si incamminarono verso il bosco, lasciando gli altri ad ultimare i ripari per la notte.

Oikawa passò più vicino degli altri al ragazzo che si era autoesiliato ai margini del campo.

“Tobio-chan, vuoi venire a caccia con noi?” gli chiese facendo roteare distrattamente tra le mani l'asta della lancia rudimentale che aveva costruito poco prima, con un accenno di sfida nella voce.

Tobio si girò dalla parte opposta, ignorandolo.

“Visto che hai deciso di non mischiarti a noi comuni mortali, forse ti conviene procacciarti il tuo cibo” aggiunse Tooru, alzando le spalle.

Solo un paio di anni prima quel ragazzino lo rispettava, mentre ora sembrava odiarlo profondamente. Aveva in mente almeno un paio di motivi per cui Tobio potesse detestarlo in quel modo, ma non poteva farci nulla.

Conficcò un coltello nel terreno accanto a lui, poi si allontanò con Hajime, Tetsurou e Koutarou verso l'interno della foresta.

 

 

“Ma voi credete davvero che tutti gli altri abitanti dell'Arca ci raggiungeranno se scoprono che qui stiamo bene?” Tanaka si asciugò la fronte con l'angolo della maglietta, per poi sedersi in cerchio insieme a tutti gli altri che erano rimasti all'accampamento. “Voglio dire – continuò – se verranno qui e ristabiliranno lo stesso governo dell'Arca, davvero si dimenticheranno dei nostri crimini?”

Un silenzio denso di mute riflessioni li avvolse tutti per qualche minuto, poi un ragazzo biondo che fino a quel momento non aveva fatto altro che prefigurare meravigliosi scenari di anarchia e divertimento nella loro “nuova casa” prese la parola, cogliendo la palla al balzo: “Voi davvero avete tanta voglia di rivedere chi vi ha messo dentro? Io non voglio farmi controllare da delle persone che una volta fatto lo sporco lavoro per loro verranno qui a rimetterci in gabbia… voi sì?”.

“Terushima Yuuji, giusto? Sull'Arca non c'è nessuno che vorresti rivedere?” chiese Asahi, che sapeva come degeneravano le cose ogni volta che Tanaka accendeva la scintilla e qualcuno gli andava dietro “Non hai una famiglia sull'Arca?”

“Se ti interessa tanto no, non ho una famiglia sull'Arca, e credo di dover ringraziare anche tuo padre per questo… e comunque mi sembra strano che proprio tu, che sei stato praticamente ripudiato da quando il tuo paparino ha perso il posto in consiglio voglia così tanto rivedere la tua famiglia!”

Yuu fece per alzarsi e scagliarsi contro Terushima, ma Asahi, recuperato un po' di coraggio, stese un braccio davanti a lui e rimase in silenzio, rivolgendo a Yuuji uno sguardo che diceva più di mille parole.

“Può darsi che Asahi non abbia tutta questa gran voglia di vedere suo padre, ma lui non metterebbe mai il suo egoismo davanti alle vite e agli affetti di tutti gli altri!” non riuscì a trattenersi Nishinoya, mentre Tanaka accanto a lui sembrava coinvolto in un'intensa battaglia interiore.

“Hai ragione, piccoletto… io parlo per me, e quindi la scelta di togliermi questo bracciale dipende solo da me” Terushima sollevò da terra un pezzo di metallo lungo e smussato e si mise al lavoro per forzare la chiusura del bracciale trasmettitore, che dopo qualche minuto si aprì con uno scatto.

“Bè? Qualcuno la pensa come me? Volete davvero che quegli stupidi adulti vengano ad appropriarsi di quello che stiamo costruendo e a confinarci di nuovo?”.

Un brusìo animò i ragazzi assiepati nella radura, e dopo pochi minuti un piccolo gruppo di una dozzina di persone si stava contendendo la rudimentale leva per aprire il meccanismo, per poi lasciarsi andare ad esclamazioni di giubilo per la riottenuta “libertà”.

Una volta che la folla si fu diradata, Tanaka si alzò e raccolse da terra la sottile sbarra di metallo.

“Ryuu… ne sei sicuro? Non vuoi rivedere tua sorella?” gli si avvicinò Nishinoya, cercando di dissuaderlo.

“Yuu, quelli come me non vengono perdonati facilmente sull'Arca… e probabilmente per mia sorella sono morto nove anni fa” aggiunse Ryuunosuke, continuando ad armeggiare col bracciale.

 

Yuu e Azumane avevano conosciuto Ryuu due anni prima, nella cella che i tre avevano condiviso durante la loro prigionia. Ryuunosuke era un vero veterano: si diceva che fosse stato confinato all'età di otto anni, e che l'anno seguente, al compimento della maggiore età, sarebbe stato sicuramente giustiziato.

Lui si divertiva a mettere in giro storie sempre diverse con particolari sempre più raccapriccianti per spaventare gli altri ragazzi del carcere, ma una notte aveva raccontato ai due compagni di cella la sua vera storia, e da allora tra di loro si era consolidato una sorta di rapporto di fratellanza, anche se Asahi per carattere era sempre molto esitante a lasciarsi coinvolgere dagli altri due: Yuu era il perno che metteva d'accordo la calma pacifica di Azumane con il caos di Ryuu, e in quei due anni aveva continuato a dimostrarlo.

 

Nove anni prima, Tanaka era stato confinato per aver ucciso una persona. Non una persona qualunque: Ryuunosuke aveva ucciso una Guardia.

In realtà la sua stessa esistenza era contraria alla legge: non avrebbe potuto avere una sorella secondo le leggi dell'Arca, ma la madre era morta di parto e Saeko, che aveva appena raggiunto la maggiore età, aveva finto di essere sua madre con la collaborazione del suo fidanzato di allora, Hiroshi, che faceva parte del corpo delle Guardie.

Ryuu aveva vissuto i primi sei anni della sua vita in una famiglia apparentemente felice, finché il suo presunto “padre” non aveva iniziato a bere, fino a rischiare di essere espulso dal suo posto di lavoro.

Saeko Tanaka era una donna forte, e il giorno in cui Hiroshi entrò nella loro unità abitativa agitando la pistola d'ordinanza e minacciando di ucciderli entrambi “perché gli avevano rovinato la vita e per colpa loro sarebbe stato espulso dalle Guardie” era riuscita a disarmarlo; a quel punto l'uomo che aveva creduto di amare l'aveva minacciata con la frusta elettrica, e in un interminabile istante il suo fratellino di otto anni aveva raccolto da terra la pistola e gli aveva sparato, con le mani tremanti, senza nemmeno sapere quello che stava facendo.

Lo avevano portato via scalciante e urlante, e l'avevano lasciato in isolamento per giorni.

In nove anni non aveva mai ricevuto una visita di sua sorella, e aveva iniziato a pensare che la sua vita sarebbe finita lì. Ecco perché era orgoglioso di essere “carne da macello”, ecco perché era così felice di essere sulla Terra, lontano da coloro che avevano ucciso la sua infanzia.

 

 

Oikawa, Iwaizumi, Kuroo e Bokuto avanzavano nella foresta da più di un'ora cercando di non fare rumore, anche se Koutarou non aveva preso troppo sul serio quest'ultima parte.

Improvvisamente Hajime inchiodò in mezzo al sentiero, per poi intimare agli altri tre il silenzio: “Sentite anche voi questo… scroscio?”

Iniziarono a correre tra le fronde, seguendo il rumore: come Iwaizumi aveva immaginato, si trattava davvero del rumore di una cascatella, che terminava la sua corsa in un piccolo lago dall'acqua chiara e limpida.

“Direi che il problema dell'acqua è risolto” sogghignò Kuroo, prima di togliersi nuovamente la maglietta e le scarpe ed entrare nel lago, per trovare refrigerio dalla tremenda calura e dalla stanchezza. Bokuto lo seguì immediatamente tuffandosi da un masso, per poi ricordarsi di non saper nuotare e farsi venire un mezzo attacco di panico, prima di accorgersi di toccare il fondo.

“Sono circondato da idioti” commentò Hajime.

“Mentre voi sguazzate io e Iwa-chan esploriamo qui intorno… sarebbe bello trovare la cena di stasera che passeggia nel bosco” disse Oikawa, che stava cercando di dedicarsi agli aspetti pratici per non pensare al suo bracciale distrutto e ai macchinari fuori uso. In fondo prima di tutto dovevano verificare che fosse possibile sopravvivere, tutto il resto sarebbe venuto in seguito.

Hajime aveva la pistola d'ordinanza al fianco e Tooru la sua lancia, di cosa dovevano preoccuparsi?

I due guadarono il lago nel punto meno profondo e si inoltrarono nella macchia sull'altra sponda, ricalcando l'uno i passi dell'altro.

 

“Ragazzi… che cosa state facendo?” Koushi aveva appena finito di controllare la medicazione ad Hanamaki: i punti sulla fronte sembravano reggere e la ferita non sanguinava più, mentre il suo respiro era tranquillo e regolare. Mentre era privo di sensi e in preda alla febbre e ai sudori freddi Takahiro aveva continuato a mormorare il nome di un certo Issei, ma da poco sembrava essersi calmato ed addormentato, e con ogni probabilità si sarebbe svegliato prima di sera.

Il medico si asciugò il sudore dalla fronte e raggiunse gli altri ragazzi, che urlavano e schiamazzavano lanciando i loro bracciali in un mucchio che si faceva via via più numeroso.

“Posso capire che molti di voi siano nella loro fase ribelle e non vogliano che gli adulti rovinino questo infantile momento di gloria ma… davvero siete convinti che sarebbe così facile sopravvivere da soli qui, in mezzo all'ignoto, senza il sostegno dell'Arca? Quei bracciali sono l'unica cosa che ci tiene in contatto, come potete prenderla così alla leggera?” disse con voce ferma e decisa, con l'intenzione di usare la diplomazia.

“Fai presto a parlare, tu! Sei un adulto, sei un medico, a nessuno verrebbe in mente di gettarti via come la feccia, come faranno con noi!” urlò una voce nel mucchio.

“Però siamo sulla stessa barca o sbaglio? Sapete cosa succederà se sull'Arca penseranno che stiamo morendo per le radiazioni o per chissà che altro? In pochi mesi finiranno l'ossigeno, e allora voi sarete responsabili di aver causato la morte di tutte quelle persone! Non vi sentite in colpa nemmeno un po'?”

Koushi pensava a Daichi, che probabilmente si trovava ancora nella sala medica dell'Arca e si stava lamentando con il dottor Takeda per poterlo vedere… chissà che cosa gli aveva raccontato per farlo stare tranquillo! Sperava davvero che la sua operazione sarebbe stata sufficiente a farlo riprendere del tutto, anche se era già riuscito a fare un miracolo salvandogli la vita.

 

Sawamura Daichi era uno dei più giovani ufficiali delle Guardie da quando era stata fondata l'Arca, e per questo attirava spesso dissapori e rivalità, nonostante il suo carattere calmo e risoluto e la sua impeccabile professionalità. Tuttavia, secondo l'istinto di Koushi, questa volta si era trattato di qualcosa di peggiore, diverso dagli isolati atti di sabotaggio dei colleghi più anziani che aspiravano al suo posto. Sugawara pensava che il suo ragazzo avesse scoperto qualcosa di davvero grosso, e che qualcuno nelle alte sfere lo avesse voluto mettere a tacere: ecco che si spiegavano anche i continui richiami per impedirgli di somministrargli più sangue e ossigeno durante l'operazione, anche molto prima che raggiungesse la soglia limite. Lui non si era fermato, e adesso un Daichi debole e convalescente era alla mercé di colui che l'aveva già aggredito una volta… solo pensarci scatenava nel cuore di Koushi, che di solito era calmo e pacato, una rabbia incontenibile tanto forte da fargli salire la nausea. Sperava davvero che il dottor Takeda e il signor Ukai, l'unico membro affidabile del Consiglio, sarebbero riusciti a proteggerlo come gli avevano promesso mentre due guardie lo trascinavano via, lontano dal suo Daichi.

Quella stessa rabbia stava cercando di nuovo di uscire, istigata dall'atto irresponsabile di un gruppo di ragazzini ribelli che volevano lasciar morire l'Arca di una lenta asfissia.

 

 

Tobio Kageyama camminava silenzioso come un'ombra nella foresta, prestando la massima attenzione all'ambiente che lo circondava.

Stringeva febbrilmente con la mano sudata il coltello che gli aveva lasciato Oikawa, ma aveva pensato a lungo se accettarlo o meno; alla fine l'aveva tenuto con sé solo per necessità, progettando di costruirsi un arco o qualcosa del genere nei giorni seguenti.

Lui era perfettamente in grado di farcela da solo, e mai più si sarebbe affidato a qualcun altro dopo tutte le delusioni che aveva subìto sull'Arca. Mai più.

Si era inoltrato nella macchia sul lato opposto dell'accampamento rispetto a quello dal quale erano partiti gli altri quattro, per garantirsi calma e silenzio e per cercare un territorio di caccia tutto suo.

Non sapeva se ci fossero animali e non aveva nemmeno idea di cos'avrebbe fatto se ne avesse visto uno, ma non aveva dubbi che se la sarebbe cavata. Il suo istinto e la sua pianificazione non l'avevano mai tradito prima di quel momento. Cioè, forse un paio di volte, ma non era stata colpa sua.

Sbuffò, rivolgendo lo sguardo verso il terreno umido e ricoperto di foglie.

E poi, nel silenzio, ecco il distinguersi netto di un fruscìo, un movimento rapido tra gli alberi.

Tobio strinse più forte il coltello, trattenendo il respiro per un istante per la sorpresa.

Un altro movimento e l'avrebbe lanciato, sperando di colpire la sua preda.

Eccolo di nuovo: una saetta nera in corsa tra gli alberi, inconsapevole della sua sorte.

Tobio lanciò la lama, confidando come sempre nelle sue spiccate abilità di controllo.

Tutto si fermò per un istante, e i contorni della sagoma scura si fecero nitidi e chiari. Non si trattava di un animale.

Si avvicinò lentamente, tremando impercettibilmente.

Davanti a lui, con il coltello infilzato in un fianco, c'era un ragazzino minuto di capelli rossi che lo fissava con uno sguardo terrorizzato e che portava in spalla un piccolo arco e alcune frecce dalle piume nere.

Piume nere e pelli dello stesso colore ornavano i suoi abiti, e il suo viso era sporcato ad arte di nero, probabilmente per mimetizzarsi meglio. Evidentemente non aveva funzionato molto bene.

 

Il ragazzino sembrava indeciso se mettersi a urlare per il dolore o rimanere lì, pietrificato in preda allo shock a fissare il sangue che sgorgava a fiotti dalla ferita, come se non gli appartenesse.

Dal canto suo Tobio era altrettanto pietrificato: aveva colpito una persona, un bambino oltretutto… cosa doveva fare? E inoltre… evidentemente la Terra non era disabitata come pensavano gli scienziati dell'Arca. Dovevano essercene altri, dovevano esserci altri terrestri. Non erano soli.

 

Dopo qualche istante Kageyama si riscosse: non poteva restare lì, alla mercè di possibili attacchi di altri terrestri giunti ad aiutare il loro compagno ma… non poteva nemmeno abbandonarlo.

Si caricò il corpicino sulle spalle, attento a non toccare il coltello che ancora stava martoriando le carni del piccolo terrestre. Sapeva che toglierlo avrebbe rischiato di causare danni più estesi, e non voleva diventare un assassino.

Gli occhi color del fuoco del ragazzino sfarfallarono un po' e poi si chiusero, mentre i sensi lo abbandonavano.

Tobio iniziò a tornare sui suoi passi, con il cuore che batteva così forte da rimbombargli nella testa.

 

 

Hajime aveva trovato una traccia: una pista di orme ben delineate che partiva dalle vicinanze del lago verso l'interno della foresta sull'altra sponda dello specchio d'acqua.

“Sono sicuro che è un cervo o qualcosa del genere” convenne a bassa voce, mentre Tooru pensava che doveva aver davvero deciso di seguirlo sulla Terra da diversi giorni, visto che aveva avuto il tempo di documentarsi a tal punto sulla fauna terrestre.

Dopo meno di un quarto d'ora raggiunsero una piccolissima radura sgombra di alberi: il cervo, maestoso e illuminato dal sole, stava brucando l'erba proprio lì, ignaro della minaccia.

“Vado io” sorrise Oikawa rigirando la lancia in mano “non vale la pena che tu sprechi proiettili per una preda così facile” e detto ciò uscì allo scoperto nella radura, avanzando in silenzio e con piccoli passi misurati per non attirare l'attenzione dell'animale.

 

Era alla distanza giusta: sarebbe bastato inarcare leggermente il braccio all'indietro e il cervo sarebbe diventato la loro cena. Tuttavia, un suono lontano nella foresta fece voltare il collo all'animale, che comunque non si accorse immediatamente della presenza di Tooru.

Al ragazzo per poco non cadde di mano la lancia: il cervo aveva due teste, di cui una orribilmente sfigurata.

Deglutì rumorosamente e riprese il controllo: doveva essere l'effetto delle radiazioni, e in ogni caso ormai anche loro avrebbero fatto parte di quel luogo e avrebbero dovuto sopravvivere in qualche modo, quindi non era il momento di essere schizzinosi.

 

Scagliò in avanti la lancia nello stesso momento in cui Hajime uscì fuori dalle fronde sul limitare della radura e lo spinse di lato. Qualcosa gli fischiò accanto a un orecchio, per poi conficcarsi in un albero alle sue spalle. Una freccia.

Tooru aguzzò lo sguardo per un istante tra gli alberi e notò un movimento rapido, poi più nulla.

“Iwa-chan...” lo chiamò, per attirare la sua attenzione.

Quando Hajime si voltò era pallido come un lenzuolo: una freccia gli aveva trafitto il braccio sinistro, poco sopra il gomito.

“Sei ferito, Iwa-chan...” constatò l'ovvio Tooru, improvvisamente incapace di decidere cosa fare.

Chi era stato a colpirli? C'era qualcun altro sulla Terra insieme a loro?

Un brivido gelido gli corse giù lungo la schiena.

 


Ed ecco il numero tre e un po' di cliffhanger che non guasta mai XD Prima di tutto voglio fare due precisazioni: in questo capitolo ho fatto due scelte su cui è meglio spendere qualche parola, una che riguarda un personaggio e un'altra in merito all'ambientazione.
Per quanto riguarda la prima... scusami Saeko, ti ho regalato un sacco di anni in più a gratis, mi farò perdonare in seguito prometto XD 
Invece sulla seconda scelta parlerò di più in seguito: come noterete dal nome del monte in cui si ambienterà il secondo arco della storia (che non è evidentemente Weather) ho deciso di ambientare il tutto in Giappone, sia perchè mi faceva abbastanza strano schiaffarli in America, sia perchè... vedrete u.u

Detto ciò... grazie a chi ha letto e recensito e alla prossima!

_Kurai_

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Capitolo 4
*** Broken Balance ***


Broken balance

 

Hajime sollevò il braccio destro e sparò due volte in direzione dei rami alti dell'albero da cui erano partite le frecce, con il viso contratto in una smorfia d'irritazione e dolore.

Senza voltarsi indietro a controllare l'efficacia dei suoi colpi, con un cenno invitò Tooru ad aiutarlo a trasportare il cervo.

Oikawa era ancora sconvolto dalla scoperta: avevano pensato di essere colonizzatori in una terra deserta e inospitale e improvvisamente avevano scoperto l'esistenza di un nemico contro il quale con ogni probabilità avrebbero dovuto combattere.

Si caricò il cervo in spalla tutto da solo, anche se era così pesante da rendere difficile perfino compiere un singolo passo.

Iwaizumi si era ferito per salvarlo, sennò probabilmente quella freccia sarebbe stata conficcata nel suo petto.

Oikawa continuò ad avanzare con difficoltà (pur senza darlo a vedere) sul sentiero dietro ad Hajime, che cercava di dissimulare il dolore ma con una mano stava cercando di rompere la freccia per staccarla dal braccio con scarsi risultati, mordendosi il labbro a sangue. Colui che li aveva attaccati sembrava scomparso tra le fronde, probabilmente spaventato dai colpi di pistola.

 

 

“Abbiamo salvato la giornata, ragazzi!” trovarono ad accoglierli le urla di giubilo di Bokuto, tutto estatico mentre agitava due pesciolini pescati chissà come, che a stento avrebbero sfamato una persona. La sua voce si spense vedendo il braccio di Hajime, e quando Oikawa apparve dietro Iwaizumi trascinandosi dietro la grossa preda rimase così stupito da lasciar cadere in acqua entrambe le sue preziose prede.

Iwaizumi, dopo altri tentativi falliti, sedutosi accanto a Oikawa su un masso vicino al lago, con il suo aiuto riuscì a spezzare il legno del dardo e a tirarlo fuori. Un fiotto caldo di sangue si riversò sul suo avambraccio e Tooru lo aiutò a fasciarlo in fretta, sacrificando il suo fazzoletto. Hajime era pallido, ma il suo sguardo era fermo e deciso.

Bokuto e Kuroo si adoperarono quindi a legare il cervo ad un tronco per trasportarlo meglio fino all'accampamento.
Hajime, dopo aver lavato la ferita nell'acqua limpida (e potenzialmente contaminata) del lago, camminava davanti a tutti, insistendo per dare il cambio ogni tanto e portare un'estremità del tronco col braccio sano. Tooru continuava a indugiare su di lui con lo sguardo, sospirando e fissando la benda già intrisa di sangue, senza sapere esattamente cosa fare per la prima volta nella sua vita.

 

“Ma cos'è successo mentre eravate a caccia?” chiese Kuroo, curioso e piuttosto inquieto, pur senza darlo a vedere “chi ha colpito Iwaizumi?”

“Io ho visto solo un movimento tra i rami, ma temo che l'ultimo terrestre non sia morto sull'Arca… e che comunque non ci voglia nel suo territorio di caccia” sussurrò Oikawa, come se chiunque li avesse attaccati poco prima potesse sentirlo.

Hajime non sembrava al massimo della forma, ma ostentava calma e sicurezza. Tooru sapeva che lo stava facendo per lui, perché da sempre cercava di essere quello forte per entrambi, perché sotto l'apparenza del testardo meccanico spaziale tutto d'un pezzo lui era dannatamente fragile, e solo Iwaizumi lo sapeva.

Tooru aveva cercato di salvare almeno il suo futuro, quel dannato giorno sull'Arca, era riuscito a non farlo confinare e buttar fuori dalle Guardie come suo complice e aveva fatto di tutto per sviare i sospetti da Hajime, ma alla fine lui l'aveva seguito comunque e i suoi tentativi non erano serviti a niente.

Hajime era lì solo per lui, era salito sulla navicella per lui e si era lasciato colpire per difenderlo.

Un dolore sordo iniziò a tormentarlo alla bocca dello stomaco, mentre il senso di colpa lo assaliva a ondate.

 

Quando i quattro tornarono all'accampamento, gli altri ragazzi formarono un capannello intorno alla preda che avevano cacciato, lasciandosi andare a esclamazioni di gioia e giubilo.

Stava per calare il buio, e qualcuno era già riuscito ad accendere un bel fuoco scoppiettante che tingeva tutto di una lieve sfumatura arancione.

Hajime prese distrattamente il coltello che portava alla cintura e lo rigirò tra le mani, sovrappensiero. Tooru non lo perdeva di vista, mentre fingeva di ascoltare gli altri che lo osannavano per aver rimediato la cena per tutti.

Dopo qualche minuto, Hajime prese la sua decisione e si sedette per terra, strappandosi la benda ormai inservibile dal braccio e allungando la mano col coltello verso le fiamme, lasciando che riscaldassero la lama.

Oikawa attraversò l'accampamento in pochi istanti, raggiungendolo proprio quando stava per premere l'acciaio incandescente sulla ferita che non smetteva di sanguinare.

“Cosa stai facendo?” urlò, cercando di strappargli di mano il coltello.

“Cauterizzo la ferita, no? L'ha spiegato il professor Mizoguchi a lezione di competenze terrestri una volta e non credevo che mi sarebbe mai servita una conoscenza simile, ma continua a sanguinare e devo fare qualcosa...”

“Qualcosa che potrebbe coinvolgere anche il medico che abbiamo la fortuna di avere qui con noi non ti è nemmeno passato per la mente, vero?”

“Si sta occupando di Takahiro, non vedi?” disse, indicando il loro amico che ancora non si era svegliato. “Inoltre prima che andassimo a caccia mi ha detto che ci sono pochissime medicine e disinfettanti ed è solo il primo giorno, preferisco che li tenga per persone a cui servono davvero. Non ti preoccupare, non fa così male quanto sembra, posso fare benissimo da solo” ribattè Iwaizumi, che stava ancora fissando la punta del coltello che virava al rosso-arancione brillante. Davanti all'interdetto Oikawa premette di piatto la lama sulla pelle per qualche secondo, diffondendo un lieve odore di carne bruciata e facendo una smorfia di dolore. Tooru voleva farlo smettere, ma all'improvviso rivolse lo sguardo verso le fiamme e si dimenticò di colpo le parole che stava per dire ad Hajime.

Uno scintillìo metallico attirò la sua attenzione, e poi individuò una dozzina di oggetti cilindrici parzialmente distrutti che si stavano disfacendo lentamente tra le lingue di fuoco.

 

“Cos'è successo qui mentre eravamo a caccia?” rivolse la domanda al figlio dell'ex Cancelliere, che aveva appena finito di trasportare una catasta di legna raccolta nel bosco accanto al falò.

Lui indossava ancora il bracciale, anche se aveva un'aria dispiaciuta, quasi colpevole, il che risultava quasi fuori posto su un volto dai tratti così mascolini e decisi. Solo quelli che lo conoscevano bene sapevano che la sua apparenza non corrispondeva affatto al suo carattere, molto calmo e pacato.

“Non sono riuscito a fermarli… quel Terushima ha convinto molti a togliersi il bracciale perché secondo lui gli adulti sarebbero venuti qui a rimetterci sotto chiave. Ma lui non sa che...” Asahi si interruppe, temendo di essere sul punto di farsi scappare qualcosa.

“Non sa che stanno per finire l'aria lassù, vero? E che hanno intenzione di uccidere la popolazione di un intero segmento dell'Arca per ovviare al problema?” rispose Oikawa, con un tono più alto e irritato di quanto volesse.

Alcune teste si voltarono verso di lui, che si alzò in preda alla rabbia.

“Noi abbiamo rischiato di essere attaccati perché voi sopravviveste, abbiamo trasportato fin qui anche la vostra cena, e voi vi siete divertiti a buttare via l'unico meccanismo che ci tiene in contatto con la nostra gente! Siamo qui da soli, con poco cibo e poche armi, probabilmente ci sono ancora dei terrestri ostili pronti ad ucciderci in ogni momento… ma voi no, voi siete sicuri di farcela, pensate solo alla vostra pelle e alla libertà di fare quello che vi pare! Qui non siamo sull'Arca, qui possiamo morire in ogni momento! E se questo non vi basta, se penseranno che stiamo morendo per le radiazioni e sceglieranno di non seguirci i vostri cari moriranno sull'Arca… volete esserne responsabili? Moriranno delle persone per colpa vostra! E se non raggiungeremo quel monte laggiù moriremo anche noi, quindi vedete di essere meno irresponsabili!”

Yuuji si fece avanti in un gruppo di ragazzi senza bracciale “Siamo molto più forti di quanto immaginano, possiamo sopravvivere anche da soli!” un brusio eccitato si diffuse intorno a lui.

“Ne riparleremo quando qualcuno ti tirerà contro una freccia” ribattè Tooru, voltandosi e dandogli le spalle, nel tentativo di dominare la rabbia.

Qua e là i ragazzi si scambiarono sguardi preoccupati, mentre Terushima tentava di ribattere a tono ma veniva interrotto da una ragazza dai capelli castani che sembrava avere un certo ascendente su di lui, che lo trascinò via senza dire nulla.

“Hana, sta dicendo così solo per spaventarci...” lo sentirono protestare, mentre lei tentava di farlo ragionare.

 

“Pensi che diffondere il panico sia il modo migliore per permettere che tutti sopravvivano, idiota di un Oikawa?” gli apparve alle spalle Hajime, con il braccio sinistro dolorante fasciato e ancora abbandonato lungo il corpo “Dov'è finito lo stratega che sapeva sempre cosa fare per motivare gli altri?”

“Temo sia rimasto sull'Arca, insieme alla mia fiducia nel buonsenso altrui” rispose Tooru, con una smorfia di disappunto.

 

Mentre il primo tramonto sulla Terra iniziava a tingere tutto di una sfumatura rosata, qualcuno si mosse tra gli alberi. Tooru scattò per afferrare la lancia, con un guizzo nello sguardo. Se fosse stato il terrestre che aveva colpito Hajime e aveva cercato di colpire lui stesso lo avrebbe fatto pentire di essere nato, com'era vero che si chiamava Oikawa Tooru.

Stava già per scagliare l'arma alla cieca tra le fronde, guidato da un pericoloso istinto e dalla rabbia per ciò che era successo durante la sua assenza, quando vide far capolino la testa di Tobio, che arrancava trasportando qualcuno sulle spalle.

Ripreso possesso dei suoi nervi, Tooru lasciò andare l'asta della lancia per andargli incontro, quando si fermò all'improvviso, notando l'arco e la faretra che spuntavano dalla schiena del ragazzino svenuto che Tobio stava trasportando, poi i suoi vestiti e il suo viso ornato da due irregolari strisce nere.

“...Cos'è successo?” gli disse con tono fintamente calmo ma con uno sguardo che diceva esattamente il contrario “Perché stai portando un terrestre ferito nel nostro campo? Potremmo essere tutti ancora più in pericolo ora, se ti hanno seguito… che cosa credi di fare?”

Tobio gli passò davanti ignorandolo, senza nemmeno degnarlo di un'occhiata, diretto verso l'infermeria improvvisata di Sugawara.

“Sugawara-san… puoi salvarlo?” gli chiese con un filo di voce che non sembrava nemmeno la sua, prima di crollare a sedere esausto, più mentalmente che fisicamente.

 

 

Aveva pensato a lungo a quello che gli era successo, alla grande, enorme ingiustizia che lo aveva condotto fino a quella radura isolata sulla Terra, dopo avergli fatto passare orribili settimane in prigione.

Tobio Kageyama aveva appena quindici anni, la maggior parte dei quali li aveva trascorsi ad essere coccolato e vezzeggiato dagli adulti (e invidiato dai suoi coetanei) per le sue innate capacità in quasi tutti i campi, anche se il suo carattere scontroso rovinava un po' l'immagine complessiva.

Un'infanzia a sentirsi dire che avrebbe potuto fare grandi cose, che se lo avesse voluto avrebbe potuto perfino superare il record di Oikawa ed entrare nel corpo speciale dei meccanici spaziali con due o tre anni di anticipo, che non c'erano limiti agli obiettivi che avrebbe potuto raggiungere e… nel giro di un giorno aveva perso tutto.

I sogni, le ambizioni, il suo modello da seguire e perfino coloro che considerava amici.

Si era dissolto tutto solo per la sua curiosità, che lo aveva portato a indagare su alcune stranezze e a seguire lo stesso Tooru dopo l'orario del coprifuoco.

Aveva sentito qualcosa che non doveva sentire, e aveva iniziato a porsi troppe domande.

Aveva cercato sostegno nei suoi due unici amici, Akira Kunimi e Yutaro Kindaichi, che però lo avevano tradito e lo avevano denunciato al consiglio, in cambio di chissà cosa.

Infine Oikawa stesso, che per lui era sempre stato una sorta di modello a cui ispirarsi, aveva rifiutato di rispondere alle domande del Consiglio, lasciando che incriminassero anche lui e lo confinassero a sua volta per alto tradimento, anche se il suo unico errore era stato quello di essersi trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato.

E ora era lì, con le mani macchiate del sangue di una persona.

L'unica cosa che lo aveva salvato dall'impazzire era stata la certezza della sua innocenza, e ora rischiava di diventare un assassino.

Forse avrebbe dovuto preoccuparsi prima dell'identità del ragazzino che aveva colpito, visto che comunque era armato e non poteva che essere una minaccia per loro: se ce n'era uno sicuramente ce n'erano altri.

Invece sentiva solo addosso gli sguardi accusatori del Consiglio, il pianto di sua madre quando lo avevano portato via, e decine di voci intorno a lui che ora sussurravano “colpevole”, “assassino”. Gli occhi spalancati, grandi e ingenui del ragazzino terrestre gli erano rimasti incisi nella mente, e li vedeva ogni volta che sbatteva le palpebre.

 

“Il coltello potrebbe aver colpito degli organi interni… non sono sicuro di riuscire a salvarlo senza macchinari e strumenti, ma ci proverò” sospirò Koushi, stupito dall'espressione di Tobio e quasi intenerito dal viso infantile del piccolo terrestre, la cui apparenza era tutto tranne che minacciosa nonostante le armi che portava addosso.

 

Gli rimanevano ancora pochi medicinali: in un solo giorno aveva dimezzato le bende e il disinfettante e aveva scoperto con orrore che le pastiglie di antibiotico contenute nella cassetta del pronto soccorso della navicella erano molto meno numerose di quanto pensasse: evitare le infezioni era la cosa più importante e urgente, e concluse che avrebbero dovuto raggiungere la base costruita dentro il monte Tsukuba il prima possibile (sempre che quei rifornimenti tanto decantati ci fossero davvero).

 

Aveva passato tutto il pomeriggio a dividersi tra le piccole e grandi esigenze dei ragazzi nell'accampamento: aveva medicato piccoli graffi e ferite dei più giovani che cercavano di aiutare i più grandi ad allestire le tende e a trasportare la legna per il fuoco, aveva aiutato una ragazzina che non dimostrava più di quattordici anni a riprendersi dopo uno svenimento (quando cresci in una grande scatola di metallo climatizzata in mezzo allo spazio, abituato alle luci circadiane artificiali o alla penombra di una cella, un torrido pomeriggio estivo sulla Terra può essere uno shock non indifferente) e aveva tenuto d'occhio per tutto il tempo i due feriti più gravi, senza fermarsi un momento.

Lo spilungone biondo che si era ferito alla gamba sembrava star bene, o almeno non soffriva abbastanza da porre un freno alle sue osservazioni pungenti e vagamente irritate su tutto ciò che lo circondava, mentre il suo amico non si staccava da lui per un istante e cercava di dissuaderlo dal cercare di alzarsi, come gli aveva consigliato Sugawara.

L'altro ferito dormiva ancora, ma la febbre si era abbassata ed era riuscito a somministrargli l'antibiotico: si sarebbe ripreso, anche se con una vistosa cicatrice sulla fronte.

E ora ecco il giovane Tobio, che aveva sempre visto con quel cipiglio arrogante e la convinzione granitica di essere superiore a chiunque, che gli chiedeva praticamente in ginocchio di salvare un ragazzino di una popolazione ignota e probabilmente minacciosa, apparso dal nulla.

Non aveva dubbi su quale fosse il suo dovere, anche se si stava formando intorno a loro un capannello di gente curiosa e borbottante che si chiedeva cosa fosse successo: dopo l'avvertimento di Oikawa sull'attacco di poco prima era normale che fossero diffidenti e non apprezzassero la presenza di quell'intruso nel campo, nonostante fosse praticamente un bambino.

 

Sperò in cuor suo che i giorni seguenti non sarebbero stati così intensi, ma non riusciva ad essere ottimista. L'assenza di Daichi al suo fianco gli pesava, la sua mano grande e calda sulla spalla era ormai un ricordo, lontana anni luce. Avrebbe stretto di nuovo quelle dita sempre pronte a intrecciarsi con le sue?

 

Fu Iwaizumi che riportò la tranquillità nel gruppo che si stava assiepando intorno alla tenda-infermeria, ricordando loro che la cena (che Kuroo e Bokuto avevano piazzato su una sorta di spiedo) era quasi pronta, e che indubbiamente dovevano avere tutti molta fame.

Tobio, che era ancora bianco in volto, non si mosse, mentre Oikawa osservava rapito il modo in cui Hajime stava gestendo la situazione: lui era stato solo capace di dare di matto e ottenere l'effetto contrario, mentre Iwaizumi era subito riuscito a farsi ascoltare. In realtà aveva una gran voglia di arrabbiarsi anche con lui, ma non era decisamente il momento giusto per discutere.

Lui stesso non riusciva a comprendere la tranquillità di Hajime, che non sembrava affatto preoccupato dalla presenza dell'intruso, nonostante l'attacco subìto.

Sugawara gli aveva chiesto se poteva controllare la ferita, ma Iwaizumi aveva dissimulato, minimizzando. Tooru aveva insistito un po', ma poi la ferma risoluzione di Hajime lo aveva fatto desistere, non senza avergli tenuto il broncio per un po'.

 

Koushi sistemò bene il ragazzino terrestre su una delle due barelle rimaste libere e iniziò a osservare la ferita, cercando di valutare la giusta traiettoria per estrarre la lama, mentre ancora non riusciva a togliersi dalla mente un momento analogo di poco tempo prima, in cui si era ritrovato da solo a pensare disperatamente a come salvare una vita contro la volontà di tutti gli altri.

Sperò nel suo cuore che da qualche parte, in orbita intorno alla Terra, Daichi si fosse ripreso e stesse pensando a lui con la sua stessa intensità.

 

 

Faceva freddo, sull'Arca.

In pochi lo sapevano, ma alcuni dei generatori che mantenevano il perfetto bilanciamento delle condizioni ottimali per la sopravvivenza umana erano già stati impostati sulla modalità di risparmio energetico, al fine di allungare ancora un po' i tempi finché dalla Terra non fossero giunte risposte certe. L'ossigeno era stato limitato solo in minima percentuale, ma si attendeva la successiva riunione del Consiglio per prendere provvedimenti più stringenti e spietati.

In realtà le notizie che giungevano dalla Terra non erano delle più rosee, e questo aveva diffuso tra i pochi privilegiati che sapevano realmente cosa stesse succedendo un vago senso di attesa e rassegnazione. In un solo giorno, l'Arca aveva perso il contatto con quindici dei bracciali trasmettitori in dotazione ai prigionieri inviati sulla Terra: una presunta morte così rapida forse non poteva essere imputata a una dose massiccia delle tanto temute radiazioni, ma più probabilmente ad emissioni di gas o sostanze velenose o a seri problemi durante l'atterraggio, anche se il controllo da remoto aveva funzionato quasi fino alla fine, dopo che si erano interrotte le comunicazioni.

 

Due occhi scuri e profondi si aprirono in una stanza anonima dalle pareti metalliche, dove regnava l'odore di disinfettante e il ricordo di innumerevoli speranze infrante.

Daichi Sawamura sentiva le membra pesantissime, come se a ciascuno dei suoi arti fosse stato legato un peso di svariati quintali. Un macchinario accanto a lui suonava ritmicamente, ingaggiando una gara con il battito del suo cuore che gli rimbombava nella testa pulsante, e la maschera ad ossigeno davanti alle sue labbra si appannava ad ogni suo respiro.

Non ricordava esattamente come fosse arrivato nella sala medica dell'Arca: i suoi ultimi segmenti frammentati di memoria annegavano nel sangue che gli aveva riempito la gola in quel terribile momento in cui un aggressore sconosciuto gli aveva sparato due colpi di pistola alle spalle, perforandogli un polmone e distruggendogli la milza.

L'ultima cosa che ricordava di aver visto erano gli occhi argentei innamorati e disperati di Koushi che teneva in mano un bisturi e cercava di mantenere il sangue freddo, ripetendogli che sarebbe andato tutto bene.

Sussurrò il suo nome, scoprendo di avere la gola secca e arida.

Dopo un periodo di tempo che non riuscì a quantificare, durante il quale continuava a ricadere nel torpore indotto dai medicinali, la porta della stanza si spalancò ed entrò il dottor Takeda, seguito dall'assistente Ennoshita.

Riprovò a parlare, turbato dall'assenza del suo Koushi.

 

“Non ti affaticare, Sawamura” gli disse con un sorriso tirato ed enigmatico il medico, anticipando la sua domanda “Sugawara non è qui adesso, ma lo potrai vedere quando starai meglio” glissò.

Daichi, desideroso di risposte, si voltò lentamente per intercettare gli occhi di Ennoshita, con una richiesta silenziosa. Chikara evitò il suo sguardo con un attimo di esitazione di troppo.

Gli stavano nascondendo qualcosa, ed era indubbiamente qualcosa di brutto.

“Cosa è successo a Koushi?” iniziò ad agitarsi, mentre il cicaleccio del macchinario che rilevava il suo battito cardiaco accelerava rapidamente.

“Ora devi riposarti, lo vedrai quando starai meglio” ripetè Takeda, mentre gli iniettava qualcosa nel braccio.

Il torpore lo invase di nuovo, e sognò di accarezzare dolcemente i capelli morbidi color della luna del suo Koushi e di seguire la linea dei suoi tratti delicati, circondato dalle sue braccia dalla pelle lattea e non dalle insensibili coltri di un letto che gli pareva una prigione.

 


Ebbene, c'è voluto un po' di tempo ma è finito anche questo, anche se un po' a rilento.
Ringrazio Yua per le recensioni e la pazienza nell'attendere questo sofferto aggiornamento e... niente, non so più cosa dire.

Alla prossima!

_Kurai_

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Capitolo 5
*** Resolution ***


Resolution

 

“Ma vi fidate davvero a mangiare qualcosa che aveva due teste?” chiese Terushima, che fissava dubbioso il suo pezzo di carne.

“Hai alternative?” lo congelò sul posto Iwaizumi, con uno sguardo glaciale “Ho letto qualche libro di cucina terrestre in biblioteca sull'Arca, e pare che con la carne del collo degli animali si possa cucinare un ottimo stufato… quindi al massimo avremo più cibo, e in ogni caso non è il momento di essere schizzinoso se vuoi sopravvivere… qui non troverai le pastiglie di principi nutritivi predigeriti come sull'Arca” concluse, per poi avvicinare il primo boccone alle labbra dischiuse.

Terushima stava per ribattere quando il pezzo di carne che Hajime stava per addentare scivolò a terra, rotolando nell'erba umida.

Iwaizumi si piegò su se stesso, stringendosi il braccio sinistro da cui sembravano diffondersi fiamme roventi che gli invadevano le vene. Tooru si girò immediatamente nella sua direzione, abbastanza in fretta per vederlo perdere i sensi davanti ai suoi occhi.

Imprecò, lasciando cadere il suo pezzo di carne sbocconcellato per metà e sorreggendolo prima che scivolasse a terra. Gli strappò la benda dal braccio, e notò subito che dalla ferita ormai quasi chiusa si diramavano venature scure, come se qualcosa avesse contaminato il suo sangue.

La consapevolezza che quella freccia potesse essere avvelenata lo schiacciò come un macigno.

Non era passato nemmeno un giorno, e già era riuscito a mettere Hajime in pericolo. Cosa doveva fare?

Tooru prese un respiro profondo, intenzionato a non lasciarsi prendere dal panico che però era sempre più vicino ad avere la meglio.

Si voltò verso Sugawara, che aveva appena finito di suturare la ferita del piccolo terrestre e corse loro incontro, attirato dal trambusto.

“L'ho detto io che non ci si poteva fidare” borbottò Terushima, che si guadagnò un pugno ben assestato sul naso da un alterato Oikawa, totalmente nuovo ad una reazione simile. Quello impetuoso e istintivo dei due era sempre stato Hajime, ma la rabbia e la paura per quello che stava succedendo lo stavano mandando fuori di testa.

Tooru voltò le spalle al gruppo, aiutando Sugawara a sorreggere Iwaizumi fino all'infermeria.

I ragazzi rimasti intorno al fuoco passarono dal vociare preoccupato e spaventato ad un silenzio attonito, poi ripresero tutti a parlare uno sopra l'altro.

“Non siamo al sicuro, dovremmo abbandonare quel piccolo terrestre lontano da qui prima che si svegli, sennò tornerà dai suoi simili, scopriranno il nostro accampamento e saremo in pericolo… non abbiamo praticamente armi o sbaglio? Invece loro possono trasformarci in ogni momento in puntaspilli di frecce avvelenate...” prese la parola quasi svogliatamente Tsukishima, che aveva zoppicato fin lì per mangiare ma era rimasto un po' in disparte fino a quel momento. Yamaguchi, al suo fianco, annuiva vigorosamente mentre addentava il suo pezzetto di carne.

“Forse sarebbe stato meglio lasciare te nella foresta ferito, visto che da quando Sugawara-san ti ha curato non fai che lamentarti di tutto e non hai ancora fatto niente di utile” rispose una voce alle sue spalle, appartenente a Tobio.

Kageyama era stato praticamente supplicato da Sugawara di lasciare l'infermeria almeno per qualche minuto, e alla fine si era fatto convincere dal suo stomaco brontolante a sgattaiolare fino al falò e prendere un pezzo di carne. Tuttavia gli erano bastati pochi istanti per sentir rimontare la rabbia e desiderare di tornare immediatamente alla sua tenda dall'altro lato del campo. Guardò in cagnesco Kei per un po', come in una gara a chi distogliesse lo sguardo per primo.

 

Inaspettatamente, fu Kenma a prendere timidamente la parola interrompendo il momento di tensione.

“Kageyama-kun, sbaglio o il ragazzino che hai portato qui aveva addosso una faretra con delle frecce?”

“Cosa vorresti dire? Non può essere stato lui a colpire Iwaizumi-san, ero sul lato opposto della foresta...”

“No, non hai capito” sospirò Kozume, e si alzò silenziosamente, lasciando cadere l'osso del suo pezzo di carne nel fuoco e muovendo alcuni passi felpati verso l'infermeria, senza disturbarsi a spiegare. Kuroo si alzò a sua volta, intenzionato a seguirlo per vedere cosa intendesse fare.

“Sugawara-san” entrò nella tenda senza fare rumore, tanto che sia Koushi che Tooru sussultarono.

“Avete controllato se anche le frecce del ragazzino terrestre sono avvelenate?”

Iwaizumi giaceva incosciente e pallidissimo, e altrettanto pallidi e scoraggiati erano Sugawara e Oikawa. Anche l'altro ragazzo che era stato tutto il giorno addormentato in infermeria si era svegliato, e osservava la scena con sguardo annebbiato e un po' confuso.

 

Sugawara aveva riaperto la ferita scoprendo l'infezione scatenata dal veleno e dalla sua espressione Kenma non riusciva a dedurre niente di buono, ma la sua stessa intuizione si accese in un istante negli occhi del medico: la faretra era abbandonata per terra in un angolo, e Koushi sollevò con attenzione una delle frecce nere.

La punta era umida, e l'asta presentava una scanalatura che con ogni probabilità conteneva il veleno.

“Bingo!” sussurrò Kenma, per poi avvicinarsi timidamente al piccolo terrestre privo di sensi ed esitare per un istante prima di perquisire il suo scarso bagaglio.

“Se si porta in giro delle frecce avvelenate, sicuramente ha l'antidoto o qualcosa di simile, non credete?” aggiunse.

La ricerca non durò molto: in una tasca di un borsello di pelle nera che il terrestre teneva agganciato ai vestiti c'era una scatola metallica che conteneva una boccetta di vetro opaco, piena fino a metà di un liquido arancione.

Kenma lo allungò a Sugawara, senza dire nulla.

Kuroo era rimasto sulla soglia, stupito e meravigliato dall'intervento di Kenma, che solitamente preferiva restare ad osservare e lasciare che qualcun altro risolvesse i problemi.

 

Koushi esitò per un istante a somministrare il liquido ad Hajime: e se non fosse stato un antidoto? Poi pensò che la contaminazione del veleno era già andata troppo oltre per cercare di risolvere la situazione in qualsiasi altro modo (aveva valutato perfino l'amputazione, ma non aveva voluto nemmeno pronunciare quella parola davanti ad un Tooru che stava crollando in pezzi davanti ai suoi occhi), quindi quel potenziale antidoto sarebbe stata l'unica soluzione possibile.

Prese una siringa e trattenne il respiro mentre gli iniettava direttamente in vena l'intero contenuto della boccetta, sperando che in tal modo venisse assorbito più in fretta dai tessuti contaminati.

“Ora dobbiamo solo aspettare” sospirò Koushi, asciugandosi il sudore dalla fronte e mettendo una mano sulla spalla di Tooru, che era ancora seduto con la testa tra le mani.

Kenma era ancora accanto al piccolo terrestre, come se una strana forza gli stesse impedendo di allontanarsi.

Un cenno di Kuroo lo riportò alla realtà e fece per raggiungerlo, ma una mano si allungò improvvisamente a trattenere la sua.

Gli occhi infuocati del piccolo terrestre si spalancarono e si fissarono in quelli dorati di Kozume.

Le sue labbra si schiusero, cercando di scandire una parola che Kenma non riusciva a comprendere.

Si avvicinò di più, mentre gli altri osservavano stupiti.

“Natblida” sussurrò il piccolo terrestre dagli occhi ardenti, per poi perdere di nuovo conoscenza.

 

 

Daichi riaprì gli occhi dopo diverse ore, in una stanza nuovamente deserta.

Le luci circadiane erano spente, quindi probabilmente tutta l'Arca stava dormendo.

Sospirò nel silenzio, percependo un vago dolore sordo all'altezza della cassa toracica.

Koushi non si era ancora visto, e stava iniziando a preoccuparsi sul serio. Se fosse venuto a trovarlo mentre dormiva gli avrebbe lasciato qualcosa accanto al letto per farglielo capire, come facevano sempre quando i loro turni di lavoro non coincidevano.

Sugawara aveva preso l'abitudine di piegare piccoli origami di carta colorata e lasciarli sul cuscino del letto che condividevano ogni volta che usciva prima di lui, dopo qualche ora trascorsa l'uno tra le braccia dell'altro.

Avevano sempre forme diverse, e Sawamura li ricordava tutti, uno per uno.

Si stava convincendo lentamente che qualcosa doveva essere andato storto nella sua operazione, Koushi aveva dovuto utilizzare troppo sangue o ossigeno e quindi era stato condannato a morte.

Non sarebbe stata la prima volta e nemmeno l'ultima, e i portelloni spalancati dell'Arca probabilmente avevano già espulso nello spazio il suo Koushi, mentre lui galleggiava ignaro nel sonno.

Un singhiozzo gli spezzò il respiro e sentì gli occhi velarsi di lacrime, mentre la rabbia e l'impotenza invadevano le sue membra.

Voleva solo ritrovare l'oblìo, e rimpianse l'iniezione del dottor Takeda.

Fissò il soffitto troppo a lungo, cercando di non pensare, con la sola compagnia del rumore dei macchinari.

Poi, all'improvviso, la porta della stanza si aprì e fece capolino un viso familiare: si trattava di Issei Matsukawa, uno dei suoi sottoposti, che indossava ancora l'uniforme da guardia.

“Sei sveglio, Sawamura-san?” sussurrò nella penombra.

Daichi bofonchiò un sì, sperando che Issei possedesse qualche informazione da condividere con lui.

Del resto avrebbe preferito essere messo al corrente del peggio piuttosto che continuare a vivere nel dubbio un istante di più, e non esitò a porre direttamente al suo sottoposto la domanda tanto temuta “Koushi… è morto, vero? Dimmi la verità, Matsukawa” chiese, cercando di prepararsi al colpo dell'inevitabile risposta.

“Sono venuto anche per questo, Sawamura-san” iniziò, per poi correggere subito il tiro vedendo l'espressione di Daichi “Sugawara-san non è morto. Almeno, non ancora.” aggiunse, con tono enigmatico.

“Cosa intendi dire? Quindi posso vederlo? È confinato nelle prigioni?”

“Pensi di riuscire a camminare fino alla sala controlli dell'ala est? Devi vedere una cosa con i tuoi occhi… Ho disattivato i sistemi di rilevazione su tutto il piano, ma durerà poco”

“Se si tratta di Koushi posso anche camminare sulle mani sulle paratie esterne dell'Arca, non sottovalutarmi” rispose Daichi con un sorriso tirato, mentre con una mano si strappava la flebo dal braccio e cercava di alzarsi, non senza qualche smorfia di dolore.

Matsukawa lo sorresse per alcuni corridoi bui, finché non si trovarono davanti alla sala controlli.

“Ora nasconditi qui, mi ci vorrà un attimo” disse Issei, e si avvicinò con fare tranquillo e disinvolto alla guardia che controllava la porta.

“Sono venuto per darti il cambio, Watari, puoi andare a riposarti” gli disse, e il collega lo ringraziò per poi incamminarsi nella direzione opposta.

Daichi uscì dal suo nascondiglio e Issei gli fece strada all'interno, dove al momento non c'era nessuno. Digitò un codice su un pannello e le luci delle telecamere di sorveglianza si spensero tutte insieme.

Un enorme schermo era occupato dalle proiezioni di fotografie e funzioni vitali di un centinaio di persone: alcune di esse erano spente e lampeggiavano di rosso, ma la maggior parte erano accese e mostravano il battito cardiaco, la pressione e la saturazione del sangue dei singoli individui.

Tra di essi, nella prima fila in alto, Daichi notò immediatamente la fotografia di Koushi, che fortunatamente era tra le proiezioni ancora accese. Poco più in basso notò un altro volto noto, e capì perché Issei aveva cercato proprio lui come alleato: anche Takahiro Hanamaki, il compagno di Issei che era stato confinato poco tempo prima per aver fatto resistenza a un ufficiale delle guardie durante il coprifuoco, si trovava tra i cento volti proiettati su quello schermo.

 

“Si tratta di quello che penso, Matsukawa? Hanno davvero attuato quell'Operazione Cento?”

“Vedo che il tuo intuito non ha risentito dell'attacco, Sawamura-san. È proprio così… noi non dovremmo saperlo, qui possono entrare solo gli ufficiali medici, il Cancelliere e i Consiglieri, ma non ho voluto credere alle loro bugie. Stavo per presentarmi al solito orario di visita quando il consigliere Irihata mi ha bloccato a metà strada, dicendomi che era in corso una quarantena nelle prigioni e non potevo entrare. Non potevo crederci… poi ho fatto due più due ed eccoci qui, davanti al fatto compiuto. Cosa dovremmo fare ora?”

“E me lo chiedi? Andiamo sulla Terra!” rispose Daichi con fin troppa foga, tanto da farsi sorprendere da un violento attacco di tosse.

“Ti riaccompagno in camera… devi riprenderti se vuoi davvero raggiungerlo. Io indagherò per trovare una navicella per portare a termine questo piano, verrò a chiamarti quando sarà tutto pronto” convenne Issei, con un'espressione seria.

Daichi annuì, con qualche gocciolina di sudore freddo che gli imperlava la fronte. Si sentiva ancora debole e stanchissimo, ma almeno sapeva che Koushi era vivo e avrebbe potuto raggiungerlo, se tutto fosse andato bene.

Chiuse gli occhi appena toccò il letto, e sognò di stringere la mano di Koushi sotto le stelle, coricati su un prato verde sulla Terra.

 

 

Hajime riaprì gli occhi dopo quattro ore, in piena notte.

Tooru si era addormentato con la testa tra le braccia incrociate, appoggiato sulla sua barella di fortuna.

Non appena Iwaizumi fece per mettersi seduto, Oikawa si svegliò stropicciandosi gli occhi nella penombra.

“Non provare ad alzarti, idiota” gli disse, imitando il cipiglio dell'amico.

“Da quando sarei io l'idiota e non tu, idiota di un Oikawa?”

“Da quando tu non ascolti quello che ti dico io e ti metti nei guai, idiota” scoppiò a piangere Tooru, per poi intrappolare Hajime in un abbraccio.

Iwaizumi rimase interdetto e arrossì leggermente, poi posò la mano destra sulla testa di Oikawa e lo accarezzò lentamente, sospirando: “E va bene, forse questa volta me lo merito… credo sia colpa dell'aria della Terra, sai?”

“Mi sa che eri già idiota anche prima, Iwa-chan” rispose Oikawa tra i singhiozzi, mentre lo abbracciava ancora più forte.

“Se volete continuare a coccolarvi giuro che vado a cercarmi un'altra tenda, ragazzi” commentò Hanamaki, sospirando.

 


Approfittando della febbre e di questo noiosissimo compleanno rieccomi ad aggiornare in tempo record, giusto perchè mi annoio XD Chissà, magari entro il secolo riuscirò a riunire mamma e papà e vivranno felici e contenti tra i terrestri... ma ancora tanto disagio deve passare sotto i ponti di questa fanfic (scusatemi, è la febbre che parla) XD Ringrazio ancora Yua per la sua pazienza (con una dose extra di mamma&papà) e... ci si rivede al prossimo capitolo!

_Kurai_

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Capitolo 6
*** Warning ***


Warning

 

La prima alba sulla Terra. Quante cose erano già successe in così poche ore!

Asahi non era riuscito a chiudere occhio, e alla fine si era deciso a sgattaiolare fuori dalla tenda per sedersi accanto ai resti del fuoco, contemplando lo spettacolo della natura.

Non riusciva ad abituarsi al peso del bracciale e nemmeno a tutto quel caos che si scatenava nel campo ogni volta che c'era una piccola o grande decisione da prendere: tutto quello che lo circondava gli sembrava così sbagliato e insieme meraviglioso, come se tutta quella situazione fosse simile ad una grande e maestosa bestia feroce assopita.

Com'era saltato in mente al Consiglio di mandare un gruppo di ragazzi inesperti e problematici sulla Terra? Non che il Consiglio fosse mai stato molto affidabile nemmeno quando suo padre ne era il Cancelliere (soprattutto quando suo padre era Cancelliere), ma gli era sembrata una mossa quantomeno azzardata se davvero l'Arca non aveva più speranze.

Sospirò, pensando a tutte le disavventure che erano già capitate e a quelle che ancora dovevano succedere, mentre il sole faceva lentamente capolino vestendo il cielo di rosa.

Improvvisamente, nel silenzio rassicurante dell'accampamento percepì un fruscìo vicino, tra le fronde.

Si alzò senza far rumore, tremando impercettibilmente.

Un altro fruscìo, tra gli alberi poco lontano. Un guizzo grigio e nero che per un istante prese i contorni di una persona, poi sparì di nuovo nella macchia. Azumane si stropicciò gli occhi.

Sobbalzò, quando percepì chiaramente il rumore provenire dalle sue spalle.

 

Si girò lentamente, vedendo tutta la propria vita scorrergli davanti come in un film.

 

“Asahi-san… tutto ok?” gli sorrise un assonnato Nishinoya, facendo capolino dall'ombra della tenda.

“In realtà mi hai quasi ucciso con questo agguato alle spalle, ma va tutto bene, ora” rispose Azumane con un mezzo sorriso imbarazzato “mi era sembrato di vedere qualcosa tra gli alberi, ma probabilmente me lo sono immaginato”. Yuu gli si sedette di fianco, appoggiandosi alla sua spalla senza dire nulla.

“Vedrai che nessun terrestre ci attaccherà se ci sarò qui io!” esclamò convinto, sorridendo.

Rimasero insieme a guardar sorgere il sole, mentre lentamente l'accampamento iniziava a svegliarsi e ad animarsi.

 

 

Hajime si svegliò eccezionalmente in forma per uno che aveva visto la morte in faccia solo poche ore prima: sembrava che quell'antidoto fosse seriamente efficace, e se non fosse stato per il piccolo terrestre probabilmente lui sarebbe già diventato cibo per vermi.

Nell'infermeria da campo non era rimasto più nessuno eccetto lui e il ragazzino: Tooru probabilmente sarebbe tornato a breve e Takahiro doveva essersi finalmente ripreso del tutto (o forse aveva davvero cambiato tenda durante la notte per non dover assistere alla loro scena strappalacrime, e per questo Hajime percepiva un accenno di senso di colpa).

Iwaizumi si soffermò sul ragazzino che continuava a dormire stringendo i pugni, come se percepisse una minaccia. Come dargli torto, visto che nell'accampamento la sua presenza era stata fin da subito considerata pericolosa?

Il terrestre ancora non si era svegliato, e comunque Hajime gli doveva la vita. Chissà che cos'avrebbe detto una volta ripreso conoscenza…

Iwaizumi decise che comunque era il momento di alzarsi: odiava stare fermo, e già avere quel dannato braccio immobilizzato era una seccatura sufficiente. Uscì dalla tenda infermeria, proprio qualche istante prima che Tobio vi sgattaiolasse dentro, non visto.

 

 

 

Tooru era andato insieme a Takahiro nella tenda che conteneva tutti i rifornimenti che avrebbero dovuto bastare fino al momento in cui avessero deciso di partire per la base del monte Tsukuba.

Di certo avrebbero dovuto aspettare di stare tutti bene, e molti probabilmente non avrebbero voluto muoversi in quel territorio potenzialmente pieno di minacce: le vere difficoltà erano appena iniziate, e Oikawa non si sentiva affatto ottimista.

Takahiro prese una delle taniche d'acqua che Bokuto e Kuroo avevano riempito al lago e aiutò Tooru a riempire un paio di borracce: per quanto si sentisse ancora debole era intenzionato ad impegnarsi da subito a fare qualcosa per non pensare, o gli incubi sarebbero tornati.

Invidiava Tooru, anche se l'amico non si rendeva conto della sua fortuna.

Per quanto lui e Hajime fossero sempre stati inseparabili fin dall'infanzia come Takahiro e Issei, Oikawa non sembrava essersi reso conto dei veri sentimenti che provava per Iwaizumi, e così quest'ultimo: in ogni caso, pur essendo così maldestri e inconsapevoli, loro potevano stare insieme. Potevano comunque stare insieme lì sulla Terra, dove si rischiava di morire da un momento all'altro.

Invece lui, pienamente consapevole dell'amore che provava – ricambiato – per la sua metà, era stato separato dal suo Issei, e avrebbe potuto morire da un momento all'altro senza vederlo un'ultima volta. Inoltre, se Iwaizumi era riuscito a salire sulla navicella all'ultimo minuto, perché non aveva avvertito anche l'amico e collega Matsukawa del suo piano?

Per amore Hanamaki si era fatto mettere in prigione piuttosto che denunciare gli abusi di cui era stato vittima da parte di un superiore del suo ragazzo (non che sperasse effettivamente che la sua parola potesse valere più di quella di un ufficiale), e nonostante tutto non si era pentito di non averlo messo nei guai.

Aveva atteso le sue visite ogni settimana come se ne dipendesse la sua vita, aveva baciato le sue labbra oltre il vetro come se potesse respirare realmente solo attraverso quei baci, ma si era vergognato di rivelargli il vero motivo per cui aveva aggredito quell'ufficiale durante l'orario del coprifuoco. In realtà era stata legittima difesa, ma al Consiglio non sarebbe importato nulla.

Quando era ancora sull'Arca, ogni volta che finiva per ripensarci ricordava la sensazione di quelle mani viscide che cercavano di violarlo, e si ritrovava in preda ai conati e poi a piangere senza ritegno in un angolo della sua cella, senza nessuno che potesse confortarlo.

Ma ora era sulla Terra, e doveva essere forte.

Forse, un giorno, sarebbe davvero riuscito a riabbracciare Issei.

 

 

La prima cosa che videro gli occhi color del sole del piccolo terrestre quando si svegliò del tutto furono due iridi blu scuro come la notte, intente a fissarlo da chissà quanto tempo.

Il ragazzino si rannicchiò su un lato, procurandosi una lieve fitta al fianco, ma continuò a non distogliere lo sguardo dagli occhi dell'altro, come se aspettasse una sua mossa.

Gli era stato insegnato a reagire se fatto prigioniero, a combattere per la sua vita e a uccidere, se necessario, ma le sue armi erano sparite e nulla lo immobilizzava in quella tenda, eccetto la forza magnetica dello sguardo del ragazzo dai capelli corvini che l'aveva colpito nella foresta.

Si sedette e si mise lo stesso in posizione di guardia, aspettandosi quasi che Tobio potesse colpirlo da un momento all'altro, cercando di ostentare uno sguardo minaccioso (seppur con scarsi risultati).

“Parli la nostra lingua?” bofonchiò Tobio dopo un tempo indefinito, prendendo coraggio.

Il terrestre rimase in silenzio, abbassando lo sguardo. Quindi non aveva intenzione di fargli del male? Quanto di sé poteva dire a quel ragazzo sconosciuto che l'aveva colpito ma si era anche preoccupato di curarlo? Che importanza avrebbe avuto restare in silenzio, ora che il suo popolo non esisteva più e non aveva più nessuno da proteggere?

“Tu… sei… Skaikru?” chiese a bassa voce, senza rispondere direttamente alla domanda.

“Cosa significa 'Skaikru'? Come ti chiami?” insistette Tobio, incuriosito.

“Sei sceso dal cielo, vero?”

Tobio iniziava a innervosirsi: detestava chi rispondeva alle domande con altre domande.

“Sì, siamo atterrati ieri con una navicella… veniamo dall'Arca, dove vivono tutti – o forse dovrei dire quasi tutti – i terrestri sopravvissuti al disastro nucleare. Ora però tocca a te: come ti chiami, e quanti altri ce ne sono come te?”

“Mi chiamo Shoyo, del popolo dei Trikru. Vivevo in un villaggio che è stato distrutto dalla nebbia degli uomini della montagna” disse, per poi rabbuiarsi e rimanere in silenzio, mettendosi a tormentare con una mano una singola piuma nera che portava legata al collo.

Grossi lacrimoni iniziarono a scendere sulle guance di Shoyo, e Tobio si sentì improvvisamente in colpa, anche se il motivo del dramma del ragazzino non dipendeva da lui.

Sugawara entrò nella tenda proprio in quel momento, con Shoyo in lacrime e Tobio in preda al panico, incapace di gestire qualunque tipo di rapporto umano più complicato di un semplice scambio di informazioni.

“Che succede?” chiese, con il suo tono più gentile e tranquillo, poi si rivolse a Tobio: “Vedo che non hai perso tempo a cercare di conoscere il nostro giovane ospite, anche se temo tu l'abbia spaventato…”

“Non sono stato io, si è messo a piangere perché il suo villaggio è stato distrutto” ripetè Kageyama, senza guardare il medico negli occhi.

“Quindi parli la nostra lingua?” Koushi si rivolse a Shoyo, con un sorriso aperto e sincero “qui puoi stare tranquillo, siamo venuti in pace e possiamo aiutarti… cos'è successo al tuo villaggio?”

Shoyo tirò su col naso, cercando di parlare, ma i singhiozzi non glielo permettevano. A Sugawara sembrava un bambino che era stato obbligato a crescere troppo in fretta, costretto a vivere la solitudine e a vestire i panni da adulto nonostante la giovanissima età. Ne aveva visti tanti, sull'Arca, tra gli orfani causati dai focolai di febbre respiratoria che avevano colpito le zone più povere della stazione orbitante negli anni precedenti.

Finalmente il piccolo terrestre riprese la calma e riuscì a parlare, con voce tremante: “Sono Shoyo kom Trikru del villaggio dei Corvi, che è stato distrutto dalla nebbia di fuoco degli uomini della montagna… è arrivata con l'ultima luna nuova, e abbiamo cercato tutti di scappare ma bruciava ogni cosa, lasciava a terra tutti gli uomini più forti e… solo io mi sono salvato” tirò di nuovo su col naso, poi continuò “Mi hanno sempre emarginato perché non sono molto bravo a combattere e mi usavano come messaggero perché sono molto veloce, ma ora tutti i guerrieri sono morti e sono rimasto solo io, che ho corso più veloce della nebbia. Parlo la vostra lingua perché nel mio popolo viene insegnata ai guerrieri, e l'ho imparata ascoltandoli ogni giorno. Ho vagato quattro giorni e quattro notti prima di ritrovarmi qui” tornò quindi a chiudersi nel silenzio, dopo aver rievocato quei ricordi bui.

“Cosa intendi per 'uomini della montagna'? Di quale montagna parli?” chiese Koushi, vagamente preoccupato.

Forse i terrestri non sarebbero stati la loro principale preoccupazione.

Shoyo prese un piccolo diario dalla sua bisaccia, che mostrò esitante a Sugawara.

Sulla carta gialla e consumata era disegnata una mappa, che riprendeva quasi perfettamente quella che gli aveva mostrato Iwaizumi il giorno prima, quando avevano parlato dei rifornimenti da recuperare.

Quella montagna coincideva esattamente con la base dove avrebbero dovuto atterrare, nonché la loro destinazione successiva. Quindi ci viveva qualcuno? E davvero era così pericoloso da possedere armi di distruzione di massa di quel genere?

Un po' della paura riflessa negli occhi di Shoyo si trasferì nello sguardo di Koushi, che uscì immediatamente a cercare gli altri per convocare una piccola riunione di emergenza.

Shoyo e Tobio rimasero nella tenda, immersi in un silenzio imbarazzante.

 

 

“Che cosa ti ha detto ieri sera quel ragazzino?” chiese Kuroo, che guardava curioso un assonnato Kenma sveglio già da ore ma assolutamente non intenzionato a muoversi dalla sua comodissima posizione preferita, con la testa sul petto del più grande.

Kuroo aveva passato lunghi minuti a guardarlo senza dire niente, come aveva sempre amato fare, ma poi la curiosità aveva avuto la meglio. La sera precedente erano tornati alla loro tenda subito dopo l'exploit di Kozume, che si era addormentato immediatamente senza dire nulla, e Tetsurou aveva passato una notte inquieta e piena di interrogativi.

Non che gli dispiacesse che Kenma desse sfoggio della sua intelligenza che era sempre stata fuori dal comune e che prendesse delle iniziative ma… per un momento gli era sembrato quasi di non riconoscerlo, e quello sguardo intercorso con il ragazzino terrestre gli aveva causato una sensazione spiacevole, come un brivido gelido lungo la schiena.

Kozume rispose dopo un tempo che gli parve lunghissimo: “Non lo so… non l'ho capito bene nemmeno io, anche se ero così vicino… credo fosse una parola nella sua lingua, magari quando si risveglierà potremmo riuscire a scoprirlo”

“Non hai paura, Kenma?” chiese Kuroo, spostando lentamente una mano sulla testa del più piccolo per scompigliargli i capelli senza motivo apparente.

“Smettila, non voglio che mi venga una testa disordinata come la tua… nnh” protestò debolmente Kozume, per poi prenderci gusto per le delicate carezze sul cuoio capelluto che Tetsurou sapeva benissimo essere il suo punto debole.

“Tutto fa paura qui… ma non sei stato tu a insegnarmi che le paure si devono affrontare?” gli rispose con un piccolo sorriso, mentre si accoccolava ancora di più sul suo petto.

Gli era mancato così tanto dormire in quel modo che non avrebbe più voluto muoversi da quella tenda, ma purtroppo l'accampamento aveva già iniziato ad animarsi e il momento non avrebbe potuto essere rimandato ancora per molto.

Come se l'avessero evocato, improvvisamente il telo della loro tenda si smosse e fece capolino la testa di Koushi: “Il ragazzino si è svegliato e ci sono delle novità… se volete essere messi al corrente ci vediamo alla tenda infermeria tra dieci minuti, ok?” e detto questo sparì immediatamente, ancora prima di aspettare un cenno di risposta.

 

Dopo dieci minuti esatti erano già tutti nell'infermeria: Sugawara, Oikawa, Iwaizumi, Hanamaki, Kuroo, Kenma, Kageyama, Asahi, Nishinoya (che Koushi aveva incrociato mentre andava a chiamare gli altri e aveva invitato a partecipare, visto che entrambi avevano dimostrato di poter essere degni di fiducia) e ovviamente Shoyo, che li fissava tutti con grandi occhi terrorizzati.

Solo quando il suo sguardo indugiò su Kenma parve tranquillizzarsi leggermente, ma sembrava comunque che essere circondato da così tanti sconosciuti lo facesse sentire come se avesse ingoiato un rospo molto grosso.

“Dobbiamo decidere immediatamente cosa intendiamo fare nei prossimi giorni, perché non abbiamo risorse sufficienti e dobbiamo trovare il modo di comunicare con l'Arca… dalle parole di Shoyo sembra che ci sia davvero una popolazione con tecnologie avanzate che vive nella base del monte Tsukuba, ma non è chiaro se siano amici o nemici. A questo punto immagino sia positivo il fatto che abbiamo deviato dalla rotta prevista, ma è necessario comunque scoprire di più, possibilmente senza metterci in pericolo” iniziò Koushi, incontrando un coro di assensi.

“Io personalmente credo che sia necessario inviare degli esploratori verso la montagna ma anche potenziare le nostre capacità di sopravvivenza. Quindi chi rimarrà cercherà più cibo, costruirà armi, migliorerà l'accampamento e penserà a sviluppare dei sistemi di comunicazione per cercare di comunicare con l'Arca e tra di noi a distanza” aggiunse Iwaizumi, che evidentemente aveva già deciso che avrebbe fatto parte degli esploratori. Si guadagnò un'occhiataccia di Oikawa, ma nessuno ebbe da ridire nemmeno sulle sue parole.

“Ma… non potremmo andare tutti alla montagna e chiedere aiuto a loro? Se davvero hanno una tecnologia avanzata potrebbero possedere dei dispositivi con cui potremmo comunicare con l'Arca, no?” osservò ingenuamente Asahi, che non aveva ancora sentito tutta la storia.

Shoyo sbarrò gli occhi.

“Gli uomini della montagna non aiutano! Gli uomini della montagna sanno solo uccidere e distruggere!” iniziò a urlare, agitandosi e tremando.

Nei suoi occhi si riflettevano ancora gli orrori che aveva vissuto, e ci mise diversi minuti a calmarsi.

“Ma possiamo fidarci della testimonianza di un bambino?” chiese Kuroo, scettico. “Questa nebbia di fuoco potrebbe essere qualsiasi cosa, non rischiamo di precluderci delle possibilità per una paura dell'ignoto?”

“Non sono un bambino… ho quasi sedici inverni, e nel mio popolo diventiamo adulti a quindici!” si riprese improvvisamente Shoyo, come se il vero affronto fosse stato l'insinuazione sulla sua età e non sulla veridicità delle sue parole.

“Aspetta… quindi questo qui sarebbe più grande di me?” esplose Tobio, facendo perdere a tutti il senso della conversazione.

“Kageyama-kun, non è carino apostrofare le persone con 'questo qui', non credi?” lo rimproverò bonariamente Koushi, che stava vedendo la sua riunione seria degenerare davanti ai propri occhi.

 

“Comunque io credo di poter costruire una radio” disse piano Kenma per riportare il discorso sui binari iniziali “forse i bracciali si potrebbero modificare per trasmettere anche dei veri messaggi oltre ai nostri segnali vitali...”

“In effetti mi sembra un'ottima intuizione” convenne Oikawa “voglio aiutarti” affermò, un po' deluso per non averci pensato lui stesso.

 

 

Fuori dalla tenda infermeria, un ragazzo alto e biondo che aveva origliato quasi tutta la conversazione schiumava di rabbia.

“Come si permettono di decidere chi può essere messo al corrente della situazione e chi no? Danno più valore alle parole di un nanetto terrestre terrorizzato che alle nostre?” Kei si rivolse al suo solito compagno di avventure, che rincarò la dose: “Avrebbero dovuto avvertire anche noi… non è carino fare riunioni segrete, è come se ci fossero ragazzi di serie A e di serie B”.

“Voglio che ce ne andiamo da qui, Yamaguchi” disse Tsukishima, mettendosi a posto gli occhiali sul naso.

“Sei ancora ferito Tsukki… dovremmo aspettare e poi decidere cosa portarci via per costruire un nostro piccolo accampamento e per sopravvivere da soli nella foresta” rispose Tadashi, che stranamente si ritrovava ad essere quello realista tra i due.

“Non mi interessa… non mi sento affatto a mio agio qui, magari troveremo per primi questi famosi abitanti della montagna e potremo vivere lì dentro… oppure troveremo un rifugio nei boschi, chissà” continuò Kei, che intanto aveva iniziato a zoppicare verso il limitare dell'accampamento.

Yamaguchi fece per balbettare un debole “Aspettami, Tsukki!”, per poi trotterellare sui suoi passi e raggiungerlo in pochi istanti.

 

 

Nello stesso momento, a circa trenta chilometri in linea d'aria da lì, qualcuno li stava guardando.

Un dito premette un pulsante.
 


Un bel cliffhanger perchè mi piace così.
Ed ecco il secondo aggiornamento in pochi giorni, ma non abituatevi così bene perchè è un caso che sono malaticcia e nullafacente...
E così si è scoperto qualcosina sul nostro piccolo terrestre e iniziano a scoprirsi un po' di altarini... curiosi?

Per ora vi lascio al prossimo aggiornamento, e mi raccomando se vi va recensite (come l'adorabile Yua che è la lettrice più brava del mondo e recensisce sempre ed è la mia gioia) che mi piace davvero tanto sapere cosa ne pensate!

See you soon 

_Kurai_

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Capitolo 7
*** Fear ***


Fear

 

Kenji Futakuchi non era del tutto convinto della scelta che aveva fatto seguendo Terushima e altri quattro ragazzi di quello che ormai era “il gruppo dei senza-bracciale” alle prime luci dell'alba nella loro esplorazione dei dintorni. Prima di tutto non avevano portato con sé abbastanza acqua dall'accampamento, e inoltre quello Yuuji sembrava aver preso un po' troppo sul serio le sue stesse parole quando aveva affermato che “avrebbe preso da solo il cibo per tutti, avrebbe avuto una sola testa e tutti l'avrebbero acclamato”, quindi non faceva che descrivere ad alta voce come si sarebbe comportato una volta che la sua preda si sarebbe fatta vedere, ottenendo evidentemente l'effetto contrario.

All'inizio Kenji non era stato indifferente alle sue parole: il giorno prima era stato il secondo a strapparsi il bracciale di dosso, perché sapeva benissimo di non potersi fidare degli adulti dell'Arca, poi però aveva capito che Yuuji non poteva avere la stoffa del leader, perché semplicemente parlava troppo e non sembrava avere davvero una visione d'insieme della loro situazione complessiva.

 

“Sarebbe bellissimo catturare un cinghiale, non credete? Lo attaccherei alle spalle, colpendo così e poi così!” si infervorava, passandosi la lancia da una mano all'altra, mimando i movimenti eroici che avrebbe effettuato nel momento clou. Gli altri ridevano e annuivano, apprezzando la sua vitalità esuberante, anche se evidentemente non avevano nemmeno una mezza idea di come sopravvivere in una foresta.

“E poi Hana la smetterà di sgridarmi e chissà, magari per ringraziarmi mi darà anche un bacio… con la lingua però!” continuò, compiaciuto per la preda che non aveva nemmeno ancora avvistato.

Il sole era appena sorto del tutto quando raggiunsero una piccola radura, al centro della quale una piccola lepre si stava procurando la sua colazione, brucando con calma e ignara della minaccia.

“Toh, ecco il nostro antipasto” si esaltò subito Terushima, gettandosi in avanti e camminando con circospezione verso la lepre.

“Stai feeeeerma, tranquilla… non farà male, sarà solo un---”

Un rumore inconfondibile di legno spezzato rese vani in un istante tutti i suoi sforzi.

Il grande cacciatore aveva spezzato un legnetto, mandando in fuga il suo prezioso antipasto.

“La prossima volta ci provo io, ok?” borbottò Kenji, sospirando e chiedendosi ancora perché si fosse unito a quella piccola armata Brancaleone.

Yuuji era un po' deluso, ma non lo diede a vedere “Anche i migliori sbagliano, la prossima sarà quella gius---”

Un fischio tagliò l'aria e interruppe a metà le sue parole: Kazuma, un ragazzo alto dai capelli castani che camminava alla sua destra, si accasciò a terra senza un rumore. Il gruppetto si paralizzò sul posto, cercando con lo sguardo la fonte dell'attacco.

Una lama semicircolare ed elaborata era penetrata quasi per metà nel cranio del malcapitato, che era morto sul colpo con gli occhi sbarrati.

“Ma che cazzo sta succedendo? Chi è là?” Terushima strinse la sua lancia con le mani sudate, guardandosi febbrilmente intorno.

“Di sicuro ti risponderà, chiunque sia” commentò con malcelato sarcasmo Kenji, indietreggiando di qualche passo.

Un'altra lama passò a pochi millimetri dal suo orecchio, graffiandogli la pelle e poi conficcandosi nel petto del ragazzo che camminava dietro di lui, i cui occhi grandi e scuri si spensero in un attimo. Kenji non conosceva neppure il suo nome.

Poi un'altra, e stavolta il dolore fu netto e bruciante e gli arpionò una gamba. Strappò la lama dalla ferita, guidato dall'istinto, e vacillò per qualche istante, con la vista che sfarfallava. Si pietrificò sul posto, cercando di dominare il panico che aveva iniziato a fluire insieme al sangue che gli stava già imbrattando i jeans. Si guardò intorno, cercando una via di fuga.

Quello che notò immediatamente fu che la luce nella foresta stava diventando strana, e che un caldo innaturale si stava facendo strada nella radura, come se ci fosse un incendio nelle vicinanze. Gli bruciavano gli occhi.

Poi, il suono deciso e inaspettato di un corno squarciò l'aria.

Fu la goccia che fece traboccare il già vacillante vaso del coraggio di Terushima, che lasciò cadere la lancia e iniziò a correre a perdifiato ripercorrendo i suoi passi, seguito dagli altri due superstiti.

Kenji fece per voltarsi, ma nel tentativo la gamba gli cedette di schianto e si ritrovò ad assaggiare il fango e le foglie, mentre una foschia giallognola iniziava ad avanzare nella sua direzione.

Non riusciva ad alzarsi, e se ne rese conto troppo tardi.

Le mani gli tremavano e si graffiavano nel tentativo di fare presa, ma le gambe non volevano muoversi di un millimetro. Era spacciato.

 

L'ultima cosa che vide prima di perdere i sensi, oltre alla nebbia gialla che già iniziava a pizzicargli la pelle, furono due gambe imponenti, appartenenti probabilmente ad un terrestre altrettanto grosso.

Se proprio doveva morire, sperò almeno che – chiunque fosse – il nuovo arrivato gli desse il colpo di grazia il più presto possibile.

Invece il terrestre se lo caricò in spalla e iniziò a correre.

 

 

“Posso farti una domanda, Shoyo?” chiese Tooru, senza preavviso.

Il ragazzino voltò lo sguardo nella sua direzione, curioso.

“Hai detto che non c'è più nessuno del tuo popolo ma… ieri siamo stati attaccati da qualcuno che portava delle frecce identiche alle tue… sei sicuro di averci detto tutta la verità?”

“Idiota, non attaccarlo così… se non fosse stato per quelle frecce non sarei qui, ora” gli fece notare Hajime, sospirando. Shoyo, confuso, viaggiava con lo sguardo da uno all'altro, senza capire.

 

Una volta che Koushi gli ebbe spiegato tutto quello che era successo la notte precedente, finalmente Shoyo rispose: “Può darsi che qualcuno sia sopravvissuto, non ho visto tutti gli abitanti del villaggio morire perché ero troppo occupato a scappare ma… nel mio popolo ogni volta che un guerriero ne sconfigge un altro prende il possesso delle sue armi, quindi potrebbe avervi attaccato chiunque… in ogni caso di sicuro il Grande Corvo vi protegge, senza il mio antidoto lui sarebbe morto in poco tempo”

“Stai dicendo che… ci sono altri villaggi?” prese la parola Asahi, allarmato.

“Per quanto ne so io ci sono dodici popoli, e ognuno di loro è diviso in decine di villaggi… quindi sì, ce ne sono altri” rispose Shoyo, che si stava lentamente abituando ad essere al centro dell'attenzione ma continuava a giocherellare nervosamente con la sua piuma.

Ad Asahi tornò in mente l'uomo che aveva visto quella mattina tra gli alberi e sentì un brivido gelido lungo la schiena che gli fece avere un leggero sussulto, di cui Nishinoya non mancò di accorgersi.

 

Mentre erano immersi nel discorso improvvisamente il telo della tenda si spalancò senza preavviso, lasciando entrare un contrariato Tanaka, che oltre ogni previsione indossava ancora il suo bracciale.

“Bro! Dove hai dormito stanotte? Non sei venuto nella tenda...” gli chiese Yuu, perplesso.

“Non ho dormito… mi sono arrampicato su un albero e ho pensato tutta la notte al senso della vita, bro” rispose Ryuu, sbadigliando.

“E hai concluso qualcosa?” chiese Asahi, curioso e anche un po' sollevato: magari l'ombra che aveva visto al mattino poteva essere stato solo Ryuu, e nessun terrestre si era spinto fin lì.

“No, però ho visto quel cretino di Terushima e i suoi amici che se ne andavano verso la foresta sproloquiando sulla caccia… si metteranno nei guai secondo voi?”

“Sinceramente non mi interessa proprio” sbuffò Oikawa, alzandosi di scatto e uscendo dalla tenda, seguito da Iwaizumi e poi da Kuroo e Kenma, che evidentemente consideravano la riunione conclusa. Anche Asahi, Tanaka e Nishinoya si mossero per uscire, chiacchierando tra loro.

 

Poi, improvvisamente, il suono di un corno attirò prepotentemente l'attenzione di tutti.

Shoyo iniziò a tremare con violenza prendendosi la testa tra le mani, con gli occhi sbarrati.

“Cosa sta succedendo?” chiese Tobio, turbato profondamente da una reazione così eccessiva.

Tutti si bloccarono sul posto, come in attesa di una risposta che mettesse a tacere quel tremendo presentimento che stava iniziando a prendere il controllo.

Shoyo stava iperventilando, ma cercava allo stesso tempo di dire qualcosa senza riuscirci.

“La… nebbia… della montagna” ansimò infine, con gli occhi dilatati dal terrore.

Uscirono tutti all'esterno: una strana nube giallognola, come una tempesta in avvicinamento, sembrava incombere su di loro.

“Ascoltatemi tutti!” urlò Koushi, alzando la voce per attirare l'attenzione di tutto l'accampamento “Entrate subito nella navicella! Subito! Non c'è un secondo da perdere!”

Tutti i ragazzi assiepati intorno alle tende e occupati nelle mansioni più diverse rimasero immobili per un istante, poi alzarono gli occhi quasi nello stesso momento: il terrore si dipinse nei loro sguardi, e iniziarono a correre scompostamente nella direzione indicata da Sugawara.

Bokuto, che fino a quel momento era rimasto ad annoiarsi intagliando un pezzetto di legno seduto su un sasso e chiedendosi che fine avesse fatto Kuroo, capì che si doveva trattare di qualcosa di serio e in un istante abbandonò la sua maschera da buffone e aiutò ad alzarsi una ragazzina che era caduta a terra nel panico generale, caricandosela in spalla e correndo con lei fino alla navicella.

 

Una volta che Tooru ebbe chiuso ermeticamente il portellone con la leva manuale, Koushi tirò un sospiro di sollievo.

Durò poco.

Oltre ai sei ragazzi che erano usciti a caccia senza avvertire nessuno, nel loro rifugio estemporaneo mancavano altre due persone: si trattava di Tsukishima e Yamaguchi, e Sugawara non riusciva a spiegarsene il motivo. Dove poteveno essere andati senza avvisare nessuno? E perché?

La ferita di Kei non era ancora perfettamente guarita, anche se i punti tenevano, e Koushi non riusciva a capacitarsi che il ragazzo non avesse ascoltato il suo invito a riposare almeno per un paio di giorni.

Era comunque evidente che Kei e Tadashi non fossero ragazzi facili, e se li ricordava entrambi dal periodo in cui aveva lavorato a contatto con il centro di accoglienza per gli orfani dell'Arca.

Erano cresciuti insieme proprio lì, e Koushi ricordava anche il giorno in cui erano stati confinati insieme per aver rubato delle medicine.

In effetti forse avrebbe dovuto evitare di perderli d'occhio dalla sera precedente, quando Tsukishima aveva attaccato briga con Kageyama: sperò nel suo cuore che non si fosse creato nessun attrito irrisolvibile, e che i due, ovunque fossero, avessero fatto in tempo a ripararsi.

Shoyo era seduto in un angolo della navicella buia e si stava abbracciando le ginocchia, con gli occhi chiusi e le nocche bianche.

 

Improvvisamente, qualcuno da fuori iniziò a urlare e a bussare disperatamente contro il portellone, piagnucolando parole sconnesse.

 

 

Kei e Tadashi non avevano fatto molta strada da quando si erano allontanati dal campo.

Si erano inoltrati in una parte di foresta che ancora non era stata battuta da nessun altro, e dopo nemmeno mezz'ora di cammino Yamaguchi si era già imbattuto (in realtà era inciampato) in qualcosa di interessante: una botola metallica per metà coperta da terra e foglie, che con diversi sforzi erano riusciti ad aprire.

Erano scesi lì sotto, Tadashi per primo e Kei subito dietro, saltellando sui pioli della scala di ferro con la gamba sana.

Quando la nube era passata sopra di loro non se n'erano nemmeno accorti: avevano trovato un vero bunker antiatomico dieci metri sottoterra, dotato di un enorme scaffale pieno di lattine di cibo risalenti a un centinaio di anni prima, una decina di bombole di ossigeno, un'enorme pila di libri dalla carta ingiallita e logora, quattro brande, un divano dall'aria piuttosto comoda e un'enigmatica cassa nera metallica.

Tadashi iniziò ad esplorare tutto con gli occhi che brillavano, emettendo esclamazioni di sorpresa ad ogni nuova scoperta: “Tsukki, Tsukki! Ho trovato dei fagioli scaduti ottant'anni fa! Tu avresti il coraggio di assaggiarli? Guarda, secondo te cos'è questo?” chiese, agitando una bottiglia impolverata piena di un bizzarro liquido colorato.

Tsukishima non lo stava ascoltando: tutta la sua attenzione era monopolizzata dalla grande cassa nera e stava armeggiando con il meccanismo di apertura, che dopo numerosi tentativi infine scattò.

Kei non riuscì a trattenere un'imprecazione, e Tadashi lo raggiunse subito, quasi sconvolto dal fatto che l'amico avesse abbandonato per un attimo la sua solita fredda apaticità per lasciarsi andare ad una reazione così istintiva e umana.

La cassa era piena di armi: una dozzina di pistole con relativi proiettili, altrettanti fucili e perfino alcune bombe a mano, che Kei aveva visto solo nelle immagini di un libro sfogliato anni prima. Tadashi, senza sapere di cosa si trattasse, ne soppesò una tra le mani, curioso.

“Io la poserei fossi in te… sempre che ti piacciano le tue mani, ovviamente” gli disse Tsukishima, dando voce al suo solito sarcasmo. Yamaguchi rabbrividì, capendo improvvisamente che cosa fosse, e la rimise dove l'aveva presa, tremando.

“Cosa dovremmo fare adesso, Tsukki?”

“E me lo chiedi? Cibo, armi, ossigeno e libri… credo che potremmo iniziare a chiamare questo posto 'casa' fin da subito, non pensi anche tu?”.

 

 

La voce che urlava fuori dalla navicella era quella di Terushima, senza alcun dubbio.

“Aprite! Aprite, vi prego! Non lasciatemi qui fuori! Non voglio morire!” la sua aria da sbruffone del giorno prima sembrava essersi totalmente volatilizzata, sostituita da un panico crescente.

Bokuto, che era il più vicino alla leva, iniziò ad armeggiare per aprirla e far entrare un sempre più terrorizzato Yuuji, mentre gli altri mormoravano tra di loro, altrettanto spaventati.

“Vi supplico, sta arrivando! Aprite! Brucia!!” urlava Terushima, mentre Koutaro si rendeva conto di non riuscire a tirare la leva avanti né indietro.

“Temo che… si sia inceppata, ragazzi” sbiancò, mentre ormai dall'esterno le parole del ragazzo biondo erano diventate un piagnucolìo indistinto.

Kuroo, Asahi e Tanaka si avvicinarono per forzare tutti insieme la leva incastrata e riaprire il portellone: all'ultimo istante riuscirono ad aprire uno spiraglio per far entrare Terushima, che cadde all'interno ansimando, con metà del viso e un braccio ricoperti di bolle e segni rossi.

Il portellone venne richiuso immediatamente, anche se un po' del gas riuscì a passare dalla piccola apertura, provocando una vistosa bruciatura alla mano di Asahi e un attacco di tosse violenta che serpeggiò per qualche minuto tra i ragazzi più vicini alla porta.

Quando il panico si placò del tutto, Koushi rinunciò ad abbozzare un altro sospiro di sollievo.

Si avvicinò a Yuuji, che respirava a fatica ma era perfettamente sveglio.

“Che cos'è successo?” gli chiese, mentre l'unico occhio aperto di Terushima era rivolto alla ragazza per cui aveva voluto tentare l'impresa che gli stringeva la mano sana, in preda alla preoccupazione.

“Io… ero andato a caccia… con Kenji, Kazuma, Takeharu, Nobu e Rintaro… dei terrestri ci hanno attaccato e poi è scesa quella nebbia acida… sono scappato, ho perso la lancia nella corsa e… sono stati colpiti, Nobu e Rintaro erano rimasti con me ma li ho persi di vista...” si interruppe, prima di lasciarsi andare ad un'imprecazione violenta e poi iniziare a tossire ripetutamente, tenendosi il petto dolorante.

L'apprensione di Koushi aumentò ulteriormente: ne avevano persi altri cinque, e con ogni probabilità molti altri di loro avrebbero rischiato la stessa sorte, presto o tardi.

Tutto il suo armamentario medico era rimasto nella tenda infermeria e non poteva fare nulla per alleviare l'evidente dolore di Yuuji, tantomeno quello che gli sarebbe rimasto impresso per sempre nell'anima. Strinse i pugni fino a farsi sbiancare le nocche, sentendosi impotente di fronte all'ineluttabilità di quella situazione.

 

 

Daichi non riusciva a impedirsi di stringere forte i pugni sotto il lenzuolo, mentre per l'ennesima volta gli veniva ripetuta la stessa frase in risposta alla sua richiesta di vedere Koushi.

Stavolta era il consigliere Ukai, e da lui non se l'aspettava: sapeva che era l'unico membro del Consiglio di cui si potesse fidare, ma evidentemente Keishin-san non si fidava di lui abbastanza da metterlo in parte del segreto che aleggiava sull'Arca, di cui comunque erano entrambi al corrente. C'era anche la possibilità che Ukai non volesse coinvolgerlo per via del suo stato di salute, ma Sawamura era pur sempre un ufficiale e presto o tardi avrebbe preteso di sapere qualcosa di più sulla sorte della persona che amava di più nell'intero universo.

 

Matsukawa non si era ancora fatto sentire: probabilmente la sua ricerca era ancora infruttuosa, ma sicuramente un modo per raggiungere la Terra doveva esistere e Sawamura ne era fermamente convinto. Sospirò.

 

Il consigliere era venuto a trovarlo, sinceramente preoccupato per le sue condizioni: aveva due borse scure sotto gli occhi e la barba di due o tre giorni e sembrava molto stressato, ma gli aveva rivolto un sorriso tirato e poche semplici frasi per metterlo al corrente delle novità degli ultimi giorni, anche se le sue parole sottintendevano molto di più di ciò che sembrava.

Se n'era andato dopo appena dieci minuti, ma nel congedarsi gli aveva lasciato scivolare in mano un foglietto di carta, per poi allontanarsi in tutta fretta dalla stanza.

 

Hai degli uomini molto fedeli, Sawamura.
So che sai già dell'Operazione Cento, e che non sta funzionando come dovrebbe.
Io ho votato contro e non sono d'accordo con la linea politica di questo Consiglio, ma sono in minoranza. 
Domani sera si voterà sulla decisione di spegnere l'ossigeno alla stazione Walden e io voterò contro, ma sento che sarà inutile.
Quest'Arca sta prendendo la strada sbagliata e non puoi fidarti di nessuno.
Il mandante dell'attentato alla tua vita è stato molto probabilmente lo stesso Cancelliere, quindi non sei al sicuro qui.
Puoi fidarti del dottor T., ma è sorvegliato costantemente.
Se tutto andrà come deve, il tuo sottoposto ti aspetterà a mezzanotte al Ponte Nove.
Aspetterò notizie via radio.

Distruggi questo messaggio.

K. U.

 

 

Daichi sentì il cuore che gli si riempiva di gioia, nonostante tutte le pessime notizie contenute nel messaggio.

Lo rilesse due volte, come per sincerarsi che fosse tutto vero, per poi ridurlo alla dimensione di una moneta e metterlo in bocca.

Non c'erano altri modi per far sparire una comunicazione segretissima in una stanza d'ospedale probabilmente controllata, e dopo aver ammorbidito la carta con la saliva a sufficienza la buttò giù come una pastiglia, proiettandosi già con la mente a ciò che sarebbe accaduto quella notte stessa.

Se tutto fosse andato secondo i piani, la mattina successiva Koushi sarebbe stato di nuovo tra le sue braccia.


Boom! Aggiornamento a sorpresa!
Ed ecco ancora un po' di carne al fuoco, anche se ci sono ancora un saaaaaacco di domande che vi tormenteranno... *evil grin*
Scusami Terushima, io non volevo davvero farti soffrire, penso che tu sia un bellissimo cinnamonroll ma... qualcuno doveva pur farlo.

Grazie alle fedelissime Yua e AMidsummerNightmare per le recensioni, spero di non deludervi con questo nuovo capitolo!

Mebi oso na hit choda op nodotaim~


_Kurai_

 

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Capitolo 8
*** Different Paths ***


Different Paths

 

Trascorsero un'ora chiusi dentro la navicella, aspettando che la nebbia si diradasse.

Molti stavano in silenzio, spaventati da quello sviluppo inaspettato, altri parlavano animatamente con i vicini, ragionando sul da farsi o lasciandosi prendere dal panico a momenti alterni.

Una ragazzina bionda che dimostrava al massimo quattordici anni si era seduta accanto a Shoyo e lo fissava con i grandi occhi castani senza dire nulla, incuriosita ma esitante. Il terrestre era ancora spaventato per aver dovuto rivivere un'altra volta quei momenti di terrore, ma aveva quasi ritrovato la calma: per quanto quei nuovi arrivati fossero gli Skaikru della leggenda, individui misteriosi scesi dal cielo, gli sembravano ragazzi tali e quali a lui e non aveva paura di loro.

Sentiva di potersi fidare, soprattutto di quello che sembrava il loro guaritore, i cui occhi argentei e gentili gli ricordavano lo sguardo di sua madre, che non avrebbe mai più rivisto. Anche lei era una guaritrice, e l'ultima volta che l'aveva vista stava insistendo per rimanere al villaggio con i malati nonostante il suono del corno: molti di loro non sarebbero sopravvissuti a una fuga precipitosa, e lei avrebbe dovuto proteggerli. Lui era stato mandato avanti dal padre, che stringeva al petto la sorellina e cercava di convincere la moglie a scappare.

Aveva corso per chiedere aiuto, come lui gli aveva chiesto di fare, dicendogli che l'avrebbero raggiunto prestissimo.

Aveva aspettato che il peggio passasse nascosto in una grotta indicatagli dal padre, aveva atteso a lungo l'arrivo dei suoi familiari e poi era tornato indietro e aveva visto il disastro con i suoi occhi.

Non aveva retto a lungo la vista di tutti quei cadaveri straziati e irriconoscibili ed era scappato di nuovo, con gli occhi quasi accecati dalle lacrime.

Le sue gambe l'avevano portato lontanissimo e aveva pianto ancora a lungo, nella solitudine della foresta, fino a poco prima di incontrare Tobio.

 

Decise che non avrebbe pianto di nuovo, perché tutto sommato doveva portare alto l'onore del suo villaggio come unico sopravvissuto. Non era un guerriero, ma doveva comunque diventare forte: gli Skaikru non l'avrebbero protetto per sempre e non avrebbe mai lasciato che lo considerassero un peso.

Dopo che il ragazzo biondo che rispondeva al nome di Yuuji era entrato nella navicella con tutto quel trambusto, Shoyo aveva tirato fuori dalla sua bisaccia un altro piccolo contenitore metallico cilindrico, che conteneva uno strano unguento verde e pastoso. L'aveva mostrato a Koushi, dicendogli che se l'avesse applicato sulle bruciature di Terushima e sulla mano di Asahi avrebbe dato loro un po' di sollievo.

Non era molto, ma era tutto quello che poteva fare.

Sugawara gli aveva sorriso con gratitudine, e Shoyo si era sentito orgoglioso di sé stesso.

In seguito sarebbe andato in cerca di erbe per preparare di nuovo l'unguento, come sua madre gli aveva insegnato anni prima.

“Ti chiami Shoyo, vero?” chiese la ragazzina, abbassando di colpo lo sguardo per la timidezza.

“Sì, tu come ti chiami?” rispose prontamente, con un piccolo sorriso.

“Io… io sono Hitoka...” balbettò lei, come se non si aspettasse che Shoyo le chiedesse il nome a sua volta “Spero che… diventeremo amici” aggiunse, rispondendo al sorriso.

 

 

Tooru e Hajime erano saliti al livello superiore della navicella, ufficialmente per controllare che fosse stato messo tutto in sicurezza dagli altri durante lo smantellamento di quello che poteva servire per costruire l'accampamento che era stato effettuato il giorno prima, ufficiosamente perché entrambi avevano un gran bisogno di parlare.

Sapevano tutti e due che avrebbero finito per litigare, e non volevano farlo di fronte agli altri.

 

“Proprio il fatto che ci abbiano attaccati con la nebbia significa che la montagna è un problema e dev'essere risolto, Oikawa! O intendi restare qui ad aspettare un altro attacco?”

“Non sto dicendo questo… sto dicendo che non intendo lasciarti andare laggiù senza un'adeguata preparazione, e soprattutto non da solo!”

“Oh sì, perché l'ultima volta la tua presenza mi ha aiutato molto!”

“Sei crudele, Iwa-chan… ti sei fatto male per salvarmi il culo, contento? Ma ciò non toglie che tu non mi lascerai qui a preoccuparmi per la tua sorte mentre vai a farti ammazzare da qualche nemico sconosciuto!” Tooru alzò la voce di un'ottava, sinceramente arrabbiato.

“E allora sentiamo, qual è il tuo piano?” chiese Hajime, con aria di sfida.

“Prima di tutto costruiremo delle fortificazioni all'accampamento perché non possiamo partire e lasciare il posto indifeso, poi non ci allontaneremo finché io e Kenma non avremo costruito una radio per informare l'Arca e comunicare tra noi a distanza e allora forse potremo parlarne…”

“Mi sembra che l'ultima volta tutta la tua prudenza non sia servita a molto...”

“La mia prudenza, Iwa-chan, è servita per salvare il tuo culo sull'Arca!”

“Oh sì, come no! Ti saresti sacrificato per me quindi? Sentiamo, ti consideri anche un eroe per avermi costretto a fingere di averti sorpreso sul fatto quella volta? Come pensi che mi sia sentito io? E poi hai coinvolto pure quel povero ragazzino… hanno pensato che fosse lui il tuo complice, e invece sapeva tutto solo perché ci aveva spiati dal condotto di aerazione”

“Non sapevo che Tobio-chan fosse lì, non avrei potuto difenderlo in nessun modo senza rivelare il tuo ruolo nel piano… E non potevo lasciare che confinassero anche te e lo sai bene… tu sei una guardia, saresti stato processato e ucciso subito per alto tradimento, oltre al fatto che avevi appena compiuto la maggiore età!”

“E tu saresti diventato maggiorenne il mese dopo! Come pensi che l'abbia vissuta io? Ho fatto di tutto per far rimandare la tua esecuzione, se ci tieni tanto a saperlo… come pensi che avrei vissuto io con la tua vita sulla coscienza, eh?”

“Ho insistito io per indagare a fondo quella volta… ti ho coinvolto perché io ho visto quella falla e io ho trovato quei documenti, e mi serviva un aiuto di qualcuno del corpo di guardia per poter accedere ai filmati segreti delle riunioni del Consiglio. Non potevo lasciare che una mia iniziativa distruggesse anche te! Entrare nelle Guardie era il tuo sogno, l'unico ricordo di tuo padre...”

“Ora non tirare in ballo mio padre… e comunque ho continuato a indagare quando ti hanno messo in isolamento, e ho scoperto altre cose… ricordi il comandante della mia squadra, Sawamura-san? Quello che è entrato nelle Guardie a sedici anni?”

“Cosa c'entra lui? Non è il compagno di Koushi?”

“Sì… di lui ci si può fidare, mi ha aiutato mentre cercavo di sbrogliare il bandolo della matassa e ha messo una buona parola con un membro del Consiglio quando volevano fissare la data della tua condanna. Poi per permettermi di indagare mi ha coperto un paio di volte e mi ha messo anche al corrente del progetto dell'Operazione Cento, anche se non aveva idea di quando sarebbe stata effettuata. Ho iniziato a documentarmi su tutti i libri di competenze terrestri che trovavo e ho preso una licenza per prepararmi a questi momenti, sperando di riuscire a evitare che ti uccidessero fino alla partenza. Poi, una settimana fa, qualcuno ha sparato al caposquadra Sawamura e ho capito che la situazione si stava evolvendo e stava precipitando… avrei voluto coinvolgere anche Matsukawa – detesto vedere Takahiro con quella faccia – ma era troppo tardi, l'unica persona con cui ne avevo parlato stava morendo e...”

“Iwa-chan...” lo interruppe Tooru, che sembrava ancora arrabbiato ma anche sull'orlo delle lacrime “… hai rischiato così tanto per me” allungò la mano verso quella di Hajime, che gliela strinse.

“E sia… aspetteremo che tu abbia costruito quella maledetta radio e poi partiremo” sbuffò Iwaizumi, cedendo un'altra volta a quell'espressione di Oikawa.

Quel particolare ascendente che aveva Tooru su di lui prima o poi lo avrebbe portato alla rovina, lo sapeva bene. Ma non poteva farci nulla.

 

 

Una volta usciti dalla navicella, all'esterno non c'era traccia della nebbia velenosa.

Terushima venne sistemato su una delle barelle rimaste vuote, mentre pazientemente Sugawara iniziò a cospargergli le ustioni con l'unguento.

Shoyo, dopo essere sopravvissuto al suo secondo attacco di nebbia acida, sembrava particolarmente pieno di vitalità, anche se era rimasto ferito solo il giorno prima.

“Ci sarà bisogno di altre erbe medicinali! Guaritore Koushi, lasciami andare nel bosco a cercare erbe medicinali, posso andare?”

Sugawara non era del tutto convinto che uscire dall'accampamento fosse sicuro, ma in fondo quel ragazzino era nato lì e conosceva quei luoghi molto meglio di loro, oltre al fatto che le piante medicinali sarebbero state dannatamente utili se avessero dovuto ritardare il viaggio verso la montagna. E poi davvero lui aveva l'autorità per dare o no il permesso a quel ragazzo? In ogni caso, evidentemente Shoyo lo riteneva una sorta di capo, e allora lo assecondò: “Va bene Shoyo… però non andare da solo, ok?”

“Qualcuno non dovrebbe andare a cercare quei due… Kei e Tadashi, giusto?” chiese Nishinoya, che era rimasto lì con Asahi e aveva preso un po' di unguento per medicargli la mano, in modo da alleggerire il carico di lavoro di Koushi “Non erano con Terushima e magari sono intrappolati da qualche parte e hanno bisogno d'aiuto...” continuò, un po' in apprensione, mentre stringeva le bende intorno alla mano dell'amico.

Asahi aprì e chiuse la mano appena fasciata due o tre volte, quindi decise che andava bene così e ringraziò Yuu, per poi aggiungere: “Potremmo andare io e te, Noya, insieme a Shoyo… e nel frattempo possiamo cercare quei due… Mi sento così inutile qui”.

Yuu spalancò gli occhi: “Tu non avevi paura di uscire nella foresta? Stamattina ti sembrava di aver visto un terrestre, non mi sarei mai aspettato che avresti proposto una cosa simile!”

“Credo che… continuerò ad aver paura per sempre… se non vedrò la situazione con i miei occhi” rispose Azumane, ma si vedeva che si stava sforzando, come se dovesse cercare di dimostrare qualcosa a qualcuno.

“Voglio venire anch'io con voi nella foresta!” fece capolino la testa di Tobio nella tenda infermeria.

“Ma tu sei sempre qui, Tobio?” gli disse bonariamente Sugawara, ridendo “Comunque puoi andare con loro, però fate molta attenzione e restate qui nelle vicinanze… sicuramente non attaccheranno di nuovo con la nebbia immediatamente, anche se ci sono comunque dei terrestri in giro; state al riparo da eventuali attacchi e portate con voi delle armi per difendervi, ma vi prego di fare attenzione e non mettervi in situazioni rischiose… cercate di non aumentare il mio lavoro, per favore” Koushi pronunciò quest'ultima frase con un leggero tic all'occhio, che sottintendeva un “Non posso vietarvi di fare come volete, ma se vi fate male nel processo perché siete stati imprudenti vi farò molto più male io”.

I quattro rabbrividirono contemporaneamente cogliendo il sottotesto e la volontà di Asahi vacillò subito, ma uscirono dalla tenda diretti al deposito delle armi, proprio mentre Tanaka lì accanto si stava divertendo a costruire delle frecce, dimostrando una certa manualità che non avrebbero mai immaginato.

“Vuoi venire con noi, bro?” chiese Nishinoya, avvicinandosi a Ryuu “Andiamo nella foresta a cercare erbe medicinali e i due ragazzi dispersi”

“Ci sto! Mi stavo giusto annoiando, è così poco elettrizzante la vita qui!” commentò Tanaka sarcastico, posando la sua freccia insieme alle altre e tirando fuori una sorta di arco rudimentale, che – spiegò – aveva costruito da solo con un ramo che aveva piegato sul fuoco la sera precedente, e che aveva cercato di perfezionare lavorandoci tutta la notte, mentre faceva la guardia dal suo albero.

Azumane si stupì di quanto in fretta Ryuu si fosse abituato a quell'ambiente, come se non si trovasse lì solo da due giorni. Ma del resto in quelle poche ore avevano vissuto una varietà di esperienze di gran lunga superiore a quelle sperimentate in meno di diciott'anni di vita, e Tanaka aveva dovuto vivere metà della sua esistenza in prigione, dove praticamente vigeva la legge della giungla (anche se generalmente con i nuovi arrivati la bestia feroce era lui).

“Come pensate di trovare quei due? Avete un piano? E sapete come sono fatte le piante medicinali che cerchiamo?” chiese Tobio, e tutti gli altri in risposta si voltarono verso Shoyo, che tirò fuori il suo diario dalla bisaccia: “Questo è l'aspetto delle piante che servono al guaritore… le foglie per l'unguento sono quelle degli arbusti bassi con le bacche rosse, ma non raccogliete le bacche! Invece l'antidoto per il veleno si prepara con delle bacche gialle che crescono vicino al lago!” rispose, orgoglioso delle conoscenze che gli erano state trasmesse dalla madre.

Iniziarono quindi dirigendosi verso il lago, pianificando poi di dividersi e girare intorno all'accampamento nei sensi opposti, per poi ritrovarsi al punto di partenza dopo un'ora.

La situazione sembrava tranquilla, e anche se ogni tanto Asahi si sentiva osservato aveva deciso di ignorare quella sensazione: era tutto nella sua mente, e non poteva lasciare che Yuu si preoccupasse costantemente per lui.

 

 

Era già pomeriggio inoltrato quando Kenji aprì gli occhi.

Era coricato sulla nuda pietra di una grotta, e un sottile raggio di sole che trapelava da una piccola apertura gli sfiorava il viso.

Provò a mettersi seduto e dopo qualche tentativo ci riuscì, anche se la gamba protestò con una fitta che gli fece quasi perdere nuovamente i sensi. Guardò in basso, e vide che uno strano impasto grigio-verdognolo era stato cosparso sulla ferita: evidentemente il terrestre lo aveva curato.

Sospirò, incerto se essere grato o spaventato per essere rimasto in vita: se l'aveva salvato, forse il suo carceriere aveva progetti ben peggiori per lui.

Abbassò lo sguardo ancora un po' e la notò: una catena spessa e scura era avvolta intorno alla caviglia della gamba sana, per impedirgli qualsiasi tentativo di fuga.

“Perfetto Kenji, sei fottuto” disse al vuoto di fronte a sé, e richiuse gli occhi, lasciandosi di nuovo accogliere dalle tenebre.

Lo svegliò di nuovo uno scossone non troppo delicato, dopo quelli che gli erano sembrati non più di dieci minuti.

Aprì gli occhi e si trovò a pochissimi centimetri dal viso un volto che sembrava intagliato nella pietra, con due occhi piccoli e scuri che lo scrutavano attentamente e una zazzera di capelli corti e chiarissimi.

Sussultò, provocandosi un'altra violenta fitta alla gamba.

“Chi sei? Perché non mi hai ucciso?” chiese, appena si fu ripreso dallo spavento, con la voce ancora un po' esitante.

Nessuna risposta.

“Perché mi hai curato?” continuò, sempre con scarsi risultati.

Il terrestre aveva acceso rapidamente un fuoco con poche mosse esperte e stava scaldando qualcosa in una piccola casseruola, da cui saliva uno strano odore che Kenji non riusciva a definire.

“Ma capisci la mia lingua?”

Solo dopo diversi minuti l'omone si decise a rispondere, anche se fu solo con un grugnito, che Futakuchi interpretò come un sì.

“Senti, io faccio il bravo e non scappo, ma potrei almeno sapere chi sei e perché mi tieni rinchiuso qui?” in cuor suo stava sperando che il suo nuovo coinquilino almeno non fosse cannibale, e che la casseruola non contenesse la sua zuppa d'accompagnamento o qualcosa del genere.

“Sono Aone.” rispose il terrestre, dopo un altro periodo di silenzio lunghissimo “Non ti voglio uccidere. Volevo solo che non scappassi.”

“Ma quindi non vuoi… mangiarmi?” chiese, temendo la risposta.

Aone sollevò un laccio che teneva legate tre lepri, che Kenji non aveva notato.

“Oh. Sì, certo. Ho capito. La cena.” iniziò a ridere istericamente tra sé, felice di non dover essere lui stesso la portata principale.

 

 

Kenma era rimasto nella navicella, dove insieme a Oikawa si stava impegnando in un lavoro di fino per cercare componenti utilizzabili per la radio tra i fili e i circuiti del sistema dei comandi. Dopo tante infruttuose ricerche, Kuroo aveva trovato un vecchio generatore di emergenza, e questo aveva determinato una moderata esplosione di ottimismo che aveva spinto i due piccoli geni a mettersi subito al lavoro.

Tetsuro era rimasto a lungo a guardarli lavorare, e quando dopo qualche ora Oikawa era uscito per sgranchirsi un po' le gambe si era seduto accanto a Kenma, che era completamente assorto nel suo lavoro.

Del resto, lui non aveva nessun dubbio che il più piccolo ce l'avrebbe fatta: aveva una sorta di predisposizione per certe cose, e nei lunghi anni che aveva passato a nascondersi aveva studiato il più possibile per conto suo, arrivando a un livello discretamente alto. Kuroo lo ammirava sinceramente, anche se talvolta questa passione lo rinchiudeva in un mondo tutto suo.

Gli era dispiaciuto non essere riuscito a salvare il piccolo computer che Kozume aveva costruito da solo sull'Arca, ma era certo che con i pezzi necessari sarebbe anche riuscito a fare di meglio.

 

Oikawa era stanchissimo per non aver praticamente dormito: aveva vegliato Iwaizumi tutta la notte e non aveva neppure mangiato, visto che la sua razione di cervo era rimasta abbandonata per terra dopo il collasso di Hajime e in seguito mangiare era stato seriamente il suo ultimo pensiero.

Ad un certo punto aveva alzato gli occhi dal progetto che stava stendendo insieme a Kenma e aveva visto doppio: forse era il momento di riposarsi e magari di andare a chiedere se era rimasta almeno una razione dello schifosissimo cibo liofilizzato che tenevano per le emergenze.

Aveva trovato una barretta insapore e una confezione di preparato proteico in polvere e se l'era fatte andar bene: gli avrebbero dato l'energia che serviva, sufficiente a tenerlo in forze per portare a termine il progetto.

Mentre addentava il suo insipido spuntino notò Koushi, che dopo due giorni di lavoro continuo finalmente sembrava aver guadagnato un momento di pausa: era seduto su un sasso sporgente subito fuori dalla tenda infermeria con le ginocchia contro il petto e uno sguardo assorto e pensieroso.

Solo avvicinandosi Tooru si accorse che il medico aveva gli occhi arrossati, come se avesse pianto.

Gli posò amichevolmente una mano sulla spalla, come a restituire il gesto di conforto della notte precedente.

“Ti ammiro” gli disse piano, sedendoglisi accanto e tirando un grosso sospiro “non so come tu abbia fatto a mantenere il sangue freddo con tutte le cose che sono successe, e ad aiutare tutti senza vacillare… se non avessi salvato Hajime, io...”

“È il mio lavoro” rispose semplicemente Koushi, con un'ombra di profonda malinconia nello sguardo.

“Lui ti manca, vero?” centrò infine il punto Oikawa, che capiva lo stato d'animo del medico dopo che Hajime gli aveva raccontato tutta la storia. Sentiva che Sugawara aveva bisogno di confidarsi con qualcuno, oppure sarebbe crollato sotto tutto quel carico di responsabilità.

Koushi lo guardò spaesato e stupito, facendogli capire che aveva colto nel segno.

“Non sapere se Daichi è ancora vivo mi tormenta… fino ad ora ho medicato e curato persone in continuazione e questo mi ha aiutato a non pensare ma… una volta che Yuuji si è addormentato e ho avuto un po' di tregua mi è ripiombato tutto addosso” si confidò sinceramente, lasciandosi andare.

“Non devi sostenere da solo il peso di tutto. Puoi fidarti di me, di Hajime, di Tetsuro e degli altri… tu sei un elemento troppo prezioso e non puoi permetterti di crollare, quindi non esitare a chiedere aiuto se senti di non potercela fare, ok?” Tooru non era mai stato il confidente di qualcuno, ma sentiva Koushi stranamente affine.

Se Hajime non fosse stato lì con lui era certo che si sarebbe sentito allo stesso modo, e se n'era reso definitivamente conto proprio quando aveva rischiato di perderlo. Doveva la vita stessa a Sugawara, perché se Iwaizumi fosse morto per quel veleno Oikawa era certo che lui stesso non avrebbe voluto vedere l'alba successiva.

Voleva forse dire che si era finalmente reso conto della vera natura dei suoi sentimenti per Hajime? Forse, ma non era il momento di pensarci.

Koushi si stava asciugando gli occhi con una manica, per cercare di dissimulare e ostentare il suo solito sorriso.

“Ho lasciato andare cinque ragazzi a cercare erbe medicinali con Shoyo… sono preoccupato per loro, sono preoccupato per quei due ragazzi dispersi e per i nostri cari sull'arca, sono preoccupato per il nostro futuro… ma devo essere forte, perché avete tutti bisogno di qualcuno che vi dia conforto e che mantenga la prontezza di spirito necessaria… ti prometto che non cederò, e lo farò anche per Daichi” aggiunse, parlando più con sé stesso che con Tooru.

“Io ti prometto che entro stanotte riusciremo a far funzionare quella dannata radio, così potrai sapere come sta il caposquadra Sawamura”.

Koushi lo ringraziò con un sorriso finalmente convinto e sincero, per poi congedarsi e rientrare nella tenda a controllare la situazione, con il cuore un pochino più leggero.

 

 

Il gruppo si era già diviso in due, e Shoyo si era allontanato in senso orario con Tobio, mentre gli altri tre procedevano in senso antiorario, alla ricerca di tracce e di altre erbe.

“Tobio?” chiese il terrestre, un po' esitante.

“Hn?” grugnì in risposta Kageyama, che non si sentiva totalmente a suo agio da solo con Shoyo e non sapeva cosa aspettarsi da lui.

“Quel ragazzo alto… era ferito ad una gamba, vero? Quindi zoppicava?” chiese dal nulla, chinandosi a osservare un'impronta nitida sul terreno umido davanti a loro.

“Sì… perché? Riesci a capirlo da quell'impronta?”

“Guarda qui… un piede ha fatto un'orma più profonda dell'altro… e alcune impronte sono calpestate da dei piedi più piccoli… non pensi che siano quei due?”

“Certo che quello Yamaguchi dev'essere proprio un idiota per farsi mettere sotto e camminare perfino più indietro di uno sbruffone del genere, che è pure ferito e zoppicante. Non capisco come possa rispettarlo, sono sicuro che si sono allontanati volontariamente perché quello Tsukishima sa solo litigare con tutti” sbuffò Tobio, mentre Shoyo lo osservava assorto, sorridendo tra sè.

“Beh? Che hai da guardare?” aggiunse, un po' confuso e innervosito.

“Hai una faccia strana quando sei arrabbiato… ti si arriccia tutta la fronte, sembra la corteccia di un albero!” iniziò a ridacchiare Shoyo, con il risultato di farlo infuriare, ma allo stesso tempo lasciandolo interdetto per una similitudine così strana.

“Non credere che perché ti ho portato all'accampamento e ho chiesto di curarti tu ora ti possa prendere certe libertà” bofonchiò in risposta, lanciando all'altro uno sguardo torvo.

“Quindi perché non mi hai lasciato morire nella foresta? Niente ti obbligava a portarmi con te” lo provocò Shoyo, che in effetti non era ancora riuscito a decifrare il carattere di Tobio: un attimo prima lo feriva, poi lo salvava, poi lo riempiva di domande e poi diventava silenzioso e scontroso… non riusciva davvero a capirlo, ma nel profondo si divertiva molto a stuzzicarlo.

“Io… io non lo so proprio in effetti. Ti avevo scambiato per un animale, visto che giri vestito di pelli e di piume” rispose Tobio, abbassando lo sguardo “poi ho visto che eri un ragazzino e ho capito di essermi sbagliato… però mi sto un po' pentendo perché secondo me tu parli un po' troppo. Quale idiota chiederebbe a qualcuno che l'ha risparmiato perché gli ha salvato la vita?”

“Se fossi stato un Trikru mi avresti abbandonato a morire, perché il fatto di essere stato così debole da farmi colpire significa che non sono degno di sopravvivere nella foresta… poi se la mia famiglia avesse deciso di vendicarmi sarebbero venuti a cercarti e ti avrebbero ucciso a coltellate, facendoti soffrire il più possibile… Jus drein jus daun, sangue chiama altro sangue, si dice tra i Trikru. Nessuno risparmia la vita a qualcun altro, e chi perde viene mangiato dai corvi” spiegò, con un'espressione mortalmente seria. “In ogni caso non ho più una famiglia, quindi nessuno sarebbe venuto a ucciderti a coltellate” aggiunse, abbassando lo sguardo.

Kageyama rimase in silenzio, incapace di rispondere.

Shoyo riprese a seguire le impronte, e dopo un po' Tobio ricominciò a seguirlo, incerto su cosa pensare.

L'atmosfera pesante non durò molto: dopo una decina di passi il terrestre attirò la sua attenzione indicando qualcosa sotto i suoi piedi.

Si trattava di una botola, e le impronte finivano proprio lì.

 

 

Mentre Oikawa si occupava della parte meccanica del circuito per far funzionare la radio, Kenma era ancora impegnato nei calcoli: con lo sguardo assorto talvolta parlava tra sé, come se si trovasse da solo nella stanza, e poi si rimetteva a osservare il progetto.

Dopo qualche ora ad osservarlo Kuroo si era addormentato, seduto sul pavimento della navicella con la testa appoggiata all'indietro. Russava lievemente, ma ormai i due si erano abituati, come se fosse un rumore di sottofondo.

Ad un certo punto, dopo più di cinque ore ininterrotte di lavoro, Kenma si alzò silenziosamente e si avvicinò a Tetsuro per scuoterlo delicatamente.

“Kuroo” sussurrò piano, senza una particolare intonazione “Ho bisogno che mi dai una mano a togliere questo” aggiunse, mentre il più grande si stropicciava gli occhi.

Oikawa, che aveva concluso la sua parte di lavoro, aspettava che Kenma aggiungesse la componente finale del progetto: purtroppo il suo bracciale era fulminato e non sarebbe servito a nulla.

Kuroo si alzò sgranchendosi le articolazioni e commentando “Mi chiami sempre quando c'è bisogno di forza bruta, eh?” con un sorriso sornione, per poi iniziare a forzare il bracciale con una pinza che avevano trovato sulla navicella.

I circuiti dovevano restare intatti, o la radio non avrebbe funzionato. Avrebbero comunicato solo con il codice morse, ma era già un inizio.

Dopo qualche tentativo il bracciale si aprì: Kenma fece una piccola smorfia quando i quattro aghi liberarono il suo polso, ma poi afferrò prontamente il bracciale, iniziando a lavorare in fretta ai collegamenti mentre le quattro deboli lucine azzurre del dispositivo sfarfallavano ancora.

Era un compito che richiedeva la massima delicatezza, e le sue mani piccole e affusolate sembravano essere state concepite per compiere un lavoro simile: i primi tre contatti furono effettuati alla perfezione, e ancora la luce del quarto brillava come una fievole speranza.

Kozume avvicinò l'ultimo filo con una pinza piccolissima e gli occhi che brillavano, immerso nella massima concentrazione.

E poi fu un attimo.

La lucina azzurra si spense improvvisamente, e un sottilissimo filo di fumo iniziò a salire dal circuito.

Oikawa sbuffò e imprecò, frustrato per tutte le ore di lavoro perse.

Kenma rimase immobile a fissare il bracciale rotto, come se per un istante fosse andato in corto circuito anche lui.

 

 

Aspettare la mezzanotte fu l'attesa più logorante e dolorosa che Daichi avesse mai sopportato in tutta la sua vita.

Le ore passavano lentissime e aveva rifiutato già due volte le medicine per il dolore che gli aveva offerto il dottor Takeda: sapeva che gli avrebbero provocato sonnolenza, e preferiva sopportare le fitte costanti alle ferite in via di guarigione piuttosto che rischiare di non essere totalmente in sé allo scoccare dell'ora X.

Per quanto il consigliere Ukai lo avesse rassicurato sul fatto di potersi fidare del dottor Takeda, Daichi preferiva non coinvolgerlo: non poteva lasciare che qualcun altro rischiasse la vita per lui, dopo che già per la sua imprudenza aveva indirettamente permesso che Koushi fosse confinato e poi inviato sulla Terra come un comune criminale.

 

Matsukawa era riuscito a trovare un aiuto inaspettato nel consigliere Ukai, che evidentemente era schierato contro la linea politica che aveva permesso l'Operazione Cento: era stato tutto così semplice e veloce che non ci credeva nemmeno lui, e sembrava che il consigliere avesse pensato proprio a tutto.

Una piccola navicella di emergenza vecchia di almeno un centinaio di anni, grande abbastanza per due persone, era stata preparata sulla rampa di decollo in fondo al Ponte Nove, che da settimane era chiuso, ufficialmente per un guasto.

Era evidente che Ukai sapesse da tempo cosa stava per succedere, e aveva già preso dei provvedimenti in proposito: probabilmente avrebbe tenuto da parte quella via di fuga per sé stesso, ma le circostanze gli avevano fatto cambiare idea. C'era ancora qualcosa che poteva fare sull'Arca.

 

Issei si era nascosto sul Ponte Nove già un'ora prima dell'orario prestabilito, ansioso di controllare che fosse tutto come doveva essere.

Daichi sarebbe arrivato all'ultimo momento: era stato pianificato un bug al programma della videosorveglianza che avrebbe proiettato per dieci minuti le immagini dei corridoi vuoti, per consentirgli di lasciare la sala medica senza che le Guardie fedeli al Cancelliere lo intercettassero.

 

Finalmente, il grosso orologio digitale che Sawamura portava al polso iniziò a brillare per la sveglia silenziosa che aveva precedentemente impostato: mancavano dieci minuti alla mezzanotte, ed era infine giunto il momento.

L'orologio, che era stato la prima cosa che Daichi aveva chiesto di riavere una volta ripresosi dopo l'operazione, era stato un regalo di Koushi. Guardare quei numeri lampeggianti gli dava un po' di coraggio: avrebbe dovuto attraversare due intere sezioni dell'Arca in pochissimo tempo cercando di non incontrare nessuno, ma se la posta in gioco era poter riavere il compagno al suo fianco ci sarebbe riuscito ad ogni costo. Non si sarebbe arreso senza lottare.

Matsukawa aveva preparato un piano infallibile: subito fuori dalla sala medica, in un ripostiglio nel punto cieco delle telecamere, Issei aveva nascosto un'uniforme delle Guardie, che Daichi indossò velocemente, abbandonando il camice da paziente in un angolo.

Gli sembrò subito di essere tornato a vestire la sua vera pelle: aveva sentito la mancanza del contatto con quel ruvido tessuto tecnico nero e del peso delle cinghie che reggevano la fondina della pistola e quella della frusta elettrica, e inoltre avrebbe dato molto meno nell'occhio vestito così nei corridoi durante l'orario del coprifuoco.

I lunghi corridoi metallici, illuminati da fioche luci blu di emergenza, sembravano deserti e silenziosi. Daichi accelerò: aveva solo cinque minuti e quaranta secondi e non poteva permettersi di arrivare in ritardo, per nessun motivo al mondo.

 

Poi, un motivo si materializzò proprio davanti ai suoi occhi.

Un rumore di passi affrettati, poi un viso familiare. Daichi fece per voltarsi dall'altra parte per non farsi riconoscere, ma era già troppo tardi: la ragazza lo notò comunque.

Sembrava agitata e proveniva da un corridoio perpendicolare al suo, diretta nella sua stessa direzione.

“...Daichi? Non dovresti essere ancora in convalescenza?”

Sawamura rimpianse di non essersi coperto il viso. Cosa doveva fare? Non poteva negare l'evidenza, e decise di glissare.

“Yui? Sei tu che non dovresti essere qui… è orario di coprifuoco! Io ho dovuto tornare in servizio prima del previsto per un'emergenza, e ora devo andare. Ti prego, torna nella tua unità abitativa prima di finire nei guai”.

 

Yui Michimiya era una sua amica d'infanzia, che probabilmente per un periodo diversi anni prima era stata segretamente innamorata di Daichi. Erano rimasti in buoni rapporti, ma non si sarebbe mai aspettato di incontrare proprio lei in un simile frangente: cosa poteva spingere una ragazza a girare di notte nei corridoi bui dell'Arca, sapendo benissimo i rischi che si correvano a uscire durante il coprifuoco?

“Non posso tornare a casa, Daichi. Ho il turno di notte insieme ad un'altra responsabile del centro e uno dei bambini è sparito dalla camera… mi sono distratta solo un attimo ed è scappato!” Yui lavorava da poco al centro di accoglienza per i bambini orfani dell'Arca, ed evidentemente si era cacciata in un grosso guaio. Daichi però non aveva tempo, la sua copertura si sarebbe esaurita nel giro di tre minuti e poi non avrebbe mai più ottenuto un'occasione simile, considerando il calibro dei nemici che sembrava essersi fatto ai piani alti.

“Mi dispiace davvero, Yui… è un'emergenza, vorrei tanto aiutarti ma...” cercò di districarsi Daichi, lanciando occhiate febbrili all'orologio.

“Posso almeno fare un pezzo di strada con te? Mi sentirei più tranquilla, e magari attraversando i corridoi potremmo trovare il piccolo Koji”.

 

Daichi sospirò e affrettò il passo. Del resto, non aveva mai conosciuto una persona più testarda di Yui, e continuare a parlare per dissuaderla gli avrebbe solo fatto perdere più tempo.

Meno di due minuti, e ancora un corridoio intero da attraversare, oltretutto con il rischio raddoppiato di essere scoperto. Yui camminava accanto a lui, in silenzio.

 

Un minuto alla mezzanotte.

Il portellone del Ponte Nove era lì, a pochi metri.

“Sono arrivato, Yui… se prosegui verso il Ponte Undici troverai alcune Guardie di fiducia… chiedi aiuto a loro e vedrai che ti daranno una mano a trovarlo” la confortò, mentre premeva il tasto di apertura.

“Non ce ne sarà bisogno, Sawamura” disse una voce alle sue spalle.

Il Cancelliere in persona apparve da dietro un gruppetto di Guardie armate di tutto punto, all'estremità opposta del corridoio. Yui rimase pietrificata sul posto, coinvolta improvvisamente in qualcosa più grande di lei.

Per un attimo Daichi valutò la possibilità che la ragazza fosse stata costretta dal Cancelliere a rallentarlo e che non esistesse nessun bambino perso nell'oscurità dei corridoi, ma scacciò il pensiero con un moto d'irritazione mentre si lanciava dentro il piccolo spiraglio del portellone semiaperto, cercando di guadagnare qualche secondo sui suoi inseguitori.

“E così i miei sospetti sul tuo tradimento erano giusti, caposquadra Sawamura… sei davvero della stessa pasta di quel medico, e il mio predecessore ha evidentemente fatto un enorme errore lasciandoti fare carriera così in fretta” sentì la voce del Cancelliere sempre più vicina mentre attraversava di corsa il Ponte Nove per raggiungere Issei.

Il portellone una volta aperto del tutto iniziò a richiudersi, ma non abbastanza velocemente: mentre Daichi correva sentì alle sue spalle l'ordine di sparare, e lui stesso tirò fuori la pistola dalla fondina.

Avrebbe dovuto solo raggiungere il portellone della rampa di lancio ed entrare nella navicella e i suoi inseguitori non avrebbero potuto seguirlo, a meno che non prendessero in considerazione l'idea di una passeggiata spaziale senza equipaggiamento.

Sparò due colpi dietro la schiena, mentre i proiettili gli fischiavano accanto.

Matsukawa lo aspettava proprio nei pressi della sua meta, e si era nascosto dietro una pila di casse metalliche per fornirgli un fuoco di copertura, una volta compresa la difficoltà della situazione.

Il portellone della rampa si stava già aprendo lentamente, ma gli inseguitori erano sempre più vicini.

Improvvisamente Issei si lasciò andare ad un'imprecazione e sparì dietro le casse.

 

Daichi non riusciva a capire se il suo collega fosse stato colpito, ma l'unica cosa che poteva fare era correre, per quanto le ferite iniziassero a lanciargli fitte sempre più violente. Doveva correre verso l'unico mezzo che poteva portarlo da Koushi, a tutti i costi.

Sparò all'indietro e abbattè una delle Guardie colpendola ad una gamba, ma era comunque in minoranza schiacciante. In sette gli puntavano contro le pistole e quei pochi passi che lo separavano dal portellone sembravano una distanza incredibile.

Sparò di nuovo, ma la pistola non reagì. Aveva finito i proiettili, e non aveva modo di cambiare il caricatore o di muoversi senza che le Guardie lo crivellassero di colpi. Le fitte iniziavano ad essere insopportabili e non sarebbe riuscito a fuggire oltre, anche se la navicella era così vicina...

Questa volta non ci sarebbe stato Koushi a operarlo d'urgenza, e forse davvero non l'avrebbe più rivisto.

Alzò le mani lentamente, sconfitto.

Non poteva finire così.

Piantò il suo sguardo deciso e coraggioso nelle iridi verde palude degli occhi piccoli del Cancelliere, che stava per dare l'ordine ai suoi fedelissimi di sparare.

Se proprio doveva morire, allora sarebbe morto guardando il suo nemico negli occhi.

 

Proprio nell'istante in cui il Cancelliere fece per alzare la mano in un imperioso gesto che avrebbe deciso la sua morte, uno sparo isolato risuonò prepotentemente nella stanza.

Un buco tondo e sanguinante si era aperto proprio al centro della fronte dell'uomo che deteneva il comando dell'Arca, che cadde sul pavimento metallico con un tonfo sordo.

Matsukawa era in piedi, con la pistola fumante stretta tra le mani.

Gli sanguinava una spalla, ma non sembrava una ferita seria.

Approfittando della confusione creatasi tra le Guardie fedeli all'ormai ex Cancelliere, i due attraversarono il portellone ormai quasi completamente aperto e guadagnarono la navicella appena in tempo per iniziare il countdown per le procedure di decollo e indossare le tute spaziali in tutta fretta.

Il portellone interno si richiuse, mentre i colpi di pistola ancora fischiavano nella loro direzione, e dopo dieci secondi si aprì quello esterno.

La navicella partì con un rombo, lasciandosi indietro l'Arca e immergendosi nell'immensità dello spazio, destinazione Terra.

Ce l'avevano fatta.

 


Considerate questo capitolo un po' come un finale di stagione... mi è uscito così, lungo il doppio degli altri e pieno pieno pieno di avvenimenti! Spero che vi farà piacere questa doppia razione in una botta sola, almeno quanto è piaciuto a me immedesimarmi volta per volta in ogni personaggio ~
Un altro enorme grazie alle lettrici affezionate Yua e AMidsummerNightmare per le recensioni, sarò ripetitiva ma ogni volta mi si apre un po' il cuoricino (anche se sono una persona cattiva che fa male ai cinnamonroll e chiude i capitoli coi cliffhanger). Un grazie speciale anche alla mia donnina speciale OnnanokoKawaii che mi ha betato questo piccolo mostro <3

Detto questo... alla prossima puntata! XD


_Kurai_

 

 


 

 

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Capitolo 9
*** Lost and found ***


Lost and found

 

Asahi, Noya e Tanaka si erano inoltrati nella macchia, inconsapevolmente diretti verso la zona della foresta dove Terushima e i suoi amici erano stati attaccati quella stessa mattina.

Se n'era reso conto per primo Yuu, notando delle grosse gocce di sangue sul terreno mentre cercava bacche e arbusti. Aveva chiamato gli altri, e un brivido li aveva scossi tutti e tre nel profondo.

Avevano camminato a ritroso seguendo le tracce e uno spettacolo orribile si era parato davanti ai loro occhi: due dei ragazzi che avevano seguito Yuuji, di cui Asahi non riusciva a ricordare i nomi (ma era così spaventato e scosso da aver difficoltà perfino a ricordare il suo stesso nome) giacevano sul terreno, a poca distanza l'uno dall'altro.

Se non fossero stati uccisi sul colpo dalle lame che spuntavano dal petto di uno e dalla fronte dell'altro, ci avrebbe pensato la nebbia: erano quasi irriconoscibili, e Azumane riuscì a reprimere a fatica un conato di vomito.

Altre tracce di sangue mostravano un trascinamento per alcuni metri, poi si riducevano alle piccole gocce che li avevano condotti lì.

Era probabile che i terrestri sarebbero tornati, per trascinare via gli altri cadaveri o forse a rendere cadaveri anche loro.

Asahi tremò visibilmente, cercando un'iniezione di coraggio nello sguardo di Nishinoya. Ma perfino Yuu e Ryuu si stavano guardando intorno preoccupati, dimostrando di aver pensato la stessa cosa. Azumane deglutì, cercando di mantenere il controllo.

Poi alle loro spalle sentirono tutti e tre chiaramente un fruscìo. Tanaka decise di prendere in mano la situazione, correndo in quella direzione mentre incoccava una freccia nel suo arco: da quella parte c'era l'accampamento, e non poteva permettere che chiunque avesse compiuto quella strage vi si avvicinasse.

Noya alzò lo sguardo e vide una seconda ombra sugli alberi: stringendo in mano la sua lancia corse dietro a Tanaka per avvisarlo, perché se l'amico si fosse concentrato troppo sul terrestre che stava inseguendo avrebbe rischiato di essere colpito alle spalle.

Asahi fece per seguirli, ancora tremando e senza riuscire a distogliere lo sguardo dal macabro spettacolo.

Appena alzò gli occhi dopo aver indietreggiato per qualche passo, tuttavia, una prospettiva ben peggiore lo pietrificò sul posto.

Pochi metri davanti a lui, con una freccia già incoccata nell'arco, il terrestre che aveva intravisto due volte tra gli alberi lo stava fissando. Non aveva dubbi: per quanto l'avesse visto confusamente quella fisionomia era difficile da dimenticare, e se non fosse bastata l'arma puntata nella sua direzione, quel suo strano mezzo elmo a forma di teschio di animale non faceva che peggiorare la sua brutta sensazione.

 

Asahi non riusciva a muoversi. Aveva l'impressione che le sue gambe avessero piantato radici nel terreno e i suoi occhi fossero inchiodati alla punta di quella freccia.

Noya e Tanaka sarebbero arrivati tardi, e lui sarebbe caduto senza potersi difendere.

Strinse i pugni per la frustrazione, ottenendo una fitta alla mano ferita.

All'ultimo istante, il terrestre variò di qualche centimetro la direzione dell'arco e scoccò la freccia.

Asahi la guardò superarlo e si voltò: una lepre giaceva trafitta alcuni metri dietro di lui sul terreno.

Il terrestre uscì dalle fronde, avanzando verso di lui.

Azumane fece per tirar fuori il suo coltello, temendo che lo sconosciuto l'avrebbe colpito comunque prima di andare a recuperare la sua preda.

La lama gli tremava in mano così tanto che non sarebbe stato in grado nemmeno di tagliare un panetto di burro, tantomeno di difendersi da un terrestre potenzialmente pericoloso.

Dopo uno sguardo obliquo, Aone lo sorpassò, ignorandolo.

Asahi sbattè le palpebre, stupefatto. Non sapeva se sentirsi fortunato o offeso per essere stato totalmente ignorato, come un elemento del panorama. Nel dubbio, si girò e iniziò a correre per raggiungere Yuu e Ryuu.

Correndo inciampò quasi in un altro cadavere: si trattava di un terrestre, colpito da una delle frecce di Tanaka. Aveva un occhio segnato da una cicatrice e i capelli scuri e intrecciati, e indossava abiti simili all'uomo che lo aveva appena ignorato nella radura. L'occhio sano, spalancato, sembrava fissarlo con rimprovero.

Lo oltrepassò di qualche passo, poi ci ripensò e si abbassò cautamente per cercare un'arma tra gli oggetti del morto: per quanto la cosa fosse ripugnante, si era appena reso conto di aver perso il coltello nella sua corsa di poco prima, e vagare solo e disarmato in un ambiente simile sarebbe stato un comportamento a dir poco suicida. Azumane recuperò dal cadavere l'arco e il corno, che presumibilmente era molto simile a quello che poche ore prima aveva inviato il segnale della nebbia acida.

Asahi sospirò, non prima di aver controllato almeno dieci volte che il morto non lo stesse davvero fissando con quell'occhio spento.

Seguì per un centinaio di metri le orme affiancate dei due amici, nitide sul terreno umido; improvvisamente, in un piccolo spazio aperto circondato da alberi, le impronte si moltiplicarono, come se altre persone fossero apparse dal nulla.

Che avessero dovuto combattere con dei terrestri in inferiorità numerica? E come aveva fatto a risolversi tutto in quei pochi minuti in cui lui era rimasto indietro? Era arrivato troppo tardi?

Un brivido scese lungo la schiena di Azumane quando abbassò lo sguardo e raccolse qualcosa dal terreno.

Si trattava di un piccolo ciondolo metallico attaccato ad una catenella spezzata, raffigurante un piccolo fulmine. L'aveva regalato a Yuu molti anni prima, e lui l'aveva sempre tenuto al collo.

La preoccupazione che aveva provato fino a quel momento impallidì di fronte al vero panico che lo assalì non appena strinse il ciondolo tra le mani.

 

 

Tobio rimase a fissare la maniglia seminascosta della botola per un minuto buono: cosa avrebbero trovato scendendo là sotto? Era prudente scendere senza avvertire gli altri? Tsukishima e Yamaguchi si trovavano lì? Erano ancora vivi?

Mentre lui indugiava ponendosi tutte quelle domande, Shoyo aveva già aperto la botola e messo le gambe a penzoloni nel vuoto, cercando l'appoggio del primo piolo della scala.

“Non avevo mai scoperto questo posto” sussurrò, con una vaga emozione nella voce, come se avesse dimenticato i tristi argomenti di cui aveva parlato fino a poco prima.

Kageyama lo seguì senza proferire parola.

 

“Tsukki”

“Tsukki?”

“Tsukkiiiiiiii?”

Yamaguchi sussurrò con crescente intensità nell'orecchio di Tsukishima, che si era addormentato da poco sul morbido divano del bunker mentre lui sfogliava un libro ingiallito sull'allevamento dei bachi da seta che aveva preso a casaccio, seduto sull'estremità del giaciglio dell'amico.

“Hn?” grugnì Kei, che odiava essere svegliato.

“Ho sentito aprire la botola, Tsukki”

Kei si alzò stropicciandosi gli occhi e sbuffando.

“Magari te lo sei immaginato, Yamaguchi”

Poi sentì anche lui il rumore dei passi che scendevano lungo la scaletta metallica e si alzò, dirigendosi con passo sicuro verso la cassa delle armi.

 

Lanciò una piccola pistola automatica a Tadashi, mentre lui prese uno dei fucili d'assalto: non avevano tempo per caricare le armi (e non aveva neppure idea di come si facesse, non avendone mai tenuta una in mano in vita sua), e sperava almeno di essere abbastanza minaccioso da spaventare gli invasori (Yamaguchi non sarebbe stato abbastanza minaccioso neppure al comando di un carrarmato, quindi rinunciò in partenza a considerare l'idea).

I due si nascosero dietro gli scaffali dei viveri, in agguato.

 

Shoyo e Tobio rimasero interdetti alla vista del bunker apparentemente vuoto.

“Ma che posto è questo?” chiese il piccolo terrestre a voce fin troppo alta, il che provocò un vago moto d'irritazione a Tobio, che comunque era troppo stupito a sua volta per palesarlo.

“Se mostrassimo questo bunker agli altri i nostri problemi sarebbero finiti”osservò Tobio, guardandosi intorno.

 

“Non azzardatevi a dirlo agli altri” Kei uscì dal nascondiglio col fucile spianato, seguito da un tremante Tadashi che cercava comunque di darsi un tono.

Tobio alzò lentamente le mani, senza variare però il suo tono di voce.

“Visto Shoyo? Avevo perfettamente ragione su di loro… però ho da farvi un piccolo appunto: la prossima volta che decidete di godervi un posto del genere tutto da soli almeno cancellate le vostre impronte, perché se al nostro posto ci fossero stati i terrestri o gli uomini della montagna vi avrebbero uccisi in un attimo”.

Mentre Tobio parlava per prendere tempo, Shoyo sfrecciò alle spalle di Tadashi, quasi scomparendo per un istante.

I due tenevano ancora le armi spianate, ma Yamaguchi sussultò quando sentì a sorpresa il freddo della lama di Shoyo che sfiorava il suo collo e si pietrificò sul posto, spaventato.

“Avevo ragione anche io sull'uccidere quel terrestre prima che si svegliasse” bofonchiò Tsukishima, irritato dal modo in cui la situazione si stava evolvendo.

 

“E così non mentiva sulla velocità” pensò Kageyama: era bastato un semplice scambio di sguardi con Shoyo per mettere a punto quel piano. Per quanto non riuscisse a comprendere il modo di pensare del terrestre e lo conoscesse solo da poche ore, gli sembrava ci fosse una strana sintonia, al di là del fatto che il giorno prima l'aveva quasi ammazzato.

 

“T-Tsukki… cosa devo fare ora?” balbettò Yamaguchi, che ancora teneva la pistola scarica con mani tremanti davanti a sé. La lama del coltello da caccia di Shoyo era sempre lì, a pochi millimetri dalla sua carotide, come una muta minaccia.

“Se continuate a tenermi sotto tiro Shoyo taglierà la gola a Yamaguchi… oltre al fatto che non sono così sicuro che sappiate usare quelle armi, davvero volete mettere alla prova l'istinto combattivo di un giovane guerriero cresciuto in questa foresta?”

Shoyo arrossì leggermente per la soddisfazione di essere stato definito “guerriero” da Tobio, anche se si trattava di un bluff. Non avrebbe mai tagliato la gola di un essere umano, visto che già faceva fatica ad uccidere le sue prede quando andava a caccia, ma non era opportuno che gli altri lo sapessero.

 

La situazione rimase in stallo per lunghi minuti, mentre Tsukishima e Kageyama si scambiavano sguardi in grado di fulminarsi a vicenda.

“E va bene” sbuffò Kei, cedendo allo sguardo terrorizzato di Tadashi “ora voi ve ne andate da qui, vi dimenticate di averci visto, dite al campo che siamo morti o quello che vi pare e fingeremo tutti che non sia successo nulla”

“Non credo proprio… davvero ti sentiresti in pace con te stesso a stare qui con cibo e armi mentre noi là fuori rischiamo la vita e soffriamo la fame? Già ti consideravo un po' stronzo ma non credevo a questi livelli...” giocò col fuoco Tobio, che ancora aveva il fucile puntato addosso.

“Io non sarei così sicuro di me con davanti un fucile spianato, Kageyama”

“Io fossi in te avrei già sparato quando Shoyo ha minacciato Yamaguchi, quindi deduco che quel fucile non sia carico perché vi abbiamo colto di sorpresa. Sbaglio?”

“Sfortunatamente per me hai ragione, sennò ti avrei sparato in mezzo agli occhi proprio in questo momento” rispose Tsukki, con uno sguardo di odio autentico “dimmi che diavolo volete per andarvene da qui subito e fingere che nulla di tutto questo sia accaduto”.

“Avete altre armi da fuoco e munizioni? Voi siete solo in due e qui c'è spazio almeno per cinque, quindi immagino non ci siano solo quelle...”

Tsukishima esitò, poi acconsentì con una vaga reticenza “E sia… ma sappi che se qualcuno verrà qui a cercarci o se scoprirò che hai detto qualcosa a quegli idioti che credono di essere i leader del campo non esiterò a uccidere te per primo, magari facendolo sembrare un incidente”

“Detto da uno che preferisce rinchiudersi in un bunker pieno di lattine di fagioli non sembra una gran minaccia” ribattè Tobio, ghignando.

Dopo il breve scambio di battute acide e ad accordo quasi raggiunto, Shoyo rimise a posto il suo coltello.

Kageyama e Tsukishima rimasero a trattare ancora un po' sul numero di armi e infine la spuntò Tobio, ottenendo tre fucili e tre pistole, con relative munizioni. In fondo a che serviva tutto quell'arsenale per sole due persone?

 

Tobio e Shoyo uscirono in silenzio dal bunker con le armi in spalla, per poi nascondere meglio l'accesso e cancellare le impronte, come d'accordo.

Kageyama abbozzò un mezzo sorriso, felice di aver ottenuto ciò che voleva.

“Anche quando sorridi hai una faccia strana, Tobio” commentò Shoyo, ridendo “sembra più il ghigno di una bestia feroce”. Tobio lo guardò sollevando un sopracciglio, per poi superarlo e incamminarsi verso l'accampamento con il suo prezioso carico, pensando alla storia che avrebbe inventato per giustificare l'accaduto.

 

 

Nel frattempo, all'accampamento, Kenma si era chiuso nel mutismo totale dopo aver fallito con la radio. Il suo errore aveva bruciato tutto il circuito e non avevano abbastanza pezzi per costruirne un altro: lui aveva reagito salendo al piano di sopra della navicella e chiudendo la botola per scendere al livello inferiore, senza far entrare nemmeno Kuroo.

Tetsurou stava bussando sulla botola da almeno mezz'ora, appeso alla scaletta che divideva i due livelli e continuando a parlare per cercare di convincere il più piccolo a uscire o a farlo entrare.

Non che fosse facile, considerando che Kenma aveva vissuto per tre anni in un armadio e se sfidato sarebbe rimasto lì dentro per altrettanto tempo.

Oikawa era uscito a sbollire il nervosismo e a cercare Iwaizumi e nella navicella erano rimasti solo loro due, almeno fino a quel momento.

“Che succede bro?” sentì all'improvviso Kuroo alle sue spalle, e preso di sorpresa per poco non scivolò giù dalla scaletta “Kenma si è chiuso dentro? L'hai fatto incazzare?” chiese Bokuto, come sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato. Apparentemente era entrato per cercarlo, in realtà l'aveva fatto per prendersi una pausa dal lavoro per la costruzione delle fortificazioni, che non era affatto divertente.

“Non ho fatto proprio niente… c'è stato un corto circuito mentre lavorava alla radio e si è depresso di colpo, non riesco più a farlo scendere” spiegò Kuroo.

“Dovresti provare ad attirarlo col cibo...” propose Bokuto, convinto.

“Non è un animale, Koutarou!” ribattè Tetsurou “Non credo che funzionerebbe, comunque” aggiunse, anche se prese mentalmente nota di provarci.

“Mah, io faccio un tentativo, uomo di poca fede” disse Bokuto, tirando fuori dalla tasca una delle schifosissime barrette insapore che avrebbero dovuto essere le loro provviste ma venivano sistematicamente evitate. “Quiiiiiii, miciomiciomicioooo! Dai, vieni giù a mangiare o lì sopra morirai di fame!”

“Sei uno scemo bro, non scenderà mai se fai così… E poi quella barretta non attirerebbe nemmeno il più affamato e disperato degli animali denutriti, visto quanto fa schifo.” affermò Kuroo, sospirando “Ora vai, o renderai vani tutti i miei tentativi. Prometto che appena risolviamo questa faccenda vengo ad aiutarvi con le fortificazioni” congedò Bokuto, che se ne andò deluso dalla navicella.

 

“Dai Kenma, se non ti va di scendere almeno fammi salire… sono sicuro che troveremo un modo, puoi ancora usare il mio bracciale e troveremo altre componenti per il circuito! Non è da te arrenderti così… Se mi fai salire ti lascerò in pace finché vorrai, ma odio quando mi tagli fuori in questo modo e non mi dai nemmeno la possibilità di aiutarti” concluse Kuroo, non senza una sfumatura di frustrazione nella voce.

La botola si aprì lentamente, lasciando appena lo spazio perché un occhio di Kenma facesse capolino. “Bokuto è andato via, vero?” chiese, quasi sussurrando.

“Sì, è tornato dagli altri… posso salire adesso?” chiese dolcemente Kuroo, con il suo solito sorriso sghembo.

Kenma non rispose, ma lasciò la botola aperta.

Tetsurou finì di salire la scaletta ed entrò nel nuovo rifugio di Kenma, che comunque era molto più spazioso dell'armadio sull'Arca.

Gli occhi dorati del biondino erano arrossati, ma Kuroo era sicuro che non avesse pianto: dal giorno in cui erano scomparsi i suoi genitori Kenma aveva finito le sue lacrime e aveva sviluppato un comportamento freddo e apatico per farsi da scudo, che solo Kuroo con impegno riusciva a scalfire.

Tremava e respirava troppo rapidamente, tenendo una mano sul petto come se ogni respiro gli provocasse dolore.

Kuroo l'aveva già visto così diverse volte, e sapeva cosa fare.

Kenma era troppo orgoglioso per chiedergli aiuto, ma si avvicinò comunque al più grande fino ad appoggiarsi al suo petto con la testa. Kuroo lo circondò con un braccio e iniziò ad accarezzarlo lentamente, aspettando che si calmasse. Il respiro del più piccolo iniziò lentamente a normalizzarsi, mentre l'attacco di panico gradualmente sfumava in una sensazione di stanchezza.

Kenma era stato incredibile negli ultimi due giorni: aveva preso iniziative e risolto problemi quasi insormontabili, ma quella parte di lui che aveva subìto lo shock della perdita dei genitori, degli anni passati a nascondersi e dalle torture dei dottori del laboratorio sull'Arca era ancora lì, pronta ad uscire in ogni momento di debolezza.

Per questo Kuroo era lì, pronto a fornirgli tutto il supporto e la sicurezza di cui aveva bisogno.

Era lì al suo fianco, e ci sarebbe sempre stato.

 

 

Oikawa e Iwaizumi furono i primi a vedere da lontano Shoyo e Tobio tornare con la sacca piena di armi. I due stavano aiutando a costruire le fortificazioni (nonostante Hajime potesse usare un braccio solo) ma si avvicinarono subito per chiedere spiegazioni, così come Koushi che era rimasto in ansia tutto il tempo: stava scendendo la sera, e gli altri tre non erano ancora tornati.

Tobio glissò e spiegò di aver trovato per caso la sacca con le armi in una cassa di legno sotterrata nella foresta.

Oikawa soppesò uno dei fucili d'assalto, pensieroso.

“Con questi potremo andare tranquilli alla montagna” commentò Hajime, congratulandosi con Tobio, che ottenne di tenere per sé una delle pistole; Shoyo non volle neppure toccare le armi, perché tra i Trikru vi era una bizzarra credenza secondo cui anche solo sfiorare un'arma da fuoco avrebbe portato alla propria morte.

Kageyama raccontò anche di aver visto e sotterrato i corpi di Kei e Tadashi, che non erano sopravvissuti alla nebbia. Sugawara si adombrò improvvisamente e tornò nella tenda infermeria, in preda a ingiustificati sensi di colpa.

 

Una volta allontanatosi dal resto del gruppo, Shoyo fissò Tobio con il suo migliore sguardo accusatore e disse: “Perché non gli hai detto che quei due sono vivi ma non vogliono stare qui? Il guaritore Koushi sembrava così triste...”.

“Perché non li sopporto, e se vogliono stare sottoterra come i vermi di certo non sarò io a tirarli fuori per riaverli qui a lamentarsi… se lo avessi detto a Sugawara-san avrebbe deciso sicuramente di convincerli a tornare e Tsukishima avrebbe dato di matto. Meglio così, ognuno per la sua strada” concluse Tobio, stringendo l'impugnatura della sua nuova pistola.

 

 

Dopo un pasto frugale con gli avanzi del cervo, consumato in silenzio un po' per la stanchezza e la preoccupazione e un po' per il terrore di attirare invasori non graditi, ognuno si ritirò nella propria tenda. Sugawara aveva deciso di tenere Terushima in osservazione per una notte, temendo che la nebbia gli avesse danneggiato le vie respiratorie.

 

Avevano deciso di stabilire dei turni di guardia per la notte, e il primo era stato affidato a Iwaizumi e Hanamaki: Oikawa aveva insistito per essere lui a rimanere con Hajime, ma era poco credibile con gli occhi che minacciavano di chiudersi continuamente per la stanchezza accumulata, e quest'ultimo lo aveva minacciato di prenderlo a pugni se non fosse andato immediatamente a dormire.

I due si erano appostati vicino al fuoco per scaldarsi, e tenevano i fucili carichi a portata di mano, pronti a sparare a qualunque intruso.

Asahi, Noya e Tanaka non erano tornati, ed era stata già progettata una spedizione per il mattino seguente: non avrebbero perso nessun altro, Hajime lo aveva promesso ad un tristissimo Koushi che li aveva convocati di nuovo dopo cena.

 

 

Nonostante i due si conoscessero da anni rimasero in un silenzio imbarazzato per quasi due ore, prima che Takahiro decidesse di porre ad Hajime la domanda che gli frullava in testa da quando l'aveva visto entrare nella navicella: “Da quanto tempo sapevi che saremmo venuti sulla Terra?” chiese, lo sguardo basso e concentrato su un anellino d'acciaio che si rigirava intorno all'anulare.

“Vuoi chiedermi perché non l'ho detto a Issei, immagino” rispose Iwaizumi, con tono monocorde.

“Sì… mi sembra di impazzire a pensare che lui sia ancora sull'Arca che sta finendo l'ossigeno, mentre noi siamo qui a chiederci se sopravviveremo a domani. E poi… sono certo che tu e Tooru mi stiate nascondendo qualcosa… sbaglio?”

“Non sbagli, Takahiro. È colpa mia se Issei non è qui, è colpa mia che ho sbagliato tutto… Non gliel'ho detto per non metterlo in pericolo, perché aver parlato troppo aveva già causato un attentato alla vita del caposquadra Sawamura… capisci che non potevo parlare anche a lui di quello che io e Tooru abbiamo scoperto e dell'Operazione Cento, non con le spie del Cancelliere che spiavano ogni movimento sospetto...” rispose Hajime, come un fiume in piena, con un vago senso di colpa che gli opprimeva il petto.

“Avresti dovuto dirglielo, qualunque cosa voi due abbiate scoperto… non pensi che ora sia comunque in pericolo, se sta indagando per capire cosa ci è successo?” disse Hanamaki con la voce rotta, a metà tra la rabbia e la tristezza “Non so nemmeno se è vivo ora… per quanto ne sappiamo noi potrebbe essere successa qualsiasi cosa lassù” tirò su col naso, alzando lo sguardo verso le stelle e giocando distrattamente con l'anellino, che portava incise all'interno le lettere “I. M.”.

 

Proprio in quell'istante, una scia luminosa attraversò il cielo sopra le loro teste, per poi sparire oltre gli alberi.

I due videro salire un filo di fumo e si guardarono per un istante, poi Hanamaki sfrecciò in avanti con il fucile in spalla e la torcia in mano, sparendo oltre le fortificazioni in pochi secondi. Hajime lo seguì correndo, cercando di non svegliare gli altri.

“Qualunque cosa fosse, è quasi sicuramente atterrata nel lago” osservò Iwaizumi, valutando la distanza e il rumore attutito che avevano sentito dal campo.

Takahiro non lo stava ascoltando: era come se una forza misteriosa lo stesse attirando verso lo specchio d'acqua, che raggiunsero nella metà del tempo che avevano impiegato la prima volta, nonostante il buio.

Quando arrivarono videro solo fumo, che vestiva l'atmosfera notturna di un'aura inquietante: il nero dell'acqua si increspava ancora per l'atterraggio violento di una piccola navicella di emergenza, che sembrava fissarli dai due grandi oblò scuri che facevano capolino dalla nube grigiastra.

Dopo qualche minuto, il portellone si aprì lentamente e una sagoma alta uscì tossendo, con l'acqua fino alle ginocchia.

 

Ancora prima che il fumo si dissipasse, Takahiro lasciò cadere la torcia che aveva in mano e corse nell'acqua bagnandosi fin quasi alla cintura per gli schizzi, per poi saltare letteralmente al collo del ragazzo che era appena uscito dalla navicella. Le mani tra i capelli ricci che conosceva così bene, giù sulla nuca e poi sul collo su cui tante volte aveva lasciato i segni dei suoi baci, le braccia muscolose di Issei che lo stringevano e lo tiravano a sé, le lacrime incontrollabili che scendevano dagli occhi di Hanamaki e che Matsukawa cercava di trattenere, con pochi risultati.

Takahiro gli sfiorò la spalla ferita e lo guardò negli occhi con apprensione, ma Issei gli sorrise: non c'era più nulla di cui preoccuparsi, non se erano insieme.

Si baciarono lì, immersi per metà nell'acqua scura del lago, tagliando fuori ogni altra cosa.

Intrecciarono le dita come una serratura inespugnabile, e due anelli uguali si sfiorarono con un flebile tintinnìo, mentre entrambi riassaporavano la sensazione di poter essere di nuovo una cosa sola, di poter di nuovo stare vicini senza più alcuna barriera a dividerli, che fossero le sbarre del carcere dell'Arca o l'atmosfera terrestre.

Probabilmente sarebbero anche andati oltre, se dall'interno della navicella non fosse giunta la voce di Daichi, che aveva preso una testata non indifferente durante l'atterraggio ed era ancora un po' frastornato dal viaggio e sofferente per il dolore alle ferite non ancora del tutto guarite.

Hajime vi entrò, aiutando il suo caposquadra a uscirne non senza difficoltà.

Era malconcio, ma era vivo.

“E così… ce l'abbiamo fatta?” chiese al suo sottoposto con un sospiro di sollievo, per poi guardarsi intorno e riprendere un po' di lucidità “State tutti bene? Dov'è Koushi?”

“Vi accompagnamo subito all'accampamento, Sawamura-san… Sugawara-san sta bene, ci ha praticamente tenuti in vita lui finora” gli sorrise Hajime, che si sentiva come se un enorme peso gli fosse appena stato tolto dal petto.

Iwaizumi raccolse la torcia di Hanamaki dal terreno e tornarono sui loro passi, impazienti di portare la buona notizia agli altri.

 

 

Tooru si svegliò apparentemente dopo un paio di minuti di sonno, anche se in realtà erano già passate almeno due ore.

Aveva sentito un rumore, ma non era sicuro se fosse reale o se l'avesse solo immaginato.

Aveva un gran mal di testa e la tenda era soffocante, così uscì all'esterno per cercare un po' di sollievo contando le stelle come faceva con Hajime sull'Arca, fin da quando erano piccoli. Magari sarebbe anche andato a sedersi accanto a lui davanti al fuoco, per trarre un po' di conforto dalla sua vicinanza, sempre che non mantenesse la promessa di prenderlo a pugni.

Camminò lentamente in punta di piedi tra le tende verso il fuoco al centro dell'accampamento, pensando a mille cose da dire ad Iwaizumi per giustificarsi senza fare la figura dell'idiota, ma poi decise che non gli importava.

Una volta raggiunto il suo obiettivo però rimase interdetto e si lasciò istantaneamente prendere dal panico: Hajime e Takahiro non erano più seduti a fare la guardia intorno al fuoco, e non erano da nessuna parte lì intorno.

Oikawa rabbrividì nel buio nonostante la vicinanza del falò, e camminò a tentoni fino alla tenda di Sugawara, che si trovava a fianco dell'infermeria, a pochi passi da lì.

“Non ci sono più… Hajime e Takahiro… non sono da nessuna parte” non potè evitare di svegliare Koushi di soprassalto, che già era in preda a un dormiveglia fatto di incubi e inquietudine: il medico si alzò a sedere in fretta e gli chiese di calmarsi, perché sicuramente c'era una spiegazione valida.

“Temo che siano andati verso la montagna… Hajime era così felice per le armi trovate da Tobio, ma non pensavo che avrebbe aspettato la notte per andare senza di me...” Oikawa tremava leggermente, come se fosse sull'orlo delle lacrime o di una crisi di nervi.

“Non credo che Iwaizumi lo farebbe… non è al massimo della forma e non ha preso munizioni extra, non vedi?” indicò la sacca delle armi, che avevano deciso di custodire nella sua tenda “E poi è il suo lavoro fare la guardia per proteggerci, quindi se lui e Hanamaki si sono allontanati dev'esserci un motivo serio, non credi?” gli rispose Koushi, stropicciandosi gli occhi e alzandosi del tutto. Tooru era scettico, e per quanto annuisse alle spiegazioni logiche di Sugawara immaginava nella sua testa le peggiori prospettive possibili: già tre di loro erano scomparsi, non potevano trascurare quell'aspetto… e poi Hajime avrebbe potuto davvero essere abbastanza cocciuto da andare da solo (o trascinandosi dietro Takahiro, che aveva continuato disperatamente a vagare per tutto il tempo alla ricerca di qualcosa da fare per tenere la mente occupata) verso la montagna, lasciandolo lì solo per proteggerlo.

Fu allora che alzò lo sguardo, notando il filo di fumo che saliva verso il cielo nel mezzo della foresta.

“È successo qualcosa” sussurrò a Koushi, rapito anch'egli da quella visione.

“Può darsi che… sia arrivato qualcosa mandato dall'Arca” azzardò a bassa voce l'altro, speranzoso.

 

 

Impiegarono molto più tempo per tornare rispetto alla corsa dell'andata, in primis per la lentezza di Daichi che era uscito piuttosto provato dalla sparatoria e dal viaggio, anche se gli occhi gli brillavano per la voglia di rivedere Koushi; inoltre ad un certo punto videro un movimento nella notte, che li indusse a rimanere nascosti per un po', prima che quello che presumibilmente era un terrestre si allontanasse.

Issei e Takahiro continuavano a sussurrare tra di loro, tenendosi per mano, e il sorriso di Hanamaki era luminoso quasi quanto la luce della torcia: il contrasto con i giorni precedenti era evidente, e sembrava camminare a un metro da terra.

 

Quando infine Iwaizumi apparve da dietro le fortificazioni, seguito dagli altri tre, Oikawa lo vide subito e iniziò ad andargli incontro con passo spedito, per poi iniziare a insultarlo e a prenderlo a piccoli pugni sul petto, mentre l'altro reagiva con un'espressione attonita.

“Sono già sparite e morte delle persone… e tu… sei sparito di notte… io credevo che vi avessero catturato… o che foste andati alla montagna senza di me, Iwa-chan!” quasi urlava Tooru, fregandosene del fatto che fossero appena le tre del mattino e che dalle tende stavano salendo insulti e minacce orribili a lui rivolte.

Senza dire nulla, Hajime invitò Tooru a guardare dietro di lui, e in un istante Oikawa capì.

“Quindi… quel fumo… siete appena atterrati? Com'è la situazione sull'Arca?” riprese il controllo di sé, rivolto a Matsukawa e Sawamura.

Ancora prima che Tooru ricevesse risposta, Koushi raggiunse il gruppetto e notò immediatamente Daichi.

Il tempo parve fermarsi, come se nient'altro esistesse all'infuori di loro.

Daichi era quasi a corto di energie, ma trovò le forze sufficienti per azzerare in un istante la distanza che li separava e cingerlo in un abbraccio che sottintendeva mille parole.

“Direi che non hai seguito le istruzioni per la convalescenza che avevo lasciato a Takeda-san” gli sussurrò in un orecchio Koushi, mentre non riusciva a trattenere le lacrime di gioia.

“Direi proprio di no, ma è stato assolutamente per un'ottima causa” rispose Daichi, asciugandogli le lacrime con le labbra e poi sollevandolo quasi di peso per baciarlo, per poi ricordarsi di essere convalescente e trattenere il respiro per una fitta improvvisa.

Ma non gli importava.

Koushi era tra le sue braccia, nient'altro era importante.

 


Mi scuso infinitamente per il ritardo, ma ecco finalmente l'aggiornamento! In questo capitolo ho voluto fare qualche piccolo passo indietro di qualche ora per raccontare ciò che è accaduto nel frattempo ad alcuni personaggi, sempre nell'ottica del cambio di punto di vista... spero che sia tutto chiaro, sennò comunque fatemi presente eventuali dubbi o incongruenze nelle recensioni o in mp!
Grazie a tutti quelli che stanno leggendo, siete la mia gioia <3

E dedico la DaiSuga finale a Yua, che ho fatto tanto penare XD

Alla prossima!

_Kurai_

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Capitolo 10
*** Complications ***


Complications

 

Kenji afferrò esitante la coscia di lepre che Aone gli stava tendendo: non riusciva ancora a capire le reali intenzioni del terrestre ma aveva deciso di non preoccuparsene, almeno finché la ferita alla gamba non fosse guarita.

Voleva però capire qualcosa di quella situazione, o almeno sapere chi era stato ad uccidere i suoi compagni di spedizione e a colpirlo, se evidentemente non era stata opera sua.

Tuttavia Aone non sembrava particolarmente loquace, e Futakuchi non aveva idea di come chiederglielo: aveva una grande esperienza nel parlare a sproposito e fare domande scomode e moleste (quel suo comportamento l'aveva portato anche al carcere, sull'Arca) ma quel terrestre gli provocava una strana sensazione, come una sorta di soggezione che non si sapeva spiegare.

Alla fine decise di provarci comunque, sperando di riuscire a ottenere una risposta migliore di un grugnito.

“Tu non vuoi farmi del male, ma chi mi ha colpito e ha ucciso i miei compagni a quanto pare sì… chi è che vuole ucciderci e perché?”

“Quelli vengono dal villaggio dove sono nato” rispose Aone, tra un morso e l'altro alla sua coscia di lepre “Uomini spietati, che amano versare sangue e sono gelosi del proprio territorio. Io non sono più come loro” ribattè il terrestre, con uno sguardo serissimo.

Kenji era ancora più confuso.

“Ma quindi… anche l'accampamento dei miei compagni è in pericolo?”

Aone evitò la domanda, tornando a concentrarsi sulla sua carne.

“Tu non puoi comunque fare nulla per loro. Voi Skaikru siete deboli, loro sono bestie feroci” concluse, dopo un tempo che a Futakuchi sembrò un'eternità.

“Quindi io dovrei stare qui incatenato in questa grotta mentre i tuoi amici sgozzano i miei compagni?”

Un lampo di rabbia passò nello sguardo di Aone, che per un istante si trasfigurò anch'egli in una bestia feroce “Non sono miei amici” ringhiò a pochi centimetri dalla sua faccia, per poi alzarsi e uscire dalla grotta, abbandonandolo lì nella notte.

“Complimenti Kenji, anche questa volta sei riuscito a incasinare tutto parlando troppo” disse fra sé, per poi scivolare lentamente nel sonno senza nemmeno accorgersene.

 

 

Alle sette del mattino sull'Arca venne convocata una riunione straordinaria del Consiglio: Keishin capì subito che il piano in cui aveva coinvolto Sawamura aveva avuto risultati inattesi.

Finse un'espressione costernata e stupita con la guardia che era venuta a chiamarlo e lo aveva informato che nella notte c'erano stati degli importanti sviluppi e il vice Cancelliere Washijo l'aveva convocato insieme agli altri consiglieri.

Era successo qualcosa al Cancelliere, e per Ukai non poteva che essere un'ottima notizia.

 

Arrivò nella sala del Consiglio già al completo, e ascoltò la lettura del rapporto di una delle Guardie che la notte precedente avevano partecipato alla sparatoria per evitare la fuga dei due traditori.

Un alto ufficiale e un suo sottoposto avevano rubato una navicella biposto e nel fuggire avevano sparato al Cancelliere, che si trovava lì perché aveva ricevuto personalmente una soffiata sul tradimento: egli era morto sul colpo e i due erano riusciti a lasciare l'Arca, diretti verso la Terra.

“Ora sarà necessario capire com'è stato possibile tutto questo, perché i due traditori hanno avuto sicuramente un aiuto dall'alto per progettare un piano simile… mi duole informarvi, signori, che tra di noi c'è un traditore, che ha fatto uccidere il Cancelliere per prendere il suo posto” concluse Washijo.

Un brusìo riempì la sala del Consiglio, mentre i consiglieri si guardavano l'un l'altro con diffidenza e avanzavano ipotesi sussurrando tra loro.

“Prima di tutto però dovremo risolvere due questioni all'ordine del giorno; avremmo dovuto valutarle alla prossima seduta ma le attuali circostanze le rendono urgenti e imprescindibili.

Il lancio della navicella di stanotte ha aperto una nuova falla nel sistema e ha causato una perdita ulteriore di ossigeno, il che ci obbliga ad accelerare l'adempimento delle misure straordinarie di cui abbiamo già parlato: dobbiamo quindi votare per spegnere tutti gli impianti della stazione Walden, che come sapete è la più povera ed è come un parassita per la nostra amata Arca. Il progetto Exodus è quasi ultimato, ma non ci saranno abbastanza posti per tutti sulle navicelle per la Terra, quindi dovremo strapparci via le appendici inutili per permettere ad una generazione più forte di nascere.”

“Potresti anche dirlo chiaramente senza tanti giri di parole che vuoi far uccidere trecento persone solo per guadagnare tempo e avere più posto sulle navicelle” lo attaccò Ukai. Anche se aveva promesso a sé stesso che non si sarebbe messo troppo in evidenza per non attirare le attenzioni su di lui come possibile traditore, non aveva resistito a puntualizzare sulle ipocrite perifrasi del vice Cancelliere.

Washijo lo ignorò, riprendendo a parlare: “Per quanto riguarda la seconda questione, non abbiamo ancora ricevuto informazioni certe dalla Terra ma non possiamo aspettare: spegnere la Walden ci farà guadagnare al massimo tre o quattro giorni ma non siamo ancora sicuri al 100% che non ci siano pericoli tali da mettere in pericolo la nostra sopravvivenza… l'Operazione Cento non ha ancora avuto il feedback che stiamo aspettando ma l'equipe medica sta cercando di decifrare i dati trasmessi dai bracciali e presto capiremo se le morti che ci sono state dipendono o meno dalle radiazioni. In ogni caso, qualunque decisione prenderemo, è anche necessario designare ora un nuovo Cancelliere ad interim che gestisca la situazione di questi giorni complicati, e detto questo mi candido alla carica e chiedo a voi colleghi se qualcun altro intende candidarsi” concluse il vice Cancelliere.

Ukai alzò lentamente la mano.

Sapeva di non avere l'appoggio di tutti, ma sapeva anche che nemmeno il suo rivale lo aveva, tanto più che probabilmente alcuni dei consiglieri non volevano essere responsabili della morte di trecento innocenti, anche se serviva a guadagnare tempo per coloro che avrebbero avuto la possibilità di fuggire prima di terminare l'ossigeno.

Il consigliere Nekomata si alzò, ergendosi come membro più anziano ad arbitro della votazione: “Alzino la mano i consiglieri che vogliono designare come Cancelliere ad interim il qui presente vice Cancelliere Washijo Tanji” declamò a voce alta.

Tre mani su sei si alzarono immediatamente.

Parità.

“Alzino la mano i consiglieri che vogliono designare come Cancelliere ad interim il qui presente consigliere Ukai Keishin” ripetè la formula per prassi, pur sapendo che la votazione sarebbe stata inutile.

Altre tre mani si alzarono, compresa quella dello stesso Nekomata.

“Secondo la Costituzione dell'Arca, in caso di parità la votazione è rimandata a dopodomani” concluse quest'ultimo, mentre Washijo celava a malapena la sua frustrazione.

“Passiamo ora a votare la questione della Walden: voglio che sappiate che ogni secondo in più che impiegheremo a decidere condannerà comunque tutti noi a perdere ossigeno in quantità esponenziale, quindi votate con cognizione di causa” riprese il vice Cancelliere.

“Che mossa subdola” pensò Ukai, che alzò immediatamente la mano per votare a sfavore della proposta, insieme ad altri due consiglieri.

Gli occhi di Washijo brillarono, nella convinzione di avere la vittoria in pugno.

Tre mani, compresa quella del vice Cancelliere, si alzarono a favore dello spegnimento dell'ossigeno, poi il consigliere Nekomata dichiarò la sua neutralità e tutti gli sguardi si concentrarono sul consigliere Mizoguchi, che non aveva ancora preso la sua decisione.

Dopo qualche istante – e uno sguardo del vice Cancelliere che diceva più di mille parole – anche la sua mano si alzò, decretando la morte di trecento abitanti dell'Arca.

Ukai si alzò, fuori di sé.

“Ho una richiesta da fare, e mi prenderò tutte le responsabilità personalmente se per colpa mia ci saranno ricadute negative: chiedo di non attuare questo provvedimento immediatamente ma di avere un giorno per portare in salvo almeno i bambini che vivono sulla stazione a cui volete spegnere il sistema vitale. Me ne occuperò personalmente, ma se devo avere anche io sulla coscienza tutti quei morti non voglio restare fermo a non fare nulla” concluse, con gli occhi fiammeggianti.

“Sei consapevole che aspettando un giorno in più dovremo sacrificare più vite per ottenere ancora una settimana di ossigeno, vero?”

Ukai non rispose, ma continuò a fissare con aria di sfida il vice Cancelliere.

Nekomata chiese: “Chi vota a favore per adempiere alla richiesta del consigliere Ukai Keishin?”

Tutti alzarono la mano eccetto Washijo.

“E sia. Hai ottenuto le tue ventiquattr'ore, ora puoi giocare a fare l'eroe” commentò con malcelato disprezzo “La seduta è sciolta, ci rivediamo domani alla stessa ora per la votazione del Cancelliere e lo spegnimento del sistema vitale”.

 

Nello stesso momento, davanti all'enorme parete su cui erano proiettati i segni vitali dei Cento stava avvenendo una discussione altrettanto animata: la mattina precedente si erano spenti due bracciali e nel pomeriggio se n'era spento un altro, ma era quest'ultimo che preoccupava la ristretta élite di scienziati che erano a conoscenza dell'Operazione Cento.

Ittetsu Takeda sapeva il motivo di quella perplessità, anche se non avrebbe dovuto esserne al corrente: era stato chiamato solo per valutare dal punto di vista medico lo stato dei ragazzi visto che non si potevano avere altre informazioni, ma gli scienziati dell'equipe di ricerca continuavano a parlare in codice tra di loro, ignorandolo.

Lui aveva scoperto quel segreto poco tempo prima, durante una visita ai ragazzi del carcere.

Non riusciva a dimenticare lo sguardo di quel ragazzino biondo che ora vedeva nel pannello spento davanti a lui.

Gli aveva fatto un prelievo di routine, e dalle sue vene era uscito sangue di un colore insolito, molto più scuro del normale. L'aveva analizzato, e poi aveva iniziato a fare ricerche per conto suo.

A volte era conveniente essere sposato con un consigliere: parlandone con Keishin, che da tempo sospettava che il Cancelliere e il Vice nascondessero qualcosa al Consiglio, avevano unito le loro informazioni e alla fine avevano scoperto di aver toccato solo la punta dell'iceberg.

 

Da tantissimo tempo erano condotti esperimenti proibiti con cavie umane sulla resistenza alle radiazioni, in uno dei laboratori off limits dislocato nella stazione Walden, che un tempo era usata per le quarantene in caso di malattie contagiose e poi era diventata la zona più povera e densamente abitata dell'Arca.

Se qualcuno fosse scomparso da lì, nessuno se ne sarebbe accorto.

Poi era avvenuta l'ultima epidemia di febbre respiratoria, e anche alcuni residenti in altre aree dell'Arca erano scomparsi, dopo essere stati mandati ufficialmente in quarantena. Molti di loro erano nati sulla Walden e avevano sposato abitanti delle altre stazioni: in quel caso vi era una regola ferrea della Costituzione dell'Arca, che obbligava tutti i waldeniti che si trasferivano fuori dalla propria stazione a ottenere un certificato annuale di buona salute, che veniva rilasciato successivamente a una visita top secret i cui particolari non erano mai stati resi chiari: chi non lo otteneva veniva relegato in “quarantena”, e generalmente non faceva più ritorno.

Ittetsu aveva scoperto che negli anni era stato sviluppato un siero in grado di far ottenere la resistenza alle radiazioni terrestri, ma che la mortalità degli esperimenti era ancora troppo alta: il siero veniva somministrato annualmente alle cavie selezionate, ma molte non sopravvivevano più di due anni.

Tutta quella preoccupazione per la presunta morte di Kenma Kozume, figlio di madre waldenita e padre originario della ricca stazione Arcadia, era giustificata dal fatto che per un complesso insieme di fattori lui era stato l'unica cavia di seconda generazione sopravvissuta, su cui tutti gli esperimenti (che Ittetsu avrebbe definito torture, se solo avesse avuto il coraggio di leggere fino in fondo i rapporti segreti) avevano avuto esito positivo.

Per questo la sua morte poteva significare solo due cose: o tutti i decessi in quei lunghi anni di esperimenti erano stati inutili e il siero non rendeva realmente immuni alle radiazioni, o sulla Terra vi erano pericoli ancora peggiori, che in due giorni avevano già ucciso un decimo dei ragazzi inviati sul pianeta.

 

 

Asahi era rimasto per almeno dieci minuti immobile nella radura con in mano il ciondolo di Nishinoya, a lasciare che il panico prendesse totalmente possesso di lui.

“Non puoi permettertelo, Azumane” sussurrò a sé stesso, obbligandosi a riprendere il controllo dei suoi nervi. Si guardò intorno, attento a individuare qualsiasi traccia per capire cosa fosse successo, e poco distante dal punto dove aveva raccolto la collana notò alcune gocce di sangue, che seguivano alcune impronte che si inoltravano tra gli alberi.

Stringendo il ciondolo nel pugno sano fino a ferirsi il palmo, Asahi iniziò a seguire la scia di goccioline scarlatte sul terreno.

 

 

Una volta raggiunto Ryuu, Yuu aveva trovato l'amico accanto al corpo di un terrestre, che sembrava essere caduto dall'albero davanti a loro dopo essere stato colpito da una delle frecce di Tanaka.

“Ecco cosa succede a chi cerca di prendermi di mira” commentò quest'ultimo, continuando a tenere in mano l'arco con un'altra freccia incoccata.

 

L'agguato successivo era stato così prevedibile da essere imprevedibile: otto terrestri nerboruti li avevano accerchiati e costretti a seguirli, e ad un tentativo di reazione avevano colpito Tanaka con una freccia a un ginocchio, ancora prima che contrattaccasse. A quel punto i due si erano arresi, e avevano seguito gli aggressori senza opporre resistenza.

Noya aveva lasciato cadere la collana, sperando che Asahi la trovasse.

Con gli occhi bendati erano stati condotti nel cuore della foresta, oltre un ponte e una cascata, in una zona che non avevano ancora esplorato.

 

Una volta tolte le bende dagli occhi, i due si ritrovarono in un villaggio di case di legno, abitato da almeno qualche centinaio di terrestri.

Tanaka zoppicava e aveva le mani legate, ma la meraviglia della visione che gli si parò davanti gli fece dimenticare il dolore pulsante al ginocchio e la difficoltà della situazione.

Davanti a loro smontò da un cavallo color dell'ebano una ragazza bellissima dai lunghi capelli neri, con una maschera nera dipinta sul viso e un mantello rosso che le pendeva da una spalla.

“Mi ha colpito al cuore, bro” sussurrò Ryuu, che non riusciva a distogliere lo sguardo da una tale bellezza, che risaltava come una rosa tra i rovi.

“A me pareva che ti avessero colpito al ginocchio, bro” commentò Yuu sarcastico, ma nemmeno lui era immune al fascino della nuova arrivata.

I terrestri che li avevano catturati li obbligarono a inginocchiarsi con un calcio, per poi inginocchiarsi a loro volta davanti alla ragazza.

Heda… nel giorno della tua visita abbiamo catturato due Skaikru usurpatori di terre che hanno ucciso uno dei nostri, e se vorrai li sottoporremo ad una punizione esemplare e li sacrificheremo in tuo onore” disse nella lingua dei terrestri quello che sembrava il più importante tra coloro che li avevano catturati, mentre si inchinava e abbassava lo sguardo.

Tanaka e Noya, incapaci di comprendere, si scambiarono uno sguardo interrogativo.

Dalla folla radunata intorno a loro salì una cantilena crescente: “Jus drein jus daun! Jus drein jus daun!” che continuò per qualche minuto, finché colei che era stata definita “Heda” non alzò una mano per interromperla.

Apprezzo il vostro gesto, ma secondo la nostra legge se è stato ucciso un uomo verrà vendicato con la morte del suo assassino, una vita per una vita! Se ci direte chi di voi due ha ucciso il mio suddito, l'altro verrà risparmiato! Se non lo direte dovrete uccidervi tra di voi, e chi sopravviverà verrà risparmiato!” concluse la Comandante, cambiando idioma a metà del discorso perché Yuu e Ryuunosuke la comprendessero.

Quest'ultimo era totalmente stregato dal suono della sua voce, tanto da non rendersi conto del reale contenuto delle sue parole. Comprese appieno l'informazione solo dopo qualche istante, quando Yuu gli tirò una gomitata sussurrando: “Ti invidio bro, non capisco come fai a mantenere quell'espressione sognante se ci hanno appena condannato a morte”

“Ah...oh.” commentò Ryuu, ancora incantato “Ci avrà anche condannati a morte, ma è davvero bellissima...”.

Se non avesse avuto le mani legate Nishinoya avrebbe portato la mano al volto, scuotendo la testa e sospirando per il comportamento dell'amico.

La cantilena ricominciò intorno a loro.

Nessuno dei due proferì parola. Nessuno dei due voleva tradire l'altro per salvarsi.

“Li rinchiuderemo in una cella per tutta la notte” concluse la Comandante, lanciando loro uno sguardo di sbieco. “Domattina uno solo di voi dovrà essere in vita, o morirete entrambi e attaccheremo il vostro villaggio” aggiunse il terrestre che aveva parlato in precedenza, con un ghigno che gli deformava il viso pieno di cicatrici.

 

Fu in quel momento che Asahi giunse a nascondersi tra le sterpaglie che circondavano il villaggio, appena in tempo per udire la sentenza e vedere Yuu e Ryuu che venivano portati via.

Scivolò seduto a terra, con la testa tra le mani. Cosa doveva fare?

Non era abbastanza armato né sufficientemente coraggioso per irrompere nel villaggio e liberare i suoi amici, ma sapeva che aspettare avrebbe significato vederli uccidere entrambi la mattina successiva. Sarebbe rimasto ad osservare la situazione da lì, aspettando il momento giusto per infiltrarsi e cercare Tanaka e Nishinoya, o avrebbe cercato di elaborare un piano per salvarli il giorno seguente.

 

Nella cella buia, che in realtà era un sotterraneo scavato nella nuda terra che faceva sembrare le prigioni dell'Arca un hotel di lusso, i due passarono qualche ora a cercare una soluzione, vagliando possibilità più o meno improbabili per fuggire da lì o impedire che uno di loro perdesse la vita.

Yuu tentava di ritrovare il suo solito ottimismo nel tentativo di mettere a punto un piano, senza riuscirci. Qualunque idea portava a un vicolo cieco, in cui lui, Ryuu, i loro compagni o tutti quanti rischiavano seriamente di morire.

Scelse infine di fidarsi di Asahi, che sicuramente sarebbe riuscito a tirarli fuori da quel guaio. Per quanto conoscesse alla perfezione la sua scarsa attitudine alla violenza e il suo carattere pacato sapeva per esperienza che Azumane avrebbe fatto di tutto pur di proteggere gli amici, e in ogni caso era rimasto la loro unica speranza.

 

Perfino l'ottimismo di Yuu iniziò però a vacillare nel momento in cui Ryuu iniziò a lamentarsi e a straparlare, delirando a proposito di bizzarre visioni di esseri che lo fissavano.

“Bro… non c'è niente qui” gli rispose Yuu, per poi avvicinarsi e tastargli la fronte sudata con un polso.

Tanaka era febbricitante, e la ferita al ginocchio era circondata da un minaccioso alone viola.

Non sembrava la stessa reazione al veleno che aveva avuto Hajime: se anche fossero riusciti a tenere con sé le loro sacche piene di erbe medicinali probabilmente esse non avrebbero fatto effetto, perché la tossina utilizzata sulle frecce di quei terrestri dava sintomi diversi.

“Spero davvero che questa situazione non si risolva in questo modo… dobbiamo uscirne vivi entrambi, ce la faremo” disse fra sé, per cercare di mantenere il sangue freddo.

“Bro… hanno gli occhi gialli… e le zanne” continuava Ryuu, perso nel suo mondo parallelo abitato da mostri.

Nishinoya non era sicuro di quale fosse la cosa giusta da fare: alla luce dell'unica torcia della stanza il viso dell'amico gli appariva livido e stanco, e Tanaka alternava lamenti confusi a brandelli di frasi slegate a causa della febbre.

La ferita era stata fasciata alla meglio dallo stesso Ryuu prima che il veleno facesse effetto, ma la benda rudimentale (che in realtà era un pezzo della sua maglietta) era già incrostata di sangue e sporco.

A forza di sentire lamenti, la guardia che sorvegliava la cella si affacciò all'interno, per controllare cosa stesse succedendo.

Si trattava di un terrestre che non avevano notato in precedenza, altrimenti se lo sarebbero ricordato, poiché il suo aspetto saltava subito all'occhio: sulla testa per metà rasata spiccava una cresta bionda e indossava vestiti di tela e cuoio scuro con due spallacci rigidi e le maniche strappate. Al fianco portava una spada dall'apparenza discretamente pesante senza battere ciglio, mentre al collo teneva appeso un grosso ciondolo che sembrava una lunga zanna.

“Che cosa sta succedendo?” chiese con un accento marcato, più curioso che minaccioso nonostante l'aspetto. Dal suo linguaggio del corpo non si atteggiava come un nemico, tanto più che una volta che con esitazione Yuu gli ebbe spiegato la situazione, infilò una mano nella tasca e ne tirò fuori un piccolo contenitore di metallo, per poi metterne in mano a Nishinoya parte del contenuto.

“Fagliene masticare un paio e andrà meglio” disse semplicemente, per poi voltargli di nuovo le spalle.

“Grazie...” mormorò Noya, ancora prima di controllare l'effettivo contenuto della sua mano.

“...Tora. Puoi chiamarmi Tora” completò la guardia, stranamente amichevole.

Perché lo stava facendo? Forse voleva che sopravvivessero entrambi per poter dare maggior sfogo alla violenza il mattino seguente? Oppure per la singolare legge del taglione che regolava quel popolo non era considerato onorevole lasciar morire un prigioniero senza veder scorrere del sangue?

Nel dubbio, Yuu infine guardò bene il contenuto della sua mano alla luce della torcia, per poi assumere un'espressione perplessa.

Tanaka teneva gli occhi chiusi, continuando a biascicare di strane creature zannute e dotate di molte zampe che lo fissavano.

Nella mano aperta di Noya c'erano alcuni cadaveri essiccati di coleotteri dal bizzarro aspetto, grandi come una falange del suo dito indice.

“Ho alternative?” chiese a sé stesso ad alta voce, per poi convincere un delirante Ryuu ad aprire la bocca e masticare il ripugnante antidoto.

Dopo poco più di un'ora di ulteriori deliri, finalmente Tanaka si addormentò. La febbre sembrava effettivamente scesa, ma Yuu non volle comunque chiudere occhio per il resto della notte.

Tora rimase immobile davanti alla cella senza dire nient'altro.

Quando Ryuu aprì gli occhi, il mattino dopo, non ricordava nulla della notte appena trascorsa ma si sentiva tutto sommato bene, nonostante uno spaventoso mal di testa, un dolore sordo al ginocchio e un sapore amarissimo in bocca.

Tuttavia il fatto che fossero vivi entrambi era in realtà un grosso problema: li avrebbero uccisi tutti e due, e poi avrebbero attaccato l'accampamento.

Noya avrebbe voluto urlare per la difficoltà di quella situazione, ma si limitò a stringere i pugni e tirare un grosso sospiro di frustrazione.

 

Ed ecco infine l'alba.

Tora era sparito, lasciando il posto a due dei terrestri che li avevano catturati il giorno precedente che li legarono di nuovo e li trascinarono fuori.

Sembravano felici di vederli vivi entrambi: avrebbero visto scorrere molto più sangue.

 

Asahi era rimasto sveglio tutta la notte aspettando quel momento: veder riapparire Noya e Tanaka alle prime luci dell'alba, per quanto fossero di nuovo legati e a prima vista molto più stanchi di lui (ma comunque entrambi vivi, anche se non aveva avuto dubbi in proposito) gli schiarì la mente, rendendolo sicuro e pronto a ciò che stava per fare.

Doveva solo attendere il momento giusto.

I terrestri condussero i due al centro del villaggio, legandoli stretti a due ceppi di legno che sembravano essere stati allestiti proprio a quel proposito.

La Comandante non era ancora arrivata, e uno dei terrestri si divertì a infierire sul viso di Yuu incidendogli un taglio su uno zigomo col suo coltello da caccia, approfittando del fatto che non potesse difendersi. Gli occhi di Nishinoya rimasero fissi in quelli del suo aguzzino, fiammeggianti di rabbia e di ardore.

Fu in quel momento che per la prima volta nella sua vita Asahi provò autentica furia cieca, di quella capace di spingere un uomo a mettersi contro cento senza pensare alle conseguenze, di quella in grado di trasformare una persona pacifica come lui in un assassino a sangue freddo.

 

Non dovevano permettersi di alzare un dito su Yuu.

 

Il momento passò, e Azumane riprese a fatica il controllo di sé.

Era comunque da solo contro un villaggio intero e non sarebbe stato in grado di affrontare tutti quei guerrieri, non senza peggiorare la situazione.

Lui non era impulsivo come suo padre.

Doveva proseguire nel suo piano, che con ogni probabilità sarebbe stato l'unico modo per uscirne tutti più o meno indenni.

Da ogni parte iniziò a radunarsi una folla di terrestri pronta ad assistere allo spettacolo.

“Panem et circenses”, come nell'antica Roma: divertirsi nel veder infliggere violenza per non pensare di rivolgerla contro il sistema di potere interno.

La morte dei suoi migliori amici rischiava di diventare niente più che uno spettacolo per dei selvaggi assetati di sangue.

 

La Comandante infine apparve, sovrapponendo il suo profilo delicato a quello del sole nascente.

Era il momento giusto.

Asahi suonò il corno tre volte, come aveva sentito fare da un ignoto terrestre il giorno precedente.

La folla si ritrasse improvvisamente come un unico animale ferito: ognuno si guardava intorno, mormorando ai vicini e distogliendo l'attenzione dai prigionieri.

Arriva la nebbia di morte! Gli uomini della montagna ci condannano!” urlò una donna, in preda al panico.

Mantenete la calma e andate tutti verso le grotte! Sarà la nebbia a disporre dei prigionieri!” rispose la Comandante, prendendo il controllo e conducendo il suo popolo al sicuro.

 

Asahi uscì dal suo nascondiglio, e il sorriso di Yuu fu la cosa più bella vista da quando erano atterrati sulla Terra.

Ryuu sembrava contrariato che l'oggetto della sua infatuazione si fosse allontanato, ma sul momento si accontentò di aver salva la vita.

Una volta sciolti i legacci, i tre si inoltrarono subito nella foresta: non c'era tempo da perdere, perché i terrestri si sarebbero accorti del bluff e Ryuu non riusciva a correre a causa della ferita, anche se faceva già meno male del giorno precedente.

Ci misero parecchio tempo, perdendosi più volte e rallentandosi a vicenda, ma infine riuscirono a trovare la strada di casa.

Rimasero tutti e tre in silenzio finché non arrivarono nei pressi dell'accampamento, finalmente quasi in salvo. Tanaka si fermò di scatto, come se avesse avuto un'illuminazione improvvisa.

“Non so se preferisco tornare al campo o vorrei tornare indietro… i terrestri vorranno pure ucciderci ma appena Sugawara vedrà le nostre ferite probabilmente ci farà molto più male… tanto male che preferiremo essere morti” disse con aria grave, temendo il momento in cui avrebbe affrontato il medico.

 

Una volta arrivati alle porte dell'accampamento il primo a vederli fu Bokuto, che stava di guardia in cima alle fortificazioni appollaiato come un bizzarro volatile: gli altri erano già pronti a partire per andare a cercarli, e furono stupiti di vederli tornare, anche se un po' malconci.

Tanaka tirò un sospiro di sollievo, non vedendo Sugawara da nessuna parte: “Forse siamo salvi, bro” sussurrò a Noya.

 

Nella tenda di Koushi, che improvvisamente era diventata un po' stretta per due, il medico ufficialmente stava controllando lo stato delle ferite di Daichi, anche se si trovavano lì dentro da soli da almeno cinque ore.

Issei ormai si era rassegnato per la sua spalla, ma visto che era solo una ferita di striscio Takahiro fu ben contento di occuparsene personalmente, recuperando alcune bende dall'infermeria e medicandogli la ferita con cura e attenzione, per poi dedicarsi a garantire il benessere del suo ragazzo a ben altri e più piacevoli livelli.

 

Iwaizumi e Oikawa, che insieme a Kuroo erano stati designati per la squadra di ricerca ormai inutile, vollero conoscere tutti i particolari della loro cattura e della fuga, e tutti e tre si adombrarono una volta che sentirono il racconto di Yuu e Ryuu, mentre Asahi restava in disparte, ancora stupito di essere riuscito a salvarli entrambi da una simile situazione.

“Pensate che potrebbero vendicarsi sull'accampamento ora?” chiese Hajime, ricevendo in risposta un silenzio preoccupato.

Nella foga del salvataggio i tre avevano dimenticato la seconda parte della condanna decisa dai terrestri.

 

 

Daichi era coricato supino nel giaciglio su cui Koushi aveva dormito da solo fino a quel momento: il suo petto nudo era ancora ornato da due grossi cerotti bianchi che coprivano i punti dell'operazione che gli aveva salvato la vita meno di una settimana prima.

Quello più in basso, in corrispondenza della ferita infertagli dal proiettile che gli aveva spappolato la milza, era stato prontamente cambiato da Koushi: qualche punto era saltato, ma niente che il medico non potesse risolvere anche con pochi mezzi.

“Ora dovresti riposarti… domani mi racconterai tutto” gli aveva detto, posandogli un bacio leggero sulle labbra.

Ma Daichi l'aveva tirato a sé e l'aveva baciato con foga, come se potesse respirare solo attraverso quel bacio.

Alla fine anche Koushi si era tolto la maglietta e si era lasciato convincere a concedergli ciò che anche lui desiderava moltissimo, anche se temeva che le ferite i Daichi si riaprissero.

Era stato dolce, lento e indimenticabile.

Un ricongiungersi di due corpi che si incastravano perfettamente, di due amanti che avevano temuto di non rivedersi mai più e di non potersi mai più stringere tra le braccia.

Dopo l'amplesso si erano assopiti entrambi, esausti.

Alla fine Daichi aveva dormito un paio d'ore e si era svegliato ancora nello stesso bel sogno, con il viso di Koushi a pochi centimetri dal suo con il mento incastrato nell'incavo della sua spalla e un braccio a intrappolarlo dolcemente, come ad assicurarsi che non si allontanasse più da lui.

Aveva affondato una mano nei suoi capelli chiarissimi e gli aveva posato due baci leggeri sulle palpebre, attento a non svegliarlo.

Nel dormiveglia Koushi alzò la testa, raggiungendo e conquistando di nuovo le sue labbra.

All'esterno iniziava ad esserci trambusto, ma nessuno dei due intendeva alzarsi e infrangere quell'idillio.

Rimasero così finché il sole non fu alto nel cielo, abbracciati a parlare e raccontarsi tutto ciò che era successo nel tempo che avevano trascorso separati.

Tutto il resto poteva attendere ancora un po'.


Anche questo è andato XD Allacciate le cinture perchè ho tante cose in mente per i prossimi, non fatevi ingannare dal finale fluffoso!
Coooomunque, precisazione inutile: tutte le frasi in corsivo nel testo immaginatevele pronunciate in trigedaslang, la lingua dei terrestri, e così sarà per tutti i prossimi capitoli.
Perdonatemi se ho abbandonato Terushima a dormire in infermeria ma c'erano questioni più importanti (tipo Tanaka che vede i draghi)... in ogni caso alla prossima, sperando di riuscire ad aggiornare presto!!

_Kurai_

 

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Capitolo 11
*** The calm before the storm ***


The calm before the storm

 

Dopo tutte le vicissitudini che li avevano travolti nelle prime quarantott'ore sulla Terra nessuno di loro si aspettava davvero di passare un'intera giornata in tranquillità, considerando anche la minaccia aleggiante di un attacco dei terrestri.

Invece fu proprio quello che accadde, e Asahi in primis pensandoci durante la giornata sarebbe rimasto stupito e preoccupato da quella calma apparente: che fosse la cosiddetta quiete prima della tempesta?

Accantonò il pensiero in un cassetto remoto della sua mente e tornò a concentrarsi su Yuu, che illuminato fieramente dal sole del primo pomeriggio stava raccontando per la quindicesima volta la sua disavventura a un capannello di persone e già aveva aggiunto un sacco di nuovi particolari inventati, a cui Tanaka dava felicemente manforte.

Azumane gli sorrise e lui ricambiò all'istante, con un luccichìo nello sguardo; quando però gli occhi di Asahi caddero sul taglio appena medicato sulla guancia destra di Yuu sentì di nuovo ribollire il sangue, e dovette mordersi un labbro per frenare sul nascere quella nuova sensazione sconosciuta.

 

Sugawara era uscito dalla sua tenda qualche ora prima e sembrava a dir poco raggiante: Ryuu era ancora impegnato a ringraziare tutte le divinità di aver avuto salva la vita per la seconda volta in un giorno, visto che il medico gli aveva pulito e fasciato la ferita fischiettando tra sé, con un sorriso luminoso.

I tre avevano scoperto il motivo dopo pochi minuti, perché dalla stessa tenda era uscito il caposquadra delle guardie Daichi Sawamura, che tutti sapevano essere il fidanzato di Koushi.

Una volta aggiornati sugli ultimi avvenimenti, Asahi, Nishinoya e Tanaka si unirono quindi ai lavori per le fortificazioni, che apparivano più che mai urgenti.

 

“Ora che abbiamo le armi non possiamo allontanarci perché i terrestri potrebbero attaccare il campo… ma come facciamo a sapere che non ci attaccheranno di nuovo dalla montagna? E basteranno le provviste?” ragionava Hajime mentre aiutava il gruppo delle fortificazioni.

“Non possiamo fare niente se non rafforzarci e cercare altro cibo, almeno per un paio di giorni… e magari trovare il modo di ottenere più armi e sistemare la questione della radio...” rispose Oikawa, che poi ebbe un'illuminazione improvvisa: “Mattsun, posso chiederti una cosa?” disse all'amico, che stava lavorando accanto a loro insieme ad Hanamaki, e come quest'ultimo sfoggiava un sorriso enorme. “Se vuoi chiedermi cosa abbiamo fatto io e Makki stanotte posso farti una descrizione accurata, ma devi assicurarti che non ci siano minorenni ad ascoltare” sogghignò Matsukawa.

“No, sinceramente non mi interessa”

“Dovrebbe, visto che tu e Iwaizumi siete sempre nervosi” ribattè Issei, guadagnando uno sguardo torvo di Hajime e una risata cristallina da parte di Takahiro, con cui si scambiò uno sguardo di complicità.

Oikawa ignorò completamente le sue parole, proseguendo con la sua domanda: “Pensi che la radio in dotazione alla navicella con cui siete atterrati sia ancora funzionante?” chiese, interrompendo il momento d'ilarità della coppia.

“Non ne sono sicuro ma può darsi di sì… anche se per come ho lasciato la situazione sull'Arca credo che a questo punto sia quasi meglio lasciare le cose come stanno. Diciamo che… ci sono state delle complicazioni politiche” si rabbuiò improvvisamente Matsukawa, rifiutando di dare ulteriori spiegazioni.

“Sai bene che nemmeno io amo la situazione politica sull'Arca, visto il motivo per cui mi hanno sbattuto in cella… ma io ho letto i fascicoli segreti e ho visto i video delle riunioni sul progetto Exodus e so che esso prevede che in caso di complicazioni nell'Operazione Cento venga spento il sistema vitale di un'intera sezione dell'Arca… non voglio essere responsabile della morte di delle persone colpevoli solo di consumare ossigeno solo perché non mi sono impegnato al massimo per comunicare le nostre condizioni!”

“Lo faranno comunque, Oikawa-san” gli apparve alle spalle Daichi, con un'espressione corrucciata “Grazie a Iwaizumi ho continuato le tue indagini, e ho scoperto che è comunque previsto di eliminare una parte della popolazione perché non c'è abbastanza posto sulle navi Exodus… è perché ho scoperto questo che il Cancelliere ha cercato di farmi uccidere. In ogni caso se hai idee sono disposto ad ascoltarle” concluse, sospirando.

“Possiamo ancora trovare un modo per evitare che uccidano quelle persone... e in ogni caso comunicare con loro potrebbe aiutarci anche con le difficoltà che stiamo affrontando qui…” rispose Oikawa, convinto.

“Davvero tu credi che dopo averci mandati qui quasi senza cibo e medicinali sarebbero disposti ad aiutarci?” chiese Hanamaki, influenzato dallo scetticismo di Matsukawa.

“Se non ci proviamo non lo sapremo mai” concluse Iwaizumi, ponendo fine al dibattito.

Oikawa posò i suoi attrezzi e si diresse sicuro verso il rudimentale cancello, deciso ad andare a controllare la radio.

“Idiota, non sai neanche dov'è atterrata la navicella! E i terrestri potrebbero attaccarti se vai da solo!” lo insultò Hajime, per poi alzarsi e seguirlo di corsa.

“Allora accompagnami, Iwa-chan” gli fece l'occhiolino Tooru, che come sempre ottenne ciò che voleva.

“E prendi questa, se riesci a non spararti in un piede” gli porse il calcio di una pistola, che Tooru accettò senza esitazione.

I due uscirono dall'accampamento, diretti al lago.

Issei e Daichi si scambiarono uno sguardo eloquente, chiedendosi quando sarebbe stato il momento giusto di informare gli altri della morte del Cancelliere.

Sawamura in realtà ne aveva già parlato a Sugawara, che aveva reagito in modo diverso da quello che si aspettava: il vecchio Koushi avrebbe accettato difficilmente un omicidio anche se giustificato dalla necessità della fuga, ma dopo tutto quello che era successo e la scoperta che era stato proprio il Cancelliere ad attentare per ben due volte alla vita del suo Daichi non riusciva a non essere intimamente grato a Matsukawa per averglierlo riportato tutto intero, anche se per farlo i due si erano macchiati le mani di sangue.

 

Cosa sarebbe successo all'arrivo degli abitanti dell'Arca sulla Terra? Issei sarebbe stato incriminato per aver ucciso il Cancelliere? Decise di cercare di non pensarci: magari dopo gli eventi della notte precedente ci sarebbero stati risultati inaspettati, e il nuovo Cancelliere sarebbe stato dalla loro parte.

Era inutile fasciarsi la testa prima di essersela rotta. Issei decise comunque che era già l'ora di prendersi una pausa, e prendendo di sorpresa Takahiro lo sollevò di peso, baciandolo avidamente e tenendolo con la schiena appoggiata contro la barriera di legno.

 

 

Ukai si stava chiedendo se concedere così tante ore tra una votazione e l'altra per un'elezione così urgente non servisse per capovolgere in qualche modo poco lecito quel risultato di parità: Washijo avrebbe avuto tutto il tempo di corrompere almeno uno degli altri consiglieri, mentre lui sarebbe stato impegnato a cercare di mantenere almeno un barlume di umanità nonostante la terribile decisione del Consiglio, nel tentativo di impedire almeno parzialmente quella strage legalizzata.

Appena sciolta la seduta Keishin si lanciò fuori dalla stanza, diretto verso l'ufficio di Ittetsu: dovevano mettere a punto un piano, perché la situazione iniziava a fare acqua da ogni parte.

 

Sacrificare la navicella con cui avrebbero dovuto fuggire loro due per concedere a Daichi di salvarsi era stata un'azione nobile che aveva deciso di compiere su suggerimento di Takeda: non si sarebbe pentito di essere rimasto per lottare in ciò che credeva e per cercare di proteggere più persone possibile, anche se i rischi erano inquantificabili.

Incontrò Ittetsu nei corridoi a metà strada: evidentemente la sua metà aveva avuto la stessa idea e lo stava cercando a sua volta. Si aggiornarono a vicenda sulle novità e poi sgattaiolarono insieme in una piccola stanza che veniva usata come ripostiglio, poco distante dall'ufficio di Takeda.

Era evidente che ci fossero dei sospetti su Ukai, e probabilmente entrambi erano sotto osservazione: decidere nella loro unità abitativa il da farsi in quelle preziose ventiquattr'ore sarebbe stato un grave errore, visto che sicuramente era stata riempita di cimici per cercare di smascherarli come traditori.

 

“Non c'è tempo da perdere… dobbiamo subito andare alla Walden e allertare tutti, non possiamo lasciare che vada così… per loro è facile, così potranno cancellare decenni di esperimenti falliti, nascondendo le prove e una volta ricevute informazioni dalla Terra ottenere tutto ciò che vogliono fingendo di avere la coscienza a posto” affermò Keishin con rabbia, mentre pensava a come fare per capovolgere la situazione.

Avevano ventiquattr'ore ma la strage era comunque inevitabile, e lo sarebbe stata anche se fosse stata ritardata: era impossibile garantire altri posti sulle navicelle Exodus, non c'era nessuna possibilità di salvare tutti gli abitanti dell'Arca e gli abitanti della Walden non erano che delle pedine sacrificabili, così come per decenni erano stati cavie di esperimenti di dubbia riuscita.

“Keishin, sei sicuro che Washijo non cercherà di capovolgere anche questa tua mezza vittoria a proprio vantaggio? Come facciamo ad avere la certezza che rispetterà la tua richiesta in pieno?” chiese Takeda, preoccupato.

“Non possiamo saperlo, Take-chan”, sospirò Ukai, passando al vezzeggiativo che di solito usava nell'intimità “ma siccome lui troverà il modo di ottenere ciò che vuole dobbiamo cercare di sfruttare al massimo questa occasione...”.

“Cos'hai in mente? Non vorrai mica...” Keishin gli posò un dito sulle labbra, come a confermare ciò che aveva pensato Ittetsu.

“Diremo le cose come stanno, glielo dobbiamo. E se andrà male, affonderemo con loro” concluse Keishin, guardando negli occhi il marito.

“Insieme?” chiese Takeda, con uno sguardo deciso e innamorato dietro le lenti degli occhiali.

“Insieme.” rispose Ukai, prima di posare le labbra su quelle della sua metà, in un bacio fugace che sottintendeva fiumi di parole.

 

 

Oikawa e Iwaizumi camminavano in fretta tra gli alberi, guardandosi intorno e sobbalzando ad ogni minimo rumore.

Non era prudente muoversi dopo la minaccia di un attacco e dopo quello che era successo a Noya e Tanaka, ma erano armati e la radio era troppo importante.

L'ultima volta che avevano percorso quella strada insieme era appena iniziato tutto, e già diverse cose erano cambiate in pochi giorni: Tooru provava una sensazione dolceamara, in parte di gratitudine per la presenza di Hajime e in parte di frustrazione e preoccupazione per tutto ciò che stava succedendo e che poteva succedere. Sarebbero riusciti a sopravvivere abbastanza per cominciare davvero qualcosa, per veder atterrare il resto del loro popolo sulla Terra?

La pistola era pesante nella sua mano, i proiettili già pronti nei loro alloggiamenti.

Se qualcuno li avesse attaccati, questa volta sarebbe stato lui a proteggere Iwaizumi, e non il contrario. Hajime non aveva più parlato della montagna se non per vaghi accenni, ma Tooru aspettava al varco, ed era sicuro che il suo amico d'infanzia non attendesse altro che un suo momento di debolezza, una scusa per lasciarlo indietro con il pretesto di proteggerlo. Quel tarlo si era ormai insinuato nel suo cervello e non c'era modo di scacciarlo.

Finalmente giunsero in vista del lago: il rottame ormai inutilizzabile della piccola biposto era ancora lì, per metà immerso nell'acqua.

Tutt'intorno solo silenzio e calma piatta.

Tooru avanzò fino alla navicella con la pistola davanti a sé ed entrò all'interno, iniziando a controllare la radio e portando via tutte le componenti che potessero essere utili.

Hajime era rimasto fuori con la sua arma spianata, pronto a rispondere a qualsiasi attacco.

Passarono lì una buona mezz'ora e andò tutto liscio: l'atmosfera era placida e tranquilla come l'acqua del lago, increspata solo dal loro passaggio.

 

Tornarono all'accampamento in silenzio, anche se entrambi avrebbero voluto dire qualcosa: nonostante il chiarimento della mattina precedente c'era qualcosa di strano che aleggiava tra i due, un sentimento a cui era difficile dare un nome, l'ombra di un non detto che oscurava i loro pensieri, anche se all'apparenza sembrava tutto normale.

Oikawa tornò a chiudersi nella navicella, per riprendere il lavoro del giorno precedente.

All'interno c'era di nuovo Kenma, questa volta da solo, che aveva appena terminato di mettere a punto la seconda versione del suo circuito elettrico collegato ad un bracciale trasmittente. Kuroo doveva essere entrato ad aiutarlo mentre Tooru e Hajime erano al lago, perché il bracciale utilizzato era evidentemente suo, così come un cumulo disordinato di oggetti senza un nesso apparente abbandonati in un angolo, come se la navicella fosse diventata una dependance della sua tenda.

Il biondo era concentratissimo nel tentativo di inviare un segnale in codice morse sulla frequenza dell'Arca, ma non aveva modo di verificare se qualcuno l'avrebbe sentito, poiché i bracciali non potevano ricevere.

“Ho portato qualcosa di meglio” esordì Oikawa, anche se ottenne solo che Kenma alzasse lo sguardo per un istante sollevando un sopracciglio.

“Con questi pezzi e qualche modifica in qualche ora riusciremo a comunicare con l'Arca, e loro potranno risponderci!” continuò, orgoglioso di sé stesso.

Kenma fece un piccolo sorriso, per poi tornare a concentrarsi sul suo messaggio.

 

 

Per raggiungere la stazione Walden Ittetsu e Keishin dovevano passare accanto alla famigerata sala di controllo con le proiezioni dei segnali vitali dei Cento: Takeda chiese alla guardia all'ingresso di entrare un'ultima volta, per controllare se la situazione fosse cambiata. Conosceva quasi ognuno dei ragazzi inviati sulla Terra, e sperava che stessero bene con ogni fibra del suo essere. Voleva salutarli un'ultima volta prima di partire per quella missione suicida con l'amore della sua vita, sperando almeno di riuscire a salvarne altrettanti.

Non vedendolo uscire, Ukai entrò nella stanza a sua volta e lo sorprese a fissare uno dei quadranti con un'espressione perplessa: il segnale appariva e scompariva a intervalli variabili, accendendosi e spegnendosi per alcuni secondi. Il nome del ragazzo a cui apparteneva il bracciale era Kuroo Tetsurou, e Takeda lo ricordava per la sua presenza nei fascicoli segreti relativi a Kenma. Il ragazzo lo aveva tenuto nascosto per tre anni, cercando di salvarlo dalla morte che era toccata ai suoi genitori in circostanze poco chiare: nei rapporti si parlava di visite di controllo disertate e tradimento per non avervi sottoposto il figlio per alcuni anni. La loro sparizione era stata camuffata da quarantena per un contagio da febbre respiratoria mai avvenuto, ma paradossalmente proprio sottrarre il piccolo Kenma alla somministrazione del siero per qualche anno l'aveva reso una cavia preziosa, perché in quel tempo sembrava essersi presentata una mutazione imprevista nelle sue cellule ematiche.

 

“Non pensi che potrebbe essere… un messaggio?” sussurrò Ittetsu, concentrandosi sulla luce intermittente.

“Codice morse? Potrebbe essere… le alternative sono un guasto al bracciale o dei segnali vitali molto deboli...” riflettè Ukai, per poi cercare di decodificarlo: “Stiamo bene, aria respirabile e niente radiazioni letali ma lontani dalla montagna. Terrestri” riuscì a tradurre, dopo qualche tentativo. Il messaggio si interruppe così, e il segnale si spense del tutto.

Nessun altro aveva recepito quel messaggio, ma loro dovevano attuare il piano: sapere che i Cento (o almeno la maggior parte di loro) stavano bene toglieva loro un peso dallo stomaco, ma dovevano trovare un modo per salvare anche gli abitanti della Walden.

Informare il Consiglio del messaggio sarebbe stato indubbiamente un ottimo modo per non rendere così urgente lo spegnimento del sistema vitale, ma davvero gli avrebbero creduto con solo la sua parola e quella di Takeda come garanzia? Keishin inviò comunque un messaggio agli altri membri del Consiglio, sperando di ottenere almeno una piccola proroga.

Washijo cancellò il messaggio senza ascoltarlo.

I due lasciarono la stanza, diretti verso la stazione Walden. Ittetsu stringeva la mano di Keishin mentre attraversavano i corridoi, un po' per trasmettergli il suo supporto e un po' per cercare di esorcizzare la sua stessa preoccupazione. Non c'era un vero e proprio piano, e avrebbero dovuto improvvisare.

Una volta attraversato il confine tra le stazioni il panorama cambiò: le luci erano più basse e fioche e gli impianti di aerazione ronzavano ed emettevano rumori sinistri. Se avessero voluto camuffare lo spegnimento dell'ossigeno come un guasto sarebbe stato più che plausibile, e quelle persone sarebbero morte senza un perché, svilite da una menzogna.

“Bene… da dove iniziamo adesso?” chiese Takeda, che nella sua vita non aveva mai neppure immaginato che un giorno avrebbe collaborato a sobillare una rivoluzione. Per un attimo, prima che Ukai gli spiegasse nel dettaglio tutto quello che stava accadendo, aveva pensato che tutto si sarebbe potuto risolvere in modo pacifico, ma ogni passo nei corridoi della Walden contraddiceva un po' di più quel pensiero.

Sentiva uno strano peso nel petto, come una sensazione opprimente e minacciosa: fu quando raggiunsero la sala comune della stazione orbitante, niente di più che una scatola di metallo arrugginito più grande delle altre stanze, che capì veramente di cosa si trattava.

Fu allora che decise di prendere in mano lui stesso la situazione, spiegando a Keishin in poche frasi quello che intendeva fare.

Ittetsu Takeda, che aveva sempre avuto paura di esporsi e di agire per primo in qualunque ambiente al di fuori della sua sala operatoria, prese il comando della missione senza nemmeno rendersene pienamente conto.

Ukai aveva fatto in modo di raggiungere la sala comune in coincidenza con l'assemblea del mattino, e la maggior parte degli abitanti della Walden erano riuniti nella stanza e aspettavano solo loro. Nessuna Guardia era presente. Ad entrambi sembrò molto strano, ma in fondo lì non vi era nulla di normale.

Nonostante anche sulla stazione più povera fosse valida la regola del figlio unico, i bambini erano discretamente numerosi nella sala: nessuno di loro però aveva un colorito sano e sembrava in buona salute, un segnale che rafforzava e confermava l'intuizione di Takeda.

“Siamo venuti con il benestare del Consiglio a offrire una visita medica gratuita a tutti coloro che ne faranno richiesta” iniziò Ittetsu, con voce tremante “vogliamo prevenire nuove epidemie e la prevenzione è il mezzo più importante per mantenersi in salute...” continuò, mentre Ukai lo incoraggiava ad andare avanti.

Mentre proseguiva nella sua esortazione, alcuni tra la folla alzarono una mano o si avvicinarono timidamente, formando poi una fila disordinata davanti a loro.

Dovevano avvertire più gente possibile senza dare troppo nell'occhio e fingendo di voler agire solo per salvare i bambini, perché nonostante l'assenza di guardie il Consiglio aveva occhi ovunque.

Le persone radunate erano per metà bambini, l'altra metà erano genitori, adulti soli e pochi anziani, una vera rarità in quella zona dell'Arca.

Una bambina che dimostrava sei o sette anni si avvicinò a Ittetsu, con piccoli passi esitanti. Indossava un vestito che una volta probabilmente era stato rosa, ma era stato rattoppato così tante volte con pezze di stoffa diverse che era ormai una sorta di patchwork liso e polveroso, e stringeva in una mano una bambola di tessuto senza un occhio.

Teneva l'altra mano protesa in avanti, come se la stesse utilizzando per orientarsi nello spazio o per tenersi in equilibrio. Un uomo le camminava accanto, dirigendola nella giusta direzione e sospirando piano ad ogni passo, negli occhi l'ombra di una pesante rassegnazione.

La prima cosa che Takeda notò furono le punte delle piccole dita, già cianotiche, poi con la luce di una piccola torcia ebbe la conferma definitiva della sua straziante diagnosi: ipossia, mancanza di sufficiente ossigeno al cervello. Gli occhi della bambina non reagivano alla luce, il che era un segno incontrovertibile di una compromissione al nervo ottico: sarebbe diventata completamente cieca se fosse rimasta in quell'ambiente, così come molti altri bambini e adulti che li circondavano. Se solo avessero avuto più di ventiquattr'ore di tempo…

Ittetsu si girò verso Keishin, che aveva già iniziato a prendere da parte alcune persone fidate tra la folla che trasmettessero il suo messaggio e lo aiutassero nel suo piano, e annuì leggermente: era una conferma del loro sospetto iniziale, secondo cui il Cancelliere aveva già ordinato di dimezzare l'ossigeno qualche tempo prima senza l'approvazione del Consiglio.

In poche ore la voce si sparse tra tutti gli abitanti della Walden presenti e un brusìo li circondò: erano già diventati un punto di riferimento, la folla si fidava di loro ed era pronta ad aiutarli.

La Walden si sarebbe rivoltata contro l'Arca, colpevole di averle sottratto metà dell'ossigeno e di pianificare un genocidio di massa ai suoi danni: c'era il potere del numero e la rabbia, gli ingredienti necessari per innescare una rivolta.

 

Fu proprio in quell'istante che la stanza esplose in un boato: Ukai spinse Takeda a terra, proteggendolo col suo corpo.

Quando riaprirono gli occhi nella sala semibuia, tutt'intorno riecheggiavano urla e lamenti.

Tutto risuonava come un'eco vuota, ed entrambi ci misero un po' per riprendere del tutto il controllo dell'udito. Ovunque vi erano solo sangue e confusione.

Washijo doveva aver introdotto una spia sulla Walden, che aveva causato quell'esplosione per seminare il caos: Ukai avrebbe dovuto prevederlo, e mentre aiutava il marito a rialzarsi maledisse il poco tempo che aveva avuto per valutare i rischi e le possibili soluzioni, mordendosi quasi a sangue il labbro inferiore.

Ittetsu si alzò a fatica, tossendo.

A pochi metri da lui, sul pavimento, giaceva una bambola senza un occhio macchiata di sangue.

Ingoiò le lacrime, stringendo forte la mano di Keishin.

 

Il vice Cancelliere aveva ottenuto ciò che voleva. Washijo non aveva spento l'ossigeno (ma sarebbe stata solo questione di tempo) e aveva scaricato la responsabilità su un attentatore isolato, che secondo la versione ufficiale che avrebbe diffuso “aveva agito per uccidere un membro del Consiglio, simbolo del gruppo di potere dell'Arca”.

Ukai aveva già perso. O forse no?

 

Le ferite che si era procurato sulla schiena a causa di alcune schegge scagliate dall'esplosione gli bruciavano, ma poteva resistere. Almeno una ventina di persone intorno a loro si stavano alzando, più o meno malconce. Le luci di emergenza stentavano ad accendersi, e il fioco bagliore lampeggiante non faceva che peggiorare l'atmosfera spettrale.

All'improvviso si sentì tirare l'orlo dei pantaloni, e si abbassò ad aiutare ad alzarsi una ragazza che non aveva notato prima e che gli sembrava di aver già visto, anche se non ricordava in che circostanze.

Anche Takeda ebbe la stessa impressione, ma non disse nulla e le porse il suo fazzoletto per tamponare una brutta ferita alla fronte.

“Se solo ci fosse un modo per staccare la stazione dall'Arca prima che disconnettano il sistema...” ragionava febbrilmente Ukai, che sapeva che non c'era tempo da perdere.

“Un modo c'è, anche se conosco solo la teoria” disse piano la ragazza che avevano appena aiutato, mentre recuperava lentamente la sicurezza sulle gambe.

“Ora ricordo… Saeko Tanaka, giusto?” chiese Takeda, illuminato da una realizzazione improvvisa. Sia lui che Ukai l'avevano conosciuta alla scuola dell'Arca, poi era passata al corso di ingegneria ma aveva mollato a metà e non ne avevano più sentito parlare finché non si era sposata frettolosamente con una guardia, apparentemente un matrimonio riparatore per crescere insieme il loro bambino.

Questi in realtà si era rivelato essere il fratello per cui la madre era morta di parto, e a soli otto anni per un complesso insieme di circostanze aveva ucciso il patrigno e trascorso gli ultimi nove anni in prigione. Takeda aveva visto il volto di quel ragazzo proprio poco prima, proiettato sulla parete della sala controlli e fieramente illuminato.

 

“Non so se ne siete a conoscenza, ma la Walden possiede ancora una sala di controllo indipendente, anche se è in disuso da cento anni” iniziò Saeko, che era nata sulla Walden e vi era tornata dopo la sua tragedia familiare: ivi aveva iniziato un lavoro clandestino di raccolta di informazioni per chiunque ne chiedesse, e si diceva che conoscesse la maggior parte dei segreti dell'Arca e se li facesse pagare a caro prezzo.

“Teoricamente se riuscissimo a raggiungere quella sala e i controlli funzionassero ancora, potremmo sganciarci dall'Arca e affidarci alla forza di attrazione terrestre...”

“...schiantandoci con violenza al suolo, se i propulsori non dovessero funzionare dopo tutto questo tempo” completò Ukai, ma poi riprese a parlare “Ok, per me si può tentare… ti ascolto, guidaci verso questa sala controlli”.

Fu proprio in quel momento che si sentì un altro boato e anche le luci di emergenza si spensero.

Poi tutto fu buio e silenzio.

 

 

Dopo appena tre ore dalla prima assemblea straordinaria, Washijo ne convocò una seconda: le notizie che giungevano dalla Walden erano fumose e contraddittorie, ma sembrava ci fosse stato un attentato durante la spedizione sulla stazione del consigliere Ukai.

“Si è trattato di un atto imperdonabile di ribellione contro il governo centrale, che conferma la mia teoria: ho appena ricevuto la notizia che il consigliere Ukai e il dottor Takeda hanno perso la vita nell'attacco, il che ci mette nella posizione di decidere cosa fare senza attendere un istante di più, che potrebbe permettere al pericoloso attentatore o ad altri rivoltosi contro il Consiglio di raggiungere le altre stazioni dell'Arca” iniziò il nuovo Cancelliere ormai a tutti gli effetti, che ottenne l'unanimità alla votazione per spegnere immediatamente l'ossigeno della Walden.

Gli altri consiglieri erano sconvolti per la morte di Ukai, tradito dagli stessi abitanti dell'Arca che aveva voluto aiutare, e nessuno dubitò della buona fede di Washijo.

La paura fece dimenticare a tutti che su quella stazione vivevano più di trecento innocenti.

L'inquietante sicurezza di Washijo non lasciò spazio a obiezioni.

La Walden sarebbe diventata un guscio vuoto nello spazio, destinato a diventare una tomba.

 

Mentre dava inizio ad un ipocrita minuto di silenzio per Ukai e Takeda, Washijo faticava a celare la sua contentezza: si era liberato di due problemi allo stesso tempo, e non avrebbe più nemmeno avuto bisogno di cercare le prove del presunto tradimento che sospettava da tempo.

Aveva finalmente il potere nelle sue mani: dopo tanti anni era finalmente Cancelliere, e sarebbe stato ricordato per sempre per aver riportato il suo popolo sulla Terra. Mancava solo un'ultima conferma da parte dei Cento sull'abitabilità del suolo terrestre, ma siccome dopo le prime dieci morti il numero si era stabilizzato aveva buone speranze.

Ce l'avrebbero fatta, e una volta spenta definitivamente la Walden avrebbero avuto abbondante ossigeno ed energia per portare a termine il progetto Exodus.

La vittoria e la speranza avevano un gusto così dolce, nonostante il retrogusto marcato di sangue.

Abbassare quella leva fu dannatamente facile.

 

 

Quando Oikawa e Kenma ebbero finito di montare insieme tutti i pezzi della nuova radio era ormai pomeriggio inoltrato.

Una volta stabilito il contatto, Oikawa tirò un urlo di giubilo che fece accorrere in fretta nella navicella Iwaizumi, Matsukawa, Hanamaki, Kuroo, Daichi e Sugawara.

Ce l'avevano fatta, e finalmente non sarebbero più stati totalmente soli tra i terrestri.

“Qui Terra, sono Oikawa, passo” ripetè due o tre volte mentre il segnale andava e veniva, sistemando a poco a poco la frequenza. Il cuore gli batteva forte nel petto, e fece un balzo quando finalmente sentì una voce dall'altro capo dell'apparecchio.

“Qui Arca, siamo all'ascolto. Fate rapporto sulla situazione sulla Terra, passo” rispose una voce fredda, irriconoscibile a causa dell'interferenza che Tooru non era riuscito ancora ad isolare.

“Siamo atterrati con qualche piccolo inconveniente tre giorni fa, lontani una trentina di kilometri dal luogo di atterraggio previsto. Le radiazioni non sembrano letali nel breve periodo e i vostri dati potrebbero essere falsati perché alcuni bracciali si sono rotti. In compenso è risultato che la zona circostante è abitata da terrestri selvaggi con cui già abbiamo avuto contatti sporadici: sembrano pericolosi e abbiamo poche armi per affrontarli...”.

Il segnale andava e veniva, e sull'Arca giunsero poco più della metà delle sue parole.

La chiamata immediata che raggiunse Washijo nel suo nuovo ufficio coronò la sua felicità, donandogli la conferma della presenza di un clima adatto alla vita sul pianeta.

“Vi parla il nuovo Cancelliere” rispose personalmente prendendo il controllo della comunicazione “vi ringrazio per il servizio che ci avete reso e quando scenderemo sulla Terra potremmo valutare se darvi l'immunità con le dovute distinzioni… entro pochi giorni atterreremo sul pianeta e vi porteremo aiuti e rinforzi. Spero che ci rivedremo ancora” concluse col saluto di rito usato sull'Arca, che pronunciato da lui suonava assurdamente vuoto di significato.

Le mani di Tooru tremavano: aveva riconosciuto la voce, e sapeva che non avrebbe mai ottenuto le informazioni che cercava dal nuovo Cancelliere Washijo. E poi cos'era accaduto al suo predecessore? Non riusciva a comprendere, e iniziò a ragionare su come fare a sapere ciò che gli premeva. Aveva un pessimo presentimento.

Alla fine fu Sugawara a sbloccare la situazione, chiedendo se fosse possibile parlare con il dottor Takeda per informarsi sullo stato di alcuni pazienti che aveva lasciato sull'Arca: finse di non sapere nulla di Daichi, mentre stringeva forte la mano del compagno. Non l'avrebbe messo in pericolo, non di nuovo.

“Non posso metterla in comunicazione con il dottor Takeda, mi dispiace. Risulta disperso insieme al consigliere Ukai a causa di un attentato avvenuto stamattina sulla Walden… non abbiamo notizie di superstiti” tagliò corto Washijo, poco prima che la comunicazione si interrompesse. Tooru era pronto a scommettere che il Cancelliere l'avesse interrotta di proposito.

Gli altri gli si erano raccolti intorno ed erano tutti sconvolti e sconcertati: avevano perso il loro unico possibile alleato e il Cancelliere aveva chiarito che all'atterraggio sulla Terra avrebbe fatto distinzioni tra di loro e probabilmente alcuni sarebbero stati resi nuovamente prigionieri, a maggior ragione Daichi e Matsukawa una volta che la loro presenza fosse stata scoperta.

Inoltre Tooru non credeva affatto alla storia dell'attentato: Washijo doveva già aver staccato l'ossigeno alla Walden, ed era riuscito allo stesso tempo a liberarsi di due avversari politici che sapevano già troppo.

Erano arrivati tardi.

La stazione Walden non esisteva più.

 

Guardò in viso Kenma, e dalla sua espressione capì che aveva raggiunto la medesima conclusione: il biondino si alzò di scatto e corse fuori dalla navicella, seguito prontamente da Kuroo.

Subito fuori si imbatterono in Tanaka, che stava appoggiato con disinvoltura accanto al portellone, fingendo palesemente di essere lì per caso e di non aver origliato fino a quel momento, anche se il suo sguardo diceva esattamente il contrario. Sapeva che la sorella si era trasferita sulla Walden dopo che lui era stato confinato, e sperò in cuor suo che nonostante la frase “non abbiamo notizie di superstiti” lei stesse bene.

Sull'Arca si era rassegnato a non vedere mai più colei che per otto anni l'aveva cresciuto come una madre nonostante la sua giovane età, ma appena arrivato sulla Terra aveva iniziato a sperare in cuor suo di rivederla, se mai gli abitanti dell'Arca fossero riusciti a raggiungerli.

Invece ecco che anche quella flebile speranza gli veniva nuovamente strappata.

 

 

Kenma sapeva che per i suoi genitori non c'erano più speranze da anni.

Sapeva in cuor suo che quella “quarantena” non era mai esistita, che probabilmente i suoi erano morti per proteggerlo da quegli esperimenti di cui aveva finito per essere comunque vittima, che in ogni caso la stazione Walden non era che un guscio di disperazione con un nocciolo di ricordi orribili.

Ma in ogni caso si sentiva come spezzato, come se una speranza che aveva covato senza nemmeno accorgersene si fosse infranta in un istante come i legami della Walden con l'Arca, spenta come i dispositivi per permettere la vita su quel guscio di metallo.

 

Quando Kuroo lo raggiunse erano poco fuori dalle fortificazioni, e Kozume non ricordava nemmeno di essere uscito dal campo.

Lo abbracciò lentamente da dietro, sentendolo tremare sotto le sue dita.

Era fragile come le ali di una farfalla, in quel momento.

Kuroo sapeva che sarebbe stato difficile, e gli rimase accanto senza dire nulla, mentre gli alberi frondosi li circondavano in un abbraccio di ombre.

Kenma alzò lo sguardo solo quando sentì un lieve frullare d'ali a pochi centimetri dal suo viso.

Una farfalla azzurra avvolta da una bizzarra luminescenza gli si posò inaspettatamente sul naso. Rimase immobile, pietrificato dalla meraviglia.

Kuroo puntò il dito in alto, tra gli alberi. Kenma si spostò leggermente e la fragile creatura volò via, lasciandosi dietro una scia luminosa.

I tronchi degli alberi si stavano lentamente ricoprendo di farfalle, che creavano intorno a loro un'aura di luce lattiginosa.

Fu allora che Tetsurou si rese conto che Kenma stava piangendo.

O meglio, si trattava di una sola minuscola lacrima, ma da quel giorno in cui aveva chiuso il suo cuore a qualsiasi emozione era la prima volta che Kuroo ne vedeva una solcare il suo viso.

Nessuno dei due si rese conto che stava accadendo, ma un secondo dopo erano in piedi uno di fronte all'altro, e il più grande stava asciugando la lacrima con un bacio delicato sulla guancia.

Fece una piccola smorfia per il sapore salato per far ridere l'altro, ma si trovò di fronte agli occhi dorati di Kenma che lo scrutavano fino in fondo all'anima, mentre una delle mani affusolate del più piccolo cercava le sue.

Forse fu l'atmosfera, il bisogno di Kenma di consolidare la sua unica certezza o un sentimento che si era annidato tra le pieghe del loro rapporto da troppo tempo: nel silenzio insieme calmo e minaccioso della foresta, mentre erano circondati da una nube di farfalle radioattive, le loro labbra si sfiorarono per un dolcissimo istante.

 

 

“Cosa significa che avete ucciso l'ex Cancelliere?” chiese Oikawa, che non riusciva a capacitarsi di ciò che gli aveva appena detto Matsukawa.

“Significa esattamente quello che ti ho detto… non avevo alternative, stava puntando una pistola contro Sawamura-san e tutte le altre guardie ci tenevano sotto tiro” rispose Matsukawa, irritato.

“Non fraintendere, non ti biasimo affatto Mattsun… anche io l'avrei fatto al tuo posto. Però ora che c'è Washijo al comando… e che non abbiamo più un alleato nel Consiglio… non lo so, non so davvero come andrà a finire” si prese la testa tra le mani “Se fossi riuscito a far funzionare la radio prima forse avremmo potuto evitare che uccidesse quelle persone!” si alzò in piedi e battè un pugno contro la parete di metallo, ferendosi le nocche.

“Piantala idiota di un Oikawa, farti venire le crisi isteriche non riporterà in vita nessuno degli abitanti della Walden… possiamo solo cercare di evitare che muoiano altre persone tra di noi e fare del nostro meglio per proteggerci a vicenda” disse Iwaizumi, con tono risoluto.

Il che significava proteggere Tooru da sé stesso, e Hajime lo sapeva bene.

 

 

Nessuno di loro si aspettava l'arrivo della persona che si presentò nella navicella, che ormai era diventata una sorta di quartier generale.

Terushima era lì, i capelli biondi tirati indietro con una mano a scoprire la metà del viso ancora cosparsa di unguento ma già meno arrossata del giorno precedente.

Aveva dormito un giorno intero, fluttuando in un limbo di incubi in cui tutto era fuoco e sangue e la sua pelle si scioglieva.

Nonostante tutto si era svegliato stranamente riposato, e si era quasi abituato al dolore delle bruciature, fortunatamente solo superficiali. Probabilmente questo fatto era da imputare alla decisione di Koushi di iniettargli una dose di antidolorifico mentre dormiva nonostante il razionamento dei medicinali, ma lui non poteva saperlo.

Yuuji rimase per un attimo in silenzio mentre tutti lo fissavano, al centro dell'attenzione.

“Vorrei fare qualcosa per rendermi utile, se rimango ancora in infermeria impazzisco…” disse piano, scompigliandosi i capelli con una mano e guardandoli a turno negli occhi.

“Sei sicuro di stare già bene?” chiese Sugawara, scettico.

“Stiamo per organizzare i turni di guardia per stanotte, visto che sicuramente sei riposato potresti fare un turno sulle fortificazioni” disse Oikawa, che si era legato al dito il suo comportamento del primo giorno e non aveva nessuna intenzione di accordargli un trattamento di favore.

“Perfetto, farò del mio meglio” disse Terushima con un mezzo sorrisetto e una vaga aria di sfida, contribuendo a peggiorare ulteriormente l'umore di Tooru.

 

 

Terushima si annoiava.

Il silenzio era quasi totale, se si escludevano dei rumori ovattati ma inconfondibili che provenivano dalla tenda di Hanamaki e Matsukawa, e la luce più intensa era il grosso falò al centro del campo.

Avevano discusso a lungo se lasciarlo acceso tutta la notte, ma alla fine avevano concluso che i terrestri ormai conoscevano la loro posizione, quindi tanto valeva avere una fonte di calore nel freddo notturno. Tre persone stavano contemporaneamente di guardia: Terushima sulle fortificazioni, Tanaka vicino al fuoco e Kageyama dal lato opposto rispetto a Terushima.

Tutti e tre avevano ricevuto un'arma, anche se Iwaizumi aveva vacillato per un istante nel lasciare una pistola carica nelle mani di Yuuji, come se avesse avuto un presentimento. Aveva scacciato quel pensiero: chiunque meritava una seconda occasione.

 

Quando intorno alle quattro del mattino vide delle lucine apparire e scomparire in lontananza, Terushima pensò che la sua vista fosse stata compromessa dalla nebbia acida o che avesse di nuovo bisogno di dormire.

Quando quelle lucine si fecero sempre più vicine, accompagnate da un passo ritmato e pesante, si sporse accendendo la sua torcia per vedere meglio, ma il raggio d'azione della luce non illuminava abbastanza lontano.

Quando i profili dei guerrieri terrestri iniziarono a farsi distinguibili, era ormai troppo tardi.

Una freccia infuocata passò sopra la sua testa, andando ad atterrare su una tenda nel campo, che prese istantaneamente fuoco.

Yuuji iniziò a sparare alla cieca nel gruppo che ormai si stava assiepando intorno alle fortificazioni, ma una pioggia di frecce era già partita dagli archi dei terrestri.

 

Mentre gli altri si svegliavano allarmati e correvano a recuperare le scorte d'acqua, Terushima sperò intensamente di trovarsi ancora in uno dei suoi incubi.

 


Ricominciamo coi cliffhanger :D Mi scuso infinitamente per il ritardo spaventoso ma il ritorno al lavoro e una settimana senza internet mi hanno cockbloccato la vita, però vedrò di farmi perdonare aggiornando presto!
Che dire... ho seminato tanto disagio in questo capitolo (però un pochettino di fluff è sopravvissuto) ed è solo destinato a peggiorare quindi... allacciate le cinture!  PRECISAZIONI: in questi ultimi due capitoli ho iniziato a svelare qualcosa, ma mi sto distaccando sia dal telefilm sia dal libro in alcuni aspetti... la stazione Walden viene direttamente dal libro ma è stata un po' reinventata da me per adattarla alla storia che avevo in mente, quindi sapevatelo u.u


_Kurai_

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Capitolo 12
*** Chaos ***


Chaos

 

La pistola di Terushima esaurì i colpi dopo pochi istanti, dopo aver colpito (ma non abbattuto) solo un paio di terrestri tra le centinaia che componevano l'orda che li stava attaccando e premeva contro le deboli fortificazioni, mentre all'interno già infuriavano le fiamme.

Gli uomini non sembravano nemmeno tali: molti indossavano sul viso o in testa bizzarre e macabre decorazioni che sembravano fatte di ossa, che davano loro un'apparenza mostruosa resa ancora peggiore dal buio lattiginoso che precedeva l'alba. Alcuni avevano solo il volto dipinto con disegni neri più o meno complessi, come la donna che sembrava la comandante e che appariva come una rosa in mezzo ai rovi, silenziosa e immobile sul suo cavallo nero, illuminata da un raggio di luna fugace.

Yuuji rimase imbambolato per qualche secondo, mentre ancora cliccava febbrilmente il grilletto come se nuovi proiettili potessero riapparire spontaneamente nei loro alloggiamenti.

Alla fine le urla dei compagni lo riscossero e scese dal suo trespolo un istante prima che una freccia colpisse il punto esatto dove si sarebbe trovato se non si fosse spostato: tornò alla realtà con violenza, come se avesse ricevuto un pugno nello stomaco.

Solo in quel momento si accorse realmente di quello che stava succedendo: alcune tende erano in fiamme, ormai irrecuperabili, tra cui quella dove erano state trasportate tutte le provviste raccolte.

Si guardò intorno, cercando con lo sguardo la tenda che gli interessava di più: Hana dormiva con un'altra ragazza sua coetanea a pochi passi da quella dove aveva dormito lui la prima notte, ma Yuuji non riusciva nemmeno a vedere oltre il suo naso in mezzo al fumo.

La chiamò, urlando forte in una cacofonia di altre urla mentre le frecce seminavano morte tutt'intorno.

Un ragazzo più piccolo di lui di cui non conosceva nemmeno il nome venne trafitto precisamente in mezzo alla fronte mentre cercava di scappare, e nella mente di Yuuji riapparvero le immagini che aveva cercato di chiudere fuori: i suoi amici, morti solo poche ore prima anche per colpa sua, probabilmente ancora abbandonati nel bosco.

Avrebbe solo voluto raggomitolarsi in un buco al sicuro, chiudere gli occhi e spegnersi, dimenticare tutto. Avrebbe preferito essere morto subito insieme agli altri piuttosto che rivivere ancora la stessa esperienza.

 

Poi ripensò ad Hana.

Ripensò alla sua voce un po' cantilenante che gli aveva tenuto compagnia in infermeria mentre ondeggiava tra il sonno e la veglia, alle sue mani morbide che gli avevano riapplicato l'unguento sospirando, alle parole di conforto che gli aveva rivolto nonostante avrebbe avuto tutti i motivi per rimproverarlo.

Ripensò a quelle parole, che l'avevano motivato ad alzarsi e riprendere la sua vita in mano, anche se fino a pochi minuti prima aveva sperato solo di dissolversi. Non aveva mai provato un senso di colpa di un'entità simile, così grande da rischiare di esserne divorato dall'interno.

I suoi amici erano morti anche per colpa sua, non poteva negarlo, ma poteva fare ancora qualcosa.

Hana gli aveva detto che poteva cercare di proteggere gli altri, poteva cercare di fare qualcosa di buono per costruire il futuro sulla Terra tutti insieme.

Futuro… davvero lei credeva che avrebbero avuto un futuro?

Gli era piaciuta quella parola pronunciata dalle labbra di lei, sussurrata da quelle labbra che erano state prima di un'amica di infanzia e poi avevano lentamente cambiato significato… c'era sempre stata una dolcezza insita nei suoi rimproveri, e anche se fin da quando erano piccoli si era comportata come la madre che Yuuji non aveva mai avuto (nonostante avessero pressappoco la stessa età) sgridandolo per ogni manifestazione della sua innata ed esagerata vivacità, crescendo entrambi avevano iniziato a comportarsi in modo diverso.

Lui era cresciuto nell'orfanotrofio dell'Arca, lei apparteneva ad una famiglia discretamente abbiente della stazione Arcadia, e sua madre si occupava di gestire quella che chiamava un po' ipocritamente “casa famiglia”, che non aveva nulla né di una casa né di una famiglia.

Hana si era trovata fin da piccola a giocare con i bambini orfani, ed era particolarmente portata a prendersi a cuore i casi più disperati: per questo si era affezionata in fretta a Yuuji, che sembrava tanto vivace e simpatico ma era una fonte inesauribile di guai, incapace di darsi un freno e di sottostare all'autorità di chiunque.

 

Non era ancora riuscito a chiederle come mai fosse stata confinata nelle prigioni dell'Arca.

La figlia modello di una famiglia modello non avrebbe mai dovuto essere spedita sulla Terra insieme alla peggior feccia, e invece se l'era ritrovata a pochi posti di distanza sulla navicella che li aveva condotti lì.

Lui era stato confinato a quindici anni per un furto che aveva compiuto per scommessa nell'unità abitativa di uno dei consiglieri.

Aveva passato due anni in prigione, ma tecnicamente la scommessa l'aveva vinta.

 

Dopo una breve corsa si fermò, tossendo e ansimando per il fumo.

Gli occhi gli bruciavano, e ci mise un istante di troppo a mettere a fuoco la scena che aveva davanti.

La tenda di Hana era avvolta dalle fiamme, come altre tre o quattro che vi erano ammassate intorno, compresa quella vuota che lui stesso aveva diviso con i suoi amici ormai morti.

Terushima si impose di mantenere la calma: tra tutte le persone che correvano e gridavano intorno a lui, prese di sorpresa nel sonno dall'attacco, sicuramente doveva esserci anche lei.

Vista la sua propensione ad aiutare il prossimo, di sicuro stava cercando di salvare qualcuno o di portare i più deboli al riparo nella navicella.

Sì, sicuramente doveva essere andata così.

 

 

Hajime era stato tra i primi a svegliarsi e a raggiungere le fortificazioni per rispondere al fuoco, ma era stato chiaro fin da subito che i proiettili erano troppo pochi e i terrestri erano troppi. Ognuno dei colpi andati a segno era una goccia nell'oceano.

Come avevano fatto a farsi cogliere di sorpresa in quel modo?

Oikawa al suo fianco stava già ricaricando la pistola, dopo aver colpito alcuni degli aggressori con una mira invidiabile. Non aveva mai sparato prima, ma Hajime doveva riconoscere che il suo amico d'infanzia avesse un talento naturale, che lui invece aveva impiegato anni a sviluppare.

Ancora il rinculo lo infastidiva un po', ma Tooru restava al suo fianco dietro le fortificazioni, cercando di schivare le frecce che fischiavano loro accanto.

Avevano perso di vista molti degli altri nell'inferno dell'incendio: il vento stava spingendo il fuoco dalla parte opposta e avevano lasciato Daichi e Sugawara a coordinare un gruppo al fine di cercare di spegnere le fiamme con le poche scorte d'acqua che avevano raccolto.

Che la loro avventura sulla Terra dovesse finire così?

Le fortificazioni tremavano ad ogni assalto: alcune delle sezioni costruite in legno erano ormai quasi totalmente divorate dalle fiamme e i terrestri minacciavano di entrare da un momento all'altro: Hajime sperava che gli spunzoni metallici che aveva proposto di posizionare nei punti più deboli del muro avrebbero fatto il loro lavoro, ma l'attacco definitivo poteva solo essere rimandato.

 

All'improvviso Tooru gli fece un cenno per attirare la sua attenzione, per poi chiedergli quanti proiettili gli fossero rimasti. Iwaizumi alzò quattro dita.

“Ho un'idea” gli disse, di nuovo con quell'espressione che Hajime conosceva molto bene.

“Fortunatamente ho lasciato a Koushi uno di questi” disse, tirando fuori un oggetto che sembrava una scatoletta di metallo nero con un pezzo di fil di ferro a fungere da antenna e una sorta di microfono “è un prototipo, spero che almeno lo abbia con sé… Ora seguimi, Iwa-chan” disse, mettendo via la pistola e arretrando verso la navicella, all'interno della quale si erano già radunati molti dei sopravvissuti all'attacco.

“Sugawara, sono Oikawa, mi senti?”

Gli rispose un ronzio minaccioso. Avvicinò di nuovo i fili del rudimentale walkie-talkie perché facessero contatto e riprovò ancora due, tre volte.

Quando stava per perdere le speranze, la voce roca di Koushi rispose dall'altro capo dell'apparecchio, tra un colpo di tosse e l'altro.

“Qui Sugawara, abbiamo perso le provviste e una parte dei medicinali… stiamo cercando di spegnere l'incendio” disse, tra un ronzio e l'altro.

“Lasciate perdere, con questo vento non ce la potete fare… portate tutti nella navicella nel minor tempo possibile, noi cerchiamo di coprirvi!”

“Ok, ricevuto” sentì rispondere Koushi con una pesante ombra di rassegnazione nella voce.

 

 

La prima persona a cui Tobio aveva pensato quando la prima freccia aveva fischiato a pochi metri da lui era stato Shoyo.

Con la sua arma stretta in mano fino a farsi male aveva corso a perdifiato verso la tenda che avevano già condiviso, che era stata tra le prime a prendere fuoco.

Shoyo era in piedi, immobile davanti all'ammasso di legno e stoffa che bruciava, facile bersaglio per le frecce.

Il suo sguardo era vuoto, nei suoi occhi si poteva intravedere il ricordo della distruzione di un altro luogo che si era arrischiato a chiamare casa.

Tobio cercò invano di riscuoterlo, poi lo trascinò letteralmente via per un braccio, alla ricerca di un posto sicuro per entrambi. Shoyo non reagiva alle sue parole, ma ogni tanto pronunciava frasi incomprensibili nella lingua dei terrestri, visibilmente sotto shock.

 

 

Nell'accampamento ognuno aveva reagito in modo diverso all'emergenza: chi cercava di riunirsi ai pochi affetti che gli erano rimasti, chi si univa ad un piccolo gruppo di difesa che cercava di puntellare le fortificazioni sul punto di crollare e rispondeva al fuoco come poteva, chi correva avanti e indietro in preda al panico e senza dare alcun contributo concreto (Bokuto), chi piangeva gli amici che non aveva potuto salvare, chi cercava disperatamente di spegnere le fiamme.

Solo uno di loro, però, si arrampicò sulle fortificazioni e saltò dall'altra parte, ignorando la propria gamba ferita.

“Ryuu! Che stai facendo? Non...” Nishinoya non riuscì a fermarlo prima che scomparisse dall'altro lato e fece per corrergli dietro, ma Asahi lo trattenne, sollevandolo letteralmente da terra.

“Lasciami andare… si farà ammazzare, non possiamo lasciare che lo faccia!”

“Io invece non posso lasciare che tu ti faccia ammazzare” ribattè Asahi in preda al panico ma con la voce ferma, nonostante le mani che tremavano.

 

Tanaka sapeva che era colpa sua.

Era stato lui a uccidere quel terrestre con una freccia, anche se probabilmente se non l'avesse fatto sarebbe morto lui stesso.

Era stato lui a non volerlo rivelare, ottenebrato dai primi sintomi del veleno e dalla paura di morire.

Se solo si fosse sacrificato nel momento giusto, nulla di ciò che stava accadendo sarebbe successo.

Aveva pensato prima a sopravvivere nell'immediato e poi al futuro: non era abituato a proteggere altri al di fuori di sé stesso, visto che l'ultima volta che lo aveva fatto si era rovinato la vita con le sue stesse mani. Ma ora era diverso: stava lentamente costruendo delle amicizie, c'erano delle persone a cui teneva nel campo e non voleva che morissero per colpa sua.

Da quando aveva appreso che con ogni probabilità Saeko era morta sulla Walden non riusciva a pensare lucidamente: a cosa serviva combattere per sopravvivere se ogni speranza gli veniva strappata in quel modo?

Ma poi… davvero consegnandosi al nemico avrebbe risolto tutto? Davvero sarebbe bastato?

Non restava che scoprirlo.

 

 

La navicella era particolarmente affollata, ma Hajime notò che Sugawara non era presente; il caposquadra Daichi invece era a pochi metri da lui, accanto al portellone, con il viso annerito dalla fuliggine e un'espressione spaventosa: Koushi l'aveva obbligato ad andare avanti senza di lui, che come sempre si sentiva in dovere di alleviare tutte le sofferenze di coloro che lo circondavano e si era fermato a soccorrere alcuni feriti lungo la strada. Daichi aveva ricevuto il compito di guidare tutti al sicuro e proteggerli, ma fremeva dalla voglia di mollare tutto e tornare a raggiungere la sua metà.

Le sue nocche erano bianche dallo sforzo di stringere morbosamente il fucile d'assalto tra le mani, e salutò l'ex sottoposto con un cenno per poi tornare a fissare un punto lontano, combattendo la sua battaglia interiore.

Hajime lo capiva. Tooru gli aveva chiesto di cercare Hanamaki e Matsukawa all'interno e di farsi aiutare da loro (che avevano ottenuto altre armi e munizioni in precedenza) e da chiunque fosse disponibile ad aprire il maggior numero possibile di proiettili, raccogliendone la polvere da sparo in un contenitore metallico. L'amico era quindi sparito dall'altro lato della navicella, dopo avergli assicurato che lo avrebbe raggiunto in poco tempo. Iwaizumi fece ciò che Oikawa gli aveva chiesto, sperando che ciò che Tooru aveva in mente andasse a buon fine.

 

 

Tanaka si trovò in una situazione ancora più complicata di ciò che aveva immaginato: una volta gettatosi dall'altra parte del muro di legno e metallo aveva alzato le mani, in un disperato tentativo di instaurare un dialogo per evitare lo scontro diretto.

“Sono stato io! Sono stato io a uccidere un membro del vostro popolo, anche se l'ho fatto per difendermi! E ora mi consegnerò a voi, se smetterete di fare del male ai miei compagni!” urlò forte e chiaro, la testa alta e lo sguardo rivolto alla bella comandante, che spronò il cavallo in avanti facendosi strada tra gli uomini per valutare l'offerta di sacrificio di Ryuu.

Fu in quel momento che una voce si alzò tra la folla dei guerrieri: era lo stesso individuo che aveva chiesto la loro uccisione il giorno precedente, ed era evidentemente un personaggio importante nel villaggio in quanto tutti gli altri terrestri si zittirono per ascoltarlo.

“Ormai è tardi, Skaikru! Il fuoco della vendetta è stato acceso e alimentato dalla vostra fuga, non possiamo più accontentarci di una sola morte… anche se ho intenzione di prendere personalmente la tua vita!” concluse, sfoderando un coltellaccio ricurvo e lungo almeno trenta centimetri, per poi lanciarsi nella sua direzione.

Tanaka scartò di lato, non senza una fitta dolorosa al ginocchio. Fortunatamente il terrestre non era agile come lui e rimase sbilanciato per un istante di troppo, lasciandogli il tempo di strappare un ramo da un albero vicino e parare a fatica il colpo successivo, in un tentativo estremo di difesa.

“Fermatevi” impose con tono autoritario la Comandante, alzando una mano dalle dita lunghe e affusolate ma che emanava una strana forza “Noi non ci comportiamo così, lui intende sacrificarsi per salvare il suo popolo e la sua scelta va rispettata, anche se tardiva” concluse la ragazza, mentre i suoi occhi blu come lo spazio profondo indugiavano su Ryuu.

“Abbiamo ottenuto di spaventarli e la nostra vendetta, ed è ciò che volevamo… ritiriamoci da vittoriosi, senza aspettare che ricarichino le loro armi da fuoco” aggiunse un altro guerriero dal viso decorato con elaborati disegni neri che Tanaka era convinto di aver già visto: la sua cresta bionda riemergeva dagli incubi della febbre della notte precedente, anche se non era sicuro di quanto fosse sogno e quanto realtà.

 

 

“Si stanno ritirando!” urlò Kuroo, rotolando poi giù dalle fortificazioni per tornare in fretta alla navicella, dove aveva lasciato Kenma poco prima.

Erano stati sorpresi entrambi dalle fiamme nella tenda in parte crollata, e lui stesso aveva portato fuori e sorretto a fatica un Kenma semisvenuto per il fumo, per poi riprendersi in fretta e lanciarsi in una disperata opera di difesa delle fortificazioni. Aveva solo una spalla ammaccata per aver protetto con il suo corpo il più piccolo, che stava per essere travolto da uno degli spessi tronchi che componevano la struttura della tenda (aveva scelto i più spessi e pesanti perché fosse stabile, ma un po' se n'era pentito, e le fitte alla spalla glielo ricordavano dolorosamente).

In ogni caso erano salvi. L'accampamento era praticamente distrutto, ma si sarebbero ripresi in fretta e avrebbero protetto ciò che restava.

Tetsurou contò almeno una quindicina di cadaveri già coperti da teli bruciacchiati, mentre gli ultimi focolai si spegnevano a poco a poco.

Sperò che tra di loro non ci fosse nessuno che conosceva.

Solo avvicinandosi al macabro spettacolo si accorse che accanto a uno di essi vi era un ragazzo accovacciato, che aveva scostato leggermente uno dei teli e si era come raggomitolato su sé stesso, incapace di versare altre lacrime.

 

 

Yuuji poco prima aveva raggiunto la navicella col cuore in gola, la pelle che bruciava e i polmoni in fiamme.

Ne era uscito con frammenti di vetro acuminato al posto del cuore.

Nessuno l'aveva vista, nessuno se non Sugawara.

Il medico era entrato poco dopo di lui, con un'espressione indecifrabile e mortalmente stanca.

Gli aveva risposto con un filo di voce, prima di crollare per la stanchezza tra le braccia del suo Daichi, esausto.

 

“Ho cercato di fare tutto il possibile, ma...”

 

Quella frase sospesa l'aveva colpito come una freccia, più dolorosa di quella tangibile che aveva posto fine alla vita di Hana.

Era stata colpita poco sopra il cuore, proprio mentre stava aiutando Koushi a sorreggere una ragazza ferita.

Almeno era morta subito, senza sentire troppo dolore.

Fu allora che qualcosa si ruppe definitivamente nel cuore di Terushima.

Fu allora che decise che avrebbe avuto la sua vendetta, contro quei terrestri che gli avevano strappato ogni cosa in un battito di ciglia.

Fu allora che si rese conto che quel futuro di cui aveva parlato Hana, a cui per un istante aveva creduto anche lui, non era altro che un'illusione.

 

 

Oikawa aveva appena terminato il suo nuovo prototipo quando gli giunse voce dal piano inferiore della navicella che i terrestri si stavano ritirando.

Con la polvere da sparo raccolta e il carburante recuperato ore prima dalla biposto, Tooru aveva dato vita ad un congegno esplosivo discretamente potente, che però evidentemente non sarebbe più stato utile nell'immediato. Di certo però, con una minaccia simile, in futuro avrebbe potuto essere un ottimo diversivo.

Inoltre non riusciva ancora a comprendere cos'avesse spinto i terrestri a ritirarsi all'improvviso, quando con un minimo ulteriore sforzo avrebbero facilmente potuto conquistare tutto l'accampamento.

Accantonò la sua carica esplosiva rudimentale per tornare in mezzo agli altri, deciso a capire le ragioni di quella reazione.

 

 

“Dovevi lasciarmi andare! Ora lo uccideranno, e noi avremmo dovuto aiutarlo!”

Le proteste di Nishinoya avevano attirato l'attenzione di tutti i sopravvissuti dei Cento che si erano riuniti nella navicella, mentre il ragazzo batteva i pugni sul petto ampio di Asahi, che non sapeva come reagire. Non aveva potuto fare altro che fermarlo, in quel momento. Non aveva avuto nessuna alternativa.

Non aveva potuto fare altro che prenderlo di peso e trascinarlo al riparo dalle frecce, fino alla navicella.

Già proteggendo lui anni prima Noya aveva ottenuto un soggiorno premio non troppo piacevole in prigione e Asahi conosceva fin troppo bene la sua attitudine al sacrificio per gli altri… non era riuscito a fermare Tanaka, ma non poteva permettersi di perdere anche Yuu.

 

Nishinoya sembrava trasfigurato rispetto alla sua solita indole tranquilla e ottimista: i suoi occhi rilucevano decisi e le sue mani tremavano di rabbia, incontrollabili. Perché Asahi l'aveva fermato? Perché Tanaka doveva sacrificarsi per lui? Yuu non poteva accettarlo, non poteva permetterlo… perché Ryuu non aveva provato a immaginare come si sarebbe sentito lui, lasciato indietro in quel modo a convivere col senso di colpa? Perché Azumane continuava a non dire niente, lo sguardo basso a sopportare il peso delle parole che lui stesso gli aveva urlato poco prima? Perché continuava a serrargli le spalle in una morsa avvantaggiandosi della sua forza fisica superiore, come se lui fosse semplicemente un ragazzino da proteggere?

I terrestri si erano ritirati grazie al sacrificio di Ryuu, e ora loro dovevano affrontare il compito ancora più gravoso di contare i morti e i danni.

Con un movimento brusco Yuu si liberò dalla presa di Asahi, che rimase immobile come una marionetta inutilizzata, e uscì dalla navicella dando a tutti le spalle.

Aveva bisogno di restare un po' da solo.

 

 

Con le luci spente e una sensazione di oppressione al petto, Ukai seguì Saeko a tentoni lungo i corridoi pieni di biforcazioni della Walden.

Avevano lasciato gli altri sopravvissuti all'esplosione in una piccola infermeria in disuso, e Takeda aveva tirato fuori da una sacca un paio di piccole bombole di ossigeno che aveva prelevato dalla scorta della sua sala medica: era una goccia nel mare, ma forse avrebbero allungato almeno di qualche minuto la vita di quelle persone.

 

Il medico era rimasto con loro insieme ad Akiteru Tsukishima, che era apparso dal nulla nella sala comune poco dopo l'esplosione, illeso. Anche lui aveva frequentato le lezioni alla scuola dell'Arca con Ittetsu, Keishin e Saeko anni prima, e nonostante fosse originario della stazione Arcadia viveva sulla Walden per motivi ignoti a Takeda e Ukai.

A giudicare dallo sguardo che aveva lanciato a Saeko, però, quei motivi non sembravano così complessi da intuire.

L'ossigeno residuo sarebbe bastato per meno di quindici minuti, perciò dovevano fare in fretta.

Avevano interpretato il secondo boato come il distacco dei due enormi tubi metallici che collegavano la stazione al sistema d'aerazione dell'Arca e ai generatori di elettricità generali, nonché la chiusura di tutte le zone di comunicazione diretta con le altre stazioni orbitanti.

Rimaneva solo una passerella esterna utilizzata dai meccanici spaziali per le riparazioni a legare ancora la Walden all'Arca, e non sarebbe durata per molto.

Finalmente il fascio di luce della torcia di Saeko si fermò contro una porta: per la mancanza di elettricità era necessario forzarla, e Ukai tornò indietro a tentoni per recuperare un piede di porco improvvisato, che usò per spalancarla su una vecchia e polverosa sala controlli.

“In pochissimi sanno che questa sala controlli possiede un sistema indipendente di energia grazie all'illustre sottoscritta… ho scoperto questo posto per sbaglio anni fa mentre scappavo dalle Guardie dopo aver pestato i piedi alla persona sbagliata… aveva i sigilli e l'ingresso era vietato, ma nessuno ha mai scoperto che l'avevo eletto come mio rifugio segreto. Ho rubato un generatore con l'aiuto di un amico e l'ho nascosto qui… ho sempre desiderato tornare a far ripartire questa baracca, per far cagare in mano quel farabutto di un Cancelliere! Di certo non mi sarei mai aspettata di farlo in una situazione simile però...” disse Saeko, elettrizzata.

 

 

Il respiro dei due iniziava a farsi pesante, ma erano ad un passo dalla riuscita del piano di Saeko.

Se solo tutto avesse funzionato…

In ogni caso quella donna era indubbiamente piena di risorse, e senza di lei probabilmente i due non avrebbero saputo come fare a sopravvivere in quella situazione.

 

Saeko iniziò subito a collegare fili e ad armeggiare con alcune leve e pulsanti, che sembrava conoscere alla perfezione.

“Temo che la leva per staccarci dall'Arca si sia inceppata” si voltò dopo pochi minuti con un'espressione terrorizzata, conscia di non avere molto tempo per riuscire a far funzionare tutto quanto e salvare in tal modo i sopravvissuti della Walden.

“Lascia fare a me!” le si avvicinò Ukai, e iniziò a tirare la leva con tutte le sue forze.

Dopo un discreto sforzo finalmente la leva si mosse, e uno scrollone piuttosto violento lo scaraventò dal lato opposto della stanza, con la manopola superiore della leva in mano.

“Vabbè, in fondo non servirà più” commentò Keishin massaggiandosi una spalla e gettando via il pezzo di leva che gli era rimasto in mano, mentre Saeko finiva di mettere a punto i preparativi per puntare verso la Terra.

“Non ti garantisco che atterreremo comodamente… cioè, in realtà non ti garantisco nemmeno che atterreremo, la mia idea si basa su un sistema autonomo che è stato concepito più di cento anni fa ma… se hai un'idea migliore dillo ora, insomma” concluse Saeko, concentrata sul suo compito.

 

Dopo un cenno di diniego di Ukai, Saeko schiacciò l'ultimo pulsante della sequenza, e per qualche istante non successe nulla.

“Ok. Grazie per averci provato, perlomeno morirò con la consapevolezza di averle tentate tutte” disse Keishin con un sospiro.

“Zitto, uomo di poca fede” rispose irritata Saeko, che si stava mordendo a sangue il labbro inferiore.

Ancora qualche istante, e un altro scrollone precedette un sordo tossicchiare dei motori vecchi di cent'anni, fortunatamente alimentati ad energia solare.

“Siamo partiti!!” esultò la ragazza, mentre la Walden si allontanava lentamente dall'Arca, nella speranza di incontrare l'attrazione gravitazionale terrestre.

 


Mi sa che ci ho messo un po' di tempo in più di quanto pensassi ad aggiornare, ma una serie di problemi e i preparativi del Romics purtroppo mi hanno impedito di terminare prima questo capitolo ç_ç Però prometto che d'ora in poi riprenderò ad essere più costante ewe9
E comunque ecco Saeko che entra col botto (SAEKO FOR PRESIDENT) e tutti i nostri eroi che sono alle prese con i terrestri incazzati e con qualche piccolo screzio tra loro... bonus Terushima che è sul punto di schioppare, povera stella (a volte mi dispiace anche un po' per lui però, non è che sono senza cuore come dice una certa Yua... o forse sì, un pochino senza cuore lo sono, lo ammetto).

Ora basta con gli sproloqui >A< Al prossimo aggiornamento!

_Kurai_

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Capitolo 13
*** Through it all ***


Through it all

 

Washijo non si sarebbe mai aspettato che la Walden si sarebbe staccata in quel modo dall'Arca: era vero che abbassando la leva aveva dato il via ad un processo che avrebbe interrotto l'ottanta per cento delle connessioni tra le stazioni, incluso il sistema di diffusione dell'ossigeno, ma non aveva immaginato un distacco così brusco.

Non era avvenuto subito: era passato almeno un quarto d'ora dal termine della riunione quando tutta l'Arca aveva vibrato forte per un istante, mentre la stazione che sarebbe diventata una sorta di vascello spaziale fantasma si allontanava lentamente nello spazio.

Probabilmente la connessione tra le stazioni era stata più debole di quanto avesse immaginato.

In ogni caso, il destino della Walden non era più un suo problema.

Se solo fosse stato più attento, così come i suoi uomini, avrebbe notato che la traiettoria dopo il distacco non era stata del tutto casuale, ed era stato talmente tanto occupato a progettare le ultime fasi di Exodus da non prendere in considerazione l'ipotesi che per qualche oscuro motivo la Walden si stesse dirigendo deliberatamente verso la Terra.

Per lui era ormai un discorso chiuso: il suo principale avversario politico in quel momento probabilmente stava respirando per i suoi ultimi istanti in una bara d'acciaio nel vuoto dello spazio, cercando di aggrapparsi agli ultimi barlumi di coscienza.

La strada era in discesa, le navicelle erano quasi pronte.

 

Aveva trascorso quasi tutta la notte in preda ai ferventi preparativi, mantenuti sotto silenzio per nascondere il fatto che solo un migliaio scarso delle persone che popolavano l'Arca avrebbero potuto lasciare la grande stazione orbitante.

Poi, poco prima dell'alba delle luci circadiane, improvvisamente altri diciotto schermi della stanza delle rilevazioni degli impulsi vitali si erano spenti, uno dopo l'altro.

Che Washijo avesse fatto delle valutazioni affrettate e le radiazioni avessero iniziato lentamente a uccidere i ragazzi sulla Terra? O forse si erano presentate le minacce a cui aveva accennato Oikawa?

Personalmente non gli interessava molto, visto che aveva deciso di puntare verso l'obiettivo iniziale della missione, ossia il monte Tsukuba, per trovarsi il più vicino possibile alla base dentro la montagna e agli approvvigionamenti. I Cento potevano benissimo essere delle pedine sacrificabili, esattamente come i waldeniti: niente più di cavie da laboratorio atte a dimostrare le concrete possibilità di sopravvivenza sul pianeta. Sarebbero rimasti in mezzo alla foresta, mentre lui avrebbe condotto al riparo la sua gente.

La missione Exodus sarebbe stata di sicura riuscita, se i dati sulla base erano esatti.

Erano necessari ancora due giorni per completare tutti i preparativi, e poi finalmente il suo sogno sarebbe diventato realtà.

 

 

Il mattino aveva portato un'aria di sconforto generale sull'accampamento distrutto.

Nessuno si arrischiava a dire nulla e gli sguardi dei sopravvissuti difficilmente si incontravano, se non per abbassarsi subito dopo per concentrarsi sui lavori per sistemare e ricostruire tutto il possibile.

Il cielo era plumbeo e denso di nuvole scure, come a volersi accordare allo stato d'animo generale.

 

Oikawa non riusciva a concentrarsi su nulla e vagava come un'anima in pena da un punto all'altro dell'accampamento, cercando di aiutare dove capitava.

Tutto il cibo era andato perso, quindi bisognava trovare una soluzione in fretta: qualcuno avrebbe dovuto muoversi per andare a caccia, ma nessuno se la sentiva molto di allontanarsi dal campo e l'incendio doveva aver fatto fuggire la maggior parte degli animali.

 

Il silenzio era talmente denso, soprattutto se confrontato col trambusto dei giorni precedenti, che i suoi stessi pensieri gli rimbombavano in testa, riecheggiando e amplificando le sue preoccupazioni.

 

Hajime, Daichi, Asahi e Kuroo stavano scavando diciassette fosse sull'estremo confine del campo, per seppellire i ragazzi morti nell'attacco.

Qualcuno aveva proposto di preparare una pira per rendere il lavoro meno straziante, ma nessuno si era sentito di accendere di nuovo un fuoco dopo il disastro della notte precedente.

Tra i quattro sembrava ci fosse una sorta di gara a chi avesse il muso più lungo, ognuno per un motivo differente.

 

Asahi affondava la rudimentale pala nel terreno con una rabbia inusuale per lui, cercando di non pensare alla discussione con Yuu.

Non avevano mai avuto uno scontro fino a quel momento, e si conoscevano da quando erano bambini. Non sapeva davvero come agire, considerando che non si era affatto pentito di aver trattenuto l'amico.

Non vedeva Nishinoya da quando era uscito con rabbia dalla navicella, e non era nemmeno sicuro di volerlo andare a cercare. Era preoccupato da morire, ma sapeva che in ogni caso Yuu non voleva parlargli.

In che altro modo gli avrebbe fatto pesare di aver praticamente lasciato andare Tanaka incontro a morte certa? Le lacrime scendevano silenziose sul viso di Azumane, che cercava in tutti i modi di concentrarsi sulle zolle di terra sotto di lui annullando tutto il resto, anche se in quel modo riusciva solo a peggiorare ulteriormente il suo umore ripensando allo scopo del suo lavoro.

Non era giusto che Yuu lo odiasse per avergli salvato la vita, oltretutto per la seconda volta in un giorno.

Era sempre stato Yuu a proteggere lui, e per una volta in cui aveva tentato di ricambiare impedendogli di lanciarsi tra le grinfie dei terrestri aveva guadagnato solo rabbia e silenzio.

 

Sentì una mano calda su una spalla: era Daichi, che non aveva uno sguardo migliore del suo ma stava cercando di farsi forza: aveva passato l'ultima ora nella navicella accanto a Koushi, che era crollato dopo aver cercato di soccorrere più persone possibili. Sicuramente si era trattato di stanchezza, visto che dai suoi racconti nei giorni precedenti non aveva avuto un attimo di pace, ma sentirlo abbandonarsi contro di lui privo di sensi lo aveva turbato e preoccupato così tanto che pensava di aver perso almeno due o tre anni di vita (non che pensasse di avere una speranza di vita particolarmente rosea, in un contesto simile).

Daichi lo aveva preso in braccio e lo aveva adagiato su una sorta di amaca che era apparsa nella navicella il giorno precedente (sospettava fosse un'idea di Kuroo, visto che ogni volta che rimaneva a fare compagnia a Kenma finiva per addormentarsi); il viso di Koushi era così pallido e stanco, le occhiaie tradivano i segni di diverse notti insonni, accumulate fin dai giorni precedenti alla partenza per la Terra.

Aveva stretto la mano dalle dita affusolate del suo Koushi tra le sue, e il ragazzo aveva socchiuso i grandi occhi castani, restituendogli una debole stretta.

Dopo un po' però il medico gli aveva chiesto (praticamente imposto) di andare ad aiutare all'esterno, puntualizzando che lui doveva solo riposare un po' e sarebbe stato bene.

In realtà Sugawara aveva dovuto insistere parecchio per cacciarlo dalla navicella, ma alla fine come al solito l'aveva avuta vinta, anche se il bacio che Sawamura gli aveva posato sulle labbra era stato disperato e intriso di parole non dette.

Pochi minuti dopo essere riuscito a mandar via Daichi il medico si era alzato dal suo giaciglio temporaneo, aveva messo a tacere un fastidioso giramento di testa e aveva iniziato a girare tra le persone che avevano subìto ferite la notte precedente, che erano tutte radunate all'interno della navicella, considerata il luogo più sicuro.

 

 

Terushima era riapparso proprio in quel momento, con lo sguardo vuoto ma quasi del tutto illeso.

Si era avvicinato a Koushi, aveva aperto la bocca come per dire qualcosa e poi l'aveva richiusa, ritenendo che le parole fossero inutili.

“Mi dispiace davvero Terushima-kun… so che era tua amica, scusami se non sono stato in grado di proteggerla” disse Sugawara, spaventato dalla vacuità negli occhi di Yuuji.

“...è tutta colpa loro. Lei non aveva fatto niente, i miei amici non avevano fatto niente” rispose il biondo con la voce che tremava.

Koushi non aveva saputo cosa rispondere e aveva abbassato lo sguardo sulle bruciature che sfregiavano il braccio del ragazzo che aveva davanti, che si stava mordendo un labbro a sangue per non lasciar sfuggire gemiti di dolore mentre il medico gli applicava il poco unguento che era riuscito a salvare.

Quando aveva rialzato gli occhi dal suo lavoro diversi minuti dopo, Yuuji era sparito.

 

 

Oikawa aveva intravisto un movimento dal lato opposto dell'accampamento, verso una breccia delle fortificazioni che non era stata ancora riparata.

Si era stropicciato gli occhi, ancora rossi e gonfi per il fumo della notte precedente, e aveva individuato Terushima Yuuji che si allontanava con passo deciso fuori dall'accampamento.

Nessun altro stava guardando in quella direzione, e Tooru accelerò il passo per raggiungerlo anche se era l'ultima persona che avrebbe voluto avere intorno in quel momento.

Gli era sembrato di vedere un oggetto conosciuto tra le sue mani, e intendeva sincerarsene in fretta.

Come era possibile che Yuuji avesse preso la sua bomba custodita al sicuro (evidentemente non abbastanza) nella navicella? Come aveva fatto a capire lo scopo di quel congegno? E soprattutto, cosa intendeva fare con più della metà del loro potenziale di attacco e difesa, soprattutto in previsione di un assalto successivo? Che volesse una vendetta personale?

Nel dubbio, Oikawa continuò a seguirlo per capire quale fosse il suo obiettivo, nella speranza di riuscire a farlo ragionare o almeno di riprendersi la bomba con la forza.

Deglutì rumorosamente, prima di mettere piede fuori dall'accampamento seguendo a breve distanza le impronte di Terushima.

 

 

Yuuji sapeva che il livello superiore della navicella era diventato una sorta di quartier generale per il piccolo gruppo che sembrava aver preso il potere nel campo, e sospettava che le armi si trovassero lì.

La sua pistola era scarica, e necessitava solo di un mezzo per attuare la sua vendetta.

Le parole di conforto di Koushi avevano solo acuito la sua disperazione, e aveva iniziato a pensare a come avrebbe potuto metterla a tacere in fretta.

Aveva spalancato la botola con forza, poi aveva iniziato a cercare armi e munizioni, ma non vi era nulla del genere.

C'erano solo una grande quantità di oggetti metallici, una tanica vuota e uno strano congegno somigliante allo scheletro di uno walkie-talkie. Il ragazzo sbuffò di frustrazione.

Poi il suo sguardo fu catturato da un oggetto di forma cilindrica, celato da un telo grigio macchiato di grasso e carburante.

Sollevò lentamente il telo, scoprendo un semplice contenitore metallico.

Lo agitò, non comprendendone la funzione, rendendosi conto che era pieno di una sostanza liquida. Svitò e sollevò il coperchio, per poi essere stordito dalla puzza del carburante: all'interno del cilindro ce n'era un altro, che Yuuji tirò fuori turandosi il naso e infilando una mano nel liquido vischioso.

Il cilindro interno conteneva una polvere grigia, che il ragazzo riconobbe come polvere da sparo, dopo aver notato decine di bossoli svuotati tra le cianfrusaglie metalliche nella stanza.

 

Nessuno conoscendolo l'avrebbe mai detto, ma Yuuji adorava leggere.

Probabilmente era per puro gusto del proibito, visto che la biblioteca dell'Arca era un luogo assolutamente off-limits senza permessi speciali (i libri cartacei erano ormai rarissimi, e tutti i supporti consultabili erano digitali e comunque non facilmente accessibili senza un foglio firmato da un insegnante o da un superiore di grado): Yuuji vi si era intrufolato più volte durante la notte, e per il piacere del rischio si era divertito a leggere i testi più disparati, tra cui alcuni inaccessibili se non con una firma del Cancelliere in persona.

Nessuno poteva fermarlo quando si metteva in testa di intrufolarsi in luoghi proibiti, nessuno.

Fu grazie a queste sue esperienze notturne che ricordò improvvisamente uno schema che aveva visto anni prima, e che lo aveva affascinato: quel congegno doveva essere indubbiamente un ordigno esplosivo, e per farlo esplodere sarebbe bastata una minuscola scintilla.

Rabbrividì ricordando di averlo scosso pochi minuti prima, poi lo richiuse e lo riavvolse nel telo sporco.

Sgattaiolò lentamente fuori dalla navicella, cercando di non attirare l'attenzione di Koushi che era ancora concentrato sulle sue medicazioni, e uscì all'esterno.

Tutti erano indaffarati nella ricostruzione e nessuno sembrò notarlo, mentre attraversò il campo per raggiungere la foresta.

Gli sarebbe bastato seguire a ritroso le impronte lasciate dal passaggio dell'orda e avrebbe raggiunto il loro villaggio.

Quei terrestri bastardi si sarebbero pentiti di avergli strappato ogni cosa.

 

 

Tooru stava camminando dietro Yuuji da quasi mezz'ora, e ancora il biondo non si era accorto della sua presenza.

Sembrava dannatamente sicuro di dove stesse andando, poiché evidentemente stava seguendo le impronte dei terrestri lasciate la notte precedente.

Oikawa non l'avrebbe mai ammesso, ma probabilmente nei panni di Terushima avrebbe fatto la stessa cosa. Aveva ormai capito quello che Yuuji si accingeva a fare, ma sapeva di doverlo fermare: per quanto potesse essere accecato dalla rabbia, non poteva sprecare in quel modo la sua bomba, tanto più che l'idiota non sapeva che nella foresta c'erano decine e decine di altri villaggi, potenziali minacce di fronte alle quali si sarebbero trovati doppiamente impreparati.

 

Era colpa sua. Era colpa sua per aver lasciato l'ordigno incustodito, per averlo costruito e per aver lasciato che Yuuji lo rubasse. Iwaizumi lo avrebbe mangiato vivo se lo avesse saputo, dopo tutto il lavoro che gli aveva fatto fare per finire in tempo quella bomba che si era poi rivelata inutile; inoltre le conseguenze di un gesto simile sarebbero state imprevedibili, e la responsabilità era soltanto sua.

Oikawa tirò fuori la sua pistola, in cui aveva lasciato un solo proiettile. Avrebbe fatto desistere Yuuji a costo di minacciarlo, a costo di rischiare la vita nel tentativo.

Camminarono ancora per uno o due chilometri, poi Oikawa decise di agire. Non poteva aspettare oltre. Il villaggio non doveva essere lontano, a giudicare dal filo di fumo che vedevano oltre gli alberi.

 

“Sei sicuro di quello che stai per fare o stai andando a suicidarti guidato dalla rabbia?” disse Tooru, facendo sobbalzare leggermente Yuuji, che però girandosi riprese il suo cipiglio strafottente.

“Se anche fosse, non ho niente da perdere. E tu non riuscirai a impedirmelo, perché ormai ho deciso” rispose il biondo, stringendo più forte l'ordigno.

Tooru sollevò davanti a sé la pistola, irritato dal comportamento di Yuuji.

“Tu non hai niente da perdere, ma l'intero accampamento grazie a questa tua bravata perderà ogni speranza di difesa contro nuovi attacchi terrestri… davvero vuoi che tutti i nostri muoiano per il tuo desiderio di vendetta? Oltretutto stanotte i terrestri ci hanno attaccati per vendicarsi di un solo morto tra le loro fila, oltretutto per legittima difesa… cosa pensi che faranno i loro superstiti se farai saltare un intero villaggio?”

“Non mi sembra che tu abbia mosso un dito per difendere tutti i miei amici quando sono stati uccisi… e le tue sono comunque solo supposizioni. A proposito, visto che fai tanto il difensore della pace e dell'armonia… davvero ora vorresti spararmi e farmi saltare insieme alla bomba, dopo tutte queste belle parole?” ghignò Yuuji, convinto di avere un asso nella manica.

“Non sarà necessario, perché ora tu mi seguirai e torneremo indietro. Pianificheremo insieme un contrattacco e potrai vendicare i tuoi amici senza metterci tutti in pericolo” puntò sulla diplomazia Tooru, che in realtà per un attimo aveva desiderato davvero di premere quel grilletto.

 

Il sentiero su cui si trovavano seguiva parallelamente il fiume, da cui li divideva un ripido declivio.

Nessuno dei due si mosse né disse nulla per qualche istante, attendendo una mossa dell'altro.

“Ok, torniamo indietro” disse Terushima, con una strana espressione.

“Sono contento che anche tu riesca ad essere ragionevole, ogni tanto. Ora dammi la bomba, per favore” aggiunse Oikawa, stupito dalla facile vittoria.

Yuuji fece due passi nella sua direzione, continuando a tenere l'ordigno avvolto nel telo con il braccio destro.

Protese in avanti le mani per porgerglielo, con estrema delicatezza.

Non lo guardava negli occhi, ma fissava la mano di Tooru che abbassava lentamente la pistola.

Fu nel momento in cui Oikawa stava per sfiorare il cilindro metallico che la spinta di Terushima arrivò imprevedibile e violenta.

Nella foga Tooru si aggrappò alla maglia di Yuuji, trascinandolo con sé nella caduta.

 

 

Nel frattempo, nella foga della ricostruzione dell'accampamento, altre persone avevano deciso per motivi diversi di allontanarsi dal campo, nella convinzione che potesse servire a qualcosa.

 

Bokuto era completamente annientato dal dramma della distruzione del cibo.

Perfino le barrette schifosissime dell'Arca erano andate in fumo, e anche se cercava di tenersi impegnato il suo stomaco continuava a brontolare più forte dei suoi pensieri.

Ad un certo punto aveva deciso di accantonare il lavoro a metà, lasciando una tenda tutta storta alla misericordia altrui, prendere una lancia e inoltrarsi nel bosco.

Il passaggio successivo rischiavano di essere le allucinazioni in cui tutti i suoi amici prendevano le sembianze di bistecche, e non voleva arrivare a quel punto. Forse era troppo drammatico, ma non mangiava decentemente da ore (esattamente come tutti gli altri) e forse quelle barrette di cui aveva abusato nei giorni precedenti davano seriamente dipendenza.

Intorno al campo non c'era nessuna traccia di animali: l'incendio doveva averli fatti fuggire per chilometri, e anche sulle rive del lago non ce n'era nemmeno uno ad abbeverarsi.

Koutarou stava per arrendersi quando vide un gran numero di cespugli pieni di bacche rosse dall'apparenza appetitosa: sicuramente sarebbero state meglio di niente, se ne sarebbe accontentato pur di riempirsi lo stomaco e avere pace.

Si avventò sulle bacche, divorandole a mani piene. Avevano un gusto fresco e dolcissimo, che gli solleticava le papille gustative.

Si sedette in riva al lago, contemplando le increspature dell'acqua.

Più ne mangiava e più sentiva i pensieri slegarsi e le palpebre diventare pesanti, mentre gli angoli della sua bocca sembravano tirare verso l'alto e la vista iniziava a sfarfallare.

Nonostante ciò non riusciva a smettere.

Improvvisamente distinse con chiarezza una sagoma alle sue spalle, riflessa nel lago.

Si girò di scatto, per poi sentire un ago pungergli violentemente il collo.

Cercò di difendersi, ma la lancia gli scivolò dalle mani inerti e i muscoli decisero di non dare più ascolto ai suoi comandi.

Gli rimase impressa nella mente l'immagine del suo aggressore, il cui viso non era visibile perché nascosto da un casco anti-radiazioni, così come il corpo era protetto da un'analoga tuta.

Annaspò, sentendo anche la coscienza venire meno.

Poi tutto perse i contorni e sfumò nel nero.

 

 

Anche Shoyo si stava allontanando dal campo, deciso a fare qualcosa per evitare di vedere distrutto per la seconda volta un luogo che avrebbe voluto chiamare “casa”.

Tobio era sparito con gli altri ad aiutare ed era particolarmente intrattabile, quindi aveva deciso di tenersi a distanza di sicurezza per un po', tanto più che alcuni dei ragazzi del campo lo guardavano con diffidenza, temendo che potesse essere una spia dei terrestri o qualcosa del genere.

Ci aveva pensato a lungo e aveva ascoltato i discorsi degli Skaikru intorno a lui, che si disperavano per la mancanza di cibo e armi e temevano di non poter resistere ad un nuovo attacco.

Si era ripreso dallo shock in fretta, e aveva deciso di fare quello che poteva per aiutarli.

All'inizio aveva pensato di andare al villaggio dal quale erano stati attaccati, nella speranza di poter risolvere la questione a parole in quanto membro del loro stesso clan, ma poi pensò che l'avrebbero considerato un traditore e avrebbe fatto una fine peggiore di Tanaka, il ragazzo che si era sacrificato perché cessassero le ostilità.

Sapeva che nonostante tutto la tregua sarebbe durata poco, e conoscendo le usanze dei Trikru doveva contribuire a trovare una soluzione, almeno nel breve periodo.

Voleva rivedere sorridere le persone che lo avevano accolto: anche se era con loro da pochissimo si stava già affezionando, e non riusciva ad evitarlo.

Tutto ciò che gli veniva in mente era quel bunker sottoterra di cui Tobio gli aveva fatto giurare di non rivelare l'ubicazione a nessuno, pieno di cibo e armi.

Sembrava l'unica soluzione percorribile, anche se non aveva nessuna intenzione di parlare di nuovo con l'odioso spilungone biondo.

Tuttavia ci avrebbe provato, sarebbe andato da solo e gli avrebbe spiegato la situazione.

Nonostante l'egoismo dei due ragazzi, sicuramente venire a conoscenza delle difficoltà che gli altri stavano affrontando li avrebbe smossi almeno un pochino, o almeno così sperava.

Corse verso il bunker più veloce che poteva, poi smosse le foglie che nascondevano la botola e scivolò all'interno.

 

 

Quei tre giorni senza la luce del sole erano stati lunghissimi per Yamaguchi, che però era felicissimo di averli trascorsi insieme a Tsukishima e al sicuro.

Gli ricordavano le lunghe giornate della loro infanzia in cui si nascondevano nella loro piccola stanza segreta, che in realtà era solo un piccolo magazzino in disuso: anche lì vi erano centinaia di oggetti inutilizzati, che erano diventati per anni oggetto dei loro giochi.

Avevano scoperto anche una grande cassettiera piena di vestiti, che conteneva alcune uniformi militari, camicie, pantaloni, un vestito da donna bianco e rosa e un sacco di strane cianfrusaglie, tra le quali ognuno dei due aveva scelto i suoi tesori.

Purtroppo da qualche ora sembrava che qualcosa non andasse.

Lui e Kei avevano passato tutta la serata precedente a parlare e a sfogliare un enorme libro sui dinosauri che Tsukki aveva dissotterrato dal fondo della pila di libri, avevano mangiato alcune delle razioni non deperibili contenute nel bunker (la zuppa liofilizzata aveva un gusto intermedio tra il fango e i broccoli, ma tutto sommato non era troppo male) e avevano assaggiato il contenuto di alcune delle bottiglie colorate che avevano trovato al loro arrivo, facendo smorfie e versi quando sentivano l'alcol pizzicargli la gola.

Si erano addormentati sul divano, appoggiati l'uno all'altro.

Non ricordava un'altra serata insieme così spensierata, nemmeno sull'Arca, e aveva chiuso gli occhi col sorriso.

 

Quando si era svegliato, Tsukki sudava freddo e aveva la febbre.

All'inizio aveva pensato che avessero esagerato con gli alcolici la sera prima, ma lui si sentiva benissimo e non aveva mai sentito di sbornie con la febbre.

Aveva bagnato il suo fazzoletto con un po' del contenuto di una bottiglia d'acqua della scorta del bunker e glielo aveva messo sulla fronte. Da quel momento era stato in apprensione, camminando in cerchio come se stesse aspettando una risposta dal cielo.

La risposta arrivò poco dopo, con le sembianze di un ragazzino terrestre dai capelli arancioni.

All'inizio aveva indietreggiato, ricordando di quando Shoyo l'aveva minacciato col coltello, ma poi aveva notato che il ragazzino era disarmato e aveva un sorriso aperto e luminoso.

“Non preoccuparti, non ho detto a nessuno che siete qui e sono da solo” anticipò Shoyo “Scusami per l'ultima volta, non intendevo davvero spaventarti… cioè, volevo spaventarti ma non intendevo farti del male” aggiunse, mettendo le mani avanti.

Yamaguchi era a disagio.

Cosa ci faceva lì il piccolo terrestre? Che fosse un bluff per farli uscire dal bunker?

“Perchè sei qui?” gli chiese con l'intenzione di essere brusco, ma gli uscì un tono dubbioso e tremante.

“L'accampamento è stato distrutto da un attacco di terrestri… non del mio villaggio, ci sono decine e decine di tribù e una dozzina di clan e alcuni sono molto agguerriti” iniziò Shoyo, di nuovo sulla difensiva “ci sono stati morti e feriti, le provviste sono bruciate tutte e le munizioni sono finite, e nel campo sono tutti molto giù di morale… ho pensato che visto che voi avete tanto cibo, munizioni e un posto sicuro potevate… fare qualcosa per i vostri… per i nostri compagni” concluse, imbarazzato.

Yamaguchi sembrava profondamente scosso, e anche meravigliato per il comportamento di Shoyo.

Davvero quel ragazzino era così ingenuo e sincero? Cosa doveva fare, con Tsukki fuori combattimento che non poteva consigliarlo sul da farsi?

“Mi rendo conto che è una situazione difficile ma… anche qui abbiamo un problema. Tsukki sta male, e non so cosa fare per aiutarlo” disse infine Yamaguchi, guardando in basso e ammettendo di avere bisogno d'aiuto a sua volta.

“Potresti anche non fidarti, visto il nostro ultimo incontro… ma io sono figlio di una guaritrice, e se posso fare qualcosa per lui lo farò” rispose Shoyo, sorridendo.

Kei si lamentò, fece una smorfia e socchiuse gli occhi quando la piccola mano del terrestre gli tastò la fronte.

Non capiva cosa stesse succedendo e sentiva tutte le membra pesantissime, ma detestava quel ragazzino e non capiva cosa ci facesse nel bunker insieme a lui e Tadashi.

“Per caso ha subìto delle ferite?” chiese il terrestre, pensieroso.

“Sì, è stato colpito da una scheggia quando siamo atterrati… ma fino a ieri sera stava benissimo!” rispose Yamaguchi, preoccupato.

“Mia madre diceva che quando una persona non cura o non tiene ben medicata una ferita il sangue diventa cattivo e la fronte scotta” ricordò Shoyo, mentre gli venivano gli occhi lucidi al pensiero della madre “Potresti applicargli un po' di questo, ma temo che le cure del vostro guaritore siano necessarie perché io non saprei che altro fare…” gli passò una scatolina di unguento verdastro e puzzolente, che Tadashi accettò prontamente.

Tagliò la gamba del pantalone dell'amico e iniziò a srotolare la benda della medicazione: al di sotto la pelle era livida e violacea, e la ferita aveva un inquietante colore giallastro.

“Vado a chiamare il guaritore Koushi…” disse Shoyo, per poi saettare verso la scala a pioli e poi fuori dalla botola. La situazione stava avendo un risvolto decisamente inaspettato.

 

 

Tooru riaprì gli occhi e la prima cosa che vide fu un grosso insetto che si stava avvicinando alla sua faccia. Si alzò seduto di scatto, risvegliando tante piccole fitte di dolore conseguenti alla caduta.

Si portò una mano alla fronte, dove sentiva una fastidiosa sensazione viscida e fredda: aveva un taglio sul sopracciglio che sanguinava abbondantemente, ma tutto sommato gli sembrava di essere ancora tutto intero, anche se probabilmente pieno di lividi e contusioni.

Si guardò intorno.

Non sapeva quanto tempo fosse passato, ma di Yuuji non c'era nessuna traccia.

Inoltre, come scoprì un istante dopo, non c'era nessuna traccia neppure della sua pistola.

Imprecò più volte, maledicendo il momento in cui si era fidato della risposta di quell'idiota.

Fece per alzarsi con attenzione, ma scoprì di non riuscire ad appoggiare il peso sulla gamba destra: il ginocchio era esageratamente gonfio e pulsante, e quando riuscì a mettersi in piedi appoggiandosi sulla gamba sinistra capì che se avesse dovuto contare sulla velocità per fermare Terushima non avrebbe avuto alcuna possibilità.

Zoppicava visibilmente: doveva aver preso una botta notevole nella caduta, e di nuovo imprecò ad alta voce, nonostante non fosse sua abitudine.

Decise comunque che ci avrebbe provato: se la bomba non era ancora esplosa la situazione poteva ancora essere salvata. Risalì il pendio a fatica e tornò sul sentiero, continuando a zoppicare seguendo le impronte dei Trikru calpestate da Yuuji.

Gli alberi si stavano già diradando e la foresta iniziava a mostrare i primi segni della presenza umana quando improvvisamente un boato spaventoso squarciò l'aria e mandò fuori uso l'udito di Oikawa per qualche istante.

Tooru si sentì mancare la terra sotto i piedi.

Il danno era fatto, ora le cose potevano solo peggiorare.

 

 

Yuuji non si era fatto niente nella caduta: aveva approfittato che Oikawa fosse privo di sensi per prendergli la pistola, in modo da assicurarsi un innesco più sicuro per la bomba, quindi era tornato sul sentiero e aveva corso fino al villaggio, i cui abitanti erano tutti radunati in un grande spiazzo, come se stessero aspettando uno spettacolo o qualcosa del genere.

Iniziò a pensare con preoccupazione a come avrebbe potuto arrivare fin lì e piazzare l'ordigno, ma poi si ricordò che non aveva niente da perdere. Decise che avrebbe improvvisato.

Non sapeva entro quale raggio avrebbe avuto azione la bomba, quindi decise che avrebbe dovuto avvicinarsi il più possibile, ma come? Rimase per qualche minuto a pensare, e fu in quel momento che si rese davvero conto dell'enormità di quello che stava per fare.

Per quanto non gli fosse rimasto nessuno al mondo, per quanto quei terrestri gli avessero strappato davanti agli occhi tutti i suoi affetti… davvero quelle donne e quei bambini meritavano di diventare vittime innocenti della sua vendetta? Si sentiva come dissociato: una voce, la stessa che gli aveva sussurrato di spingere Oikawa giù dal dirupo, continuava a ripetergli che anche Hana non aveva avuto nessuna colpa, e che non doveva farsi nessuno scrupolo.

Terushima stava vacillando.

 

Furono i terrestri a decidere per lui.

Un paio di uomini gli arrivarono alle spalle, prendendolo di sorpresa e trascinandolo di peso al centro della piazza.

Che volessero usarlo per suonare l'ouverture del loro concerto di morte, prima della tanto attesa esecuzione di Ryuunosuke?

“Perfetto, va bene così” disse tra sé “Non ho scelta, ma senza dubbio me ne andrò in modo spettacolare” ghignò, proprio nell'istante in cui una guardia portava all'esterno il condannato del giorno, a cui Yuuji stava rubando la scena.

Nello stesso momento anche la Comandante raggiunse la piazza, pronta a presenziare al triste spettacolo. La sua espressione era assente, come se non approvasse del tutto quella macabra tradizione ma dovesse parteciparvi per forza, perché obbligata da un retaggio ereditario di continue vendette e spargimenti di sangue.

Il cilindro metallico era rotolato a terra, e subito uno dei due uomini che l'avevano catturato lo aveva raccolto, curioso di capire di che tipo di oggetto si trattasse.

Terushima attese che l'uomo si avvicinasse il più possibile al centro della piazza, poi con un colpo di reni si liberò della stretta del terrestre che lo stava immobilizzando, prendendolo di sorpresa.

Tirò fuori la pistola e la scena si congelò.

Il proiettile partì deciso dalla canna metallica, diretto verso il cilindro, prima che chiunque intorno a lui potesse fare una mossa qualsiasi.

“È finita” pensò, nel momento in cui tutto diventava bianco e rosso e provava la familiare sensazione che aveva già accompagnato i suoi incubi, mentre il calore insopportabile inghiottiva ogni cosa.

 

 

Ryuunosuke aveva visto tutta la scena come al rallentatore.

Quando Yuuji aveva tirato fuori la pistola aveva approfittato del terrore generale per liberarsi dalla presa della guardia, intenzionato ad approfittare un'altra volta del diversivo.

Poi si era accorto realmente di cosa si trattasse, e alla fuga aveva preferito lanciarsi in una corsa disperata verso la bella Comandante dai capelli corvini.

Un istante prima dell'esplosione le corse incontro e si gettò a terra, proteggendola con il suo corpo.

 

 

Through it all, we've been thrown in the fire
We've been lost in the flame

But we will rise from the ashes again
All our hearts have been broken

We've been burned by the flame
But we will rise from the ashes again

(“Through it all”, Spoken)

 


 

Ed ecco che infine anche questo è finito... potrei definirlo l'inferno dei cliffhanger, visto che non lascio un istante di pace a queste povere creature, ma l'autrice sono io e comando io (?).
Ora siccome ho tantissimo sonno chiudo qui, sperando che la lettura vi sia piaciuta e abbracciandovi tutti in attesa del prossimo aggiornamento!

_Kurai_

 

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Capitolo 14
*** The end is where we begin ***


The end is where we begin


Attraversare l'atmosfera terrestre fu l'esperienza più terrificante che Ittetsu Takeda avesse mai provato in tutta la sua vita.

Accanto a lui Akiteru aveva assunto un colore grigiastro, gli occhi sbarrati per il terrore scatenato dalla vista delle fiamme che avvolgevano ciò che rimaneva della Walden, in caduta libera verso la sua destinazione ultima.

Takeda sapeva che se avessero superato quel momento senza che il rivestimento esterno collassasse sarebbero stati a metà strada verso la salvezza, ma l'altra metà sarebbe stata probabilmente ancora più terrificante: come sarebbero atterrati sulla Terra? La Walden non era stata concepita per quello, i propulsori non sarebbero stati in grado di…

Stava per lasciarsi prendere dal panico, lo sguardo assente mentre somministrava meccanicamente boccate di ossigeno alle persone che aveva intorno con le mani tremanti dalle dita ormai bluastre.

Iniziò a respirare più affannosamente, mentre le luci di emergenza alimentate dal generatore indipendente iniziavano a lampeggiare a ritmo irregolare, segno che l'autonomia dell'ex stazione orbitante era sul punto di terminare del tutto.

Sarebbe morto lì. Sarebbero morti tutti lì.

Quando la mano di Keishin si posò sulla sua spalla gli sorrise con riconoscenza, felice di poterlo vedere un'ultima volta prima dello schianto.

Saeko era rimasta nella sala comandi e l'aveva praticamente cacciato via, sostenendo che sarebbe riuscita a “far atterrare da sola quella dannata carcassa di ferro”.

Saeko spinse al massimo la potenza dei propulsori: mancava pochissimo all'atterraggio e doveva tentare il tutto per tutto, a tutti i costi.

Improvvisamente, pochi istanti prima del contatto con la superficie terrestre, tutte le luci si spensero contemporaneamente.

“Tempismo perfetto” pensò amaramente Keishin, un secondo prima dello schianto.

 

* * *

 

Nishinoya portò per l'ennesima volta la mano al collo, dimenticando l'assenza del suo solito ciondolo, che Asahi non gli aveva ancora ridato.

Rimise la mano con rabbia e frustrazione nella tasca dei pantaloni già lisi e rovinati, l'unico paio che possedeva sulla Terra.

Si era arrampicato sull'albero di Tanaka più di tre ore prima e non aveva nessuna intenzione di scendere: sapeva che non era maturo da parte sua, sapeva che Asahi non aveva colpe, sapeva che in quel momento avrebbe decisamente dovuto essere altrove, ad esempio ad aiutare i compagni a ricostruire il campo.

Dopo aver discusso con il suo amico di sempre (chiamarla discussione non era troppo corretto, visto che la situazione si era trasformata in un suo monologo urlato davanti allo sguardo stupefatto e triste di Azumane) si era allontanato in fretta, deciso inizialmente a correre verso il villaggio terrestre nella speranza che non tutto fosse perduto.

Poi la razionalità l'aveva finalmente scosso dallo shock e aveva capito che Asahi non aveva sbagliato del tutto: non avrebbe potuto fare nulla, solo e disarmato. Era salito sull'albero, come se una forza misteriosa lo avesse guidato fin lì. Era salito su quell'albero, come se da lì lo stesso Tanaka avesse potuto suggerirgli che cosa fare.

Asahi non era venuto a cercarlo.

Non avevano mai litigato, e un comportamento del genere non si accordava minimamente con il suo solito carattere… la vita sulla Terra stava iniziando a cambiarlo, e quel cambiamento non gli piaceva affatto.

Fino a quel momento era stato lui la luce di Asahi, aveva sacrificato il suo futuro facendosi rinchiudere deliberatamente in confinamento pur di difenderlo fino all'ultimo da un'enorme ingiustizia. Azumane in fondo aveva solo cercato di ricambiare, di salvarlo da sé stesso e dal suo enorme spirito di sacrificio - o dalla sua indole suicida, come avrebbe detto Tanaka, come al solito senza peli sulla lingua. Ecco, Ryuu capiva bene quel lato della sua personalità, mentre Azumane si sentiva ancora colpevole per averlo trascinato a fondo con sé fino a quel punto e non si sarebbe mai perdonato se avesse lasciato che Yuu si sacrificasse ancora.

Per quanto fosse un quasi diciottenne grande e grosso con un accenno di barba e un corpo prestante e muscoloso, Asahi era in realtà quanto di più diverso immaginabile da ciò che la sua apparenza suggeriva.

Nei primi tempi del confinamento Yuu aveva dovuto confortarlo per notti intere, mentre la sua ampia schiena era scossa dai brividi e dai singhiozzi e non riusciva ad accettare di essere stato ripudiato dal padre e privato di tutti i suoi sogni in quel modo. Yuu lo aveva salvato più volte allora, lo aveva salvato da sé stesso e dall'autodistruzione, dalla paura e dalla solitudine.

Poi Ryuu era stato trasferito nella loro stessa cella, evidentemente perché nessun altro riusciva a sopportarlo abbastanza tra le stesse quattro mura.

L'amicizia tra i tre si era consolidata a poco a poco, e Yuu si era affezionato a tal punto da considerare Ryuunosuke quasi come un fratello.

“Fratello”… quella parola suonava così strana sull'Arca, dove vigeva l'obbligo stringente del figlio unico: Ryuu era diverso. Ryuu raccontava continuamente di avere una sorella più grande, idealizzandola a tal punto da far spesso pensare a Yuu e Azumane che fosse uno dei tanti frutti della sua fervida immaginazione. Ryuu raccontava di aver ucciso un uomo a meno di dieci anni, per difendere quella sorella che tanto aveva amato ma non era mai venuta a trovarlo in tutto quel tempo.

Ryuu che sapeva sdrammatizzare ogni cosa, anche nella situazione peggiore possibile…

Ryuu che con ogni probabilità non avrebbe mai più rivisto vivo.

Nishinoya si ritrovò a piangere lacrime bollenti, seduto nel punto più largo di uno dei rami più alti con le gambe premute contro il petto.

Sapeva che se l'avesse inseguito non sarebbe cambiato nulla, ma sapeva anche che non si sarebbe mai perdonato per non averlo fatto.

Sapeva che cercando di salvare Tanaka probabilmente sarebbe stato ucciso a sua volta, ma il senso di colpa in ogni caso faceva troppo male. Tuttavia sapeva anche che Asahi non sarebbe sopravvissuto nemmeno un giorno senza di lui.

Non perché Azumane fosse dipendente dalla sua persona o fosse così debole da necessitare di essere difeso da un diciassettenne alto quasi venti centimetri meno di lui, ma perché il loro legame era troppo importante. Non ricordava un giorno che non avesse condiviso con lui fin dalla loro infanzia, e non riusciva ad immaginare un mondo senza la sua presenza.

Lo stesso valeva per Asahi, che gli aveva aperto il suo cuore nella loro ultima notte da adolescenti liberi sull'Arca, quando erano sgattaiolati nei campi solari a guardare le stelle attraverso i vetri spessi delle serre.

Quella confessione era rimasta come nel limbo in quegli anni, un discorso interrotto che non era più stato portato a termine.

 

Asahi quella notte aveva i capelli sciolti: erano più corti e non riusciva ancora a raccoglierseli in un codino, mentre in cella li aveva lasciati crescere oltre le spalle. Aveva una luce particolare negli occhi scuri e si tormentava le mani, come se qualcosa lo stesse preoccupando.

Era un comportamento piuttosto usuale per lui quando era agitato, e Yuu lo conosceva bene.

Gli aveva preso una mano tra le sue, cercando di farlo smettere e di calmare la sua ansia che non riusciva a comprendere fino in fondo.

Sì, erano usciti dalle loro unità abitative durante la notte ed era un'azione non troppo legale per dei minorenni, così come entrare nelle serre dopo il coprifuoco e in assenza di un responsabile, ma il massimo che potevano rischiare era una lavata di capo. Il padre di Asahi era pur sempre un membro del Consiglio ed era stato il responsabile delle serre per anni prima di diventare Cancelliere, quindi di sicuro non sarebbe stata una fuga notturna troppo rischiosa. Per questo l'ansia di Azumane gli sembrava eccessiva, ma conoscendolo non si stupì più di tanto.

Capì la vera causa dello stato d'animo di Asahi quando questi lo invitò a sedersi accanto a lui nel punto più panoramico delle serre, da cui c'era una vista spettacolare della Via Lattea.

“Vorrei dirti una cosa che ho in mente da tanto tempo, ma non ho mai trovato il momento giusto per farlo” iniziò Azumane, fissando il ciondolo argentato che pendeva al collo di Yuu, senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi.

Glielo aveva comprato allo Spaccio per il suo dodicesimo compleanno, ripensando al fatto che Yuu a scuola era rimasto affascinato dal fenomeno dei fulmini. Asahi era ancora orgoglioso di quel piccolo regalo che Nishinoya portava ancora dopo tutti quegli anni, quel sottile ciondolo d'argento che gli era costato quasi tutti i crediti che suo padre gli allungava come paghetta ogni mese e che sicuramente qualcuno dei primi coloni dell'Arca aveva portato dalla Terra.

“Non so come iniziare, ecco… tu sei sempre stato così importante per me in questi anni… e io ultimamente mi sono accorto che nei tuoi confronti… provo un'emozione diversa” disse Asahi con la voce che tremava, le guance in fiamme. Yuu gli stava ancora stringendo la mano e la sentiva tremare tra le sue, perciò gliel'aveva stretta più forte.

Azumane si era accorto di essere innamorato del suo migliore amico già da mesi e aveva programmato quella dichiarazione da tempo, provando quel discorso decine e decine di volte nella sua mente. Aveva scelto le serre perché erano un posto suggestivo e tranquillo e perché molti anni prima suo padre si era dichiarato proprio lì a sua madre. Quando era piccolo, nei rari momenti in cui il padre aveva tempo libero prima che la sua appropriazione di farmaci illeciti fosse scoperta e venisse destituito dal suo ruolo di Cancelliere, Azumane si faceva raccontare quella storia a ripetizione come se fosse una favola, per sforzarsi di immaginare la madre che ricordava a malapena.

 

Nel momento in cui Azumane aveva alzato lo sguardo per incontrare gli occhi di Yuu, talmente vicini da vedere tutte le piccole pagliuzze dorate nelle sue iridi, un rumore li aveva fatti sobbalzare entrambi. Che qualcuno li avesse visti entrare lì dentro e seguiti?

Si erano guardati intorno, ma nelle serre non c'era nessuno.

Avevano tirato entrambi un sospiro di sollievo ed erano rimasti in silenzio ancora per qualche istante, persi in uno di quei momenti in cui gli sguardi dicono più di mille parole.

Di nuovo un rumore li aveva interrotti, e si erano alzati entrambi con i cuori che battevano a mille.

Avevano riattraversato a ritroso tutto il corridoio che costeggiava le serre e l'avevano vista: la porta della piccola serra speciale dove si trovava “l'Ultimo Albero”, ossia il cimelio più importante sull'Arca che ricordasse la vita sulla Terra (talmente importante da essere tirato fuori solo una volta l'anno con grandi cerimonie), era aperta.

La stanza aveva un codice di riconoscimento e sulla porta campeggiava una scritta rossa che scoraggiava chiunque anche solo ad avvicinarsi, non era possibile che qualcuno l'avesse lasciata aperta per sbaglio.

I due si affacciarono dal sottile spiraglio e la vista all'interno li sconvolse.

L'Ultimo Albero era in fiamme, sul suo piedistallo al centro della sua piccola serra privata.

Asahi si precipitò all'interno, deciso a spegnerlo immediatamente in qualunque modo fosse in suo potere, seguito prontamente da Nishinoya.

Non appena ebbero varcato la soglia della stanza proibita, un suono assordante e continuo aveva rivelato all'intera Arca la loro presenza.

Azumane era stato accusato immediatamente dalle guardie che erano accorse pochi istanti dopo insieme a metà dei membri del Consiglio, che si erano trovati lì in così breve tempo da destare lampanti sospetti (su cui però nessuno aveva indagato) e Yuu aveva cercato di proteggerlo.

Era andata così, e il padre di Asahi aveva perfino rifiutato di difenderlo al processo. Non lo aveva neppure guardato, pur sapendo che la sua colpevolezza significava che il figlio non avrebbe superato i diciott'anni.

 

Né Azumane né Yuu avevano più parlato di quella notte.

Il loro rapporto era rimasto tale e quale e nessuno dei due aveva più fatto nulla per cambiarlo.

 

Nishinoya decise di scendere dall'albero solo nel pomeriggio inoltrato, mentre ancora gli altri erano alle prese con la difficile ripresa dopo l'incendio.

Non aveva comunque nessuna intenzione di scusarsi per le parole che gli aveva urlato, perché in ogni caso Asahi non aveva avuto alcun diritto di impedirgli di compiere la sua scelta – anche se suicida – ma almeno si era schiarito la mente, e aveva capito che non avrebbe dovuto prendersela con lui, perché in fondo aveva agito con le migliori intenzioni. Inoltre dopo averlo salvato dalle grinfie dei terrestri vendicativi già una volta, effettivamente Azumane aveva tutte le ragioni del mondo a cercare di impedire che la storia si ripetesse.

Lo aveva cercato al campo e lo aveva trovato dopo parecchi minuti, sporco di terra, fango e cenere, che insieme a Iwaizumi, Daichi e un folto gruppo di ragazzi lavorava alla costruzione di quella che sembrava una sorta di baracca, più stabile e sicura delle tende. Era rimasto a guardarlo da lontano, indeciso sul da farsi, poi si era avvicinato e aveva afferrato l'altra estremità del grosso tronco che Azumane stava per sollevare.

Gli aveva rivolto un debole sorriso nel momento in cui Asahi se n'era accorto, e dopo che ebbero messo in posizione il pilastro portante gli si avvicinò, deciso a chiarire.

“Non avrei dovuto trattarti così” disse, lo sguardo fisso negli occhi scuri del più grande.

Azumane attese qualche secondo di troppo per rispondere, poi sorrise a sua volta “Non preoccuparti, scusami tu se non sono stato in grado di fare nulla per impedire a Ryuu di...” sospirò, lasciando la frase a metà.

“Appena la situazione sarà risolta qui torneremo a cercare il loro villaggio e andremo a controllare la situazione. Quando eravamo prigionieri c'è stata una guardia terrestre che ci ha aiutato, quindi magari…” sorrise Yuu, cercando di convincere anche sé stesso “Ryuu in fondo è pieno di risorse, non può essersi arreso così” concluse.

“Verrò con te, te lo prometto” allargò istintivamente le braccia Asahi, e Yuu si lasciò avvolgere nell'abbraccio senza protestare.

 

 

Oikawa impiegò almeno venti minuti di inutili tentativi per capire che non sarebbe mai riuscito a tornare al campo sulle sue gambe.

Il ginocchio lanciava fitte terribili, simili alla sensazione di milioni di chiodi conficcati nella carne; nemmeno appoggiare tutto il peso su un grosso ramo raccolto lungo la strada gli donava abbastanza sollievo e iniziava a pensare di essere spacciato, solo e ad una distanza indefinita dal campo, impossibile da determinare con chiarezza. Gli sembrava assurdo aver camminato così tanto dietro a Terushima e stringeva i denti solo nella speranza di riuscire a tornare sano e salvo al campo prima del tramonto. In ogni caso era una speranza vana, poiché già il sole era piuttosto basso all'orizzonte e la vista gli sfarfallava di continuo, complice il dolore insopportabile e la ferita alla fronte che continuava a sanguinare copiosamente.
Si sentiva ormai metà del viso viscida di sangue ma aveva rinunciato a pulirsi con la manica già zuppa della maglietta che indossava.

Un passo dietro l'altro, una stilettata di dolore dopo l'altra.

Intorno a lui le ombre iniziavano ad allungarsi e la foresta brulicava di rumori di origine ignota.

Sarebbe morto lì, senza la possibilità di avvertire gli altri di ciò che era successo?

Desiderava solo chiudere gli occhi e smettere di sentire tutto quel dolore che gli spezzava il respiro a ogni passo. Desiderava solo sentire le braccia di Hajime intorno a lui e lasciare che lo confortasse, anche se in realtà era molto più plausibile che prima di confortarlo Iwaizumi lo avrebbe insultato almeno per una buona mezz'ora.

Camminava molto lentamente, attento a non appoggiare troppo peso sul ginocchio fuori uso, ma le gambe gli tremavano incontrollabilmente e sapeva che non avrebbe resistito a lungo. Si lasciò cadere ai piedi di un albero ansimando, con il sudore freddo che gli scendeva lungo la schiena.

Non voleva nemmeno vedere lo stato del ginocchio sotto i pantaloni: gli sembrava che l'articolazione si fosse trasformata in un agglomerato di fuoco pulsante e temeva che l'osso potesse dislocarsi da un momento all'altro se solo avesse fatto un movimento sbagliato. Sospirò e distrattamente infilò una mano nella tasca destra dei pantaloni, per poi incontrare un oggetto che non ricordava di averci messo: il suo walkie talkie che Sugawara gli aveva restituito, il cui gemello si trovava nella navicella.

Un paio di contatti erano saltati nella caduta, ma niente che non potesse riparare anche senza strumenti. Era giunto il momento di verificare il raggio d'azione di quei prototipi.

 

Tooru armeggiò per più di mezz'ora con lo walkie talkie, riuscendo infine a riattivarlo: un ronzio lo avvisò di essere sulla buona strada, e iniziò senza posa a ripetere “Qui Oikawa, passo” nel piccolo microfono.

Dovette aspettare altrettanto tempo perché una voce rispondesse dall'altro capo della linea, ma fortunatamente era proprio quella che sperava di sentire: Hajime era salito al piano superiore della navicella per cercarlo e aveva sentito ronzare la ricetrasmittente.

“Oikawa… dove cazzo sei? Ti cerco da due ore, accidenti a te!” rispose fuori di sé Hajime. Era il suo modo di mostrarsi preoccupato, del resto.

“Iwa-chan… è successa una cosa… ecco, in breve Terushima ha fatto un enorme casino e non sono riuscito a impedirglielo… ha rubato la mia bomba e...”

“Oh merda” lo interruppe Iwaizumi “non dirmi che è andato a far saltare quel villaggio di terrestri e tu hai cercato di seguirlo da solo e ora sei nella foresta e hai bisogno che io venga a salvarti il culo. Non dirmelo, ti prego”

“...Se vuoi posso cercare di indorarti la pillola, Iwa-chan ma… hai indovinato. Detesto ammetterlo, ma temo di non riuscire a camminare fino al campo, la mia gamba ha qualcosa che non va e… oh merda!”

“… Oikawa? Che sta succedendo?”

“Non lo so… c'è qualcuno” abbassò la voce Tooru, spaventato da un rumore di passi nella sua direzione. Chiunque stesse avanzando verso di lui non si stava preoccupando di non pestare i ramoscelli per terra e ogni rumore secco di legno spezzato era più vicino.

Oikawa non osava girarsi, sperando che il tronco dell'albero lo avrebbe nascosto dal nuovo arrivato.

I passi si facevano sempre più pesanti, la presenza più incombente.

“Oikawa…?” sussurrò a sua volta Hajime nel microfono, con il cuore in gola.

Nessuna risposta giunse dall'altro capo, e dopo un istante la ricetrasmittente smise di ronzare.

 

 

Una figura alta e imponente ricoperta da una tuta bianca antiradiazioni gli apparve di fronte, ancora prima che potesse architettare un piano qualsiasi.

L'uomo sollevò una mano avvolta da un guanto dello stesso colore e alzò l'indice, intimandogli il silenzio.

“Dovresti venire con me” disse, con tono monocorde e autoritario.

Tooru fece per dire qualcosa ad Hajime attraverso il walkie talkie ma un altro personaggio vestito allo stesso modo gli apparve alle spalle, torcendogli il polso fino a fargli perdere la presa.

L'uomo che gli stava di fronte schiacciò la ricetrasmittente sotto un piede, distruggendola.

“Chi siete?”

“Persone che possono aiutarti” rispose questi, con tono gelido.

“E se io rifiutassi il vostro aiuto?” lo sfidò Tooru, che non vedeva una via d'uscita da quella situazione.

L'ago gli perforò la carne senza preavviso, gettandolo in pochi istanti in un oblìo nebuloso e senza sogni.

 

 

Hajime saltò letteralmente giù dalla botola, atterrando in piedi davanti a Sugawara e Sawamura che sobbalzarono per la sorpresa, interrompendo l'unico momento di intimità che avevano osato concedersi in quella difficile giornata.

“Mi dispiace interrompervi ma temo di avere delle brutte notizie” disse, serissimo.

 

Daichi era tornato alla navicella per controllare come stesse Koushi; si era preso una pausa così come tutti gli altri ragazzi che stavano lavorando alla baracca, perché ormai il sole stava calando e non avevano più abbastanza luce per continuare. Molti di loro erano già rassegnati a dormire sotto le stelle, ma per fortuna le nuvole plumbee del mattino si erano spostate altrove e faceva ancora piuttosto caldo. Koushi era di nuovo al lavoro, ma nel nuovo ospedale da campo improvvisato c'erano meno di dieci persone, ferite più o meno seriamente.

 

Hajime li prese entrambi da parte, distogliendoli dal loro breve momento privato, e raccontò loro della sua breve comunicazione con Tooru.

Koushi cambiò espressione in pochi istanti, prendendosi poi la testa tra le mani e fissando lo sguardo preoccupato in quello di Daichi.

“Io… io ho visto Terushima diverse ore fa… era irriconoscibile e fuori di sé ma siccome ero occupato a curare i feriti mi sono distratto un istante e l'ho perso di vista… Non avrei dovuto...” disse a mezza voce il medico “Mi stai dicendo che avrebbe fatto saltare il villaggio dei terrestri? E quindi anche Tanaka…? E Oikawa?” continuò, sentendosi come sempre in cuor suo responsabile per non averlo potuto impedire.

“Non so niente, Sugawara-san… so solo che quell'idiota di Oikawa è ferito là fuori da qualche parte e l'ultima volta che ho sentito la sua voce era spaventato da qualcuno o qualcosa… io vado a cercarlo, non mi interessa se non abbiamo più armi” rispose Hajime, fuori di sé.

“Iwaizumi, non conviene agire in modo sconsiderato ora… almeno prendi con te altri due o tre e cercate di essere il più prudenti possibile. Non possiamo continuare a lanciarci in missioni suicide, abbiamo perso già troppe persone, non credi? E aspettate il mattino per muovervi, tra poco tramonterà il sole e rischiate solo di mettervi ulteriormente in pericolo” disse Daichi con tono pacato, con la sua solita praticità da ufficiale che aveva già gestito situazioni molto più difficili. Hajime rispose con il saluto militare come d'abitudine e uscì di corsa, deciso ad andare a cercare Matsukawa e Hanamaki per aggiornarli. Il suo sguardo riluceva di un bagliore fiero e minaccioso, quasi come se potesse emettere scariche elettriche solo con un'occhiata.

 

 

Shoyo riapparve nei pressi della navicella mentre Daichi e Koushi stavano uscendo, quest'ultimo con un'ombra scura sul viso ancora peggiore di quando Tobio gli aveva mentito sulla sorte di Kei e Tadashi.

“Non colpevolizzarti, Koushi… la rabbia e il desiderio di vendetta possono far fare cose terribili alle persone, non potevi sapere quello che aveva in mente” disse Daichi mentre lo tirava a sé, nel tentativo di confortarlo e recuperare quell'intimità che prima gli era stata negata dall'exploit di Hajime.

Purtroppo furono nuovamente interrotti da un agitatissimo Shoyo che iniziò a farfugliare frasi confuse, nel tentativo di far loro capire la situazione ma controllando anche se Kageyama fosse nei dintorni: il piccolo terrestre era sicuro che se avesse saputo che stava rivelando l'ubicazione del bunker, Tobio avrebbe riprovato a fare il lanciatore di coltelli usandolo come bersaglio mobile.

Sugawara e Sawamura seguirono Shoyo nella foresta, scambiandosi sguardi interrogativi e un po' rassegnati, finché non giunsero in vista della botola.

“Cosa significa questo, Shoyo?” disse Daichi, mentre sollevava la lastra di metallo e si sporgeva a valutare la profondità del bunker.

Il terrestre rimase in silenzio, lasciando che rispondessero i fatti.

Scesero tutti e tre nella botola. Alla base della scaletta ad attenderli c'era un preoccupatissimo Yamaguchi, ad un passo dal mettersi a urlare e correre in cerchio per l'agitazione.

Appena lo vide Koushi rimase stupito e abbozzò un sorriso, felice di constatare che le parole di Kageyama non corrispondevano a verità.

“Sugawara-san! Tsukki non sta bene, ho paura che la ferita si sia infettata… non avremmo mai dovuto lasciare l'accampamento...” piagnucolò Tadashi, il cui già scarso autocontrollo iniziava a vacillare.

“Vi chiederò dopo che posto è questo e come siete finiti qui, e se ti consola al momento non ce la passiamo bene nemmeno al campo… comunque fammi strada, vediamo come sta Tsukishima-kun...” sospirò con fare materno Koushi, togliendosi da tracolla la borsa che conteneva tutti i farmaci e gli strumenti medici rimasti dopo l'incendio.

 

 

Con l'arrivo di Sugawara e Sawamura, Tadashi aveva appreso che non era affatto mattina come pensava, ma ormai pomeriggio inoltrato. Pochi giorni senza vedere la luce del sole avevano già confuso i suoi ritmi sonno-veglia, che erano comunque ancora tarati sulle luci circadiane dell'Arca.

Tsukishima non riusciva a restare vigile più di pochi secondi e continuava a ricadere in uno strano sonno delirante, sudando freddo.

Yamaguchi continuava a stare intorno a Koushi mentre cercava di registrare i parametri vitali e di capire l'entità dell'infezione, finché il medico non gli chiese gentilmente di allontanarsi un po' per lasciarlo lavorare. Tadashi si abbandonò seduto su uno dei letti fissando il pavimento, impotente.

Nel frattempo Daichi stava esplorando con Shoyo l'interno del bunker. L'espressione di Sawamura era indecifrabile, e il piccolo terrestre non riusciva a capire se fosse contrariato o sollevato.

L'ex ufficiale soppesò le armi e le munizioni contenute nella grande cassa metallica: almeno un problema era risolto, ma se avessero avuto prima a disposizione tutto quell'arsenale forse le cose sarebbero andate diversamente.

“Potremmo trasferire qui i feriti e le persone troppo deboli per dormire all'aperto finché non finiremo di costruire la baracca di legno” disse fra sé, valutando l'enorme utilità di quel nuovo rifugio “anche se dovremmo nascondere meglio l'entrata, è un miracolo che nessun indigeno abbia scoperto prima di voi l'ubicazione di questo posto”.

Né lui né Koushi avevano ancora detto alcunché per rimproverare i due esuli volontari: la salute di Tsukishima era più importante, e considerando il modo in cui erano cresciuti sull'Arca il loro comportamento non era stato così imprevedibile. Piuttosto Daichi aveva una mezza idea di rimproverare pesantemente Tobio una volta tornati all'accampamento, per aver fatto soffrire inutilmente Koushi mentendogli sulla presunta morte di Kei e Tadashi.

La voce di Sugawara lo distolse dai suoi pensieri, facendolo ripiombare nella realtà.

“Temo di dover riaprire la ferita e non abbiamo più disinfettante a sufficienza nè filo da sutura… avete visto nel bunker una cassetta del pronto soccorso o qualcosa del genere?” chiese con un tono vagamente allarmato ma comunque controllato per non far agitare ulteriormente Tadashi che ormai aveva assunto il colore verdognolo delle coperte militari distese sui letti a castello.

Shoyo, Daichi e Tadashi iniziarono a cercare febbrilmente per tutta la grande stanza sotterranea, smuovendo casse e mobilio alla ricerca di medicinali.

Fu proprio nel momento in cui Koushi stava per rassegnarsi a utilizzare il contenuto di una delle bottiglie di alcolici come disinfettante che Shoyo riemerse vittorioso da sotto uno dei letti, stringendo in mano una valigetta rossa con una croce dipinta sopra. All'interno vi erano diverse mascherine per l'ossigeno, bende e cerotti in quantità, un laccio emostatico, un set per suturare le ferite, una sacca di soluzione fisiologica, alcune siringhe già piene di un ignoto liquido colorato e – tombola! - un intero flacone di acqua ossigenata. Tutto quanto sembrava intatto e la valigetta era ricoperta solo da un leggero strato di polvere, come se non fosse stata lì per un centinaio di anni.

Sugawara strinse il laccio emostatico, sfoderò il bisturi e iniziò a tagliare e ripulire la ferita, mentre Yamaguchi si fiondò nuovamente accanto a Tsukishima, che in un raro momento di lucidità si ritrovò ad urlare per il dolore e stringere fortissimo la mano del migliore amico.

Tutto quanto finì in meno di quindici minuti, anche se nella percezione di Kei la tortura sembrava essere durata ore. Il medico gli fece ingoiare una delle ultime preziosissime pastiglie di antibiotico e rifasciò attentamente la ferita dopo averla suturata.

Kei si addormentò in pochi minuti, provato dal piccolo intervento senza anestesia e dalla febbre, che comunque stava già iniziando a scendere a giudicare dal suo colorito leggermente migliorato.

I quattro rimasero in silenzio per un po', indecisi sul da farsi.

 

 

Kenma si stropicciò gli occhi e sbuffò.

Kuroo gli aveva promesso che l'avrebbe raggiunto il prima possibile ma non si era ancora visto.

Lui era stufo di stare nella navicella, circondato dai lamenti dei feriti e immerso in pensieri che non avrebbe mai voluto dissotterrare dai recessi più profondi della sua mente.

In fondo era rimasto solo un po' intontito per aver respirato tanto fumo, non avrebbe dovuto essere trattenuto lì dentro… invece Tetsurou aveva insistito che restasse ancora un po', per quello stupido istinto di protezione che da quando erano atterrati sulla terra non aveva fatto che aumentare a dismisura.

In realtà Kuroo stesso era rimasto leggermente ferito nell'incendio per proteggerlo e aveva fatto finta di niente, ma Kenma se n'era accorto subito. Avrebbe dovuto restare insieme a lui e farsi controllare quella spalla invece di offrirsi volontario per costruire una baracca con gli altri: sapeva che lo stava facendo anche per lui e che presto sarebbe arrivato il freddo e una tenda non sarebbe più bastata, ma sapeva anche che non sopportava più di essere lasciato da solo perché considerato più debole.

Si alzò del tutto, piegò accuratamente il giaciglio di fortuna e uscì all'esterno, trovando ad accoglierlo il cielo aranciato che preludeva al tramonto: davvero aveva dormito così tanto?

Kuroo stava trasportando della legna, stando attento a concentrare tutto il peso sul braccio destro per non affaticare la spalla sinistra, ma la sua fatica era evidente. Vedendolo accelerò e si affrettò a posare a terra il suo carico per andargli incontro.

Kozume lo guardava storto, reclamando la sua attenzione e rimproverandolo tacitamente per averlo lasciato da solo tutto quel tempo.

Gli si fermò davanti, le braccia conserte e un broncio più che eloquente stampato sul viso.

“Non guardarmi così, quando sono venuto alla navicella dormivi e non volevo svegliarti” rispose Kuroo con il solito mezzo sorriso.

“Potrei anche perdonarti, però promettimi che d'ora in poi smetterai di sacrificarti per me” rispose il biondo, alludendo alla spalla del più grande “avresti dovuto riposarti anche tu, hai una cera terribile” concluse, serio.

“Grazie per il complimento, è tutto naturale” sogghignò Kuroo sarcastico come al solito, con una mezza smorfia.

Poi, senza preavviso, Kenma gli si abbandonò contro il petto, accennando un piccolo sorriso e borbottando uno “Stupido...”. Kuroo lo avvolse in un abbraccio, posandogli un bacio delicato sulla fronte.

“...Mentre venivi qui per caso hai incontrato Bokuto?” chiese Kuroo dal nulla dopo diversi minuti di abbraccio silenzioso.

“No, non l'ho visto… perché?” rispose Kenma, senza mutare posizione.

“Quello scansafatiche è riuscito a evitarsi tutto il lavoro e non lo vedo da ore, mi stavo chiedendo dove fosse finito. Pazienza, prima o poi riapparirà” fece spallucce Tetsurou, per poi cercare la mano di Kozume e stringerla tra le sue.

* * *

Ittetsu Takeda aprì gli occhi.

Sopra di lui era tutto azzurro cupo e appannato e si chiese se non si trovasse in Paradiso, o almeno in quella versione del mondo dopo la morte che aveva visto in certe illustrazioni di antichi libri delle civiltà terrestri occidentali. Ci mise diversi minuti a capire che si trovava coricato su una spiaggia, con l'immensa volta celeste sopra di lui. Gli ci volle qualche altro minuto per rendersi conto che i suoi occhiali erano finiti chissà dove, e si fece prendere dal panico.

Quando i contorni confusi del viso di Keishin apparvero nel suo campo visivo e il marito gli tese la mano, i pezzi confusi della sua memoria iniziarono a rimettersi insieme.

Una volta ripresa la capacità di vedere (Ukai gli aveva tolto gli occhiali mentre era svenuto, temendo che la lente incrinata dallo schianto si rompesse del tutto) Ittetsu scoprì che era rimasto incosciente per ore e che miracolosamente tutti i sopravvissuti della Walden erano ancora vivi.

L'atterraggio di Saeko era stato l'esperienza più rischiosa delle loro vite: la Walden era atterrata con violenza su una vasta distesa sabbiosa scavando un enorme cratere, ma i propulsori avevano minimizzato l'impatto all'ultimo momento, tossicchiando in un'ultima scintilla di vita.

Takeda ringraziò in cuor suo la buona stella della signorina Tanaka: se fossero atterrati appena un centinaio di metri più in là sarebbero tutti morti annegati, visto che nessuno sull'Arca sapeva nuotare.

Ittetsu era così felice di essere vivo che scoppiò a piangere, saltando al collo di Keishin e baciandolo a lungo e con passione tra le lacrime.

Akiteru sospirò, appoggiato a un albero mentre osservava Saeko che camminava scalza sul bagnasciuga, assaporando per la prima volta la sensazione dell'acqua di mare sulla pelle.

L'Arca era lontana, chilometri e chilometri sopra le loro teste, insieme alle sue ingiustizie e alle sue minacce.

L'Arca era lontana, e finalmente potevano ricominciare da zero.

 

The end is where we begin

It's crawling back when

We run away, run away

cuz the end is where we begin

Where broken hearts mend

and start to beat again

The end is where we begin

(The end is where we begin, Thousand Foot Krutch)

 


Inizio subito scusandomi per la lunghissima pausa, ma ultimamente anche la mia vita ha avuto dei plot twist non indifferenti che mi hanno tolto tempo per scrivere *sospir*
In ogni caso ecco questo capitolo lungo per farmi perdonare, anche se non credo che basterà XD Anche perchè ops, mi è semblato di dimenticale un Tanaka (e invece no, vi tocca aspettare il prossimo! *evil grin*)

Ringrazio già in anticipo tutte le persone belle che si ricorderanno di questa storia e leggeranno questo aggiornamento (e soprattutto quelle più belle che recensiranno) uwu

Stay tuned!

_Kurai_

 

 

 

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Capitolo 15
*** Hymn for the missing ***


Hymn for the missing

 

You took it with you when you left
These scars are just a trace
Now it wanders lost and wounded
This heart that I misplaced

Where are you now?
Are you lost?
Will I find you again?
Are you alone?
Are you afraid?
Are you searching for me?
Why did you go? I had to stay
Now I'm reaching for you
Will you wait? will you wait?
Will I see you again?

(Hymn for the missing, Red)

 

Alle prime luci dell'alba, tre ombre silenziose si allontanarono dal campo.

Loro non lo sapevano, ma non avrebbero rivisto quel luogo per molto tempo.

 

Hajime si sistemò meglio a tracolla il fucile d'assalto che gli aveva affidato Daichi poche ore prima, dopo averlo rapidamente aggiornato sulla scoperta del bunker e delle nuove armi.

Aspettare era stata la scelta giusta, e dopo averci ragionato a mente fredda (nonostante l'ansia e la rabbia bruciante che sentiva ribollire in un punto imprecisato del petto) era riuscito perfino a elaborare un piano all'apparenza sensato.

Grazie alle indicazioni di Noya e Asahi, Iwaizumi era riuscito a localizzare sulla mappa l'ubicazione del campo che con ogni probabilità era stato fatto saltare da Terushima (non aveva aggiornato i due ragazzi su quello che sapeva, spinto dalla fretta e dalle circostanze) e con molta approssimazione aveva calcolato il raggio della zona in cui Tooru era stato catturato… sempre che non fosse già stato ucciso.

Quella notte aveva dormito un'ora scarsa e per tutto il tempo aveva sognato di trovarsi di fronte agli occhi vuoti di Oikawa, abbandonato privo di vita in mezzo alla foresta.

Si era svegliato con una nausea terribile ed era uscito all'esterno, prendendo lente boccate d'aria nel tentativo di normalizzare il battito impazzito del suo cuore. Aveva fallito, e si era ritrovato a svuotare il contenuto (scarso) del suo stomaco in mezzo ai cespugli, con quell'immagine terribile ancora fissa negli occhi.

 

Da quando erano partiti non aveva ancora proferito parola, e Matsukawa e Hanamaki avevano seguito il suo esempio: i due si scambiavano lunghi sguardi di preoccupazione e complicità, avanzando silenziosamente nella luce fioca del mattino.

Hajime era rimasto in silenzio finché non avevano iniziato a perlustrare la zona che aveva cerchiato sulla mappa, ma aveva parlato solo per dare indicazioni precise; si erano divisi, concordando un segnale da scambiarsi in caso di necessità.

 

Era stato Takahiro a trovare i resti della ricetrasmittente di Tooru distrutta, e Iwaizumi l'aveva raggiunto in un battito di ciglia, seguito immediatamente da Matsukawa.

“Era qui… poche ore fa era qui...” continuava a ripetere Hajime, stringendo forte i pugni mentre cercava di decifrare sul terreno le tre serie di impronte che poi diventavano due.

Quindi l'assalitore non era stato uno solo, e quei bastardi l'avevano portato via. Molto probabilmente privo di sensi, e sicuramente ferito.

Avevano passato altre due ore a camminare seguendo le orme e perdendole talvolta in mezzo alla foresta, mentre la tensione di Hajime iniziava a diventare palpabile.

 

Era passato mezzogiorno quando si trovarono davanti a una grotta: le impronte portavano lì, non c'era nessun dubbio.

I tre entrarono senza esitare, accendendo le torce. Takahiro si strinse a Issei, tremando per un improvviso brivido gelido.

 

 

Tooru fu svegliato dalle sue stesse urla di terrore, scatenate da un incubo che nemmeno ricordava.

Cercò di muoversi, ma le membra non gli rispondevano come dovevano.

Aprì lentamente gli occhi, confuso e intorpidito dalla sensazione di straniamento: il bianco delle pareti della stanza e del letto su cui era disteso, o meglio immobilizzato, lo accecò per un istante.

Dove si trovava? Com'era arrivato lì? Cos'erano quei tubicini che sparivano sotto le coltri del letto, che probabilmente gli stavano iniettando qualche sostanza sconosciuta? Come mai le coperte erano così difficili da sollevare, e le palpebre gli pesavano così tanto?

Poi, un flash: la spinta, la caduta, il dolore insopportabile, la sensazione di impotenza, l'ago che penetrava violentemente nella pelle morbida del collo.

Richiuse gli occhi, consapevole di trovarsi ancora in un incubo.

 

Quando li riaprì, nulla era cambiato.

Nulla, se non la persona che lo stava fissando da una sedia posta accanto al letto, l'espressione impassibile e un camice dello stesso colore delle pareti.

Tooru sobbalzò, provocandosi un'esplosione di dolore in tutto il corpo.

“Sei sveglio” disse soltanto lo sconosciuto, senza particolari inflessioni, constatando l'ovvio.

“Dove… sono?” chiese, e non riconobbe la voce roca che uscì dalle sue labbra.

“Sei al sicuro, Oikawa” rispose l'ignoto personaggio.

“Come conosci… il mio nome? E perché io non posso sapere chi sei?”

“Io conosco molte cose. E se proprio ci tieni a saperlo, il mio nome è Ushijima Wakatoshi”.

“Perché mi avete portato qui?” chiese ancora Tooru, che in realtà provava l'impulso irresistibile di spaccare a pugni quella faccia dall'espressione imperturbabile, ma aveva a malapena le forze per parlare.

“Eri ridotto male… ti abbiamo operato il ginocchio e ricucito la ferita in testa. Non saresti sopravvissuto a lungo nel bosco” rispose Wakatoshi.

“Mi rendo conto che vorresti tornare dai tuoi amici” riprese “ma a breve anche loro saranno qui… purtroppo dovremo tenervi in quarantena per accertare che le radiazioni non abbiano compromesso le vostre funzioni vitali, ma poi potrete vivere qui tutti insieme al sicuro, protetti dalla Montagna” la voce di Ushijima era sempre monocorde, ma era evidente uno sforzo ulteriore per apparire convincente.

“Ci tenete così tanto a farci stare al sicuro che ci avete lanciato addosso una nube acida, capisco...” commentò Tooru, tristemente sarcastico.

Wakatoshi non rispose e si avvicinò al liquido della flebo, osservando attentamente per qualche istante le gocce trasparenti che scendevano nel tubicino in un lento stillicidio.

“Vorrei che tu capissi che senza di noi saresti morto. Ci devi la vita, e se vorrai collaborare potrai continuare a viverla qui in tranquillità… la nostra comunità è molto unita e verrai accolto con rispetto se ne rispetterai le regole. Anche i tuoi amici potranno vivere qui e smettere di convivere col pericolo là fuori”.

Tooru non riusciva a credere completamente a quelle parole. Ushijima era ragionevole, aveva uno sguardo sicuro e un tono controllato, ma era quel tipo di controllo calcolato, che lasciava intravedere una freddezza manipolatrice dietro lo sguardo privo di calore.

 

 

Hajime aveva perso la cognizione del tempo già da un po', e il rumore dei suoi stessi passi iniziava a confonderlo, rimbombando in ogni direzione. Sentiva Issei e Takahiro sussurrare tra loro alle sue spalle, anche se non riusciva a distinguerne le parole. Andava avanti come un treno, proiettato unicamente verso l'obiettivo di trovare Tooru al più presto.

Improvvisamente si fermò di colpo, addossandosi alla parete. Alzò l'indice davanti alle labbra, intimando il silenzio agli altri due.

Dei passi pesanti si stavano dirigendo nella loro direzione.

Poco più avanti le pareti della grotta si distanziavano tra loro formando una sorta di piccola piazza sotterranea, illuminata da numerose torce rilucenti di fuoco vivo.

Hajime, Issei e Takahiro si appiattirono ulteriormente contro la parete, approfittando del cono d'ombra per cercare di non farsi individuare dai nuovi arrivati: tre uomini dall'aspetto selvaggio e terribile fecero la loro apparizione a pochi metri da loro, emettendo ringhi di soddisfazione e strani versi gutturali che parevano pallide imitazioni di parole.

Tutti e tre avevano il viso per metà o totalmente nascosto da maschere di osso, e uno di loro aveva un'orribile deformazione sporgente che gli deturpava lo zigomo lasciato scoperto; quest'ultimo portava sulle spalle quello che sembrava un uomo privo di sensi e quasi completamente nudo.

Hajime non riusciva a distinguerne il volto, e il suo cuore iniziò a battere così violentemente da fargli male: solo quando il mostro lasciò cadere a terra il suo fardello potè vederne il viso illuminato a malapena dalla torcia, e tirò suo malgrado un flebile sospiro di sollievo nell'individuare tratti sconosciuti in quello che aveva ormai capito essere un cadavere.

Nessuno dei tre si aspettava la scena che si trovarono davanti, e Hanamaki trattenne a fatica un conato di vomito: due dei tre esseri spaventosi iniziarono a tagliare a pezzi e sbranare il malcapitato, contendendosi le parti migliori come se si trattasse di bistecche qualsiasi. Il terzo rimase in disparte ad affilare la spada simile ad una scimitarra che portava al fianco, eclissandosi dallo spargimento di sangue che stava avvenendo a pochi passi da lui.

“Cosa facciamo?” sussurrò Issei, mentre sorreggeva un pallidissimo Takahiro che sembrava sul punto di crollare.

“Torniamo indietro, troveremo un altro accesso” rispose Iwaizumi, con un'ombra di frustrazione nella voce.

 

Hajime stava per voltarsi e tornare sui suoi passi quando qualcosa attirò la sua attenzione: il selvaggio solitario portava agganciato ai vestiti scuri e consumati un oggetto che lui conosceva bene, come una sorta di trofeo di caccia. Era l'orologio di Tooru, e l'avrebbe riconosciuto tra mille. Gli era stato regalato dal padre che l'aveva ricevuto dal nonno, che a sua volta l'aveva ottenuto da un illustre antenato che aveva fatto parte dei prescelti della prima spedizione sull'Arca, e Oikawa ne era sempre stato orgoglioso.

Come era finito nelle mani di quegli individui dall'aspetto inquietante e dalla dieta discutibile? Hajime si rifiutò categoricamente di pensare che Tooru avesse avuto la stessa sorte della portata principale del pasto dei due energumeni ma rimase immobile, lo sguardo rapito dal luccichìo del quadrante dell'orologio.

Matsukawa gli sfiorò la spalla, invitandolo a seguirlo a ritroso nella grotta insieme ad Hanamaki.

“Andate verso l'uscita, io vi raggiungo. Se quando sarete fuori non mi vedete tornare entro dieci minuti tornate al campo” sussurrò Hajime, stringendo i pugni.

“Non fare cazzate, Iwaizumi” rispose l'ex collega, contrariato “a Oikawa non servirà a nulla se ti fai ammazzare da dei cannibali qualsiasi”.

Hajime tolse la sicura al fucile, ignorando le sue parole.

“Come vuoi, amico. Non posso impedirtelo, ma posso fornirti un fuoco di copertura se proprio vuoi fare l'eroe mettendoti contro tre mostri...” sospirò Issei, facendo per togliere la sicura a sua volta.

“E metteresti in pericolo Takahiro? Saprò estorcere a quel tizio l'informazione su dove ha trovato l'orologio di Tooru e lo salverò, ovunque sia. Grazie per avermi accompagnato fin qui.” concluse Hajime, senza lasciare a Matsukawa il tempo di rispondere e gettandosi in avanti, uscendo allo scoperto.

Issei lo insultò mentalmente, odiandolo per averlo costretto a scegliere tra lui e Hanamaki, che in quel momento cercava di farsi forza ma era ancora pallidissimo, lo stomaco scosso da spasmi per la vista del corpo martoriato e sbranato davanti ai suoi occhi.

 

Hajime sparò tre colpi in rapida sequenza: il primo centrò l'uomo dal viso deforme a una tempia, uccidendolo sul colpo mentre era concentrato sul suo pasto. Il secondo mancò di pochi centimetri l'altro energumeno intento a mangiare, che si era spostato appena in tempo alla vista del compagno che cadeva in avanti, a faccia in giù nel sangue altrui.

Questi gli si gettò addosso, buttandolo a terra e facendogli perdere la presa sul fucile.

Iwaizumi iniziò a difendersi con tutto ciò che aveva, cercando di schivare i fendenti del coltello ricurvo ancora sporco di sangue, stordito dal fetore nauseante a metà tra l'odore di selvatico e quello di putrefazione avanzata.

Che avesse sbagliato a mandare via Issei e Takahiro? Non si sarebbe mai perdonato se li avesse messi in pericolo, ma chi avrebbe salvato Tooru se lui fosse morto lì, in una stupida grotta per mano di un abominio della natura che si cibava di altri esseri umani?

Le grandi mani sudice del cannibale si strinsero intorno alla sua gola.

“Che modo stupido per morire” pensò, mentre il suo sguardo si appannava.

 

Poi la stretta si allentò, e una lama metallica ricurva simile a una scimitarra squarciò l'uomo da parte a parte: Hajime rotolò di lato, appena in tempo per non esserne schiacciato ed essere trafitto a sua volta come un macabro spiedino.

Quando capì di essere stato salvato dal terzo componente del gruppetto, quello che era rimasto in disparte tutto il tempo, spalancò gli occhi dallo stupore.

Tuttavia non sembrava che questi gli avesse evitato una morte certa con cognizione di causa, o almeno non per ottenere la sua gratitudine: dalla gola gli usciva uno strano verso gutturale mentre teneva la spada ferma davanti a sé, minacciandolo. L'orologio di Oikawa appeso ai suoi vestiti scintillava alla luce delle torce.

Si studiarono a vicenda, immobili.

Lo strano individuo sembrava diverso dagli altri: i suoi vestiti erano meno rovinati, il viso non era deturpato da sporgenze deformi e gli zigomi erano decorati da pitture simili a quelle dei terrestri che avevano attaccato il campo. Il lato destro del suo viso era ornato da una mandibola – presumibilmente di lupo – simile ad una mezza maschera. I suoi capelli erano corti e chiari, probabilmente di un biondo acceso sotto uno strato di sudiciume, con due segni simili a graffi all'altezza delle tempie.

L'unico aspetto che lo accomunava ai suoi due compagni erano le profonde ombre scure sotto gli occhi e lo sguardo carico d'odio e di una sorta di fame atavica; solo in seguito Hajime avrebbe capito che si trattava di astinenza, e che quei tre uomini, originariamente terrestri come gli altri, erano andati incontro a quella terribile involuzione a causa di una droga concepita proprio dagli abitanti della montagna a cui lui stesso avrebbe voluto chiedere aiuto solo pochi giorni prima.

 

Il terrestre rimase per qualche istante ancora a fissarlo, poi confermò la sua paura: evidentemente aveva deciso di far sì che l'altro lo risparmiasse perché avrebbe voluto uccidere Hajime personalmente, probabilmente per placare quella sete di sangue che gli accendeva lo sguardo di un bagliore sinistro. La sua spada tagliò l'aria a pochi millimetri da Iwaizumi, che si era spostato appena in tempo. Non aveva speranze di recuperare il fucile: i colpi del suo avversario erano troppo rapidi e incalzanti, guidati da una rabbia incontenibile.

Poi Hajime si rese conto di aver indietreggiato troppo, e che dietro di lui c'era solo la nuda pietra della grotta. Era in trappola, di nuovo.

Cercava di non distogliere lo sguardo dagli occhi neri dell'avversario, per capire e anticipare la sua mossa successiva. Aveva una bassissima probabilità di successo e una minima possibilità di riuscire a schivare l'attacco, ma nel momento in cui il terrestre fuori controllo alzò la spada per colpirlo con un fendente dall'alto non riuscì a evitare di portare istintivamente le braccia sopra la testa, come se potesse davvero servire a qualcosa.

La missione solitaria di Hajime sembrava condannata ad essere un totale fallimento: il terrore che fosse successo qualcosa di terribile a Tooru gli ottenebrava la mente e continuava a distrarlo, portandolo a fare evitabili passi falsi. Non era ancora morto solo per pura fortuna, se ne rendeva conto. Ma non poteva andare così per sempre, e alla fine il suo momento sembrava essere arrivato, deciso ineluttabilmente dal rapido movimento della spada che calava su di lui.

Perché era stato così idiota da allontanare Issei e Takahiro? Perché aveva preteso di fare tutto da solo, nonostante il suo stato emotivo?

 

Poi, come una risposta, il fischio e lo scoppio di uno sparo risuonarono nella grotta.

La scimitarra cadde a terra con gran fragore, e il terrestre emise un ringhio di dolore portandosi la mano sinistra al braccio destro, che sanguinava copiosamente. Il proiettile l'aveva attraversato da parte a parte. Un altro proiettile lo colpì di striscio a una gamba.

Quindi si girò, concentrando la sua attenzione e il suo odio sul nuovo arrivato, che emerse dall'ombra con la canna del fucile ancora fumante.

Hajime non perse tempo a stupirsi per il ritorno di Matsukawa e scivolò di lato, per poi recuperare la sua arma e abbattere il calcio del fucile con tutta la sua forza sulla nuca del terrestre, mettendolo fuori combattimento. Aveva finalmente ripreso lucidità e ringraziò Issei stringendo forte la mano che gli tendeva, rievocando i ricordi dell'addestramento militare che avevano condiviso.

Takahiro apparve alle sue spalle: il suo colorito era migliorato e sembrava essersi ripreso dallo choc, anche se cercava di non guardare l'orribile spettacolo che ancora ingombrava gran parte del pavimento della grotta.

“Che ne dite di darmi una mano a trasportarlo altrove?” chiese Iwaizumi, a cui evidentemente era venuta un'idea. Il suo sguardo aveva acquisito una strana sfumatura di freddezza e calcolo che raramente Issei gli aveva visto assumere, se non nel periodo dopo l'arresto di Tooru sull'Arca.

“Cosa vuoi fare, Hajime?”

“Interrogarlo” rispose, con tono pratico.

 

 

“Quando potrò alzarmi?” chiese Tooru, cercando di controllare la sua voce.

Sentiva montare una strana rabbia che emergeva dalla confusione indotta dai medicinali, ma non poteva permettersi di mettersi subito contro quell'Ushijima, che sembrava avere il coltello dalla parte del manico.

“Quando lo riterremo opportuno. Fino ad allora comportati bene e vedrai che non dovrai più preoccuparti di nulla” rispose Wakatoshi, fintamente affabile.

“Quindi dovrei stare qui immobile mentre i miei amici muoiono? Mi sento più un prigioniero che un paziente, effettivamente...” non riuscì a evitare di dire Tooru, con sguardo di sfida.

“Vedo che nello spazio non vi insegnano la fiducia, la gratitudine e neppure l'educazione… ma evidentemente sei ancora sotto choc”

Ushijima tirò fuori una siringa piena di un liquido incolore, senza aggiungere nulla.

“E quella… cosa dovrebbe essere?” chiese Oikawa, allarmato e sulla difensiva.

“Solo un piccolo aiuto per tranquillizzarti e farti comportare meglio” fu la risposta, e gli argini della rabbia di Tooru cedettero di schianto. Con le poche energie residue e la forza della disperazione si strappò la flebo e alcuni tubicini di dosso, e con il braccio libero colpì quello di Wakatoshi, prendendolo di sorpresa e facendo cadere a terra la siringa, mandandola in frantumi.

“Pensi di ottenere qualcosa così?” chiese Ushijima, imperturbabile nonostante tutto.

Oikawa era esausto. Gli era bastato quell'attimo di ribellione per risvegliare il dolore moltiplicato per mille, e un fastidiosissimo giramento di testa iniziò ad ottenebrargli i sensi.

Senza scomporsi, Wakatoshi tirò fuori un'altra siringa e questa volta Tooru non riuscì ad opporre resistenza.

Il nero avvolgente lo accolse, di nuovo.

 

Al risveglio era solo, e la sua testa pulsava in modo insopportabile.

Cercò nuovamente di muoversi, sentendo le mani formicolare sotto le coperte e una strana sensazione di costrizione: quando aprì gli occhi del tutto ne comprese il motivo.

Il bastardo l'aveva fatto legare al letto, perché non si togliesse nuovamente la flebo dal braccio.

O forse perché era effettivamente un prigioniero.

Tooru fissò sconsolatamente il soffitto bianco per qualche istante, cercando di inghiottire le lacrime di rabbia e impotenza che spingevano per venir fuori.

Cosa avrebbe dovuto fare?

Concentrandosi nel tentativo di mantenersi lucido, Oikawa notò solo in quel momento che le pareti non erano totalmente bianche: alla sua sinistra, sul muro dietro il carrello della flebo e gli insopportabili apparecchi che monitoravano i suoi segnali vitali, campeggiava una grossa tela dipinta che raffigurava una scena agreste illuminata dal sole del mattino.

I colori gli facevano quasi male agli occhi in tutto quel bianco, e la consapevolezza di non poter tornare nel mondo esterno gli fece ancora più male.

Dov'era Hajime in quel momento? Lo stava cercando? Lo avrebbe davvero rivisto? Un'ondata di nausea lo travolse, e dovette chiudere gli occhi e stringere i denti per cercare di controllarsi.

Doveva pensare, e doveva pianificare attentamente le sue mosse.

Avrebbe dovuto farsi violenza e fingere di piegarsi alla volontà di quell'Ushijima, in modo da essere liberato da quella maledetta stanza. Poi avrebbe trovato un modo, sarebbe fuggito e avrebbe raggiunto Hajime e gli altri. Ce l'avrebbe fatta, a costo di rischiare ogni cosa.

 

 

Issei e Takahiro si scambiavano sguardi allarmati già da un po': Iwaizumi stava torchiando il terrestre da almeno tre ore senza ottenere alcuna risposta comprensibile, e ai loro occhi l'amico stava diventando sempre più irriconoscibile.

Avevano trascinato il prigioniero in una sorta di baracca che avevano trovato nascosta tra le fronde, a breve distanza dal cunicolo dal quale erano usciti (che non era lo stesso da cui erano entrati, il che li convinse che si trattasse di un vero labirinto, da non riaffrontare alla leggera).

Matsukawa aveva aiutato Iwaizumi a legarlo, ma poi quest'ultimo aveva voluto essere lasciato da solo con il terrestre.

Da quel momento una sorta di alter ego si era impossessato di lui: Hajime era sempre stato un po' irascibile, ma non ricevere alcuna risposta intelligibile dal prigioniero unito alla consapevolezza del tempo che passava senza sapere cosa fosse successo a Oikawa lo aveva trasformato in una furia. Issei ad un certo punto decise di fermarlo, perché temeva seriamente che l'amico uccidesse l'unica possibile fonte di informazioni, spinto dalla rabbia e dalla disperazione.

In realtà Hajime era stato irriconoscibile fin dall'inizio di quella tremenda giornata: sembrava che la scomparsa di Oikawa lo avesse trasformato in un'altra persona, incapace di pensare lucidamente e di controllare la sua rabbia.

Quando Matsukawa aveva tentato di fermarlo, Iwaizumi si era girato, fermando il pugno a mezz'aria con le nocche già imbrattate di sangue, e per un attimo nei suoi occhi aveva visto riflesso l'orlo del baratro della follia.

Quello sguardo aveva fatto paura anche a Issei, tanto da fargli temere seriamente per un attimo che Hajime alzasse le mani anche su di lui.

 

Il prigioniero era legato a un pilastro, con il volto tumefatto e un sottile rivolo di sangue che colava da un lungo taglio superficiale sul petto. Continuava ad emettere un ringhio sommesso tra i denti, come una bestia selvatica e indomabile.

“So che parli la nostra lingua, bastardo! Sei uno dei loro guerrieri e sicuramente capisci quello che ti sto dicendo!” riprese a urlare Hajime, fuori di sé. “Dove hai trovato questo orologio? Dove cazzo è Oikawa?”

Fu in quel momento che senza preavviso il terrestre sbarrò gli occhi e si piegò su sé stesso, iniziando a schiumare dalla bocca.

 

Takahiro entrò in quel momento per controllare cosa stesse succedendo: il prigioniero stava rischiando di soffocare, ma la cosa non sembrava dipendere dalle botte assestategli da Hajime e nemmeno dalla perdita di sangue dal braccio, che lui stesso aveva aiutato a tamponare perché la loro unica fonte di informazioni non perdesse i sensi prima di aver fatto il suo dovere.

Hanamaki aveva studiato per fare l'infermiere sull'Arca. Non aveva finito gli studi solo perché aveva passato l'ultimo anno in confinamento, ma capiva comunque qualcosa di primo soccorso: per questo disse agli altri due di slegarlo dal pilastro e metterlo sdraiato per terra su un fianco, perché non si soffocasse.

 

Fu quando Issei seguì il suo consiglio (nonostante le proteste di Iwaizumi, che insistette per legargli nuovamente le mani dietro la schiena) che Takahiro notò un grosso ematoma su un lato del collo, prima nascosto dai vestiti; si avvicinò ben oltre la distanza di sicurezza (Issei per un istante temette che il terrestre si svegliasse e staccasse il naso del suo ragazzo a morsi e rabbrividì per la sua stessa immagine mentale) e notò dei fori ancora non cicatrizzati che sembravano causati dall'ago di una grossa siringa.

“Ora capisco… qualcuno deve avergli somministrato una droga o una dose di un veleno non letale che dà dipendenza… ecco perché sembrava come se fosse in astinenza” commentò Hanamaki, che aveva convissuto per anni con la madre dipendente dai medicinali (che vivendo in una zona ricca dell'Arca si faceva consegnare sottobanco senza problemi, scavalcando tutte le leggi in merito) e sapeva di cosa stava parlando. Per un istante riportò alla mente alcuni flash del suo passato che aveva cercato di chiudere fuori fino a quel momento, e scosse la testa come a scacciarli.

Non era proprio la stessa cosa, ma l'atteggiamento di base era lo stesso: il volto trasfigurato, la rabbia, l'irrazionalità, le crisi come quella che l'aveva uccisa e aveva lasciato Takahiro da solo a quindici anni, troppo orgoglioso per chiedere aiuto al padre, che aveva abbandonato lui e la madre anni prima. Da quel momento si era aggrappato a Issei con tutte le sue forze: le spalle del suo ragazzo erano abbastanza forti per sostenere anche lui, la sua innata calma e la perfetta alchimia dei loro caratteri gli avevano permesso di sopravvivere negli ultimi anni, anche se poi qualcosa era andato storto.

Non voleva ripensare anche a quello, quindi prese un paio di respiri profondi e svuotò la mente, tornando alla realtà. Il terrestre aveva iniziato a muoversi, come in preda ad una crisi epilettica; avendo perso tanto sangue forse l'effetto dell'ipotetica droga stava avendo conseguenze imprevedibili.

“Dobbiamo solo aspettare che passi, sperando che non si faccia troppo male nel frattempo” rispose agli sguardi confusi e allarmati degli altri due, che non riuscivano a comprendere come Hanamaki potesse essere così lucido in un momento del genere, considerando che poco prima era terrorizzato dal terrestre, ricordando lo scempio che i suoi compagni avevano fatto nella grotta.

 

Il prigioniero si agitò ancora per un po', poi chiuse gli occhi e rimase immobile, privo di sensi.

 

Vicino al fuoco scoppiettante fuori dalla baracca nel fresco della sera, Hajime passò tutto il tempo del loro misero pasto in silenzio. Matsukawa aveva rimediato un paio di piccole lepri lì intorno e Hanamaki aveva cercato di cucinarle alla meglio, anche se la carne era per metà cruda e per metà bruciacchiata.

Iwaizumi era rimasto in disparte, perso nei suoi pensieri.

Stavano perdendo tempo.

Stavano perdendo ore preziose.

Oikawa era sicuramente in pericolo e lui era lì, incapace di decidere la mossa successiva.

Oikawa poteva essere morto o in punto di morte e lui non sapeva nulla.

L'unico modo per sapere qualcosa era ricavare informazioni dal prigioniero, al momento fuori combattimento e forse ridotto in uno stato tale da essere totalmente inutile al suo scopo.

Hajime non si era mai sentito così male. La testa gli pulsava fortissimo, scatenandogli ondate di nausea crescenti che lo convinsero a lasciare da parte quasi completamente la sua lepre, dopo essersi sforzato di inghiottirne qualche boccone.

Issei e Takahiro cercavano di continuare a parlare e coinvolgerlo nei loro discorsi, con scarsi risultati. Sembrava di vedere il lento decadere di una pianta privata all'improvviso della luce del sole: quello significava Oikawa per lui, perché così era sempre stato.

Quando i due andarono a dormire, accoccolati l'uno all'altro sul pavimento di legno consumato e crepato, Hajime rimase di guardia.

Con sguardo fisso sul terrestre riverso a terra con le mani legate, l'ex guardia dell'Arca perse rapidamente la cognizione del tempo. I minuti gli scorrevano addosso come un lento e doloroso stillicidio, mentre la sua mente nel silenzio lavorava per immaginare scenari che si arricchivano progressivamente di particolari sempre più terribili.

Non si rese nemmeno conto del momento in cui le sue elucubrazioni si trasformarono in incubi, lasciandolo scivolare nel sonno per la prima volta durante un turno di guardia.

 

Lo svegliò di soprassalto un fruscìo a poca distanza da lui: il terrestre si era svegliato e stava cercando con pochi risultati di raggiungere gli avanzi della sua lepre ormai gelida, strisciando sul pavimento come un grosso e scoordinato rettile.

Hajime si alzò e raccolse l'oggetto del desiderio del prigioniero, allontanandolo dal suo raggio d'azione.

“Non avrai nulla se non mi dirai dove hai trovato quel maledetto orologio” sussurrò con rabbia Iwaizumi.

“L'ho… trovato” rispose con voce roca e profonda il terrestre, con un accento stentato.

“E dove l'avresti trovato?” chiese Hajime, ansioso.

“L'ho trovato… nella montagna. Prima del Rosso.” bofonchiò il terrestre, rotolando su sé stesso per cercare di mettersi seduto.

“Nella montagna? E hai visto chi indossava quell'orologio?”

“Non ricordo nulla dopo... il Rosso” evitò la domanda il terrestre. Nonostante la penombra era evidente che fosse cambiato qualcosa nel suo sguardo, come se nel suo cervello si fosse sbloccato un meccanismo e l'effetto della droga stesse lentamente scemando.

“Cosa cazzo è 'il Rosso'? Dov'è Tooru?” insistette Hajime, anche se gli sembrava di lottare coi mulini a vento.

“Il tuo amico è sicuramente stato preso dentro la montagna. Gli uomini della montagna sono malvagi” disse il terrestre, ripetendo inconsapevolmente le parole che Hajime aveva già sentito da Shoyo.

“Tu chi sei? Come sei arrivato nella montagna?” si trovò a chiedere Iwaizumi, ricordando che non aveva ancora scoperto nemmeno l'identità del prigioniero.

“Sono Kyotani kom Trikru” rispose a voce bassa, poi si prese qualche minuto prima di riprendere a parlare “mi hanno attaccato mentre cacciavo nella foresta con i miei fratelli e mi sono svegliato nella montagna. Poi mi hanno dato il Rosso. E poi non ricordo niente” ripiombò quindi nel mutismo, tornando a fissare la lepre mezza carbonizzata.

“Ok, puoi mangiarla” sospirò Hajime, avvicinandogli la carcassa ancora piena di carne “però prima dimmi se potresti aiutarmi a entrare nel posto dove vivono questi 'uomini della montagna'”

Kyotani si ritrasse, come se la paura di essere sottoposto di nuovo alla tortura del “Rosso” fosse più potente della fame.

“Non vuoi vendicarti di quello che ti hanno fatto gli uomini della montagna, Kyotani?” chiese Iwaizumi, giocando la sua ultima carta “Se mi aiuterai a salvare Tooru io ti aiuterò ad avere la tua vendetta... o vuoi che il tuo popolo soffra ancora a causa delle loro azioni?”.

Il terrestre sembrò pensarci per qualche istante, poi acconsentì con un cenno.

Hajime lo slegò, permettendogli di mangiare agevolmente.

Forse aveva una nuova speranza.

 

 

All'accampamento, intanto, era in corso una discussione tra i superstiti su quale fosse il modo migliore per spartirsi tra la nuova baracca quasi ultimata e il bunker appena scoperto, di cui ormai erano tutti a conoscenza.

Tsukishima non stava ancora bene del tutto, ma aveva riconosciuto il suo errore e appena ripresi i sensi aveva ringraziato Sugawara, che comunque non lo aveva rimproverato per la fuga né per aver tenuto tutti all'oscuro di quel luogo. Solo Kageyama aveva avuto qualcosa da dire, ma era bastato uno sguardo di Daichi per spegnere la sua polemica sul nascere; in ogni caso Shoyo non era ancora diventato un bersaglio per coltelli da caccia, quindi probabilmente il nervosismo di Tobio sarebbe sfumato in fretta.

Tutta la giornata fu impiegata per prendere una decisione: molti erano preoccupati che l'accampamento costituisse un obiettivo sensibile e in pochi si offrirono volontari per restare lì, anche se qualcuno avrebbe dovuto restare a fare la guardia alla navicella (che comunque conteneva la radio rudimentale di Tooru e alcune apparecchiature che potevano ancora essere riparate, oltre ad un piccolo ospedale da campo dove far rimanere ancora per un po' i pochi feriti che non potevano affrontare la discesa dalla scala a pioli del bunker).

Nishinoya fu il primo a offrirsi volontario per restare, seguito comprensibilmente a ruota da Asahi: al più piccolo sembrava di tradire il sacrificio di Tanaka, che si era fatto catturare per proteggere quell'accampamento. Inoltre se fosse riuscito a liberarsi e tornare, Yuu non voleva rischiare che Ryuu non trovasse nessuno al campo.

Koushi disse che avrebbe fatto la spola tra le due basi, per poter tenere d'occhio tutti i feriti allo stesso modo. Aveva di nuovo un'ombra scura sotto gli occhi, e Daichi non sapeva più come fare a placare quel suo continuo sentirsi responsabile di tutto e tutti, se non con la sua vicinanza.

Kuroo non sapeva che fare: se da una parte voleva restare con Kenma e il luogo più sicuro era indubbiamente il bunker, dall'altro stava iniziando a preoccuparsi per Bokuto: erano passate troppe ore e non era ancora tornato, e nonostante la sua inguaribile incoscienza Koutaro non avrebbe mai avuto deliberatamente un comportamento simile.

Alla fine decise che prima di trasferirsi definitivamente nel bunker con Kenma avrebbe fatto un giro di esplorazione nei dintorni: sperava di trovare Bokuto perso nel bosco o addormentato in qualche cespuglio, in modo da escludere che gli fosse successo qualcosa. Dopo la notizia di Tooru e la partenza di Hajime, Issei e Takahiro, Tetsurou non riusciva a stare tranquillo.

 

Quando Kuroo espresse ad alta voce la sua intenzione, lo sguardo di Kenma lo trafisse, portando con sé una richiesta inespressa.

“Non se ne parla. Non ti porto con me a cercare Bokuto, chissà dove diavolo è andato a ficcarsi quel cretino… se ti mettessi a rischio per colpa sua potrei non perdonarlo” disse Tetsurou, rispondendo all'evidente intenzione del più piccolo.

“Mi sembrava che tu mi avessi fatto una promessa” rispose Kenma, incrociando le braccia “ti ho detto che non sopporto di essere trattato come un oggetto di cristallo solo perché una volta non sei riuscito a proteggermi. Non ti lascerò andare da solo e ti dimostrerò di essere perfettamente in grado di rendermi utile… oppure dedurrò che non ti fidi di me, e allora potrei fingere deliberatamente di non conoscerti” disse tutto d'un fiato, con il suo migliore tono passivo aggressivo.

“Non ti ritenevo capace di certi colpi bassi” scoppiò a ridere Kuroo, facendo sfumare la tensione “E va bene, però devi starmi vicino e se c'è qualche problema devi scappare verso il bunker alla velocità della luce, ok?”

“Va bene” rispose Kenma, celando la soddisfazione per quella piccola vittoria personale.

 

Tetsurou prese una pistola e due interi caricatori: se doveva proprio correre rischi in presenza di Kenma allora era meglio partire preparati e vendere cara la pelle. Kenma tirò fuori da dentro la cintura un fodero di pelle, che nascondeva un coltello lungo circa quindici centimetri.

“E questo da dove salta fuori?” chiese Kuroo, curioso.

“Me l'ha regalato Shoyo… qualche giorno fa abbiamo parlato a lungo, e quando gli ho detto che ero preoccupato per te a caccia nella foresta mi ha dato questo” lo rinfoderò, sorridendo impercettibilmente al pensiero del suo nuovo amico. Tetsurou rimase sorpreso, ma non lo diede a vedere.

I due camminavano nella foresta fianco a fianco, le mani che si sfioravano di continuo. Avevano deciso di andare subito verso il lago, perché era il posto preferito di Koutaro e sicuramente doveva essere passato di lì.

Entrambi erano in silenzio: tutti e due avrebbero voluto dire qualcosa sul bacio che si erano scambiati pochi giorni prima, ma l'attacco e l'incendio gli avevano impedito di chiarirsi in precedenza e ora non c'era modo di tirar fuori il discorso in modo naturale. Il silenzio nel bosco era interrotto solo dal canto degli uccelli, che intonavano accordi armoniosi alternati a versi striduli simili a urla.

 

Quando giunsero al lago, Kenma si avvicinò subito ad una delle rocce sporgenti sull'acqua: aveva visto qualcosa.

Kuroo lo raggiunse in fretta, e notò una serie di macchie rosso scuro ormai secche sul terreno.

“...sangue?” si rabbuiò Tetsurou, iniziando a maledirsi per essere stato così arrendevole con Kenma poco prima. Portò la mano al calcio della pistola, pronto a difendersi da qualsiasi attacco.

“E se fosse il succo di queste bacche?” chiese il più piccolo, porgendogliene una manciata. Kuroo dopo averne assaggiata una toccò una delle macchie e portò un dito alla bocca, verificando l'esattezza dell'ipotesi di Kenma.

“Pensi che qualcuno di nostra conoscenza se ne sia fatto una scorpacciata, vero?” chiese Kozume, e Tetsurou annuì. “Torniamo al campo a mostrarle a Shoyo, sicuramente sa di cosa si tratta” riprese il biondino, prendendo per mano istintivamente il più grande e tornando sul sentiero, con gli occhi che brillavano per la sua scoperta.

 

“Oh. Se il vostro amico ha mangiato queste al momento potrebbe essere ovunque” disse Shoyo, mordendosi un labbro “queste bacche non sono pericolose, ma fanno vedere cose che non esistono… una volta uno del mio villaggio ne ha mangiato un secchio intero e ha inseguito con arco e frecce per giorni e notti un enorme uccello rosa con tre zampe che vedeva solo lui. Beh, è stato abbastanza divertente” concluse con un mezzo sorriso, felice di essersi reso utile.

 

 

Bokuto si era svegliato ormai da diverse ore, e si era ritrovato su un letto vero.

Lo smarrimento iniziale si era rapidamente trasformato in terrore quando si era reso conto di essere da solo in un posto sconosciuto.

Dapprima aveva pensato di essere ancora sull'Arca: e se fosse stato tutto un sogno fin dall'inizio? Poi si rese conto di non essere circondato da paratie metalliche come sulla stazione orbitante: appena la sua vista si rimise a fuoco riconobbe pareti bianche e una porta metallica, con una piccola finestrella di vetro. Nessuna finestra invece dava sull'esterno, e la cosa lo mise a disagio ricordandogli i primi tempi della sua prigionia.

“Ti sei svegliato?” chiese una voce, appartenente a un ragazzo all'incirca suo coetaneo che fece capolino dalla porta, indossando una mascherina e un camice.

“...chi sei? E dove mi trovo?” chiese Koutaro, confuso.

“Scusami se non mi sono presentato, mi sono occupato di te durante queste ore e speravo ti svegliassi presto… mi chiamo Akaashi Keiji. Sei ospite all'interno del rifugio del monte Tsukuba e ti abbiamo salvato la vita: avevi inghiottito una grande quantità di bacche velenose, se non ti avessimo trovato saresti morto” rispose con tono dolce e paziente il nuovo arrivato.

“Oh… allora grazie per avermi salvato, Akaashi. Io mi chiamo Bokuto Koutaro” sorrise, imbarazzato e improvvisamente stregato dagli occhi di Keiji, di un blu scurissimo.

“Spero che non ti dispiaccia restare in questa stanza per qualche giorno: qui ci troviamo in un ambiente protetto dall'equilibrio molto fragile, quindi vogliamo prima verificare che tu non sia contaminato dalle radiazioni esterne… però appena finiremo di farti le analisi potrai esplorare tutta la nostra base. Penso che ti piacerà, è come una grande famiglia” continuò Akaashi, mentre sistemava la sacca ormai vuota di una flebo che Koutaro non si era accorto di avere. Rivolse uno sguardo interrogativo a Keiji, che spiegò: “Sono solo principi nutritivi… per farti riprendere in fretta. Dev'essere stata dura vivere là fuori, vero?” aggiunse, concludendo il suo lavoro con la sacca.

“Non sai quanto… sono sulla Terra da meno di una settimana e ho rischiato di morire almeno venti volte! La fuori ci sono selvaggi e guerrieri che si arrabbiano un po' troppo facilmente per i miei gusti” rispose Koutaro, sospirando “I miei amici dove sono? Stanno bene?” chiese ancora, ricordando che si era allontanato dal campo semidistrutto senza avvisare.

“I tuoi amici stanno bene… presto saranno qui anche loro, ora ti conviene riposare per recuperare le forze” gli sistemò le coperte Keiji, come se lo conoscesse da anni e non da pochi minuti.

 


Nuovo anno, nuovo capitolo! E ancora niente Tanaka, visto che ho perso il controllo delle pagine e ho dovuto dividere il capitolo in due... ma la pazienza è la virtù dei forti, e l'attesa per il prossimo aggiornamento non sarà lunga, lo prometto! Spero che tutti voi abbiate passato uno splendido capodanno <3
Ringrazio in anticipo chi leggerà e chi vorrà lasciarmi qualche riga di recensione, vi amo tutti~


_Kurai_

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Capitolo 16
*** We fall apart ***


We fall apart

It's the wars that we wage, the lives that we take
For better or for worse
It's the lion we cage, the love and the rage
That keeps us wanting more

But isn't it beautiful
The way we fall apart

It's magical and tragic all the ways we break our hearts
So unpredictable
We're comfortably miserable
We think we're invincible
Completely unbreakable
And maybe we are

(We fall apart, We as human)


Erano trascorsi tre giorni.

Mentre nella montagna il tempo scorreva lentamente, come cristallizzato, all'esterno sembrava passare con il doppio della velocità.

 

Hajime, Issei e Takahiro, insieme al nuovo “alleato” terrestre, avevano appena terminato di mettere a punto un piano: avrebbero potuto entrare nella montagna solo attraverso uno dei portelloni celati nel sistema di cunicoli sotterranei, che venivano aperti solo in determinati momenti per permettere il passaggio di gruppi di ricognizione o di Mietitori, ossia il nome con cui Kyotani definiva i terrestri degenerati con cui lo avevano trovato (e di cui lui stesso aveva fatto parte, anche se per poco). Kyotani, ormai ripresosi quasi del tutto dagli effetti del Rosso, avrebbe finto di esserne ancora vittima e di aver catturato gli altri tre all'esterno; gli uomini della montagna rapivano continuamente terrestri, ma lui non ne comprendeva il motivo.

Probabilmente avevano anche catturato uno dei membri del popolo del cielo, nonché proprietario di quell'oggetto luccicante che lui aveva raccolto chissà dove, il che aveva portato a quella bizzarra alleanza.

Tuttavia al terrestre non dispiaceva: per quanto non riuscisse a comprendere completamente le azioni di quegli Skaikru e non si fidasse ancora del tutto di loro (oltre al fatto che quello coi capelli scuri e ispidi lo aveva gonfiato di botte, anche se non ricordava bene tutto quello che era successo), era mille volte meglio stare insieme a loro che vagare con i Mietitori, in un'eterna confusione rabbiosa in attesa della dose.

Inoltre avrebbe voluto sapere che fine avessero fatto i suoi fratelli: aveva solo ricordi nebulosi del momento in cui erano stati catturati, ricordava solo la grotta semibuia in cui li aveva visti l'ultima volta, mentre una voce priva di espressione sanciva il loro destino con parole vuote che lui non riusciva a comprendere. Una rabbia incontenibile (ma molto diversa da quella provocata dalla droga) lo invadeva ogni volta che quelle immagini riaffioravano nella sua mente, e per questo era impaziente di attuare il piano.

Per questo riusciva a capire il comportamento di Iwaizumi, che fremeva dalla necessità di rientrare in quei cunicoli bui per riportare indietro colui che gli era stato strappato. Non era ancora riuscito a capire che tipo di rapporto lo legasse a quell'Oikawa, ma sicuramente era un legame abbastanza stretto da metterlo in condizione di rischiare la vita senza nemmeno pensarci. Tutto sommato lo rispettava, anche se aveva ancora il viso tumefatto per i suoi pugni.

 

 

Shoyo e Kenma erano diventati amici senza che Kuroo se ne rendesse conto: era la prima volta che il biondino stringeva un legame con un altro essere umano che non fosse lui, e Tetsurou provava una strana sensazione a metà tra l'orgoglio e la gelosia, ma sorrideva nel vedere Kozume parlare con tanto trasporto con qualcun altro. Forse stava davvero ricominciando a vivere dopo tutti quegli anni da recluso, e la solarità del piccolo terrestre indubbiamente aiutava. Avevano passato ore a parlare di chissà cosa a bassa voce, e gli occhi dorati di Kenma rilucevano di piccole stelle mentre si lasciava coinvolgere dalla vitalità del ragazzino terrestre.

 

Shoyo, anche se continuava ad andare avanti e indietro dal bunker, in realtà era rimasto a vivere all'esterno, nella baracca: era cresciuto tra gli alberi e non sarebbe riuscito a dormire sottoterra, o almeno così aveva detto per giustificare la sua scelta. In realtà era rimasto al vecchio campo principalmente per un motivo, e quel motivo aveva un nome e un cognome: Tobio non aveva avuto nessuna intenzione di cedere e spostarsi nel bunker, non finché ci fosse rimasto Tsukishima, e nessuno si era impegnato davvero per convincerlo.

L'unico che gli aveva rivolto la parola sulla questione era stato Daichi, che lo aveva preso da parte e con poche ma eloquenti frasi gli aveva fatto presente che se avesse riprovato per qualsiasi motivo a mentire a Koushi o a turbare in qualunque modo il suo umore avrebbe visto un lato dell'ex ufficiale che gli avrebbe fatto desiderare di non essere mai nato. Tobio non aveva voluto sperimentare oltre quell'inquietante versione inedita di Daichi e si era scusato, anche se continuava a covare rancore per il fatto che Tsukishima e Yamaguchi non fossero stati rimproverati.

 

In reazione alla strigliata di Sawamura, Kageyama si era chiuso nel mutismo. Ovviamente era un'occasione troppo piena di attrattiva per Shoyo, che evidentemente adorava tormentarlo nei suoi momenti di intrattabilità per qualche motivo incomprensibile. Per questo il terrestre continuava a stargli intorno nonostante tutto, attendendo chissà quale reazione dal ragazzo (e ignorando deliberatamente il rischio che tale reazione avrebbe potuto coinvolgere oggetti taglienti lanciati nella sua direzione).

 

 

Daichi aveva atteso ben quarantotto ore per permettere a sé stesso di tirare il fiato, almeno per il momento.

Era stato l'ombra di Koushi in quei due giorni, e finalmente tutti i sopravvissuti dell'attacco si erano ripresi abbastanza per non destare più preoccupazione nel suo fidanzato.

Certo, ne avevano persi altri due, più uno disperso e tre impegnati in una missione probabilmente suicida, ma anche Sugawara sembrava ormai essersi tristemente abituato a quella situazione.

Daichi lo sentiva sospirare spesso, preoccupato per i compagni a cui si era già affezionato, e in quei momenti gli si avvicinava piano e lo abbracciava da dietro, avvolgendolo con le sue braccia per proteggerlo dal resto del mondo.

Koushi non doveva soffrire.

Koushi non avrebbe più dovuto soffrire.

Era indubbiamente un obiettivo difficile, considerando quanto il medico fosse empatico, ma Sawamura aveva deciso fra sé che avrebbe fatto di tutto per non vedere mai più la sua metà in quello stato: ogni nuova brutta notizia sembrava scuoterlo nel profondo mentre all'esterno sorrideva e manteneva forzatamente la calma, ma solo Daichi poteva vedere le crepe in quel sorriso che minacciava di spezzarsi in ogni momento.

Daichi amava quella sensibilità. La amava come ogni altro aspetto dell'uomo con cui avrebbe voluto passare il resto della sua vita, la amava come la sensazione tattile dei suoi capelli serici tra le dita, la amava come le sue lunghe ciglia che ne incorniciavano le iridi dorate, la amava come la pelle delicata di Koushi, che diventava fuoco e velluto sotto le sue mani.

Lo aveva amato di nuovo, dopo giorni in cui l'unica priorità era sopravvivere, lo aveva amato dolcemente sul pavimento della navicella vuota dopo aver creato una piccola alcova improvvisata, dopo che tutti i feriti e gli oggetti ancora utilizzabili erano stati spostati nella baracca ormai ultimata. Lo aveva stretto a sé così forte da dimenticare dove si trovassero, così intensamente da immaginare di essere solo loro due, in un bozzolo al sicuro, lontani da quel mondo così ostile.

Koushi gli aveva restituito un amore altrettanto intenso, e per la prima volta da giorni avevano trascorso una notte tranquilla, uno tra le braccia dell'altro.

 

 

Keishin, Saeko, Ittetsu e Akiteru vagavano nella foresta da giorni. Si erano accorti in fretta che le persone che avevano salvato dalla Walden erano troppo deboli per affrontare un viaggio che nemmeno loro sapevano quanto sarebbe durato; per questo li avevano aiutati ad allestire un piccolo accampamento con le rovine della stazione orbitante, in una zona riparata a breve distanza dalla spiaggia e da un torrente: sarebbero sopravvissuti, vivendo sicuramente in condizioni migliori rispetto alla Walden. Solo loro avevano deciso di partire, alla ricerca dei Cento (che non erano più tali) e di qualunque traccia del loro passaggio. Avevano promesso che sarebbero tornati, anche se nessuno di loro ci credeva davvero.

Durante il cammino i quattro avevano parlato spesso, cercando di coprire con il suono delle loro parole i rumori inquietanti della foresta o il silenzio ancora più inquietante in cui i pensieri catastrofici cercavano di farsi spazio. Saeko aveva parlato tantissimo di quel fratellino che aveva cresciuto come un figlio e che non vedeva da quasi dieci anni: sperava davvero di rivederlo, ora che Takeda le aveva dato conferma della sua presenza tra i Cento, e continuava a pensare a cosa avrebbe potuto dirgli una volta che se lo fosse trovato davanti.

Anche Akiteru aveva un fratello che era stato deportato sulla Terra con i Cento: per quanto non essere figlio unico fosse una cosa rara e inusuale sull'arca, era stato quello uno dei motivi per cui si era affezionato tanto a Saeko, poiché entrambi avevano dovuto convivere con quella consapevolezza.

Si chiamava Kei, e probabilmente non si ricordava nemmeno più della sua esistenza. Non che avesse motivo di farlo, visto che lui era stato un pessimo fratello maggiore, ma non aveva avuto altra scelta. Era stato molto vago nell'accennarlo agli altri tre: ormai erano lontani dall'Arca, non c'era più bisogno di mantenere quel segreto, ma non si sentiva comunque a suo agio nell'aprire quel vaso di Pandora.

Lui non voleva pensare a quando avrebbe incontrato Kei, non sapeva nemmeno se voleva davvero affrontare quella parte del suo passato.

Rinchiuse quel pensiero in fondo alla mente e cambiò discorso, seppellendo le sue preoccupazioni sotto le problematiche più impellenti legate alla sopravvivenza.

 

 

Vivere nel complesso equilibrio della città dentro la montagna era un po' come stare in una boccia di cristallo. La chiave per sopravvivere con la sanità mentale sufficientemente intatta era non rendersi conto di esserne prigionieri: l'inconsapevolezza era la salvezza, e Tooru l'aveva capito troppo tardi.

Aveva cercato di nascondere la sua rabbia dietro sorrisi falsi e gentilezza forzata, aveva resistito a insultare quell'Ushijima per diverse volte (aveva guadagnato che gli venissero tolte le cinghie che lo legavano al letto, il che era stato un ottimo compromesso) e si era sforzato seriamente di fargli credere che volesse davvero rimanere lì dentro, al sicuro dal mondo esterno e in una società civilizzata e avanzata, piuttosto che tra i selvaggi all'esterno.

Aveva chiesto un paio di stampelle, accompagnando la richiesta con un sorriso e poi con il suo migliore sguardo speranzoso: voleva riprendere a camminare a tutti i costi, o avrebbe davvero rischiato di rimanere prigioniero della montagna per sempre.

Gli erano state concesse, anche se poteva solo cercare di muoversi nella stanza, perché la porta era comunque chiusa a chiave dall'esterno.

Un passo alla volta, tra un picco di dolore e l'altro.

Ce l'avrebbe fatta, ne era sicuro.

La sua volontà di ferro l'aveva portato a ottenere grandi risultati in passato, quindi sarebbe andata di nuovo così, indubbiamente. Tutto si sarebbe risolto, e avrebbe presto rivisto Hajime.

Sussurrava tra sé il suo nome, come un mantra.

Ogni passo stentato appoggiato a quelle stampelle, ogni fitta di dolore che metteva a tacere mordendosi le labbra a sangue lo avvicinavano a lui.

Iwa-chan. Iwa-chan. Iwa-chan”.

 

 

Bokuto aveva assaporato la vita quotidiana nella montagna fin dal suo secondo giorno di permanenza, e già sembrava apprezzarla parecchio. Akaashi gli aveva fatto da guida nei corridoi, gli aveva raccontato la storia della base segreta che era stata costruita quasi duecento anni prima segretamente dal governo, sotto la copertura di una grande esposizione universale di innovazioni scientifiche, e che si era ampliata negli anni, fino a diventare un rifugio temporaneo e poi definitivamente la loro casa, la loro protezione dalle terribili radiazioni esterne.

Il posto che indubbiamente Koutarou amava di più però era l'enorme sala da pranzo comune, dove Akaashi gli aveva detto che avrebbe potuto mangiare tutto ciò che voleva: non che il cibo fosse più la priorità, ora che poteva perdersi nelle iridi color della notte della sua guida improvvisata, che si stava dimostrando sempre più dolce e paziente con lui.

 

Keiji lo aveva consolato quando era corso da lui in lacrime in piena notte, dopo aver fatto un incubo terribile sui suoi amici che morivano carbonizzati uno dopo l'altro, mentre lui era costretto a restare a guardare, rinchiuso dentro un cubo di vetro.

Bokuto era diventato irriconoscibile: la voce che tremava, le lacrime che scendevano incessanti, le parole che non bastavano a descrivere l'orrore che aveva provato.

Keiji lo aveva abbracciato, gli aveva sussurrato nell'orecchio che andava tutto bene, che era solo un sogno e che i suoi amici erano salvi, e presto lo avrebbero raggiunto.

Bokuto era inconsolabile, quindi Akaashi gli aveva fatto una promessa: non potendo accompagnarlo all'esterno perché ipersensibile alle radiazioni (come tutti gli abitanti della montagna) gli avrebbe mostrato un modo per verificare che i suoi amici stavano bene, però avrebbe dovuto attendere il momento propizio per evitare le guardie, perché il luogo in cui voleva portarlo era riservato agli addetti ai lavori.

Koutarou si era tranquillizzato, e alla fine si era addormentato con Keiji che gli accarezzava i capelli, come un bambino.

Quando si era svegliato Akaashi era ancora lì, accanto a lui, con una mano che ancora stringeva la sua.

Forse tutto stava davvero accadendo per un motivo, e per Bokuto tutta quella serie di imprevisti e vicissitudini che lo avevano condotto sulla Terra iniziava ad avere un senso: se era successo tutto perché conoscesse Akaashi, allora avrebbe potuto accettare anche una situazione mille volte peggiore.

 

 

Un urlo di dolore gli uscì prepotentemente dalle labbra ancora prima di rendersi conto di avere finalmente ripreso conoscenza. Ci mise un minuto di troppo a rendersi conto che quella era la sua stessa voce, e che la sua fragile coscienza apparteneva di nuovo ad un corpo tangibile, oltre che fottutamente dolorante.

Non era solo.

Qualcuno stava spargendo una sostanza vischiosa dall'odore pungente sulla sua schiena, che bruciava come se fosse stata cosparsa di carboni ardenti. Era sdraiato a pancia in giù su una sconosciuta superficie lignea, forse un tavolo o qualcosa del genere.

Si è svegliato, Heda” disse una voce maschile che aveva già sentito, anche se non ricordava in quale occasione.

Sei stato un ottimo guaritore nonostante tutto, Tora. Non potevo lasciarlo morire, dopo che mi ha salvato la vita” rispose lei, la cui voce avrebbe riconosciuto fra mille.

Fece per voltarsi per mettere a fuoco il viso della bella comandante, ma il dolore alla schiena gli spezzò il respiro, strappandogli un lamento strozzato.

“Non muoverti, va tutto bene… devi solo aspettare che quelle ferite guariscano, fratello Skaikru” disse Tora, amichevole.

“...Fratello? Mi pareva che fino a poche ore fa voleste ammazzarmi… ma magari ho frainteso e mi avevate solo invitato a una grigliata, non capisco ancora tanto bene la lingua dei terrestri, sapete” rispose Tanaka con voce roca, con un exploit del suo sarcasmo delle grandi occasioni. Ormai aveva ben poco da perdere, poteva anche permettersi di fare brutte battute per distrarsi da quel dolore insopportabile.

Tora non rispose subito, ma non parve offendersi: “Hai salvato la vita alla mia Heda, per me ora è un dovere salvare la tua, come se fossi mio fratello” concluse, mentre continuava a spargere l'unguento puzzolente sulla sua schiena martoriata.

“Lascia che te lo chieda… come mai hai preferito proteggermi con il tuo corpo piuttosto che fuggire? Il villaggio è andato completamente distrutto, nessuno ti avrebbe inseguito… siamo sopravvissuti solo noi tre” prese la parola la comandante, spostandosi nel suo raggio visivo e guardandolo negli occhi.

Ryuu rimase in silenzio, improvvisamente incapace di formulare una risposta.

Perché non era scappato, invece di proteggere una persona che aveva appena ordinato la sua condanna a morte? Perché si era lanciato nella traiettoria dell'esplosione, per ritrovarsi coricato su un tavolo di legno con la schiena probabilmente squarciata e ustionata, a giudicare dal dolore? Come mai aveva messo la vita di quella giovane donna davanti alla sua?

Non poteva spiegarlo a parole, non senza abbassare totalmente le sue difese.

“È stato… l'istinto. Ho visto la bomba e ancora prima di accorgermene ho agito. Sì, l'istinto.” bofonchiò Tanaka, cercando di sostenere lo sguardo insieme dolce e autorevole della comandante, che senza quella strana maschera dipinta sul viso sembrava molto più umana.

“Eh, l'istinto...” commentò Tora, sollevando un sopracciglio.

“Comunque… vorrei sapere quanto è disperata la situazione lì dietro” cambiò discorso in fretta Ryuu, adducendo alle ferite sulla schiena.

“Ora sanguinano molto meno, ma quando tre giorni fa siamo arrivati qui le ustioni erano molto peggiori e avevi quella scheggia conficcata nella carne” rispose Tora, indicando un enorme pezzo di metallo mezzo insanguinato abbandonato in un angolo. Ryuu sussultò, reprimendo un'ondata di nausea.

“...aspetta. Hai detto che ho dormito tre giorni?” chiese, sconcertato.

“Esattamente, tre giorni e tre notti. Ad un certo punto ho pensato che non ce l'avresti fatta, la tua fronte scottava troppo” rispose Tora, con un'ombra sul viso.

“E invece ci vuol altro per uccidermi, quindi vi sarei grato se faceste passaparola con tutti gli altri terrestri di non provarci più, e ognuno per la sua strada” ghignò Tanaka, felice di essere vivo anche se dolorante.

Era strano che nonostante i precedenti i due terrestri non se la stessero prendendo nuovamente con lui, accusandolo del fatto che Terushima avesse fatto parte del suo stesso popolo: probabilmente avevano capito che Yuuji aveva agito in base a una vendetta personale, oppure la gratitudine per aver salvato la Heda era più forte del cieco desiderio di vendetta indiscriminata.

“Non so se il mio popolo mi rispetterà ancora dopo quello che è successo” abbassò lo sguardo la comandante “Aver fallito di nuovo nel tentare di proteggere la mia gente è una macchia imperdonabile, e probabilmente quando gli altri clan ne verranno a conoscenza per loro sarà solo questione di decidere se detronizzare prima me o attuare subito la vendetta contro il tuo popolo” concluse sospirando, ma senza perdere il suo contegno.

 

“Ma Heda… non penso che potrebbero mai mettere in discussione la tua autorità per questo… tu stessa ti sei salvata per miracolo!” obiettò Tora, abbattendo un pugno sul tavolo.

Lo sguardo della comandante era assente, perso nei ricordi: stava rievocando immagini di due inverni prima, che avrebbe preferito cancellare per sempre dalla sua mente.

 

La nube acida, i suoi uomini che cadevano intorno a lei.

La sua pelle che bruciava mentre cercava di issare un corpicino esile sul suo cavallo, per cercare di salvare almeno quella vita. Quella giovane vita a cui teneva più della propria, di colei che sarebbe stata con ogni probabilità la sua erede al ruolo di comandante.

Quei capelli biondi che celavano un viso deturpato dalle ustioni, quel respiro che si spegneva troppo in fretta, quelle piccole mani che avevano perso ogni calore mentre la comandante spronava il cavallo oltre la nebbia bruciante.

Era morta. Erano tutti morti.

 

 

Il piano era stato congegnato in modo perfetto, non poteva fallire.

Kyotani aveva spiegato con le sue parole tutto quello che ricordava della sua cattura e i tre si erano vestiti con abiti nella foggia dei terrestri, che il biondo aveva recuperato chissà dove.

Non era prudente farsi riconoscere come Skaikru, perché se Tooru era ancora vivo la loro presenza sarebbe stata considerata sospetta e avrebbero attirato troppo l'attenzione: si erano sporcati il viso e avevano indossato bizzarri ornamenti e uno strano miscuglio di abiti militari e pelli di animali, mentre Kyotani si era sforzato di recuperare l'aspetto minaccioso di quando era sotto il controllo della droga dei Mietitori.

Si erano mossi al tramonto, e Kyotani li aveva legati tutti e tre con funi logore e consumate, che all'occorrenza erano semplici da sciogliere.

Iwaizumi inizialmente si era opposto alla partecipazione di Matsukawa e Hanamaki, ma i due amici gli avevano ricordato la sua ultima missione suicida e avevano insistito tanto che alla fine aveva capitolato; lungo la strada Hajime non riusciva ad evitare di preoccuparsi per loro, oltre che per la sorte di Tooru, che lo angosciava tanto da farlo sentire male fisicamente, come se avesse una scheggia di vetro conficcata nel petto.

Una volta raggiunto l'imbocco della grotta principale, il terrestre aveva inserito la mano in una cavità, aprendo una porta segreta nascosta nella roccia. Da lì era stato tutto un susseguirsi di cunicoli semibui, che i quattro avevano attraversato senza fiatare.

Era andato tutto bene, fino al momento in cui non erano arrivati al termine del tragitto sotterraneo: nei pressi dell'ultimo tratto c'erano altri due Mietitori, che iniziarono a grugnire minacciosi all'indirizzo dei tre falsi prigionieri. Uno dei due fissava Takahiro come se avesse appena deciso cosa cucinare per cena, e Issei strinse i pugni per impedirsi di mandare a monte tutta la copertura.

 

Una volta aperta la porta metallica si ritrovarono all'inferno.

Tre terrestri erano già legati e inginocchiati sul pavimento di pietra, e Kyotani li spinse accanto a loro.

Un uomo alto dalla strana capigliatura rosso fiammante, con gli occhi piccoli e acquosi, ghignava assistendo alla scena, fasciato in un camice candido che contrastava con la penombra della grotta.

“E così abbiamo un bel carico stasera, eh?” commentò, avvicinandosi al primo dei terrestri e sollevandogli il mento per guardarlo in faccia. Era un ragazzo esile, ancora troppo giovane per essere definito un uomo; il dottor Tendou sollevò un sopracciglio e pronunciò la sua sentenza: “Raccolto”.

Poi passò al secondo, un nerboruto terrestre con la barba e un occhio chiuso e ricoperto di sangue rappreso: “Mietitori”.

La terza era una donna, che sembrava come in trance; fu condotta in un corridoio buio, destinata al Raccolto.

Kyotani gli aveva detto che non sapeva cosa sarebbe accaduto a chi veniva scelto per il Raccolto: i suoi due fratelli minori avevano seguito quella sorte, e non aveva idea del destino a cui erano andati incontro. Non che essere scelto per i Mietitori fosse una possibilità migliore, visto che portava a perdere sé stessi, ma lui in fondo si era salvato. Tutti e tre avevano ripensato alla scena raccapricciante a cui avevano assistito tre giorni prima: volendo stare al significato metaforico, il “Raccolto” sembrava destinato ad una fine peggiore, probabilmente a diventare il pasto dei Mietitori. Ma a che pro?

Matsukawa si sforzò di non vacillare quando, valutandolo per la sua stazza, l'uomo col camice lo destinò ai Mietitori; tuttavia non potè impedirsi di reagire quando l'uomo noto come Tendou Satori, la mente dietro quel progetto, pronunciò lentamente la parola “Raccolto”, fissando Hanamaki negli occhi come se volesse ucciderlo con lo sguardo. Il Mietitore che l'aveva puntato poco prima gli si avvicinò, alzandolo con la forza e strattonandolo, mentre lui si sforzava di non tradire la sua paura.

 

Fu un attimo.

Issei si liberò di scatto, sguainando un lungo coltello che aveva tenuto nascosto in uno stivale.

Stava mandando a puttane il piano, ma non gliene fregava nulla.

Il suo addestramento militare gli permise di approfittare del momento e puntare la lama alla gola di Satori, che inizialmente fu stupito ma poi riprese immediatamente il suo ghigno strafottente ed esplose in una risata: “Ebbene, cosa credi di fare ora?” chiese, mentre gli altri due Mietitori arrivarono alle sue spalle, minacciosi.

Avvenne tutto come al rallentatore: con due rapidi fendenti della sua sciabola Kyotani abbattè entrambi i Mietitori, strappando un verso sorpreso al dottor Tendou: “E così questo sarebbe un ammutinamento?” chiese, mentre un rumore di passi pesanti annunciava l'arrivo di rinforzi armati, che aveva chiamato chissà come.

 

Poi Hajime capì: era il suo momento, perché nessuno stava facendo caso alla sua presenza.

Issei gli lanciò uno sguardo oltre la spalla di Satori, sperando che l'amico riuscisse a cogliere quell'attimo prezioso.

Iwaizumi esitò per un istante: come poteva lasciare lì i suoi amici, senza sapere cosa sarebbe successo loro? Aveva senso che si sacrificassero in quel modo perché lui potesse salvare Oikawa?

Matsukawa gli lanciò un altro sguardo eloquente mentre i passi si avvicinavano sempre più: doveva farlo, non aveva scelta. Sarebbe tornato a salvarli in seguito, promise a sé stesso.

Si slegò le mani, sgattaiolò nel buio dietro una porta socchiusa e si ritrovò in un corridoio diverso, in cemento e illuminato da chiare luci al neon: si infilò poi in un'altra stanza appena in tempo, perché un istante dopo da quello stesso corridoio fecero irruzione nella stanza semibuia le guardie della Montagna, pronte a sedare la piccola rivolta.

 

La stanza in cui si era intrufolato sembrava un magazzino, pieno di congegni medici e boccette di liquido rosso; dopo qualche istante di panico, finalmente Hajime individuò quello che gli interessava: un condotto di aerazione. Aprì la grata con poche mosse esperte e si introdusse nello stretto cunicolo, sperando davvero che in qualche modo l'avrebbe condotto da Tooru.

Mentre respirava a fatica nello stretto condotto, strisciando sulla superficie metallica, improvvisamente un urlo squarciò l'aria e rimbombò in tutto lo spazio chiuso dove si trovava: era la voce di Hanamaki, che presto si spense in un silenzio assordante.

Non c'era stato nessun rumore di spari, ma il terrore congelò Hajime sul posto, tanto che dovette costringersi a proseguire facendosi violenza, mentre lacrime che non si accorgeva di versare scivolavano silenziosamente sul suo viso macchiato dalla pittura dei Trikru.

Continuò a strisciare per un tempo imprecisato, mentre le sue percezioni si confondevano e l'aria diventava sempre più pesante: da dove poteva iniziare a cercare Tooru? E se l'avesse trovato, come avrebbero fatto a uscire da quel luogo tremendo?

Non riusciva a trovare risposte, e si ritrovò a sussurrare piano tra sé il nome di Oikawa, come un mantra.

 


E niente, con un ritardo spaventoso è finito anche questo uwu Prima o poi forse riuscirò a mantenere le mie promesse, ma non è questo il giorno *sospir
Però dai, in compenso è tornato Tanaka quindi mi perdonate, vero? Veeeeero?
Anyway, ringrazio i fedelissimi lettori che mi seguono fin dall'inizio e spero che questa storia che va avanti ormai da più di sei mesi non vi stia annoiando... in ogni caso sono sempre aperta a recensioni, critiche e suggerimenti! Un bacione a tutti, e ci si vede al prossimo capitolo~
May we meet again...


_Kurai_

 

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