High school shame

di summers001
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


"Le gioie violente hanno fine violenta, e muoiono nel loro trionfo, come il fuoco e la polvere da sparo, che si distruggono al loro primo bacio. Continua tu, Emma."
Emma guardava fuori dalla finestra, impegnata com'era a non dar conto alla lezione come suo solito. Gli alberi, le panchine, la gente fuori libera che si incontrava, libera, che camminava e parlava liberamente, erano molto più interessanti.
"Emma?"
Sentì silenzio e allora capì che c'era qualcosa che non andava. Tornò con la mente in classe, si guardò attorno e notò che tutti gli sguardi erano concentrati su di lei. La sua compagna di banco, Anna, una secchiona che portava ancora le treccine, le diede una gomitata.
"Mi creda," le sussurrò il professore avvicinandosi "vorremmo tutti uscire all'aria aperta." Il professor Jones era un tipo giovane, appena laureato, affascinante con il carismatico accento inglese, dagli intensi occhi blu, che leggeva Shakespeare come faceva l'amore. Almeno così se lo immaginava! Le sue classi erano piene di iscritti. Letteratura inglese contava più A di quante non fossero le teste presenti in quell'aula, tutti intenti a fare buona impressione. Ed onestamente era un corso abbastanza facile, utile per alzare la media, motivo per il quale la madre aveva spinto Emma a frequentarlo. Per lei era un corso come un altro, un passo più vicino al diploma, uno più lontano dalla bocciatura.
"Ora può leggere se non le dispiace?" fece lui e glielo stava davvero chiedendo. Si appoggiò alla cattedra dietro di lui ed incrociò le braccia, aspettando.
Ad Emma a quel punto proprio non andava, ma si alzò in piedi, prese il libro in mano e cominciò: "le gioie violente hanno fine violenta, e muoiono nel tronfo..." Emma leggeva e guardava il professore. "...come il fuoco e la polvere da sparo, che si distruggono.." e leggeva e guardava il professore e mentre le parole prendevano forma, "...nel loro primo bacio." arrossì. Sentì poi solo allora dei mormorii venire da dietro di lei, ma li ignorò: i ragazzi sono stupidi e neanche le importava. Anna poi le tirò una seconda gomitata nel fianco ed Emma abbassò lo sguardo e la vide nascosta dietro una mano. Sentì il professor Jones ridacchiare insiema alla classe e si guardò allora attorno spaesata.
"Siamo più avanti." spiegò lui. Emma tornò seduta, non era il caso di continuare. Guardò il signor Jones, che si morse le labbra con le labbra, forse per trattenere un'altra risata. Le si avvicinò e si abbassò su di lei, coprendole la luce che veniva da dietro la finestra. Con la cravatta le toccò la spalla. Riusciva a sentire l'odore di deodarante al pino. "Qua." disse lui poi, puntandole con un dito il versetto che avrebbe dovuto leggere. Emma allungò il pollice destro per tenere il segno e gli sfiorò per sbaglio il dorso della mano. Trattenne il respiro per un attimo in trance. Il signor Jones le sorrise. "Va bene." disse poi e si allontanò.
"Signor Cassidy," chiamò il professore e Neal si alzò facendo strusciare la sedia per terra. "continua."
E Neal continuò.


[nda. La citazione è chiaramente tratta da Romeo e Giulietta]

 




Angolo dell'autrice 
L'avevo detto e l'ho fatto!
Cominciamo da un prologo breve perché voglio sapere cosa ne pensate prima di andare avanti (anche se l'ho già fatto su word lol). Il fatto è che questa storia sarà vagamente diversa da tutte quelle che ho scritto finora. Credo che i personaggi andranno OOC, ma cercherò sempre di farlo quanto meno possibile. E questo è ciò che mi inquieta più di tutto. Vi piacerà anche così? 
Dall'altro lato, ci ho pensato, fare un solo capitolo è troppo per quello che ho pensato, quindi credo saranno altri 2. Come al solito le mie multicapitolo brevi. Ovviamente non aspettatevi una storia scontata, ma che ve lo dico a fare, ormai mi conoscete ;)
Fatemi sapere cosa ne pensate ;)

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
 
Ormai era primavera e gli altri studenti cominciavano a fare le somme di quel che sarebbe successo di lì a pochi mesi: il college. Erano tutti entusiasti. E tra tanti entusiasti c'erano ovviamente poi quelli spaventati, che forse al college almeno per quell'anno non ci sarebbero arrivati. Emma aveva spedito qualche domanda nei mesi precedenti. Aveva scelto solo posti vicini e solo posti mediocri, niente di così importante. Voleva poter credere che la sua vita sarebbe cambiata, che sarebbe stata fantastica, che si sarebbe diplomata e laureata col massimo dei voti, avrebbe trovato un lavoro ed un ragazzo fantastico con cui avere bambini fantastici, ma in realtà era soltanto una delle tante ragazze senza ancora nessuna ambizione. Non che non ne avesse affatto, ma doveva ancora trovare la sua strada e per ora si era limitata ad escludere l'improbabile: non sarebbe diventata un medico, né un avvocato, né tanto meno un'artista o un'atleta. Non le piaceva la matematica, la fisica, la chimica, la storia, l'economia e la geografia. Le piaceva fare foto, quello sì. Ma si limitava a scattare immagini col suo cellulare. La sua galleria era piena di foto scattate di nascosto: i ragazzi sotto le panchine dello stadio, le cheerleader negli spogliatoi, quelli del club di aritmetica nelle aule chiuse a chiave. Ma non ce ne avrebbe fatto una laurea con quelle, né tanto meno un lavoro.
Aveva solo un amico poi, August, che non sarebbe andato al college. I suoi genitori erano ricchi e gli avevano concesso un anno sabatico attorno al mondo prima di decidere cosa fare della sua vita, che probabilmente si sarebbe diretta verso l'azienda del padre. Era da febbraio che stava già preparando le valigie.
Non aveva un ragazzo. Era stata con Neal per un po', ma era finita quasi subito. Si erano divertiti insieme, ma non erano molto bravi ad andare d'accordo. Era ancora vergine, ma neanche quello le importava, non come alle altre compagne di scuola almeno. Erano tutti in furore per il ballo scolastico. Per Emma era solo una scemenza, non ci sarebbe andata, né avrebbe perso lì la sua verginità. Se non altro sua madre poteva essere fiera di qualcosa.
Il liceo le stava letteralmente scivolando via di mano, senza che avesse ancora ottenuto nessun risultato. Voleva qualcosa. Voleva fare qualcosa, essere qualcuno, ricevere gratificazioni. I suoi voti erano nella media: si aggiravano tra tante B e poche A. Ogni volta che ne prendeva una sua madre, la signorina Mary Margaret, cerchiava in rosso la data sul calendario ed a fine anno ricopiava le date su un quadernino con la copertina nera, che si portava appresso da quando Emma aveva cominciato le elementari. Alcune volte per lei era imbarazzante, ma capiva il bisogno di sua madre, rimasta sola senza marito, di avere sempre qualcosa di tangibile che le ricordasse di sua figlia e della sua famiglia.
La giornata non era cominciata come le migliori: aveva bruciato la colazione, perso l'autobus per andare a scuola ed il professore di inglese aveva finalmente finito di correggere i compiti per casa. Shakespeare. L'aveva studiato, certo, ma l'inglese non era proprio la sua materia.
Era seduta nel suo banco e guardava di nuovo fuori, tanto per cambiare, mentre il professore girava tra i banchi e distribuiva i temi. Si stava disinteressando, perché se per caso il compito fosse andato male, non voleva rimanerci delusa. Era partita con le migliori intenzioni, aveva studiato, voleva disegnare quel cerchietto rosso lei stessa. Poi come al solito durante il compito aveva dato di matto. Era stata impulsiva e tra quelle righe aveva parlato di Shakespeare come un "damerino disperato in cerca di amore e di attenzioni". Sul momento le sembrava però una buona idea, un'analisi originale, che poteva mettere in luce una certa intraprendenza, una nuova chiave di lettura. In quel momento invece era sicura che l'avrebbe pagata.
"Ottimo lavoro." bisbigliò il professor Jones.
Emma si trovò il foglio davanti, mentre lui ci teneva ancora le dita sopra. Non riusciva a leggere il voto. Alzò gli occhi e guardò verso di lui. Giurò di averlo visto fare l'occhiolino. Quando lui tolse la mano ci lesse A+.
A+.
Rigirò il foglio più volte tra le dita sperando che stesse sognando. Non se ne importò neanche di rileggersi il tema. Fissò quella A e quel + di continuo. Prese il cellulare e scattò una foto. Forse per una volta i cerchietti sarebbero stati due.



Io voglio parlare con chi ti assegna una B, non con chi ti assegna una A." protestò sua madre all'incontro con gli insegnanti. S'erano messe in fila, belle pronte per una sviolinata da quello di inglese. Era praticamente l'unico ormai che poteva vantarsi di aver permesso ad Emma di disegnare cerchietti da un mese a quella parte. Mary Margaret avrebbe preferito di gran lunga parlare con quelli di matematica, chiedere un consiglio per sua figlia: cosa avrebbe potuto fare per assicurarle la promozione? Ripetizioni? Doveva controllarla quando studiava? Spingerla a studiare con qualche amico? Invece Emma l'aveva bloccata davanti allo studio del professor Jones, pronta pronta per far sentire dire da un altro a sua madre quanto geniale lei fosse.
"Dai, cinque minuti!" protestò Emma. Erano già le prossime ed erano arrivate da appena venti minuti. Ci sarebbe voluto pochissimo, ma sarebbero tornate di buon umore e con una ventata di sano ottimismo.
Sua madre prese un respiro e guardò sua figlia. Ormai era troppo tardi per dir di no ed il fatto che si fosse già fermata così tanto ad aspettare era già un sì.
Una signora alta, coi capelli lunghi e la coda di cavallo uscì dallo studio mentre un ragazzo, che l'aspettava fuori, le si precipitò incontro per chiederle come fosse andata. Emma aspettava di esser la prossima.
"Signora Swan." chiamò il professor Jones, uscendo dallo studio e notando Emma appesa davanti a quella porta con una signora.
"Signorina." lo corresse Mary Margaret.
"Signorina." si corresse lui e si spostò per far entrare la madre della sua allieva nel suo studio. "Emma." la salutò e lui strizzò impercettibilmente una palpebra sorridendo. La fissò negli occhi poi chiudendo la porta, fino a che lo spazio tra loro diventò meno che uno spiraglio.
Emma era su di giri. Saltellava e si stiracchiava le dita davanti al petto. Si ricordò poi presto che c'erano altre persone in fila: ragazze da sole e padri e madri con i propri figli. Si ricompose allora subito e si piazzò poco distante dalla porta, ma con una buona prospettiva, oltre i vetri opachi, dell'interno.
"Con permesso." le chiese qualcuno da dietro. Emma si spostò e vide la professoressa di educazione fisica superarla con un blocco di fogli in mano ed entrare nello studio senza nemmeno bussare. Lasciò la porta aperta e s'avvicinò al professore. Mary Margaret, che era seduta dietro un banco ascoltando lui, rimase in silenzio ad aspettare che i due si sbrigassero tra firme e sorrisetti. Emma fissò sua madre spazientita.
"Ma li hai visti?" due ragazze dietro Emma bisbigliavano. Le loro vocette erano così acute che si distinguevano dalla massa informe di voci, suoni di passi e sbuffi che venivano dai corridoi.
"Lei è proprio cotta."
Emma si girò. La conversazione non le interessava, ma quelle due erano fin troppo fastidiose. Per farle smettere guardò con aria di sufficienza e minacciosa quelle due, che troppo intente a spettegolare, fraintesero il pregiudizio di Emma con curiosità e cominciarono a dire: "Il signor Jones e la signora Gold."
"E lei è sposata!" disse l'altra "Com'è romantico!" commentarono entrambe ad alta voce.
"Oh dio." disse Emma e si girò di nuovo avanti per ignorarle.
"Già!" fecero quelle entusiaste e battendo le mani.
Davvero ad Emma non interessava, ma cominciò a notare come la professoressa, da dietro, gli toccava la spalla e si abbassava su di lui, leggeva quello che stava leggendo lui e parlava e lui rideva e lei rispondeva. Aveva una collana lunga e larga appesa al collo che le cadeva sulla schiena di lui. Erano vicini. S'immaginò di essere lei così vicina e poi si ricordò della lezione su Shakespeare. Il professor Jones era così vicino. Le aveva toccato la spalla e tutto. La cravatta gli era penzolata addosso a lei.
"Guarda la professoressa come ci prova!" fece di nuovo una di quelle da dietro.
Emma si girò e le guardò stranita, poi guardò verso gli insegnanti. Ignorò che sua madre era ad un colloquio a parlare dei suoi voti e delle sue aspettative future.
"Non può essere." bisbigliò lei.
"Sì invece!" fecero di nuovo quelle due in coro.



"Signorina Swan," chiamò qualcuno dall'aula alla sua sinistra. Emma si voltò, August si fermò ed entrambi notarono il professore di letteratura inglese. "ha un minuto?"
August guardò Emma, che pareva quasi terrorizzata. Cercaca di pensare a quello che aveva fatto, se era stata coinvolta in qualche bravata, se aveva dato impressione di avere un qualche tipo di problema. Aveva forse qualcosa a che vedere con lo strano discorso che le aveva fatto sua madre dopo i colloqui? Quelle battutine? "Quel professore forse ti adora un po' troppo", "Segue tutti come segue te?", "Di quanto in qua ti piace la letteratura?"
Guardò verso il professore che si stava rigirando in mano un blocco di compiti piegati e corretti, con una miriade di segni rossi sui fogli.
"Il suo ragazzo può aspettare fuori." disse il professore sgorbutico, quasi arrabbiato. Emma fece segno ad August di aspettare ed entrò.
"Lui non è..." cominciò Emma, ma ci pensò e decise che quell'informazione ad un professore non interessava davvero. Si morse la lingua. Proseguì fino a davanti alla cattedra, incrociò le dita davanti alla pancia ed attese. Il professor Jones non parlava ancora. Si riguardava quei compiti e pareva davvero arrabbiato.
"Sì?" chiese allora Emma.
"Ti ho procurato un colloquio" cominciò lui ancora senza guardarla "con un consulente di Stanford."
"Cosa?" chiese Emma spaesata, delusa. "Stanford? Cosa?"
"Vuole vederti domani" continuò lui ed ancora stava guardando quei cavolo di fogli ed aveva addirittura impugnato una penna "subito dopo pranzo, nello studio del preside."
"Stanford?" chiese di nuovo lei. "E' dall'altro lato del paese!" disse lei "In California!" aggiunse pure arrabbiata.
"E' un buon college." spiegò lui e finalmente la guardò. Gli occhi gli sfuggivano di continuo e stava in piedi nervoso, ma cercava di nasconderlo. Si infilò una mano in tasca, alzò un piede, oscillando per cambiare posizione, ma poi lo rimise apposto. Strinse la mascella e la guardò.
"Io credevo che..." cominciò Emma. Non lo sapeva che credeva. Che finalmente se la stava cavando bene forse, che era la migliore della classe, che lui l'avrebbe tenuta sotto la sua ala. Tutte le storie sul college le erano completamente passate di mente. Era come se il tempo per lei si fosse fermato all'ultimo anno, come se non esistesse un dopo, come se avesse potuto lavorare sulla letteratura inglese ancora per molto tempo.
"Credevi cosa?" chiese lui, duro. Mollò tutto, incrociò le braccia e la guardò.
"Con permesso." abbassò la testa, corse verso la porta e se la chiuse dietro sbattendola. Superò August e corse ancora via nei corridoi. Il suo amico la guardò senza capire, provò a seguirla fin quando la perse in mezzo ad un via vai degli altri studenti in pausa pranzo.



Le cheerleader erano appene scese in campo, la musica stava risuonando da uno stereo sull'erba ed i giocatori si allontanavano sudati, lasciando spazio alle ragazze carine, pronti a godersi lo spettacolo dopo aver ripreso fiato. La musica e le grida dal pubblico, le trombette e gli schiamazzi erano assordanti. Aveva promesso ad August di andare con lui, aiutarlo a trovare una ragazza per il ballo. Emma pensava fosse ridicolo, non sapeva cosa avrebbe dovuto fare di preciso, ma andò lo stesso, più che altro per sembrare una buona amica. Qualcosa le toccò la spalla. Si girò e vide il professor Jones accanto a lei. Aveva una mano sulla sua spalla, ma la allontanò subito non appena lei la guardò. "Sono venuto a chiederti scusa." cominciò lui.
"Come?" chiese lei. Si chiuse l'altro orecchio con un dito per sentire meglio e si piegò verso di lui. Pensò che forse era inappropriato.
"Avrei dovuto chiederti quali fossero le tue intenzioni prima di organizzare quell'appuntamento." continuò lui. Emma cercava di seguire il discorso. Di tutto aveva capito solo che le chiedeva scusa. Le sfuggivano le parole precise, ma non era importante.
"E' stato gentile da parte sua."
"No, non lo è stato. Il fatto è che, Emma, speravo di allontanarti da qui, da me."
Di nuovo non capì molto, ma era sicura di aver sentito "allontanarti da me". Lo guardò, non capì, il cuore accellerò di brutto, riusciva a sentirselo fino in gola. Ingoiò quel groppo pesante, chiuse gli occhi. "Perché?" chiese.
Il professor Jones non disse niente. Quando non diceva niente, di solito poi le sorrideva. Ma rimase serio. La guardò negli occhi fisso ed Emma guardò lui. Si perse nel mare blu delle sue iridi e di mille pensieri. Il professore si alzò ed Emma rimase a guardarlo andare via.
Non seguì la partita, neanche le interessava per la verità. August le portò i pop corn e una coca cola e bevve quella. Rimuginò sulla possibilità di parlarne con l'amico, chiedere spiegazioni dal punto di vista maschile, ma le sembrò una brutta idea. In fondo non era neanche così sicura di aver capito bene.



"Professoressa, posso rubarle la signorina Swan solo per un minuto?"
"Certo." fece la professoressa Gold, lasciandosi cadere il fischietto appeso al collo.
Emma si tirò su da terra, lasciò le righe e si stiracchiò le ginocchia prima di seguire il professore. I tendini dei muscoli le facevano male, quella stronza della Gold le schiacciava la schiena a terra ogni volta che facevano stretching, fino a farle stridere tutti i muscoli delle gambe. Arrivarono in un'aula, quella in cui probabilmente il professore aveva appena tenuto una lezione di letteratura. Fogli e libri erano ancora sui banchi. Lui si diresse verso la cattedra, forse pensò di chiudercisi dietro, ma poi si bloccò e si girò verso di lei giocando con le dita.
"Emma, io..."
"Se vuole chiedermi di nuovo scusa, non fa niente, ho capito. E' tutto apposto."
"No, io" cominciò "in realtà non so da dove iniziare." Si batté le dita di una mano sul dorso dell'altra davanti al petto e poi si sistemò la cravatta. "Forse non dovrei." si avvicinava passo dopo passo.
"Cosa?" chiese Emma quando quello fu così vicino da sentire il rumore del suo respiro.
Il professor Jones distolse lo sguardo e guardò a terra come se stesse pensando. Si leccò le labbra e tornò verso di lei. Le pupille erano dilatate, il blu degli occhi meno appariscente, più cupo, ma ugualmente profondo se non addirittura di più. Era come se la stanza fosse piombata nel buio e non ci fosse più nulla.
Emma indietreggiò e fece cadere qualcosa che era sul banco dietro di lei. Il rumore di penne e quaderni che cadevano a terra le rimbombò nel cervello. Si girò e si abbassò, ringranziando che ci fosse qualcosa dietro di lei, che le aveva dato l'occasione di distogliere l'attenzione. "Che cretina." fece lei, raccogliendo. E si sentiva davvero cretina, ma meglio goffa che in imbarazzo. I capelli le caddero davanti al viso, ma evitò di riavviarseli dietro alle orecchie. Sperò di potercisi nascondere.
Killian Jones si abbassò insieme a lei e fece per aiutarla. Si leccò di nuovo le labbra e ci pensò. Poi senza mollare niente, stringendo ancora quel quaderno e quei fogli si lanciò su di lei e la baciò. Le stampò un bacio sulle labbra, niente di più. Quando la lasciò, Emma si toccò la bocca. Non sapeva che fare. Decise di far finta di niente e continuare a raccogliere. Forse avrebbe dovuto rispondere, forse avrebbe dovuto baciarlo anche lei. Era stato dolce ed irruento allo stesso tempo. Non aveva provato niente se non fretta. Era stato inaspettato. Forse avrebbe dovuto riprovare. Aveva deciso di farlo quando sentì qualcuno entrare.
"Professore."
Emma alzò gli occhi e vide la signorina French, responsabile della biblioteca. Ed allora nella sua testa si accese un flash, come una lucina in una lampadina: un insegnante l'aveva appena baciata e cavolo, non uno qualsiasi.
"I libri che mi aveva chiesto." fece lei. Si tolse un blocco di libri da sotto al braccio e lo posò sulla cattedra. "Tutto ok?" chiese, vedendo una studentessa ed un professore seduti su una marea di fogli e penne.
"Sì, sì, grazie Belle." rispose lui rialzandosi e sistemandosi la giacca.
"Quindi..." cominciò Killian Jones imbarazzato e stavolta Emma sapeva perché e sorrise. "fammi sapere che college ti interessa."
"Ok." rispose lei. Raddrizzò un blocco di fogli e lo poggiò sul banco
"Vai, finisco io." Teneva gli occhi bassi e non la guardava. Sapeva che era per via della bibliotecaria, però un po' questo la feriva.
"D'accordo." rispose lei con voce spenta.
"Oh, Emma." la chiamò. Alzò la testa e rivide i suoi occhi di nuovo: erano di nuovo azzurro mare. Per un attimo Emma si illuminò. "Va' al ballo, divertiti ogni tanto."
Suonava come un invito. Doveva essere un invito. Sorrise. Sorrise e basta.
Killian Jones l'aveva baciata. Piaceva a Killian Jones e lui l'aveva appena invitata al ballo. Strinse un pugno, si stiracchiò e si toccò la bocca. Alla faccia della professoressa Gold!
Corse via e tornò alla lezione di educazione fisica, cercando di pensare intanto a dove poter comprare un vestito per il ballo.



Nei giorni che seguirono sua madre la accompagnò in tre negozi differenti e solo al terzo trovò il vestito che faceva per lei. Bianco e rosa, candido. Cadeva giù dritto dalla vita in giù, mentre un corpetto le stringeva i fianchi. Aveva una scollatura a cuore, ricca di veli. Decise di lasciare giù i capelli, ma sua madre la convinse a farseli arricciare almeno. Così si preparò per il grande giorno. Ci impiegò ben quattro ore. Si comprò per la prima volta della cera, striscie depilatorie ed un rasoio e cominciò a sperimentare da sola nel bagno subito dopo il rientro da scuola. Mary Margaret le fece vedere come truccarsi: le disegnò una linea nera sugli occhi, le regalò un mascara e le fece stringere le labbra per stendere e fissare il rossetto. Allo specchio non si riconosceva, ma andava bene. Si vedeva bella e femminile, molto femminile per una volta. Uscì di casa a bordo di un'auto gialla, vecchia e arruginita, che non era neanche la sua. Si diresse verso la scuola e quando parcheggiò si sentì il cuore a mille. Si mise una mano sul petto per fermarlo, aspettò qualche secondo prima di scendere e poi finalmente prese coraggio.
Quando entrò nella palestra, era completamente trasformata. C'erano luci viola, festoni viola, cuori rossi e coriandoli da per tutto. Una grande palla a specchi era appesa al soffitto e riflettava i colori di tutto quello che le stava attorno. Nessuno notava più le striscie gialle e bianche del capo di basket sotto i loro piedi. C'era un grande tavolo in un angolo, due uomini vestiti bene con il pappilon distribuivano piattini e ponch. Ovviamente anche il cibo era rosso, rosa e bianco. Sembrava tutto diverso e trasformato. Emma comprese allora la magia del ballo dell'ultimo anno. 
C'erano i suoi compagni da una parte, tutti che ballavano con qualcuno, alcuni erano in guppo dall'altro lato invece seduti ai tavoli. Persino quelli del gruppo di aritmetica erano venuti. Neal la notò e salutò con la mano. Emma salutò di rimando. Dovette ignorarla subito però, perché era con la sua nuova ragazza, Tamara, che la odiava. Ovviamente. August invece la raggiunse.
"Pensavo che ti preparassi per la grande partenza!" disse lei senza nemmeno salutare.
"Ed io che il ballo fosse solo una buffonata per far guadagnare qualche spiccio a chi affitta vestiti e camere d'albergo." rispose lui, recitando a memoria le parole che lei gli aveva ripetuto per tutti gli anni di liceo.
"Queste parole le ho già sentite da qualche parte!" ironizzò lei.
August la guardò serio.
"Si può sempre cambiare idea!" spiegò poi.
"Certo, certo." disse lui malizioso.
"Ma smettila!" rispose lei, dandogli un pugno sul braccio.
August cominciò a ridere. "Ti aggiungi a noi?" chiese, indicando verso un tavolo dove una ragazza carina, bassa e magra, dai capelli scuri li stava guardando. Le sembrava seguisse chimica con loro, ma Emma non ne poteva essere molto sicura. Sorrise all'amico. Non si aspettava che avesse una compagna per la serata, né gliene aveva parlato. Quella sera alla partita non era riuscita a combinare niente alla fine. Il giorno dopo gli avrebbe chiesto di raccontargli tutto.
"Magari dopo, vado prima a prendermi da bere." spiegò lei, cercando di inventare una scusa per lasciarli soli. August la ringraziò a bassa voce, si allontanò e raggiunse la ragazza. Emma sorrise e poi proseguì verso la grande tavolata delle portate. Non poteva fare a meno di guardare a terra e cercare il pavimento di gomma verde con le striscie bianche. Lei notava sempre quello che c'era sotto. Ordinò un bicchiere di ponch, qualche rustico ed un fetta di torta. Le chiesero di che colore voleva la bandierina sul suo dolce. Non che le importasse, ma rispose rosso.
"Sei molto carina stasera."
Emma si girò. Sapeva già di chi si trattava, l'odore di deodorante riusciva a coprire quello della palestra sudata. Lo guardò. Sorrise. "Grazie." disse solo. "Anche tu." Ed in effetti lo era. Aveva un vestito da sera nero, una camicia grigio perla, ma nessuna cravatta e nessun papillon. I capelli erano disordinati, la barba sembrava più ramata che mai sotto quelle luci rosa e negli occhi poteva vedere delle sfumature del rosa soffuso dell'ambiente. Era vicinissimo e da lì notò una cicatrice che aveva sulla guancia. Emma notò solo allora quanto davvero era giovane il suo professore. Sarebbe potuto sembrare un ragazzo più grande, uno del college con un po' di fantasia. Forse poteva avere intorno ai trent'anni. Trenta era un numero accettabile.
"Tu lo sei sempre." le disse e gli prese la mano. Porse un gentile bacio sul dorso a malapena sfiorandola. Emma prese aria.
"Beh.." cominciò lei.
"Anch'io, lo so." Killian Jones sorrise.
Emma rise, ma la battuta non era bastata a distrarla abbastanza e con le dita cominciò a cercare quelle di lui che la tenevano ancora sul palmo e sulle nocche. Le intrecciò e lui anche e lo fissò allora. Lo vide chiaramente chiudere le labbra e ingoiare, ogni ombra di sorriso era scomparsa.
Killian Jones si tirò via la mano. Emma lo guardò e tirò via anche la sua come se scottasse. Lo fissò intensamente e pensò come fosse strano pensare a lui per nome e per cognome, nessun "professore" o "signore" di mezzo. Sembrava sbagliato aggiungerlo.
Killian Jones si massaggiò la mano che prima era intrecciata alla sua. Sembrava di nuovo sovrappensiero, come quel giorno nel suo studio. "Vieni con me?" chiese lui.
Emma fece sì con la testa e lo seguì. Non le prese la mano. Non di nuovo. Forse c'erano troppe persone lì attorno. Sperò di poter raggiungere un posto dove potergli tenere la mano. La condusse nei corridoi e salirono delle scale. Emma riconobbe la strada che portava all'ufficio di lui. Che stava facendo? Si fermò un attimo e non appena i suoi tacchi smisero di fare rumore, il professore si girò a controllare. Emma esitò. "Professore," iniziò.
"Killian." disse lui. Mise le mani in tasca e la guardò.
"Killian," si corresse lei. "che stiamo facendo? E soprattutto perché?" chiese. Non aveva paura, ma era confusa. Voleva sapere che stava succedendo, perché lui era così strano con lei, perché la cercava in continuazione, la lodava, poi l'allontanava, poi cercava di avvicinarla di nuovo ed infine la portava via dal ballo della scuola, che doveva essere una delle serate più emozionanti della sua vita.
Killian fece un respiro. La guardò. Poi scrollò le spalle.
Emma lo guardò sollevando le sopracciglia, chiedendogli di rispondere.
Killian fece un respiro di nuovo. "Tanti poeti hanno provato a spiegarlo." cominciò lui. Si avvicinò, ancora con le mani nelle tasche, un passo dopo l'altro, sempre più vicino a lei.
"Provaci." lo esortò Emma. Era ancora strano dargli del tu e non del lei.
Rivide di nuovo gli occhi blu e profondi, quelli con le pupille dilatate, persi, forse addirittura neri. I capelli gli cadevano a ciocche sulla fronte. Notò solo allora i bottoni della camicia un po' aperti, qualche pelo fare capolino tra le pieghe del vestito. Fissò il pomo d'adamo fare su e giù. E fu un lampo perché dopo poco non vide più niente. Killian Jones si precipitò su di lei e la baciò. Non era più tenero, ma anzi era forte, pretenzioso. Un bambino ingenuo avrebbe pensato che fosse arrabbiato. Emma invece sentiva quello stesso suo sentimento e lo chiamava piuttosto fretta. Aveva fretta di avvinghiarsi a lui, di baciarlo, di essere irruenta. Aprì la bocca e approfondì il bacio. Sentì l'odore di ponch venire dalla lingua di lui, ne senì il sapore sulla sua ed era come ubriacarsi.
Killian la prese per le spalle e la spinse verso il muro di lato. Fece scivolare le mani dalle spalle alla schiena di lei. Disegnò con un paio di dita la curvatura fino all'orlo del bustino. Tornò su, sulle sue spalle e sulle maniche vaporese e velate del vestito da ballo di lei. Ne abbassò una e la baciò tutta: dal suo collo, all'incavo, alla sua spalla ed un tenero bacio lo lasciò sulla clavicola e poco più giù al centro del petto. Emma, con gli occhi persi, fissava un punto indefinito davanti a sé. C'era una teca con tante coppe e premi, dei poster ed il pupazzo della mascotte della scuola. Richiuse di nuovo gli occhi.
"Se è troppo.." cominciò a dire lui tra un bacio e l'altro. "... posso..." Persino le sue parole sembravano umide, bagnate di saliva.
Emma gli prese il viso tra le mani e lo guardò. Di nuovo notò quegli occhi blu. Sembravano quelli della notte. Le sue labbra erano socchiuse, interrotte tra un bacio e l'altro "Non ti fermare." bisbigliò lei. E Killian Jones tornò su di lei. Abbassò anche l'altra spallina e continuò a baciarla.
Sentirono dei passi in lontananza e dei ragazzi parlare.
"Avanti, Robin!" disse una voce femminile.
"Regina, non credo..."
Killian si mise un dito sulle labbra ed Emma sorrise. A Killian scappò una risatina. "shh!" disse allora Emma e gli coprì la bocca con una mano e poi coprì anche la sua.
"Chi vuoi che ci sia!"
"Almeno chiudi la porta!"
E non sentirono nient'altro. Killian la baciò di nuovo con la stessa fretta. Poi si fermò, lo sentì ingoiare. "Vieni con me." Aveva una voce diversa: roca, bassa, come se parlasse con fatica. Entrarono nel suo studio, sbatterono la porta, la sentirono rimbalzare ed ignorarono il resto.



Un uomo alto e biondo entrò in aula. Giovane anche lui, pareva una nuova recluta della scuola. Probabilmente fin troppo, appena assunto, che non conosceva ancora bene le aule e gli orari. "Buon giorno a tutti, sono il professor Nolan e per oggi..." cominciò quello, scrivendo il suo nome alla lavagna con un gessetto.
"Che fine ha fatto il professor Jones?" chiese una ragazza. Emma si voltò dietro a scrutarla. Era Ruby Lucas, ancora con la mano alzata e la solita gomma in bocca. Ad Emma fece rabbia. Era un'altra delle solite innamorate del professore di inglese. Si vestiva da zoccola, era il capo delle cheer leader e ci provava ogni volta che poteva.
"Ha dovuto prendersi qualche giorno." spiegò il supplente.
"Perché?" chiese Emma a voce alta. Credeva di averlo solo pensato, invece l'aveva detto a voce alta, cavolo! Si girarono solo pochi a guardarla.
"Non è cosa che vi riguarda." disse antipatico. Prese il libro, lesse sul registro l'ultimo argomento trattato e poi cominciò a cercare tra le pagine "Andate a pagina 225."
La giornata continuò scialba. Era vuota. Dentro c'era solo preoccupazione di non sapere che fine aveva fatto il suo professore. Sperò ogni volta che qualcuno la mandasse a chiamare in aula, che sentisse dire da qualcuno in giro che quello d'inglese era solo malato.
Tornò a casa mentre lungo il tragitto s'inventava le storie più disparate.
"Sapevo che c'era qualcosa che non andava in quel..." sentì borbottare dal salotto. Allora incuriosità si avvicinò. Chi poteva essere a casa a quell'ora con sua madre?
"Emma!" la chiamò poi lei appena la vide, rizzandosi in piedi, interrompendo qualsiasi cosa che stesse dicendo, visibilmente nervosa.
"In chi c'è qualcosa che non andava?" chiese lei. Lo sguardo le volò subito sull'altra persona. Un uomo alto, biondo, con la barba ed una divisa marroncina con un cappello abbinato, appoggiato sul tavolino di fronte al divano.
"Emma, lui è..." cominciò la madre.
"Ciao Emma, sono le sceriffo Humbert. Sono qui per farti alcune domande." spiegò lui, sollevandosi in piedi e tendendole la mano. Emma la prese automaticamente senza pensare.
"Cosa?" chiese lei "Che ho fatto?"
"Tesoro..." cominciò sua madre. La vide rigirarsi le dita, sfregarsi le mani l'una con l'altra, bagnarsi le labbra con la saliva. "Tu non hai fatto niente. Voglio che tu..." prese fiato e davvero non sapeva come spiegarsi e questo terrorizzò Emma che si retrasse. Lo sceriffo Humbert la teneva d'occhio e come lei si muoveva, lui si muoveva verso di lei. "ti senta al sicuro e che tu sappia che non è colpa tua."
"Mamma," cominciò Emma e piano piano si stava allontanando "che cosa sta succedendo?" Camminò piano piano all'indietro verso la porta della cucina che confinava col salotto. Lo sceriffo la afferrò per un braccio, si avvicinò e la abbracciò con l'altro, portandola piano piano fino alla poltrona ed invitandola a sedere. Poi si accomodò di fronte a lei.
"Emma, conosci la signorina Regina Mills?" chiese lui, leggendo il nome da un foglio incastrato in una cartellina insieme a tanti altri.
"Sì," rispose lei, ancora irrequieta, se non addirittura più di prima. Aveva paura di rispondere a qualsiasi domanda. "sua madre è la mia insegnante di storia."
"L'hai vista la sera del ballo?" continuò lo sceriffo, sistemandosi i fogli sulle gambe ed allungandosi con le mani verso di lei. Emma si ritrasse quando lui la toccò, ma lo sceriffo le prese le mani e la accarezzò, calmo e rassicurante.
"Sceriffo.." cominciò Emma.
"Chiamami Graham."
"Graham, non so cosa centri questo con me."
Sua madre guardava Emma nervosa e poi lo sceriffo. Non riusciva a stare ferma e muoveva in continuazione le mani. La vide prendere un respiro profondo ed era quasi sicura che si stesse per mettere a piangere.
"Il tuo professore di inglese," cominciò lui.
"Il professor Jones?" chiese Emma. Sentir parlare di lui la emozionava in qualsiasi senso. Si ridestò e si illuminò per un attimo. Ma poi vide la madre nascondere la bocca dietro una mano e chiudere gli occhi. Lo sceriffo la guardò e poi tornò verso di lei. Allora Emma si allarmò: Regina doveva averli visti. A scuola. La sera del ballo.
Emma si tirò via le mani e s'alzò di scatto. "Che cosa volete da lui?"
Sua madre cominciò a piangere e singhiozzare. Abbassò un attimo la testa e poi si alzò per raggiungerla e cercò di prenderle le mani. "Emma." disse all'inizio.
"Mamma," fece lei "tranquilla," le disse accarezzandole la testa. Ormai aveva capito che lo sapevano e non cercò di nasconderlo. Pensò che non c'era niente di male da nascondere. Era sicura che a Killian Jones non sarebbe dispiaciuto se avesse ammesso la veritò. Anzi, avrebbe voluto rassicurare la madre, raccontarle che bella esperienza che era stata. "lui è stato dolce, mi vuole bene, davvero. Vuole che studi, che vada al college. Mi ha fatto prendere bei voti."
Sua madre continuava a piangere e neanche la ascoltava. Ad un certo punto la abbracciò. Da quella prospettiva vide lo sceriffo grattarsi la barba e masticarsi il labbro, rimuginando. Quando sua madre la lasciò, guardò anche lei lo sceriffo, che fece sì con la testa e si avviò verso l'uscita.
"D'accordo. E' stato un piacere parlare con te, Emma." fece poi andandosene. Sua madre lo raggiunse e lo accompagnò alla porta. Emma rimase in salotto ad origliare. Avevano capito che era tutto ok? Avevano capito che non c'era stato niente di strano? Che una volta finita la scuola non ci sarebbe stato alcun tipo di problema o di scandalo? Avrebbe voluto prendersela con Regina, ma non aveva importanza. Forse poteva sentirsi addirittura sollevata. Appizzò poi le orecchie sentendoli bisbigliare.
"I dottori la stanno già aspettando in centrale, signorina." fece lo sceriffo a sua madre.
"Dottori?" scattò Emma ad alta voce sconvolta. Li raggiunse, guardò entrambi e cominciò a tremare.
"Emma," le fece la madre avvicinandosi, sempre con quella vocina bassa e premurosa "vogliono solo assicurarsi che tu stia bene." Le mise le mani sulle spalle e la guardava.
"Io sto bene!" si lamentò lei sottraendosi.
"Non puoi saperlo." disse sua madre secca. Assunse quel tono deciso che usava solo per i rimproveri. Si era arrabbiata. Ed era sconvolta perché ancora non urlava.
"Certo che lo so!"
"Emma, adesso tu vieni con me." sua madre guardava a terra. Era passata dalle premure a non volerla neanche guardare negli occhi. Emma era spaventata. Cosa credeva che ci fosse stato? Che lui l'avesse violentata? Che Killian Jones fosse passato da una studentessa ad una prostituta e poi a lei? Che non fosse d'accordo? 
"Non mi puoi obbligare." fece Emma allontanandosi. Cercò di correre via, salire nella sua stanza, ma sua madre la afferrò e la trascinò via, verso la porta. Emma urlò e non se ne fregò niente che lo sceriffo la vedesse così isterica, che i vicini sapessero tutto o di farsi male e cose del genere. Sperò che non le uscissero dei lividi mentre urtava le cose o per la stretta di sua madre. Se le fossero venuti fuori, automaticamente la colpa sarebbe stata del suo professore. Questo non la fermò dal tirare calci ovunque. Neanche si rese conto che lo sceriffo l'aveva immobilizzata per le braccia e la stava trascinando in auto.
"Lasciatemi!" urlava durante il tragitto e piangeva. Sperava che qualcuno fuori la sentisse e chiedesse loro cosa stesse succedendo. "Mamma!" implorava, ma lei aveva il viso deciso di chi non ammette repliche e si sentì solo allora una bambina. Ancora una bambina. Come poteva pensare di stare bene con uno come il suo professore? Pianse in silenzio allora e quando finalmente si lasciò visitare, fissò solo un punto sul soffitto bianco. Un punto nero da cui a tela di ragno, partivano delle crepe nell'intonaco. Sperava le sarebbe caduto in testa ad un certo punto.
Quella visita, quei dottori, la fecero sentire più sporca di come gli altri pensavano che si sarebbe dovuta sentire dopo quella relazione. Tornata a casa ricominciò a piangere di nuovo sotto alla doccia. Lasciò che l'acqua le lavasse via la vergogna che aveva provato.



Il giorno dopo voleva che Killian Jones andasse a lavoro. Voleva raccontargli di quello che le era successo, di quello che le avevano fatto. Gli avrebbe assicurato che non era colpa sua, ma di sua madre e di quello sceriffo del cavolo.
L'avrebbe cercato a casa o sul cellulare se solo avesse avuto il suo numero. Si diede della cretina per non averglielo mai chiesto. Era l'abc.
Ma perché lui non l'aveva fatto? Non la voleva sentire? Non le voleva parlare?
Pregò per tutta la notte e per tutto il tragitto da casa a scuola che lui andasse a lavoro.
Inglese era alla prima ora e non ci sarebbe voluto molto per scoprirlo. Tuttavia non voleva che arrivasse così presto. Era in ansia e se la lezione di inglese fosse stata più tardi, lui avrebbe avuto per più a lungo la possibilità di andare a lezione. Magari si stava rimettendo dalla malattia.
Si avviò verso l'aula di letteratura.
Il signor Nolan era già davanti all'ingresso. "Signorina?" chiese vedendola.
Ma Emma indietreggiò, corse via in bagno e vomitò. Era sconvolta. Decisamente sconvolta. Lasciò tutto dov'era, uscì dal retro della scuola e corse via fino a casa. Non voleva stare a scuola se lui non ci stava. Aveva l'impressione che tutti la guardassero, come se fosse un'attrazione da circo, come se Regina avesse spifferato a tutti quello che aveva visto. Poteva giurare di aver visto Ruby Lucas tentare di farle lo sgambetto.
Tornò a casa perché sapeva che sua madre non c'era e sarebbe dovuta arrivare tardi. Si lasciò sul divano e strinse gli occhi per non piangere. Dopo una buona mezz'ora s'alzò a sedere e fissò il tavolino, dove fino al giorno prima c'era il capello dello sceriffo. Notò una busta aperta. Si guardò attorno e cominciò a girare nelle stanze. Sua madre non c'è ma le finestre sono aperte e una pentola con pomodori pelati e una carne poco cotta era sul fuoco. Doveva essere uscita di fretta.
Emma tornò in salotto e si sedette ancora sul divano. Notò di nuovo quella busta.
Emma Swan, c'era scritto. Era per lei. Si lanciò sul tavolino e sul pezzo di carta e la aprì.
Risultati della analisi... Laboratorio di biochimica del dipartimento scientifico della polizia statale... Firmato Dott. Victor Whale specialista in ginecologia ed ostetricia...
Emma appollottolò il pezzo di carta e volò al piano di sopra. Cercò nell'armadio quella sacca rossa e nera che anni fa usava per la palestra. Lanciò vestiti per aria prima di trovarla.
Il cellulare squillò.
Mamma
Non volle rispondere, neanche guardare. Rifiutò la chiamata e spense il cellulare.
Prese due paia di jeans, gli stivali e tre magliette e li ficcò nella sacca. Raccattò il cappotto più pesante che si ricordava di avere e corse al piano di sotto. Raggiunse la cucina dove c'era la porta sul retro. Prese un respiro profondo, annusando per l'ultima volta l'odore della cucina e di casa.
"Emma!" chiamò qualcuno dall'ingresso. Ma lei s'affrettò fuori dall'altro lato e corse via. Lasciò perdere l'auto e corse veloce. Si fermò col fiatone solo quando pensava di essere abbastanza lontano, quando credeva che da casa sua non si sentisse neanche il rimbombo dei suoi passi pesanti e veloci sull'asfalto. Si ricordò solo allora di non aver portato soldi con sé, aveva solo quello che le era rimasto in tasca: trenta dollari e due caramelle che aveva preso ad August. Aveva il cellulare, ma non il caricabatterie. Tanto male, non avrebbe mai voluto riaccenderlo.
Raggiunse la stazione dei pullman e con quel poco che aveva comprò un biglietto per New York, un panino ed una bottiglia d'acqua. Salì e guardò la scuola e casa sua dal finestrino per l'ultima volta. 




 




Angolo dell'autrice
Ciao a tutti! :)
Mi scuso  per gli OOC. Stavolta però non dei ritardi ;P 
Come vi avevo anticipato, questa partiva come one shot che ho spezzato per non rendere troppo lunga. Onestamente ho in mente una serie infinita di finali. Ho ristretto la rosa a tre. A seconda di quello che sceglierò ci potrà essere un altro o altri 2 capitoli, epilogo compreso. 
L'ispirazione per la ff nasce da Never been kissed e da Trust, due film diversi che vi consiglio di vedere entrambi.
Fatemi sapere cosa ve n'è sembrato e se avete consigli da darmi. Aspetto le vostre recensioni, alla prossima ;)

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


 

 

Un giorno era successo per sbaglio che Killian Jones s'era imbattuto in Emma Swan.
Si era appena trasferito a malincuore in America, nello stato del Massachusetts, l'ultima possibilità che gli era rimasta. Quando se n'era andato da Cambridge ci aveva lasciato dentro troppi ricordi. Aveva deciso di abbandonarli tutti però e voltare pagina. Suo fratello Liam ce l'aveva anche un po' costretto, ma faceva di tutto per sentire la scelta come sua, per nascondere la vera ragione.
S'era appena trasferito, prima ancora di insegnare, che incontrò Emma Swan.
Lei era alta, snella, con dei lunghissimi capelli biondi, il viso poco innocente e quasi sempre arrabbiato. Le persone arrabbiate hanno un certo non so che di speciale. E' come se ne sapessero più degli altri, come se avessero più da nascondere e più da darti. Avrebbe potuto giurare allora che di anni ne aveva almeno venti.
S'era fermato al centro commerciale, aveva comprato vestiti nuovi, s'era sbarazzato di quelli che puzzavano d'inglese e s'era seduto al bar con un frappé. Fragola e banana, come i bambini. Liam gli avrebbe ripetuto quella battuta che faceva da secoli: "tieni a bada la tua sindrome di Peter Pan, caro il mio bimbo sperduto!". Come se facesse ridere poi. Aveva smesso di farla da quando era successo il fattaccio però.
La notò mentre discuteva con qualcuno appena fuori da un negozio, che urlava insulti probabilmente mentre veniva accompagnata fuori. Non aveva sacchetti in mano, non aveva comprato niente. A Killian Jones scappò un sorriso. Osservò la commessa uscire con un dito sulla bocca e avvicinarsi alla ragazza bionda, discutere ancora finché lei non se ne andò con una mano alzata a mezz'aria. Americani!, pensò Killian.
Gli camminò proprio affianco quando un pacchetto di gomme le cadde dalla tasca, giusto a una spanna dai suoi piedi. Killian Jones lo raccolse. "Signorina!" la chiamò. Quella si girò, glielo strappò di mano senza di dire niente e se ne andò. I capelli volteggiarono per aria. La rinotò più tardi, seduta su una panchina di fronte alla fontana, con lo sguardo truce e tanti grilli per la testa.
Due settimane dopo la conobbe. Era una sua allieva. Si sentì strano nello scoprirlo.
Era distratta, intelligente, coraggiosa, non si teneva niente in bocca se credeva che ne valeva la pena. All'inizio gli faceva tenerezza, gli ammorbidiva il cuore, ma allo stesso tempo rabbia. Era stato cresciuto da sua madre con l'idea che il duro lavoro avrebbe ricompensato. Credeva fortemente nella forza di volontà, nella disciplina. Ed Emma era così svogliata. A volte però ce la metteva tutta. Un'analisi su Shakespeare l'aveva colpito.
Shakespeare... Era l'autore preferito di...
E ad Emma non piaceva. Non era romantica, non era una sognatrice.
Era seria. Non rideva mai. Eccetto con una persona, August Booth. Aveva verificato, seguiva con lei chimica, francese e matematica. Pranzavano assieme, studiavano assieme, andavano alle partite assieme e si vedevano sempre negli intervalli.
In pochissimo tempo era diventato ossessionato da quella ragazza: l'odore del suo shampoo era la vaniglia, non usava profumi, le piaceva vestirsi di nero, di rosso ed occasionalmente di blu. Aveva un cellulare con la fotocamera e lo usava con la mano sinistra e non con la destra, ma scriveva sempre con la destra. Mangiava sempre un dolce ad ora di pranzo, non l'aveva mai vista con un ciuffo d'insalata e non si sgranocchiava mai le unghie. Era curioso quando c'era di mezzo lei. Sul registro la cercava sempre quando faceva l'appello, sperava che ci fosse ogni giorno.



Chiamava spesso la sua famiglia in Inghilterra. Quello che gli interessava di più sentire era suo fratello. Quando Killian si metteva in testa un progetto, se sua madre da un lato prima lo incitava e poi gli mostrava le falle delle sue folli idee, suo fratello era schietto fin da subito. Se voleva la verità nuda e cruda era da suo fratello che doveva andare.Quindi lo chiamava quando qualche malsana idea gli pizzicava il cervello.
"Ho un'allieva molto talentuosa." gli disse una volta "E' sveglia, originale, dice sempre la sua... è fuori dagli schemi ed ha un caretterino..."
"Killian." cominciò dall'altro lato del ricevitore suo fratello. Sentiva già rimprovero nella sua voce.
"Cosa?" chiese lui innocentemente.
"Di nuovo?"
"Non è come credi. Non è come a Cambridge." cercò di rassicurarlo.
"Ah no?" chiese scettico e retorico. "E allora perché mi hai chiamato?"
Killian strinse i denti.
Doveva allontanare Emma Swan, non c'era altra soluzione.
Alla fine non c'era riuscito.
Ci aveva provato, non si poteva dire che non l'avesse fatto. Anzi. Aveva chiamato tutti i college dell'altra costa, aveva cercato online la lista di tutti i professori di tutti i campus che si trovavano come minimo a cinquecento chilometri di distanza. Si ricordava di una sfilza di ragazzi che s'erano laureati con lui ed erano andati ad insegnare negli Stati Uniti. Se continuava a cercare prima o poi qualcuno l'avrebbe trovato.
Ce n'era uno in particolare che gli venne in mente: gli passava i compiti di latino e si prendeva quelli di greco, non l'aveva trattato neanche troppo male. E poi tra colleghi ci si scambia favori! Lavorava a Stanford. Era una buona scuola, un programma di studi completo, insegnanti niente male e un non basso numero di laureati celebri. Si chiese se Emma predilisse di più le materie classiche o quelle scientifiche. Aveva sempre dato per scontato che gli interessasse di più la sua materia. Ma chissà, magari era appassionata di cinema.
Si ricordò di averla vista più di una volta scattare fotografie. Forse era quella la sua strada? Gli si accese un lampo dentro, una voglia di aiutarla a trovare la sua via, spronarla passo passo, vederla diventare una donna di successo.
Ma non poteva.
O sì?
Dio, era così pazzo di lei.
Chiamò Liam e poi il suo amico a Stanford.



Sarebbe andato tutto liscio se la voce della sua coscienza non avesse deciso di essere troppo impegnato per rispondere al telefono per più di due giorni.
E allora Killian si disse, che male poteva fargli andare al ballo? Incontrarla? Fare l'amore con lei nel suo studio?
Se avesse voluto metterla dal punto di vista della polizia, degli studenti e del preside, allora sì, Killian si era scopato una studentessa: l'aveva sedotta, le aveva fatto delle promesse, l'aveva convinta con l'inganno a seguirla e l'aveva... Cosa? Stuprata? Ma conoscevano davvero Emma? Gli sembrava realmente plausibile che lei tra tutti potesse farsi stuprare così, senza neanche un calcio nelle palle o quant'altro?
Sembrava che la sua vita si ripetesse ciclicamente: si innamorava di una studentessa, lei si innamorava di lui, passavano del tempo insieme, poi la sospensione, genitori arrabbiati, un processo, un'accusa, l'obbligo a consegnare le dimissioni. Poteva anche non dimettersi, ovviamente. A meno che non volesse che la scuola raccontasse tutto al suo prossimo dirigente scolastico, si fa per dire. Però, siccome gli americani sono più plateali degli inglesi, a tutto quel ciclo infinito di eventi si era aggiunto anche il divieto di avvicinarsi alla struttura.
E cosa poteva fare allora per incontrare Emma senza sembrare uno stupratore seriale? Aspettarla fuori dalla scuola? A dieci metri? Venti? Vicino casa?
Si disse però che la scuola era autorizzata a fornire i recapiti dei suoi insegnanti ed ex insegnanti agli allievi. L'avrebbe trovato lei. Era sveglia, era certo che l'avrebbe fatto. Così passò i giorni a leggere libri, fare una selezione di qualcosa che magari a lei sarebbe piaciuto. Forse Sulla strada o i racconti di Edgar Allan Poe. Emma era così tenace, ed indipendente, e forte.
Ed aveva ragione ad aspettare, se non per l'unico fatto che non fu Emma a presentarsi alla sua porta, ma il ragazzino di cui era stato geloso per diverso tempo: August Booth. Quando aprì la porta lui gli disse solo "La deve aiutare.". E così venne a sapere del terribile ed inutile interrogatorio al quale era stata sottoposta, alla visita medica umiliante, al panico nello scoprire la sua gravidanza (notizia alla quale non potevano non ammorbidirglisi gli occhi) ed alla fuga.
Si presentò alla sua porta di casa.
Ci voleva coraggio.
La signorina Swan, Mary Margaret, gli aprì la porta con le lacrime agli occhi ed in mano un fazzoletto. C'era silenzio dentro. Ebbe giusto il tempo di notare un paio di persone nel salotto tra cui lo sceriffo, l'amico August ed il preside, che gli venne subito scagliato uno schiaffo in piena faccia.
"Come si permette?" chiese Mary Margaret sconvolta.
"Mary," disse August che la raggiunse alla porta. Doveva conoscerla da molto per chiamarla per nome "l'ho chiamato io."
Sul volto della donna comparve un'espressione di disgusto e disprezzo. Sapeva benissimo quello che lei pensava: i ragazzi non capiscono ancora certe cose, non capiscono ancora quanto quest'uomo faccia schifo.
"La prego," cominciò a supplicarla "amo sua figlia, voglio aiutare a cercarla, voglio aiutarla, stare con lei." ammise. La vide afferrare la maniglia della porta e prepararsi per sbattergliela in faccia, ma la fermò con un piede sull'uscio e una mano sul legno. "Dico davvero!"
Ma non ci fu storia.
La porta si chiuse. Non era ammesso nel gruppo. Rimaneva sempre lo schifoso porco che aveva sedotto e messo incinta una diciottenne, abusando della sua posizione di educatore.
E adesso?



Trovarla non fu facile. Per niente.
Sapevano soltanto che si trovava a New York e che ormai erano passati otto mesi dalla sua fuga.
Killian non si diede per vinto neanche per un secondo. Si trasferì lì, ogni giorno girava per le strade con una foto di Emma che aveva preso dall'annuario. Non le avava scattato neanche una foto. Partì dagli ospedali, ma non gli dissero niente, non potevano dirgli niente. Valeva la pena però controllare almeno una volta al mese. Quindi cominciò a pattugliare le strade, non sapendo assolutamente da che parte cominciare.
Non era facile. Ed in più tutti i soldi che aveva messo da parte si stavano pian piano esaurendo. Presto o tardi avrebbe dovuto cercarsi un lavoro se avesse voluto continuare.
Per una volta però, il tre di dicembre, la fortuna fu dalla sua parte. Un'infermiera in un piccolo ospedale gli disse che sì, forse era passata una ragazza incinta da quelle parti e che poteva somigliare alla ragazza nella foto. Non manca molto, lo avvisò. Allora tutti i giorni passò di lì a chiedere se Emma c'era.
Il quattro dicembre, no. Il cinque, nemmeno. Il sei, neanche. Il sette, neppure. L'otto, mancava l'infermiera che lo stava aiutando e gli altri non erano poi così gentili. Il giorno nove, Ollie l'infermiera lo avvisò che erano là. Erano, al plurale!
Killian scattò per i corridoi, prese le scale e salì al quarto piano a piedi. Il reparto maternità era vuoto. Girò un angolo e poi la vide. Fu così sorpreso che neanche ci credeva. Era in piedi, di profilo, i capelli sciolti, un camice bianco e due gambe magre come un chiodo che spuntavano da sotto. Era ferma davanti ad un vetro spesso. Killian si avvicinò cauto, non voleva spaventarla. Lei era presa comunque da qualunque cosa stesse guardando e non ci fece neanche caso.
Cosa doveva dirle? Ciao? Scusa, mi dispiace? E' solo colpa mia?
Poi s'affacciò anche lui a spiare una nursery. Qualunque cosa stesse pensando fino a poco fa sparì. Si fece più vicino fino quasi a spiaccicare il naso sul vetro. Non s'accorse neanche della reazione che poteva aver avuto Emma. Forse aveva sussultato, ma non avrebbe potuto affermarlo con certezza in futuro. Si sentiva non di meno di un papà che aveva aspettato tutta la notte fuori in sala parto. Era solo una la cosa che riusciva a pensare in quell'istante: "E' sano? E' un maschio o una femmina? Quale..."
Si rese conto troppo tardi di aver parlato ad alta voce. Si ricordò che Emma non sapeva neanche che lui era lì fino ad un secondo prima. Si girò verso di lei. Si stringeva un braccio attorno al petto e con l'altro si torturava un'unghia. Non l'aveva mai fatto. Poi lei alzò un dito, indicò verso una unica culletta occupata, circondata da diverse altre vuote. Il nome Henry figurava scritto in blu su di un cuoricino bianco di tessuto appeso. Rimase imbambolato a fissarlo per non saprebbe dire quanto tempo.
"Potete tornare. Entrambi." precisò. Non avrebbe lasciato quel piccolo batuffolo di carne neanche per un secondo. Non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Tutto quello che avrebbe voluto fare era stringere Emma, abbracciarla e guardare insieme loro figlio oltre il vetro. Loro figlio. Wow, sembrava così strano.
"Non lo terrò." disse lei. E tirò su col naso. Poi si passò il dito sul viso colante di muco e cercò di nascondere la sua espressione. Ci si aggiunsero presto le lacrime. Killian si girò verso di lei e capì che non aveva fatto altro che piangere tutto il giorno.
"Lo farò io." disse. E sperò che questo potesse consolarla, che l'idea di non dover lasciare suo figlio la aiutasse. "Devo solo trovare un lavoro qui. Puoi venire anche tu. Potresti... Potremmo..." Che le stava proponendo?
Aspettava con trepidazione una sua risposta, il cuore gli batteva a mille. Poi lei fece un'espressione di sprezzo e solo quel mezzo sorriso, che non aveva niente di piacevole o divertente, lo ferì più di ogni altra cosa che venne dopo. "E vuoi che parli alla polizia in cambio, giusto?"
Come poteva Emma pensare una cosa del genere? Anche lei? "No, se non vuoi." cominciò, ma si rese conto di essersi espresso male fin da subito "Non te lo sto chiedendo, né voglio che tu faccia qualcosa che non vuoi." Era sicuro poi di aver visto altre lacrime che scendevano seguendo quelle prima, creando una unica sottile e traballante linea sul suo viso stanco.
"Vuoi solo aiutarmi per fare il buon samaritano? Non ne abbiamo bisogno."
Killian si rese conto sin da subito che anche lei aveva usato il plurale. Sorrise a pensarci. Non poteva farci niente, era troppo commosso. "Voglio farne parte, non aiutare." disse. E quello che intendeva era che voleva esserci, voleva essere parte di quella cosa, in qualunque modo avesse voluto chiamarla, famiglia o cos'altro. Voleva aver bisogno di aiuto, di chiedere consigli a qualcuno che di figli già ne avesse, telefonare sua madre e farsi raccontare qualche modo per far addormentare quel bambino. Voleva essere suo padre. E voleva essere l'uomo che Emma avrebbe voluto. "Ascolta," cominciò e le prese le spalle. In realtà cercava di prendere tempo per organizzarsi un discorso che non sapeva neanche che capo e che coda avesse. "terrò io Henry nel pomeriggio, di mattina può stare con tua madre se hai voglia di tornare a casa, o posso trascinare la mia qui a New York se vuoi restare, o possiamo assumere qualcuno se ti fidi abbastanza. E tu potrai continuare a studiare. Al college o dove vuoi. Trovare la tua strada, quello che vuoi.. io.." si rese conto di farneticare. Parlava così spedito che neanche lui capiva le parole che gli uscivano dalla bocca e sulla sua faccia c'era una espressione indecifrabile, che a mala pena riusciva a stare dietro al suo filo di parole.
"Che cavolo stai dicendo?" gli domandò alla fine lei. "Mi hai vista? Sono troppo giovane, sono io, sono... Non sono la sua migliore opportunità! Non merita di.." Sulle guance di Emma caddero altre lacrime.
"Ma io no. Ed insieme possiamo essere quella opportunità."
Emma alzò gli occhi. Guardò prima verso di lui. Mandò giù un groppo di lacrime ed aria. Poi si girò, fissò verso il vetro ed allungò una mano. 


 




Angolo dell'autore.
Ehm... coff coff... scusate il ritardo? No, eh? Okay, me lo sono meritato! Non dico niente che è meglio!
Solo che manca l'epilogo :) ed io sono felice come una pasqua perché riesco a pubblicarvi tante belle cosine :) 
Ve piaze?

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Capitolo 4
*** Epilogo ***


 

 

"Complimenti, signora!"
"Sì, sì, complimenti!"
"Auguri alla grande artista!"
All'inaugurazione della galleria d'arte fotografica c'erano tutti: gli ex colleghi di Killian, alcuni compagni di classe di Emma, August primo tra tutti, persino Regina Mills con suo marito e suo figlio, la professoressa Milah Gold, l'ex bibbliotecaria. Non potevano mancare i nuovi amici, la madre di Emma, il fratello di Killian, ovviamente Henry, il signor Walsh che aveva finanziato tutto, il catering e qualche ricco compratore. Ultimo, ma non fra tutti, il suo fedele compagno, ormai suo agente, che aveva lasciato da tempo l'insegnamento per due ragioni: primo perché aveva deciso che la sua più grande aspirazione era fare il papà, secondo perché Emma non l'avrebbe mai fatto ritornare in quella scuola, o in qualsiasi altra scuola, vanamente gelosa.
Ognuno di loro, ad uno ad uno che arrivavano, volevano complimentarsi con la protagonista della serata.
Mary Margaret abbracciò Emma e le disse che la voleva bene, come faceva sempre. Si guardò attorno, ammirò tutto e quando vide Killian gli diede un bacio per ogni guancia, perché ormai aveva capito che era così che si faceva in Europa e s'era adeguata. Raggiunse Henry e come al solito cominciò a seguirlo ovunque, perché dieci anni sono abbastanza per scappare di casa col portafogli della madre o del padre e spendere tutto alla sala giochi. Meglio che certi episodi non si ripetessero.
August, che non vedeva Emma da tanto tempo, la raggiunse da subito e le disse che da lei si era sempre aspettato grandi cose. Non che lei ci credesse più di tanto. Le raccontò che aveva cominciato a studiare per diventare un avvocato solo da pochi anni per fare contento il padre, ma alla fine gli era piaciuto e s'era addirittura laureato presto.
Regina Mills, da ragazza altezzosa e un po' presuntuosa, invece era cambiata. Era diventata una mamma amorevole e teneva il suo piccolo Roland per la manina. Si fermò da Emma solo per chiederle se il bambino potesse mangiare un gelato lì dentro. La vide poi rincorrere il figlio, abbracciarlo, prenderlo in braccio e stritolarlo. Per un attimo Emma s'immaginò quel gelato caduto a terra, ma Regina glielo tolse di mano prima e lo portò a mangiarselo con calma su una panchina.
Liam, che ormai conosceva da diversi anni, le aveva addirittura portato un regalo: una semplice bottiglia di vino rosso, francese. Lui era un esperto, nonché appassionato. Una sera era capitato che Emma avesse complimentato la sua collezione, per ingraziarselo. Aveva sempre avuto l'impressione di non piacergli molto. Dopo quel giorno però si univa con loro a pranzo ogni domenica. Telefonicamente, o via skype, il più delle volte, ma era presente.
I suoi vecchi professori, cioè i colleghi di Killian, gli stessi che avevano votato perché rassegnasse le sue dimissioni, si complimentarono con lei, le strinsero la mano e le dissero che aveva fatto bene il signor Jones a vedere qualcosa in lei. Emma non rivelò mai cosa lui avesse visto: quello gliel'aveva sussurrato in gran segreto, lontani, nella loro intimità. Sorrise. La signora Gold, educazione fisica si ricordò Emma, innamorata cotta del suo professore, cincischiò imbarazzata quando dovette pronunciare il nome di Killian. Si corresse con un "Tuo... suo marito?" provò.
"Non siamo sposati." le rispose. Quella le fece sì con la testa e se ne andò.
Killian la raggiunse. "A chi sorridevi?" le chiese. Le mise una mano prima su un fianco, poi sull'altro e la abbracciò da dietro. Le lasciò un bacio sulla spalla mentre guardava nella sua stessa direzione.
"Milah Gold. Te la ricordi?" rispose.
Killian, felice, si sporse oltre il busto di lei, si allungò fino alla sua bocca e la baciò sulle labbra. "Dovrei?"
Emma si staccò da lui, si rigirò e lo guardò con espressione sconvolta. "Andiamo!" Pensava che stesse fingendo. Era chiaro che stesse fingendo.
"Davvero! Chi è?"
"Sei" cominciò a picchiarlo "uno" schiaffo numero due "stronzo." tre.
Killian cercò di proteggersi con le braccia a croce davanti al petto. "Scherzo, scherzo, scherzo!" s'arrese allora. "Era quella di matematica." guardò Emma che lo riguardò storto di rimando. "Storia?" Di nuovo lo stesso sguardo. "Lettere?"
"Quello eri tu!" rispose lei seccata, sbattendosi le mani lungo i fianchi.
Lo abbandonò là, mentre lui rideva soddisfatto e probabilmente pensava che era fortunato a stare con lei perché solo lei lo faceva ridere tanto. Emma era convinta di averlo reso più divertente di quanto non fosse, però sapeva che ce l'aveva dentro da prima in fondo. Molto in fondo. Raccolse un bicchiere di spumante da uno del catering e cominciò a camminare tra la gente. C'erano numerosi signori in giacca e cravatta che non conosceva, molti accompagnati. Qualcuno bisbigliava con l'altro a bassa voce e con la bocca coperta da una mano.
"Signorina?" la chiamò uno.
"Sì?"
"Quanto costa questa foto?"
Emma guardò la foto in questione. Veniva da un cellulare, mezza sgranata, evidentemente ingrandita, coi pixel ben in vista. Dall'angolo in alto a sinistra entrava una luce gialla di mezzogiorno. In basso a destra c'era la punta di legno di un banco di scuola bianco ed un gomito che sporgeva. In fondo a tutto il protagonista era un professore, che camminava dalla cattedra verso la fotocamera. Teneva in mano un libro rosso con le scritte dorate. Era un libro di Shakespeare ed Emma lo conosceva benissimo, perché quel libro era infilato in mezzo ad una raccolta di dieci tomi su una mensola del suo salotto accanto alla TV.
Emma sorrise.
"Non è in vendita."


 




Angolo dell'autrice
E un'altra è andata! 
Ormai non è rimasto molto da dire a riguardo. E' stata un'avventurina un po' strana e diversa questa, che però mi ha fatto piacere intraprendere. 
Come al solito, voglio ringraziare voi lettori, perché senza di voi noi scrittori siamo solo gente con una vivace fantasia :) 
Invito allora: chi ancora non l'ha fatto, a darmi le vostre impressioni generali lasciando un commentino; chi ancora non ha notato, ad andare a leggere e commentare l'ultima One-Shot che ho pubblicato (Long live the King, sequel dell'omonima Long live the Queen) ed il primo capitolo di una long story, 12 ore; tutti a tenere gli occhi aperti, perché il prossimo aggiornamento sarà il penultimo capitolo de Il mio posto ;)
Un grazie grandissimo per avermi seguita ed un abbraccione a tutti!
A presto, 
vostra Summers

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