Baci, baci mancati

di lohan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Una 'what if Etienne e Henri fossero bi e molto innamorati l'uno dell'altro' pre-canon AU.
Per Gaia e Ellie, che al mio 'te lo dico, io shippo etienne ed henri' non sono fuggite urlando ma anzi hanno replicato con 'high five sis io pure', o qualcosa del genere. 



La prima volta che Etienne bacia Henri è una fredda notte d’inverno; la luna brilla nel cielo e i due ragazzi sono da soli in uno dei tanti corridoi del castello di Le Noir, casa di suo fratello Guillaume.
C’è silenzio tutto intorno a loro, la quiete rotta soltanto dal leggero tonfo dei loro passi sul pavimento di pietra: il brusio impegnato della festa che sta svolgendosi nella sala principale non arriva fin lì.

Fa freddo e  Etienne, per scaldarsi,  ha bevuto forse un bicchiere di vino di troppo: un robusto vino mediterraneo che gli ha sciolto la lingua più del solito e l’ha reso anche più audace di quanto convenga a un dodicenne.

Perché ha dodici anni, Etienne, la prima volta che bacia Henri de Bar, il suo migliore amico. Ha dodici anni e conosce Henri da qualche mese appena ma sa già che cresceranno insieme, percorrendo fianco a fianco la via che li vedrà prima scudieri, e poi cavalieri del Re.

Etienne ride, Etienne scherza, Etienne vuole imitare ‘i grandi’ ed è così che accade: si sporge verso Henri, di qualche centimetro più alto di lui e lo bacia, così semplicemente, l’ombra di un sorriso divertito e spensierato ancora ad incurvargli le labbra. Un contatto leggero, veloce, un bacio a schiocco sulle labbra chiare di Henri, che sanno di vino quanto le sue.
E’ un gioco, per lui, o forse un’altra sfida infantile: “Sei ancora troppo giovane per pensare di andare in giro a baciare ragazze!” gli hanno dietro, e quale smentita migliore che baciare Henri? Che non è una ragazza, ovviamente, ma ha i capelli così biondi e gli occhi azzurri così grandi e le labbra così rosa e morbide che quasi lo sembra.

Henri lo fissa, sorpreso, confuso - ma prima che possa rispondere in alcun modo Etienne è già schizzato via, verso le loro camere, al grido di “l’ultimo che arriva pulisce armature per un mese!”

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Capitolo 2
*** 2. ***


La seconda volta che le loro labbra si sfiorano è un assolato pomeriggio d’estate. Hanno quindici anni, sono giovani e pieni di vita, irruenti, e evitare la calura del pomeriggio restando a riposare nelle sale fresche del castello non è contemplato nei loro programmi.
Quale miglior opzione che una passeggiata a cavallo?
Partono tranquilli sotto il cocente sole estivo, l’andatura indolente dei cavalli e il ritmico, leggero tonfo dei ferri contro il terreno che accompagnano la conversazione di Henri ed Etienne.
E’ una conversazione mai finita, la loro: comincia con i primi saluti il mattino presto e prosegue senza pause per tutta la giornata. Commenti sulla loro vita quotidiana di scudieri, risate, curiosità, litigi. E sfide, soprattutto.
Non passa giorno che Etienne non sfidi Henri in qualcosa, che sia a chi sella più velocemente il cavallo o a chi impara per primo a declinare i verbi irregolari in latino. A volte vince Etienne, a volte no, e quando non vince, è un’ottima scusa per una rivincita: perché se c’è una cosa che Etienne odia è perdere, soprattutto se contro Henri.
A dire il vero, non sa bene cosa lo spinga a cercare sempre il confronto con lui; non sa cosa sia, quella furia nel petto che lo esorta a fare, a dire, a farsi notare ogni qualvolta nota lo sguardo distaccato del biondo passare su di lui e oltre di lui, focalizzandosi invece su qualcosa di ‘più importante’. Ma sa che c’è e la asseconda tutte le volte che può, spingendosi sempre al limite per migliorare e migliorare ancora e finalmente essere degno di Henri, veder riconosciuto il suo valore - costringere Henri a riconoscere il suo valore, fargli passare quell’ espressione vagamente accondiscendente che sembra sempre indossare in sua compagnia.


Da parte sua, nemmeno Henri riesce a capire da dove venga, quell’assecondare sempre i desideri dell’altro. C’è qualcosa, nell’espressione fiera e decisa di Etienne ogni volta che si mette in gioco, che lo spinge a dire di sì, ancora e ancora. Non è competitività, se ne rende conto –non è mai stato tipo competitivo, Henri-  è… se dovesse mettere in parole quel confuso sentimento che gli si agita nel petto, direbbe che è il desiderio di avere l’attenzione di Etienne sempre su di se’.


«…facciamo a chi arriva per primo al bosco?» propone Etienne, un guizzo divertito nello sguardo, ed Henri non fa nemmeno in tempo ad accettare la sfida che è subito costretto a spronare al galoppo la sua cavalcatura.
Corrono, corrono come il vento e le loro risa e le loro grida di esultanza si perdono nella vastità dei campi che circondano il castello.
Etienne vince, e Henri prende la cosa come ha sempre preso le sue sconfitte: un sorriso leggero e uno scrollare di spalle, come a dire ‘che vuoi che sia’.
Scendono entrambi da cavallo, ancora ansimanti, per riposare qualche minuto all’ombra fresca degli alberi. Ed è in quel momento che accade: un’ape spaventa il cavallo di Henri, che viene spinto contro Etienne, ed entrambi cadono a terra, l’uno sopra l’altro, Etienne schiacciato a terra contro l’erba soffice ed l’amico sopra di lui.
Rimangono immobili per un attimo – Etienne non può far molto per alzarsi, se non spingere via Henri (cosa che vorrebbe evitare), ed Henri sembra essersi per un attimo perso in chissà quale pensiero, gli occhi azzurri fissi sulle labbra del moro.
Ci mette pochi secondi a riprendersi, Henri, ma in quei pochi secondi i visi dei due ragazzi si avvicinano pericolosamente, le labbra chiare del biondo che  sostano ad un soffio da quelle dell’altro.
E’ un istante, davvero, il tempo necessario a rendersi conto del desiderio di chiudere lo spazio tra di loro, ed Henri si rialza, separandosi velocemente dall’amico senza nemmeno riuscire a guardarlo in viso.
Si affrettano a rimettersi in sella e per la prima volta da che si conoscono, il silenzio calato tra di loro è pesante di imbarazzo e di disagio e tanta, troppa confusione.

Arrivati nel cortile principale del castello, basta uno sguardo per decidere di far finta che non sia successo nulla e Etienne, uomo di parola, terrà sempre fede a quel tacito accordo.
Le labbra di Henri, però, popolano i suoi sogni per molti mesi a venire.

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Capitolo 3
*** 3. ***


Terza parte! Non so quanto possa servire un'introduzione, spero solo che questa serie di scene stia piacendo a voi come è piaciuto a me scriverla.
Se avete voglia, lasciatemi un parere! 



Il loro secondo bacio li coglie quasi a tradimento: sono passati quattro anni da quell’assolato pomeriggio estivo e sia Etienne che Henri sono convinti di essersi lasciati alle spalle qualsiasi cosa sia stata quel moto di desiderio così fuori luogo.
Non ne hanno mai parlato, ma a che pro? Henri la definirebbe una ragazzata, indegna della sua preoccupazione, e ne allontanerebbe il pensiero con un sorriso sardonico; mentre Etienne rifiuterebbe anche solo di riconoscere quel bacio mancato come tale.
E poi, perché mai dovrebbero parlarne? Sono entrambi consapevoli che c’è stato qualcosa, e entrambi sanno anche che, per il loro stesso bene, devono lasciare quel qualcosa nel passato al quale appartiene.

Hanno entrambi ormai quasi vent’anni, e sono entrambi giovani uomini, forti e scattanti, pronti a servire Filippo Augusto e il trono di Francia con tutte le loro forze.
Al torneo danno tutti e due gran prova di se’, combattendo con abilità e onore contro gli altri cavalieri lì raccolti, e entrambi raggiungono le posizioni più alte nelle classifica.
Henri, in particolare, si distingue positivamente dando prova di un’eccezionale abilità guerriera, durante il suo ultimo scontro. Ed è proprio in seguito a questa sua prova che, come ricompensa, viene finalmente nominato cavaliere.
Tutti lo congratulano, tutti lo lodano, tutti lo ammirano e lui è lì, fiero, erto nel suo contegno, lo sguardo sicuro di chi sa di aver finalmente raggiunto il suo posto nel mondo.
E’ quello che ha sempre sognato per se’ stesso, in fondo: essere degno del nome del suo casato e servire fedelmente la corona di Francia per tutti gli anni che Dio gli avrebbe concesso di restare su questa terra.

Anche Etienne gli aveva fatto le sue congratulazioni, ovviamente: lo sguardo intenso e trattenuto, come se stesse sforzandosi per nascondere qualcosa anche a se’ stesso, Sancerre l’aveva raggiunto dopo la cerimonia e lo aveva abbracciato, rude; il suo respiro caldo contro l’orecchio era bastato a fargli venire i brividi all’interno dell’armatura – un’eccitazione subito repressa, cosi come represso fu il ricordo delle labbra dell’amico a un soffio dalle sue.
La mente di Henri era volata a quel pomeriggio d’estate, a quel bacio sfiorato, e alle innumerevoli volte in quegli anni in cui si era distratto ad osservare le labbra così invitanti di Etienne e il suo corpo trasformarsi da quello di un ragazzo a quello di un uomo.
“Grazie, Etienne” aveva risposto, imponendosi un contegno, sforzandosi di ancorarsi lì, al presente, e di dimenticare quello che non poteva avere – e che tantomeno avrebbe dovuto desiderare.

La mezzanotte è ormai passata da un pezzo quando Henri finalmente abbandona la sala principale del castello e la festa, ancora in pieno svolgimento, per dirigersi verso la sua tenda.
Non si accorge di essere seguito, perso com’è nei suoi pensieri e in un certo stupore alcolico, almeno finché Sancerre non allunga una mano per prendergli il polso e bloccarlo a metà di un passo, a soli pochi passi dall’entrata della sua tenda.
Anche Etienne ha bevuto, lo capisce subito: gli occhi scuri sono molto più sinceri del solito –sono anni che non li vede così trasparenti- e anche la rabbia sul suo viso è genuina, non edulcorata da strati e strati di convenzioni sociali e quel poco di autocontrollo che il moro si sforza solitamente di esercitare.
« Etienne…? » mormora, confuso, abbassando lo sguardo sulle dita che l’altro tiene ancora strette attorno al suo polso. «Che state facendo- » si sente spingere, Henri, e preso com’è alla sprovvista non può che assecondare la spinta, incespicando all’indietro fino ad oltrepassare l’entrata della tenda.
E Etienne è subito dietro di lui, fin troppo vicino: allunga una mano e afferra saldamente all’altezza del petto la tunica dal ricamo elaborato indossata dall’altro, lo attira e se’ e subito cerca le sue labbra, e Henri non ha nemmeno il tempo di respirare, sotto quell’assalto.
Esita solo un secondo, sapendo di doversi allontanare e di dover rompere quel bacio subito, senza esitazione. Sa che è sbagliato, e per così tante buone ragioni che ormai deve pure averne dimenticata qualcuna.
Ma forse l’ha dimenticato, o forse non gli è mai davvero importato, perché quello che fa invece è schiudere le labbra a quelle di Etienne e accoglierlo nella sua bocca, e l’istante in cui ricambia il bacio sente come se, improvvisamente, tutti i pezzi dell’universo prima in disordine trovassero finalmente il loro posto.

Si baciano a lungo, tutti e due troppo ebbri di vino e l’uno dell’altro per rendersi conto del peccato che stanno commettendo, e in quei baci, aggressivi ed esigenti come Etienne stesso, Henri legge tutto ciò che l’amico gli ha sempre tenuto taciuto: la gelosia, la confusione, la rabbia… l’affetto e il desiderio.
Sancerre era sempre stato geloso di Henri, della sua calma, della sua abilità, della sua maturità. E la gelosia –che aveva finalmente raggiunto il suo apice nel vederlo diventare cavaliere prima di lui, lasciandolo così indietro, semplice scudiero-  nutriva la rabbia, e la rabbia cresceva nel suo cuore mista alla confusione che provava tutte le volte che, posando lo sguardo su Henri, sentiva il cuore fargli le capriole nel petto.
«Sancerre…» mormora de Bar alla fine, dopo non sa nemmeno lui quanto. Un minuto? Un’ora? La notte intera era forse trascorsa, senza che se ne rendessero conto…?
Etienne lo sente e si ferma, separandosi quel tanto che basta per poter vedere il viso dell’altro.
Restano in silenzio a lungo, nella penombra della tenda, e ad ogni secondo che passa la possibilità di parlare e di spiegarsi l’uno con l’altro svanisce un po’ di più.

Alla fine è Etienne che parla per primo, gli occhi che scivolano verso il basso nel realizzare che qualsiasi cosa ci sia, tra di loro, è destinata a terminare quella notte stessa. Per il loro stesso bene; perché quel peccato che stanno condividendo deve terminare quella notte stessa; perché se non smettono ora, Etienne sa che non riuscirà a smettere dopo.

«Basta con questa pazzia, Henri.» mormora dunque Sancerre, lasciandolo andare e facendo qualche passo indietro. Il suo tono è basso ma deciso, ed è il tono di chi ha già preso una decisione per entrambi.
E Henri non può fa altro che osservare Etienne allontanarsi, consapevole che ha ragione, e consapevole anche che non riusciranno mai a tener fede a quelle parole.

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Capitolo 4
*** 4. ***


Quarta 'scena'. Un grazie a quelle cinque anime che sono arrivate fino alla terza, vi si vuole bene. :D


Da quando de Bar è diventato cavaliere, lui e Sancerre non si vedono spesso come prima: Henri è tornato infatti, in qualità di nuovo cavaliere, al castello del suo casato –ne è l’erede, in fondo-, e le occasioni per vedersi si sono quindi ridotte drasticamente, soprattutto se si considera che prima vivevano praticamente fianco a fianco.

La vita da feudatario e castellano riempie ogni sua ora vigile, e il tempo di pensare al passato e perdersi nei ricordi scarseggia, relegato solo ai bui minuti che precedono il sonno. La lontananza, inoltre, ha rafforzato la loro amicizia e l’affetto reciproco e -dato che, come si dice, lontano dagli occhi lontano dal cuore-, ha allontanato quel desiderio che si era avviluppato così strenuamente attorno al loro cuore di ragazzi.
Questo, almeno, è quello che si ripete Henri ogni volta che si incontrano, nello sforzo di comportarsi come se nemmeno ricordasse tutto quello che c’è stato (o per meglio dire, che non c’è stato) tra loro.
Perché, a ben vedere, un unico bacio si sono scambiati, un bacio dettato dal vino e dall’eccitazione di un torneo appena terminato.
Ora semplicemente si limita a ridere alle battute di Etienne, a prenderlo bonariamente in giro, ad accettare le sue sfide (e ad ogni nuova sfida, gli si incendia il sangue, ed è sempre più difficile tenerlo nascosto ma in qualche modo ci riesce, per qualche ragione nessuno mai legge il suo amore e il suo desiderio nei lineamenti del suo viso – si chiede come sia possibile, si chiede se davvero sia un bugiardo così bravo, perché lui sente scolpiti i sentimenti che prova per l’amico in ogni linea del viso e in ogni fibra del corpo), a combattere al suo fianco durante i tornei e soprattutto a fingere, fingere, fingere che quello sia tutto quello che ci sia.

Sono passati due anni, dalla sua cerimonia di investitura, e in questi due anni anche Etienne ha ricevuto gli speroni e con essi una nuova maturità – una consapevolezza del suo ruolo e di ciò che ci si aspetta da lui.
Eppure, sotto quella maschera di serio cavaliere –buona in verità solo per rabbonire un po’ il fratello maggiore- si cela ancora lo stesso ragazzino impetuoso che anni prima lo baciò solo per sfizio.
Henri ne è certo, lo legge nel suo sorriso sicuro che splende sul suo viso quando si toglie l’elmo dopo aver vinto un incontro, quel sorriso quasi arrogante che si trasforma subito in un’espressione così aperta e sincera che per un attimo tutti i mali del mondo sembrano svanire. Lo legge nella sua postura orgogliosa, nel modo in cui alza lo sguardo fino a cercare il fratello nella folla, e poi suo cugino, ch’era stato il suo tutore. Lo legge nello sguardo d’intesa che scambia con i suoi compagni e infine nello sguardo che riserva a lui, gli occhi scuri pieni di orgoglio e un pizzico di malizia, come a sfidare a farlo di meglio.
Orgoglioso, impulsivo, sfacciato e sincero – questo è Etienne, questo è l’uomo che ama.
E al vederlo così felice, così… luminoso, Henri vorrebbe solo prendere il suo viso tra le mani e dimenticare il mondo sulle sue labbra. 

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Capitolo 5
*** 5. ***


Phew! Ultima parte. Grazie a tutti coloro che hanno letto fin qui, vi si vuol bene.
Se mi lasciate un' opinione anche di più
.


Il messaggero con l’invito del conte Henri de Bar al suo matrimonio arriva al castello di Guillaume de Sancerre una fredda sera di inizio marzo.
La cena è iniziata da pochi minuti quando un servo arriva al tavolo del padrone di casa per consegnargli il rotolo di pergamena sigillato, il sigillo di ceralacca che splende rosso contro il tono più chiaro e neutro della pergamena.
Etienne osserva la scena con curiosità, e quando il fratello gli fa cenno di raggiungerlo, si alza dal suo posto e gli si avvicina di buona lena, chiedendosi quali notizie sono appena arrivate: un nuovo torneo, forse? Notizie dalla guerra contro gli inglesi al nord? Davvero non ha idea di cosa aspettarsi – Guillaume gli porge la lettera perché possa leggerla, e il suo sguardo si illumina alle prime righe della missiva, nel rendersi conto che è da parte di Henri de Bar, suo amico e compagno d’arme da anni.
Solo un amico, si ripete con un guizzo di rabbia verso la sua stessa memoria, che ribelle era andata a rivisitare proprio il ricordo che Etienne cercava di tenere sepolto con più cura.
Non ha troppo tempo per arrabbiarsi però, perché il suoi occhi continuano a leggere la missiva – e una volta arrivati alla notizia più importante, per la quale il messaggio stesso è stato mandato in primo luogo, Etienne si blocca, il cuore che perde un battito.
O anche due, davvero non capisce per quanto abbia trattenuto il respiro, prima di rialzare lo sguardo, sorpreso e spaesato, verso suo fratello.
« Monsieur de Bar… si sposa?»

Una volta da solo in camera sua, congedati tutti i paggi e il suo scudiero, il primo istinto di Etienne è pregare, rivolgersi a Dio e alla sua misericordia perché lo illumini, gli spieghi a cos’è dovuto quel dolore nel petto e quella sensazione come se all’improvviso gli mancasse il suolo da sotto i piedi, quello spaesamento illogico all’idea che Henri si sposi.
Perché, in fondo, non è davvero una sorpresa – Henri è l’erede primogenito del casato dei de Bar, è ovvio che a un certo punto si sarebbe sposato. Ha dei doveri nei confronti del suo casato e del suo nome.
Prega a lungo, Etienne, ma nessuno gli risponde. La preghiera, però, e il silenzio, lo aiutano finalmente a far chiarezza dentro di lui e a capire qual è il problema: il desiderio che prova per Henri, quella voglia di tenerlo tra le braccia, baciarlo, farlo suo, quel desiderio -mandato dal diavolo in persona, probabilmente-, non è sepolto come aveva creduto. Si era solo sopito, nel corso degli anni, come una brace, e come una brace ora gli bruciava nel petto, riacceso dalla lettera di Henri.


Partendo dal castello di suo padre per andare in visita alla corte aragonese, Henri de Bar mai si sarebbe immaginato di tornare con una moglie.
Eppure, nel trovarsi davanti dama Lucrecia, il suo cuore aveva fatto una capriola così improvvisa che poco c’era mancato che si portasse una mano al petto per calmarlo. Aveva mantenuto la calma e la compostezza, ovviamente, ma il suo sguardo non si era allontanato dalla figura della dama, presentatagli come la figlia primogenita di un’importante famiglia aragonese.
Alta e formosa, con la pelle olivastra di una tonalità forse più chiara di quella di Etienne, gli stessi capelli neri che scendevano in onde morbide oltre le spalle e lungo la schiena, e gli stessi vivaci, allegri occhi scuri;
per Henri era stato un vero e proprio colpo di fulmine – acutito dall’espressione divertita e smaliziata che la ragazza gli aveva rivolto, che prometteva lo stesso carattere impetuoso e diretto dell’amico.
Si era innamorato subito, o almeno così si era detto in seguito, e aveva fatto sì di chiedere il permesso di corteggiarla al padre il più presto possibile.
La sua visita in Aragona si era di conseguenza protratta molto più di quanto previsto – e alla fine, al termine dell’inverno, aveva ritenuto fosse giunto il momento di chiedere la mano di Lucrecia in sposa.
Una volta ottenuto il benestare del padre di Lucrecia – e quello di Lucrecia stessa, ovviamente, che a quella domanda si era illuminata in viso, tanto bella da parere un angelo- Henri era tornato a casa, al castello di suo padre, dove alla fine della primavera si sarebbero svolte le nozze e dove fin da subito dovevano partire i preparativi.
Un matrimonio di quel calibro era un evento di spicco all’interno della nobiltà francese – i de Bar erano grandi feudatari, in fondo- e Henri non avrebbe voluto allontanarsi da casa nemmeno un attimo, nonostante il costume imponesse che presentasse gli inviti più importanti di persona.
Si era dunque recato solo a corte, ad invitare personalmente Filippo Augusto, e nelle contee più importanti a lui più vicine.
Purtroppo, visto il periodo dell’anno e la distanza, non era riuscito a recarsi di persona dai Sancerre; e se da una parte si era dispiaciuto di dover far arrivare una notizia simile ad Etienne via lettera, dall’altra ne era stato segretamente sollevato – non avrebbe mai voluto assistere all’espressione dell’amico il momento in cui gli avesse confessato che stava per sposarsi-


La sera prima del matrimonio il cielo era illuminato in uno spettacolo naturale dalla luce del tramonto, che creava colori incredibili sulle nuvole lontane e faceva sì che anche il più rude contadino, di ritorno dai campi, sollevasse il capo in ammirazione.
C’era una leggera brezza, che rinfrescava ma non causava fastidio, e il castello era pieno delle voci dei nobili e dei servi che si preparavano per la notte – e per il gran giorno successivo.
Le nozze di Henri de Bar avevano attirato feudatari da tutto il regno  -da tutti e due i regni, contando anche gli invitati aragonesi-, e una piccola cittadina di tende era sorta al di fuori delle mura esterne del castello, che per quanto grande non era certo sufficientemente ampio da accogliere tutti gli invitati.
C’era un clima di allegria e festa condiviso da tutti i presenti, nobili o villici che fossero, e un fremito di attesa impaziente che si diffondeva in tutti gli angoli del castello e del borgo.

E in tutto questo Henri de Bar sedeva solo in camera sua, sul suo letto, e con in mano un calice di vino rivalutava tutte le sue scelte di vita. Forse era il vino a renderlo troppo confidente in se’ stesso, o forse era la sua coscienza che lo rassicurava che sì, lui aveva fatto del suo meglio, ma credeva davvero di aver fatto le scelte migliori tra le possibili.
E allora, perché si sentiva così male? Perché sentiva un macigno all’altezza del cuore, e perché non riusciva a togliersi dalla testa il sorriso così vuoto che Etienne gli aveva rivolto, quand’era venuto quel pomeriggio a porgergli le sue congratulazioni? Gli era sembrato così spento, Etienne, che aveva finito di preoccuparsi per la sua salute solo qualche minuto prima, quando una leggera nausea –dettata probabilmente dall’ansia- gli era salita alla gola e l’aveva fatto tornare a concentrarsi sul fatto che stava per sposarsi.
Lucrecia era la miglior consorte che potesse mai desiderare, lo sapeva – eppure c’era qualcosa di sbagliato, in quel matrimonio.
Sapeva cos’era, ma mai si sarebbe azzardato a dirlo ad alta voce. Non l’aveva nemmeno confessato al prete, quando quella mattina si era confessato – diamine, non riusciva a confessarlo nemmeno a se’ stesso, che la persona con cui avrebbe voluto passare gli anni e invecchiare era Etienne, e non Lucrecia o qualsiasi altra nobildonna.

La serata passa veloce con quel genere di pensieri a tenergli compagnia, ed è notte ormai quando qualcuno bussa alla sua porta. Henri stava valutando se bere un’altra coppa di vino prima di andare a dormire e a quel leggero rumore di nocche contro legno alza lo sguardo sulla porta, ma non fa in tempo a rispondere alcunché che Etienne è già entrato.
«Ho immaginato fossi da solo,» esclama il moro, chiudendo la porta a chiave dietro di se’ e raggiungendo poi Henri «E volevo controllare come stavi.» aggiunge poi, prima che l’altro potesse tramutare il suo sguardo interrogativo in una domanda. Si siede accanto a Henri sul materasso morbido, quasi sfiorando la coscia dell’altro con la propria e annullando così qualsiasi parvenza di ‘convenzionale’ che quella conversazione potesse avere mai avere.
E’ una dichiarazione di intenti, quella vicinanza.
‘Io sarò sincero, finalmente’, dice quella vicinanza.

«Io sto bene, Etienne. Sto per sposarmi, in fondo.» risponde Henri, ma per quanto si sforzi non riesce ad infondere in quelle parole nemmeno un pizzico di sincerità. Sono parole vuote, come vuota è l’espressione che sta indossando in questo momento.
Ha chiuso tutto ciò che sente in un angolo recondito del suo animo e si sta sforzando come mai prima d’ora di tenere il tutto sotto controllo perché lo sente, se cede ora non sarà mai in grado di tornare indietro.

Etienne, però, non è disposto ad aiutarlo. Egoisticamente, vuole vedere Henri soccombere a tutto quello che ha nel cuore, lo vuole vedere confrontarsi con quello che ha dovuto confrontarsi lui il momento in cui ha ricevuto la sua lettera.
«Stai mentendo e lo sai anche tu,» lo accusa infatti, il tono basso, tagliente. E vorrebbe continuare, riversagli addosso un po’ di quella fiele che sente nelle vene ma Henri lo precede, alzando lo sguardo all’improvviso verso di lui, gli occhi azzurri così chiari pieni di rabbia.
«Che ti aspetti? Che ti dica che preferirei avere te, nel letto domani notte, invece che Lucrecia?!» sbotta, impallidendo poi subito a quella confessione fatta d’istinto.

Etienne non è preparato a quella sincerità improvvisa ed inaspettata, è preso in contropiede, e per un attimo non sa cosa rispondere o cosa fare. Tentenna, indeciso, sentendo l’istinto di baciarlo farsi più pressante ad ogni secondo che passa e non sa cosa lo trattenga dal farlo, considerato che proprio per questo aveva deciso di venire da Henri: per avere la possibilità di essere finalmente completamente sinceri, prima che fosse troppo tardi.
Forse è solo il pensiero che Henri sta già male così, a trattenerlo, senza che arrivi lui a peggiorare ulteriormente la situazione baciandolo. Stringe le mani con forza sulle cosce, e cerca di respirare con calma e di schiarirsi le idee, per capire qual è la cosa giusta da fare.
E lo capisce subito, quello che dovrebbe fare: alzarsi, salutare Henri e uscire dalla sua stanza, prima che la situazione degeneri, e non parlare mai più di quello che Henri ha appena confessato. E’ sul punto di farlo, quando realizza che un’occasione come quella che stanno avendo non gli si presenterà mai più:  è un parlare adesso, o tacere per sempre.
«…anche io lo vorrei.» ribatte quindi, spezzando il silenzio teso che pesava su entrambi come un macigno. Henri torna a fissarlo, per un attimo confuso, e così Etienne si sente in dover di puntualizzare, «Anch’io vorrei essere al posto di madame Lucrecia domani notte.»

Henri continua a guardarlo, stupefatto, per qualche secondo ancora – poi prende il viso di Etienne tra le mani, lo avvicina al suo, e finalmente lo bacia come avrebbe voluto fare centinaia di volte da che lo conosce. E’ un bacio famelico che tutti e due aspettavano da anni: l’assaggio che avevano avuto l’uno dell’altro qualche anno prima non era bastato a saziarli, ma aveva soltanto reso i loro sogni più realistici e la loro frustrazione più acuta.
Ma adesso, oh, adesso hanno modo di sfogare tutto il desiderio, tutta la voglia accumulata in quegli anni, e niente potrà impedirglielo.
Che Dio ci perdoni…, prega Henri nello spingere Etienne all’indietro, contro il materasso.

Il moro sta già litigando con la tunica, che si ostinava a voler rimanere al suo posto, e Henri lo aiuta a spogliarsi con gesti affrettati, quasi rudi nella loro impazienza.
Ma hanno solo questa notte, e non vogliono sprecarla.
Presto sono nudi e, tra i baci e i gemiti, sono finalmente più sinceri l’uno con l’altro di quanto non lo sono stati mai. 

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