Let it be

di Vavi_14
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sospetti ***
Capitolo 2: *** Qualcosa di speciale ***
Capitolo 3: *** Rimorsi ***
Capitolo 4: *** La prossima volta ***
Capitolo 5: *** Un peso di meno, un millimetro di più. ***
Capitolo 6: *** Cinque minuti ***
Capitolo 7: *** Fotografia ***
Capitolo 8: *** Chi sa troppo e chi forse preferirebbe non sapere ***
Capitolo 9: *** Trovarsi nel posto giusto al momento giusto ***
Capitolo 10: *** Ad ognuno la sua strada ***
Capitolo 11: *** Raccontagli di noi ***
Capitolo 12: *** La lotta del perdono ***



Capitolo 1
*** Sospetti ***




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Sospetti










«Basta»
Cinque semplici lettere nelle quali il giovane Boruto proiettò tutta la sua insofferenza.
Crollò con la testa sui fogli, tenendosi le tempie con i palmi delle mani, per poi scuotere energicamente il capo, come se quel gesto potesse aiutarlo a riprendere il controllo di se stesso.
«Quante ore sono che siamo qui, eh?» domandò alla sua compagna, strizzando le palpebre in modo  nervoso.
Sarada gettò un'occhiata distratta all'orologio appeso sulla parete della cucina.
«Venti minuti» rispose, cercando di mantenere la calma.
Il biondo spalancò le iridi azzurre e la scrutò incredulo per qualche secondo, ma poi, troppo stanco per aggiungere qualsiasi altra cosa, si arrese alla realtà dei fatti e ripiombò con il capo sulle braccia.
«Possiamo fare una pausa?» biascicò, con la voce attutita dalla stoffa della felpa.
L'altra gli riservò uno sguardo omicida, chiudendo con forza il libro sul quale aveva perso un pomeriggio della sua preziosissima giornata a spiegare i principi base del funzionamento del chakra.
«Stammi a sentire, Boruto – iniziò risoluta, guadagnandosi finalmente l'attenzione del biondo – ho promesso a tuo padre che ti avrei aiutato a superare il prossimo compito in classe e sarà quello che farò, mi hai capita bene? Anche se questo volesse dire studiare tutta la notte!»
«A mio padre?!» un gracchio indefinito uscì dalla bocca del ragazzino, che subito dopo si schiarì la gola e scrutò Sarada alla ricerca di risposte.
Lei si morse il labbro inferiore e abbassò lo sguardo, forse pentita per ciò che aveva appena detto.

«Vuoi dire che lo stai facendo per... una specie di missione?» continuò Boruto, improvvisamente destatosi dal torpore iniziale.
Sarada sistemò la montatura degli occhiali e prese un lungo e profondo respiro. Qualunque cosa gli avesse risposto, sapeva che Boruto avrebbe tirato su un polverone in ogni caso.
«Non è proprio così. Vedi, lui mi ha chiesto un favore e io-»
«Quell'idiota»
Come volevasi dimostrare, i muscoli del biondo si erano irrigiditi e le sue iridi vagavano ovunque per la casa pur di non incrociare quelle delle ragazzina seduta di fronte a lui. Le sopracciglia corrugate mal celavano un dolore che Boruto aveva finto da sempre di poter gestire.
«Non dovresti rivolgerti a lui con questi termini» lo rimproverò Sarada, cercando di non usare un tono di voce troppo duro. Vederlo comportarsi a quel modo le faceva ribollire il sangue nelle vene e spesso aveva dovuto resistere alla tentazione di schiaffeggiarlo fino a cambiargli i connotati. Si ostinava a recitare la parte del bamboccio infantile, mentre lei sapeva bene che Boruto capiva, capiva fin troppo bene quali erano i doveri di suo padre, e il suo unico rammarico era quello di non poter far niente per cambiare la situazione.
«Sai quanto me ne importa» rispose, con lo stesso tono colmo d'astio. «Non ha neanche il tempo per allenarsi con me, ma a quanto pare si diverte a complottare alle mie spalle»
«Complottare?! - sbottò Sarada, al limite della sopportazione – Tuo padre è solo in pensiero per te! Come farai a diventare un ninja se non supererai i test dell'Accademia?»
Boruto scosse la testa, nascondendola negli avambracci.
«Non gli chiedo di esserci tutti i giorni, dannazione»
Non l'aveva neanche ascoltata, perso com'era a rimuginare sulla questione. Sarada rizzò la schiena facendola aderire alla sedia e gli riservò uno sguardo triste, prima che lui sollevasse di nuovo il capo.
«L'Hokage è un grand'uomo» mormorò lei, ritrovando la serietà di prima. «E un bravo padre»
L'altro gli lanciò un'occhiata dubbiosa, per poi sbuffare e tornare composto.
«Anche il mio è spesso fuori per delle missioni, eppure non me ne sto a piangermi addosso tutto il giorno come te»
Boruto fece per risponderle, ma lei fu più veloce. «Papà mi vuole bene e ne vuole anche alla mamma. Lui tiene molto a noi e questo mi basta» mentre parlava Boruto scorse un lieve sorriso incresparle le labbra e non seppe spiegarsi il perché, ma anche lui si sentì improvvisamente sollevato. Nonostante le numerose ramanzine che gli faceva ogni santo giorno, quella ragazza aveva il dono innato di tranquillizzarlo come pochi altri sapevano fare.
«Quando tornerà?» le chiese, riferendosi a Sasuke.
Lei alzò le spalle, un poco sorpresa da quella domanda.  «A breve, credo. Poi dovrebbe avere un periodo di pausa, a quanto ne so»
Boruto annuì, giocherellando con una penna. Qualche secondo dopo alzò lo sguardo e Sarada giurò di aver visto un guizzo di luce brillare in quei pozzi azzurri.
«Che... che c'è?» domandò perplessa, mentre cercava di reggere lo sguardo indagatore del suo compagno.
«Stavo solo... pensando» rispose l'altro, facendo scorrere indice e pollice sul mento.
Sarada evitò di fargli notare come fosse proprio il fatto che lui stesse pensando a preoccuparla e si limitò ad aspettare che Boruto le spiegasse quell'improvviso funzionamento di neuroni.
«Tuo padre tornerà tra poco, hai detto?» ripeté sovrappensiero, senza neanche guardarla.
Lei lo scrutò come se fosse pazzo. «Quindi?» Stava cominciando ad insospettirsi.
Boruto chiuse gli occhi e sbatté entrambe le mani sul tavolo, facendola sobbalzare.
«Quindi muoviamoci no? Abbiamo un lavoro da fare! Voglio finire di studiare per questo dannato compito entro oggi stesso!»
Lei si scostò un poco dal bordo della scrivania, guardandolo di traverso. Sollevò la montatura che le era ricaduta sul naso per lo spavento e riaprì il libro, nello stesso identico punto in cui lo avevano lasciato.
Il suo compagno non gliela raccontava buona. Aveva qualcosa di sospetto in quell'aria da furbetto con cui ghignava ed avrebbe scoperto di cosa si trattava... oh sì, l'avrebbe scoperto ad ogni costo.
































****

Ma buonasera!
Dunque, vediamo un po'. Come al solito devo dire tante di quelle cose che non so da dove cominciare.
Innanzitutto avrete notato la dedica nell'introduzione: ebbene sì, questa raccolta è dedicata alla cara Blu (alias CalcedonioBlu), poiché è stata lei a suggerirmi di iniziare uno spin off su questi due mocciosetti, dato che nella raccolta precedente avevo solamente accennato al loro legame senza però riuscire ad approfondirlo. Inutile dire che le due raccolte condividono lo stesso contesto, ovvero il "What If" in quanto non tengono da conto il Gaiden, si sviluppano nell'arco di circa due anni e vedono Boruto come allievo di Sasuke... beh, non ancora in realtà.
Lo scopo sarebbe quello di delineare nel modo migliore possibile come io vedo Boruto e Sarada, come penso che il loro rapporto di amicizia si sia evoluto in qualcosa di più. Saranno diverse OS, non necessariamente legate, ciascuna delle quali rappresenterà un momento particolare che li vede protagonisti, qualcosa che nell'altra raccolta non è stato detto o è stato solamente accennato.

Non ho ancora un progetto definito, credo che aggiornerò come al solito in base all'ispirazione, quindi per ora non mi sento di dare scadenze. Prometto però di essere più precisa a Settembre.

Ps. Sto ancora combattendo con l'HTML, nonostante ci siano degli angeli che mi hanno offerto il loro aiuto, io mi ostino a voler provare da sola. Probabilmente noterete qualche cambiamento nel corso dei vari capitoli... beh, non spaventatevi. Prima o poi farò pace con me stessa.

Beh, grazie dell'attenzione, prometto di non essere più così prolissa (ma chi ci crede?).

Con la speranza che possa piacervi, vi mando un abbraccio!


Vavi

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Capitolo 2
*** Qualcosa di speciale ***




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Qualcosa di speciale





Nel giro dell'ultimo mese la presenza di Boruto a casa sua era aumentata in modo esponenziale, persino nei compiti si impegnava di più e talvolta chiedeva di poter tornare qualche altro giorno in modo da potersi presentare all'Accademia preparato al meglio. Questo aveva determinato, ovviamente, un risvolto più che positivo per il rendimento scolastico del ragazzino, ma lo stesso non si poteva dire della pazienza di Sarada, che ormai aveva raggiunto i limiti massimi di sopportazione. Conosceva troppo bene il suo compagno per credere in quell'improvviso slancio di secchionaggine, senza contare le occhiate enigmatiche che spesso lo vedeva scambiarsi con suo padre, il quale sembrava tentare in ogni modo di ignorarlo, evidentemente senza successo.
Seguirlo sarebbe stato troppo rischioso, non avrebbe mai potuto permettersi di venire scoperta e rischiare di fare una figuraccia colossale proprio con Boruto.

Insomma, era pur sempre il figlio dell'Hokage, e se anche lei un giorno avesse voluto aspirare a quella carica doveva pur mantenere un certo contegno, no?

Dopo averci rimuginato per quasi due ore intere, mentre fingeva di ascoltare l'Uzumaki intento a spiegare, a parole sue, in cosa consistesse la tecnica della trasparenza, decise di attuare l'unica soluzione possibile; si alzò di scatto senza dire niente e con un gesto deciso chiuse a chiave la porta di camera sua. Boruto si voltò perplesso nell'udire quel rumore così poco familiare e riservò alla ragazza un'occhiata tanto dubbiosa quanto spaventata.

«Che significa?» domandò seguendola con lo sguardo mentre gli si avvicinava minacciosamente.
Sentì l'indice di lei premergli sulla fronte e fu costretto ad incrociare quelle iridi scure, ormai diventate familiari.
«Significa che le tue bugie finiscono oggi, Boruto Uzumaki» dichiarò sicura, allontanandosi subito dopo per riprendere posto davanti a lui.
Incrociò le braccia e vide il suo compagno deglutire rumorosamente, in evidente difficoltà.
«Qua- quali bugie?»
«Non fare il finto tonto!» esclamò lei, sull'orlo di una crisi di nervi. «Voglio sapere che diavolo sta succedendo, e voglio saperlo adesso, o giuro che non uscirai da questa stanza!»
Boruto incassò il colpo chiudendosi nelle spalle e guardò terrorizzato la mano destra della ragazza, già chiusa a pugno e strabordante di chakra pronto per essere scaricato in un colpo solo sulla sua adorabile zazzera bionda.
«D'accordo ma per favore, datti una calmata – biascicò lui, mettendo le mani avanti – così mi spaventi, Sarada-chan»
Lei chiuse gli occhi per un attimo, cercando di riprendere il controllo di se stessa, poi riprese a guardarlo in attesa di una risposta che fosse abbastanza soddisfacente da non farle venire voglia di pestarlo seduta stante.
«Non te l'ho detto perché temevo ti saresti arrabbiata» iniziò lui, poggiando i gomiti sul tavolo. «E forse dopo averlo saputo avrai ancora voglia di picchiarmi, ma oramai è inutile continuare a nasconderlo»
Sarada si sporse in avanti in segno di ascolto, anche se continuava ad essere tesa come se avesse appena terminato un allenamento impegnativo.
Boruto avvicinò la sedia alla scrivania e parlò quasi in un sussurro.
«Ho chiesto a tuo padre di farmi da maestro»
Piegato com'era sugli avambracci, dovette alzare lo sguardo per incrociare quello stupito e apparentemente perso della sua compagna. Per un attimo gli sembrò che avesse smesso di respirare e cominciò a temere il peggio.
«Sarada-chan?»
Provò a richiamarla dallo stato di trance in cui era piombata, fece per scuoterla appena quando la vide sbattere le palpebre e sistemarsi la montatura, scuotendo di poco la testa.
«Oh» disse soltanto, spostando lo sguardo sulla moltitudine di fogli sparsi sotto i palmi del suo compagno e confrontandola con l'ordine quasi maniacale in cui verteva la sua parte di scrivania.
Boruto era rimasto a fissarla con la bocca aperta, un'espressione da pesce lesso dipinta sul volto roseo.
«Come sarebbe a dire ¨oh¨?» chiese corrugando entrambe le sopracciglia, piuttosto interdetto per quella reazione inaspettata. «Che cavolo, pensavo che mi avresti fatto una sfuriata, come minimo»
Lei alzò le spalle e lo fissò seriamente. «Sì, sono molto arrabbiata per il fatto che me l'hai nascosto, Boruto. Ma la storia finisce qui.»
«Cioè non ti importa se io... se tuo padre...» faceva fatica persino ad articolare una semplice frase, tanto lo aveva preso alla sprovvista.
Sarada teneva ancora lo sguardo basso e il suo atteggiamento dimostrava chiaramente che avrebbe preferito quanto prima cambiare argomento di conversazione.
«Ma insomma!» stavolta era stata un'esclamazione piuttosto fastidiosa a rompere il silenzio. «Come è possibile che la cosa non ti tocchi? Ho quasi costretto tuo padre a-»
«Costretto
Il biondo ammutolì, spiazzato dal tono che aveva usato la ragazza.
«Mio padre non è una persona facile da abbindolare, specialmente da persone come te, Boruto. È impossibile che tu l'abbia costretto a fare qualcosa, puoi starne certo»
Lasciò che continuasse per vedere dove sarebbe andata a parare.
«Se davvero papà ha deciso di prenderti come suo allievo allora...» lasciò la frase in sospeso per guardarlo finalmente negli occhi e a Boruto sembrò che lo scrutasse con affettuosa curiosità. «Significa che ha visto qualcosa in te»
Il biondo si grattò nervosamente la testa, come se tutta quella faccenda lo avesse confuso di più di quanto riuscissero a fare tre capitoli del libro di Storia dei ninja.
«
Qualcosa di speciale, intendo» continuò lei, con aria distratta e un po' malinconica.
Stavolta fu Boruto a rispondere con un semplice «Oh», mentre cercava di elaborare mentalmente quello che aveva appena udito dalla sua compagna.
Trascorsero più di dieci minuti, durante i quali nessuno dei due si decise a parlare, fino a quando il ragazzino decise di esternare l'unica cosa sensata che aveva elaborato in quel lasso di tempo in cui entrambi avevano guardato ovunque tranne che in direzione dell'altro.

«E tu, Sarada... tu pensi davvero che io abbia qualcosa di speciale?»

La ragazza giurò di aver sentito un leggero tremore nel timbro del compagno, mentre gli poneva quello strano interrogativo. Di nuovo sentì il bisogno di sistemarsi gli occhiali e dovette prendere un bel respiro per regolarizzare il battito del suo cuore, che stranamente aveva deciso di impazzire proprio in quel momento.

«Beh sì... - mormorò, sorridendogli dolcemente – suppongo di sì»

Boruto gli sorrise di rimando, ma fu costretto a guardare altrove quando sentì un leggero calore tormentargli le guance. 
«Okey, uhm» buttò lì, in modo impacciato. «Quindi mi perdoni?» aggiunse, con l'animo decisamente più leggero.
Lei si alzò ed andò ad aprire la porta, prima che sua madre potesse elaborare strane teorie su quel suo comportamento insolito.
«Vedremo» gli rispose con un ghigno divertito che gli ricordò in tutto e per tutto quello del temibile Sensei.




















NdA: il titolo è stato realizzato grazie all'infinita pazienza e generosità di - indovinate un pò - proprio lei, CalcedonioBlu. So che ti stai già pentendo per esserti offerta di creare questa cosina, ma ormai l'hanno capito tutti che sono una frana con HTML&Company! XD A parte gli scherzi, grazie davvero.

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Capitolo 3
*** Rimorsi ***




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Rimorsi


Quel pontile a picco sull'acqua era sempre stato una meta molto ambita per chiunque avesse voluto prendersi qualche minuto d'evasione dal mondo reale e rimuginare senza brusii fastidiosi attorno. Si trattava di uno dei luoghi più tranquilli e isolati del Villaggio, leggermente fuori dal centro abitato; per questo Sarada amava dedicare sempre una piccola fetta del suo tempo a starsene lì seduta, con le gambe strette al petto e i ciuffi corvini leggermente smossi dalla brezza serale. Alle volte si toglieva gli occhiali, come se quel gesto potesse alleggerirla dai pensieri che la opprimevano, permettendole di godere a pieno quella sensazione simile ad una carezza gentile sul volto.

Socchiuse gli occhi per cercare di mettere a fuoco i contorni di una sponda lontana, ma in realtà quella lieve ombreggiatura sfocata le dava quasi l'impressione di un'atmosfera rarefatta, fuori dallo spazio e dal tempo, nella quale poteva essere finalmente sé stessa, sola, senza occhiate indiscrete che sembravano indagarla per comprendere il suo stato d'animo.

A dire la verità neanche lei era stata capace di individuare quale fosse davvero il problema, di sicuro c'entrava suo padre e un pizzico d'orgoglio che le impediva di ammetterlo.

Boruto le aveva detto di essere il nuovo allievo di Sasuke e sul momento la notizia non l'aveva scossa più di tanto, ma evidentemente la morsa allo stomaco che aveva provato al sentir udire quelle parole non era stata solo una stupida sensazione, ma un monito che l'aveva scossa nel profondo. Dopotutto ora che suo padre avrebbe dovuto seguire assiduamente gli allenamenti dell'Uzumaki, a lei restava ben poco tempo da poter trascorrere insieme a lui, considerando anche il fatto che il Settimo Hokage lo incastrava spesso in missioni importanti che, conoscendolo, non avrebbe mai avuto il coraggio di rifiutare.

Ma al di là della presenza o meno di suo padre in casa, c'era qualcos'altro che non le dava pace, come se tutta quella storia la vedesse coinvolta in prima persona, come se il sentirsi sempre più lontana da lui dipendesse solo ed esclusivamente da una sua mancanza. Sasuke l'aveva addestrata a maneggiare la katana e talvolta la aiutava a migliorare il combattimento corpo a corpo, ma forse non si era impegnata abbastanza da fargli capire quanto desiderasse la sua approvazione.

Sentì dei passi rimbombare sulle assi di legno e d'istinto inforcò gli occhiali, lasciando penzolare le gambe sul pelo dell'acqua.
Riconobbe subito l'andamento deciso e un po' pesante del suo amico biondo, ma non disse niente, lasciando che si sedesse accanto a lei.
“Tutto bene?” lo sentì domandare, mentre staccava lo sguardo dalla linea dell'orizzonte per guardarla negli occhi con quella solita aria indagatrice che la metteva parecchio a disagio.
Lei lo adocchiò di sfuggita, per poi tornare a scrutare le rocce sul fondale proprio sotto i suoi piedi.
“Certo” rispose con aria poco convincente, cercando di fargli capire che non era in vena di chiacchierare.
Boruto si lasciò scappare una breve risata che sapeva di amaro.
“No che non va bene, invece”
Lei lo scrutò dubbiosa, cercando di capire quale strana diavoleria gli stesse passando per la testa.
“Davvero pensi che sia così stupido, Sarada-chan?”
Sobbalzò nel sentire quel timbro di voce così improvvisamente serio e voltò il busto di tre quarti, così da fargli capire che era in ascolto.
“Da un po' di tempo a questa parte ti comporti in modo strano... più strano del solito, intendo”
Nulla impedì alla ragazza di lanciargli un'occhiataccia per quelle frecciatine che non riusciva a trattenere neanche nei momenti meno adatti. Aprì la bocca, intenzionata ad inventarsi qualcosa per mettere a tacere i sospetti del compagno, ma Boruto fu più veloce.
Tu mi odi” mormorò a testa bassa, come se quella considerazione fosse stata talmente dolorosa da costringerlo a chiudersi in se stesso.
Sarada spalancò le iridi nere e sollevò le gambe per adagiarle sul pontile. “Ma che stai dicendo?”
“Che mi odi ed hai ragione, perché ti ho portato via tuo padre e non avrei dovuto” continuò ad evitare di guardarla, poggiando un avambraccio sul ginocchio sollevato e stringendo la mano a pugno.
“Tu non me l'hai portato via, si può sapere che ti sei messo in-”
“Io so che vuol dire non poter trascorrere del tempo con le persone alle quali si vuole bene, Sarada”
Le sembrò quasi irreale vederlo così giù di corda, quando la mattina stessa lo aveva incontrato per le strade del Villaggio a fare baccano come suo solito. Ma forse non era l'unica ad aver voluto nascondere i suoi problemi agli occhi degli altri.
Sospirò profondamente, prima di decidersi a parlare.
“Tu non c'entri, Boruto” confessò, scuotendo la testa. “È
colpa mia”
“Tua?!” ribatté pronto l'altro. “E cos'è che avresti fatto, sentiamo!”
Lei assottigliò lo sguardo, sentendo di nuovo quel groppo allo stomaco.
È proprio questo il punto. Non ho fatto abbastanza” la voce le si incrinò sulle ultime parole e percepì due lacrime pizzicarle gli occhi, impazienti di poter essere liberate da quella corazza che si accingeva a voler rinforzare ogni giorno di più.
“Ma questo... questo non c'entra con quello che ho chiesto a tuo padre. Sono stato io ad iniziare, non ha senso che ora tu voglia prendertene la responsabilità.” attraverso le lenti degli occhiali rossi riuscì a scorgere il riflesso di quelle due gocce ancora impigliate tra le ciglia nere di Sarada e non poté fare a meno di prenderle la mano e stringergliela con decisione, fino quasi a farle male.
“Non c'è niente che non vada in te, vuoi ficcartelo in quella testa oppure no? Finiscila di incolparti sempre per tutto, oppure giuro che sarai la prima a testare la potenza della nuova tecnica che sto preparando!” esclamò gonfiando il petto per quell'ultima dichiarazione.
Lei annuì e incurvò leggermente le labbra in quello che Boruto volle interpretare come un sorriso. Una volta liberatasi dalla stretta ferrea del compagno si passò due dita sugli occhi per impedire ancora una volta alle sue debolezze di manifestarsi e proprio mentre stava per ringraziarlo entrambi si voltarono di scatto, percependo una presenza alle loro spalle.


“C'è qualche problema?”
La voce di Sasuke le arrivò come una secchiata d'acqua in pieno volto, quasi a risvegliarla da quella momentanea aura di quiete interiore che Boruto era riuscito a donarle.
Sensei! - esclamò lui, alzandosi – in realtà Sarada-chan stava-”
“Va tutto bene papà” si affrettò a rispondere lei, lasciando il compagno piuttosto interdetto. “Stavo per raggiungere la mamma in ospedale” aggiunse cercando di sembrare il più naturale possibile.
Sasuke le lanciò un'occhiata eloquente che la costrinse a darsi una mossa per render credibile ciò che aveva appena detto. Sapeva che a suo padre non sfuggiva quasi nulla, ma per niente al mondo si sarebbe sognata di parlarne direttamente con lui, almeno non davanti a Boruto, anche se qualche minuto prima lo aveva assillato con le sue paranoie.
“Vi lascio agli allenamenti” mormorò guardando appena il biondo e superando suo padre a testa a bassa, come se incrociare un'altra volta il suo sguardo avesse rischiato di mandarla di nuovo in frantumi.




























Siete sopravvissuti? Sicuri? Io non ne sarei così convinta, fossi in voi.
Ma d'altronde non vi biasimo, dato che io stessa, una volta terminato il capitolo mi sono detta: che  caspita ho scritto?
Proprio la settimana scorsa dicevo di voler iniziare con qualcosa di leggero ed ecco che me ne esco con discorsi ultra depressi. La verità è che mi sembrava di essere stata un tantino superficiale nel descrivere la reazione di Sarada; tutti la immaginiamo come una bambina intelligente e riflessiva, ma insomma non è un pezzo di ghiaccio come quel burbero del suo papà (ma chi ci crede?), al contrario credo sia molto sensibile, anche se magari non vuole darlo a vedere. Così qui ci sono i suoi dubbi e la sua vera reazione alla notizia che Sasuke allenerà il suo compagno.
Boruto, dal canto suo, si rende perfettamente conto dell'impatto che questo ha avuto su di lei e quindi cerca in qualche modo di scusarsi e di consolarla. Ovviamente ciò non vuol dire che rinuncerebbe ad allenarsi con Sasuke, quanto il fatto che magari avrebbe potuto parlarne anche con lei senza necessariamente nasconderglielo.
Comunque, datele tempo: anche lei avrà la sua occasione per riscattarsi.
Okey, spero che ci abbiate capito qualcosa, visto che tra il capitolo e le note non so quale dei due sia più contorto. Abbiate pietà.

Ps. E per coloro che vorrebbero vedere un po' d'azione (lo so che ci siete – io in primis! XD), siate fiduciosi, non mancherà, è solo che scrivere combattimenti mi prende molto più tempo, quindi devo pensarci per bene!

Un abbraccio e alla prossima!

 

Vavi

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Capitolo 4
*** La prossima volta ***




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 La prossima volta






Gettò a terra il bastone in legno e si sedette accanto a lui, accostando le gambe al petto. Tuffò il volto tra le ginocchia per nascondere un sorriso che non riusciva proprio a togliersi dalla faccia.
«Lo so che stai ridendo di me»
Boruto se ne stava sdraiato con le braccia sugli occhi per difendersi dal troppo sole, o almeno così voleva far credere alla sua compagna, la quale di certo non si era lasciata sfuggire quell'espressione imbarazzata e tremendamente a disagio che l'Uzumaki aveva sfoggiato per tutta la durata dell'allenamento. Senz'altro sarebbe stata un'ottima occasione per punzecchiarlo ad oltranza, ma infondo Sarada conosceva il tenore degli allenamenti che proponeva suo padre, perciò decise di non andare a mettere ulteriormente il dito nella piaga.
«Non te la sei cavata troppo male» buttò lì, girando lievemente la testa verso di lui.
Boruto fece vibrare le labbra producendo un fastidioso rumore che a Sarada ricordò il verso di un cavallo, poi lo vide far leva sui gomiti e sistemarsi a gambe incrociate, lo sguardo fisso su alcuni fili d'erba che gli spuntavano da sotto i sandali.
«Ho perso» replicò l'altro, come se quella fosse stata l'unica cosa importante dell'incontro. «Con una ragazza» aggiunse poi, scrutandola con la coda dell'occhio e preparandosi mentalmente alla reazione della compagna.
Lei si incupì, aggrottando entrambe le sopracciglia. «Allora è questo il problema» sbottò, alzandosi in piedi. Non credeva che Boruto potesse farne davvero una questione di genere.
Lui scoppiò a ridere, trovando quel comportamento fin troppo prevedibile.
«Dai, stavo scherzando, Katana no Hime. Ma insomma, cerca anche un po' di metterti nei miei panni, no?» e sfoggiò quella solita espressione da cucciolo che Sarada non sapeva mai se ignorare o assecondare.
Alla fine optò per la seconda scelta e lasciò andare le braccia lungo il corpo, sospirando.
«Impugni la katana peggio di una scimmia, Boruto» agguantò l'arma da allenamento da terra e, con un gesto deciso, portò la mano del compagno su quella che avrebbe dovuto essere l'elsa, chiudendo le proprie dita sulle sue. Con l'altra mano gli drizzò il braccio e poi il mento, in modo che guardasse dritto davanti a sé.
«Devi assumere una posizione eretta quando combatti» gli disse senza mollare la presa.
Boruto non mosse un solo muscolo ad accezione delle iridi azzurre che si posarono sul volto concentrato della ragazza.
«D-D'accordo» fu l'unica cosa che riuscì a dire, mentre cercava con tutto se stesso di ignorare il tocco caldo della dita di lei per concentrarsi sulla giusta postura da sfoggiare in combattimento.
Sarada si accorse subito di quelle attenzioni un po' fuori luogo e d'istinto si allontanò, passandosi nervosamente un ciuffo dietro l'orecchio.
Boruto tossicchiò due o tre volte e sperò con tutto se stesso di non essere diventato viola; odiava quella dannata reazione del suo corpo che, sebbene fossero poche le volte in cui si presentava, proprio non riusciva ad assoggettare al suo controllo.
«E, beh – riprese Sarada, fingendo che non fosse successo nulla – se non riesci a mantenere la giusta inclinazione con una mano, allora sarà meglio che impugni l'arma con entrambe»
Boruto annuì in modo vigoroso, grattandosi la nuca. «Lo terrò a mente per il prossimo incontro»
Lei gli sorrise lievemente, per poi voltarsi a guardare il sentiero che conduceva alle porte di Konoha. «Sarà ora di rientrare, che dici?»
Boruto fece qualche passo verso di lei ed entrambi si avviarono sulla strada del ritorno.
«Senti, umh – riprese lui, dopo qualche minuto trascorso a camminare in silenzio – ti va una ciotola di ramen da Ichiraku? Sì beh, visto che ho perso pago io, naturalmente» ridacchiò, tormentandosi un orecchio.
Sarada si voltò a guardarlo, gli occhi spalancati dalla sorpresa.
«Ecco, io non so se-»
«Ma certo, vorrai essere a casa per cena» si riprese subito lui, scuotendo il capo e battendosi una mano sulla fronte. «Per stare con tuo padre, intendo»
Lei continuò a camminare assottigliando lo sguardo, per poi riservagli un sorriso dolce ed annuire leggermente.
«Magari facciamo la prossima volta» rispose con un filo di voce, guardandolo di sottecchi.
Boruto annuì e gli sorrise di rimando, anche se in quello sguardo limpido Sarada scorse una punta di delusione. «Ma certo. La prossima volta»





























****
Ehilà!
Brutte notizie per quanto riguarda il PC; purtroppo il negozio in cui avevo intenzione di portarlo riapre a Settembre, perciò mi toccherà aspettare la prossima settimana. Intanto ho deciso di pubblicare tutto ciò che avevo pronto, visto che poi non so quanto tempo dovrò stare senza poter pubblicare/scrivere.
Questo capitolo, se ricordate, fa riferimento a quando Sasuke organizza alcune sedute di allenamento per imparare a maneggiare la katana in cui coinvolge anche sua figlia. Ci tengo a precisare che, beh, non si tratta proprio di un due di picche... diciamo che Sarada deve ancora schiarirsi le idee, perciò rimanda l'invito del compagno. Ho visto che in molte avete fatto riferimento ad un possibile chiarimento con Sasuke; arriverà, promesso, ma prima ho intenzione di farle ritrovare la voglia di perseguire un obiettivo, in modo che possa affrontare la questione con spirito positivo. Dal prossimo capitolo capirete! ;)
Detto questo, spero di non sparire per tanto tempo e vi ringrazio anticipatamente per la pazienza!

Un abbraccio,

 

 

Vavi

 

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Capitolo 5
*** Un peso di meno, un millimetro di più. ***




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Un peso di meno, un millimetro di più.

 

 

 

 

 

 

Quando arrivò dinanzi a quella porta in legno fu tentata di fare marcia indietro ed inventarsi una scusa l'indomani per giustificare la sua assenza all'appuntamento.
Si era premurata di rincorrere Shikamaru sino allo sfinimento per poter ottenere un'udienza con il Settimo Hokage, sebbene fosse consapevole che sarebbe bastato scambiare qualche parola con Hinata per far sì che Naruto le dedicasse quei cinque minuti di cui aveva bisogno; ma lei voleva fare le cose per bene, come si confaceva ad una vera kunoichi, perché solo in quel modo avrebbe potuto raggiungere il suo scopo.
Eppure ora sentiva l'ansia salirle in corpo e cominciava a pensare di essersi montata la testa come suo solito, temendo di aver agito d'istinto senza considerare le possibili conseguenze. Inoltre, anche se faceva fatica ad ammetterlo, il timore di ricevere un rifiuto la faceva sentire un'inutile sognatrice che pensava troppo in grande per le sue possibilità.
Chiuse gli occhi e mosse un passo verso le scale, intenzionata a lasciare la Magione, ma una mano dal tocco confortante le strinse la spalla invitandola a restare.
«Ora puoi entrare» sussurrò Shikamaru, salutandola con un lieve sorriso che, nonostante la compostezza, riuscì a trasmetterle un senso di tranquillità.
Deglutì mordendosi un labbro e annuì cercando di non sembrare troppo agitata mentre faceva il suo ingresso nell'ampia e luminosa dimora del Settimo. Avanzò di poco, guardandosi timidamente in giro e scoccando un'occhiata a Shikamaru, che con un breve gesto del capo la incitò ad avvicinarsi alla scrivania.
Naruto alzò gli occhi da alcuni documenti che stava esaminando e le rivolse la solita espressione gioviale che spesso la metteva di buon umore, anche se non le sfuggirono le occhiaie appena accennate e quella leggera patina di stanchezza tesa ad oscurare le iridi azzurro cielo.
«
È un piacere vederti, Sarada» esclamò quasi sollevato, come se la sua mente si stesse concedendo qualche attimo di riposo.
La ragazza chinò leggermente il capo. «Mi dispiace averla disturbata, Settimo».
Il biondo rizzò le schiena stiracchiando le braccia, per poi piombare con i gomiti sulla scrivania, visibilmente spossato.
«Naruto. Quante volte ti avrò detto di chiamarmi Naruto?» sbottò fingendosi offeso, mentre Sarada tentava inutilmente di nascondere l'imbarazzo.
«Vorrei... chiederle una cosa».
Preferì andare al dunque senza girarci intorno, non aveva nessuna intenzione di sembrare invadente, dopotutto l'Hokage aveva sicuramente di meglio da fare che stare a sentire le richieste di una ragazzina.
Naruto invece si protese in avanti, mostrandole che era propenso ad ascoltarla. «Dimmi pure».
«Ecco...» anche Sarada accorciò le distanze, come se una maggiore vicinanza riuscisse a darle la sicurezza necessaria per continuare. «Mi domandavo se fosse possibile trascorrere un po' di tempo nella Magione, per osservare da vicino il lavoro che svolge ogni giorno e, beh... imparare come funziona».
Sarada non aveva mai nascosto il desiderio di voler diventare Hokage, né tantomeno l'ammirazione e il rispetto che nutriva per l'attuale capo Villaggio; fino a quel momento, tuttavia, si era limitata a migliorare quegli aspetti dell'essere ninja per i quali si credeva maggiormente portata, con particolare attenzione all'arte medica, disciplina che l'aveva affascinata sin da piccola e che aveva tutta l'intenzione di imparare a padroneggiare. Ma, riflettendoci, non aveva mai compiuto un vero passo in avanti per cominciare ad inseguire i suoi obiettivi, forse per paura che il percorso si rivelasse poi troppo impervio, tanto da costringerla a rinunciare.
A farle aprire gli occhi era arrivato proprio lui, Boruto, con quell'incredibile sfacciataggine nel confessarle l'identità del suo nuovo maestro, tanto da farle prudere le mani per l’indignazione; ma poi aveva percepito la voglia di mettersi in gioco, il coraggio, l'essere fedele ai propri ideali e l'empatia che l’Uzumaki aveva mostrato nei suoi confronti, chiedendole scusa per non averla messa al corrente dei fatti. Infondo lo ammirava, perché lui aveva continuato ad andare per la sua strada e sarebbe stato disposto a tutto pur di rendere il suo sogno una realtà tangibile. 
Quella determinazione, quella forza di volontà che non crollava neanche dinanzi al più alto dei muri, le aveva dato la forza per alzarsi e affrontare le situazioni di petto, senza rimandare continuamente temendo di sbagliare.
«È una richiesta insolita»
Naruto inarcò le sopracciglia in un'espressione di perplessa curiosità.
Lei alzò lo sguardo, cercando di mantenere la calma. «Mi rendo conto di aver chiesto l'impossibile, ma il fatto è che... - stava per interrompersi, ma questa volta l'istinto ebbe la meglio sulla ragione – un giorno vorrei essere come lei, Settimo, e sento che poter conoscere da vicino quali sono i doveri e le responsabilità di un Hokage possa aiutarmi a divenire più consapevole di ciò che sto facendo».
Shikamaru si lasciò scappare un sorriso sghembo, guardando Naruto di sottecchi. Questo si alzò, destando lo stupore di Sarada, e gli si avvicinò per poi adagiarle una carezza tra i capelli corvini.
«Tu lo sai che essere Hokage... è molto più di questo, vero?» sussurrò indicando la pila di scartoffie che giacevano sul tavolo in colonne ordinate e Sarada si sbrigò ad annuire, l'ultima cosa che voleva era dare un'impressione del tutto sbagliata.
«Certo, insomma... qui si tratta di organizzare il Villaggio, catalogare le missioni, archiviare rapporti e cose simili, nulla che possa davvero rispecchiare il significato della parola Hokage» si fermò per prendere un bel respiro, poi riprese. «Lo so che la strada da fare è lunga e richiede dei sacrifici, ma io voglio provarci, perché è questo ciò che desidero davvero e per averlo sono pronta a tutto».
Aveva parlato con i pugni chiusi e il timbro di voce più alto del solito. Rimase in tensione fin quando l'espressione radiosa del biondo la convinse a rilassare i muscoli e tornare in sé.
«Posso farti rimanere per qualche ora dopo l'Accademia, il mercoledì e il giovedì, quando ho meno faccende da sbrigare, imprevisti permettendo ovviamente» cercò un segno di conferma sul volto del suo consigliere, che annuì con il capo.
Lo sguardo di Sarada sembrò acquistare una nuova luce e la ragazza lottò contro se stessa per non esplodere in un urlo di gioia.
«Dice davvero?» quasi non poteva credere che le fosse stato accordato un simile privilegio.
Il biondo le lasciò un ultimo buffetto prima di tornare ai suoi doveri. «Puoi contarci».
«Grazie!» esclamò lei senza riuscire a trattenersi, per poi tornare composta e chinare il busto. «La ringrazio davvero, Settimo» cercò di correggersi, accennando un inchino anche a Shikamaru.
«Naruto» la riprese di nuovo l'Hokage, mentre il consigliere la riaccompagnava alla porta.
Lei sorrise. «Naruto».


Una volta fuori, l'aria fresca del mattino le riempì le narici, donandole un senso di inebriante soddisfazione. Si incamminò lentamente sulla strada di casa, aveva dormito poco la sera prima a causa dei troppi pensieri e se non fosse stato per l'adrenalina che le scorreva in corpo sarebbe già crollata a terra. Mentre ripensava alle parole dell'Hokage, non si accorse di aver aumentato la velocità di passeggio, fino a quando, quasi in modo spontaneo, iniziò a correre; non le importava che i passanti la guardassero male, aveva voglia di sfogare tutte le emozioni accumulate in quei pochi minuti. Sfrecciando tra le strade del Villaggio i colori sembravano uniformarsi in un'unica tinta omogenea, così come il vociare della gente, divenuto ormai un suono indistinto. Una volta arrivata alle porte di Konoha, però, ebbe la sensazione che qualcuno la stesse chiamando, quindi frenò di botto e un secondo dopo si trovò con la guancia schiacciata a terra e un peso non indifferente sulla schiena.
«Sarada» biascicò una voce ansimante sopra di lei, che subito riconobbe come quella di Boruto.
Il ragazzo si alzò nell'immediato, aiutando anche la ragazza a rimettersi in piedi.
«Ti ho chiamata a squarciagola ma non sentivi e così... ho pensato di seguirti. Insomma stavi correndo, mi sono preoccupato».
Lei sistemò i manicotti, levando via il terriccio, e lo guardò sospettosa.
«Stai più attento la prossima volta! Mi hai quasi spezzato la spina dorsale».
Boruto sbuffò, agitando le mani. «Che razza di ingrata! E io che pensavo ti fosse successo qualcosa!»
Sarada abbassò lo sguardo, lievemente in difficoltà. «In realtà qualcosa è successo» confessò, tornando poi a guardare quegli occhi azzurri che, a differenza dei suoi, sembravano davvero limpidi. «Ma non è nulla di preoccupante, anzi».
Il biondo sembrò risollevarsi e si portò le braccia dietro la testa.
«Magari ti va di parlarne... davanti a quella famosa ciotola di ramen?» cercò di sembrare spavaldo mentre lo domandava, sebbene il cuore gli stesse martellando nel petto in modo un po' troppo insistente.
Anche Sarada sentì di nuovo mancare il fiato e per un momento pensò di rifiutare con la scusa di sentirsi troppo stanca. Poi però si rese conto che, un’ennesima volta, stava per tirarsi indietro solo per paura che qualcosa andasse storto, proprio come era successo con l'Hokage; infondo si trattava solo di un pranzo senza troppe pretese, anche se qualcosa le diceva che quel ragazzo biondo dall'aria un po' svampita le avrebbe sicuramente portato altri guai.
«D'accordo» rispose beandosi dell'ampio sorriso che le riservò il compagno. «Ma prima devo tornare a casa a cambiarmi» aggiunse un po' su di giri, alludendo alla brutta caduta di poco prima.
«Oh, ma certo» si affrettò ad aggiungere Boruto, infondo un po' si sentiva in colpa per quella scenata. «Alle due da Ichiraku allora?»
Lei annuì e prima che potesse voltarsi per andare, lui gli scoccò un fugace bacio sulla guancia, quello che da un po’ di tempo aveva sostituito il semplice cenno della mano e che, a detta di Sarada, ogni giorno guadagnava qualche millimetro in più verso le labbra.

 

 

 

 

 

 



















****
Ma ciao!
Finalmente vi scrivo dal mio adorato computer, ancora privo di tastiera ma insomma, si fa come si può.
Come avrete notato, ho aggiunto all'inizio di ogni capitolo un piccolo banner, che altro non è che un pomeriggio di noia passato a giocherellare con Paint. Sì, avete capito bene... Paint. Vi aspettavate forse che un'impedita come me potesse creare qualcosa di decente con programmi come Photoshop? Ma neanche mi azzardo ad aprirli, tanto so che farei qualche danno. Semplicemente mi sono innamorata dell'immagine - che è di proprietà del rispettivo artista - e ho voluto inserirla in qualche modo nella raccolta. A questo proposito ringrazio CalcedonioBlu per i suoi preziosi consigli e per aver incorpato il titoletto nel banner (a mia insaputa ahah XD).
Non so quanti di voi si aspettavano un risvolto del genere, personalmente ho voluto seguire i suggerimenti di lemonguess (grazie!) ed approfondire anche il rapporto tra Sarada e Naruto. Il fatto che voglia diventare Hokage credo sia l'unico dettaglio ripreso dal Gaiden perchè sinceramente non mi dispiace affatto, anzi mi ha dato modo di offrire a Sarada un'occasione per riscattarsi. Ovviamente non dovete intenderla come una sorta di "ripicca" nei confronti di Boruto, tutt'altro; semplicemente la sua indole è più remissiva rispetto a quella del compagno e necessitava di una "spintarella" per farsi avanti.
Il buon umore per aver ottenuto il permesso dall'Hokage ha avuto poi dei risvolti positivi anche su altri fronti...! ;)
Detto questo vi mando un bacio e beh, sono molto curiosa di sapere cosa ne pensate!

Grazie! <3


Vavi
 

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Capitolo 6
*** Cinque minuti ***




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Cinque minuti










«Non abbassate la guardia».
Il maestro Konohamaru parlava con tono grave, richiamando i ragazzi all'attenzione. Sapeva che spesso le missioni di grado C venivano prese alla leggera e, anche se il nuovo team 7 poteva vantare un gruppo di giovani ninja dalle abilità considerevoli, la prudenza non sarebbe mai stata troppa. Ricordava bene quanto l'ingenuità e la spensieratezza che aveva da bambino gli fossero costate, proprio lui che si ostinava ad ignorare i continui rimproveri del maestro Ebisu, facendosi beffe di quell'uomo che infondo aveva sempre desiderato soltanto il suo bene.
Sarada assottigliò lo sguardo ed aumentò il passo, tenendosi alle spalle di Konohamaru. Le basse percentuali di rischio del livello C non l'avevano mai invogliata a prendere le missioni sotto gamba; per lei ogni esperienza andava vissuta come un insegnamento da custodire gelosamente per il futuro, che si trattasse di uno scontro vero e proprio o di semplici nozioni fornite sul campo dal maestro. Lo stesso non si poteva certo dire di Boruto e di quell'irritante espressione giuliva che pareva essersi spiaccicato sulla faccia poco prima di partire.
«Smettila» se ne uscì lei, guardandolo con la coda dell'occhio.
Il ragazzo lanciò un'occhiata a Mitsuki, sulla sua stessa linea d'aria, il quale però si limitò ad alzare le spalle per poi poggiare il piede su un arbusto e sfrecciare in avanti.
Al ché Boruto ricambiò l'occhiata della compagna, decisamente perplesso.
«Smetterla di fare cosa?»
Sarada scosse la testa e abbassò il tono di voce. «Di pavoneggiarti, accidenti!»
Entrambi scorsero Konohamaru voltarsi di poco nella loro direzione, probabilmente attirato dai loro bisbigli. Non appena il maestro tornò a guardare avanti, Boruto riprese il discorso.
«Pavoneggiarmi?! Ma di che diamine stai parlando?!»
Sarada sbuffò spazientita, evitando di ricordargli quei lunghi e interminabili minuti durante i quali aveva ammorbato sia lei che Mitsuki descrivendo per filo e per segno le modalità di funzionamento di un certo Uragano Infuocato che stava tentando di realizzare, finché il maestro Konohamaru, per grazia divina, gli aveva intimato di farla finita e lo aveva invitato a tornare concentrato sulla missione. A quel punto Boruto si era zittito, ma nulla gli aveva impedito di continuare a camminare con quel sorriso estremamente soddisfatto che a Sarada stava cominciando a dare i nervi.
«Se l'espressione della mia faccia non ti piace – esordì lui, capendo finalmente a cose si stesse riferendo la compagna – allora non dovresti guardarla, piccola Uchiha».
Lei si girò di scatto, incassando quella frecciatina nel mentre elaborava già una strategia per metterlo a tappeto.
«Il tuo ego smisurato si percepisce a chilometri di distanza, Boruto» rispose dopo poco, cercando di rimediare a quel colpo basso e convincere se stessa che no, non lo aveva davvero guardato così attentamente. O forse sì?

«Attenzione, nemico a ore due!»

Konohamaru si bloccò all'istante facendo un breve cenno agli allievi, che in automatico adottarono la formazione a croce, una tattica piuttosto primitiva ma efficace quando si rendeva necessario coprirsi le spalle a vicenda.
«Lo vedo!» esclamò Sarada, piegando le gambe ed afferrando degli shuriken dalla sua sacca. Ne lanciò quattro con un ampio movimento del braccio, dando loro una traiettoria curva in modo che evitassero gli alberi per centrare dritto al bersaglio. Il ninja li schivò abilmente, balzando in aria e cogliendoli dall'alto con una tecnica di Terra; Konohamaru fece leva sulla punta del piede per fermarlo con l'aiuto del Rasengan, che attraverso un rapido vortice scaraventò l'avversario a diversi metri di distanza.
«Ehi!» sbottò Mitsuki, distogliendo lo sguardo dal maestro. «Ce ne sono altri!»
Boruto si fece indietro assieme a Sarada, in modo che loro schiene fossero il più vicine possibile a quelle del compagno. Prima che potessero accordarsi per attaccare, una mano spuntò da sotto il terreno, afferrando saldamente la caviglia di Sarada; lei fece resistenza per evitare di essere tirata giù e, concentrando quanto più chakra possibile nella mano destra, sferrò un pugno micidiale al pavimento sottostante, provocando l'apertura di un'enorme faglia nella terra. Boruto e Mitsuki si spostarono su un albero, fronteggiando gli attacchi di altri nemici assieme al maestro.
Sarada si guardò in giro, sicura che il ninja fosse riuscito a scampare all'attacco. Percepì il suo chakra appena in tempo per sfoderare un kunai, ma l'altro fu più veloce e le portò entrambe le mani dietro la schiena, per poi puntarle una katana alla gola e trascinarsela su un arbusto.
«Ho la ragazza in ostaggio!» gridò, provocando lo sgomento del resto della squadra. «Dateci immediatamente tutto ciò che avete, altrimenti le taglierò la gola!»
Boruto piantò una gomitata sullo stomaco di un ninja lì vicino e fece per fiondarsi da lei, quando si sentì strattonare con forza dal maestro.
«Razza di infame, lascia stare Sarada!» urlò in preda alla rabbia, cercando di divincolarsi dalla presa di Konohamaru, ma questo lo costrinse a riprendere la calma, afferrandolo per le spalle.
«Boruto, questi ninja non sono degli esperti, l'avrai capito anche tu, ma adesso hanno un vantaggio su di noi, perciò resta calmo e analizza la situazione».
Sarada, nel frattempo, aveva iniziato a guardarsi in giro nella speranza di trovare un modo per liberarsi, mentre continuava a concentrare chakra nelle mani, pronta a sferrare un altro dei suoi pugni.
«È inutile tanto», esordì il ninja che la teneva prigioniera.«Nessuno dei tuoi attacchi funzionerà, dal momento che ti terrò i polsi ben stretti. Non hai via di scampo».
Sarada ghignò sottovoce. «Sei sicuro?»
La domanda venne seguita da un calcio che la ragazza gli sferrò dritto in mezzo alle gambe. Il ninja mugolò dal dolore, piegandosi su se stesso, e Sarada ne approfittò per cambiargli i connotati con le nocche della mano destra, che gli ruppero il naso spendendolo addosso a un tronco.
In quell'esatto momento Konohamaru diede il segnale a Boruto e Mitsuki, in modo che riprendessero ad attaccare.
«Tutto bene?» chiese il maestro, quando la vide avvicinarsi a loro.
Sarada annuì e ricambiò di sfuggita il sorriso entusiasta che gli riservò l'Uzumaki poco prima di spazzare via un ninja con una raffica di vento.
«Alla grande, Sensei».




****




La radura che avevano scelto per fermarsi a dormire era un posticino piuttosto accogliente ma stranamente freddo rispetto alle zone che avevano esplorato durante il giorno. Mancavano ormai poche ore di cammino per arrivare al Villaggio, ma Konohamaru aveva preferito far riposare i suoi allievi in seguito allo scontro con i banditi, in modo che la mattina successiva avessero potuto continuare la missione con spirito più rilassato.

Sarada sgusciò via dal suo sacco a pelo, incapace di prendere sonno. Si appostò su una roccia levigata lì vicino, cercando di non fare rumore. Quella sera le stelle sembravano risplendere più del solito. Abbassò il bordo del manicotto per scoprire una ferita che si era procurata in battaglia; non aveva voluto parlarne con gli altri per non farli preoccupare, ma a causa dello sfregamento con la stoffa aveva iniziato a bruciarle e se non voleva rischiare un'infezione avrebbe dovuto curarla quanto prima. Sebbene fosse ormai allo stremo delle forze, richiamò il chakra medico ed iniziò il procedimento per cicatrizzarla.
«Ti fa molto male?»
Una voce giunse alle sue spalle e la fece sobbalzare, tanto che perse la concentrazione e dovette interrompere la cura. Non disse niente fin quando scorse la sagoma del suo compagno sederglisi accanto e la chioma bionda riflettere i raggi lunari come uno specchio. Per un attimo si ritrovò a pensare che quel ragazzo riusciva a brillare anche sotto un astro che non possedeva luce propria.
«Sarada?»
Gli sventolò una mano davanti alla faccia, per poi indicare preoccupato l'apertura sul braccio.
«Oh, questa» riprese lei, tornando a ciò che stava facendo. «Non è niente, guarirà in poco tempo. Se solo non avessi usato tutto il chakra in combattimento, a quest'ora...»
«Sei stata davvero brava» la interruppe lui, guardandola appena. Poi abbassò lo sguardo, giocherellando con il ramo di un fiore solitario che spuntava dagli interstizi delle rocce. «Io mi sono preoccupato per te, ma tu sai cavartela egregiamente anche da sola» scherzò, grattandosi la nuca.
Lei lo guardò stupita, poi sorrise beffarda. «Quindi mi credevi una buona a nulla».
«No! - si affrettò a rispondere lui, alzando un po' la voce – non ho detto questo. È solo che quando ho visto quel ninja puntarti la katana alla gola, io.... avrei voluto ammazzarlo. Non ho pensato che potevi liberarti da sola, sarei solo voluto scendere dall'albero e...»
Si fermò all'istante nel sentire le labbra calde di Sarada posarsi sulla sua fronte.
«Grazie» sussurrò lei, tornando a sedersi accanto a lui.
Boruto le sorrise un po' imbarazzato, dopodiché si tolse la felpa nera e gliela adagiò sulle spalle.
«Fa freddo stasera» disse, guardando il cielo. «Hai la pelle d'oca» aggiunse poi, indicando le braccia di Sarada.
La ragazza si strinse timidamente nella felpa, beandosi di quel calore che sapeva di lui.
«Forse sarà meglio dormire un po’» esordì Boruto, gettando un'occhiata ai sacchi a pelo di Mitsuki e del maestro Konohamaru.
Sarada annuì, per poi lasciar andare il capo sulla spalla di lui. «Tra cinque minuti».
Il ragazzo le lasciò un bacio tra i capelli e sorrise.
«Tra cinque minuti».


















Ma buonaseraaaa!
Io e il mio PC siamo definitivamente tornati anche in questa storia... potrei raccontarvi le rocambolesche avventure che ho dovuto affrontare per cambiare la tastiera, ma voglio limitarmi a condividere con voi quanto io sia felice per la pubblicazione di questo capitolo! Colgo l'occasione per chiedere scusa a coloro che mi stanno seguendo nell'evolversi della vicenda: ultimamente l'ho un pò tralasciata a causa di altre raccolte che ho in corso ed impegni universitari vari, ma non dubitate, tornerò sempre! Lo dico soprattutto perchè ho visto fuggire alcuni lettori di recente, per cui suppongo sia a causa dei miei ritardi. Ovviamente se la storia non attira più è inutile continuare a seguirla, ma se si tratta degli aggiornamenti vi chiedo solo di avere un pò di pazienza, ecco tutto! ^^
Vi mando un bacio grande e mi affido al vostro prezioso giudizio! :*


Vavi

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Capitolo 7
*** Fotografia ***




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Fotografia










L’espressione con la quale Boruto perlustrava la casa del suo maestro era impagabile. Ogni volta che varcava la soglia di quella porta cominciava a guardarsi in giro con fare curioso e circospetto, come se lì dentro dovesse trovarci chissà quali diavolerie nascoste. Sarada lo squadrava da cima a fondo, sbuffando di tanto in tanto quanto toccava soprammobili particolarmente fragili o quando ficcava il naso tra gli oggetti altrui.

Quel giorno la ragazza lo aveva invitato ad entrare mentre lei terminava di preparare l’occorrente per una missione che avrebbero svolto con il maestro Konohamaru. Boruto si era accomodato su una sedia in camera di Sarada, e l’imbarazzo iniziale aveva ben presto lasciato il posto ad un’irrefrenabile voglia di farsi gli affari suoi. Si guardò intorno con fare furtivo e storse il naso nel constatare l’ordine maniacale in cui verteva quella stanza; conoscendo Sarada, anche se avesse mosso un unico suppellettile, lei se ne sarebbe accorta e come sempre gli avrebbe rimproverato di essere troppo invadente.
Suvvia, non c’era mica niente di male nel voler ampliare la conoscenza reciproca tra compagni di Team, no? Con questo nobile scopo ben impresso nella mente, Boruto adocchiò un quadernino rosso ad un angolo della scrivania, dalle cui pagine spuntavano foglietti riempiti con una calligrafia stretta e allungata che riconobbe come quella di Sarada. Immaginò dovesse trattarsi di appunti presi all’Accademia, oppure di annotazioni che la ragazza prendeva durante le missioni e che poi tornava a consultare quando le serviva. Sarada amava fissare su carta qualsiasi cosa per lei fosse degna di essere ricordata, non si faceva mai sfuggire nessun dettaglio ed erano molte le volte in cui l’aveva vista con una penna in mano anche durante le pause dalle lezioni, o dopo una missione estenuante. La voglia di leggere quel piccolo scrigno di pensieri era forte, ma poi decise di evitare un’ulteriore fonte di litigio; la sua attenzione venne attirata però da qualcosa che riconobbe come una fotografia, anch’essa incastrata tra le pagine del quaderno. Quando, con calma, riuscì a tirarla fuori, stentò a credere ai suoi occhi.

Un Sasuke piuttosto giovane era sdraiato sul futon con entrambe le spalle scoperte e, a giudicare dalla posizione supina, sembrava immerso nel sonno. Aggrappata ai suoi capelli, dalla parte opposta, c’era una bambina di pochi mesi, addormentata sul pavimento freddo, forse in seguito al troppo gattonare.

«Che diavolo stai combinando, Boruto?!»

Un’esclamazione molto simile al ringhio del suo maestro lo ridestò dalla contemplazione di quell’inusuale fotografia. Alzò le iridi azzurre per incrociare lo sguardo furioso della sua compagna, stranamente spaventosa anche con un grembiulino rosso legato ai fianchi ed un sacchetto di onigiri nella mano destra.
Il tempo di aprire la bocca per discolparsi che Sarada lo aveva già raggiunto con tre grandi falcate, riappropriandosi dell’oggetto in fretta e furia.
«Chi ti ha dato il permesso di frugare nelle mie cose?!» esclamò indignata, a pochi centimetri dal naso di Boruto. Lui chiuse un occhio per attutire il colpo, sicuro di ricevere un bel bernoccolo in testa da un momento all’altro, ma non appena tornò a guardarla vide che, oltre alla rabbia, sul volto di Sarada era dipinta un’espressione di tremendo imbarazzo.  In un batter d’occhio riprese il controllo di se stesso e spinse avanti il busto rispondendo allo sguardo truce di Sarada, così che questa volta fu lei a doversi tirare indietro.
«Come mai la tenevi nascosta, piccola Uchiha? Temevi che qualcuno potesse scoprire il tuo lato tenero?» chiese, eludendo la domanda che le aveva posto lei poco prima.
La ragazza fece un passo indietro e rimise la fotografia al suo posto. «Questi non sono fatti tuoi. Non avresti dovuto frugare tra le mie cose» rispose con un filo di voce, sistemandosi la montatura degli occhiali.
Boruto sospirò, scuotendo la testa. «Sei proprio uguale a Sasuke-sensei, lo sai? – borbottò, incrociando le braccia – perché non la fate finita di mostrarvi così impostati e lasciate che le persone vi comprendano per come siete veramente?»
«Io non sono impostata» replicò subito lei con voce instabile, aggrottando le sopracciglia. La vide abbassare lo sguardo, per poi rialzarlo e incastonarlo nel suo. «Quella è una delle poche fotografie che ho assieme a mio padre», si decise ad ammettere, «e non sono tenuta a condividerla con nessuno».
Boruto si lasciò scappare un ghigno divertito nell’udire quelle parole così accorate.
«D’accordo, hai ragione» si arrese poi, alzando le mani. «Sono stato uno stupido a parlarti in quel modo. Dopotutto sei libera di fare ciò che vuoi con le tue cose».
Sarada continuò a guardarlo con fare sospetto, ma i suoi muscoli facciali sembrarono finalmente rilassarsi. Non fece neanche in tempo ad emettere un sospiro di liberazione, che Boruto si alzò, afferrandole prontamente la mano  e sovrastandola di parecchi centimetri.
Le tolse gli onigiri, poggiandoli sulla scrivania, mentre lei continuava ad osservarlo senza capire.
«Sarada-chan» esordì, e stavolta aveva negli occhi una luce diversa. «Promettimi solo che con me sarai sempre te stessa».
Lei rispose con un’espressione smarrita, perciò Boruto decise di tranquillizzarla a modo suo. «Puoi tenere nascoste tutte le fotografie e i peluche che vuoi, in ogni caso».

Stavolta la vide accennare un sorriso. «Lieta di aver ricevuto il tuo permesso, Boruto» disse in modo sarcastico, anche se la sua voce tradiva ancora una leggera nota di imbarazzo. «Vorrà dire che finalmente potrò tirar fuori l’orsacchiotto gigante che tenevo nascosto in cantina».
Lui ridacchiò e si grattò la nuca, per poi lasciarle andare la mano ed allungare la sua in direzione di quell’invitante sacchetto ricolmo di polpette di riso adagiato sul tavolo.
«Non ci provare» lo rimproverò Sarada, picchiandogli il dorso della mano. «Li ho preparati apposta per poterli mangiare tutti insieme in missione, perciò per prenderli dovrai passare sul mio cadavere!» dichiarò piantando le mani sui fianchi e riservando a Boruto un’espressione di sfida.
Lui rise di nuovo, ricambiando quello sguardo determinato. «Vogliamo giocarceli in un combattimento con le katane?»
«Guarda che non ti conviene» ghignò lei, alzando un sopracciglio.
Prima che la ragazza potesse rendersene conto, Boruto afferrò il sacchetto con uno scatto fulmineo, infilandoselo sotto la maglia, per poi lasciare la stanza in fretta e furia. «Vieni a prendertelo, Katana no Hime!» lo sentì urlare dal corridoio, udendo subito dopo il rumore della porta di casa che si chiudeva dietro di lui.
«Razza di imbecille» sibilò a denti stretti, prima di concentrare tutto il chakra nella mano destra, decisa a fargliela pagare molto cara.


















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Ehilà!
Finalmente riesco ad aggiornare questa raccolta, è sempre un sollievo scrivere un nuovo capitolo! La scorsa settimana sono stata impegnatissima e a stento ho avuto tempo di entrare su EFP... ma ora voglio cercare di recuperare per quanto posso prima dell'inizio delle lezioni!
Ammetto che l'epilogo del capitolo era stato pensato in modo completamente diverso... doveva essere qualcosa di dolce e fluffoso ma alla fine è diventato uno dei soliti battibecchi tra i due! XD Spero possiate apprezzarlo lo stesso e, per le romanticone (?), prometto che arriverranno momenti coccolosi, anche se, come ho già detto in passato, non sono particolarmente brava a scrivere questo genere di cose... quindi vedrò come gestirmi questo rapporto per accontentare sia me che voi! ;)
Come penso avrete capito, la fotografia della quale si parla nel testo si ispira alla fanart che vi ho postato qui sopra, realizzata da Arya-Aiedail e pubblicata su Deviantart. Vi invito a dare un'occhiata alla sua galleria perchè ne vale davvero la pena!

Spero abbiate apprezzato il capitolo, vi mando un bacio grande e alla prossima! ^^




Vavi

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Capitolo 8
*** Chi sa troppo e chi forse preferirebbe non sapere ***




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Chi sa troppo e chi forse preferirebbe non sapere












Terminò di appuntare sul suo prezioso quaderno anche l’ultimo dettaglio di quella lunghissima giornata, adocchiando in modo distratto Shikamau, mentre ritirava le ultime pratiche sulle quali l’Hokage aveva apposto la sua firma. Lo sentì mormorare qualcosa all’orecchio di Naruto, dopodiché le rivolse un mezzo sorriso, che lei ricambiò brevemente, per poi tornare a rileggere ciò che aveva scritto. Le pupille scorrevano le righe veloci, apportavano qualche modifica o aggiungevano una parola al margine; il tutto era organizzato secondo un ordine rigoroso che non avrebbe permesso alcuna incomprensione. Troppo concentrata a sistemare le idee, Sarada non si accorse dello sguardo interessato che Naruto le aveva rivolto non appena il consigliere si era chiuso la porta alle spalle.
L’Hokage si stiracchiò, per poi accasciarsi sulla poltrona rossa, scivolando sullo schienale.

«Dimmi, Sarada… da quant’è che tu e mio figlio vi frequentate?»

La stilografica della ragazza finì a terra con un tonfo stridulo. Sarada balzò giù dallo sgabello, sconvolta, recuperò la penna in fretta e furia e tornò a sedersi cercando di darsi un contegno. Tutto poteva immaginare tranne che l’Hokage, dopo una lunga e intensa giornata di lavoro, se ne fosse uscito con un simile interrogativo.
Sistemò la montatura degli occhiali e cercò di ricambiare lo sguardo di Naruto senza arrossire.
«Si sbaglia, Settimo, io e Boruto siamo… uhm… compagni di squadra, per questo usciamo spesso assieme».
«Ma va là!» sbottò Naruto, facendola sobbalzare. «Guarda che non c’è mica niente di male eh! Tu sei una brava ragazza, probabilmente la più adatta per mettere in riga quel monello di mio figlio».
Sarada deglutì a vuoto, sentendo la salivazione ridursi a zero. Dannazione, eppure si erano visti così poche volte al di fuori delle missioni! Come diamine aveva fatto a capire che infondo tra loro c’era qualcosa di più?
«Conosco quel sorriso da ebete» continuò Naruto, alzandosi. Fece qualche passo verso di lei, che tornò a rannicchiarsi sullo sgabello. «Uno non può essere così felice quando gli è stata assegnata una missione di assistenza per gli anziani» ridacchiò grattandosi la nuca, per poi lanciare un’occhiata eloquente alla ragazza.

Accidenti. Sarada maledisse mentalmente Boruto e la sua abissale incapacità di trovare delle scuse convincenti. Lei almeno aveva detto che sarebbe andata a provare una nuova tecnica assieme a Chouchou! Che poi, a dirla tutta, si era trattato di un semplice pranzo da Ichiraku. Le venne da ridere pensando a tutte le storie che aveva fatto Boruto per offrirle il pasto; lei in genere non amava tali formalità, ma alla fine aveva ceduto, perché infondo le era sembrato un gesto carino.

Scosse la testa tornando alla realtà, trovando di nuovo quelle due iridi azzurre a scrutarla. Ormai erano stati scoperti, mentire l’avrebbe solo messa in ridicolo davanti all’Hokage e questo non poteva permetterselo.
Si alzò e strinse a sé il quaderno rosso, per poi prendere un respiro profondo.
«La prego non lo dica a mio padre».
L’espressione di Naruto mutò in una smorfia che tratteneva a stento lo scoppio di una risata.
«Non so come potrebbe prenderla, anche se, beh, infondo non è nulla di ufficiale ma… »
Si morse il labbro, in attesa che il cuore le concedesse una tregua. Stava decisamente perdendo il controllo di sé stessa.
«Vede, mio padre è…»
«Tradizionalista? Bigotto?» Geloso? Avrebbe poi voluto aggiungere Naruto, sempre più divertito dalla situazione. «Suvvia Sarada-chan, non credo che Sasuke rappresenti un problema. Ci parlerò io se vuoi».
«No!» sbottò lei, istintivamente. Si schiarì la gola, accorgendosi di aver alzato troppo il tono di voce. «Voglio dire, preferirei che non lo facesse» mormorò, «non ancora almeno».
L’Hokage annuì, tornando a sedersi dietro la scrivania. «Come vuoi Sarada-chan» concesse in tono pacato, «ma non darei per certo il fatto che tuo padre non se ne sia già accorto».
La ragazza sgranò gli occhi, considerano anche quella possibilità. Dopotutto suo padre non sembrava un grande esperto in fatto di “questioni di cuore”, ma di certo era un ottimo osservatore e raramente si faceva sfuggire qualcosa. Se poi considerava anche il tempo che passava assieme a Boruto, allora l’ipotesi di Naruto diveniva sempre più probabile.
A scuoterla dalle sue considerazioni fu il rumore di due colpi alla porta, seguiti dall’abbassarsi della maniglia e dalla comparsa di una ragazzina in carne con la pelle ambrata e i capelli castani raccolti parzialmente in due code alte. Gli occhi vispi le brillarono di una luce furbetta a ammaliata, non appena scorse la figura dell’Hokage stagliarsi sullo sfondo di un cielo ormai prossimo al tramonto.
«Settimo Hokage! – trillò con voce altisonante -  è sempre un immenso piacere poterla incontrare!»
Abbozzò un inchino fin troppo plateale, al quale Naruto rispose con un grande sorriso e un lieve cenno del capo. «Ciao, Chouchou!»
Dopo avergli lanciato un ultimo sguardo sognante, la ragazza si voltò di scatto verso l’amica, e la sua espressione aveva decisamente cambiato umore.
«Ma insomma Sarada! – sbottò, mettendo le mani sui fianchi – è un’ora che ti aspetto qui sotto! Avevi detto che avresti finito alle sei, ma sono le sette passate!»
L’altra guardò Naruto con fare interrogativo, per poi adocchiare l’orologio appeso alla parete.
«Accidenti! – esclamò, dandosi della sbadata per non esserne accorta prima – mi sono trattenuta più del dovuto! Settimo, perché non me l’ha detto?»
Naruto alzò le spalle e accompagnò entrambe alla porta. «Oggi non avevo molto da fare e poi sembravi così assorta a scribacchiare sul tuo quaderno che non mi andava di interromperti!»
Sarada gli sorrise imbarazzata, dopodiché lo ringraziò per la disponibilità e assieme a Chouchou lasciò la magione.


«Cosa darei per trascorrere io qualche ora lì dentro!»
Sarada incenerì l’amica, lasciandosi andare ad un lungo sospiro. «Potrebbe essere tuo padre» la rimbeccò, aumentando il passo per cercare di starle dietro.
«Credi che non lo sappia?» rispose lei piccata, alzando il mento. «Ma quando uno è figo c’è poco da fare» concluse allisciandosi una ciocca di capelli, mentre Sarada scuoteva la testa, incapace di trovare le parole per replicare in modo adeguato.
«E come se non bastasse ti sei pure cuccata suo figlio!»
«Shh!» Sarada le diede una gomitata, guardandosi furtivamente in giro. Non le andava che le altre persone sentissero i discorsi strampalati della sua migliore amica.
«Io e Boruto non siamo ancora fidanzati» le fece notare in un sussurro, mentre svoltavano l’angolo per raggiungere casa sua.
«Già, infatti non ho capito che cosa state aspettando!» esclamò di nuovo Chouchou, fermandosi di botto in mezzo alla strada. «Il figlio figo dell’Hokage figo, ma che vuoi di più!»
L’altra si passò una mano sul volto, per poi afferrare l’amica e trascinarla con sé. «Smettila di dire certe cose!» le sibilò in un orecchio, rossa in viso. Chouchou era la seconda persona – dopo Boruto, chiaramente – che riusciva sempre a metterla in difficoltà, facendole perdere le staffe.
«Non tirare fuori questi discorsi a casa mia o giuro che non risponderò delle mie azioni» aggiunse l’Uchiha senza mezzi termini, provocando una risata sguaiata nella sua migliore amica.
«Sta tranquilla Sarada. Sto solo dicendo che è ora che uno di voi due si dia una mossa! Insomma, vi siete già baciati?»
A quella domanda Sarada rallentò il passo, lasciando andare il gomito dell’amica. Abbassò lo sguardo, alzando le spalle. «No» rispose soltanto, mentre Chouchou le scuoteva una spalla, pronta a sfornare una delle sue perle di saggezza.
«Guarda che non deve essere sempre l’uomo a prendere l’iniziativa! Se lui non si muove allora bacialo tu!»
Sarada la guardò inarcando le sopracciglia in segno di disaccordo. «Ma che dici?!» la rimproverò, di nuovo paonazza. «Non farei mai qualcosa senza prima essere sicura che anche lui desidera lo stesso».
«Proprio così! – asserì Chouchou, come se si aspettasse quella risposta – neanche lui lo farebbe, e così vi ritrovereste tra vent’anni a guardarvi negli occhi chiedendovi se l’altro ha voglia di baciarvi oppure no!»
Stavolta Sarada si lasciò scappare un breve sorriso, divertita dalla stramba logica dell’amica. «Non è così semplice» mormorò più a se stessa che a Chouchou, chiedendosi se davvero il legame con Boruto necessitasse di una spinta da parte di uno dei due per spiccare il volo.
«Comunque, se un giorno il tuo futuro suocero avesse bisogno di una segretaria, tu metterai una buona parola per la sottoscritta, vero?» le domandò l’amica sulla soglia di casa, afferrandole i polsi e sfoderando lo sguardo più dolce di cui era capace.
Sarada ridacchiò, liberandosi dalla presa della ragazza. «Vedremo».






















****
Buongiorno dolcissimi lettori!
Scusate ma oggi vado di corsa, perciò mi fermo giusto per salutarvi e augurarvi un buon inizio di settimana!
Spero tanto che la lettura vi sia piaciuta - i cari piccioncini sono stati sgamati, ebbene sì! XD
Grazie di tutto, davvero.

Un bacio e alla prossima! <3


Vavi

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Capitolo 9
*** Trovarsi nel posto giusto al momento giusto ***




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Trovarsi nel posto giusto al momento giusto










Anche quell’ultimo calcio sferrato al centro della muraglia provocò un brusco terremoto e l’apertura di qualche crepa sulla resistente superficie creata dal maestro Yamato.
Sarada guardò con astio quello che era stato il suo unico compagno di allenamenti da quasi due settimane, analizzando ogni più piccola faglia nella speranza che l’aiutasse a scovare un ipotetico punto debole. Si scrocchiò le dita, sospirando. Sapeva che la soluzione non risiedeva nella natura dell’ostacolo, piuttosto dipendeva dall’ammontare di chakra che sarebbe riuscita a concentrare in un unico calcio.
Alzò il capo per saggiare nuovamente le dimensioni della muraglia, stringendo le nocche a causa dei nervi che cominciavano a salirle. Aveva  imparato a farlo con i pugni, cosa poteva esserci di tanto diverso nel calibrare energia fisica e spirituale in un piede?  Di sicuro la vastità dell’oggetto da distruggere non favoriva la concentrazione, e più attaccava senza ottenere risultati significativi, più aumentava in lei il senso di sconfitta.

Fece roteare la caviglia sinistra, in modo da sgranchirsi i tendini prima dell’attacco successivo. Congiunse le mani creando il sigillo per richiamare il chakra, dopodiché, con un movimento agile e sicuro, alzò la gamba e la piantò con forza contro la superficie rocciosa. Di nuovo la terra tremò ed una crepa, stavolta più grande delle precedenti, si apri nella zona colpita.

Sarada piegò il busto, poggiando le mani sulle ginocchia. Stava per concedersi un lieve sorriso in onore del piccolo traguardo raggiunto, ma una fitta lancinante al piede la fece gemere di dolore, rischiando di farle perdere l’equilibrio. Rimase in piedi a fatica, tentando di sopprimere la rabbia per le sue debolezze mediante un pugno dritto sulla muraglia; l’impatto provocò un rumore assordante ed alcuni massi cominciarono a cadere dall’alto, frantumando lentamente anche la parte inferiore del muro. Sarada evitò quelli più piccoli, ma un’altra fitta dolorosa al piede la fece cadere a terra, aggravando le condizioni della caviglia. Cercò di risollevarsi ma fu un vano tentativo, perciò quando scorse un masso più grande degli altri cadere dritto verso di lei sollevò il braccio destro stringendo le nocche a pugno, fino a quando non lo sentì cozzare violentemente con la sua mano e frantumarsi in mille pezzi. Si voltò a quattro zampe, cercando di gattonare lontano da quella pioggia di sassi, ma ad un tratto si sentì sollevare da terra da due braccia muscolose e d’istinto, senza neanche sapere a chi appartenessero, si aggrappò ad esse con tutta la forza che aveva, sperando che la portassero via da quell’incubo a cui lei stessa aveva dato vita.

Rimase con la testa nascosta sul petto del suo salvatore, fin quando non si sentì adagiare delicatamente sull’erba fresca. Aveva il volto sporco di terra, gli occhi le bruciavano così come le vie respiratorie, a causa della troppa polvere inalata. Tossì togliendosi gli occhiali e poggiandoli a terra.

«Tutto bene Sarada-chan? Mi hai fatto prendere un colpo».

Prima ancora che potesse spalancare le palpebre, Sarada aveva già intuito l’identità del ragazzo che l’aveva soccorsa. Quel timbro un po’ rauco, simile a quello del padre, e l’immancabile suffisso che faceva seguire al suo nome non davano spazio a fraintendimenti.
«Perché sei qui?» biascicò, inforcando la montatura rossa.
Boruto inarcò le sopracciglia, mentre la osservava intenta a scuotersi le vesti, nella speranza di togliere la sporcizia.
«Prego Sarada, è stato un piacere aiutarti» borbottò il ragazzo per tutta risposta, fingendosi offeso.
Lei sollevò finalmente lo sguardo e parve sorridergli. «Ti sono grata per avermi portata via di lì, – rettificò, con tono decisamente più conciliante – però è strano vederti apparire proprio al momento giusto… non è che mi stavi spiando?»
Boruto si allontanò bruscamente, evitando lo sguardo della ragazza. «Non stavo spiando! Ero solo incuriosito dal tuo allenamento, tutto qui. È stata tua madre a darmi le coordinate del campo e mi ha detto che saresti stata impegnata fino a sera, così ho pensato-»
«…di venirmi a spiare» completò Sarada, nascondendo un ghigno divertito.
«La vuoi smettere?! – sbottò lui, arrossendo sino alla punta delle orecchie – La prossima volta col cavolo che vengo a tirarti fuori dai guai!» replicò con rabbia, incrociando le braccia.
Sarada alzò le spalle, infondendo un po’ di chakra medico sulla caviglia. «In qualche modo ce l’avrei fatta comunque».
«Che razza di ingrata!»
Boruto fece dietrofront, intenzionato a togliere il disturbo, poi però decise di lanciarle un’ultima frecciatina.
«A giudicare dalla foga con cui mi hai afferrato il collo poco prima, non credo tu avessi un’altra strategia per scappare da lì» disse voltandosi di tre quarti dalla sua parte, interessato alla reazione della compagna.
«M-ma questo che c’entra» balbettò lei, evitando di incrociare le iridi azzurre di Boruto. «È stata una reazione istintiva».
«Come no, Katana no Hime. Ammettilo che senza di me non avresti saputo dove sbattere la testa!» ululò puntandole contro un dito con fare di sfida.
«D’accordo, come vuoi» accordò lei, pur di mettere un freno alla parlantina del compagno. «Adesso potresti darmi una mano? Dovrei alzarmi per passare in Infermeria. Prima di continuare l’allenamento devo medicare le ferite più gravi».
Boruto le lanciò un’occhiata dubbiosa, fingendo reticenza. Resistette per circa quindici secondi, dopodiché si avvicinò a lei e con un gesto improvviso la prese in braccio, tenendola da sotto le gambe. Sarada incrociò di nuovo le braccia attorno al suo collo, ma l’espressione del suo volto non sembrava per niente favorevole.
«Ti ho chiesto di aiutarmi a mettermi in piedi, non di-»
«Eppure sei di nuovo appesa come un koala» replicò lui pronto, sghignazzando. «Hai visto che muscoli ho messo su? Prenderti in braccio è come sollevare una piuma, Sarada!».
Lei abbassò lo sguardo e arrossì appena nel percepire il contatto con le spalle del ragazzo, molto più ampie di come se le ricordava. Anche i bicipiti sulle braccia avevano cominciato a prender forma e il suo fisico era ora quello di un giovane uomo allenato, capace di sostenere anche gli esercizi più faticosi.
«Mio padre ti ha messo sotto, eh» replicò in un sussurro, non trovando un modo migliore per esprimere il suo stupore.
Boruto annuì, incamminandosi sulla via del ritorno. «È difficile stargli dietro, ma faccio del mio meglio» ammise sorridendo, per poi notare che i lineamenti della ragazza avevano assunto una nota di tristezza.
Per un po’ non disse niente, ma quando la vide piegare il capo e poggiarlo nuovamente sul suo petto, decise di  intervenire.
«Non sarai mica giù di morale per quell’allenamento, vero? Ti ho vista prima, stai facendo progressi in tempo record».
«No invece» ribatté lei, confermando l’intuizione del compagno. «Non abbastanza».
Boruto le lanciò un’occhiata di sottecchi attraverso la montatura, studiando la falsa oscurità di quelle iridi caratteristiche del Clan Uchiha; lui ci aveva sempre visto un bagliore fulminante, lì dentro.
«Scommetto dieci ciotole di ramen che tempo cinque giorni avrai distrutto la muraglia» disse fiero, alzando il mento, ma vedendo che l’umore di Sarada non accennava a migliorare, aggiunse «E nel frattempo ti aiuterò ad aumentare la resistenza dei muscoli, così riuscirai a sopportare meglio il dolore e potrai proseguire l’allenamento più a lungo, che dici?»
Finalmente la vide risollevare lo sguardo.
«Dopotutto tu hai aiutato me con la katana, ora è arrivato il mio turno di rendermi utile!»
«Ci penserò » replicò Sarada, regalandogli uno splendido sorriso.
Boruto sentì la mano di lei accarezzargli la nuca sino ad arrivare alla guancia e si fermò di scatto in mezzo alla strada. Furono vani i tentativi di dare una spiegazione a quella paralisi improvvisa, poiché l’unica cosa che riuscì a vedere in quel momento furono le labbra pallide ma piene della ragazza, sempre più vicine al suo mento, e il respiro caldo di lei solleticargli il volto tanto da sentire lo stomaco aggrovigliarsi e le guance divenire della stessa tonalità di un pomodoro maturo.
Sarada sollevò di poco il capo, cercando di resistere al battito impazzito del proprio cuore e assecondando, per una volta, ciò che l’stinto le suggeriva di fare. Sfiorò con delicatezza le labbra incerte di Boruto, premendovi le sue in un bacio fugace ma intenso. Sentì il ragazzo ricambiare quel tocco in modo impacciato, lasciando che fosse lei ad allontanarsi per prima. Quando sollevò le palpebre lo ritrovò imbambolato con la bocca socchiusa e le iridi puntate ancora sulle sue labbra.
Si sbrigò a distogliere lo sguardo, incassando il capo sotto il mento di Boruto.
«Andiamo?» chiese nel modo più naturale possibile, sperando, nel frattempo, che le sue guance non avessero cambiato colore.
Il ragazzo annuì e sorrise giulivo, mentre Sarada pensò che quei ciuffi biondissimi in accoppiata con l’azzurro degli occhi fossero la visione più bella di tutte le Terre Ninja.


















****
Ma Saaaalveeeeeh!
Mi avevate già dato per spacciata eh? E invece NO! XD Sono solo un'irrecuperabile ritardataria e purtroppo lo sarò per tutto l'anno Accademico temo, visto che è l'ultimo e che ho sempre duemila cavoli da sbrigare. :( Comunque io cercherò di fare del mio meglio e ci tengo tantissimo a ringraziare tutti voi che continuate a leggere e recensire questa raccolta! Sappiate che mi rendete tanto tanto felice <3 (e che con le vostre splendide parole mi fate sempre sentire in colpissima per essere così lenta <3 XD). A parte gli scherzi, spero tanto che l'aggiornamento vi sia piaciuto! Come sapete, ogni tanto mi piace inserire qualche scenetta "rubata" da allenamenti o combattimenti, però stavolta ha avuto il suo lieto fine! :)
Un bacio grande a tutti voi e alla prossima! :*



Vavi

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Capitolo 10
*** Ad ognuno la sua strada ***




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Ad ognuno la sua strada










«Tu devi lasciarmi venire!»
Sarada si alzò bruscamente dalla sedia, sbattendo entrambi i palmi sulla tavola apparecchiata. Una bacchetta cadde a terra ed il bicchiere di Sakura rischiò di andare in frantumi a causa dell’impatto con la bottiglia di sakè.
Sasuke sussultò in modo impercettibile, continuando ad assaporare la zuppa come se niente fosse successo.
«Finisci di mangiare» pronunciò atono, senza staccare gli occhi dal piatto.
La ragazza sbuffò rumorosamente, gettando un’occhiata insistente alla madre, nella speranza che giungesse in suo aiuto nel fronteggiare la testardaggine suprema di Sasuke.
Sakura guardò sua figlia con apprensione; non l’aveva mai vista così agitata prima di quel momento. Sarada, a differenza sua, non era mai stata una ragazza impulsiva e le volte in cui aveva alzato la voce in casa potevano contarsi sulle dita di una mano. Eppure le nocche della ragazzina che intrappolavano con veemenza la tovaglia facevano presagire un turbamento interiore che non poteva più essere ignorato.
«Torna seduta, Sarada, e discutiamone con calma» intervenne infine, cercando di mediare tra gli intenti della figlia e l’ostinazione del marito.
«Non c’è niente da discutere!» sbottò subito lei, piombando pesantemente al suo posto. «Ho partecipato in prima persona agli allenamenti di Boruto, l’ho aiutato a realizzare quella maledetta tecnica impegnandomi al massimo delle forze, e quindi ho il diritto di assistere allo scontro con Naruto, è il minimo dopotutto!»

Stavolta Sasuke la guardò di sottecchi, scrutando silenziosamente quelle sopracciglia aggrottate che poco si confacevano ai lineamenti delicati di sua figlia. Quando, la prima volta, le aveva chiesto di poter usufruire delle sue abilità mediche per facilitare Boruto, lei si era mostrata titubante, e non era stato certo a causa del suo ex compagno di Team. Sarada aveva da sempre cercato l’approvazione del padre, uno sguardo o una parola di conforto che le avessero fatto capire che lui c’era, che la stava osservando, che apprezzava i suoi progressi. L’inizio degli allenamenti con Boruto lo aveva inevitabilmente allontanato da casa; si dedicava anima e corpo all’istruzione di quell’Uzumaki, e di certo Sarada non poteva fargliene una colpa, eppure sentiva che qualcosa le mancava, non era più lo stesso senza suo padre a seguirla, ad incoraggiarla. E poi, quando finalmente Sasuke si era di nuovo rivolto a lei personalmente, quando si era complimentato con lei per i progressi raggiunti nel campo medico, era stato solo in funzione di Boruto e della sua nuova tecnica. Allora Sarada aveva strizzato gli occhi e chiuso i pugni, resistendo all’impulso di piangere; non voleva essere solo uno strumento, non era quello il modo in cui sperava di ottenere l’attenzione del padre. Poi però era arrivata quella carezza tra i capelli, un gesto affettuoso che Sasuke raramente le concedeva, e a quel punto aveva capito quanto suo padre credesse in lei e quanto dispiacere provasse nell’averla trascurata per così tanto tempo. Pensava che quello fosse stato il primo passo verso la ricostituzione del legame speciale che un tempo condividevano, ma ecco che un’ennesima pugnalata le era arrivata dritta al cuore, segnando il crescere di un’ulteriore delusione.

«Ne abbiamo già parlato, Sarada. È troppo rischioso per te, devi restarne fuori».
«Non trattarmi come una bambina, lo sai che ormai sono una kunoichi a tutti gli effetti! – replicò lei pronta, indicando il copri fronte di Konoha sotto i ciuffi di capelli corvini – So benissimo a cosa vado incontro, conosco i rischi di un combattimento così impegnativo, ma non è giusto che tu mi escluda dopo tutto il lavoro che abbiamo fatto insieme!»
Sakura poggiò il palmo della mano sulla spalla della figlia e percepì il respiro irregolare che le scuoteva il corpo.
«Tesoro, nessuno di noi pensa che tu sia una bambina, perciò dovresti cercare di comprendere anche  le nostre preoccupazioni. Se tuo padre ha preso questa decisione lo ha fatto solo per il tuo bene». Strinse un poco la presa cercando di tranquillizzarla ma lei si divincolò, decisa a non demordere.
«E allora smettetela per un attimo di fare i genitori e comportatevi come due veri ninja! Mi state impedendo di seguire la mia strada, ma tanto non potrete proteggermi per sempre! Prima o poi dovrete accettare il fatto che sto crescendo e che posso cavarmela da sola».
Sasuke fece cozzare rumorosamente il vetro del bicchiere sul legno della tavola, attirando contemporaneamente l’attenzione di moglie e figlia. Finalmente alzò lo sguardo, trafiggendo quello di Sarada, che però non sembrava volersi piegare neanche dinanzi all’aspetto minaccioso del Rinnegan.
«Ho detto di no, fine della questione. Non ho più voglia di discuterne». Fece per afferrare le proprie stoviglie ed allontanarsi in direzione della cucina, quando un sussurro di Sarada lo bloccò sul posto.
«Boruto è il mio migliore amico» la sentì mormorare con voce rotta, ma straordinariamente determinata. «Non voglio lasciarlo da solo in un momento così importante».

Arrivati a quel punto anche Sasuke aveva compreso le infinitesime sfumature che si nascondevano dietro la parola “amico” e lo aveva fatto da tempo, studiando con zelo i comportamenti del suo allievo e le affermazioni elusive che spesso faceva quando usciva fuori l’argomento “Sarada”. Non aveva la più pallida idea di come affrontare la questione, tanto più in un momento così delicato come quello, quando l’indomani avrebbe dovuto assistere Boruto in uno dei combattimenti più impegnativi che avesse mai affrontato: lo scontro con Naruto.

«Mi dispiace» rispose soltanto, eludendo il discorso per l’ennesima volta. «Parlerò io con lui, non è uno stupido. Vedrai che capirà».
«No, sei tu che non capisci, papà!»
L’ennesimo scatto di rabbia e Sarada non riuscì più a trattenere le lacrime. Sakura si alzò dal suo posto per raggiungere la figlia, nel tentativo di farla ragionare. Un atteggiamento così oppositivo nei confronti di Sasuke non era proprio da lei; lei che lo aveva sempre definito il suo eroe, lei che avrebbe dato tutto pur di ammirare quel rarissimo sorriso sulle labbra di suo padre in seguito ad una sua riuscita. Mentre ora era lì e sembrava disprezzarlo, allontanarlo, additarlo come l’unico responsabile del suo malessere.

Eppure Sasuke capiva. Capiva, ma non sapeva come reagire per evitare di ferire sua figlia. E così aveva scelto il modo più semplice, quello che, a suo avviso, sarebbe stato il più indolore possibile: fingere di essere all’oscuro di tutto.

Chiuse gli occhi per un momento e l’attimo successivo aveva già lasciato la sala da pranzo, dirigendosi verso l’unica via che in quel momento pareva indicare la sua salvezza, ovvero la porta di casa.
«Torno presto» mormorò poco prima di richiudersela alle spalle.
Sakura sospirò, osservando il corpicino di sua figlia scosso da singulti silenziosi. La vide coprirsi il viso con le mani, asciugarsi le lacrime e scuotere la testa a destra e a sinistra. Non doveva essere facile per lei accettare di aver mostrato le sue debolezze davanti al padre, mettendo a nudo se stessa e i suoi sentimenti più di quanto avesse mai fatto con entrambi i genitori.
Si abbassò alla sua altezza sfilandole delicatamente gli occhiali e passandovi sopra un panno asciutto. Quando glieli restituì Sarada tirò su col naso e finalmente alzò lo sguardo per incrociare quello della madre.
«Gli vuoi molto bene, vero?» chiese, avvicinando la propria sedia a quella di Sarada ed accomodandosi accanto a lei.
La ragazzina parve in difficoltà di fronte a quella domanda e forse in un’altra situazione avrebbe di sicuro trovato una scusa per sviare la questione ed andarsene. Ma ormai, che importanza poteva avere.
Sakura socchiuse gli occhi e le riservò uno sguardo dolce che valse più di mille parole. In fondo non le serviva una risposta, da tempo aveva compreso l’entità di quel sentimento che stava nascendo tra i due ragazzi, tuttavia non ne aveva mai fatto parola con nessuno, attendendo il momento in cui Sarada avesse voluto parlargliene di sua spontanea volontà.

Condivideva in tutto e per tutto le preoccupazioni di Sasuke, eppure non riusciva a smettere di pensare quanto l’atteggiamento di sua figlia le ricordasse il suo. Non c’era bisogno di fermarsi a pensare, ricordava vividamente tutte le volte in cui aveva compiuto imprese folli, mandato in subbuglio le missioni o peggio, fatto preoccupare a morte i propri compagni, solo per seguire il richiamo di quella che ormai era divenuta la sua unica ragione di vita: l’amore per Sasuke. Come avrebbe potuto impedire a sua figlia di ascoltare ciò che le diceva il cuore, quando proprio lei era stata la prima a rischiare la vita per lo stesso motivo? Inoltre Boruto sembrava ricambiare l’interesse nei confronti di Sarada ed il pensiero che potesse renderla felice vinceva su qualsiasi altro timore avesse preso il sopravvento.

«Se è così, Sarada, devi fare quello che ritieni giusto» dichiarò infine.
A quelle parole la ragazza spalancò gli occhi, incredula. «I-intendi che… »
«Non sarò io a fermarti» ribadì, accarezzandole il capo.
Vide un debole barlume rischiarare le iridi nere della figlia, che un secondo dopo le aveva buttato le braccia al collo. «Grazie… » aveva mormorato tra le ciocche rosa, beandosi di quella stretta che la madre aveva ricambiato senza esitazione.
«Ma papà si arrabbierà… - aggiunse poi, allontanandosi - a me non importa se devo affrontarlo ancora, ma non voglio che litighi con te!»
Sakura le sorrise di nuovo. Sarada aveva sempre avuto l’attitudine a preoccuparsi per tutti. Ponderava  con estrema cura le conseguenze delle proprie azioni affinché non danneggiassero le persone alle quali teneva.
«Tuo padre capirà presto che cosa desideri davvero e a quel punto non sarà più in grado di ostacolarti, anche se il suo unico intento è sempre stato quello di proteggerti, Sarada».
La ragazza annuì, un po’ più tranquilla.
«La tua gioia è anche la nostra, tesoro. Percorri la strada che hai scelto».


















****
Buonsalve a tutti!
Scusate ma oggi sono di frettissima, ho parecchio da studiare e non posso rifilarvi le mie solite note infinite XD. Mi scuso ancora se gli aggiornamenti sono più lenti del solito, ma non posso fare altrimenti! In ogni caso questa raccolta non durerà ancora moltissimo: ormai siamo giunti al combattimento Boruto vs Naruto, dunque quasi al termine di "An explosive Combination". Se ricordate alla fine Sasuke parte, ma qui ho intenzione di dedicare qualche capitolo anche a "cosa succede in sua assenza"... potete immaginare XD. Detto questo spero che il capitolo vi sia piaciuto! C'è anche un breve momentino SasuSaku, ma preferirei non commentare. Tanto ormai lo sapete come la penso. Ah, siccome stavolta ho fatto un uso spropositato di congiuntivi e condizionali spero che non ci sia nessun refuso! Se così non fosse ovviamente fatemelo notare! ;)
Un bacio grande e alla prossima,


Vavi

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Capitolo 11
*** Raccontagli di noi ***




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Raccontagli di noi







Persino a mezza notte passata, quando a mala pena il riflesso della luna penetrava in quella stanza buia e asettica, i ciuffi biondi del giovane Uzumaki parevano risplendere di luce propria, donando vigore ad un viso pallido e sciupato dalla fatica. Le iridi azzurre si nascondevano dietro due palpebre vibranti, il cui movimento rifletteva l’instabilità del respiro.

Sarada scoprì delicatamente l’orecchio del ragazzo, che apparve leggermente arrossato; gli posò le labbra sulla fronte, rabbrividendo quasi al contatto con la pelle bollente. Il petto di Boruto scandiva ancora un evidente affaticamento, eppure le sopracciglia distese e la bocca semichiusa con tanto di rivolo annesso facevano percepire un benessere mentale che, in qualche modo, riusciva a sopperire il disagio fisico. La ragazza sorrise e scansò di poco il lenzuolo bianco per cercare la mano di Boruto e stringerla tra le sue. Carezzò piano, con il pollice, le cicatrici giovani dei tagli e le ombre rossastre che il chakra della volpe gli aveva lasciato sulla pelle. Percorse con lo sguardo, dal polso fino al braccio, tutti i segni dello scontro con Naruto, fermandosi all’ultima ferita visibile, quella sulla spalla sinistra, il cui alone violaceo si estendeva oltre la bretella della canotta che indossava. Scosse la testa e strizzò gli occhi, mantenendo salda la presa sulla mano di Boruto. Sapeva che per alcune ferite le fasciature non erano necessarie, anzi, probabilmente ne avrebbero rallentato la guarigione; ma la vista di quel corpo così tormentato le provocò un’ondata di sconforto e dispiacere. Si sentì stupida, perché anche lei poteva vantare una collezione notevole di souvenir da combattimento, eppure detestava vederli sul suo compagno, così come detestava non avere il potere di poterli guarire completamente.

«Un unguento» pensò ad alta voce, alzando il capo. «Dovrà pure esistere una combinazione di ingredienti medici che favorisce la scomparsa delle cicatrici». Pensò al sigillo di Rinascita di sua madre, un’abilità decisamente fuori dal comune e oltremodo utile, eppure riservata ad un cerchio ristretto di persone: una tecnica il cui apporto di chakra richiedeva un controllo e una forza spirituale oltre il limite dell’immaginazione. Non sapeva se prima o poi si sarebbe decisa ad impararla, se non altro, però, avrebbe potuto iniziare a studiarne il funzionamento per ricavarne formule mediche nuove.

Aveva già iniziato a passare in rassegna, nominandole mentalmente, alcune erbe delle quali conosceva a memoria la composizione, quando percepì le dita di Boruto ricambiare la stretta e il suo sguardo si rivolse spontaneamente al volto del giovane Uzumaki.

«Ho fame» biascicò il ragazzo, stendendo verso l’alto il braccio libero e guadagnando un fastidioso crack al gomito.

Sarada storse il naso. «Ti sembro l’addetta alla mensa, per caso? Non puoi dormire tredici ore, svegliarti all’una di notte e reclamare cibo come se niente fosse».

«Quello cos’è?!» sbottò per tutta risposta il ragazzo, indicando una confezione riposta al bordo del letto. Lasciò la mano di Sarada e cercò di mettersi dritto, allungandosi verso il ripiano in metallo. «È una porzione di Ramen istantaneo?!» domandò speranzoso, mentre le sue dita sfioravano vittoriose quello che ai suoi occhi parve come un trofeo.

Sarada sbuffò, osservandolo mentre staccava festoso le bacchette e si avventurava dentro quell’accumulo di coloranti e conservanti che al solo pensiero le faceva rivoltare lo stomaco. Eppure sapeva che si sarebbe svegliato in preda alla fame e che, con suo estremo disappunto, avrebbe desiderato più di ogni altra cosa ingurgitare una di quelle disgustose confezioni di ramen istantaneo. Così si era fatta forza e gliel’aveva comprato, conservandolo gelosamente sotto il letto per poi tirarlo fuori solo poco prima di sgusciare via dalla camera di nascosto dai genitori – o almeno, così credeva lei – ed intrufolarsi nella stanza d’ospedale del suo compagno, entrando dalla finestra come una ladra. Ma Boruto era troppo stanco e affamato per compiere inferenze sulle modalità adottate da Sarada al fine di stare in sua compagnia a quell’ora della notte e una volta aspirato l’intero contenuto della vaschetta in plastica si lasciò andare ad un lungo sospiro di liberazione, piombando con la testa sul cuscino.

«Ci voleva proprio» commentò giulivo, mentre si voltava dal lato di Sarada. Non appena incrociò lo sguardo della ragazza, però, si fece improvvisamente serio e il suo timbro di voce calò di qualche ottava.

«Se il Sensei scopre che sei venuta qui saremo in guai seri, Sarada-chan, soprattutto dopo che gli hai disubbidito assistendo allo scontro».

La ragazza inarcò le sopracciglia, stupita: il ramen doveva avergli risvegliato improvvisamente i neuroni, se Boruto riusciva a fare simili osservazioni dopo un giorno intero di sonno ininterrotto. Come minimo pensava che avrebbe dovuto ricordargli l’intero combattimento, non appena si fosse destato.

Abbassò lo sguardo e fece per dire qualcosa, ma poi guardò altrove, imbarazzata.

Boruto si mise a sedere e le alzò il mento con due dita. «Che altro hai combinato, Katana no Hime

Sarada avrebbe voluto sotterrarsi, due ramanzine nel giro di venti secondi erano decisamente troppo per lei, anche se doveva ammettere di averla fatta grossa pure stavolta.«Un sonnifero…  nella brocca di sakè» mormorò, continuando a tenere lo sguardo basso. «Una cosa leggerissima, giuro, solo per evitare che si svegliassero e si preoccupassero per m-» si bloccò all’istante nell’udire Boruto soffocare una risata sul palmo della mano.

«Questa poi!» lo sentì sghignazzare, mentre cercava di tapparsi la bocca per non fare rumore. «Figurati se il Sensei si fa mettere KO così facilmente!» continuò sempre più divertito, scrutando l’espressione guardinga di Sarada.

«Invece funziona» ribatté lei, indignata. Non solo l’aveva rimproverata per il gesto sconsiderato, ora si permetteva pure di mettere in dubbio la sua bravura nel preparare intrugli medici. «D’accordo, io torno a casa» sentenziò alla fine, alzandosi dalla sedia, ma Boruto la vinse sul tempo e, tirandola per un braccio, la avvicinò a sé sino a sfiorarle le labbra con un bacio. Lei cercò di divincolarsi senza troppa convinzione, finendo per perdere l’equilibrio e ricadere sul lettino accanto a lui.

«Stupido» gli disse, pigiando una mano sulla bocca del ragazzo per evitare che partisse di nuovo all’attacco. Lui rise e si liberò facilmente, questa volta stampandole un bacio sulla punta del naso.
«Stupida sei tu, Uchiha» fu la sua pronta risposta. Dopodiché le tolse delicatamente gli occhiali, riponendoli sul comodino accanto al letto, per poi avvolgerle un braccio attorno al collo ed avvicinare la fronte a quella di lei.
«Dovrei tornare a casa» sussurrò la ragazza alzando lo sguardo e percependo le sottili ciglia di Boruto solleticare le proprie.
«Già – confermò lui, sorridendo - dovresti».
Sarada gli riservò un sorriso sghembo. «La vedo difficile se continui a stringermi così».
«Pensavo ti piacesse» la stuzzicò lui, portandole indietro un ciuffo di capelli.
«Non ho mai detto il contrario» replicò lei, nascondendo il capo sotto al mento del ragazzo. Si concesse qualche istante per ascoltare il battito accelerato di lui e ritrovarvi la stessa emozione che stava martellando anche contro il suo petto. Giurò di aver sentito i polpastrelli di Boruto sfiorarle la schiena vicino all’orlo della maglietta, ma fu un gesto veloce che parve estinguersi ancor prima di cominciare. Non ebbe il coraggio di alzare il capo per saggiare le intenzioni del ragazzo, pensando che il colorito del proprio volto fosse decisamente più acceso del normale. Rimase immobile, cercando di regolare il respiro in armonia con quello di Boruto, quando lui si scostò un poco da lei e le sollevò il volto.
«Grazie per essere venuta» le sussurrò dolcemente, per poi darle un bacio a stampo. Si fermò un attimo ad osservarle le labbra, il cui contorno ben disegnato sembrava perdersi nei rossori del volto accaldato. Lei, imbarazzata da quell’occhiata insistente, decise di prendere l’iniziativa e regalargli un ultimo bacio prima di alzarsi a sedere sul bordo del letto.

«Ora è proprio il caso che vada» si ritrovò a ripetere con voce instabile, mentre inforcava gli occhiali che Boruto le aveva passato.
«Rimani un altro po’» replicò svelto lui, senza pensarci.
Lei scosse la testa. «Non posso… davvero» rispose, anche se avrebbe voluto rimanere con lui fino all’alba.
«Hai paura che quel sonnifero non abbia funzionato» commentò allora Boruto, incrociando le braccia e sfoggiando la solita espressione da chi la sa lunga.
Sarada sbuffò. Nel giro di un secondo era riuscito a rovinare tutta l’atmosfera. «Ancora con questa storia».
«D’accordo allora, se sei così sicura di te stessa propongo una scommessa».
Lei alzò gli occhi al cielo, esasperata.
«Se quando entrerai a casa troverai tuo padre sveglio ad aspettarti gli racconterai di noi».
«Di noi?!» sbottò subito lei, indietreggiando un poco.
«E del nostro amoreggiare alle sue spalle…»
«Boruto!»
Sarada alzò la voce più di quanto avrebbe voluto e cercò di colpirlo con una mano, dimenticandosi all’improvviso di tutte le ferite che poco prima aveva compatito. Il ragazzo schivò abilmente il presunto schiaffo e continuò.
«Solo di noi, solo di noi… » rettificò, sorridendo.
«Ma io non voglio farlo ancora, non adesso… »
«Se lo troverai sveglio, ho detto… altrimenti sarai libera di mantenere il segreto fin quando vorrai» Anche se secondo me ci ha scoperti da un pezzo, avrebbe voluto aggiungere, ma decise che sarebbe stato meglio evitare.
«È una scommessa idiota» disse lei scuotendo la testa.
«Si vede che non credi abbastanza in quel tuo sonnifero» concluse Boruto, adagiandosi nuovamente sul cuscino con le mani dietro il capo. Attese un attimo, per poi scorgere il pugno di Sarada teso verso di lui. Ci avrebbe scommesso qualsiasi cosa: bastava pungerla sull’orgoglio e subito crollava.
«Andata» accordò lei, attendendo la conferma del compagno.
Boruto fece scontrare le sue nocche con quelle della ragazza. «Andata».

**

«Non è il caso che esca da sola a quest’ora della notte».

«Sasuke, è una kunoichi ormai».

«Ma perché lo ha dovuto fare di nascosto?»

«Se te l’avesse chiesto l’avresti lasciata andare?»

Un attimo di silenzio, seguito da un impercettibile sospiro.

«Più cercherai di impedirglielo, più lei si allontanerà da te».

Nel buio della stanza da letto, un’iride viola rifletté il barlume fioco della luna, proiettandolo nel verde di due pupille socchiuse.

«A volte per amore si fanno cose stupide, Sasuke».



















Ehilà!
Quant’è che non ci si sente su questi lidi? Mesi? Secoli..? Lasciamo stare.
Finalmente ho trovato il tempo (si fa per dire) e l’ispirazione per aggiornare questa storia. Non manca molto al termine e mi fa piacere che si siano aggiunti nuovi lettori strada facendo: mi scuso con tutti e ringrazio anche chi mi segue dall’inizio per i ritardi nelle pubblicazioni. Spero tanto che questo capitolo vi piaccia, ammetto di aver riscontrato qualche difficoltà a scrivere dopo un po’ di tempo che non mettevo mano a questa storia. Comunque, ci troviamo subito dopo lo scontro Naruto/Boruto (An explosive combination, capitolo 50), con una Sarada incline a combinare diavolerie contro la sua indole tranquilla e Boruto, come sempre, pronto a stuzzicarla. La scommessa finale la vedo un po’ come uno scherzo, anche se secondo me Boruto potrebbe soffrire di questo “amarsi nell’ombra”, nonostante lui stesso sia terrorizzato dall’idea di dirlo a Sasuke e cerchi in ogni modo di sviare la questione.
Non mi esprimo sul dialogo finale… la cosa certa è che il sonnifero non ha funzionato, ahimè. Ma questo Sarada non lo saprà mai, tranquilli. XD

Un bacio, spero di sentirvi presto. Grazie ancora! <3



Vavi
 

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Capitolo 12
*** La lotta del perdono ***




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La lotta del perdono







Sarada tese le orecchie, ascoltando distrattamente il rumore dei ciottoli che ticchettavano sotto i suoi sandali. Udì un altro suono poco davanti a lei, più silenzioso e delicato, ma ugualmente svelto e deciso. Osservò la mantella nera di suo padre ondeggiare seguendo il vento fresco della sera e un brivido le percorse la schiena facendola sussultare. Quando Sasuke, quella sera stessa, a poche ore dalla partenza per la missione, le aveva proposto di combattere, lei gli aveva riservato uno sguardo incredulo, pensando che la stanchezza degli ultimi mesi lo avesse sfinito anche psicologicamente. Eppure, trovandosi ad incrociare le iridi scure con il barlume sinistro del Rinnegan e quello destro dello Sharingan, Sarada seppe che suo padre faceva sul serio. Si era alzata dal divano senza dire una parola, congedandosi in camera sua per andare a recuperare le armi, dopodiché aveva varcato la soglia di casa seguendo le orme di Sasuke, in balia dello sguardo preoccupato di sua madre.

«Papà, potresti spiegarmi cosa sta succedendo?» Sarada si fermò in mezzo alla strada, inchiodando i piedi a terra.

Sasuke proseguì di qualche metro, per poi voltarsi impercettibilmente a guardarla. Sembrò esitare, prima di rispondere. «Non posso neanche voler duellare con mia figlia, adesso?»

La ragazza deglutì rumorosamente, irrigidendo i muscoli. Che diavolo era preso a suo padre, negli ultimi dieci minuti? Non seppe in che modo replicare, perciò decise di raggiungerlo poco più avanti, iniziando a camminare sulla sua stessa linea d’aria.
Evitò di guardarlo, ma non si fece ingannare da quella scusa che sarebbe sembrata ridicola anche agli occhi di Boruto. Non lo aveva mai biasimato per il tempo che dedicava al suo compagno, anche se, nel profondo del suo cuore, aveva accettato la sofferenza che quell’improvvisa lontananza da suo padre le provocava. 
Allenarsi da sola non sarebbe mai stata la stessa cosa.

«Qui va bene».

Si arrestò di nuovo, bloccata dalle parole del padre e gettò un’occhiata ai dintorni, riconoscendo il campo d’allenamento dove si erano scontrati Boruto e il Settimo. Sarada sospirò, indecisa se commentare o meno la scelta di Sasuke, ma poi decise di lasciar perdere, anche se tutta quella situazione cominciava ad avere del surreale.

«Papà, tra cinque ore devi partire. Dovresti riposare». Lo disse con fare apprensivo, aprendo i palmi delle mani. Non era sicura di voler affrontare suo padre prima di quella spedizione la cui durata era ancora ignota.

Sasuke scosse di poco la testa. «Lo sai che non dormo mai prima di una missione».

Sarada sbuffò, abbassando il capo. Boruto si lamentava spesso della testardaggine di suo padre, ma non tutti sapevano quanto Sasuke potesse essere ostinato quando si metteva in testa qualcosa.

Si sistemò le protezioni alle ginocchia, roteò dolcemente polsi e caviglie e impugnò con gesto deciso la katana che teneva riposta in un fodero nero. Sasuke la imitò, cercando la sua Kusanagi.

«Come vuoi» accordò Sarada, concentrandosi. «Io sono pronta».

Sguainarono le armi nello stesso momento, facendole cozzare violentemente l’una contro l’altra. Il colpo di Sasuke respinse con forza quello di sua figlia, che fu costretta a indietreggiare, perdendo il vantaggio della prima mossa. Come era solito fare, Sasuke non le lasciò respiro, colpendola dall’alto con un fendente di precisione. Sarada, evidentemente in difficoltà, decise di schivare il colpo capovolgendosi all’indietro. Quando vide suo padre comparirle dietro le spalle si abbassò, passandogli velocemente sotto le gambe e non appena Sasuke si girò per colpirla, lei seppe rispondere con una mossa potente che li fece bloccare entrambi in posizione d’attacco, con le lame intrecciate in una morsa senza uscita. Si guardarono per un attimo che parve un’infinità, dopodiché Sarada diede uno strattone alla sua arma e riuscì a districarsi da quell’incrocio di metalli.

Si massaggiò il braccio, già indolenzito; suo padre non si stava di certo risparmiando. Chiuse gli occhi, riempiendosi i polmoni di aria pura: per quanto volesse capire il motivo reale di quello scontro, riusciva a percepire ogni suo tendine fremere al pensiero di potersi battere in uno un duello equo contro suo padre. Finalmente, dopo così tanto tempo, poteva mostrargli di cos’era capace. Abbandonò per un attimo la ragione, gettando la katana a terra e correndo verso Sasuke completamente disarmata.

Il padre indietreggiò, sgranando gli occhi, eppure la strana luce nelle iridi di sua figlia lo convinse a non fermare il combattimento. L’attaccò con la katana, cercando di colpirle gli arti inferiori, senza però sferrare colpi pericolosi. La ragazza riuscì a schivarne uno dopo l’altro, piegandosi avanti e indietro col busto, dandosi la spinta con i piedi e balzando a zig zag come in una danza frenetica. Sasuke aumentò la velocità dei colpi, estasiato dalla maestria con la quale sua figlia aveva imparato ad evitarli. Forse anche a causa di una sua momentanea distrazione, Sarada riuscì a sferrare un calcio ebro di chakra all’arma del padre, che schizzò in aria con uno stridio spaventoso, ricadendo velocemente a terra nel cuore della foresta.

Sasuke alzò il volto per guardarla roteare, dopodiché rivolse le attenzioni a sua figlia, già in piedi dinanzi a lui con le gambe piegate e pronta a per la prossima mossa.

«Non mi lascerai il tempo di andarla a riprendere, vero?»

Sarada accolse la provocazione con un ghigno e si fiondò nuovamente verso Sasuke. Entrambi attaccarono l’avversario in un corpo a corpo serrato, ove ogni pugno trovava un palmo a bloccarlo ed ogni calcio si scontrava in colpi decisi con l’avambraccio dell’altro. Sarada aveva imparato a volteggiare su se stessa, sfruttando il movimento del corpo per confondere il padre e la percezione dei colpi; tuttavia, lo Sharingan esperto di Sasuke riusciva a vedere attraverso ogni trucco, sfidando anche gli attacchi più veloci. La ragazza sentì la forza dei propri pugni diminuire, così finì per abbassare la guardia, mossa che permise a Sasuke di sferrare un colpo decisivo; Sarada ebbe appena il tempo di adocchiare un chakra viola che prendeva forma attorno al braccio di Sasuke, per poi sentire il destro di Susanoo scagliarsi contro di lei a potenza massima. La cosa più intelligente che avrebbe potuto fare, in quel momento, sarebbe stato balzare in alto e schivare il colpo. Invece, con estrema sorpresa di Sasuke, antepose davanti a sé entrambe le braccia, richiamando tutto il chakra di cui era capace e accogliendo quel colpo micidiale in tutta la sua forza. Sasuke non riuscì a fermarsi in tempo, ma il suo stupore crebbe in modo esponenziale quando sentì la mano di Susanoo scricchiolare in modo raccapricciante dopo essersi scontrata con la difesa di sua figlia.

Sarada gemette, ancorando i piedi a terra e cercando di reprimere con tutta sé stessa la pressione soffocante del Susanoo. Quando ebbe riacquistato equilibrio si voltò verso suo padre, trionfante, ma non trovò l’espressione che si sarebbe aspettata.

«Mi dispiace». Sasuke sussurrò piano, lasciando che il chakra di Susanoo si dissolvesse lentamente.
La ragazza lasciò andare le braccia lungo il corpo, ancora scossa da quel duro colpo subito. «T-ti dispiace per cosa?» domandò con voce tremante, pentendosi un attimo dopo.
Sasuke fece un passo verso di lei. «Per non essere riuscito a starti vicino mentre diventavi la kunoichi che sei adesso, Sarada».
Riuscì a percepire il disagio che gli procurava esternare quelle parole, ma seppe che era sincero e che per la prima volta, forse, la stava rendendo partecipe dei suoi sentimenti.
«Io… non fa niente». Balbettò, ancora sconvolta. Mentì, come aveva sempre fatto, perché sembrare una ragazzina capricciosa e viziata non le era mai piaciuto.
«Ti ho lasciata sola quando avevi bisogno di me».
Sarada cominciò a sentire i dolori dei muscoli propagarsi ad ogni parte del corpo. «Papà» replicò, con voce rotta. Non voleva crollare proprio in quel momento; si prese un attimo per respirare e continuò. «Tu avevi Boruto, non puoi fartene una colpa. E poi, io sono stata con la mamma, ho imparato più cose di quanto tu creda».
Sasuke fece un lieve cenno con il capo. «Lo vedo» concesse con un mezzo sorriso sghembo, ma subito dopo tornò serio. Colse negli occhi di sua figlia il desiderio di continuare lo scontro e, per quanto sentisse che c’era ancora qualcosa che doveva dirle, decise di rimandare ed accontentarla. Si fiondò con uno scatto improvviso in direzione della foresta, lasciando interdetta Sarada, che probabilmente si aspettava un attacco diretto, e recuperò la sua arma sfiorando appena il terreno, ma non appena si rialzò trovò la figlia a bloccargli la strada; la katana di Sarada brillava di riflessi bluastri, fulminei, che stridevano come mille uccelli furiosi attorno alla lama di metallo.

Sasuke si prese un secondo per ammirare il connubio inaspettato tra l’alterazione delle proprietà del fulmine e l’arma di sua figlia, dopodiché rafforzo la presa sull’impugnatura della Kusanagi e la rivestì anch’egli di chakra del fulmine, che la circondò come una seconda pelle.

Sarada si lasciò scappare un sospiro di disappunto alla vista di tutta quella perfezione. Mentre il suo chakra fulmineo pareva danzare attorno alla katana in modo scomposto, quello di Sasuke la rivestiva interamente seguendo le linee rette della lama. Caos e ordine l’uno dinanzi all’altro.

«Ci ho lavorato poco» si giustificò, non immaginando l’orgoglio di suo padre alla sola vista di quell’apprezzabile traguardo che aveva raggiunto da sola.

A quelle parole, l’espressione di Sasuke sembrò incupirsi nuovamente. «Se solo avessi avuto il tempo di insegnartelo».

La ragazza non volle ascoltare oltre, si scagliò contro di lui  facendo incontrare i loro chakra e provocando uno scoppio assordante che generò centinaia di scosse elettriche attorno a loro. Balzarono velocemente all’indietro, ponendo fine a quell’esplosione improvvisa che aveva danneggiato la maggior parte degli alberi nei dintorni. Sarada adocchiò nervosamente la sua lama, scheggiata in punta.

«Accidenti» borbottò, sospirando rumorosamente. Un attimo dopo si concesse un breve sorriso poiché, conoscendo la potenza del Chidori di suo padre, si sarebbe aspettata come minimo di vedere la sua lama ridotta a un cumulo di cenere, invece il rivestimento che le aveva creato, per quanto impreciso, era riuscito a proteggerla dal fare una brutta fine.

«Papà» disse poi, facendo sussultare Sasuke. «Io… posso immaginare come ti senti. Insomma… forse ci sentiamo allo stesso modo, in un certo senso. Ma questo…» si bloccò per alzare lo sguardo e trovò suo padre attento ad osservarla. Era stanca di trovare frasi che andassero bene per lui e per lei, voleva semplicemente dire le cose come stavano.
«… questo duello. È quello che ho sempre voluto. Battermi con te e… farti vedere quanto valgo». Sentì una lacrima rigarle il volto, ma decise di ignorarla e continuare. «Non… non ti dirò che è stato facile, perché sarebbe una stronzata». Trattenne un singhiozzo e sentì Sasuke avanzare verso di lei.
«Ho fatto un sacco di casini e a volte mi sono sentita sola» abbassò il capo e tirò sul col naso. Si sentiva uno schifo a dover ammettere quelle cose davanti a suo padre, perché sapeva che lo avrebbe fatto stare ancora peggio, ma ormai nascondersi sarebbe stato inutile.
«A volte credevo di non farcela, volevo mollare, poi però mi sono fatta forza…  la mamma, tu, Boruto… lo so che mi volete bene e che credete in me, così ho stretto i denti e-» il resto della frase venne soffocato da un tessuto morbido contro cui il suo viso venne dolcemente premuto. Sentì le braccia di suo padre circondarle le spalle e il suo mento sfiorarle il capo.
«Mi dispiace».
Strizzò gli occhi, stringendolo a sua volta. Lasciò che altre lacrime le bagnassero le labbra rosee e annuì debolmente con il capo. Avrebbe potuto dire a suo padre di smetterla di scusarsi, ma non lo fece; dopotutto, mentre lei aveva bisogno di esternare il suo dolore, Sasuke aveva bisogno del perdono.
«Va bene» accordò allora, con voce flebile. Continuò a piangere silenziosamente, perché la felicità di averlo ritrovato dopo così tanto tempo non era neanche paragonabile alla sofferenza provata nel sentirlo lontano. Sentì la presa di suo padre rimanere salda finché non fu lei a scostarsi da lui. In quel momento percepì una fitta lancinante ad entrambi gli occhi e dovette strofinarseli con foga per riuscire a trovare un po’ di sollievo.

«Sarada, che hai?» Sasuke la guardò allarmato, cercando di capire cosa stava accadendo.

«Non lo so, io…. Ci vedo».

La ragazza sbatté piano le palpebre, cercando di mettere a fuoco la sagoma di suo padre. Aveva gli occhiali stretti nella mano destra e non poteva credere a ciò che le era appena successo.

Sasuke le si avvicinò e quando si rese conto della portata di quell’affermazione due iridi color cremisi con una goccia d’ossidiana si riflessero nelle sue.

 

**

 

«Per favore, non dirlo alla mamma. Si preoccuperebbe e basta».
Sarada camminava al fianco di suo padre, strofinandosi un fazzoletto bianco sugli occhi.
Sasuke sospirò. «Hai intenzione di nasconderglielo fino a quando tornerò? E come farai con gli occhiali?»
La ragazza guardò esausta la montatura rossa, ormai del tutto inutile, che suo padre teneva stretta fra le dita.
«Lo Sharingan non è qualcosa che puoi controllare, Sarada. Almeno non all’inizio» rincarò il padre, osservandola guardingo.
«Quando tornerai saprò usarlo meglio di te» buttò lì la figlia, guadagnandosi un’occhiata scettica da parte del padre. Sbuffò permettendosi di tenere un po’ il broncio, poi si arrese. «Glielo dirò io domani, con calma. Tu non preoccuparti».

Facile a dirsi, pensò Sasuke.

«Lo so che stai pensando quanto sia sbagliato che mi sia successo proprio adesso che devi partire e blablabla» riprese Sarada, stranamente in vena di chiacchiere. Si zittì di colpo non appena si accorse di aver detto troppo, ma ad un’occhiata affettuosa da parte del padre si decise a continuare. «Quello che voglio dire e che starò bene. Sì insomma... al tuo ritorno, magari, se non sarai troppo occupato con Boruto potremmo…».

«Boruto non è più mio allievo».

Sarada frenò bruscamente per l’ennesima volta, lasciandosi sfuggire di mano il fazzoletto. «Che vuol dire che non-».
«Il suo apprendistato è finito. Ora deve scegliere da solo che strada prendere».
La ragazza lo guardò ad occhi sgranati, incapace di metabolizzare la notizia.

«Anche se immagino che dovrò abituarmi ad averlo comunque tra i piedi, dico bene?»

Ci volle qualche secondo prima che Sarada potesse rendersi conto delle allusioni che sottintendeva quella frase. Arrossì di colpo, voltando il capo dall’altra parte. Stava succedendo tutto decisamente troppo in fretta.
«È… così evidente?» sussurrò a fior di labbra, incapace di inventare altre scuse.
«Abbastanza perché uno come Naruto riesca ad accorgersene» replicò pronto Sasuke, guardando dritto davanti a sé.
Sarada si portò dietro l’orecchio una ciocca di capelli, ormai cresciuti lunghi e ribelli sin quasi ai gomiti.
«Io… suppongo di sì, allora» azzardò, evitando lo sguardo del padre. «Credo di amarlo, papà».
Sentì il cuore martellarle in petto come se volesse sfondarlo da un momento all’altro «Non che io… sappia veramente cosa sia l’amore, però ecco… ».
Sasuke questa volta la guardò e anche Sarada alzò il volto per incontrare quello di suo padre.
«Lui mi rende felice. Io stessa voglio renderlo felice». Si fermò e fece istintivamente un gesto per sistemarsi la montatura, per poi tossicchiare imbarazzata subito dopo essersi ricordata che non la indossava più. Sasuke, in quell’esatto momento, allungò il braccio per porgerle gli occhiali e lei li afferrò con un sorriso malinconico.
«Boruto mi fa stare bene, papà. Mi fa sentire sicura, apprezzata... protetta. Vederlo star male mi fa soffrire, invece. Tutto questo potrebbe rientrare nel concetto di amare qualcuno?». Lo chiese sinceramente desiderosa di ricevere una risposta. Fu strano, ma si sentì improvvisamente a suo agio nel parlarne con suo padre, come se in qualche modo potesse capirla più di chiunque altro.

Sasuke si lasciò scappare un sospiro rassegnato, dopodiché alzò le spalle, scuotendo il capo. «Non sono esattamente la persona adatta per poterti rispondere, Sarada».

E lei sorrise di nuovo, perché era proprio ciò che si aspettava di sentire. Dopotutto suo padre diceva raramente le cose come stavano, bisognava essere capaci di leggere tra le righe. E quello, seppur contorto e apparentemente insicuro, era sicuramente un sì.



















Buonsalve, cari lettori.
Ok, lo ammetto: avrei dovuto avvertire ad inizio capitolo che ci sarebbe stata una dose massiccia di legame padre/figlia. Non lanciatemi i pomodori, prometto che dal prossimo ci sarà di nuovo Boruto, ma questo confronto tra i due era veramente necessario. Ho visto il combattimento come unica via possibile per Sasuke; sia lui che Sarada non avevano fatto altro che tenersi tutto dentro, senza riuscire mai a confrontarsi in una vera discussione. Sappiamo che Sasuke è di poche parole, così ho pensato che un duello potesse aiutarlo a sbloccarsi; inoltre è anche la prima volta in cui si confronta davvero con le abilità acquisite da Sarada… e qui, lo so, non mi uccidete. Ho sganciato ben due bombe: chakra del fulmine (Kishimoto ha voluto fare il figo dandolo a Boruto, io invece sono rimasta sul “classico”) e Sharingan. Era da un po’ che ci pensavo e mi dispiaceva lasciare Sarada senza la preziosa eredità del padre… così ho fatto un po’ di testa mia. Dato che lo Sharingan si risveglia a seguito di emozioni molto forti (sia positive che negative) ho scelto questo momento, ovvero il riavvicinamento a Sasuke. Considerate che si tratta di una situazione estrema, nella quale Sarada ha sfogato insieme sia dolore che gioia. Inoltre ho voluto che lo Sharingan le restituisse la vista; non so perché Kishimoto le abbia messo gli occhiali, forse per qualche difetto derivato dal non essere un Uchiha "purosangue" (XD), in ogni caso anche stavolta ho voluto fare di testa mia. Spero comunque che vi sia sembrato plausibile e che non vi abbia dato fastidio.
In ultimo, ovviamente, c’è l’ammissione.
Non so che altro dire, perché ormai a scusarmi per i ritardi sembrerei stupida. Voglio solo ringraziare che mi sta ancora seguendo, siete davvero fantastici. Colgo l’occasione per chiedere anche ai lettori silenziosi, se ne hanno voglia, di farmi sentire anche la loro voce; arrivati quasi alla fine della storia mi farebbe davvero tanto piacere (potete anche insultarmi per i ritardi eh, non mi offendo XD). In ogni caso, sappiate che vi adoro tutti.

 

Un bacio grande!

 

Vavi

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