Curami

di Pandroso
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Dorme, fortunatamente. ***
Capitolo 2: *** 2. Non volevo fargli del male! ***
Capitolo 3: *** 3. Onore di spadaccino; ci sarà da camminare. ***
Capitolo 4: *** Una coppia e tre spade ***



Capitolo 1
*** 1. Dorme, fortunatamente. ***


Curami ̴  1.  Dorme, fortunatamente.

 

“Forse io parlo forte e leggo il libro della morte,
forse qualcuno mi ha insegnato la paura,
forse è l’amore, forse è l’amore.
Forse mi vesto poco e lascio libere le gambe,
forse qualcuno vuol vedere nel mio cuore,
forse è l’amore, forse è l’amore.

                                                                                          

 
Sull’isola Kuraigana il cielo era rossastro e graffiato da nubi nere; non c’erano stelle da ammirare né occhi che potessero o volessero goderne lo splendore.
L’antico regno di Shikkearu era caduto sotto i colpi di una devastante guerra che aveva bagnato di sangue la terra e impregnato l’aria di fumo e odore di morte. Nulla era scampato alla barbarie compiuta dagli uomini, ogni cosa era andata distrutta.
L’ambiente stesso sembrava voler tentare di dimenticare al più presto l’accaduto, ricoprendo le rovine di brulicante vegetazione ed obliterando tutto con una lieve coltre di bruma.
Solo un vetusto castello era scampato alle battaglie, ostinato a non cedere al trascorrere del tempo e alle intemperie, era l’unica e l’ultima traccia che testimoniava l’esistenza di un regno che era stato.
Da alcuni anni, però, il vecchio e signorile maniero era diventato dimora di uno tra i pirati più pericolosi che solcavano i mari; precisamente dello spadaccino migliore al mondo: Drakul Mihawk detto Occhi di Falco; e improvviso punto d’accoglienza per altre due persone molto meno note ma non altrettanto meno pericolose.

 
***

 

Perona era arrabbiata, annoiata e parzialmente infelice se paragonava i giorni passati in compagnia di Gekko Moria con quelli che stava trascorrendo al ritmo di una clessidra otturata  in quel castello umido, atro e dall’aspetto minaccioso… come piaceva a lei. 
Era stata silurata senza troppi complimenti in un posto che sì, le si confaceva… ma era anche stata privata di devoti servitori, di orsetti graziosi da strapazzare e di cioccolata calda.
A tal disgrazia s’erano aggiunti bizzarri arrivi: il primo, inviato nel medesimo modo in cui era stata catapultata lei, era lo spadaccino della ciurma di Cappello di Paglia; il secondo, arrivato di sua spontanea volontà, era anch’egli uno spadaccino ma crudele, dispotico e privo di humour. Un tedio infinito. 
Inoltre, entrambi davano segni di insofferenza nei suoi confronti; al punto da indurla a pensare che qualsiasi uomo con spada alla mano ce l’avesse con lei.
Anche se non poteva dirsi più sola, la sua era davvero una condizione frustrante.
E così, rabbiosa verso il destino avverso che le era stato riservato, se ne stava stravaccata su una poltroncina situata nel salotto del castello; con la testa appoggiata alla mano destra, lo sguardo fisso al pavimento e un dito indice che giocherellava con qualche ciocca dei suoi capelli rosa.
«It isn’t very good in the dark dark wood… », cantare la rilassava e si stava impegnando a dare alla filastrocca l’intonazione perfetta per una nenia funebre, «In the middle of the night, when… there isn’t any light» però durò poco.
«Ah basta! Basta! Sono stufa di vivere in questo posto con persone inutili! Nessuno che si preoccupi per me, nessuno che mi porti la merenda e niente giocattoli! Solo quei brutti musi imbronciati… Ma perché?!», urlò così forte che  i suoi capricci riecheggiarono tra le mura del castello, tanto da far scomodare il padrone di casa. Il quale comparve immediatamente.
«Ragazza fantasma, non t’avevo detto di badare a qualcuno?» Mihawk si presentò nel salotto con aria seccata e un bicchiere di vino rosso pieno per metà, che egli faceva lentamente roteare con la mano.
Perona lo scrutò indispettita «… E io ti ho detto che non prendo ordini da te!», gli rispose abbozzando una mezza linguaccia. Lo spadaccino sorrise, avere una bimba capricciosa e un ragazzino presuntuoso in quella che era divenuta la sua casa, si stava rivelando un inaspettato diversivo… a volte spassoso.
«Sì, ricordo, ma anche tu dovresti ricordare i nostri patti: se vuoi rimanere qui, devi dare una mano».
Abbattuta. Non ci fu altro da aggiungere, la vide gonfiare le guance stizzita e incrociare le braccia.
«L’ho lasciato al caldo sotto le coperte, fasciato come un fagotto… contento?»
«Bene, allora torna a vedere come sta, se le sue condizioni peggiorassero e prendesse un’infezione avresti più lavoro da fare, non credi?».
Occhi di Falco terminò il rimprovero distendendo lievemente le labbra con la soddisfazione della vittoria, poi se ne tornò nella stanza adiacente al salotto per dedicarsi meglio al suo vino.
«Questo si chiama ricatto!» gli gridò contro la ragazza, ma ormai lui se n’era andato.
«Uffa! Tornerei volentieri a Thriller Bark, però lì non c’è più nessuno ad attendermi e forse Moria-sama è morto… horo-horo-horo».
Uggiosa e arresa, s’alzò per raggiungere la camera dove era stato sistemato Zoro. Inevitabilmente pensò a lui, al giorno che era arrivato, alle terribili ferite che aveva e che, in un primo momento, l’avevano fatta esultare allietandole un pizzico della sua vendetta ma che,  dopo averle osservate, l’avevano anche inorridita stimolando la sua coscienza ad aiutare un moribondo; che di certo sarebbe morto senza il suo intervento.  
E ricordava chiaramente anche cosa le era successo: salvarlo l’aveva fatta sentire insolitamente bene; una strana sensazione che tuttora non riusciva a nascondere e spiegare nemmeno a se stessa.
Perona era una peste di ragazza, egoista e graziosamente sadica; tuttavia… 

Raggiunto il corridoio che la portava da Roronoa, s’avviò verso l’ultima stanza e già da lontano i suoi nervi cominciarono a contrarsi: la porta che lei aveva lasciato chiusa non lo era più, stava aperta per metà.
Varcata la soglia, e immersasi nell’oscurità tagliata solo dalla flebile luce proveniente dalle candele del corridoio, vide, anzi, non riuscì a vedere nessuna sagoma di ragazzo antipatico adagiata sul letto.
Il drappo scuro che copriva la finestra non faceva trapassare nemmeno un filo di luce – e questa sarebbe stata  comunque leggera, poiché il cielo di Kuraigana era plumbeo giallognolo di giorno e rosso cupo di notte, e dava sempre poco spazio alla luna e al sole – così avanzò alla cieca, cercando di raggiungere il letto per tastarlo alla ricerca di qualcosa che magari non era riuscita a distinguere. Nel farlo inciampò, cadendo rovinosamente a terra.
«Ahi, che male!».
Si alzò subito in piedi; aveva incespicato i suoi passi su qualcosa che al buio appariva solo come un’ombra dalla forma indefinibile e dallo strano odore;  particolare, questo, che le ombre non potevano avere.
Corse a prendere una candela dal corridoio e, rientrando nella camera, illuminò la causa dell’inglorioso capitombolo che le aveva indolenzito il sedere.
Era lui: sdraiato su un fianco e con il braccio destro sopra la testa; dormiente all’apparenza.
«Bravo, devi esserti alzato da solo senza chiedere aiuto… ed ora eccoti qui. Meriteresti di essere lasciato a marcire sul pavimento».
Ma la ragazza in fondo aveva buon cuore, o forse era il ricatto di Mihawk a fare maggiore leva su di lei; tant’è che, poggiata la candela sul comodino accanto al letto, si chinò per raccogliere lo spadaccino dal pavimento. Pesava da morire; subito le tornò in mente la faticaccia che aveva fatto per portarlo al castello, «Questa me la paghi, e pure l’altra, e tutte quelle che verranno!».
Compiuta la missione impegnativa, arrivando al bordo del letto ed allo stremo delle forze, per issarlo su, se lo fece cadere accidentalmente addosso e iniziò a squittire quasi fosse stata assalita da uno sciame di insetti.
Veloce si dileguò da sotto il corpo dello spadaccino; e mentre stava per alzarsi allo scopo di raggiungere una distanza di sicurezza, un braccio fasciato come quello di una mummia l’afferrò per riportarla giù.
La sua coroncina con la croce nera cadde rotolando sul pavimento.

Immobile, terrorizzata, e ora incapace di fiatare, valutò la situazione: il suo corpo era perfettamente sopra quello dello spadaccino; riusciva a percepire tante cose sotto di lei, come ad esempio il petto di Zoro che si abbassava ed alzava lentamente ad ogni respiro – a differenza del proprio che era pressappoco statico, non riusciva più ad inalare ossigeno – il calore del suo corpo, da farle sembrare di essere distesa su carboni ardenti, e voluminosità di muscoli bene allenati un po’ ovunque. E c’erano anche il braccio che l’aveva  acchiappata, e che ora le stringeva le spalle, e il respiro di Zoro che le sfiorava la frangetta e una parte di fronte scoperta.
Tremando come se stesse sforzandosi di reagire ad una forza che la teneva bloccata, alzò il viso per vedere se  fosse sveglio e se le avesse fatto un brutto scherzo; pronta, se così fosse stato, a cavargli gli occhi con le unghie.
Zoro dormiva, teneva le palpebre serrate e, lei avrebbe volentieri evitato di farci caso, aveva un po’ di saliva pronta a colare dall’angolo della bocca.
Nessuna marachella, lo spadaccino aveva reagito inconsciamente muovendosi nel sonno.
La ragazza si strusciò lentamente su di  lui per liberarsi dall’abbraccio sonnambulo, stando attenta a non svegliarlo; nel mentre, si diede  un’occhiata e s’accorse delle proprie condizioni: la gonnellina rossa merlata era salita a scoprire l’ultima fettina di coscia e qualcosa che stava più su.
In altre circostanze non le sarebbe importato nulla, ma in quel momento venne pervasa da una fiammata di vergogna.
Con la mano passò veloce a tirarsela giù, poi, attenta, riportò lo sguardo sul viso di Zoro e credé di morire.
Lo spadaccino aveva aperto gli occhi: le palpebre pesanti li riducevano a due fessure sottili, ma il bagliore della candela riusciva lo stesso ad illuminargli le iridi, che lanciavano piccoli lampi di verde. Con la tipica faccia da assonnato, lo spadaccino aveva un’espressione in bilico tra la curiosità e lo scazzo.




“Forse ho preso un cane che non è del tutto buono,
forse domani mi tormenta e lo perdono,
forse è l’amore, forse è l’amore.”

 

˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
Qui parla l’autrice:
innanzitutto vi ringrazio anche solo per aver dato un’occhiata a questo inizio, però  mi piacerebbe leggere le vostre impressioni.
So che la coppia Perona/Zoro non piace a molti (personalmente preferisco Tashigi, è l’unica donna con la quale lo spadaccino ha un legame “diverso”, pure se è solo per via della somiglianza con Kuina… No, c’è di più! C’è una lotta di ideali contrapposti, niente di meglio per unire due persone! ^^) ma i due anni trascorsi insieme, loro due con Mihawk, mi hanno fatta fantasticare. E va bene che Zoro si stava allenando però è stata Perona a prendersi cura di lui, sempre, fino ad accompagnarlo al luogo dell’incontro con il resto dei nakama. Insolito per una egoista come lei, non credete?  
Comunque, mi sforzerò di mantenere l’IC, sennò sforiamo e non c’è più gusto, e  tenterò di rendere plausibile un possibile accostamento dei due, perché ammettiamolo: lo spadaccino tutto pare fuorché interessato alla gnocca. -_-
Ecco perché non diniego lo yaoi quando c’è lui. Zoro ti piace il picchio, confessalo! ^^
Le righe iniziali le ho scritte cercando di riassumere i pezzetti e i bocconi con i quali viene descritta l’isola nel manga, voglio essere fedele quando posso.
La piccola filastrocca che ho fatto cantare a Perona, appertiene a un vecchissimo personaggio: Golliwog. Trovata in una delle storie per bambini di un altro vecchissimo personaggio: Noddy.
Quel versetto credo abbia terrorizzato generazioni di bimbi inglesi… ma a noi che importa.
Le strofe che aprono e chiudono il capitolo, invece, sono alcuni versi di un brano dei Sick Tamburo “Forse è l’amore” e se volete potete ascoltarlo qui.
Attendo vostre recensioni. =)

Pandroso.

EDIT del 21/09/13: ho aggiunto l’immagine a capo del capitolo. Un mio disegnino. ^_^

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Capitolo 2
*** 2. Non volevo fargli del male! ***


Curami ̴  2. Non volevo fargli del male!

                  

“There was a little girl, who had a little curl
right in the middle of her forehead
and when she was good, she was very, very good

but when she was bad, she was...”

 

 
Perona non avvertiva più i propri battiti cardiaci: Zoro si era svegliato e la stava guardando come se ad avere torto in quella situazione così poco conveniente fosse lei e non lui.
Il braccio colpevole che l’aveva afferrata, unica prova a suo favore, non la stringeva più; lo spadaccino l’aveva mosso per andare a grattarsi la testa. 
Solo lei era rimasta equivoca: con una coscia che attraversava le gambe del pirata, un braccio cha pareva abbracciarlo e il seno sinistro schiacciato contro quel petto che lei stessa aveva fasciato ore prima.
«C-che stai facendo?» domandò Zoro con voce roca, deglutendo e asciugandosi con la mano il rivolo di saliva che stava per scendergli sul mento. Lo spadaccino sentiva di stare poco bene, un enorme mal di testa era iniziato in concomitanza al suo risveglio; il perché della presenza di Perona sul suo letto occupava ovviamente l’ultimo dei suoi problemi, anche se non gli era sfuggita la leggerezza del corpicino snello della ragazza. Ma passati tre minuti, in attesa di una risposta o reazione da parte di Perona, egli decise che il tempo a  disposizione per lei era scaduto. Con una mano le afferrò la spalla per spingerla delicatamente via dal suo corpo ferito.
Il gesto innocente si tramutò nello scatto di un interruttore; Perona reagì al contatto come se fosse stata investita da una scarica elettrica, «Whaaa!!! Non toccarmi!!! Toglimi subito quella manaccia di dosso!!!» gli gridò contro, schizzando lontano da lui e raggiungendo una distanza sufficiente per non essere acciuffata di nuovo.
Zoro, che di certo non adorava le sue urla, diventò anche lui isterico. Sentirsi accusato di colpe che non aveva lo mandava su di giri, inoltre l’imputazione era gravissima: lo degradava allo stesso livello del cuoco pervertito!
«Sei impazzita?! Eri tu quella sdraiata su di me! Se c’è qualcuno che deve lamentarsi quello sono io!» ribatté convinto delle proprie ragioni; nel frattempo si sedette sul bordo del letto, meglio aspettare ancora un po’ prima di alzarsi in piedi con il mal di testa che aveva.
Perona, invece, era talmente nervosa che, nel tentativo di cancellare ogni contatto avuto con lui, sistemava i propri vestiti con tale enfasi che pareva stropicciarli.
«Te la giri come ti pare, eh! Sei bravo ad allungare le mani sulle ragazze e a far finta di niente!».
Continuò lei, non aveva voglia di lasciare nulla in sospeso, era rimasta ferita nell’orgoglio e mai si era sentita così in imbarazzo.
Lo spadaccino a quell’affermazione sbarrò gli occhi  al limite della pazienza.
Cosa stava cercando di inventarsi quella tipa?
«Te lo ripeto un’ultima volta: eri tu che mi stavi addosso! Io ti ho semplicemente spostata, non ti ho toccata con nessun’altra intenzione… E mai mi sognerei di farlo!».
L’ultima parte della frase ebbe un pessimo effetto sulla ragazza, ella se ne sentì offesa ma senza capirne il motivo.
«Zitto! Se non ti fossi alzato e non fossi caduto a terra io non sarei stata costretta a riportarti a letto, e nonostante ti abbia aiutato… nemmeno mi ringrazi e cerchi di allungare le mani su di me dandomi pure la colpa! Tu sei una persona cattiva!».
Era partita, inutile tentare di fermarla, frignava peggio di una bambina; difficile comprendere le parole che buttava fuori a squarciagola. Zoro stesso constatò di essere impotente di fronte alla situazione che nel giro di poco tempo gli si era combinata sotto gli occhi, si sforzò solo di ricordare cosa fosse accaduto prima di svegliarsi e trovare su di sé questo strazio di ragazza. 
«Hai ragione – fece d’un tratto con cipiglio serio – è vero, mi sono alzato per andare in bagno ma al ritorno devo essere svenuto. Mi dispiace.»
«E queste sarebbero le tue scuse?!» chiese Perona, sconvolta da tanta nonchalance.
«Non mi sto scusando,  ho solo detto che mi dispiace. Mica te l’ho ordinato io di riportarmi a letto, quindi finiscila di lamentarti».
Alla ragazza cominciarono a prudere le mani, i suoi mini Hollow avevano tutta l’aria di essere una giusta punizione contro quella sfrontata mancanza di rispetto.
«Ma io devo prendermi cura di te, non hai il diritto di muoverti se non ci sono!».
Lo spadaccino stufo di averla ancora davanti agli occhi, in risposta, prima le sbadigliò in faccia poi non si risparmiò di rinnovare la sua scarsa galanteria: «D’accordo, visto che ti preme tanto la prossima volta mi accompagnerai in bagno e mi darai una mano con alcuni bottoni… che ne dici?» concluse mostrandole una delle sue peggiori smorfie beffarde.
«Dico che sei disgustoso, e odio te come odio quell’altro maleducato di Mihawk!».
Il pirata scoppiò in una fragorosa risata, in fondo la mocciosetta sapeva essere divertente a suo modo.
«Comunque non preoccuparti, ora mi sento meglio. Piuttosto, aiutami a togliere queste garze, mi danno prurito, non le sopporto più!».
C’era da impazzire, aveva cambiato argomento e pretendeva di essere aiutato subito dopo averla canzonata; ma Perona sapeva riprendersi in fretta.
«Fermo lì, non sei ancora guarito! E non toccare quelle bende, ci ho messo un secolo a fasciarti e non è ora di cambiarle!» disse perentoria. Ma Zoro faceva orecchie di mercante: si era alzato in piedi e sbracciava nel tentativo di sciogliersi la matassa di fasciature che sentiva soffocarlo; alcune era riuscito a strapparle via, gli penzolavano dalle braccia come lembi di pelle morta.
«Tranquilla, mi basta dormire, ormai mi sono ripreso. Voglio cominciare subito l’addestramento».
Fu un’affermazione azzardata, i capogiri non gli erano ancora passati, ma l’idea di confrontarsi con Occhi di Falco lo rendeva tanto impaziente da fargli sottovalutare le sue condizioni. Convinto di sé, si mosse per la stanza alla ricerca delle sue preziose katana. Non vedendole in nessun angolo; né nell’armadio né dietro la tenda né sotto il letto e né sopra o in qualsiasi altro mobile all’interno della camera; iniziò a sospettare che la mocciosa gliel’avesse fatta di nuovo.
Sì, ricordava limpidamente la prima volta che aveva aperto gli occhi dopo essere stato spedito sull’isola Kuraigana da Bartholomew Kuma: si era svegliato completamente imbalsamato ed accanto al suo capezzale aveva trovato quella lugubre ragazza, ma non le sue spade… Un’esperienza traumatizzante, e che fatica per farsele restituire!
Purtroppo non si sbagliava, la sentì fare lo strano versaccio.
«Horo-horo-horo… Alzati, levati le bende, fa come credi, tanto senza spade potrai combinare ben poco».
Lo spadaccino si girò di scatto verso di lei, «Ladra! Le hai rubate un’altra volta?!», era avvelenato.
«Stai calmo, non te le ho rubate, le ho soltanto prese in custodia».
Al pirata stava venendo davvero voglia di metterle le mani addosso, ma per strozzarla, cos’era ‘sta storia della custodia?!
«Se ancora credi che voglia attaccarti ti stai sbagliando! Te l’ho già detto, tu non sei il mio obbiettivo. Quindi rendimi le mie spade immediatamente!» le ordinò deciso.
Sfortunatamente per lui, alla ragazza fantasma cominciava a piacere quella situazione. Perona sentiva di averlo di nuovo in pugno, ormai era assodato: le sciabolacce erano il punto debole dello spadaccino.
«Ah ah, non è per questo che te le ho prese... ma puoi star sereno, le ho conservate come si deve in un posto oscuro che nessuno conosce. Sono al sicuro». Finì sorridendo macabramente come lei sapeva fare.
A Zoro non piacque nulla di quanto udito, «Senti, non mi interessa per quale bastardo motivo ti sei azzardata ancora una volta a mettere le mani sulle mie spade. Sono stanco dei tuoi giochetti, restituiscimele!» e così dicendo avanzò verso di lei, senza sapere cosa diavolo avrebbe potuto farle; tutto gli si poteva toccare ma non le spade.
Avvertita la minaccia, Perona liberò istintivamente un paio dei suoi Hollow esplosivi; Zoro non riuscì ad evitarli e… Boom!
Fumo, tosse, e insulti ringhiati provenienti dallo spadaccino, riempirono la stanza.
«Quando ti dico che sono al sicuro devi fidarti di me» rimarcò la ragazza.
«Mocciosa, perché me le hai prese?» chiese ancora Zoro, ma stavolta con un tono che rasentava il sussurro nervoso.
«Per ordine di Mihawk, ha detto che finché non ti sarai ripreso del tutto non devo restituirtele».
Intanto il fumo si era diradato e la ragazza poté vedere lo spadaccino sorreggersi al muro, appoggiandosi ad esso con una spalla. L’attacco era stato più devastante del previsto, come pensava non era affatto guarito ed era ancora troppo debole. Ma quando s’accorse che del sangue stava colando dalla fronte del ragazzo, imbrattandogli mezza faccia e peggiorando la sua espressione già truce di per sé, le venne un tuffo al cuore.
«E da quando ti piace prendere ordini da lui? » domandò Zoro, sforzandosi di non dare a vedere di provare dolore per il colpo appena subito.
La ragazza più lo guardava più si sentiva inghiottita dai sensi di colpa per ciò che aveva fatto, ma ebbe il coraggio di rispondere: «Mi ha ricattata».
Decisamente no, non era quello che voleva dirgli, le parole giuste, non adatte a lei ma giuste, erano “lo faccio per il tuo bene, perché tu sei uno stupido spadaccino”; tuttavia queste le rimasero annodate in fondo alla gola.
«Perfetto, siamo entrambi insetti nella sua rete, si sta divertendo… Dovrei andare da lui e spaccargli la faccia.» disse Zoro a denti stretti, poi si staccò dal muro per andare ad infilarsi le scarpe ed uscire dalla stanza. Aveva urgente bisogno di prendere una boccata d’aria, la sua testa minacciava di sputargli il cervello fuori dalle orecchie.
«Dove stai andando? Non vorrai-»
«Sta’ zitta! Non sono così stupido da attaccarlo, e per giunta senza spade… Sarà il mio maestro, devo rispettare le sue decisioni qualunque esse siano… anche se detesto farlo».
La ragazza rimase sorpresa di fronte a tanta lealtà e fermezza d’animo; comunque non poteva lasciarlo andare con mezza fronte squarciata, «Aspetta, lascia che ti curi il viso... stai perdendo sangue» tentò di fermarlo ma lui respinse via le sue mani con un gesto del braccio.
«Non è niente, non ne ho bisogno. Adesso togliti, devo uscire da qui prima che impazzisca sul serio».
Rassegnata, Perona lo lasciò andare guardandolo allontanarsi affaticato e claudicante; nello stesso istante, si domandò perché la facesse stare male non avere avuto il coraggio di chiedergli scusa per averlo ferito.

***

Capire l’ora del giorno osservando il cielo di Kuraigana era impegnativo ma non impossibile; di sicuro il sole era tramontato da un bel pezzo e mangiare non avrebbe guastato; ma a Zoro poco importava di che ore fossero… avrebbe vissuto lì per due anni, ne dovevano passare di giorni e di notti. Se ci pensava rabbrividiva, era da molto che non gli capitava di fermarsi in un luogo per così tanto tempo – l’ultima volta era stata proprio a Shimotsuki, il suo paese natale nel Mare Orientale, prima di partire e diventare per sbaglio un cacciatore di pirati – temeva che nel giro di un paio di mesi gli sarebbe venuta la fregola di andare via. Stava assumendo vere abitudini  piratesche, lo sentiva, era una metamorfosi alla quale non poteva sottrarsi.
E tra un pensiero e l’altro, e per lenire la rabbia che s’era preso per via delle sue spade ingiustamente sequestrate, camminava intorno al castello; cosciente che se si fosse allontanato troppo si sarebbe perso e sarebbe stata una seccatura ritrovare la strada per tornare indietro. Il senso dell’orientamento era l’unica cosa che non riusciva proprio a migliorare. E gli diceva male, intorno non aveva nulla che riuscisse a distrarlo. Così, annoiato, decise di sedersi su un tronco spezzato.
Era irritante ammetterlo, ma la ragazza fantasma aveva ragione: il suo fisico non era ancora al pieno della forma; se lo sentiva tutto intorpidito e dolorante, e non era nemmeno riuscito a schivare un banalissimo attacco. 
Ripensandoci si toccò il sangue che sentiva essersi appiccicato alla pelle, e passando le dita sopra la ferita che aveva sulla fronte la sentì bruciare. La mocciosetta l’aveva colpito in pieno.
«Complimenti ragazzina, hai fatto centro!» disse ad alta voce, lasciando poi cadere ogni pensiero per godersi il silenzio che lo circondava.


Perona non smetteva di mordicchiarsi le unghie e di camminare avanti e indietro come una sentinella.
Dopo aver rinunciato a lanciarsi all’inseguimento dello spadaccino, era tornata in salotto ma non riusciva lo stesso a darsi pace: doveva prendersi cura di Zoro, non aggravare le sue condizioni. Mihawk era stato chiaro. 
Non sapeva dire se l’agitazione che sentiva scuoterle le viscere dipendesse dalla reazione che avrebbe avuto il grande spadaccino, una volta saputo cos’era accaduto, o dal fatto di essere stata respinta dal proprio paziente. 
Scelse la prima, indubbiamente doveva essere la prima opzione.
«Horo-horo-horo… Cosa dirà? E soprattutto cosa mi farà? Io ho paura, Kumacy dove sei quando ho bisogno di te ?!»
«Chi dirà o farà cosa?»
La voce profonda che penetrò nella sala la spaventò terribilmente, facendole scappare un gridolino. Si girò verso il proprietario del tono tanto cupo e trovò il suo spauracchio appoggiato allo stipite dell’ingresso del salotto, stavolta senza bicchiere di vino in mano.
«Nessuno, io non ho fatto niente, anzi sono andata a controllare e ti assicuro che il tuo pupillo sta benissimo, posso dire che è quasi guarito! Horo-horo-horo».
La buttò lì, non pensando che sarebbe stato impossibile nascondere la fresca evidenza che capeggiava sul viso del pirata sonnambulo.
Tuttavia, Mihawk non la stava nemmeno ascoltando; era stato rapito da qualcosa che aveva visto fuori dalla finestra dopo essersi avvicinato ad essa.
«A proposito, ghost-girl, ti ringrazio».
La ragazza non credé a quelle parole: non erano quelle che si aspettava di ricevere e neppure le sembrò possibile averle udite lì, in quel posto pullulante di scortesi arroganti. Sentirsi ringraziata rasentava il miracolo.
«Finalmente ti sei deciso a riconoscere il mio impegno, accudire quel buzzurro non è facile sai!»
«No, ti stavo ringraziando per non aver ceduto»
«Certo che non ho ceduto, infatti io – ci fu un attimo di riflessione prima di rendersi conto di aver perso il filo del discorso – … Cosa vuoi dire?»
«Questo ragazzo spicca per testardaggine e presunzione, non è facile farlo desistere».
Desistere da cosa, dal metterle le mani addosso? Desistere per darle ragione? Oppure desistere a riavere le spade? Le venne un dubbio e non c’era da stare allegri: forse il corsaro già sapeva, e soprattutto poteva essere a conoscenza della sua negligenza e reazione eccessiva nei confronti di Zoro!
«Tu ci hai spiati?» domandò Perona, diretta e con voce tremula.
«Sì», si limitò a risponderle lo spadaccino.
«Allora sai… Giuro, non volevo fargli del male, non volevo!» cercò di rimediare all’irreparabile temendo di essere cacciata via.
«Non preoccuparti, sta bene, abbiamo a che fare con un osso duro, guarda tu stessa» disse Mihawk, invitandola  a sporgersi dalla finestra per dare uno sguardo fuori.
Sotto di loro, Zoro si sollevava ed abbassava a intervalli brevi e regolari grazie a un faticoso lavoro delle braccia, lasciandosi a pochi centimetri da terra ad ogni piegamento; era impegnato con una serie di flessioni.
«Non ci riesce a stare fermo!» esclamò irritata la ragazza, prevedendo di doverlo soccorrere a momenti.
«Già» accordò il corsaro, e poi aggiunse: «Posso fidarmi di averlo come allievo».
Sentendo quelle parole, Perona si voltò confusa verso di lui «Come? Perché dici questo, non avevi già accettato?»
«Sì, certo che ho accettato… » rispose Occhi di Falco, sorridendo di sghembo e toccandosi il pizzetto appuntito. Ma lasciò morire la frase a metà, non esaudendo completamente la domanda della ragazza che continuava a guardarlo senza capire.

 




                                                                                                                   “ It’s time for war!
It’s time for blood!
It’s time for tea! ”

 
˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜

Qui parla l’autrice: 
come ho già detto ad alcuni, avrei voluto aggiornare la storia ad una settimana precisa dalla prima pubblicazione, purtroppo non ho potuto, spero non vi siate arrabbiati. Ma ho le mie ragioni!
Mi sono messa a scarabocchiare una simpatica scenetta (con questa non vorrei spoilerarvi gli avvenimenti futuri, voi fate finta di nulla e non chiedetemi niente ^_^) da appiccicare a capo dei capitoli. E non so se ne farò altre, ce n’ho un mucchio in testa, per adesso vada per questa.
Passando ad altro, secondo capitolo e cominciamo a dare una certa forma alla storia. La sentenza però resta a voi.
Che dire, ve lo aspettavate Mihawk così enigmatico e manipolatore? Io sì. ^_^
A Zoro non potevo togliere la sua lealtà. Lui è uno tutto d’un pezzo, uno di parola, rispetterà ogni decisione del suo maestro.
Per quanto riguarda Perona, ho iniziato a farle venire dubbi  e ripensamenti su come comportarsi con il “simpaticissimo” muschietto. XD Lo so, non si sopportano all’unisono e pare impossibile farli avvicinare… Ma sta proprio qui il divertimento.  ^_^
La canzone che stavolta mi sono divertita a sezionare appartiene a Emilie Autumn  ̴ Time for tea.
Cliccate se volete ascoltarla.  E scusate se anche lei  è una Gothic Lolita come Perona! *__*
Vi ringrazio per la vostra attenzione.
Al prossimo capitolo. ^^

Pandroso

 

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Capitolo 3
*** 3. Onore di spadaccino; ci sarà da camminare. ***


Curami ̴  3. Onore di spadaccino; ci sarà da camminare.  



“Hey, baby, I dig your scars 
I think you're smart, but they think you're kind of stupid
You don't say much, I don't care
They think you're strange, but I think it's kinda sexy

You're kind of lovely in an ugly way
Your feet scratch together, in my two-time waltz
I think you have a lot to say
I think it's strange but I think it's kind of fun”

Dal piccolo incidente tra lo spadaccino della ciurma di Cappello di Paglia e Perona la Principessa Fantasma, erano trascorsi ventotto giorni; e dei danni subiti, dopo l’impatto con alcuni Hollow esplosivi, era rimasta solo una crosta pruriginosa. 
Zoro stava cercando di toglierla, scorticandosela dalla fronte  in una delicata operazione di unghie e polpastrelli.
Lo spadaccino si trovava nel bagno vicino alla sua camera, ed era impegnato con doverose abluzioni; non aveva mai avuto tanto scrupolo verso la propria igiene, ma il richiamo della pulizia era stato invincibile: colpa di Perona, e degli unguenti dal lezzo insopportabile che la ragazza gli spalmava addosso ogni giorno. Lei diceva che servivano ad evitare che le ferite sviluppassero infezioni; Zoro ci credeva poco: quando Occhi di Falco l’aveva tremendamente ferito al petto, si era medicato da solo alla bell’e meglio e non gli era accaduto nulla e, tralasciando la febbre che era sopraggiunta durante la battaglia ad Arlong Park, era stato sano come un pesce… Come avrebbe potuto contrarre malattie adesso, con le ferite che s’erano rimarginate?! Non aveva più bisogno di continue e insopportabili medicazioni! Lui era resistente, guariva in fretta, stava bene; così bene che lo sbraitava in faccia alla ragazza come ne aveva l’occasione, nel tentativo di farle capire quanto fossero inutili le sue cure con quelle creme che lo ungevano fino a farlo diventare viscido.
L’unica pecca di tali considerazioni era un’orgogliosa presunzione: lo spadaccino ometteva di essere stato curato dal dottor Nako – quella volta a Coco Village – che l’aveva disinfettato e ricucito come si doveva. 
Se ora sentiva di stare bene, il merito era certamente dell’insistenza di Perona; non soltanto del suo fisico robusto; ma Zoro, chissà perché, stentava a riconoscerlo. O forse un motivo c’era: lo infastidiva.
Ciò che il ragazzo non poteva assolutamente negare, ma sul quale si sforzava di far finta di nulla, era il viso di Perona quando arrivava il momento di cambiare i bendaggi: lei era tanto pallida che le si poteva vedere sul volto il minimo cambiamento della pressione sanguigna; e da un po’, Zoro aveva notato come le guance candide, e probabilmente lisce e morbide, divenivano puntualmente rubiconde alla vista del suo torace.
E quante volte, poi, l’aveva scoperta a soffermarsi con lo sguardo sulla lunga cicatrice che gli dilaniava il torso! 
In quel caso era lui a sentirsi in lieve imbarazzo: non gli importava se la cicatrice si vedesse o meno, anche se era un orribile segno di indelebile sconfitta – però degno di un sopravvissuto – ma avrebbe preferito mostrarla il meno possibile a Perona, perché c’era qualcosa di strano negli occhi della ragazza; troppo neri e troppo immobili che risultava complicato leggervi dentro;  e Zoro, in quei momenti, era convinto di vederci ripugnanza. Un aspetto discrepante e in netto contrasto con l’imbarazzo che imporporava le guance della ragazza, ma altresì ennesimo accento di stranezza: per lo spadaccino, Perona restava un’incognita priva di soluzioni.
Tuttavia, nonostante il reciproco disagio, entrambi facevano finta di niente e non si dicevano nulla: il pirata, dopo aver scaricato la solita non voglia di farsi medicare, rimaneva zitto ad aspettare che lei finisse; Perona, rossore o altro che avesse, manteneva sempre una calma sorprendente che le permetteva di muovere le mani con sicurezza medica.
I loro attimi di “crocerossina e infermo” terminavano nel giro di una ventina di minuti scarsi ma molto intensi.

A forza di essere stuzzicata la crosta venne via, scoprendo una superficie di pelle nuova dal colorito roseo e lucido. 
Zoro diede un ultimo sguardo al suo riflesso nello specchio, girando il viso di tre quarti – prima a sinistra e poi a destra – e dopo si sciacquò la faccia con energia utilizzando l’acqua fredda contenuta in un catino.
Quel pomeriggio, lo spadaccino si era tolto tutte le bende da solo; anche se immaginava le imprecazioni che ne sarebbero nate da parte di Perona, non gli importava: ormai non v’era più necessità, e così facendo poneva fine alla pratica tanto scomoda per entrambi.
Terminò di curare il proprio aspetto mettendosi addosso dei vestiti avuti in prestito da Mihawk: erano un paio di pantaloni di fustagno, neri, e una camicia bianca, una di quelle che il corsaro indossava spesso.
Infilato l’ultimo bottone nell’asola e sistemata l’haramaki, si sentì pronto. Forse la camicia gli stava un po’ larga di spalle, ma non era un problema; quello che gli mancava erano le spade, non vedeva l’ora di riaverle legate al suo fianco, e l’intenzione di quel giorno era esattamente di andare da Mihawk per discuterne.

Sforzandosi di ricordare dove si trovasse la stanza nella quale il suo futuro maestro si ritirava, lo spadaccino s’incamminò prendendo le scale che lo portavano all’ingresso del castello.
Arrivato lì, voltò a destra per attraversare un susseguirsi di tre sale; tra le quali, il salotto in cui Perona prendeva abitudinariamente il tè… e siccome s’era fatta l’ora giusta, pregò e sperò di non incontrarla. 
Stranamente non la vide, così raggiunse tranquillamente il luogo in cui avrebbe trovato Occhi di Falco.
Eccola lì: la pesante porta che aveva davanti a sé era quella della studio di Mihawk. Questa era accostata; Zoro non l’avrebbe mai ammesso, ma di fronte ad essa un leggero senso di soggezione lo portò a bussare prima di entrare.
La risposta non tardò ad arrivare: «Sì, sei ancora tu ragazza fantasma? Se è per il tè non insistere, non ho intenzione di prenderlo con te».
Il pirata spalancò la porta senza annunciarsi, ed entrò. Se Mihawk avesse avuto da ridire a riguardo, fatti suoi: aver bussato era già un gran favore, per come la vedeva l’apprendista spadaccino.
«Salve, Roronoa… Accidenti, sembri stare proprio meglio. Cosa ti porta qui?»
Domandò il corsaro, sorpreso di vederselo davanti con la solita aria spavalda che sembrava chiedergli “ti prego dammi una lezione, fammi capire chi comanda”.
Zoro cercò gli occhi del suo interlocutore, e dopo uno sguardo veloce all’ambiente – che trovò ricco di antica mobilia – lo vide seduto su una poltrona posta dietro ad un tavolo rettangolare e di legno scuro. 
Il corsaro stava consultando un libro – lì ce n’erano molti: ogni scaffale presente in quella stanza pareva volersi spezzare sotto il peso di tomi giganteschi, che Zoro non avrebbe letto nemmeno se avesse avuto più di una vita a disposizione – e finendo di scolarsi una bottiglia di liquore. Un liquore sicuramente buono, dall’odore che si sentiva avere impregnato la piccola sala.
A Zoro avrebbe fatto molto piacere berne un po’, ma non era lì per quello; anzi, s’affrettò a portare la conversazione subito al sodo: «È proprio di questo che voglio parlarti», cominciò catturando l’attenzione di Mihawk.
Il corsaro alzò la testa dalle pagine che stava leggendo per puntare lo sguardo in quello del giovane spadaccino, «Va bene, nonostante tu abbia interrotto le mie ore di studio, ti ascolterò. Ma prima accomodati». 
Il ragazzo fece come gli era stato suggerito: prese una sedia che stava accostata al muro, la piazzò davanti ad Occhi di Falco, e si sedette. Nel farlo, però, aveva notato un enorme forziere circondato da catene e con più di un lucchetto a chiuderlo; stava messo proprio a fianco alla sedia che aveva appena preso. 
«Sentiamo…» lo incalzò Mihawk, dando una veloce occhiata ad un orologio da tasca.
Zoro non rispose subito, perché una carta nautica, grande abbastanza da occupare mezza parete e appuntata al muro dietro le spalle del corsaro, l’aveva momentaneamente distratto. Questa mostrava diverse rotte tracciate in rosso, la Red Line, isole e alcuni punti indecifrabili... forse a indicare le basi della Marina. Già, la Marina... Occhi di Falco era un membro della Flotta dei Sette, prendeva ordini dal Governo Mondiale; Zoro avrebbe fatto bene a non dimenticarlo.
Inoltre, accanto alla bottiglia di liquore poggiata sul tavolo, c’era un lumacofono; simbolo di come il corsaro mantenesse i contatti con i suoi “padroni”.
Il giro della curiosità finì quando Mihawk mostrò segni di impazienza, così il ragazzo riportò l’attenzione alla sua causa.
«Sto bene, credo di essere guarito e vorrei cominciare l’addestramento»
«Magnifico, non credevo potessi riprenderti così in fretta, mi fa piacere»
«Sì, ma prima vorrei riavere le mie spade, dove posso trovarle?»
Mihawk sorrise impercettibilmente, poi parlò: «Questo non devi chiederlo a me».
Ascoltando la risposta, una vena gonfia e pulsante comparve istantaneamente sulla fronte di Zoro. Ma egli si impose l’assoluto autocontrollo.
«Perona mi ha detto di aver ricevuto l’ordine di sequestrarle proprio da te… quindi è a te che mi sto  rivolgendo per riaverle».
«Certo, sei stato bene informato, ma non le ho prese io. Devi andare da lei, perché solo lei sa dove sono».
Non gli stava piacendo, non gli stava piacendo neanche un pochino; cos’era un gioco?  Si stavano divertendo alle sue spalle? Il giovane spadaccino era sull’orlo di mandare a quel paese il rispetto e farla vedere a tutti e due.
Al contrario, il corsaro s’era messo comodo sulla sua poltrona; per osservare meglio quella sottospecie di intrattenimento non richiesto a cui stava dando adito lo spadaccino di Cappello di Paglia.
«Non guardarmi così, Roronoa! Non te le sto nascondendo, non saprei che farmene delle tue spade. Vai da Perona, te le darà lei… Sempre che tu riesca a convincerla».
Stavolta Mihawk non riuscì a trattenersi e si lasciò scappare una tetra risata; poi, con noncuranza, riportò lo sguardo tra le righe del libro che attendeva di essere finito. 
Il dialogo con il ragazzo era concluso.

Tutto aveva un limite, e questo – a detta di Zoro – era stato appena superato; la rabbia che a stento riusciva a trattenere trovò un piccolo pertugio nella corazza di selfcontrol che si era imposto di indossare:
«Qui sto solo perdendo tempo, maledizione! D’accordo, andrò dalla mocciosa, e una volta riavute le mie katana… scoprirò se sei davvero un uomo di parola!»
Calò il silenzio. 
Il corsaro alzò immediatamente la testa e cambiò espressione del volto, mostrando quello sguardo freddo, di predatore, grazie al quale il mondo l’aveva conosciuto e con il quale, ora, lo temeva. Aveva capito bene il senso delle parole di Zoro: queste non erano una semplice insinuazione dettata dalla collera, ma una sfida sfacciata… erano una provocazione!
Ancora silenzio.
Zoro, che intanto si era messo in piedi e stringeva i pugni talmente forte da tremare, sostenne quegl’occhi magnetici fissandoli a sua volta… Era esattamente con quelle iridi ambrate e con quello sguardo accigliato che Mihawk l’aveva guardato prima di affondare la lama dello spadone nero nella sua carne; il ricordo cominciò a serpeggiargli veloce sul torace, provocandogli brividi lungo la schiena.
«Ti aspetto qui, Roronoa – proruppe Occhi  di Falco, squarciando a parole la tensione che s'era creata tra loro – ... Ma non pensare che sarà facile prendere lezioni da me: tu sarai il primo a cui ne darò, perciò non so se riuscirò a controllarmi… Dovrai stare attento a non farti uccidere».
Agganciato! Zoro aveva messo in discussione l’onore del corsaro e quest’ultimo non s’era tirato indietro, anzi, sembrava esserne rimasto molto urtato.
Prima di andarsene, il giovane spadaccino sostenne ancora lo sguardo del suo maestro; poteva quasi apparire perverso, ma l’idea di battersi di nuovo con lui – anche se sotto l’aspetto di un addestramento – dopo la sfida che si erano lanciati, lo stava facendo eccitare come la prima volta sul Baratie.
Doveva recarsi in fretta dalla ragazza fantasma, non poteva più aspettare.

 

***

 

Prendere il tè in solitudine era infinitamente triste; e Perona amava la tristezza, fin qui nessun intoppo… ma, sfortunatamente per lei, amava quella degli altri. Per cui la situazione non era solamente triste, era tragicamente drammatica!
Occhi di Falco si era rivelato essere non solo di poca ospitalità, ma anche un taccagno di tempo e oltretutto simulacro della scortesia; la povera ragazza ne aveva avuto prova quel pomeriggio: gentile e sorridente come mai era stata, si era recata dal corsaro presentandosi con due fumanti tazze di tè caldo e dei biscottini appena sfornati dall’aspetto delizioso – aveva provveduto lei stessa ad inventarsi qualcosa coi pochi ingredienti che aveva trovato in cucina, perché senza dolci non poteva assolutamente stare – e lui che cosa aveva avuto il coraggio di fare?! Di liquidarla con un semplice, e completamente privo di cordialità, “adesso ho da fare, non disturbarmi”.
Poco c’era mancato che ella gli mollasse tutto a terra per scoppiare in un pianto alluvionale.
Ma quale essere tanto mostruoso e insensibile poteva rifiutare il suo unico e specialissimo invito a “l’ora del tè di Perona” ?! Ecco, ecco che cos’era Occhi di Falco: era un mostro insensibile!
Ad ogni modo, la ragazza si era limitata a fargli una smorfia: peggio per lui, non sapeva quello che si perdeva; e poi, in fondo, lei aveva sempre Zoro che poteva tenerle compagnia. 
Proprio grazie al pensiero che avrebbe condiviso un tè con  lui – ne era certa: non le avrebbe mai potuto dire di no – il suo umore era tornato allegro e aveva abbandonato l’idea della piazzata a Mihawk, per dirigersi svelta dallo spadaccino. 
Ma a pochi passi dalla camera di quest'ultimo, le era tornato il ricordo di averlo medicato e lasciato a riposo; e così, rimasta fregata - perché con i precedenti avuti era meglio non creare nuovi problemi - era stata costretta a fare dietrofront contro la sua volontà.
Ora, la ghost-girl se ne stava sola e scontenta su una sdraio in una delle ampie terrazze del castello, a centellinare con poco gusto il tè e a mangiucchiare i suoi biscotti (che erano veramente buoni, ma lei se li stava finendo dal nervoso).
Dalla sua altezza poteva osservare tutto il paesaggio circostante, e se aguzzava la vista – quando la foschia lo permetteva – oltre le cime dell’oscuro bosco di pini neri, riusciva a scorgere il mare: una scia argentea che tagliava il tenebroso orizzonte dell’isola da quello livido del cielo.
«Certo che se ci fosse stato Kumacy qui con me… Altro che fare l’infermiera a quell’ingrato!»
Ovviamente l’allusione era indirizzata a Zoro; manco a nominarlo che improvvisamente…
«Perona!!! Perona!!! Sono stufo di cercarti, vieni fuori!!! Peronaaa!!!»
Il tè quasi le andò di traverso per lo spavento. Ma lui non stava dormendo? Comunque, che cos’era quel modo di chiamarla come se si stesse rivolgendo ad un cane?! Per non parlare del tono con il quale stava bistrattando il suo nome! A tal maniera lo faceva assomigliare ad un insulto. No, doveva porre fine a quella tortura prima che le orecchie le iniziassero a sanguinare.
Fortunatamente, il ragazzo non era molto distante da lei: si trovava esattamente nel giardino dove si affacciava la terrazza in cui Perona aveva tentato di sorseggiare, invano, il suo benedetto tè.
«Si può sapere che ti urli a quel modo?» disse la ragazza, rimproverandolo appena gli fu vicino.
Come la vide, lo spadaccino quasi le si avventò addosso: «Le spade! Devi darmi le spade!».
Sentendolo avanzare quella richiesta, Perona sospirò: purtroppo Zoro non si smentiva; e lei che per un breve istante si era lasciata elettrizzare dall’idea che lui l’avesse cercata con così tanta enfasi perché desiderava vederla, e magari prendere il tè insieme…
«Se me le stai chiedendo è perché credi di essere guarito, altrimenti sai quale sarà la mia risposta. Pensi davvero di stare bene?» gli domandò lievemente retorica.
Zoro aveva il fiatone – a causa dei molti giretti che s'era fatto per trovare la ragazza – e la voglia di discutere con lei era scarsa, «Ho già parlato con “Occhi Gialli”, mi sta aspettando, tu non farmi perdere altro tempo!»
«Non essere insolente! Non ti permetto di rivolgerti a me con quel tono, io non sono la tua serva», Perona dava tutta l’aria di non voler collaborare; lo spadaccino storse il naso, ma il peggio che temeva non era ancora arrivato. Vane speranze: «Non ci posso credere! Hai tolto tutte le bende che t’avevo cambiato solo poche ora fa!» gridò la ragazza, che non aveva fatto subito caso all’assenza della sua opera medica sul corpo del pirata.  
Zoro entrò in riserva di pazienza e, già stufo della ramanzina che di lì a poco avrebbe sopportato, premette gli incisivi sul labbro inferiore; l’esaurimento nervoso era alle porte. 
«Se ti dico che sono guarito, perché dovrei continuare a tenerle?! Comunque, non tergiversare, rivoglio le mie spade!» esclamò irremovibile.
«Ma sai dire solo questo?! Sei noioso!» 
«Tu dammi le mie katana e vedrai che non ti infastidirò più».
 La voce dello spadaccino s’era fatta insolitamente ammaliatrice e invitante; questo perché utilizzare le maniere forti con la Principessa Fantasma era inutile, oltre che dannoso – lui l'aveva capito a sue spese –, quindi non gli restava che tentare con lei una sorta di falsa accondiscendenza. La quale ebbe esiti inaspettati...
Perona ci pensò su; purtroppo raggiunse una brutta conclusione: lei esisteva solo perché custode dei tesori del ragazzo, altrimenti lui non l’avrebbe mai cercata con tanta foga… o forse non l’avrebbe cercata e basta!
La ragazza s’incupì liberando i suoi fantasmi, che cominciarono a girarle attorno, e abbassò la testa permettendo alla frangetta di proiettarle un’ombra sinistra sugli occhi.
«Perona, che ti prende?» domandò Zoro, preoccupato dell’improvvisa e imprevista reazione della ghost-girl; ma soprattutto temendo che uno di quei cosi che le volteggiavano attorno gli venisse scagliato contro da un momento all'altro.
Dopo un breve istante, con la stessa velocità con cui era caduta nella mestizia, Perona tirò su il volto e mostrò allo spadaccino un grande sorriso da fare impressione – anche i suoi spettri fecero lo stesso – «Va bene, lascerò il mio tè e ti restituirò le tue preziose spade, ma ci sarà da camminare».
Il ragazzo rimase sconcertato: umore altalenante, cambiamenti comportamentali improvvisi; aveva a che fare con una psicopatica, ormai ne era sicuro. 
Ma finalmente lei aveva ceduto! L’unica incognita che lo lasciava ancora perplesso, era quel “ci sarà da camminare”… Non prometteva nulla di buono, a suo parere.
«Fammi capire: non le hai nascoste nel castello?» chiese incredulo.
«Non potevo, l’ho fatto la prima volta, tu avresti potuto trovarle facilmente»
«Ma ti sarebbe bastato metterle in un posto diverso! Qui è immenso, ce ne sono di luoghi dove nascondere le cose!»
«Nessuno mi ha colpita a sufficienza. Dai, non fare domande e seguimi, sennò non ti ridò niente» disse la ragazza, giocherellando con l’ombrellino rosso e strizzando un occhio in direzione dello spadaccino.
Messo alle strette e non avendo altra scelta, Zoro cacciò le mani in tasca e, poco convinto, lasciò che Perona gli facesse strada... Un brutto presentimento gli suggerì che l'allenamento avrebbe tardato ancora a cominciare

“Hey baby, I dig your scars
They think you're smart, but I think you're kind stupid
You don't say much, I don't care
They think you're strange, but I think it's kind fucking fun!

And I can't believe you're still stuck to me
Can't believe you're still stuck to this world

And I can't believe you're still stuck to me
Can't believe you're still stuck to this world
But he's not that kind of girl

 

 

˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
Qui parla l’autrice:
terzo capitolo, procediamo con ordine: quanto  mi piace descrivere Occhi di Falco come se fosse un signorotto colto che se ne sta chiuso in una stanza a elucubrare sul mondo tra una lettura e po’ d’alcol. ^_^
So che chiamare la sua Yoru spadone non è corretto (spadone indica un certo tipo di spada europea del ‘400, più o meno) ma per via della lunghezza e del tipo di impugnatura mi sono permessa.
Passando a Zoro, apriamo la questione “Occhi Gialli”… Spero di non essere linciata.
Poi, tra loro ho voluto mettere un po’ di tensione (non che non ci fosse già) ma avevo bisogno di attizzare di più il clima per lo svolgersi della storia.
Perona… povera Perona, la sto facendo soffrire questa ragazza (ed è solo l'inizio!  - risata maligna-)
Nuovo disegno: stavolta m’è venuto a tema (a proposito, se tornando indietro di un capitolo non trovate nessuna immagine, tranquilli, l’ho tolta apposta: ci ho pensato e non voglio ripetizioni, quando avrò tempo vedrò di riempire il buco).  Ma quanto l'ho fatto alto Mihawk?! Mi sa che ho un tantino esagerato. ^^' E per la mappa, Nami le disegna meglio di me. Il tavolo con le cariatidi ha un che di postmoderno… come m’è venuto in mente?! Va be’ sto delirando, colpa della febbre (sono malata ç_ç)  io volevo solo darvi l’idea di come fosse questa stanzetta che alla fine m’è uscita semplice semplice… e porca miseria ho dimenticato di fare il lumacofono e la poltrona!
Il testo del pezzo musicale che ho inserito è  roba dei Therapy? ̴ He's not that kind of girl  (buoni da ascoltare mentre si tracanna birra e, se c'è la possibilità, mentre si prende a calci un ragazzo).

Un grazie appiccicoso va a chi mi sta seguendo! =)

Pandroso

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Capitolo 4
*** Una coppia e tre spade ***


Messaggio importante: i luoghi e gli avvenimenti qui menzionati sono del tutto casuali, e non prendono spunto da quanto sta accadendo ultimamente nel nostro paese. Il capitolo era stato già strutturato anni fa e prima del tragico evento che ha sconvolto  il centro Italia.

 photo Zoro - Perona - Una coppia e tre spade_zpszdbzesj7.jpg

Curami ̴  4. Una coppia e tre spade.

 

 “And this silence is her life
Falling fast into the dark November sky
Over voices she shall cry
Soundless screams are felt before the sun can rise”


La tenebrosa foresta di Kuraigana era una imponente e lussureggiante barriera naturale; pini, larici e altissimi pecci la rendevano una fitta selva quasi impenetrabile.
Vista dall’alto, la foresta ingannava l’occhio umano: la macchia di pinaceae, stretta in mezzo ad una vallata – creata da catene montuose dalla singolare forma a punta ricurva – assumeva le sembianze di una gigantesca fiera addormentatasi in mezzo ai monti. Frusciando tra le cime degli alberi, il vento sembrava accarezzarne il folto manto morello, scuro quanto quello dei selvaggi Humandrillus che abitavano il bosco; e stando attenti, lo si poteva udire agitare rami e foglie e produrre un sibilo molto simile ad un inquietante sospiro.
In prossimità del centro, un piccolo pertugio, una dolina, s’apriva come se la fiera portasse sul dorso una profonda ferita. Non c’erano alberi in quel punto. E proprio lì, nell’ònfalo dell’isola, si stava dirigendo una coppia di pirati.

Zoro avanzava seguendo Perona, la sola che tra i due era cosciente della direzione presa. Costretto a starle dietro, per poter raggiungere il luogo segreto in cui lei  gli aveva nascosto le katana, lo spadaccino s’era stancato orribilmente e, ogni tanto, si ritrovava a sbirciare la punta delle proprie scarpe: totalmente inzaccherate di fango, utili a ricordargli che s’erano messi in viaggio da molto tempo… Tempo perduto, in ore sprecate a tentare di non scivolare sul terreno reso maggiormente umido da una insignificante pioggia, che aveva preso a scendere nel momento stesso in cui avevano lasciato il castello.
Ad aggravare il tasso di umidità, e l’impazienza dello spadaccino che poco tollerava quell’ambiente dal pungente odore di muschio, c’era pure la costante mancanza di sole tipica dell’isola; e la presenza di alberi tanto vicini tra loro non permetteva alla poca luce di raggiungere completamente il sottobosco.
Il terreno assumeva così una consistenza vischiosa, di argilla bagnata, e d’un colore identico all’ebano, su cui entrambi i ragazzi, camminando, tracciavano una texture di impronte appaiate a due a due.
Avventurarsi in quel luogo era come spostarsi dentro l’epidermide dell’isola, un secondo mondo ombroso che si animava al di sotto  delle chiome degli alberi, e nel quale, a tratti, filtravano pochi ma taglienti raggi di luce bigia, che rischiaravano di qualche tono la penombra di quel luogo pregno di un silenzio sacrale, interrotto solo dal cinguettio di qualche uccellino e dalla marcia monotona dei due pirati.

Differentemente da Zoro, Perona aveva sul viso l'espressione dell’estasi nell’attimo del trapasso a nuova vita, c’era quanto avesse mai potuto desiderare, e forse anche di più: un ambiente isolato e tinto d’un velo piceo che ne rabbuiava ogni forma vivente e non vivente, la pioggia che colava giù lenta come le lacrime di un cielo commosso, dando un tocco vivido al quadro insaturo in cui la ragazza si stava muovendo, incarnando con soddisfazione la figura dell’anima dannata – se poteva considerarsi dannazione il viaggio per il recupero delle antipatiche spade di Zoro – e, ovviamente, c’era lo spadaccino... che la seguiva.
Quasi un cane fedele.
Oh, sì, lui in quel momento era interamente suo. Se solo avesse potuto, la Principessa Fantasma avrebbe recitato una malia per legarlo a sé e vagare con lui, per sempre, in quel bosco maledettamente incantato.
Purtroppo, la realtà era assai diversa dai lugubri sogni di Perona: Zoro non era affatto così fedele, o così canidae come lei lo avrebbe preferito.

L’ennesima inevitabile pozzanghera, una mistura di terra, acqua e foglie in decomposizione, avviluppò completamente il piede destro dello spadaccino, al quale parve di sprofondare in sabbie mobili e di affogare, in quella melma e con un sordido splash, ogni speranza di un veloce ritorno.
«Ehi, oramai siamo molto lontani dal castello, sei sicura che non ci siamo perduti? Non è che hai dimenticato dove hai messo le mie spade?» ringhiò Zoro, cercando di contenere la rabbia e la voglia di tirare i lunghi capelli rosa della sua momentanea compagna di viaggio.
Di simile ai canidi il ragazzo aveva solo i latrati.​
«Ah, ci risiamo! Sono stufa di ripetertelo – gli rispose Perona, costretta a cancellare ogni desiderio di dannazione da condividere col bellimbusto porta sciabole – NON CI SIAMO PERSI! So benissimo dove stiamo andando, io non sono come te, che non riesci nemmeno a trovare l’uscita del castello!»
«Come fai a esserne sicura? – la contestò Zoro – A me qui sembra tutto così uguale: guarda quell’albero laggiù – le disse indicandole un abete rosso con un cenno della testa – sono sicuro che è lo stesso che abbiamo visto poco fa».
Perona strizzò gli occhi: in fondo, provava pena per lui; se solo fosse stato zitto, lo spadaccino sarebbe stato un cagnolino perfetto… La ragazza ci pensò sopra: ebbene, era un problema che poteva risolversi!
Qualche punto con ago e filo e gli avrebbe cucito la bocca a dovere, magari aggiungendovi sopra un merletto rosa, per creare un sorriso bello e largo come quello che possedeva il suo esercito di fantasmi.
Certo, in questo modo allo spadaccino non sarebbe stato più possibile mangiare, sarebbe morto d’inedia… Ulteriore vantaggio! Perona lo avrebbe portarto dal dott. Hogback e poi da Gekko Moria: il primo ne avrebbe sistemato il cadavere, il secondo ci avrebbe impiantato un’ombra per riportarlo in vita come zombie, ma stavolta al suo servizio.
Le era venuta davvero un’idea geniale!
La ragazza ridacchiò tra sé, presa tra fantasie e piani tanto magnifici quanto inattuabili.

«Guarda che sto parlando con te! Qui gli alberi sono tutti uguali, ci siamo persi!» le gridò contro Zoro, nuovamente, facendo scoppiare la bolla in cui galleggiavano felici le bizzarre idee di Perona.
Forse un taglio alla lingua sarebbe stato più spiccio e conveniente.
«I miei punti di riferimento non sono gli alberi! Ora capisco perché riesci a perderti con tanta facilità, sei completamente privo di senso dell’orientamento - Perona gli stava parlando dandogli la schiena e, mentre articolava le labbra, rigirava velocemente e costantemente il manico dell’ombrellino tra le mani, un gesto nervoso? Chissà - Sarebbe divertente se ti lasciassi solo in mezzo al bosco... Vorrei proprio vedere in quel caso come faresti ad uscirne senza di me. Mi stupisce persino pensare a come tu abbia fatto ad arrivare nella Rotta Maggiore, sei proprio un - » la ragazza non finì la frase, si voltò indietro per cercare lo sguardo dello spadaccino, le ultime parole gliele doveva dire guardandolo negli occhi mortificandolo efficacemente.

Zoro non c’era.
Niente spadaccino a destra o a sinistra.
Da nessuna parte, nemmeno la sagoma.
Incredibilmente scomparso dal suo campo visivo.
Questo non ci voleva. Ma non poteva essere andato molto lontano; per scovarlo, Perona pensò di seguire le sue impronte dal punto in cui queste non apparivano più al fianco delle proprie. Guardò a terra: finché le grandi tracce lasciate delle scarpe del pirata comparivano accanto alle sue, quelle più piccole, nessun problema, anzi, avrebbe potuto dire che lo spadaccino aveva un’andatura regolare, di passo marziale.
Però, cos’erano le altre impronte che sembravano iniziare svoltando a destra, poi tornavano indietro, proseguivano avanti e sparivano tra gli arbusti, per sbucare nuovamente fuori e prendere un’altra direzione?!
Un folle!
«Noo! Come farò a trovarlo se non si capisce da dove è partito?! – ululò la ghost-girl, intrecciando le dita spasmodiche tra i capelli – Stupido spadaccino, non solo mi lasci parlare da sola, ti permetti anche di sparire! Dove ti sei cacciato?! Cattivo! Cattivo!»



A parte qualche uccellino che le fece il verso, e le poche gocce di pioggia che picchiettavano leggere sul suo sull’ombrellino rosso; Perona non udì alcuna risposta.
Sospirò, rassegnandosi all’idea di doversi muovere alla cieca, fin quando, d’improvviso, sentì un ramo spezzarsi alle sue spalle.
«Whaaa!!!» il rilascio di un Hallow avvenne per  riflesso motorio; il fantasma per poco non colpì il tronco di un albero rischiando di provocare un’esplosione; ma filò via, verso l’alto fino a scomparire.
«Deve piacerti molto urlare» le disse Zoro, seguendo con gli occhi la direzione presa da quella specie di bomba spettro; il ragazzo era ricomparso alla stessa maniera con la quale era sparito. E non doveva essere lui a comportarsi come un fantasma, a giudizio di Perona.
La ragazza gli riservò uno tra gli sguardi più infuriati che possedeva, «Si può sapere perché ti sei allontanato?! Ti rendi conto del rischio che hai corso! Cioè, che ho corso. Avrei potuto non ritrovarti mai più!», difficile dire se parlava spinta dalla rabbia o dalla preoccupazione per le sorti del “cagnolino”, anzi, delle proprie sorti: in assenza del cane, lei sarebbe sprofondata di nuovo nella monotonia ammorbante che si viveva a Kuraigana. Una sventura che non doveva più ripetersi.
«Non esagerare, cercavo solo la strada per ritrovare le mie katana» le rispose lo spadaccino, squisitamente tranquillo.
«Ma tu non puoi saperla!»
«Infatti, la cercavo. Poiché tu l’hai dimenticata»
«Non l’ho dimenticata, te l’ho detto poco fa! Perché devi continuare a contraddirmi, ti costa tanto limitarti a seguirmi? Se non lo farai non riavrai mai e poi mai le tue spade!»
La voce della ragazza tuonò nelle orecchie di Zoro: “non riavrai mai le tue spade!”...

Pure? Ma è roba mia...
Ora basta.

«Ragazzina, inizio ad averne abbastanza, ci stiamo mettendo troppo tempo, a quest’ora avrei già dovuto iniziare il mio addestramento! La mia unica preoccupazione avrebbe dovuto essere quella di colpire Occhi di Falco! Non giocare con te a nascondino per recuperare cose che mi appartengono. Sono stufo!»
L’aveva fatta nera. Zoro era arrabbiatissimo.
«Pensi che io mi stia divertendo? – sì, lei si stava davvero divertendo – Credi che a me faccia piacere la tua compagnia? – assolutamente, avere quello spadaccino che le gironzolava intorno stava attecchendo bene da qualche parte nella sua testa, o in un altro posto sbagliato – Be’, ci vorrà il tempo che ci vorrà. Te l’avevo detto che il luogo è lontano dal castello. Se continuerai a tormentarmi ti abbandonerò qui per davvero. Così non inizierai mai il tuo tanto desiderato allenamento! Oh-ro oh-ro oh-ro!». Perona incorniciò la minaccia con la sua speciale risatina maligna, in tono con l’ambiente circostante.
Ma Zoro, più di lei, sapeva rendersi indigesto: «Guarda che se ti sei stufata di accompagnarmi puoi benissimo dirmi dove le hai nascoste e andartene senza sprecare altro tempo. Ci penserò io a trovarle. Grazie per quello che hai fatto finora. Non ho più bisogno del tuo aiuto».

Colpita.
Affondata.

Strappata via ad ogni sogno di felicità insieme allo spadaccino formato cane.
Con poche parole brevemente snocciolate, Zoro l’aveva fatta a brandelli.
Perona guardò lo spadaccino, era rimasta spiazzata: lui era un servo a cui non piaceva la sua compagnia, lui era un servo infedele, a lui forse non piaceva essere un servo.

Tragedia.

Che strano: quando gli obbligati orsacchiotti non erano contenti di stare con lei, a Perona bastava trapassarli con qualche Negative Hallow, e dopo bearsi guardandoli inginocchiati e supplichevoli.
Ma in quel momento, era sbocciata una mai provata attenzione verso i sentimenti del suo “nuovo giocattolo”, che aveva palesemente dimostrato di non tollerarla e non ricambiarla... ma ricambiare cosa, per l’esattezza?
Avrebbe potuto indirizzargli qualche fantasma contagia depressione per piegarlo alla sua volontà, eppure, Perona non ci riusciva, e non capirne nemmeno la ragione le donava ondate di nausea; la stessa nausea che avrebbe sentito se avesse assaggiato un muffin dall’aspetto appetitoso, scoprendo, dopo avergli dato un morso, che le protuberanze del mini dolcetto  non nascondevano frutti di bosco o zuccherosi canditi, ma disgustosi bigattini.

I suoi occhi neri si bordarono di rosso, allagati di lacrime che a stento la ragazza tratteneva sul filo delle ciglia lunghissime.
Zoro la guardava non capendone le intenzioni, ma intuiva che del pericoloso stava sobbollendo dietro quell’innocente aspetto di bimba troppo cresciuta.
Perona fece un passo verso di lui, un altro, e un altro ancora, troppo vicina; lo spadaccino indietreggiò appena, non fu sufficiente, lei lo afferrò per la camicia, ancorandosi a questa per gridare tutta l’aria che aveva trattenuto nei polmoni: «BRUTTO STUPIDO! Tu hai ancora bisogno di me! Tu devi per forza avere bisogno di me, perché solo io so dove sono le tue preziosissime spade! Chiaro?!?!».
Decifrato: tu sei il mio cagnolino ed io la tua padrona, obbedisci o niente pappa!
Lo strattonò per convincerlo a seguirla. Avesse avuto un guinzaglio, la ragazza lo avrebbe utilizzato volentieri.
Comunque, la sua reazione lasciò Zoro frastornato: egli s’aspettava qualche strana diavoleria, degna del frutto maledetto che la ragazza aveva mangiato, non un comportamento tanto puerile.
Ma per la prima volta, Perona non aveva schiavizzato alcun essere innocente per farne un comodo zerbino.

«E-ehi, ho capito, ma adesso lasciami! Non c’è bisogno di fare così, molla!» brontolò lui, mentre veniva tirato via. 
La ragazza insistette, lo strattonò forte fino a fargli saltare alcuni bottoni della camicia che Mihawk aveva prestato al pirata. Era lei quella che temeva di essere abbandonata.
Andò avanti così per diversi metri, ma quando alla Principessa Fantasma, girandosi un attimo indietro, le cadde l’occhio su uno dei pettorali glabri e d’acciaio del pirata, con allegata una catena di addominali, ella staccò le mani dalla morbida stoffa.
Arrossì, esplodendo di vergogna.


«Spero ti sarai calmata, guarda qua!» la rimproverò Zoro, mentre si riassettava infilando i lembi della camicia nella comoda haramaki verde, e spingendo nelle sottili asole i pochi bottoni rimasti. Quella peste doveva essere posseduta.

Ma Perona non gli rispose, era impegnata ad analizzare la gravità del proprio comportamento: tante volte aveva medicato il pirata, era abituata alla vista del torace nudo, tuttavia, medicare e spogliare non erano la stessa cosa, almeno per lei.
«Che c’è, perché ora mi fissi in quel modo?» le chiese Zoro, accorgendosi che la ragazza aveva assunto un'espressione tra l'imbarazzo e... oh, quei suoi occhi neri erano così intensi, inghiottivano qualunque cosa, ci si  poteva specchiare… E sì, c’era proprio lui lì dentro, solo lui.
Durò decimi di secondo, ma il pirata avvertì un brivido accompagnato da claustrofobia, calore e voglia di girarsi da un'altra parte per sfuggire ad una specie di forza magnetica che aveva avuto origine da quelle due grotte buie che erano le iridi di Perona.
È una strega...


Intanto, attorno alla stravagante coppia, che di tacito accordo aveva deciso di darsi tregua, s’era creata una insolita quiete, non si sentivano più neanche gli uccellini. Il cambiamento non passò indifferente allo spadaccino; Perona invece sembrò non farci caso: aveva ripreso a camminare strusciando la punta del suo ombrellino, chiuso perché era smesso di piovere, lo faceva oscillare sulla terra umida, lasciando tracce sinuose simili all’impronta segnata dal passaggio di un serpente.
No, oltre le stramberie di Perona, non poteva esserci nessuna minaccia nel bosco. Zoro aveva sconfitto tutti gli Humandrillus presenti sull’isola durante il tentativo di fuggire da questa per raggiungere il suo
disperato Capitano. Poteva però trattarsi di sopravvissuti che non avevano imparato la lezione, e si stavano nascondendo tra gli alberi per attaccare nell’attimo propizio; peggio per loro, perché lo spadaccino era pronto a massacrarli a mani nude. Sì, non era il caso di allarmarsi.

«Ragazzina, ti sei fatta finalmente silenziosa» per rompere la quiete, lo spadaccino iniziò a schernirla.
Perona non voleva dargli corda, ma ignorarlo completamente, come s’era promessa di fare neanche dieci minuti prima, le era impossibile.

«Evita di chiamarmi ragazzina»
«Perché, non lo sei? Non sei una ragazzina?» e Zoro stava scoprendo il piacere di prenderla in giro.
«La ragazzina si è presa cura di te e tra poco ti riporterà al castello»
«Brava, ma non prima di avermi consegnato le spade»
Perona alzò gli occhi al cielo, quelle non erano più spade ma un'ossessione per lui e un incubo per lei. Seguitò a camminare senza badare alla conformazione del sentiero; e fatto un passo, la terra franò proprio sotto i suoi piedi.
Non ebbe nemmeno il tempo di gridare.
Cadde giù.

Si sarebbe fracassata il grazioso visetto su una grossa pietra, magari battendo il naso o la fronte, oppure si sarebbe rotta qualche osso, di certo sarebbe stata una caduta dolorosa se Zoro non l’avesse tempestivamente afferrata e spinta su. Perona teneva gli occhi chiusi, in attesa dello schianto a terra, schianto che stranamente tardava ad arrivare e che, nella sua coscienza, andava a sovrapporre il concetto di caduta con quello di tepore: precipitare non era male, ci si sentiva insolitamente bene, era qualcosa di avvolgente, simile ad un abbraccio, uno di quelli che lei dava ai peluche che le erano stati negati a tradimento e di cui aveva estremamente bisogno.
Quando decise di riaprirli, la ragazza si trovò con la guancia appiccicata al petto scoperto di Zoro, su quella pelle abbronzata che la camicia non copriva perché era stata sbottonata strada facendo dallo spadaccino, il quale mal sopportava bottoni o zip, e che aveva costantemente caldo…
No, sbagliato, era stata lei, prima, quando lo aveva strattonato gli aveva fatto saltare via una fila di bottoni, quelli che avrebbero dovuto chiudere quel punto così attraente.
Sapevano di buono il corpo e le braccia forti che la stavano tenendo stretta, Perona ci aveva già fatto attentamente caso durante tutte le occasioni in cui lo aveva medicato, toccandolo anche; ma mai le era capitato di sfiorarlo col con le labbra, lasciandogli un involontario bacio lì, sul petto. 
E non era finita: si era aggrappata alla schiena di Zoro, intensamente, come quando stringeva  il suo orsacchiotto preferito, nonché servitore fidato, Kumacy. 
Lo spadaccino infatti avvertiva un leggero fastidio, provocato dalle unghie della ragazza che lo stavano praticamente arpionando. Oltre questo, Zoro non si sentiva scosso dalla situazione, o almeno mai quanto Perona.

Per la sua integrità mentale, se era rimasta, la ragazza capì di doverlo allontanare immediatamente, e ricorrendo ai suoi Hallow.
Si concentrò per evocarne alcuni, ma non comparvero, non riusciva a rilasciarli. Era bloccata dalle catene di quel l'abbraccio che pareva aver interrotto non solo il suo battito cardiaco ma anche il tempo.
«Chi è che doveva prendersi cura di me? A momenti fai un volo di due metri! Guarda avanti quando cammini… Ragazzina» la redarguì Zoro, rimproverandola una seconda volta.
Perona andò nel panico, i suoi poteri sembravano essere inaspettatamente spariti. Si scostò in malo modo da lui, dandogli una spinta. Zoro la lasciò andare, non aveva alcun motivo per continuare a starle appiccicato, l'aveva messa in salvo. Bastava.
«Sei tu che mi fai distrarre con le tue chiacchiere inutili! E comunque avrei potuto evitare di cadere anche da sola!» rispose lei, sulla difensiva. Per non guardare in faccia lo spadaccino e farsi scoprire in difficoltà,Perona andò a raccogliere l’ombrellino che nel frattempo le era caduto.
«A proposito – disse Zoro, buttando lo sguardo verso la profonda voragine che per poco non li aveva inghiottiti – là in fondo ci sono parecchi… crani?! E sembrerebbero tutti appartenenti ad esseri umani… In che razza di posto mi stai portando? Eh, strega?»
Ora che la fastidiosa caligine 
alzatasi a causa della terra che era franata si era diradata, era possibile vedere distintamente la profondità di quel burrone.
«Non chiamarmi neanche strega!»
«D’accordo, ma vieni a dare un’occhiata»
Perona si avvicinò circospetta, e non per quello che era lì seppellito, ma per calcolare le distanze che dovevano mantenersi tra lei e lo spadaccino.
Si sporse di poco, verso quell’orrore.
«È  Una fossa comune – sentenziò – Allora siamo vicini, guardati intorno, questo è un cimitero»
Con attenzione Zoro scrutò l’ambiente: erano circondati da pietre. Non ci aveva fatto caso finora, perché erano tutte coperte dalla vegetazione che le mimetizzava bene col resto della natura. 
Zoro ne aveva una proprio accanto a sé, il ragazzo strappò via foglie e radici per vedere meglio di che si trattava: anche se poco leggibili, poiché logorate dal tempo, delle incisioni marcavano la pietra con date, nomi ed epitaffi.
«Sembrerebbero delle lapidi. Un cimitero tra gli alberi… è strano» osservò Zoro.
«Potrebbero non aver avuto più spazio dove seppellire i morti, ti ricordo che quest’isola è stata colpita da una guerra che ha sterminato l’intera popolazione»
«Potevano liberarsene bruciandoli…» disse lo spadaccino, lui era un miscredente convinto.
«Probabilmente non era usanza di questo regno. Pensa, per anni gli alberi si sono nutriti dei corpi che sono stati qui inumati, e sai… ora che stiamo calpestando questa terra, riesco a sentire la loro anima penarsi»
Ad accompagnare le parole di Perona, una gelida folata s’alzò intonando un delicato frusciare di foglie; il vento raggiunse entrambi, girandogli attorno in un vortice che per un attimo sembrò riavvicinarli, come nell’abbraccio non voluto che si erano dati.
Un unico soffio di vento raggelante, niente altro.
Perona s’aggiustò un codino che minacciava di sciogliersi, era tranquilla e per nulla turbata se si escludeva la tachicardia post salvataggio e le labbra che si leccava credendo così di poter sentire il sapore della pelle dello spadaccino. Quest'ultimo, accanto a lei, riprese a camminare come se nulla fosse.

«Siamo arrivati, guarda! Guarda laggiù!» annunciò la ragazza, indicando un punto dove gli alberi si diradavano e lasciavano intravedere una zona sgombra e aperta, con al centro un edificio in rovina.
Di fronte a loro, una struttura si ergeva con fatica e sulla sua sommità si elevava una croce. 
Era una chiesa.
«Tu hai messo le mie spade là dentro?» chiese scettico Zoro, continuando ad osservare schifato l’architettura morente di uomini da tempo ormai morti.
«Certo, non lo trovi un luogo graziosamente oscuro e sicuro?! Prima che tu arrivassi, venivo qui a rilassarmi e cantavo per le anime dannate» gli rispose Perona, distendendo le labbra rosse e scoprendo due file di denti bianchissimi, in una mossa simile ad un sorriso, e facendo una sorta di piroetta su se stessa come se danzasse.
«Sì, da perfetto fantasma del castello… » la canzonò il pirata, era una fissa quella delle anime.
«Che cosa hai detto?!»
«Che questa catapecchia potrebbe crollare da un momento all’altro e tu… – Zoro si concesse un secondo di riflessione: no, non c’era tempo per arrabbiarsi ancora, l’avrebbe fatto dopo; le spade avevano l’assoluta priorità – cerchiamo di sbrigarci e andiamocene via»
«Perché? Hai paura di loro?»
«Loro chi?»
«Come, non li senti? I fantasmi! Loro ci osservano, e lo stanno facendo proprio ora»
«Non dire fesserie, è che non voglio perdere altro tempo» le rispose lo spadaccino, ma con una mezza verità. Perché a preoccuparlo c’era davvero qualcosa adesso, e non erano di certo i fantasmi: da quando avevano raggiunto il cimitero ed era calata quella calma eccessiva, Zoro aveva alzato la guardia, e a parte Perona e i suoi maledetti spettri, sentiva che in quel luogo c’era qualcun altro, ed era vivo. La sua non era stata solo una sensazione, non erano completamente soli.

Si avvicinarono alla struttura, davanti a loro un nartece, o quel che ne era rimasto, era costituito da quattro colonne unite da archi a tutto sesto; foglie di edera salivano tortili arrampicandosi su ogni pilastro, erano foglie di un verde tendente al petrolio e, in alcuni tratti, contrastavano vistosamente col poco del marmo rimasto bianco e immacolato – il resto delle colonne s’era ingrigito e portava ancora i segni di una sanguinosa battaglia – e il tetto, che avrebbe dovuto chiudere il portico, era riverso in pezzi sul vestibolo.
Entrarono direttamente all’interno della chiesa, passando dall’ingresso sfondato. Anche il soffitto della navata centrale era in parte crollato e le finestre ad ogiva, presenti su entrambi i lati della chiesa, avevano tutte le vetrate infrante, assumevano la forma di bocche urlanti dai denti rotti. Al rosone era stato riservato lo stesso destino: era spoglio, privo d'ogni fregio, e appariva come un semplice buco in una parete.
L' architettura era in gran parte pericolante, bisognava stare attenti passando tra le travi che pendevano dal soffitto, il quale doveva aver avuto una volta a capriate.
«Dobbiamo sorpassare il transetto ed entrare in quella porta sotto l’abside, fortunatamente non è crollato nulla altrimenti sarebbe stato impossibile recuperarle» rivelò Perona, ricevendo in risposta un grugnito di disapprovazione da parte di Zoro.
La porta cigolò, stanca di esistere e pronta a collassare come il resto di quel luogo fatiscente. Lo spazio in cui i due si infilarono era profondo e rettangolare, col soffitto inclinato e aperto con finestre a forma di losanga, dalle quali poteva inoltrarsi la flebile luce del giorno ormai vicino al suo decesso.
Addossati sulla sinistra, a corredare quella che sembrava una cripta, stavano in fila una decina di sarcofagi: erano tutti sigillati, tranne uno col coperchio in frantumi sul pavimento: la salma, che di sicuro il sarcofago aveva ospitato, non c’era più.
In quel luogo angusto l'aria era irrespirabile, densa, da graffiare la gola.
«Lì dentro», la ragazza fantasma indicò il terzo della fila, Zoro ci si fiondò come uno squalo su un grosso e sanguinolento pezzo di carne. Guardò incredulo l’interno della cassa, fino a quando non strinse tra le mani le spade che sembravano non voler più far ritorno dal loro padrone. Le afferrò delicatamente, come un padre affettuoso prenderebbe in braccio i propri bambini dalla culla. E le controllò una per una, prima la Shuusui, la spada nera, new entry presa direttamente dalle putrefatte mani del samurai Ryuma, ma dopo averlo sconfitto; successivamente, esaminò la spada maledetta Kitetsu, con l’hamon di tipo Hitatsura; ed infine, passò alla spada bianca: la Wado Ichimonji di Kuina, la sua spada, la loro spada, quella che non l’aveva mai abbandonato in nessun combattimento.
«Contento adesso?» domandò Perona, che si aspettava di essere ringraziata.
Ma il ragazzo non la degnò della minima attenzione, quella era rivolta completamente alle katana.
Il modo col quale Zoro trattava le spade attirò la curiosità della ragazza, che guardò lo spadaccino con molto interesse. Ella osservò bene come le riponeva attento nel fodero e s'accorse degli occhi adoranti che il ragazzo riservava loro, occhi di un innamorato. Occhi che Perona scoprì desiderare, avere solo per lei.
Divenne gelosa, invidiosa di quelle attenzioni riservate interamente alle spade e niente a lei. Si succhiò il dito indice per sfogare il fastidio che sentiva guizzarle dentro. Zoro non se ne accorse.
«Oh! Ora sì che mi sento più sicuro, adesso possiamo fare ritorno al castello!» annunciò soddisfatto lui, con di nuovo le sue fidate lame legate alla vita. Aveva ritrovato l'equilibrio, già sentiva di stare meglio, era scomparsa pure la stanchezza.

I due uscirono dalla cripta maleodorante, ed attraversarono con attenzione l’interno della chiesa che minacciava di sgretolarsi sulle loro teste.
«Merda! Non ce la faremo mai a tornare prima che diventi buio pesto!»
Esclamò Zoro, guardando il cielo che gravava su di loro come una calotta pronta a crollare, alla pari delle le rovine alle loro spalle; l’orizzonte aveva assunto le peculiari tinte rossastre della notte.
Di luce ce n’era poca, uno degli aspetti sfavorevoli dell'isola era proprio l'arrivo dell'oscurità: accadeva come se non vi fosse un tramonto, si passava dal giorno alla sera all'improvviso.
«Io non voglio passare la notte qui, andiamo via lo stesso!» disse la ragazza, avendo già intuito l’andazzo.
«Non avevi detto che ti rilassava questo posto?»
«Sì, ma non per dormirci! Io voglio un letto comodo!»
«Fattene una ragione, non possiamo tornare indietro. Cerchiamo un riparo dentro, anche se qui rischia di crollarci tutto addosso sarà certamente un riparo sufficiente»
«E perché? Hai paura di dormire all’aperto tra i fantasmi che ci circondano?»
«Basta con questa storia dei fantasmi, e poi qui l’unico fantasma sei tu»
«Ah ah, divertente! Ti ricordo che posso assumere l’aspetto di un fantasma quando voglio, ma adesso sono una ragazza in carne ed ossa a tutti gli effetti, non uno spettro!»
Si era infuriata, piuttosto, pareva che fosse rimasta offesa dalle parole di Zoro, il quale restò a fissarla: lo spadaccino non capiva che bisogno c’era di spiegargli le modalità e i poteri che le aveva donato il frutto Horo Horo, tanto per lui restava comunque una strega.
«Sì, come vuoi» accorciò Zoro, era un’altra la sua preoccupazione, qualcuno li stava osservando e offrirsi al nemico non rientrava nel suo codice di comportamento. L'intuito gli suggeriva di non muoversi durante le ore di buio.

Passando per la navata laterale di destra, rimasta quasi intatta, i due trovarono uno stretto corridoio che portava alle scale per raggiungere il campanile; stare in un punto alto, secondo Zoro poteva rivelarsi essere una buona postazione strategica.
Le scale sembravano ancora robuste, lo spadaccino e la ragazza fantasma salirono seguendo la spirale, gradino dopo gradino.
«Ma tu guarda dove mi tocca dormire, su queste assi di legno marcio!» esclamò Perona, appena arrivata in cima e dopo aver sondato l’ambiente. Davanti a lei c’era un’area quadrata col pavimento  in legno logoro, un parapetto che correva lungo tutto il perimetro del campanile e delle corde che pendevano dall’alto, quelle delle campane.
«Paura di strapparti le calze?»
«Smettila! Mi prude il naso, c’è tanta polvere
, qui è tutto così sudicio!»
«E dimentichi  i topi, i ragni… o gli scarafaggi che ti cammineranno addosso appena siederai a terra!» la avvisò maligno lo spadaccino.
«Sta’ zitto! Non è divertente!»
La ragazza si sentì svenire, gli scarafaggi le ricordarono un brutto episodio, accaduto con un altro elemento della ciurma di Cappello di Paglia, un certo naso lungo. Ancora tremava al pensiero di quello che le era riuscito a combinare. Era quasi morta di crepacuore, e con scarafaggi finti. Figuriamoci se ne avesse visto uno vivo!
«Io mi metterò qui - annunciò Zoro, scegliendo un angolo dei quattro disponibili – tu mettiti dove ti pare»
«Come se ci fossero posti in cui dormire!» osservò Perona, sdegnata.
«Non ti agitare, è colpa tua se ci troviamo in questa situazione, non ho scelto io di nascondere le spade dentro un sarcofago… Adesso fammi riposare, se ci ripenso m’arrabbio, grazie a te ho perso un giorno di addestramento».
La ragazza s’arrese e, avvilita, andò a sedersi dalla parte opposta rispetto allo spadaccino.
Inutile negarlo: anche se con qualche difficoltà, lei avrebbe potuto attraversare il bosco da sola e tornare al castello, dove la attendeva sicuramente  un morbido letto e un pasto caldo.
Eppure, l’idea di allontanarsi da lui la agitava: lo spadaccino aveva di nuovo le sue spade, fine del gioco; per questo Perona non voleva andarsene, a costo di affrontare insetti e acari, voleva ancora bearsi della sua compagnia.
E c’era anche un’altra questione in sospeso: la ragazza non riusciva a capire per quale motivo i suoi poteri avevano fatto cilecca, stentava a credere che fosse solo colpa della presenza dello spadaccino, cioè, del suo abbraccio. Ma pur sapendo che la pratica l'avrebbe mandata in paranoia, stranamente, voleva essere nuovamente stretta. Perché aveva scoperto che fare lei la parte dell’orsacchiotto non era niente male.
In preda alle riflessioni, Perona tentò di trovare una posizione che le desse la parvenza di stare comoda.
Provare a sdraiarsi? Neanche morta, aveva il terrore che i suoi lunghissimi capelli divenissero luogo di escursione per insetti e punto d’approdo di tutta quella polvere che sentiva andarle nei polmoni ad ogni respiro.

«Niente letto, mi fa male la schiena… Uffa, io non ce la faccio a stare così, e ho anche freddo!»
«Ohi, non iniziare a lamentarti. Dobbiamo solo attendere che torni un po’ di luce, non c’è bisogno di disperarsi» come sempre, Zoro aveva poca voglia di sentirla frignare.
«Come fai ad essere così tranquillo? Quasi ti invidio»
Ma lo spadaccino non lo era, sapeva che quella cosa avrebbe approfittato dell’oscurità per attaccarli.

Passarono trenta minuti di farfugliamenti insopportabili, mixati da sospiri e brontolii di uno stomaco affamato. L’origine di quella discoteca era Perona.
«Di’ un po’,  come hai scoperto questo posto? Credevo non ci fosse nient’altro rimasto in piedi oltre al castello» le chiese lo spadaccino, pensando che conversare normalmente potesse essere un diversivo per distrarla.
«Te l’avevo già detto, ma tu non mi stai mai a sentire, lo scoprii quando ero sola, e non avendo nulla da fare me ne andavo in giro per l’isola»
«Davvero? E non avevi paura di essere attaccata da quelle scimmie selvagge?»
«No, usavo il mio spirito per muovermi e quando sono un fantasma divento intangibile.»
«Ah, giusto… Però, sei proprio strana, una mocciosa mezza fantasma…»
«Guarda che adesso sono una ragazza! – in quel momento a Perona balenò per la testa di farsi testare dallo spadaccino, lei era tutta tangibile, ma ricacciò subito a calci l’idea, che oscenità le era saltata per la testa? – Comunque, lo strano sei tu: fossi in te, non sarei contenta se avessi capelli come i tuoi, non sono per nulla carini, sembri un muschio»
«Non ti piacciono i miei capelli? E io che credevo ne andassi pazza!»
Zoro sorrise, quello che gli aveva appena detto la ragazza sembrava uscito direttamente dalla bocca di un cuoco idiota di sua conoscenza.
«Illuso, non ci trovo niente di bello in te: sei sgraziato, maleducato e anche ottuso. No, non mi saresti utile nemmeno come servo» la ragazza abbellì tutto con una linguaccia; che lo spadaccino non vide.  
In verità, Perona gli aveva detto parecchie bugie: tra le tante voglie e curiosità che provava nei confronti di Zoro, c’era anche quella di infilare le dita tra quei suoi insoliti capelli verdi, per verificare se fossero veramente morbidi come la stoffa di un peluche.
«Quindi non mi vuoi… »
«No, non ti voglio!»
«Be’ora che ci penso, devo ritenermi fortunato, perché io non potrei mai stare insieme ad una ragazzina piagnona e viziata come te!»

Crash!

Era forse crollato qualcosa?
Perona credé di aver udito il rumore di un oggetto molto pesante rovinare a terra. D’istinto guardò se il pavimento su cui era scomodamente adagiata fosse ancora sotto di lei; ed era lì, il suo sedere glielo confermava dolente. No, doveva essersi rotto qualcosa di più vicino, di più interno e che pulsava forte… Ma certo! Era il suo cuore quello che aveva subito un colpo e, difatti, le stava facendo male. Come se qualcuno  stesse lì a spremerlo.
Però, faceva fatica a ricordare, non capiva, cosa era accaduto?
Tentò di riavvolgere il nastro, rewind: dunque, lo spadaccino aveva ripreso le odiose sciabolacce… No, troppo indietro, doveva essere successo dopo. Ah, ecco:  aveva detto allo spadaccino che non gli piacevano i suoi capelli, il suo comportamento e che non lo avrebbe mai voluto nemmeno per usarlo come schiavetto.

“… Non potrei mai stare insieme ad una ragazzina piagnona e viziata come te!”

Ora Perona ricordava, sentì immediatamente pungere la punta del proprio naso e gli occhi irritarsi. Due lacrime gocciolarono giù, bruciandole le guance. 
Sotto l’aria tetra e il carattere insolente, Perona in verità era tenera come spezzatino. Le parole di Zoro l’avevano ferita terribilmente.
I cani potevano anche mordere, e lei stava sanguinando.
Non pensò che forse Zoro aveva semplicemente ricambiato gli stessi complimenti che lei non si era risparmiata di rifilargli; purtroppo, in quelle parole, la ragazza ci sentiva del vero.
Lei era una ragazzina, piangeva e faceva i capricci. E a lui non piaceva.
Era finita.

Non sentendola più, lo spadaccino pensò che quel diavolo di ragazza fosse crollata dal sonno. Ignaro di essere la causa del suo silenzio, Zoro appoggiò la fronte contro le katana per riposare anche lui. Ma non avrebbe dormito, non poteva, il pericolo stava venendo a cercarli.

 

“'Til the riegn of sleep again
Without sight we wander through the haze of this dark land
To the fields and seas again
Without sight she wanders through the haze of this lost land


˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
Dopo secoli, riprendo in mano questa storia lasciata in sospeso; specifico che questo e i prossimi capitoli erano già stati abbozzati almeno tre anni fa, ma mai corretti, mai sistemati. Finiti nell’archivio del mio pc. Le cause sono state molteplici, e non starò a giustificarmi. Chiedo solo scusa a tutti i lettori e recensori che in passato manifestarono interesse nei confronti del racconto, e spero che questo quarto capitolo, forse troppo lungo, ma necessario, non li abbia delusi e che abbiano ancora voglia di seguirmi.
Ringrazio ovviamente i nuovi che leggeranno la storia, spero avrete tempo e piacere di recensirla.
Due paroline per Perona: io sono convinta che lei abbia la propensione al melodramma. E farla soffrire mi diverte. ^_^
La canzone scelta per questo capitolo appartiene ai Bella Morte – The Quiet da ascoltare qui se vi va: LINK
L’illustrazione ad inizio capitolo l’ho fatta io, a proposito, se vi servisse qualcuno che faccia un’immagine per la vostra storia, qualora vi piacesse il mio chiamiamolo stile, provate a contattarmi, se non sono impegnata magari potrebbe nascere una qualche collaborazione proficua, e io potrei anche divertirmi.

Vi segnalo anche le altre mie FF pubblicate.
Questa è fresca e in corso, siamo solo al primo capitolo:

Loverman…
Sanji non avrebbe mai dovuto provarlo, non avrebbe mai voluto scoprirlo, non avrebbe mai dovuto desiderarlo. Anche la più piccola mancanza di volontà verso se stessi è ripagata con un tormento peggiore; a meno che si accetti la propria natura.
Consiglio: lasciate perde’ sto trip di parole, buona lettura.

Pubblicata: 15/08/16 | Aggiornata: 15/08/16 | Rating: Arancione
Genere: Angst, Introspettivo | Capitoli: 1 | In corso
Tipo di coppia: Yaoi | Note: Nessuna | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Mugiwara, Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
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L’impensabile inaspettato (Zoro/Sanji)
Sanji ha un impellente problema. Zoro… beh, lui fa quello che può.
One Shot che disturba persino chi l’ha scritta, attenzione alle note.
E a voi la lettura.

Pubblicata: 03/11/13 | Aggiornata: 03/11/13 | Rating: Rosso
Genere: Angst, Introspettivo | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Yaoi | Note: Lime | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Nico Robin, Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro

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Ultime previsioni prima di Dressrosa
(Rufy/Nami/Trafalgar Law)
Meno di un giorno all’arrivo sulla prossima isola. A bordo della Sunny chi può si riposa, altri non dormono: si incontrano casualmente, o per mistico volere.
Una One Shot breve e indolore, e con i personaggi IC; però spetta a voi valutarlo.
Buona lettura.

Pubblicata: 20/10/13 | Aggiornata: 20/10/13 | Rating: Giallo
Genere: Sentimentale | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Het | Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Personaggi: Monkey D. Rufy, Nami, Trafalgar Law | Coppie: Rufy/Nami

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