Curami di Pandroso (/viewuser.php?uid=534233)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Dorme, fortunatamente. ***
Capitolo 2: *** 2. Non volevo fargli del male! ***
Capitolo 3: *** 3. Onore di spadaccino; ci sarà da camminare. ***
Capitolo 4: *** Una coppia e tre spade ***
Capitolo 1 *** 1. Dorme, fortunatamente. ***
Curami
̴ 1.
Dorme, fortunatamente.
“Forse
io parlo forte e leggo il
libro della morte,
forse qualcuno mi ha insegnato la paura,
forse è l’amore, forse è
l’amore.
Forse mi vesto poco e lascio libere le gambe,
forse qualcuno vuol vedere nel mio cuore,
forse è l’amore, forse è
l’amore.
Sull’isola Kuraigana il cielo era rossastro e graffiato da
nubi nere; non
c’erano stelle da ammirare né occhi che potessero
o volessero goderne lo
splendore.
L’antico regno di Shikkearu era caduto sotto i colpi di una
devastante guerra
che aveva bagnato di sangue la terra e impregnato l’aria di
fumo e odore di
morte. Nulla era scampato alla barbarie compiuta dagli uomini,
ogni cosa
era andata distrutta.
L’ambiente stesso sembrava voler tentare di dimenticare al
più presto
l’accaduto, ricoprendo le rovine di brulicante vegetazione ed
obliterando tutto
con una lieve coltre di bruma.
Solo un vetusto castello era scampato alle battaglie, ostinato a non
cedere al
trascorrere del tempo e alle intemperie, era l’unica e
l’ultima traccia che
testimoniava l’esistenza di un regno che era stato.
Da alcuni anni, però, il vecchio e signorile maniero era
diventato dimora di
uno tra i pirati più pericolosi che solcavano i mari;
precisamente dello
spadaccino migliore al mondo: Drakul Mihawk detto Occhi di Falco; e
improvviso
punto d’accoglienza per altre due persone molto meno note ma
non altrettanto
meno pericolose.
***
Perona
era arrabbiata, annoiata e parzialmente
infelice se paragonava i giorni passati in compagnia di Gekko Moria con
quelli
che stava trascorrendo al ritmo di una clessidra otturata in
quel
castello umido, atro e dall’aspetto minaccioso…
come piaceva a lei.
Era stata silurata senza troppi complimenti in un posto che
sì, le si
confaceva… ma era anche stata privata di devoti servitori,
di orsetti graziosi
da strapazzare e di cioccolata calda.
A tal disgrazia s’erano aggiunti bizzarri arrivi: il primo,
inviato nel
medesimo modo in cui era stata catapultata lei, era lo spadaccino della
ciurma
di Cappello di Paglia; il secondo, arrivato di sua spontanea
volontà, era
anch’egli uno spadaccino ma crudele, dispotico e privo di
humour. Un tedio infinito.
Inoltre, entrambi davano segni di insofferenza nei suoi confronti; al
punto da
indurla a pensare che qualsiasi uomo con spada alla mano ce
l’avesse con lei.
Anche se non poteva dirsi più sola, la sua era davvero una
condizione
frustrante.
E così, rabbiosa verso il destino avverso che le era stato
riservato, se ne
stava stravaccata su una poltroncina situata nel salotto del castello;
con la
testa appoggiata alla mano destra, lo sguardo fisso al pavimento e un
dito
indice che giocherellava con qualche ciocca dei suoi capelli rosa.
«It isn’t very good in the dark dark
wood… », cantare la rilassava e si stava
impegnando a dare alla filastrocca l’intonazione perfetta per
una nenia
funebre, «In the middle of the night, when… there
isn’t any light» però durò
poco.
«Ah basta! Basta! Sono stufa di vivere in questo posto con
persone inutili!
Nessuno che si preoccupi per me, nessuno che mi porti la merenda e
niente
giocattoli! Solo quei brutti musi imbronciati… Ma
perché?!», urlò così forte
che i suoi capricci riecheggiarono tra le mura del castello,
tanto da far
scomodare il padrone di casa. Il quale comparve immediatamente.
«Ragazza fantasma, non t’avevo detto di badare a
qualcuno?» Mihawk si presentò
nel salotto con aria seccata e un bicchiere di vino rosso pieno per
metà, che
egli faceva lentamente roteare con la mano.
Perona lo scrutò indispettita «… E io
ti ho detto che non prendo ordini da
te!», gli rispose abbozzando una mezza linguaccia. Lo
spadaccino sorrise, avere
una bimba capricciosa e un ragazzino presuntuoso in quella che era
divenuta la
sua casa, si stava rivelando un inaspettato diversivo… a
volte spassoso.
«Sì, ricordo, ma anche tu dovresti ricordare i
nostri patti: se vuoi rimanere
qui, devi dare una mano».
Abbattuta. Non ci fu altro da aggiungere, la vide gonfiare le guance
stizzita e
incrociare le braccia.
«L’ho lasciato al caldo sotto le coperte, fasciato
come un fagotto… contento?»
«Bene, allora torna a vedere come sta, se le sue condizioni
peggiorassero e
prendesse un’infezione avresti più lavoro da fare,
non credi?».
Occhi di Falco terminò il rimprovero distendendo lievemente
le labbra con la
soddisfazione della vittoria, poi se ne tornò nella stanza
adiacente al salotto
per dedicarsi meglio al suo vino.
«Questo si chiama ricatto!» gli gridò
contro la ragazza, ma ormai lui se
n’era andato.
«Uffa! Tornerei volentieri a Thriller Bark, però
lì non c’è più nessuno ad
attendermi e forse Moria-sama è morto…
horo-horo-horo».
Uggiosa e arresa, s’alzò per raggiungere la camera
dove era stato sistemato
Zoro. Inevitabilmente pensò a lui, al giorno che era
arrivato, alle terribili
ferite che aveva e che, in un primo momento, l’avevano fatta
esultare
allietandole un pizzico della sua vendetta ma che, dopo
averle osservate,
l’avevano anche inorridita stimolando la sua coscienza ad
aiutare un moribondo;
che di certo sarebbe morto senza il suo intervento.
E ricordava chiaramente anche cosa le era successo: salvarlo
l’aveva fatta
sentire insolitamente bene; una strana sensazione che tuttora non
riusciva a
nascondere e spiegare nemmeno a se stessa.
Perona era una peste di ragazza, egoista e graziosamente sadica;
tuttavia…
Raggiunto
il corridoio che la portava da Roronoa,
s’avviò verso l’ultima stanza e
già da lontano i suoi nervi cominciarono a
contrarsi: la porta che lei aveva lasciato chiusa non lo era
più, stava aperta
per metà.
Varcata la soglia, e immersasi nell’oscurità
tagliata solo dalla flebile luce
proveniente dalle candele del corridoio, vide, anzi, non
riuscì a vedere
nessuna sagoma di ragazzo antipatico adagiata sul letto.
Il drappo scuro che copriva la finestra non faceva trapassare nemmeno
un filo
di luce – e questa sarebbe stata comunque leggera,
poiché il cielo di
Kuraigana era plumbeo giallognolo di giorno e rosso cupo di notte, e
dava sempre poco spazio alla luna e al sole
– così avanzò alla cieca,
cercando di raggiungere il letto per tastarlo alla ricerca di qualcosa
che
magari non era riuscita a distinguere. Nel farlo inciampò,
cadendo
rovinosamente a terra.
«Ahi, che male!».
Si alzò subito in piedi; aveva incespicato i suoi passi su
qualcosa che al buio
appariva solo come un’ombra dalla forma indefinibile e dallo
strano odore;
particolare, questo, che le ombre non potevano avere.
Corse a prendere una candela dal corridoio e, rientrando nella camera,
illuminò
la causa dell’inglorioso capitombolo che le aveva indolenzito
il sedere.
Era lui: sdraiato su un fianco e con il braccio destro sopra la testa;
dormiente all’apparenza.
«Bravo, devi esserti alzato da solo senza chiedere
aiuto… ed ora eccoti qui.
Meriteresti di essere lasciato a marcire sul pavimento».
Ma la ragazza in fondo aveva buon cuore, o forse era il ricatto di
Mihawk a
fare maggiore leva su di lei; tant’è che, poggiata
la candela sul comodino
accanto al letto, si chinò per raccogliere lo spadaccino dal
pavimento. Pesava
da morire; subito le tornò in mente la faticaccia che aveva
fatto per portarlo
al castello, «Questa me la paghi, e pure l’altra, e
tutte quelle che
verranno!».
Compiuta la missione impegnativa, arrivando al bordo del letto ed allo
stremo
delle forze, per issarlo su, se lo fece cadere accidentalmente addosso
e iniziò
a squittire quasi fosse stata assalita da uno sciame di insetti.
Veloce si dileguò da sotto il corpo dello spadaccino; e
mentre stava per
alzarsi allo scopo di raggiungere una distanza di sicurezza, un braccio
fasciato come quello di una mummia l’afferrò per
riportarla giù.
La sua coroncina con la croce nera cadde rotolando sul pavimento.
Immobile,
terrorizzata, e ora incapace di fiatare,
valutò la situazione: il suo corpo era perfettamente sopra
quello dello
spadaccino; riusciva a percepire tante cose sotto di lei, come ad
esempio il
petto di Zoro che si abbassava ed alzava lentamente ad ogni respiro
– a
differenza del proprio che era pressappoco statico, non riusciva
più ad inalare
ossigeno – il calore del suo corpo, da farle sembrare di
essere distesa su
carboni ardenti, e voluminosità di muscoli bene allenati un
po’ ovunque. E
c’erano anche il braccio che l’aveva
acchiappata, e che ora le stringeva
le spalle, e il respiro di Zoro che le sfiorava la frangetta e una
parte di
fronte scoperta.
Tremando come se stesse sforzandosi di reagire ad una forza che la
teneva
bloccata, alzò il viso per vedere se fosse sveglio
e se le avesse
fatto un brutto scherzo; pronta, se così fosse
stato, a cavargli gli occhi
con le unghie.
Zoro dormiva, teneva le palpebre serrate e, lei avrebbe volentieri
evitato di
farci caso, aveva un po’ di saliva pronta a colare
dall’angolo della bocca.
Nessuna marachella, lo spadaccino aveva reagito inconsciamente
muovendosi nel
sonno.
La ragazza si strusciò lentamente su di lui per
liberarsi dall’abbraccio
sonnambulo, stando attenta a non svegliarlo; nel mentre, si diede
un’occhiata e s’accorse delle proprie
condizioni: la gonnellina rossa
merlata era salita a scoprire l’ultima fettina di coscia e
qualcosa che stava
più su.
In altre circostanze non le sarebbe importato nulla, ma in quel momento
venne
pervasa da una fiammata di vergogna.
Con la mano passò veloce a tirarsela
giù, poi, attenta, riportò lo sguardo
sul viso di Zoro e credé di morire.
Lo spadaccino aveva aperto gli occhi: le palpebre pesanti li riducevano
a due
fessure sottili, ma il bagliore della candela riusciva lo stesso ad
illuminargli le iridi, che lanciavano piccoli lampi di verde. Con la
tipica
faccia da assonnato, lo spadaccino aveva un’espressione in
bilico tra la
curiosità e lo scazzo.
“Forse
ho preso un cane che non è
del tutto buono,
forse domani mi tormenta e lo perdono,
forse è l’amore, forse è
l’amore.”
˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
Qui parla l’autrice:
innanzitutto vi ringrazio anche solo per aver dato
un’occhiata a questo inizio,
però mi piacerebbe leggere le vostre impressioni.
So che la coppia Perona/Zoro non piace a molti (personalmente
preferisco
Tashigi, è l’unica donna con la quale lo
spadaccino ha un legame “diverso”,
pure se è solo per via della somiglianza con
Kuina… No, c’è di più!
C’è una
lotta di ideali contrapposti, niente di meglio per unire due persone!
^^) ma i
due anni trascorsi insieme, loro due con Mihawk, mi hanno fatta
fantasticare. E
va bene che Zoro si stava allenando però è stata
Perona a prendersi cura di
lui, sempre, fino ad accompagnarlo al luogo dell’incontro con
il resto dei
nakama. Insolito per una egoista come lei, non credete?
Comunque, mi sforzerò di mantenere l’IC,
sennò sforiamo e non c’è più
gusto, e
tenterò di rendere plausibile un possibile
accostamento dei due, perché
ammettiamolo: lo spadaccino tutto pare fuorché interessato
alla gnocca. -_-
Ecco perché non diniego lo yaoi quando
c’è lui. Zoro ti piace il picchio,
confessalo! ^^
Le righe iniziali le ho scritte cercando di riassumere i pezzetti e i
bocconi
con i quali viene descritta l’isola nel manga, voglio essere
fedele quando
posso.
La piccola filastrocca che ho fatto cantare a Perona, appertiene a un
vecchissimo personaggio: Golliwog. Trovata in una delle storie per
bambini di
un altro vecchissimo personaggio: Noddy.
Quel versetto credo abbia terrorizzato generazioni di bimbi
inglesi… ma a noi
che importa.
Le strofe che aprono e chiudono il capitolo, invece, sono alcuni versi
di un
brano dei Sick Tamburo “Forse è
l’amore” e se volete potete ascoltarlo qui.
Attendo vostre recensioni. =)
Pandroso.
EDIT
del 21/09/13: ho aggiunto l’immagine a capo del capitolo. Un
mio
disegnino. ^_^
|
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Capitolo 2 *** 2. Non volevo fargli del male! ***
Curami
̴
2.
Non volevo fargli del male!
“There was a little girl, who
had a little curl
right in the middle of her forehead
and when she was good, she was very, very good
but when she was bad, she
was...”
Perona non avvertiva più i propri battiti cardiaci: Zoro si
era svegliato e la
stava guardando come se ad avere torto in quella situazione
così poco
conveniente fosse lei e non lui.
Il braccio colpevole che l’aveva afferrata, unica prova a suo
favore, non la
stringeva più; lo spadaccino l’aveva mosso per
andare a grattarsi la
testa.
Solo lei era rimasta equivoca: con una coscia che attraversava le gambe
del
pirata, un braccio cha pareva abbracciarlo e il seno sinistro
schiacciato
contro quel petto che lei stessa aveva fasciato ore prima.
«C-che stai facendo?» domandò Zoro con
voce roca, deglutendo e asciugandosi con
la mano il rivolo di saliva che stava per scendergli sul mento. Lo
spadaccino
sentiva di stare poco bene, un enorme mal di testa era iniziato in
concomitanza
al suo risveglio; il perché della presenza di Perona sul suo
letto occupava
ovviamente l’ultimo dei suoi problemi, anche se non gli era
sfuggita la
leggerezza del corpicino snello della ragazza. Ma passati tre minuti,
in attesa
di una risposta o reazione da parte di Perona, egli decise che il tempo
a
disposizione per lei era scaduto. Con una mano le afferrò la
spalla per
spingerla delicatamente via dal suo corpo ferito.
Il gesto innocente si tramutò nello scatto di un
interruttore; Perona reagì al
contatto come se fosse stata investita da una scarica elettrica,
«Whaaa!!! Non
toccarmi!!! Toglimi subito quella manaccia di dosso!!!» gli
gridò contro,
schizzando lontano da lui e raggiungendo una distanza sufficiente per
non
essere acciuffata di nuovo.
Zoro, che di certo non adorava le sue urla, diventò anche
lui isterico.
Sentirsi accusato di colpe che non aveva lo mandava su di giri, inoltre
l’imputazione era gravissima: lo degradava allo stesso
livello del cuoco
pervertito!
«Sei impazzita?! Eri tu quella sdraiata su di me! Se
c’è qualcuno che deve
lamentarsi quello sono io!» ribatté convinto delle
proprie ragioni; nel
frattempo si sedette sul bordo del letto, meglio aspettare
ancora un po’
prima di alzarsi in piedi con il mal di testa che aveva.
Perona, invece, era talmente nervosa che, nel tentativo di cancellare
ogni
contatto avuto con lui, sistemava i propri vestiti con tale enfasi che
pareva
stropicciarli.
«Te la giri come ti pare, eh! Sei bravo ad allungare le mani
sulle ragazze e a
far finta di niente!».
Continuò lei, non aveva voglia di lasciare nulla in sospeso,
era rimasta ferita
nell’orgoglio e mai si era sentita così in
imbarazzo.
Lo spadaccino a quell’affermazione sbarrò gli
occhi al limite della
pazienza.
Cosa stava cercando di inventarsi quella tipa?
«Te lo ripeto un’ultima volta: eri tu che mi stavi
addosso! Io ti ho
semplicemente spostata, non ti ho toccata con nessun’altra
intenzione… E mai mi
sognerei di farlo!».
L’ultima parte della frase ebbe un pessimo effetto sulla
ragazza, ella se
ne sentì offesa ma senza capirne il motivo.
«Zitto! Se non ti fossi alzato e non fossi caduto a terra io
non sarei stata
costretta a riportarti a letto, e nonostante ti abbia
aiutato… nemmeno mi
ringrazi e cerchi di allungare le mani su di me dandomi pure la colpa!
Tu sei
una persona cattiva!».
Era partita, inutile tentare di fermarla, frignava peggio di una
bambina;
difficile comprendere le parole che buttava fuori a squarciagola. Zoro
stesso
constatò di essere impotente di fronte alla situazione che
nel giro di poco
tempo gli si era combinata sotto gli occhi, si sforzò solo
di ricordare cosa
fosse accaduto prima di svegliarsi e trovare su di sé questo
strazio di
ragazza.
«Hai ragione – fece d’un tratto con
cipiglio serio – è vero, mi sono alzato per
andare in bagno ma al ritorno devo essere svenuto. Mi
dispiace.»
«E queste sarebbero le tue scuse?!» chiese Perona,
sconvolta da tanta
nonchalance.
«Non mi sto scusando, ho solo detto che mi
dispiace. Mica te l’ho
ordinato io di riportarmi a letto, quindi finiscila di
lamentarti».
Alla ragazza cominciarono a prudere le mani, i suoi mini Hollow avevano
tutta
l’aria di essere una giusta punizione contro quella sfrontata
mancanza di
rispetto.
«Ma io devo prendermi cura di te, non hai il diritto di
muoverti se non ci sono!».
Lo spadaccino stufo di averla ancora davanti agli occhi, in risposta,
prima le
sbadigliò in faccia poi non si risparmiò di
rinnovare la sua scarsa galanteria:
«D’accordo, visto che ti preme tanto la prossima
volta mi accompagnerai in
bagno e mi darai una mano con alcuni bottoni… che ne
dici?» concluse
mostrandole una delle sue peggiori smorfie beffarde.
«Dico che sei disgustoso, e odio te come odio
quell’altro maleducato di
Mihawk!».
Il pirata scoppiò in una fragorosa risata, in fondo la
mocciosetta sapeva
essere divertente a suo modo.
«Comunque non preoccuparti, ora mi sento meglio. Piuttosto,
aiutami a togliere
queste garze, mi danno prurito, non le sopporto
più!».
C’era da impazzire, aveva cambiato argomento e pretendeva di
essere aiutato
subito dopo averla canzonata; ma Perona sapeva riprendersi in fretta.
«Fermo lì, non sei ancora guarito! E non toccare
quelle bende, ci ho messo un
secolo a fasciarti e non è ora di cambiarle!»
disse perentoria. Ma Zoro faceva
orecchie di mercante: si era alzato in piedi e sbracciava nel tentativo
di
sciogliersi la matassa di fasciature che sentiva soffocarlo; alcune era
riuscito a strapparle via, gli penzolavano dalle braccia come lembi di
pelle
morta.
«Tranquilla, mi basta dormire, ormai mi sono ripreso. Voglio
cominciare subito
l’addestramento».
Fu un’affermazione azzardata, i capogiri non gli erano ancora
passati, ma
l’idea di confrontarsi con Occhi di Falco lo rendeva tanto
impaziente da fargli
sottovalutare le sue condizioni. Convinto di sé, si mosse
per la stanza alla
ricerca delle sue preziose katana. Non vedendole in nessun angolo;
né
nell’armadio né dietro la tenda né
sotto il letto e né sopra o in qualsiasi
altro mobile all’interno della camera; iniziò a
sospettare che la mocciosa
gliel’avesse fatta di nuovo.
Sì, ricordava limpidamente la prima volta che aveva aperto
gli occhi dopo
essere stato spedito sull’isola Kuraigana da Bartholomew
Kuma: si era svegliato
completamente imbalsamato ed accanto al suo capezzale aveva trovato
quella
lugubre ragazza, ma non le sue spade…
Un’esperienza traumatizzante, e che
fatica per farsele restituire!
Purtroppo non si sbagliava, la sentì fare lo strano
versaccio.
«Horo-horo-horo… Alzati, levati le bende, fa come
credi, tanto senza spade
potrai combinare ben poco».
Lo spadaccino si girò di scatto verso di lei,
«Ladra! Le hai rubate un’altra
volta?!», era avvelenato.
«Stai calmo, non te le ho rubate, le ho soltanto prese in
custodia».
Al pirata stava venendo davvero voglia di metterle le mani addosso, ma
per
strozzarla, cos’era ‘sta storia della custodia?!
«Se ancora credi che voglia attaccarti ti stai sbagliando! Te
l’ho già detto,
tu non sei il mio obbiettivo. Quindi rendimi le mie spade
immediatamente!» le
ordinò deciso.
Sfortunatamente per lui, alla ragazza fantasma cominciava a piacere
quella
situazione. Perona sentiva di averlo di nuovo in pugno, ormai era
assodato: le
sciabolacce erano il punto debole dello spadaccino.
«Ah ah, non è per questo che te le ho
prese... ma puoi star sereno, le ho
conservate come si deve in un posto oscuro che nessuno conosce. Sono al
sicuro». Finì sorridendo macabramente come lei
sapeva fare.
A Zoro non piacque nulla di quanto udito, «Senti, non mi
interessa per quale
bastardo motivo ti sei azzardata ancora una volta a mettere le mani
sulle mie
spade. Sono stanco dei tuoi giochetti, restituiscimele!» e
così dicendo avanzò
verso di lei, senza sapere cosa diavolo avrebbe potuto farle; tutto gli
si
poteva toccare ma non le spade.
Avvertita la minaccia, Perona liberò istintivamente un paio
dei suoi Hollow
esplosivi; Zoro non riuscì ad evitarli
e… Boom!
Fumo, tosse, e insulti ringhiati provenienti dallo spadaccino,
riempirono la
stanza.
«Quando ti dico che sono al sicuro devi fidarti di
me» rimarcò la ragazza.
«Mocciosa, perché me le hai prese?»
chiese ancora Zoro, ma stavolta con un tono
che rasentava il sussurro nervoso.
«Per ordine di Mihawk, ha detto che finché non ti
sarai ripreso del tutto non
devo restituirtele».
Intanto il fumo si era diradato e la ragazza poté vedere lo
spadaccino
sorreggersi al muro, appoggiandosi ad esso con una spalla.
L’attacco era stato
più devastante del previsto, come pensava non era affatto
guarito ed era ancora
troppo debole. Ma quando s’accorse che del sangue stava
colando dalla fronte
del ragazzo, imbrattandogli mezza faccia e peggiorando la sua
espressione già
truce di per sé, le venne un tuffo al cuore.
«E da quando ti piace prendere ordini da lui?
» domandò Zoro, sforzandosi
di non dare a vedere di provare dolore per il colpo appena subito.
La ragazza più lo guardava più si sentiva
inghiottita dai sensi di colpa per
ciò che aveva fatto, ma ebbe il coraggio di rispondere:
«Mi ha ricattata».
Decisamente no, non era quello che voleva dirgli, le parole giuste, non
adatte
a lei ma giuste, erano “lo faccio per il tuo bene,
perché tu sei uno stupido
spadaccino”; tuttavia queste le rimasero annodate
in fondo alla gola.
«Perfetto, siamo entrambi insetti nella sua rete, si sta
divertendo… Dovrei
andare da lui e spaccargli la faccia.» disse Zoro a denti
stretti, poi si
staccò dal muro per andare ad infilarsi le scarpe ed uscire
dalla stanza. Aveva
urgente bisogno di prendere una boccata d’aria, la sua testa
minacciava di
sputargli il cervello fuori dalle orecchie.
«Dove stai andando? Non vorrai-»
«Sta’ zitta! Non sono così stupido da
attaccarlo, e per giunta senza spade…
Sarà il mio maestro, devo rispettare le sue decisioni
qualunque esse siano…
anche se detesto farlo».
La ragazza rimase sorpresa di fronte a tanta lealtà e
fermezza d’animo;
comunque non poteva lasciarlo andare con mezza fronte squarciata,
«Aspetta,
lascia che ti curi il viso... stai perdendo sangue»
tentò di fermarlo ma lui
respinse via le sue mani con un gesto del braccio.
«Non è niente, non ne ho bisogno. Adesso togliti,
devo uscire da qui prima che
impazzisca sul serio».
Rassegnata, Perona lo lasciò andare guardandolo allontanarsi
affaticato e
claudicante; nello stesso istante, si domandò
perché la facesse stare male non
avere avuto il coraggio di chiedergli scusa per averlo ferito.
***
Capire
l’ora
del giorno osservando il cielo di Kuraigana era impegnativo ma non
impossibile;
di sicuro il sole era tramontato da un bel pezzo e mangiare non avrebbe
guastato; ma a Zoro poco importava di che ore fossero…
avrebbe vissuto lì per
due anni, ne dovevano passare di giorni e di notti. Se ci pensava
rabbrividiva,
era da molto che non gli capitava di fermarsi in un luogo per
così tanto tempo
– l’ultima volta era stata proprio a Shimotsuki, il
suo paese natale nel Mare
Orientale, prima di partire e diventare per sbaglio un cacciatore di
pirati –
temeva che nel giro di un paio di mesi gli sarebbe venuta la fregola di
andare
via. Stava assumendo vere abitudini piratesche, lo sentiva,
era una
metamorfosi alla quale non poteva sottrarsi.
E tra un pensiero e l’altro, e per lenire la rabbia che
s’era preso per
via delle sue spade ingiustamente sequestrate, camminava
intorno al
castello; cosciente che se si fosse allontanato troppo si sarebbe perso
e
sarebbe stata una seccatura ritrovare la strada per tornare indietro.
Il senso
dell’orientamento era l’unica cosa che non riusciva
proprio a migliorare. E gli
diceva male, intorno non aveva nulla che riuscisse a distrarlo.
Così, annoiato,
decise di sedersi su un tronco spezzato.
Era irritante ammetterlo, ma la ragazza fantasma aveva ragione: il suo
fisico
non era ancora al pieno della forma; se lo sentiva tutto intorpidito e
dolorante, e non era nemmeno riuscito a schivare un banalissimo
attacco.
Ripensandoci si toccò il sangue che sentiva essersi
appiccicato alla pelle, e
passando le dita sopra la ferita che aveva sulla fronte la
sentì bruciare. La
mocciosetta l’aveva colpito in pieno.
«Complimenti ragazzina, hai fatto centro!» disse ad
alta voce, lasciando poi
cadere ogni pensiero per godersi il silenzio che lo circondava.
Perona non smetteva di mordicchiarsi le unghie e di camminare avanti e
indietro
come una sentinella.
Dopo aver rinunciato a lanciarsi all’inseguimento dello
spadaccino, era tornata
in salotto ma non riusciva lo stesso a darsi pace: doveva
prendersi cura
di Zoro, non aggravare le sue condizioni. Mihawk era stato
chiaro.
Non sapeva dire se l’agitazione che sentiva scuoterle le
viscere dipendesse
dalla reazione che avrebbe avuto il grande spadaccino, una volta saputo
cos’era
accaduto, o dal fatto di essere stata respinta dal proprio
paziente.
Scelse la prima, indubbiamente doveva essere la prima opzione.
«Horo-horo-horo… Cosa dirà? E
soprattutto cosa mi farà? Io ho paura, Kumacy
dove sei quando ho bisogno di te ?!»
«Chi dirà o farà cosa?»
La voce profonda che penetrò nella sala la
spaventò terribilmente, facendole
scappare un gridolino. Si girò verso il proprietario del
tono tanto cupo e
trovò il suo spauracchio appoggiato allo stipite
dell’ingresso del salotto,
stavolta senza bicchiere di vino in mano.
«Nessuno, io non ho fatto niente, anzi sono andata a
controllare e ti assicuro
che il tuo pupillo sta benissimo, posso dire che è quasi
guarito!
Horo-horo-horo».
La buttò lì, non pensando che sarebbe stato
impossibile nascondere la fresca
evidenza che capeggiava sul viso del pirata sonnambulo.
Tuttavia, Mihawk non la stava nemmeno ascoltando; era stato rapito da
qualcosa
che aveva visto fuori dalla finestra dopo essersi avvicinato ad essa.
«A proposito, ghost-girl, ti ringrazio».
La ragazza non credé a quelle parole: non erano quelle che
si aspettava di
ricevere e neppure le sembrò possibile averle udite
lì, in quel posto
pullulante di scortesi arroganti. Sentirsi ringraziata rasentava il
miracolo.
«Finalmente ti sei deciso a riconoscere il mio impegno,
accudire quel buzzurro
non è facile sai!»
«No, ti stavo ringraziando per non aver ceduto»
«Certo che non ho ceduto, infatti io – ci fu un
attimo di riflessione prima di
rendersi conto di aver perso il filo del discorso –
… Cosa vuoi dire?»
«Questo ragazzo spicca per testardaggine e presunzione, non
è facile farlo
desistere».
Desistere da cosa, dal metterle le mani addosso? Desistere per darle
ragione?
Oppure desistere a riavere le spade? Le venne un dubbio e non
c’era da stare
allegri: forse il corsaro già sapeva, e soprattutto poteva
essere a conoscenza
della sua negligenza e reazione eccessiva nei confronti di Zoro!
«Tu ci hai spiati?» domandò Perona,
diretta e con voce tremula.
«Sì», si limitò a risponderle
lo spadaccino.
«Allora sai… Giuro, non volevo fargli del male,
non volevo!» cercò di rimediare
all’irreparabile temendo di essere cacciata via.
«Non preoccuparti, sta bene, abbiamo a che fare con un osso
duro, guarda tu
stessa» disse Mihawk, invitandola a sporgersi dalla
finestra per dare uno
sguardo fuori.
Sotto di loro, Zoro si sollevava ed abbassava a intervalli
brevi e
regolari grazie a un faticoso lavoro delle
braccia, lasciandosi a pochi
centimetri da terra ad ogni piegamento; era impegnato con una serie di
flessioni.
«Non ci riesce a stare fermo!» esclamò
irritata la ragazza, prevedendo di
doverlo soccorrere a momenti.
«Già» accordò il corsaro, e
poi aggiunse: «Posso fidarmi di averlo come
allievo».
Sentendo quelle parole, Perona si voltò confusa verso di lui
«Come? Perché dici
questo, non avevi già accettato?»
«Sì, certo che ho accettato…
» rispose Occhi di Falco, sorridendo di sghembo e
toccandosi il pizzetto appuntito. Ma lasciò morire la frase
a metà, non
esaudendo completamente la domanda della ragazza che continuava a
guardarlo
senza capire.
“ It’s time for war!
It’s time for blood!
It’s time for tea! ”
˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
Qui
parla
l’autrice:
come ho già detto ad alcuni, avrei voluto aggiornare la
storia ad una settimana
precisa dalla prima pubblicazione, purtroppo non ho potuto, spero non
vi siate
arrabbiati. Ma ho le mie ragioni!
Mi sono messa a scarabocchiare una simpatica scenetta (con questa non
vorrei
spoilerarvi gli avvenimenti futuri, voi fate finta di nulla e non
chiedetemi
niente ^_^) da appiccicare a capo dei capitoli. E non so se ne
farò altre, ce
n’ho un mucchio in testa, per adesso vada per questa.
Passando ad altro, secondo capitolo e cominciamo a dare una certa forma
alla
storia. La sentenza però resta a voi.
Che dire, ve lo aspettavate Mihawk così enigmatico e
manipolatore? Io sì. ^_^
A Zoro non potevo togliere la sua lealtà. Lui è
uno tutto d’un pezzo, uno di
parola, rispetterà ogni decisione del suo maestro.
Per quanto riguarda Perona, ho iniziato a farle venire dubbi
e
ripensamenti su come comportarsi con il
“simpaticissimo” muschietto. XD Lo so,
non si sopportano all’unisono e pare impossibile
farli avvicinare… Ma sta
proprio qui il divertimento. ^_^
La canzone che stavolta mi sono divertita a sezionare appartiene a
Emilie
Autumn ̴ Time for tea.
Cliccate se volete ascoltarla.
E
scusate se anche lei è una Gothic Lolita come
Perona! *__*
Vi ringrazio per la vostra attenzione.
Al prossimo capitolo. ^^
Pandroso
|
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Capitolo 3 *** 3. Onore di spadaccino; ci sarà da camminare. ***
Curami
̴ 3.
Onore di
spadaccino; ci sarà da camminare.
“Hey, baby, I dig your
scars
I think you're smart, but they think you're kind of stupid
You don't say much, I don't care
They think you're strange, but I think it's kinda sexy
You're kind of lovely in an ugly way
Your feet scratch together, in my two-time waltz
I think you have a lot to say
I think it's strange but I think it's kind of fun”
Dal
piccolo
incidente tra lo spadaccino della ciurma di Cappello di Paglia e Perona
la
Principessa Fantasma, erano trascorsi ventotto giorni; e dei danni
subiti, dopo
l’impatto con alcuni Hollow esplosivi, era rimasta solo una
crosta
pruriginosa.
Zoro stava cercando di toglierla, scorticandosela dalla
fronte in una
delicata operazione di unghie e polpastrelli.
Lo spadaccino si trovava nel bagno vicino alla sua camera, ed era
impegnato con
doverose abluzioni; non aveva mai avuto tanto scrupolo verso la propria
igiene,
ma il richiamo della pulizia era stato invincibile: colpa di Perona, e
degli
unguenti dal lezzo insopportabile che la ragazza gli spalmava addosso
ogni
giorno. Lei diceva che servivano ad evitare che le ferite sviluppassero
infezioni; Zoro ci credeva poco: quando Occhi di Falco
l’aveva tremendamente
ferito al petto, si era medicato da solo alla bell’e meglio e
non gli era
accaduto nulla e, tralasciando la febbre che era sopraggiunta durante
la
battaglia ad Arlong Park, era stato sano come un
pesce… Come avrebbe
potuto contrarre malattie adesso, con le ferite che s’erano
rimarginate?! Non
aveva più bisogno di continue e insopportabili medicazioni!
Lui era resistente,
guariva in fretta, stava bene; così bene che lo sbraitava in
faccia alla
ragazza come ne aveva l’occasione, nel tentativo di farle
capire quanto fossero
inutili le sue cure con quelle creme che lo ungevano fino a farlo
diventare
viscido.
L’unica pecca di tali considerazioni era
un’orgogliosa presunzione: lo
spadaccino ometteva di essere stato curato dal dottor Nako –
quella volta a
Coco Village – che l’aveva disinfettato e ricucito
come si doveva.
Se ora sentiva di stare bene, il merito era certamente
dell’insistenza di
Perona; non soltanto del suo fisico robusto; ma Zoro, chissà
perché, stentava a
riconoscerlo. O forse un motivo c’era: lo infastidiva.
Ciò che il ragazzo non poteva assolutamente negare, ma sul
quale si sforzava di
far finta di nulla, era il viso di Perona quando arrivava il
momento di
cambiare i bendaggi: lei era tanto pallida che le si poteva vedere sul
volto il
minimo cambiamento della pressione sanguigna; e da un po’,
Zoro aveva notato
come le guance candide, e probabilmente lisce e morbide, divenivano
puntualmente rubiconde alla vista del suo torace.
E quante volte, poi, l’aveva scoperta a soffermarsi con lo
sguardo sulla lunga
cicatrice che gli dilaniava il torso!
In quel caso era lui a sentirsi in lieve imbarazzo: non gli importava
se la
cicatrice si vedesse o meno, anche se era un orribile segno di
indelebile
sconfitta – però degno di un sopravvissuto
– ma avrebbe preferito mostrarla il
meno possibile a Perona, perché c’era
qualcosa di strano negli occhi della
ragazza; troppo neri e troppo immobili che risultava complicato
leggervi
dentro; e Zoro, in quei momenti, era convinto di vederci
ripugnanza. Un
aspetto discrepante e in netto contrasto con l’imbarazzo che
imporporava le
guance della ragazza, ma altresì ennesimo accento di
stranezza: per lo
spadaccino, Perona restava un’incognita priva di soluzioni.
Tuttavia, nonostante il reciproco disagio, entrambi facevano finta di
niente e
non si dicevano nulla: il pirata, dopo aver scaricato la solita non
voglia di
farsi medicare, rimaneva zitto ad aspettare che lei finisse;
Perona,
rossore o altro che avesse, manteneva sempre una calma sorprendente che
le
permetteva di muovere le mani con sicurezza medica.
I loro attimi di “crocerossina e infermo”
terminavano nel giro di una ventina
di minuti scarsi ma molto intensi.
A
forza di
essere stuzzicata la crosta venne via, scoprendo una superficie di
pelle nuova
dal colorito roseo e lucido.
Zoro diede un ultimo sguardo al suo riflesso nello
specchio, girando il
viso di tre quarti – prima a sinistra e poi a destra
– e dopo si sciacquò la
faccia con energia utilizzando l’acqua fredda contenuta in un
catino.
Quel pomeriggio, lo spadaccino si era tolto tutte le bende da solo;
anche se
immaginava le imprecazioni che ne sarebbero nate da parte di Perona,
non gli
importava: ormai non v’era più
necessità, e così facendo poneva fine alla
pratica tanto scomoda per entrambi.
Terminò di curare il proprio aspetto mettendosi addosso dei
vestiti avuti in
prestito da Mihawk: erano un paio di pantaloni di fustagno, neri, e una
camicia
bianca, una di quelle che il corsaro indossava spesso.
Infilato l’ultimo bottone nell’asola e sistemata
l’haramaki, si sentì pronto.
Forse la camicia gli stava un po’ larga di spalle, ma non era
un problema;
quello che gli mancava erano le spade, non vedeva l’ora di
riaverle legate al
suo fianco, e l’intenzione di quel giorno era esattamente di
andare da Mihawk
per discuterne.
Sforzandosi
di ricordare dove si trovasse la stanza nella quale il suo futuro
maestro si
ritirava, lo spadaccino s’incamminò prendendo le
scale che lo portavano
all’ingresso del castello.
Arrivato lì, voltò a destra per attraversare un
susseguirsi di tre sale;
tra le quali, il salotto in cui Perona prendeva abitudinariamente il
tè… e
siccome s’era fatta l’ora giusta, pregò
e sperò di non incontrarla.
Stranamente non la vide, così raggiunse tranquillamente il
luogo in cui avrebbe
trovato Occhi di Falco.
Eccola lì: la pesante porta che aveva davanti a
sé era quella della studio di
Mihawk. Questa era accostata; Zoro non l’avrebbe mai ammesso,
ma di fronte ad
essa un leggero senso di soggezione lo portò a bussare prima
di entrare.
La risposta non tardò ad arrivare: «Sì,
sei ancora tu ragazza fantasma? Se è
per il tè non insistere, non ho intenzione di prenderlo con
te».
Il pirata spalancò la porta senza annunciarsi, ed
entrò. Se Mihawk avesse avuto
da ridire a riguardo, fatti suoi: aver bussato era già un
gran favore, per come
la vedeva l’apprendista spadaccino.
«Salve, Roronoa… Accidenti, sembri stare proprio
meglio. Cosa ti porta qui?»
Domandò il corsaro, sorpreso di vederselo davanti con la
solita aria spavalda
che sembrava chiedergli “ti prego dammi una lezione, fammi
capire chi comanda”.
Zoro cercò gli occhi del suo interlocutore, e dopo uno
sguardo veloce
all’ambiente – che trovò ricco di antica
mobilia – lo vide seduto su una
poltrona posta dietro ad un tavolo rettangolare e di legno
scuro.
Il corsaro stava consultando un libro
– lì ce n’erano molti: ogni
scaffale
presente in quella stanza pareva volersi spezzare sotto il peso di tomi
giganteschi, che Zoro non avrebbe letto nemmeno se avesse avuto
più di una vita
a disposizione – e finendo di scolarsi una bottiglia di
liquore. Un liquore
sicuramente buono, dall’odore che si sentiva avere impregnato
la piccola sala.
A Zoro avrebbe fatto molto piacere berne un po’, ma non era
lì per quello;
anzi, s’affrettò a portare la conversazione subito
al sodo: «È proprio di
questo che voglio parlarti», cominciò catturando
l’attenzione di Mihawk.
Il corsaro alzò la testa dalle pagine che stava leggendo per
puntare lo sguardo
in quello del giovane spadaccino, «Va bene, nonostante tu
abbia interrotto le
mie ore di studio, ti ascolterò. Ma prima
accomodati».
Il ragazzo fece come gli era stato suggerito: prese una sedia che stava
accostata al muro, la piazzò davanti ad Occhi di Falco, e si
sedette. Nel
farlo, però, aveva notato un enorme forziere circondato da
catene e con più di
un lucchetto a chiuderlo; stava messo proprio a fianco alla sedia che
aveva
appena preso.
«Sentiamo…» lo incalzò
Mihawk, dando una veloce occhiata ad un orologio da
tasca.
Zoro non rispose subito, perché una carta nautica, grande
abbastanza da
occupare mezza parete e appuntata al muro dietro le spalle del corsaro,
l’aveva
momentaneamente distratto. Questa mostrava diverse rotte tracciate in
rosso, la
Red Line, isole e alcuni punti indecifrabili... forse a indicare le
basi della
Marina. Già, la Marina... Occhi di Falco era un
membro della Flotta dei
Sette, prendeva ordini dal Governo Mondiale; Zoro avrebbe
fatto bene a non
dimenticarlo.
Inoltre, accanto alla bottiglia di liquore poggiata sul tavolo,
c’era un
lumacofono; simbolo di come il corsaro mantenesse i contatti con i suoi
“padroni”.
Il giro della curiosità finì quando Mihawk
mostrò segni di impazienza, così il
ragazzo riportò l’attenzione alla sua causa.
«Sto bene, credo di essere guarito e vorrei cominciare
l’addestramento»
«Magnifico, non credevo potessi riprenderti così
in fretta, mi fa piacere»
«Sì, ma prima vorrei riavere le mie spade, dove
posso trovarle?»
Mihawk sorrise impercettibilmente, poi parlò:
«Questo non devi chiederlo a me».
Ascoltando la risposta, una vena gonfia e pulsante comparve
istantaneamente
sulla fronte di Zoro. Ma egli si impose l’assoluto
autocontrollo.
«Perona mi ha detto di aver ricevuto l’ordine di
sequestrarle proprio da te…
quindi è a te che mi sto rivolgendo per
riaverle».
«Certo, sei stato bene informato, ma non le ho prese io. Devi
andare da lei,
perché solo lei sa dove sono».
Non gli stava piacendo, non gli stava piacendo neanche un pochino;
cos’era un
gioco? Si stavano divertendo alle sue spalle? Il giovane
spadaccino era
sull’orlo di mandare a quel paese il rispetto e farla vedere
a tutti e due.
Al contrario, il corsaro s’era messo comodo sulla sua
poltrona; per osservare
meglio quella sottospecie di intrattenimento non richiesto a cui stava
dando
adito lo spadaccino di Cappello di Paglia.
«Non guardarmi così, Roronoa! Non te le sto
nascondendo, non saprei che farmene
delle tue spade. Vai da Perona, te le darà lei…
Sempre che tu riesca a
convincerla».
Stavolta Mihawk non riuscì a trattenersi e si
lasciò scappare una tetra risata;
poi, con noncuranza, riportò lo sguardo tra le righe del
libro che attendeva di
essere finito.
Il dialogo con il ragazzo era concluso.
Tutto
aveva
un limite, e questo – a detta di Zoro – era stato
appena superato; la rabbia
che a stento riusciva a trattenere trovò un piccolo
pertugio nella corazza
di selfcontrol che si era imposto di indossare:
«Qui sto solo perdendo tempo, maledizione!
D’accordo, andrò dalla mocciosa, e
una volta riavute le mie katana… scoprirò se sei
davvero un uomo di parola!»
Calò il silenzio.
Il corsaro alzò immediatamente la testa e
cambiò espressione del volto,
mostrando quello sguardo freddo, di predatore, grazie al quale il mondo
l’aveva
conosciuto e con il quale, ora, lo temeva. Aveva capito bene il senso
delle
parole di Zoro: queste non erano una semplice insinuazione dettata
dalla
collera, ma una sfida sfacciata… erano una provocazione!
Ancora silenzio.
Zoro, che intanto si era messo in piedi e stringeva i pugni talmente
forte da
tremare, sostenne quegl’occhi magnetici fissandoli a sua
volta… Era
esattamente con quelle iridi
ambrate e con quello sguardo accigliato che Mihawk l’aveva
guardato prima di
affondare la lama dello spadone nero nella sua carne; il ricordo
cominciò a
serpeggiargli veloce sul torace, provocandogli brividi lungo la schiena.
«Ti aspetto qui, Roronoa – proruppe Occhi
di Falco, squarciando a
parole la tensione che s'era creata tra loro – ...
Ma non pensare che sarà
facile prendere lezioni da me: tu sarai il primo a cui ne
darò, perciò non so
se riuscirò a controllarmi… Dovrai stare attento
a non farti uccidere».
Agganciato! Zoro aveva messo in discussione l’onore del
corsaro e quest’ultimo
non s’era tirato indietro, anzi, sembrava esserne rimasto
molto urtato.
Prima di andarsene, il giovane spadaccino sostenne ancora lo sguardo
del suo
maestro; poteva quasi apparire perverso, ma l’idea
di battersi di nuovo con
lui – anche se sotto l’aspetto di un addestramento
– dopo la sfida che si erano
lanciati, lo stava facendo eccitare come la prima volta sul Baratie.
Doveva recarsi in fretta dalla ragazza fantasma, non poteva
più aspettare.
***
Prendere
il
tè in solitudine era infinitamente triste; e Perona amava la
tristezza, fin qui
nessun intoppo… ma, sfortunatamente per lei, amava quella
degli altri. Per cui
la situazione non era solamente triste, era tragicamente drammatica!
Occhi di Falco si era rivelato essere non solo di poca
ospitalità, ma anche un
taccagno di tempo e oltretutto simulacro della scortesia; la povera
ragazza ne
aveva avuto prova quel pomeriggio: gentile e sorridente come mai era
stata, si
era recata dal corsaro presentandosi con due fumanti tazze di
tè caldo e dei
biscottini appena sfornati dall’aspetto delizioso –
aveva provveduto lei stessa
ad inventarsi qualcosa coi pochi ingredienti che aveva trovato in
cucina,
perché senza dolci non poteva assolutamente stare
– e lui che cosa aveva avuto il
coraggio di fare?! Di liquidarla con un semplice, e completamente privo
di
cordialità, “adesso ho da fare, non
disturbarmi”.
Poco c’era mancato che ella gli mollasse tutto a terra per
scoppiare in un
pianto alluvionale.
Ma quale essere tanto mostruoso e insensibile poteva rifiutare il suo
unico e
specialissimo invito a “l’ora del tè di
Perona” ?! Ecco, ecco che cos’era Occhi
di Falco: era un mostro insensibile!
Ad ogni modo, la ragazza si era limitata a fargli una smorfia: peggio
per lui,
non sapeva quello che si perdeva; e poi, in fondo, lei aveva sempre
Zoro che
poteva tenerle compagnia.
Proprio grazie al pensiero che avrebbe condiviso un
tè con lui – ne
era certa: non le avrebbe mai potuto dire di no
– il suo umore era
tornato allegro e aveva abbandonato l’idea della piazzata a
Mihawk, per
dirigersi svelta dallo spadaccino.
Ma a pochi passi dalla camera di quest'ultimo, le era
tornato il
ricordo di averlo medicato e lasciato a riposo; e così,
rimasta fregata -
perché con i precedenti avuti era meglio non creare
nuovi problemi - era
stata costretta a fare dietrofront contro la sua volontà.
Ora, la ghost-girl se ne stava sola e scontenta su una sdraio in una
delle
ampie terrazze del castello, a centellinare con poco gusto il
tè e a
mangiucchiare i suoi biscotti (che erano veramente buoni, ma lei se li
stava
finendo dal nervoso).
Dalla sua altezza poteva osservare tutto il paesaggio circostante, e se
aguzzava la vista – quando la foschia lo permetteva
– oltre le cime dell’oscuro
bosco di pini neri, riusciva a scorgere il mare: una scia argentea che
tagliava
il tenebroso orizzonte dell’isola da quello livido del cielo.
«Certo che se ci fosse stato Kumacy qui con me…
Altro che fare l’infermiera a
quell’ingrato!»
Ovviamente l’allusione era indirizzata a Zoro; manco a
nominarlo che
improvvisamente…
«Perona!!! Perona!!! Sono stufo di cercarti, vieni fuori!!!
Peronaaa!!!»
Il tè quasi le andò di traverso per lo spavento.
Ma lui non stava dormendo?
Comunque, che cos’era quel modo di chiamarla come se
si stesse rivolgendo
ad un cane?! Per non parlare del tono con il quale stava bistrattando
il suo
nome! A tal maniera lo faceva assomigliare ad un insulto. No, doveva
porre fine
a quella tortura prima che le orecchie le iniziassero a sanguinare.
Fortunatamente, il ragazzo non era molto distante da lei: si trovava
esattamente nel giardino dove si affacciava la terrazza in cui Perona
aveva
tentato di sorseggiare, invano, il suo benedetto tè.
«Si può sapere che ti urli a quel modo?»
disse la ragazza, rimproverandolo
appena gli fu vicino.
Come la vide, lo spadaccino quasi le si avventò addosso:
«Le spade! Devi darmi
le spade!».
Sentendolo avanzare quella richiesta, Perona sospirò:
purtroppo Zoro non si
smentiva; e lei che per un breve istante si era lasciata elettrizzare
dall’idea
che lui l’avesse cercata con così tanta enfasi
perché desiderava vederla, e
magari prendere il tè insieme…
«Se me le stai chiedendo è
perché credi di essere guarito, altrimenti sai
quale sarà la mia risposta. Pensi davvero di stare
bene?» gli domandò
lievemente retorica.
Zoro aveva il fiatone – a causa dei molti giretti che s'era
fatto per trovare
la ragazza – e la voglia di discutere con lei era scarsa,
«Ho già parlato con
“Occhi Gialli”, mi sta aspettando, tu non farmi
perdere altro tempo!»
«Non essere insolente! Non ti permetto di rivolgerti a me con
quel tono, io non
sono la tua serva», Perona dava tutta l’aria di non
voler collaborare; lo
spadaccino storse il naso, ma il peggio che temeva non era ancora
arrivato.
Vane speranze: «Non ci posso credere! Hai tolto tutte le
bende che t’avevo
cambiato solo poche ora fa!» gridò la ragazza, che
non aveva fatto subito caso
all’assenza della sua opera medica sul corpo del pirata.
Zoro entrò in riserva di pazienza e, già stufo
della ramanzina che di lì a poco
avrebbe sopportato, premette gli incisivi sul labbro inferiore;
l’esaurimento
nervoso era alle porte.
«Se ti dico che sono guarito, perché dovrei
continuare a tenerle?! Comunque,
non tergiversare, rivoglio le mie spade!» esclamò
irremovibile.
«Ma sai dire solo questo?! Sei noioso!»
«Tu dammi le mie katana e vedrai che non ti
infastidirò più».
La voce dello spadaccino s’era fatta insolitamente
ammaliatrice e
invitante; questo perché utilizzare le maniere forti con la
Principessa
Fantasma era inutile, oltre che dannoso – lui l'aveva capito
a sue spese –,
quindi non gli restava che tentare con lei una sorta di falsa
accondiscendenza.
La quale ebbe esiti inaspettati...
Perona ci pensò su; purtroppo raggiunse una brutta
conclusione: lei esisteva
solo perché custode dei tesori del ragazzo, altrimenti lui
non l’avrebbe mai
cercata con tanta foga… o forse non l’avrebbe
cercata e basta!
La ragazza s’incupì liberando i suoi fantasmi, che
cominciarono a girarle
attorno, e abbassò la testa permettendo alla frangetta di
proiettarle un’ombra
sinistra sugli occhi.
«Perona, che ti prende?» domandò Zoro,
preoccupato dell’improvvisa e imprevista
reazione della ghost-girl; ma soprattutto temendo che uno di
quei cosi che
le volteggiavano attorno gli venisse scagliato contro da un momento
all'altro.
Dopo un breve istante, con la stessa velocità con cui era
caduta nella
mestizia, Perona tirò su il volto e mostrò allo
spadaccino un grande sorriso da
fare impressione – anche i suoi spettri fecero lo stesso
– «Va bene, lascerò il
mio tè e ti restituirò le tue preziose spade, ma
ci sarà da camminare».
Il ragazzo rimase sconcertato: umore altalenante, cambiamenti
comportamentali
improvvisi; aveva a che fare con una psicopatica, ormai ne era
sicuro.
Ma finalmente lei aveva ceduto! L’unica incognita che lo
lasciava ancora
perplesso, era quel “ci sarà da
camminare”… Non prometteva nulla di buono, a
suo parere.
«Fammi capire: non le hai nascoste nel castello?»
chiese incredulo.
«Non potevo, l’ho fatto la prima volta, tu avresti
potuto trovarle facilmente»
«Ma ti sarebbe bastato metterle in un posto diverso! Qui
è immenso, ce ne sono
di luoghi dove nascondere le cose!»
«Nessuno mi ha colpita a sufficienza. Dai, non fare domande e
seguimi, sennò
non ti ridò niente» disse la ragazza,
giocherellando con l’ombrellino rosso e
strizzando un occhio in direzione dello spadaccino.
Messo alle strette e non avendo altra scelta, Zoro cacciò le
mani in tasca e,
poco convinto, lasciò che Perona gli facesse strada... Un
brutto presentimento
gli suggerì che l'allenamento avrebbe tardato ancora a
cominciare
“Hey baby, I dig your scars
They think you're smart, but I think you're kind stupid
You don't say much, I don't care
They think you're strange, but I think it's kind fucking fun!
And I can't believe you're
still stuck to me
Can't believe you're still stuck to this world
And I can't believe you're
still stuck to me
Can't believe you're still stuck to this world
But he's not that kind of girl”
˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
Qui parla l’autrice:
terzo capitolo, procediamo con ordine: quanto mi
piace descrivere
Occhi di Falco come se fosse un signorotto colto che se ne sta chiuso
in una
stanza a elucubrare sul mondo tra una lettura e po’
d’alcol. ^_^
So che chiamare la sua Yoru spadone non è corretto (spadone
indica un certo
tipo di spada europea del ‘400, più o meno) ma per
via della lunghezza e del
tipo di impugnatura mi sono permessa.
Passando a Zoro, apriamo la questione “Occhi
Gialli”… Spero di non essere
linciata.
Poi, tra loro ho voluto mettere un po’ di tensione (non che
non ci fosse già)
ma avevo bisogno di attizzare di più il clima per lo
svolgersi della storia.
Perona… povera Perona, la sto facendo soffrire questa
ragazza (ed è solo
l'inizio! - risata maligna-)
Nuovo disegno: stavolta m’è venuto a tema (a
proposito, se tornando indietro di
un capitolo non trovate nessuna immagine, tranquilli,
l’ho tolta apposta:
ci ho pensato e non voglio ripetizioni, quando avrò tempo
vedrò di riempire il
buco). Ma quanto l'ho fatto alto Mihawk?! Mi sa che
ho un tantino
esagerato. ^^' E per la mappa, Nami le disegna meglio di me. Il tavolo
con le
cariatidi ha un che di postmoderno… come
m’è venuto in mente?! Va be’ sto
delirando, colpa della febbre (sono malata
ç_ç) io volevo solo darvi
l’idea
di come fosse questa stanzetta che alla fine m’è
uscita semplice semplice… e
porca miseria ho dimenticato di fare il lumacofono e la poltrona!
Il testo del pezzo musicale che ho inserito è
roba dei Therapy?
̴ He's not that kind of girl (buoni da
ascoltare mentre si
tracanna birra e, se c'è la possibilità, mentre
si prende a calci un ragazzo).
Un
grazie
appiccicoso va a chi mi sta seguendo! =)
Pandroso
|
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Capitolo 4 *** Una coppia e tre spade ***
Messaggio
importante:
i luoghi e gli avvenimenti qui menzionati sono del tutto casuali,
e non prendono spunto da quanto sta accadendo ultimamente nel nostro
paese. Il
capitolo era stato già strutturato anni fa e prima del
tragico evento che ha
sconvolto il centro
Italia.
Curami ̴ 4. Una coppia e tre spade.
“And this silence is her life
Falling fast into the dark November sky
Over voices she shall cry
Soundless screams are felt before the sun can rise”
La tenebrosa foresta di Kuraigana era
una imponente e lussureggiante barriera naturale; pini, larici e
altissimi pecci la rendevano una fitta selva quasi impenetrabile.
Vista dall’alto, la foresta ingannava l’occhio
umano: la macchia di pinaceae, stretta in mezzo ad una vallata
– creata da catene montuose dalla singolare forma a punta
ricurva – assumeva le sembianze di una gigantesca fiera
addormentatasi in mezzo ai monti. Frusciando
tra le cime degli alberi, il vento sembrava accarezzarne il folto manto
morello, scuro quanto quello dei selvaggi Humandrillus che abitavano il
bosco; e stando attenti, lo si poteva udire agitare rami e foglie e
produrre un sibilo molto simile ad un inquietante sospiro.
In prossimità del centro, un piccolo pertugio, una dolina,
s’apriva come se la fiera portasse sul dorso una profonda
ferita. Non c’erano alberi in quel punto. E proprio
lì, nell’ònfalo dell’isola,
si stava dirigendo una coppia di pirati.
Zoro avanzava seguendo Perona, la sola che tra i due era cosciente
della direzione presa. Costretto a starle dietro, per poter raggiungere
il luogo segreto in cui lei gli
aveva nascosto le katana, lo spadaccino s’era stancato
orribilmente e, ogni tanto, si ritrovava a sbirciare la punta delle
proprie scarpe: totalmente inzaccherate di fango, utili a ricordargli
che s’erano messi in viaggio da molto tempo… Tempo
perduto, in ore sprecate a tentare di non scivolare sul terreno reso
maggiormente umido da una insignificante pioggia, che aveva preso a
scendere nel momento stesso in cui avevano lasciato il castello.
Ad aggravare il tasso di umidità, e l’impazienza
dello spadaccino che poco tollerava quell’ambiente dal
pungente odore di muschio, c’era pure la costante mancanza di
sole tipica dell’isola; e la presenza di alberi tanto vicini
tra loro non permetteva alla poca luce di raggiungere completamente il
sottobosco.
Il terreno assumeva così una consistenza vischiosa, di
argilla bagnata, e d’un colore identico all’ebano,
su cui entrambi i ragazzi, camminando, tracciavano una texture di
impronte appaiate a due a due.
Avventurarsi in quel luogo era come spostarsi dentro
l’epidermide dell’isola, un secondo mondo ombroso
che si animava al di sotto delle
chiome degli alberi, e nel quale, a tratti, filtravano pochi ma
taglienti raggi di luce bigia, che rischiaravano di qualche tono la
penombra di quel luogo pregno di un silenzio sacrale, interrotto solo
dal cinguettio di qualche uccellino e dalla marcia monotona dei due
pirati.
Differentemente da Zoro, Perona aveva sul viso l'espressione
dell’estasi nell’attimo del trapasso a nuova vita,
c’era quanto avesse mai potuto desiderare, e forse anche di
più: un ambiente isolato e tinto d’un velo piceo
che ne rabbuiava ogni forma vivente e non vivente, la pioggia che
colava giù lenta come le lacrime di un cielo commosso, dando
un tocco vivido al quadro insaturo in cui la ragazza si stava muovendo,
incarnando con soddisfazione la figura dell’anima dannata
– se poteva considerarsi dannazione il viaggio per il
recupero delle antipatiche spade di Zoro – e, ovviamente,
c’era lo spadaccino... che la seguiva.
Quasi un cane fedele.
Oh, sì, lui in quel momento era interamente suo. Se solo
avesse potuto, la Principessa Fantasma avrebbe recitato una malia per
legarlo a sé e vagare con lui, per sempre, in quel bosco
maledettamente incantato.
Purtroppo, la realtà era assai diversa dai lugubri sogni di
Perona: Zoro non era affatto così fedele, o così
canidae come lei lo avrebbe preferito.
L’ennesima inevitabile pozzanghera, una mistura di terra,
acqua e foglie in decomposizione, avviluppò completamente il
piede destro dello spadaccino, al quale parve di sprofondare in sabbie
mobili e di affogare, in quella melma e con un sordido splash, ogni
speranza di un veloce ritorno.
«Ehi, oramai siamo molto lontani dal castello, sei sicura che
non ci siamo perduti? Non è che hai dimenticato dove hai
messo le mie spade?» ringhiò Zoro, cercando di
contenere la rabbia e la voglia di tirare i lunghi capelli rosa della
sua momentanea compagna di viaggio.
Di simile ai canidi il ragazzo aveva solo i latrati.
«Ah, ci risiamo! Sono stufa di ripetertelo – gli
rispose Perona, costretta a cancellare ogni desiderio di dannazione da
condividere col bellimbusto porta sciabole – NON CI SIAMO
PERSI! So benissimo dove stiamo andando, io non sono come te, che non
riesci nemmeno a trovare l’uscita del castello!»
«Come fai a esserne sicura? – la
contestò Zoro – A me qui sembra tutto
così uguale: guarda quell’albero laggiù
– le disse indicandole un abete rosso con un cenno della
testa – sono sicuro che è lo stesso che abbiamo
visto poco fa».
Perona strizzò gli occhi: in fondo, provava pena per lui; se
solo fosse stato zitto, lo spadaccino sarebbe stato un cagnolino
perfetto… La ragazza ci pensò sopra: ebbene, era
un problema che poteva risolversi!
Qualche punto con ago e filo e gli avrebbe cucito la bocca a dovere,
magari aggiungendovi sopra un merletto rosa, per creare un sorriso
bello e largo come quello che possedeva il suo esercito di fantasmi.
Certo, in questo modo allo spadaccino non sarebbe stato più
possibile mangiare, sarebbe morto d’inedia…
Ulteriore vantaggio! Perona lo avrebbe portarto dal dott. Hogback e poi
da Gekko Moria: il primo ne avrebbe sistemato il cadavere, il secondo
ci avrebbe impiantato un’ombra per riportarlo in vita come
zombie, ma stavolta al suo servizio.
Le era venuta davvero un’idea geniale!
La ragazza ridacchiò tra sé, presa tra fantasie e
piani tanto magnifici quanto inattuabili.
«Guarda che sto parlando con te! Qui gli alberi sono tutti
uguali, ci siamo persi!» le gridò contro Zoro,
nuovamente, facendo scoppiare la bolla in cui galleggiavano felici le
bizzarre idee di Perona.
Forse un taglio alla lingua sarebbe stato più spiccio e
conveniente.
«I miei punti di riferimento non sono gli alberi! Ora capisco
perché riesci a perderti con tanta facilità, sei
completamente privo di senso dell’orientamento - Perona gli
stava parlando dandogli la schiena e, mentre articolava le labbra,
rigirava velocemente e costantemente il manico
dell’ombrellino tra le mani, un gesto nervoso?
Chissà - Sarebbe divertente se ti lasciassi solo in mezzo al
bosco... Vorrei proprio vedere in quel caso come faresti ad uscirne
senza di me. Mi stupisce persino pensare a come tu abbia fatto ad
arrivare nella Rotta Maggiore, sei proprio un - » la ragazza
non finì la frase, si voltò indietro per cercare
lo sguardo dello spadaccino, le ultime parole gliele doveva dire
guardandolo negli occhi mortificandolo efficacemente.
Zoro non c’era.
Niente spadaccino a destra o a sinistra.
Da nessuna parte, nemmeno la sagoma.
Incredibilmente scomparso dal suo campo visivo.
Questo non ci voleva. Ma non poteva essere andato molto lontano; per
scovarlo, Perona pensò di seguire le sue impronte dal punto
in cui queste non apparivano più al fianco delle proprie.
Guardò a terra: finché le grandi tracce lasciate
delle scarpe del pirata comparivano accanto alle sue, quelle
più piccole, nessun problema, anzi, avrebbe potuto dire che
lo spadaccino aveva un’andatura regolare, di passo marziale.
Però, cos’erano le altre impronte che sembravano
iniziare svoltando a destra, poi tornavano indietro, proseguivano
avanti e sparivano tra gli arbusti, per sbucare nuovamente fuori e
prendere un’altra direzione?!
Un folle!
«Noo! Come farò a trovarlo se non si capisce da
dove è partito?! – ululò la ghost-girl,
intrecciando le dita spasmodiche tra i capelli – Stupido
spadaccino, non solo mi lasci parlare da sola, ti permetti anche di
sparire! Dove ti sei cacciato?! Cattivo! Cattivo!»
…
A parte qualche uccellino che le fece il verso, e le poche gocce di
pioggia che picchiettavano leggere sul suo sull’ombrellino
rosso; Perona non udì alcuna risposta.
Sospirò, rassegnandosi all’idea di doversi muovere
alla cieca, fin quando, d’improvviso, sentì un
ramo spezzarsi alle sue spalle.
«Whaaa!!!» il rilascio di un Hallow avvenne per riflesso
motorio; il fantasma per poco non colpì il tronco di un
albero rischiando di provocare un’esplosione; ma
filò via, verso l’alto fino a scomparire.
«Deve piacerti molto urlare» le disse Zoro,
seguendo con gli occhi la direzione presa da quella specie di bomba
spettro; il ragazzo era ricomparso alla stessa maniera con la quale era
sparito. E non doveva essere lui a comportarsi come un fantasma, a
giudizio di Perona.
La ragazza gli riservò uno tra gli sguardi più
infuriati che possedeva, «Si può sapere
perché ti sei allontanato?! Ti rendi conto del rischio che
hai corso! Cioè, che ho corso. Avrei potuto non ritrovarti
mai più!», difficile dire se parlava spinta dalla
rabbia o dalla preoccupazione per le sorti del
“cagnolino”, anzi, delle proprie sorti: in assenza
del cane, lei sarebbe sprofondata di nuovo nella monotonia ammorbante
che si viveva a Kuraigana. Una sventura che non doveva più
ripetersi.
«Non esagerare, cercavo solo la strada per ritrovare le mie
katana» le rispose lo spadaccino, squisitamente tranquillo.
«Ma tu non puoi saperla!»
«Infatti, la cercavo. Poiché
tu l’hai dimenticata»
«Non l’ho dimenticata, te l’ho detto poco
fa! Perché devi continuare a contraddirmi, ti costa tanto
limitarti a seguirmi? Se non lo farai non riavrai mai e poi mai le tue
spade!»
La voce della ragazza tuonò nelle orecchie di Zoro: “non riavrai mai le
tue spade!”...
Pure? Ma
è roba mia...
Ora basta.
«Ragazzina,
inizio ad averne abbastanza, ci stiamo mettendo troppo tempo, a
quest’ora avrei già dovuto iniziare il mio
addestramento! La mia unica preoccupazione avrebbe dovuto essere quella
di colpire Occhi di Falco! Non giocare con te a nascondino per
recuperare cose che mi appartengono. Sono stufo!»
L’aveva fatta nera. Zoro era arrabbiatissimo.
«Pensi che io mi stia divertendo? – sì,
lei si stava davvero divertendo – Credi che a me faccia
piacere la tua compagnia? – assolutamente, avere quello
spadaccino che le gironzolava intorno stava attecchendo bene da qualche
parte nella sua testa, o in un altro posto sbagliato –
Be’, ci vorrà il
tempo che ci vorrà. Te l’avevo detto che il luogo
è lontano dal castello. Se continuerai a tormentarmi ti
abbandonerò qui per davvero. Così non inizierai
mai il tuo tanto desiderato allenamento! Oh-ro oh-ro oh-ro!».
Perona incorniciò la
minaccia con la sua speciale risatina maligna, in tono con
l’ambiente circostante.
Ma Zoro, più di lei, sapeva rendersi indigesto:
«Guarda che se ti sei stufata di accompagnarmi puoi benissimo
dirmi dove le hai nascoste e andartene senza sprecare altro tempo. Ci
penserò io a trovarle. Grazie per quello che hai fatto
finora. Non ho più bisogno del tuo aiuto».
Colpita.
Affondata.
Strappata via ad ogni sogno di felicità insieme allo
spadaccino formato cane.
Con poche parole brevemente snocciolate, Zoro l’aveva fatta a
brandelli.
Perona guardò lo spadaccino, era rimasta spiazzata: lui era
un servo a cui non piaceva la sua compagnia, lui era un servo infedele,
a lui forse non piaceva essere un servo.
Tragedia.
Che strano:
quando gli obbligati orsacchiotti non erano contenti di stare con lei,
a Perona bastava trapassarli con qualche Negative Hallow, e dopo bearsi
guardandoli inginocchiati e supplichevoli.
Ma in quel momento, era sbocciata una mai provata attenzione verso i
sentimenti del suo “nuovo giocattolo”, che aveva
palesemente dimostrato di non tollerarla e non ricambiarla... ma
ricambiare cosa, per l’esattezza?
Avrebbe potuto indirizzargli qualche fantasma contagia depressione per
piegarlo alla sua volontà, eppure, Perona non ci riusciva, e
non capirne nemmeno la ragione le donava ondate di nausea; la stessa
nausea che avrebbe sentito se avesse assaggiato un muffin
dall’aspetto appetitoso, scoprendo, dopo avergli dato un
morso, che le protuberanze del mini dolcetto non
nascondevano frutti di bosco o zuccherosi canditi, ma disgustosi
bigattini.
I suoi occhi neri si bordarono di rosso,
allagati di lacrime che a stento la ragazza tratteneva sul filo delle
ciglia lunghissime.
Zoro la guardava non capendone le intenzioni, ma intuiva che del
pericoloso stava sobbollendo dietro quell’innocente aspetto
di bimba troppo cresciuta.
Perona fece un passo verso di lui, un altro, e un altro ancora, troppo
vicina; lo spadaccino indietreggiò appena, non fu
sufficiente, lei lo afferrò per la camicia, ancorandosi a
questa per gridare tutta l’aria che aveva trattenuto nei
polmoni: «BRUTTO STUPIDO! Tu hai ancora bisogno di me! Tu
devi per forza avere bisogno di me, perché solo io so dove
sono le tue preziosissime spade! Chiaro?!?!».
Decifrato: tu sei il mio cagnolino ed io la tua padrona, obbedisci o
niente pappa!
Lo strattonò per convincerlo a seguirla. Avesse avuto un
guinzaglio, la ragazza lo avrebbe utilizzato volentieri.
Comunque, la sua reazione lasciò Zoro frastornato: egli
s’aspettava qualche strana diavoleria, degna del frutto
maledetto che la ragazza aveva mangiato, non un comportamento
tanto puerile.
Ma per la prima volta, Perona non aveva schiavizzato alcun essere
innocente per farne un comodo zerbino.
«E-ehi, ho capito, ma adesso
lasciami! Non c’è bisogno di fare così,
molla!» brontolò lui, mentre veniva tirato
via.
La ragazza insistette, lo strattonò forte fino a fargli
saltare alcuni bottoni della camicia che Mihawk aveva prestato al
pirata. Era lei quella che temeva di essere abbandonata.
Andò avanti così per diversi metri, ma quando
alla Principessa Fantasma, girandosi un attimo indietro, le cadde
l’occhio su uno dei pettorali glabri e d’acciaio
del pirata, con allegata una catena di addominali, ella
staccò le mani dalla morbida stoffa.
Arrossì, esplodendo di vergogna.
«Spero ti sarai calmata, guarda qua!» la
rimproverò Zoro, mentre si riassettava infilando i lembi
della camicia nella comoda haramaki verde, e spingendo nelle sottili
asole i pochi bottoni rimasti. Quella peste doveva essere posseduta.
Ma
Perona non gli rispose, era impegnata ad analizzare la
gravità del proprio comportamento: tante volte aveva
medicato il pirata, era abituata alla vista del torace nudo, tuttavia,
medicare e spogliare non erano la stessa cosa, almeno per lei.
«Che
c’è, perché ora mi fissi in quel
modo?» le chiese Zoro, accorgendosi che la ragazza aveva
assunto un'espressione tra l'imbarazzo e... oh, quei suoi occhi neri
erano così intensi, inghiottivano qualunque cosa, ci
si poteva specchiare… E sì,
c’era proprio lui lì dentro, solo lui.
Durò
decimi di secondo, ma il pirata avvertì un brivido
accompagnato da claustrofobia, calore e voglia di girarsi da un'altra
parte per sfuggire ad una specie di forza magnetica che aveva avuto
origine da quelle due grotte buie che erano le iridi di Perona.
È una strega...
Intanto, attorno alla stravagante coppia, che di tacito
accordo aveva deciso di darsi tregua, s’era creata una
insolita quiete, non si sentivano più neanche gli
uccellini. Il cambiamento non passò indifferente allo
spadaccino; Perona invece sembrò non farci caso: aveva
ripreso a camminare strusciando la punta del suo
ombrellino, chiuso perché era smesso di piovere, lo
faceva oscillare sulla terra umida, lasciando tracce sinuose simili
all’impronta segnata dal passaggio di un serpente.
No, oltre le stramberie di Perona, non poteva esserci
nessuna minaccia nel bosco. Zoro aveva sconfitto tutti gli Humandrillus
presenti sull’isola durante il tentativo di fuggire da questa
per raggiungere il suo disperato Capitano. Poteva
però trattarsi di sopravvissuti che non avevano imparato la
lezione, e si stavano nascondendo tra gli alberi per attaccare
nell’attimo propizio; peggio per loro, perché lo
spadaccino era pronto a massacrarli a mani nude. Sì, non era
il caso di allarmarsi.
«Ragazzina,
ti sei fatta finalmente silenziosa» per rompere la quiete, lo
spadaccino iniziò a schernirla.
Perona non voleva dargli corda, ma ignorarlo completamente, come
s’era promessa di fare neanche dieci minuti prima, le era
impossibile.
«Evita di chiamarmi ragazzina»
«Perché, non lo sei? Non sei una
ragazzina?» e Zoro stava scoprendo il piacere di prenderla in
giro.
«La ragazzina si è presa cura di te e
tra poco ti riporterà al castello»
«Brava, ma non prima di avermi consegnato le
spade»
Perona alzò gli occhi al cielo, quelle non
erano più spade ma un'ossessione per lui e un incubo per
lei. Seguitò a camminare senza badare alla conformazione del
sentiero; e fatto un passo, la terra franò proprio sotto i
suoi piedi.
Non ebbe nemmeno il tempo di gridare.
Cadde giù.
Si sarebbe fracassata il grazioso
visetto su una grossa pietra, magari battendo il naso o la fronte,
oppure si sarebbe rotta qualche osso, di certo sarebbe stata una caduta
dolorosa se Zoro non l’avesse tempestivamente afferrata e
spinta su. Perona teneva gli occhi chiusi, in attesa dello schianto a
terra, schianto che stranamente tardava ad arrivare e che, nella sua
coscienza, andava a sovrapporre il concetto di caduta con quello di
tepore: precipitare non era male, ci si sentiva insolitamente bene, era
qualcosa di avvolgente, simile ad un abbraccio, uno di quelli che lei
dava ai peluche che le erano stati negati a tradimento e di cui aveva
estremamente bisogno.
Quando decise di riaprirli, la ragazza si trovò con la
guancia appiccicata al petto scoperto di Zoro, su quella pelle
abbronzata che la camicia non copriva perché era stata
sbottonata strada facendo dallo spadaccino, il quale mal sopportava
bottoni o zip, e che aveva costantemente caldo…
No, sbagliato, era stata lei, prima, quando lo aveva strattonato gli
aveva fatto saltare via una fila di bottoni, quelli che
avrebbero dovuto chiudere quel punto così attraente.
Sapevano di buono il corpo e le braccia forti che la stavano tenendo
stretta, Perona ci aveva già fatto attentamente caso durante
tutte le occasioni in cui lo aveva medicato, toccandolo anche; ma mai
le era capitato di sfiorarlo col con le labbra, lasciandogli un
involontario bacio lì, sul petto.
E non era finita: si era aggrappata alla schiena di Zoro, intensamente,
come quando stringeva il suo orsacchiotto preferito,
nonché servitore fidato, Kumacy.
Lo spadaccino infatti avvertiva un leggero fastidio, provocato dalle
unghie della ragazza che lo stavano praticamente arpionando. Oltre
questo, Zoro non si sentiva scosso dalla situazione, o almeno mai
quanto Perona.
Per la sua integrità
mentale, se era rimasta, la ragazza
capì di doverlo allontanare immediatamente, e ricorrendo ai
suoi Hallow.
Si concentrò per evocarne alcuni, ma non comparvero, non
riusciva a rilasciarli. Era bloccata dalle catene di quel l'abbraccio
che pareva aver interrotto non solo il suo battito cardiaco ma anche il
tempo.
«Chi è che doveva prendersi cura di me? A momenti
fai un volo di due metri! Guarda avanti quando cammini…
Ragazzina» la redarguì Zoro, rimproverandola una
seconda volta.
Perona andò nel panico, i suoi poteri sembravano essere
inaspettatamente spariti. Si scostò in malo modo da lui,
dandogli una spinta. Zoro la lasciò andare, non
aveva alcun motivo per continuare a starle appiccicato, l'aveva messa
in salvo. Bastava.
«Sei tu che mi fai distrarre con le tue chiacchiere inutili!
E comunque avrei potuto evitare di cadere anche da sola!»
rispose lei, sulla difensiva. Per non guardare in faccia lo spadaccino
e farsi scoprire in difficoltà,Perona andò a
raccogliere l’ombrellino che nel frattempo le era caduto.
«A proposito – disse Zoro, buttando lo sguardo
verso la profonda voragine che per poco non li aveva inghiottiti
– là in fondo ci sono parecchi… crani?!
E sembrerebbero tutti appartenenti ad esseri umani… In che
razza di posto mi stai portando? Eh, strega?»
Ora che la fastidiosa caligine – alzatasi a causa della terra che era
franata – si era diradata, era possibile vedere
distintamente la profondità di quel burrone.
«Non chiamarmi neanche strega!»
«D’accordo, ma vieni a dare
un’occhiata»
Perona si avvicinò circospetta, e non per quello che era
lì seppellito, ma per calcolare le distanze che dovevano
mantenersi tra lei e lo spadaccino.
Si sporse di poco, verso quell’orrore.
«È Una fossa
comune – sentenziò – Allora siamo
vicini, guardati intorno, questo è un cimitero»
Con attenzione Zoro scrutò
l’ambiente: erano circondati da pietre. Non ci aveva fatto
caso finora, perché erano tutte coperte dalla vegetazione
che le mimetizzava bene col resto della natura.
Zoro ne aveva una proprio accanto a sé, il ragazzo
strappò via foglie e radici per vedere meglio di che si
trattava: anche se poco leggibili, poiché logorate dal
tempo, delle incisioni marcavano la pietra con date, nomi ed epitaffi.
«Sembrerebbero delle lapidi. Un cimitero tra gli
alberi… è strano» osservò
Zoro.
«Potrebbero non aver avuto più spazio dove
seppellire i morti, ti ricordo che quest’isola è
stata colpita da una guerra che ha sterminato l’intera
popolazione»
«Potevano liberarsene bruciandoli…»
disse lo spadaccino, lui era un miscredente convinto.
«Probabilmente non era usanza di questo regno. Pensa, per
anni gli alberi si sono nutriti dei corpi che sono stati qui inumati, e
sai… ora che stiamo calpestando questa terra, riesco a
sentire la loro anima penarsi»
Ad accompagnare le parole di Perona, una gelida folata
s’alzò intonando un delicato frusciare di foglie;
il vento raggiunse entrambi, girandogli attorno in un vortice che per
un attimo sembrò riavvicinarli, come
nell’abbraccio non voluto che si erano dati.
Un unico soffio di vento raggelante, niente altro.
Perona s’aggiustò un codino che minacciava di
sciogliersi, era tranquilla e per nulla turbata se si escludeva la
tachicardia post salvataggio e le labbra che si leccava credendo
così di poter sentire il sapore della pelle dello
spadaccino. Quest'ultimo, accanto a lei, riprese a camminare come se
nulla fosse.
«Siamo arrivati, guarda! Guarda laggiù!»
annunciò la ragazza, indicando un punto dove gli alberi si
diradavano e lasciavano intravedere una zona sgombra e aperta, con al
centro un edificio in rovina.
Di fronte a loro, una struttura si ergeva con fatica e sulla sua
sommità si elevava una croce.
Era una chiesa.
«Tu hai messo le mie spade là dentro?»
chiese scettico Zoro, continuando ad osservare schifato
l’architettura morente di uomini da tempo ormai morti.
«Certo, non lo trovi un luogo graziosamente oscuro e sicuro?!
Prima che tu arrivassi, venivo qui a rilassarmi e cantavo per le anime
dannate» gli rispose Perona, distendendo le labbra rosse e
scoprendo due file di denti bianchissimi, in una mossa simile ad un
sorriso, e facendo una sorta di piroetta su se stessa come se danzasse.
«Sì, da perfetto fantasma del castello…
» la canzonò il pirata, era una fissa quella delle
anime.
«Che cosa hai detto?!»
«Che questa catapecchia potrebbe crollare da un momento
all’altro e tu… – Zoro si concesse un
secondo di riflessione: no, non c’era tempo per arrabbiarsi
ancora, l’avrebbe fatto dopo; le spade avevano
l’assoluta priorità – cerchiamo di
sbrigarci e andiamocene via»
«Perché? Hai paura di loro?»
«Loro chi?»
«Come, non li senti? I fantasmi! Loro ci osservano, e lo
stanno facendo proprio ora»
«Non dire fesserie, è che non voglio perdere altro
tempo» le rispose lo spadaccino, ma con una mezza
verità. Perché a preoccuparlo c’era
davvero qualcosa adesso, e non erano di certo i fantasmi: da quando
avevano raggiunto il cimitero ed era calata quella calma eccessiva,
Zoro aveva alzato la guardia, e a parte Perona e i suoi maledetti
spettri, sentiva che in quel luogo c’era qualcun altro, ed
era vivo. La sua non era stata solo una sensazione, non erano
completamente soli.
Si avvicinarono alla struttura, davanti a loro un nartece, o quel che
ne era rimasto, era costituito da quattro colonne unite da archi a
tutto sesto; foglie di edera salivano tortili arrampicandosi su ogni
pilastro, erano foglie di un verde tendente al petrolio e, in alcuni
tratti, contrastavano vistosamente col poco del marmo rimasto bianco e
immacolato – il resto delle colonne s’era ingrigito
e portava ancora i segni di una sanguinosa battaglia – e il
tetto, che avrebbe dovuto chiudere il portico, era riverso in pezzi sul
vestibolo.
Entrarono direttamente all’interno della chiesa, passando
dall’ingresso sfondato. Anche il soffitto della navata
centrale era in parte crollato e le finestre ad ogiva, presenti su
entrambi i lati della chiesa, avevano tutte le vetrate infrante,
assumevano la forma di bocche urlanti dai denti rotti. Al rosone era
stato riservato lo stesso destino: era spoglio, privo d'ogni fregio, e
appariva come un semplice buco in una parete.
L' architettura era in gran parte pericolante, bisognava stare attenti
passando tra le travi che pendevano dal soffitto, il
quale doveva aver avuto una volta a capriate.
«Dobbiamo sorpassare il transetto ed entrare in quella porta
sotto l’abside, fortunatamente non è crollato
nulla altrimenti sarebbe stato impossibile recuperarle»
rivelò Perona, ricevendo in risposta un grugnito di
disapprovazione da parte di Zoro.
La porta cigolò, stanca di esistere e pronta a collassare
come il resto di quel luogo fatiscente. Lo spazio in cui i due si
infilarono era profondo e rettangolare, col soffitto inclinato e aperto
con finestre a forma di losanga, dalle quali poteva inoltrarsi la
flebile luce del giorno ormai vicino al suo decesso.
Addossati sulla sinistra, a corredare quella
che sembrava una cripta, stavano in fila una decina di sarcofagi: erano
tutti sigillati, tranne uno col coperchio in frantumi sul pavimento: la
salma, che di sicuro il sarcofago aveva ospitato, non c’era
più.
In quel luogo angusto l'aria era irrespirabile, densa, da graffiare la
gola.
«Lì dentro», la ragazza fantasma
indicò il terzo della fila, Zoro ci si fiondò
come uno squalo su un grosso e sanguinolento pezzo di
carne. Guardò incredulo l’interno della
cassa, fino a quando non strinse tra le mani le spade che sembravano
non voler più far ritorno dal loro padrone. Le
afferrò delicatamente, come un padre affettuoso prenderebbe
in braccio i propri bambini dalla culla. E le controllò una
per una, prima la Shuusui, la spada nera, new
entry presa direttamente dalle putrefatte mani del samurai Ryuma, ma
dopo averlo sconfitto; successivamente, esaminò la spada
maledetta Kitetsu, con l’hamon di tipo Hitatsura; ed infine,
passò alla spada bianca: la Wado Ichimonji di Kuina, la sua
spada, la loro spada, quella che non l’aveva mai abbandonato
in nessun combattimento.
«Contento adesso?» domandò Perona, che
si aspettava di essere ringraziata.
Ma il ragazzo non la degnò della minima attenzione, quella
era rivolta completamente alle katana.
Il modo col quale Zoro trattava le spade attirò la
curiosità della ragazza, che guardò lo spadaccino
con molto interesse. Ella osservò bene come le
riponeva attento nel fodero e s'accorse degli occhi adoranti che il
ragazzo riservava loro, occhi di un innamorato. Occhi che Perona
scoprì desiderare, avere solo per lei.
Divenne gelosa, invidiosa di quelle attenzioni riservate interamente
alle spade e niente a lei. Si
succhiò il dito indice per sfogare il fastidio che sentiva
guizzarle dentro. Zoro non se ne accorse.
«Oh! Ora sì che mi sento più sicuro,
adesso possiamo fare ritorno al castello!»
annunciò soddisfatto lui, con di nuovo le sue fidate lame
legate alla vita. Aveva ritrovato l'equilibrio, già sentiva
di stare meglio, era scomparsa pure la stanchezza.
I due uscirono dalla cripta maleodorante, ed attraversarono con
attenzione l’interno della chiesa che minacciava di
sgretolarsi sulle loro teste.
«Merda! Non ce la faremo mai a tornare prima che diventi buio
pesto!»
Esclamò Zoro, guardando il cielo che gravava su di loro come
una calotta pronta a crollare, alla pari delle le rovine alle loro
spalle; l’orizzonte aveva assunto le peculiari tinte
rossastre della notte.
Di luce ce n’era poca, uno degli aspetti sfavorevoli
dell'isola era proprio l'arrivo dell'oscurità: accadeva come
se non vi fosse un tramonto, si passava dal giorno alla sera
all'improvviso.
«Io non voglio passare la notte qui, andiamo via lo
stesso!» disse la ragazza, avendo già intuito
l’andazzo.
«Non avevi detto che ti rilassava questo posto?»
«Sì, ma non per dormirci! Io voglio un letto
comodo!»
«Fattene una ragione, non possiamo tornare indietro.
Cerchiamo un riparo dentro, anche se qui rischia di crollarci
tutto addosso sarà certamente un riparo
sufficiente»
«E perché? Hai paura di dormire
all’aperto tra i fantasmi che ci circondano?»
«Basta con questa storia dei fantasmi, e poi qui
l’unico fantasma sei tu»
«Ah ah, divertente! Ti ricordo che posso assumere
l’aspetto di un fantasma quando voglio, ma adesso sono una
ragazza in carne ed ossa a tutti gli effetti, non uno
spettro!»
Si era infuriata, piuttosto, pareva che fosse rimasta offesa dalle
parole di Zoro, il quale restò a fissarla: lo spadaccino non
capiva che bisogno c’era di spiegargli le modalità
e i poteri che le aveva donato il frutto Horo Horo, tanto per lui
restava comunque una strega.
«Sì, come vuoi» accorciò
Zoro, era un’altra la sua preoccupazione, qualcuno li stava
osservando e offrirsi al nemico non rientrava nel suo codice di
comportamento. L'intuito gli suggeriva di non muoversi durante le ore
di buio.
Passando per la navata laterale di destra, rimasta quasi
intatta, i due trovarono uno stretto
corridoio che portava alle scale per raggiungere il campanile; stare in
un punto alto, secondo Zoro poteva rivelarsi essere una buona
postazione strategica.
Le scale sembravano ancora robuste, lo spadaccino e la ragazza fantasma
salirono seguendo la spirale, gradino dopo gradino.
«Ma tu guarda dove mi tocca dormire, su queste assi di legno
marcio!» esclamò Perona, appena arrivata in cima e
dopo aver sondato l’ambiente. Davanti a lei c’era
un’area quadrata col pavimento in
legno logoro, un parapetto che correva lungo tutto il perimetro del
campanile e delle corde che pendevano dall’alto, quelle delle
campane.
«Paura di strapparti le calze?»
«Smettila! Mi prude il naso, c’è tanta
polvere, qui è tutto così sudicio!»
«E dimentichi i topi, i
ragni… o gli scarafaggi che ti cammineranno addosso
appena siederai a terra!» la avvisò maligno lo
spadaccino.
«Sta’ zitto! Non è divertente!»
La ragazza si sentì svenire, gli scarafaggi le ricordarono
un brutto episodio, accaduto con un altro elemento della ciurma di
Cappello di Paglia, un certo naso lungo. Ancora tremava al pensiero di
quello che le era riuscito a combinare. Era quasi morta di crepacuore,
e con scarafaggi finti. Figuriamoci se ne avesse visto uno vivo!
«Io mi metterò qui - annunciò Zoro,
scegliendo un angolo dei quattro disponibili – tu mettiti
dove ti pare»
«Come se ci fossero posti in cui dormire!»
osservò Perona, sdegnata.
«Non ti agitare, è colpa tua se ci troviamo in
questa situazione, non ho scelto io di nascondere le spade dentro un
sarcofago… Adesso fammi riposare, se ci ripenso
m’arrabbio, grazie a te ho perso un giorno di
addestramento».
La ragazza s’arrese e, avvilita, andò a sedersi
dalla parte opposta rispetto allo spadaccino.
Inutile negarlo: anche se con qualche difficoltà, lei
avrebbe potuto attraversare il bosco da sola e tornare al castello,
dove la attendeva sicuramente un
morbido letto e un pasto caldo.
Eppure, l’idea di allontanarsi da lui la agitava: lo
spadaccino aveva di nuovo le sue spade, fine del gioco; per questo
Perona non voleva andarsene, a costo di affrontare insetti e acari,
voleva ancora bearsi della sua compagnia.
E c’era anche un’altra
questione in sospeso: la ragazza non riusciva a capire per quale motivo
i suoi poteri avevano fatto cilecca, stentava a credere che fosse solo
colpa della presenza dello spadaccino, cioè, del suo
abbraccio. Ma pur sapendo che la pratica l'avrebbe mandata in paranoia,
stranamente, voleva essere nuovamente
stretta. Perché aveva scoperto che fare lei la parte
dell’orsacchiotto non era niente male.
In preda alle riflessioni, Perona tentò di trovare una
posizione che le desse la parvenza di stare comoda.
Provare a sdraiarsi? Neanche morta, aveva il terrore che i suoi
lunghissimi capelli divenissero luogo di escursione per insetti e punto
d’approdo di tutta quella polvere che sentiva andarle nei
polmoni ad ogni respiro.
«Niente letto, mi fa male la
schiena… Uffa, io non ce la faccio a stare così,
e ho anche freddo!»
«Ohi, non iniziare a lamentarti. Dobbiamo solo attendere che
torni un po’ di luce, non c’è bisogno di
disperarsi» come sempre, Zoro aveva poca voglia di sentirla
frignare.
«Come fai ad essere così tranquillo? Quasi ti
invidio»
Ma lo spadaccino non lo era, sapeva che quella cosa avrebbe
approfittato dell’oscurità per attaccarli.
Passarono trenta minuti di
farfugliamenti insopportabili, mixati da sospiri e brontolii di uno
stomaco affamato. L’origine di quella discoteca era Perona.
«Di’ un po’, come
hai scoperto questo posto? Credevo non ci fosse nient’altro
rimasto in piedi oltre al castello» le chiese lo spadaccino,
pensando che conversare normalmente potesse essere un diversivo per
distrarla.
«Te l’avevo già detto, ma tu non mi stai
mai a sentire, lo scoprii quando ero sola, e non avendo nulla da fare
me ne andavo in giro per l’isola»
«Davvero? E non avevi paura di essere attaccata da quelle
scimmie selvagge?»
«No, usavo il mio spirito per muovermi e quando sono un
fantasma divento intangibile.»
«Ah, giusto… Però, sei proprio strana,
una mocciosa mezza fantasma…»
«Guarda che adesso sono una ragazza! – in quel
momento a Perona balenò per la testa di farsi testare dallo
spadaccino, lei era tutta tangibile, ma ricacciò subito a
calci l’idea, che oscenità le era saltata per la
testa? – Comunque, lo strano sei tu: fossi in te, non sarei
contenta se avessi capelli come i tuoi, non sono per nulla carini,
sembri un muschio»
«Non ti piacciono i miei capelli? E io che credevo ne andassi
pazza!»
Zoro sorrise, quello che gli aveva appena detto la ragazza sembrava
uscito direttamente dalla bocca di un cuoco idiota di sua conoscenza.
«Illuso, non ci trovo niente di bello in te: sei sgraziato,
maleducato e anche ottuso. No, non mi saresti utile nemmeno come
servo» la ragazza abbellì tutto con una
linguaccia; che lo spadaccino non vide.
In verità, Perona gli aveva detto parecchie bugie: tra le
tante voglie e curiosità che provava nei confronti di Zoro,
c’era anche quella di infilare le dita tra quei suoi insoliti
capelli verdi, per verificare se fossero veramente morbidi come la
stoffa di un peluche.
«Quindi non mi vuoi… »
«No, non ti voglio!»
«Be’ora che ci penso, devo ritenermi fortunato,
perché io non potrei mai stare insieme ad una ragazzina
piagnona e viziata come te!»
Crash!
Era forse
crollato qualcosa?
Perona credé di aver udito il rumore di un oggetto molto
pesante rovinare a terra. D’istinto guardò se il
pavimento su cui era scomodamente adagiata fosse ancora sotto di lei;
ed era lì, il suo sedere glielo confermava dolente. No,
doveva essersi rotto qualcosa di più vicino, di
più interno e che pulsava forte… Ma certo! Era il
suo cuore quello che aveva subito un colpo e, difatti, le stava facendo
male. Come se qualcuno stesse lì a spremerlo.
Però, faceva fatica a ricordare, non capiva, cosa era
accaduto?
Tentò di riavvolgere il nastro, rewind: dunque, lo
spadaccino aveva ripreso le odiose sciabolacce… No, troppo
indietro, doveva essere successo dopo. Ah, ecco: aveva
detto allo spadaccino che non gli piacevano i suoi capelli, il suo
comportamento e che non lo avrebbe mai voluto nemmeno per usarlo come
schiavetto.
“…
Non potrei mai stare insieme ad una ragazzina piagnona e viziata come
te!”
Ora Perona
ricordava, sentì immediatamente pungere la punta del proprio
naso e gli occhi irritarsi. Due lacrime gocciolarono giù,
bruciandole le guance.
Sotto l’aria tetra e il carattere insolente, Perona in
verità era tenera come spezzatino. Le parole di Zoro
l’avevano ferita terribilmente.
I cani potevano anche mordere, e lei stava sanguinando.
Non pensò che forse Zoro aveva semplicemente ricambiato gli
stessi complimenti che lei non si era risparmiata di
rifilargli; purtroppo, in quelle parole, la ragazza ci sentiva del
vero.
Lei era una ragazzina, piangeva e faceva i capricci. E a lui non
piaceva.
Era finita.
Non sentendola più, lo
spadaccino pensò che quel diavolo di ragazza fosse crollata
dal sonno. Ignaro di essere la causa del suo
silenzio, Zoro appoggiò la fronte contro le katana per
riposare anche lui. Ma non avrebbe
dormito, non poteva, il pericolo stava venendo a cercarli.
“'Til
the riegn of sleep again
Without sight we wander through the haze of this dark land
To the fields and seas again
Without sight she wanders through the haze of this lost land”
˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
Dopo secoli, riprendo in mano questa
storia lasciata in sospeso; specifico che questo e i prossimi capitoli
erano già stati abbozzati almeno tre anni fa, ma mai
corretti, mai sistemati. Finiti nell’archivio del mio pc. Le
cause sono state molteplici, e non starò a giustificarmi.
Chiedo solo scusa a tutti i lettori e recensori che in passato
manifestarono interesse nei confronti del racconto, e spero che questo
quarto capitolo, forse troppo lungo, ma necessario, non li abbia delusi
e che abbiano ancora voglia di seguirmi.
Ringrazio ovviamente i nuovi che leggeranno la storia, spero avrete
tempo e piacere di recensirla.
Due paroline per Perona: io sono convinta che lei abbia la propensione
al melodramma. E farla soffrire mi diverte. ^_^
La canzone scelta per questo capitolo appartiene ai Bella Morte
– The Quiet da ascoltare qui se vi va: LINK
L’illustrazione ad inizio capitolo l’ho fatta io, a
proposito, se vi servisse qualcuno che faccia un’immagine per
la vostra storia, qualora vi piacesse il mio chiamiamolo stile, provate
a contattarmi, se non sono impegnata magari potrebbe nascere una
qualche collaborazione proficua, e io potrei anche divertirmi.
Vi segnalo anche
le altre mie FF pubblicate.
Questa è fresca e in corso, siamo solo al primo capitolo:
Loverman…
Sanji non avrebbe mai dovuto provarlo, non avrebbe mai voluto
scoprirlo, non avrebbe mai dovuto desiderarlo. Anche la più
piccola mancanza di volontà verso se stessi è
ripagata con un tormento peggiore; a meno che si accetti la propria
natura.
Consiglio: lasciate perde’ sto trip di parole, buona lettura.
Pubblicata:
15/08/16 | Aggiornata: 15/08/16 | Rating: Arancione
Genere: Angst, Introspettivo | Capitoli: 1 | In corso
Tipo di coppia: Yaoi | Note: Nessuna | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Mugiwara, Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
LEGGI
L’impensabile
inaspettato (Zoro/Sanji)
Sanji ha un impellente problema.
Zoro… beh, lui fa quello che può.
One Shot che disturba persino chi l’ha scritta, attenzione
alle note.
E a voi la lettura.
Pubblicata:
03/11/13 | Aggiornata: 03/11/13 | Rating: Rosso
Genere: Angst, Introspettivo | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Yaoi | Note: Lime | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Nico Robin, Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
LEGGI
Ultime
previsioni prima di Dressrosa (Rufy/Nami/Trafalgar Law)
Meno di un giorno all’arrivo sulla prossima isola. A bordo
della Sunny chi può si riposa, altri non dormono: si
incontrano casualmente, o per mistico volere.
Una One Shot breve e indolore, e con i personaggi IC; però
spetta a voi valutarlo.
Buona lettura.
Pubblicata:
20/10/13 | Aggiornata: 20/10/13 | Rating: Giallo
Genere: Sentimentale | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Het | Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Personaggi: Monkey D. Rufy, Nami, Trafalgar Law | Coppie: Rufy/Nami
LEGGI
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