Curami
̴ 1.
Dorme, fortunatamente.
“Forse
io parlo forte e leggo il
libro della morte,
forse qualcuno mi ha insegnato la paura,
forse è l’amore, forse è
l’amore.
Forse mi vesto poco e lascio libere le gambe,
forse qualcuno vuol vedere nel mio cuore,
forse è l’amore, forse è
l’amore.
Sull’isola Kuraigana il cielo era rossastro e graffiato da
nubi nere; non
c’erano stelle da ammirare né occhi che potessero
o volessero goderne lo
splendore.
L’antico regno di Shikkearu era caduto sotto i colpi di una
devastante guerra
che aveva bagnato di sangue la terra e impregnato l’aria di
fumo e odore di
morte. Nulla era scampato alla barbarie compiuta dagli uomini,
ogni cosa
era andata distrutta.
L’ambiente stesso sembrava voler tentare di dimenticare al
più presto
l’accaduto, ricoprendo le rovine di brulicante vegetazione ed
obliterando tutto
con una lieve coltre di bruma.
Solo un vetusto castello era scampato alle battaglie, ostinato a non
cedere al
trascorrere del tempo e alle intemperie, era l’unica e
l’ultima traccia che
testimoniava l’esistenza di un regno che era stato.
Da alcuni anni, però, il vecchio e signorile maniero era
diventato dimora di
uno tra i pirati più pericolosi che solcavano i mari;
precisamente dello
spadaccino migliore al mondo: Drakul Mihawk detto Occhi di Falco; e
improvviso
punto d’accoglienza per altre due persone molto meno note ma
non altrettanto
meno pericolose.
***
Perona
era arrabbiata, annoiata e parzialmente
infelice se paragonava i giorni passati in compagnia di Gekko Moria con
quelli
che stava trascorrendo al ritmo di una clessidra otturata in
quel
castello umido, atro e dall’aspetto minaccioso…
come piaceva a lei.
Era stata silurata senza troppi complimenti in un posto che
sì, le si
confaceva… ma era anche stata privata di devoti servitori,
di orsetti graziosi
da strapazzare e di cioccolata calda.
A tal disgrazia s’erano aggiunti bizzarri arrivi: il primo,
inviato nel
medesimo modo in cui era stata catapultata lei, era lo spadaccino della
ciurma
di Cappello di Paglia; il secondo, arrivato di sua spontanea
volontà, era
anch’egli uno spadaccino ma crudele, dispotico e privo di
humour. Un tedio infinito.
Inoltre, entrambi davano segni di insofferenza nei suoi confronti; al
punto da
indurla a pensare che qualsiasi uomo con spada alla mano ce
l’avesse con lei.
Anche se non poteva dirsi più sola, la sua era davvero una
condizione
frustrante.
E così, rabbiosa verso il destino avverso che le era stato
riservato, se ne
stava stravaccata su una poltroncina situata nel salotto del castello;
con la
testa appoggiata alla mano destra, lo sguardo fisso al pavimento e un
dito
indice che giocherellava con qualche ciocca dei suoi capelli rosa.
«It isn’t very good in the dark dark
wood… », cantare la rilassava e si stava
impegnando a dare alla filastrocca l’intonazione perfetta per
una nenia
funebre, «In the middle of the night, when… there
isn’t any light» però durò
poco.
«Ah basta! Basta! Sono stufa di vivere in questo posto con
persone inutili!
Nessuno che si preoccupi per me, nessuno che mi porti la merenda e
niente
giocattoli! Solo quei brutti musi imbronciati… Ma
perché?!», urlò così forte
che i suoi capricci riecheggiarono tra le mura del castello,
tanto da far
scomodare il padrone di casa. Il quale comparve immediatamente.
«Ragazza fantasma, non t’avevo detto di badare a
qualcuno?» Mihawk si presentò
nel salotto con aria seccata e un bicchiere di vino rosso pieno per
metà, che
egli faceva lentamente roteare con la mano.
Perona lo scrutò indispettita «… E io
ti ho detto che non prendo ordini da
te!», gli rispose abbozzando una mezza linguaccia. Lo
spadaccino sorrise, avere
una bimba capricciosa e un ragazzino presuntuoso in quella che era
divenuta la
sua casa, si stava rivelando un inaspettato diversivo… a
volte spassoso.
«Sì, ricordo, ma anche tu dovresti ricordare i
nostri patti: se vuoi rimanere
qui, devi dare una mano».
Abbattuta. Non ci fu altro da aggiungere, la vide gonfiare le guance
stizzita e
incrociare le braccia.
«L’ho lasciato al caldo sotto le coperte, fasciato
come un fagotto… contento?»
«Bene, allora torna a vedere come sta, se le sue condizioni
peggiorassero e
prendesse un’infezione avresti più lavoro da fare,
non credi?».
Occhi di Falco terminò il rimprovero distendendo lievemente
le labbra con la
soddisfazione della vittoria, poi se ne tornò nella stanza
adiacente al salotto
per dedicarsi meglio al suo vino.
«Questo si chiama ricatto!» gli gridò
contro la ragazza, ma ormai lui se
n’era andato.
«Uffa! Tornerei volentieri a Thriller Bark, però
lì non c’è più nessuno ad
attendermi e forse Moria-sama è morto…
horo-horo-horo».
Uggiosa e arresa, s’alzò per raggiungere la camera
dove era stato sistemato
Zoro. Inevitabilmente pensò a lui, al giorno che era
arrivato, alle terribili
ferite che aveva e che, in un primo momento, l’avevano fatta
esultare
allietandole un pizzico della sua vendetta ma che, dopo
averle osservate,
l’avevano anche inorridita stimolando la sua coscienza ad
aiutare un moribondo;
che di certo sarebbe morto senza il suo intervento.
E ricordava chiaramente anche cosa le era successo: salvarlo
l’aveva fatta
sentire insolitamente bene; una strana sensazione che tuttora non
riusciva a
nascondere e spiegare nemmeno a se stessa.
Perona era una peste di ragazza, egoista e graziosamente sadica;
tuttavia…
Raggiunto
il corridoio che la portava da Roronoa,
s’avviò verso l’ultima stanza e
già da lontano i suoi nervi cominciarono a
contrarsi: la porta che lei aveva lasciato chiusa non lo era
più, stava aperta
per metà.
Varcata la soglia, e immersasi nell’oscurità
tagliata solo dalla flebile luce
proveniente dalle candele del corridoio, vide, anzi, non
riuscì a vedere
nessuna sagoma di ragazzo antipatico adagiata sul letto.
Il drappo scuro che copriva la finestra non faceva trapassare nemmeno
un filo
di luce – e questa sarebbe stata comunque leggera,
poiché il cielo di
Kuraigana era plumbeo giallognolo di giorno e rosso cupo di notte, e
dava sempre poco spazio alla luna e al sole
– così avanzò alla cieca,
cercando di raggiungere il letto per tastarlo alla ricerca di qualcosa
che
magari non era riuscita a distinguere. Nel farlo inciampò,
cadendo
rovinosamente a terra.
«Ahi, che male!».
Si alzò subito in piedi; aveva incespicato i suoi passi su
qualcosa che al buio
appariva solo come un’ombra dalla forma indefinibile e dallo
strano odore;
particolare, questo, che le ombre non potevano avere.
Corse a prendere una candela dal corridoio e, rientrando nella camera,
illuminò
la causa dell’inglorioso capitombolo che le aveva indolenzito
il sedere.
Era lui: sdraiato su un fianco e con il braccio destro sopra la testa;
dormiente all’apparenza.
«Bravo, devi esserti alzato da solo senza chiedere
aiuto… ed ora eccoti qui.
Meriteresti di essere lasciato a marcire sul pavimento».
Ma la ragazza in fondo aveva buon cuore, o forse era il ricatto di
Mihawk a
fare maggiore leva su di lei; tant’è che, poggiata
la candela sul comodino
accanto al letto, si chinò per raccogliere lo spadaccino dal
pavimento. Pesava
da morire; subito le tornò in mente la faticaccia che aveva
fatto per portarlo
al castello, «Questa me la paghi, e pure l’altra, e
tutte quelle che
verranno!».
Compiuta la missione impegnativa, arrivando al bordo del letto ed allo
stremo
delle forze, per issarlo su, se lo fece cadere accidentalmente addosso
e iniziò
a squittire quasi fosse stata assalita da uno sciame di insetti.
Veloce si dileguò da sotto il corpo dello spadaccino; e
mentre stava per
alzarsi allo scopo di raggiungere una distanza di sicurezza, un braccio
fasciato come quello di una mummia l’afferrò per
riportarla giù.
La sua coroncina con la croce nera cadde rotolando sul pavimento.
Immobile,
terrorizzata, e ora incapace di fiatare,
valutò la situazione: il suo corpo era perfettamente sopra
quello dello
spadaccino; riusciva a percepire tante cose sotto di lei, come ad
esempio il
petto di Zoro che si abbassava ed alzava lentamente ad ogni respiro
– a
differenza del proprio che era pressappoco statico, non riusciva
più ad inalare
ossigeno – il calore del suo corpo, da farle sembrare di
essere distesa su
carboni ardenti, e voluminosità di muscoli bene allenati un
po’ ovunque. E
c’erano anche il braccio che l’aveva
acchiappata, e che ora le stringeva
le spalle, e il respiro di Zoro che le sfiorava la frangetta e una
parte di
fronte scoperta.
Tremando come se stesse sforzandosi di reagire ad una forza che la
teneva
bloccata, alzò il viso per vedere se fosse sveglio
e se le avesse
fatto un brutto scherzo; pronta, se così fosse
stato, a cavargli gli occhi
con le unghie.
Zoro dormiva, teneva le palpebre serrate e, lei avrebbe volentieri
evitato di
farci caso, aveva un po’ di saliva pronta a colare
dall’angolo della bocca.
Nessuna marachella, lo spadaccino aveva reagito inconsciamente
muovendosi nel
sonno.
La ragazza si strusciò lentamente su di lui per
liberarsi dall’abbraccio
sonnambulo, stando attenta a non svegliarlo; nel mentre, si diede
un’occhiata e s’accorse delle proprie
condizioni: la gonnellina rossa
merlata era salita a scoprire l’ultima fettina di coscia e
qualcosa che stava
più su.
In altre circostanze non le sarebbe importato nulla, ma in quel momento
venne
pervasa da una fiammata di vergogna.
Con la mano passò veloce a tirarsela
giù, poi, attenta, riportò lo sguardo
sul viso di Zoro e credé di morire.
Lo spadaccino aveva aperto gli occhi: le palpebre pesanti li riducevano
a due
fessure sottili, ma il bagliore della candela riusciva lo stesso ad
illuminargli le iridi, che lanciavano piccoli lampi di verde. Con la
tipica
faccia da assonnato, lo spadaccino aveva un’espressione in
bilico tra la
curiosità e lo scazzo.
“Forse
ho preso un cane che non è
del tutto buono,
forse domani mi tormenta e lo perdono,
forse è l’amore, forse è
l’amore.”
˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
Qui parla l’autrice:
innanzitutto vi ringrazio anche solo per aver dato
un’occhiata a questo inizio,
però mi piacerebbe leggere le vostre impressioni.
So che la coppia Perona/Zoro non piace a molti (personalmente
preferisco
Tashigi, è l’unica donna con la quale lo
spadaccino ha un legame “diverso”,
pure se è solo per via della somiglianza con
Kuina… No, c’è di più!
C’è una
lotta di ideali contrapposti, niente di meglio per unire due persone!
^^) ma i
due anni trascorsi insieme, loro due con Mihawk, mi hanno fatta
fantasticare. E
va bene che Zoro si stava allenando però è stata
Perona a prendersi cura di
lui, sempre, fino ad accompagnarlo al luogo dell’incontro con
il resto dei
nakama. Insolito per una egoista come lei, non credete?
Comunque, mi sforzerò di mantenere l’IC,
sennò sforiamo e non c’è più
gusto, e
tenterò di rendere plausibile un possibile
accostamento dei due, perché
ammettiamolo: lo spadaccino tutto pare fuorché interessato
alla gnocca. -_-
Ecco perché non diniego lo yaoi quando
c’è lui. Zoro ti piace il picchio,
confessalo! ^^
Le righe iniziali le ho scritte cercando di riassumere i pezzetti e i
bocconi
con i quali viene descritta l’isola nel manga, voglio essere
fedele quando
posso.
La piccola filastrocca che ho fatto cantare a Perona, appertiene a un
vecchissimo personaggio: Golliwog. Trovata in una delle storie per
bambini di
un altro vecchissimo personaggio: Noddy.
Quel versetto credo abbia terrorizzato generazioni di bimbi
inglesi… ma a noi
che importa.
Le strofe che aprono e chiudono il capitolo, invece, sono alcuni versi
di un
brano dei Sick Tamburo “Forse è
l’amore” e se volete potete ascoltarlo qui.
Attendo vostre recensioni. =)
Pandroso.
EDIT
del 21/09/13: ho aggiunto l’immagine a capo del capitolo. Un
mio
disegnino. ^_^