Le joyau le plus precieux

di Sherlokette
(/viewuser.php?uid=609243)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 20: *** Capitolo XX ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


-Non credo di aver capito bene…- Joe Dalton si passò una mano sul viso, cercando di mantenere la calma alla vista dei suoi tre fratelli minori appesi a testa in giù con una corda nel punto in cui prima era custodito un prezioso manufatto egizio, una collana d’oro e smeraldi.

-L’abbiamo colto con le mani nel sacco, Joe!- esclamò William, seguito a ruota dal gemello, Jack: -Ce l’avevamo in pugno, ma poi ha tirato fuori una bomba fumogena e…-

-Ci siamo ritrovati a fare i salami un attimo dopo!- si lamentò il minore, Averell.

Joe ringhiò agli altri agenti giunti sul posto: -Fate scendere questi imbranati e trovatemi il direttore del Louvre; voglio tutti i dettagli su quella collana! Se finisce sul mercato nero, possiamo almeno tentare di recuperarla!-

-Sì signore!- gli risposero in coro tre uomini. I fratelli Dalton vennero liberati, e caddero bruscamente a terra; il maggiore sbottò: -In piedi, voialtri! Dobbiamo elaborare una nuova strategia!-

-Ancora? Noi siamo stanchi, Joe!- protestò Averell, beccandosi un’occhiataccia dal fratello: -Io non mi arrendo, lo sai benissimo!- Continuò, borbottando fra sé e sé: -Ti troverò, Lucky Luke, ti troverò a costo di buttare all’aria tutta Parigi!-

 

 

 

Da un anno ormai sui giornali comparivano articoli sui clamorosi furti di gioielli e gemme antiche, avvenuti a intervalli regolari a Parigi e altre città francesi, ad opera di un ladro misterioso.

All’inizio i media lo avevano soprannominato “Lupin” in onore del personaggio creato da Leblanc, ma sfacciatamente lo stesso ladro aveva mandato una lettera alla polizia firmata Lucky Luke. Un nome che apparve assurdo, ma fortunato dimostrò d’esserlo eccome: quando si trovava alle strette, per caso o per mano sua accadeva qualcosa che ribaltava la situazione, come quando un silos d’acqua su di un tetto cadde travolgendo gli agenti all’inseguimento del ladro.

Incaricati della sua cattura, il detective Joe Dalton e i suoi tre fratelli, tutti poliziotti, più volte lo avevano messo in difficoltà, ma quell’uomo sembrava inafferrabile.

Avevano troppe poche informazioni, e queste le avevano raccolte loro stessi sul campo: probabilmente il soggetto aveva ricevuto un addestramento militare speciale, poiché sparava, solo per disarmare, più veloce della sua ombra, una cosa mai vista. Non aveva mai detto una parola, e portava sempre un passamontagna a coprirgli il volto, per cui la sua identità restava un mistero che rendeva ancor più difficile il lavoro dei fratelli.

Joe, frustrato, le aveva provate tutte, organizzando appostamenti calcolati nel minimo dettaglio e partecipandovi in prima persona, ma l’esito era sempre uguale: Lucky Luke svaniva nella notte con la refurtiva, dopo aver fatto cadere in qualche trappola i suoi inseguitori.

Una cosa però divenne chiara al detective Dalton fin dall’inizio: il suo ladro colpiva principalmente i musei che conservavano gioielli antichi o gemme rare senza tuttavia rivenderle nei canali conosciuti del mercato nero. La domanda dunque era: se non per soldi, perché la refurtiva era stata valutata parecchi milioni, per quale motivo Lucky Luke compiva i suoi crimini?

Dalton, nella sala tattica alla centrale, sbatté una mano sulla mappa alle sue spalle (dopo essere salito in piedi su una sedia, data la sua scarsa statura) che indicava i luoghi derubati, e rivolto ai suoi fratelli e agli agenti si alterò: -Ascoltatemi bene, branco di rammolliti! Sono stanco di questo viscido serpente che ci sfugge dalle mani, e del ridicolo che sta gettando sul nostro corpo di polizia!-

William alzò la mano: -Ma Joe, i serpenti non sono viscidi…-

-Risparmiami i tuoi commenti da secchione!- Sembrava quasi che al fratello maggiore stesse per uscire il fumo dalle orecchie, così l’altro si zittì.

-Ci vogliono le cattive maniere, signori; a costo di fare gli straordinari dobbiamo catturarlo! Jack!-

-Sì?-

-Raduna gli uomini migliori che trovi. Ho un piano, ma mi servono più agenti per realizzarlo, agenti pronti a tutto! William!-

-Eccomi!-

-Fai una ricerca, e scopri quale fra i musei non ancora colpiti ha il tipo di “mercanzia” che può far gola a Lucky Luke. Ci aggiorniamo alle sette di domani mattina. Scattare!!-

Tutti si alzarono tranne Averell: -E io, Joe? Che faccio?-

-Tu… Uh… Tu organizza un’unità cinofila, potrebbe servire.-

Contento dell’incarico affidatogli, il minore uscì dalla stanza a testa alta: -Ci vediamo a casa!-

Ah, già. Loro quattro vivevano assieme; Joe non l’aveva considerato quando aveva sciolto i ranghi. Andò a sedersi alla scrivania più vicina e appoggiò la testa sul piano.

Sentiva l’esaurimento nervoso alle porte.

Si tirò su, recuperando una cartella di documenti e articoli di giornale riguardanti Lucky Luke proprio da sopra un tavolino alla sua sinistra. Fissò insistentemente una fotografia, che ritraeva una figura scura colta nel momento in cui saltava agilmente da un tetto a un altro, stagliata contro la luna.

Molto poetico, se non si fosse trattato di un criminale.

All’inizio era solo un incarico come un altro per Dalton e famiglia, ma con il passare del tempo per Joe era diventato un’ossessione. Non riusciva ad inquadrare Lucky Luke in nessuna categoria di fuorilegge: sparava senza uccidere, rubava un oggetto per volta e addirittura ne rimandò indietro uno perché aveva scoperto essere un falso! E proprio al suo ufficio come destinazione!

“Chi sei, maledetto?” Prese in mano la fotografia e si accigliò, lisciandosi un baffo: non odiava Lucky, non in senso stretto almeno, perché era troppo curioso.

Sì, curioso di sapere che faccia avesse, quale movente lo spingesse a rubare… Se gli avesse piantato un proiettile in corpo non lo avrebbe mai saputo.

Un tonfo all’esterno seguito da un coro di risate distrasse Joe dai suoi pensieri. Andò a vedere, trovando un uomo in completo beige alla ricerca frenetica di qualcosa per terra, circondato da fogli stampati.

-Hey, Pierre, su cosa sei inciampato stavolta?- lo prese in giro un agente dell’ufficio.

Joe intuì che il collega stesse cercando i propri occhiali; li individuò accanto ad una pianta:

-Aspetta, te li passo io.- A quella frase tutti smisero di ridere. Il detective squadrò per un attimo quelle lenti così spesse. Quanto era miope il loro proprietario?? –Tieni, Pierre.-

-Grazie, capo.-

Pierre Gerard era un uomo timido, riservato e imbranato. Vestiva sempre in giacca e cravatta, portava i capelli castani pettinati all’indietro ed era alto e magro, con la schiena leggermente curva. Difficile dargli un’età, forse una trentina d’anni o giù di lì; la sua voce, bassa e nasale, si sentiva solo quando doveva comunicare informazioni da un agente all’altro dato che non era abituato a parlare con gli altri in termini di socializzazione. Aveva le lentiggini sul viso talmente fitte da sembrare uno spruzzo di caffè, e senza i suoi occhiali da talpa non vedeva niente; gli andavano spesso in avanti per via del naso un po’ grosso.

Tutti lo prendevano in giro per la sua goffaggine, che lo portava ad inciampare anche sul niente. Lavorava in archivio da un anno e mezzo, ormai, e per le sue caratteristiche si poteva dire che Joe gli si era abbastanza affezionato; lo vedeva come una specie di cucciolo pasticcione. Una specie di Averell II.

Per questo Dalton aiutò Pierre a raccogliere i fogli finiti per terra, sotto lo sguardo degli altri agenti che temevano di aprire bocca. Il detective era una mezza tacca in altezza, ma picchiava sodo.

-Tornate al lavoro o vi dimezzo la paga!- li minacciò Joe. L’archivista gli porse i documenti: -Sono i dati relativi alla collana rubata che ci ha mandato il direttore del Louvre.-

-Ah, grazie.-

-… Signore, se posso permettermi…-

-Sì?-

Gerard deglutì nervoso e arrossì vistosamente: -Io… Io so-sono sicuro che lo acciufferà quel Lucky Luke!!- Corse via in direzione dell’archivio.

Uno degli agenti soffocò una risata, ma Dalton lo sentì lo stesso: -Cosa ti diverte, Bonnet?-

-Oh, no, capo…- Troppo tardi l’agente si era reso conto del suo errore. I colleghi gli fecero vuoto attorno.

-Coraggio- sorrise Joe con aria tranquilla, incrociando le braccia dietro la schiena.

-Solo questa simpatica teoria…fra di noi… Su Pierre che avrebbe una cotta per lei…-

Mantenendo l’espressione, il detective si avvicinò a Bonnet, gli fece cenno di abbassarsi alla sua altezza e, senza preavviso, gli rifilò una sonorissima sberla.

-Ora al lavoro, o ti spedisco a dirigere il traffico!!-

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Non fu difficile per Jack trovare dei validi elementi per la squadra speciale, così come William individuò con le sue ricerche il più probabile bersaglio per il prossimo furto: in quei giorni a Versailles si sarebbe tenuta una mostra speciale su un tesoro, da lungo tempo considerato perduto, ripescato dal fondo del mare, al largo delle coste del Portogallo. Stabilito che si trattava di un tesoro trasportato da un galeone francese, esso era stato riportato in patria e restaurato: oro e argenti, piatti, coppe e gioielli di bellissima fattura resi disponibili al pubblico dopo mesi, assieme alla nave ricostruita, nelle sale dell’antica reggia reale.
Di sicuro un’occasione così ghiotta non poteva passare inosservata a Lucky Luke. Lo avrebbero finalmente preso!

Ma la sicurezza di Joe vacillò quando ispezionò la squadra cinofila di Averell: non solo era riuscito a procurarsi un solo cane, ma proprio il più stupido che si fosse mai visto!
-Perché hai preso Rantanplan?!?-
Il bastardino marrone dal grosso naso si sentì chiamare in causa, e iniziò a scodinzolare verso Joe.
-Gli altri cani sono impegnati per le operazioni anti-droga. Era rimasto solo lui; ma non preoccuparti, mi obbedisce! Siamo in perfetta sintonia, vero Rantanplan?- sorrise Averell carezzando la bestiola sulla testa.
-Certo, fra un imbecille e un idiota può solo essere vero amore…- mugugnò il maggiore a denti stretti, -Okay, non importa. Gente, posso avere la vostra attenzione? Bene. Grazie a William, siamo stati informati che si terrà un ricevimento in maschera durante la prima sera della mostra. Ci siamo accordati con i membri della sicurezza della reggia di Versailles per operare insieme alla cattura di Lucky Luke. Saremo mescolati alla folla in costume; per l’occasione noleggeremo degli abiti su misura. Anche il cane deve essere in tiro. In sala tattica troverete un fascicolo con tutti i dettagli dell’operazione e una mappa del palazzo e dei giardini, che dovrete studiarvi fino alla nausea. Riunione fra un’ora, rompete le righe. A fra poco.-
Mentre si allontanavano, due agenti si misero a parlottare fra di loro: -E’ vero quello che dicono del detective Dalton.-
-Cioè?-
-Che compensa la scarsa statura con l’autorità.-

 
Quattro giorni di frenetici preparativi animarono il dipartimento: affinché l’operazione, ribattezzata “Masquerade”, fosse un successo, Joe aveva imposto esercitazioni speciali in percorsi studiati in base alla struttura del palazzo. Anche se ad essere sinceri questi allenamenti si svolgevano nella palestra riadattata allo scopo, ma con un po’ di immaginazione poteva funzionare.

Per i costumi si erano rivolti a un sarto che li avrebbe cuciti su misura e modificati in modo da potervi portare al di sotto i giubbotti antiproiettile. Non si poteva mai sapere.
Pierre andò a bussare alla porta dell’ufficio di Joe qualche ora prima dell’inizio dell’operazione: -Signore? Posso entrare?-
-Certo, accomodati!-
L’archivista si bloccò sulla soglia: il detective, in piedi su uno sgabello, era in compagnia del sarto che stava dando gli ultimi ritocchi al costume. Tipico abito settecentesco, con i pantaloni corti fino al ginocchio e la giacca con le marsine, era stato infine decorato su quest’ultima con fili dorati ai bordi e bottoni del medesimo colore.
-Che ne pensi?-
-Mo-molto elegante, signore…- Gerard arrossì violentemente.
-Cosa succede, allora?-
-La… La… Squadra… Attende… In sala tattica…-
-Dì loro che sto arrivando. Ti senti bene?-
Senza rispondere, il collega scappò a testa bassa.
-Che problemi ha il ragazzo?- domandò il sarto.
Joe si limitò a fare spallucce, infilando la maschera in pendant con l’abito: -E’ larga.-

 

L’antica residenza reale, già magnifica durante la giornata, la sera del primo giorno della mostra aveva assunto una specie di aura fiabesca. Per l’occasione erano state attivate le fontane dei giardini, perciò una prima accoglienza era data dai giochi d’acqua nelle grandi vasche; il gorgoglio dell’acqua si mescolava al vociare eccitato degli ospiti vestiti a tema, tuttavia con maschere di ogni genere sul volto: gatti e altri animali, arlecchini, maschere veneziane, a metà del viso o integrali, di tanti colori diversi. La grande piazza che portava all’ingresso principale era gremita fino all’inverosimile; la facciata dell’edificio era illuminata da faretti multicolore che accentuavano l’effetto irreale. L’interno era stato leggermente riadattato per accogliere la mostra, ma lo stile barocco compensava con la sua ricchezza le vetrine decisamente troppo moderne che contenevano i tesori.
Fra gli ospiti allegri si aggiravano come pianificato i fratelli Dalton e la squadra speciale. Rantanplan, che per l’occasione era stato agghindato con un grosso fiocco rosa al posto del collare e tenuto al guinzaglio da Averell, era eccitatissimo, ma non aveva capito niente: “Che bello! Non avevo mai visto delle persone vestite da lampadario; chissà se hanno le lampadine sotto!” Tirò, desideroso di andare a indagare, ma venne trattenuto da Averell:

-Stai buono, dobbiamo fare la guardia!-
-Ragazzi.- Attraverso gli auricolari, Joe si mise in contatto con i fratelli: -Il primo piano è sotto il controllo della squadra A, noi dobbiamo muoverci qui e segnalare qualunque atteggiamento sospetto.- Si aggiustò la maschera e continuò a svicolare tra la folla.
Una raffinata musica classica aleggiava senza sovrastare le voci, risultando quasi fastidiosa alle orecchie del detective.
All’improvviso Joe ebbe come la sensazione di essere osservato. Purtroppo, così bassino, non riusciva a vedere granché oltre le ampie gonne delle signore, perciò dovette farsi largo attorno prima di individuare una figura alta e scura muoversi un po’ troppo in fretta nella direzione opposta a quella della folla.
-Hey, tu!- Dalton corse dietro a quello che identificò come un uomo vestito di nero. Lo inseguì, incurante del fatto che si stava allontanando troppo dai suoi fratelli, ma aveva addosso una strana sensazione e sentiva di doversi fidare di questa.
Si fermò nella splendida Galleria degli Specchi, stranamente vuota. Per chi non lo sapesse, tale zona della reggia deve il suo nome allo spettacolare gioco di specchi e finestre che paiono moltiplicarsi nei riflessi dei primi in una incredibile illusione ottica.
Fu davanti ad una di queste finestre che lo straniero, giunto lì prima di Joe, con grandissima non chalance si voltò in direzione del detective e gli sorrise: -Sì? Ha bisogno di qualcosa?-
Dalton, riprendendo fiato, si soffermò a guardare l’altro: portava una parrucca bianca sotto un cappello a tricorno, e una maschera a mezzo viso a forma di coniglio, nera. Per il resto sembrava aver copiato il costume del detective. Era alto e snello, e aveva un’aura di mistero attorno.
-Signore, posso aiutarla?- domandò ancora lo sconosciuto, cortese.
Joe scoprì di essersi imbambolato a fissarlo, e colto da un attimo di imbarazzo farfugliò: -Oh, no, ehm… Mi scusi, l’ho scambiata per qualcun altro…- Fece per andarsene, ma venne trattenuto da un gentile tocco sulla spalla sinistra: -Un momento! Fa piacere scambiare quattro chiacchiere con qualcuno ad una festa, specialmente se si ha la fortuna di incontrare il famoso Joe Dalton.- Lo sconosciuto aveva una voce bassa e gradevole, ma il detective non si lasciò distrarre, anzi si insospettì: -Mi conosce?-
-Difficile non notarla. La vostra guerra contro Lucky Luke ha fatto il giro dei quotidiani; confesso che seguo con grande interesse le sue indagini.-
Il tono era quello di un gentiluomo. Un affascinante gentiluomo. Joe deglutì, ancora in allerta: -Certo… Sì, è chiaro. Ammetto che mi fa piacere.-
-Ne deduco che si aspetta di vedere qui quel furfante. Teme voglia rubare il tesoro? Perché diciamocelo, le collane delle signore presenti qui stasera sono belle, ma di bigiotteria.-
-Ha occhio.-
-Me ne intendo, diciamo.-
-Ad ogni modo, non posso dire niente, sono informazioni riservate.- Si voltò verso l’uomo, che gli rivolse un enigmatico sorriso: -La negazione è una forma di conferma, non lo sa?-
Dalton arrossì un po’, sperando che la maschera potesse nasconderlo. Non era un mistero per nessuno la sua attrazione sia per il genere femminile che maschile, ma non gli era mai capitato di trovarsi di fronte ad un individuo tanto ammaliante solo con le parole!
Senza perdere l’espressione, l’uomo tornò a guardare fuori della finestra: -Sarebbe un peccato, però, che il trambusto di un furto disturbi una simile atmosfera: è una notte così bella, e Versailles sembra brillare di luce propria. Il vero crimine imputabile a Lucky Luke potrebbe essere rovinare questo momento. Venga a vedere, detective.-
Come ipnotizzato, Joe lo raggiunse. Al di sotto si potevano osservare i giardini.
-Questo luogo era una meraviglia ai suoi tempi e lo è tutt’ora, non crede?-
-Sì, è vero.- Cercando di scuotersi da quella specie di intontimento, Dalton affermò: -Anche se non sono un esperto di monumenti e opere d’arte. E lei?-
-Sono un appassionato lettore, di arte capisco quanto basta, e in un certo senso…- Lo sconosciuto guardò Joe: -Riesco a vedere la poesia ovunque io vada.- Riscuotendosi, guardò un orologio da taschino che trasse fuori dalla giacca: -Temo di essere in ritardo per un appuntamento. Devo defilarmi come il ben noto Bianconiglio, detective Dalton.-
Il modo nel quale pronunciò il suo nome fece arrossire Joe una volta di più: -Ah, beh, ecco, non sia mai che la trattenga; comunque anch’io devo tornare al lavoro.-
Togliendosi il cappello, l’uomo fece un inchino degno di un vero signorotto del Settecento: -Non resta che congedarci qui, detective. Le auguro di catturare il suo ladro.-
Delle grida provenienti dai giardini riportarono Dalton con i piedi per terra: guardando di sotto, vide un gatto, inseguito da Rantanplan, inseguito da una donna inseguita da Averell.
-Mi dispiace, devo…- Quando si voltò, lo sconosciuto era sparito.
-… scappare?- Dimenticandosi dl subbuglio emotivo che gli aveva scatenato quell’incontro, Joe tornò di corsa dai suoi fratelli, e insieme andarono in soccorso di Averell.

 

Passarono le ore, ma Lucky Luke non si fece vedere. La serata trascorse senza segnalazioni o incidenti dopo la corsa di Rantanplan, e Joe cominciò a credere, o quasi, di essersi sbagliato.
Ma il suo istinto gli suggeriva di non demordere.

-Joe, ho sonno…- si lamentò Averell avvicinandoglisi, -Gli invitati stanno andando via; torniamo a casa.-
-Voi andate pure se volete, io resto qui.-
-Sei sicuro?-
-Lui verrà. Deve farlo, me lo sento nelle ossa. A costo di farmi rinchiudere qui dentro tutta la notte, lo aspetterò.-
Non volendo discutere oltre, i fratelli lo lasciarono solo, e così anche la squadra speciale. Piano piano il palazzo si svuotò, e restarono Dalton e il guardiano notturno, un uomo anziano in divisa azzurra con la schiena curva e una barba bianca e folta.
-Lei è una roccia, detective!- gracchiò quest’ultimo in direzione di Joe, muovendosi con passo traballante, -E’ così sicuro di voler rimanere?-
-Assolutamente. Pattuglierò questi corridoi fino allo stremo.-
-O fino all’incontro con la regina.-
-La regina?-
Il vecchio ghignò: -Non conoscete la leggenda del fantasma di Maria Antonietta che si aggira nell’area del piccolo Trianon qui a Versailles?-
-Io non credo ai fantasmi.-
-Fa male. Non è una dama di molte parole, forse perché le mozzarono il collo, ma le assicuro che l’ho vista con i miei occhi, anima in pena colpevole di indifferenza verso il popolo francese.-
-Se sta cercando di spaventarmi, ha sbagliato uomo.-
-Come crede. Io l’ho avvertita. Notte notte…- A passo strascicato, il guardiano sghignazzò e lasciò Joe definitivamente da solo. Le luci si spensero poco dopo.
Nel buio della sala, Dalton cercò di darsi sicurezza stringendo il calcio della pistola con la mano. No, non credeva ai fantasmi, ma ora che la luce proveniente dall’esterno dava a quel luogo antico un’aria spettrale i suoi sensi stavano in allerta.
“Avanti, non scherziamo… Anche se esistessero, gli spiriti non hanno corpo! Sono al sicuro.”
Aggirandosi per i corridoi, con solo il rumore dei propri passi a riecheggiare in quel luogo così grande e maestoso, tornò ad un certo punto nella Galleria degli Specchi. E anche il ricordo del fascinoso sconosciuto, che sembrava uscito da un romanzo d’epoca. Joe non sapeva perché, ma lo paragonò ad una specie di Casanova, tanto bravo con le parole…
“Sono un idiota!” Si schiaffeggiò per tornare in sé; in quel momento udì un suono sospetto: un vetro infranto.
E proveniva dalla sala del tesoro!
Correndo più veloce possibile, Dalton si fiondò sul posto. Vide solo una vetrina rotta e una collana sul pavimento, oltre ad alcuni sostegni vuoti nella teca.
Impugnando la propria arma e tenendola in avanti, il detective si addentrò nel labirinto della mostra, la luce giallastra delle vetrine come unica fonte luminosa. Ispezionò ogni angolo della stanza, ma non c’era nessuno oltre a lui.
“Ma dove si è cacciato?”
Un basso e lugubre ululato lo raggiunse alle spalle, facendogli drizzare i capelli sulla nuca. Voltandosi di scatto, si trovò investito da qualcosa di bianco e gelido, che lo avvolse buttandolo a terra. Fu il panico: era Maria Antonietta?!?
Lui si mise a gridare: -Non mi avrai, maledetto fantasma!!-
Quando tornò alla ragione e tastò ciò che gli era arrivato addosso, si accorse che si trattava solo di un lenzuolo bagnato nell’acqua fredda. Udì un altro vetro rotto.
Fradicio da capo a piedi, maledicendo chiunque avesse organizzato un simile scherzetto, Joe si liberò dalla stoffa e quasi gli mancò il fiato: di fronte a lui, intento a riempire una borsa con i gioielli esposti, c’era un uomo alto e magro completamente vestito di nero e con il passamontagna, munito di una cintura multitasche. Questo si bloccò nel vedersi scoperto, e fissò Joe.
-Lucky Luke!!!- Nel sentirsi nominare, il ladro schizzò via, e Dalton cominciò ad inseguirlo per tutta la reggia. Evitò di sparare, anche solo colpi di avvertimento, perché non voleva rompere qualche oggetto prezioso che neanche in cinquant’anni avrebbe potuto ripagare.
L’inseguimento durò parecchio, alla fine però Joe costrinse il ladro a rifugiarsi nella cappella.
-Mani in alto!- ordinò il detective, puntando la pistola. Lucky Luke non obbedì, limitandosi a girarsi e guardarlo.
-Ti ho sotto tiro, non puoi sfuggirmi stavolta!-
Con una rapidità inumana, il ladro sparò un colpo che andò a disarmare l’altro.
-Detective Dalton. Ancora non hai imparato?-
Quella voce… Lucky Luke non aveva mai detto una parola, ma a Joe quel tono sembrava familiare: -Che cosa?-
-Sono contento che tu ti sia fidato del tuo istinto, anche se speravo di metterti io sulla pista giusta.-
-Di che diavolo parli?-
Con una bassa risata priva di scherno, Lucky Luke poggiò a terra la borsa e mise una mano sul fianco: -Non mi sarei mai permesso di rovinare la festa a tutti.-
Fu la seconda doccia fredda per Joe: -Eri tu… Quella specie di poeta…!-
-Non solo. Ho fatto in modo di seguirti anche dopo la nostra breve chiacchierata, sai?-
-E come?- Non ti ho più visto fra gli invitati.-
-Quale personaggio insospettabile puoi incontrare più facilmente in un posto come questo?-
Ragionandoci un attimo, Dalton sbarrò gli occhi: -Il guardiano…-
-La leggenda è vera, ho solo pensato di sfruttarla per suggestionarti un po’.- Lucky recuperò la borsa, ne trasse fuori un bracciale e lo mise in una tasca della cintura: -Dobbiamo salutarci ancora, credo.-
-Prima dimmi una cosa: come mai hai deciso di parlarmi? Alla festa, qui…-
-Volevo farlo da un po’, in realtà, ma è difficile scambiare due parole con qualcuno quando hai cinquanta agenti che ti puntano addosso i loro fucili…- Si avvicinò, posando fra le mani di Joe la borsa con i preziosi: -Ho quello che volevo. Non sono stato preciso come al solito e ho fatto confusione, ti spiace tenere tu questi ninnoli?-
Senza parole, il detective restò a fissare il criminale avvertendo di nuovo quel senso di fascinazione che lo aveva colpito ore prima.
-Inoltre…- Lucky Luke si chinò leggermente verso l’altro: -Ho rivelato apposta il mio utilizzo di travestimenti.-
-Per rendermi paranoico? Spingermi a non fidarmi di nessuno?- Gli tremò una mano.
-No.- Praticamente sussurrandolo all’orecchio di un ormai color rosso semaforo e innervosito Joe Dalton, continuò: -Perché voglio dimostrarti la mia fiducia, detective.-
-Fiducia?-
-C’è un motivo per il quale rubo. Ti piacerebbe scoprirlo?-
Quel tono di voce avrebbe fatto ribollire il sangue a un cobra.
-Mi farò vivo io.- Allontanandosi indietro di qualche passo, Lucky gettò per terra un fumogeno, che scatenò un attacco di tosse a Joe e lo costrinse a chiudere gli occhi. Quando poté riaprirli, il ladro era scomparso. Lasciò cadere la borsa e andò alla ricerca della sua pistola.
Cosa diavolo era successo? Era stato ipnotizzato? Aveva sognato?
Con mille pensieri che gli giravano in testa e il cuore che non accennava a smettere di martellargli nel petto, andò a sedersi nella prima fila dei sedili e cercò di riprendersi, facendo il punto della situazione.
Primo: avrebbe preso a calci i suoi fratelli per averlo lasciato lì da solo.
Secondo: si sarebbe fatto vedere da un bravo psicanalista, perché doveva essersi completamente bevuto il cervello per essersi fatto stregare così dall’uomo che avrebbe dovuto arrestare!!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Passarono i giorni. Nonostante si fosse fatto sfuggire ancora Lucky Luke, il capo della polizia diede un encomio a Joe Dalton per aver recuperato la refurtiva. Tutti gli fecero i complimenti, ma al detective poco importava: era ancora scombussolato emotivamente. Per tutti la sua era una vittoria, ma per lui era un ricordo imbarazzante, che mai avrebbe raccontato.

Inoltre quel maledetto ladro lo aveva riempito di un sacco di domande: perché rubava? Anche se in effetti questa non era nuova, aveva solo assunto un senso diverso. Cosa intendeva con “dargli fiducia”? E poi, cosa se ne faceva di un oggetto rubato alla volta?

Poggiò la faccia sulla sua scrivania, sbuffando. L’analisi scientifica della borsa contenente i gioielli non aveva portato a niente, era immacolata e priva di impronte.

Non avevano nulla in mano.

La cosa più frustrante, però, era l’essersi fatto… corteggiare? Non c’era un altro modo di descrivere l’accaduto.

Sì, essersi fatto corteggiare da quel bellimbusto. Peggio, non riusciva a togliersi dalla testa quella voce suadente che diceva “Mi farò vivo io”.

Joe stava impazzendo. Avrebbe mantenuto quella specie di promessa?

-Detective Dalton?- Una squillante voce femminile annunciò l’ingresso nell’ufficio di una giovane donna dai voluminosi capelli rossi in tailleur.

-Betty, ti ho già detto che puoi chiamarmi Joe…-

-Siamo al lavoro, cerco di essere professionale!- scherzò lei.

-Sei la fidanzata di Averell, praticamente una di famiglia.-

-Ma sono anche la psicologa del dipartimento. A proposito di questo, vorrei ricordarti che la nostra seduta settimanale si è spostata al giovedì, almeno per un po’.-

-Problemi?-

-Mi fanno pressioni per accogliere nel mio studio anche agenti esterni, ho l’agenda piena. Però ci sono sempre per il mio futuro cognato!- ammiccò la donna.

-Sei gentile. Grazie. Ma al momento le mie uniche preoccupazioni riguardano il lavoro, come al solito.-

Betty gli lanciò un ultimo sorriso comprensivo prima di riaprire la porta, ma si bloccò: -Che sciocca! Quasi dimenticavo: più tardi ti manderò tramite Pierre alcuni permessi da firmare; si tratta di congedi terapeutici che ho consigliato io stessa. Il capitano non può occuparsene, e mi serve un nome valido.-

-Certo, va bene.-

Uscita dall’ufficio, la rossa attraversò un breve corridoio fino ad incontrare in un punto stabilito gli altri tre fratelli Dalton. Subito William le domandò: -Allora? Tutto a posto?-

-No. Mi sembra un po’ stanco, e dice di essere preoccupato per il lavoro, ma a parer mio nasconde qualcosa.-

-Forse dovresti preparare un permesso anche per lui; sai, questa faccenda di Lucky Luke lo mette parecchio sotto pressione- disse Averell.

-Potrei farlo, ma sono sicura che risponderebbe di non averne bisogno.-

-E’ strano da quando ha impedito a Lucky Luke di rubare alla reggia di Versailles- osservò Jack, -forse non è contento del fatto che sia scappato.-

Continuarono a fare congetture fino all’ora di pranzo; i quattro fratelli si trovarono all’ingresso e uscirono tutti assieme.

C’era una tavola calda, non molto lontana dalla sede del dipartimento, chiamata “Mère L’Oie”, dove andavano sempre a mangiare. Incastrato tra il negozio di una nota marca di scarpe e una profumeria, si distingueva per la tenda parasole color giallo limone e l’insegna, dove al di sopra del nome era dipinta una fila di anatroccoli che seguivano la madre; quest’ultima portava col becco una cesta da picnic in vimini.

Era stato Averell a proporlo come “posto preferito per il pranzo”: le porzioni erano abbondanti e ogni mercoledì c’era la crostata di lamponi come dessert. Avevano pure un tavolo praticamente prenotato, vicino alla grande finestra che dava sulla strada.

Fu al momento di ordinare il secondo che William tirò fuori l’argomento Lucky Luke per tastare il terreno: -Allora, Joe, hai un nuovo piano in cantiere?-

-Prego?- Il fratello era sovrappensiero, e giocherellava con un angolo del tovagliolo.

-Lucky Luke. Cosa hai intenzione di fare con lui?-

-Beh… Direi che al momento il dispiegare forze in più non è stato efficace. Devo rivedere alcune cose, ci vorrà un po’ di tempo.-

-Come vuoi. Se devo fare qualche ricerca…-

-Teniamo sotto controllo la lista che abbiamo già stilato- tagliò corto Joe, -Vi vanno le cotolette di pollo con le patatine?-
 

 

Definire una casa “accogliente” è solo un altro modo per dire che è piccola.

Allora la casa dei fratelli Dalton si poteva definire molto accogliente, per alcuni soffocante. Perché si sa, la maggior parte dei maschi è disordinata, e anche se Joe fin dall’inizio aveva stabilito delle regole e dei turni di pulizia, solo il minore sembrava rispettarli alla lettera.

Un appartamento composto da tre camere, un bagno e una cucina/sala da pranzo/salotto. Per loro era un castello.

Averell sosteneva che fosse una metafora del loro legame così stretto. In fondo avevano sempre fatto tutto insieme, dalla scuola elementare fino all’accademia di polizia, oltre alle birichinate di quando erano ragazzini.

Sì, erano dei veri teppisti: accendevano i petardi sotto la poltrona del nonno, attaccavano i barattoli alla coda della loro gatta, e una volta cresciuti passarono a rompere le vetrine e a fare i vandali in ogni modo possibile. La madre, esasperata, li trascinò letteralmente per le orecchie via dalla loro cittadina americana per portarli in Europa, a Parigi, e per insegnare loro la disciplina li spedì a farsi le ossa come cadetti.

Ed eccoli lì, riuniti sul divano, dopo una giornata di lavoro fatta di pattugliamenti, scartoffie e segnalazioni, a sgranocchiare pop corn e a guardare un film dandosi fastidio di tanto in tanto; il bersaglio preferito era Averell perché soffriva il solletico.

-Ma non sarebbe più semplice congelare quel parassita?- commentò William, -Insomma, se ha il sangue acido mi sembra la cosa più logica da fare.-

-Zitto, voglio seguire!- si stizzì Jack.

Il minore stringeva fra le braccia un cuscino, raggomitolato al suo posto: -Joe, non esistono simili bestiacce, vero?-

-No, Averell, non esistono- rispose annoiato il maggiore, -E poi guarda, il tipo sta bene, si è staccato da solo quel coso.-

Ma alla scena successiva, molto più orrida della prima, Averell si nascose la faccia nel cuscino: -Che schifoooo!!-

-Ma dai, gli è solo uscito un mostriciattolo dallo stomaco!- sottolineò con una risatina malefica uno dei gemelli, che si scambiarono un pugnetto.

-Iiiiiihhh!!! Smettila!!-

Joe spense il televisore: -Ok, adesso basta! A letto!-

-Ma Joe…-

-Se non volete lavare i piatti per una settimana, obbedite!-

Tanto poco dopo toccò a lui andare a rassicurare Averell che nessun alieno gli avrebbe abbrancato la faccia durante la notte.

Una tipica serata a casa Dalton.
 

 

Vedere i suoi fratelli minori dormire beati, i gemelli nel loro letto a castello e il minore abbracciato al cuscino che borbottava nel sonno, era una cosa che faceva sempre sentire bene Joe. Li sgridava spesso, ogni tanto dava loro qualche scappellotto e litigavano prendendosi a pugni, ma l’affetto che li legava era evidente.

Il maggiore era sempre l’ultimo ad andare a dormire, un po’ perché voleva essere ben sicuro di aver chiuso tutto, e poi perché si soffermava sempre a guardare Parigi di notte alla finestra, con le luci dei lampioni a gettare una luce giallastra su strade e marciapiedi.

Improvvisamente il suo cellulare si mise a squillare. Andò a vedere: numero sconosciuto.

Rispose ugualmente, con una breve esitazione: -Pronto?-

-Salve, detective Dalton.-

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Joe ebbe bisogno di sedersi: -Tu…-

-Scusa se ci ho messo tanto, ma trovare il tuo numero di telefono ha richiesto più tempo del previsto. Come stai?-

-… Mi prendi in giro?- sibilò Dalton, sottovoce.

-Cosa intendi?-

-“Come stai” è una domanda che fai ad un amico. Noi non siamo amici.-

-Si chiama educazione, e non mi sembra sia ancora morta.- Non sembrava stizzito, ma divertito.

-Tralasciamo come tu abbia fatto ad avere il mio numero. Perché mi stai chiamando a quest’ora?-

-Perché sono sotto casa tua e ho bisogno di parlarti.-

Al detective si fermò il cuore. Tornò alla finestra, ed effettivamente c’era qualcuno in strada, una figura longilinea avvolta in un cappotto scuro.

-Sei veramente incredibile! Questo si chiama stalking!- Non riusciva a vederlo in volto.

-Se la metti così ti faccio una proposta: so quando non sei di turno al dipartimento. Incontriamoci domani a Parc Monceau, io e te da soli, e avrai le tue risposte.-

-Risposte?- Appiccicò la faccia al vetro.

-Andiamo, Joe. Tu sei curioso, lo so da tempo. È proprio questa curiosità che mi ha convinto a sceglierti. Guardati: vuoi scoprire la mia identità anche adesso.-

-Scegliermi? Per fare che?-

-Per farmi smettere di rubare per sempre.-

-… Vuoi che ti arresti? Perché non c’è bisogno di aspettare domani. Scendo e la chiudiamo qui.-

Lucky ridacchiò: -Se avessi voluto farmi mettere le manette date non saremmo qui a parlare, ora. Prima che tu possa pensare male, voglio dirti un’ultima cosa: c’è di più dietro a tutta questa storia, e posso garantirti che se deciderai di seguirmi sarà rischioso per entrambi. Saprò che vuoi andare fino in fondo se ti presenterai, altrimenti vorrà dire che mi sbaglio e tutto tornerà come prima, con noi due a giocare a guardie e ladri.-

Joe non rispose. Soppesò le parole dell’altro, e cavolo se aveva ragione, era curioso. Il non sapere lo irritava terribilmente.

Si morse un labbro: -Facciamo verso le undici del mattino?-

Lucky Luke buttò giù. Evidentemente non gli serviva altro. La figura in strada si allontanò, e Dalton si lasciò scivolare sulla sedia, con la sensazione di star commettendo un errore grosso come una casa.

Sentì russare suo fratello minore, e la tentazione di svegliare tutti, dire loro cosa era successo a partire da Versailles e preparare un piano era fortissima.

Invece, ricordandosi della frase “potrebbe essere rischioso”, si limitò ad espirare e andarsene a dormire. Cosa che non gli riuscì subito, visto che domani avrebbe incontrato di nuovo e da vicino l’uomo che molto volentieri avrebbe ammanettato.

“Chissà cosa intendeva con quel “pensare male”…”

Un’immagine poco decente affiorò nella mente del detective collegando le parole “Lucky Luke + ammanettato”, non sapeva neanche come gli fosse venuta, e diventando color pomodoro ficcò la faccia nel cuscino dando pugni al materasso: “Ora sì che lo odio!!!”

 

 

Vedendo suo fratello maggiore vestito di tutto punto, Jack, sbocconcellando un toast con la marmellata, domandò: -Hey, Joe, come mai così elegante?-

-Uh… Ho un appuntamento. Una specie.-

-Ooh, chi è la fortunata?- si inserì William.

-Non è una donna.-

Averell trattenne il fiato, le guance piene di croissant: -Joe ha un nuofo amico!!-

-Siete fuori strada, è una faccenda di lavoro.-

Un’esclamazione delusa arrivò in coro dai fratelli. Jack continuò: -Eddai, Joe, prima o poi dovrai trovarti qualcuno; abbiamo sempre pensato che saresti stato il primo ad incontrare la persona giusta!-

-Invece è stato Averell- si pronunciò il gemello, -dovresti pensare meno al lavoro.-

-Sì, certo.- Il maggiore buttò giù il resto del suo caffè e li salutò.

I tre, però, continuarono a discuterne fra di loro: -Non me la bevo la storiella dell’appuntamento di lavoro.-

-Già. E poi lo abbiamo visto, ultimamente è distratto e Lucky Luke non gli interessa più come prima.-

Buttando giù il suo boccone con un po’ di latte, Averell sorrise sognante: -Chi lo sa, magari si è innamorato e non ce lo vuole ancora dire! Joe in fondo è sensibile!-

I gemelli si guardarono per poi scoppiare a ridere.

 

 

Parc Monceau è il luogo ideale per passare del tempo all’aria aperta, magari per una passeggiata romantica. Al suo interno si trovano non solo le statue in marmo di famosi scrittori e musicisti, come Chopin e Guy de Maupassant, ma opere di importante valore: un ponte in stile veneziano, il colonnato della Naumachia, persino una piramide in scala! Tutto presentato al pubblico in un modo elegante, armonioso e davvero unico.

Proprio di fronte al colonnato, mezz’ora prima dell’orario stabilito per l’incontro, si trovava Joe Dalton. Ingannò l’attesa gettando di tanto in tanto dei sassolini nello specchio d’acqua racchiuso fra le colonne, facendone increspare la superficie. Alcune coppiette gli passarono accanto, uniti mano nella mano o a braccetto.

Joe cercò una panchina dove andare a sedersi, ma rinunciò ben presto perché erano tutte occupate da studenti con il naso fra i libri e anziani. Così si diresse verso il ponte, e appoggiandosi con la schiena al parapetto cominciò a chiedersi se fosse stata una buona idea presentarsi da solo: anche se era un parco pubblico, c’erano parecchi posti dove tendere imboscate o appostarsi.

Si girò a guardare il canale che scorreva sotto. E chissà per quale strano collegamento di idee ricordò quella sera a Versailles, quando Lucky Luke disse di dover fuggire come il Bianconiglio. Se quello era il ruolo del ladro, il suo era forse Alice che gli correva dietro?

Sghignazzò: l’abito azzurro non gli avrebbe donato!

All’improvviso si sentì afferrare da dietro, e qualcuno gli tappò la bocca con un fazzoletto. Dalton si dimenò, ma il pezzo di stoffa era intriso di cloroformio, e si ritrovò stordito in pochissimo tempo. Divenne tutto nero.

 

 

-Ci sei andato pesante con quella roba. E perché l’hai legato?-

-Credimi, è solo per la nostra sicurezza. Non so come reagirà al suo risveglio.-

Una voce femminile e una maschile furono la prima cosa che Joe udì nel riprendersi. Piano piano aprì gli occhi, e mise a fuoco la figura di una donna in vestaglia blu dai lunghi capelli neri.

-Dove… sono?- biascicò, riprendendo i contatti col resto dei suoi sensi. Scoprì così di essere legato ad una sedia.

La donna si voltò: non avrà avuto più di venticinque anni; i tratti del viso ricordavano quelli di un’indiana americana ma aveva la pelle mulatta e gli occhi grandi, neri come la notte; oltretutto era davvero molto bella e prosperosa: -Buongiorno detective!- esclamò con un sorriso.

-Chi… Cosa…-

-Stia calmo, non è un rapimento questo; è solo che mio cugino ha i suoi metodi!-

-Cugino? Metodi?-

-Wow, ci è andato pesante sul serio…-

-Lascia perdere, Cheyenne, non fai che confonderlo così.-

La voce maschile di poco prima apparteneva ad un uomo che Joe individuò ad armeggiare al tavolo presente nella stanza, in piedi e che gli dava le spalle, ma quella figura smilza vestita di nero era inconfondibile. Tanto bastò al detective per riprendersi dal torpore del sedativo: -Lucky Luke!!-

Questo si voltò, e finalmente Dalton lo vide in faccia: più giovane di quanto si aspettasse, aveva il viso magro e un po’ allungato, un naso abbastanza importante e gli occhi scuri. I capelli neri si portavano avanti in un ciuffo pettinato con la piega all’ingiù e che sembrava non rispettare le leggi della fisica, visto che stava su da solo, e aveva un accenno di basette.

-Allora, Joe?- domandò il ladro.

-Allora cosa?-

-Sono come immaginavi o completamente diverso?-

Dalton lo squadrò meglio, solo per prenderlo in giro con un ironico: -Credevo avessi la barba.-

Cheyenne ridacchiò: -Questo tipo mi sta già simpatico, Lucky!-

-Buono a sapersi.-

-Devo scappare, mi aspettano in camerino; ciao ciao!- Uscì dalla stanza facendo svolazzare la vestaglia.

-Camerino?- Joe era sempre più confuso sul suo luogo di prigionia.

-Ti spiegherò anche questo. Allora…- Si appoggiò al tavolo con le mani, sempre guardando l’altro: -Alla fine sei venuto. E pure in anticipo.-

-La metro era in orario. Comunque non mi aspettavo di essere sequestrato. È una caduta di stile, Lucky Luke.-

-Volevo parlarti senza maschere, ma mi serviva un luogo sicuro per farlo. E in quanto al resto, non preoccuparti, ti libererò. Ma prima dovrai ascoltarmi. Perché a questo punto sono sicuro di aver fatto bene a rivolgermi a te.-

-Hai detto di volermi rivelare tutto.-

-E’ così. Sono certo che capirai e mi aiuterai.-

-A fare cosa? Smettere di rubare? Lo avevi già accennato.-

-… Salvare mio fratello.-

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo V ***


-C’era un tempo in cui ero anch’io dalla parte della legge. Lavoravo come agente dell’FBI, nella sezione per il recupero di beni culturali, e mio fratello era anche il mio partner. Abbiamo arrestato molti criminali insieme, e ben presto ci chiamarono quelli dei servizi segreti per il nostro metodo molto pulito: mai ucciso qualcuno. I nostri soprannomi erano “Lucky Luke”, per l’appunto, e “Jolly Jumper”. Divennero i nostri nomi in codice.-

Lucky fece una pausa, per poi riprendere in tono più serio: -Un giorno seguimmo una pista su un traffico di quadri antichi. Hai mai sentito parlare dell’incendio della Flakturm Friedrichshain?-

-Mai.-

-Fu il più grande disastro artistico della storia moderna. Accadde nel maggio del 1945, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. C’erano tre torri, fatte costruire dal Fuhrer, armate in ogni angolo e pronte a sostenere qualsiasi attacco. Quegli edifici, che per anni avevano offerto una difesa solida alla città di Berlino, vennero in seguito utilizzati come magazzini per proteggere oggetti, sculture e dipinti provenienti dai vari musei della capitale e in seguito da altri. Ma per cinque giorni, inaspettatamente, divampò un incendio che distrusse la maggior parte delle opere d’arte. E qui torniamo a noi. Sembra che chi intervenne per domare le fiamme non dichiarò mai, se non in alcuni documenti secretati come diari e lettere, di aver tenuto per sé in totale una decina di tele. Parliamo di Caravaggio, Rubens, Goya; quadri che questi uomini hanno poi venduto clandestinamente nel corso degli anni. Puoi immaginare il loro valore: sono i pochi sopravvissuti di 417.-

-Vediamo… Calcolando che la media è di dieci milioni a quadro…-

-Oh no, qui si parla di miliardi, Joe.-

Questo sbarrò gli occhi, realizzando: -… Per la miseria.-

-Io e Jolly, contro il parere del nostro capo, accettammo di occuparcene. Le opere sarebbero state vendute in gran segreto dal mercante d’arte al suo compratore, ma uno dei loro uomini fu ben felice di spifferare tutti i dettagli a un nostro informatore dopo qualche bicchierino di whisky, così individuammo il luogo della trattativa e ci organizzammo con una squadra. Tutto andò come previsto, recuperammo i quadri ma…- Lucky si avvicinò a Joe, le mani nelle tasche: -Accadde qualcosa di strano. Jolly Jumper scomparve nel nulla. Lo cercai ovunque, per tutta la notte e il giorno successivo, ma il suo cellulare era morto; nessuno dei nostri amici e colleghi sapeva niente. Finché non mi arrivò una telefonata. Il capo del mercante d’arte non aveva gradito il nostro intervento.- Strinse i pugni: -Aveva rapito mio fratello. Disse che voleva indietro le tele, altrimenti non lo avrei mai più rivisto. Ne parlai col mio capo, e sai cosa mi ha risposto?-

-Fammi indovinare: “Non è un mio problema”? Oppure: "Non ne siamo responsabili perchè non eravate autorizzati"?-

-Allora agii di mia iniziativa: presi i quadri dal magazzino e andai dove concordato con i rapitori. Nella mia ingenuità credevo che avrebbero rispettato i patti, ma non fu così. Anzi, venni incastrato dal loro capo. Scommetto che il suo nome ti suonerà familiare: Arthur Mason.-

Joe ripescò dalla memoria le informazioni legate a quel nome: -Quell’Arthur Mason? Il criminale arricchitosi con il contrabbando di merce falsa, gioielli e opere d’arte?-

-Proprio lui. Disse che aveva notato il mio talento, di apprezzare il mio metodo. E mi propose un accordo: avrebbe liberato mio fratello in cambio di alcuni furti su commissione, non per rivendere gli oggetti, ma per collezionismo personale. Non avevo scelta; rassegnai le dimissioni e lo seguii qui, a Parigi.-

-Mi sorge spontaneo domandarti perché non hai ancora finito. Sapevo che Arthur Mason era morto, non molto tempo fa.-

-Suo figlio Dorian è subentrato al comando. A differenza del padre, purtroppo, ha un’innata crudeltà che lo spinge ad essere più brutale nel concludere i suoi affari; Mason senior soleva giungere a compromessi, Dorian è il tipo che ti da una sola chance e se fallisci ti spara. È anche furbo: ricorre sempre ad agenti, non uccide mai con le sue mani, e risulta sempre non coinvolto nei crimini da lui organizzati. Fino a qualche tempo fa ha mantenuto inalterati i patti che avevo con suo padre.-

-Cosa è cambiato?-

Lucky si accigliò: -Mi ha ordinato di eliminare una persona. Un suo rivale in affari.-

Joe lo guardò, inclinando la testa: -E tu ti sei rifiutato, giusto?-

-Ha riso di me e mi ha dato un ultimatum di tre settimane per eseguire il lavoro, o Jolly ne avrebbe pagato le conseguenze. Lì ho deciso di dare un taglio a questa storia. È stato prima di Versailles.-

-Qui veniamo al perché sono legato su questa sedia, immagino.-

Lucky Luke si avvicinò ancora un po’ al detective, incrociando le braccia sul petto: -Ti ho osservato a lungo, Joe Dalton, fin da quando sei stato assegnato al mio caso. Hai una gran testa, ti informi e in seguito pianifichi. Sei uno stratega, ed è quello di cui ho bisogno. Per questo ho fatto leva sulla tua curiosità nei miei confronti.-

-E questo non rende anche te un pianificatore?-

-Io studio delle contromosse, il più delle volte. Ho bisogno di te per un altro motivo: puoi fare quello che io non posso, avendone perso l’autorità. Arrestare Dorian Mason.-

-Arrestarlo?-

-Sì. Ucciderlo non servirebbe a niente, perché qualcuno altro prenderebbe il suo posto. Invece, una volta in prigione, potrà essere interrogato, e si potrà procedere a smantellare l’intera organizzazione. Ma io non sono più un agente, e l’unica scelta che mi resterebbe per salvare Jolly si prospetta la peggiore.-

-Va bene, arrestare i criminali è il mio lavoro… E poi?-

-So che puoi capirmi.- Il tono di Lucky si addolcì: -Hai tre fratelli minori che proteggeresti a qualunque costo. Se uno di loro fosse nei guai, cosa faresti?-

Dalton non esitò a rispondere: -Mi prendi in giro? Smuoverei mari e monti per tirarlo fuori!-

-Visto?-

-Ma ancora non ho capito perché io, Lucky Luke. Perché vuoi che sia io ad aiutarti?-

-Come ho detto, ti ho osservato a lungo. E di tutti i poliziotti che mi è capitato di incontrare non riesco a pensare a nessuno, Joe, così affidabile.- Prese un coltello dal tavolo dietro di sé e si avvicinò a passo lento: -Una volta salvato Jolly, niente più furti; avrai un ladro in meno a cui pensare e un criminale in più dietro le sbarre.- Tagliò le corde che immobilizzavano il detective.

Quest’ultimo si massaggiò i polsi: -Mi si è bloccata la circolazione…-

-Scusa, sono poco abituato a rapire le persone. Non sono delicato come quando disattivo gli allarmi!- scherzò Lucky.

Joe meditò per un attimo su tutte le informazioni che aveva appena acquisito. Finalmente la nebbia si stava diradando.

-Ho un’ultima domanda.-

-Ti ascolto.-

-In che modo sei riuscito a tenermi d’occhio?-

Chinandosi all’altezza del suo ospite, troppo vicino per i gusti del detective (memore di quella notte a Versailles), Luke sorrise: -Mi dispiace, ma credo che ti lascerò una scia di briciole da seguire. In parole povere, dovrai arrivarci da solo, e lo dico proprio perché non sottovaluto la tua intelligenza.- Gli tese la mano: -Accetti di imbarcarti in questa impresa con me? Ti avverto però: né i tuoi fratelli, né i tuoi colleghi, dovranno sapere niente di tutto questo.-

-Perché?-

-Meno persone sono a conoscenza della missione, meno probabile è il rischio che diventino dei bersagli. È una regola basilare dei servizi segreti. Solo noi due, detective Dalton. Certo, sei libero di rifiutare, ma così morirà un uomo, e lascerai che il tuo ladro si trasformi in un assassino, e questa faccenda non avrà mai fine.-

-Tu vuoi affrontare da solo un uomo così pericoloso e la sua organizzazione solo per salvare tuo fratello? Sei pazzo.- Gli strinse la mano: -Accetto.-

-Davvero?-

-Non chiedermi perché, ma sento che è giusto così. Ti aiuterò, ma ti avverto che non prendo ordini da nessuno.-

-Tranquillo, quello non sarà un problema. Joe Dalton… non potevo sperare in una risposta migliore!- Un largo sorriso illuminò il volto di Lucky Luke, e il detective pensò di essere diventato pazzo ad accettare senza porre le sue condizioni. Era un salto nel buio quello che stava per affrontare con quello che prima era suo nemico…Beh, non proprio nemico, diciamo con quello che avrebbe dovuto arrestare.

-Lucky??- Cheyenne rientrò nella stanza, con indosso un abito di paillettes argentate: -Ho uno spettacolo non programmato tra dieci minuti; potresti andare a prendere Amèlie quando hai finito di flirtare col tuo ragazzo?-

-Nessun problema.-

Joe rimase di ghiaccio: il suo cosa?!?

-Sei un grande, grazie!!- La ragazza svanì così come era apparsa. Lucky espirò: -Il dovere chiama. Che ne dici, andiamo a mangiare qualcosa insieme dopo?-

-Come?- Dalton era ancora incredulo per le parole di Cheyenne e non lo stava ascoltando.

-Mia nipote esce fra poco dalla scuola.- Andò dietro un paravento lì presente: -E dato che è quasi ora di pranzo, pensavo di invitarti. Dopotutto siamo in un quartiere dove i ristoranti non si contano.- Uscì fuori dal lato opposto vestito con dei jeans, una camicia scura e un cappotto nero.

-Aspetta… Ma dove siamo?- si ricordò allora il detective.

Lucky Luke andò alla porta, e guardandolo al di sopra della propria spalla gli sorrise un’ultima volta prima di andarsene: -Benvenuto al Moulin Rouge.-

 

Cheyenne, sempre con indosso l’abito di paillettes, tornò nella stanza un quarto d’ora dopo, e sembrò piuttosto sorpresa nel vedere Joe ancora lì, che curiosava distrattamente negli scomparti non chiusi a chiave degli armadi lì presenti.

-Detective!-

-Oh, salve.-

-Credevo foste andato via.-

-Mi sembrava scortese rifiutare l’invito a pranzo di tuo cugino, e ho deciso di aspettarlo qui.-

La ragazza sorrise, stupita: -L’ha invitata a pranzo?? Ma è fantastico!! Voglio dire, da quando Jolly è stato rapito non sono mai riuscita a fargli mettere il naso fuori dalla sua camera se non per lavorare o rubare!! Questo vuol dire che ha accettato di aiutarlo!! Che gioia!!- Strinse Dalton fra le braccia: -Io la adoro!!-

-Hey, non sono un bambolotto!! Piantala!!- si lamentò lui, dimenandosi con rabbia.

-Grazie!! Lei gli ha ridato speranza!!- Lo lasciò andare, cercando di calmarsi: -All’inizio non capivo cosa ci trovasse in lei, ma ora che la vedo qui, addirittura ad aspettarlo…-

-Frena, aspetta! Calma! Non so quale idea tu abbia di me e tuo cugino…-

-Oh, non si preoccupi, scherzavo quando l’ho definita il suo ragazzo.-

-Ah, bene.-

-Al massimo potrebbe essere il suo uomo.-

-Ma--

Prima che Joe potesse replicare, dei piccoli e rapidi passi all’esterno interruppero la conversazione, e una bambina di circa sei anni, che somigliava moltissimo a Cheyenne tranne per il dettaglio che aveva gli occhi verdi, entrò nella stanza: -Mamma!!-

-Tesoro! Ciao!!- la accolse a braccia aperte lei.

La piccola si tuffò ridendo verso Cheyenne; nel vano della porta comparve Lucky Luke che reggeva in una mano uno zainetto giallo dei “Minions”: -Amèlie, dì a tua madre la bella notizia.-

-Ah, sì! Ho preso sette a matematica!-

-Bravissima!-

-E il mio compagno Nicolàs ha mangiato un insetto!-

-Uuuh, che schifo!!-

Lasciando madre e figlia a ridere e scherzare fra di loro, Lucky posò lo zainetto della bambina e si rivolse a Joe: -Ora che la principessa è tornata al castello, possiamo andare.-

-Andare dove?- domandò curiosa la piccola, -Chi è?-

-Ops, chiedo scusa: Amèlie, ti presento il mio amico Joe Dalton; Joe, la mia nipotina.-

-Ciao!- salutò lei, il sorriso incompleto a causa di un paio di denti da latte caduti.

-Ciao, Amèlie, è un piacere.-

-Lo zio Lucky parla spesso di te, sai? Ha detto che porti in prigione le persone cattive.-

-Esatto.- Dalton era sorpreso.

Luke ridacchiò: -Andiamo, principessa, Madame Louise ti aspetta di là con la mamma per il pranzo.-

Amèlie gli tese le braccia: -Mi porti a cavalluccio? Per favore!-

-Come resistere a quegli occhi dolci?- La accontentò, e la bambina si mise a ridere contenta.

Mentre si allontanavano, Cheyenne li guardò con tenerezza. Joe fece altrettanto, suo malgrado, e commentò: -E’ una bella bambina.-

-Già.-

-Dov’è il padre, se posso chiedere?-

La ragazza sospirò: -Era un soldato. Iraq. Ha fatto in tempo a vederla neonata prima di partire, ma non è mai tornato.-

-… Mi dispiace.-

-Se non fosse stato per Lucky e Jolly non avrei saputo cavarmela, sa? Si sono comportati più da fratelli che da cugini, su di loro si può sempre contare.- Cheyenne rivolse la sua attenzione al detective: -Per questo non ho esitato a seguire Lucky qui in Francia. Siamo una famiglia; non potevo lasciarlo solo ad affrontare questa situazione.-

Joe annuì, pensando ai suoi fratelli.

-Amèlie li adora. Ci siamo dovuti inventare una scusa plausibile per spiegare l’assenza di Jolly.-

-Perché usi i loro nomi in codice come nomi propri?-

-E’ la forza dell’abitudine. I loro veri nomi sono stati cancellati quando entrarono nei servizi segreti, misura cautelare a sentire loro.-

-Capisco.-

-Se vuole saperne di più, chieda a Lucky.- Le sfuggì una risatina: -Che gusto ci sarebbe altrimenti a svelare tutti i suoi segreti?-

-Forse hai ragione.-

Cheyenne cambiò espressione: -Sa, è un brav’uomo. È buono, non farebbe del male a una mosca. Mi prometta che lo aiuterà, e che non lo lascerà solo.-

-Ci posso provare.-

-… Anche lei è un brav’uomo. Si vede.-

Joe arrossì, imbarazzato; Lucky rientrò un attimo dopo: -Tutto a posto, ti sta aspettando con la compagnia.-

-Va bene, grazie mille. Arrivederci, detective!-

-A presto.-

Rimasti soli, Joe si rivolse all’altro con un sorrisetto: -Ladro misterioso, affascinante gentiluomo, bravo zietto e fratello dell’anno. Chi sei, Lucky Luke?-

-Tutte queste cose insieme, una delle quali è solo di facciata però. Hai detto affascinante?-

-Perché, come lo chiami quello che hai fatto a Versailles?-

-Cercavo solo di essere affabile, di sostenere una conversazione…- Sembrava piacevolmente, e per Dalton fastidiosamente, sorpreso. Questo portò il detective a cercare di correggersi: -Con questo non dico che personalmente io ti trovi attraente o cosa… Affascinante! Volevo dire affa- Dimentica quel che ho detto!-

Il rumore dello stomaco di Joe interruppe la conversazione. Lucky indicò la porta con un cenno del capo, sorridendo: -Vogliamo andare?-

L’altro gli passò accanto, la faccia paonazza e farfugliando qualcosa.

Lucky Luke si coprì la bocca, trattenendo una risata.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Seduti al tavolo esterno di un grazioso ristorante indiano, dalla coloratissima facciata decorata da vasi di fiori appesi, fra i due cadde un momento di silenzio. Gli argomenti non erano certo finiti, ma né Lucky né Joe sapeva da dove cominciare.

“Beh… tanto vale fare il primo passo” pensò il detective, passando lo sguardo dal menù al suo compagno di tavolo, per poi decidersi a mettere giù il foglio di carta plastificata e prendere la parola, in tono basso per non farsi sentire dagli altri clienti: -Allora… FBI, eh? Mi sembrava strano che tu fossi così abile con le armi. E i servizi segreti…-

-Non è solo merito dell’addestramento, per quanto riguarda le armi almeno; è una specie di dono.- Lucky posò il menù a sua volta: -Anche tu comunque te la cavi bene.-

-Lo prendo come un complimento.-

-Ma lo era.-

Un cameriere dal forte accento indiano si avvicinò loro e domandò cortesemente se erano pronti a ordinare.

-Io prendo il numero cinque, grazie, e una bottiglia di acqua minerale- si pronunciò Luke, -e tu Joe?-

-Ah… facciamo lo stesso.-

L’altro alzò un sopracciglio in modo interrogativo: -Sei sicuro?-

-Sì, ho una fame da lupi e non mi va di perdere tempo a scegliere.-

-Allora… Facciamo due bottiglie, per favore.-

Con un breve inchino, il cameriere andò via, e Lucky accennò un sorriso: -Ne hai di fegato.-

-Perché dici così?-

-Lo capirai presto. Stavamo dicendo?-

-No, stavo solo… Cambiamo argomento: che mi dici di te e tua cugina? Come siete finiti a lavorare nel locale più famoso di Parigi?-

-In America Cheyenne faceva la cantante e ballerina; per un po’ ha lavorato persino a Las Vegas. Con il suo curriculum non è stato difficile per noi trovare un posto al Moulin Rouge.-

-Anche tu fai parte dello spettacolo?-

-Più o meno. Cinque giorni la settimana ho il compito di presentare gli artisti, principalmente la sera, certo non quando sono in giro a compiere furti. Ogni volta devi interpretare un personaggio diverso, ma non è difficile: Cheyenne mi ha insegnato a recitare fin da quando eravamo piccoli.-

-Uhm. Si spiega come tu sia così bravo a travestirti.-

-… Joe, è una conversazione o un interrogatorio?-

-Come?-

-E’ proprio vero che sei troppo concentrato sul lavoro.- Sorrise sornione: -Di solito si cerca di conoscersi meglio al primo appuntamento.-

Dalton sentì la lingua seccarglisi di colpo: -Primo cosa??-

-Sì; insomma siamo qui, senza che tu minacci di arrestarmi o che io sia intento a rubare. Come lo chiami questo?-

-Un’uscita. Un incontro. Qualunque altra cosa, ma non “appuntamento”.-

Il cameriere tornò con le bottiglie d’acqua per poi dileguarsi ancora. Lucky appoggiò il gomito sinistro sul tavolo, e senza perdere l’espressione posò il mento sul palmo della mano: -Non devi sentirti in imbarazzo.-

Joe avvertì la pressione sanguigna salire di colpo. Quanto avrebbe voluto prenderlo a pugni e farlo smettere di sorridere! La cosa peggiore era che stava tornando quella sensazione di fascinazione, e temeva che si potesse notare il suo disagio.

Tentò di riscuotersi: -Sei solo fortunato che io non sia in servizio adesso, chiaro? Non farti strane idee.-

Invece l’altro si lasciò sfuggire una bassa risata: -Vuoi forse dire che non ho ancora le manette ai polsi perché non stai lavorando?-

-Esatto.- L'immagine che la sera prima si era presentata nella sua mente tentò di riaffiorare, ma la ignorò: -E per il nostro accordo, credevi l’avessi dimenticato?- Dalton si versò un bicchiere d’acqua: -Sono comunque il poliziotto, e tu il ladro.-

-Va bene. Ma cosa succederebbe se decidessi di venire a trovarti in ufficio?-

Joe quasi si strozzò col suo sorso d’acqua, non tanto per la frase quanto per il modo in cui era stata pronunciata; tossì per un po’ prima di riprendersi: -Cosa…?-

-Tanto nessuno conosce il mio volto a parte te, perciò cosa faresti se decidessi di andare lì mentre sei di turno?-

-Ti ripeto che se non fosse per il nostro accordo, ti sbatterei in una cella e butterei via la chiave.-

-Immagino che non mi lasceresti lì tutto solo, vero?-

Dalton rimase a bocca aperta per quel tono un po’ allusivo; divenne paonazzo di rabbia e si trattenne dall’urlare: -Piantala di provarci con me!!-, che uscì con un suono quasi strozzato.

-Rilassati, Joe, ti stavo solo stuzzicando un po’.-

-Sappi che chi osa stuzzicarmi finisce all’ospedale!-

In quel momento, dalla parte opposta della strada, stavano passeggiando Averell e Betty, chiacchierando allegramente. Fu proprio lei a vedere Joe: -Hey, quello non è tuo fratello?-

-Sì… Ma guarda, non è da solo!-

-Chi è quell’uomo? Lo conosci?-

-Mai visto prima. Forse è l’appuntamento di lavoro di cui parlava Joe stamattina.-

Betty guardò l’espressione di Lucky un po’ più attentamente: -Non saprei… A me sembra che stia flirtando con Joe, e che lo stia facendo arrabbiare. Stiamo a vedere.-

Il cameriere portò l’ordinazione dei due. Era un piatto di pollo e verdure in salsa, dal delizioso aroma di spezie.

-Buon appetito.- Ma al detective bastò un boccone per sentirsi la lingua andare a fuoco. Si attaccò ad una delle bottiglie e ne buttò giù l’intero contenuto.

Lucky sembrava non risentire degli effetti di tutte quelle spezie. Guardandolo, Dalton capì a cosa si riferiva poco prima.

-Vuoi cambiare la tua ordinazione? Se è troppo piccante…-

-Non ti lascerò questa soddisfazione, a costo di giocarmi le papille gustative!-

Averell e Betty non sapevano cosa stesse succedendo, ma vedere suo fratello continuare a mangiare mandò il minore in confusione per un attimo: -A Joe non piace il cibo piccante, che sta combinando?-

-Direi che sta cercando di non fare brutta figura…-

-Credi che quel tipo gli piaccia?-

-Può darsi. A giudicare da ciò che ho visto finora, penso che siano alla prima uscita; difficile capirci qualcosa da qui.-

Lui si emozionò: -Credi che mio fratello abbia finalmente trovato qualcuno?-

-Sarebbe un bene. Così avrebbe altro a cui pensare, oltre ad inseguire Lucky Luke!-

Lo stesso Lucky, che alle pietanze piccanti era abituato, cercò di non dare a vedere quanto si stesse divertendo di fronte al povero Joe che, pur di non cedere, ad ogni boccone buttava giù un bicchiere d’acqua.

Lo trovò assolutamente irresistibile.

Non era solito ridere di qualcuno, ma l’altro lo stava veramente mettendo alla prova.

-Joe, sul serio, vuoi cambiare piatto?-

-… Mai…- Ormai Dalton aveva le lacrime agli occhi, ed era rosso come un pomodoro.

-E’ un bene che tu non sia il tipo che si arrende… Ma così finisci al pronto soccorso.- Si chinò leggermente verso l’altro: -Se parliamo di come abbiamo intenzione di arrestare Mason e salvare mio fratello, cambierai il tuo ordine e la smetterai di infliggerti questa sofferenza?-

Dopo un momento, Joe annuì, e con un gesto della mano chiamò il cameriere.

Betty era sbalordita: -Sembra che l’abbia convinto a fermarsi!-

-Impossibile! Nessuno può far cambiare idea a Joe; non ci siamo mai riusciti noi che siamo i suoi fratelli!-

-Andiamo, Averell, dobbiamo dirlo a Jack e William!-I due si allontanarono a passo svelto.

 

-Dunque, Joe, prima di cominciare devo avvisarti che per arrivare a Dorian Mason dobbiamo prima passare per la sua guardia del corpo, Ivor. Ex agente del KGB, addestrato in tre diverse arti marziali, esegue qualunque ordine del suo capo come un fedele cagnolino.- Prese una foto da una tasca del cappotto; ritraeva un uomo che reggeva fra le mani un cartello con i numeri di un carcere, anche se dall’aspetto sembrava un armadio alto due metri e altrettanto largo. Vestiva di nero, era completamente pelato e la sua faccia ricordava quella di un carlino tanto era brutta.

-Cosa intendi con “passare per”?-

-In questo periodo Dorian è in una località supersegreta, dove si incontrerà con alti esponenti del mercato nero nel tentativo di vendere ciò che ho rubato nel corso dell’anno; tutto quello che suo padre ha collezionato finirà all’asta. Solo Ivor conosce il luogo e l’ora dell’incontro, ma è un’informazione che non rivelerà tanto facilmente.-

-Però quella potrebbe essere l’unica occasione per beccare Dorian con le mani nel sacco.-

-Non solo: Ivor è incaricato della sorveglianza degli ostaggi, collocati in una struttura che sono riuscito ad individuare dopo mesi di ricerca. Si trova qui, in Francia, non molto distante da Nizza. Il bosco nasconde il luogo alla perfezione.-

-Tengono lì tuo fratello?-

-Sì. Ho tentato più volte di ottenere i codici di sicurezza, ma quelli delle celle non li conosce nessuno, a parte il nostro uomo.-

-Quindi, ricapitolando, il piano si divide in quattro fasi: catturare questo Ivor, ottenere le informazioni, liberare tuo fratello e arrestare Dorian Mason. E tutto in due settimane e mezzo. Una passeggiata di salute.-

-La prima fase non è troppo complicata: Ivor attualmente si trova proprio qui a Parigi. E un uccellino mi ha detto come rintracciarlo.-

-Davvero?-

-Tutti al mondo hanno una debolezza. Quella del nostro amico sono gli spettacoli del Grand Guignol.-

-Il teatro del macabro?-

-La compagnia che ripropone quelle scene raccapriccianti  in America sta facendo una tournee in Europa, e guarda caso una data sarà domani sera al teatro Olympia. Noi entreremo nell’edificio, mescolandoci al pubblico, e lì potremo catturare Ivor.-

-Ma i biglietti saranno esauriti da un pezzo.-

Con un rapido gesto della mano, degno di un prestigiatore, Lucky materializzò dal nulla proprio i biglietti dello spettacolo, reggendoli fra le dita: -Per questo mi sono largamente anticipato. Conoscere i bagarini giusti ti fa risparmiare tempo e denaro.-

-Bene. Mi preoccuperò di studiare gli eventuali punti di fuga del teatro, come le uscite antincendio. Non potrà sfuggirci.-

-E’ quello che spero.- Luke guardò il suo orologio da polso: -C’è ancora un po’ di tempo, paghiamo il conto e facciamo una passeggiata?-

-Tempo prima di cosa?-

-Prima che i tuoi fratelli tornino a casa dal loro turno.-

Joe rimase sorpreso: -Come fai a saperlo?-

-Non ho osservato solo te, ma anche la tua famiglia. Dovevo farlo, per non venire arrestato.-

-Non fa una grinza.-

 

Passeggiando per le vie della città, Dalton decise di fare qualche altra domanda a Lucky, che camminava accanto a lui con le mani nelle tasche: -Sai, ho sempre avuto una certa immagine degli agenti americani, forse un po’ stereotipata. E dire che sono americano anch’io.-

-Che tipo di immagine?-

-Uomini d’azione, duri e diretti. Come nei film polizieschi in bianco e nero, capisci?-

-Sì, ho presente. Piccoli uffici saturi di fumo di sigaretta, la luce che filtra dalle tapparelle di una finestra…-

-Sì; ecco… Non sei come uno si aspetterebbe nel sentir parlare di FBI.-

Lucky ridacchiò: -Ricorda cosa ti ho detto: mi occupavo di beni culturali. Era un campo leggermente diverso da quello dell’antiterrorismo o della narcotici.-

-Meno muscoli, più cervello?-

-Diciamo che devi leggere più libri del normale. E saper riconoscere i falsi dai quadri originali, anche se in questo e in storia dell’arte il più portato è mio fratello; da parte mia preferisco i monumenti. Tu che mi dici?-

-Sono scarso in fatto di arte, devo ammetterlo. Non saprei distinguere un Picasso da un Van Gogh.-

-Conosci i nomi dei pittori, è già una buona base.- Si fermò, arrestando il passo dell’altro mettendogli una mano davanti al viso: -Però possiamo rimediare.-

Joe seguì lo sguardo dell’altro, e vide l’entrata di una libreria. Il detective intuì subito cosa voleva fare: -Sul serio?-

-Tranquillo, prenderemo solo lo stretto indispensabile.-

Che si rivelò un unico, ma decisamente pesante e ingombrante, volume di storia dell’arte, in ordine cronologico e completo di fotografie.

Joe si stava ostinando a volerlo portare da solo, ma era una faticaccia a causa della sua statura.

-Non vuoi una mano?-

-No! Non mi serve la balia! Ce la faccio!-

Lucky scosse la testa e prese il libro dalle mani di Dalton: -Almeno lascia che ti aiuti a portarlo fino a casa.-

Joe tremò al solo pensiero: -No! Cosa succederebbe se i miei fratelli ti vedessero?-

-Primo: non sanno chi sono, e puoi inventarti una scusa qualunque. Secondo: cosa c’è di male?-

-I miei fratelli sono degli impiccioni imbarazzanti, ecco cosa!-

-Tutte scuse, Joe.-

-… Va bene, ma non salire fino al nostro appartamento. Lo dico per evitare le domande a te e una crisi a me.-

-Ah, i tuoi attacchi d’ira per i quali ti stai facendo aiutare dalla signorina Betty?-

Il detective rimase di sasso: -No, tu ora mi spieghi come lo sai.-

-Desolato!- Lucky gli sorrise, reggendo il libro con due mani: -In marcia.-

Continuando a camminare, Joe rimase in silenzio a fissare di soppiatto il suo accompagnatore, fino a che non si decise a riallacciarsi al discorso precedente: -Pensi che una minima conoscenza in più sull’arte possa essermi utile?-

-Un’infarinatura non fa mai male.-

-Sì, ma questa sarà di almeno cinque chili, se ti cade sul piede non è divertente!-

Lucky si mise a ridere: -Quando si dice il peso della cultura!-

Joe era sorpreso: aveva la battuta pronta lo spilungone! Ebbe l’impulso di scusarsi per quel che aveva detto poco prima: -… Hey, senti… Non ti sarai mica offeso per quella cosa…-

-Sul non volermi nei pressi di casa tua? No, lo capisco.-

-Ho deciso che non importa se i miei fratelli ti vedono. In fondo ho detto loro che avevo un appuntamento di lavoro.-

-Va bene.-

-Che ne so, sei un mio nuovo informatore, una cosa del genere.-

-Joe.-

-Cosa?-

-Non hai mai portato un uomo a casa, vero?-

-… Neanche una ragazza a ben guardare.-

-Ti preoccupa una qualche mancanza di discrezione da parte mia? Perché ti assicuro…-

-No. Visto quello che hai fatto passare in un anno, tu sei Mister Discrezione. Ma conosco i miei fratelli.-

E infatti William, Jack e Averell, dopo che il minore aveva riferito tutto quel che aveva visto ai gemelli, si erano messi alla finestra ad aspettare il ritorno del maggiore.

-Ripeti un po’ come è fatto questo tipo, Averell.-

-Alto, di bell’aspetto; sembrava a suo agio con Joe.-

-Che sia la volta buona? Ad ogni appuntamento che ha avuto con qualcuno, nostro fratello è sempre andato in bianco!- disse Jack.

-Aspettate, eccoli!-

Dalla cima della strada videro arrivare Joe e il suo misterioso accompagnatore. William si lasciò sfuggire un fischio di approvazione: -Non male!-

-Guarda come parlano tra di loro… Aspetta, Joe sta sorridendo??-

-Sì!-

-Visto? Ve l’avevo detto!-

-Stai buono, Averell!-

Il detective si accorse della presenza dei fratelli alla finestra: -Ecco, lo sapevo.-

-Bene, mi hanno visto. Evitiamo l’imbarazzo delle presentazioni?-

-Per stavolta sì.-

-D’accordo. Passo a prenderti domani sera alle otto. Mi farò prestare l’auto da Cheyenne, è una familiare argento.-

-Cosa? Non ci troviamo direttamente là?-

-Io ho un mio modo di fare le cose, Joe.- Gli restituì il libro e aggiunse: -E’ sufficiente che tu indossi giacca e cravatta. Portati distintivo e manette, ne avremo bisogno.-

-E la pistola?-

-No. Degli spari scatenerebbero il panico, anche in un pubblico come quello del Grand Guignol.-

-Certo. Chiaro.-

-Allora…-

-A domani sera.-

-…-

Joe ebbe come l’impressione che la conversazione non fosse conclusa, e spronò l’altro: -Cosa c’è?-

-… Sono felice che tu abbia accettato. Spero che alla fine di tutto questo, non so, tu possa considerarmi tuo amico.-

C’era qualcosa nel suo sguardo che lasciò spiazzato il detective: sembrava emozionato e anche un po’ impacciato nel dire quelle parole. Ciò non toglieva niente a quello che già pensava di lui, anzi rivelava un altro lato del suo carattere.

-Uhm… Vedremo, Lucky, vedremo.-

-Mi hai appena chiamato Lucky?-

-Salgo prima che questo affare mi stacchi le braccia; a domani!!- tagliò corto Joe, che corse via, per quanto possibile dato il libro.

Si diede mentalmente del cretino.

-Ragazzi, avete visto?-

-Sì, Jack!-

-Che sia davvero andata bene stavolta?-

-Fermi, ascoltatemi: non una parola con lui, facciamo finta di niente o ci urlerà contro! Vediamo come va a finire, e se prosegue chissà…-

-Hai ragione, William.-

-Saremo delle tombe!- annuì Averell.

Joe entrò nell’appartamento col fiatone. Quel tomo era davvero troppo pesante!

-Aspetta, ti aiuto io Joe!-si offrì Jack, che venne allontanato: -Ce la faccio, nessun problema. Novità?-

-Nessuna!- esclamò il minore, -E tu?-

-Nessuna. Io devo studiarmi un po’ di cose, mi preparate un caffè?-


 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


-Ma quello non è il completo delle grandi occasioni, Joe?-commentò Averell nel vedere il fratello con la giacca, la cravatta e i pantaloni neri con la camicia bianca.
-Sì. Volevo vedere se mi stava ancora bene.-
-Sembri un Man in Black!- si aggiunse William, -Dove vai così in tiro?-
-Stasera devo vedermi con una persona in un posto. Ed è richiesta un minimo di eleganza.-
-Oh, parli di quel bel tipo che ti ha riaccompagnato ieri?- disse ancora il minore; i gemelli provarono a zittirlo ma fu troppo tardi. Tuttavia Joe non si scompose: -Lui è un collega, fratellino, e mi ha consigliato di studiarmi un po’ di arte per entrare meglio nella mente di Lucky Luke, capire il suo metodo, chiaro?-
-Ma sono quadri, non gioielli- obiettò Jack.
-Fidati, so quello che faccio. Vado a cambiarmi e andiamo al lavoro.-
Più tardi quello stesso giorno, mentre osservava l’andirivieni dei propri colleghi in ufficio, William distrattamente stava continuando a fare qualche ricerca al computer sui luoghi che Lucky Luke avrebbe potuto colpire, per aggiornare la loro lista (contrariamente a quanto aveva detto Joe).
Fu in quel momento che un colpo di tosse attirò la sua attenzione, seguito da una gentile voce femminile: -Mi scusi…- Wiliam alzò lo sguardo e rimase imbambolato a guardare la bella ragazza che gli stava di fronte, perché nonostante fosse vestita semplicemente in jeans e maglietta, aveva un fascino unico, tanto che gli parve di sentire un coro di angeli o simile; doveva avere una qualche discendenza dagli indiani americani.
-Ehilà?- lo richiamò lei alla realtà agitandogli una mano davanti agli occhi.
-Cosa? Sì, mi dica.-
-Stavo cercando il detective Dalton, ma mi sono persa dopo che la guardia all’ingresso mi ha solo indicato di salire di qualche piano. Può aiutarmi?-
-Certamente! William Dalton!- si presentò lui goffamente tendendole la mano.
-Cheyenne Strokes; sei uno dei fratelli di Joe, allora. Mi sembrava ci fosse una certa aria di famiglia!-
Quel sorriso gentile incantò di nuovo il poliziotto, che rimase a guardarla sognante.
-Uh… La mano mi serve ancora…- ridacchiò lei.
-Eh? Oh! Scusa!- La lasciò andare, imbarazzato: -Ti porto subito da Joe.-
Quest’ultimo, intento a firmare velocemente i permessi per Betty, fu molto sorpreso di vederla; una volta fatta accomodare la ragazza il detective disse a suo fratello di lasciarli soli.
-Ho un messaggio da parte di mio cugino- cominciò lei a bassa voce, -mi ha chiesto di consegnarvelo perché lui è impegnato per “quella cosa” all’Olympia.-
-Perché questo tono sommesso?-
-Anche i muri hanno le orecchie, sono solo prudente.- Trasse fuori dalla borsa che aveva con sé una busta di carta rettangolare bianca: -Dentro c’è qualche istruzione in più, credo, e un volantino con gli orari degli spettacoli. Voleva telefonare, ma come ho detto è impegnato.-
Joe aprì la busta e lesse il breve messaggio scritto a mano in un nitido e fitto stampatello: “Il nostro uomo sarà al teatro per lo spettacolo delle venti e trenta. Ci vediamo più tardi. L.L.”
-Grazie mille, Cheyenne.-
-Prego. Devo scappare, Amélie esce dal corso di arte fra poco.-
Tornando indietro accompagnata da Joe, la ragazza non mancò di salutare con la mano William, che ricambiò aggiungendo un timido sorriso.
Accorgendosi dell’espressione del fratello minore, Dalton sogghignò: -Hey, innamorato, non farti strane idee; ha una figlia di sei anni.-
-Non importa… Wow…-
-Terra chiama William! Hai sentito cos’ho detto?-
Ma il sospiro sognante dell’altro convinse Joe a lasciar perdere: ormai era cotto.

Prima di uscire dalla propria camera, Joe verificò di aver preso tutto: distintivo, manette, una mappa del teatro e il programma del Grand Guignol. Diede un’occhiata a quest’ultimo ancora una volta: alle venti e trenta si sarebbe tenuto il dramma in due atti “L’Homme qui a tuè la Mòrt”, che all’apparenza trattava di decapitazioni.
Non che gli interessasse, dopotutto.
Controllò l’orologio da polso: segnava le diciannove e un quarto. Andò nel salotto, dove i suoi fratelli erano riuniti sul divano a decidere se ordinare la pizza o del cibo cinese.
-Joe, dacci una mano!- disse Jack, buttando la testa all’indietro sulla spalliera guardandolo sottosopra, -Cosa ci consigli?-
-La pizza è più sana di quella roba fritta, e poi mangiare con le bacchette non è il vostro forte.-
Il detective si mise ad aspettare vicino alla finestra che dava sulla strada. Nonostante l’ora, il sole stava a malapena tramontando, colorando gli edifici con la sua luce calda e arancione.
-E pizza sia!- esultò Averell, che notò subito dopo dove si era accomodato il maggiore: -Che fai?-
-Devono venirmi a prendere.-
-Ah, già, l’appuntamento con quel bel tipo…- lo stuzzicò Jack, che venne placcato sul divano dagli altri due nel tentativo di farlo tacere.
-Come ho detto, è un collega. Stavo solo controllando se era già arrivato, tutto qui.- Aveva distolto un attimo lo sguardo, e quando lo riportò sull’esterno ecco l’auto color argento parcheggiata proprio là sotto, comparsa come per magia.
-Ma è assurdo! Parli del Diavolo ed eccolo che spunta!- esclamò il detective; aspettò che Lucky scendesse dal veicolo, ma dopo dieci minuti il cellulare di Joe si mise a squillare.
-Pronto?-
-Forse sono un po’ in anticipo, ma sarebbe carino se ti decidessi a scendere.-
-Non sono vestito- mentì Dalton.
-Bugiardo. Ti vedo, dalla finestra. Mi stavi aspettando?-
-Evita quel tono, ti spiace?-
-Quale tono?-
-Ogni volta che parli con me, sembra che tu ci stia provando! E poi esiste una cosa chiamata campanello, scendi e suonalo!-
-Stanno passando sulla radio la mia canzone preferita. Non puoi farmi questo.-
-… Lascia perdere. Arrivo.- Buttando giù la chiamata, diede un’ultima raccomandazione ai fratelli: -Ordinate una pizza anche per me, non ci vorrà molto. E guai a te Averell…-
-Lo so, lo so. Non devo toccarla.-
-Ci vediamo dopo, ragazzi.-
Lungo la rampa di scale, Joe ebbe la sfortuna di incrociare la loro vicina pettegola, la signorina Fevre, una zitella ficcanaso che non mancava mai di sparlare malignamente di qualcuno. A prima vista sembrava un’innocente vecchietta coi bigodini fra i capelli, la vestaglia e le ciabatte; in realtà era una strega che odiava i bambini e cercava di apparire gentile con tutti solo per poi seminare zizzania.
-Oh, signor Dalton!- esclamò lei con un sorriso di finta cortesia, la voce gracchiante e fastidiosa.
-Signorina…-
-Ha visto quel tipo che ha parcheggiato qui sotto? Dovrebbero fargli una bella multa! Non c’è più rispetto, dico bene?-
-E’ un mio collega. Mi sta aspettando.-
-Davvero? Beh, dovrebbe ripassare il codice stradale, è troppo vicino al passaggio carrabile del condominio. Glielo dica.-
-Sì, sì; buona serata- tagliò corto Joe superandola e continuando a scendere. Giunto alla macchina, aprì la portiera e si accomodò sul sedile del passeggero davanti bofonchiando:
-Non la sopporto…-
-Prego?-
Voltandosi verso Lucky Luke, Dalton si accorse che anche lui indossava un completo simile al suo.
-Mi prendi in giro?-
-Perché?-
-Ti sei vestito uguale a me!-
-Non era mia intenzione. Comunque, con chi ce l’hai?-
-Niente, l’inquilina della porta accanto… Non cambiare discorso, sai?!?-
-Non siamo vestiti uguali. Tu indossi il nero, il mio è un grigio molto scuro.-
-… Sì, mi stai prendendo in giro, te lo leggo in faccia. Andiamo?-
-Allacciati la cintura.-
Con un ringhio, Joe gli diede retta; giusto il tempo di fare manovra e i due si diressero verso il teatro.

L’Olympia vanta la fama di essere uno dei più longevi music hall di Parigi: costruito nel 1888, negli anni ’30 venne trasformato in un cinema, fino al 1944. Ha ospitato artisti di ogni tipo, dalla cantante Dalida ai Beatles, e venne dichiarato patrimonio culturale nel 1993 scampando alla demolizione. Perciò c’era stato parecchio stupore fra gli amanti del teatro quando l’annuncio che uno spettacolo come quello del Grand Guignol sarebbe stato allestito in una tale pietra miliare.
Ciononostante, l’affluenza di pubblico era ricca, come furono costretti a constatare Joe e Lucky, che dovettero fare a spintoni per entrare. Il palco, già allestito per il primo spettacolo, era stato privato del sipario. Una voce registrata annunciava che per le prime file era stato disposto, sotto ciascun sedile, un telo cerato, onde evitare che eventuali schizzi di sangue finto danneggiassero gli abiti.
-Per ora andiamo ai nostri posti; ci muoveremo col buio in sala- mormorò Lucky rivolto al detective. Una volta accomodati nelle poltrone di velluto rosso, Joe domandò: -Lo vedi da qualche parte?-
-E’ laggiù in prima fila. Figuriamoci se voleva perdere gli effetti speciali.-
La luce in sala andò via di colpo, come se fosse saltata la corrente, e il pubblico lanciò un’esclamazione di sorpresa e paura all’unisono. Un rombo di tuono, seguito da un gran lampeggiare di luci sul palco, anticipò l’entrata ad effetto da una nuvola di fumo di un uomo che nell’aspetto ricordava lo zio Fester degli Addams, solo molto più inquietante e vestito con abiti bianchi stracciati. Annunciò, con un’isterica risata da pazzo, che lo spettacolo non era adatto ai deboli di cuore e alle donne svenevoli, e che quindi queste persone dovevano andarsene finché erano in tempo.
-Quando ci muoviamo?- sussurrò impaziente Joe.
-Ci sarà una pausa dopo il primo atto; dopo il bagno di sangue al nostro amico verrà voglia di darsi una ripulita. Il sangue finto che usano nello spettacolo ha una buona fluidità, ma è appiccicoso. Lo so perché mi sono intrufolato alle prove della compagnia.-
-A quel punto potremo bloccarlo…- Tastando l’interno della giacca, Dalton si accorse che mancava qualcosa:-Maledizione!-
-Che c’è?-
-Le manette! Devono essermi cadute in macchina!-
-Ne sei sicuro?-
Prima che l’altro potesse rispondergli, una musica assordante e inquietante riempì loro le orecchie.
Lo spettacolo era cominciato.
-Non posso uscire, o le maschere e gli addetti alla sicurezza non mi faranno più rientrare!!!- urlò Joe, cercando di sovrastare la musica.
-Niente panico, ho portato delle fascette di plastica per ogni emergenza!!!- rispose Lucky.
Questo sollevò un poco il detective. Anche gli agenti di pattuglia ne facevano uso, quando non potevano usufruire delle manette.
Almeno uno dei due si era rivelato previdente.

Il sangue scorreva a fiumi sulla scena. Letteralmente.
Joe sapeva che non era reale, ma definirlo disgustato era riduttivo. Come poteva una roba tanto macabra piacere alla gente?
Questo però non lo fece distrarre dall’obiettivo: Ivor era talmente coperto di sangue finto da sembrare un mostro facente parte dello spettacolo. Non ci sarebbe voluto molto prima che andasse alla toilette a lavarsi.
-Questo primo atto non finisce più!- sibilò il detective fra sé e sé. Come se qualcuno lo avesse sentito, calò nuovamente il buio all’improvviso; le luci in sala si rialzarono gradualmente e la voce registrata annunciò l’intervallo.
-E’ il momento- disse Lucky, che per tutto lo spettacolo non aveva staccato gli occhi di dosso alla loro preda. I due si assicurarono che entrasse nella toilette degli uomini prima di alzarsi.
-Entro prima io, visto che mi conosce.-
-No, ci vado io.-
-Ma Joe…-
-Mi infilerò in uno dei cubicoli; quando mi sentirai fischiettare sarà il segnale del via libera.-
-Come vuoi. Quale motivetto userai?-
-Qualcosa di semplice, aspetta… Sì, le prime note di “Frére Jacques”, ok?-
-Ok.-
Una volta dentro la stanza, Joe si guardò discretamente attorno. Apparentemente erano solo lui e Ivor, intento a togliersi dal viso e dalla testa calva l’appiccicoso liquido rosso, ormai rappreso in più punti.
Con l’aria più disinvolta possibile, Dalton si avviò verso i cubicoli dove stavano i WC. Erano di quelli che dal di sotto potevi vedere i piedi dei tuoi vicini, e la prima cosa che fece il detective fu proprio controllare da lì se ci fosse qualcun altro. A quel punto, iniziò a fischiettare. Attese, sbirciando dalla porticina.
Pochi secondi dopo, entrò Lucky Luke. Con grande sorpresa di Joe, salutò Ivor in russo. Non ci capiva niente, ma sembrava che stessero usando toni abbastanza cortesi.
Ad un certo punto Ivor mise le mani ancora bagnate sui fianchi; sembrava più teso e anzi ostile.
All’ennesima affermazione di Lucky, ridacchiò divertito e scattò improvvisamente verso di lui per dargli un pugno, che andò a vuoto. Scansatosi appena in tempo, Luke si mise in posizione di guardia; l’altro recuperò l’equilibrio con un’agilità della quale non sembrava capace, e riprovò a colpire l’avversario con un destro più calcolato del precedente, che tuttavia fallì ugualmente poiché Lucky riusciva a schivare facilmente grazie al fisico più minuto. L’ex agente provò allora a contrattaccare, ma il suo pugno venne bloccato dalla mano di Ivor che, sogghignando, ne approfittò per rifilargli una ginocchiata nello stomaco.
A quel punto Joe si spaventò: doveva intervenire, ma come?
Il grosso bodyguard prese l’altro per il collo della camicia, sollevandolo come si fa coi gatti, e rifilandogli un pugno in piena faccia lo mandò contro il muro con la schiena.
Il detective si fece coraggio: approfittando del fatto che fosse voltato di spalle, si avventò su quello che in confronto a lui era un gigante, saltandogli addosso. Era come vedere Davide contro Golia.
Colto di sorpresa, Ivor tentò di agguantarlo, ma Joe gli ficcò le dita negli occhi e gli storse il naso, mentre si teneva saldamente con le gambe avvinghiate attorno a quel collo taurino.
Purtroppo l’altro riuscì a prenderlo per la giacca, e lo scaraventò facilmente dall’altra parte della stanza. Dalton rimase steso a faccia in giù nella forma di una stella marina. Ma quella breve distrazione era servita a dare a Lucky il tempo di riprendersi: riuscì a placcare sul pavimento Ivor e a bloccargli rapidamente i polsi con una fascetta di plastica, bella stretta, anche grazie al fatto che Joe lo avesse momentaneamente accecato.
Quest’ultimo si rialzò, un po’ acciaccato: -Ecco cosa prova un sacco di patate…-
-Stai bene?-
-Sì, ho la pelle dura. Tu piuttosto, ti sta già venendo un occhio nero.-
-Non è niente paragonato alle mie costole, ma poco male. Forza, portiamolo via.-
Proprio in quel momento qualcuno entrò nel bagno: -Insomma, che sta succedendo qui dentro?-
Il detective e Lucky si distrassero per una frazione di secondo; Ivor scattò indietro col capo dando una poderosa testata sul naso a Luke, e liberatosi del suo peso, con le mani ancora legate dietro la schiena si rialzò e scappò dalla porta, travolgendo il malcapitato che l’aveva aperta.
Joe scattò al suo inseguimento: -Polizia!! Fermate quell’uomo!!- urlò, mostrando in aria il distintivo.
La sicurezza rispose all’appello, ma non riusciva a superare la folla che si era ammassata in preda al panico nell’udire qualcuno che gridava, e che quindi stava occupando i due lati dell’ingresso. Di conseguenza, nessuno controllava il portone.
Ivor si gettò in quella direzione.
Al contrario degli altri, Joe riuscì a svicolare tra la folla e continuare l’inseguimento: -Polizia!!! Fermati, brutto…!-
Tre figure familiari si gettarono sul fuggiasco, sbattendolo nuovamente a terra e facendo eco a Dalton: -Polizia di Parigi!! Sei in arresto!!-
Dalton rimase a bocca aperta: -Che ci fate voi qui?!?-
Averell, candidamente, rispose: -Volevamo solo assicurarci che il tuo appuntamento andasse bene, Joe, così ti abbiamo seguito!-
-Siamo rimasti qui, però, visto che non avevamo i biglietti- aggiunse Jack, tenendo saldamente le gambe del prigioniero, -ma chi è quest’uomo, Joe? Che sta succedendo?-
Lucky comparve in quel momento alle spalle del detective, tamponandosi il naso sanguinante con un fazzoletto.
Joe si passò una mano sul viso: -A questo punto… credo sia arrivato il momento delle spiegazioni.-

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


-E questo è quanto. Ecco perché inseguivamo quel tipo, ed ecco perché lo abbiamo rinchiuso qui.-
Avevano portato Ivor al Moulin Rouge, nascondendolo nella stanza piena di armadi dove era stato “ospitato” anche Joe.
Quest’ultimo, mentre Lucky si metteva una busta di piselli surgelati (comprata a un minimarket lungo la strada) sull’occhio e un tampone nel naso, raccontò ai fratelli la verità.
I tre, sorpresi, si guardarono per un lungo istante, poi William, con un colpo di tosse, domandò: -Quindi… Il vero criminale è questo Mason e tu stai dando una mano a Lucky Luke, che invece è il buono, ad arrestarlo?-
-In sintesi.-
-E ci tenevi all’oscuro per non metterci nei guai?-
-Sì, Averell. Chiunque può diventare un bersaglio. Anche se in fondo non vi ho mentito del tutto: questa faccenda ha sempre riguardato il nostro amico qui- sogghignò, indicando Lucky che stava alle sue spalle, in disparte in un angolo.
Luke, parlando come se avesse il raffreddore, affermò: -Ora che sapete tutta la storia, immagino vorrete aiutare vostro fratello e me.-
-Ah, no! Aiuteremo solo Joe!- esclamò Jack, -Tu sei quello che ci ha appesi a testa in giù, che ha- -
-Conosciamo la lista di scherzetti che ci ha combinato, ok?- lo zittì William, -Comunque sia, se c’è dentro Joe ci siamo dentro tutti.-
-Esatto! Siamo una famiglia, e ci guardiamo le spalle a vicenda!- si aggiunse Averell gonfiando il petto, fiero, -Sarò anche un semplice agente di pattuglia, ma detengo un vero record; non mi è mai sfuggito nessuno!-
-Anche perché ti affiancano gente capace nei turni!- lo stuzzicò uno dei gemelli dandogli un buffetto sul braccio.
-William si occupa delle ricerche dato che è il nostro cervellone; sa dove trovare qualunque informazione tu voglia. Jack sa riparare di tutto, dagli una chiave inglese e ti monta il motore di un’auto in cinque minuti.- Joe sembrava quasi orgoglioso nell’elencare le qualità dei suoi fratelli.
-Per quanto riguarda gli interrogatori, invece?-
-E’ Joe quello bravo a tirare fuori la verità ai sospettati; è un vero mastino!-
-Non so se prenderlo come un complimento, Averell- ridacchiò il maggiore, -ma sì, possiamo dire che con me cedono anche gli ossi più duri.-
-Bene. Però temo che dovrai aspettare: il sedativo che ho somministrato a Ivor lo terrà buono fino a domani mattina.-
-Questo ci darà il tempo di recuperare le energie. Che ne dite, ragazzi, la offriamo una pizza al nostro malconcio ex ricercato?-
I tre si guardarono imbarazzati.
-L’avete ordinata la pizza, vero?-
-Beh, sì… Per le dieci.-
-Sono le nove e cinque. Dobbiamo solo tornare a casa. Lucky Luke?-
-Forse dovrei andarmene a dormire… Sono stato preso a pugni, ho ricevuto un colpo allo stomaco e uno al naso. Fisicamente sono uno straccio.-
-Non dimenticare “sbattuto sul muro”.-
-Giusto.-
-Fidati, allora: una pizza non può che rimetterti al mondo!- intervenne uno dei gemelli.
-Se non disturbo…-
-Se ci stringiamo un po’ ci stiamo!- scherzò il minore.
-Allora molto volentieri.-
-Tranquillo, ce ne sarà in abbondanza! Averell mangia per dieci, e gli ordini sono in proporzione!!-
-Non è vero, William!!-

All’inizio sembrava strano ai fratelli Dalton portare nel loro appartamento l’uomo che avevano cercato di catturare per un anno, ma una volta rotto il ghiaccio (e arrivate le pizze) scoprirono che in fondo era una persona simpatica.
William non poteva fare a meno di riempire Lucky di domande a proposito del suo lavoro all’FBI; Joe sapeva che era sempre stata una grande ambizione del fratello minore far parte dei federali, un “sogno nel cassetto” che si portava dietro dall’accademia, , ma ad un certo punto decise di fermarlo: -Stai monopolizzando il nostro ospite.-
-Non preoccuparti, Joe, non mi dispiace soddisfare le curiosità di tuo fratello.-
-Lucky è davvero troppo gentile!- si inserì Jack, -A proposito di fratelli, com’è Jolly Jumper? Ti somiglia?-
-Jack!!- lo riprese il maggiore, temendo che l’argomento fosse troppo delicato e personale.
Ma Lucky non si scompose: -Non ci somigliamo in effetti: lui è biondo, con i capelli leggermente più lunghi dei miei, e mi supera di un paio di centimetri in altezza. Ha un carattere un po’ da filosofo e (questo non so se considerarlo un difetto) fa il cascamorto con ogni bella donna che incontra.-
-Allora andrebbe d’accordo con William; lui si innamora molto facilmente!-
-Stai zitto, Averell!!-
-Sì, Cheyenne mi ha accennato qualcosa sull’incontro con uno dei simpatici fratelli di Joe.-
-Tu… Conosci Cheyenne?-
-E’ mia cugina.-
La mascella di William sembrava sul punto di cadere tanto era stupito; Joe non poté trattenersi dal ridere, Luke addentò tranquillo la sua fetta di pizza mentre gli altri due Dalton si guardarono un attimo confusi: chi era Cheyenne?

Joe ordinò ai suoi fratelli di andarsene a letto, perché “gli adulti dovevano parlare”. Tornò in salotto, dove aveva lasciato Lucky Luke, per dare una ripulita dalle scatole delle pizze e discutere il prossimo passo. Trovò il suo ospite a rollarsi una sigaretta.
-Tu fumi?-
-Sto cercando di smettere, ma ogni tanto sento di averne bisogno. Ti spiace?-
-No, basta che tu vada alla finestra.- Andò alla ricerca di un sacco della spazzatura, lanciando occhiate a Lucky che, sigaretta fra le labbra, si avvicinò alla suddetta finestra. La fresca brezza notturna portò con sé i rumori di una città che ancora non era pronta a dormire, con musica rock sparata a tutto volume in lontananza e qualche clacson.
-Ma tu guarda che casino…- borbottò Joe raccogliendo la spazzatura. Udì lo scatto di un accendino, e si voltò di nuovo verso Luke. Non poté fare a meno di soffermarsi sulla scena di fronte a sé: illuminato dalla luce della stanza alle sue spalle, l’altro aveva un’aria pensierosa, e reggendo la sigaretta tra due dita trasse una profonda boccata, chiudendo gli occhi, per poi espirare lentamente il fumo in una nuvoletta grigia che andò a disperdersi nell’aria.
Dalton si sorprese di come quel gesto tanto semplice fosse capace di incantarlo con quel magnetismo del quale era già stato vittima.
-Cosa attira così tanto il tuo sguardo, Joe?-
La frase di Lucky riuscì a scuotere il detective dal suo intorpidimento: -Niente. Non buttare la cenere sul davanzale.-
-Starò attento.-
Chiuso il sacco e trascinatolo vicino alla porta, Joe si stiracchiò portando la braccia in alto:
-Spero che i miei fratelli non siano stati troppo…-
-Impiccioni e imbarazzanti? Niente affatto.-
-Usi le mie parole, adesso? Sei proprio un copione!- Si sedette sul divano: -Ma passiamo a cose serie: tu conosci bene Ivor; sai dirmi il suo grado di resistenza?-
-Vuoi davvero parlare di questo? Adesso? Non dovevamo rilassarci?- Il suo tono, più che seccato, sembrava sorpreso.
-Da parte mia sono già abbastanza rilassato. Dunque? Che mi dici?-
Gettando la sigaretta fumata a metà in strada, Luke si avvicinò a Joe: -E’ un duro, non cederà tanto facilmente. Picchiarlo è del tutto inutile, ci vorrà la tortura psicologica.-
-E’ la mia specialità.-
Lucky si sedette accanto all’altro sul divano: -Già che siamo in argomento, non ti ho ancora ringraziato per prima. Me le stava suonando.-
-Non devi, davvero.-
-Di solito me la cavo nel corpo a corpo, ma quel tipo è… un gorilla! Sul serio, grazie Joe.-
Dalton cercò di non arrossire: -Figurati… Siamo solo all’inizio, aspetta a ringraziarmi.-
Gli altri tre Dalton li stavano spiando dalle rispettive camere da letto, trattenendosi dall’emettere il minimo suono. Vedere il loro fratellone in imbarazzo non era cosa di tutti i giorni!
-Hey, basta parlare di lavoro, però. Almeno fino a domani.-
-Piccola informazione di servizio: domani sarò di turno fino all’una. Ti raggiungerò al più presto, Lucky.-
-… Mi hai chiamato Lucky. Di nuovo.-
-E allora?-
-Ha un suono un po’ strano quando lo dici tu.-
-In senso buono, spero.-
-Sì. Mi piace.-
Joe deglutì e distolse lo sguardo. Accidenti a quella faccia sorridente! A quella faccia in particolare!
I gemelli si trattennero dal ridere.
-Ho notato una cosa, sai?- continuò Joe, per cambiare argomento, -Il modo in cui ti comporti non è sempre lo stesso. Voglio dire, non riesco ad inquadrare il tuo reale carattere.-
-E’ un piccolo difetto da agente dell’FBI. Adattarsi ad ogni situazione era d’obbligo, e ogni volta ero costretto ad assumere un ruolo. Questo comportava calarsi in esso e farlo diventare credibile ai limiti della doppia personalità.- Si voltò verso Dalton con quello sguardo che lo faceva apparire impacciato, che non aveva perso niente nonostante l’occhio nero: -Mi domando se questo mi faccia apparire bugiardo, o una persona della quale non ci si può fidare.-
-Nah, secondo me avere una personalità così ricca ti rende interessante!-
Joe si voleva dare un pugno da solo.
Lo aveva definito interessante, e la faccetta compiaciuta del suo ospite poteva voler dire solo che era proprio la risposta che si aspettava.
Venne tolto dall’imbarazzo da un cellulare che si mise a vibrare un paio di volte. Era quello di Lucky.
-E’ Cheyenne. Devo proprio andare.-
-Speriamo non si spaventi nel vederti conciato così.-
-Sono più preoccupato che possa rincarare la dose!- scherzò, alzandosi e dirigendosi verso la porta, -Conosco la strada. Fatti un bel sonno, Joe; ci troviamo direttamente al Moulin Rouge, d’accordo?-
-D’accordo.-
-Vuoi… Che porti via…?- Indicò il sacco dell’immondizia.
-Non disturbarti, fanno la raccolta differenziata domani pomeriggio.-
-Ok. Allora, buonanotte.- Appena si fu chiuso la porta alle spalle, Joe si lasciò scivolare sul cuscino con le gambe in avanti ed emise un profondo e silenzioso sospiro: si era salvato per un soffio. Ma da cosa, in effetti? Non aveva mica detto nulla di strano, solo quello che pensava. Automaticamente si alzò per andare alla finestra, e vide Lucky salire sulla propria auto e andare via.
Averell, in punta di piedi, raggiunse i gemelli nella loro stanza, si chiuse piano la porta alla spalle e mormorò: -Chi l’avrebbe mai detto…-
-Nostro fratello, che non ha mai avuto fortuna con le donne o con gli uomini…- iniziò William, per poi essere seguito da Jack: -… si prende una cotta per quello che prima era un fuorilegge!-
Joe, nel frattempo, era tornato alle piccole faccende da sbrigare prima di andare a letto: controllare il gas, chiudere l’acqua per evitare sprechi… Solo allora si accorse che Lucky Luke aveva lasciato nel lavello della cucina la busta di piselli surgelati.
-Domani sera a cena…- borbottò Dalton, pensando che fosse un peccato sprecarli.

Lucky non andò subito a casa. Tornò prima al Moulin Rouge, per assicurarsi che il loro prigioniero fosse ancora lì buono e tranquillo. Per sicurezza lo avevano legato pure con una catena.
E avevano fatto bene: Ivor era sveglio, e parecchio agitato.
“Dannazione, gli ho dato una dose di sedativo tale che avrebbe steso un cavallo!” Ma la sorpresa non era poi così grande, dopotutto aveva parlato lui stesso a Joe della resistenza fisica del bodyguard. Non gli restava atro da fare che preparare una dose leggermente più potente.
Prima però decise di scambiare due parole con il prigioniero, che lo accolse con rabbia: -Maledetto traditore!!-
-Dormito bene, Ivor?-
-Lascia solo che ti metta le mani addosso…!!-
-Mi sono bastate le “carezze” di stasera. Sai perché ti ho confinato qui, vero?-
-A teatro sei stato chiaro. Puoi scordarti la mia collaborazione.-
-Speravo lo dicessi, perché ho un amico molto ansioso di tirarti fuori quei codici con le tenaglie.-
-Il nanerottolo? Figuriamoci, quel soldo di cacio non mi fa paura.-
-Joe Dalton è un ottimo detective, non lasciarti ingannare dalle apparenze.-
-Anche se ti do i codici di sicurezza non riuscirai mai a salvare tuo fratello. Dorian lo verrà a sapere, e vi ucciderà prima che possiate raggiungerlo nel suo rifugio!-
-Dunque avevo ragione. Tu sai dov’è.-
-Vai all’Inferno. Perché non uccidi quel tipo e la fai finita?-
Lucky gli si avvicinò, lo sguardo gelido: -Per un anno sono stato etichettato come un ladro, lavorando per i Mason. Ma non sarò mai un volgare assassino.-
-Che bei principi morali! Saranno proprio quelli a spedirti all’altro mondo! E con te il tuo caro fratello e il tuo amichetto!!-
Luke gli infilzò con forza e precisione la siringa che aveva preparato nel collo. Ivor grugnì per il doloretto improvviso; prima che perdesse i sensi Lucky lo fronteggiò: -Non lascerò che venga loro torto neanche un capello da Dorian Mason, e puoi scommettere che spedirò il tuo capo a marcire in galera per il resto dei suoi giorni!-
L’uomo perse conoscenza in poco tempo. Assicuratosi che fosse ancora ben legato, Lucky Luke prese da un armadio un paio d’abiti di scena. Già che c’era, si sarebbe preparato per il prossimo spettacolo. Era una vera fortuna che nessuno entrasse mai in quella stanza tranne lui, così restava tutto in ordine e dopo i furti poteva nascondervisi senza problemi. Ora che avevano pure un ospite, si sarebbe premunito di sottrarre le chiavi al custode.
-Abbiamo ancora diciassette giorni prima dell’incontro fra Mason e i suoi clienti…- mormorò l’ex agente prendendo tra le mani un’accetta finta e rimirandola: -Sarà divertente trovare il modo di farti parlare.-

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Cheyenne avvicinava l’orecchio di tanto in tanto alla porta della stanza dove Lucky e Joe si erano rinchiusi da più di un’ora con il loro prigioniero. Teneva le dita incrociate, sperando che la loro impresa di farlo parlare riuscisse.

-Mamma?- Amélie saltellò verso di lei, la deliziosa gonnellina rossa a pois bianchi che svolazzava attorno alle gambe minute.

-Sì tesoro?-

-Cosa sta facendo lo zio Luke?-

-Lui e Joe… stanno aiutando un amico di zio Jolly a ricordarsi una cosa. Così potranno farlo tornare a casa dal suo viaggio di lavoro.-

-E loro chi sono?- domandò la piccola indicando i tre fratelli Dalton rimasti fuori, in attesa come Cheyenne.

-William, Jack e Averell. Sono i fratelli di Joe.-

-Ciao!- li salutò allegra Amélie. Loro le fecero eco, e il minore la salutò agitando la mano.

-Vai a fare i compiti, tesoro.-

-Non posso. Devo fare matematica! Non ci riesco se non mi aiuti.-

-Aw! Va bene. Andiamo.-

Jack colse al volo l’occasione: -Hey, William è bravo con la matematica, può esservi utile!- Sospinse il gemello verso madre e figlia, che li guardarono incuriosite.

-M-ma no, Jack sta scherzando…-

-Non essere modesto, vai!-

-Davvero mi può aiutare?- La bambina pose la domanda spalancando gli occhi come un cucciolo.

William non poteva dirle di no: -Beh, certo… sempre che alla mamma vada bene…-

Cheyenne gli sorrise: -Perché no? Seguici.-

Voltandosi verso il fratello, William lo vide alzare due pollici in alto come a voler dire “Andrà alla grande”.

Averell si mise ad origliare alla porta, bisbigliando al fratello: -Ora tocca a te trovare qualcuno.-

-Nah, non mi interessa granché. Fammi posto, voglio sentire anch’io!-

 

 

 

Da due giorni non davano da mangiare a Ivor. Un uomo normale avrebbe già implorato per un piatto di minestra, qualcosa, ma quel tipo non cedeva.

-Avanti, sono sicuro che sei già stufo di stare qui. Ti chiediamo soltanto di rivelarci i codici di sicurezza che vogliamo.- Joe, più per un fattore di comodità che per reale calore, si era tolto la giacca e aveva arrotolato in su le maniche della camicia. Lucky, appoggiato con la schiena in un angolo della stanza, braccia conserte e sguardo serio, fungeva da interprete; Ivor capiva benissimo il francese e l’inglese, ma rispondeva soltanto in russo, e quando lo faceva erano più che altro insulti o improperi, o minacce se proprio era in vena.

-Senti, francamente non mi va di diventare il poliziotto cattivo, ma voglio avvisarti che non vedrai neanche un tozzo di pane finché non sputerai il rospo, chiaro?-

Il bodyguard lo guardò truce e ringhiò qualcosa nella sua lingua. Lucky gli si avvicinò a passo svelto per rifilargli uno scappellotto: -Porta rispetto!-

-Che ha detto?-

-Credimi, è meglio se non lo sai. Basta così, Madame Louise sta per arrivare ed è meglio che non ci trovi qui.-

-Chi è Madame Louise?-

-E’ il capo della compagnia di Cheyenne. Ti piacerà; è un po’ la mamma di tutti gli artisti.-

Anche se tutti si rivolgevano a Madame Louise come ad una donna, si vedeva lontano un miglio che in realtà era un uomo travestito: nonostante il trucco e la parrucca pressoché perfetti, aveva un fisico robusto e muscoloso. Indossava sempre abiti molto colorati e non si separava mai dai bracciali d’oro che tintinnavano ad ogni suo movimento. Si preoccupava di mandare avanti la compagnia sia dal punto di vista professionale che da quello personale: se avevi un problema, lei era lì come spalla su cui piangere o come psicanalista. Inoltre si occupava della dieta di tutti gli artisti, in modo che fosse ben bilanciata e fornisse loro le energie necessarie per esibirsi sempre al meglio.

Fu molto sorpresa di vedere quattro facce nuove alla tavolata dei suoi ragazzi: -Oh Cielo! E loro da dove saltano fuori?-

-Sono amici nostri, Louise!- rispose Cheyenne, sedendosi accanto a Lucky, che a sua volta era seduto accanto a Joe, -Possiamo ospitarli per pranzo?-

-Certo, tesoro, ci metto solo un secondo!- civettò in falsetto lei dirigendosi verso quella che ai fratelli sembrò la cucina.

-Louise è una gran cuoca, credetemi!- continuò Cheyenne rivolta ai quattro Dalton, seguita da Amélie che le si accomodò accanto: -Fa degli spaghetti al ragù eccezionali!-

-Hey, Luke, chi è il piccoletto accanto a te?- cantilenò uno degli artisti di fronte a loro, un ragazzo magro e biondo con un foulard rosso attorno al collo.

-Nessuno alla tua portata, Étoile, e vale anche per voialtre signorine. Sì, dico a voi due, Eloise ed Étienne!- scherzò Lucky rivolgendosi ad altri due ragazzi che gli fecero una smorfia da bambine, storcendo il naso.

-Avete conosciuto i nostri attori, i “Trois-E”- commentò una ragazza accanto ad Averell,

-conosciuti anche come i Tre Pettegoli!-

-Fare gossip non è spettegolare, Annette!- si difese Eloise, la voce nasale e stridula.

-Non litigate, su, almeno di fronte agli ospiti!- intervenne bonariamente un uomo della stazza di Louise, calvo e con dei folti baffoni a manubrio sotto il naso. Ricordava gli uomini forzuti ritratti nei manifesti del circo.

-Lui è Antoine, il marito del nostro capo- spiegò Cheyenne, -Annette e le Diables sono le nostre ballerine, e quel gruppetto laggiù i cantanti con i coristi.-

-La Compagnia Cyprienne al completo, al vostro servizio- concluse Lucky accennando un inchino col capo.

-E’ pronto!!- Louise rientrò reggendo, grazie ai guanti da forno, un’enorme teglia di lasagne: -Preparate i piatti, zuccherini!!-

Subito dopo il primo boccone, Averell esultò: -Sono squisite, Madame!!-

-Ne sono contenta, caro!-

-Stia attenta, Averell è una buona forchetta anche se non si direbbe, le svuoterà la cucina! Vero, Joe?-

-Vero, Jack. Comunque ha ragione lui, Madame, sono deliziose!-

-Oh, che gentili! Uh-uh!- Pizzicò la guancia di Averell en passant come una mamma affettuosa, dirigendosi poi verso il marito; non prima comunque di civettare un’ultima affermazione: -Luke, tesoro, adoro il tuo nuovo ragazzo! Joe è un vero gentiluomo!-

Il maggiore dei Dalton quasi si strozzò col suo boccone di lasagne. Lucky si irrigidì, abbassando lo sguardo e diventando paonazzo; buttò giù tutto d’un fiato il suo bicchiere d’acqua. Il tutto fra le risate generali della compagnia e dei fratelli.

 

 

 

Lasciati Lucky e Cheyenne alle prove per lo spettacolo, i fratelli Dalton si ritrovarono ad affrontare una situazione inaspettata: non potendo interrogare Ivor senza il loro interprete, e non essendo di turno, erano rimasti a fare da baby sitters ad Amélie.

La piccola li fissava con un largo sorriso in volto, dondolandosi avanti e indietro sui piedi, in attesa che le dicessero qualcosa.

-Uhm… Sì, Amélie?- si pronunciò infine Joe.

Lei, che teneva le mani dietro la schiena, mostrò una scatola di giochi da tavolo: -Vi va di fare una partita a “Indovina Chi?”?-

Aveva un’espressione talmente tenera e implorante che era impossibile resistere.

Più tardi, al termine delle prove, Cheyenne  andò in cerca della figlia. La sentì ridere da uno degli uffici e poi domandare: -Ha gli occhiali?-

-No!- rispose Averell, -Tocca a me: ha gli occhi azzurri?-

-No-o!-cantilenò la bimba. Cheyenne si affacciò e, appoggiandosi allo stipite con la spalla, sorrise alla scenetta di fronte a lei: seduti per terra su un tappeto, Averell e Amélie stavano giocando sotto lo sguardo divertito degli altri tre Dalton. William si avvicinò alla ragazza ed esordì:-E’ in gamba; prima ha battuto sia me che Jack!-

-E’ il suo gioco preferito. Ha un talento nell’individuare i dettagli.-

-Ho capito! Sei Buster!- esultò la bambina.

-Aaah, mi hai beccato!!!- rise Averell, rivelando la carta del suo personaggio.

-Ora tocca a Joe! A Joe!-

-Sicura, piccola? Sono un detective, scoprire l’identità delle persone è il mio lavoro.-

Lei gonfiò il petto, decisa: -Non mi fai paura! Fatti sotto!-

-Uh, che caratterino! D’accordo, mi hai convinto.-

Dalla porta fece capolino anche Lucky, che sussurrò: -Tutto bene qui dentro?-

-Sì, guarda!- gli indicò la cugina, trattenendo una piccola risata.

Nel vedere giocare così la nipotina e Joe, l’ex agente avvertì un moto di tenerezza. Amélie era sempre stata un tipetto estroverso ed energico, ed era contento che si fosse già affezionata ai fratelli Dalton. Non poté fare a meno di sorridere.

Quando Joe si accorse della presenza di Luke divenne inespressivo e color porpora per quel sorriso che sentiva non essere rivolto a lui in particolare ma che bastò a fargli salire la pressione.

-Tocca a te!- lo chiamò la bambina, sbuffando.

-Scusadevoandareallatoilette!!- esclamò Dalton tutto d’un fiato, prima di schizzare in piedi e oltrepassare le persone sulla porta, diretto realmente al bagno data la necessità impellente di ficcare la testa sotto l’acqua fredda del rubinetto.

-Zio Luke?-

-Sì, piccola?-

-Il tuo ragazzo è un po’ strano.-

A quell’affermazione seguì un momento di silenzio.

Amélie guardò tutti, perplessa: -Cosa c’è?-

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Trascorse una settimana. Ivor sembrava non soffrire la mancanza di cibo, e Joe cominciava ad esasperarsi. Gli prudevano le mani in una maniera incredibile!

Lucky Luke invece, che di pazienza sembrava averne una riserva infinita, cercò di placare l’animo irascibile del detective con una proposta: -E’ il momento di passare all’artiglieria pesante.-

-Cosa intendi?-

-Se affamarlo non basta, faremo la cosa peggiore che si possa pensare di fronte ad un digiuno.-

-Intendi…?-

-Esatto.-

-Deliziosamente perfido!- sogghignò Joe.

-Oh, delizioso lo sarà di sicuro.-

Entrarono nella stanza dov’era recluso il bodyguard reggendo ognuno un vassoio con sopra un piatto pieno di dolci: bignè, madeline, croissant, tutti in formato mignon. Quando Ivor li vide pensò che avessero deciso finalmente di nutrirlo, invece i due si accomodarono al tavolo nella stanza e iniziarono a parlare fra di loro: -Sono proprio curioso di provare queste prelibatezze, Lucky Luke; hai parlato così bene di questa pasticceria!-

-Rimarrai contento, ne sono sicuro.- Prese un dolcetto alla panna e con voluta lentezza gli diede un morso.

La pancia di Ivor brontolò. Un suono inequivocabile per Dalton: erano sulla strada giusta per farlo cedere. A sua volta si servì con un bignè al cioccolato, mugugnando con enfasi e, a bocca piena, esclamando: -Non dubiterò mai più di te in fatto di cibo! Sono fenomenali!-

-Che ti avevo detto?-

Un altro suono gorgogliante. Con la coda dell’occhio Lucky vide Ivor assumere un’espressione sempre più langue; si poteva dire che ormai aveva l’acquolina.

-Credo che dovremmo offrire, non trovi Joe?-

-Ah, se solo potessimo farlo… Ma vedi, Lucky, per avere bisogna dare qualcosa in cambio.- Buttò giù un piccolo croissant.

-Questo è vero.- Quando dette un morso al suo terzo bignè sentì il prigioniero esclamare in un francese dal forte accento russo: -Basta!! Avete vinto!! Avrete i codici, ma fatemi mangiare!!-

Dalton si alzò e andò ad aprire la porta: -William? Prendi carta e penna.-

Solo quando Ivor ebbe dettato tutti i codici venne liberato da Lucky; l’uomo si avventò come un animale sui vassoi di dolci.

-Chiudiamolo qui, lasciamo che si abbuffi- disse Joe.

-Non hai paura che cerchi di scappare?- domandò il fratello.

-Non abbiamo mangiato dei dolci a caso- si inserì Luke, -nella maggior parte di quei bignè c’è dell’altro sonnifero. Appena avrà finito, potremo legarlo ancora.-

-Bene. Porto questi codici alla centrale: da lì penso di poter hackerare il sistema di sicurezza della struttura.-

-Quanto tempo ci vorrà?-

-Volendo fare i pignoli, al massimo venti ore. Diciotto se il segnale non subisce l’interferenza delle montagne.-

-Diciotto ore?!?-

-Joe, lo sai che i mezzi a nostra disposizione sono all’avanguardia solo a livello locale…-

Lucky gli fece cenno di passargli il foglio di carta che teneva fra le mani insieme alla biro, ci scribacchiò su qualcosa e poi glielo riconsegnò: -A questo indirizzo troverai qualcuno che può aiutarti. È la stessa persona che è riuscita a localizzare la struttura. Ridurrà drasticamente il tempo necessario ad infiltrarvi nel sistema di sicurezza.-

-Oh! Ehm, grazie; di solito non ricorro ad altri laboratori, ma se può far risparmiare tempo… Andrò subito qui.-

Mentre William si allontanava, Joe notò una cosa: -Hey, Lucky, hai una roba sulla…-

-Come?-

-Ti è rimasta della panna sulla faccia. A sinistra.-

-Ah, grazie.- Si pulì in fretta con un fazzoletto che teneva nella tasca dei jeans.

-Ma che carino!- esclamò Cheyenne comparendo loro alle spalle, -Ci tieni che il mio cuginetto sia presentabile, eh?-

-Divertente, davvero…-

-Allora, il nostro canarino ha cantato?-

-Sì; la tattica forse non è stata delle più raffinate ma ha funzionato.-

-Hey, in amore e in guerra tutto è lecito, e qui si tratta di liberare tuo fratello, il che unisce le due cose.-

-Ha ragione lei, e poi non è stato così male!- si pronunciò Dalton, guardando l’orologio da polso: -Già le quattro. Direi che possiamo concederci un po’ di respiro. Ci aggiorniamo a domani?-

-Veramente…- cominciò Luke.

-Cosa?-

-Ecco, è da una settimana che tu e i tuoi fratelli non vi divertite un po’. Mi piacerebbe invitarvi al nostro spettacolo di stasera. Per rilassarci tutti insieme. Che ne dici?-

-Beh, non sono mai stato ad uno spettacolo del Moulin Rouge…-

Cheyenne assunse un’aria comicamente sconvolta: -Non ci credo!! Non puoi vivere a Parigi e non passare almeno una serata al Moulin Rouge!-

-Stavo appunto per accettare.-

-Fantastico! Vado a parlare col nostro direttore di sala e vi faccio tenere i posti!- La ragazza corse via, e Lucky si mise a ridacchiare: -Sai, le piacete molto tu e i tuoi fratelli.-

-Davvero?-

-Non che sia strano, Cheyenne è incline ad affezionarsi facilmente alle persone. Ma con voi… Non so, ci mette più entusiasmo.-

Non sapendo cosa rispondere, Joe borbottò: -Uhm… Io dovrei…-

-Certo. A stasera.-

Dandogli le spalle, Dalton prese dalla tasca il cellulare e mandò un messaggio a Jack: “Riunione nel mio ufficio fra un’ora. Porta Averell.”

Aver ottenuto i codici era un grande passo avanti, ma adesso dovevano trovare una scusa plausibile per distogliere l’attenzione dei loro colleghi dai loro movimenti. E forse aveva un’idea.

 

 

L’indirizzo fornitogli da Lucky Luke portò William ad un magazzino, vicino Montparnasse. Sembrava un posto tranquillo, con niente di speciale.

Bussò alla porta di lamiera di fronte a sé, e venne ad aprirgli una vecchietta grinzosa con un vestito a fiori molto vintage, i capelli raccolti in una crocchia morbida e occhiali dalle lenti spessissime. Al collo portava vari ciondoli tintinnanti.

-Buongiorno, madame. Ehm, mi manda Lucky Luke; mi ha detto che potevo venire qui a risolvere un problema di computer.-

-Lucky?- Lei sorrise, rivelando solo qualche dente: -Allora sta cercando mio nipote. Si accomodi, giovanotto.-

-Grazie.- L’interno rivelò ben più di quanto William si aspettasse: ogni parete, ogni angolo, ogni mensola presente in quello che all’apparenza era un piccolo magazzino era piena di computer in funzione, schermi e router per il wi fi.

Per Dalton era un paradiso tecnologico.

In mezzo a tutto questo, ad una postazione carica di schermi e tastiere, su una sedia con le ruote stava un ragazzino coi capelli biondi arruffati, di non più di quindici anni, intento a digitare a velocità incredibile dei numeri che comparivano su uno dei monitor.

-Hey, algoritmi di programmazione!- esclamò William.

-Sì, per un nuovo software di decriptazione.- Il ragazzo si girò; due grandi e vivaci occhi verdi dietro ad occhiali ovali dalla montatura sottile scrutarono il nuovo arrivato: -Desidera?-

-Lo manda Lucky- disse l’anziana signora.

-Ah, bene! Grazie nonna, ora ci penso io.- Tese la mano verso l’ospite: -Nathaniel, ma tutti mi chiamano Nat. Nat Bertrand.-

-William Dalton.-

-Dalton? Non sei uno di quelli che dà la caccia a Lucky?-

-Non più. Sappiamo tutto e ora collaboriamo.-

-Grande! Allora, che posso fare per te?-

-Abbiamo i codici per liberare Jolly Jumper, ma prima dobbiamo hackerare il sistema di sicurezza della struttura.-

-Non dire altro, mi metto subito all’opera.- Nat tornò alle tastiere, e con una rapida digitazione fece apparire una mappa della zona attorno a Nizza, zoomando fino ad un punto specifico.

-Dovrei riuscire ad agganciarmi alle loro frequenze dal satellite. Non ci vorrà molto. Il difficile verrà al momento di inserirsi nel sistema video, ma in quattro ore risolviamo ogni questione.-

-Quattro ore? Con il computer del laboratorio ci avrei messo il triplo!!-

-I computer della polizia sono buoni, ma lenti. Avrebbero bisogno di un aggiornamento, nulla di più.-

William rimase a bocca aperta: dove lo aveva pescato Lucky un tipo simile?

Proprio per rispondere a tale domanda, provò ad avviare una conversazione: -Allora, Nat… Come conosci Lucky Luke?-

-Quando ancora lavorava per l’FBI mi salvò la vita. Avevo perso i miei genitori e nel giro di qualche mese sono finito a lavorare per una banda di trafficanti di antichità. Lui me ne ha tirato fuori.-

-Capisco.-

-Mia nonna vive qui da sempre, e mi ha preso con sé. Così ho potuto mettere su il mio Sancta Sanctorum.-

-Vedo… E’ davvero impressionante.-

-Bene. Il programma è partito. Direi che non ci resta che aspettare.- Allungò un controller verso William: -Una partita ad Halo?-

-Beh… Perché no?-

 

 

Era metà mattina.

Betty si addentrò nell’archivio della stazione di polizia; Gerard era in pausa caffè ma lei doveva assolutamente trovare un documento, così imboccò il corridoio che recava le lettere A-B come riferimento e cominciò a scrutare i nomi delle targhette sugli scaffali. C’era l’archivio digitale ovviamente, ma solo Pierre conosceva la password.

Di fronte alla pila di carte lei non si scoraggiò, e frugando negli scatoloni perfettamente catalogati e impilati riuscì a trovare quel che le serviva: un fascicolo che Joe Dalton le aveva chiesto personalmente di reperire. Riguardava un caso di rapina in banca, dunque non aveva niente a che fare con Lucky Luke. Il che ovviamente la rendeva contenta; con il fatto che il ladro non aveva più dato segni di attività dopo Versailles era convinta che Joe si stesse finalmente disintossicando dalla sua ossessione, e che il voler seguire altri casi era il primo segno di guarigione.

In quel momento, invece, il detective ricevette un messaggio sul cellulare proprio da Lucky Luke; gli segnalava che lo spettacolo era alle nove.

 

 

Il Moulin Rouge è famoso per il can can, un tempo considerato un ballo scandaloso, ma in realtà offre spettacoli di cabaret, danza e canto, oltre che di burlesque. Edith Piaf si esibì sul palco di questo caratteristico edificio, progettato dagli stessi architetti dell’Olympia.

Seduti al proprio tavolo, i fratelli Dalton erano emozionati: non erano mai entrati nel locale, al massimo ci passavano davanti ogni tanto con l’auto.

Cheyenne si era preoccupata di far avere loro un posto vicino al palco, da dove potessero vedere bene.

Mancava ancora una mezz’ora allo spettacolo della compagnia, e si stava esibendo un comico nel momento in cui Lucky si presentò ai quattro con indosso uno smoking: -Signori, vi do il mio benvenuto!-

-Hey! Non dovresti apparire così all’improvviso!- esclamò Jack, colto di sorpresa.

-Fifone!-lo schernì William.

Joe fischiò in approvazione guardando Lucky: -Che eleganza!-

-Non durerà a lungo, dovrò cambiarmi al volo dopo la presentazione. Uno dei ballerini si è infortunato e devo sostituirlo.-

-Ah, bene, ti esibirai con Cheyenne allora.-

Nel sentir nominare la ragazza, William si illuminò: -Canterà, vero?-

-Sì; scusate, devo scappare a vedere se sono tutti pronti, ci vediamo dopo!- Luke si addentrò dietro le quinte da una porticina sotto il palco.

-Uuh, non vedo l’ora!!- si agitò eccitato William, -E tu Joe?-

-Io cosa?-

-Ballerà anche Lucky Luke, sarà interessante!- disse Jack, facendogli l’occhiolino.

-Non vi seguo.-

-William ha una cotta per Cheyenne, tu per Lucky, cosa c’è da capire?-

Averell venne placcato dai gemelli dopo questa frase. Voleva forse far incavolare il fratello maggiore?!?

Joe non reagì. Non era la serata giusta per tentare di diventare figlio unico.

Quando il comico terminò il suo numero, uscendo fra gli applausi del pubblico (un po’ fiacchetti), sul palco a sipario chiuso salì Lucky, che si piazzò in mezzo alla scena: -Signore e signori, la compagnia Cyprienne è lieta di intrattenervi nella seconda parte di questa splendida serata la Moulin Rouge. La nostra prima artista è un dolce angelo che passeggia sulla Senna, cantando d’amore. A voi, mademoiselle Cheyenne.- Si inchinò verso il pubblico, le luci si abbassarono e il sipario si aprì. Lui era sparito; in mezzo alla scena, con uno sfondo costituito da un’immagine stilizzata di Parigi, c’era Cheyenne, vestita con un abito bianco dalle maniche a sbuffo coperto di brillantini e i capelli legati in una treccia.

-E’ bellissima…- sospirò William.

Iniziò una musica di chitarra, e la ragazza cominciò a cantare, un grande sorriso in volto:

 

Elle sont de sont lit

Tellement sur d’elle

La Seine, la Seine, la Seine

 

Tellement jolie,

Elle m’ensorcelle

La Seine, la Seine, la Seine…

 

Entrarono altri elementi dell’orchestra insieme ai ballerini alle spalle di Cheyenne, che cominciò a muoversi:

 

Extralucide

La Lune est sûre

La Seine, la Seine, la Seine

 

Tu n’est pas soul,

Paris est sous

La Seine, la Seine, la Seine!

 

Il ritmo si fece più incalzante; i fratelli non riuscivano a stare fermi nel seguirlo:

 

Je ne sais, ne sais, ne sais pas pourquoi,

On s’aime comme ça-a

La Seine et moi!

 

Je ne sais, ne sais, ne sais pas pourquoi,

On s’aime comme ça-a

La Seine et moi!

 

Sul palco rientrò Lucky, vestito con uno smoking bianco come l'abito di Cheyenne ma senza i brillantini, e dalla parte opposta quello che sembrava Étienne, stesso abito. Uno dei cantanti cominciò la seconda strofa:

 

Extralucide, quand tu est sur

La Seine, la Seine, la Seine

 

Extravagante, quand l’ange est sur

La Seine, la Seine, la Seine

 

I tre al centro della scena cominciarono a ballare in perfetta sincronia, andando a destra e sinistra incrociando le gambe:

 

Je ne sais, ne sais, ne sais pas pourquoi,

On s’aime comme ça-a

La Seine et moi!

 

Je ne sais, ne sais, ne sais pas pourquoi,

On s’aime comme ça-a

La Seine et moi!

 

Mentre i tre ballavano, Cheyenne iniziò un duetto con l’altro cantante:

 

Sur le pont des art

Mon coeur vacille

Entre deux eaux,

L’air est si bon!

Cet air si pur,

Je le respire

Nos reflets perchés

Sur ce pont…*

 

A quel punto, nel finale, le luci sul palco cominciarono a lampeggiare ritmicamente, così che i personaggi apparivano ora come ombre ora come candide figure danzanti. William non riusciva a staccare gli occhi di dosso a Cheyenne, completamente rapito, e suo malgrado lo stesso stava succedendo a Joe guardando Lucky Luke, più bravo di quanto si aspettasse.

La musica finì, e uno scroscio di applausi e fischi entusiasti si levò dal pubblico. I Dalton per primi si scatenarono nelle acclamazioni.

Dopo l’inchino al pubblico, Lucky riprese velocemente il suo ruolo di presentatore: -Lo spettacolo non finisce qui, signori: dalla nostra bella città passiamo ora al circo dei fenomeni di Madame Louise! Buon divertimento!-

Il numero successivo si rivelò un elaborato burlesque dove una domatrice di leoni aveva a che fare con delle belve molto pigre, che tentava di spronare con espedienti dagli esiti comici. Era decisamente divertente, considerando che a darle man forte c’era Antoine nel ruolo di un imbranato assistente.

Cheyenne, con indosso una vestaglia, raggiunse i quattro fratelli: -Salve ragazzi!-

Salutandola in coro, William fu il primo a farle i complimenti: -Sei stata splendida!!-

-Dai, esagerato!-

-Ha ragione, sei una vera stella!- insisté Jack.

-Ragazzi, mi fate arrossire!- cinguettò lei, prendendo posto fra i gemelli: -Lucky ne avrà ancora per un po’, così ho pensato di tenervi compagnia. Ah, Joe?-

-Sì?-

-Mi ha chiesto di darti questo.- Allungò un biglietto ripiegato in direzione del detective, che lesse un breve messaggio scritto di nuovo in quella calligrafia fitta ma chiara:

“Prima di partire per Nizza dovremmo festeggiare e fare il punto della situazione. Domani sera a cena?”

-Cosa c’è scritto?- domandò Averell, incuriosito.

-Niente che ti riguardi, fratellino.- Prontamente nascose il foglio nella giacca.

-Non devi rispondergli subito, Joe, puoi anche mandargli un messaggio!- ridacchiò Cheyenne, -Non fare quella faccia, lui mi dice tutto!-

 

 

Lucky era appena entrato nella doccia quando il cellulare si mise a squillare, abbandonato sul ripiano del lavandino. Asciugandosi in fretta con quello che c’era, andò a rispondere, a bassa voce per non farsi sentire dai membri della compagnia: -Pronto?-

-Io e i miei fratelli stiamo tornando a casa. È stato un bello spettacolo, ma tu che fine hai fatto?-

-Scusami, Joe, ho avuto bisogno di…-

-Va bene.-

-Come?-

-Domani sera. A che ora.- Aveva un tono fermo.

-Ah… facciamo alle otto? Posso venire a prenderti.-

-No. Stavolta passo io. Dammi il tuo indirizzo.-

Sorpreso da una simile risolutezza, Luke esitò un secondo ad accontentare la richiesta, per poi venire congedato con un secco: -A domani. Prenoto io.- Dall’altro capo del telefono, Joe Dalton espirò profondamente, e Cheyenne sogghignò: -Come mai questo tono militare?-

-Devo riprendere un po’ in mano le redini della situazione.-

-E’ solo una cena.-

-No. Ho solo avuto l’impressione di essere ai suoi ordini ultimamente, tutto qui.-

-Cioè?-

La guardò: -Non glielo andrai a dire, vero?-

-Per chi mi hai preso? Vuota il sacco.-

-Ha un atteggiamento sottilmente dominante; come lo spiego… Pensa sempre a tutto lui, non mi lascia un po’ di margine nelle decisioni.-

-L’abitudine a dare ordini vi accomuna. Ha il suo metodo.-

-Ma io lo avevo avvertito che non mi faccio comandare da nessuno, e dato che sembra esserselo dimenticato…-

-Oh, andiamo, ti ha mai costretto a fare qualcosa? Obbligato a seguirlo?-

-No, non proprio.-

Cheyenne gli poggiò la punta di un indice sulla fronte: -Allora è un tuo problema di mania del controllo, lo dice anche Betty, la fidanzata di Averell!-

-Come lo sai?-

-La gente parla molto volentieri con me. Dovresti fidarti di lui. E richiamarlo, scusandoti per il tono che hai usato.-

Lui le scansò la mano, accigliato: -Non è una questione di fiducia.-

-Orgoglio? Perché anche quello è uno dei tuoi scogli.-

-Buonanotte, Cheyenne.-

Tuttavia, appena le ebbe voltato le spalle, avviandosi all’uscita riprese il cellulare e mandò un messaggio a Lucky: “Andavamo di fretta, sono stato brusco”. L’altro si limitò a rispondergli poco dopo con una faccina che faceva l’occhiolino, ad indicare che non se l’era presa.

Joe si passò una mano sul viso: rispondere con le emoticon era roba da adolescenti!

---------------

*la canzone fa parte della colonna sonora di "Un mostro a Parigi"

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Sulle rive della Senna c’era un ristorante all’aperto che la sera illuminava un grande gazebo in ferro battuto di mille luci giallognole, che si riflettevano nell’acqua danzando nella corrente; lì i clienti sedevano ai tavoli gustando piatti deliziosi in un’atmosfera rilassante, per alcuni romantica.

Era proprio ad uno di questi tavoli che si erano accomodati Lucky Luke e Joe Dalton, quest’ultimo con una faccia corrucciata mentre scorreva i nomi delle pietanze sul menù.

-Dai, ti ho detto che mi dispiace…-

-Zitto e mosca, sto scegliendo.-

Quando il detective era andato a prenderlo lo aveva fatto guidando l’auto di William. Il problema era il sedile del guidatore, che non permetteva a Joe di vedere la strada, ed era dovuto ricorrere ai cuscini per avere la giusta altezza. E Lucky era riuscito a stento a trattenersi dal ridere, quando lo aveva visto. Non che fosse una risata esagerata, ma si era fatta sentire.

-Joe, non fare così. Non volevo prenderti in giro, ma ad un primo impatto…-

-Vorrei scegliere la mia cena in pace, grazie. Ah, bene. Cameriere?-

Prontamente questo rispose al richiamo.

-Mi porti un piatto di penne panna e salmone, per favore.-

-E per il signore?- domandò l’uomo rivolgendosi a Luke.

-Lo stesso, grazie.-

-Posso consigliarvi il nostro vino bianco d’annata? Si accompagna perfettamente.-

-Faccia pure.- Joe lo guardò andare via, poi si chinò leggermente verso il suo accompagnatore: -Dobbiamo parlare di lavoro adesso.-

Per niente convinto, Lucky sospirò e prese alcune fotografie da una tasca della giacca: -Nat ha fatto un ottimo lavoro. Oltre ad infiltrarsi nel sistema di sicurezza, sta elaborando un algoritmo per avere il controllo delle telecamere, e ha fatto in modo di ottenere delle planimetrie della struttura e i file dei computer. Ci guiderà passo passo nella missione; queste sono foto prese dal satellite che mostrano il livello di sicurezza esterno. Ci sono guardie ovunque, soldati per la maggior parte.-

-Come li superiamo?-

-Speravo potessi suggerire qualcosa tu.-

-Butterò giù un paio di idee. Che mi dici di Ivor?-

-Deve ancora rivelarci dove si trova il suo capo. Starà con noi ancora un po’, e penso che si rivelerà più collaborativo.-

-Forse dovremmo spostarlo. Qualcuno della compagnia potrebbe trovarlo.-

-No. Grazie all’inconsapevole gentilezza del nostro portiere, ora possiedo l’unica chiave di quella stanza.-

-Meglio così.-

Quando arrivarono i loro piatti, Joe cominciò a mangiare con un frettoloso “buon appetito”; Lucky, tuttavia, fissava la propria porzione con una strana espressione.

-Che ti prende?-

-Uh, niente, niente.- Prese la forchetta e infilzò un paio di penne, le guardò titubante e poi chiuse gli occhi prima di mangiarle. Dalton osservò quel momento senza dire niente, ma quando l’altro iniziò a tossire gli domandò se fosse tutto a posto.

-N-non mi piace il salmone…!- fu tutto quello che riuscì a dire Luke prima di prendere un sorso di vino.

-Cosa? E perché hai ordinato il mio stesso piatto, allora?-

Con un sorrisetto e tamponandosi la bocca col tovagliolo, Luke rispose semplicemente: -Almeno adesso siamo pari…-

Joe rimase allibito. Il suo cervello ci mise un attimo a ricollegare tutto.

-Che vergogna, però, tu hai resistito molto di più!-

-Non è mica una gara… Richiamo il cameriere e gli dico che c’è stato un errore.-

-Ma è un peccato sprecarle a questo punto.-

Per tutta risposta, Dalton prese il piatto dell’altro e lo avvicinò a sé: -Pagherò doppio, allora.-

 

 

Dopo una simile abbuffata, passeggiare era una necessità. E lungo il fiume era decisamente piacevole, la sera, lasciarsi avvolgere dalla luce dorata dei lampioni in un’atmosfera che ti portava lontano, in uno spazio popolato di ombre danzanti e suoni variopinti. Tra un vicolo e l’altro, infatti, se l’attimo prima udivi i rumori di un televisore a tutto volume, quello dopo c’era la musica di qualche club, e dopo ancora un silenzio breve ma quasi innaturale per quella cacofonia che accompagnava i passanti sulle rive della Senna.

Joe non era più arrabbiato con Lucky, e i due stavano parlando tranquillamente del più e del meno, finché il detective non pose una domanda in particolare: -Sei nervoso per domani?-

-Abbastanza. Ma è quel tipo di nervosismo che mi aiuta a concentrarmi. E tu?-

-Più che nervoso… Carico, ecco.-

-Carico?-

-Pronto all’azione, capisci.-

Luke annuì, soffermandosi di fronte ad una vetrina illuminata. Vendeva parrucche e costumi di Carnevale.

-Mi fa venire in mente che ho elaborato un piano per poter entrare- affermò Joe, -e richiederà le tue doti di attore.-

-Davvero?-

-Semplice ma spero efficace.- Cadde allora uno strano silenzio.

Una coppietta li sorpassò a passo zigzagante, ridendo. Poi il ragazzo prese per mano la ragazza e le fece fare un'incerta piroetta, prima di proseguire.

Questo fece venire in mente a Lucky, per collegamento di idee, una domanda: -Joe, tu sai ballare?-

-Cosa? E questa da dove salta fuori?-

-Sì; insomma, ti sarà capitato di ballare.-

-Veramente no. Non in coppia, almeno, e alle feste facevo quasi sempre da tappezzeria.- Ripresero a camminare.

-Perché?-

-Mi hai visto bene? Chi vorrebbe ballare con un uomo alto un metro e un francobollo sdraiato?-

-Non vedo il problema, sinceramente.-

-Davvero? Ripeto, guardami: posso solo compensare con la mia personalità; sono una miniatura!-

-Io ti inviterei a ballare lo stesso.-

Dalton rimase di sasso: -Ma sei cieco o cosa?-

-Chi guarda solo alla superficie è uno sciocco. Francamente, dopo tutto il tempo passato ad osservarti, la tua altezza non mi sembra un ostacolo così insormontabile.-

-Ah, sì? Lascia che ti racconti, allora: da ragazzi io e i miei fratelli ci divertivamo come tutti quelli della nostra età, andando al luna park, uscendo la sera per fare bisboccia, quel genere di cose. Dato che sembravo più piccolo della mia età reale ho ricevuto un sacco di porte in faccia: niente ottovolante, niente film dell’orrore vietati ai minori di 14 anni, niente di niente. Ho dovuto aspettare che mi crescessero barba e baffi, ma ancora se voglio bere una birra mi tocca presentare un documento. Se non fosse per il mio temperamento, forse sarei invisibile.-

-Questo non è vero!- protestò Lucky, accigliandosi.

-E per tornare all’argomento ballo, se andavamo in qualche club rischiavo sempre di venire schiacciato- -

-Attento!!- Un uomo in bicicletta tagliò loro la strada, e per poco non prese in pieno Joe; ma Luke lo trascinò afferrandolo per le spalle verso di sé appena in tempo. Caddero indietro sul marciapiede.

-Che ti dicevo? Non mi ha visto. È la storia della mia vita.- Provò a rialzarsi, ma l’altro lo stava trattenendo: -Hey, che fai?-

La stretta si trasformò in un abbraccio. Dalton divenne una statua di pietra: aveva per caso colpito il cemento con la testa e se lo stava immaginando?

No. Quelle braccia attorno alla propria vita, quel corpo contro la sua schiena, erano reali. Diventò rosso come un semaforo, e ancora di più quando l’altro ricominciò a parlare: -Però non ti ha fermato dall’accettare di aiutarmi e dall’affrontare Ivor quando ce n’è stato bisogno.-

Joe deglutì, ma non aveva neanche una goccia di saliva.

Non era abituato ad un simile contatto umano da parte di qualcuno che non fosse della famiglia.

-Ancora mi dispiace di essermi messo a ridere, prima- continuò l’ex agente.

-Non scusarti… Non devi…- Si accorse che l’altro aveva appoggiato la testa sulla sua, e rabbrividì non perché fosse spiacevole, ma perché ebbe un ulteriore aumento del battito cardiaco.

Passò un intero minuto prima che il detective tornasse in sé: -Hai… Intenzione di stare qui tutta la notte?- riprese, incerto.

-Pardon, in effetti il cemento non è comodo!- scherzò Lucky, lasciandolo andare e rialzandosi con lui. Joe lo fissò per un attimo, raccogliendo i pensieri: -Ad ogni modo… No, lascia stare. Sono un po’ stanco, e domani sarà una dura giornata.-

 

 

Dalton non riusciva a chiudere occhio. Fissava il soffitto della sua stanza con lo sguardo vuoto di chi non può smettere di pensare. Quel che era successo con Lucky Luke riecheggiava nella sua mente; sentiva di nuovo il controllo scivolargli via dalle dita.

“Al diavolo…” Si alzò per andare in bagno e lavarsi la faccia. Fissò il proprio riflesso nello specchio: era perfettamente consapevole di non essere esattamente una bellezza, con quel mento squadrato e il nasone, senza contare…

“Io ti inviterei a ballare lo stesso.”

Si diede una mezza sberla, dicendosi di tornare coi piedi per terra e non farsi illusioni stupide: Lucky era stato semplicemente gentile, era una cosa facile da capire!

“Almeno adesso siamo pari.”

Eppure si ricordava ancora della scena al ristorante indiano.

Tornò a guardarsi: come poteva un carismatico ex agente dell’FBI interessarsi a uno come lui?

Scosse la testa: aveva parlato di diventare amici.

“Sono un idiota. E lui è solo troppo affascinante in alcuni momenti. E carino… Accidenti!!”

Si diede l’altra metà della sberla.

Tornato a letto, cercò di smettere di rimuginare: doveva dormire, aveva un treno da prendere.

 

 

Cheyenne venne a salutarli alla stazione dopo aver portato la figlia a scuola. Raccomandando loro di fare attenzione, diede un forte abbraccio al cugino e a Joe, al quale bisbigliò come una mamma apprensiva come ultima raccomandazione di tener d’occhio Lucky. Averell, William e Jack volevano andare con loro, ma il fratello maggiore li aveva convinti che sarebbero stati più utili lì a Parigi, non solo per coprire Joe da eventuali domande dei colleghi su dove fosse andato, ma perché così William avrebbe seguito insieme a Nat il loro percorso nella struttura. Il giovane hacker li aveva forniti di potenti ma discrete trasmittenti auricolari per poter comunicare, equipaggiando le stesse con un chip GPS che indicasse la loro posizione una volta entrati.

Nello zainetto nero in spalla a Lucky Luke c’era questo, una valigetta quadrata in cuoio rossiccio e una divisa da soldato identica a quella delle guardie nelle foto satellitari.

Una volta partiti, trovato uno scompartimento libero i due si misero a studiare un itinerario: su proposta di Lucky, a Nizza c’era un solo autobus che portava dove volevano andare, o almeno ci arrivava vicino; il percorso durava quindici minuti e avrebbero avuto occasione di prenderlo due volte nel pomeriggio. L’alternativa era noleggiare un’auto, e Joe su questo si impuntò: poteva attirare l’attenzione certo, ma era un’opzione migliore rispetto a un mezzo pubblico. Luke sosteneva che sarebbe stato inutile sprecare soldi a quel modo, ma lo faceva apposta: si divertiva a stuzzicare l’altro, che aveva ragione ovviamente; ci provava gusto a vedere quanta energia metteva nel difendere le sue argomentazioni. Alla fine, con una bassa risata, alzò le mani in segno di resa: -Va bene, va bene: automobile sia.-

Dalton ebbe come l’impressione che Lucky lo stesse prendendo in giro, ma ci passò sopra visto che l’aveva spuntata lui in quella discussione. Guardò fuori del finestrino: lo scenario cambiò rapidamente, passando dagli edifici della periferia parigina a sempre più numerose macchie boschive; i loro toni di verde si mescolavano veloci come le pennellate di un artista impazzito.

Dopo quelle che sembrarono ore, Joe riportò la sua attenzione sul compagno di viaggio, guardandolo con la coda dell’occhio: si era messo a leggere un libro. Sbirciò il titolo in copertina: “Il mondo perduto”.

-Adoro Conan Doyle. Anche se contrariamente a molti, preferisco i suoi romanzi storici e d’avventura ai gialli.- La risposta di Lucky sembrava dare voce al pensiero dell’altro, che replicò: -Per quanto tempo ti ho ignorato tanto da spingerti a leggere?-

-Una decina di minuti. Credevo volessi ammirare il paesaggio.-

-Nah, mi ero solo perso un attimo.- Si rimise composto: -Non ti facevo un fan dei classici.-

Luke inclinò la testa, interrogativo.

-Ricordi quando si parlava di immagini stereotipate? La mia nei tuoi confronti era diventata vederti circondato da pile di libri di storia dell’arte. E invece scopro che c’è spazio anche per la semplice letteratura.-

-Mi piace vagare con la fantasia, ogni tanto.- Ridacchiò, chiudendo il volume.

-Ameno uno dei due è un fervente lettore.-

-Andiamo, avrai anche tu un genere preferito.-

-Non saprei. Però ho un libro che apprezzo molto, anche se la prima volta era una lettura scolastica.-

Il treno rallentò. Stavano per entrare nella prima stazione prevista dal percorso.

-E qual è?-

-“Il conte di Montecristo”. Non so, trovo appassionante la storia di Dantès, il modo in cui riesce ad evadere…-

Il controllore passò chiedendo di vedere i biglietti; non ci impiegò più di trenta secondi a verificare che i loro fossero in regola.

-Bene. Direi di cominciare a darsi un ritocco.- Lucky prese lo zaino nero nel portapacchi sopra la sua testa: -Controlla se per caso si avvicina qualcuno, Joe.-

-Che vuoi fare?-

-Preparo la nostra copertura.- Trasse fuori la valigetta in cuoio rossiccio, che aperta rivelò al suo interno varie protesi facciali in lattice: nasi di varia forma e colore, barbe e baffi, insieme a barattoli di trucco e stampi componibili per maschere, che suddivisi in blocchetti non occupavano molto spazio, e in più delle parrucche.

-Il composto deve essere fresco, così il pigmento in polvere si fissa meglio e sembra più naturale. Per questo devo prepararlo adesso, almeno per te- spiegò Luke inginocchiandosi a terra e disponendo il necessario: -Biondo o moro?-

-Prego?-

-Devo sapere come adattare i tratti della maschera in base a quello che vuoi.-

-Pensavo ad un vecchietto. Capelli bianchi.-

-D’accordo, non è complicato. Mi metto al lavoro; abbiamo tutto il tempo.-

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


Dal treno non discesero gli stessi passeggeri dell’andata, ma in quella marea umana solo un occhio attento avrebbe potuto accorgersi di chi e di come era cambiato. Sì, avrebbe di sicuro notato un basso vecchietto coi capelli e la barba bianca con gli occhiali scuri e l’alto giovanotto coi capelli rossi e ricci e i dentoni sporgenti che camminavano diretti all’uscita della stazione di Nizza.

-Dobbiamo trovare un’auto che tu possa guidare, Joe.-

-Perché dovrei guidare io?-

-Per potermi cambiare sul sedile di dietro. Non posso indossare la divisa adesso, saremmo troppo appariscenti. E attento a non strapazzare la maschera, o si staccherà così fresca.-

-Me l’hai già detto.-

Il rivenditore e noleggiatore di automobili aveva un che di viscido; il classico ometto col riporto che le prova tutte per raggirare il cliente. Non volendo perderci troppo tempo, Lucky lasciò a Dalton il compito di sorbirsi le chiacchiere dell’uomo mentre si guardava attorno alla ricerca del modello giusto. Adocchiò infine, fra catorci degli anni ’70 e modelli decisamente troppo di lusso, una bella Volvo a noleggio, nera e col tettuccio basso. Il prezzo era ragionevole, così con un fischio segnalò a Joe la sua posizione.

Poco dopo eccoli lì, ad imboccare la strada che li avrebbe portati ai piedi delle montagne sovrastanti la città. Solo quando ebbero superato le ultime case della periferia Lucky si sporse dal suo posto del passeggero dietro e ruppe il silenzio che si era creato fra di loro:

-Accendo la radio, ti spiace?-

-Fa’ pure.-

La stazione locale stava trasmettendo una maratona di canzoni anni ’80, e sul ritmo di una di queste Luke annunciò: -Sarà meglio cambiarsi. Ci metto cinque minuti.-

-Anche dieci, c’è tempo.- Dalton riconobbe la canzone, e muovendo a tempo le dita sul volante ascoltò le parole:

 

I saw him dancin’ there by the record machine

I knew he must a been about seventeen

The beat was goin’ strong, playin’ my favourite song

An’ I could tell it wouldn’t be long

Till he was with me, yeah me…

 

Gli cadde l’occhio sullo specchietto retrovisore sopra la sua testa e sbarrò gli occhi: Lucky si stava davvero spogliando, lì dietro! Rimase a guardarlo mentre si toglieva la camicia: era più magro di quanto sembrasse, ma non sul tipo “scheletro che cammina”, no, quel magro ben fatto e snello con tutto al suo posto. Quando poi iniziò a sfilarsi i pantaloni, Joe sentì di essere prossimo ad un infarto.

-Guarda la strada, detective, non distrarti!- scherzò Lucky, che si era accorto di essere osservato.

-E’ quello che sto facendo!-

-Stai andando contromano.-

 

 

La struttura era circondata da una recinzione in ferro, elettrificata, che lasciava uno spazio di quaranta metri di sterrato al suo interno prima di arrivare all’edificio vero e proprio. Varcare la soglia e poi uscire sarebbero state le fasi più difficili del salvataggio di Jolly Jumper.

A Parigi i fratelli Dalton, Nat e Cheyenne attendevano che i loro amici attivassero gli auricolari.

-Non sei costretta a stare qui se devi lavorare, Cheyenne…- provò a dire Jack.

-Voglio essere presente. Ho chiesto un permesso a Louise fino a stasera, e Amélie rimane da una sua amichetta per un pigiama party.- Lo guardò, decisa: -Non mi muoverò da qui finché Jolly non sarà al sicuro.-

Nel frattempo, le guardie al cancello videro emergere dalla boscaglia uno dei loro uomini che, puntando una pistola, faceva camminare avanti a sé un anziano di bassa statura.

-Hey, ragazzi!- Lucky stava alterando la voce in modo che risultasse un lieve accento scozzese: -Ho beccato questo ficcanaso che curiosava in giro con la scusa di fare birdwatching! Fatemi passare, che lo sbatto in una cella!-

I due non fecero domande e aprirono il cancello. Superato il vuoto, all’ingresso Lucky inserì il codice di sicurezza per entrare dalla porta principale, imparato a memoria dopo varie prove con Nat. Fu proprio a quest’ultimo che si rivolsero una volta entrati, accendendo gli auricolari: -Siamo dentro.-

-Inizia lo show, allora!- esclamò l’hacker, vedendo accendersi due puntini rossi sullo schermo dove aveva aperto la mappa digitale: -Dovete proseguire fino al terzo corridoio alla vostra destra, poi imboccarlo. Vi avviso io se ci sono delle guardie, ok?-

-Roger- confermò Joe. Nat diede ulteriori istruzioni: -Ora andate fino in fondo, vedrete un ascensore di fronte a voi. Saliteci e premete il pulsante B -3, vi porterà alle celle.-

Dentro l’abitacolo, prontamente Luke spinse i bottoni indicati. La classica musichetta d’attesa stava suonando in sottofondo.

-E’ uno scherzo, vero?- borbottò Dalton, provocando le risate degli altri all’ascolto. Lucky commentò: -Orecchiabile, ma superflua in un posto del genere.-

Al piano B -2 l’ascensore si fermò.

-Oh no…-

-Che succede, Nat?- domandò Joe.

Entrò un’altra guardia dalle porte, impegnata a sfogliare un fascicolo e dunque non prestando molta attenzione agli altri due assieme a lui.

-Calma, ragazzi, nervi saldi…- mormorò l’hacker. L’ascensore arrivò al B -3, e Lucky e Joe uscirono prontamente dalla cabina. Di nuovo soli, ricordandosi di respirare, Dalton annunciò: -Ci siamo.- Ogni cella aveva un tastierino di numeri sul lato destro.

-Perfetto. Al momento siete i soli su questo piano; andate avanti fino alla quarta svolta a sinistra.-

Cheyenne, guardando gli schermi connessi alle telecamere, prese a tormentarsi il labbro inferiore della bocca coi denti, nervosa, stringendosi nelle braccia. William provò a rassicurarla: -Hey… Andrà tutto bene, vedrai…-

Lei annuì, gli occhi fissi sui movimenti dei due infiltrati.

-Ora a destra. Continuate per un centinaio di metri.-

-Nat, sei sicuro che la strada sia giusta?-

-Sì, secondo i registri della struttura. Proseguite a sinistra…- Digitò sulla tastiera un comando. Il simbolo della registrazione sparì dalle videocamere.

-Campo libero.- Non avrebbero mai avuto le registrazioni della fuga.

-La cella?-

-328, Lucky. Ti detto il codice.-

Al momento di aprire la porta, però, Luke esitò un attimo. Joe intuì che fosse un momento emozionante, per cui lo spronò: -Coraggio…-

Sospingendola, la porta emise un cigolio che in quel silenzio risuonò come il rombo di un tuono. L’interno della cella era piuttosto scarno, con un letto a brandina, un lavandino e un WC.

Sopra al letto stava raggomitolato un uomo, vestito di nero.

-Jolly…?- Lucky non era sicuro nel pronunciare quel nome, ma si sentì sollevato quando una testa di informi capelli biondi si sollevò al richiamo con un sobbalzo, e un volto familiare si voltò nella loro direzione, gli occhi scuri spalancati: -…Lucky…-

I due fratelli si strinsero in un fortissimo abbraccio. Nel sentire la voce del cugino, Cheyenne ebbe un attimo di commozione: -Sta bene… Grazie al cielo…-

-Sapevo che saresti venuto a tirarmi fuori!! È stata l’unica cosa a tenermi sano di mente qui dentro!!-

-Un anno di reclusione senza neanche un libro o la televisione? Dove siamo, a Guantanamo?- commentò Joe.

Jolly lo guardò: -E lui chi è, Luke?-

-Il detective Joe Dalton; ha accettato di aiutarmi… Ti è cresciuta una gran barba, fratello.-

-Un anno senza rasoio lascia il segno.-

-Forza, ragazzi, rimandiamo le smancerie a quando saremo fuori di qui.- Dalton guardò fuori della cella: -Non c’è nessuno, andiamo.-

Cheyenne si trattenne dal prendere le cuffie col microfono a Nat per parlare col cugino. Aveva ragione Joe: baci e abbracci a dopo.

-Il primo piano è pieno di guardie, non potete uscire come siete entrati. Dovete riprendere l’ascensore e salire al piano A 1.-

-Ma così ci mettiamo in trappola da soli.-

-No, Joe, c’è un parcheggio a quel piano. Rubare un mezzo è l’unico modo che avete per uscire con Jolly; è sopraelevato, quindi ci saranno un paio di rampe prima di uscire.-

-Ricevuto, Nat.-

Ma quando le porte di metallo si aprirono, i tre ebbero una brutta sorpresa: la guardia con il fascicolo di prima era ancora lì; evidentemente non si era accorto di non essere sceso dalla cabina. Alzò gli occhi e li vide, ma prima che potesse urlare Lucky lo mandò KO con un pugno.

-Non ci voleva; che ne facciamo di lui?- domandò Joe.

-Nat, che mi dici delle telecamere?-

-Sono ancora in “no rec”.-

-Ho un’idea, ma dobbiamo fare in fretta.-

Poco dopo c’erano due guardie e un uomo in borghese al piano A 1. In un cubicolo di vetro e acciaio c’era una guardia armata che li fermò: -Tesserino.-

-Ci penso io- disse Nat, inserendosi nell’apparecchio di identificazione con uno dei suoi programmi. Lucky fece passare il suo tesserino, fasullo, e Jolly quello della guardia che avevano steso.

Risultarono entrambi idonei.

-E il nonno, qui?-

-Non ho bisogno di un tesserino come questi smidollati, soldato!-

-E’ mio zio, un sergente della vecchia guardia…- buttò lì Jolly Jumper; all’improvviso un grido attraversò l’aria: -Fermateli!! Sono intrusi!! Fermateli!!-

Il tipo di prima si era ripreso, e in canotta e mutandoni stava correndo nella loro direzione.

-Da dove è sbucato?!?- esclamò Nat, -Voi l’avete visto, fratelli Dalton??-

-No, non è passato davanti alle telecamere!- rispose Jack.

-Correte, correte!!-

La guardia alzò il mitra. I tre si buttarono a capofitto verso le jeep parcheggiate lì dentro; cominciarono a volare proiettili. Cheyenne si aggrappò con le braccia al collo di William e Jack:

-Oh, no, no, no!!!-

Attraverso le telecamere li videro rifugiarsi in uno dei mezzi, fortunatamente blindati.

-Non ci sono le chiavi!!- gridò Lucky, sovrastando il rumore dei proiettili e dell’allarme appena scattato.

-Aspetta, ci penso io!!- Jolly si infilò sotto il cruscotto e tirò fuori i fili, iniziando ad armeggiarci per fare contatto.

-Svelto, ci sta raggiungendo!!- lo incalzò Joe; la macchina si avviò e Luke prese il volante:

-Tenetevi forte!!- Schiacciò il piede sull’acceleratore e sterzò, cozzando contro un paio di altri veicoli sotto la raffica del mitra. Con una rotazione degna di un pilota di rally, Lucky portò la macchina con il muso rivolto verso le rampe, cambiò marcia e sgommò in direzione di quella che scendeva verso il basso. Nel frattempo altre guardie sciamarono nel parcheggio per lanciarsi all’inseguimento.

-Lucky? Joe? Dannazione, non abbiamo contatto audio o visivo!!- Nat armeggiò sulla tastiera:

-Dovremo seguirli dal satellite!-

-Vedo l’uscita!- esclamò Joe, spiaccicato in mezzo agli altri due.

-E io vedo i soldati nello specchietto retrovisore!!- gli fece eco, allarmato, Jolly Jumper.

-Non abbiamo scelta; reggetevi!!- Con una brusca accelerazione, Luke andò a tutta birra contro la porta a serranda in lamiera che si stava chiudendo di fronte a loro.

Jolly e Joe si strinsero l’uno all’altro, atterriti, cacciando un urlo, ma la jeep passò nel vano sfiorando col tettuccio la lamiera. Sbucarono fuori, e altri proiettili cominciarono a piovere loro addosso.

-Eccoli!- gridò Nat.

Sfondando il cancello, che produsse scintille all’impatto, i tre si tuffarono nella boscaglia, evitando il più possibile gli alberi e sobbalzando ogni volta che le ruote incontravano buche o radici.

Joe stava aggrappato al sedile per non fare la fine della pallina da flipper; Jolly aveva afferrato la maniglia sopra la portiera. Una volta raggiunta la strada, fortunatamente nello stesso punto dove era parcheggiata la Volvo, Lucky frenò di colpo: -Scendete, svelti!!-

Al posto di guida dell’altro mezzo si piazzò Dalton, Luke accanto a lui e il fratello dietro. Partirono giusto un secondo prima che le altre jeep sbucassero dal bosco ancora al loro inseguimento.

-Ragazzi, mi ricevete?- ritentò Nat.

-Forte e chiaro, ragazzo!- Joe sterzò, evitando una buca.

-Ascoltatemi, andate sempre dritti per questa strada; c’è un ponte sul fiume più avanti! Se lo supererete potrete tornare a Nizza!-

-E come ci liberiamo della zavorra?-

-Tu guida, al resto penso io!-

-Bene! Stai giù con la testa, Jolly Jumper, non abbiamo ancora chiuso le danze con quelli là!-

Che infatti ripresero a sparare, frantumando il parabrezza posteriore.

-Diavolo, è a noleggio! Ci toccherà pagare la penale!-

Lucky abbassò il finestrino: -Li rallento io.- Trasse fuori da una tasca interna della divisa una pistola d’epoca, una sette colpi.

-E quella da dove sbuca? Aspetta, ma è…-

-E’ il momento di usarla per qualcosa di buono invece che per rubare, non trovi Joe?- Si sporse all’esterno fino a metà torso, e con un unico colpo preciso andò a bucare la gomma della jeep in testa alle altre cinque o sei dietro di loro; questa sbandò andando addosso ad altre due, facendogli fare testa-coda. Quelle rimaste proseguirono, e i soldati ripresero a sparare, costringendo Luke a rifugiarsi di nuovo all’interno della Volvo.

-Quanto manca ancora, Nat?!?-

-Non fermarti, Joe, ci siete quasi!!-

Degli alti pali bianchi all’orizzonte segnalarono la presenza del ponte. Dalton iniziò ad andare a zig zag fra le auto che cominciarono ad incontrare; fortunatamente non era ora di punta e schivarle era semplice anche in contromano.

-Nat, questi non ci mollano!-

-Andate verso il ponte!-

Cominciò a suonare una campanella, come quella dei passaggi a livello. Le auto si fermarono poco prima di arrivare al ponte, che cominciò a sollevarsi.

-Oh, ho capito che vuole fare il ragazzo.- Con un sogghigno, Joe premette sull’acceleratore. Jolly emerse fra un sedile e l’altro: -Cosa? Che succede??-

-Tenetevi dove potete!- Con un’ulteriore accelerazione, la macchina seguì la parte sollevata del ponte.

-Tu sei pazzo!!!- gridò Jolly Jumper afferrando il sedile dov’era il fratello. Nat e tutti gli altri restarono paralizzati a guardare la scena negli schermi quasi fosse al rallentatore: l’auto saltò come su una rampa, volò in aria per qualche secondo e riatterrò dalla parte opposta con un fragore metallico, per poi tornare sulla strada quasi sgombra. La stessa manovra non riuscì alle jeep, che andarono a scontrarsi con le auto ferme e contro la parte del ponte ormai alzata. Una finì in acqua. Dopo un’altra manciata di secondi, Nat annunciò, recuperando il respiro: -E’ fatta.-

Gli altri assieme a lui si scatenarono in un grido di esultanza; Cheyenne si strinse in un abbraccio di gruppo con i fratelli Dalton. I tre sulla macchina si lasciarono andare in maniera simile. Jolly Jumper affermò: -Troppe emozioni insieme! Potrei svenire!!-

-Ah, Joe! Sei stato grande!- esclamò Lucky, -Dove hai imparato a guidare così?-

-Scherzi? Mi sono esercitato correndoti dietro!-

Ridendo per scaricare la tensione, Jolly si riaffacciò: -Prossima fermata, Nizza!!-

 

 

-Sta monopolizzando il bagno…- borbottò Joe, togliendosi la maschera e la parrucca, in tono scherzoso.

-Beh, lo faresti anche tu dopo un anno senza una doccia decente!- Lucky si liberò di parrucca e denti finti.

-Hey! La tua guancia!-

-Cosa?-

-Sta sanguinando.-

Luke si toccò la guancia sinistra: -Ah… Un proiettile deve avermi sfiorato. Ci metto subito un cerotto.-

Dalton si lasciò cadere indietro sul letto: -Con tutti quelli che ci sono piovuti addosso, solo un graffietto… Sei davvero l’uomo con la fortuna più sfacciata che abbia mai conosciuto!-

Jolly Jumper si affacciò dal bagno con un asciugamano intorno alla vita: -Hey, ragazzi, avete un tosaerba per far sparire questa foresta amazzonica dalla mia faccia?-

Lucky si mise a ridere: -Prendo gli attrezzi, fratellino.-

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


Senza barba, Jolly rivelò sugli zigomi delle evidenti lentiggini, che sulla pelle bianca per la mancanza di sole risultavano di un evidente color caffellatte. Aveva legato i capelli in una coda, tuttavia erano ancora molto arruffati. Sul treno di ritorno, Joe gli domandò: -Cosa farai adesso?-

-Ora che sono libero recupererò il tempo perduto. In albergo ho fatto una piccola lista!-

-Mi prendi in giro.-

-No no, l’ha fatto davvero- sorrise Lucky.

-Per prima cosa, però, voglio rivedere la mia nipotina… Chissà quanto è cresciuta! E Cheyenne!-

-Anche tu sei mancato molto a loro due, fratellino. Sarà una bella riunione di famiglia.-

-Fratellino… Sono più giovane di te solo di un anno e due mesi!- Ridendo, Jolly lasciò intravedere la finestrella fra gli incisivi superiori.

-Ora non ci resta che scoprire dove si trova Dorian Mason e arrestarlo.-

-Hai le idee chiare, detective.-

-Faccio il mio lavoro togliendo il vero criminale dalla circolazione.-

-Già. Se penso che il padre ha trasformato Luke in un ladro… Ma sbaglio o avevi detto che Joe ti stava aiutando, fratello? Da quanto vi conoscete, voi due?-

-Vado un attimo alla toilette!- rispose Lucky, lasciandoli soli nello scompartimento e rifugiandosi non molto lontano nel bagno.

-Curioso…- mormorò Jolly.

-Che cosa?-

-Sembrava in imbarazzo. Luke non è mai in imbarazzo.- Sorrise, rivolto a Joe: -Devi piacergli davvero molto!-

Dalton arrossì vistosamente.

-E anche lui ti piace, da quel che vedo!-

-Ecco, io…-

-Ma dai! Non posso crederci! Mio fratello ha una cotta!- Si mise a ridere: -Alleluia, sono anni che non frequenta qualcuno!-

-Eh?-

-Non fare quella faccia, tutti abbiamo i nostri precedenti; anche tu, credo.-

-Come tutti, certo, più o meno…-

-A lui non è mai andata molto bene. Si ritrovava sempre col cuore spezzato, prima o poi. Piantato in asso.-

-Cosa? Ma è assurdo! Tuo fratello ha un fascino irresistibile, con che coraggio si lascia uno così?-

-Me lo sono domandato spesso anch’io, credimi.- Sogghignò: -Lo trovi irresistibile dunque. Bene.-

Joe venne salvato dalla voce registrata che annunciò l’arrivo alla Stazione Centrale di Parigi.

-Comunque, detective Dalton, Joe…- Jolly Jumper si scostò una ciocca dei capelli biondi dal viso:

-Qualunque motivo ti abbia spinto ad aiutare Luke, sono contento che lui abbia trovato qualcuno di cui fidarsi. Devo avvertirti però che ha un carattere un po’ dispettoso, non so se te ne sei accorto.-

-Un pochino.-

-Se flirta con te però fa sul serio, anche se sembra solo stuzzicarti.-

-Cosa??-

-Già successo, vedo.-

Amélie teneva per mano sua madre; incapace di stare ferma la piccola passava il peso del corpo da un piede all’altro. Quando Cheyenne le aveva detto che lo zio Jolly stava tornando, era praticamente diventata una trottola dalla felicità e dall’eccitazione!

Gli altri tre Dalton le accompagnavano, in attesa di Joe.

Il treno giunse al binario col suo fischio sonoro. Cheyenne ebbe un brivido d’emozione quando le porte si aprirono e i primi passeggeri iniziarono a scendere dalle carrozze. Dopo un minuto di ressa, il comitato d’accoglienza vide Joe, Lucky e Jolly Jumper emergere dalla folla.

-Joe!!- Averell si gettò di corsa verso il fratello maggiore, prendendolo fra le braccia quasi a volerlo stritolare.

-Imbecille, non respiro!!-

Cheyenne lasciò andare Amélie, che corse verso Jolly con un enorme sorriso in volto: -Zio!! Zio!!-

Lui afferrò al volo la bambina, abbracciandola forte per poi sentirsi stringere anche dalla cugina.

Lucky osservava la scena in disparte, le mani in tasca, con un sorriso sereno: finalmente erano di nuovo tutti insieme.

Quel pomeriggio, mentre Amélie giocava con una sua amichetta incontrata per caso al parco giochi, il gruppetto si radunò al tavolino di un caffè all’interno dello stesso, e Jolly Jumper si mise a raccontare: -All’inizio non ero il solo ostaggio presente in quella struttura, ma dopo la morte di Mason senior il figlio ha deciso di fare pulizia, chiudendo i conti in sospeso del suo vecchio. Purtroppo Luke era una risorsa troppo utile per Dorian, così sono rimasto l’ultimo.-

-Aspetta; l’hai visto?- lo interruppe Jack.

-Sì. Dopo aver preso il posto di Arthur, venne a passare in rassegna i prigionieri. Alcuni vennero rilasciati subito, altri nel corso di questi ultimi mesi. Sono rimasto da solo. Non che ci fosse molta differenza rispetto a prima; eravamo praticamente isolati gli uni dagli altri.-

-Li ha liberati?- si stupì Joe.

-Disse che anche se ormai erano inutili non voleva sporcarsi le mani, e li ha allontanati. Erano uomini e donne adulti, parenti di qualcuno rimasto invischiato nell’organizzazione come è successo a noi…- Guardò Lucky: -Non posso credere a quello che ti ha proposto di fare in cambio della mia vita.-

-Fratellino, non pensiamoci più.-

-Invece sì. Dobbiamo organizzarci per andare a prenderlo a calci!-

-“Dobbiamo”? Frena, frena!- si inserì Cheyenne, -Ci penseranno Lucky e Joe, tu resti a casa con me e Amélie!-

-Ma…-

-Niente “ma”; so che vuoi dare una mano, però… non puoi esporti ancora.-

-Cheyenne…-

-Ha ragione lei- affermò Luke, -E se ti stessero cercando? Saresti più al sicuro in un ambiente familiare.-

-Sarei comunque prigioniero, non trovi? Odio non fare qualcosa.-

-Forse ho una soluzione.- Joe sogghignò: -Ci serve qualcuno che tenga d’occhio il nostro amico al Moulin Rouge quando noi non ci siamo.-

Un’ora dopo fu proprio da Ivor, nuovamente ben immobilizzato, che portarono Jolly Jumper. Quest’ultimo guardò il bodyguard con aria seria: -Bene bene… Uno scambio di ruoli interessante.-

Il prigioniero gli disse qualcosa in russo, sembrava un tono sarcastico e cattivo. E Lucky andò a strattonarlo per una spalla, ordinandogli qualcosa nella sua lingua.

-Bene, gente, direi che ci possiamo prendere una breve pausa adesso.- Joe si fregò le mani, soddisfatto: -Noi dobbiamo andare al lavoro, ho un mucchio di scartoffie arretrate.-

-E quella per te è una pausa?-

-Sì, Cheyenne.-

-Sei davvero un malato del lavoro; ha ragione la povera Betty!-

Il maggiore guardò storto Averell.

-Cosa? Il segreto professionale non vale con me; sono il suo fidanzato!-

 

 

-Detective? Capo?- Gerard si affacciò alla porta dell’ufficio di Joe, reggendo un sacco di fascicoli fra le braccia.

-Che succede?- Dalton stava ancora firmando dei documenti per validarli, fra i quali rapporti e fax da mandare in giornata.

-E’ arrivato un ragazzo che dice di conoscerla. Nathaniel qualcosa.-

-Ah! Sì, lascialo passare.-

Nat entrò poco dopo, e chiudendosi la porta alle spalle esordì con: -Abbiamo un problema.-

-Prima di tutto, buongiorno. Secondo, quale problema?-

-Stanno cercando Ivor.-

Joe si accigliò: -Sei sicuro?-

-Sì. Lucky mi aveva dato il suo cellulare per esaminarlo, e fino ad oggi non aveva mai squillato. Però…- Mostrò al detective uno smartphone nero: -E’ Dorian Mason. Ho lasciato partire la segreteria e... questo è il messaggio.- Digitò sul touch screen e fece partire la registrazione; una voce maschile con l’accento inglese iniziò a parlare: “Ivor, amico mio, dove sei? Hanno combinato un bel macello alla prigione; ho bisogno di sentirti per risolvere il problema. Richiamami.”

-C’è altro?-

-No.-

-A quando risale?-

-Un paio d’ore fa.-

-Hai avvertito Lucky?-

-Non ancora.-

-Lo chiamo io, allora. Occupati di coprirci le spalle.-

-Roger.- Uscito Nat, entrò Betty, che domandò: -Chi era quel ragazzo?-

-Un informatore, mi aiuta a tenere d’occhio una scuola di dubbia reputazione; che c’è?-

-Ho altri cinque permessi da farti firmare.-

Joe sbuffò: -E’ tutto il giorno che firmo scartoffie, mi si slogherà il polso! Passa, faccio in un attimo.- Senza guardare neanche i nomi, scribacchiò la sua firma sui fogli.

-Grazie detective!- sorrise la psicologa, recuperando il proprio materiale e uscendo dall’ufficio.

Riguardando i fogli, però, si accorse di aver preso qualcosa che non le apparteneva: un programma del Moulin Rouge.

“Strano; che se ne fa Joe di una cosa simile?” Tornò indietro per restituirglielo, quando lo udì parlare al telefono: -Dì a tuo fratello che ci vediamo stasera, d’accordo? E che la situazione è sotto controllo. Co- Non mi interessa! Piantala!-

Betty non bussò. C’era qualcosa di strano.

-Faremo il punto più tardi, ora non posso parlare. Solito posto, giusto?-

Perplessa, lei guardò il volantino ancora nella sua mano. Che fare?

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


Con indosso un ampio cappello beige, un impermeabile del medesimo colore e gli occhiali da sole, Betty si era messa a seguire i fratelli Dalton. Alla fine l’aveva avuta vinta il suo istinto a ficcare il naso nei loro affari, non perché non si fidasse, ma perché se nemmeno Averell le voleva parlare di quel che stavano facendo ultimamente c’era di che preoccuparsi; non c’erano segreti fra loro.

Andò loro dietro fino al Moulin Rouge, e li vide entrare dalla porta posteriore. Si avvicinò e provò a passare di lì a sua volta, ma si accorse che era una porta antincendio che si apriva solo dall’interno. Qualcuno li stava aspettando dunque. Non aveva altra scelta se non tentare dall’ingresso principale. Guardò l’orologio: segnava le diciassette.

Fu meno complicato del previsto accedere alla sala, dato che non era orario di spettacoli ed erano aperti provini per comparse in uno spettacolo di cabaret. La psicologa vide così Averell attraversare una porticina sotto il palco. A passo svelto, raggiunse anche lei il passaggio, ritrovandosi in uno spoglio e angusto corridoio illuminato al neon. Udì la voce di Joe: -Va bene gente, non abbiamo molto tempo per convincere il nostro amico a rivelarci dove si trova Mason. Ci siamo già bruciati l’idea di prenderlo per fame, e le cattive maniere sarebbero inefficaci. Qualche idea?-

-Che ne dici di strofinare le posate su un piatto? Non c’è niente di più tremendo dello stridere del metallo sulla ceramica!- affermò una voce femminile.

-Hai guardato di nuovo quel film sull’acchiappanimali, vero?- proseguì un’altra voce, maschile, sconosciuta a Betty.

-Jolly ha insistito, per farsi due risate! Capirai, dopo un anno in isolamento…!-

La psicologa, col passo più silenzioso possibile, si fece avanti per sbirciare. Una donna dai lunghi capelli neri le dava le spalle, e rimase sorpresa nel vedere, oltre ai Dalton, l’uomo che sembrava corteggiare Joe al ristorante indiano.

-Qualcun altro? Mica possiamo spremerci le meningi solo io e Lucky!- affermò il maggiore dei fratelli.

“Lucky?” Betty era confusa.

-Forse potremmo corromperlo col denaro- suggerì Jack.

-No, Ivor è un fedele galoppino di Dorian Mason, non lo tradirà per soldi.-

-Ha ragione mio fratello- affermò un uomo biondo giungendo a piccoli passi alle spalle di William, -Quell’uomo è tante cose, ma non un traditore. Vi ha dato i codici solo per disperazione; non aprirà bocca adesso.-

-Che si fa allora?- sospirò William, -Io e Nat non possiamo fare nulla finché non crolla…-

Betty non si accorse, sporgendosi ancora un po’, di star inavvertitamente toccando alcune scope abbandonate dagli uomini delle pulizie in un angolo; queste caddero con un gran rumore sul pavimento, e lei cacciò un urletto. Il gruppo si girò verso la psicologa, e Averell esclamò: -Betty! Che ci fai qui?-

-Uh… Io…-

-Hai sentito tutto, vero?- si accigliò Joe.

-Sì, ma… Che sta succedendo? Ho sentito nominare un certo Lucky…- Si tolse gli occhiali e il cappello.

Cheyenne provò a dire qualcosa, ma venne anticipata da Joe: -Conviene far sedere la nostra amica e spiegarle tutto. A meno che non ci sia qualcun altro da trascinare in questa storia che doveva restare fra me e lui.- Indicò Luke alle sue spalle con un cenno della testa.

 

 

Di fronte ad una bella tazza di caffè bollente, Joe e Lucky fecero un breve riassunto della situazione ad una stupefatta Betty, che a stento credeva alle proprie orecchie. Tante cose cominciarono ad avere un senso, come l’evasività dei fratelli Dalton e il dialogo che aveva carpito nell’ufficio di Joe.

-E qui arriviamo al punto- concluse il detective, -Ivor non dice niente e se lo fa sono insulti e minacce. Non sappiamo più dove sbattere la testa.-

Cheyenne borbottò qualcosa che suonò come “La mia idea era buona…”

La psicologa bevve un sorso di caffè, prese un respiro e affermò: -Beh… che dire, mi aspettavo tutto tranne questo. Un intrigo segreto; è come nei romanzi di spionaggio!-

-La prendi bene, vedo!- ridacchiò Cheyenne, -Una persona normale sarebbe già in ansia come minimo!-

-La mia professione mi ha allenata a non lasciarmi mai prendere dal panico o dall’agitazione; in realtà sono un tantino preoccupata.-

-Bando alle ciance, comunque. Ora dobbiamo tornare a riflettere sul nostro problema- sentenziò Lucky passando lo zucchero per il caffè a Joe, che lo rifiutò alzando la mano: -Lo bevo sempre amaro, grazie lo stesso.-

-Visto che ormai sono a conoscenza dei fatti, forse vi posso aiutare.-

Tutti guardarono sorpresi Betty, perché non si aspettavano una simile proposta.

-Quanto tempo avete ancora?-

-Una settimana.- Dalton prese un sorso di caffè: -Se hai qualche idea, siamo aperti ad ascoltarla.-

-Ecco, conosco una persona che potrebbe aiutarvi, devo solo pensare a qualche scusa per non coinvolgerlo troppo in questo guaio.-

-E chi?-

 

 

Il giorno seguente, un ometto dai folti baffi e gli occhiali spessi, la capigliatura da scienziato pazzo e munito di una valigetta nera, si presentò al Moulin Rouge accompagnato da Betty e Joe. Quando Lucky, intento a strimpellare sul pianoforte un motivetto allegro per far esercitare Annette e le altre ballerine, notò la loro presenza, si fermò e chiese ad un altro musicista di dargli il cambio. Andò incontro agli ospiti, tirando su le maniche della camicia azzurra che indossava: -Salve.-

-Luke, ti presento il professor Victor Huffenbergstein, del quale sono stata allieva all’università- disse Betty tutto d’un fiato, -E’ uno psicologo specializzato in ipnosi.-

-Betty mi ha detto che c’è un paziente da sottoporre alle mie cure- affermò il professore in un francese leggermente sporcato da un accento tedesco.

Lucky guardò Joe, che alla sua perplessità rispose con un netto e muto labiale: “Stai al gioco.”

-Sì. Un paziente. La sta aspettando dietro le quinte; prego, da questa parte.-

Nel piccolo corridoio al neon, mentre la psicologa illustrava i vari sintomi del loro prigioniero come se si trattasse davvero di un malato da curare, Dalton si avvicinò a Luke e sussurrò: -Suoni addirittura il piano. Un altro talento da aggiungere alla lista.-

-Non è che suono, però due o tre note riesco ad arrangiarle. Devi saper fare un po’ di tutto, in caso la compagnia ne abbia bisogno.-

-Non dirmi che canti, pure.-

-Ogni tanto. Mi ha dato lezioni Cheyenne.-

-Vorrei tanto assistere ad una tua performance!- ridacchiò il detective.

Lucky sorrise: -Vedremo.-

-Ci siamo.- Betty mise fine alla loro conversazione: -E’ lì dentro. Vuole che l’aiuti, professore?-

-Certamente. Signori, vi chiedo di aspettare qui, ci vorrà un po’ di tempo e preferirei non essere disturbato.-

-Va bene.- Joe prese un respiro: -Vado a cercare una sedia.-

Un’ora più tardi, Jolly Jumper trovò il fratello e il detective Dalton fuori della stanza di Ivor, in attesa: -E’ arrivato?- domandò, ricordandosi dell’idea di Betty.

-Sì. Ma ancora nessuna novità- rispose Joe, chiudendo il quotidiano che stava leggendo e sbuffando: -Quel mascalzone starà opponendo resistenza all’ipnosi.-

Lucky si passò una mano sul viso: -Cerchiamo di essere ottimisti… Non possiamo arrenderci proprio ora che siamo così vicini; Ivor cederà prima o poi.-

-Nat mi ha telefonato- riprese Jolly, -E’ riuscito a ricreare al computer la voce del nostro amico così da poter rispondere ai messaggi e alle chiamate di Mason. Il nostro piccolo genio ci ha fatto guadagnare tempo.-

-Ottimo.-

-Sfruttiamolo bene questo tempo, allora.- Il detective assunse un’aria pensierosa: -Mettiamo insieme le idee: supponiamo di sapere il luogo dell’incontro; di solito per eventi come le aste si organizza un rinfresco, o qualcosa che intrattenga gli ospiti.-

-Sì, specialmente se devi accogliere acquirenti abbastanza ricchi da permettersi un autentico gioiello della corona inglese- commentò Jolly appoggiandosi al muro con una spalla e infilando le mani in tasca.

-Lucky, tu che conosci bene Mason, che tipo è? Un eccentrico, uno a cui piacciono le feste…-

-Il padre era il classico uomo d’affari preciso e poco appariscente; Dorian è un tipo più teatrale.-

-Teatrale?-

-Un gran chiacchierone, esagerato in ogni suo gesto. Se non fosse un criminale sarebbe un ottimo attore da commedia.-

-E se dovesse organizzare una festa…-

-Sarebbe sfarzosa ma formale, ha ereditato almeno un briciolo di buon gusto dal defunto Arthur.-

Joe annuì: -Va bene… Stavo ragionando sui possibili travestimenti da utilizzare.-

-Più che dell’abito dovreste preoccuparvi della faccia- aggiunse Jolly, -Se vi riconosce è la fine.-

-Non sarà un problema; uscire di lì con Dorian Mason in manette è un altro paio di maniche.- Luke espirò: -Ci sarà più sorveglianza che mai.-

-Non resta che trovare un modo per prenderlo in disparte, allora.- Dalton cominciò ad elaborare un piano nella sua testa, quando la porta della stanza dov’era rinchiuso Ivor si aprì. Betty uscì con aria seria, per poi assumere un raggiante sorriso e alzando in su i pollici in segno di vittoria.

 

 

-E’ stata dura, ma alla fine ha ceduto- disse il professore, intento a riassettare i propri strumenti nella valigetta nera, fra i quali un orologio e una moneta dall’aria vecchiotta, in argento, -Ho usato tutte le tecniche che conosco.-

-Dunque?- domandò Joe.

-E’ tutto vostro, detective. L’ho convinto di essere un suo agente sotto copertura con importanti informazioni da riferire.-

-Fantastico!- esclamò Jolly.

-Ma mi raccomando: evitate la parola d’ordine che ho scelto per liberarlo dall’ipnosi; non è comune ma non si sa mai. Ve la scrivo.-

Su un quadernetto di appunti scarabocchiò velocemente qualcosa, stacco il foglio e lo passò a Joe, che lesse senza pronunciarlo: “garganella”.

-Professore, non so come ringraziarla!- Lucky gli strinse energicamente la mano.

-Mi fa piacere collaborare con le forze dell’ordine, specie se si tratta di aiutare uno dei miei allievi- rispose gentile chinando la testa verso Betty, che sorrise.

Il professore prese la valigetta e la chiuse: -Il mio lavoro è finito, dunque. Auf wiedersehen, signori.-

-Venga, l’accompagno io!- si offrì la psicologa.

Una volta rimasti soli, Dalton, Jolly Jumper e Luke guardarono l’uomo ancora legato alla sedia che li fissava in attesa. Sembrava meno ostile.

-Ok, gente. Adesso ci divertiamo…- sogghignò il detective.

 

 

Intento a giocare una battaglia online del suo videogioco fantasy preferito, Nat stava concentrato a fissare lo schermo e sgranocchiare patatine, quando sulla destra gli comparve un messaggio in un angolo, una notifica dal suo cellulare proveniente da quello di Lucky (tutti i suoi apparecchi e quelli dei suoi amici erano collegati al computer). Cliccò con il cursore sull’icona del messaggio per aprirlo in un altro monitor. Erano coordinate.

Saltò sulla sedia: era ciò che pensava?

Avvisò i suoi amici con la chat che doveva fare una cosa veloce e che si assentava un minuto, e inserì le coordinate nel sistema di mappatura globale da un altro apparecchio alla sua sinistra. Un punto si illuminò in mezzo al globo terrestre, e zoomando Nat vide il luogo esatto sulla mappa. Digitò un messaggino per Luke che diceva sbrigativamente “Russia”.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


-Sicuro di voler andare da solo, Joe?- mormorò, forse per la decima volta, Averell; stava guardando il fratello maggiore mentre preparava la valigia.

-Sì. Non voglio che vi succeda niente, resterete qui a proteggere Cheyenne e Amélie; nel malaugurato caso che qualcosa vada storto Mason potrebbe prendersela con loro.-

-Ho capito, ma…-

-Non preoccuparti, Averell.- Si sedette sopra la valigia per chiuderla: -Betty coprirà la mia assenza al dipartimento e- mannaggia a queste cerniere!-

-La Russia è lontana, e non so se nella tundra il cellulare prende. Come farete se finite nei guai?-

-Nat ha detto di avere tutto sotto controllo.-

-Joe…-

-Che c’è?- Era tentato di tirargli una sberla, ma solo perché stava già litigando con la valigia.

-Neanche io voglio che ti succeda qualcosa.-

Di fronte all’espressione da cucciolo di Averell, il detective cercò di rassicurarlo tirando fuori una vecchia storia: -Ricordi quando mi spararono?-

-Sì, ti ferirono a un fianco. Ma è stato quando eri ancora poliziotto.-

-E inesperto sul campo. Da allora ho mai mancato di fare attenzione, che io fossi o meno in servizio?-

-No.-

-Questo perché lasciare soli i miei fratelli non è nei miei piani.-

Il minore sorrise: -Davvero?-

-Chi baderebbe a voi, altrimenti?- Continuando la sua lotta con la cerniera della valigia, aggiunse:

-Puoi stare tranquillo, andrà tutto bene. E poi non sono da solo, c’è l’uomo più fortunato del mondo con me!-

-E con la mira migliore che abbia mai visto- intervenne William entrando nella stanza, -Sei sicuro di aver preso tutto?-

-Sì. Ma questa stupida valigia non collabora! Facciamo così: sedetevi sopra voi due, io provo a chiuderla.-

Nel frattempo, anche Lucky stava preparando i bagagli. Non sapendo quale clima avrebbero trovato al loro arrivo, si era organizzato con pochi abiti fra più leggeri e più pesanti, oltre ad un computer portatile, al materiale per il trucco e due o tre travestimenti. Chiuse la valigia ed espirò: -Ci siamo, dunque. Speriamo che vada tutto bene.-

-Non preoccuparti, vedrai che ce la farete- rispose Cheyenne, rimasta in silenzio fino a quel momento sulla porta ad osservarlo.

-Non lo metto in dubbio, ma… Stavo pensando a come farà Joe a spiegare tutto, dopo.-

Lei sorrise: -Sa bene come tenersi buoni i suoi capi, me l’ha detto William.-

-Già.- Sorrise a sua volta, tornando a guardare la valigia sul letto: -Joe è bravo a cavarsela con i superiori. L’ho imparato, in un anno.-

-Glielo dirai mai?-

-Cosa?-

-Come hai fatto a tenerlo d’occhio per tutto il tempo.-

-Ho già un’idea su come farglielo capire da solo. Sarà divertente. Ma solo dopo aver chiuso questa faccenda.-

Cheyenne si strinse nelle braccia: -Ti prego solo di fare attenzione, ok?-

-Te lo prometto.- Si voltò ancora, rispondendo all’espressione apprensiva della cugina con una rassicurante.

Amélie entrò di corsa nella stanza: -Zio Luke! Zio Luke! È vero che vai in Russia con lo zio Joe?-

-Sì, è vero.-

La bambina si mise a saltellare sul posto, allungando in alto le braccia: -Prenderete l’aereo?-

-Esatto.- La sollevò tenendola in braccio, e lei continuò: -Ci sarà la neve?-

-Non ne sono sicuro.-

-E gli orsi polari?-

-Forse è più probabile l’abominevole uomo delle nevi, piccola.-

Amélie rise: -Ma no! Quello vive sull’Himalaya! L’ho letto in un libro a scuola!-

 

 

Tutti riuniti all’aeroporto, i fratelli Dalton, Cheyenne, Betty e Nat erano pronti a salutare Joe e Lucky, mentre Jolly Jumper insisteva nel volerli accompagnare a tutti i costi; alla fine il fratello maggiore riuscì a farlo desistere. Nat consegnò agli amici delle nuove trasmittenti:

-Sono come dei piccoli auricolari; un modello preso in prestito dall’esercito americano. Sono praticamente invisibili, e hanno una portata migliore.-

-Perfetto.- Il detective si rivolse ai fratelli: -Affido a voi le questioni qui a Parigi. Proteggete Cheyenne e Amélie, intesi? E non cacciatevi nei guai in mia assenza.-

I tre eseguirono un goffo saluto militare; si vedeva che Averell aveva le lacrime agli occhi. Jolly dette un’ultima raccomandazione a Luke: -Dai un pugno in faccia a Dorian Mason da parte mia.-

-Certo che sì.- I due si abbracciarono in fretta, e con una pacca sulla spalla il più giovane si voltò, sforzandosi di resistere all’impulso di fiondarsi al gate e andare con loro.

Cheyenne corse dal cugino e lo strinse forte senza dire niente, poi fece lo stesso con Joe, sussurrandogli però: -Tornate tutti interi.-

-Contaci.-

Guardandoli allontanarsi verso il punto d’imbarco, Betty strinse la mano di Averell, cercando di rassicurare sé stessa e lui.

-Andiamo con Nat- disse Jolly una volta che il fratello fu fuori dalla sua visuale, -Ora non ci resta che aspettare.-

 

 

Il volo durò circa tre ore, durante le quali un grosso disturbo era dato dal bambino seduto dietro a Joe, che tirava calci nel sedile del detective e non faceva altro che chiedere alla madre quando sarebbero arrivati.

-Non lo sopporto più…- sibilò ad un certo punto Dalton rivolto a Luke, seduto accanto a lui e che guardava fuori del finestrino perso nei suoi pensieri.

-Vuoi fare a cambio, Joe?-

-Ti risparmio il supplizio. Credo che mi infilerò nella toilette dell’aereo e non ne uscirò fino a destinazione.-

Lucky ridacchiò: -Io non lo farei. Queste toilette sono spesso sfruttate per gli incontri romantici delle coppie in viaggio, non lo sapevi?-

-Balle.-

-E’ vero. Due mesi fa finì sul giornale il caso di due sposini in luna di miele, che incapaci di trattenersi si sono chiusi nel bagno dell’aereo, e l’hostess li ha colti sul fatto!-

-Te lo stai inventando!- si mise a ridere Dalton; un colpo di vento fece oscillare leggermente l’aereo, e il detective si aggrappò di colpo ai braccioli del sedile e assunse un’espressione terrorizzata.

-E’ solo una lieve turbolenza- osservò Luke.

-Ti devo confessare una cosa: ho una gran paura di volare. Ho preso un calmante prima di partire ma temo che l’effetto stia svanendo…-

-Perché non me l’hai detto?-

-Perché l’aereo è il mezzo più veloce per arrivare in Russia…- Cominciò a sudare freddo e ad assumere un colorito verdognolo.

-Oh, Joe…-

-Avremmo perso troppo tempo… Oh no, ecco che arriva la tremarella…- Si sentiva patetico in quel momento, e la seconda turbolenza non fece che peggiorare la situazione.

Poi Lucky fece qualcosa di inaspettato: gli prese la mano con la propria, stringendola forte, e all’espressione sorpresa di Dalton sorrise: -Va tutto bene. Gli aerei restano sempre e comunque i mezzi più sicuri per viaggiare; cerca di rilassarti.-

-Uhm…-

-Se ti fa stare meglio, posso continuare a tenerti la mano fino all’atterraggio.-

Il detective non capì se scherzasse o dicesse sul serio, ma per sicurezza non lo lasciò andare: quel contatto aveva avuto la straordinaria capacità di farlo stare meglio. O almeno, di distrarlo. Sì, perché il cuore prese a battergli per qualcosa che non era terrore, e non accennò a fermarsi finché non arrivarono all’aeroporto di Mosca, quando fu costretto a mollare la presa per scendere dall’aereo.

Considerando che stava terminando la primavera, l’accoglienza venne data loro da una fitta pioggia gelida; recuperati i bagagli si fiondarono nel primo taxi che trovarono e Lucky prontamente diede l’indirizzo dell’hotel al guidatore, in russo. Joe lo guardò: -So che gli agenti devono parlare molte lingue, ma come fai a sapere così bene il russo?-

-So anche l’italiano, oltre all’inglese e al francese, e un po’ di cinese di base. E non tutti gli agenti ci sono portati, per le lingue intendo.-

-Tu sembri portato per tutto, Lucky, lasciatelo dire.-

-Non tutto.- Lo guardò con un sorrisetto: -Sono un pessimo giardiniere!-

Dalton si mise a ridere.

 

 

Arrivati in hotel, appena aperta la porta della loro camera Lucky sentì uno spostamento d’aria e un uscio che sbatteva; Joe si era fiondato nel bagno, l’aveva tenuta per tutta la seconda metà del viaggio: -Faccio in un attimo!-

Luke alzò gli occhi al cielo con un sorrisetto divertito, prese le valigie e le posò ognuna ai piedi di un letto. Sentì il rumore di uno sciacquone e vide tornare Joe: -Tutto tuo.-

-Ti senti meglio?-

-Decisamente.- Iniziò a togliere degli abiti asciutti dalla propria valigia mentre l’altro entrava nel bagno. Dalton si concesse di dare un’occhiata alla camera: una doppia arredata con vivacità; le tende e i copri-letti arancioni illuminavano la stanza dalle pareti bianche adornate di pannelli di legno ad altezza d’uomo. I mobili in legno chiaro denotavano un gusto semplice e insieme armonioso.

Il riscaldamento tolse un po’ di freddo di dosso al detective, ma un brivido gli ricordò che se non voleva ammalarsi doveva farsi un bel bagno caldo. Senonché udì lo scorrere dell’acqua provenire dalla stanza dov’era Lucky.

Sbuffò: lo aveva preceduto. Deciso comunque a darsi una riscaldata, afferrò il proprio accappatoio dalla valigia e andò a bussare alla porta, sentendosi rispondere: -Un momento!-

-Volevo solo dirti di non metterci troppo, sto congelando.-

-Se aspetti un attimo puoi entrare; hai visto che ci sono sia vasca che doccia qui?-

-C’è la tenda? Non ci ho fatto molto caso.-

-Sì!-

-Allora entro.-

-Joe, aspe- !-

Troppo tardi. Il detective aprì la porta mentre Lucky stava entrando nella vasca; quest’ultimo si buttò giù a sedere diventando rosso come un pomodoro: -Ma insomma!- L’acqua schizzò sul pavimento.

Dalton, dello stesso tono di colore in faccia, bofonchiò quella che suonava come una scusa ed entrò nella doccia dopo essersi tolto le scarpe, tirando la tenda. Mano a mano che sfilava i vestiti, li gettava dalla fessura fra i pannelli di plastica che formavano l’abitacolo.

Prendendo una saponetta che sapeva di vaniglia, Luke ruppe il silenzio: -Più tardi dobbiamo collegarci con Nat. Prima di partire mi ha detto di aver trovato del materiale utile ai nostri scopi, ma che aveva bisogno di tempo per entrarne in possesso.-

-D’accordo. Hey, c’è un ristorante qui all’hotel?-

L’ex agente si accigliò: aveva cambiato argomento molto repentinamente. Tuttavia lo degnò di una risposta: -No, non c’è.-

-Sicuro?-

-Ho prenotato io; sono sicuro. Offrono soltanto la colazione al bar del piano terra.-

-Capisco. Quindi ci toccherà mangiare fuori; quante ore di differenza ci sono tra Parigi e Mosca?-

-Penso… Sì, due ore se non mi sbaglio.-

-Allora concedo a Nat fino alle otto per chiamare.-

-Perché?-

Joe girò la manopola dell’acqua calda: -Perché stasera offro io.-

 

 

Nat stabilì il collegamento via Skype alle cinque, ora locale di Parigi. Cheyenne era accanto a lui, e salutò energicamente Joe non appena la faccia di quest’ultimo apparve nella cornice dello schermo: -Com’è andato il viaggio?-

-Agghiacciante. La prossima volta che mi viene in mente di partire faccio l’autostop.-

-Abbiamo quello che vi serve- aggiunse l’hacker digitando un comando sulla tastiera, -Le coordinate corrispondono ad un ex edificio militare appartenente a quello che era il regime sovietico nel secondo dopoguerra. Ho trovato in un archivio delle planimetrie; per fortuna che si è sviluppata la tendenza a digitalizzare anche i documenti del passato. Dovrete memorizzare bene questi file se volete uscire con Mason indisturbati.-

-Ho capito. Sono appena arrivate.-

Lucky comparve alle sue spalle annodandosi una cravatta blu scuro attorno al collo: -Joe, dobbiamo andare, o faremo tardi.-

-Ciao, agente segreto!- scherzò Cheyenne. Luke si affiancò a Dalton e salutò la cugina, che continuò: -Com’è la Russia?-

-Fredda e umida. Piove da quando siamo arrivati.-

-State uscendo?-

-Sì. C’è un ristorante che volevamo provare in zona; secondo la guida online prepara piatti tipici.-

-Hey, voi due…- borbottò Joe; non erano lì in vacanza.

L’ex agente, non cogliendo comunque il senso della sua frase, aggiunse: -Però se non ci sbrighiamo daranno via il nostro tavolo; ci sentiamo dopo, d’accordo?-

-Va bene!-

-Grazie per le planimetrie, Nat, ci si rivede. E salutatemi i miei fratelli.- Dalton chiuse la comunicazione accennando un ultimo saluto verso i due dall’altra parte dello schermo.

 

 

Il taxi li portò proprio di fronte al ristorante; l’insegna in cirillico non era tradotta e il detective non si provò neanche nel tentare di capirci qualcosa. L’interno del locale era di un’eleganza moderna quasi al limite del sofisticato, con luci soffuse e mobili scuri ravvivati dal candore delle tovaglie e dei cuscini sulle sedie.

Luke sembrava confuso: -Che strano… Non sembra per niente come descritto nella guida.-

Joe sentiva di doversi pentire della sua generosità: gli sembrava un posto costoso. Sperò che accettassero carte di credito.

Lasciati i cappotti vennero accompagnati da un cameriere al loro tavolo; appena seduti altri due inservienti portarono loro i menu.

Nel vedere i prezzi Joe si trattenne dal gridare al furto, ma non Lucky, che esclamò tenendo comunque un tono basso: -Accidenti! Ma stiamo scherzando? Quando mai la cucina tipica costa così tanto?-

-Non saprei…-

-Sai che ti dico?- Chiuse il menu: -La guida online può andare a farsi benedire; mi viene da pensare che non fosse aggiornata. Lasciamo il tavolo a chi può permettersi di farsi spennare! Sei con me?-

Stupito, Dalton annuì; l’ex agente si alzò e andò a parlare col caposala, seguito dal detective che non capì niente della conversazione in russo fra i due, fatto sta che vennero loro restituiti i cappotti e che poco dopo si ritrovarono fuori nella fredda Mosca rilucente di pioggia, che scendeva in gocce piccolissime e fitte.

-Ma che gli hai detto?-

-Una scusa plausibile per cavarcela con eleganza.-

-E adesso?-

Lucky si mise a riflettere ficcando le mani nelle tasche del cappotto e buttò lì: -Ho voglia di spaghetti.-

Un ristorante italiano due isolati più avanti risolse loro il problema della cena. E rese meno pesante a Joe il compito di pagare il conto; dando un’occhiata ai prezzi il detective rimosse l’immagine che aveva in testa dei soldi che mettevano le ali e se ne andavano dalle sue tasche.

Il cameriere portò loro due bei piatti di spaghetti alla bolognese, e afferrando la forchetta Luke esclamò: -Buon appetito!-

-A te.- Mentre stava gustando il primo boccone, Joe udì delle risatine alle sue spalle, e voltandosi un attimo vide due ragazze, entrambe bionde e un po’ bruttine, che parlottavano fra loro in russo e lo indicavano in maniera non molto discreta. Lucky le guardò male.

-Che stanno dicendo?- domandò Dalton.

-Niente. Ti stanno solo prendendo in giro, lasciale perdere.-

-Cosa?-

-Lascia perdere, ho detto.- Ma all’ennesima frase che si scambiarono le due, Luke si spazientì e disse loro qualcosa nella loro lingua. Le ragazze si zittirono di colpo.

Joe fissò l’altro, decisamente perplesso, ma decise di cambiare argomento piuttosto che insistere:

-Allora… Che ne dici di parlare insieme di qualche idea su come- -

-Prima cerchiamo di mangiare, ti spiace? Il cervello funziona meglio se hai lo stomaco pieno.- Sembrava seccato. E di solito questo succedeva a Dalton, che borbottò: -Certo, va bene. Scusa.-

Dopo un po’, Lucky espirò: -No, scusami tu. Quelle due mi hanno fatto innervosire.-

-Ma si può sapere che hanno detto? Se si trattava di insulti o commenti cattivi, guarda che ne ho già sentiti di tutti i colori.-

-Te lo spiego dopo.-

Con la coda dell’occhio, Dalton vide le due biondine alzarsi dal tavolo e andare alla toilette. Il tempo che queste impiegarono a tornare i due amici terminarono i loro spaghetti.

Un tipo più grosso di Ivor e con più capelli entrò poco dopo e si avvicinò direttamente al tavolo di Lucky e Joe con aria minacciosa. Disse qualcosa nella sua lingua all’ex agente, che gli rispose con calma, posò il proprio bicchiere d’acqua e si alzò fronteggiando il gigante, che continuò a parlare con un ringhio ogni due parole. Il detective avvertì aria di rissa, e cercò di intervenire: -Hey, qualunque cosa stia succedendo, digli che non vogliamo guai… Prendo i cappotti…-

Ma il tipo gli rise in faccia, sprezzante, e lo apostrofò con una parola sola: -Blokha.-

Joe non se ne accorse neanche perché fu questione di un secondo, ma con un gancio destro sotto il mento e un sinistro nello stomaco, Luke riuscì a far vacillare quell’armadio umano, che tuttavia mantenne l’equilibrio. Allora Lucky, realizzando il suo errore, afferrò Dalton per il braccio trascinandolo fuori del locale a bandierina: -Via!!!-

Incuranti della pioggia che aveva ripreso a scrosciare più forte, senza voltarsi indietro e correndo a rotta di collo per la strada, l’ex agente rinsaldò la presa e strinse fra le proprie braccia il detective, che a sua volta teneva stretti a sé i cappotti di entrambi. Il gigante cominciò a rincorrerli sbraitando in russo, e Dalton pregò che le gambe lunghe dell’amico fossero sufficientemente veloci. Schizzando l’acqua delle pozzanghere ad ogni falcata, Lucky sterzò in un vicolo più stretto, che li portò tipo scorciatoia in un’altra strada principale dove era stato allestito un mercatino serale; c’era un sacco di gente attorno alle bancarelle illuminate da file di lampadine gialle.

-E adesso?- domandò Joe guardando a  destra e a sinistra sempre ben aggrappato a Luke che ansimava per la corsa.

La voce del loro inseguitore li raggiunse alle spalle, rimbombando sui muri.

-Lascia perdere, continua a correre!!-

Buttandosi nella folla, i due andarono controcorrente per un po’ per confondersi nel mezzo, fra le proteste della gente, fino ad infilarsi tra due muri molto stretti, ritrovandosi pigiati come sardine l’uno di fronte all’altro. Luke esclamò: -Aiutami a sollevare il mio cappotto; è nero, ci nasconderà!-

Afferrando il colletto di questo, il detective pregò che funzionasse. Udirono i passi del loro inseguitore, un suo ringhio rabbioso e poi altri passi che si allontanavano.

Attesero altri due minuti prima di uscire, durante i quali Joe domandò ancora, a bassa voce: -Adesso me lo puoi dire: perché ti sei innervosito tanto?-

-Devo risponderti adesso?-

-Siamo qui, appiccicati faccia a faccia, inseguiti da un gorilla feroce e bagnati di pioggia fino all’osso; direi che una risposta è il minimo, Lucky.-

-Va bene, d’accordo. Quelle due stavano facendo battute sulla tua altezza.-

-E con ciò?-

-Erano piuttosto cattive, non so… Non mi sembra il caso di ripensarci.-

-Dimmene almeno una. Che vuoi che sia.-

Sospirando, Luke sembrò cercare la forza di ripetere quelle parole ad alta voce: -Si domandavano come mai così piccolo non eri… su un seggiolone da bambini.-

Dalton sbatté le palpebre un paio di volte: -Oh. Ammetto che questa mi mancava. E hai risposto loro a tono, vero?-

-Certo. Ho detto “E io mi domando come mai due serpi come voi non stanno sguazzando in uno stagno di melma”.-

-Sul serio??-

-Tradotto alla buona; non sono sicuro di aver detto “serpi” o “rospi”. Non immaginavo che fossero le sorelle del nostro energumeno.-

-Ah, ecco come mai ha cominciato a minacciarti. E perché l’hai colpito?-

-Blokha vuol dire pulce. È stata l’ultima goccia.-

-Fammi capire… Siamo in questa situazione perché hai preso le mie difese?-

Finalmente Lucky sorrise: -Sì. Mi sembrava chiaro che la tua statura fosse un punto dolente per te; non mi piace quando insultano i miei amici.-

Il detective abbassò lo sguardo: a parte i suoi fratelli, nessuno aveva mai fatto qualcosa del genere per lui.

-Tutto bene, Joe?-

-Sì, solo…- Gli rivolse un sorriso, sarcastico: -La prossima volta che ti viene in mente di picchiare un tipo così, mira bene al plesso solare; secondo me gli hai fatto il solletico!-

Luke si mise a ridere: -Cercherò di ricordarmelo!-

 

 

Quando il receptionist del loro hotel li vide tornare, inorridì: -Santo Cielo, che vi è capitato?-

-La pioggia ci ha colti di sorpresa e senza ombrello- spiegò brevemente il detective; entrambi stavano gocciolando acqua da capelli e vestiti, -La chiave, per favore.-

Tornati in camera, si chiusero la porta alle spalle, si guardarono un attimo, poi scoppiarono a ridere quasi all’unisono. Dopo un po’ Lucky cercò di riprendere fiato: -Niente male come… primo giorno in Russia!-

-Già! È bello farsi nuovi amici!- rispose a tono Joe, togliendosi la giacca fradicia, -Pensavo che i guai sarebbero arrivati dopo, Luke!-

Quest’ultimo lo guardò: -Mi hai chiamato per nome.-

Dalton smise di ridere: -Ah, davvero? Non me ne sono… accorto.-

L’ex agente sorrise intenerito: -E’ carino, sai? Vuol dire che adesso ti fidi di me.-

Il detective gli girò le spalle, solo per non fargli vedere che arrossiva: -Cos’è, mi psicanalizzi come Betty, adesso?-

Ridacchiando, l’altro cambiò discorso: -Prendo degli asciugamani. Non ci possiamo permettere raffreddori.-

-Nella mia valigia ce ne sono un paio, guarda bene.- Slacciandosi la cintura dei pantaloni, si fermò: non poteva spogliarsi di fronte all’altro. -Io… vado in bagno, solo un attimo.-

Ma si ritrovò un telo sulla testa che gli bloccò la visuale, e qualcuno che dall’esterno prese a massaggiare energicamente con le mani per asciugargli i capelli. Quando un lembo dell’asciugamano si sollevò, vide Lucky che gli sorrideva: -Sembri un piccolo fantasma così!-

-Non prendermi in giro…- Joe distolse lo sguardo diventando rosso in volto, afferrò l’asciugamano e si diresse a passo svelto in bagno, ma Luke fece appena in tempo a rispondergli: -Non ti prenderei mai in giro.-

Chiudendosi la porta alle spalle, Dalton cercò di placare il suo battito cardiaco.

Era stato troppo gentile. Troppo.

Cercò di prendere fiato per calmarsi, ma era inutile. Stava avvertendo di nuovo quella sensazione di quando lo aveva abbracciato, quando per chissà quale motivo gli aveva confessato la propria insicurezza.

Poggiando la fronte contro il muro, si trattenne dal cominciare a prendere questo a testate: non era il controllo che a quel punto sentiva di stare perdendo, ma qualcosa di diverso.

“Accidenti a me…” pensò, lasciando penzolare le braccia lungo il corpo, “Non dirmi che comincia a piacermi! Non posso esserci cascato come un idiota!”

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***


-Rivediamo i punti del piano.- Di buon mattino, Joe e Luke si erano messi a studiare le planimetrie di quella che compresero essere una base sotterranea: un primo piano esterno faceva da ingresso, ma la maggior parte della struttura era stata costruita in basso, contando una decina di piani uniti da due ascensori collocati uno al lato nord e uno al lato sud. I nomi delle varie stanze, in cirillico, erano quelli dell’epoca di costruzione: il livello più basso era la prigione, al di sopra due piani costituivano gli alloggi dei soldati, un altro la cucina e la mensa; la sala comune, l’armeria e gli alloggi degli ufficiali erano collocati più in alto. Sotto l’ingresso c’era un livello vuoto, denominato semplicemente “ST”, e Lucky suggerì che probabilmente sarebbe stata adibita come luogo del ricevimento per gli ospiti.

-L’unico modo di passare da un piano all’altro sono questi ascensori. Supponendo che siano sorvegliati, l’unica possibilità di portare via Mason è creare un diversivo; ma prima ancora: come lo convinciamo ad allontanarsi dalla festa?-

-A quello posso provvedere io, Joe. Ho portato apposta i miei costumi migliori.-

-Bene. E per le guardie?-

Lucky fissò a lungo lo schermo del computer: -L’allarme antincendio? Potrebbe essere un’ottima distrazione.-

-No. Non possiamo prevedere le reazioni le reazioni degli ospiti. Se bloccassero in massa l’entrata degli ascensori sarebbero guai. Mmh… E se cercassimo di uscire in maniera più discreta grazie proprio a Mason?-

-Spiegati meglio.-

-Le prigioni…- Joe ingrandì la planimetria sullo schermo zoomando dalla tastiera, -sono l’ideale per immagazzinare gli oggetti da vendere. Se convincessimo Mason a portarci a portarci fin lì per una rapida occhiata di anteprima, chiamiamola così, dovrebbe obbligatoriamente portarci giù con l’ascensore. Ma una volta lì, lo stordiremo, lo riporteremo nella cabina e risaliremo fino all’ingresso principale, muovendoci nell’ombra col nostro uomo; da lì rubare un mezzo e svignarcela dovrebbe essere semplice. Che ne pensi?-

-Mi pare buono come piano. Dobbiamo renderlo a prova di bomba, comunque.- Qualcuno bussò alla porta della camera; la voce di un ragazzo annunciò qualcosa in russo.

-Vado io.- Lucky aprì, diede la mancia a quello che Dalton identificò come un fattorino, lo ringraziò e tornò indietro con una busta di carta gialla in mano.

-Che cos’è?-

-Il nostro biglietto d’ingresso, letteralmente. Ho contattato un vecchio amico che mi doveva un favore; qui dentro c’è il nostro invito per l’asta.-

-E’ un falso?-

-Solo per i nomi. Diciamo che l’onore fra ladri non è ancora morto.- Lasciò la busta sul tavolo, accanto al computer: -Vado a preparare i nostri travestimenti.-

Curioso, il detective aprì subito con l’indice la carta gialla, e tirò fuori un cartoncino bianco col bordo dorato. Al centro era scritto in un fine corsivo “Miss Aether Smith e accompagnatore”.

-Hey, Luke, come mai c’è un nome di donna qui?- domandò Joe, alzando lo sguardo giusto in tempo per vedere l’altro trarre fuori dalla valigia un abito da donna rosso scuro con le spalline:

-Come dici?-

-Ma… E quello?-

-E’ il mio travestimento.-

-Scherzi?-

-No. E’ la migliore opzione per convincere Mason a fare ciò che vogliamo; ha un debole per le belle ragazze.-

-Come la mettiamo col fatto che non hai esattamente una voce femminile?-

-Qui entra in gioco la tecnologia di Nat.- Dalla valigia prese una collana d’argento con al centro un grosso brillante: -Dentro la gemma c’è un convertitore vocale collegato senza fili ad un microfono impermeabile da mettere sotto la lingua. Una volta calibrato, trasformerà la mia voce in quella di una donna.-

-Ah. Ingegnoso. E come farai per il corpo?-

-Corpo?-

-Sei magro e con poche curve.-

-Oh. Per quello ho le giuste “imbottiture”. Se mi dai un po’ di tempo per cambiarmi sono sicuro di stupirti.-

-Sarà uno spettacolo vedere come cerchi di tirare su le calze!- scherzò Dalton, ma Lucky gli fece di no con l’indice: -Vado nel bagno; è un’operazione delicata.-

-Come ti pare. Un’ultima domanda, comunque: per cosa dovrebbe stare quel “accompagnatore”?-

-Guardia del corpo. Una giovane donna ricca e sola ad una festa rischia di fare incontri indesiderati, ti pare?- scherzò.

-Basta che non mi fai mettere parrucche strane.-

-Un afro tutto riccioli ad esempio?- ridacchiò l’ex agente, -Tranquillo, pensavo a qualcosa di più discreto.-

-Bene.- L’icona di Skype si mise a lampeggiare sullo schermo del computer, e quando Joe andò ad aprirla le facce sorridenti dei suoi fratelli riempirono tutta la finestra della webcam: -Hey!!!-

-Vedo solo i vostri nasi. Come va?-

-Tutto bene!- affermò Averell, per poi girarsi alla propria destra, -Vieni, Betty, ci siamo riusciti!-

-Arrivo!- La voce della psicologa anticipò la sua entrata nel campo visivo: -Ciao!-

-Come procede il piano?- domandò William.

-Stiamo dando gli ultimi ritocchi prima di passare all’azione. Mancano meno di quattro giorni, ormai.-

-Sai, il capo ha cominciato a fare domande sulla tua assenza- disse Jack, -Gli abbiamo detto che stai seguendo una pista su Lucky Luke e che ne stai verificando la validità, come ci hai detto di fare.-

-Bravi. Continuate a dire così a tutti. Ma cambiamo argomento; Averell, Betty: avete qualcosa di diverso.-

I due si presero per mano: -In effetti, Joe, qualcosa è successo!- esclamò il minore, e lei avvicinò la mano sinistra allo schermo: un piccolo e grazioso anello con diamante faceva bella mostra di sé attorno all’anulare.

La mascella sembrava quasi volersi staccare a Joe per la sorpresa, e piano piano sorrise nel riprendersi: -Nooo… E bravo il mio fratellino! Allora adesso è ufficiale!-

-Sì!- esclamò agitandosi Betty, sprizzando gioia da tutti i pori e abbracciando il fidanzato.

-Ma come? Mi allontano per un giorno e lì vi sposate?-

-E’ solo la proposta, Joe- ribatté Jack.

-Quello che è.-

-Dobbiamo ancora decidere la data e altri dettagli- continuò Averell, -però abbiamo già stabilito che sarete tutti e tre miei testimoni!-

Prima che Dalton potesse rispondere, Lucky lo chiamò dal bagno: -Joe! Puoi venire un momento?-

-Scusate ragazzi, ci metto un minuto.-

-Vai pure, noi dobbiamo tornare al lavoro- disse William, -Ci sentiamo dopo!-

-A dopo.- Chiuse la finestra e raggiunse l’altro: -Che succede?- Rimase a occhi sbarrati nel vedere Luke con indosso quell’abito. Aveva già sistemato le protesi per il petto e per il fondoschiena, oltre ad aver tirato su i collant color grigio fumo; le scarpe coi tacchi abbinate al vestito giacevano scomposte vicino al cesto della biancheria sporca. Sul piano del lavandino erano disposti ordinatamente i trucchi e tre parrucche da donna di colori diversi. Lucky gli dava le spalle, e non vide la sua espressione.

-Si è inceppata la zip del vestito; mi aiuti?- continuò l’ex agente, intento a sostenere il corpetto dell’abito.

Senza dire una parola, Joe gli si avvicinò e cominciò ad armeggiare con quella piccola cerniera che proprio non ne voleva sapere di muoversi. Alla fine, però, riuscì a farla scivolare verso l’alto:

-Fatto.-

-Grazie mille. Un’ultima cosa.- Sempre senza guardarlo, indicò le parrucche: -Cosa ti ispira di più? Una bionda sbarazzina o una brunetta seducente?-

-Uh… Brunetta. Non ti ci vedo biondo.-

-Bene.- Quando finalmente si voltò verso il detective, si accorse che aveva una faccia strana: -Ti senti bene? Sei tutto rosso.-

Senza rispondere, Dalton uscì dal bagno e si chiuse la porta alle spalle, per poi inspirare profondamente ed espirare con forza, indeciso se collassare o scoppiare a ridere.

 

 

-Questa dannata pioggia non ne vuole proprio sapere di fermarsi…- Joe guardava fuori della finestra della camera con aria corrucciata.

-Per fortuna che l’hotel ci permette di ordinare da fuori, o dovremmo saltare il pranzo.- Lucky, cambiatosi di nuovo, afferrò il cellulare: -Controllo quali ristoranti fanno i menù d’asporto.-

Dalton non gli rispose, andando a sedersi sul letto e a frugare nella propria valigia: -Potresti testare il microfono di Nat già che ci sei.-

-Ottima idea.-

Il detective trovò il mazzo di carte che era sicuro di essersi portato dietro, e togliendole dalla scatola cominciò a mescolarle. Dava le spalle all’altro, ma lo udì fare le prove di modulazione della voce.

Al primo tentativo venne fuori una specie di squittio, come se avesse inalato dell’elio; Joe soffocò una risata. Luke se ne accorse, abbassò il tono con la piccola manopola dietro il finto brillante e sogghignando iniziò a parlare con una voce profondissima, imitando un cantante d’opera. A quel punto il detective non riuscì più a resistere, cominciando a ridere di gusto. Spostando ancora la manopola, Lucky la regolò su una voce infantile, simile a quella di Amélie, e Joe si lasciò andare all’indietro sul letto tenendosi lo stomaco, mollando le carte accanto a sé, incapace di trattenersi.

-Direi che funziona- concluse l’ex agente spegnendo un attimo il congegno, -Prendi fiato.-

Il detective provò a seguire il suggerimento, ma a fatica si riprese per rispondergli: -Penserai che sia uno sciocco… A ridere per così poco…-

-Niente affatto. Anzi, mi fa piacere metterti allegria; mi sembrava che questo tempo ti demoralizzasse.-

-Non proprio. Mi annoio quando piove, anche se magari c’è da fare o sono in compagnia.-

Luke annuì, avvicinandoglisi: -Più tardi riprenderemo il lavoro. Ora dimmi, però: ti piacciono gli involtini primavera?-

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo XVII ***


-Ecco, abita qui- disse Lucky a Joe.

-Sicuro di poterti fidare?-

-Eravamo nella stessa squadra, anche se per la maggior parte del tempo si occupava più della parte tattica che dell’azione sul campo vera e propria.-

-Se non ho capito male, faceva parte di un programma di scambio fra l’FBI e il FSB.-

-Sì, e siamo rimasti in contatto anche dopo il suo rientro. Non sa di Mason, comunque; dovremo spiegargli tutto dall’inizio.-

Stavano osservando da un po’ l’ingresso di una bella palazzina del centro città, un condominio di mattoni rossi e bianchi dalle finestre rettangolari. I due si decisero ad attraversare il portone in vetro decorato e legno scuro per raggiungere la portineria: -C’è nessuno?-

Una giovane donna dai capelli rossi e ricci sbucò da sotto la scrivania con in braccio dei raccoglitori di documenti. Luke la salutò in russo e le porse una domanda, alla quale lei rispose con cortesia nonostante fosse in difficoltà, visto che i fogli scappavano dal loro posto in ogni momento.

-Appartamento undici, terzo piano.- Entrando in un ascensore d’epoca composto da una gabbia in ferro color ottone, il detective e l’ex agente si avviarono verso i piani alti sferragliando dopo che il primo aveva premuto il bottone corrispondente sul pannello alla sua sinistra.

-Come mai restava in disparte?- continuò Dalton.

-Da giovane venne ferito ad una gamba, e lo misero in ufficio perché non recuperò mai del tutto la sua agilità. Ma ci sorprese: una volta gli venne concesso di partecipare ad un’operazione con la mia squadra; ci serviva un uomo in più sul furgone delle intercettazioni per catturare dei ladri di stampe antiche.-

-E come andò a finire?-

L’ascensore si fermò e Lucky aprì il cancello di metallo: -Che grazie a lui riuscimmo a prenderli tutti, non solo perché ascoltò instancabilmente le loro telefonate per due giorni, ma da solo ne atterrò tre, armati.- Arrivarono alla porta in legno con su la targhetta dorata recante il numero: -La sua caratteristica principale però è un’altra.-

-Quale?-

-L’inguaribile ottimismo.- Suonato il campanello, che gracchiava leggermente, una donna dalla corporatura robusta, un po’ bassa, con indosso un abito da casa e un grembiule bianco, venne loro ad aprire, gli occhi scuri che fissavano sospettosi i due sconosciuti, un fazzoletto bianco sulla testa che le copriva i capelli e in mano una scopa tenuta fra le mani più come un bastone pronto a colpire che come strumento per le pulizie.

Luke cominciò a parlare con la donna, che rispondeva in tono ostile; Joe domandò al compagno:

-Che sta dicendo?-

-Che il nostro amico non è in casa e che dobbiamo passare più tardi. Ma non mi sembra dica la verità; provo a convincerla.- Riprendendo la conversazione, della quale il detective colse solo il nome di Luke, la donna li minacciò scuotendo la scopa nella loro direzione. Ma una voce maschile intervenne  dall’interno dell’appartamento e fece sì che lei si allontanasse; poco dopo un uomo, poco più alto di Joe, dall’aria vivace, con i capelli bianchi tenuti a media lunghezza e pettinati indietro, li accolse calorosamente: -Mi sembrava di conoscere questa voce!- affermò, in un inglese con un fortissimo accento russo, -Luke, amico mio!-

-Hey, Pjotr!- I due si scambiarono una stretta di mano e una pacca sulla spalla: -Come te la passi?-

-Oh, benissimo. Da quando mi hanno trasferito nella nuova sezione ho molto più tempo da dedicare ai miei… come si dice? Hobby, sì. Ma prego, accomodatevi! Chi è il tuo amico, Luke?-

-Detective Joe Dalton, della polizia di Parigi, piacere- si presentò quest’ultimo con una stretta di mano.

-Polizia di Parigi? Sei nei guai, Luke?-

-Sto cercando di tirarmene fuori, veramente.-

-Per questo sei sparito per un anno?-

-Esattamente.-

-Beh, raccontami tutto allora. Posso offrirvi una piccola vodka?-

 

 

Pjotr ascoltò molto attentamente la storia dei suoi due ospiti, sorseggiando il suo bicchiere di liquore di tanto in tanto. Lucky concluse il discorso con la proposta che voleva fare fin dall’inizio all’ex collega russo: -Non possiamo rubare un mezzo abbastanza velocemente portandoci dietro Dorian Mason a peso morto, rischiamo di farci catturare prima di riuscirci. Ci occorre qualcuno all’esterno che sia pronto con un’auto per la fuga.-

-Volevamo fare da soli, ma…- buttò lì Joe, rigirando in una mano il bicchiere indeciso se azzardarsi ad assaggiare la vodka o lasciarla intatta.

-E volete che sia io quel qualcuno?-

-Sei l’unico del quale mi fido, Pjotr, e poi ricordo bene le tue manovre spericolate.-

-Non so di cosa tu stia parlando…- Prese un sorso dal bicchiere, nervoso.

-Ma sì, dopo il tuo intervento con quei ladri eri stato assegnato al nostro furgone tattico in via definitiva, e grazie a te non abbiamo mai mancato dei sospetti, in quel periodo. Sia in senso figurato che letterale.-

-Aspetta, vuol dire che era il vostro “pilota da inseguimento”?- si sorprese il detective.

-Se vogliamo chiamarlo così. Non l’ho detto?-

-Ma è stato molto tempo fa, Luke. Non tocco un volante da anni.-

-Dovrai solo portarci via di lì prima che le guardie si accorgano che Mason è sparito, non ti chiedo altro.-

Pjotr fissò il pavimento per un po’, meditando sulla proposta. Alla fine posò il bicchiere di vodka sul tavolino accanto a sé: -E va bene, amico mio, ma ad un’unica condizione.-

-Ti ascolto.-

L’altro sorrise: -Posso noleggiare una divisa da autista? Mi farebbe sentire di nuovo come un agente in incognito!-

Lucky ridacchiò: -Certamente!-

Joe era sollevato. Distrattamente, prese un sorso di liquore dal suo bicchiere, ma se ne pentì immediatamente: era talmente forte che gli sembrò di ingoiare del fuoco; iniziò a tossire e Luke gli diede dei colpetti sulla schiena con la mano.

-Detective, tutto bene?-

-Scusa, Pjotr, non è abituato ai sapori forti.-

-E’ molto strano. Questa vodka ha una gradazione fra le più leggere- affermò, tenendo in mano la bottiglia.

“E menomale!!!” riuscì a pensare Dalton con lo stomaco che gridava aiuto, la faccia in fiamme così come la gola.

 

 

-Vuoi un antiacido, Joe?-

-Sto bene.-

Rientrati all’albergo, il detective andò a buttarsi sul letto con la faccia nel cuscino. L’effetto incendiario della vodka era passato, ma gli girava la testa. Lucky sapeva che si sentiva ancora male, ma l’altro non voleva ammetterlo. Sedendosi sul bordo del materasso, di fianco a Dalton, provò ad insistere: -Sicuro di non volere niente?-

-Sì, devo solo starmene tranquillo per un po’.- La voce di Joe risultò leggermente soffocata dalla stoffa del cuscino. Luke, incerto della reazione del detective, gli poggiò una mano sulla spalla:

-D’accordo. Sono qui, comunque, se ti dovesse servire qualcosa.-

Joe voleva che rimanesse lì con lui, ma non rispose, limitandosi a bofonchiare: -Solo una femminuccia non regge un po’ di vodka…-

Lucky si alzò e si diresse alla propria valigia: -Riposati. Torno a lavorare sul nostro piano.-

Dalton non solo si riposò, ma dopo qualche minuto cadde in uno stato di profonda sonnolenza, fino ad addormentarsi del tutto. Quando si risvegliò, con la bocca impastata e la testa che faceva male, si accorse che erano trascorse delle ore: fuori era ormai buio; le luci della città rischiaravano la stanza tra le righe delle tapparelle.

-Luke…?- La voce arrochita di Joe ruppe inutilmente il silenzio; l’ex agente sembrava assente. Tentò di alzarsi, ma non appena si mise seduto sul bordo del letto vene preso dal capogiro, e ricadde all’indietro. Provò a chiamare ancora, un po’ più forte: -Luke…!-

Una porta si aprì a poca distanza, era quella del bagno: -Joe! Che c’è, ti senti ancora male?-

-Dammi un’aspirina, per favore…-

-Certo.-

-E magari un caffè.-

-Vedo se il bar può prepararlo.-

-E se mi vedi ancora accettare vodka da qualcuno, ti autorizzo a picchiarmi.-

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo XVIII ***


Una bella auto nera, marca Porsche, non decappottabile, viaggiava lungo una strada fangosa, deserta e ancora un po’ coperta di neve della tundra russa, dove il sole stava già abbandonando il cielo nuvoloso ma stabile per fare spazio alla sera fredda della primavera. L’autista aveva portato il riscaldamento su di una temperatura accettabile in modo da far accusare il meno possibile il futuro sbalzo termico ai propri passeggeri una volta che questi fossero scesi dal veicolo.

Si trattava di una giovane donna col vestito rosso e un cappotto di lana grigio scuro e di un piccoletto con gli occhiali da sole, i capelli tirati indietro e con un completo nero.

-Tutto bene lì dietro?- domandò il guidatore.

-Tutto bene, Pjotr- rispose lei con voce dolce, -Che dice il GPS, quanto manca?-

-Non molto.-

-Bene. Ripassiamo i punti del piano, Joe?-

-Certo.- Accomodandosi meglio sul sedile, il detective cominciò: -Pjotr, iniziamo con te: una volta arrivati, dovrai parcheggiare il più possibile vicino all’ingresso; mi raccomando, quando ti daremo il segnale, devi stordire le guardie. Hai detto che sapevi farlo, no?-

-Non preoccuparti, sono pronto.-

-Noi due nel frattempo entriamo nell’edificio, ci avviciniamo a Mason e lo convinciamo a portarci dove tiene gli oggetti rubati…-

-E al momento giusto lo stenderemo con il cloroformio- aggiunse Lucky estraendo una piccola boccetta con un fazzoletto dalla borsetta poggiata sulle sue gambe.

-Pjotr, il tuo segnale scatterà allora. Noi ci assicureremo di arrivare all’ascensore per risalire e raggiungerti, così da potercela filare e infine consegnare Mason alle autorità.-

-Che si preoccuperanno in seguito di recuperare gli oggetti destinati all’asta. Ottimo!- concluse il russo.

-E potremo mettere fine a questa storia- commentò Luke, richiudendo la borsetta.

Joe lo guardò: se non avesse saputo chi si nascondeva sotto i trucchi e la parrucca, grazie alla voce modificata l’avrebbe sicuramente scambiato per una donna; dal naso un po’ prominente, certo, ma non per questo meno attraente.

Se davvero Dorian Mason aveva un debole per le belle ragazze, avrebbe abboccato all’amo senza problemi.

-Cosa farai dopo, Luke?-

-Ancora non lo so. Forse un viaggetto con mio fratello. Di sicuro, però, continuerò ad abitare a Parigi.-

-Ah sì?-

-Mi piace la vita che ho lì con mia cugina e la piccola Amélie, anche se ho dovuto viverla praticamente a metà per colpa di questa situazione.- Gli sorrise: -Ma dopo stanotte non ci saranno più segreti, furti e sotterfugi. Lucky Luke sarà un caso archiviato, e non avrai più noie, Joe.-

-Certo… L’avevi detto in fondo…- Aveva una strana sensazione alla bocca dello stomaco.

-…Tutto a posto?-

-Ecco…-

L’auto rallentò, e Pjotr richiamò l’attenzione dei due: -Uhm… Ragazzi, forse è meglio se date un’occhiata…-

Lucky e Joe si sporsero da dietro i sedili e rimasero basiti: di fronte a loro, un’alta torre di cemento illuminata da faretti e circondata da una recinzione a rete percorsa dal filo spinato, con cartelli in cirillico qua e là, si stagliava imponente contro il cielo ormai prossimo al buio.

-Che diavolo è quel coso?? Non c’era una base sotterranea qui??- esclamò il detective.

Luke, dopo la sorpresa iniziale, mormorò: -Lo avevo detto che è un tipo teatrale…-

-Cosa facciamo adesso?-

-Il piano non cambia. Guarda.- Indicò con un cenno della testa un punto di fronte a sé: -Vedi la base della torre? Non ti ricorda niente?-

-… Ha costruito sopra all’edificio originale.-

-Mi viene da pensare che gli oggetti rubati siano più di quanti avessimo calcolato. Dorian Mason vuole liberarsene in una volta sola, dunque.- Accese la trasmittente nascosta nel suo orecchio: -Nat, ci sei? Mi ricevi?-

-Il segnale è un po’ disturbato, ma sì. In perfetto orario, amico mio.-

Dalton si mise in contatto a sua volta: -Siamo arrivati. Ma dimmi: te ne intendi di torri?-

 

 

Due guardie li scortarono lungo un atrio spazioso che portava ad un ascensore nuovo e lucido. Ai lati di questo ve ne erano collocati altri due, molto più vecchi e usurati.

Dentro l’abitacolo, rimasti soli, Luke annunciò: -Ci siamo, Nat.- Cominciarono a salire.

-Ottimo. Resto in attesa.-

-Gli ascensori per i sotterranei sono separati da questo. Credo che sarà difficile non farsi notare dalle guardie quando torneremo giù con Mason- aggiunse Joe.

-Cerchiamo di essere positivi, amici!- disse Pjotr, collegato agli altri tramite un terzo auricolare,

-Finché Mason è cosciente, non vi daranno problemi.-

-Giusto.- Lucky esaminò la pulsantiera al suo fianco: -E’ automatico. Significa che ci stiamo dirigendo direttamente all’ultimo piano di questa torre.-

-Non mi piace. Vuol dire che lungo l’edificio c’è qualcosa che Mason non vuole che altri vedano. Ho una brutta sensazione.-

-Anch’io, Joe. Anche se spero sia solo il nervosismo.-

L’ascensore si arrestò e le porte si aprirono. I due si trovarono così in un ambiente che nulla aveva a che vedere con la facciata esterna: arredato con un gusto ricco e forse un po’ appariscente, sembrava un lussuoso attico della grande città. Ospiti che sembravano provenire da varie parti del mondo chiacchieravano amabilmente tra loro; degli altoparlanti sparsi su vari angoli del soffitto diffondevano una musica d’ambiente allegra e gradevole. Le finestre sostituivano le pareti laterali, dando una visione a 360° della tundra, avvolta nelle tenebre. Dei camerieri passavano di tanto in tanto con i loro vassoi di tartine e bicchieri di champagne, forniti da una specie di bar con bancone.

-Qual è Dorian Mason?- sussurrò il detective. Luke scrutò discretamente tra la folla togliendosi il cappotto: -Non lo vedo… Aspetta. Laggiù, vicino alla finestra di sinistra.-

Joe notò un gruppetto di guardie intente ad ascoltare un giovane uomo dai folti capelli neri e ricci pettinati a sinistra e ricadenti in un ciuffo, vestito elegantemente.

-Lui?-

-Sì.-

-E’ più giovane di quanto credessi.-

-Giovane ma esperto in traffici, grazie agli insegnamenti di suo padre. Ma come ti ho detto, non si fa altrettanti scrupoli.- Un cameriere passò davanti a loro, e l’ex agente afferrò dal suo vassoio un bicchiere di champagne: -Mescoliamoci agli altri ospiti e aspettiamo qualche minuto.-

-Bene. Ti vedo teso, sai?-

-Tu non lo sei?-

-Abbastanza. Ma tu stai stringendo quel bicchiere come se volessi romperlo.-

-E’ solo che provo un certo disgusto per quello che sto per fare, anche se è necessario.-

-Fare gli occhi dolci a Mason?-

-Già.- Buttò giù un piccolo sorso dal bicchiere: -In questo momento vorrei assecondare la richiesta di mio fratello e dargli un pugno in faccia.-

-Pensa che è l’ultimo sforzo prima di fargliela pagare, Luke.-

-Sì, è proprio quello che mi impedisce di dare di stomaco.-

 

 

Un’oretta trascorse come niente; in quel lasso di tempo un paio di persone si avvicinarono alla signorina Aether Smith per fare conversazione. Nel mentre, i due sotto copertura non persero mai di vista il loro obiettivo, in attesa che Nat si infiltrasse nei sistemi informatici della struttura. In questo modo carpirono dalle chiacchiere altrui brandelli di informazioni utili: il giovane Mason aveva acquistato il posto e il terreno e vi aveva fatto erigere quell’alta torre allo scopo di poter immagazzinare al meglio gli oggetti per l’asta nell’intera base sotterranea, proprio come avevano dedotto. Inoltre aveva rimodernato gli impianti per l’elettricità e per la sicurezza di entrambe le strutture, onde evitare guasti e incidenti, e più sottinteso furti.

-E se avesse installato delle telecamere di sicurezza nei sotterranei? I suoi uomini potrebbero vedere cosa facciamo e impedirci di portare a termine il nostro lavoro…- disse Joe.

-Sentito, Nat?- mormorò Lucky rivolto all’hacker, -Qualche idea?-

-Da qui non posso fare molto… Anche se riuscissi ad entrare nei loro computer, cosa che sto già tentando di fare, sarà solo per poco tempo.-

-Quanto?-

-Cinque minuti.-

-Scherzi? È una parentesi di tempo troppo breve!- obiettò Dalton mantenendo la voce bassa.

-Allora dovete sbrigarvi.-

-Ha ragione lui, Joe, è il momento di agire.- Guardò Mason, intento a scambiare quattro chiacchiere con alcuni uomini in giacca e cravatta: -Sarà la cosa più difficile io che abbia mai fatto sotto copertura.- Posò il bicchiere di champagne vuoto sul vassoio di un cameriere che passò loro accanto.

-Puoi farcela; ci sono io con te. E se tenta qualche gesto strano, farò valere la mia autorità di guardia del corpo.-

-Grazie, Joe.- Si schiarì la voce con un colpetto di tosse e, con un enorme sforzo di volontà, cominciò a muoversi verso Dorian Mason, cercando di assumere un atteggiamento il più possibile femminile. Il detective lo seguì, guardingo.

Dorian si accorse quasi subito della figura snella dall’abito rosso che emerse dalla folla per avvicinarglisi; con un gesto della mano si scusò con gli altri attorno a lui e le andò incontro: -Ha bisogno di qualcosa, miss?-

Joe riconobbe il suo accento inglese. Lucky sorrise e assunse un’aria un po’ civetta: -Volevo solo sapere dall’organizzatore di questo sfarzoso ricevimento quando l’evento principale della serata avrà inizio.-

-Signorina…-

-Aether Smith.- Gli tese la mano sinistra con l’intento di scambiare una stretta di mano, ma Mason eseguì invece un rapido e perfetto baciamano. Dalton notò l’altrettanto rapido movimento dell’angolo della bocca di Luke, che tradiva quel disgusto che aveva già espresso.

-Signorina Smith, l’asta non comincerà che fra mezz’ora. Si rilassi, gli oggetti nel nostro magazzino non vanno da nessuna parte.-

-Non ne dubito; ma vede, signor Mason, prima di spendere il mio denaro voglio essere ben sicura che ne valga la pena. Non sa quanti obbrobri che vengono fatti passare per capolavori mi è capitato di vedere durante queste aste!-

-Non resterà delusa, miss, sono tutte collezioni con pezzi originali.-

A quel punto Lucky fece un passo avanti, sbattendo le ciglia (finte) con un sorriso: -Sarebbe possibile una piccola anteprima? Solo per avere un’idea su cosa non farmi sfuggire stasera.-

-E rovinarle il gusto della sorpresa?-

-Per favore.- Lo prese a braccetto proprio come avrebbe fatto una graziosa ragazza: -Le prometto di non toccare niente.-

-… Ha vinto, miss. Venga con me.- Storse il naso nel vedere il bodyguard seguirli: -E lui?-

-Steven mi sorveglia ovunque io vada. Ma non si preoccupi, è molto discreto.- Assunse un tono più smielato: -Non ci disturberà durante la nostra visita.-

Joe strinse i pugni, tenuti dietro la schiena: gli dava un po’ fastidio che l’altro si rivolgesse a Mason con quella voce carezzevole, ma non disse niente, cercando di mantenere un contegno degno di una vera guardia del corpo, sapendo quanto fosse difficile per Luke fingere a quel modo.

I tre tornarono dunque all’ascensore, e durante la discesa l’ex agente proseguì la conversazione: -E’ vero ciò che ho sentito di lei, signor Mason? Che è un amante delle gemme preziose?-

-Dorian, la prego. E sì, anche se il vero intenditore era mio padre. La maggior parte dei pezzi in vendita stasera appartenevano a lui.-

-Davvero? E perché vuole disfarsene?-

-Vede, miss, adoravo il mio vecchio, ma quegli oggetti non lo rappresentano. Nemmeno lui li considerava parte della sua vita, tant’è che alcuni di essi sono rimasti chiusi in qualche cassaforte per anni. A me non servono, se non come fonte di guadagno.-

-Capisco…- Passò la borsetta a Joe, visto che erano quasi arrivati: -Anche se non mi sembra abbia problemi di denaro, Dorian.-

Questo si limitò a ridacchiare. L’ascensore si fermò, e quando le porte si aprirono i tre cambiarono abitacolo, dirigendosi a sinistra. Pjotr, rimasto in auto con un thermos di caffè a portata di mano, attendeva il segnale.

-Si tenga forte, miss. Questi vecchi ascensori sono un po’ traballanti.- Premette il bottone dell’ultimo piano, quello più in profondità, e di nuovo Joe si sentì a disagio: l’idea di tutta quella distanza fra loro e il mondo esterno gli dava un senso di claustrofobia.

L’ascensore sobbalzava ed emetteva dei gemiti metallici poco rassicuranti, ma fortunatamente la corsa fu breve. E la scena che si presentò loro davanti suscitò sincera meraviglia nel detective: le pareti erano tappezzate di vetrine piene di gioielli di ogni foggia, taglio e dimensione, esposti a seconda che si trattasse di collane o bracciali, di orecchini o di singole gemme.

Neanche la mostra che si era tenuta a Versailles era così ricca.

-E’ magnifico!- esclamò Lucky, avvicinandosi a una vetrina.

-Ed è solo un piano, miss. Sopra di noi ci sono quadri, statue e altre preziose opere d’arte.- Mason dette le spalle a Joe: -Anche se in questo momento lei è più splendida.-

-Mi fa arrossire, così…- Luke tornò a guardarlo, spostando il peso su una gamba e quindi ancheggiando un po’: -Scommetto che lo dice a tutte le donne che incontra.-

Joe, visto che Dorian non gli prestava attenzione, trasse fuori dalla borsetta il cloroformio e il fazzoletto, imbevendo quest’ultimo del liquido soporifero, il tutto alla chetichella.

-Oh, mi creda signorina Smith: il mio è un complimento sincero.- Fece un passo avanti; Joe era pronto a prenderlo alle spalle e tramortirlo.

Ma la frase successiva di Mason raggelò i due e quasi fece strozzare Pjotr, ancora in ascolto, col caffè: -Anche se si tratta di traditori.-

Dalton non perse altro tempo, e gli saltò addosso, ma con una forza inaspettata Mason lo afferrò e lo scaraventò addosso a Lucky, che a causa dell’equilibrio già precario di quelle scarpe col tacco cadde all’indietro rischiando di finire contro una vetrina. La stanza si riempì di uomini armati, e i due finirono presto circondati. Nella confusione, Joe aveva perso il cloroformio e la borsetta che lo nascondeva, insieme agli occhiali da sole.

-Ah, Luke: questo tuo travestimento è un capolavoro, lo devo ammettere.- Dorian gli si avvicinò e gli sfilò la parrucca: -Peccato che ti abbia riconosciuto prima di scendere qua sotto.-

L’ex agente non disse niente, limitandosi a mettersi seduto e a guardarlo male. Mason gli strappò via con un gesto netto la collana: -La voce modificata mi ha tratto in inganno, sai? Bella mossa.- Lasciò cadere la collana e la calpestò sotto il tacco della scarpa, frantumando la gemma più grande.

-Hai finito?- disse Lucky.

-Come sei ostile. Ti facevo più sportivo.- Rivolse la sua attenzione a Dalton: -Detective. Lei invece va premiato per la semplicità, che non passa mai di moda.-

-Risparmia i convenevoli, Mason, fai irritare le persone e basta.-

-Molto bene. Allora, ragazzi, fate alzare i nostri ospiti?-

Due guardie obbedirono, afferrando gli intrusi per le braccia e trattenendoli.

-Ci ucciderai, adesso?- domandò Luke, senza perdere il sangue freddo.

-Adesso? Troppo facile; ai traditori deve essere riservata una morte esemplare.-

-Tu mi consideri un traditore, ma sai perfettamente perché mi sono ribellato ai tuoi ordini.-

-Già. Lo so.- Scosse la testa, le sopracciglia aggrottate come se gli dispiacesse ma sulle labbra aveva un sorriso: -Avresti dovuto premere quel grilletto e farla finita.-

-Mai.-

-Comunque sono sorpreso che tu abbia coinvolto il detective Dalton. Non eri tu il lupo solitario che non voleva collaboratori?-

-I tuoi collaboratori. Sii specifico.-

-Beh, ad ogni modo non dovevi trascinarlo in questa tua missione suicida, perché di questo si trattava fin dall’inizio.-

-Cosa vuoi farci?- aggiunse Joe.

-Non qui. Torniamo di sopra.-

Pjotr rimase a occhi sbarrati, e lo stesso Nat che era appena riuscito ad entrare nel computer della sicurezza: i loro amici erano nei guai fino al collo.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo XIX ***


-Siete comodi?- domandò Mason ai suoi due prigionieri, legati con delle corde su due sedie, schiena contro schiena. Li avevano portati in una stanza segreta collocata fra quello che una volta era il tetto della vecchia base e l’inizio della torre, un posto abbastanza freddo e spoglio, dalle pareti di cemento e con grosso condotto dell’aria che correva lungo una parete.

-Ora ci spiegherai come intendi eliminarci- buttò lì Joe.

-Certo che lo farà, è un cliché piuttosto comune- aggiunse Lucky.

-Avete ancora la voglia di fare dell’umorismo. O siete molto coraggiosi, oppure molto stupidi.-

-Anche questa battuta era scontata, vero Joe?-

-Vero. E per risponderti, Dorian, noi siamo solo sicuri di cavarcela. Andiamo, Luke mi è sfuggito per così tanto tempo grazie alla sua fortuna sfacciata che ho imparato a non sottovalutarla. Dovresti farlo anche tu.-

-Il vostro ottimismo e la vostra fiducia sono lodevoli,  ma sono sicuro che vi abbandoneranno quando vi avrò detto a cosa mi serve… questo.- da una tasca sotto la giacca prese un piccolo telecomando nero con un bottone e una lampadina rossa spenta: -Riesce a indovinare di che si tratta, detective?-

-Un controllo a distanza, mi pare evidente.-

-Questo sarà il gran finale di stasera. Sapete perché l’ascensore che percorre la torre non fa fermate prima dell’ultimo piano?-

-Perché è vuoto attorno, vero?-

-Esatto, Luke. Solo travi e cemento sopra le nostre teste. Oltre alle bobe, si intende.-

Dalton divenne serio di colpo: -Quali bombe?-

-Una volta conclusa l’asta, questo posto deve sparire. Così ho pensato bene che i fuochi d’artificio fossero l’ideale.-

-Costruire un posto per poi demolirlo? Hai proprio soldi da buttare, Dorian!- esclamò Luke.

-E voi vi godrete lo spettacolo da molto vicino, miei cari. Perché resterete qui fino alla fine.- Nascose di nuovo il telecomando nella giacca: -Vi restano ancora quattro ore e mezza di vita, circa. Potete ingannare l’attesa contando le crepe sul muro.- Fece per andarsene, ma si voltò un’ultima volta verso Lucky: -A proposito, sapevi che Ivor ha un microchip GPS sottopelle? E che dunque sapevo che era bloccato a Parigi? Comunque, ottima l’idea di registrare falsi messaggi.-

-Hai fatto proprio come per un cane, allora.-

-Lui è il mio fidato braccio destro. Non oso immaginare cosa gli avete fatto per costringerlo a parlare. Ma ho intenzione di tirarlo fuori dai guai,  se uno solo dei vostri amici o dei vostri parenti proverà a fermarmi…-

Bastò quel tono di poco velata minaccia a far agitare Luke sulla sedia: -Non oserai!-

-Io no. I miei uomini sì. Beh, addio.-

Rimasti soli, con il ronzio sordo della conduttura dell’aria di sottofondo, Joe provò a comunicare tramite l’auricolare: -Nat? Pjotr? Mi sentite? Accidenti… Qui non prende proprio… Forse siamo isolati o qualcosa del genere.-

-Giuro che se tocca le nostre famiglie la pagherà cara!-

-Non succederà, perché riusciremo a svignarcela. Riesci a muovere le mani?-

-No, ho i polsi legati alle gambe della sedia, e tu?-

-Lo stesso. E sono pure nodi belli stretti, accidenti a loro.-

-La nostra sola speranza sono Pjotr e Nat.-

-Già. Solo perché adesso gli auricolari non funzionano, non significa che non ci stiano cercando.-

-… Joe.-

-Sì?-

-Su una cosa devo dar ragione a Mason. Ti ho coinvolto in questa storia e adesso anche la tua vita è in pericolo. Mi dispiace.-

-Finiscila. Mi avevi dato una scelta e conoscevo i rischi; ti ho seguito volontariamente fino a qui.-

-Però…-

-Dai, sono un poliziotto, che è un mestiere pericoloso già di per sé! Cosa vuoi che sia farsi legare, finire bloccato sotto tonnellate di cemento, con la minaccia incombente di venir ridotto in briciole e in compagnia di un partner in minigonna e collant!-

Quest’ultima fece sfuggire una risata a Lucky: -Non è il massimo, direi!-

-Sì, ma sarebbe peggio affrontare questa situazione da solo.-

-Già. Almeno Mason non ci ha separati.-

Cadde un momentaneo e strano silenzio, finché Joe non continuò: -Parlavi sul serio quando dicevi di voler rimanere a Parigi?-

-Sì.-

-Dunque… Resteresti con la compagnia al Moulin Rouge, oltre che continuare a vivere con Cheyenne.-

-Ancora sì, ma perché--

-Non voglio che tu sparisca, ecco.-

-Sparire?-

-Insomma… A parte le botte e gli inseguimenti, ci siamo anche divertiti. Quando torneremo a Parigi, ecco…-

-Sì?-

-… Puoi continuare a darmi delle noie, Luke.-

-Vuol dire che vuoi che continuiamo a… vederci?-

-Se ti va.-

-Certo che sì!- affermò l’altro, -Allora era questo che avevi lasciato in sospeso prima, in macchina!-

-Mettiamola così: quando riusciremo a scappare da qui e a prendere a calci Mason, non mi dispiacerebbe un’altra cena con fuga.-

-Eh. Abbiamo ancora quattro ore e qualcosa per toglierci d’impiccio.-

-Ci vorrebbe una lametta o comunque qualcosa di affilato… ma questa stanza è del tutto vuota.-

Un tonfo metallico risuonò d’un tratto.

-Hai sentito, Joe?-

-Cosa?-

Un altro tonfo.

-Viene dal condotto dell’aria.-

-Quei cosi fanno spesso rumori del genere…-

La grata che fungeva da presa d’aria sul condotto finì a terra con fragore, insieme a una figura vestita di nero che mugugnò qualcosa in russo dopo il capitombolo.

-Pjotr!- esclamò Lucky, -Non sai quanto sono felice di vederti, vecchio mio!-

-State bene?- Prendendo un coltellino dalla cintura li liberò velocemente dalle corde: -Nat mi ha guidato fino a voi; non è stato facile visto che il segnale qui manca.-

-Sì, stiamo bene. Ma non abbiamo molto tempo- rispose Joe. Pjotr porse lo zainetto nero che aveva in spalla a Luke: -Dimmi tutto mentre il nostro amico si cambia. Credo sia stufo dei tacchi alti.-

 

 

Spiegata brevemente la situazione al loro amico, Lucky (tornato in abiti maschili con pantaloni, scarpe comode e un maglioncino blu) concluse: -Dobbiamo raggiungere la cima della torre e fermare l’asta. Mason non rischierà la vita di tutti i suoi ospiti solo per liberarsi di noi.-

-E una volta lì? Hai visto quanti uomini ha a sua disposizione- obiettò Dalton, -Saranno almeno in sette là dentro.-

-Se avessi la mia pistola potrei disarmarli facilmente… Ma ho commesso un grave errore: era nella borsetta che abbiamo perso in quella stanza dei gioielli, e dubito che sia rimasta lì dopo il nostro tentativo di cattura fallito.-

-Parli di questa?- Con un lieve sogghigno, Joe trasse fuori da sotto la giacca la sette colpi nominata dall’altro. Luke era senza parole: -Ma come hai…?-

-L’ho nascosta insieme alla mia in caso di bisogno mentre eravamo in ascensore con Mason. Per fortuna non ci hanno perquisito.- Mentre osservava l’espressione sorpresa dell’ex agente, il detective provò una certa soddisfazione: era evidente che l’altro non se l’aspettava.

-Ah, Joe, sei grande!!- Lucky lo abbracciò sollevandolo da terra e compiendo una breve giravolta.

-Ma dai, per così poco…- borbottò, rosso in volto.

-Poco? Hai appena aumentato le nostre probabilità di successo!-

-Ok, ok, ma mettimi giù adesso…-

-Ragazzi, aspettate… Abbiamo comunque un problema- disse Pjotr.

-E quale?- gli si rivolsero all’unisono gli altri due.

-Anche se riuscissimo a disarmare le guardie, si scatenerà il panico fra gli altri ospiti. Mason potrebbe approfittare della confusione per fuggire, e do svidaniya.-

-Ha ragione, Luke. Dobbiamo prima pensare a un modo per bloccarlo in quella stanza.-

-Uhm…- Posando a terra Dalton, Lucky si mise a riflettere: -Nat era riuscito ad entrare nei loro sistemi, giusto?-

-Sì, e non l’hanno ancora scoperto, da quel che ne sappiamo.-

-Allora usciamo di qui e torniamo in contatto con lui al più presto. Pjotr, sei in grado di fare il percorso inverso dal condotto per portarci fuori?-

-Credo di sì.-

-Andiamo.- Afferrò il russo da sotto le braccia e lo aiutò a risalire dalla presa d’aria, e lo stesso fece con Joe che poi gli allungò una mano affinché li raggiungesse. Gattonando nel condotto, dopo vari tentativi le trasmittenti tornarono a funzionare: -Luke! Joe! Mi sentite? Pjotr!-

-Nat!-

-Joe! Siete vivi! Ho temuto il peggio!-

-Mason voleva farci fuori con calma, ora ti racconto tutto.-

 

 

All’ultimo piano della torre, Mason aveva fatto riallestire la stanza per cominciare l’asta. Guardava fuori da una finestra, pensieroso: non aveva mentito riguardo agli oggetti da vendere, non gli importava granché di chi se li sarebbe aggiudicati, desiderava solo liberarsene. Suo padre era un collezionista, ma aveva cresciuto un uomo d’affari, che oltre a vedere la bellezza ne sapeva valutare il prezzo.

Il riflesso di uno dei suoi uomini apparve vicino al suo sulla superficie del vetro: -Siamo pronti signore.-

-Ottimo. Cominciate a portare su i pezzi, arrivo subito.-

Nel frattempo, dopo aver strisciato per un po’ nel condotto dell’aria, Joe, Lucky e Pjotr riuscirono a tornare all’esterno della torre, trovandosi dietro di essa al riparo di alcune casse di legno.

-Nat, ci siamo. Come procede?- domandò Dalton.

-Datemi un minuto. Questi firewall sono più tosti del previsto.-

-Ti prego, sbrigati- aggiunse Luke, -L’asta è già cominciata.-

 

Di fronte agli ospiti seduti sulle comode sedie imbottite che lui stesso aveva fornito, Mason afferrò il microfono che un suo assistente gli stava porgendo e si collocò dietro ad un pulpito da dove poter battere col martelletto. Mentre pronunciava il discorso d’apertura, i tre infiltrati raggiunsero di nuovo il parcheggio e, passando tra un’auto e l’altra, si trovarono vicino all’ingresso dove due guardie armate sorvegliavano la porta d’entrata.

-Dobbiamo metterli fuori combattimento- sussurrò Joe.

-A loro penso io; voi raggiungete la sala di controllo- rispose Pjotr.

-Sicuro?-

-Posso farcela.- Prese delle piccole sfere di metallo dallo zaino: -Ho recuperato un po’ di equipaggiamento.-

Lucky annuì: -Ti aspettiamo là, d’accordo?-

-Da. Andate ora, sbrigatevi.- Premette un piccolo pulsante sulle sfere e le lasciò rotolare ai piedi delle guardie, che non le videro se non quando un denso fumo biancastro cominciò ad uscire dai due oggetti con un rumore sibilante e un getto potente, avvolgendo i due uomini armati e provocando loro un forte attacco di tosse. I fumogeni permisero a Joe e Luke di correre dall’altra parte del parcheggio, tuttavia una delle guardie vide qualcuno muoversi e puntò il proprio fucile nella loro direzione. Ma Pjotr, grazie alla scarsa visibilità, riuscì a raggiungerlo e a stenderlo colpendolo alla base del collo con una mossa di karate, riservando poi lo stesso trattamento alla seconda guardia che non capiva cosa stava succedendo e gridava in russo cercando il collega. Si ritrovarono entrambi a terra privi di sensi; Pjotr li legò in fretta e li trascinò in un punto nascosto. Intanto, Dalton e Lucky erano riusciti ad avvicinarsi alla sala di controllo, dove c’era agitazione, o almeno così sembrava dalla finestra che dava sul cortile interno.

-Nat, siamo arrivati dove ci hai detto, ma ci sono almeno sei uomini e mi sembrano parecchio nervosi- sussurrò Luke.

-Mi hanno scoperto; cercano di buttarmi fuori dal sistema! Neutralizzateli, presto!-

Con grande rapidità, i due fecero irruzione nella stanza, puntando le pistole, e l’ex agente ordinò ai presenti qualcosa in russo. Uno del gruppo tirò fuori l’arma dalla fondina al suo fianco, ma venne subito disarmato da Lucky che ripeté l’ordine. Tutti misero le mani sopra la testa.

 

Il primo pezzo, un quadro del Cinquecento, venne battuto: -Venduto al numero dieci per un milione di dollari!- annunciò Dorian, -Passiamo ora al secondo quadro, un autentico Caravaggio sfuggito ad un tragico incendio in un museo tedesco…-

 

Legati e rinchiusi in uno stanzino i sei uomini, Joe commentò: -Non sono molto combattivi, vero?-

Pjotr li raggiunse di corsa: -Guardie sistemate!-

-Bene.- Luke disattivò i firewall dal computer centrale: -Che mi dici, Nat?-

-Sono dentro. Sto assumendo il controllo dei sistemi principali.-

-Noi intanto ci dirigiamo in cima alla torre.- L’ex agente uscì e guardò in alto, accigliandosi: -E chiudiamo la partita.-

 

-Venduto al numero trentaquattro per dieci milioni!- concluse Mason al quarto pezzo battuto,

-L’atmosfera comincia a scaldarsi, signori, non trovate?-

-Non sai quanto, farabutto!- gridò una voce dagli altoparlanti nella stanza. Ci fu un’esclamazione di sorpresa generale, e Dorian rimase impietrito per un attimo: -Ma che accidenti…?-

-Signore e signori, vi preghiamo di mantenere la calma. Il controllo di questo edificio è ora in mano mia e dei miei amici- continuò la voce, mentre l’ascensore si apriva per far entrare nella stanza Lucky e Pjotr con le armi spianate; il russo aveva preso in prestito un fucile dalle guardie: -FSB, sei in arresto Mason! Per furto e commercio illegale di opere d’arte, sequestro di persona e tentato omicidio!-

Le guardie di Dorian presero le pistole, ma Lucky fu svelto a disarmarle: -State indietro. E non contate sui rinforzi, l’ascensore è bloccato e il sistema di sicurezza compromesso. È finita, Dorian, ti devi arrendere.-

-Pensi di avere il coltello dalla parte del manico?- Infilò una mano sotto la giacca: -Farò esplodere la torre se non vi arrendete voi due, piuttosto.-

-Non lo farai. Almeno non finché resti quassù anche tu. Getta il telecomando e metti le mani dietro la testa, subito!-

-Non hai l’autorità, non più, per darmi ordini.-

-Ma io sì- disse ancora Pjotr, -Perciò obbedisci.-

Il criminale alzò le mani, ma non lasciò il telecomando e anzi lo piazzò dietro la propria testa, per evitare una sua eventuale distruzione: -Luke, non finirà bene, e tu lo sai. Mi basta premere questo pulsante per ridurre tutto in cenere. Anche se per fortuna tu dovessi cavartela, non credo che lo stesso accadrebbe ai tuoi amici.-

-Ho considerato anche questa possibilità.- Lucky abbassò l’arma e tese l’altra mano facendo un paso verso il criminale: -Per questo voglio darti la possibilità di arrenderti con le buone. Dammi il telecomando e usciamo di qui senza fare altro danno.-

-Mi prendi in giro?-

-Dorian, se tu avessi davvero capito gli insegnamenti di tuo padre non mi avresti chiesto di uccidere un uomo solo perché è un fastidio ai tuoi affari.-

Gli altri ospiti guardavano la scena senza dire una parola, senza osare un movimento. Pjotr rimase immobile, pronto al minimo segnale di pericolo.

-… Mio padre avrebbe accettato un’onorevole resa, vero?-

-Credo di sì.-

-Bene…- Uno sguardo sinistro apparve sul suo volto: -Ma io non sono mio padre.- Premette col pollice il bottone sul telecomando e lo rilasciò in una frazione di secondo. Tutti trattennero il fiato, atterriti, ma non accadde nulla. Mason sibilò: -Il vostro tempo si è ridotto a dieci minuti, adesso. Scegli, Luke: salvare la pelle tua e di queste persone o impedirmi di fuggire.-

-Hey.- Joe, uscito da chissà dove, gli picchiettò su di un fianco con l’indice: -Non hai considerato che ci sono anch’io.- Rapido, gli saltò addosso e lo placcò a terra chiudendogli le manette ai polsi.

-Da dove sei arrivato?!?- Mason guardò alla propria destra: le sue guardie del corpo erano ammucchiate in una montagna umana, storditi e mugolanti dal dolore. Uno aveva un occhio nero ben evidente.

-Eri troppo concentrato su Luke per accorgerti di me, vero? I condotti dell’aria sono delle ottime scorciatoie, e quello sotto il pavimento è stato molto utile.-

-Pjotr, facciamo uscire queste persone; voi in prima fila prendete le guardie svenute, e procedete con calma. Niente panico.-

-Nat, l’ascensore!-

-Subito, Pjotr.- L’hacker aprì le porte scorrevoli, e a passo svelto ma senza correre le prime persone entrarono nell’abitacolo. Uno di loro però si girò: -C’è una cassa di opere d’arte, lì, che ne sarà se salta tutto in aria??-

-E il bunker??- aggiunse un altro, -Ci sono altri tesori lì sotto!-

-Il bunker potrebbe resistere a un attacco nucleare…- borbottò Mason, -Ma comunque finirà tutto sotto le macerie. E le casse sono in acciaio…-

-Non pensateci adesso, dovete allontanarvi!- insistette Lucky. Le porte si richiusero.

-Quanto manca, Nat?- domandò Joe.

-Avete otto minuti e cinquanta secondi per uscire da lì!-

Dorian approfittò della distrazione del detective per scrollarselo di dosso e tentare di correre verso l’ascensore, ma Luke lo bloccò placcandolo al muro con un braccio alla gola: -Non ci provare.-

-E’ inutile, lo sai? Non lascerete vivi questo posto…-

-Otto minuti e trenta secondi!-

-Dopo che saranno tutti fuori toccherà anche a noi. C’è tempo.-

-Non credo proprio…-

-Ragazzi, c’è un problema!- esclamò Nat.

-Quale problema?-

-Stanno arrivando altre guardie al piano terra, li vedo dalle telecamere. Stanno facendo uscire le persone dalla torre; sono almeno in quindici e ben armate!-

-Maledizione…- borbottò Lucky, -Non dar loro il tempo di salire, d’accordo?-

-Roger.-

-Che succede?- domandò Dalton.

-Come, non hai sentito?-

-Ho perso l’auricolare per colpa di questo qua.-

-Abbiamo compagnia. Ci occorre un piano.-

-Quanti?-

-Quindici uomini e altrettanti fucili.-

-Usiamo le porte dell’ascensore per proteggerci- suggerì Pjotr, -Dovremmo essere al riparo, no?-

-Non ce la farete…- sibilò ancora Mason. Le porte scorrevoli si riaprirono, e il detective mandò dentro l’abitacolo il secondo gruppo di ospiti.

-Dopo tocca a noi… Nat!-

-Sette minuti e cinquanta, Luke!-

-Se solo il condotto dell’aria non fosse così stretto, qui, avremmo potuto usarlo come via alternativa ed evitare uno scontro- commentò Joe.

-Non abbiamo scelta.- Lucky tolse il braccio lasciando cadere Dorian seduto sul pavimento: -Sei fortunato che non sono il tipo di persona che usa gli ostaggi come scudo.-

-Peccato, ci sarebbe stato di che divertirsi.-

-Joe, Pjotr, prendete la cassa con i quadri e chiudetela ermeticamente. Dovrebbe reggere, e nel caso potremo recuperarla in seguito.-

I due annuirono; Nat si fece sentire ancora: -Sette minuti e venti!- L’ascensore ritornò.

-Tutti dentro, forza!- Trascinando di peso il loro prigioniero, il gruppo si radunò nell’abitacolo controllando che le armi fossero cariche e pronte.

-Ragazzi, stanno cercando di tagliarmi di nuovo fuori! Due uomini si sono allontanati e diretti alla sala controllo!- annunciò l’hacker.

-Dunque ne sono rimasti tredici…- espirò Pjotr.

-Tredici, huh?- Il detective inserì il caricatore pieno nella propria pistola: -Il mio numero fortunato.-

 

 

Gli uomini armati occupavano ogni angolo dell’ingresso. Avevano un’ottima visuale delle porte dell’ascensore, non restava loro che attendere gli intrusi visto che tutti gli ospiti erano stati già fatti allontanare dal posto.

Mancavano meno di sette minuti all’esplosione che il loro capo aveva largamente anticipato.

Le porte dell’ascensore, che arrivò sferragliando leggermente, si aprirono giusto di uno spiraglio, e loro puntarono i fucili. Non si accorsero subito che in quella fessura faceva capolino la canna di una vecchia pistola; quando udirono il rumore di uno sparo ebbero un sobbalzo, ma nessuno sembrava ferito. Tuttavia, poco dopo due uomini esclamarono in russo delle imprecazioni, e i loro fucili andarono in mille pezzi fra le loro mani. Qualcuno cominciò a sparare verso l’ascensore, ma un altro colpo proveniente dall’interno dell’abitacolo disarmò un altro paio di soldati allo stesso modo dei precedenti.

-Ne restano nove!- esclamò Joe sbirciando dalla fessura, a voce alta per sovrastare il suono assordante dei proiettili sul metallo.

-Il tempo sta per scadere, coprimi!- rispose Luke andando a colpire un altro fucile.

Senza farselo ripetere due volte, Dalton prese la mira  e colpì di striscio uno degli uomini là fuori, che si deconcentrò permettendo così all’ex agente di disarmarlo: -Meno otto!-

-Avete cinque minuti e mezzo per andarvene!- esclamò Nat negli auricolari. Ritirandosi al riparo delle porte dell’ascensore, Luke guardò Joe: -Dobbiamo rischiare una sortita.-

-Ti guardo le spalle.-

-No. Tu resta indietro con Pjotr e Mason.-

-Ma…-

Partì una seconda raffica di colpi, e il russo guardò in alto: -Se sopravvivo giuro che raddoppierò lo stipendio della mia governante!-

-Non puoi farcela da solo, Luke!-

-Posso, Joe, se mi presti la tua pistola. Quanti colpi ti rimangono?-

-Cinque, credo.-

-Bene. Appena le porte si aprono, tu e Pjotr correte verso l’uscita con Dorian, li tengo occupati.-

-Scordatelo, non ti lascio indietro!-

-Cinque minuti!- insistette l’hacker.

-Joe, vi raggiungerò appena posso, ma voi dovete andare.-

-Certo, così tappi svicolano bene fra le persone!- disse Mason con cattiveria, subito zittito dall’ex agente: -Chiudi quella bocca!-

-Ragazzi, non perdete tempo a discutere!-

-Ok, Nat. Al mio segnale apri le porte, del tutto. Joe, se tentano di fermarvi, non esitare a picchiare duro.-

-Certo…-

-La pistola, Joe.-

Il detective gli passò esitante l’arma: -Sei ambidestro?-

-Sì.-

-Non l’avrei mai detto… Hey, Luke.-

-Mh?-

-Comunque vada, voglio che tu sappia… che è stato un piacere farmi trascinare in questo casino con te.-

-Sentimento reciproco.-

-Se ne usciamo vivi…-

-Ne usciremo. E ti prometto che ti insegnerò a ballare, Joe.-

-Cosa??-

-Hai sentito benissimo.- Gli sorrise, rassicurante.

-Oh, Cielo, prendetevi una stanza, voi due…- mugugnò Dorian.

-State pronti.- Lucky si piazzò con la schiena contro una parete dell’abitacolo, sollevando le pistole: -Prendiamo un bel respiro, signori: questa azione ce la ricorderemo per il resto dei nostri giorni.-

-Se ci arrivate…- continuò il loro prigioniero, che venne afferrato saldamente da Pjotr perché stesse in piedi e pronto a correre.

-Appena smettono di sparare… Nat, al mio via devi aprire le porte come ti ho detto. Ci sei?-

-Quando vuoi.-

La grandinata dei proiettili cessò gradualmente; lasciati passare altri due secondi Luke espirò:

-Via!-

Quando le porte si aprirono, con grande stupore degli uomini all’esterno che ancora non avevano finito di ricaricare i fucili, Joe e Pjotr schizzarono fuori portandosi dietro Mason, mentre Lucky, facendo appello a tutto il suo sangue freddo e alla sua concentrazione, rapidamente mirò e sparò alle armi dei soldati che si ritrovarono con dei pezzi di inutile ferraglia fra le mani. Dalton udì a malapena le pause fra un colpo e l’altro, tanto velocemente si erano succeduti; un orecchio poco allenato avrebbe potuto essere ingannato e ridurre il suono ad un unico sparo.

A quel punto alcuni soldati si avvicinarono con cautela ma anche minacciosi all’avversario, mentre altri tre, rimasti indietro, si gettarono all’inseguimento dei fuggiaschi. Dorian se ne accorse, e apposta si lasciò cadere in avanti per provare a rallentare gli altri due, ma il detective lo afferrò per il colletto della camicia riportandolo su: -Oh no, non lo farai!-

Pjotr puntò contro i loro inseguitori il fucile e sbraitò qualcosa in russo, facendoli fermare. Erano a pochi passi dall’ingresso.

Uno alla volta, gli uomini che avevano circondato Lucky cercarono di batterlo in uno scontro corpo a corpo, ma lui riusciva a tener loro testa schivando e colpendo a sua volta contando su un eccezionale gioco di gambe. Nat annunciò che ormai mancavano quattro minuti all’esplosione, così Pjotr, continuando a tenere i tre sotto tiro, si rivolse a Dalton girandosi di lato: -Porta Mason alla macchina, svelto!-

Trascinando di peso il prigioniero, Joe riuscì a portarlo fuori; il russo camminando all’indietro lo seguì, e lo stesso i loro inseguitori nel tentativo di recuperare il loro capo. Luke cercava nel frattempo di arrivare all’ingresso, ma come mandava al tappeto un avversario subito un altro gli si parava davanti.

All’improvviso un boato spaventoso attraversò l’aria; il detective aveva appena raggiunto l’auto con Dorian quando quel suono lo fece voltare di scatto e guardare verso l’alto: la cima della torre era esplosa, e tra le fiamme pezzi di cemento stavano venendo giù.

-No… Avevamo ancora tempo…-

-Devo aver calibrato male i timer!- disse Mason con una risata sguaiata. Joe lo spinse sul sedile posteriore senza troppi complimenti, mentre Pjotr, visto che i tre soldati se l’erano data a gambe, si piazzò al posto di guida e accese il motore.

-Aspetta, dov’è Luke??-

-Non lo so!-

Un altro boato li fece sussultare.

-Non me ne vado senza di lui!!-

-Dobbiamo allontanarci o saremo travolti dalle macerie!-

-Tu vai, io devo trovarlo!- Dalton scese dall’auto e tornò indietro.

-E’ pazzo?? Così si ammazzerà!!-

Joe corse con tutta la velocità della quale era capace, ma le esplosioni si susseguirono implacabili riempiendo l’aria di fumo e detriti, annullando ogni suono, finché non raggiunsero il piano terra. Il detective venne sbalzato indietro dall’onda d’urto come una pagliuzza; Pjotr fu costretto ad allontanarsi per non essere travolto a sua volta, ma il colpo riuscì comunque a farlo sbandare durante la breve corsa fino all’esterno dell’area.

Dalton, stordito, era finito sdraiato per terra, a faccia in su. Riprendendosi poco a poco, la vista annebbiata e un fischio tremendamente acuto nelle orecchie, cercò di tirarsi su a sedere, lentamente. Automaticamente si toccò la testa con la mano; quando l’ambiente circostante tornò a fuoco gli mancò il respiro: le macerie in fiamme erano tutto ciò che restava dell’edificio, e alte volute di fumo rendevano l’aria pesante.

-Luke…- mormorò, alzandosi piano. Barcollò per un attimo, poi riprovò a voce un po’ più alta: -Luke… Luke!-

Cominciò ad aggirarsi fra i mucchi di detriti, chiamando con quanto fiato aveva: -Luke!! Dove sei?? Rispondi!!-

Pjotr tornò indietro con l’auto; scese quasi inciampando su una pietra: -Bozhe moy…*-

-Luke!!- Correndo da una parte all’altra di quel luogo devastato, il detective frugava ovunque alla ricerca dell’amico disperso. A Parigi, Nat era rimasto paralizzato ad assistere impotente al disastro, e stava in attesa, atterrito e con un groppo in gola.

Joe non si dava pace, continuava a chiamare e scavare fra i detriti con le mani, sbucciandosi le nocche. Pjotr rimase a guardarlo sconfortato per un po’ prima di raggiungerlo e provare a dargli una mano in quella ricerca disperata.

-Non puoi farmi questo!- cominciò a sbraitare Dalton, -E neanche alla tua famiglia! Non adesso che è finita! Hai capito?!? Luke!-

-Joe…- provò a dire il russo, mentre l’altro passava ad un nuovo cumulo: -Non puoi essere morto! Mi rifiuto di crederlo!-

Pjotr lo raggiunse ma non si mise a scavare: -Joe.-

-Sei l’uomo più fortunato del mondo, non puoi essere morto così!- Scansò quello che sembrava un pezzo di soffitto con tutte le sue forze, ma non c’era niente sotto. L’altro gli poggiò una mano sulla spalla: -Ho paura che invece…-

-No!- ringhiò, voltandosi verso di lui: -E’ qui da qualche parte, ne sono sicuro!-

Passò un momento di silenzio, e l’espressione aggressiva del detective si trasformò in una più sofferente: -Non piò essere morto… Capisci? Lui… Deve tornare a Parigi… Con me… L’ho promesso…-

Il russo abbassò lo sguardo, triste, quando un rumore attirò la sua attenzione: -Ma cosa…- si girò di scatto verso la sua destra; dei detriti si stavano muovendo da soli sopra un mucchio di pezzi piatti del soffitto. Dalton guardò nella stessa direzione, a occhi sbarrati, per poi correre alla vista di una mano che emergeva dalle macerie agitandosi in cerca di un appiglio, mano seguita da un braccio avvolto nella manica stracciata di un maglione blu.

 

 

*tradotto: “Santo Cielo”

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo XX ***


-Nel corso delle indagini che avrebbero dovuto condurre all’arresto del ladro conosciuto come Lucky Luke, io e i miei fratelli ci siamo imbattuti nell’organizzazione criminale di Dorian Mason, scoprendo così che il nostro ricercato altro non era che un agente agli ordini di quest’uomo senza scrupoli, ordini eseguiti sotto costrizione e minaccia. Mason è stato poi colto in flagrante nel tentativo di vendere all’asta preziose opere d’arte rubate nel corso degli anni per conto suo e di suo padre. Attualmente questi oggetti sono ancora in fase di recupero da parte delle autorità russe in collaborazione con esperti provenienti dai musei di varie parti del mondo, così da poter identificare i legittimi proprietari.-

La conferenza stampa indetta nel dipartimento di polizia a Parigi contava giornalisti di emittenti e quotidiani di quasi tutta la città. La notizia dell’arresto di Mason aveva attirato parecchio l’attenzione dei media, e aveva già fruttato in pochi giorni molta notorietà a Joe e ai suoi fratelli, oltre ad un encomio da parte del loro capo. Ma fino a quel momento il detective non aveva voluto rilasciare dichiarazioni.

Non poteva.

Doveva studiarla bene quella bugia per proteggere Luke.

Un giornalista alzò la mano: -Dove si trova Dorian Mason al momento?-

-E’ stato riportato in America, e consegnato all’FBI in attesa di giudizio. Non c’è dubbio che grazie alle prove raccolte resterà chiuso in prigione per molto, molto tempo.-

Una donna chiese la parola: -Che fine ha fatto Lucky Luke?-

-Purtroppo abbiamo perso le sue tracce in Russia, dopo l’esplosione della sede segreta di Mason. È ancora da considerarsi latitante, ma non conoscendone la vera identità, non pervenuta nonostante le nostre indagini, sarà difficile stabilire dove si trovi al momento.-

Cheyenne, Betty e gli altri tre Dalton si guardarono complici mentre ascoltavano Joe, riuniti contro la parete alle spalle dei giornalisti assieme ad altri poliziotti.

L’intervista andò avanti per un po’; quando negli uffici ricominciò il lavoro regolare Cheyenne raggiunse il detective nel suo ufficio: -Hey!-

-Ciao. Come va?-

-benissimo, ora che hai dichiarato una certa persona introvabile.-

-A proposito, come sta?-

-Molto meglio. Alla fine la diagnosi peggiore è stata la lieve commozione cerebrale. È a casa a riposare, adesso.-

-Bene, sono contento.- Abbassò lo sguardo con un lieve sorriso.

-Ah, Joe: mi ha chiesto di darti questo.- Prese dalla borsa a tracolla un pacchetto rettangolare avvolto in carta rossa e nastro oro: -Ha detto che si tratta di un regalo che tu saprai apprezzare.-

-Uh?- Prese il pacchetto e lo squadrò.

-Devo scappare, fra poco Amélie esce da scuola.- Si soffermò sulla porta: -Joe.-

-Sì?-

-Grazie mille. Per tutto.- Gli rivolse un ultimo sorriso dolce prima di andare. Sorridendo a sua volta fra sé e sé, Dalton aprì piano il pacchetto, ritrovandosi un libro dalla copertina giallo ocra tra le mani, nuovo di pacca. Non c’era il titolo sulla costa, così lo aprì alla prima pagina per scoprirlo: si trattava di un romanzo di Arthur Conan Doyle.

-Ma guarda, è uno dei libri che piace a Luke…- Quando vide il titolo sbarrò gli occhi: una lucetta si accese nella sua mente, un sospetto. Guardò di fronte a sé un attimo ripensando alle loro conversazioni: frammenti come “Preferisco i romanzi storici e d’avventura ai gialli”, oppure “Cheyenne mi ha insegnato a recitare fin da quando eravamo piccoli”.

Uscì dal suo ufficio e andò in quello di Betty: -Ti disturbo?-

-No, Joe, dimmi pure.-

-Ho bisogno di vedere il registro dei permessi di quest’ultimo mese.-

-Certo, aspetta…- Frugò in una pila di documenti fino a trovare il fascicolo giusto: -Ecco qua.-

-Grazie.- Scorse la lista di nomi fino a trovare quello che cercava.

-Va tutto bene?- domandò la psicologa.

-Sì. Grazie, Betty.- Le riconsegnò i documenti e si diresse con passo calmo agli archivi. Non poteva correre, rischiava di attirare l’attenzione.

Una volta giunto in quell’ambiente di polvere e penombra, tenendo il libro dietro la schiena, chiamò con decisione: -Pierre?-

L’arrivo dell’archivista venne anticipato dal rumore di qualcosa che cadeva con un tonfo sordo e fogli che volavano, poi arrivò lui barcollando e balbettando: -S-signore! A-a rapporto, signore! Cosa posso fare per lei?-

-Dimmi, Pierre: tu sei con noi da quanto, di preciso?-

-Uh, non saprei… Un bel po’ ormai.-

-Ah-ah. Potresti spiegarmi per favore qual è il tuo ruolo qui da noi? Fai come se io non lo sapessi.-

-Sì. Dunque, il mio lavoro consiste nel catalogare e immagazzinare le informazioni dei vari casi che gli agenti sul campo raccolgono durante le indagini.-

-Anche le informazioni tattiche delle operazioni?-

-Certo, signore. È una questione di sicurezza.-

-Capisco. Immagino quanto tu abbia dovuto recuperare al tuo rientro.-

-Come?-

-Hai avuto l’influenza in questi giorni, da quel che ho saputo.-

-Esatto.-

-Curioso.- Portò il libro di fronte a sé, reggendolo con due mani: -Hai chiesto un permesso nel mio stesso periodo, lo sai?-

-Davvero?-

Joe aprì il volumetto e guardò con nonchalance il titolo, continuando: -Uh uh. E c’è un’altra cosa curiosa. Il tuo nome.-

-Il mio nome?-

-Gerard. Ti chiami come il protagonista di questo romanzo, sai?- Chiuse di scatto il libro e continuò: -Dimmi se ho seguito bene la scia di briciole di pane… Luke.-

Pierre a quel punto cambiò completamente: con un sorriso, raddrizzò la schiena, tolse gli occhiali e l’applicazione in lattice sul suo viso rivelando che non aveva lentiggini e che il naso era leggermente più piccolo di quanto sembrasse; al posto dei capelli castani, una volta tolta la parrucca, comparve una chioma corvina con un ciuffo pettinato in avanti.

-Non so se farti un applauso o prenderti a schiaffi- disse il detective.

-Il suono sarebbe lo stesso.-

-Sei sempre stato qui, sotto il mio naso.-

-Ammettilo, è stata una bella sorpresa.-

-Puoi ben dirlo.- Dalton posò il libro sulla scrivania nella stanza: -Considerando che eri lì mentre dicevo a tutti che sei irrintracciabile, immagino il tuo sforzo nel cercare di non ridere.-

-Ma io non volevo ridere.-

-Ah no?-

-No, Joe.- Gli si avvicinò: -Di ballare e festeggiare. Ti rendi conto di cosa hai fatto?-

-Dipende…?- Si accomodò sedendosi sul bordo della scrivania.

-Col tuo discorso hai messo la parola fine alla vita criminale che ero stato costretto ad intraprendere. Il tuo aiuto è stato impagabile.- Il suo sorriso si addolcì: -Mi hai reso la libertà.-

-Non c’è di che.- Si mise a giocherellare con l’angolo di un foglio: -E per quanto riguarda il tuo ruolo qui?-

-Non devo più spiare la polizia. Pierre Gerard deve sparire a sua volta; ho già pronta una lettera di dimissioni.-

-Non è detto. Puoi restare.-

Lucky scosse la testa: -Basta segreti e identità false, Joe. E’ meglio così. Inoltre, non potrei reggere il ritmo con il mio lavoro al Moulin Rouge.-

-Dunque d’ora in poi sarai solo Luke.-

-Esatto.-

Il detective lo guardò, inclinando la testa: -Allora… Che si fa adesso?-

-Che ore sono?-

-Mezzogiorno e mezzo. Forse di più.-

Luke gli si affiancò, appoggiandosi al piano col fondoschiena: -Che ne dici se dopo essermi cambiato ce ne andiamo a pranzo, io e te? Conosco un posticino dove preparano degli ottimi piatti tex-mex.-

-Ma lo sai che io e il cibo piccante non andiamo d’accordo.-

-Certo che lo so.- Si guardarono per poi cominciare a ridere entrambi di gusto.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3524805