And death goes on.

di Kodamy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Yu Kanda non l'aveva presa bene. ***
Capitolo 2: *** Forse erano tutti in bagno. ***
Capitolo 3: *** Quella traccia di nebbia che ti assomiglia ***
Capitolo 4: *** Il gioco della colpa ***



Capitolo 1
*** Yu Kanda non l'aveva presa bene. ***


Prologo

{And death goes on}


Prologo:

“ Yu Kanda non l’aveva presa bene ”

 

Come sono caduti i potenti […] !

(Samuele, I, 25)

 

 

Yu Kanda era morto, suo malgrado, nel più patetico dei modi possibili: sdraiato nel suo letto, aveva semplicemente sprecato il suo ultimo mese di vita spegnendosi. Tutto qui.
Giorno dopo giorno, la candela della sua esistenza si era consumata un po’ di più, un po’ di più – quand’è che ti decidi a spegnerti? - un modo orribilmente lento, orribilmente inesorabile di morire.

Attendere, ecco cosa aveva potuto fare. Il giapponese aveva solo dovuto attendere.

 

Yu Kanda non l’aveva presa bene.

 

Una morte così patetica era stata un durissimo colpo al suo orgoglio – un orgoglio troppo nutrito da anni di guerra e sopravvivenza ad oltranza: ridotto ad una mera ombra di sé stesso, aveva rifiutato l’assistenza della matrona in Infermeria e si era chiuso nella sua stanza, richiedendo causticamente che almeno “lo lasciassero fottutamente morire in pace”.


Come prevedibile, tuttavia, il suo capezzale non era mai rimasto perpetuamente dimenticato come il giovane asiatico aveva richiesto. Spesso Lavi si era invitato nella sua camera per completare qualche documento o per immergersi nelle sue letture-da-imparare-a-memoria. La prima volta l’allievo di Bookman si era seduto sul bordo del letto sfatto, ed aveva poggiato la mano sporca d’inchiostro sulla sua guancia calda di febbre. Kanda lo aveva spinto via senza troppi complimenti, in maniera così istintiva e debole e patetica, che si ritrovò a vergognarsene subito dopo averlo fatto. Lavi ebbe tuttavia l’accortezza di fingere di perdere ugualmente l’equilibrio, e scostarsi lasciandosi cadere per terra. Si erano guardati per un po’.

“Non prendermi per il culo,” aveva sussurrato, quindi, Kanda. “Non prendermi per il culo.”
Aveva smesso di cercare di cacciarlo via, dopo quell’episodio – era diventato troppo debole, e Lavi troppo abituato a scansare tutto ciò che il giapponese poteva ritrovarsi a portata di mano e, pertanto, lanciargli contro. Non ne valeva la pena, né tantomeno l’umiliazione.


Marie, che presto sarebbe diventato l’ultimo superstite nella vecchia guardia degli allievi di Tiedoll, aveva offerto la sua silenziosa compagnia: l’unica veramente apprezzata, in fondo, da Kanda. Erano sempre andati d’accordo, avevano sempre lavorato bene insieme. Ma le visite furono gradite per un motivo molto più venale: perché Marie era cieco, e Marie non avrebbe potuto vedere il suo corpo sciupato deteriorarsi sempre di più, e le membra deboli non riuscire a sollevare il bicchiere dell’acqua, e gli occhi stanchi, acquosi, iniettati di sangue che sfuggivano troppo facilmente allo sguardo altrui.


Nel dormiveglia, Komui aveva cercato fino all’ultimo di farlo ridere, o sorridere, o ottenere una qualsiasi reazione. Lo aveva fatto con una dedizione quasi malsana, quasi ossessiva. La stessa dedizione con cui si ostinava a fare l’idiota per far sorridere Lenalee. Per far sembrare tutto un gioco.
Non ci era riuscito.
Una volta, insieme a Komui, era tornato anche il caposezione della Sede Asia, Bak-Chan. Voleva scusarsi, l’idiota. Kanda si era ritrovato a ripetergli malamente di piantarla, che non ce n’era bisogno.


Il Generale Tiedoll si era presentato, per un po’, ad ogni occasione possibile. Con qualcosa di simile a nostalgia, aveva sferruzzato febbrilmente qualche lavoro a maglia. Quasi fosse stato preso in una corsa contro il tempo, quasi avesse voluto offrire qualunque cose stesse facendo al suo allievo, a suo figlio, prima che questi abbandonasse del tutto la vita.  Dopo la quarta visita, Kanda lo aveva cacciato senza troppi complimenti: le sue lacrime ed i suoi piagnistei erano del tutto insopportabili, e sicuramente l’ultima cosa di cui avesse bisogno.


La mammoletta, dal canto suo, ebbe l’opportunità di presentare la sua faccia bianchiccia una sola volta: ma non gli fu concesso neppure di varcare la soglia. In un momento di lucidità, infatti, Kanda si era reso conto che non avrebbe mai sopportato di farsi vedere così da lui. Non dall’ingenuo piccolo martire. Era stato così facile immaginare l’espressione di pietà quasi commossa, e le parole vuote e prive di senso: il piccolo vassoio da letto da dove aveva consumato la sua soba impattò rumorosamente contro la superficie lignea della porta, frettolosamente chiusa a mò di scudo. Si ritrovò ad ignorare le proteste di Allen, che sembrarono sfociare in lacrime di frustrazione. Arrabbiate. Perché devi essere così?

Era stato costretto a chiedere a Lavi, quando era arrivato, di recuperargli il vassoio, grazie.

 

Anche Lenalee si era presentata spesso, offrendosi di meditare con lui. Aveva sempre indossato quel sorriso stanco e consunto dal troppo uso, dall’abuso scorretto. La sua voce era sempre stata bassa e sommessa, quasi Kanda fosse già ridotto ad una salma, un cadavere in procinto di essere cremato, e la ragazza stesse parlando alla sua urna di ceneri. Con gli occhi lucidi, e tono infranto e colmo di cose non dette.
Stava cercando di essere forte.
Stava cadendo a pezzi.

Per lui? Non ne valeva proprio la pena.

 

Poi, Lenalee aveva smesso di andare a trovarlo.

 
Più tardi, Kanda scoprì che il Conte era stato sconfitto.

E che Allen era morto.

 

Da eroe. Da martire.

 

Che cosa tipica della mammoletta, morire salvando il mondo con quel corpicino secco secco e ripieno d’amore umanitario. Che cosa tipica.
Non hai nulla di importante al mondo, tu?
Kanda aveva voglia di gridare. Di vivere e gridare.
Era troppo debole, e non lo fece.

Lavi si era rifiutato di parlarne, mentre a labbra strette e occhio lucido trascriveva la storia sulle pagine bianche degli annali. Seduto accanto al suo letto, al suo capezzale.
Marie si era commosso, nel raccontare il sacrificio del Distruttore del Tempo.

Morto da un paio di giorni, e già diventato leggenda. Oh, il secondo Redentore! Offerto in sacrificio per voi.
Che amarezza.
Kanda, per un po’, non riuscì a provare altro che invidia. Scosso da violenti colpi di tosse, se l’era presa con Dio. La mammoletta era morta da eroe. Da martire. Da Salvatore. Sulla sua fronte, immaginò, c’erano probabilmente anche i segni della corona di spine.
Noah.
Quattordicesimo.
Allen.
I suoi pensieri cominciarono a divenire sempre meno coerenti. Meno coesi.
Martire, eroe, salvatore, redentore.

E lui dov’era, oh, Signore, Dio mio, lui dov’era?

Circondato da bellissimi fiori di loto, intrappolato nella sua stessa illusione, trascinandosi pateticamente, respiro dopo respiro, verso la fine della sua vita. Ecco dov’era. In quei giorni, il suo sguardo si spostò più spesso sulla clessidra dove, innocuo, l’ultimo petalo si aggrappava strenuamente alla vita.

Se solo si potesse farlo cadere per pura forza di volontà, si ritrovò a pensare. Sarebbe tutto più semplice.
Ma non si poteva.

Quello fu uno degli ultimi pensieri lucidi ad essere formulato dalla mente di Yu Kanda, diciannove-quasi-venti anni, esorcista.

La febbre lo colse il giorno dopo. La fiamma più violenta consumò ben più velocemente il resto della candela.
Il giardino. Il giardino lo soffocava. Passò il tempo a far la spola fra coscienza e incoscienza, delirio e lucidità.

 

Poi, nel sonno – nel sonno, come gli anziani, e i malati, e i deboli – nel sonno si spense.
Senza un rumore. Semplicemente, il suo corpo aveva smesso di funzionare. Smise di esistere, come uno di quegli stupidissimi Komurin a cui si erano scaricate le batterie.

 

Le sue ultime parole erano state “fottiti”.

Le aveva rivolte a Lavi, in un momento di lucidità, in un impeto di frustrazione. Non voleva che Lavi lo vedesse così, probabilmente – con il senno di poi, Lavi questo riusciva a capirlo. Ripensandoci, l’allievo di Bookman rigurgitava ogni volta un sorriso amareggiato. Orribilmente divertito.

Che cosa tipica di Yu-chan, quelle ultime parole.

Le rivelò soltanto a Lenalee, durante la piccola cerimonia che avrebbe preceduto la cremazione. Lei non diede segno di averlo sentito: stringeva in pugni troppo stretti i lembi della gonna, e il suo respiro arrancava per abbandonare le labbra.
Era probabilmente vicina ad un attacco di panico, concluse Lavi: prima Allen, il suo primo amore. Poi, Kanda: il riluttante migliore amico.
Casa, famiglia. Il suo mondo le stava crollando sotto i piedi. Avrebbe tentato qualcosa di stupido? Le infermiere l’avrebbero riempita di medicinali. Routine, sonnacchiosa routine. Nulla che non si fosse già visto, da quelle parti.

Fu una cerimonia piuttosto fredda: erano in pochi ad essere veramente dispiaciuti. Yu-chan, pensò Lavi, ne sarebbe stato contento. Si era impegnato tanto, per ottenere quel risultato. Avrebbe ghignato soddisfatto al suo capolavoro ultimato. Il funerale più freddo degli ultimi trent’anni o giù di lì, nell’Ordine. Soprattutto se paragonato a quello di Allen, di neppure una settimana prima.
I singhiozzi di Lenalee e quelli del Generale Tiedoll furono l’unico rumore di cordoglio che riecheggiò fra le alte mura. Le parole infrante di Komui fecero da mero accompagnamento, mentre Miranda nascondeva il viso contro il petto di Marie, che l’abbracciò distrattamente. Poi, un po’ più forte. Un’ancora di salvezza. Rimasero così per un po’, anche dopo che la sala fu svuotata.

Rimasero soli.

Lavi li lasciò in pace – lasciò in pace anche Tiedoll, rintanato in un angolo a disegnare con i suoi pastelli – e seguì Lenalee fuori. All’aperto.

Era una bellissima giornata, ed il cielo era talmente azzurro che sembrava possibile annegarci dentro.

Una sola nuvola. Piccola, bianca. Batuffolo di zucchero filato.

Piacevole venticello.

Era una bellissima giornata.

Lenalee si sedette su uno dei gradini, e scoppiò di nuovo a piangere. Lavi le si sedette accanto, incerto su cosa provare. Cosa fare. Il suo non-cuore era ormai evidentemente difettoso, e lo confondeva, sì, lo confondeva con i suoi messaggi contrastanti, i suoi significati subliminali, i suoi ragionamenti contorti.

 

“Lenalee…” aveva esordito, con una voce non sua. La voce del funerale di Allen. E ripensò ad Allen – inchiostro su carta – ripensò a Kanda.
Pensò che non avrebbe dovuto aver voglia di piangere, e tuttavia non riuscì a fare a meno di pensare anche che sarebbe stato bello, poter farlo. Lasciar scorrere via tutto, come la cinese al suo fianco. “Lenalee…” ripetè, ancora una volta. Occhio verde troppo vivido.

“Saranno sempre insieme a noi,” mormorò lei, con mezz’ora di ritardo, come risposta. Una volta esaurite le lacrime, ma non i singhiozzi secchi che ne scuotevano ancora il corpicino dimagrito dal lutto del primo amore. Occhi arrossati, voce vagamente affannata e nasale e affatto carina, visino contratto dal dolore. Dall’illusione di un mondo tutto personale, un mondo eterno, infranta due volte nel giro di una settimana. Stranamente, Lenalee non rientrava tra quelle poche elette persone che riescono a singhiozzare carinamente. Lavi, con una morsa al non-cuore, pensò ad Allen, e a Yu, e a Lenalee mentre la guardava tirar su col naso.

“Allen-kun e Kanda. Saranno sempre qui. Con noi,” perseverò lei, con quella voce infranta. Una sottile vena di disperazione annacquava le sue parole. “Non è vero? Qui. Con noi,” ripetè, portando la mano sul seno – no, sul cuore.

Lavi voleva dirle che non poteva portarli con sé, lì, perché quel non sarebbe neanche dovuto esistere. Ma guardando gli occhi di lei, braccati – occhi infestati, infestati di fantasmi – non ebbe il cuore di contraddirla.

“Sì,” mormorò, scostando lo sguardo nonostante l’abitudine al mentire. “Allen sarà sempre qui con noi.”

Piccola pausa.

“… Kanda sarà sempre qui con noi,” concluse, abbassando appena la fascia che teneva indietro la zazzera di capelli rossi. Stupido cuore. Stupido cuore che faceva male. Difettoso, come sempre.
Lenalee annuì, vacua. Sguardo perso nel cielo troppo azzurro, troppo banale.

Era una bellissima giornata.

“Sempre qui.”

 

A Yu Kanda, in vita, era sempre piaciuto prendersela con qualcuno.
Chiunque gli andava bene, se la cosa riusciva ad aiutarlo a non prendersela con sé stesso.

 

Non è pertanto difficile comprendere il motivo per cui - quando riprese coscienza di sé stesso in un angolino impolverato della sua stanza tetra e sfatta e buia - il fantasma di Yu Kanda seppe perfettamente su chi scaricare la colpa per la sua nuova – ed incresciosamente indesiderata - condizione.

 

Perché, sia ben chiaro.
… ‘per sempre’ è una cosa veramente orribile da dire.

 

 

Fine Prologo

 

 

 

A/N: non penso sarà molto lunga, ma mi stavo rileggendo i capitoli degli zombie, e mi sono resa conto che i fantasmi sono CANON in D.Gray-Man =D Allora dovevo scriverci su qualcosa. E dato che amo Kanda, e sono frustrata per la pausa di Hoshino… è solo naturale che la vittima prescelta fosse lui.  Ù_ù

Ho cercato di ripescare il vecchio stile che adoravo – sperando non sembri un po’ troppo rugginoso. Ci ho messo del mio meglio – è quasi un anno che non scrivo ç_ç ero in astinenza da scrittura ç_ç”

Il più presto possibile arriverà il primo capitolo u.u Spero che questo piccolo pezzo di follia possa essere di gradimento a qualcuno <3

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Capitolo 2
*** Forse erano tutti in bagno. ***


{As death goes on}

{As death goes on}


Capitolo Uno

“ forse erano tutti in bagno ”

 

 

“Ma se segue una disgrazia, allora pagherai vita per vita:

occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede,

bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido.”

(Esodo, 21, 23-25)

 

 

L’Ordine Oscuro era stato vandalizzato.

Sicuramente non c’era altra spiegazione.

Miranda, seduta compìta nel Refettorio accanto a Marie, sembrava esserne particolarmente turbata. Da qualche notte i rumori la tenevano sveglia – ‘ma no, Miranda, no, sei paranoica, come sempre, Miranda, Miranda’ si ripeteva – ma quella mattina erano andati a raccogliere i (pochi) effetti personali del fu Yu Kanda, e… ed avevano trovato tutto sottosopra.

 

Come le lenzuola strappate.

Come l’asettica sedia rovesciata.

Come i cassetti dell’austero comodino aperti, contenuto disperso sul pavimento. Schizzato lì, come sangue schizzato via da una ferita particolarmente copiosa.

E pezzi di vetro e pozze d’acqua, per terra.
Vicino alla porta. Sulla porta.

 

Lenalee abbassò lo sguardo sul piatto ancora pieno ed ormai freddo, labbra di bocciolo ormai eternamente piegate all’ingiù. Occhi iniettati di rosso – come sempre, da quando Allen li aveva abbandonati lì passando a miglior vita.
Lavi si ritrovò a domandarsi distrattamente se sarebbero mai riusciti a vederli limpidi come un tempo.

 

Limpidi, sereni.

 

I Noah erano ancora in circolazione, ma il Conte non più.
Si poteva tranquillamente affermare che la guerra avrebbe finalmente trovato una fine. Finalmente.

Lenalee avrebbe dovuto sorridere ed essere felice.

 

Lenalee guardava il cibo e serrava le labbra, cercando invece di combattere la nausea.

 

“E’ una cosa orribile,” mormorò, infine, infrangendo il silenzio troppo a lungo protratto. Miranda annuì, miserabile come suo solito, mentre Marie rimase in silenzio, con i suoi occhi ciechi che guardavano il vuoto. Imperturbabile – lo sembrava sempre, dopotutto.
Lavi, d’altro canto, sentì quella rabbia infida farsi strada nelle vene, far fremere le mani.
La sentiva sempre più spesso, ultimamente – in particolare, quando gli capitava di sentir il nome di Kanda dalle labbra dei finders.

Una tacita regola, vecchia come il mondo, implica che tutti parlano bene dei morti.

 

L’Ordine oscuro sembrava esserne esente.

Forse, non gli era arrivata la comunicazione.

Chissà.

Forse erano tutti al bagno, nel momento in cui quell’implicita legge era stata approvata.

Si ritrovò a pensare che Yu sarebbe stato veramente fiero del suo piccolo  c a p o l a v o r o  operato in vita.
Veramente, veramente fiero.

 

“Non se lo merita,” continuava intanto Lenalee, voce infranta. Non si fermò neppure a riflettere abbastanza a lungo dal cogliere il suo errore, nell’aver usato il presente.

Seguì il silenzio.

Sarà che nessuno ormai sapeva più esattamente di cosa parlare con la cinese, che sembrava ogni momento un passo più vicina ad un crollo psicotico.

 

Disagio.

 

“Kanda…” esordì Marie, e la sua espressione rimase distante. Parve per un attimo che volesse aggiungere qualcosa.
Si fermò a metà strada, labbra schiuse, espressione crucciata appena.

Lavi non si domandò neppure il perché. Il respiro irregolare di Lenalee era perfettamente udibile anche senza il finissimo udito dell’esorcista austriaco.

 

Finirono di pranzare in silenzio.

 

oOoOoOo

 

Komui sembrò essere turbato da quegli atti vandalici almeno quanto Lenalee e Miranda.
Non si arrabbiò, però, tanto intensamente come Lavi.

 

(Lavi ne rimase leggermente deluso, perché si ritrovò appunto costretto ad arrabbiarsi anche al posto suo)

 

Con una serietà ed una severità del tutto aliene al suo carattere, si premurò di parlare con le unità dei finders. Lo fece nel refettorio, all’ora di cena della stessa giornata.

 

Era una cosa or-ri-bi-le da fare. Non capivano che Yu Kanda non è stato altro che uno dei troppi sacrifici fatti per questa guerra? Che ha  s p r e c a t o  la sua vita per l’Ordine, e che alla fine non ha mai – maimaimai - avuto scelta? E che il loro è un atteggiamento così puerile ed ingrato, ingrato, ingrato, ingrato...

 

Quella parola sembrava piacergli. La ripetè a lungo.
Lavi li avrebbe semplicemente chiamati bastardi, pensò.

 

Lo distrasse un mormorio, dietro le sue spalle, dalla tavolata vicino a quella dove sedevano i pochi esorcisti rimasti.

“… mentre mangio, mi rovina il gusto del cibo…”

Parole troppo ripetute da Yu, parole talmente ripetute da Yu che chiunque le avrebbe sempre e comunque ricondotte a lui.

La voce, però, non era quella di Yu. Yu non c’è più.
La voce era quella di un finder. Lavi ne ricordava il nome. Maxwell.

Maxwell. Una brava persona, di solito. Un po’ ottusa, ma brava.
Una delle tante vittime della tagliente lingua del giapponese.

Alle sue spalle, quel commento sommesso fu seguito da una risata.

Una risata celata troppo male. Sommessa anche lei.

 

Se Yu fosse stato vivo, se Yu fosse ancora in processo di morire, probabilmente un commento del genere non avrebbe punzecchiato il sempre più sensibile non-cuore di Lavi.

Lavi l’avrebbe catalogato, sarebbe andato al capezzale del morente, e glielo avrebbe raccontato.

Si sarebbe fermato a guardare quegli sfuggenti occhi a mandorla inasprirsi, mostrare barlumi di vita prima di riperdersi in quel modo che apparteneva solo a lui. Il mondo riflesso negli occhi di Yu, un mondo di cui Lavi faceva sempre meno parte.

Si sarebbe fermato ad ascoltare quella voce un po’ tumefatta e roca inasprirsi, in caustici commenti e improperi assortiti. L’avrebbe persino ascoltato mentre la lingua scivolava dall’inglese al cinese al giapponese, sempre più lieve, sempre più fievole, finchè non fosse scemata nel silenzio. Sapeva che il giapponese non si sarebbe neppure accorto d’aver smesso di parlare.

L’avrebbe guardato, poi, mentre Yu guardava il nulla.

 

Se Yu fosse stato ancora miserabilmente vivo, quel pessimo commento gli avrebbe regalato qualche attimo di vita. Un pretesto per tornare ad essere, per qualche attimo, il vecchio Yu di prima.

 

Per illudersi che non era cambiato niente, e che il suo corpo sarebbe guarito. Come sempre.

Ma Yu era morto.

Niente commenti caustici.

Niente borbottii inconsulti.

Niente minacce di morte.

Niente calore sotto le coperte, durante le missioni nei Paesi del Nord.

Niente sguardi onesti, e niente “questo non significa niente”.
Niente labbra sulle sue, niente pelle contro pelle, niente rassicurazioni – siamo ancora esseri umani…

 

(che ironia, per bookman!)

(… che ironia, per Kanda…)

 

Niente Kanda.

Niente Yu.

 

Lavi abbassò lo sguardo, stringendo la forchetta con più forza del dovuto.

 

Lenalee si alzò e corse via dalla stanza.

 

Komui corse via dietro di lei, chiamandola a gran voce.

 

Pover’uomo – pensò Lavi, con distacco forzato. Pover’uomo.

 

Tutto, pur di non pensare ‘povero Lavi’.

 

La vita andò ugualmente avanti, dispotica come al solito. Apparentemente, un finder di nome Gozu doveva la vita a Kanda. Si lanciò pertanto in una difesa accorata, strenua e particolarmente appassionata della memoria del defunto. Parlò di dedizione alla missione, e di sacrificio di sé, e di altruismo – salvo la prima, qualità che mai erano state attribuite al giapponese. Non ad alta voce.

 

Non da un finder.

 

Lavi seguì con disinteresse la discussione-lite che scaturì da quell’intervento – semplicemente troppo stanco per sputare veleno su quei poveri finders che, in fondo, non avevano motivo di essere infelici.

Non sentivano il peso del lutto.

 

Kanda era stato per loro quello che può rappresentare un bullo pluribocciato per una classe di tremanti ed insicuri bambini di prima media.
Un lupo affamato, pronto a sbranarli al minimo errore. Pronto a schiacciarli alla prima occasione.

 

Davvero un piccolo capolavoro, Yu.

 

Lavi non riusciva a costringersi a tenere alto l’onore del ricordo di Yu.
Yu non lo avrebbe mai voluto. Yu le sue battaglie le combatteva sempre da solo.

 

E poi, Bookman i ricordi li serba dentro di sé. Li trascrive su carta, li consegna all’eternità.

 

Yu sarà per sempre con noi.

 

Li consegna all’eternità, e li custodisce per sé. Non c’è bisogno che gli altri sappiano.

 

Io so. Lenalee sa. Marie sa. Komui sa. Tiedoll sa.

 

... è sufficiente, tornò a ripetersi, scostando il piatto ed alzandosi dal tavolo con un movimento involontariamente brusco. Dedicò una perfetta imitazione di sorriso a Marie e Miranda, e decise di andare in biblioteca.

 

Leggere gli annali gli avrebbe portato un po’ di sana alienazione dal suo non-cuore-però-cuore-in-fieri, un’alienazione che non poteva non giovargli.

 

Passò la notte lì, e finì per addormentarsi sullo scrittoio macchiato d’inchiostro.

 

oOoOoOo

 

Nonostante il trambusto del giorno prima, durante la notte il vandalo era tornato ad agire.

 

Miranda si svegliò di soprassalto, ed era notte fonda.
Una debole luce, pallida e spettrale, filtrava da uno spiraglio della finestra sfuggito al sipario delle tende.

 

Ben più vivido era stato il rumore di vetro infranto al di là del muro. Non l’aveva immaginato. Era stato proprio rumore di vetro.
Come la sera prima. Vetro. Infranto.

 

Miranda, Miranda, povera Miranda~

 

Strinse convulsamente le coperte nei pugni pallidi, capelli madidi di sudore incollati alla fronte. Trattenne il respiro.

 

Poi, di nuovo. Nel silenzio, il rumore dei cocci di vetro risuonò cristallino.
No, no, non l’aveva immaginato. Sarebbe dovuta andare a controllare? No. No, no, no, non ne aveva il coraggio.

 

Miranda, Miranda, povera Miranda~

 

E se il vandalo l’avesse attaccata? Buona a nulla, buona a nulla Miranda, se l’avesse attaccata, lei…

 

Lei…

 

Serrò ostinatamente le palpebre, strinse la stretta sulla lenzuola, raccogliendole sul petto.

Rimase così per troppo tempo. Alla fine, con un assordante tonfo, i rumori cessarono. Incerta, la donna schiuse un occhio, cercando di tendere l’orecchio ed affinare l’udito.

 

Ma la notte era nuovamente piombata nel silenzio. Non sentì la porta aprirsi e chiudersi.

Non sentì più nulla, e per un attimo le parve di essere diventata sorda. Rischiò ancora una volta di cadere nel panico.

 

Le ci volle un po’, per recuperare coscienza di sé e della situazione.

No, la porta non s’era aperta e non s’era chiusa. Il vandalo era ancora lì.

 

Miranda, Miranda~

 

Deglutì. Una, due volte.

Poi, posò i piedi nudi sulla fredda e liscia superficie del pavimento, sopprimendo un brivido. Gettandosi sulla camicia da notte uno scuro e liso cardigan di lana – un tempo doveva essere stata soffice – con passi incerti e gambe tremanti si diresse verso la porta della stanza.

 

La schiuse, si affacciò sul corridoio.

E gettò un grido.

 

oOoOoOo

 

Marie non era riuscito a prendere sonno.

Nonostante fosse molto tardi, aveva già rinunciato a cercare di dormire. Di riposare (in pace, amen).

A volte, la sua innocence era una vera e propria maledizione. Lo aiutava certamente a convivere con il suo handicap alla vista, ma il costante brusio di piccole voci che gli riempivano la mente diveniva alle volte insopportabile.

 

I battiti del cuore delle persone a lui vicine divenivano quasi un caotico ritmo tribale, che gli ricordava delle missioni intraprese in Africa con Daisya – pace all’anima sua – e Kanda – bis. Quello delle persone più lontane, un debole richiamo che tuttavia ne risvegliava i sensi, e richiedeva d’essere ascoltato.

 

Alle volte, diveniva insopportabile cogliere anche i più fievoli rumori.
Ma non erano i fievoli rumori a tenerlo sveglio.
Erano i singhiozzi di Lenalee a farlo.

 

Quella poverina non aveva retto ad un cuore doppiamente infranto – così fragile, era sempre stato fragile, il battito del suo cuore. Era ridotta ormai all’ombra di sé stessa.

Kanda le aveva voluto bene, a suo modo. Questo Marie lo sapeva.
La cosa lo avrebbe distrutto – in quel modo silenzioso e invisibile in cui Kanda si lasciava distruggere, giorno dopo giorno. Dignitosamente, orgogliosamente, testardamente silenzioso ed invisibile.

 

Forse avrebbe dovuto cercare di assicurarsi che Lenalee recuperasse, che stesse bene.
Kanda gli aveva salvato la vita, una volta.
Un debito che Marie, nonostante fosse un uomo forte, non era mai riuscito a ricambiare.


Kanda non glielo aveva  m a i  permesso.

 

Con ancora addosso gli abiti della giornata, l’uomo si rigirò sul letto, ponderando o meno sull’andare a cercare un posto più silenzioso dove distendere i nervi e far passare il principio di mal di testa. Non fu, tuttavia, in grado di prendere una decisione autonoma: cristallino, il rumore di vetro infranto riverberò nella sua stessa anima, si espanse, e si zittì. I suoi echi, tuttavia, continuarono a scuoterlo per un po’.
Un rumore talmente vivido che, per un momento, temette che qualcuno fosse entrato nella sua stanza e avesse rotto qualcosa.

 

Ma no, non sentiva nessuno nella sua stanza.
L’unico battito di cuore, lì, era il suo. Come suo era l’unico respiro.

 

Si risollevò seduto sul letto, corrugando appena la fronte.

 

Nuovamente, il rumore di vetro infranto riecheggiò graffiante nel silenzio notturno.

 

Vandalismo.

Il vandalo.

 

Il vandalo era di nuovo lì – nella foga di alzarsi, Marie finì per inciampare nelle lenzuola sfatte. Non chiuse neppure la porta alle sue spalle, nell’abbandonare la stanza.

Durante la sua corsa verso la stanza del compagno di squadra, tuttavia, una delle porte sul suo tragitto si aprì di scatto – repentino rumore di cardini, violento spostamento d’aria – e fu costretto a fermarsi.

 

Seguì un grido, un grido innaturale da banshee irlandese - un cuore che salta un battito - ed un tonfo per terra.

 

“Uh… Miranda?”

 

oOoOoOo

 

 

Per il resto della notte, Miranda non aveva accennato a riprendersi dallo shock di essersi ritrovata nel buio del corridoio l’enorme figura di Marie davanti alla porta, proprio nel momento in cui, tremante, aveva avuto il coraggio di aprirla. Marie si premurò tuttavia di controllare la stanza di Kanda, dopo aver adagiato Miranda sul suo letto – e nulla da fare, la stanza era nuovamente vuota.

 

La finestra era rotta in due punti – cosa che effettivamente spiegava i rumori di vetro infranto. Il giorno seguente, seduto accanto ad una Miranda talmente rossa da sembrare sul punto dell’autocombustione spontanea, raccontò l’accaduto a Lavi. Approfittando, in un certo senso, del ritardo di Lenalee a recarsi in Refettorio.

 

“Non può continuare così. Ha persino distrutto la clessidra di vetro,” concluse l’austriaco, cipiglio preoccupato sul volto. Voce calda e pacata, se non leggermente affranta. “Non può neanche permettere al suo ricordo di riposare in pace? C’era qualcuno che lo odiava davvero così tanto?”

 

Domande senza risposta. Apparentemente. Così vuole la retorica.

Lavi avrebbe azzardato un bel “sì” in risposta ad entrambe. Era stato sempre fin troppo facile, odiare Yu.

 

Oltre a questo pensiero, tuttavia, nella sua mente non se ne aggiravano molti altri – questa calma apparente, questa piatta indifferenza che gli attanagliava l’animo lo spaventava un poco. L’alienazione della notte prima, operata consciamente immergendosi nelle letture della Storia – quella con la S maiuscola – aveva sortito il suo effetto.

 

Tuttavia, era come una visita indesiderata dell’altrettanto indesiderato quarantottesimo alias nella sua coscienza.

 

Indesiderata, non benvenuta.

 

Scosse il capo – schifo, schifo, che schifo quell’indifferenza, ma Bookman ne ha bisogno, vedi cosa succede se…? – ma d’altronde Yu non si trova in quella stanza, ed il suo ricordo non c’entra niente con quella stanza, ed in fondo quella stanza diventerà di qualcun altro, qualche nuovo finder o qualche nuovo membro della scientifica o qualche nuovo esorcista che la farà sua e cancellerà tutte le tracce dell’esistenza di Yu.

 

Yu non è lì, Yu è un mucchio di cenere raccolto in un urna senza nome, fra tante altre urne senza nome.


A prova di Conte, a prova di Akuma.

 

Che idiozia, ora che il Conte… ora che Allen…

 

… che idiozia.

 

La Chiesa è fatta di Idioti.  Idioti. Yu non è neanche lì.

 

Distrattamente, si ritrovò a domandarsi se anche Lenalee stesse cercando ovunque tracce di Allen. Tracce di Kanda. Tracce della passata felicità.

Ricordi, oggetti importanti. Un mazzo di carte con cui si cercava di imparare il poker. Un elastico per capelli prestato e mai restituito.

 

 

Una sciarpa avvolta attorno al collo slanciato quando fa freddo.

Una statuina della Marianne come souvenir della missione svolta in Francia.

Quel braccialetto di perline che da quel giorno Yu portava sempre più di rado.

L’odore del sapone sulla federa del cuscino.

 

Chissà.

Chissà dove sei, Yu.

 

Chissà perché Lenalee non è venuta a mangiare, oggi.

 

OOoOoOo

 

Di Lenalee non si ebbero notizie per tutta la giornata.

Komui disse che era in infermeria. Lo disse con un tono talmente desolato ed infranto, che nessuno ebbe il coraggio di approfondire l’argomento.

Lavi protestò dicendo che voleva andarla a trovare.

Komui disse che stava riposando, e al momento non si sarebbe potuta svegliare comunque.

 

Domani, magari.

 

Domani.

 

Quella notte Lavi, Marie ed una tremante Miranda si appostarono nel corridoio di fronte alle stanze della tedesca e di Kanda. Con un sottile senso di inquietudine, attesero pazientemente che qualcuno si affacciasse nel corridoio. Lavi e Marie finirono per intrattenersi parlando di inezie e sciocchezze, mentre Miranda – con le mani giunte di fronte al petto – fissava con troppo impegno la porta chiusa della stanza vandalizzata. Battendo ciglio il minimo possibile, sul viso un’espressione che rendeva ancora più evidenti le occhiaie delle poche ore di sonno godute in questi ultimi giorni.

 

Non successe nulla.

 

A loro insaputa, l’Orologio dell’edificio scoccò le tre di notte. Ma nessuno s’era affacciato ancora al corridoio – nonostante, la sera prima, i rumori fossero cominciati attorno a quell’orario.

 

I secondi si susseguirono, l’uno dopo l’altro. La mente di Lavi, disillusione personificata, in competizione con il cuore-in-fieri, decise di dichiarare arbitrariamente il caso chiuso. “Non sembra tornerà, oggi.”

 

“Ci avrà visti qui fuori?” tentò Marie, tono vagamente incupito dalla riflessione.

 

“No, no, non si… non si è affacciato nessuno. Ho guardato, ho guardato tutto il tempo!” protestò Miranda, stringendo i pugni contro il petto e serrando le labbra. Come dichiarato, tuttavia, nel parlare non scostò affatto lo sguardo dall’imbocco del corridoio.

 

Com’era sentita, questa sua ricerca del colpevole.

 

E pensare che Yu, lei, neanche lo conosceva. Se non di vista. Chissà cosa pensava di lui.

 

Forse vuole solo dormire.

Forse sono troppo cinico.

 

Forse…

 

… un tonfo sordo interruppe il filo dei suoi pensieri.

Un tonfo sordo proveniente dalla stanza chiusa.

Stanza chiusa in cui non era entrato nessuno.

 

Com’era possibile, allora, che questo nessuno la stesse vandalizzando?

 

Miranda sbiancò del tutto, sguardo vacuo fisso sulla porta. Un nuovo tonfo la fece sobbalzare.

Marie sembrava, invece, semplicemente perplesso. Rimase in silenzio, chiudendo gli occhi annebbiati, quasi concentrandosi ad ascoltare qualcosa.

 

Lavi prese in mano i redini della situazione, e scattò verso la porta.
Non appena Miranda se ne accorse, con preoccupazione tutta materna si precipitò a seguirlo a ruota, tirandolo appena per la manica della maglietta.

 

“A-aspetta, Lavi! Non… non è entrato nessuno, lì, l’abbiamo visto… e…”

 

“Appunto! Appunto, non è entrato nessuno e voglio sapere cosa ca…”

 

“… no… non è saggio!” protestò la donna, un sussurro urgente che sibilò nella penombra del corridoio. Sembrava tremare come una foglia. “Non è affatto…”

 

“… non c’è nessuno lì dentro,” mormorò la voce stranita di Marie.

Nessun respiro. Nessun battito di cuore?

 

Nessuno.

 

Ma ancora, come può nessuno…?

 

Un ulteriore tonfo li distrasse dalla piccola discussione. In tre sobbalzarono.
Poi, l’espressione sul volto di Bookman Jr si contrasse nell’espressione più dura che il quarantanovesimo alias avesse mai vestito.

 

Perché, perché ti arrabbi?

Yu non è lì!

 

Lavi posò la mano sulla maniglia, e Miranda posò la mano sulla mano di Lavi. “Aspett---“

 

Ma Lavi non aveva proprio intenzione di aspettare nessuno.
Scostandosi appena di lato, guadagnò lo spazio necessario per aprire ugualmente la porta.

La quale, di scatto, si ritrovò spalancata.

Miranda si ritrovò davanti alla soglia.

Un cassetto vuoto si ritrovò a volare in direzione di Miranda.

La fronte di Miranda si ritrovò sulla traiettoria del cassetto.

 

Non ebbe neppure il tempo di reagire, la donna: svenne più o meno sull’impatto.

 

Indubbiamente, Miranda era sempre stata una donna sfortunata.

 

 

Fine Capitolo Primo

 

 

 

 

A/N: Ed ecco il primo capitolo ~ Spero possiate gradire.

E’ stato anche questo divertente da scrivere XD

 

_Nana_ : grazie <3 spero continuerai a seguire con piacere *-*

 

Rebychan: Aw, quando ho visto il commento da parte tua mi son sciolta un pochettino, lo ammetto XD Okay, mi son sciolta tanto. Scrivere in questo stile mi diverte da matti, e mi han sempre detto che è il mio peggior “difetto”, quello di scrivere cose drammatiche in stile fin troppo leggero XD Personalmente, adoro l’effetto >.< Grazie mille dei complimenti, spero di riuscire ad essere all’altezza delle aspettative~

 

BloodyKamelot: grazie mille per il commento XD Oddio, su, non piangere ò_ò Se vuoi te lo dico anche, ecco, ma non so quanta verità potrebbe esserci nelle mie parole u.u”

 

Bulma90: Grazie *_* è sempre bello sapere che i personaggi vengono percepiti come IC e ben caratterizzati *-* è una delle difficoltà peggiori, no?, quando si scrive fanfiction XD Spero che il resto della storia sia all’altezza *_*/

 

Lalani: aww ç.ò mi fai commuovere, così! Mi sento un po’ rassicurata, magari non sono del tutto arrugginita. Farò del mio meglio per non deludere Lala approfittatrice è_è” Il LaviKanda si è affacciato già da questo primo capitolo – verrà approfondito in seguito – mentre il LaviLena… è un parto della mia mente malata e spaventa anche me, sinceramente.  … però, niente Kanda-fantasma in questo capitolo ç.ò lo so, sono terribile, orribile! Cattiva Dobby è_è [si stira le orecchie] Però questo capitolo implorava di essere impostato in questo modo, e non sono riuscita a dissuaderlo. Nel prossimo, Kanda fantasma sarà la vera star u.u

 

Yuko_chan: grazie millerrimo~ <3 Sì’, l’idea può sembrare da one-shot, ma ti assicuro che ho una bella tabella di marcia da adempiere >_< Più che altro, è una sfida con me stessa, per vedere se riesco a raccontare la storia come la vorrei. Spero di riuscirci è_é ce la metterò tutta~

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Capitolo 3
*** Quella traccia di nebbia che ti assomiglia ***


{As death goes on}

{As death goes on}


Capitolo Due

“ quella traccia di nebbia che ti assomiglia ”

 

 

“Disponi riguardo alle cose della tua casa, perché morirai e non guarirai.”

(Isaia, 38, 1)

 

Kanda si era svegliato, e aveva distrattamente pensato di essere vivo.

Per un attimo, aveva maledetto quel Dio così distante dai suoi figli.
Poi, accorgendosi che tutto sommato il dolore di vivere s’era in qualche modo acquietato durante la notte, aveva chiesto scusa con riluttanza.

(pura prassi – Tiedoll diceva sempre che Dio perdonava tutti comunque)

Poi, accorgendosi che il dolore di vivere non avrebbe dovuto acquietarsi, aveva cominciato a sentire puzza di bruciato.

 

Aveva aperto gli occhi, e aveva trovato davanti il solito vecchio soffitto.

Aveva tentato di sollevarsi sui gomiti, e c’era riuscito. Era rimasto lì, seduto per un po’.

Qualcosa era andato storto, però. C’era qualcosa di terribilmente sbagliato.

 

Ad esempio, la stanza era troppo poco floreale.

Neanche un fiore di loto  nel suo campo visivo. Un pensiero talmente irreale, che per un attimo si sentì mancare figurativamente il respiro.

Poi, aveva poggiato i piedi sul pavimento. Che non era né freddo né caldo, né ruvido né liscio, e se non fosse consapevole di essersi appena alzato in piedi, avrebbe giurato di star fluttuando.

 

Ah, che cosa ridicola.

 

Lavi lo avrebbe preso in giro. Sì, decisamente.

Qualcosa tipo: c’è qualcosa che si chiama forza di gravità, Yu-chan~ Con quella voce così zuccherosa e cantilenata che Kanda sarebbe riuscito a calmarsi soltanto pensando a tutte le cose di cui era colpevole questa fantomatica forza di gravità con la sua fantomatica formula che il giapponese si era rifiutato di imparare per principio, quando Lavi aveva tentato di insegnargliela.

Era la forza di gravità, che faceva sì che Lavi gli si gettasse sempre addosso e…

 

… e la sua mente tendeva a vagare un po’ più del solito, ecco di cosa si accorse.

Atmosfera irreale e mente cotonata e confusa.

Con-fu-sio-ne.

Sì, sì, i suoi pensieri non facevano che con-fondersi, fondersi insieme.
Sì, gli ultimi giorni erano come una grande sfumatura di colori e suoni e sensazioni e febbre alta e

 

Aveva messo il tutto nell’elenco di cose strane – appena sotto la dicitura ‘campo di fiori scomparso’ – e, cercando di affrontare il tutto a sangue freddo com’era solito fare,  s’era voltato verso il piccolo ripiano in legno massiccio. Dove, al momento del trasloco, aveva riposto la sua clessidra – quella che faceva ridere Lavi nonostante non ci fosse assolutamente niente da ridere, e citare la Bella e la Bestia e la teca e la rosa e ‘qual è la data di scadenza, ne? fino a quando ho tempo, Yu? fino a quando? tornerò, io, torneròtorneròtornerò’ - e il suo fottutissimo loto.

 

Ecco, bestemmiare lo aveva un po’ aiutato a recuperare presenza di spirito.

 

Servì a poco.

 

Il loto era completamente appassito del tutto.
Il che potrebbe sembrare ridondante, ma fu il primo pensiero coerente che la sua mente era riuscita a mettere insieme.

 

Completamente appassito del tutto.

 

Neanche un misero petalo ad arrampicarsi sugli specchi e tener lì ancorate le manine per non cadere giù.

 

Quella vista lo aveva avviato verso una leggera – e quantomai nascosta – crisi di panico, che lo aveva lasciato ancorato lì. Piedi nudi, braccia a penzoloni e camicia aggrinzita – non aveva permesso a nessuno di cambiarlo, dopo che aveva deciso una mattina d’arrischiarsi in refettorio (ed era svenuto a metà strada verso le scale). Non ebbe neanche il tempo di processare il fatto che la camicia non avesse il pessimo puzzo di sudore che avrebbe dovuto avere, dopo tutta quella febbre.

 

Lavi era entrato nella stanza, e si era premurato di rincarare la dose di panico.

Al rumore dei cardini non-tanto-ben-oleati, Kanda si era voltato verso la soglia con un po’ troppa fretta. Movimento terribilmente inconsistente, e terribilmente facile e fluido e quasi… quasi…

 

Lavi non lo aveva neanche guardato in faccia.

Si era fermato un attimo sulla soglia, guardando il letto appena sopra la sua spalla. Con un’espressione quasi… intenerita, quasi
(--- oh, Dio, cosa diavolo era quell’espressione mentre guardava lui? l’avrebbe ucciso, oh, dio, se l’avrebbe ucci---)

Kanda aveva battuto giglio.

 

Poi, l’espressione di Lavi si era appena accigliata.

Anche quella di Kanda, quindi si era accigliata.
Senti, La---“ aveva esordito, un sibilo fin troppo simile ad una lama di ghiaccio.

 

Lavi aveva deglutito, e si era affrettato a passargli attraverso.

 

Passargli.

 

Attraverso.

 

Il cuore-che-non-c’è di Kanda aveva saltato un battito per pura inerzia, mentre il giapponese, in quella realtà completamente irreale, s’era appena girato d’un lato.

… vide che Lavi era accanto a lui.

Solo che non accanto al lui-che-stava-guardando-Lavi, ma piuttosto, accanto al lui-che-non-respirava-sul-letto.

 

Il cervello-che-non-c’è di Kanda aveva più o meno smesso di lavorare a quel punto, rifiutando di razionalizzare oltre la situazione.


E per un attimo, era stato come scomparire del tutto dal mondo.

 

Aveva smesso di pensare, e aveva smesso di esistere.
Una sensazione veramente orribile.

Era riaffiorato con la stessa foga di una vittima di naufragio.

 

Quando lo aveva fatto, Lavi era già corso via.
Il suo corpo già non c’era più.

 

Cosa? Quando?

 

E soprattutto.

 

Come?

 

Rabbia, astio, e rabbia ancora e quella sensazione di vuoto dovrebbe avrebbe dovuto esserci il suo cuore.

Essere arrabbiati invece che spaventati era così semplice, sul campo di battaglia.

Ed incredibilmente più produttivo, poi.

 

La clessidra e il loto appassito furono i primi, a cadere.

 

… l’ultimo, evidentemente, il destino aveva deciso sarebbe stato quel cassetto che aveva attaccato la fronte della donna piagnucolona che stava sempre appiccicata a Marie e che Marie sembrava sopportare più del dovuto.

Kanda non riusciva a ricordarne il nome, al momento. Forse si chiamava Marie anche lei. O Maria.

 

Non importava, davvero.

 

oOoOoOo

 

 

Il cassetto colpì Miranda, che cadde a terra con la medesima grazia di un sacco di patate buttato alla deriva.

Lavi non prestò attenzione a lei – che cosa orribile – perché c’era Marie ad occuparsene – tutte scuse – e s’affrettò invece ad entrare nella stanza di Kanda per la seconda volta dopo la morte del suo legittimo proprietario. Non sentì Marie deglutire alle sue spalle, e non lo vide accigliarsi, e non vide la sue espressione di sorpresa mentre, con l’accortezza di un cavaliere di tempi andati, si premurava di sollevare la povera donna maltrattata dal pavimento.

I suoi occhi ciechi guardavano il vuoto – e forse per questo la sua sorpresa sarebbe sembrata strana a non pochi.

 

Lavi non l’avrebbe trovata strana.
Ma Lavi non stava guardando Marie.

Lavi stava camminando verso il comodino abusato.

 

La stanza era vuota. Non c’era nessuno.

 

Lavi era leggermente deluso. Si fermò al centro della camera, a poco più d’un metro dal letto sfatto e disordinato e dalle lenzuola lacerate.


Proprio in quel punto, aveva piantato la sua sedia al capezzale di Yu-chan, quando lui s’era definitivamente ammalato di troppa vita.

 

La sedia era riversa contro il muro, ora, e sembrava non reggersi tanto bene su una gamba. Veniva da chiedersi come diavolo avesse fatto Miranda a dormire, quelle notti.

Sembrava davvero più stanca del solito, però.

 

Il pensiero vagò per poco più di qualche nanosecondo, per riprendersi dall’amara delusione di non aver trovato il colpevole.

Poi, però, fu interrotto dalla voce di Marie.

Che sembrava insicura, e suonava decisamente strano sentire il tono di voce dell’austriaco, così profondo e terso, suonare così terribilmente incerto.

 

Ma non fu tanto il tono, però, quanto la parola mormorata da Marie a fargli correre un brivido proprio lì, su per la schiena.

 

“… Kanda?”

 

Kanda.
La voce insicura di Marie aveva chiamato Kanda.

Per un attimo, non solo il cuore, ma anche il cervello – arma primaria di bookman – gli si bloccò sul posto.

Poi, Lavi scoppiò a ridere. Quella risata falsa, e frivola, e sembrava essere tornati a cinque anni fa, quando tutto – tuttotuttotutto - era falso e frivolo

(…Dio, col senno di poi…)

 

… e il nome di Kanda sembra per un attimo pesare sulla stanza, sul silenzio della stanza, su di loro come una spada di Damocle.

O come Mugen pronta a portare a termine una minaccia di morte particolarmente violenta.

 

Poi, per una qualche regola-fantasma, qualcosa che assomigliava a Kanda semplicemente sfumò nel piano dell’esistenza.
Un’ombra, poco più di un’ombra immobile fra Lavi e Marie.

Un’ombra priva di colore, di consistenza. Fioca.
Un’ombra che sembrava fatta di nebbia, che assomigliava a Kanda, ma da dietro poteva solo vedere i fili di nebbia sfatti che ne facevano i capelli sfatti dalla febbre, e i fili di nebbia delle mani che si contraevano lungo i fianchi, e i fili di nebbia che costituivano tutto e lasciavano ancora vedere Marie dall’altra parte, e il pavimento attraverso i piedi, e la porta attraverso il petto.

 

Lavi non ebbe neanche la presenza di spirito di gridare, o mostrarsi sorpreso.

Fu come se l’intero fottutissimo mondo gli fosse crollato addosso e, l’attimo appena successivo, quel peso enorme gli fosse stato immediatamente tolto dalle spalle.

Un’agonia così breve e così intensa gli riverberò nel cuore che non avrebbe dovuto sentire un bel nulla, seguita a ruota da un irrazionale barlume di gioia e speranza e… e roba talmente sbagliata da sentire che venne repressa più o meno nell’istante in cui si accorse di provarla.

 

Venne lasciato con un’incredibile apatia che gli fece paura. Non è così che funziona il cuore, Bookman, semplicemente non puoi…

La traccia-di-nebbia-che-assomigliava-a-Yu-chan si voltò verso di lui. Lavi vide lo sguardo di nebbia fioca brillare braccato, e il volto sciupato di Yu quando era morto, ed emozioni così vivide che il volto vero dello Yu vero non si sarebbe neanche mai sognato di mostrare.

 

Kanda sembrò diradarsi per un attimo.
Poi diventò appena più nitido.
Poi sembrò diradarsi ancora.

Poi venne messo a fuoco.

Poi il suo sguardo incrociò quello maledettamente apatico di Lavi.
Si accesero, quegli occhi di nebbia.

E poi, si spensero del tutto.
Il fantasma di Yu Kanda – era quello che era, no? – scomparve con loro.

 

Lavi rimase lì, teso come una corda di violino.
Il controllo gli scivolò via dalle dita, e si ritrovò a tremare nuovamente di quelle emozioni così stupide e contrastanti e terribilmente egoistiche che avrebbero fatto terribilmente gola al conte, se questi fosse ancora vivo e Allen non fosse morto.

Grazie a Dio,
Grazie a Dio…

 

Marie ebbe la fortuna di trovarsi già inginocchiato per terra accanto a Miranda, quindi le sue gambe non cedettero.

“Era lui? Lavi, era lui?” stava chiedendo, con quel tono di voce così devoto e rispettoso e così turbato ed insicuro che per un attimo Lavi trasalì.

 

Non rispose.

Il suo occhio guardava il punto in cui Yu era apparso e scomparso.

Fantasma.

 

Un’impronta di Yu su questo mondo.

 

Dove sei, Yu-chan?

Ancora qui.

Ancora qui.

 

oOoOoOo

 

Erano rimasti lì, per un po’.
In piena notte, nella speranza che quella traccia di Kanda si facesse nuovamente viva.

Non accadde.

Lavi, scosso, si sedette sul letto sfatto e piantò le tende lì. Non rispose a Marie che gli chiedeva se ‘per favore puoi andare a riportare tutto a Komui, mentre porto Miranda in Infermeria? La sua testa…’

 

Marie sospirò. La sua voce tremante mormorò un ‘me ne occupo io’ e la sua mano tremante chiuse la porta.

Era davvero un’ottima persona. Doveva essere stato un ottimo compagno, per Yu.

 

Tuttavia, Lavi non rispose lo stesso.

 

Il suo occhio, con quella mania ossessiva che solo gli studiosi e gli scienziati e i pazzi possiedono, stava ancora fissando il punto esatto in cui Yu si era affacciato nuovamente al loro mondo.

 

Lavi aveva evidentemente piantato le tende lì.

 

Ora, bisogna tener conto che anche Kanda era stato più o meno costretto dalla sua nuova natura a piantarcele.

Lo aveva scoperto con le cattive, perché all’inizio era entrato nel panico perché passava attraverso le cose, e poi perché doveva concentrarsi veramente troppo per toccarle, e poi perché la maniglia non riusciva a toccarla comunque e tuttavia la porta non lo faceva passare dall’altra parte, e quando era stata aperta da chi investigava sul “vandalo”, quella fottutissima soglia non lo aveva lasciato uscire comunque. No, la dannatissima stanza lo aveva preso per il cuore, fra le tante altre cose, e lo aveva rimesso al suo posto. Lo aveva scaraventato, quella stanza, seduto sul letto.

 

Al diciassettesimo tentativo, persino Yu Kanda aveva capito di essere bloccato lì.

 

Ed ora, pareva costretto a stare lì con Lavi che per un attimo era parso pronto a scoppiare a piangere nel vederlo.
Lavi.
E piangere.
Kanda si sentiva intrappolato in una stanza con un Lavi capace di scoppiare a piangere.

 

Un incubo.

Oltre al danno, la beffa.

Pertanto, la cosa lo seccava da morire.
 

Lo seccava talmente tanto, che si chinò, volle prendere una scheggia di vetro da terra, avendolo voluto la prese, e la lanciò senza troppi complimenti contro l’altro occhio di Lavi, quello buono.

Che rimanesse pure cieco, l’idiota.

 

Incredibilmente – o forse per puro riflesso, o per la sua fottutissima vista a più di dieci decimi - Lavi riuscì a rendersene conto in tempo e scansarsi. Piuttosto impacciatamente, parandosi la testa con le mani. Kanda sentì vividamente la frustrazione – da quando si era svegliato, sembrava sentire un po’ tutto troppo vividamente – e finì per non tentare di colpirlo una seconda volta.

 

Lavi si azzardò a sollevare appena il capo. Sembrava ancora combattuto. Il suo corpo era teso – lo si vedeva chiaramente, dai muscoli del collo, e la mascella contratta e…

 

“Sei… arrabbiato con me, Yu?” mormorò, con quella voce così priva di equilibrio.

 

Ma dai, Sherlock – voleva rispondere Kanda. Ma non lo fece.

 

Ma come?

Arrabbiato?
Con lui?
Chissà perché, poi.

 

oOoOoOo

 

Purtroppo, Komui era in Infermeria da Lenalee, quando Marie portò dentro anche Miranda.

Marie lo vide seduto con la sua uniforme bianca, e con un’aria pensierosa, stanca, ed assonnata. Talmente stanca ed assonnata, che l’esorcista dovette schiarirsi la voce per farsi notare, mentre poggiava la tedesca sul lettino asettico accanto a quello di Lenalee. Dietro di lui, la matrona li seguiva a ruota, borbottando.

Marie non aveva trovato veramente la forza ed il cuore di dirle cos’era successo – e, Dio, cosa stava ancora succedendo – considerando com’era andata a finire la questione dell’ultimo fantasma residente nell’Ordine.

 

Tuttavia Komui era saltato sulla sedia, quando Marie si era schiarito la voce.
Per poco, non era caduto sul letto dove la cinese era distesa, ben composta fra le coperte come una qualche imitazione di Biancaneve nella bara di cristallo.

O come la bella addormentata nel bosco adagiata casualmente fra i rovi.

Lo sguardo di Komui vagò su Marie, interrogativo – vi persistette un attimo, prima di tornare su sua sorella.

Facendosi appena preoccupato.

Marie sentì tuttavia le variazioni di respiro nell’altro, ed attese.

Sentì anche dal respiro di Lenalee, che la ragazza era perfettamente sveglia.
Forse, fingeva di dormire.

 

Non avendo il cuore di dire “non voglio parlarne”, fingeva di dormire.
Tipico di Lenalee.
Tipico di Kanda, anche.

 

“Sta bene?” indagò Marie, voce abbassata a poco più d’un sussurro per non svegliarla.

Le labbra del Supervisore si piegarono appena all’ingiù, involontariamente. “Ha avuto un crollo. Ieri notte. Stava…” qualunque cosa stesse facendo Lenalee, quando aveva avuto il crollo, non era dato saperlo. Komui si interruppe lì, facendo spallucce. “L’hanno dovuta mettere a dormire, per farla calmare.”

Sembrava così stanco.
Forse avrebbero dovuto mettere a dormire anche lui.

“Incubi?”

“Forse. Non me lo dirà mai,” ammise Komui, stringendo appena le labbra quasi stesse ingoiando un rospo particolarmente viscido.

“E’ cresciuta,” ragionò l’esorcista.

Ha visto la guerra. Logico che è cresciuta.

“Non posso più continuare a trattarla come una bambina, eh?” mormorò l’altro, e per un attimo la voce sembrò amareggiata. Tuttavia, le labbra si erano piegate in un piccolo sorriso, solo nel guardarla.

 

Sembrò prendersi un attimo, quasi a farsi forza. Poi, vedendo che Marie indugiava accanto al lettino di Miranda senza andar via, Komui dedicò del tutto la sua attenzione all’austriaco.

“Cos’è successo a Miranda?” domandò, quel piccolo sorriso abbarbicato sulle labbra.

“E’ stata colpita… dallo spigolo di un cassetto,” mormorò l’altro, e l’intera assurdità della situazione sembrò crollargli addosso più o meno in quel preciso momento.

 

A Tiedoll gli si sarebbe spezzato il cuore, per la terza volta.
Pensò distrattamente che Daisya si sarebbe arrabbiato da morire, nel sapere che Kanda lo aveva battuto spezzando il cuore del Generale ben due volte con la sua sola morte.
Daisya era riuscito a spezzarglielo una volta sola – maestosamente, tuttavia.
Il fiume di lacrime era dilagato lo stesso.

 

Pensieri sciocchi. Non era una gara.

(anche se per Daisya e Kanda tutto lo era)

 

Marie portò la mano possente al viso, e pizzicò l’attaccatura del naso.

 

“Lo spigolo di un cassetto?” stava intanto ripetendo Komui, appena stralunato.

 

“Lo spigolo del cassetto che Kanda ha lanciato,” spiegò l’uomo, e la sua voce si incrinò appena.
Un po’ sotto il peso dell’affermazione, un po’ per il beneficio del dubbio.

 

“Ah,” il Supervisore si lasciò sfuggire un suono divertito. “Tipico di Kanda.”

 

Marie battè ciglio, nonostante non ne avesse bisogno.
Passò qualche momento.

L’espressione di Komui si incupì.

 

“… Kanda?” ripetè, quindi, occhi appena sgranati verso Marie. Non che servisse a molto, dal momento che Marie non poteva vederli. Tuttavia, colse benissimo il cambiamento di ritmo nei battiti cardiaci.

E non solo quello di Komui.

 

Anche quello di Lenalee, sembrava voler farsi strada nella cassa toracica della ragazza.

 

oOoOoOo

 

Deve andare avanti, Lenalee,” si ritrovò Komui a spiegare, più tardi, a sua sorella.

Sua sorella che aveva finalmente smesso di fingere di dormire, ma non l’aveva ancora guardato in volto.

Neanche lui la guardava in volto, posando piuttosto la sua attenzione sui pugni magri che stringevano, quasi spasmodicamente, le lenzuola. Le aggrinzivano con vigore, come se le avessero fatto un torto imperdonabile.

 

Povere, innocenti, lenzuola.

 

“Dobbiamo aiutarlo ad andare avanti,” ripetè il Supervisore, con quel tono di voce vagamente sorpreso di quel che lui stesso va dicendo. Il tono di voce di chi non ha ancora avuto il tempo di digerire il tutto.

 

Lenalee, da qualche parte nel suo puzzle di cuore, sapeva perfettamente che era quella la cosa giusta da fare.

 

Ma questo non implicava che volesse---

 

Andare avanti.

Come quel povero fantasma di quella povera vittima – povere vittime? – di esperimenti, alla vecchia torre.

 

Andare avanti.

 

“Pensi che a Kanda piacerebbe stare così?

 

No.

 

Mio fratello vuole bene a Kanda.

(voleva bene? vuole?)

Anche io gli voglio bene.

 

Andare avanti.

 

Andare avanti.

 

Dovrebbe essere la cosa giusta. Ma Kanda è ancora lì, è ancora lì e…

 

… andare avanti.

 

Non è…

… non è questo, ne?

 

… non è questo, che anche Allen vorrebbe?

 

Lenalee finì per soffocare la sua frustrazione nel cuscino.
Komui, dal canto suo, soffocò la sua in un sorriso preconfezionato.

Troppo poco, ormai.

Non basta più, per farla sorridere di rimando.

 

 

Fine Capitolo Secondo

 

 

 

 

A/N: Scritto alle tre di notte. Quando l’ispirazione chiama, si risponde – purtroppo ._.

 

 

Rebychan: Bentornè~ Kanda è DECISAMENTE un fantasma incazzoso, direi. Poverino, è frustrato e neanche accenna a voler ammetterlo. Ed i poveri mobili neanche gli hanno fatto niente, poi! Bah, che maleducato >_<” Miranda è un personaggio che sto riscoprendo adesso, come divertente da scrivere – devo ammettere che per lei mi baso molto su quelle che sarebbero le mie reazioni. Si, purtroppo son più paranoica di lei. Ma perlomeno, me la rende abbastanza facile da scrivere – e poi, usarla come sfogo comico è troppo divertente. E Marie è un po’ come un grande gargoyle buono. Un grande orso in pietra di quelli che si trovano a Berlino, ecco – mi vien voglia di cercare di saltargli al collo X°D Lavi si sta rivelando quello più difficile da gestire, al momento. Ed è tutta colpa di Freud, dei suoi desideri inaccettabili e delle sue repressioni. Mi ci son drogata, in questo periodo. Lentamente la confusione svanirà – d’altronde, dovrà pur ricordarsi che è LUI, quello intelligente. Non Kanda.  E per quanto riguarda il rapporto… ahn, vedremo u.u {fa la preziosa}. Lenalee purtroppo finisce per ridursimi sempre così, ogni volta che scrivo. Ma non è tanto la morte di Kanda in sé, credo, ma la naturale reazione alla morte di Allen. Kanda ha solo dato il colpo di grazia sulla sua fragile psiche, ecco. Per quanto riguarda lo stile, grazie ancora~ Da una certa soddisfazione sapere che qualcuno che non è incline a leggere un determinato tipo di storie, riesce comunque a seguirla con piacere. Anche se non parlerei affatto di lacune nel tuo stile XD Vorrei avere metà della tua chiarezza nello scrivere le situazione. Mi basterebbe anche metà della tua fantasia XD

 

Lalani: ero molto indecisa sul tenere o meno il titolo. Purtroppo – ed è una cosa veramente deleteria –mentre scrivo questa fic non riesco a smettere di ridere. E’ seriamente un problema serio. Quel titolo l’avevo messo lì tanto per fare, per occupare lo spazio invece di scrivere “titolo qui” mentre preparavo l’impaginazione. E invece… invece ho deciso che stava bene con l’atmosfera della fic in generale, e son contenta che tu abbia apprezzato *_* {Talmente contenta che zampetta sulla sedia}. Lavi è sempre il solito problema. Lentamente si scioglierà da quella reazione, quindi non preoccuparti. E poi, i particolari del loro rapporto verranno dispensati lungo la fic XD Alleeeen… Ti dirò la verità. Non. So. Scriverlo. Quel dannato non so scriverlo! >_<” Quando c’è lui nelle mie fanfiction, ci metto il triplo del tempo ad aggiornare. Per colpa sua perché non so scriverlo! Quindi, uh… ho incorporato la sua scomparsa nella storia >_>” E’ già ostica di suo, senza inserirci il personaggio che non so scrivere, ecco XD E, by the way… spero che Kanda il fantasma di Canter—coff, coff, ehm, il fantasma amico sia stato di tuo gradimento *_*/

 

Ermellino: ma salve! Ehm, sì, veramente il capitolo l’ho interrotto lì per necessità. Sarebbe dovuto essere unito a questo, ma sarebbe stato un capitolo di dimensioni epiche. Cerco di evitarli, quelli, perché quando ricontrollo tutto ci sono seeeempre cose che mi sfuggono se son troppo lunghi. Per il seguito più allegro, uh… non posso garantire. Purtroppo, ecco, non sono geneticamente capace di scrivere cose allegre. Le uniche cose comiche che riesco a scrivere hanno comunque a che vedere con la tortura di qualche personaggio ç.ò” [che poi, cosE comiche. Ne ho scritta una-una contata X°D]

 

_NaNa_: grazie mille~ spero di non averci messo troppo tempo >_<” La scuola mi fa perdere obiettivamente troppo tempo che potrei usare altrimenti è_é”

 

bulma90: la LaviKanda diventerà sempre più evidente, ora che Kanda si è deciso a fare una capatina dall’oltretomba XD Con annessi i riferimenti alla relazione passata che sussisteva tra i due. … dei, quanto li adoro >_< Devo smetterla di adorarli così, finiranno per farmi diventare ossessionata >_<” Cercherò di aggiornare il più veloce possibile, signora ~ <3

 

 

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Capitolo 4
*** Il gioco della colpa ***


{As death goes on}

{As death goes on}


Capitolo Tre

“ il gioco della colpa ”

 

“Maledetto l'uomo che confida nell'uomo,
che pone nella carne il suo sostegno
 e dal Signore allontana il suo cuore.”
(Geremia, 17, 5)

 

Qualcuno bussò alla porta del capezzale di Yu, qualche ora dopo che Lavi ci avesse piantato le tende.
Lavi, non avendone voglia, non rispose. Non servì a molto, comunque, dal momento che il Generale Tiedoll la aprì lo stesso, fermandosi sulla soglia.

 

Il suo sguardo schermato dagli occhiali si era fermato solo un attimo su Lavi – ed il suo sguardo aveva gli occhi rossi di pianto.

Pover’uomo.

Rimase fermo, qualche attimo.
Poi, come se nulla fosse accaduto, non entrò e richiuse la porta.

 

Lavi non lo biasimò affatto.
Lo sapeva, che Tiedoll era in qualche modo convinto che Kanda sarebbe andato sicuramente all’inferno per colpa di Lavi. Aveva a lungo sentito i loro discorsi, qualche mattina presto. Mentre faceva finta di dormire e dava loro le spalle, voltato verso il muro. Grato per le lenzuola che coprivano i loro corpi non-proprio-vestiti.

 

All’epoca in cui Tiedoll, gettando all’aria ogni concetto di privacy in nome del suo affetto paterno, entrava nella camera di Yu.
(perché Tiedoll aveva sempre le chiavi delle stanze dei suoi discepoli)
Era uno dei lati negativi di averlo come maestro. Sentiva la mancanza della sua famiglia a Parigi, di sua moglie che aveva detto ‘ti aspetterò, ti aspetterò’ - ma chi ci crede davvero? – e di figli diventati grandi senza di lui.

A Tiedoll piaceva, giocare alla famiglia – ed era, appunto, uno dei suoi lati discutibilmente negativi.

 

L’altro lato negativo, dal punto di vista di Lavi, era quello che Tiedoll era uno dei pochi, nell’Ordine, a credere ancora in Dio. Nonostante la guerra, Tiedoll credeva ancora nelle favole.

Aveva sentito i suoi discorsi con Kanda, quelle mattine.

 

“Di nuovo…?”

“Dovrei dirlo io. Non sono affari suoi, Gener---”

“Sì che lo sono.”
”Se se ne esce
di nuovo con quella storia del padre, giuro che…”
”E’ un
peccato, Yu-kun.”
”…”
”L’innocence finirà per voltarti le spalle. Per colpa…”

“… Mugen non lo farà.”

“… lo spero. Lo spero davvero.”


Il saperlo ancora ancorato a questa vita, forse, gli aveva fatto sentire quella gioia egoisticamente sbagliata che anche Lavi, nel profondo del cuore, sentiva.

 

Non deve bruciare fra i dannati, ecco forse cosa pensava il Generale. Non deve.

 

E poi, il tacito ‘non certo per merito tuo, Bookman Junior’.


Tiedoll era stato sempre diffidente, nei confronti di Bookman. E a maggior ragione.
No, era sicuro che Tiedoll fosse sempre stato un padre premuroso e protettivo.
Una mamma chioccia fin troppo dedita ad assicurarsi che i suoi discepoli riuscissero ad arrivare fino alla fine della guerra senza troppe cicatrici, fossero esse fisiche o mentali.

 

(basti vedere come c’era riuscito male, poi)

 

No, Lavi non poteva proprio biasimarlo. I piani alti sentivano sempre tutti un po’ in colpa, quando si trattava di Yu.

Era incredibilmente facile, dal momento che anche Yu tendeva a dare la colpa di qualsiasi cosa agli altri, anche quando la colpa – diciamocelo chiaro e tondo – era solo sua.

 

Un po’ quando i cani randagi ammazzano i bambini per strada.

Non è colpa del cane, dicono.
E’ colpa di chi l’ha messo su, di chi l’ha abbandonato, chi l’ha maltrattato.

 

Ecco.

Con Yu aveva sempre funzionato così, nei piani alti dell’Ordine.


Si accoccolò appena di più fra le lenzuola, nascondendo una nota di disappunto. Quelle lenzuola lacerate non avevano l’odore di Yu, odoravano solo di pulito.
Dovevano essere state sostituite dopo il primo avvistamento del ‘vandalo’.  Lavi chiuse gli occhi, e continuò tuttavia a respirarne l’odore asettico. Sapeva, in qualche modo, che la cosa avrebbe fatto infuriare Yu

(leggasi infuriare come  i m b a r a z z a r e)

e sperava, in qualche modo, che la cosa lo avrebbe fatto infuriare abbastanza da presentarsi di nuovo.

 

Non funzionò, e Lavi rimase solo con la compagnia di una manciata di ricordi.

 

 L’infermeria gli era sembrata, a quel tempo, un luogo incredibilmente noioso. Con il polso buono – l’altro purtroppo fratturato in seguito all’ultima missione – stava affrontando una delle tante letture che il Panda gli voleva far imparare a memoria. Annali.

“Cosa devo fare con te?” stava dicendo un uomo dall’aspetto dimesso, seduto accanto al lettino di fronte al suo, mentre lavorava a maglia. La ragazzina sul letto non aveva risposto, fin troppo intenta ad osservare caparbia un punto indefinito di fronte a sé. Peccato che quel punto indefinito sembrava coincidere con il petto di Lavi.
E la cosa faceva sentire l’allievo di Bookman leggermente a disagio.

 

“Sei così giovane. Questa tua impulsività non ti farà bene, e non farà bene neanche a me. Cosa devo fare con te e con Daisya? Prendi Marie, ad esempio…”

 

Oh, si.

 

Lavi ricordava bene. Prendi Marie, ad esempio.

Tiedoll lo sapeva bene, che Daisya e Kanda sarebbero stati la sua rovina.

Sapeva che sarebbe dovuto andare contro le stesse leggi della natura, e seppellire i suoi stessi figli.

 

Ricordava bene come, a quel punto, lo sguardo della ragazzina aveva momentaneamente incontrato quello di Lavi. Come il suo broncio, su quelle labbra color pastello, si fosse appena accentuato. Quasi non avesse voglia di essere sgridata a quel modo, davanti ad estranei.

 

Lavi ricordava di averla trovata una cosa terribilmente carina.

Aveva begli occhi, quella ragazzina. Di un grigio scuro sfumato quasi di blu – quasi nero, ma non proprio.

 

“Smettila,” aveva detto la ragazzina.

Già. Lavi ricordava bene, ed ogni volta che ricordava, immancabilmente scoppiava a ridere.
Scoppiò a ridere anche lì, sul letto, da solo. Una risata un po’ amara che, se non appropriatamente controllata, rischiava di sfogare in lacrime senza troppe pretese.

Dalla voce, era stato evidente che la ragazzina non fosse una ragazzina.

 

“Stupido… stupido vecchio, sto bene da una vita! Mi faccia uscire di qui! Non ne poss---“
”Se passare un paio di giorni in infermeria è l’unico modo per far sì che tu stia più attento, la prossima vol---“

“--- non ho bisogno di stare in infermeria! E sono sicuro che…”
”… che sarà un’esperienza utile e formativa dal punto di vista sociale, ne sono sicuro anch’io.”


”Fuori. Esca. Fuori. Di. Qui.”

 

“Sonno? Allora sì, farò meglio ad andare. Dormire fa bene ai feriti, il corpo si concentra tutto a guarire la ferita, sai?”
Non c’è, una feri---“
”E poi, ho lasciato soli Daisya e Marie. Temo Marie non riesca a tenerlo sotto controllo… Se ti senti solo, Yu-kun---“
Kanda.”
”--- puoi sempre parlare con l’allievo di Bookman, no? Avete la stessa età, mi pare. Mi raccomando, non fare il timido.”

“… timido?!”

 

“Sono sicuro andrete perfettamente d’accordo.”


Lavi si ritrovò a domandarsi se Tiedoll si fosse mai pentito, di aver detto quelle parole.
A domandarsi se, magari, se le ricordasse ancora.

In qualche modo, era stato il generale a far sì che si parlassero la prima volta. Lavi era abbastanza sicuro che, con il senno di poi, Tiedoll gli avrebbe
ca-te-go-ri-ca-men-te impedito di rivolgergli la parola.

E avrebbe portato Yu lontano da quella
maledettissima infermeria.

Invece no. Invece Tiedoll se n’era andato, e Lavi era rimasto.

Era stato quello, principalmente, l’errore.

 

“… Lavi?” bussò una voce, appena bassa ed ovattata, al di là della porta. Per un attimo, Lavi non la collegò proprio a nessuno, sollevando appena la testa dalle lenzuola rovinate. Batté ciglio.

 

E’ questo, pensò, il brutto di fare gli amiconi. Nessuno capisce quando vuoi essere lasciato in pace.

 

Ancora una volta, non rispose e chiuse gli occhi.

Ancora una volta, inspirò profondamente le lenzuola, nella speranza di innervosire Yu.

Reclamando attenzione.

 

Ancora una volta, fallì.

 

“… Lavi?” stava ripetendo quel vocino garbato e fioco.
Qualche attimo di stasi, e quel vocino soggiunse un molto meno sicuro “… Kanda?”

 

Lenalee.
Lenalee era fuori dalla porta. E, considerando la sua
… illuminante scelta di parole…

… Lenalee sapeva.

Ottimo. Ora devo anche cercare di non farla piangere.

Cacciò via il pensiero poco lusinghiero, ed ebbe anche la presenza di spirito di sentirsi in colpa.

Bene, non sto ragionando bene. Dio…

 

La ragazza probabilmente si stancò d’aspettare fuori, e fece appena capolino all’interno della stanza sottosopra, aprendo la porta con un piccolo cigolio dei cardini.

Lavi la osservò squadrare la stanza con fare quasi riverente, impaurito. Timoroso.

Lo stesso sguardo di quando setacciava una stanza alla ricerca di Leverrier, quando sapeva perfettamente che era lì all’Ordine, in visita – in visita, diceva lui, ma per Lavi e Kanda e Komui e per tutti quelli che conoscevano Lenalee, la visita la faceva fare agli altri, sì, una visita all’Inferno.


(‘già stato, non era nulla di speciale,’ diceva Yu
 e Lavi rideva anche se doveva far finta di dormire
 e Tiedoll scuoteva il capo con disappunto)

 

“Non è qui,” esordì quindi il rossino – la stessa frase riservata a Leverrier. Non è qui, non è qui. Tranquilla.

Lo sguardo arrossato di Lenalee si posò infine sul letto, un po’ infranto, un po’ accusatorio.

 

“Ma ci sei tu. Perché non mi hai risposto?” tono appena tradito. Cauto. Cammina sui vetri. Sospettoso.

 

“Dormivo,” mentì fin troppo facilmente Lavi, sollevandosi seduto fra le coperte.

“Non ci credo,” mormorò saggiamente lei.

“Fai bene,” concesse l’altro.

 

Per un po’, rimasero in silenzio. Lenalee chiuse la porta alle sue spalle. Gli occhi a mandorla scuri – così simili a quelli di Kanda, agli occhi di un occidentale profano come lui, eppure il colore… il colore no, per niente – si posarono distrattamente sulla clessidra infranta. Le labbra di bocciolo si erano piegate appena all’ingiù.

 

“E’ stato lui,” commentò Lavi, facendo spallucce.

“Questo non la rende una cosa meno terribile.”

 

, decise Lavi, effettivamente ha ragione.

 

Il materasso cigolò appena sotto il peso esile della ragazza, che gli si sedette accanto senza troppi complimenti, e senza guardarlo in volto. Lavi le permise di farlo, scostando a sua volta lo sguardo sulla finestra rotta, da cui subdolo filtrava un alito di vento freddo.

”Stavo pensando,” esordì infine, ancora una volta, infrangendo il silenzio.

“A cosa?”

“E’ venuto Tiedoll, prima. Non è entrato, però,” il rossino fece spallucce, stringendo appena le labbra “pensavo che è davvero un uomo sfortunato. Prima Daisya, poi…”

“Fa del suo meglio,” concesse la ragazza, tono appena abbassato di un’ottava. “Ma non è mai abbastanza.”

 

Non sembrava sull’orlo di una crisi di pianto – anzi, considerato il suo umore negli ultimi giorni, Lavi non pensava d’azzardare troppo nel dire che Lenalee sembrava di buon umore. Relativamente parlando.

Per questo, si concesse un semplice: “Quando mai lo è?”

 

Completamente disilluso.
Lavi era solito mostrare davvero poco, di quella parte del suo carattere.

Soprattutto con Lenalee.

Perché Lenalee ci rimaneva male, e piangeva anche per lui.

 

(è per questo, che Lenalee non può essere Kanda e Kanda non può essere Lenalee)

 

(vallo a dire a me stesso sedicenne, questo)

 

Lenalee non pianse, ma piegò le labbra in una smorfia di disappunto. Non negò.

Non fece nulla.

 

“Ti ricordi? Mi hai salvato la vita, la prima volta che l’ho conosciuto,” perché parlare del passato aveva sempre infastidito (imbarazzato) Kanda, e magari così si sarebbe fatto vivo. “Ne? Voleva trapassarmi il collo con Mugen.”

Lenalee, appena disorientata dal cambio di discorso, accennò un sorriso non troppo sentito e decisamente triste, perché troppo colmo di malinconia. “Lo avevi chiamato Yu-kun, no?”
Lavi schioccò la lingua. “Ma ero sicuro, che si chiamasse Yukun! Tiedoll l’aveva chiamato così dall’inizio!”

“Fortuna che c’ero io,” mormorò lei, guardandosi le mani. E un dossier immaginario – lo stesso dossier con cui aveva colpito Kanda dietro la nuca?

“Mi sono sempre chiesto come facevi, a domarlo con un po’ di carta.”

 

“Che diavol---“
”In infermeria si dovrebbe riposare! Non è certo posto per sfoderare le spade contro chi è già ferito!”
”Ma…”
”E poi, come mai sei in piedi? Hai bisogno di riposare! La ferita si riaprirà, così…”
”--- non c’è
nessuna ferita, come devo dirve---“
”--- ti fa molto male? Non devi più fare una cosa così… così…
stupida…”
 

“Ero brava a farlo sentire in colpa, suppongo,” confessò la cinese, scostando lo sguardo. “Sono sempre stata brava a farlo.”

“Non ammetterlo,” la ammonì lui “potrebbe essere ancora nei dintorni.”

Lenalee sollevò lo sguardo, più dura del solito.
Severa.
Lavi si rese conto che, effettivamente, quel commento sarebbe potuto sembrare un tentativo di scherzare su una cosa fin troppo seria. Scostò lo sguardo.
“Non appena gli hai detto che eri preoccupata, si è riseduto subito sul letto con l’aria di un cane rabbioso che è appena stato bastonato come si deve dalla padroncina.”

“Già.”

Il tono rimase freddo.

“E’ sempre stato così. ‘Va bene, ti sono amico, ma non è detto che mi debba piacere!’” tentò Lavi di riscaldarlo un po’, imitando la voce di Yu.
La peggiore imitazione del giapponese che avesse mai fatto nella sua vita.

Patetica. Pessima.
Rabbrividì nel farla.
Aveva dimenticato mica com’era la voce di Yu?
Perché era uscita così male?

 

Lenalee, forse per pura cortesia, ridacchiò lo stesso.

Aveva di nuovo gli occhi lucidi.

 

“Mio fratello dice… che dobbiamo aiutarlo ad andare avanti,” mormorò, di tutta risposta alle sue battute.

 

Qualcosa, nel suo tono, suggerì a Lavi che la cinese non aveva alcunissima voglia di lasciarlo andare.

Lenalee, voleva dirle. Per cosa si è sacrificato Allen? Cosa crea gli Akuma? Non sono questi sentimenti a…?

 

Ma non lo disse.

 

“Sarebbe la cosa più giusta,” disse, invece.

Qualcosa, nel suo tono, gli suggerì che non aveva alcunissima voglia di lasciarlo andare neanche lui.

 

Erano in due a non volerlo. Lenalee si sarebbe impuntata su questo.
E probabilmente lo sapevano entrambi, perché Lenalee era sempre stata terribilmente percettiva quando si trattava di capire le persone. Forse, anche più percettiva di Lavi.

(se solo non fosse così caparbia nel vedere solo ciò che vuole vedere…)

 

“Non voglio,” disse, soltanto. Con quel vocino appena infranto che sa di supplica-ma-non-proprio, quel tono di piccola principessa che vuole l’erba voglio. Tecnicamente, quel tono che cade sotto la dicitura: ca-prìc-cio.

 

[s.m. 1. voglia improvvisa e stravagante, desiderio bizzarro; 2. bizza improvvisa caratteristica dei bambini]

 

“Può davvero stare con noi per sempre,” ragionò lei, quando Lavi non rispose e si limitò a guardare il vuoto. “Almeno, fin quando non saremo noi a morire. Può restare con noi! Dio ha…”

 

Lavi s’irrigidì appena.

 

“… per una volta che…” la sentì chiaramente, tirare su col naso. “… per una volta che Dio ha ascoltato una mia preghiera! Per una volta! Non è giusto, Lavi, non è per niente giusto, non è…”

 

Fu più o meno in quel momento, che il vetro si infranse.

 

oOoOoOo


Fluttuare dal piano dell’esistenza a quello della sonnacchiosa non-esistenza non è affatto divertente.

Anzi.

Fa venire una leggera nausea che comporta una fastidiosa mancanza di concentrazione, che comporta il bisogno di non-pensare e ti riporta al problema iniziale, ovvero, il non-esistere.

 

E’ un fottutissimo circolo vizioso.

Ecco a che conclusione era arrivato Yu Kanda

 

(oltre alla più elementare ‘essere morti fa schifo’)

 

La sua percezione del mondo reale si faceva sempre più intermittente. Problema che si era presentato più o meno nel momento in cui Marie e Lavi e la tizia si erano presentati nella sua stanza – … suasuasuasua non possono ancora toglierla vero? non lo sopporterebbe, nossignore non lo sopporterebbe, qualcun altro lì…

 

Lavi sdraiato sul suo letto.

Tiedoll che fa capolino – non imparerà mai?

Lavi sdraiato sul suo letto.

Lenalee seduta accanto a Lavi.

 

Il desiderio di farsi vedere da loro era pari a zero, vale a dire inversamente proporzionale al suo orgoglio che tende ad infinito. O qualcosa del genere.


Lavi era solito dirne, di cose.
Kanda ne ricordava la metà della metà, delle assurdità snocciolate dall’allievo di bookman.

 

(quando non voleva farlo dormire e per dispetto sussurrava matematica e fisica e la nuova psicoanalisi e geografia e fottutissime lezioni di arabo nelle orecchie)

 

Non riusciva a voler essere lì abbastanza fortemente da combattere il naturale istinto di voler essere semplicemente altrove. Non riusciva a fare niente, perché diviso tra questi due istinti e preso dal caratteristico desiderio di voler mandare tutto all’aria.

 

‘è sempre stato così’

‘mio fratello dice…’

‘… più giusta’

‘non voglio…’

 

E’ come una radio mal sintonizzata.

Il continuo sfocarsi della scena non faceva che fomentare il senso di nausea.

Poi, una semplice frase riverberò nel marasma di sensazioni.

 

‘può davvero stare con noi per sempre’

 

Era la voce di Lenalee. Per un attimo, tutto sembrò diventare più chiaro. Lenalee seduta accanto a Lavi, e Lavi ignaro che gli guardava attraverso, e Lenalee con lo sguardo basso che fa i capricci. Il respiro figurato – di cui tecnicamente non aveva neanche bisogno – gli rimase bloccato figurativamente in gola.

 

Quell’orrida sensazione di ansia-sto-per-capire-ma-non-voglio, sembrava comprimergli l’anima – o comprimerlo del tutto, dal momento che non sembrava esserci così tanta differenza, schiacciarlo, sì, schiacciarlo finchè non avrebbe avuto altra scelta che implodere o esplodere e…


’per una volta che Dio ha ascoltato una mia preghiera! per una volta!’

 

… colpa sua.

 

Colpa sua.

Lenalee aveva chiaramente ammesso che tutto questo orrido fottutissimo casino era colpa sua.

 

Colpa sua!

 

Fu un moto tanto istantaneo quanto istintivo. Dal momento che ormai era fatto solo di spirito, e non aveva il suo corpo ben temprato dalla meditazione a frenarlo.

 

Lavi gli aveva detto, una volta, che pensava avesse uno spirito terribilmente passionale in tutto quello che faceva. Che lo si vedeva dal modo in cui si arrabbiava.

 

Lavi gli diceva tante cose.

 

Yu voleva distruggerle tutte. Una cosa vale l’altra, iniziò dalla finestra.

 

“E’ colpa vostra.” sbottò, con tutta la razionalità che può possedere un’anima priva di cervello. La sua voce uscì più fredda e sibilante del solito, ed andò ad unirsi ai cocci di vetro che cadevano sul pavimento freddo e ruvido.  Con l’uso, si andò riscaldando appena. “Fottutissima colpa vostra.”

 

Li vide, chiaramente. Lenalee lanciò un grido degno dei suoi migliori, richiamando le gambe al petto ed addentrandosi sul materasso – finendo per mettersi in trappola da sola, contro il muro. “… Kanda?” mugolò, con voce confusa.

 

Lavi ebbe la presenza di spirito di farsi appena più avanti dopo l’attimo di puro panico iniziale – frapponendosi fra Kanda e Lenalee. Quella traccia di nebbia era tornata, ed ancora una volta, era colma di emozioni che Kanda non avrebbe mai mostrato neanche sotto tortura.

 

Yu Kanda non la prese bene. Quel fascio di emozioni si ridusse semplicemente ad una gelosia subliminale – poco più d’un attimo, prima di essere riconvertita in rabbia.

 

“Cosa è colpa nostra, Yu?” stava dicendo Lavi, e Kanda odiava quel tono, quel tono misurato e controllato e terribilmente strategico. Odiava non capire cosa pensasse Lavi quando Lavi capiva perfettamente cosa stesse pensando lui, e odiava come spesso lo trattava come un animale cresciuto in cattività e come…

 

oOoOoOo


 
Apparentemente, Yu era davvero arrabbiato con lui.

Questo! Questo è colpa vostra!” stava sbottando la traccia di nebbia, e per un attimo la sua immagine si fece più vivida. Talmente vivida che era possibile vedere il barlume adirato negli occhi, il barlume da animale in gabbia perfettamente definito e quasi reale, ed il corpo avvolto nell’abbraccio del tatuaggio spigoloso che no, no, no, Yu-chan, non ti dona affatto.

”Non può esserlo,” ragionò Lavi, stringendo le labbra. Per un attimo, sembrò combattuto.

 

“L’ha detto lei!” protestò di tutta risposta il fantasma.

 

“Non sa quello che dice,” replicò, con notevole convinzione. Talmente tanta convinzione, che Lenalee si ritrovò a soffocare un mugolio indignato prima che abbandonasse le labbra, per un attimo dimentica della surreale situazione.

 

“Ma certo che lo sa! Lo sai. Fosse per me, se la mia vita è finita è fi-ni-ta. Non ci sono certo così attaccato da…”

“… e come farebbe questo a rendere tutto colpa nostra?” incalzò il rossino. Alzando la voce, senza rendersene conto.

 

Oh, Yu.

Litigavano sempre, lui e Yu. Ogni volta che tornava dalla missione, Lavi era lì.
Pronto a litigare.

Era un po’ come il loro personalissimo bentornato a casa e poi…

 

“Non avreste dovuto… non avreste dovuto…” stava soffiando il fantasma, scotendo il capo. Mordendo il suo fantomatico labbro invisibile.

 

“Importarcene? Preoccuparci?” mormorò Lenalee, la cui voce sembrava mormorare ‘nonpuoichiederciquesto’.
Starti vicino?” suggerì invece Lavi, assottigliando appena lo sguardo di quell’unico occhio che mostrava al mondo. Il volto del fantasma sembrò farsi appena più nitido.

 

“Esattamente.”

”Allora,” esordì il rossino, stringendo appena le labbra “il tuo rimorso è quello di… averci abbandonato?”

”Il… il mio rimorso? Ah, figuriamoci se… no, no, è colpa vostra, colpa vostra che…”

 

“Sei stato cresciuto dal Vaticano,” e la voce di Lavi era quella voce da ‘ne-so-più-di-te-e-non-ammetto-repliche’ “Lo sai che l’unico motivo per cui non si riesce ad andare avanti sono le questioni in sospeso.”

 

Cazzate. Cazzate! Non ho questioni in sospeso. Non ho questioni e basta.”

Lavi conosceva quel tono. Era il tono che gli faceva smettere di discutere, ed abbordare la tattica dell’assalto fisico. Nostalgia, maledetta nostalgia-

Dovete aver fatto qualcosa, l’ordine deve aver fatto qualcosa…” stava continuando Kanda, e persino la sua voce si stava incrinando. Una cosa talmente rara, talmente aliena, che per un attimo Lavi pensò di non trovarsi affatto di fronte al fantasma di Kanda, ma a qualcosa di ripugnante che cercava semplicemente di imitarlo. “… deve aver fatto qualcosa, lo fa sempre, ci prova gusto a fottere con il culo degli altri no? Non è quello che fa sempre?”

 

Lenalee nascose appena il viso – un po’ per la scelta di parole, un po’ perché ammettere che Kanda avesse ragione sarebbe stato del tutto controproducente.

Così tanta rabbia. Così tanta passione.
Lavi pensò che Kanda era solito mostrarla in altri ambiti.

In battaglia, e a letto. Per lui erano sempre state la stessa cosa.

Eros e Thanatos, avrebbero detto gli antichi greci.
Sesso e morte.

 

… e ora anche dopo la morte stessa? Oh, beh. Tutti i fantasmi peccano di incoerenza.
In fondo sono solo proiezioni di risentimento.

Sono solo…

 

… quello.

 

Il solo rendersene conto fece male. Il corpo semi-translucido di Yu era proprio lì, davanti a lui. Era solo quello? Un fascio di rancore e risentimento, un’impressione che tutto l’odio che Kanda aveva provato in vita – e dio, se ne aveva provato! – si era lasciato alle spalle?

 

Solo quello?

 

Lavi portò una mano alla tempia.

Lenalee li stava guardando.

 

“Una volta per tutte. Speravo solo che fosse finita una volta per tutte,” stava mormorando Kanda. E sembrava più morto di quanto un morto avrebbe il diritto di sembrare.

 

“Ed invece ti ritrovi ad infestare il tuo letto di morte. Guarda un po’ te la vita,” mormorò Lavi, di tutta risposta, prima ancora di riuscire a controllarsi. Tutto, tutto per dargli la scusa di essere caustico e di vedere non il fascio di risentimento e rancore, tutto per vedere oltre l’impressione e per rivedere semplicemente Yu, semplicemente lui.

 

“Lavi!” protestò Lenalee scattando appena in avanti verso di lui.

 

Il fantasma di Yu si limitò a guardarlo per un po’. Il respiro affannato – perché i fantasmi respirano? Pura inerzia? – sembrò calmarsi in un perfetto non-respiro. Perfetta imitazione di morte – è così che dovrebbe essere.

 

“Non avrei mai dovuto…” stava mormorando.

 

Ed il cuoricino di Lavi cadde un pochino a pezzi.
No, nessun alito di vita.
Le sue parole non avevano offerto nessuno alito di vita.
Erano soltanto riuscite a spostare il “non avreste dovuto” a “non avrei dovuto”. Niente di più.

Sentì distrattamente anche il cuore di Lenalee creparsi un pochino di più. Probabilmente si era accorta anche lei, che Kanda si stava pentendo di aver creato una breccia nella spessa cinta di mura che gli cingeva il cuore. Si stava pentendo di aver creato una breccia per loro.


Alla fine, finì per sentirsi in colpa anche lui.

Ricordò quant’era stata calcolata e pianificata la loro prima volta, e ricordò com’era tutto frivolo e falso ed era solo un gioco, e semplicemente ‘non posso avere Lenalee tanto vale accontentarsi della cosa più vicina’.

Ricordò distrattamente un dolore simile a quello che stava provando in quel momento. Il suo non-cuore si era spezzato già una volta, per colpa di Kanda – e stranamente, non era stato con la sua morte. Ricordò quando Yu, sapendo che Lavi sapeva – della clessidra del loto della fottuta data di scadenza – aveva gridato e lo aveva preso a pugni ed era sembrato il ritratto di un animale in gabbia, ferito e spinto di spalle contro il muro, pronto a difendersi azzannando l’aggressore.

 

“Yu…” mormorò, tendendo la mano per toccarlo proprio come aveva fatto quella volta. Non ci arrivò mai.

 

Kanda tentò di schiaffeggiargliela via, proprio come quella volta. E lo voleva, eccome se lo voleva.

 

La sua mano passò ugualmente attraverso il braccio di Lavi.


Per un attimo, si fermarono entrambi. Poi, per la seconda volta, Yu scomparve semplicemente nel nulla.

 

Lenalee abbassò lo sguardo, non sapendo più dove guardare.

 

 

 

Fine Capitolo Terzo

 

 

 

 

A/N: Mi diverto troppo. Lo ammetto >_<” … se il capitolo è troppo confuso, fatemi sapere. Il problema è che tutto mi si sta trasformando in un monologo interiore, da queste parti @_@

 

Ermellino: grazie <3 … sono nata per spezzare i cuoricini, o così mi dicono =D *fa finta di essere dispiaciuta*

 

Rebychan: Ja, ja. Sono convinta che, in qualche modo, Kanda trovi molto facile reagire a tutto o arrabbiandosi, o facendo finta che non gli interessi. Ha deciso di essere mooolto arrabbiato, qui XD – anche perché c’è già Lavi, che sta facendo finta di essere indifferente >_<”. Marie è fatto d’amore, proprio come Miranda, e i due, non so, vengono naturalmente scritti come una coppia. Almeno dalla sottoscritta XD Cioè, li immagino talmente evidenti, che persino Kanda che non ricorda il nome di Miranda, si è accorto che stanno sempre appiccicati XD Komui lo vedo come un personaggio particolarmente tragico, nel suo piccolo. Parlando di abnegazione – nghè XD – quella che ha per sua sorella è indescrivibile. Le vuole un bene dell’anima. Vorrei anche io un fratello come lui ç.ç Lavi è confuso, principalmente – mi sono accorta a metà strada che effettivamente quello che prova è quello che guida il Conte alle persone che possono diventare akuma. Ed è una cosa terribile ç.ò In questo capitolo, sviluppo sia nella relazione fantasma sia nel passato. Yay! *_*/ Viva me~

 

Bulma90: Grazieee~ Ahn, se non fosse riuscito a vederlo di nuovo, la storia si sarebbe conclusa al vecchio capitolo. Coff, coff. Ero tentata giusto per aggiungere un altro po’ di drama, ma poi mi sono considerata sadica e mi sono costretta a scrivere X°D Spero che il capitolo ti sia piaciuto *_* [sìsì, sono adorabili insieme. Hanno quella particolare alchimia che mi fa andare in brodo di giuggiole *_*]

 

_NaNa_: Kanda è fra noi! Temete nemici dell’ere--- coff, coff. Beh, digerire un nuovo fantasma dopo che l’ultimo ha quasi distrutto l’ordine, dev’essere una cosa abbastanza difficile. Considerando che il soggetto in questione era vittima di attacchi d’ira omicida anche PRIMA di morire. X°°°D No? Povero povero Lavi ç_ò

 

Kumie: … aw ç_ò Il LaviLenalee. Non è poi così evidente nella fanfic, tuttavia c’è e dovevo avvertire nell’intro. Forse dovrei avvertire anche che è di secondo piano rispetto al LaviKanda? Uhmmm, dubbio, dubbio. Ma andando avanti~ Grazie mille per i complimenti sullo stile – perché in fondo, lo ammetto, sono quelli che più mi mandano in brodo di giuggiole e mi fanno stringere forte forte il peluche di Mokona (?). Mi piace entrare nella mente dei personaggi, e soprattutto, cerco sempre di renderli il più umani possibile. Con i desideri contrastanti, ed i pensieri fuori luogo che non si dicono mai a voce alta, e tutto quell’egoismo che è proprio degli esseri umani. E son contenta ogni volta che mi rassicurano che qualcosa del genere è arrivato ç.ò Giuro, al settimo cielo.  Per quanto riguarda i personaggi secondari – una storia ha sempre bisogno di più di due personaggi, per essere completa, a mio parere. E ho un debole per i personaggi secondari in generale X°D In particolare Marie e Miranda *-* Non c’è bisogno di alcune scuse, mi ha fatto toccare il cielo con un dito, deh *-*

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