Freak

di Unissons
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Coincidences ***
Capitolo 2: *** Sugary ***
Capitolo 3: *** Harley Quinn ***
Capitolo 4: *** I like it ***
Capitolo 5: *** Madden ***
Capitolo 6: *** Puddin' ***
Capitolo 7: *** With me, forever ***
Capitolo 8: *** Rotten ***
Capitolo 9: *** Shock ***
Capitolo 10: *** Abandoned ***
Capitolo 11: *** Lies ***
Capitolo 12: *** Shot ***
Capitolo 13: *** Horror factory ***
Capitolo 14: *** Would you live for me? ***
Capitolo 15: *** Romantic indifference ***
Capitolo 16: *** Sweet agony ***
Capitolo 17: *** Little toys ***
Capitolo 18: *** Revelations ***
Capitolo 19: *** Everything for you ***
Capitolo 20: *** Gently brutal ***
Capitolo 21: *** You belong to him ***



Capitolo 1
*** Coincidences ***


Coincidences.

 

 

 

Si Joanne, è il caos. Ci sono cadaveri ovunque, questa volta il Joker ha messo appunto un colpo che ha sbalordito tutti, persino chi credeva che lui fosse pazzo. Ora ne siamo certi. Deve essere rinchiuso, al più presto. Ma, aspetta, il Joker è stato catturato. Batman ci è riuscito! Speriamo che questa volta rimanga dentro il più a lungo possibile!

 

Urla gioiose e pianti per i vari morti si sentirono  in sottofondo, in una Gotham ferita da anni di dolore. Tutto causato dal “Pagliaccio principe del male”, come lui stesso si definiva.

 

Strinsi le mani intorno al mio caffè bollente e mi chiesi da cosa nascesse tutto il male presente in quell’uomo. Da psichiatra sapevo perfettamente che tali disagi psichici non nascevano dal nulla, ma si presentavano dopo un evento traumatico durante l’infanzia.

 

La stretta troppo forte sulla tazza di carta del caffè, fece fuoriuscire il contenuto, che andò a macchiare il divano bianco del mio salotto, sul quale ero seduta.

 

“Merda” esclamai e corsi a prendere degli stracci, per cercare di tamponare e rimediare al danno che avevo fatto. Tornai in salotto con un kit vasto, ma nulla fece togliere quella macchina marroncina. Sbuffai, continuando a guardare quello spettacolo orribile davanti ai miei occhi. La macchia non solo non se n’era andata, ma si era allargata.

 

Pensai che probabilmente sarei dovuta ricorrere ad un professionista di queste cose. Perciò mi alzai dal pavimento e mi avvicinai al mobile, sul quale si trovava il telefono fisso. Sotto di esso, in un cassetto, vi era l’elenco del telefono, dove trovai il numero di un tappezziere che faceva proprio al caso mio.

 

Composi il numero e aspettai che dall’altra parte della cornetta qualcuno mi rispondesse.

 

Ma nulla.

 

Mentre aspettavo, ricomponendo ancora una volta il numero, ripensai alla strage che il Joker aveva messo in atto e mi strinsi una mano al petto. Mai come allora fui felice che la mia famiglia fosse lontana da Gotham e da quel pazzo furioso.

 

E proprio pensando a lui, il mio occhio cadde sulla via in cui si trovava il tappezziere che io cercavo di contattare. La cornetta mi cadde dalle mani e mi si strinse un nodo in gola. Era una delle vie che era stata colpita da Joker e la sua bomba piazzata nel municipio della città.

 

Feci qualche passo indietro, senza nemmeno rendermene conto, e il mio cellulare iniziò a squillare. Come risvegliandomi da un brutto sogno, scossi la testa e feci un grosso respiro.

 

In fondo era solo un caso, no?

 

Iniziai, così, a cercare il mio cellulare e risposi alla chiamata, ancora un po’ scossa.

 

“Pronto?” feci, ancora fissando l’elenco del telefono. Anche se fosse stata una coincidenza, come poteva essere proprio adesso. Poi pensai che fossi davvero troppo paranoica.

 

“Parlo con la dottoressa Quinzel?” fece una voce maschile dall’altro capo del telefono e fui subito attirata dall’appellativo utilizzato. Era dalla mia laurea che nessuno, purtroppo, usava il mio titolo di studio.

 

“Si, sono io” risposi, molto stupita e incuriosita da tutto quello che stava accadendo in questi pochi minuti.

 

“Salve, sono il dottor Arkham, del manicomio criminale Arkham Asylum” disse l’uomo, interrompendosi, come per riprendere fiato. Sembrava che avesse appena finito di correre una maratona e mi chiesi se anche loro avessero riscontrato qualche problema dopo lo scoppio della bomba posta da Joker.

 

A quel punto capì.

 

Sapevo perfettamente perché mi avevano chiamato proprio ora, nonostante la mia domanda fosse stata spedita anni fa. Avevo persino perso la speranza di poter scrivere un libro su uno dei criminali chiusi in quelle mura.

 

“Si” dissi, per incoraggiarlo ad andare avanti, presa dalla mia curiosità e dalla voglia di sentirmi dire quelle parole.

 

“Dopo i recenti avvenimenti, credo sappia perfettamente a cosa mi riferisco, – e io annuì, nonostante lui non potesse vedermi – ci serve più personale per accogliere un nuovo paziente, molto molto difficile da contenere. Sa a chi mi riferisco, signorina?”

 

Deglutì e feci semplicemente un verso, come per far comprendere che sapessi a cosa si riferisse. Il Joker stava per essere spedito li e volevano me, senza esperienza, per tenerlo a bada e in qualche modo “curarlo”. Ma come avrei fatto? Vanno bene anni di studio, ma senza pratica non avevo idea di come agire. “Signorina, immagino che sarà difficile per lei, ma non abbiamo nessun altro candidato, lei è l’unica, dopo anni, che abbia mai spedito una domanda di lavoro per entrare in questo posto e ora ci serve il suo aiuto”.

 

Mi passai una mano tra la massa di capelli biondi e mi rigirai una ciocca tra le dita. Era una scelta molto difficile, ma erano pur sempre dei soldi che entravano e non sarei più dovuta andare a lavorare come cassiera, ma avrei dovuto fare il lavoro che mi piaceva e per cui avevo tanto studiato.

 

“Quando inizio?”

 

“Bene! Sono felicissimo che lei abbia accettato di unirsi a noi. Domani mattina stessa lei deve presentarsi qui, possibilmente alle 8 o prima. Più dottori saranno presenti, meglio sarà per la struttura. Abbiamo molti pazienti ultimamente, le cose a Gotham a quanto pare non vanno molto bene e con l’arrivo del Joker.. qualcuno dovrà essere sacrificato”

 

Sacrificato? Bizzarra parola da utilizzare, anche se, con un uomo come quello, sembrava proprio adatta. Ma chissà cosa avevano in mente per occuparsi costantemente di lui.

 

“Va bene dottor Arkham, a domani mattina allora”

 

E la telefonata fu chiusa li.

 

Mi voltai a guardare l’orologio posto sopra la porta, che segnava le 21:40. Ancora una volta la mia mente fu attraversata dall’orrore che Joker aveva procurato a tutte quelle persone, scegliendo, per giunta, un orario di punta, essendo il municipio, al centro di Gotham. Non mi sorprese nemmeno il fatto che non avesse deciso di far saltare in aria il palazzo del municipio con il sindaco dentro, in quanto già li aveva uccisi tutti. Fui attraversata da un brivido freddo di terrore e tornai sul divano, per sentire il notiziario.

 

I morti dovrebbero essere all’incirca un centinaio. Joker ha scelto di attaccare proprio in una giornata di festa per Gotham, la prima dopo tutti i caos che l’avevano attraversata ultimamente per la mancanza del sindaco,assassinato anch’esso dal pagliaccio..

 

 

 

Aprì di scatto gli occhi perché la luce era arrivata direttamente sui miei occhi. Mi resi conto che era mattina e che mi ero addormentata sul divano. In un istante fui investita dalla consapevolezza di dover andare al lavoro. Mi dannai mentalmente per non aver messo la sveglia.

 

Guardai l’orologio e vidi che già erano le 7:30.

 

“Perfetto!” esclamai sarcastica e andai in bagno a rinfrescarmi il più velocemente possibile. Quando vi uscì erano già le 7:40, ed ero consapevole del fatto che sarei andata a lavoro, il primo giorno, in ritardo. Corsi in camera a vestirmi, il più professionalmente possibile e poi uscì di casa correndo. Presi la macchina e iniziai a correre per le strade di Gotham, passando, perfino, da dove il Joker aveva disseminato il caos.

 

Poliziotti e varie persone erano ancora li, come se non fossero in grado di andare avanti. Come se la loro vita fosse incatenata a quell’unico momento, in cui il Joker si era portato via un migliaio di vite.

 

Sospirai e presi a schiacciare ancora più pesantemente sul pedale dell’acceleratore, fino a che giunsi a destinazione.

 

Era il luogo più macabro e allo stesso tempo, impersonale, che avessi mai visto. Solo una volta mi ero recata in questo posto, circa due anni fa, quando avevo deciso di portare personalmente il mio curriculum. Non mi importava di tutte le macchine tecnologiche che avevano a disposizione per non far avvicinare la gente a quel buco sperduto, io sapevo già che volevo essere li. Volevo scrivere il mio libro e fare il lavoro per cui tanto avevo studiato, e quello era il luogo perfetto.

 

 

 

Spazio autrice.

 

Salve, sono Unissons e questa è la prima volta che pubblico nella sezione Batman, anche se con una storia che riguarderebbe, principalmente, Suicide Squad. Infatti se avete visto il film, molte delle cose che sono successe in esso, le riscontrerete con l’andare dei capitoli. Non potevo proprio evitare di scrivere della loro storia d’amore, ovviamente leggermente rivista dalla mia fantasia.

 

Spero che sia di vostro gradimento questo capitolo, mi raccomando, lasciatemi una recensione.

 

 

 

Un bacio

 

Unissons

 

 

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Capitolo 2
*** Sugary ***


Sugary

 

 

 

“Dottoressa Quinzel, finalmente è qui!” esclamò un uomo con abbondanti depositi di grasso sull’addome, che riconobbi come il dottor Arkham, per via del mio colloquio di qualche anno fa. Mi avvicinai a lui camminando il più cautamente possibile, sapevo di essere una bella donna e a volte, il mio fisico mi tradita. Le mie anche prendevano ad oscillare da sole e l’effetto non era certo quello desiderato. Vedevo che gli uomini mi guardavano e la cosa mi infastidiva parecchio.

 

Mi sentivo mortificata per essere arrivata in ritardo al mio primo giorno di lavoro, ma ero anche stata avvisata parecchio tardi che oggi fosse il mio primo giorno, perciò non avevo nemmeno avuto tempo di prepararmi come si deve.

 

Probabilmente anche l’uomo davanti a me sapeva che avevo perfettamente ragione, ma ciononostante, cercai di sotterrare quella mia parte sarcastica e misi su un bel sorriso.

 

“Mi dispiace un sacco per essere arrivata in ritardo, ma proprio stamattina la mia sveglia ha deciso di non suonare” dissi in tono fin troppo allegro. Mi maledì mentalmente per essere così saccente a volte. Forse avrei dovuto seguire un corso per impedire a quella parte di risalire tanto facilmente.

 

Se anche lo notò, Arkham era troppo impegnato nei suoi pensieri per potermi, in qualche modo, richiamare. Si passò un fazzolettino di stoffa sulla fronte e sbuffò. Come ieri al telefono, sembrava che avesse appena corso una maratona, ma qualcosa mi diceva che questa volta la corsa la stesse causando un uomo dai capelli verdi.

 

“Non si preoccupi, ma ora venga che le mostro il suo ufficio e poi la dottoressa Smith l’accompagnerà a far visita alla nostra struttura”Sbuffò fuori l’uomo e fui seriamente preoccupata dal fatto che potesse svenirmi da un momento all’altro.

 

“Si sente bene?” chiesi, ignorando le sue parole, anche se un po’ ero delusa dal fatto che non mi portassero immediatamente a conoscere tutti i criminali che erano rinchiusi in quel posto.

 

“Certo, solo che sto camminando molto da ieri sera, e come può ben vedere, il mio corpo non ne è abituato”

 

“Tutto per quel Joker?”

 

Il dottore si guardò attorno, come se improvvisamente quelle pareti così bianche e spoglie, piene di porte segrete che non sapevo nemmeno dove portassero, fossero così interessanti. Poi si portò una mano alla pancia e mi guardò, come se il mondo dipendesse da me. Non capivo quello sguardo, ma sentivo un peso enorme sulle spalle, senza motivo.

 

“Non può nemmeno immaginare”

 

E continuò semplicemente a camminare.

 

Leggermente confusa da quel suo essere così misterioso, lo seguì e mi portò davanti ad una porta, uguale a tutte le altre e mi chiesi come avrei fatto, più avanti, a riconoscerla, quando sarei dovuta tornare in quell’ufficio da sola. Persino quando la porta si aprì, il suo interno era uguale al corridoio al quale vi si affacciava nonostante vi fosse una donna al suo interno, che evidentemente ci stava aspettando. Era grigia e bianca come le pareti dello stabilimento ed io mi sentivo fuori posto vestita di rosso e con i miei capelli biondi. Eppure indossavo un completo molto professionale. Ancora una volta mi dissi che quelle erano solo paranoie presenti nella mia mente.

 

“Avevo ragione Arkham, vero?” disse la donna e io guardai il dottore accanto a me, confusa. Lui alzò gli occhi al cielo e si mise a ridere. Mi sentivo esclusa da quel loro gioco segreto, ma ben presto mi fecero capire.

 

“Dottoressa Quinzel, stavo dicendo al dottor Arkham che sapevo che lei sarebbe stata una ventata d’aria fresca per questo posto sperduto. Lo si vede anche dal modo in cui ha deciso di presentarsi questa mattina” fece la donna e mi trattenni dal lanciare una battuta poco opportuna. Non era decisamente il caso di mancare di rispetto ad una dottoressa che, evidentemente, lavorava da molto in quel posto. Sarebbe potuta essere una collaboratrice molto importante, specialmente nella stesura del mio libro.

 

“Oh, si. Come dicevo al dottor Arkham io..” provai a scusarmi, ma venni zittita dalla donna che subito disse:”Dotteressa, tranquilla, è una cosa molto positiva che lei sia così, dato la persona con cui avrà a che fare. Almeno fino a che lui deciderà di degnarci della sua presenza, perché sappiamo tutti che ancora non è scappato solo perché evidentemente ha qualcosa in testa”

 

Mi paralizzai sul posto.

 

Guardai la donna confusa, sperando che stesse scherzando veramente. Sapevo che mi avessero chiamato per quello, ma averne la consapevolezza era un’altra cosa.

 

“Smith, questo non glielo avevo ancora detto” disse Arkham e io mi voltai a guardarlo. Mi sentivo emozionata, ma anche impaurita dal dover avere a che fare con il Joker io stessa, per giunta per la prima volta che avevo a che fare con un paziente.

 

“Sono lusingata di poter essere così utile appena arrivata, ma siete proprio sicuri? Sapete che questa per me è la prima volta, perciò non saprei come agire” dissi, leggermente tradita dalla mia voce, che mostrava quanto fossi impaurita da tutta quella situazione. Troppa responsabilità nelle mie mani inesperte.

 

“Non c’è altra possibilità, lei dovrà occuparsi di controllare lo stato emotivo del nostro paziente, ripeto, fino a che lui deciderà di rimanere qui” sentenziò la dottoressa Smith e io deglutì a vuoto, guardandola negli occhi. Poi la vidi raccogliere la borsa e i miei effetti personali, che avevo poggiato davanti alla porta, e metterli sulla scrivania vuota in mezzo alla stanza altrettanto spoglia.

 

Mi guardai attorno e sospirai. Questo sarebbe stato il mio ufficio per un bel po’ di tempo e li avrei accolto colui che tutti cercavano di evitare.

 

“Mi dispiace spingerla ad agire così in fretta, ma come ben capirà, il Joker è un uomo che si stanca in fretta, perciò vorrei che lei lo accogliesse il prima possibile. Mi dica quando se la sente e avviserò delle guardie per farglielo portare qui. Ora vuole fare un giro per vedere la struttura?” continuò sempre la dottoressa Smith, mentre Arkham ci fissava e basta. Mi chiesi come mai quel posto portasse il nome dell’uomo di fronte a me e non della donna, dato che a gestirla era lei.

 

Mi guardai attorno e poi posai lo sguardo sulla mia borsa dal quale fuoriusciva il mio block notes.

 

“No, per me va bene vedere subito il Joker” dissi e per me fu come un colpo a sangue freddo, come se quell’uomo che avevo solo nominato, mi avesse sparato, come aveva fatto con tante persone.

 

Vidi lo sguardo delle due persone davanti a me molto sorprese, ma furono felici di questa mia scelta, evidentemente avevano paura che il Joker evadesse da un momento all’altro, senza avere nemmeno il tempo di provare una misera terapia per, in qualche modo, “guarirlo”.

 

Il dottor Arkham si avvicinò alla mia scrivania e li vidi una specie di telefono, sul quale lui compose un numero.

 

“Portatelo dalla dottoressa Quinzel” disse e poi mise giù, senza dare altre spiegazioni.

 

Stava per arrivare e mi sentivo come svenire. Avevo le mani ghiacciate, ma contemporaneamente sudate.

 

“Staremo qui per accogliere il Joker, poi andremo via e la lasceremo lavorare. Non si è mai abbastanza prudenti quando si tratta di uno psicopatico come questo paziente” fece la dottoressa Smith, mentre iniziò a camminare verso il corridoio, evidentemente per controllare se stessero arrivando.

 

Decisi di non stare li con le mani in mano, come ad aspettare il giudizio e così inizia a mettere in ordine i miei effetti personali sulla scrivania, ma ad un tratto l’aria silenziosa fu spezzata da una risata.

 

Un’isterica ed inquietante risata, che mi fece venire la pelle d’oca.

 

Mi voltai verso il corridoio e vidi la dottoressa accarezzarsi le braccia. Evidentemente quell’effetto non lo aveva fatto solo a me.

 

“Ti ci abituerai. Dopo qualche giorno ti sembrerà una risata come tutte le altre” disse Arkham e mi voltai verso di lui.

 

“Lui è già stato qui?”

 

“Parecchie volte, ma è sempre scappato. Come dice lui, per noia. Nessuno di noi è mai stato abbastanza bravo da poter catturare la sua attenzione per almeno un mese intero. Non che lui ci abbia mai dato abbastanza tempo per provarci almeno”

 

“Ma allora perché proprio io? Non ho esperienza, probabilmente sarò la persona che più lo annoierà!” esclamai, come in preda al panico e una voce, proveniente da fuori non mi fece nemmeno finire in parte il mio attacco di panico, che disse:”Non avevo mai visto questo zuccherino. L’avete chiamata apposta per me? Come ti chiami pasticcino?”

 

Lentamente mi girai per vedere, per la prima volta la sua faccia dal vivo. Molte volte lo avevo visto al telegiornale e mi era sempre sembrato un mostro, buono solo a procurare dolore e morte agli uomini. Quando, questa volta me lo ritrovai davanti, pensai solo ad una cosa: bellissimo.

 

 

 

 

 

 

 

Rieccomi qua!

 

Sono davvero felice di tutte le visualizzazioni che ho ottenuto nel capitolo precedente e ringrazio specialmente: Giuliet95 per la recensione lasciata e per averla messa tra le seguite, Ari_chan e Giulia2034GR per averla messa tra le preferite e VasiliaDragomir_12 per averla messa tra le seguite. Alla prossima.

 

Un bacio, Unissons.

 

 

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Capitolo 3
*** Harley Quinn ***


Harley Quinn

 

 

 

 

 

Erano circa quindici minuti che i miei due colleghi ci avevano lasciati soli e da parte del Joker, ormai, ne avevo sentite di tutte. Usava appellativi di vario genere con me: zuccherino, pasticcino e dolcezza, erano solo una parte di tutti quelli che lui utilizzava.

 

Non seguiva i miei discorsi, non rispondeva alle mie domande e tutto ciò mi stava facendo irritare parecchio. 

 

“Signor Joker..” sbottai, ma ancora una volta, fui interrotta da lui e quel suo sorriso inquietante.

 

“Alt, ti ho già detto di chiamarmi J. Joker è così professionale. Non mi hai ancora detto come ti chiami tu” controbatté lui, piegando la testa di lato e guardandomi dritta negli occhi. Una fitta mi colpì dritta allo stomaco e abbassai la testa, guardandomi le mani.

 

“Io sono la dottoressa Quin..”

 

“Oh no no, zuccherino, io voglio un nome”

 

Alzai lo sguardo e vidi che si era allungato sul tavolo, nonostante fosse legato con una camicia di forza, per essere più vicino a me.

 

“Harleen” sussurrai, come se non avessi più voce.

 

Ma cosa mi stava accadendo? Possibile che fosse la paura? In fin dei conti mi trovavo davanti ad uno dei criminali più folli della storia dell’umanità. Ma no, sapevo perfettamente che quella non si trattava di paura. La paura ti faceva gelare il sangue e ti spingeva ad allontanarti da una persona, ma questa volta sentivo che dovevo curare il Joker, dovevo trovare una strategia che mai nessuno era riuscito a inventare e tirarlo fuori da tutto quel casino.

 

“Harleen Quinzel. Che buffo nome. Se sconvolgiamo le lettere e le modifichiamo un po’, esce il nome Harley Quinn, come arlecchino.. mi piace. A te piace, Harl?” disse Joker e sembrava veramente divertito nel prendermi in giro e farmi sentire piccola davanti a lui. Avrei voluto reagire, dire la mia, ma era come se la mia voce fosse nascosta da qualche parte nella mia laringe e non volesse uscire.

 

“Signor J” tentai di cominciare e vidi spuntare sul suo viso un enorme sorriso, molto, molto, inquietante e continuai:”vede, qui non siamo ad un colloquio tra amici. Io sono la sua psichiatra e lei è un mio paziente, perciò se non le dispiace, preferirei tornare a parlare di lei e di ciò che l’ha portata qua”

 

“Non c’è nulla da aggiungere. Ho ucciso circa un migliaio di persone e questa non è nemmeno la prima volta. E sa una cosa? Mi sono anche divertito molto nel farlo”rispose tranquillamente l’uomo e io deglutì a vuoto, guardandolo in faccia, mentre lui faceva la stessa cosa. Come poteva un uomo divertirsi nell’uccidere dei propri simili? In tutti gli anni di studio che avevo effettuato, mai mi era capitato di conoscere un caso del genere.

 

Alla fine, tolsi il contatto visivo e mi alzai per prendere un bicchiere d’acqua. Dovevo distrarmi per qualche secondo, altrimenti sarei impazzita.

 

Come lui.

 

Bevvi più acqua possibile e tornai a sedermi davanti a lui, che mi guardava ancora con quello sguardo allucinato.  

 

Abbassai la testa sul block notes e mi accorsi che in un lasso di trenta minuti, non ero riuscita a scrivere nulla. Solo allora scrissi una parola, ma molto importante per la diagnosi di una patologia:

 

schizofrenia.

 

“Cos’ha scritto?” chiese lui, allungandosi, ancora una volta, sul tavolo. Allontanai il foglio da lui.

 

“Nulla che la riguardi, signor J” scattai, alzandomi dalla sedia.

 

A quel punto Joker si sfilò la camicia di forza e venne davanti a me. Prese il foglio e lo lesse:”Schizofrenia? Me ne hanno dette anche di peggio. Impegnati un po’ di più, zuccherino”

 

Rimasi a guardarlo come impietrita. Come aveva fatto a liberarsi dalla camicia di forza? Nella mia mente affiorarono varie immagini di oggetti contundenti presenti nella stanza e come lui potesse usarli contro di me.

 

“Come..” sussurrai, ma la sua mano fu sulla mia bocca prima che io potessi articolare altre parole e come avevo immaginato, mi avvicinò alla gola un tagliacarte e sentì il freddo del metallo premere su di essa. “L’odore della tua paura è così dolce pasticcino. Chissà com’è quello del tuo sangue, potrei divertirmi parecchio a torturarti e poi farti trovare senza vita qui, in questo ufficio. Forse imbratterei le mura stesse con il tuo sangue, in modo da dare un po’ più di colore al tutto. Diventerebbero del colore dei tuoi vestiti, non male, vero?”

 

Deglutì e poi lo guardai negli occhi, verdi come i suoi capelli. Nessuno sapeva come se li fosse procurati, si sapeva solamente che non fossero il risultato di una tintura.

 

Improvvisamente mi venne in mente un’idea. Se per lui la paura era divertente, un gioco persino, gli avrei rovinato i piani.

 

“Sicuro, J? Non sono una ragazza che prova molto dolore, anzi, devo dire che non mi lamento mai. Perciò se vuoi uccidermi fallo pure, non ho paura” dissi, fissandolo e scorsi qualcosa nei suoi occhi.

 

Rassegnazione?

 

“Mi hai rovinato il gioco, cattiva ragazza” esclamò, scoppiando a ridere. Ancora quella risata isterica ed inquietante, che mi fece venire la pelle d’oca, ma allo stesso tempo una fitta allo stomaco.

 

“Ora rimettiti la camicia di forza, che ti faccio riportare in cella” e la raccolsi, per poi porgergliela.

 

“Di già? Non ti va di divertirti ancora un po’?” chiese e il suo sguardo allucinato mi fece pensare a vari modi in cui lui volesse divertirsi, molti dei quali non rientravano nelle mie classifiche.

 

“No, per oggi basta così” dissi a denti stretti, senza più guardarlo. Sbirciai per controllare se si stesse rimettendo la camicia e poi mi alzai per aiutarlo ad allacciarla. Ogni passo verso di lui era come andare al patibolo. Non mi piaceva averlo così vicino, era come se lui fosse la morte fatta persona.

 

Quando gli fui davanti, presi i lembi della camicia e strinsi con forza, per poi allacciarla sul di dietro.

 

“Sei molto forte zuccherino.. potresti essermi utile più avanti” fece lui, scoppiando, ancora una volta, a ridere.

 

E con questo cosa intendeva? Alzai lo sguardo e lo guardai negli occhi. Lui ricambiò il mio sorriso, montandone uno molto più inquietante.

 

“Non mi guardare in questo modo Harl, potrei anche sciogliermi” sussurrò e io distolsi lo sguardo, per poi andare alla porta e avvisare la persona che stava di guardia, che poteva riportare il Joker nella sua cella.

 

L’uomo lo prese e lo iniziò a trascinare, mentre il Joker opponeva resistenza.

 

“Domani. Voglio essere ancora qua” disse fermamente e sapevo esattamente che non fosse una richiesta, ma un ordine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice.

 

Salve a tutti i miei lettori. Vi ringrazio di cuore per l’effetto che state dimostrando per la storia. Non mi sarei mai aspettata di riceve così tante recensioni, sinceramente, ma sono molto felice di poterle leggere e rispondervi.

 

In particolare ringrazio tutte le persone che hanno messo la mia storia tra le preferite/seguite/ricordate, tutti coloro che hanno recensito e anche le lettrici fantasma, che non lasciano una recensione, ma apprezzano comunque i miei sforzi.

 

A questo proposito, vi vorrei consigliare una storia, di Niall Horan ti adoro (nome provvisorio), questo è il link in quale la potrete trovare: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3503097&i=1

 

Si tratta di una raccolta di drabble Horror. Spero che molte di voi ci passino.

 

Un bacio, Unissons

 

 

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Capitolo 4
*** I like it ***


I like it

 

 

 

L’Arkham Asylum mi aveva sfinita, nonostante fosse solo il primo giorno. Dopo il Joker, mi ero presa una pausa di circa un’ora, con il consenso del dottor Arkham in persona. Probabilmente poteva capire come fosse stato sfiancante per me. Inoltre, non avevo detto a nessuno ciò che quell’uomo avrebbe voluto farmi con il tagliacarte, infondo sarebbe significato dover rinunciare agli incontri con lui e non era ciò che volevo, anche perché me l’ero saputa cavare benissimo da sola.

 

Ora sapevo esattamente su chi avrei scritto il mio libro. C’erano così tante cose da scoprire su Joker e se ce l’avessi fatta, sarei diventata importante in tutto il mondo.

 

Aprì la porta di casa e la richiusi dietro di me, appoggiandomici addosso. Chiusi gli occhi e presi un grosso respiro, mentre nella mia mente passavano ancora le immagini del Joker su di me, mentre mi minacciava. Sospirai e andai in bagno per sciacquarmi il viso.

 

L’acqua ghiacciata fece l’effetto desiderato. Mi risvegliò e così andai in cucina, con l’intenzione di prendermi qualcosa da mangiare, ma appena li, la mia attenzione fu catturata da una rosa poggiata sul tavolo. Curiosa, mi ci avvicinai e nel prenderla in mano, una spina mi entro sotto la pelle. Immediatamente la lasciai andare e mi guardai la mano. Dall’entrata di quella piccola spina, ora fuoriusciva una gocciolina di sangue, che cadde poi sul tavolo. La guardai e mi chiesi quale fosse il significato di tale gesto e soprattutto, chi l’avesse mandata. Successivamente chiusi la mano e decisi di andarla a mettere sotto l’acqua corrente. Fu allora che la vidi. La carta, il Jolly.

 

Velocemente mi asciugai la mano e la presi, chiedendomi come fosse possibile. Magari era uno scherzo di qualche mio amico o della mia famiglia. Riflettendoci, però, mi resi conto che loro non sapevano nulla del mio nuovo lavoro.

 

Tirai fuori la sedia da sotto il tavolo e mi ci sedetti, continuando a guardare la rosa, senza più toccarla e rigirando tra le mani la carta.

 

Come aveva fatto ad uscire da quel posto? Sempre che fosse stato lui in persona a venire a portarla. E mi resi conto di quanto casa mia fosse poco sicura, di quanto il Joker non si fermasse davanti a nulla. Incrociai le braccia sul tavolo e vi ci poggiai la testa sopra, sospirando.

 

Nella mia testa varie possibilità di azioni si susseguirono.

 

Dovevo chiamare il manicomio per sapere se Joker fosse evaso? E se poi avessi dato un falso allarme per nulla?

 

Scossi la testa.

 

Se avessi lasciato correre la cosa? Avrei fatto credere a Joker che poteva fare ciò che desiderava senza essere ripreso?

 

Ancora scossi la testa.

 

Mi alzai in piedi e andai a prendere il mio cellulare. Composi il numero dell’Arkham Asylum e dopo qualche squillo, mi risposero.

 

“Qui Arkham Asylum, posso essere utile?” rispose una voce dall’altra parte del telefono e ringraziai che non si trattasse dei due dottori che avevo conosciuto oggi.

 

Presi un grosso respiro e risposi:”Salve, sono la dottoressa Quinzel, avrei urgentemente bisogno di parlare con un paziente”

 

“Salve, ho sentito parlare di lei oggi. Capirà benissimo che in questo posto le notizie vanno velocemente. Comunque, con chi desidera parlare?”chiese quella che doveva essere una guardia oppure uno degli infermieri di turno.

 

“Il Joker”

 

Dall’altra parte del telefono ci fu il silenzio, poi una risata.

 

“Mi scusi, non so cosa ci sia di tanto divertente” feci, molto spazientita dall’arroganza della persona al telefono con me.

 

“Non stava scherzando?”chiese, allora, colpita dal fatto che io fossi seria.

 

“No”

 

“Oh, mi dispiace, forse non lo sapeva, ma il Joker è in una zona speciale del manicomio, non possiamo trasferirlo quando non ci sono tutti gli addetti alla sicurezza a controllarlo. Potrebbe sfuggire da un momento all’altro e stranamente ancora non è scappato”

 

A quel punto toccava a me ridere, anche se la mia risata sarebbe stata di frustrazione, perché io sapevo che lui in realtà già era evaso e non sapevo nemmeno se in quel momento fosse ancora li.

 

“Non avete un cordless o una cosa del genere?” chiesi, veramente spazientita. Dovevo sapere e volevo Joker al telefono con me.

 

“Si, ma è un numero diverso da questo”

 

Alla fine l’infermiere mi diede il numero di telefono del cordless della struttura, così che potessi parlare direttamente con il Joker, senza essere disturbata per un po’. Mi sarei recata anche li di persona, ma ero veramente stanca e sperai che l’uomo lo lasciasse solo a parlare così si sarebbe aperto senza rischiare nulla. Poi mi venne in mente la persona con cui stavo per parlare e capì che probabilmente, anzi, certamente, non gli importava molto se qualcuno capisse che lui era evaso per qualche minuto e poi era tornato, indisturbato.

 

“Harley Quinn!” esclamò il pagliaccio, una volta che gli fu passata la chiamata. Chiusi gli occhi e tentai di calmarmi. Per quale motivo avesse deciso di cambiare il mio nome non lo sapevo, ma per questa volta lasciai correre.

 

“Signor Joke..” iniziai, ma fui interrotta da una sua schiarita di voce, che mi fece capire che stavo sbagliando il suo nome. Sospirai e alzando gli occhi al cielo, dissi:”Signor J”

 

“Meglio così”

 

“Tornando a noi, come ha fatto?” chiesi, guardando la rosa davanti a me e la carta tra le mie mani. Avvertì una sorta di pizzichio alle mani e lasciai cadere la carta. Dovevo essermela immaginata.

 

“A fare che cosa, Harl?”

 

A quel punto mi passai una mano tra i capelli e rimasi con la testa appoggiata alla fronte.

 

“Lo sai benissimo” sbottai a denti stretti. Non mi andava di renderlo noto a chiunque avesse potuto ascoltare la nostra chiamata.

 

“Siamo passati al “tu”?” chiese, cambiando argomento.

 

“Tu lo usi sempre con me” controbatté e lui sogghignò, innervosendomi ancora di più, ma facendomi sorridere contemporaneamente. Mi sentivo strana.

 

“Ma io posso. Se non ricordo male, infatti, io sono lo schizofrenico Joker!” e, questa volta, scoppiò  completamente a ridere, facendomi venire la pelle d’oca.

 

Quando smise, notò il mio silenzio e allora aggiunse:”Mi piace casa tua, è così.. accogliente”

 

Quindi lui era stato veramente li. Mi guardai attorno e cercai un segno di infrazione, per capire da dove lui fosse entrato. Nulla, però, presentava un cambiamento o solo una prova del fatto che lui fosse stato la dentro. Frustrata, sbuffai e lui fece una risatina sommessa.

 

“Tranquilla, non ho rotto nulla, sono entrato dalla porta. Oh, e dovresti cambiare divano. Quella macchia è davvero orrenda” ammise, schernendomi e io mi lasciai andare seduta sul divano, proprio accanto a quella maledetta che non ne sapeva di voler sparire. Mi sentii tremendamente in imbarazzo per non aver reso casa mia impresentabile.

 

Scossi la testa.

 

Ma che mi passava per la testa?

 

Tornando in me, pensai che da un momento all’altro il Joker sarebbe potuto entrare in casa mia e io, probabilmente, non me ne sarei nemmeno accorta.

 

“A domani, zuccherino” concluse e senza darmi il tempo di dire altro, interruppe la telefonata. Non osai immaginare il casino in cui mi stavo infilando. Era come se lui fosse il padrone del mondo e in questo caso, lo stava diventando anche di me, ordinandomi ed obbligandomi, come adesso al telefono, a fare quello che desiderava lui, senza potermi opporre.

 

Ora avevo solo due consapevolezze: Joker era stato a casa mia e questo mi piaceva.

 

 

 

 

 

 

 

Angolo autrice.

 

Rieccomi con un nuovo capitolo, questa volta postato di sera. (anch’io mi godo le mie vacanze prima dell’inizio di un nuovo percorso).

 

Nello scorso capitolo pensavo di non aver centrato i vostri gusti, infatti le recensioni ricevute non sono molte e ci sono rimasta male all’inizio. Avevo intenzione di non pubblicare fino a che, almeno, non sarei arrivata alle tre recensioni. Non sto peccando di arroganza, semplicemente mi scocciava che con più di 120 visualizzazioni, avessi sono una recensione. Poi sono arrivate le tre fantastiche recensioni e mi sono sentita meglio.

 

Come al solito, ringrazio tutte coloro che hanno inserito la mia storia tra le scelte/preferite/seguite. Spero che recensiate e sarò felice di rispondere a tutte.

 

un bacio, Unissons

 

 

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Capitolo 5
*** Madden ***


Madden

 

Arrivai sul vialetto che portava all’Arkham Asylum, costeggiato da cipressi e guardai le finestre piccole e alte che appartenevano ad ogni stanza dei nostri pazienti. Mi chiesi cosa stesse facendo ora il più interessante tra tutti loro, ma poi scossi la testa e mi impedì di pensarci per altri secondi. Rallentai per parcheggiare nel posteggio che mi era stato riservato ieri e poi spensi la macchina. Strinsi il volante tra le mani e vi poggiai la testa contro. Dire che mi sentivo confusa e con la testa leggera, era un eufemismo. Mi tirai su e raddrizzai bene la schiena, guardando fuori dal finestrino la porta d’ingresso. Presi la borsa e scesi, per poi entrare nella struttura, dove venni accolta dalla guardia.

Mi chiesi se ieri il Joker fosse uscito da li e se lui lo avesse visto. Probabilmente se la seconda risposta fosse stata affermativa, le guardie ora sarebbero il doppio e tutto lo stabilimento sarebbe stato in allerta. Ma così non era.

Salutai il guardiano dell’entrata che ieri era stato così gentile da aiutarmi nella ricerca del dottor Arkham e poi tirai dritto, sperando di trovare la porta che stavo cercando.

Maledizione, ma non potete cambiare tutte queste porte con qualcosa di più colorato?

Il Joker aveva ragione ieri, un po’ più di colore sarebbe stato utile la dentro.

Il tuo sangue, rosso come il tuo completo.

Scossi la testa, evitando che la mia testa mi ricordasse le sue parole. Proprio per evitare che dicesse cose come quella di ieri, oggi anche io mi ero vestita di bianco e nero. Solo le scarpe erano rosa.

Come una caramella.

E senza che lui avesse mai detto quella frase,  me la immaginai con la sua voce, provocandomi un sussulto interiore, che mi fece sentire bene. Improvvisamente mi sentii calda, bollente. Presi fiato più che potei.

Cosa mi stava succedendo?

“Buongiorno dottoressa Quinzel” disse la voce di una donna e io alzai la testa, vedendo la dottoressa Smith che mi veniva incontro. Ringraziai il cielo per questo aiuto, dato che da sola non avrei mai trovato il mio ufficio. Sperai, inoltre, che non notasse cosa mi stava accadendo nel cervello.

“Buongiorno dottoressa, come va stamattina?” chiesi, il più educatamente possibile, anche se lo stato di leggerezza della mia testa non voleva andarsene.

La donna mi osservò per qualche istante e poi rispose:”Io bene, ma lei? La vedo leggermente pallida”

Trasalii e cercai di cancellare ogni sorta di emozione dagli occhi. Ero stata beccata, ma come biasimarla? Era un’ottima psichiatra, era ovvio che se ne sarebbe accorta.

“Stanotte non ho dormito molto bene” mentii, ma una parte di verità vi era. Per me quella notte era stata all’insegna di sogni pieni di facce di Clown che mi spaventavano e mi torturavano e alla fine avevo deciso di smettere di dormire, andando in cucina a continuare a fissare quella rosa che non avevo avuto il coraggio di toccare ancora.

“Mi dispiace molto, spero che questa giornata possa essere più semplice di quella di ieri. Infondo ieri era il primo giorno, oggi sarà leggermente più semplice, no?” e dicendo così, la donna prese a camminare. Io la seguì, perché ancora non sapevo ben orientarmi in quel posto con i corridoi e le porte tutte uguali. Pensando alle sue parole, conclusi che in realtà quella giornata sarebbe stata ancora più difficile di quella di ieri, perché ora capivo di cosa era in grado il Joker. E mentre i miei pensieri andavano a parare sempre in quella direzione, arrivammo al mio ufficio, dove felicemente mi sedetti alla poltrona e posai la borsa a terra. Mi sentivo esausta.

“Ho fatto in modo di recuperare la cartella clinica del Joker, per potergliela portare così che la possa studiare, anche se non c’è molto su cui soffermarsi” disse la donna, per poi andare via. Infatti, quando alzai lo sguardo sulle scartoffie presenti sulla mia scrivania, notai una cartella con sopra scritto Joker. Incuriosita oltre ogni immaginario, la presi in mano e la sfogliai. Più andavo avanti e più mi sentivo frustrata.

Pagine e pagine di niente.

Vi erano designati i suoi più importanti attacchi, un serie di nomi di persone che aveva ucciso involontariamente e spontaneamente, ma niente che riguardasse un’eventuale problematica psichica. Poi arrivai all’ultima pagina in cui lessi:

psicopatie varie, non associabili alla schizofrenia. Assenza di allucinazioni e varie altre alterazioni spazio temporali. Il paziente prova piacere nell’infliggere dolore, il che sembra causato da traumi presenti nella sua infanzia, come da lui stesso ammesso. Si è rifiutato di dire altro, il dottor Kin è stato ucciso proprio per aver tentato di chiedere oltre.

Non lessi altro,mentre una mano di terrore aleggiava sulla mia testa. Mi passai una mano tra i capelli, distogliendo un attimo lo sguardo da quel foglio. Come avrei fatto a scoprire cose nuove su di lui, se il mio predecessore era morto nel mio stesso tentativo di guarirlo? All’improvviso mi sentii persa. Chiusi gli occhi e cercai di tornare in me, senza pensarci al momento. Sapevo che avrei visto il Joker quella stessa giornata e solo allora avrei trovato il modo di chiedere, senza il rischio di perdere la mia vita.

Anche ieri ha provato ad ucciderti e senza motivo apparente. Come puoi pensare che se oggi tu gli chiedessi della sua infanzia, non si alzerebbe dal suo posto e ti ucciderebbe?  

Sbuffai e cominciai di nuovo a far scorrere lo sguardo sulla pagina, per controllare la presenza di eventuali dati anagrafici che svelassero, almeno, il suo vero nome:

Nome: sconosciuto

Cognome: sconosciuto

Alter – ego: Il Joker

Età: all’incirca 38

Altezza: 183 cm

Peso: 73kg

Occhi: verdi

Capelli: verdi

Parenti: Jeannie (moglie deceduta)

E poi il nulla. Nient’altro su cui poter lavorare, niente da analizzare, solo una mente folle, assassina, con un passato oscuro e una moglie morta.

Moglie. Aveva avuto una moglie.

Strinsi le dita a pugno, fino a che lo nocche diventarono bianche e le unghie si infilzassero nella carne. Avevo come una morsa nello stomaco a solo sentire quella parola e mi diedi della sciocca. Cosa mi stava passando per la mente? Battei forte una mano sulla scrivania e solo allora mi accorsi di averlo fatto troppo forte, infatti una infermiera si affacciò alla mia porta.

“Tutto bene?” chiese lei, leggermente preoccupata e io, che non avevo mai visto quella donna, non mi sentì in colpa a mentirle.

“Si, mi scusi per il rumore” risposi, con un sorriso falso, che mi ricordò qualcuno che non se ne andava dalla mia mente. E a quel proposito, desiderai poterlo vedere subito.

“Già che è qui, avvisi le guardie che voglio vedere il Joker” ne approfittai quindi, di quella donna. Improvvisamente sapevo che non era puro desiderio lavorativo quello di vedere il Clown, ma personale. Molto personale.

Mi morsi il labbro e mentre la donna annuiva, per poi andare, mi presi la testa tra le mani, per l’ennesima volta in quel giorno e mi chiesi se stessi impazzendo anch’io, assieme ai pazienti presenti in questo posto. Prima o poi sarei stata rinchiusa anch’io in un manicomio del genere, se i miei pensieri non avessero smesso di prendere quella direzione errata.

Frustrata, mi alzai in piedi e iniziai a camminare su e giù per la stanza. Mi sentivo in preda al panico, non volevo che tutto questo accadesse a me, non proprio ora, all’inizio del mio primo rapporto lavorativo.

“Finalmente Harl, mi sei mancata da impazzire”.

 

 

 

Angolo autrice.

Salve ragazze, rieccomi qua.

Oggi il capitolo arriva prima del solito, nonostante ieri sera lo abbia messo abbastanza tardi. Questa decisione è stata dettata dal fatto che mi sono ritrovata con molte recensioni e volevo ringraziarvi pubblicando il prima possibile.

Inoltre ho visto che la mia storia è seguita da ben dodici persone e vi giuro che se potessi, vi abbraccerei tutte. Grazie mille per seguirmi in così tante e per recensire, anche se dato che ricevo centro visite ogni giorno, potreste anche darvi più da fare, pigrone/i.

Vi adoro comunque.

Un bacio, Unissons.

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Capitolo 6
*** Puddin' ***


Puddin

 

“Ti è piaciuta la rosa?” sussurrò Joker, appena la guardia si chiuse la porta alle spalle. Imbarazzata, mi portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio e annuì. Nonostante mi si fosse infilata una spina sotto la pelle, quel fiore era bellissimo e sapere che lui era stato a casa mia..

Bloccai quei pensieri ed alzai la testa per guardarlo. A sua volta lui fissava me, sempre con quello stesso sorriso inquietante e quello sguardo allucinato. Mi chiesi se stesse seguendo la terapia che gli avevo prescritto ieri. Probabilmente non lo stava facendo.

“Tu non hai nulla per me, invece?” chiese lui, guardandosi attorno, con falso fare da bambino. All’improvviso, un nomignolo con cui appellarlo mi venne in mente. Dolce rispetto ad una persona come lui, per questo, secondo me, perfetto.

“Cosa volevi che ti portassi Puddin?”chiesi a mia volta e il suo sguardo fu su di me. Lo sguardo allucinato di sempre fu sostituito da uno omicida. Qualcosa non andava, qualcosa non gli piaceva. Forse il nome, forse io. Mi si strinse il cuore.

“La prossima volta che verrai qui da me, mi porterai un qualsiasi regalo” ordinò e dentro di me scattò qualcosa. Mi sentii obbligata ad eseguire ciò che mi aveva chiesto e  iniziai a pensare ad un regalo che si potesse fare ad un serial Killer. Probabilmente già possedeva tutto, probabilmente le mie idee di ‘regalo’ non corrispondevano con le sue.

Però lui mi ha regalato una rosa.

Qualche istante dopo realizzai che questa fosse una seduta psichiatrica e che lui fosse il mio paziente. Così mi sedetti bene, con la schiena dritta e lo guardai in faccia, pronta a porgli le mie domande.

“Torniamo alla nostra seduta” sussurrai, per poi schiarirmi la voce, sperando che non avesse notato il mio tono incerto. Alzai lo sguardo e, prima di fargli una qualsiasi domanda, guardai la sua camicia di forza, incerta. Ieri, quella stessa, era stata tolta con troppa facilità. Oggi, se volevo che tutto andasse bene e che non mi uccidesse, dovevo essere sicura che quella fosse ben salda e che non potesse liberarsi di sistema di sicurezza. Così mi alzai e andai dietro di lui per stringere bene le cinghie.

“Non ti fidi proprio di me, pasticcino” sussurrò, per poi voltare la testa verso di me. I nostri visi furono ad un centimetro di distanza e le sue labbra scarlatte, mi fecero salire un brivido che salì fino allo stomaco. Il mio sguardo, poi, si posò sui suoi occhi e ancora una volta il suo sguardo divenne omicida. Non mi spaventò, però.  Mi morsi il labbro e mi sentii arrossire, mentre il mio respiro divenne palesemente pesante. Non mi ero mai sentita così con nessun’uomo.

A denti stretti lo sentì dire:”Ti piace ciò che vedi?” ma immediatamente mi allontanai. Voltai le spalle e tornai a sedermi dietro la scrivania, da dove dovevo fare il mio lavoro da psichiatra, per poter guarire quest’uomo pazzo.

“Oggi la dottoressa Smith mi ha procurato la tua cartella clinica” iniziai, ancora in debito d’ossigeno e per una volta, quando per l’ennesima volta mi interruppe, ne fui davvero contenta.

“Oh.. e hai visto qualcosa che ti spaventa?” chiese sussurrando e io mi bloccai. Per qualche istante nella mia mente ci fu il vuoto. Non avevo provato paura leggendo la sua cartella clinica, quell’emozione era stata sostituita da una molto, molto diversa e pericolosa.

La gelosia.

“Su, pasticcino, dimmi, provi terrore ad essere nella stessa stanza con me?”

Per un istante mi chiesi se quest’uomo non si nutrisse della paura stessa. Non solo gli piaceva infliggere dolore, ma godeva nel sapere che la gente provasse paura. Mi leccai le labbra e lo continuai a fissare negli occhi. Beh, questa volta sarebbe stato deluso.

“No, J, non provo paura” dissi seria, senza nemmeno dargli del lei, senza nemmeno preoccuparmi della reazione che avrebbe avuto una volta sbattutagli in faccia la realtà. Per una volta esisteva qualcuno al mondo che non avesse paura per lui. Ancora una volta il suo sguardo mutò. Mi chiesi se non avesse progetti che includessero tornare a casa mia e uccidermi mentre dormivo.

Il clown si spinse sul tavolo e mi guardò il più vicino possibile, quel tanto che la camicia gli permettesse. “Allora sentiamo, cosa hai letto?”

“Non ti è stata diagnosticata nessun tipo di malattia psichiatrica” sussurrai, boccheggiante. Era vicino, anche se non molto, e una scossa attraversò il mio corpo.

“Solo tu lo hai fatto, mi hanno detto di tutto, ma mai che io sia schizofrenico, infondo non sento voci e non vedo cose strane. A me piace fare quel che faccio. Direi che sono, più che altro, originale”

Lo guardai parlare, mentre diceva quelle cose seriamente, ma sempre con lo stesso sorriso stampato in faccia. Nessun’uomo, nemmeno il più pazzo omicida, avrebbe mai avuto il coraggio di parlare così davanti ad una persona che avrebbe potuto registrare tutto e poi portarlo alla polizia, per far aumentare ancora di più la sua condanna. Non che io ne avessi la benché minima intenzione. Nelle nostre sedute non utilizzavo nemmeno il registratore, in modo tale che ciò che ci dicessimo restasse in quella stanza e basta. E non mi ero resa conto di farlo, fino a quel momento. Inconsciamente avevo protetto questo uomo e ciò mi preoccupava molto. Conoscevo la psiche umana e l’incoscio poteva nascondere terribili cose.

“Però c’è un appunto” dissi, mentre sfogliavo la sua cartella e ne tirai fuori la pagina in cui vi erano le parole che stavo cercando.

“Il paziente prova piacere nell’infliggere dolore, il che sembra causato da traumi presenti nella sua infanzia” lessi e trattenni il fiato, omettendo la parte in cui si aggiungeva che il dottor Kin era stato ucciso per aver osato chiedere di più.

Qualche rumore, un movimento sospetto e quando alzai lo sguardo, potei dire di essere realmente fregata. Il Joker mi guardava dall’alto della sua altezza, con le maniche della camicia che gli ricadevano lungo i fianchi. Lo sguardo omicida era posato su di me e la mia bocca si aprì leggermente dallo stupore.

La mia voce sembrava persa nei meandri della mia gola, non riuscivo a parlare e l’unica cosa che feci, fu restare immobile, seduta, mentre il Joker si avvicinava con passo da volpe verso di me. Aggirò la scrivania e mi arrivò accanto.

Alzai il viso, per osservare quali fossero le sue attenzioni, non spaventata, ma affascinata e qualche secondo dopo, il suo dorso della mano si schiantò contro la mia guancia destra. La sedia sotto di me si rovesciò e io mi ritrovai a terra, sorpresa che tutto quel frastuono non avesse fatto entrare una guardia.

Joker, poi, si mise a cavalcioni su di me e con la mano premette forte sul mio braccio e strinse. Io chiusi gli occhi e aspettai che quel dolore passasse. Non dovevo lamentarmi, non dovevo fargli capire quanto dolore stessi provando in quel momento, altrimenti la tortura non sarebbe mai finita. Adorava fare del male e se io gliene avessi dato l’opportunità, probabilmente, sarei diventata il suo giocattolino.

Ma è quello che vuoi.

Aprì di scatto gli occhi e mi ritrovai il suo viso davanti al mio.

“Se solo tu non fossi così perfetta ragazzina” disse, premendo ancora più forte. Sembrava che stesse per spezzarmi il braccio e il dolore mi colpì forte. Strinsi forte i denti e mentre nel mio cervello rimbombava un urlo taciuto.

“Non dai soddisfazioni” disse, scoppiando a ridere e poi tornando a sedersi alla sua postazioni. Io rimasi sdraiata a terra per qualche secondo, con le lacrime che premevano agli angoli degli occhi, non per via del dolore, ma del percorso che era stato intrapreso della mia mente. Non provavo dolore, non provavo repulsione, non provavo paura. Mi si strinse un nodo in gola. Alla fine decisi di alzarmi guardando l’uomo davanti a me. Avrei mai potuto fargli quelle domande senza rischiare di essere torturata o uccisa?

“Risponderai mai alla domanda che ti ho fatto?” chiesi sommessamente, sperando che non mi saltasse ancora addosso.

“Bambolina, avrei così tante cose da dire, che una ragazzina come te, ne rimarrebbe scioccata” e per la prima volta, sapevo che le sue parole fossero veritiere.

“Jok..”

“Pensavo avessi capito ormai come voglio che mi chiami”

“Oh.. J, questo è il mio lavoro, io voglio curarti, voglio essere utile per te”

Ancora una volta, con la camicia di forza slacciata e le maniche che dondolavano lungo i suoi fianchi, il Joker si avvicinò a me e mi tirò su il mento, per potermi guardare direttamente in faccia. Occhi negli occhi.

“Bella, bella, bella, Non cercare di capirmi, impazziresti” sussurrò e il suo indice mi toccò le labbra, per poi tornare a cadere lungo il suo fianco. Risucchiai il respiro e pensai che se avesse continuato così, probabilmente sarei morta per insufficienza respiratoria. Il suo indice aveva lasciato una scia incandescente, prima di andarsene.

Bacialo, so che lo vuoi, fallo.

E in un secondo, le mie braccia furono intorno al suo collo. Lo guardai intensamente negli occhi, sperando che non vi leggesse più del dovuto e le mie labbra furono sulle sue, in un bacio leggero, non corrisposto dall’uomo tra le mie mani.

 

 

Angolo autrice.

Salve ragazzi, rieccomi qui con un nuovo capitolo. Moltissime sono le persone che hanno messo la mia storia tra i preferiti/seguiti/ricordate e vi volevo ringraziare immensamente per questo. So che la mia storia non è la migliore tra le presenti nell’argomento ‘Batman’, ma voi siete qua a leggere ciò che nasce dalla mia fantasia, ovviamente molto influenzata dai fatti realmente narrati.

Come ho già spiegato a molti di voi nella risposta alle recensioni che mi avete lasciato, ci sarà un punto in cui la storia per avere una sua logica, avrà bisogno di sconvolgere cronologicamente il mondo di Joker e Harley. In sostanza, in questa storia verranno narrati i fatti per come sono avvenuti e per come si possono osservare anche in suicide squad, ma per rendere la trama fluida, ho avuto bisogno di invertire due episodi, dopo del quale la mia fantasia prenderà il sopravvento, inventando molte cose che non sono mai accadute. Almeno fino ad un certo punto.

Ma ora non sono qui a spifferarvi le cose come avverranno dopo, altrimenti vi rovinerei la sorpresa. Perciò, vi chiedo solo il piccolo sforzo di recensire leggermente di più. non perché io voglia notorietà o cose del genere, solamente che sarebbe piacevole sapere la vostra opinione su ciò che scrivo, in modo tale da potermi migliorare con l’andare avanti dei capitoli.

Vi ringrazio ancora, infinitamente.

Un bacio, Unissons

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Capitolo 7
*** With me, forever ***


With me forever

 

 

 

E in un istante mi ritrovai di nuovo a terra, questa volta dolorante in viso, dopo aver ricevuto un man rovescio dall’uomo davanti a me. Lo guardai mentre si teneva la mano e sorrideva. Poi con voce bassa e porgendomi una mano, disse:”Sei troppo perfetta per me, zuccherino”.

 

Abbassai lo sguardo, confusa e arrabbiata con me stessa. Cosa credevo di fare baciando il Joker? Un mio paziente? Un pazzo serial killer, che era entrato in casa mia e che una volta fuori da li avrebbe potuto uccidermi in un istante?

 

Scettica, accettai la sua mano per tirarmi su e, come se avessi sentito l’odore del pericolo, mi ritrovai attaccata al suo petto, mentre con due dita mi sollevava il mento.

 

“Adesso mi aiuterai ad allacciare la camicia e poi mi farai portare via” ordinò, ancora una volta, come se tra i due quello che avesse potere fosse lui. Mi fissò e io sentii contrarsi lo stomaco. Poi, senza voce, come se quella fosse scappata, annuì e lui mi staccò da se, molto bruscamente, tanto che barcollai per qualche istante. Avrei tanto voluto che mi tenesse li tra le sue braccia.

 

Ritrovai l’equilibrio e mi strinsi le mani per la piega che stavano prendendo i miei pensieri. Non potevo azzardarmi a pensare una cosa del genere. Come potevo desiderare un uomo tanto perfido come Joker?

 

“Allora?” chiese, in tono arrogante, guardandomi, sempre con le maniche della camicia sospese ai lati dei fianchi. Mi avvicinai a lui e la strinsi per quel che bastava, tanto comunque a lui quel trucchetto non bastava. Se voleva liberarsi e fare del male, lo avrebbe fatto senza problemi. Infondo era Joker, ed era sfuggito da situazioni ben  peggiori.

 

Per qualche istante, poi, rimasi ferma a fissargli la nuca e ancora una volta mi chiesi come fosse possibile avere “naturalmente” i capelli verdi. Nonostante, però, fosse un particolare che lo rendeva poco umano, era così affascinante su di lui. Inconsciamente, la mia mano si alzò e cercò di aggrapparsi a loro, prontamente ritornai in me e la riabbassai.

 

Perché poi mi ricordai con chi avessi a che fare,  e decisi di andare a chiamare la guardia, proprio come desiderava.

 

Così m’incamminai verso la porta, con un nodo in gola e il fuoco che divampava nel petto. Almeno fino a che un fischio non mi bloccò.

 

“Ragazzina, vuoi farmi impazzire? Sarò anche pazzo, ma le donne mi fanno ancora effetto. Smettila di ondeggiare le tue graziose anche” mi schernì il Joker e io mi sentì arrossire. Ringraziai il cielo per non essermi voltata, non volevo che l’uomo vedesse anche quest’altra mia debolezza. Mi ero completamente, infatti, che da tutta la vita quando camminavo senza pensarci, le mie anche si muovevano in modo accattivante. Non era una cosa che mi piaceva, ma sapere di avere quest’effetto su Puddin, fece fare una capriola al mio stomaco, che poi si gelò, quando mi resi conto di essere felice e di aver riutilizzato quel nomignolo, anche se solo nella mia mente.

 

Senza nemmeno rispondere, aprì la porta davanti a me e chiamai la guardia che era poco lontana, intenta a parlare con una delle infermiere. Quando si accorse di me, si mise a correre e fu davanti alla mia porta dopo qualche secondo.

 

“Devo riportarlo nella cella?” chiese e io annuì semplicemente. Non me la sentivo di parlare, non avevo idea del percorso che la mia mente stesse intraprendendo e non avevo idea di cosa sarebbe potuto uscire dalla mia bocca.

 

Gli feci spazio per entrare e lui iniziò a tirare il Joker  per il braccio.

 

“Su pagliaccio, torniamo in cella, ti devi preparare mentalmente per il pomeriggio libero di domani” disse la guardia a Joker in tono esausto, come se quello fosse l’argomento del giorno di cui tutti stavano parlando, eccetto me.  Guardai entrambi confusa e sospirai. Nessuno aveva avvisato ‘quella nuova’ di un avvenimento che conoscevano tutti.

 

“Oh, è domani? Finalmente, sono così stanco di stare qua dentro” rispose Joker e successivamente non sentì più nulla, dato che ormai erano lontani dal mio ufficio. Sorrisi alla battuta tirata dal Joker. Poi mi tirai un pizzicotto. Dovevo smetterla di sentirmi così coinvolta quando si trattava di lui.

 

Per saperne di più su questa storia, mi avvicinai al telefono presente nella mia stanza e chiamai la dottoressa Smith. Composi uno dei numeri che erano presenti sulla mia scrivania, che il giorno prima mi aveva gentilmente lasciato il dottor Arkham.

 

Dopo qualche squillo, la dottoressa rispose:”Si?”

 

“Salve, sono Harleen.. volevo dire, la dottoressa Quinzel”

 

“Non sei proprio abituata ad utilizzare il tuo cognome, vero? Fidati che ci farai l’abitudine qui dentro. Ma dimmi, immagino che non mi avrai chiamata per fare un’allegra chiacchierata”

 

“Infatti, una guardia, mentre prendeva il Joker, ha detto del pomeriggio libero.. cosa intendeva?”

 

“Nessuno l’ha avvisata? Santo cielo, in questo posto le notizie non arrivano mai dove devono arrivare. Aspetta che arrivo, sono un attimo da un paziente e poi ne parliamo, anche perché devo chiederti una cosa sul Joker”

 

E senza dire altro, riagganciò. Frustrata, iniziai a girare sulla sedia dell’ufficio e pensai alle parole che aveva pronunciato per ultime, il Joker:  Smettila di ondeggiare le tue graziose anche. 

 

Evidentemente una frase da nulla, ma detta da lui era così importante che sospirai e poi tirai un pugno alla scrivania, solo per la reazione che il mio organismo aveva creato dopo aver rievocato quell’immagine. Non potevo credere che tutte quelle cose stessero accadendo a me e non con un uomo normale, ma con un pazzo killer, che si sarebbe divertito a sgozzarmi e vedere il mio sangue macchiare la graziosa moquette bianca del mio ufficio.

 

“Dottoressa” disse una voce di donna che mi risvegliò dai miei pensieri e sulla porta del mio ufficio vidi la dottoressa Smith.

 

“Oh, mi scusi, non mi ero nemmeno accorta della sua presenza. Ero sovrappensiero. Si accomodi” dissi, molto in imbarazzo, come se lei avesse visto  o sentito il corso dei miei pensieri. Poi tornai in me e pensai che si trattasse solo di paranoie, dato che era praticamente impossibile che lei sapesse a cosa, o meglio, a chi, stessi pensando. Ultimamente, però, questi miei piccoli pensieri, che avevano il potere di mandarmi in ansia, erano aumentati a dismisura.

 

“Si figuri” fece, sedendosi davanti a me, accavallando le gambe, e io le feci segno di parlare di ciò che ci eravamo dette al telefono, tentando in ogni modo di mascherare la mia inquietudine.

 

“Allora, ogni anno il nostro manicomio lascia un pomeriggio libero ai nostri pazienti. Per questo vengono chiamate il triplo delle guardie che normalmente ci sono e facciamo in modo che la loro sanità mentale possa salire a galla anche grazie a questo evento. Infondo sappiamo che l’uomo è un animale sociale e ha bisogno di condividere esperienze e parole con altre persone, anche se in questo caso si tratta di pazzi criminali” spiegò la Smith in poche e semplici parole.

 

Mi stupì di questa bell’iniziativa da parte di un manicomio, specialmente se criminale. Mai si sarebbe pensato che all’interno di uno di essi, si lasciasse spazio alle persone per incontrarsi e fare nuove esperienze. Nello stesso momento, però, mi venne in mente di una nuova presenza in quel manicomio e il mio stomaco ribollì.

 

“Però, quest’anno c’è il Joker..” disse la dottoressa con voce tesa, anticipando le mie parole e pensai che qui dovessi intervenire io. Era venuta qui apposta per parlarmene.

 

“E vuole sapere da me se è il caso di farlo incontrare con altri pazienti?” chiesi e lei annuì, portandosi le mani sotto il mento, come a reggerlo. Sinceramente non sapevo cosa rispondere. Joker era pazzo e alquanto imprevedibile. Anche se io pensassi che fosse il caso di far incontrare anche lui con gli latri pazienti, non ero molto convinta del fatto che non potesse organizzare qualcosa con qualcuno. E qui iniziai ad immaginare il Joker libero, che ora mi conosceva, che si era infilato in casa mia, che avevo baciato.. cosa ne sarebbe stato da questo momento in poi di me? Certamente la mia vita non sarebbe più stata la stessa dopo aver conosciuto quell’uomo.

 

“Preferirei effettuare un colloquio preventivo con il Joker per controllare la situazione e poi arrivare ad una conclusione, per capire se sia un bene anche per gli altri pazienti che lui partecipi a questa iniziativa” dissi, infine, anche se una parte di me voleva dargli assolutamente il via libera, per poterlo avere fuori da qui. Magari in casa mia.

 

Magari per sempre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo autrice.

 

Salve ragazzi! Ed eccoci al settimo capitolo. Come starete ben immaginando, la svolta della storia sta per arrivare e chissà cosa accadrà nei prossimi capitoli (mi piace lasciarvi con un po’ di suspence).

 

Inoltre, volevo assolutamente ringraziarvi per aver recensito in così tante il mio capitolo. Siamo arrivate a trenta recensioni e non vedo l’ora di veder aumentare quel numero, perché ricordatevi che a me fa sempre piacere conoscere la vostra opinione. Devo anche ringraziare tutte quelle bellissime persone che hanno messo la mia storia tra le seguite. Siete in diciassette, caspita! Se battete un colpo e segnate la vostra presenza, sarò molto felice di rispondervi e parlare un po’.

 

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e se è così, lasciatemi una recensione.

 

Un bacio, Unissons

 

 

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Capitolo 8
*** Rotten ***


Rotten

 

Alla fine della giornata, insieme alla dottoressa Smith, avevamo comunicato che sarebbe stato meglio effettuare il pomeriggio libero, circa una settimana più tardi, in modo tale che i farmaci somministrati al Joker come terapia, potessero dare veramente gli effetti desiderati. Ciò che non dissi mai ai miei colleghi, però, fu che ogni volta che lo incontravo per le nostre sedute il suo sguardo mi appariva sempre più allucinato, segno evidente che i farmaci prescritti non facessero effetto.

Il pomeriggio libero si avvicinava sempre di più e le mie preoccupazioni, con ciò, crescevano. Se fosse successo qualcosa in quella giornata, solo io ne sarei stata la responsabile. Qualcosa, però, mi impediva di andare a denunciare ciò che stava accadendo. Mi sentivo sempre più attratta da Joker,in un modo incondizionato. Sapevo, avevo la consapevolezza, che avrei fatto qualsiasi cosa per lui, ora come ora. Non riuscivo proprio a spiegarmela questa cosa. Solo due settimane fa, quando avevo sentito la notizia della bomba al municipio, sapere di lavorare con Joker mi aveva dato i brividi. Ora, essere cosapevole che un giorno lui sarebbe potuto evadere o che io potessi stare male e quindi rimanere a casa senza vederlo per un giorno, mi metteva l’amaro in bocca. Avrei voluto che fosse possibile avere perennemente il mio paziente nel mio ufficio, senza mai farlo tornare nella sua cella. Avevo provato, perfino, inconsciamente, a chiedere ad Arkham di allungare le nostre visite, con la scusa che “sarebbe meglio per la salute del Joker avere qualcuno accanto per più tempo”. Ma ovviamente mi era stato negato, anche per la mia incolumità.

Ed ora, sulla mia scrivania, mentre prendevo appunti, pensai a tutti i modi in cui avrei potuto tenere sotto il mio controllo il Joker, sperando che io da sola ci sarei riuscita, senza rischiare che lui mi sfuggisse dalle mani. Perché diversamente da tutte le guardie che controllavano le varie porte, io gli sarei stata accanto fino a che non fosse tornato alla sua cella.

Qualche settimana fa, il mio intento era quello di dargli il permesso, per poi ritrovarmelo a casa mia. Ora, non volevo assolutamente che sfuggisse.

Alzai lo sguardo e guardai l’orologio. Era mezzogiorno e probabilmente i pazienti stavano pranzando. Per effettuare un eventuale controllo, decisi che questa volta sarei stata io a scendere da lui, in modo tale da sapere in prima persona se lui prendesse o meno i farmaci da me detti.

Due settimane di tempo in quella struttura e ormai la conoscevo come le mie tasche, così, senza chiedere a nessuno, mi incamminai verso il corridoio dei sotterranei, dove avevano confinato il Joker.

Come se questo potesse fermarlo. 

Presi uno degli ascensori e mi ritrovai al suo piano. L’odore di muffa, dovuto al freddo che ristagnava in quello spazio, mi riempì i polmoni e mi misi a tossicchiare, cercando di non disturbare i pazienti che mangiavano tranquillamente. Le pareti erano nere e rendevano lo spazio molto angusto, specialmente accompagnate dalle lampade al neon che davano un effetto spettrale. La guardia del piano mi salutò e io feci altrettanto, così come l’infermiera a cui, invece, mi avvicinai.

“Grace, ciao.. hai già dato i medicinali a Joker?” chiesi, senza sembrare troppo in urgenza, come invece mi sentivo. Ogni cosa che lo riguardava, mi metteva sempre in allarme, cosa al quale ormai mi ero già abituata, però non potevo sapere come la prendessero le altre persone. Era una cosa abbastanza grave che una dottoressa avesse un debole per uno dei suoi pazienti, no?

La donna, che avevo conosciuto una settimana dopo il mio arrivo, mi sorrise e indicò l’elenco dei detenuti, sul quale vi era anche quello del Joker.

“No, Harleen, oggi Sean ha avuto una crisi e abbiamo dovuto imbottirlo più del solito. Però il pasto gli è già stato consegnato” rispose Grace e io mi voltai a guardare la cella del paziente al quale si era riferita. Sapevo benissimo di cosa stesse parlando. Arkham era arrivato nel mio ufficio urlando il fatto che secondo lui il Joker avesse fatto qualche sorta di scherzo a quest’uomo che era da anni rinchiuso li dentro e da molti di questi non aveva recato alcun problema. Io stessa, poi, avevo prescritto i farmaci da dare all’uomo, tra cui uno che inibiva la memoria a breve termine, in modo tale che se il Joker centrasse qualcosa, ne sarebbe uscito illeso.

Mi ero sentita in colpa anche per questo.

Quell’uomo mi stava cambiando.

Tornai a guardare la donna e dissi:”Perfetto, dai a me le sue pillole, devo farci quattro chiacchiere prima del pomeriggio”

Grace non se lo fece ripetere due volte, infondo ero una sua superiore e dottoressa per giunta, sapevo esattamente cosa stessi facendo. Secondo lei.

“Grazie” dissi sorridendole e poi camminai verso la cella più lontana, quasi immersa nell’oscurità, se non fosse stato per una luce al suo interno. Mi chiesi per quale motivo avessero scelto una cella così angusta per un uomo che doveva recuperare la sanità mentale, certamente in quel modo non sarebbe stato aiutato. La rabbia mi montò dentro, ma cercai di trattenermi, avrei trovato Arkham e avrei fatto mettere una luce in quella parte del corridoio. Li, l’odore della muffa mi sembrò ancora più forte e un aggettivo mi venne in mente: marcio*.

“Zuccherino, che piacevole sorpresa averti qui nel mio buco. Come mai non mi hai fatto portare nel tuo ufficio? Non che mi dispiaccia vederti ondeggiare le anche verso di me” esordì il Joker, proprio quando fui davanti al cristallo che lo separava dal resto dell’edificio. La sua cella era piccola e vi era spazio a malapena per un gabinetto e per la sua brandina.

Un sorriso montò sulle mie labbra e scoppiai a ridere, non capii per quale motivo, ma una volta finito avevo le lacrime agli occhi e a sua volta Joker si mise a ridere con me, come se fosse la cosa più naturale da fare. Un senso di libertà e spensieratezza si presentò in me, dopo quelli che erano giorni. Da quando avevo iniziato a lavorare li, avevo sentito sulle mie spalle molte responsabilità. Quando tornai in me, sperai solo che nessuno ci avesse sentiti o che perlomeno pensassero che lui avesse fatto una battuta al quale io avevo riso.

Mi asciugai una lacrima e il Joker disse, portandosi una mano al mento:”affascinante, affascinante, affascinante”

Non gli chiesi cosa intendesse con ciò, bensì, aprii lo sportellino da cui le infermiere passavano cibo e farmaci e gli posai il bicchierino con i farmaci da me stessa prescritti.

“Oh, oggi hai deciso di portarmi tu stessa la mia droga?” chiese lui, per poi trangugiare tranquillamente le pastiglie e berci su un grosso bicchiere d’acqua. Davanti a se aveva il cibo, che non aveva nemmeno toccato e decisi di ignorare la sua domanda e chiedergli di quello.

“Non mangi, oggi?”

“Piccola, ti preoccupi?”

Lo guardai negli occhi.

No, Puddin, volevo solo evitare la precedente domanda.

“Sono una dottoressa, è il mio lavoro..” cercai di dire, ma lui mi interruppe.

“Bla, bla, bla, sempre le solite parole noiose”disse, marcando l’ultima parola. Girò su se stesso e andò a sedersi sul letto, che per qualche miracolo ero riuscita a fargli mantenere. Il dottor Arkham qualche giorno fa voleva toglierlo, per via del fatto che la notte aveva disturbato parecchia gente con la sua risata e il dottore aveva detto “se non dormi, il letto non ti serve”.

A parer mio, una punizione troppo severa per il mio Puddin.

“Allora, cos’hai deciso piccola? Posso farmelo questo giretto?”chiese, poggiando la schiena al muro. Tutto questo mi sembrava solo una bella allucinazione. Mi guardava, come se veramente fosse interessato a me, ma gli lessi negli occhi che c’era qualcosa che stava escogitando. Ancora una volta decisi di fare finta di nulla. Lo avrei controllato bene, non sarebbe riuscito a scappare, non con me presente.

Poggiai una mano sul vetro davanti a me e mi accorsi che lo stavo fissando da parecchio dal fatto che con il suo solito sguardo inquietante mi fissava, con la testa piegata di lato. Un’emozione sconosciuta si disperse nel mio petto, facendomi mancare il fiato e un battito del mio cuore mancò. Mi sentivo come svenire, ma in modo molto più lento e delizioso.

Sospirai ed annuì.

Lui sorrise e sussurrò:”Brava piccola, vedrai che è la risposta corretta. Non ho mai dubitato di te”

In tutto ciò sperai che le pastiglie facessero il loro effetto almeno questa volta, in modo tale che tenerlo a bada sarebbe stato più semplice di quello che mi si prospettava.

 

 

 

Angolo autrice.

Salve ragazze! Ecco il nuovo capitolo.

Siamo già all’ottavo, caspita! Comunque volevo ringraziarvi per le sette recensioni del capitolo precedente. Non potete nemmeno immaginare la mia emozione nel leggere le vostre opinioni e sono stata davvero contenta di rispondere ad ognuna di voi. Inoltre, oggi ho visto che sono tra le storie preferite di quindici di voi e tra le seguite di venti di voi! Mi sento lusingata, veramente, non so come ringraziarvi.

Come avrete notato, comunque, questo capitolo rappresenta una sorta di passaggio da quello precedente a quello che verrà. Le cose si faranno più intense da adesso in poi e vi prego di lasciare una recensione per rassicurarmi, perché da questo capitolo in poi Joker cambierà e spero di non aver sbagliato nella sua descrizione.

Un’ultima cosa, credo che abbiate notato il ‘*’ presente nel capitolo dopo l’aggettivo ‘marcio’. Ecco, volevo solo farvi notare che, essendo la storia in italiano, non potevo mettere una parola in inglese, per questo ho deciso di mettere la traduzione. In realtà quell’aggettivo sarebbe ‘rotten’, il che spiega il nome del capitolo.

Se vi è piaciuto il capitolo, fatemelo sapere in una recensione.

Un bacio, Unissons.

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Capitolo 9
*** Shock ***


Shock

 

Da quando Batman è riuscito a catturare il Joker, in città regna la tranquillità. Tutto sembra così spensierato e tranquillo e sembra che questa volta il pagliaccio non abbia intenzione di sfuggire.

Che sia arrivata la pace per Gotham?

Un morso del mio panino mi andò di traverso e dovetti bervi sopra molta acqua, sotto gli occhi delle varie infermiere e del dottor Arkham, che mi guardavano preoccupati.

“Sta bene dottoressa?” chiese una donna che non avevo mai visto, ma dall’abbigliamento giudicai che fosse anche lei una delle addetta alla cura dei nostri pazienti.

Mi limitai ad annuire, ancora leggermente scossa dal mio quasi soffocamento e poi tornai a leggere il mio giornale. Sotto l’articolo che avevo appena letto, vi era una foto del Joker in tutta la sua bellezza. Certamente chi aveva scelto la foto, se avesse voluto spaventare qualcuno, non ci sarebbe riuscito. Tentativo fallito, amico.

Lo sfondo bianco faceva risaltare i suoi capelli verdi e la sua bocca scarlatta, aperta in un sorriso falso e omicida, di sicuro uno che utilizzava quando stava uccidendo la gente.

 Il suo sport preferito.

Scesi con gli occhi e la foto era a torso nudo. Mi ritrovai a deglutire a bocca asciutta. Tutti quei tatuaggi, benché inquietanti, erano perfetti su di un uomo la cui sanità mentale era in discussione. Mi slacciai di un bottone della camicia, per far arrivare più aria alla mia gola e misi giù il giornale, rinunciando a guardare quella immagine. Sentivo la mia testa stordita e sbattei più e più volte gli occhi per far evitare il ritorno di quelle lucine davanti agli occhi.

Avevo studiato medicina, sapevo perfettamente che non erano un buon segnale. O stavo per avere un’allucinazione, oppure ero in debito d’ossigeno. Pregai dio che fosse la seconda.

Mai avevo avuto il Joker a torso nudo davanti a me e non immaginai che effetto potesse farmi dal vivo, se con una foto era riuscito quasi ad uccidermi.

“Quinzell, è ora!” urlò Arkham, nonostante fosse a poche sedie da me nella sala della mensa. Quel posto era enorme, non molto diverso dal resto della struttura. In più, però, presentava dei tavoli arancioni e delle sedie verdi, un unico dettaglio che dimostrava che qua dentro i pazienti non avevano accesso. Mi alzai, camminando molto velocemente nella direzione del dottor Arkham.

Le tre del pomeriggio erano arrivate anche troppo in fretta per i miei gusti e ora mi aspettava un pomeriggio intenso in compagnia del Clown, nel tentativo di tenerlo sotto controllo e di obbligarlo, pregarlo, scongiurarlo di non scappare e rimanere al manicomio, con me.

“Qualsiasi cosa strana vediate, avvisate una guardia. Qualsiasi comportamento non adatto, farà finire questo pomeriggio. Vi ricordo che è un momento di svago per i detenuti, non vostro, che invece dovrete avere gli occhi ben aperti. Molto più del solito. Qualsiasi condotta poco professionale, vi giocherà il lavoro. Perciò state ben attenti. – poi, voltandosi verso di me, Arkham aggiunse – inoltre abbiamo con noi uno dei più pazzi criminali della terra. Sarei molto felice che nessuno di voi gli desse alcuna noia. Ci siamo capiti?”

E a quel punto ci fu in ‘si’ generale e la gente iniziò a recarsi presso il cortile esterno, dove sarebbero stati guidati tutti i detenuti. Avevo un nodo in gola. Se le intenzioni del Joker sarebbero state quelle che tutti noi immaginavamo, nessuno lo avrebbe bloccato.

Anch’io iniziai a seguire la massa, ma la mano di Arkham mi prese il braccio e mi indicò la massa di detenuti che stava arrivando. Scettica, osservai il gruppo. era davvero una buona idea far camminare tutti loro così vicini? Tutti insieme avrebbero potuto uccidere ogni singolo abitante sulla terra, sterminarci e poi imporre il loro impero di terrore, con a capo, come re, proprio lui. Joker, che in quel momento dimostrava la sua superiorità rispetto al gruppo, ponendosi proprio davanti, come una guida, un dio.

“Penso che sia meglio che tu vada a prenderti cura di lui. infondo, non so per quale motivo, sei l’unica persona che, in qualche modo, lui ascolta. Quindi tu non occuparti di nessun’altro.. guarda lui e lui soltanto, per oggi è la nostra priorità” mi disse l’uomo e io annuì. La pensavo anch’io nello stesso modo, forse solo per un motivo un po’ più egoistico. Non volevo che scappasse, perché poi non lo avrei mai più visto. Il ricordo delle sue labbra sulle mie, mi investì ancora e mentre camminavo nella sua direzione, mi sentì le farfalle nello stomaco.

Mi osservava, eccome se lo faceva e con lui, tutti gli altri detenuti. Non erano abituati alla presenza di una giovane donna in quel posto e loro erano praticamente tutti uomini. Un brivido mi salii sulla spina dorsale pensando alle cose orribili che potessero star pensando in quel momento. Abbassai la testa e accellerai il passo.

Accanto ad ogni detenuto vi era una guardia che lo teneva sotto controllo, mentre intorno al mio detenuto, ce n’erano ben tre, più io, che gli fui accanto poco dopo, quattro.

“Non credo sia proprio il caso di ondeggiare in quel modo osceno davanti a questa massa di uomini, sai, Harley Quinn?” sbottò il Joker, con il suo solito parlare sarcastico. Gli sorrisi e mi aggrappai a lui, tenendogli il braccio, sopra la camicia di forza che indossava ogni qual volta veniva portato fuori dalla sua cella, o come lo definiva lui, il suo buco. Mi avvicinai al suo orecchio e gli sussurrai:”Tra poco verrai liberato da questa tortura, anche se potresti farlo benissimo da solo. Ti chiedo solo di non evadere. Per favore, okay?”

E lo tornai a guardare in faccia nel momento stesso in cui lui scoppiò a ridere.

Un’espressione scioccata si fece spazio sul mio viso e chiusi gli occhi, abbassando la testa, ancora una volta, sconfitta. Nonostante la reazione, quella risata continuò per due minuti abbondanti e mi ritrovai a sorridere a mia volta. ogni volta aveva la capacità di squassarmi da dentro, eliminando le brutte sensazioni e farmi sorridere gioiosa. Così, tornai a guardarlo e lui si avvicinò al mio viso. Ricordai con dolcezza le sue labbra scarlatte sulle mie e, poi, mi sussurrò:”Non ti prometto nulla”

E in quell’istante, il sorriso abbandonò le mie labbra, perché ebbi la consapevolezza che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrei visto il Joker.

Non ebbi il coraggio di chiedergli che cosa intendesse, non volevo che le mie supposizioni si rivelassero veritiere. Non sapevo come sarebbe stata la mia vita una volta che il Joker non ci fosse più stato e non avevo fretta di scoprirlo.

Quando arrivammo in cortile, i detenuti iniziarono a parlare tra di loro, mentre ad altri veniva tolta la camicia, proprio come io feci con l’uomo di cui io mi dovevo prendere cura. Dalle sue spalle, gli girai intorno e passai davanti, dove il suo sguardo allucinato mi colpii. I farmaci non avevano fatto effetto. Com’era possibile? Piegò la testa di lato e continuò a sorridermi, ampliando ancora di più l’arcata delle sue labbra.

“Grazie dolcezza” sussurrò e la scena che mi si parò davanti,  mi fece dare a me stessa della sciocca. Un altro detenuto gli lanciò qualcosa, di cui non capì la natura, perché due mani per braccia mi presero e iniziarono a trascinarmi, mentre urlavo, inutilmente, a Joker di aiutarmi. Mi ero fidata di quell’uomo, avevo creduto in lui e nel fatto che non sarebbe mai sfuggito dal manicomio.

O volevi dire da te?

Mi dimenai il più possibile. Tirai morsi alle braccia che mi trascinavano, ma sembrava che per loro non fossero nulla,  mentre nell’aria vi erano rumori di pistole che sparavano e urla di persone che morivano. Mi immaginai i loro cadaveri cadere a terra e rabbrividì. Avevo paura, non per me stessa, ma per tutti loro. Tutte persone che avevo conosciuto in quelle due settimane e che non volevo morissero. Poi nella mia testa si focalizzò l’immagine di un’altra persona che in tutto questo sarebbe potuto essere ucciso.

Puddin!

Non mi preoccupai di aver utilizzato di nuovo quel nomignolo, volevo solo sapere che lui fosse vivo. Paura, mista a terrore si fecero spazio in me.

Così, decisi di far appello alle lezioni di ginnastica artistica che avevo frequentato da piccola e ruotai intorno a me stessa per poi tirare un calcio ad uno dei due uomini. A quel punto, l’uomo cadde e io con lui, ma velocemente mi alzai e invece che i loro visi, vidi delle maschere. Una rappresentata un panda e l’altra un cavallo.

“Dottoressa, le conviene venire con noi, il Joker..” iniziò a dire l’uomo che non avevo buttato giù e capì che provava paura verso di lui. Certo, chi mai non avrebbe provato paura?

Tu.

“Lui lo vuole?!” urlai scioccata e poi un corpo dietro di me, mi prese di forza e si infilò in una stanza. La riconobbi subito. In quelle poche settimane, avevo visto moltissime persone portate in quella stanza, persino lui. Non volevo che quella pratica fosse attuata anche sul Joker, ma il dottor Arkham mi aveva chiusa fuori dalla stanza e ciò che avevo potuto fare era osservare quell’uomo stupendo, mentre una scarica elettrica gli attraversava il corpo e lo allucinava ancor di più. in questa stanza, veniva praticato l’elettroshock ai casi più gravi. Quando mi depositò sul lettino, vidi che la maschera dell’uomo che mi trascinava, invece, rappresentava Batman. Cercai di ritrarmi, ma mi legarono al lettino di ferro e accesero una lucina che mi accecò per qualche istante.

Chiusi gli occhi per permettere ai miei occhi di ripararsi da quella luce e solo quando questa fu oscurata e il rumore di spari fuori cessò, li riaprì di scatto, ritrovando sopra di me il viso del Joker.

“Cosa vuole fare signor J? Vuoi uccidermi?” domandai, senza lasciar trapelare la mia paura. Era questo che lo spingeva ad uccidere, la paura che sentiva fuoriuscire dalla gente, che gli faceva salire l’adrenalina e lo portava ad uccidere ancora e ancora. Li fuori aveva ucciso, come minimo, un altro centinaio di persone e tutto questo avrebbe dovuto farmi schifo. Ma lui era sempre perfetto.

“Cosa? Oh no, non voglio ucciderti” disse,  mentre l’uomo con la maschera da Batman dava vita alla macchina abbassando una leva che metteva in circolo l’elettricità. Il Joker allungò una mano e l’uomo gli passò i due elettrodi, che prese a far ondeggiare davanti ai miei occhi, con fare minaccioso. Una volta che quelle due placche di metallo fossero state su di me, un’enorme scossa mi sarebbe entrata nell’organismo, portando a far fuoriuscire bava dalla mia bocca e tutti i miei liquidi organici dalle varie parti del corpo.

“Voglio solo farti male” sussurrò, avvicinandosi e facendomi sentire il suo respiro sulla mia fronte. Deglutii, fissandolo e pregando che quello fosse solo un brutto sogno.

“Molto, molto, male” concluse e poi avvicinò i due elettrodi, ma io lo bloccai prima, stupendolo con le mie parole:”è quello che pensi?”

E lui piegò la testa di lato, questa volta serio, senza il solito sorriso sulle labbra. Era curioso delle mie parole. Probabilmente mai una sua vittima si era mostrata così interessata alla tortura che lo stava per aspettare, ma, improvvisamente, avevo la consapevolezza che quello non fosse un brutto sogno, ma che io per lui, lo volessi vivere sul serio, per dimostrargli che starei stata disposta a tutto. E finalmente, quelle parole lasciarono le mie labbra, mostrandogli quanto fossi devota a lui:”bene, allora posso farlo”.

Il sorriso tornò sulle sue labbra e gli elettrodi furono sulle mie tempie, regalandomi solo un assaggio delle torture di cui il Joker era capace.

 

 

Angolo autrice.

Salve ragazze, mi scuso per il ritardo del capitolo, ma ho sperato fino all’ultimo di ricevere qualche recensione in più, dato che nel capitolo precedente ci eravamo spinte fino a sette. Sono felice anche così, perché siete delle lettrici davvero fantastiche.

Come avrete notato, il capitolo di oggi è stato più lungo del solito, infatti in sede di rivisita ho aggiunto descrizioni e sensazioni di Harleen (o meglio, la quasi Harley) che prima avevo lasciato correre. Ora so che a voi, invece, le descrizioni lunghe piacciono, perciò mi sono spinta avanti.

Se il capitolo vi è piaciuto, lasciatemi una recensione.

Un bacio, Unissons

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Capitolo 10
*** Abandoned ***


Abandoned

 

Quando mi risvegliai, le immagini che per ultime erano apparse davanti ai miei occhi, presero a scorrere alla velocità della luce, fino a soffermarsi davanti al viso del Joker, contratto in una risata, divertito per quello che mi stava facendo. Il tutto era accompagnato da un dolore lancinante alla testa.

Un dolce dolore allucinante.

Sorrisi.

Mi sedetti sul letto sul quale ero sdraiata e mi stirai, come se fossi rinata, constatando che mi trovavo a casa mia, sotto le mie coperte e una scatola con un foglietto attaccato. Chiusi gli occhi e feci un gran respiro. Mi sentivo diversa, libera, nuova. Voltai di lato la testa e guardai la scatola accanto a me. Prima di aprirla, osservai molto bene il bigliettino, che semplicemente rappresentava un Jolly, ma che presentava un sorriso più inquietante rispetto alle solite carte da gioco.

Ancora una volta sorrisi.

Misi la carta sul comodino e decisi che quella sarebbe rimasta li per un bel po’ di tempo. Per me rappresentava qualcosa in più, qualcosa di meraviglioso. Decisi, così, di aprire la scatola e quando vidi il suo contenuto, trasalii leggermente.

Con due dita, ne tirai fuori il contenuto dalla coda priva di vita, esattamente come tutto il resto del corpo. Doveva essere stato avvelenato, altrimenti il corpo sarebbe stato pieno del suo sangue. Era un topo morto, e focalizzandomi sui peli rizzati capii che fosse stato fulminato

La tua prima vittima.

Scoppiai a ridere e misi il topo accanto alla carta, sul comodino. Anche lui sarebbe rimasto li a lungo, almeno finchè non sarebbe puzzato troppo.

Mi tolsi le coperte di dosso, lanciandole, e tentai di alzarmi, ma fallii miseramente il tentativo. Infatti le gambe cedettero sotto il mio peso e diedi la colpa a quel trattamento riservatomi la sera prima da quell’uomo stupendo. Mi sentivo meravigliosamente distrutta. Ancora una volta le immagini di ieri sera mi passarono per la testa e mi resi conto di una cosa: il Joker era evaso e probabilmente non lo avrei visto mai più.

Mi voltai verso il comodino, guardando il regalo che il clown mi aveva dedicato, segno di qualcosa che segnava il mio cambiamento. Ma sarebbe stato anche l’ultimo.

Strinsi le coperte del letto tra le mani e delle lacrime scesero dai miei occhi. Non potevo credere che con quel topo avesse voluto dirmi addio. Doveva essere un segnale, doveva rappresentare qualcosa anche per lui!

Disperata sbattei la mano sul letto e presi ad asciugarmi le lacrime che sgorgavano dagli occhi, ma inutilmente.

Perciò, nonostante le mie gambe si rifiutassero, mi alzai e andai in cucina, dove guardai l’orologio e notai che erano le sette del mattino. Normalmente sarei stata preoccupata per il ritardo al lavoro, ma quel mattino era diverso.

Il Joker aveva fatto una strage e probabilmente se avessi acceso la televisione, ne avrei sentito parlare. Invece, decisi di andare direttamente li, per controllare con i miei occhi cosa avesse combinato quel “mostro” che desideravo.

Diedi un altro colpo al pieno della cucina, sentendo indolenzirsi le nocche delle mani. Sbuffai ed andai in bagno, dove recuperai il necessario per farmi una doccia.

Fu li che li notai.

Due cerchi perfetti che deturpavano le mie tempie, rosse come il sangue e doloranti al tatto. Deglutii, osservandole come se fossero un animale selvatico. Con la punta dell’indice tentai di toccarle, ma il dolore era insopportabile. Sembrava che pizzicassero.

Sospirai, molto arrabbiata con Joker, ma non per quel che mi aveva fatto. Per avermi abbandonata.

Mentre mi vestivo e mi preparavo, pensai a quante gente probabilmente avesse ucciso. E a malincuore sorrisi. Ero arrabbiata, ma pensare a lui mi faceva essere felice.

Dopo la doccia mi accostai al piccolo armadio bianco di casa mia e decisi che quella mattina avrei indossato il completo rosso del primo giorno, anche in ricordo di ciò che avevo sentito fin da subito nei suoi confronti. Guardai  il mio riflesso nello specchio e mi sorrisi, nonostante quei due cerchi rossi fossero davvero molto infiammati e mi facessero un male cane.

Presi le chiavi della macchina e uscii di casa. Respirai il profumo di una nuova giornata e poi corsi verso la macchina, mai più vogliosa di tornare in quel pazzo manicomio. Misi in moto ed iniziai a guidare per le strade di Gotham, il più velocemente possibile, come se tornando li, veramente sarei riuscita a ritrovare il mio Puddin. Mi mancava, infondo sapevo che non sarebbe mai tornato. Non li, non per me. Strinsi tra le mani il volante, ancor più arrabbiata. Se era fuggito, mi avrebbe dovuto portare con se.

Invece eccomi li a disperarmi.

Iniziai a decelerare nelle vicinanze dell’Arkham Asylum, man mano che vedevo le automobili della polizia aumentare di numero. Immaginavo che stessero facendo delle indagini, immaginavo che ci fossero dei morti, ma non potevo credere di veder arrivare tutta quella polizia.

Nella mia mente, ciò che il Joker aveva fatto, non era di una gravità così eclatante. Non mi aveva sconvolta, anzi, più ci pensavo, più mi veniva da ridere e avrei voluto solo rivedere quell’uomo, per poterlo stringere a me e baciarlo, come solo una volta avevo fatto, ma che di certo non ero riuscita a dimenticare. Poi lo avrei riempito di pugni per avermi abbandonata a casa dopo che gli avevo dimostrato molto più di quel che io stessa credevo di provare.

Quando parcheggiai e scesi dalla macchina, un uomo sulla quarantina in divisa, mi si parò davanti. Mi sentivo a disagio li, come se fossi stata io stessa ad uccidere tutte quelle persone e poi ad evadere. Si da li caso, invece, che io fossi stata una vittima, anche se consenziente.

“Non può stare qua” fece quello, poggiando la mano sulla carrozzeria della mia macchina. Senza nemmeno pensarci, come se i miei freni inibitori fossero scappati a gambe levate, diedi un colpo secco sul braccio dell’uomo, che gli cadde lungo il fianco. Il poliziotto mi guardò male e si massaggiò il braccio, ma non disse nulla. Misi su un sorrisino falso e dissi:”Sono la dottoressa Quinn.. Quinzel, psichiatra della struttura e dottoressa personale dell’uomo che ha causato tutto questo. Posso essere utile per le indagini?”

- Depistali, non farli arrivare al tuo uomo.

- Ma certo che lo salverò. Non arriveranno mai a lui.

- Come se lui abbia bisogno del tuo aiuto per non essere raggiunto.

E poi una risata riecheggiò nella mia mente, molto simile a quella che avevo imparato a riconoscere nelle due settimane in cui il Joker mi aveva deliziato con la sua presenza. Avrei voluto chiudere gli occhi per bearmela nella sua fragorosità, ma mi trattenni.

“Oh, salve. Immagino per lei quanto sia difficile essere di nuovo qua dopo tutto quello che ha vissuto ieri sera” fece l’uomo, con un tono che faceva apparire tutta la pena che provava nei miei confronti.

Non puoi nemmeno immaginare quanto.

“Sono una che soffre in silenzio io”sbottai, superandolo e camminando verso la striscia di plastica della polizia che delineava il punto che non poteva essere superato da nessuno, al di fuori delle persone che vi lavoravano o che erano state autorizzate dalle forze dell’ordine. Certamente non poteva immaginare perché fosse difficile essere qui con me.

Lui ti ha abbandonata.

Scossi la testa e guardando la struttura davanti a me, mi chiesi se qualcuno fosse sopravvissuto a quel macello.

Sentii, poi, il poliziotto borbottare parole incomprensibili con una donna e mi raggiunsero da dietro. Voltandomi ancor prima che arrivassero da me, vidi una donna di colore, che mi fissava, come se potesse leggermi dentro. Ancora una volta, misi su un sorriso finto. Nessuno poteva sapere davvero quello che fosse successo ieri sera, nemmeno se avessero visto la stanza dell’elettroshock sarebbero potuti risalire a me.

La donna di colore mi porse la mano e io la strinsi.

“Salve, sono la dottoressa Waller, capo della polizia di Gotham. Lei deve essere la dottoressa Harleen Quinzel” si presentò la donna e io annuì, osservandola attentamente, mentre anche lei faceva la stessa cosa. Avevo visto già fare una cosa del genere, ma avveniva in un branco, tra due leoni, uomini.

“A quanto pare il Joker ha avuto pietà solo per lei questa notte” esordì la donna e io la guardai molto divertita, cercando di non far trapelare le mie emozioni. Se solo avesse saputo cosa mi aveva fatto il Joker quella notte. Io non la chiamerei pietà, ma bensì una sorta di iniziazione ad una vita al quale avevo deciso di partecipare immediatamente, appena il Joker aveva pronunciato la parola Zuccherino.

Con il tono più innocente che conoscessi, dissi:”Cos’è successo a tutti gli altri?”

Ottima recita, ti darei il premio oscar.

“I pazienti stanno tutti bene, beh, tranne il signor Sean Hall, che abbiamo trovato disteso a terra in una pozza di sangue, nella stanza dell’elettroshock. La tragedia vera è avvenuta per quanto riguarda il personale. Erano presenti in quel momento cento persone tra guardie ed infermieri.. sono sopravvissute solo cinque tra di loro, che hanno finto di essere morte, nascondendosi sotto gli latri cadaveri. Tra di essi c’è anche il dottor Arkham, che è molto scosso, ma è comunque rimasto qui e ha chiamato le forze dell’ordine”  concluse la Waller, osservando attentamente la mia reazione. Finsi di essere dispiaciuta molto e mi portai una mano alla bocca, tremante. in realtà, al riguardo della morte di tutte quelle persone, sentivo solo una grossa indifferenza.

“Santo cielo, meno male che mi ha risparmiato quel mostro” sussurrai, abbassando la testa e facendo finta di provare pietà.

“Già, questa cosa non è strana? Dov’era lei, dottoressa? Come ha fatto ad uscirne immune?”

 

 

 

Angolo autrice.

Salve ragazze, scusate per questo piccolo ritardo, ma oggi ho avuto una giornata intensa e non ho avuto il tempo materiale per ricontrollare il capitolo e postarvelo. Ma eccolo qua, insieme alle sensazioni della nostra Harl a riguardo dell’elettroshock da poco ricevuto.

Cosa ne pensate?

Volevo anche ringraziarvi per le nove recensioni al capitolo precedente. Vi adoro, grazie mille. Inoltre aumentano sempre di più le persone che mettono la mia storia tra le seguite e le preferite e veramente, per me è molto importante.

Se il capitolo vi è piaciuto, fatemelo sapere con una recensione.

Un bacio, Unissons.

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Capitolo 11
*** Lies ***


Lies

 

Improvvisamente, una mi sembrava la soluzione più adatta.

Piangere.

Solo in quel modo le falsità che volevo sparare, sarebbero state credute. Mi sentivo troppo legata al Joker per tradirlo in questo modo. Mi aveva fatto del male, si, ma io lo avevo voluto.

La guardai per qualche istante, fingendo uno sguardo perso nel vuoto, come se avessi subito le più atroci torture e poi piansi, come mai avevo fatto nella mia vita, dando sfogo a tutte le brutte immagini che mi passavano per la mente, giusto che far uscire tante lacrime e non farle sembrare false, come invece erano. Pensai, tra tutto, anche al fatto che il mio Puddin mi avesse abbandonata e che io dopo tutto questo , non lo avrei mai più rivisto.

A pensarlo mi sentivo vulnerabile, ma solo per lui, perché sentivo che se qualcuno avesse voluto farmi del male, in questo momento avrei potuto procurargliene il doppio.

La Waller, credendo alle mie lacrime, mi mise una mano sulla spalla e mi  fece sedere su un muretto basso, che costeggiava il vialetto che portava direttamente al manicomio. Lentamente la sua mano si spostò anche sull’altra spalla, fino a stringermi in un abbraccio materno. Strinsi i denti e gli occhi, contraccambiando quell’abbraccio. Non potevo credere di star davvero eseguendo quell’atto, sentivo di star tradendo la persona più importante della mia vita.

Zitta e continua, stai facendo tutto questo per lui.

Continuai a piangere, dilaniata al mio interno dalla consapevolezza che non avrei mai più rivisto il suo viso cinereo, le sue labbra scarlatte e i suoi capelli verdi, ma al di fuori sembrava che stessi piangendo per qualcosa che quella notte mi era capitato. Ed in effetti così era stato.

Un elettroshock.

Una scarica elettrica che aveva fatto riprendere a battere il mio cuore.

“Harleen, la prego, mi racconti cos’è successo ieri sera, la possiamo aiutare a far finire tutto questo. Potremmo catturare quel Joker e mandarlo davanti ad un giudice, che finalmente deciderà di offrirgli la pena capitale” disse la donna, questa volta tornando a guardarmi negli occhi, come nell’intenzione di regalarmi un po’ più di sicurezza in me stessa. Io strinsi le mani e serrai i denti. Come osava pensare che io avrei mai potuto fare in modo che il signor J, come amava essere chiamato, fosse ucciso?

Mi voltai di scatto verso di lei, con gli occhi gonfi per le lacrime e il cuore in preda alla follia. Non potevo nemmeno immaginare un mondo senza il Joker, non ora, non mai. E proprio quando mi decisi ad aprire la bocca, per emettere quelle parole che avrebbero segnato la mia condanna, gli occhi della donna si riempirono di un lampo, come se avesse visto qualcosa di osceno.

Sicura che voltandomi avrei visto il Joker, mi girai, ma di lui nemmeno l’ombra. Così il mio sguardo tornò sulla donna e la sua mano fu sulle mie tempie. Mi irrigidii, ricordando in quel momento i ricordi della serata impressi sulla mia pelle, e lei mi alzò leggermente i capelli, proprio nel punto dove mi erano state posate le due placche. I due cerchi perfetti presero a pizzicare e bruciare, come risvegliati da un richiamo primordiale. Fino a qualche istante fa non le avevo sentite, mentre ora rieccole a battere.

Sorrisi, felice di quel regalo inaspettato.

Successivamente, però,  con voce sconvolta la Waller, disse:”Cose le ha causato queste scottature?”

Non avevo pensato alle conseguenze negative che avrebbero portato quei due segni e così la mattina non avevo pensato a coprirli con un po’ di trucco. A dire la verità, al solo sfiorarli procuravano molto dolore, perciò non mi era passato nemmeno per la mente di oscurarli. Semplicemente avevo lasciato cadere i capelli lungo i lati della testa, sperando che non dessero troppo nell’occhio.

Immediatamente le coprì, allontanando le sua mani dalla mia testa e abbassando i capelli che la donna mi aveva alzato e decisi di fare la cosa migliore: fingermi shoccata e tenere la bocca chiusa.

Passarono pochi istanti, in cui guardai fisso nel vuoto, sperando che la donna non insistesse. Non volevo raccontare a nessuno cosa fosse successo li, nella stanza dell’elettroshock. Doveva rimare una cosa mia e di Joker, il nostro primo piccolo segreto. Mi portai una mano al petto, frustrata per la mancanza che sentivo.

Alla fine, la Waller si alzò e raggiunse il suo collega, che prima mi aveva accolta nel parcheggio.

“Non credo che la ragazza parlerà, oggi” disse la donna, con tono sconfitto.

Non mi accorsi di aver trattenuto il respiro, proprio fino a quando la Waller si allontanò da me e finalmente tornare a respirare a grandi polmoni. Continuando così, sarei finita in debito d’ossigeno da un giorno all’altro. Mentre la donna se ne andava, però, l’agente di polizia di prima tornò da me. Mi si sedette accanto e mi prese le mani. Lo guardai molto confusa e lui abbassò il più possibile lo sguardo per allacciarlo al mio. Anche lui voleva infondermi sicurezza, ma per una questione per la quale poco mi importava. Volevo il Joker, nient’altro e loro non erano in grado di riportarlo da me.

“Ti prometto che troveremo quell’uomo e lo uccideremo, qualsiasi cosa ti abbia fatto. Non può permettersi di fare una cosa del genere e passarla liscia. Hai la mia parola che soffrirà” sussurrò a denti stretti e io alzai il mento, cercando di sovrastare la sua figura piegata su di me. Non potevo azzardarmi a dire o solo mostrare cose che avrebbero rischiato di mettere in pericolo me, ma soprattutto il Joker, ma in quel momento, lo odiai. Avrei offerto oro per possedere una di quelle armi che aveva utilizzato la sera precedente il Joker per compiere la strage.

Avrei fatto inginocchiare l’uomo davanti a me e gli avrei fatto aprire la bocca, cominciando proprio da li a riempirlo di piombo.

Non doveva osare nominare il nome di Joker invano.

Ma lui non ha esitato  a lasciarti a casa tua da sola, abbandonandoti.

Scossi la testa e la riabbassai, rinunciando a dire anche una sola parola, mentre nella mia testa, l’immagine dell’uomo davanti a me, riverso in una pozza del suo stesso sangue, si rimpicciolì, fino a scomparire.

L’uomo mi fece una carezza e poi si alzò, sbuffando e si allontanò, raggiungendo l’altra.

Non sapevo cosa fare, ora. Essendo l’unica dottoressa rimasta, a parte Arkham, probabilmente avrei dovuto compiere il mio dovere ed entrare nella struttura per occuparmi dei pazienti, però mi sentivo abbandonata e non c’era più il paziente per cui io ogni giorno mi recavo volentieri al lavoro.

Mi aveva lasciata sola ad affrontare tutto questo e l’avrebbe pagata cara, nonostante io fossi pazza di lui. Così, con il cuore carico di amarezza, mi alzai in piedi ed entrai nella struttura sotto gli occhi di tutti. Mi sentivo una sciocca per essermi fatta incantare da una bella presenza, ma quello che era stato non poteva essere cambiato.

L’entrata, diversamente dal solito, non fu seguita da un ‘salve’ cordiale da parte della guardia, che immaginai fosse morta nel tentativo di impedire la fuga del Clown. Guardai in lontananza ed infondo al corridoio lungo, vidi la figura rotondeggiante appartenente al dottor Arkham che parlava con un poliziotto e quando si accorse della mia presenza, corse verso di me per abbracciarmi. Ricambiai quella stretta, nella speranza che potesse finire al più presto. Di solito non avrei rinunciato ad un abbraccio, tranne a quello della Waller, ma solo perché lei voleva uccidere il Joker, ma oggi mi sentivo abbandonata e l’abbraccio lo avrei preferito ricevere da quella stessa persona che non aveva pensato a me.

“Non sai come io sia felice di vedere almeno te. Sono morti tutti, tutti! Quel disgraziato ha ucciso tutto il mio staff!” singhiozzò sulla mia spalla e presi ad accarezzargli la schiena, per consolarlo leggermente. Immaginavo cosa significasse per lui vedersi portare via qualcosa a cui si teneva. Come Joker aveva fatto con me, portando via da quel posto se stesso.

“Credo che a questo punto ciò che ci rimane da fare, sia dimostrare a Joker che in questo modo non ci ha fermati. Che lui tornerà qua dentro e ci rimarrà per un bel po’ di tempo, anzi, il poliziotto qua fuori mi ha detto che lo uccideranno, pensa!” esclamai e l’uomo si tirò su, annuendo e asciugandosi le lacrime, mentre dentro di me il mondo stava crollando per quelle misere parole che avevo osato pronunciare. Mi sentivo meschina ad aver voltato le spalle all’uomo che amavo.

Perché si, lo ammetto.

Mi ero innamorata di Joker.

O meglio,il mio Puddin.

 

 

 

Angolo autrice.

Salve, rieccomi, un po’ più presto rispetto a ieri.

Devo ringraziarvi un sacco per tutte le recensioni e le attenzioni, in generale, che state prestando alla mia storia. Il numero delle persone, che infatti, mettono la mia storia tra preferite e seguite, aumenta sempre di più e vi ringrazio infinitamente per questo.

Volevo scusarmi se anche in questo capitolo il Joker non è apparso, ma tutto ciò mi è servito per far ‘rinascere’ la nostra Harl, che ora ha capito esattamente cosa prova per Joker, nonostante si senta tremendamente abbandonata (come ha ribadito praticamente ogni cinque righe, in tutto il capitolo. Cosa voluta, per farvi notare quanto fosse ossessionata).

Spero possiate perdonarmi.

Un bacio, Unissons.

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Capitolo 12
*** Shot ***


Shot

 

Arrivata a casa, mi buttai sul divano, chiudendo gli occhi per rilassarmi. Al lavoro era stata una giornata estremamente pesante, perché se il giorno dopo la strage effettuata dal Joker i ci si poteva permettere di piangere le persone morte, il giorno successivo al lutto, veniva richiesto, e preteso, che tutto fosse riportato alla sua normalità. Per questo avevo passato tutta la giornata a setacciare il sito internet in cui lo stato pubblicava i neo laureati in infermieristica e avevo preso in mano tutte le domande che erano arrivate via fax per i lavori da guardia che stavamo offrendo. Mi stupii parecchio che così tanti ragazzi volessero lavorare in quel posto, quando io ero stata l’unica persona a mandare un curriculum negli anni precedenti. Ma si sa, le tragedie fanno da pubblicità.

Probabilmente quello fu l’unico effetto positivo che il Joker avesse apportato a tutti.

Mi sdraiai sul divano e mi tolsi le scarpe, pensando che ancora dovevo chiamare il tappezziere per far modificare la stoffa sopra il mio divano macchiato. Erano passate settimane da quando avevo rovesciato il caffè li, eppure mi era completamente passato per la testa.

Troppo presa a pensare a Jokerino.

Mi toccai le tempie, e assaporai il dolce dolore che ancora mi procuravano i marchi lasciatemi dagli elettrodi. Sorrisi e mi girai di lato, trasalendo. Immediatamente mi tirai su a sedere, fissando negli occhi la persona che era spuntata davanti a me.

Che fosse solo un’allucinazione?

Li davanti  a me c’era il Joker, in tutta la sua bellezza. Era tornato.

Il mio cuore perse un battito.

“Cosa ci fai qui?” sussurrai, tutt’altro che spaventata. Più che altro mi sentivo, ancora, tradita. Mi aveva lasciata sola per due giorni, dopo che avevo accettato di farmi fare un elettroshock. Non potevo fare a meno, però, di sentirmi finalmente sazia.

“Oh, so che volevi vedermi dolcezza. E ora eccomi qua! Ottima recita davanti a quella poliziotta, complimenti. Ma sentiamo, perché mai non hai detto la verità? A quest’ora sarei morto, stecchito, fulminato, proprio come stavo per fare io con te” iniziò, canzonandomi per quello che avevo fatto il giorno prima. Se ne stava li, poggiato contro la mia parete di casa, osservandomi e parlando come se nulla fosse accaduto.

Mi alzai e andai davanti a lui, guardandolo ancora con in testa l’ipotesi che si potesse trattare solo di uno scherzo della mia mente. Gli presi il viso tra le mani e lo scrutai per qualche istante. Senza riuscire a trattenermi, mi avvicinai alla sua bocca e l’assaggiai, proprio come avevo fatto una sola volta, ma che era rimasta impressa per sempre sulla mia pelle.

Nemmeno quella volta ricambiò.

Infatti per tutta risposta si allontanò, sbuffando e facendo un giro su se stesso.

“Oh piccola, ingenua Harl” sussurrò ancora e mi ricordai perfettamente perché fossi arrabbiata con lui. le mie labbra pizzicavano e avrei voluto tanto fare in modo che anche lui provasse tutti quei pizzicori che lui induceva a me. Alle tempie, alle labbra. Così, sempre dalla stessa distanza in cui avevo avuto l’occasione di baciarlo, vidi brillare all’interno della sua giacca una pistola. Un’idea folle mi balenò in mente e decisi di darle ascolto.

Senza dire se e senza dire ma, infilai la mano nella sua giacca ed estrassi quella pistola, rigirandomela tra le mani. Per qualche istante lui rimase a guardarmi tranquillamente, senza il minimo sintomo di paura o di sfiducia nei miei confronti. Sapeva, immaginai, cosa provavo, perciò non lo avrei mai toccato. Volevo solo spaventarlo.

Qualche istante dopo, la pistola fu puntata sul suo petto.

 “Zuccherino, metti giù quella pistola, non avresti mai il coraggio di uccidermi” disse, alzando il tono della voce e scoppiando a ridere.

E a quel punto volli contraddirlo immediatamente.

Lui non credeva che io avrei mai avuto il coraggio di uccidere un uomo? Così, dalla finestra aperta, senza nemmeno prendere la mira, vidi un uomo passare ed ebbi la fortuna di colpirlo, in piena testa, proprio davanti agli occhi della gente che lo circondava. Guardai la scena li fuori cambiare, la gente intorno a lui prese ad urlare, avvicinarsi al morto e chiamare le forze dell’ordine. In pochi istanti la mia casa sarebbe stata circondata da poliziotti e ciò che pensai in quel momento, era che dovevo portare via da li il Joker, per quel mio stupido scherzo.

Puntai  la pistola alla testa del Joker.

Dopo un primo momento di smarrimento che gli vidi negli occhi, scoppiò ancora a ridere e si mise ad applaudire.

 “Complimenti! Non me lo sarei mai aspettato da te! Su, uccidi anche me ora”

Ma mentre lui era li, facendomi le smorfie e muovendosi in quel suo modo particolare, non mi passò nemmeno per un secondo di poter premere quel grilletto contro di lui. Era stato così semplice uccidere quell’uomo, eppure non riuscivo a pensare ad un mondo senza il mio Puddin.

Ancora una volta, pensai che dovevo portarlo immediatamente fuori da li.

“Niente? Bene!” esclamò, facendo un ultimo dei suoi trucchetti e  togliendomi in un gesto veloce la pistola per poi puntarsela lui stesso alla testa. La smorfia di un sorriso rimase per qualche secondo e poi con la bocca fece ‘bum’ come se si fosse sparato. Il mio cuore saltò,come se quel colpo fosse stato sparato veramente e mi strinsi le dita tra le mani. L’immagine del cadavere di Joker si fece spazio nella mia mente e tentai di cacciarla.

L’uomo scoppiò ridere ancora e io trasalii dalla sorpresa, tornando al mondo reale.  La sua mano mi colpii in piena faccia con un man rovescio, che mi fece finire a terra.

Parecchie volte, ultimamente mi stavo ritrovando in quello stato e dalla sensazione al mio stomaco, capii che mi piaceva. Mi piaceva essere toccata da lui, anche in un modo così brutale. Da quella posizione, alzai gli occhi e lo guardai. Per casualità mi ritrovavo in questa situazione ogni qual volta tentavo di rubargli un bacio, lo guardai e fui felice.

Lui era li, per me e con me.

L’unica cosa che mi preoccupava era il tempo. Per quanto sarebbe rimasto con me? Era venuto per rimanere o poi se ne sarebbe andando, abbandonandomi di nuovo?

Questa volta, diversamente dalla prima volta, non ricevetti la sua mano per aiutarmi ad alzarmi, anzi, si allontanò e si sedette sul divano, accendendo la televisione, intento a rilassarsi un po’. Intanto fuori si era divulgato il caos, vi erano persone che cercavano di capire da dove fosse arrivato il colpo, molte delle quale indicavano la finestra di casa mia. Le forze dell’ordine erano arrivate e alcune di loro stavano piegate sul cadavere, allontanando le persone che le circondavano e cercando di capire da dove provenisse lo sparo. Ringraziai il fatto che non dessero ascolto alle persone intorno a loro, ma la paura si impossessò di me. Se solo fossero arrivati a capire che il colpo era stato sparato da casa mi, sarebbero arrivati qui e si sarebbero portati via il mio Puddin.

“Merda!” esclamai e andai verso la finestra, per chiudere vetro e tapparella. Come se le mie mani non fossero coordinate al corpo, non riuscii a compiere nessuna delle azioni che volevo fare. Bensì, mi ritrovai tra le braccia del Joker, che da dietro mi stringeva in un abbraccio per tenermi ferma. Il mio cuore fece due capriole in avanti e una all’indietro, lusingata dal suo abbraccio, anche se era molto inaspettato. Poi, tanto velocemente quanto era arrivato, mi lasciò andare, facendomi sentire freddo fin sotto le ossa. Mi voltai a guardarlo, ancora piena della voglia di sentirlo intorno a me.

“Meglio non chiuderla la finestra se non vuoi che la gente venga velocemente in casa tua. Non che mi dispiacerebbe uccidere un po’, ho bisogno di una bella scarica di adrenalina” disse, seguito da una risatina, che mi fece salire un brivido lungo la spina dorsale e che poi finì direttamente nello stomaco. Subito dopo, fu la sua mano a regalarmene un altro, quando iniziò a farla scorrere lungo il mio braccio. Praticamente in apnea, senza fiato, continuai  a guardarlo con la bocca leggermente aperta. Lui vi mise una mano sopra. L’odore della sua pelle mi inebriò e chiusi gli occhi, in pochi istanti ero riuscita ad averlo vicino senza nemmeno chiederglielo e sperai che da oggi in poi lo facesse sempre. Successivamente un suo sussurro mi fu direttamente nell’orecchio:”Mettiti le scarpe, ti porto in un posto”.

Quando riaprì gli occhi lui non era li.

Mi guardai attorno, nel vano tentativo di trovarlo in qualche angolo della stanza, ma non era più lì.

Decisi di fare molto velocemente ciò che mi era stato ordinato. Volevo vedere assolutamente quale fossero le sue intenzioni e mi faceva sentire importante il fatto che lui volesse passare del tempo in mio compagnia, dopo che per due giorni mi ero sentita abbandonata e tradita.

Misi le scarpe più comode e carine che avessi, dato che non avevo idea di dove volesse andare e poi uscì di casa con il cuore in gola e i battiti velocizzati. Chiudendomi la porta alle spalle mi chiesi se ci sarei mai più tornata. Non capivo da dove fosse nata questa mia domanda interiore, però avevo la consapevolezza che se lui avesse voluto avere la mia compagnia, io sarei stata felice di regalargliela. Mai mi sarei lamentata. Mi voltai e guardai davanti a me dove si trovasse il mio Puddin.

Scorrendo con lo sguardo lungo la via di fronte a casa mia, lo vidi, con la sua macchina sportiva di colore viola fiammeggiante e il caos, causato da me, che divampava dietro di lui.

 

 

Angolo autrice.

Ed eccoci al dodicesimo capitolo. Veramente, non ci posso credere a quanto affetto state dimostrando per la mia storia, e tutto questo in sole due settimane. Settantasette recensioni sono un record personale, mai avevo raggiunto così tante recensioni, in così pochi capitoli. Per non parlare delle persone che mettono la mia storia tra i preferiti e seguiti, in entrambe le categorie si arrivano a sfiorare i trentacinque.

A parte questa mia dimostrazione di quanto vi sia grata, volevo farvi notare alcune cose del capitolo. Come avrete sicuramente visto, finalmente il Joker ha fatto il suo ritorno, regalando confusione, ma anche molta felicità, alla nostra Harleen. Con il suo insolito coraggio, inoltre, ha sparato, ed ucciso, un uomo innocente,cosa che ha sorpreso anche me quando mi è venuto in mente di scriverlo. Questa scena vi dovrebbe ricordare qualcosa di Suicide Squad. Ebbene, ho deciso di prendere una delle scene tagliate e farla leggermente mia, modificandola anche di molto, ma lasciando che i fatti si svolgessero esattamente come era stato scritto sul copione.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e se è così, lasciatemi una bella recensione.

Un bacio, Unissons

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Capitolo 13
*** Horror factory ***


Horror factory

 

Il Joker non guidava una macchina, cercava di battere il record della velocità della luce.

Mi aggrappai al cruscotto davanti a me e alla maniglia sopra di me con le mani, tutto contornato dalla cintura che mi teneva ben stretta al sedile. Mi sentivo in pericolo, molto di più di quanto mi fossi sentita quando ero stata legata al tavolo di ferro, completamente alla mercé del mio Puddin che stava per farmi l’elettroshock.

Poi lui scoppiò a ridere, piegando la testa prima all’indietro, emettendo un ringhio e voltandosi a guardare me.

“Dolcezza, ti porterò in un posto meraviglioso” esclamò e, se possibile, la macchina accelerò ancora di più. con essa anche il mio cuore, che si riempiva di gioia ogni qual volta mi sentivo sotto le sue attenzioni speciali. Come al solito, la sua risata contagiò anche me e un sorriso mi si stampò in faccia, mentre mi rilassavo e aprivo il finestrino, in modo tale che il vento nella macchina mi facesse ondeggiare i capelli. Dimenticai tutta la paura e i fremiti che sentivo per l’altra velocità e mi lasciai andare, pensando che mi trovavo con la persona con cui volevo essere.

Più di una volta vidi il Joker guardare nella mia direzione e il mio cuore si riempiva di felicità. Nonostante ciò, non gli chiesi nulla e nemmeno gli diedi da parlare. Volevo che quel momento così speciale non fosse spezzato da una possibile mia battuta non desiderata e da una sua sfuriata, anche se sarebbe stato adorabile vederlo arrabbiarsi. Chiusi un attimo gli occhi e mi permisi di immaginare le sue labbra sulle mie. Due volte lo avevo baciato, nel giro di qualche settimana, e lui non aveva mai ricambiato. Sospirai e mi passai una mano tra i capelli. Non capivo se non fossi abbastanza per lui o se semplicemente non gli piacessi. Riaprendo gli occhi, continua a pensare se tutto quello che sentivo non stesse nascendo solo nella mia mente. Mi ricordai chi fosse il Joker, mi ricordai come lo avevo conosciuto e arrivai a concludere che non sapevo se anche lui si fosse potuto innamorare di me.

Magari ama ancora la moglie morta.

La mia mano sbatté forte sul cruscotto e mi deliziai del dolore che provai. Era desiderato in quel momento, voluto per dimenticare tutto il dolore psicologico che stavo provando.

Come avevo letto in un libro per ragazzi, poco tempo fa, ‘il dolore merita di essere vissuto’.

Patetica.

Come immaginavo, l’uomo accanto a me non mi chiese per quale motivo avessi sbattuto la mano. E io sbuffai, molto infastidita. Mi sentivo sola in quell’abitacolo, nonostante la sua presenza fosse così viva. Lo sentivo battere ovunque e stare li dentro era una prova molto difficile.

Pensavi forse che sarebbe cambiato per te, zuccherino?

Scoppiai a ridere. Anche le mie vocine mi prendevano in giro e per giunta usavano il tono di voce del mio Puddin.

Mi voltai a guardarlo, concentrato, ma non troppo sulla strada, mentre sul volto gli si formava un cipiglio. Finalmente una reazione, anche se non capii per cosa si stesse creando.

“Che succede?” gli chiesi, voltandomi in tutte le direzioni, per vedere se ci fosse qualcosa che non andava.  E dietro di noi, notai una macchina nera come la notte, che ci inseguiva. I miei sensi scattarono all’erta immediatamente. Chiunque fosse, non avrebbe mai avuto il mio dolce Puddin.

“Abbiamo visite” sussurrò e poi aprì il cassetto davanti alle mie gambe, per estrarne una pistola, che mi consegnò. Mi guardò in faccia e prendendomi il mento tra le dita, ordinò:”Spara”, mentre sopra di noi un boato, determinava che qualcuno o qualcosa, fosse saltato sulla macchina.

Senza farmelo ripetere due volte, come da suo comando, iniziai a sparare al tettuccio della macchina, in modo tale che chi fosse sopra venisse colpito dai proiettili. Uno, due, tre spari e i rumori sopra di noi cessarono. Sapevo di aver ferito o ucciso qualcuno, ma non mi sentivo in colpa. Joker era salvo e quello era l’importante.

“Brava bambolina!” urlò il Joker, ridendo come non mai gli avevo visto fare. Finalmente era felice, davvero contento e, per questo,  mi si riempì il cuore d’amore e lo guardai innamorata. Se solo si fosse voltato in quel momento, avrebbe notato l’intensità dei miei sentimenti. Sperai che accadesse.

E così fu.

Non decelerò, non cambiò espressione. Rimase a guardarmi negli occhi, sempre con quel lampo allucinato che gli avevo notato dalla prima volta. Non volli rovinare quel momento con parole inutili. Se avesse capito da solo tanto bene, altrimenti nulla. Ma sapevo che lo aveva fatto. Era pazzo, non stupido.

La conferma arrivò quando la sua mano si poggiò sul mio braccio e scese verso la mia mano, in segno di quella che per Joker era una carezza. Gli sorrisi, incredula del fatto che uno come lui potesse veramente attraversare quei momenti romantici. Il mio respiro si mozzò e sperai di poter sentire più spesso il calore della sua pelle sulle mie braccia.

“Hai colpito Batman, ti meriti una ricompensa” disse serio, ancora con la mano poggiata su di me e nemmeno la minima intenzione di toglierla, nonostante stesse guidando. Quel nome mi fece sussultare. Avevo ferito o peggio, ucciso, un uomo che tutti adoravano. Mi sentii tremendamente in colpa, almeno fino a che non ricordai la risata colma gi gioia e vidi il sorriso divertito che non abbandonava il viso del mio Puddin. Allora capii che ciò che avevo fatto era in uno modo maniaco e contorto, profondamente giusto. Mi beai di quella sensazione di sollievo, almeno fino a che la macchina non iniziò a decelerare e ci addentrammo in una fitta foresta. Incuriosita, alzai bene la testa e mi guardai attorno, fuori dal finestrino. Mi chiesi dove mi stesse portando, infondo aveva detto di volermi portare in un bel posto e, forse, questo rappresentava appieno ciò che rappresentava la parola ‘bello’ per il Joker. Quando mi venne in mente che per aver colpito Batman, voleva darmi una ricompensa, cominciai a strepitare.

Abbassai lo sguardo e osservai quel ferro che avevo in mano. Chissà quanto poteva essere letale in mano al Joker. Iniziai a giocherellarci e decisi che quella sarebbe rimasta con me. In fin dei conti l’uomo accanto a me poteva avere tutte quelle che voleva, e potevo solo immaginare la quantità vasta di armamenti che già possedesse, quindi non mi feci problemi ad infilarmela nella cintura dei pantaloni, adorando il pizzicore freddo che la pistola mi regalò, a contatto con la pelle dei fianchi. Qualche secondo dopo la macchina si fermò. L’uomo accanto a me scese dall’abitacolo senza dirmi una parola e sbuffando, scesi, seguendolo. Il suo passo era molto più ampio del mio, perciò per stargli dietro dovetti praticamente correre, ma poco importava. Ero molto incuriosita dal fatto che non stesse proferendo parola e da quel posto, per potermi lamentare, come era mio solito fare.

Lo guardai camminare, da  dietro e la mia mente mi fece parecchi scherzi. Boccheggiai parecchie volte e altre tante, rischiai di cadere a terra.

Dieci minuti dopo e centinai di alberi superati, ci portarono in una radura, con al centro una fabbrica, che esteriormente sembrava abbandonata. Sembrava lo scenario perfetto per un fil Horror. Li, tramite le foglie dei grandi arbusti, poca luce riusciva a filtrare e l’aria sembrava calata di qualche grado. Nonostante le mie maniche lunghe, mi strinsi le braccia, leggermente colpita dall’inquietudine di quel posto. Chi mai avrebbe costruito una fabbrica in quel posto? Inoltre, non sembrava nemmeno raggiungibile da nessun tipo di macchina o macchinario.

Guardai il Joker e sul suo viso c’era ancora quella risata inquietante e stupenda e poi riprese a camminare, ancora una volta, senza darmi nessuna indicazione su dove fossimo e per quale motivo. Sapevo solamente che se lui voleva essere li, allora anch’io volevo esserci.

Avrebbe potuto uccidermi.

Avrebbe potuto squartarmi viva.

Avrebbe potuto abbandonarmi e andarsene senza darmi le indicazioni per tornare a casa.

Nessuna di queste opzioni mi sembrava abbastanza importante da darle ascolto. Sogghignai a mia volta e mi avvicinai al suo fianco, mentre l’entrata dell’edificio si faceva sempre più vicina. Le scale si stagliarono davanti a noi e iniziammo a salirle, fino ad arrivare alle porte di vetro che evidentemente erano chiuse. Il Joker tirò fuori dalla tasca la pistola, la stessa che io gli avevo puntato alla testa e col quale avevo ucciso quell’uomo innocente.

Sorrisi, consapevole di ciò che lui avrebbe fatto, e lui sparò un colpo, che ruppe la porta nel quale poi si infilò, ovviamente, senza aspettare che io lo seguissi.

Alzai gli occhi al cielo.

Quando mi ci infilai anch’io, vidi Joker fermo davanti ad una porta, come se questa volta, finalmente mi stesse aspettando. Perciò corsi e gli fui accanto, leggermente con il fiatone, ma vidi che non stava aspettando me, bensì stava smanettando su un computer che impediva l’entrata alla stanza oltre la porta, alle persone non autorizzate. Lui mise la sua impronta digitale e la porta si aprì davanti a noi.

“Tu sei già stato qui?” chiesi, ingenuamente e lui si voltò verso di me ridendo. Sapevo che lui poteva essere ovunque voleva quando voleva, ma la domanda era nata spontanea.

“Pasticcino, io ci lavoravo qui” rispose e senza aggiungere altro, andò oltre quella porta e io con lui. Un forte odore di acido mi investì e mi tappai la bocca. Sentii la testa alleggerirsi per via dei fumi tossici e tossicchiai leggermente, portandomi la manica della maglia davanti alla bocca.

“Ma dove siamo?” chiesi ancora, e mi guardai attorno. La stanza era composta per lo più da una grata d’acciaio che rappresentava una sorta di balcone e tanti macchinari per raccogliere qualcosa che si trovava al di sotto. Mi avvicinai alla ringhiera e guardai più in basso di quelli che saranno stati sette o otto metri. Deglutii. Li, si trovavano dei bollitori pieni di una sostanza che doveva essere altamente tossica, che ribolliva in bolle rotondeggianti.

“Vieni qua” ordinò il Joker, immobile, a un metro di distanza da me, proprio dove la ringhiera mancava.

 

 

 

Angolo autrice.

Finalmente eccoci arrivate alla scena principale. Non credo sia una sorpresa per tutti voi, ciò che accadrà nel prossimo capitolo, ma spero comunque che il mio modo di descrive quella scena, vi piacerà.

Mi scuso del ritardo di oggi, ma sono stata molto occupata.

Vi ringrazio per le 85 recensioni. Non posso davvero credere che la storia vi stia piacendo così tanto. Quando ho iniziato a pubblicarla, non sarei mai arrivata a credere di arrivare a tanto. Vi ringrazio molto.

Un bacio, Unissons.

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Capitolo 14
*** Would you live for me? ***


Ecco riaggiunto il vecchio capitolo che per problemi del sito era stato tolto. Probabilmente molte di voi non recensiranno di nuovo, ma apprezzerei comunque se lo faceste. Prometto che domani, a meno di altri problemi tecnici, tornerò con il nuovo capitolo.

Would you live for me?

 

Senza distogliere lo sguardo da quei bollitori enormi, pieni di un liquido che sicuramente avrebbe corroso la mia pelle, raggiunsi lentamente il Joker, che mi aspettava pazientemente. Non capivo cosa volesse da me, proprio li in quel posto. Mi fermai a qualche metro di distanza dal pezzo di grata dove mancava la sbarra, esattamente dove si trovava l’uomo che mi aveva ordinato di raggiungerlo. Lo fissai, con lo sguardo leggermente appannato. Nella testa sentivo una sensazione di vuoto, sicuramente dovuto all’altezza, ma anche dai fumi tossici che emanava quella sostanza. Puddin ,però, non ne sembrava colpito, anzi, mi guardava divertito come se la mia espressione, sicuramente disgustata, lo divertisse. Distogliendo lo sguardo da lui, mi voltai quando sentii uno scricchiolio provenire da sotto i miei piedi. Probabilmente non era molto sicuro stare su quel ponteggio senza un’imbracatura adatta. Deglutii e presi un grosso respiro, sbagliando assolutamente, dati i fumi. Infatti tossicchiai leggermente.

“Ho una domanda da farti” disse, improvvisamente, il Joker e, come una calamita viene attratta dal ferro, mi voltai verso di lui, pronta a qualsiasi cosa.

“Moriresti per me?”

La sua domanda mi sorprese molto, ma sapevo esattamente quale fosse la mia risposta. Imbambolata al suo sguardo, con le farfalle nello stomaco e la voglia matta di poterlo toccare, sentii pronunciare dalla mia stessa voce un flebile:”Si”.

L’uomo non ne sembrò molto convinto, infatti ruotò il collo, ringhiò, e poi tornò a parlare:”Troppo facile – e si avvicinò di più al mio corpo e al mio viso – tu.. vivresti per me?”

Senza fiato, capii cosa significasse questo. Rinunciare alla mia vita, alla mia carriera, alla mia famiglia per lui.  Mi immaginai una vita così, al suo fianco. Noi due alle prese con crimini su crimini, perché quella ormai era diventata la mia vita, non che mi lamentassi, adoravo uccidere. La prova era stata prima, quando senza pietà, avevo sparato a quell’uomo innocente in mezzo alla strada e poi, avrei voluto abbassare la tapparella e darmela a gambe, per proteggere l’amore della mia vita. Probabilmente era anche per quello che Batman prima ci inseguiva.

O forse perché eri con Joker?

Come al solito peccai di egocentrismo. Era ovvio che il pipistrello ci stesse inseguendo perché, per l’ennesima volta, il pagliaccio aveva fatto una strage e oltre tutto, ora era anche evaso dal manicomio dove era rinchiuso.

E dove tu eri la sua psichiatra.

Scossi la testa per evitare di sentire ancora una parola da quella vocina saccente e mi sentii ripetere un semplice:”si”, ma che era carico di un sentimento che immaginavo lui avesse ormai compreso. Avevo rinunciato praticamente a tutto. A questo punto, imboccata ormai questa strada, non mi rimaneva altro che seguirlo fino a cadere nell’oblio con lui e immaginai che quell’oscurità fosse proprio rappresentato da quelle pozze acide sotto i nostri piedi. Un brivido mi percorse la schiena.

Il suo dito indice si alzò e disse:”Attenta, non dire cose di cui poi potresti pentirti”

Sapevo, però, che non mi sarei mai pentita della mia scelta di stargli accanto per sempre. In quel momento ero felice.

Felice perché finalmente era li con me.

Felice perché stava capendo i miei sentimenti.

Felice perché lo amavo.

La sua mano fu sulla mia bocca e per un istante chiusi gli occhi assorbendo il suo odore e la morbidezza della sua pelle a contatto con le mie labbra. Lo sentivo come mai lo avevo sentito prima, nemmeno quando lo avevo baciato. Perché questa volta era lui a volere il contatto.  Immediatamente, poi aprì gli occhi, per poterlo guardare in quei stupendi occhi verdi.

“Il desiderio diventa resa e la resa diventa potere” sussurrò, togliendo la mano dalla mia bocca e avvicinando il dito alle mie labbra. Io aprì la bocca, nel tentativo vano di far entrare più aria possibile nei polmoni. Mi sentivo svenire, questa volta non per l’odore forte dei gas provenienti dai bollitori di sotto, ma per il mio cuore, che batteva all’impazzata.

“Tu vuoi questo?” sussurrò con voce lasciva e seducente e trascinò il suo dito sulle mia labbra, guardandomi intensamente. Mi sentivo come sotto incantesimo, ammaliata da quegli occhi e quella labbra.

“Lo voglio” sospirai e la sua mano si aprì sul mio mento, mantenendo il contatto tra di noi. Sentivo la pelle sotto le sue mani bruciare, come se lui fosse intriso della sostanza che era contenuta in quei boccioni sotto di noi.

Chiudendo gli occhi e muovendo la testa all’indietro, iniziò a sussurrare:”Dillo, dillo, dillo- e prendendo un grosso respiro, disse ancora - bella, bella, bella”

Senza esitazione seppi esattamente cosa volesse sentirsi dire e per passare una vita insieme a lui, mi sembrava il minimo da fare. Mi immaginai già una casa grande, con un’enorme stanza da letto, in cui svegliarsi ogni mattina con lui accanto. Ricoperta da coperte di seta e con una rosa, come quella che mi aveva regalato qualche settimana prima, questa volta con la consapevolezza che la spina sotto la pelle non fosse di una pianta, ma rappresentasse proprio lui, che mi era dentro, per sempre.

“Per favore” supplicai e sul suo viso serio, si formò un ghigno, mentre dalla sua bocca uscì un verso di apprezzamento. Si allontanò da me di qualche metro e, mentre dentro di me scoppiava l’inferno per la consapevolezza che ancora qualche istante e sarei stata per sempre sua, lui disse con un tono distorto:”Dio, tu sei così.. buona!”

Volevo sorridere, volevo mostrargli quanto gli fossi riconoscente, ma quando mi voltai e tornai a guardare giù in quelle pozze, piene di un liquido che mi avrebbe certamente fatto molto male, sentii i muscoli tutti contratti. Tornai a guardare lui, mentre con le braccia mi fece un segno che mi fece capire in cosa consistesse l’ultimo ordine che mi stava impartendo.

Voleva che mi buttassi nei calderoni.

Il respiro mi si spezzò, ma non feci nessun passo indietro. Era la vita che volevo passare per sempre e questo era il sacrificio che dovevo compiere per dimostrare all’uomo davanti a me quanto lo amassi.

Con la testa in subbuglio e lo stomaco annodato su se stesso, aprì le braccia.

Guardami Puddin, guarda cosa sto facendo per te. Ti amo.

E, senza nemmeno chiudere gli occhi, feci un passo all’indietro e poi mi lasciai cadere nel vuoto. Davanti ai miei occhi passarono le immagini delle nostre sedute e dei regali che man mano, ero stata costretta a portargli. Più passava il tempo, però, più avevo la consapevolezza che quei regali non mi stesse obbligando lui a portarglieli, ero io, di mia spontanea volontà a porgerglieli e poi lui li portava in stanza con se. Ed ora eccolo l’ultimo regalo, il mio suicidio.

La mia testa affondò nell’acido e con lei tutto il corpo fu sotto quella sostanza, che mi riempì gli occhi e in poco tempo riempì anche i miei polmoni, data la mia incapacità a nuotare. Nacque, da li, un dolore immenso, mischiato alla paura. Grande e ingombrante paura.

Era per questo che non avevo mai preso lezioni di nuoto. La mia paura stava per diventare realtà, stavo per morire soffocata da un liquido, benché non si trattasse di acqua. Ciò che compresi fu che quello non era acido corrosivo per la pelle e sorrisi, perché Joker non voleva che io mi uccidessi veramente.

Fu l’ultima cosa che feci, prima di chiudere gli occhi.

Quindi era questo che si provava nel raggiungere il fatal mietitore?

Una calma simile ad un post guerra, che nasceva dal centro del petto e raggiungeva il resto del corpo, regalando una sensazione di rilassamento a tutti i muscoli.

Prima che potessi definitivamente addormentarmi per il resto della mia esistenza, due braccia forti, mi presero e mi portarono a galla. Sentii qualcosa di morbido posarsi sulle mie labbra per darmi un fiotto di ossigeno, che in quel momento più che mai, rappresentò la vita. Presi un respiro enorme e tossicchiai leggermente, poi,  tornando a respirare regolarmente, riaprii anche gli occhi e lo vidi.

Il mio Puddin.

Si era tuffato e mi aveva salvata.

Questa volta il petto si riempii di una bellissima sensazione di calore e lo guardai, sorridendo.

Le sue labbra furono di nuovo sulle mie, questa volta per regalarmi la vita in un modo più poetico.  Mi baciò intensamente, facendo scontrare la sua lingua con la mia. Dalla prima volta avrei voluto ricevere un bacio come quello, compresa la mattinata che era passata. Ma capii che veramente l’attesa del piacere ne aumentare il piacere stesso.

Misi una mano tra i suoi capelli e lo attirai ancora di più su di me, mentre il fiotto di calore passò ad invadere anche il cuore e lo stomaco, che si stava accartocciando. Avvicinai il più possibile il mio corpo al suo e mugugnai di piacere tra le sue labbra.

Con la mano libera strinsi tra le mani il lembo di stoffa della camicia ed emisi un forte gemito tra le sue labbra.

Il primo ad allontanarsi fu lui, che poi scoppiò a ridere, spezzando il silenzio di quella fabbrica inquietante.

Sorrisi anch’io con lui.

 

 

 

Angolo autrice.

Mi scuso solennemente. La mia solita correttezza è stata spezzata. Non ho aggiornato ieri e me ne pento amaramente. Ho delle motivazioni valide, comunque, che spero possiate capire. È stata una giornata abbastanza pesante. La sera avevamo ospiti a casa e ho dovuto aiutare mia mamma a preparare alcune cose. Il capitolo, già pronto, voleva essere pubblicato, ma dovevo assolutamente ricontrollarlo.

Vi chiedo ancora scusa.

Domani spero di riuscire ad aggiornare, ma uscirò la mattina alle sette e probabilmente tornerò alle due del pomeriggio. Si, perché, finalmente, anch’io entrerò nel mondo degli universitari. Infatti domani vado a fare il test d’ingresso per lettere. Speriamo vada bene, perché non voglio fare un test di recupero.

Tralasciando la mia noiosa vita da matricola, volevo ringraziarvi per le undici recensioni al capitolo precedente. Un vero e proprio record, che nemmeno nelle mie one shot sono riuscita a raggiungere. In un solo capitolo tutto questo, perciò non oso immaginare cosa accadrò oggi, dato che tutti voi stavate aspettando con ansia questo (proprio questo) capitolo.

Qui per ultimo, vi richiamo al titolo del capitolo. Immagino capiate la traduzione e per questo vi invito a vedere Suicide Squad in lingua originale. Nulla da togliere all’originale, ma in inglese a quel non so ché in più (anche perché i ‘versi’ che emette Jared Leto nell’impersonare Joker, nella versione italiana non si sentono, ma in inglese si).

Se vi è piaciuto il capitolo, lasciate una recensione.

Un bacio, Unissons

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Capitolo 15
*** Romantic indifference ***


Romantic indifference.

 

Ebbi un tuffo al cuore.

Mi toccai il viso, poi i capelli e chiusi gli occhi, sperando che tutto questo fosse solo un brutto sogno. Quando li riaprì, però, quello spettacolo orribile era ancora li.

Dietro il mio riflesso nello specchio, apparve il mio Puddin, che con una spalla si poggiò allo stipite della porta e si mise le mani nelle tasche dei pantaloni. Il mio cuore perse un battito e mi mancò il respiro. Dopo il bagno nell’acido mi aveva portata direttamente a casa sua, senza chiedermi se volessi stare con lui, li o se tornarmene a casa. Mi aveva lasciata tranquilla a fare una doccia, sparendo nella stanza accanto. Non avevo avuto molto tempo per visitare la casa, ma ne avrei avuto nei giorni successivi. Mi ero lasciata cullare dall’acqua calda, ricordando le sue labbra sulle mie e il senso di libertà che esse mi avevano regalato. Sapevo di aver compiuto un gesto davvero importante per il mio Jokerino e anche lui ne aveva fatto uno altrettanto speciale per me. Sicuramente ero la prima persona che si degnava di salvare e non lasciava morire.

Sospirai.

Eccolo dietro di me, ora, senza maglia e con solo un paio di pantaloni di un pigiama che, sicuramente, costava quanto casa mia. Lasciai che i miei occhi indugiassero sui suoi vari tatuaggi e immaginai di percorrerli con le dita e con la lingua.

“Ti piace ciò che vedi?” chiese l’uomo dietro di me, con voce divertita, mentre se ne stava li fermo, senza dar segno di volersi avvicinare. Avrei pagato oro per fargli fare solo un passo verso di me, ma sarebbe stato inutile farlo con un uomo che poteva avere tutto ciò che voleva.

Era la seconda volta che quella stessa domanda mi veniva posta. La prima volta non avevo avuto il coraggio di rispondere, troppo sciocca per capire che sin dalla prima volta lo avevo amato. Folle o meno. Questa volta, senza indugio, mi voltai dando le spalle allo specchio e allo spettacolo osceno che vi si specchiava e dissi un fiero e fermo:”Si”.

Dalla sua gola uscì una delle sue famose risate, inquietanti al punto giusto, ma a cui mi ero abituata e perfino innamorata.

Quando smise di ridere, finalmente, si avvicinò a me e mi prese delle ciocche di capelli tra le dita, voltandomi verso lo specchio, in modo tale che potessimo vederci entrambi. Averlo così vicino a me, in quello specchio, dove sembravamo una coppia innamorata ripresa da un pittore o da un fotografo, mi fece sorridere. Nella mente del mio Puddin, però , non osavo immaginare cosa stesse passando in quel momento. Ero così ammaliata da non notare nemmeno quando iniziò a tirarmi i capelli, piano, ma aumentando sempre più d’intensità.

Serrai i denti sulle labbra e lo guardai attraverso lo specchio. Dritto negli occhi.

“A parer mio così sei più originale, pasticcino. Fatteli sempre così i capelli” ordinò, per poi tirarmi i capelli ancor di più, spingendomi a girarmi verso di lui. Con il cuore che batteva a mille e la vista leggermente annebbiata dal dolore, sentii la mano di Joker dietro la mia nuca che premette forte, avvicinandomi al suo viso.

Infilò la lingua nella mia bocca, regalandomi il suo sapore e poi mi morse la mia. Graffiò con i denti le mie labbra e poi le succhiò avidamente. Mi aggrappai disperatamente ai suoi capelli, tirandolo verso di me, sperando che questa tortura non finisse mai. Le sue mani tirarono ancora di più i miei capelli, facendomi scoprire la gola e allontanandomi dalla sua bocca. Anche li mi iniziò a graffiare con i denti e succhiare avidamente, mentre io nella bocca sentivo il sapore metallico del sangue. Dopo qualche istante, la mia schiena sbatté contro la parete dura del bagno e io sospirai, prima che la bocca dell’uomo tornasse sulla mia, ricominciando quella tortura tanto piacevole.

Quando si staccò, mise su il suo solito ghigno, scoprendo i denti, sporchi del mio sangue.

“Sapevo che il tuo sangue avesse un buon profumo” disse, con un tono di voce distorto, per poi andarsene dal bagno senza aggiungere altro.

Io caddi a terra, con lo sguardo perso nel vuoto e una sensazione di bruciore ovunque fossero passate le sue labbra. Un assalto con i controfiocchi, che aspettavo da quando eravamo tornati a casa. Non capivo cosa fosse cambiato. Prima del bagno nell’acido non aveva ricambiato i miei due baci, mentre ora eccolo a darmi tutto ciò di cui ho bisogno.

Sospirai ancora una volta, veramente felice e mi presi i capelli per guardarli.

Nell’acido in cui mi ero buttata non mi ero corrosa la pelle, bensì erano stati i vestiti a perdere tutti i loro colori. Infatti,sia io che Puddin quando ne uscimmo, avevamo i vestiti bianchi ed io mi ritrovai anche un’altra sorpresa: i capelli colorati. Si, mi si era creato una sorta di shatush temporaneo, blu e rosa, sui miei capelli biondi ulteriormente schiariti dall’acido. Quando, poi, avevo alzato lo sguardo su Puddin, ero rimasta a bocca aperta: era ancor più meraviglioso da bagnato e con i vestiti completamente bianchi. Non avevo idea, in realtà, se esistesse un modo o una maniera che lo facesse risultare meno sexy.

Tornai a concentrarmi sui miei capelli e se piacevano così al mio Puddin, me li sarei fatta per sempre così. Ma chissà quanto fosse lungo per lui il ‘per sempre’.

Mi alzai in piedi, con questa domanda in mente e cercai con lo sguardo qualcosa da poter indossare invece di quell’asciugamano e il mio sguardo cadde ancora una volta sullo specchio. Affascinata dalla mia immagine, mi ci avvicinai e osservai tutto ciò che aveva comportato l’attacco del mio amore. Feci scorrere un dito sulle mie labbra. Sembrava che io indossassi un rossetto che avesse sbavato sul contorno. Le sentivo gonfie e pulsanti. Sorrisi. Alzai il collo e guardai la mia gola, che tanto facilmente lui si era preso. Anch’esso era rosso e pieno di graffi. Sorrisi ancora. Distolsi lo sguardo, prima di correre nell’altra stanza da lui e chiedergli, supplicando, di continuare, e capii che in quel bagno non ci sarebbe stato nulla da indossare per me. Presi un respiro e aprii la porta del bagno, uscendone in asciugamano e guardando cosa stesse facendo il Joker. Se avessi notato che fosse stato impegnato, non gli avrei detto niente, me ne sarei tornata a casa perfino con i vecchi vestiti sporchi di acido.

Scorsi il mio Puddin sdraiato a terra, su quello che sembrava il pelo di un qualche animale, sicuramente scuoiato. In mano aveva un bicchiere con del liquido viola al suo interno e sembrava estremamente incantato al fuoco che gli divampava davanti nel camino.

Desiderai avere una macchina fotografica per potergli fare una foto da tenere con me. Per sempre. Sembrava una statua di marmo, una qualche divinità greca scolpita da uno scultore del tempo. Il fatto, però, era che lui era vero e io sentivo di essere legata a lui per sempre.

Un privilegio.

A quel punto, inoltre, immaginai me vicino a lui, con quello stesso calice, con lo stesso liquido, ma con una vestaglia di seta poggiata sulle spalle appena molestate dalla sua dolce violenza. immaginai fuoriuscire dalle sue labbra perfette un ‘Harley’ sussurrato, mentre osservava il fuoco proprio come in quel momento. Scuotendomi da quel sogno, decisi una cosa.

Addio Harleen Quinzel, benvenuta Harley Quinn.

Con una nuova sicurezza in corpo, iniziai a camminare lentamente verso di lui e osservai la stanza che mi circondava. Era molto ampia, con un letto a baldacchino che riempiva la stanza al centro e due divani rosso fuoco al suo fianco. Le pareti della stanza erano bianche, con un drappeggio color oro e su di esse vi erano vari quadri, alcune dei quali non capivo nemmeno cosa rappresentassero. Pensai, semplicemente, che fossero pezzi unici, sia artisticamente che economicamente. Attaccato ad una parete, inoltre, vi era un enorme armadio, ed immaginai che fosse pieno del profumo dell’uomo che amavo, oltre che dei suoi bellissimi abiti.

Così, tornai a guardare la mia mise.

Non sapevo se lui possedesse abiti da donna e la sola possibilità che li ve ne fossero, mi fece montare dentro una rabbia ceca. Chiusi gli occhi e quando li riaprì, più tranquilla di prima, il Joker si era voltato verso di me, sempre rimanendo sdraiato e notai che non solo le mie labbra sembravano gonfie, ma persino le sue, di quel colore scarlatto intensificato, mi attraevano ancora di più.

“C’è qualcosa che posso indossare anch’io?” chiesi, indicando il mio asciugamano e con la gola molto secca. Immaginai che lui facesse scorrere nella mia gola quel liquido che aveva nel bicchiere e poi mi baciasse intensamente.

Sembrò rifletterci qualche secondo sopra e poi disse:”Il tuo intimo è già stato lavato, anche se ti preferirei senza, zuccherino. Se poi vuoi metterti altro, quello è il mio armadio, infilatici e prendi ciò che ti pare”

Per poi girarsi e tornare a bere dal suo bicchiere, nella sua solita romantica indifferenza.

 

 

 

 

Angolo autrice.

Rieccomi ragazzi! Allora, prima di tutto, volevo chiedervi scusa per i vari disagi, anche se non sono stati a causa mia, non ho potuto aggiornare  e quindi mi sento in dovere di porgervi le mie scuse. Tornerò più spesso ad aggiornare, perché tra poco inizierà l’università e non so se tra i vari impegni scolastici e lavorativi, riuscirò a stare dietro alla storia. La cosa positiva è che sono già pronti altri sette capitoli, perciò per ora sono tranquilla e dovete esserlo anche voi.

Questo capitolo è una sorta di calma prima della tempesta, non so se mi spiego. Ovviamente non potevo far accadere tutto molto velocemente, quindi questo capitolo aveva lo scopo di mostrarvi quanto Harl sia ormai presa definitivamente dal suo amore. Ed inoltre, come non notarlo? Ormai ha deciso di convertirsi definitivamente al Joker cambiando il suo nome. Diamo il benvenuto ad Harley Quinn!

Alla prossima!

Un bacio, Unissons.

 

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Capitolo 16
*** Sweet agony ***


Sweet agony

 

 

Presi il coraggio a due mani e la strappai.

Sapevo che il gesto appena eseguito avrebbe dato molto fastidio all’uomo che, forse, mi stava aspettando nell’altra stanza, ma l’idea di avere addosso qualcosa di suo, usata parecchio per quel che sembrava, mi allettava.

Chissà in che circostanze aveva utilizzato quella maglia con le maniche rosse e il resto del busto bianco. Non la immaginavo minimamente adatta a lui. Forse risaliva ad un periodo in cui ancora l’amore della mia vita non era così.

Sempre che un periodo del genere sia mai esistito.

Sogghignai. Già, perché io non potevo sapere nulla della sua vita precedente a quella nota a tutti i cittadini di Gotham. Solo un tentativo e avrei fatto la fine del dottor Kin.

Zuccherino, tu non sei più una psichiatra. Fallo. Hai tentato il suicidio per lui, ne vale la pena.

Chiusi gli occhi, beandomi della sua voce rimbombante nella mia testa e mentre mi allungavo verso uno dei cassettoni presenti nella cabina armadio, decisi che lo avrei fatto. Gli avrei chiesto della sua vita precedente, a costo di essere uccisa. Perché ormai, lui era la mia vita.

Tirai fuori da quel cassetto un paio di boxer metà blu e metà Rossi.

Tipico.

Erano leggermente grandi, ma perfetti per l’occasione.

Mi avvicinai allo specchio dandomi un’aggiustata ai capelli, che avevo lasciato cadere sulle spalle nei loro boccoli originali, rinunciando alla mia acconciatura liscia abituale. Infondo, mi sarei dovuta abituare a loro per così come piacevano a Puddin. Li voleva con le punte colorate? Ebbene, quello sarebbe stato il mio colore fisso.

Indossai tutto il vestiario che avevo scelto e uscii dalle grandi ante, scorgendo il Joker ancora fermo davanti al camino, sorseggiando quella bibita viola dal calice di vino. Immaginai il sapore delle sue labbra bagnate da quel liquido non identificato da me. Mi leccai le mie e poi le toccai, sentendole ancora gonfie per l’attacco di prima, e sospirai, sperando che se mi fossi avvicinata, avrei ricevuto un altro trattamento de genere. Questa volta,però, sapevo che qualcosa di diverso mi aspettava. Mi stavo spingendo li dove nessuno aveva osato andare.

Saltellando, mi avvicinai alla pelliccia su cui era poggiato il mio uomo e quando alzò gli occhi su di me, mi si scaldò il sangue. Sorrisi, mentre anche lui ricambiò il mio sorriso, per poi accucciarmi per terra accanto a lui. Il suo sguardo mi corse addosso, fermandosi dapprima ai suoi boxer e poi congelandosi alla maglietta. Una sensazione sgradevole si fece spazio  in me, ma cercai di mascherarla. Non sapevo cosa fosse cambiato in pochissimi secondi. Prima mi era sembrato perfino felice del fatto che avessi indossato un paio di suoi boxer e poi, guardando la mia maglietta si era arrestato. Cosa significava per lui questa maglia? Cercai di non essere gelosa, ma fu veramente difficile non iniziare a porre domanda.

Dopo qualche istante, vidi di nuovo il suo sguardo mutare e alzò una mano.

Dimenticando tutto ciò che mi era passato per la mente, sorrisi e mi avvicinai a lui, cascando nella sua trappola.

Una sua mano fu sulla mia gola, tenendomi ancorata a terra, mentre con tutto il resto del corpo mi si era seduto sopra. Il respiro si fece irregolare, specialmente per la sua mano forte che bloccava la mia giugulare. Aprii la bocca, senza provare paura. Un misto di eccitazione e reverenza si fecero spazio in me. Mi fidavo dell’uomo che avevo davanti e sapevo che il suo modo di fare era dettato da un mio gesto sbagliato. Qualcosa doveva avergli ricordato il suo passato e apprezzai che tutto fosse avvenuto così in fretta, in modo tale da non dover nemmeno porre la mia domanda a parole.

La mano che dapprima bloccava la giugulare, tentò di scendere piano verso la maglietta, che avevo adempito a rendere personalmente mia, prima, con uno strappo che l’aveva resa corta al di sopra dell’ombelico. Passò lungo il mio braccio e poi su, di nuovo verso il seno, questa volta senza stringermi più la gola. Il suo sguardo era famelico mentre mi osservava come se fossi una creatura fantastica.

Qui, però, quella più incantata ero io. Osservavo il mio Puddin come se fosse uno di quegli animali selvatici, che basta poco e ti sbranano. Questa volta sarei voluta davvero essere sbranata. Avrei aspettato per l’eternità un suo dolce attacco.

Poco dopo, il suo sguardo si sollevò dal mio corpo e si guardò in giro, alla ricerca di qualcosa.

Io mi morsi il labbro e aspettai, in divinazione.

Quando il suo sorriso inquietante si allargò sul viso, capì che ciò che stava cercando, era stato individuato. Senza nemmeno alzarsi da me, prese in mano il bicchiere da cui prima stava bevendo quella sostanza viola. Me l’avvicinò alla bocca e sussurrò:”Bevi”

Senza esitare, aprii la bocca e il liquido freddo scese giù per la mia gola.

Succo d’uva.

Deglutii e mi leccai le labbra in segno di apprezzamento. Sul bicchiere ancora si sentiva il calore delle sue labbra poggiate e un fremito mi attraversò il corpo.

I suoi occhi ardevano e i miei muscoli crepitavano dalla voglia di toccarlo. Non volevo rovinare il momento, decisi di trattenermi.

Il bicchiere ormai vuoto, venne sbattuto contro il pavimento, in modo tale che la parte superiore di esso si rompesse, dando vita ad un’arma micidiale. Guardai quella e poi Puddin e mi chiesi cosa avesse in mente. “Dove hai trovato questa maglia?” chiese, iniziando a passare l’oggetto contundente sul mio viso. Al suo passaggio, la mia pelle iniziò ad aprirsi e da li, il sangue iniziò a sgorgare in piccoli rivoli.

Sospirai per il bruciore e sorrisi in segno di apprezzamento, socchiudendo leggermente gli occhi, per non perdere totalmente il contatto visivo con lui. Finalmente mi stava attaccando ancora e mai avrei rinunciato a tutta questa dolcezza da parte sua.

“Era in fondo al tuo armadio, a terra, poggiata in un angolino” risposi sussurrando, chiudendo le mani e ficcando le unghie nei palmi. La voglia di toccarlo, infilare le mani nei suoi capelli, era ad un punto estremo. Sapevo che, alle prossime parole che sarebbero uscite dalla mia bocca, avrei sospirato di piacere.

“E questo non ti ha fatto pensare che io non volessi che nessuno la vedesse?”

Il percorso del bicchiere continuò, scendendo verso il collo. Qui il Joker premette più forte, proprio dove l’arteria racchiudeva la mia vita. Chiusi gli occhi e aspettai di sentire il liquido fuoriuscirvi e con lei, sentire la mia aura mischiarsi per sempre a quella del Joker. Nulla arrivò. Così riaprii gli occhi e a pochi centimetri dal viso mi ritrovai lui con un carico di vendetta e segreti mai raccontati.

“Rispondi!” urlò e le punte aguzze del bicchiere furono infilate nella carne del mio braccio con crudeltà. All’istante la mia bocca si spalancò in un urlo silenzioso. Il suo polso ruotò, ficcando più schegge e spine aguzze nel mio braccio.

Destra, sinistra.

Dai miei occhi fuoriuscirono delle lacrime.

Non vidi più l’uomo che avevo davanti, ma sorrisi, prendendo dei respiri enormi. Se avesse continuato così, sarei stata sua in un modo umanamente impossibile.

“Volevo qualcosa di tuo” sussurrai, continuando a guardarlo fisso negli occhi, regalandogli sensazioni che probabilmente non si aspettava e questa volta muovendo il braccio che non stava subendo la bellissima tortura, liberamente. Quello arrivò alla mano libera del Joker, che fu portata sopra i miei capelli.

Nei miei occhi nacque una preghiera, una supplica, una scongiura.

Tirali. Forte.

 

 

 

 

Angolo autrice.

Rieccomi, e questa volta più in anticipo degli latri giorni. Devo dirvi la verità, già mi stavo disperando vedendo le poche recensioni. Credevo che non vi stesse più piacendo la mia storia o cose del genere, ed invece ecco che me ne spuntano sette. Quindi ora sono contenta.

Come detto ad alcune di voi, la storia si prolungherà ancora per molto, sperando di riuscire a portarla avanti, perciò per molto tempo, non vi abbandonerò, nonostante tutto. Spero di riuscire a pubblicare il capitolo domani, perché avrò parecchio da fare. Però non è giusto da parte mia portarvi via la mia storia (manie di grandezza), perciò starò ben attenta.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, spero che per questo mi lasciate una recensione.

Un bacio, Unissons.

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Capitolo 17
*** Little toys ***


Little toys

 

Te lo sei meritata.

Era un regalo di mia moglie.

Tienila.

Sarà più piacevole scoparti con quella addosso.

Mia.

Mi stirai molto piano, completamente indolenzita dalla nottata appena trascorsa. Un dolore al braccio mi colpì forte e tentai di girarmi per poter toccare il punto in cui, sapevo, ci sarebbe stato un immenso taglio da dover medicare al pronto soccorso.

Il mio tentativo di muovermi, però, fu vano. Ero incastrata sotto qualcosa, sopra il letto. Così, aprii gli occhi e il mio cuore fece una capriola, vedendo la testa del Joker poggiata sul mio petto. Da quell’istante tutto il mio corpo si risvegliò e sentii anche una delle sue gambe sulle mie. Mi teneva stretta a lui, in una posizione che da sveglio non avrebbe mai preso.

Era stata la notte più bella della mia vita.

Ricordai le sua mani intorno alla mia vita che stringevano forte, lasciando il segno e, probabilmente, un livido.

Ricordai le sue mani intorno ai miei seni che pizzicavano e prendevano, senza capire, però, che stavano anche dando.

E ricordai la sua spinta per entrare dentro di me. Secca, dura, cattiva. Perfetta.

“Hai una voce così insopportabile quando dormi” sentenziò il Joker, sorprendendomi e ammaliandomi con quella sua voce così roca appena sveglio. Avrei voluto portarmi le mani al viso per nascondere il sorriso idiota che apparse sul mio viso e con un nodo in gola e il cuore che mi scoppiava, sussurrai:”Ho detto qualcosa?”

L’uomo al mio fianco premette forte sul mio braccio, fermandomi qualche secondo la circolazione verso la mano e si tirò su a guardarmi in faccia. La mancanza della sua testa sul mio petto mi fece quasi sentire male. Quasi. Infatti mi aggrappai ai suoi occhi per impedire al mio corpo di reagire e riattrarlo addosso a me, per sentire il suo calore, per fargli ripetere ciò che ieri sera aveva fatto.

Al solo ricordo boccheggiai.

Puddin, ti amo, Jokerino mio.. blah, blah, blah, sempre a parlare. Non sai stare zitta tu, zuccherino” mi schernì e mi sentii arrossire fino alla punta dei piedi. Lo avevo ammesso ancor prima di sentirmi realmente pronta a dirglielo. Ora sapeva che lo amavo e ciò poteva essere un’arma a doppio taglio. Da un lato, infatti, avrebbe potuto buttarmi via come l’ennesimo giocattolino che aveva presentato degli effetti collaterali, oppure, dall’altro lato, avrebbe potuto tenermi per sempre con sé e io non avrei mai preteso nulla, se non che tutte le notti mi trattasse come quella appena trascorsa.

La sua mano scese verso la maglia che ancora indossavo e continuò ,infilandosi sotto le coperte, constatando che dall’assalto di ieri sera non avevo nemmeno avuto il tempo di rivestirmi.

Inspirò forte e si avvicinò al mio orecchio, prendendo il lobo tra i denti e iniziando a morderlo con gli incisivi, segnando la carne e aprendola. In un attimo le mie mani furono tra i suoi capelli e li strinsi tra le dita, mentre mi beavo del suo tocco. Sembrava non fosse mai stanco.

“Ti farò fare dei vestiti del genere su misura. Questa maglia la buttiamo, mentre i boxer.. potrei anche abituarmi a vederti con i miei addosso” sussurrò, fermando il suo assalto e girandomi di lato, in modo tale che fossimo faccia a faccia. Mi sentivo come un peluche nelle sue mani. Poteva fare di me tutto ciò che gli concernesse e io ne sarei stata accondiscende. Tutto pur di renderlo contento.

Con il cuore che batteva velocemente, la sculacciata che ricevetti sul sedere, rimbombò a mille e mi fece sussultare. Sorrisi e gli feci un ringhio sexy.

Scoppiammo a ridere insieme.

“Adesso basta, voglio mostrarti i miei giocattoli” ordinò, allontanandosi di scatto da me. Mi sentii fredda e vuota senza il suo contatto. Così allungai una mano sul suo braccio, ma mi bloccai da sola, quando le coperte si tolsero del tutto dal suo corpo e lo lasciarono nudo.

Completamente nudo.

All’istante mi si seccò la gola e ritirai la mano.

Come se nulla fosse,il Joker camminò tranquillamente nella stanza enorme, per fermarsi davanti al camino, dove aveva abbandonato tutti i suoi vestiti la sera prima. Poi si voltò verso di me. Scattai sul posto, capendo dal suo sguardo che dovevo alzarmi immediatamente. Mi sedetti sul letto e cercai nella stanza dove potessero essere i boxer che avevo indossato la sera prima. Successivamente, l’immagine di Joker che me li sfilava con i denti, li annusava e poi li buttava in una parte indistinta della stanza, si fece nitida nella mia mente e dovetti stringere le cosce.

Alla fine, sotto lo sguardo stufo del mio Puddin, decisi di prendere il lenzuolo dal letto e legarmelo al corpo. “Una vergine dea greca” esordì il Joker, guardandomi da lontano, con un sorriso di scherno sul viso.

“Vergine non molto, dea assolutamente si, solo per te e greca no. Mi dispiace Puddin, sono ancora americana” controbattei, stupendomi delle mie stesse parole. A quel punto mi avviai per raggiungerlo, quando scorsi i boxer ai piedi di una cassa panca. Mi ci avvicinai e un fiotto di indecisione mi fece aspettare qualche secondo inutile. La decisione era già stata presa. Mi tolsi le coperte  e sotto gli occhi ardenti del mio Jokerino, mi rimisi i suoi boxer, per poi muovermi verso di lui ondeggiando abbondantemente le anche. Senza aggiungere nulla, iniziò a camminare davanti a me, guidandomi verso quelli che lui definiva i suoi ‘giocattoli’. Mi sentii leggermente delusa dalla sua solita indifferenza, nonostante sapessi di non esserglielo per nulla.

Oh, romantica indifferenza.

Da dietro di lui, con la sua guida verso un punto preciso della casa e senza l’esigenza di farmi una doccia dopo un bagno nell’acido, ebbi l’opportunità di ammirare quella enorme casa. I corridoi che percorremmo si potevano benissimo paragonare a quelli dell’Arkham Asylum, solo che questi erano stati arredati e dipinti in grande stile. Le pareti erano rosse e gialle, con vari quadri che rappresentava nature morte oppure donne nelle più svariate pose. Mi fermai quando ne scorsi una sgozzata. Osservai il suo sangue scorrere giù lungo le spalle e le braccia, in quanto esso era stato davvero dipinto bene. Quando notai che il Joker si era allontanato di parecchio, tornai a corrergli dietro, ammirando tutte le altre opere. Inoltre vi erano centinai di porte. Chissà dove potessero portare tutti quegli ingressi in quanto era impossibile che ci fosse una casa con così tante stanze da letto. Per quel che potevo ricordare dal mio arrivo qui, la casa non era ad un solo piano, ma bensì a tre. Improvvisamente l’uomo davanti a me si fermò e dato che non me ne accorsi vi finì addosso.

“Scusa” sussurrai, ma lui non disse nulla a riguardo, bensì:”nessuna donna è mai stata qua dentro”

E il mio cuore si riempii di lusinghe. Era stato meglio di ricevere un complimento diretto. In qualche modo sapevo quanto fosse importante per lui comunicarmi una cosa del genere, ma quando aprì la porta, tutto mi sarei immaginata di vedere la dentro, tranne file e file di armi e munizioni di vario genere.

Mi fece spazio per entrare per prima e iniziai a guardarmi attorno, leggermente sconvolta. Non sapevo se fossi felice o meno, non capivo cosa stessi provando, ma decisi di dare un’opportunità a tutto ciò. Per questo mi avvicinai alla prima fila, dove erano posate svariate armi e ne toccai una che mi sembrava una mitragliatrice. Mi sentii come imbambolata. La sollevai e la tirai fuori dal suo deposito, prendendola in braccio come fosse un bambino.

“Fossi in te non sparerei un colpo dentro questo posto. Moriremmo all’istante, entrambi” disse il Joker, che era ancora fermo sulla soglia, come se stesse osservando ogni mio movimento all’interno di quella stanza. “Non ne avevo intenzione” risposi, mettendola giù, ma promettendomi che sarei tornata a prenderla per provarla.

“Andiamo pasticcino, ho visto come ti sei divertita a sparare a Batman e poi la mia pistola non è più tornata indietro”

Sorrisi e continuai a camminare per quella stanza, toccando quelle che sembravano delle mine.

“Cosa sono?” chiesi, evitando liberamente la frase da lui detta prima. A quel punto smise di tenere le distanze e mi si avvicinò. Prese in mano una di quelle boccette e osservai che non erano come tutte quelle che avevo visto nei film. Per giunta su di essa vi era un Jolly con un sorriso inquietante – alzai lo sguardo – come il suo.

“Gas esilarante. È bellissimo uccidere quando la gente ride sotto di te, nonostante tu gli stia infliggendo molto dolore”

Non mi stupii minimamente della sua risposta e continuai a camminare per la stanza, questa volta attirata da un oggetto in una teca di cristallo. Non somigliava minimamente ad un’arma, anzi, sapevo perfettamente di ciò che si trattasse. Durante gli stage effettuati negli ospedali e dopo i parti di mia cognata, avevo avuto l’occasione di osservare quell’oggetto innumerevoli volte e non solo, lo avevo anche utilizzato.

Mi voltai con una domanda disegnata in volto e il viso del Joker dimostrava che anche lui sapeva che quella domanda sarebbe arrivata portandomi qui dentro.

“Perché c’è uno scalda – biberon elettrico in questa stanza?”

 

 

 

Angolo autrice.

Ciao ragazzi. Rieccomi con il capitolo, che spero vi possa piacere. Come al solito ho il vizio di fermarmi sul più bello, ma qui ne sono successe delle belle ed è per questo che è importante trattenere altre informazioni per il prossimo capitolo, che sarà molto molto importante.

Inoltre volevo ringraziarvi davvero per essere sempre in così tante a leggere la mia storia, che piano piano va avanti.

Vi volevo avvertire, inoltre, che probabilmente tra qualche tempo, gli aggiornamenti rallenteranno. Anziché pubblicare una volta al giorno, accadrà una volta la settimana e spero che non vi stancherete di aspettare per leggere i miei capitoli. Capitemi, il futuro si fa sempre più vicino e oltre che a molta paura, il tempo libero scarseggia.

Se vi piace, lasciatemi una recensione.

Un bacio,Unissons

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Capitolo 18
*** Revelations ***


Revelations

 

Il mio Puddin, che ora potevo comprendere, aveva molti più segreti di quelli che io pensassi, si avvicinò ad una parete ed accese un’ulteriore luce, che illuminò un piccolo spazio in cui vi erano collocati dei divanetti. Li, probabilmente, si tenevano tutte quelle ‘riunioni’ che avevano a che fare con la carriera da criminale del Clown.

La sua mano, mi indicò di andarmi a sedere e come un cagnolino obbedii senza discutere. Sentivo che stava per raccontarmi qualcosa, si stava preparando e, per l’ennesima volta, non potei fare a meno di sentirmi lusingata.

Mi sedetti su una poltroncina di pelle, sola, nell’angolo rispetto ai due divani, che invece erano posti l’uno accanto all’altro. Avevo deciso di utilizzare quella perché aveva un qualcosa di speciale, importante, come se appartenesse ad un re. E in un certo senso era vero.

Il re del mio cuore.

Con un ghigno sul viso, lui si sedette su un divano davanti a me, con un braccio sul bracciolo e l’altro appoggiato contro la spalliera. Anch’io cercai di mettermi il più comoda possibile e così tirai su le gambe poggiando i piedi sulla poltrona stessa, avvicinando il mio busto agli arti.

“Era di mia moglie” iniziò e io mi portai una mano allo stomaco. Non sapevo se avrei sopportato sentirlo parlare di sua moglie, non dopo che adesso ero io ad appartenergli e, in qualche modo, lui apparteneva a me. La cosa più sconvolgente, ora, era sapere che quell’oggetto era stato utilizzato per scaldare il cibo al frutto del loro amore. Strinsi il pugno e cercai di resistere, mentre lui andava avanti.

“Eravamo sposati da sei mesi, costretti dalla gravidanza inaspettata. Non avevo un lavoro,in quanto ero già stato licenziato dalla fabbrica chimica, e per altro nemmeno lo cercavo. Così quando i suoi genitori smisero di mantenerci per fare in modo  che io mi impegnassi di più, per lei iniziai ad essere un fallito” raccontò guardandomi, ma con lo sguardo perso, come se in quel momento lui stesse rivivendo tutte le scene della sua vita passata, in cui vi erano stati molti litigi con la moglie e che ricordava con molto dolore. Da psichiatra, ma soprattutto, da donna innamorata, avrei voluto aiutarlo a superare quei momenti, anche in quell’istante, ma conoscevo il mio Puddin e, se volevo conoscere la sua vita, dovevo starmene zitta e buona ad ascoltare.

“Così, con due miei conoscenti decidemmo di mettere in atto una rapina. Non volevo più essere un fallito per Jeannie” continuò, finendo la frase praticamente sussurrando e lessi nei suoi occhi un dolore immenso, che mai avrei creduto di poter vedere nel mio Jokerino. Il trauma che lo aveva portato ad essere così, capii, non era legato alla sua infanzia, ma a qualcosa collegato alla moglie e, forse, direttamente al fatto che lei fosse morta. Ancora una volta decisi di tenere per me le mie considerazioni e stare ad ascoltare il suo racconto.

 “Qualche giorno dopo, però, da codardo, decisi che tutto quello che stavamo organizzando non mi piaceva più. Non me la sentivo di rischiare di finire in prigione per una rapina e per giunta avevo paura di non rivedere mai più mio figlio. Il destino, però, aveva già deciso di portarmelo via”. Il suo sguardo si allontanò dal mio e percorse tutta la stanza, fino ad arrivare alla teca di cristallo che conteneva lo scalda – biberon elettrico.

Joker nella sua vita aveva amato qualcuno. Non sua moglie, ma suo figlio.

La morsa allo stomaco si allentò, non mi sentivo più gelosa di quella donna che era stata con il mio Puddin, ma il dolore non riusciva a passare. Anzi aumentava con il passare dei secondi, più il suo racconto aumentava.

Se era quello che desiderava, anch’io gli avrei regalato un figlio. Il segno del mio amore per lui.

“Quella, per me, è l’arma più letale che esista al mondo. Mi ha portato via la mia famiglia” sussurrò, come se non volesse essere sentito in un momento di tale debolezza. Nei suoi occhi vidi una scintilla e capii che il dolore non era mai stato tanto acuto come adesso. Chissà per quanto tempo non si era permesso di ricordare quei momenti, per quanto aveva sotterrato tutti i sentimenti provati per un bambino che la vita aveva deciso di portargli via.

Il dolore che provò lui, accentuò quello che stavo provando io e tirai giù le gambe, stringendo i braccioli della poltrona, come a trattenermi dal saltare in piedi e andare da lui.

“Quei bastardi non ne vollero sapere. Ero in uno stato inumano quando mi costrinsero ad andare comunque ad effettuare la rapina con loro. Era come se il mio cervello già sapesse che li ad aspettarci ci fosse il pipistrello” enunciò, digrignando i denti e sbattendo la mano sul divano. Il suo sguardo mutò in un istante e davanti a me non vi era più dolore acuto, ma sorda vendetta.

“Era la banca più prestigiosa di Gotham, protetta dalle più impensabili qualità di allarmi esistenti al mondo, ma non avevamo messo in conto lui. Sembrava, infatti, che tutto stesse procedendo per il verso giusto, avevo anche già in mente come investire i soldi che mi sarebbero entrati in tasca poco dopo, ma fummo attaccati e mentre i miei due compari furono catturati e legati da Batman, io per scappare caddi in una di quelle misure di sicurezza di cui tanto si parlava. Non avevo idea che esistesse veramente, pensavo che un liquido del genere si potesse tenere solo all’interno di una fabbrica in cui lavoravano esperti chimici, me compreso qualche anno prima. Ed invece era anche li e poi fu nelle mie narici, nei miei polmoni. – sospirò e tornò a guardarmi fisso negli occhi. Mi sembrava che vi stesse scavando dentro, cercando qualcosa in modo disperato. Se solo avessi saputo cosa voleva, glielo avrei dato, pur di non farlo stare così in pena – E mi rese quello che sono adesso” finì e finalmente avevo chiaro in mente molte cose.

Il mio quasi suicidio nell’acido.

I capelli verdi.

La follia.

L’essere immune a molte sostanze.

Joker doveva essere caduto in uno di quegli acidi molto forti, che per un miracolo non lo aveva ucciso. Probabilmente anche Batman stesso avrà creduto che lui fosse morto in quella vasca e solo quando lo aveva visto tornare per compiere la sua vendetta, aveva capito di aver commesso il più grande errore della sua vita.

Ma il migliore per me.

Probabilmente se a lui non fosse accaduto quello che era successo, io non avrei scoperto la mia vera me e non avrei potuto essere felice come ora, con l’uomo che amavo davanti agli occhi.

Nella stanza il silenzio iniziò a vibrare. Ne io, ne Joker parlammo. Da parte mia questo silenzio era rispettato perché lo conoscevo abbastanza da volergli lasciare qualche secondo per tornare in se. Inoltre, sapevo che non avrebbe voluto che io gli saltassi addosso, come volevo però fare, in un momento del genere. Avrei rispettato tutto il tempo che gli sarebbe dovuto. Sperai solo che non fosse troppo.

Ora che conoscevo la sua vita, nulla cambiava, sapevo solamente di contare molto di più di quello che pensassi, per il mio Jokerino.

Cercai di trattenere il sorriso spontaneo che stava per liberarsi sul mio viso.

Qualche istante dopo, Joker prese lentamente a guardarsi intorno per tutta la stanza, come alla ricerca di qualcosa, poi, i suoi occhi furono su di me.

Piegò la testa di lato e io strinsi le mani sulle cosce.

“Ho detto troppo, adesso devo ucciderti” sussurrò, per poi scoppiare a ridere in quella sua melodia inquietante.

Osservai incantata quelle sue labbra scarlatte e sorrisi.

 

 

 

Angolo autrice.

Ecco il capitolo rivelatore, che racconta molte molte cose. Come sempre, sono poco convinta di ciò che vi ho mostrato, non posso farci nulla, a quanto pare è più forte di me.

Spero che a voi, invece, sia piaciuto, e se è così, lasciatemi una recensione.

Nel frattempo, io trovo su facebook sempre più foto adatte a determinati momenti della storia *ride*

Un bacio, Unissons

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Capitolo 19
*** Everything for you ***


Everything for you

 

Ancora una volta me le aveva date di santa ragione e poi aveva fatto sesso con me. E che sesso. Ogni volta che chiudevo gli occhi potevo sentire il coltello che penetrava nella pelle delle mie cosce e le sue spinte energiche che coprivano il dolore.

Le sue mani intorno ai miei seni che stringevano, mentre con i denti imprimeva il suo marchio su di essi, lasciando un livido in suo ricordo.

E sempre quelle mani che mi tiravano i capelli, strappandomeli dalla radice.

Alla fine la maglia me l’aveva strappata, ma aveva promesso di farmene fare una su misura, perciò non potei lamentarmi.

Aprii il frigorifero e fui inondata dall’aria fredda proveniente dal suo interno. Era quasi un giorno intero che non mangiavo, troppo presa a star dietro al mio signor J per preoccuparmi dei morsi allo stomaco.    Osservai l’interno della cabina, sperando di trovarvi qualcosa di buono, ma praticamente era vuota, se non per un limone e qualche bottiglia d’acqua.

“Puddin, ma tu non mangi?!” chiesi urlando, sperando che dal bagno, dove si stava facendo una doccia, mi potesse sentire. Non aveva detto di avere programmi per la giornata, così avevamo deciso di passare il tempo in casa sua, non che si potesse andare da molte parti con lui.

Sospirai.

Una risposta non arrivò mai, così chiusi la porta e andai a sedermi sul divano. Il suo salotto era enorme, se poi collegato alla cucina a vista, vi si poteva giocare una partita di calcio professionale. Alla parete era attaccato uno schermo led da novanta pollici e a qualche metro di distanza vi era un divano per minimo dieci persone, che potevano stare benissimo sdraiate. Come al solito i quadri alle pareti dovevano valere migliaia di dollari e la cucina era dotata di qualsiasi elettrodomestico. Peccato che mancasse l’elemento fondamentale: il cibo.

Mi allungai sul tavolino davanti al divano e presi il telecomando. Lo girai tra le dita per qualche secondo, cercando di studiare come si potesse accendere quello schermo enorme. In casa mia avevo una di quelle televisioni vecchie, senza schermo piatto, con un telecomando semplice perfino per un analfabeta.

Dopo quelle che sembrarono delle ore, riuscii ad accendere la televisione e gridai di vittoria, letteralmente. Distesi le gambe davanti a me e mi accoccolai, tirandomi addosso una coperta che era poggiata sul divano. Era di un profondo color rosso che mi fece venire i brividi. Mi ricordava il completo che avevo messo per andare il primo giorno all’Arkham Asylum e con lui, ricordai la promessa che il Joker mi aveva fatto: impregnare le pareti neutre con il mio sangue.

Le ferite fresche alle gambe e tutte quelle presenti sul resto del corpo, iniziarono a battere, facendomi sentire la loro presenza.

Adoravo le piccole torture che il mio Puddin mi esercitava sul corpo. Mi facevano sentire viva, desiderata ed amata, in un modo che solo lui sapeva fare.

Tutto ciò che avevo scoperto su di lui quella mattina, non avevano cambiato minimamente la mia idea su di lui. Lo amavo in modo incondizionato e sarei stata per sempre sua. Non avevo ben capito come la moglie e il figlio potessero essere morti a causa di un aggeggio come uno scalda – biberon, ma prima o poi glielo avrei chiesto.

Premetti sulle cosce e strinsi gli occhi, godendomi il dolore e lasciando perdere il tentativo vano di distrarmi con la televisione. Joker era vivo dentro di me e, specialmente in questa casa così immensa, non potevo evitare di immaginarmelo ovunque, mentre progettava stragi e rapine.

“Ti godi i tuoi nuovi regali?” mi sussurrò all’improvviso il mio Jokerino nell’orecchio e un ansito abbandonò la mia bocca come risposta. Non mi aveva spaventata minimamente, anche se non lo avevo sentito arrivare. Infondo in questa casa, la sua presenza era ovunque. Il profumo del bagno schiuma arrivò direttamente alle mie narici e mi fece perdere il lume della coscienza per qualche istante. Lo sentii ridacchiare dietro di me, poggiandosi allo schienale del divano. Tutta questa situazione lo divertiva e faceva lo stesso con me, solo in un modo molto più profondo.

“Voglio che tu faccia una cosa per me” esordì, togliendomi il suo meraviglioso profumo da sotto le narici per qualche secondo. Miagolai di dissenso e tornai ad aprire gli occhi. Lo guardai raggirare il divano, completamente a torso nudo e mi si seccò la bocca. Lo avevo visto molto più esposto di così, ma non mi sarei mai abituata ai suoi splendidi pettorali e a tutti quei tatuaggi. Poco dopo si sedette accanto a me. Immediatamente mi avvicinai il più possibile a lui, poggiandomici addosso. Come immaginai, però, lui non mi strinse tra le braccia.

Sospirai, comunque felice.

“Qualsiasi cosa” risposi, ed era vero. In quell’istante mi tornò in mente anche cosa avevo pensato nella stanza delle sue armi: se avesse voluto un figlio, da me, io glielo avrei donato. Qualsiasi cosa pur di far felice il mio Puddin. Strusciai la testa sul suo petto, proprio dove lunghe strisce rosse, contornate da piccole crosticine marroni, segnavano il mio passaggio avvenuto poco fa. Lo avevo graffiato a sangue e mi era piaciuto. Mi trattenni da allungare le braccia e allacciargliele intorno al collo. Infondo il turno delle coccole era stato chiuso poco fa e non potevo pretendere oltre da lui.

Ma aveva promesso di uccidermi e quella promessa doveva essere mantenuta.

“Ti ho già detto di non dire cose di cui poi potresti pentirti!” esclamò, allontanandosi da me bruscamente. Alle volte non riuscivo a comprendere ciò che gli succedesse. Fino a qualche istante fa mi aveva permesso di stargli addosso e di potermi beare della sua presenza, mentre ora mi rifiutava nel più brutale dei modi. Però lo volevo e dovevo prendermelo per quello che era.

Annuii, guardandolo intensamente negli occhi.

La scintilla nei suoi occhi tramutò e da irascibile la quale era diventata, divenne mansueta e tranquilla. “Devi farmi un tatuaggio”

Il mio cervello si bloccò, andando in stand by.

“J, ma io non so fare i tatuaggi” sussurrai, guardandolo ancora, per poi far scorrere il mio sguardo sul suo torace e le varie bocche sorridenti che gli ricoprivano il corpo. Ne aveva tre: una sulla mano sinistra, una sull’avambraccio destro e uno sullo stomaco, proprio sotto il suo nome scritto in caratteri cubitali. Sul pettorale destro vi era un Jolly enorme, mentre sul collo erano state incise delle carte da gioco. Per non parlare poi della perfetta ‘J’ disegnata sotto l’occhio destro.

Tutti disegnati alla perfezione.

Se avessi osato toccargli il suo perfetto corpo, con la macchina dei tatuaggi, certamente lo avrei rovinato.

A Joker, però, non piaceva essere contraddetto.

Un nuovo man rovescio mi arrivò in pieno viso, facendo schizzare dal mio naso alcune gocce di sangue. Mi ritrovai con il sedere a terra, molto dolorante, ma felice.

Mi massaggiai il fondo schiena e mi ripulii il sangue, guardandolo mentre avanzava verso di me. Non mi faceva paura, anche se sapevo che quello fosse il suo intento. Forse lui me la stava facendo pagare per tutto quello che io e i miei colleghi gli avevamo fatto passare all’interno del manicomio, infondo elettroshock e farmaci su farmaci non si dimenticavano facilmente, ma io ero innamorata anche di tutte quelle torture.

La sua figura imponente fu su di me e io dissi un deciso ‘si’, facendolo scoppiare nella sua inquietante e fragorosa, risata.

 

 

 

 

Angolo autrice.

Scusate per il clamoroso ritardo, ma come immaginavo, gestire il tutto insieme è particolarmente difficile. La mia vita da matricola universitaria, però, non vuole iniziare e non so nemmeno se inizierà mai. Comunque, non sono qui per raccontarvi i miei drammi e nemmeno per cercare una scusa.

So che questo capitolo non è il massimo, ma vi prometto che domani ne metto immediatamente un altro, anche se mi ritrovassi con solo due recensioni.

Inoltre volevo farvi notare che questo capitolo rappresenta la “normalità” a casa Joker.

A voi come vanno le cose? È da molto che non sento alcune di voi lettrici più, come dire, accanite. Fatevi sentire.

Un bacio, Unissons.

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Capitolo 20
*** Gently brutal ***


Trasalii quando sentii l’ago iniziare a bucargli la pelle e vidi il sangue fuoriuscire a goccioline dalle punture. Deglutii e cercai di concentrarmi, per portare a termine ciò che mi era stato imposto. Non era un’operazione molto semplice, però. Non solo non avevo mai eseguito un tatuaggio, ma si trattava di doverglielo fare sul pettorale e mi sentivo enormemente attratta. Il segno del passaggio delle mie unghie ancora non era scomparso e ne fui felice. Doveva rimanere li, segnava il dato di fatto che lui fosse mio. “Bambolina, concentrati, di certo non voglio una ‘H’, oppure una ‘A’ scritta male. Sbrigati, che poi ho da fare” disse, sbrigativo il mio Puddin. In effetti da quando era andato nell’altra stanza a prendere tutto il necessario per fare tatuaggi e lo avevo sentito urlare al cellulare, era cambiato. Non sentivo più quella romantica indifferenza che aveva segnato il suo assalto precedente, sentivo solo distacco.
Pensava ad altro, era in un altro mondo.
“Credevo non avessi nulla da fare, oggi” sussurrai, mordendomi il labbro e iniziando a lasciare l’inchiostro scuro sotto la sua pelle. Una perfetta ‘H’ nacque sotto le mie mani, prendendo la forma della mia calligrafia. Sperai che proprio per questo gli piacesse.
“Il lavoro è così faticoso” sbuffò, come se veramente la sua carriera lo sfaticasse. Sorrisi, immaginandomelo mentre correva per le strade della città, con una mitragliatrice fuori dal finestrino  a sparare sulla folla, magari appena fuggito da una rapina appena compiuta.
Questa volta sotto le mie mani nacque una ‘A’ e presi un tovagliolino imbevuto di disinfettante per togliere l’inchiostro in eccesso. Quando poggiai ancora la penna sul suo petto, il suo capezzolo si rizzò e io mi leccai le labbra. La mano sinistra, libera, si poggiò contro l’altro suo pettorale e all’istante presi la scossa. Aprii la bocca per prendere più fiato.
Deglutii più volte e poi dissi:”Cosa devi fare questa volta?”
“Uccidere persone, rubare cose.. le solite cose” si limitò a dire, sbuffando ancora una volta. Sembrava avere fretta, ma allora perché non aveva rimandato ad un altro giorno il tatuaggio?
Ancora una volta sotto le mie mani alcune lettere presero vita e pian piano ci passai il disinfettante, notando che in quel modo il suo petto pallido sembrava ancor di più sexy.
Pensai alle banche presenti a Gotham e mi chiesi quali ancora lui non avesse svaligiato. Poche, se non si contava quella che lui aveva tentato di svaligiare dopo la morte della moglie.
A quella parola, la mia mano si strinse contro il suo petto, tralasciando altri piccoli graffi sulla sua pelle. Sotto le mie dita sentii crearsi dell’umido e quando distolsi lo sguardo dalla mia opera, notai di aver fatto uscire alcune goccioline di sangue.
“Devi stare più attenta con quelle unghie, Harl” sussurrò Joker, alzandomi il mento, in modo tale che lo guardassi in faccia.
Non avresti dovuto farlo.
Continuando a guardarlo, con la lingua passai dove il sangue stava fuori uscendo e leccai. Il sapore di bagnoschiuma si mescolò a quello metallico del sangue, regalandomi una sensazione paradisiaca. Chiusi gli occhi e godetti di quella sensazione, sempre con la testa alta, rivolta verso il mio dio.
“Porca puttana” sussurrò, per poi tirarmi uno schiaffo. La sua imprecazione e il gesto che compì subito dopo, non avevano senso. Avevo percepito il fatto che quell’esclamazione fosse dovuta al fatto che il mio gesto lo avesse, in qualche modo, eccitato, ma il gesto era stato opposto. Non solo mi aveva rifiutata, ma lo aveva fatto nel più dolcemente brutale dei modi. Mi tenni la guancia e raccolsi la penna per tatuaggi da terra, che mi era caduta durante l’impatto.
“Ragazzina, ho fretta!” urlò e io presi a continuare il tatuaggio. Mi sentivo una sciocca, perciò rimasi zitta, senza lamentarmi. Era ovvio che non volesse che io facessi una cosa del genere. Aveva fretta e in più io gli stavo facendo perdere altro tempo.
Man mano sotto le mie mani altri lettere iniziarono a prendere forma, fino a finire il mio piccolo quadro. Un’enorme risata era nata la dove  i miei graffi  avevano segnato il mio amore.
Passai ancora una volta il disinfettante sul pettorale e poi mi tolsi di mezzo, in modo tale che lui potesse alzarsi e andarsi a specchiare nell’enorme specchio presente nel suo immenso salotto. Chissà quante scene avrebbe potuto raccontare quella superficie, chissà quanti complotti, chissà quante amanti.
Una mano fredda mi strinse le budella e io digrignai i denti per l’improvvisa gelosia.
Il mio Puddin ammirò il suo nuovo stendardo per qualche secondo e poi si voltò sorridendomi, con quel suo fare inquietante e allucinato di sempre.
“Perfetto, Zuccherino” esclamò, per poi raccogliere la camicia bordeaux che aveva lasciato cadere sul tappeto rosso sul pavimento, qualche minuto prima che io cominciassi a tatuarlo. Se la mise e l’allacciò, camminando verso l’ascensore, che lo avrebbe portato all’entrata nascosta.
Era per questo che casa sua non era mai stata rintracciata da Batman, non era possibile raggiungerla, a meno che si conoscesse quell’entrata, all’interno di un bar, nella parte più ricca di Gotham. Chi avrebbe mai detto che uno dei bar più rinomati, ospitasse la dimora di un pazzo?
L’ascensore arrivò al piano e io velocemente fui accanto a lui. Non volevo che mi abbandonasse ancora una volta, volevo essere utile, volevo stare con lui.
Mi aggrappai disperatamente alla manica della sua camicia e lui si voltò a guardarmi lentamente, come se fossi un insetto che si fosse attaccato al suo indumento.
Gli occhi mi pizzicavano, così come tutte le ferite fresche sulla mia pelle. Sentivo la sua presenza ovunque, benché in quel momento lui fosse troppo preso dalla sua carriera per poter badare troppo a me.
“Cosa vuoi,  ancora?” chiese annoiato e una stilettata mi attraversò il cuore da parte a parte. Non avrei voluto arrivare a tanto, non avrei voluto pregarlo di portarmi con se, ma era ciò che desideravo, volevo, perciò lo avrei fatto, a costo di ritrovarmi a terra, con le guancie o, se mi fosse andata meglio, tutto il corpo dolorante.
“Voglio venire con te” ammisi e per qualche istante lui mi scrutò negli occhi, come per poter scoprire se stessi scherzando o meno. Sembrò rifletterci un po’ e poi scoppiò a ridere, regalandomi un soffio di speranza.
Sorrisi e mi preparai  mentalmente per il mio secondo atto criminale.
“Levati, Zuccherino, mi saresti solo d’intralcio!” esclamò, per poi continuare a ridere.
Le mie illusioni caddero e si ruppero in mille pezzi, come elementi di cristalleria di gran valore. Sentii come se il mio cuore smettesse di battere e mi lasciai andare a terra in ginocchio, mentre davanti ai miei occhi, il mio Puddin entrava nell’ascensore.
La sua risata terminò lentamente e mentre le porte si stavano per chiudere sussurrai, in modo che potesse leggere solo il mio labiale:”Puddin”
E poi scoppiai a piangere.

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Capitolo 21
*** You belong to him ***


È proprio vero: le parole feriscono molto più dei fatti.
Mi aveva picchiata, fatto uscire sangue, sfregiata per il resto della mia vita e lasciato lividi ovunque. Nulla era stato tanto doloroso come vederlo andare via, senza di me. Ed ora eccomi qui, a guardare la televisione, nella vana speranza di sentire una notizia che lo riguardasse. In qualche modo volevo sentire la sua presenza, per non avvertire quel freddo vuoto dentro di me che mi affliggeva.
 Mi strinsi le coperte al corpo e iniziai a girare per i vari canali televisivi, sperando di trovare un telegiornale, oppure un’edizione straordinaria. Quella coperta era intrisa del suo profumo e sospirai. Lo amavo così tanto, che stare qui con le mani in mano, lontana da lui,  mi faceva sentire inutile.
Mentre la coperta mi riscaldava, coccolandomi, come se fosse il suo corpo a circondarmi, finalmente trovai un notiziario.
Il cucciolo ha salvato il suo padrone dalle fiamme. Un atto davvero eroico da parte sua. Marco ha deciso di regalargli una targa in suo..
Spensi immediatamente il televisore e buttai il telecomando di lato. Chi se ne importava del cane che avesse salvato il suo padrone!
Sarebbe potuto morire, meno notizie al riguardo, che gioia.
Dovevano parlare del mio Puddin, dovevano dire qualcosa, farmi sapere come stesse. Invece parlavano di un misero, inutile, stupido cane. Digrignai i denti e mi alzai dal divano, portando con me la coperta. Avanzai verso l’anticamera che si affacciava al salotto, dove qualche ora prima il mio Jokerino mi aveva abbandonata per andare chissà dove, con chissà chi. Mi sedetti li a terra, decisa ad aspettare il suo ritorno. Non poteva abbandonarmi in quel modo e sperare di non pagarne le conseguenze. Incrociai le braccia al petto e con la testa alta aspettai.
Un quarto d’ora dopo, il mio cuore era al collasso. Sentivo ogni preoccupazione, ogni paranoia, premere sulle mie meningi, scoppiando in un mal di testa senza paragoni. Solo una volta aveva sopportato tanto dolore ed era stato il giorno dopo dell’elettroshock, che al momento ricordai con malinconia, per la mancanza di attenzioni che il Joker mi stava riservando. Sarei voluta tornare a quel momento, oppure alla stanza dell’acido. Tutto per riaverlo con me.
Poggiai il mento sulla mano e sospirai.
“Mi scusi, non vorrei disturbarla..” sussurrò, improvvisamente, una voce ferma, che mi fece voltare di scatto. Vidi un uomo, che dall’alto della sua altezza mi sovrastava e mi osservava con quei suoi occhi scuri come la notte. Mi chiesi chi fosse, mi chiesi cosa volesse da me e soprattutto cosa ci facesse a casa del mio Puddin.
Mi alzai in piedi e feci volare via la coperta, lasciando cadere la coperta. Poco importava se mi trovassi in intimo, anzi, forse era meglio così. Potevo distrarre il mio avversario, perché sapevo di avere un bel corpo, specialmente decorato da tutti i regalini che Joker mi aveva lasciato ieri.
Lo sguardo dell’uomo, come immaginai, iniziò a correre sul mio corpo, ma diversamente da quello che sospettavo sarebbe stata la sua reazione, lui inorridii. Per questo cambio di rotta, mi sentii vacillare e feci un passo indietro. Non avevo avuto molta esperienza con gli uomini, ma ero sempre piaciuta e lo sapevo. Alzai il mento e tirai in fuori il petto.
“Non ti piaccio?” chiesi, con voce arrogante, mettendo le mani sui fianchi per esporre ancor di più la merce. Dovevo piacergli, non era possibile che non fosse così!
“Oh no, tu appartieni al mio capo” rispose l’uomo, portando le mani davanti a se, scusandosi. Quelle parole mi fecero salire un brivido lungo la spina dorsale e chiusi gli occhi per godermi il suono dolce che rimbombava nella mia testa.
Gli appartieni.
Appartieni al mio capo.
Capo.
Riaprii gli occhi e questa volta incrociai le braccia al petto, piegando la testa di lato. Un dolore acuto attraverso la mia mente e mi guardai il braccio, per vedere da dove potesse provenire. Li, una lunga striscia viola marcava il territorio del mio Puddin, segnando che veramente io fossi sua.
Quando rialzai lo sguardo, l’uomo mi guardava ancora con quell’espressione disgustata. Mi stava scocciando parecchio. Sbuffai e riportai l’attenzione sul mio viso, dell’individuo davanti a me.
“Mi dispiace se non ti piace ciò che vedi, ma io non ho tempo da perdere, tesoro. Quindi, tu chi sei, perché sei qua e per caso sai dirmi dov’è il mio Puddin?” gettai li, dapprima in tono arrogante e poi raddolcendomi, mano a mano che in me si addentrava la consapevolezza che magari questo uomo potesse sapere qualcosa di lui.
Mi avvicinai un po’ di più, guardandolo speranzosa, dal basso della mia statura. Doveva essere qualche centimetro più alto del mio Jokerino, ma comunque non emanava la stessa forza. Se questo uomo era importante, probabilmente brillava di luce riflessa.
“Sono Jonny Frost, un amico del signor Joker. Mi ha mandato qui per controllare che non facessi, come ha detto lui, ‘cose per cui potresti pentirti’. Perciò, tutto okay?” rispose l’uomo, che ora, oltre all’immagine del suo viso con una barba ben curata, aveva anche un nome.
Sotto gli occhi neutri dell’uomo, scoppiai a ridere, portandomi una mano sullo stomaco. Risi fino alle lacrime, fino a che non sentii la gola bruciare. Cosa credeva che potessi fare? Scappare? Certamente no. Passai più e più volte le mani sugli occhi, nel tentativo di ricompormi e caciare via quelle lacrime insulse. Era lui che se n’era andato via, per la seconda volta, ed era lui che doveva essere preoccupato a tornare a casa. “Direi che posso anche andare” fece Jonny, aggiustandosi la cravatta, che solo ora notai. Non avevo visto come fosse vestito quest’uomo e mi chiesi veramente, cosa lui c’entrasse con il mio Puddin. Erano completamente opposti, lui nel suo completo nero elegante, da ufficio; il mio Joker, precedentemente, era uscito con la sua camicia bordeaux e pantaloni neri. Inoltre lui, sembrava un uomo tranquillo e sereno. Che fosse solo una facciata?
“No, aspetta” dissi, bloccandolo. Lui, che si era voltato e già mi dava le spalle, pronto a sparire oltre una porta che non avevo idea di dove portasse, si bloccò e lentamente si voltò verso di me, facendo un gesto con il capo, come a spingermi a parlare.
Oppure era reverenza?
Mi piegai un attimo a terra e ripresi la mia coperta, stringendomela al corpo, sentendo l’odore del Joker, avvolgermi ancora una volta. Poi, presi a camminare intorno all’uomo, approfittandone per osservare se avesse pistole o altre possibili armi che avrebbero potuto far del male. Una volta alle sue spalle, la notai. Grigia lucente e molto grande. Non avevo idea di come si potessero riconoscere le pistole, ma quella mi piaceva molto. Piegai la testa di lato e l’osservai attentamente. Era all’interno di un fodero, praticamente impossibile da sfilare, se non da Jonny stesso che la indossava. Distolsi lo sguardo e tornai a camminare, voltando l’angolo che formava il suo profilo e arrivandogli davanti. Mi portai una mano alla bocca e, questa volta, osservai il suo viso barbuto. I capelli erano tenuti bene, come tutto il resto sul suo viso. il corpo presentava un uomo grande e coraggioso, ma a me sembrava solo un uomo alla ricerca del successo riflesso. Questo caso, del riflesso del successo del mio Puddin.
“Jonny..” sussurrai, per poi prendergli la mano e trascinarlo. Come immaginai, non oppose resistenza. Voleva avere potere e per raggiungerlo, non doveva mettersi contro la donna del Joker. Il mio stomaco fece due capriole. Quelle parole mi faceva sentire contenta come non mai. Mi sentivo importante e voluta.
Arrivati a destinazione, lo lasciai andare verso il divano e lo guardai sorridendo come una bambina felice. “Jonny!” esclamai ancora e mi ci sedetti accanto.
“Vuoi qualcosa da bere?” chiesi, piegando la testa di lato, cercando di immaginare nella mia mente il sorriso del Joker e lo emulai. Facile dire che il mio tentativo fallì miseramente, ma sapevo di avergli fatto comunque un effetto di inquietudine. Infatti lo vidi scuotersi e, anziché rispondere, annuì semplicemente. Felicemente, mi alzai in piedi, e saltellando raggiunsi quella che qualche ora prima avevo identificato come la cucina.
Aprii il frigo, e presi quel che rimaneva. Una bottiglia d’acqua e il limone. Danzando leggermente, come se nella mia mente ci fosse una canzoncina segreta, andai alla ricerca di un bicchiere. Aprii un bel po’ di credenze prima di trovarne uno. Pentole, padelle e vari aggeggi, che non immaginavo utilizzare al mio Puddin, erano presenti in quella stanza. Se quell’uomo nell’altra stanza conosceva Joker la metà di quel che sembrava, avevo molte domande da porgli.
Mi avvicinai al freezer, al di sotto dell’enorme frigo e ne tirai fuori qualche cubetto di ghiaccio. Anche quello era vuoto, come tutto il resto. Sbuffai e il mio stomacò brontolò. Non mangiavo nulla da ore e se non lo avessi fatto, sarei svenuta.
Riempii il bicchiere d’acqua e tagliai una fettina di limone. Danzando, tornai verso il salotto, dove l’uomo ora non era più solo.
Il bicchiere mi cadde dalle mani e si infranse ai miei piedi.

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