Our Sweet Darkness

di Victoria93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Back ***
Capitolo 2: *** Being his daughter ***
Capitolo 3: *** Little pieces of the past ***
Capitolo 4: *** Partner ***
Capitolo 5: *** Not yours, but mine ***
Capitolo 6: *** Activated ***



Capitolo 1
*** Back ***


OUR SWEET DARKNESS
 
Introduzione
 
…no, non è uno scherzo.
Ahahahah, direi che come inizio non c’è male, non vi pare?
Ok, ehm…CIAOOOO!!! *abbraccia tutti in una stretta stritola-costole* Come state??? Oddio, mi siete mancati da morire!!! E sembro sempre più una bimba minchia ogni minuto che passa, lo so, lo so. Cerchiamo di darci un contegno.
Come vi stavo dicendo prima, no, questo non è uno scherzo. Non ero sicura se sarebbe mai arrivato questo giorno, ma…eccoci qui. È la prima volta che riesco a iniziare un sequel di una storia (forse perché la mia prima fanfiction su ‘Death Note’ è anche la prima che abbia mai completato ehehehehe ^^’’’), soprattutto perché ho sempre pensato che i sequel fossero un esperimento molto azzardato. Ma cosa posso dirvi…se, come immagino, tutti voi che siete qui in passato siete stati lettori di ‘Sugar and Pain’, saprete benissimo che la nostra storia aveva un finale aperto più che mai. In questi giorni, al mio ragazzo è venuta l’idea di riguardare l’anime per l’ennesima volta (sì, è tutta colpa sua), e…beh, ho ripensato alla cosa, e non ho resistito. Senza contare che, giovedì scorso, ricorreva l’anniversario della data in cui ho postato l’epilogo di ‘Sugar and Pain’. Sono seria, è passato davvero un anno da quando tutto è finito. Volete la verità? Mi sono messa a piangere. Sì, avete perfettamente ragione, sghignazzate e prendetemi per il culo, chi può darvi torto, in fondo…<.<
Quindi, in sostanza…ci siamo.
Quando vi ho chiesto cosa pensavate di un eventuale seguito, le vostre risposte sono state molto varie: alcuni mi hanno detto che non erano interessati, proprio perché i seguiti delle storie in generale non gli piacevano quasi mai, altri mi hanno detto che un sequel avrebbe potuto piacergli, ma che non approvavano l’evidente nuovo pairing in vista. Altri ancora mi hanno minacciata di morte, nel caso in cui avessi deciso di non scrivere questo benedetto seguito. Per finire, ci sono quelli che si sono dichiarati immediatamente a favore della nuova coppia che si scorge all’orizzonte.
Perché vi dico tutto questo? Diciamo che lo sto facendo un po’ per pararmi le chiappe XD Voglio farvi capire che siamo di fronte al seguito di ‘Sugar and Pain’…non di fronte a ‘Sugar and Pain’ stessa. Questa cosa vi sembrerà scontata, ma vi assicuro che potrebbe non esserlo, su un piano irrazionale. Avremo a che fare con Mello, e non con Elle. Avremo a che fare con Eliza, che, per quanto simile a Ruri, non è assolutamente Ruri. E, non meno importante, abbiamo di fronte una storia quasi completamente inventata dalla sottoscritta (il ‘quasi’ è naturalmente dovuto al fatto che è sempre ambientata nell’universo di ‘Death Note’). In ‘Sugar and Pain’ si trattava del caso Kira con la variante della presenza di Ruri e della sua storia d’amore con Elle. Qui si parla proprio di un caso di omicidi seriali completamente nato dal nulla, anche se naturalmente riconducibile alla vicenda di Kira. Ok, sto facendo confusione. Diciamo che qui si parte proprio da zero, ok? E che i collegamenti all’anime/manga saranno più graduali, con il tempo (salvo i riferimenti tramite i personaggi che sono già in scena). Devo dire che l’idea di scrivere su Mello è qualcosa che mi affascina moltissimo: trovo che sia un personaggio meno complicato di Elle (soprattutto per quanto riguarda il gestirlo nelle situazioni dell’intimità), ma senza dubbio decisamente complesso. Non sarà semplice metterlo in scena nelle dinamiche romantiche, per questo motivo metto anche qui l’avviso OOC (anche se è più che altro una precauzione).
Voglio, inoltre, parlare di un dettaglio che mi è stato fatto notare da molti coloro che hanno commentato l’epilogo di ‘Sugar and Pain’: la differenza d’età fra i protagonisti.
Ebbene sì, fra i due corrono quindici anni di differenza. Al di là del fatto che voglio precisare che la cosa non va assolutamente contro il regolamento del sito Internet, in quanto Eliza è maggiorenne e vaccinata, vi inviterei a non prendere la cosa troppo sul serio: Mello è lo stesso Mello di sempre (fra l’altro, i suoi anni in più li porta con un’indifferenza colossale, come se quasi non ci fossero), e la differenza d’età è funzionale alla linea cronologica di ‘Death Note’, che non volevo stravolgere. Pensateci, nel mondo ci sono coppie che hanno vent’anni di differenza, e stanno insieme per amore, non per interesse o per cazzate analoghe. Ad ogni modo, se per voi questo costituisse un blocco che vi impedisce di leggere la storia, ne rimarrei dispiaciuta, ma non ve ne farei certo una colpa J Volevo solo precisarlo fin dall’inizio.
Ultima precisazione (o quasi): il rating. Allora, per il momento la storia, come ‘Sugar and Pain’, è a rating Arancione. Non è escluso che, con l’andare del tempo, si passi al rating Rosso (questo sarebbe a causa di eventuali scene di sesso troppo esplicite). Ma, vi sembrerà strano, in realtà la cosa la vorrei decidere insieme a voi. Nel senso che, se fra voi ci fosse qualche minorenne che, nel caso in cui la storia cambiasse il proprio rating, diventasse impossibilitato a proseguire la lettura, eviterei di sfociare e di sorpassare il confine. Proprio perché non voglio riservare brutte sorprese a chi magari ha già iniziato la lettura. È una forma di tutela verso i miei lettori, e per me è molto importante.
Bene, direi che ci siamo, gli avvisi relativi alle caratteristiche della fanfiction li trovate nella descrizione qui sopra, ma vi invito sempre a leggere le Note dell’Autrice in fondo al capitolo, nel caso avessi avvisi o delucidazioni da fare, le farò in quella sede.
Spazio finale per dire solo un’ultima cosa: GRAZIE MILLE. DI TUTTO CUORE.
Grazie a coloro che hanno creduto in ‘Sugar and Pain’, a coloro che l’hanno letta, amata, criticata, recensita, a coloro che hanno riso per essa, a coloro che hanno pianto per essa, a coloro che hanno fatto le quattro del mattino per finire di leggere un capitolo, a chi mi ha insultata per averci messo tanto ad aggiornare o per aver quasi ucciso uno dei due protagonisti, a chi mi ha fatto notare gli errori, a chi si è emozionato, a chi, come me, non ci poteva credere, quando è finita. Grazie a chi mi ha spinto a scrivere il seguito, a chi si è legato così tanto a Ruri e a Elle da scordarsi quasi che Ruri non era un personaggio Canon. Grazie a chi ha criticato le sue scelte, a chi le ha condivise, grazie a chi ha trattenuto il fiato insieme a me, a lei e a Elle. Grazie a chi si è emozionato leggendo del loro amore. Vorrei davvero dirvi che dedico questa fanfiction a tutti i lettori che mi hanno seguita, appoggiata e fatto sentire l’autrice più amata e benvoluta di sempre. Non perché realmente io lo sia o perché meriti tutto questo, ma perché VOI, i miei lettori, siete stati STRAORDINARI. Per citarvi una frase da ‘Our Sweet Darkness’, ‘Non avevo mai visto un fuoco d’artificio così spettacolare’. VOI siete il fuoco d’artificio più straordinario che un’autrice possa desiderare. Grazie. Questo è per voi. Bentornati.
 
Capitolo 1- Back
 
Eliza non aveva mai creduto alle coincidenze.
Fin da piccola, le era stato insegnato a riflettere in modo razionale su qualsiasi cosa, e a non affidarsi mai alla tentazione di fare qualcosa di troppo impulsivo. La cosa l’aveva sempre lasciata leggermente stranita, soprattutto dato che, crescendo, si era resa conto che sua madre era tutto fuorché estranea alla tentazione di compiere azioni avventate. Eppure, la vicinanza dei suoi genitori, e l’ambiente in cui era cresciuta, avevano finito per convincerla che quella rappresentava la via migliore da intraprendere, in qualsiasi circostanza. Suo padre, in particolar modo, non aveva mai mancato d’insegnarle ad analizzare ogni componente di ogni situazione, prima di compiere un passo.
*Completa il puzzle, Eliza. Trova la tessera mancante*.
Era una delle sue frasi preferite, soprattutto quando, all’età di quattro anni, l’addestrava a risolvere indovinelli e a decifrare codici. Sosteneva che servisse ad allenare la sua mente, e così, sotto la sua guida, affiancata da sua madre e da suo nonno Watari, Eliza si era ben presto rivelata del tutto fuori dal comune, come da tradizione di famiglia.
Dopo anni trascorsi ad allenare il corpo e la mente, sottoponendosi a dure sessioni di studio, di esercizio di arti marziali e di esercitazione nell’uso delle armi, era convinta che al mondo, oramai, non avrebbe più incontrato niente e nessuno in grado di sconvolgerla o di coglierla impreparata.
Non nel modo in cui c’era riuscito quel motociclista biondo e arrogante che le aveva tagliato la strada pochi istanti prima.
Ancora non capiva perché fosse riuscito a colpirla in quel modo; di una sola cosa poteva essere sicura.
Lo odiava. Lo odiava a morte.
Era tutto ciò che aveva sempre detestato. Arrogante, spocchioso, egocentrico, sprezzante, meschino, maleducato.
Sapeva che un giudizio così pesante era senza dubbio affrettato, soprattutto considerando che non aveva sufficienti elementi in mano per potersi fare un’idea valida di lui. Ma qualcosa, in tutto il suo corpo, le impediva di utilizzare la mente in maniera lucida, ogni volta che i suoi occhi si posavano su quella faccia da schiaffi.
Non che avessero avuto molte occasioni per farlo, comunque.
Da quando avevano messo piede nella ‘Wammy’s House’, Mello aveva provveduto a ignorarla con la massima diplomazia; ben presto, aveva provveduto a tirare fuori dalla tasca una tavoletta di cioccolato, ancora racchiusa nell’incarto argentato, e aveva preso ad addentarla.
Persino il suo modo di mangiare le pareva sprezzante.
*Mi piacerebbe sapere chi diavolo ti credi di essere, sottospecie di…*.
“Mi stai fissando, bambina”.
La sua voce la fece trasalire di colpo, spingendola a rivolgergli un’occhiata omicida.
“Mi stavo giusto chiedendo quali potrebbero essere i motivi che ti spingono a darti così tante arie” borbottò, furiosa all’idea che lui l’avesse sorpresa mentre effettivamente lo stava osservando di sottecchi.
“Fai a me una domanda del genere, quando hai detto di essere abituata a lavorare con uno come Near?” la sbeffeggiò lui, con un ghigno sardonico “Questo sì che è tutto dire”.
“Ah, perché non chiudi quel becco?” sbottò Eliza, mordendosi la lingua nel tentativo di non essere ancora più feroce “Direi che la cosa migliore che possiamo fare sia cercare d’ignorarci il più possibile”.
“Questo sarà difficile, se continui a fissarmi con quell’aria sognante”.
Quell’ultimo commento la portò ad assumere un’aria stupefatta e orripilata.
“Ti avviso da subito: le ragazzine non sono il mio tipo. Non farti strane idee al riguardo” seguitò Mello, con la massima indifferenza.
“Sottospecie di…di…sei un dannato stronzo presuntuoso e arrogante!” esclamò Eliza, la mano che scattava subito in direzione della pistola “Figlio di puttana maleducato ed egocentrico!”.
“Vuoi spararmi in corridoio? I bambini potrebbero rimanere turbati dallo spettacolo. Vuoi sul serio svegliarli, proprio quando abbiamo avuto la fortuna di arrivare in un momento in cui sono tutti a letto, fuori dai coglioni? Non darmi un motivo valido per spararti” dichiarò Mello, roteando gli occhi con fare disgustato.
“Tu lo hai già fatto, primadonna slavata. E non parlare di coglioni, quando è evidente che non sai nemmeno cosa siano” ribatté Eliza, socchiudendo gli occhi in un’espressione di disprezzo puro.
Quella frase lo convinse ad estrarre a sua volta la pistola, facendo sì che le canne delle loro armi finissero per trovarsi l’una di fronte all’altra.
“CHE COSA HAI DETTO?!?” sbottò Mello, gli occhi che guizzavano in un impeto omicida “VEDIAMO SE HAI IL CORAGGIO DI RIPETERLO, STRONZETTA!!”.
“Ho detto che sei una primadonna slavata, oltre che un figlio di puttana arrogante e presuntuoso!! E se pensi di farmi paura con quella faccia da psicopatico…”.
“Che cosa diamine succede, qui?!”.
Dal fondo del corridoio, decorato da una carta da parati candida, raffinata ed elegante e illuminato con luci da parete calde e soffuse, giungeva un uomo dal passo sicuro e confidente.
Anche da quella distanza, i due riconobbero subito il taglio militare in cui erano composti i capelli color biondo platino, la mascella squadrata, gli occhi glaciali e l’abbigliamento formale, consistente in una camicia bianchissima, in una cravatta nera e in un paio di pantaloni scuri, perfettamente stirati.
Ben presto, il nuovo arrivato giunse di fronte a loro, squadrandoli con aria esterrefatta; con la coda dell’occhio, Eliza vide che la sua mano destra era subito scattata in direzione della fondina.
“Mello! Butta giù quell’arma prima che ti ci costringa io!” esclamò il comandante, con tono minaccioso.
“Ciao anche a te, Rester. Il viaggio è andato benissimo, grazie per averlo chiesto” ironizzò Mello, senza accennare a voler riporre la pistola.
“Te lo ripeto per l’ultima volta, Mello: se non levi quella pistola dalla faccia della signorina Havisham, farò in modo che tu non ce l’abbia più, una faccia” ringhiò Anthony Rester, estraendo definitivamente il revolver.
“Va tutto bene, comandante” borbottò Eliza, infastidita dall’ennesimo moto di protezione nei suoi riguardi “Io e Mello ci stavamo conoscendo meglio”.
Mello si pronunciò in un versetto sprezzante, storcendo la bocca in una smorfia disgustata e denigratoria.
“Dovevo immaginare che avresti fatto appello a una delle tue innumerevoli guardie del corpo, mocciosetta. Ecco il motivo per cui sembri così sicura di te”.
Eliza mosse un passo in avanti, ormai decisa a saltargli addosso per picchiarlo a mani nude, quando Rester si mise nel mezzo, impedendole di attuare il suo proposito.
“Miss Havisham, non si faccia provocare. Near la sta aspettando nel suo studio; la prego, ci sono cose più importanti di cui deve occuparsi, adesso”.
“Ha ragione” sbuffò Eliza, ma continuando a digrignare i denti “In effetti, mi domando che motivo abbia avuto Near per convocare uno come lui…”.
“Meglio che non parli di cose che non capisci, ragazzina. Mi sottoponevo a test di fisica quantistica e di algebra applicata alla trigonometria già prima che i tuoi genitori cominciassero a scopare” affermò Mello, accendendosi una sigaretta “Se c’è qualcuno che non ha le giuste qualifiche per occuparsi di risolvere i fastidi del nano, quella sei tu”.
“Mello, questa è una scuola, santo cielo!” sbottò Rester, precedendo qualsiasi intervento di Eliza.
“E allora?” si strinse nelle spalle Mello, mettendo via la pisola e dirigendosi nella direzione da cui era provenuto Rester, le mani in tasca.
“Allora, non dovresti fumare qui dentro!” lo rimproverò il comandante, con espressione truce.
“Denunciami” ribatté Mello, con tono di scherno “Mentre ti preoccupi di queste stronzate, io vado a parlare con il tuo capo, sempre che non sia troppo impegnato con i suoi stupidi giocattoli. Niente paura, conosco la strada”.
Eliza fece per corrergli dietro, decisa a prenderlo a calci con la massima foga, quando il comandante le mise una mano sulla spalla, scuotendo la testa e trattenendola.
“Lasci perdere, signorina. Quello è una causa persa” sospirò.
“Si può sapere quale diavolo è il suo problema? Da dove è spuntato quel mafiosetto psicopatico e strafottente?!” sbottò la ragazza, stralunata.
“In realtà…ecco, è una storia lunga. Mello è un ex allievo della Wammy’s House. Il migliore, dopo Near” ammise Rester, a malincuore “Come ha avuto modo di vedere, non è mai stato un campione d’autocontrollo. Ha lasciato la scuola molti anni fa. In realtà, il suo unico obiettivo è sempre stato quello di superare Near in qualsiasi cosa, ma non ci è mai riuscito davvero. Ma non per questo ha smesso di provarci: da quello che ci risulta, dopo aver lasciato Winchester ha vissuto prevalentemente a Los Angeles, in California. Sembra che si sia unito alla mafia del Paese, ma le sue attività sono sempre state piuttosto incerte e discontinue. In ogni caso, ha sempre cercato di dimostrare, a modo suo, che riusciva a superare Near nella risoluzione dei casi che gli venivano affidati. È come se avesse…una sorta di ossessione per lui. E dubito che ne uscirà mai”.
“E Near ha convocato quello psicopatico per aiutarci nella risoluzione del caso? Gli ha dato di volta il cervello?!” esclamò Eliza.
“Il consiglio più sensato che posso darle riguardo a Mello è di non sottovalutarlo. Non è senz’altro amico di Near, e non dico che si fidi di lui, ma nutre molta stima per Mello, ed è consapevole delle sue capacità. Se Near sostiene che abbiamo bisogno dell’aiuto di Mello per risolvere questo caso, sono propenso a fidarmi di lui. Come di consueto, del resto”.
Eliza sospirò pesantemente e fece per aggiungere un commento velenoso al riguardo, ma il comandante la precedette di nuovo, rivolgendole un sorriso privo della preoccupazione precedente.
“Mi perdoni, sono un gran maleducato. Non le ho ancora fatto gli auguri di buon compleanno, né le ho detto quanto siamo lieti di riaverla in Inghilterra”.
“La ringrazio. È bello rivederla, comandante Rester” replicò Eliza, con un sorriso gentile.
“Le ho fatto preparare la solita stanza, all’ultimo piano. Se avesse bisogno di qualsiasi cosa, ricordi che io e Gevanni siamo a sua disposizione” specificò poi.
“Grazie ancora. Adesso andrei a parlare con Near: direi che l’ho fatto aspettare fin troppo”.
“Certo. Vuole che l’accompagni?”.
“Non ce n’è bisogno, grazie. Conosco la strada”.
Si morse istintivamente il labbro, rendendosi conto d’aver pronunciato le stesse parole di Mello; anche Rester sembrò farci caso, perché le indirizzò uno sguardo perplesso, che guizzò nei suoi occhi solo per un istante, prima di sorriderle nuovamente.
“Allora, non la trattengo ulteriormente. La vedrò alla riunione operativa di domani; mi raccomando, si rilassi, dopo che Near avrà finito di illustrarle i dettagli del caso. Cerchi di godersi il suo compleanno al meglio”.
“Lo farò”.
Non appena Rester si fu congedato e si fu allontanato nella direzione opposta a quella che lei avrebbe dovuto prendere, la ragazza tirò un lungo sospiro di sollievo.
Non aveva niente contro Rester, né tantomeno contro Gevanni o contro Halle, i membri più stretti della cerchia di Near e i suoi vice in capo alla SPK: erano gentili, disponibili e sempre pronti a darle una mano, ma a volte il loro atteggiamento diventava…soffocante. Ogni volta in cui doveva avere a che fare con loro, aveva sempre la sensazione che le orbitassero intorno come delle calamite attratte da un polo magnetico di dubbia natura, in parte intimoriti, in parte incuriositi dalle sue capacità e dall’eredità genetica dei suoi genitori. E al tempo stesso, si sentiva costantemente rinchiusa in una sorta di bolla di cristallo, come se la sola idea che qualcosa le potesse succedere fosse capace di mettere sottosopra tutta l’SPK.
Le faceva piacere che avessero a cuore la sua incolumità, ma detestava atteggiamenti simili a quello sfoggiato poco prima da Rester: la facevano sentire come una sorta di bambina fragile, incapace di badare a se stessa.
Che diamine. Sapeva sparare, sapeva combattere, sapeva difendersi. Con le unghie, con i denti e con la lingua. E aveva appena compiuto vent’anni.
*Perché qui dentro nessuno si dà una calmata?!* finì per pensare, dirigendosi a passo di carica verso l’ufficio di Near, senza gustarsi la vista dei raffinati vasi di fiori di cui era disseminato il corridoio, né il panorama sui giardini della scuola offerto dalle ampie finestre.
Per la prima volta, non era più così sicura d’essere felice del suo ritorno alla Wammy’s House; ma in fondo, non poteva imputare la cosa a Rester e alle sue manie da guardia del corpo. Se solo non fosse stato per quel motociclista balordo…
*LO- ODIO* pensò ancora una volta, giungendo infine di fronte alla porta dell’ufficio di Near *Non potrà sul serio pretendere che lavori con lui. Cristo, no*.
Infine, dopo aver preso un respiro profondo, bussò rapidamente contro il legno candido, attendendo impaziente una risposta.
La voce di Near, calma e fredda come al solito, non tardò a farsi sentire.
“Entra pure, Eliza”.
La ragazza abbassò la maniglia della porta, per poi chiudersela alle spalle non appena ebbe fatto il suo ingresso.
La stanza non era cambiata per niente, dall’ultima volta che l’aveva vista.
Tre delle quattro pareti erano ancora occupate da imponenti librerie, come ai tempi in cui quello era stato l’ufficio di Roger Ruvie, il preside della Wammy’s House, amico intimo di suo nonno.
La presenza di Near aveva fatto sì che ci fosse un intero angolo dedicato ai giocattoli; in bella mostra, sopra un tappeto dall’aspetto raffinato, era posizionato un trenino dall’aria costosa, attorniato da costruzioni fatte di Lego e da pupazzetti di ogni forma e dimensione. L’unica parte libera dalla presenza di scaffali era provvista di un’ampia finestra, che dava sull’angolo più bello del giardino, dove troneggiavano un roseto (in fiore, data la stagione) e una fontana in marmo.
Il resto dell’ufficio era occupato da un’imponente scrivania, abbinata a tre poltrone dall’aria comoda (malgrado una di esse, ossia quella posta dietro il mobile, fosse senz’altro più alta e imponente delle altre due) e a un divano in pelle dall’aspetto molto costoso.
Proprio su di esso, la ragazza scorse Mello.
Notò subito che si era tolto la giacca da motociclista, abbandonata in un angolo insieme al casco; il suo petto asciutto e atletico era coperto unicamente da un gilet di pelle nera, che gli aderiva al corpo in modo armonioso. Stravaccato sul divano con la massima scompostezza, aveva ripreso ad addentare il suo cioccolato, gli occhi cupi e aggressivi intenti a fissare la parete.
“Quante volte devo ancora ripetertelo, ragazzina?” disse a un tratto, facendola sobbalzare “Smettila. Di. Fissarmi”.
“Fidati, non sei così attraente, e senza dubbio non così importante, come ti piacerebbe pensare” lo freddò Eliza, sforzandosi di mantenere un tono distaccato.
“Vedo che avete già avuto modo di conoscervi”.
Sentire di nuovo la voce di Near la convinse a voltarsi in direzione della scrivania.
Il giovane uomo, che non aveva mai perduto le abitudini dell’infanzia e dell’adolescenza, stava letteralmente appollaiato sulla poltroncina posta dietro la scrivania.
Osservandolo con attenzione, Eliza constatò che anche lui non era cambiato di una virgola.
I capelli bianchi, lo sguardo freddo, la sua mania di toccarsi le ciocche in maniera ossessiva, i suoi abiti nivei e la carnagione dello stesso colore; anche avendo superato la trentina, Near non sembrava invecchiato di un giorno.
Per una strana ragione, ebbe a un tratto la sensazione che anche per Mello dovesse essere la stessa cosa.
“Near” lo salutò Eliza, con un cenno formale ed educato del capo “Piacere di rivederti”.
“Il piacere è tutto mio, Eliza. Spero che tu abbia fatto buon viaggio”.
“Salvo un piccolo inconveniente finale, tutto liscio” affermò la ragazza, sedendosi sulla seconda poltrona e facendo tutto il possibile per ignorare Mello.
Nonostante ciò, non le sfuggì il ghigno beffardo che comparve sulle sue labbra nell’udire quel particolare commento.
“In circostanze normali, mi accingerei a fare le presentazioni. Ma, da quanto ho modo di intuire, direi che voi due vi conoscete già più che bene” affermò il detective, senza smettere di tormentarsi i capelli.
“Direi che questo è un tantino esagerato. Ad ogni modo, puoi tranquillamente saltare i convenevoli” sospirò Eliza, accavallando le gambe e incrociando le braccia.
“Hai finito con le stronzate, Near?” s’intromise Mello, sbuffando sonoramente “Non ho mosso il culo da Los Angeles per venire qui a sentirti cinguettare con la fidanzatina. Hai parlato di una bella somma di denaro: sbrigati a dirmi il motivo per cui mi hai fatto venire qui, prima che decida di riempirti di piombo”.
A quel punto, Eliza non riuscì a trattenersi dal rivolgergli uno sguardo assassino, che il biondo ricambiò in pieno, prima di tornare a guardare Near, che era ancora impassibile, con espressione esterrefatta.
“Tu non hai sul serio intenzione di collaborare con lui, non è vero? Lo hai attirato qui con l’intenzione di farlo internare nella nuova Alcatraz, giusto? Perché immagino che non ci sia un posto migliore, per uno come questo qui!” esclamò la giovane.
“Adesso calmatevi” disse Near, con tono calmo, ma fermo “Se vi ho convocati entrambi, è perché ritengo di aver bisogno della collaborazione di tutti e due per risolvere questo caso. Eliza, so che non conosci Mello, ma sai che puoi fidarti di me. Esclusa te, non mi rivolgerei a nessun altro, per tentare di sbrogliare questa matassa assurda, e le ragioni sono semplici”.
“Sarebbe a dire?” insisté Eliza, alzando un sopracciglio.
“La tua esperienza e il tuo talento nella risoluzione di casi d’importanza internazionale, se non addirittura mondiale, è qualcosa di risaputo anche all’ultimo studente della Wammy’s House, Eliza. Quando la nostra collaborazione è iniziata, quattro anni fa, sapevo già che non mi avresti mai deluso. Sei intelligente, metodica, razionale, precisa e preparata più di qualsiasi criminologo con cui abbia avuto a che fare, il tutto senza nemmeno una laurea in tasca. Non mi sarei mai aspettato niente di meno dalla figlia di Elle”.
“Bla, bla, bla. Magari includi nel pacchetto anche che è brava a giocare con i trenini e potresti persino considerare l’idea di chiederle di sposarti, Near” commentò Mello, roteando gli occhi con fare disgustato.
“Mello, d’altro canto” proseguì Near, ignorandolo diplomaticamente “Ha la mente più acuta e brillante con cui abbia mai avuto a che fare. Io e lui ci conosciamo da parecchi anni, e conosciamo molto bene l’uno i limiti dell’altro. Oltre che le rispettive capacità e i rispettivi talenti, questo è innegabile. Per giunta, io e Mello abbiamo seguito di pari passo un caso che non ci era stato affidato personalmente, ma che ha rappresentato l’ennesima occasione di competizione per noi, prima d’essere risolto. E la ragione per cui lo sto citando è che la fattispecie di cui ci stiamo per occupare presenta dei rimandi a quel caso che non possono assolutamente essere casuali”.
“Di quale caso parli, Near?” domandò Eliza, stranita.
“Risale a più di venti anni fa. Tu non eri ancora nata, Eliza, eppure quel caso è di importanza vitale per la tua vita quanto per la nostra”.
“Non capisco…”.
“Senza dubbio, i tuoi genitori ti avranno parlato del caso Kira”.
Quella parola le rimbombò nella testa come uno sparo.
Il caso Kira. Ma certo.
Aveva ascoltato quella storia miliardi di volte, per bocca di sua zia Robin, di suo zio Ayber, del nonno, dei suoi genitori; era la storia del caso che aveva portato Ruri ed Elle a confrontarsi con un potere omicida fuori dal comune, che aveva quasi ucciso entrambi. La storia del loro incontro e della nascita del loro amore. Come poteva dimenticarsene?
“Certo che sì. Ma non capisco cos’abbia a vedere con ciò di cui parliamo oggi. Nella tua ultima mail, avevi accennato a una serie di omicidi che presentano analogie con il modus operandi di Jack lo Squartatore…” disse Eliza, cautamente.
“Questo è ormai vero solo in parte. Le nostre informazioni non erano del tutto complete. Ma ogni cosa a suo tempo: partiamo dal dettaglio più rilevante”.
“Hai detto che esiste un collegamento con Kira. Di che cosa parli?” domandò Mello, alzandosi dal divano e avviandosi verso la scrivania.
La sua improvvisa vicinanza, e il suo profumo intenso, le provocarono una sensazione di fastidio e di vuoto allo stomaco al tempo stesso; sbirciandolo di sottecchi, si accorse, con sua sorpresa, che qualcosa nel suo sguardo era cambiato, come se anche per lui sentir nominare Kira rappresentasse un’emozione particolare, molto più intensa di altre.
Senza aggiungere un’altra parola, Near estrasse, nientemeno che dal di sotto della sua camicia, alcuni fascicoli che lanciò sulla scrivania, di modo che entrambi potessero avvicinarsi per consultarne la documentazione.
Eliza si alzò in piedi, affiancandosi a Mello, e prese in mano alcune fotografie, imitata dal motociclista: chiunque li avesse osservati, come stava facendo Near, si sarebbe accorto che sui loro volti c’era la stessa, identica espressione concentrata.
Gli occhi azzurri di Eliza corsero sulle immagini, sfogliandole una per una: quasi tutte ritraevano un cadavere a cui era stato strappato via il cuore dal petto, la cassa toracica sconquassata e aperta dallo sterno in giù.
Le ultime tre avevano qualcosa di particolare; sul terzultimo cadavere, proprio sotto lo squarcio, era incisa la scritta ‘KBAC’, sul penultimo la scritta ‘SI’ e sull’ultimo la scritta ‘RIAK’.
Sia lei che Mello alzarono gli occhi in simultanea.
“Immagino che avrete capito di cosa sto parlando…” affermò Near, con un sorrisetto inquietante dipinto sul volto.
Senza neppure sapere perché, Mello ed Eliza si scambiarono un’occhiata: entrambi, avevano già decifrato il messaggio anagrammatico del nuovo serial killer che si stavano accingendo ad affrontare.
Eppure, nessuno dei due poteva sapere quante cose avrebbero finito per cambiare, a distanza di mesi.
L’unica cosa certa era che quella singola minaccia incombeva su di loro come una presenza che non avrebbero mai più potuto ignorare.
 
KIRA IS BACK
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: Eeheheheheheheheheheeh finito il primo capitolo!! E’ mezzanotte e mezza passata, ci ho messo tutta la sera ma ce l’ho fatta!! Cosa ne dite? Eh, lo so, è penoso…abbiate pietà di me XD Seriamente, spero di non avervi deluso e che vi piaccia almeno un pochino. Ho cercato di essere il più fedele possibile al personaggio di Mello, ma spero di non aver esagerato. Mi rendo conto che in questo primo capitolo non è successo un granché, ma voleva essere una sorta d’introduzione. Nei prossimi conosceremo meglio sia Mello che Eliza. A proposito, parlo da profana che non ha letto il manga: ma si sa niente di preciso sulle origini di Mello e sul suo passato pre-Wammy’s House? Perché, a dirla tutta, pensavo di immaginarmelo da sola, essendo ignorante in maniera imperdonabile, ma se qualcuno volesse essere così gentile da illuminarmi, ne terrò di debito conto :D Molto bene, chiedo subito scusa per eventuali errori di battitura (in particolar modo, scusatemi infinitamente se, a volte, trovate scritto ‘Ruri’ al posto di Eliza. Rileggendo in qua e in là, mi sono resa conto della cosa, e a volte me ne accorgevo proprio mentre lo stavo scrivendo. Ragazzi, rendiamoci conto…sono sempre connessa a Ruri e poi mi mettevo a fare le paternali a voi per chiedervi di non confonderle. Siamo messi bene XD. Adesso vi saluto, mi accingo a fare il lavoro di editing per postare la storia. Spero vivamente che vi piaccia e che vorrete commentare (sputatemi pure in un occhio, se è il caso). La vostra affezionatissima, Victoria (is back in town…sadly for you XD). Alla prossima puntata!!

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Capitolo 2
*** Being his daughter ***


Capitolo 2- Being his daughter
 
Eliza osservò le fotografie per qualche altro istante, prima di alzare nuovamente gli occhi su Near, che nel frattempo non aveva smesso di tormentarsi i capelli, com’era suo solito.
Per la prima volta nella sua vita, non era sicura di quali parole utilizzare per esprimere quello che le vorticava nella mente.
“Near…non puoi crederci sul serio” sospirò infine, tornando a sedersi e guardandolo dritto negli occhi.
“Non posso credere a che cosa, esattamente?” replicò Near, senza smettere di sorridere in modo inquietante.
“Al fatto che questi omicidi abbiano realmente a che fare con Kira” rispose Eliza, aggrottando le sopracciglia.
“Forse, quando vi avrò fornito tutti gli elementi del caso in mio possesso al momento, non sarete più così scettici” assicurò Near, estendendo di nuovo la sua attenzione anche a Mello.
Forse a causa della direzione presa dallo sguardo di Near, forse perché non riusciva a ignorare del tutto la sua presenza al proprio fianco, si decise infine a lanciare un’occhiata in direzione del biondo motociclista. I suoi occhi glaciali erano fissi, immobili, venati da un’ombra più oscura del consueto: prima che potesse rivolgergli la parola, contrariamente alle sue aspettative, Mello si adagiò sulla poltroncina di fianco alla sua, le gambe accavallate e le braccia allargate all’indietro, secondo la sua abituale posa scomposta e irriverente. Non passarono che un paio di secondi prima che accavallasse le gambe sulla scrivania, dove non esitò a gettare le fotografie che stava osservando fino a poco prima, e che estrasse una nuova tavoletta di cioccolato, che morse con il solito fare sprezzante e strafottente.
“E così, mi hai fatto venire fin qui da Los Angeles a causa di una sorta di fanatico devoto? Pensavo che tenessi di più ai tuoi soldi, Near” disse Mello, alzando un sopracciglio con aria di scherno.
“Mi sottovaluti, Mello. Non crederai sul serio che ti abbia convocato solo perché ritengo di aver a che fare con una specie di delirante adepto alla causa di Kira? Se fosse così facile, avrei risolto il caso nel giro di un paio di minuti”.
“E allora, qual è il problema? Hai bisogno di qualcuno che faccia il lavoro sporco al posto tuo, come al solito? Immagino che la bambina qui presente potrebbe benissimo occuparsene da sola”.
“Tu chiamami un’altra volta ‘bambina’, e sarò felice di assicurarmi che in futuro non venga al mondo nessuno che possa chiamarti ‘padre’” lo gelò Eliza, per poi riprendere a ignorare lui e la sua mano sinistra, che nel frattempo era scattata in direzione della pistola “Near, che cos’è questa storia?” domandò poi al diretto interessato, con un sospiro preoccupato “Mi sembra che tu ci stia girando un po’ troppo intorno”.
“Hai detto di conoscere bene i dettagli del caso Kira, Eliza” commentò Near, iniziando lentamente a comporre uno dei suoi puzzle.
“Sì, è così. Ma a quanto mi risulta, Kira è morto più di vent’anni fa” disse lentamente Eliza, accavallando a sua volta le gambe, ma senz’altro in maniera molto più composta di Mello.
“Tuo padre se n’è occupato personalmente. Ancora oggi, tutti concordano sulla conclusione che quello sia stato il suo miglior risultato” proseguì Near “Una vittoria senza precedenti. Light Yagami non ha avuto scampo”.
Sentir pronunciare quel nome le provocò una sensazione di fastidio all’altezza del petto: fin da piccola, era sempre stata abituata a sentir parlare di ‘Kira’ e di ‘Light Yagami’ come di due persone diverse; e, fin da quando aveva memoria, aveva sempre avuto impressa nella mente la tristezza che compariva sul volto dei suoi genitori quando veniva fatto il nome di Light in riferimento alla serie di omicidi di Kira. Conosceva la vicenda nei minimi dettagli: sapeva che i suoi genitori avevano trascorso un periodo con Light, durante il quale lui aveva perduto i ricordi relativi al suo potere omicida, ed era così tornato a essere il ragazzo gentile, buono e altruista di una volta. Sapeva che, in quelle settimane così assurde, fra loro era nata un’amicizia inspiegabile, eppure sincera, nel suo essere fondata su una gigantesca menzogna, di cui il suo stesso autore, in quel preciso istante, non era consapevole.
Ma tutto ciò che i suoi genitori avevano provato non era scomparso nel nulla, insieme all’umanità che Light aveva perduto, nel riacquistare i ricordi di Kira. Quando era diventata un’adulta, sua madre le aveva persino narrato del giorno dell’esecuzione di Yagami, a cui lei e suo padre avevano deciso di essere presenti. Ci aveva messo del tempo a comprendere le ragioni di quella scelta, ma infine aveva capito che cosa intendesse suo padre, quando parlava di una vittoria ‘agrodolce’.
Erano passati più di vent’anni da quel giorno così cupo. Com’era possibile che l’ombra di Kira fosse pronta a profilarsi nuovamente all’orizzonte?
“Appunto, Near. Kira è morto” ribadì Eliza, tamburellando nervosamente sul bracciolo della sedia.
“Su questo non ho dubbi. Quanto al legame fra questi omicidi e il suo potere paranormale, direi che è un’altra storia” affermò il detective, con tono flemmatico.
“Di cosa diavolo parli?” sbottò Mello, vicino a perdere la pazienza.
“Concordo con voi sul fatto che, a prima vista, queste fotografie potrebbero rappresentare nient’altro che il delirio di un folle. In fondo, che cosa ci sarebbe di strano nel commettere omicidi così brutali, limitandosi a lasciare un messaggio anagrammatico su tre cadaveri volto a paventare il ritorno di un serial killer psicopatico deceduto da due decenni? In realtà, assolutamente niente. Non fosse per le modalità in cui questi crimini vengono compiuti”.
“Senti, Near…” fece per iniziare Eliza.
“Negli ultimi quindici giorni, ci sono stati dieci decessi. Cinque di essi hanno avuto luogo a Londra, nel quartiere di Whitechapel. Questo elemento, e la brutalità dell’uccisione, ci hanno fatto pensare a un tentativo di emulazione di Jack lo Squartatore. Gli altri cinque si collocano a Parigi. Vista in questo modo, potrà sembrarvi che il nostro assassino abbia semplicemente preso un aereo per proseguire la sua progressione di morte in un altro Paese, ma non è così semplice. Dall’analisi del coroner, i decessi delle vittime e gli orari corrispondenti ad essi non sono individuabili per area geografica” proseguì Near, con la massima noncuranza.
“Che vuoi dire?” chiese Mello, con espressione impassibile.
“Che l’assassino non ha ucciso cinque vittime a Londra, per poi ucciderne cinque a Parigi. Si è alternato fra le due capitali” affermò Eliza, una mano intenta a tormentarsi il mento e l’altra ancora tesa a tamburellare sul bracciolo della sedia.
“Esatto” annuì Near “E la cosa preoccupante è la vicinanza in linea cronologica fra le morti. In altre parole, questi omicidi vengono eseguiti a brevissima distanza l’uno dall’altro, alternandosi fra due città situate a numerosi chilometri l’una dall’altra”.
“Avrai senza dubbio pensato a un complice” sbuffò Mello, addentando la sua cioccolata.
“Ci ho pensato. Abbiamo anche messo in conto la possibilità che si trattasse di un’organizzazione criminale dedita al ‘culto’ di Kira. Ma l’ipotesi è andata escludendosi da sola, dopo che ci è arrivato il referto del coroner che si è occupato di ciascuna autopsia”.
Mello ed Eliza lo fissarono, in attesa che proseguisse.
“Il punto è che questi omicidi vengono compiuti in maniera del tutto particolare. Vi sarete accorti che i cadaveri sembrano dilaniati in maniera casuale e del tutto bruta”.
“E con questo?” si strinse nelle spalle Mello.
“Un’azione del genere, che porta persino all’esportazione del cuore della vittima prescelta, può essere compiuta in due modi: servendosi di uno strumento particolare, e quindi eseguendo l’operazione in maniera precisa e metodica, oppure con un colpo brutale e impreciso, probabilmente tramite un mezzo di fortuna. Nel primo caso, ci troveremmo di fronte a un potenziale soggetto provvisto di conoscenze anatomiche: un medico o un macellaio, come ipotizzava Scotland Yard per Jack lo Squartatore. Senza dubbio, si tratterebbe di un individuo scaltro, convinto delle proprie motivazioni, mosso da una mente fredda e calcolatrice, piuttosto attento a non farsi cogliere impreparato” spiegò Near.
“Mentre, nel secondo caso, il nostro assassino si meriterebbe di gran lunga di più il titolo di ‘Squartatore’” sospirò Eliza “Direi che la fattispecie è riconducibile alla tua seconda classificazione, Near. L’assassino è senz’altro irrazionale, impulsivo, privo di autocontrollo e con tendenze sadiche. Non vedo cosa ci trovi di così strano”.
Near si pronunciò in un altro sorrisetto di superiorità: quell’espressione sul volto fu in grado di strappare a Mello un ringhio cupo e poco rassicurante.
“Concorderete entrambi sul fatto che, a differenza della prima tipologia di modus operandi, un simile stile non sarebbe perfettamente imitabile ogni volta che si compie un omicidio, non è così? Se davvero l’assassino agisse in maniera irrazionale e impulsiva, limitandosi a sventrare le sue vittime per estrarne il cuore, non compirebbe l’azione nello stesso modo ogni volta, proprio perché non ci penserebbe su così tanto. Agirebbe e basta. Pertanto, ogni cadavere dovrebbe presentare delle differenze rispetto agli altri, nonostante i punti in comune riconducibili al modus operandi di base, come l’estrazione del cuore. Inoltre…l’esame autoptico ci ha dato un altro spunto di riflessione interessante”.
“Sarebbe?” domandò Eliza.
Con discreta sorpresa di Mello, la domanda della ragazza venne seguita dallo schioccare dei suoi denti sulla superficie di una tavoletta di cioccolato appena estratta dalla giacca; diviso fra lo stupore e una strana curiosità, l’osservò addentarla, soffermandosi sulle sue labbra e sul modo in cui gustava il dolce. A differenza di lui, che amava mordere il cioccolato con lo stesso disprezzo con cui si rivolgeva agli altri, Eliza lo faceva in maniera raffinata, come se stesse sorseggiando un bicchiere di champagne o una tazza di the.
Era inglese, su questo non c’erano dubbi. Ma non avrebbe scommesso un dollaro sulla possibilità che avessero qualcosa in comune.
In quell’istante, Eliza si accorse d’essere osservata, e per contro gli lanciò un’occhiata inceneritrice.
“Che problemi hai?” domandò, con tutto il disgusto di cui era capace.
Per tutta risposta, Mello addentò un altro pezzo di cioccolato e le rivolse l’ennesimo ghigno sprezzante, per poi tornare a volgersi verso Near.
“Vieni al punto, Near. Mi hai fatto perdere abbastanza tempo”.
“Il punto è che questi omicidi non sono stati commessi con nessun’arma da taglio”.
Le parole del capo dell’SPK vennero seguite da un silenzio tombale, rotto soltanto dai suoni della sera che iniziavano a provenire dal giardino della scuola.
“Cosa?!” sbottò infine Eliza, battendo una mano sulla scrivania “Questo è impossibile!”.
“Com’era impossibile fermare il cuore di criminali che si trovavano a migliaia di chilometri di distanza l’uno dall’altro, semplicemente scrivendo il loro nome su un misterioso quaderno” le ricordò Near, senza smettere di giocherellare con i suoi capelli.
Eliza si rilassò contro lo schienale della sedia, rilassandosi pian piano.
“Ma questa volta è diverso. Kira si limitava a provocare alla vittima prescelta un arresto cardiaco. Qui parliamo di cuori strappati letteralmente dal petto…a mani nude, a giudicare da quanto affermi tu” constatò Eliza.
“Sì, questo caso è diverso. Ma le analogie con il potere paranormale di Kira sono incredibilmente sottili e significative. Senza contare il messaggio in codice che il nostro uomo ci ha lasciato”.
“Pensi alla possibilità che in giro ci sia…un altro Death Note?” domandò lentamente Eliza, soppesando le parole.
“Non escluderei nessuna pista” dichiarò Near “Ma in ogni caso, questa serie di omicidi è diversa da qualsiasi fattispecie di cui mi sia mai occupato personalmente. Ecco perché ho richiesto la vostra collaborazione”.
“Se per te è troppo complicato, perché non lasci che se ne occupi Elle?” chiese Mello, con un tono a metà fra il trionfante e il disinteressato.
Quella domanda infastidì Eliza più di qualsiasi cosa detta in precedenza dal biondo. Se c’era una cosa che detestava con tutta l’anima, era che i suoi genitori le subentrassero nei casi che le venivano affidati e in cui veniva richiesta la sua collaborazione.
In realtà, una parte di lei sapeva che sarebbe stato giusto affidare tutto a suo padre e a sua madre. Se davvero quelle morti avevano a che fare con Kira…beh, nessuno più di loro sarebbe stato qualificato al meglio per occuparsene.
“Mi sono già consultato con lui. Poco prima che Eliza tornasse in Inghilterra” ribatté Near, l’espressione contrariata e irritata “Ad ogni modo, l’SPK è la mia mano operativa, non la sua. Ho il massimo rispetto di Elle e mi sono sempre affidato alle sue direttive, ma questo caso è stato affidato a me dall’Interpol”.
“Senza dubbio, è successo prima che venisse fuori qualsiasi collegamento con il caso Kira. Scommetto che di questo l’opinione pubblica non è al corrente” ghignò Mello, mordendo l’ultimo pezzo di cioccolata.
“Questo è irrilevante”.
“Davvero? E allora perché sembra che la cosa ti irriti tanto?” lo punzecchiò ancora Mello.
“Sei tu che mi irriti, Mello” lo avvisò Near, con un lampo di sfida negli occhi.
“Faccio sempre in tempo a tornare a Los Angeles. Almeno, non dovrei più sopportare di vedere la tua insopportabile faccia”.
“Hai detto che ti sei consultato con Elle” riprese Eliza, ignorando deliberatamente Mello “Allora? Che cosa ti ha detto?”.
Near giocherellò per qualche istante con i suoi capelli, prima di risponderle.
“L’idea di lasciarci il caso non è di suo gradimento. In particolar modo, non ha apprezzato che ti coinvolgessi prima di chiedergliene l’autorizzazione”.
“Ah, ma sul serio? È ridicolo! Non può decidere di cosa devo o non devo occuparmi!” sbottò Eliza, balzando in piedi.
“Tecnicamente, può farlo. È Elle” le ricordò Near “Ma l’SPK non ha mai deluso le sue aspettative, pertanto sono riuscito a convincerlo a darci un anno di tempo. Se entro un anno non avremo risultati in grado di condurci alla risoluzione del caso, questo passerà sotto la sua direzione. Pertanto, nell’eventualità in cui decidesse di estrometterti dalle indagini, non avrei più voce in capitolo”.
“Tutto questo è semplicemente pazzesco!” protestò Eliza, del tutto inviperita.
“Paparino non vuole che tu ti sbucci un ginocchio, principessa” sogghignò Mello, con aria di superiorità.
Senza attendere ulteriormente, Eliza estrasse in modo fulmineo la sua pistola, imitata dal ragazzo, ritrovandosi così a confrontarsi con la canna dell’arma di lui, com’era avvenuto poco prima in corridoio.
“Io ti avviso, insopportabile attricetta dei miei stivali: se dici un’altra parola che possa vagamente irritarmi…” ringhiò Eliza.
“Chiami papino e mi fai arrestare? Farei prima a farti un buco in testa, ragazzina dalla lingua biforcuta e insolente! Se ti azzardi a insultarmi di nuovo…!!”.
“Cosa fai, lo scrivi sul tuo diario segreto?!”.
“Smettetela!!! Tutti e due, adesso piantatela!” intervenne Near, alzando la voce per la prima volta “Non arriveremo a niente, se continuate a punzecchiarvi in questo modo. Non dovete piacervi per forza, ma ho bisogno che cerchiate almeno di non spararvi a vicenda, di qui a un anno. Mi farebbe comodo la collaborazione di entrambi, ma è ovvio che posso farne a meno”.
“Ah certo, tu sai sempre tutto, non è vero, Near?” lo schernì Mello, in tono disgustato “Ti servirà più di un discorsetto come questo per convincermi a non uccidere questa ragazzina!!”.
“Dieci milioni di dollari, Mello. Senza contare che, nel caso in cui decidessi di non darmi ascolto, verresti braccato dalla polizia di tutto il mondo a vita”.
“O magari tutto questo non avverrebbe, semplicemente perché non ti darei nemmeno il tempo di premere il grilletto” lo schernì ulteriormente Eliza.
Con sua sorpresa, quell’ennesima provocazione gli strappò un sorriso, inaspettato persino per lui. Di una cosa era sicuro: non aveva mai incontrato una donna dal temperamento così forte. Così calcolatore, così spietato, nel suo essere diretto.
Così dannatamente intenso.
*Se non fossi una stronza, insolente, insopportabile, petulante, irritante, spocchiosa, arrogante, saccente, dannata ragazzina, potresti quasi piacermi. Quasi* si ritrovò a pensare, abbassando lentamente la pistola.  
“Sarà meglio che tu fornisca una valida motivazione anche a me, Near, perché ti assicuro che il mio senso della giustizia o il possibile disappunto di Elle non saranno sufficienti a fermarmi” ringhiò Eliza, il dito ancora sul grilletto.
“So che potrai non credermi, ma ti assicuro che l’aiuto di Mello si rivelerà prezioso nella risoluzione di questo rompicapo. Come ti ho già detto, all’epoca del caso Kira sia io che lui abbiamo provato a fare delle ipotesi sulla sua risoluzione, analizzando le informazioni che Elle accettava di fornirci. Per lui, era una sorta di modo per addestrarci, per testare le nostre capacità e avere più elementi per comprendere chi di noi fosse il migliore. Mello è la persona più indicata per risolvere questo caso insieme a noi, Eliza. E inoltre, di qui a un anno, quando senz’ombra di dubbio avremo consegnato quest’assassino alla giustizia, sarai libera di dimenticarti della sua esistenza. Se sarà questo quello che vorrai, ovviamente”.
Eliza si voltò di scatto verso di lui, abbassando l’arma di colpo e rivolgendogli un’occhiata in tralice: non le era sfuggito lo strano tono in cui aveva pronunciato l’ultima frase.
Prima che potesse chiedergli spiegazioni di qualsiasi sorta, Near si dipinse sulle labbra un sorrisetto vittorioso e tornò a tormentarsi la ciocca di capelli più vicina all’orecchio.
“Bene. Posso interpretare la vostra decisione di darmi ascolto come la volontà implicita di accettare l’incarico che vi sto proponendo?”.
“Dieci milioni di dollari. Non un centesimo in meno” precisò Mello.
“Ed Elle sarà fuori dalle indagini” sottolineò Eliza.
“Questo non posso promettertelo, Eliza. Ma confido che tuo padre sia un uomo di parola, come sempre. Abbiamo tempo un anno; per questo periodo di tempo, il caso è dell’SPK, ergo sono io al comando”.
“Va bene, va bene” bofonchiò la ragazza, alzando gli occhi al cielo.
“Stai dimenticando un dettaglio, Near” disse Mello, con tono minaccioso.
“Non l’ho dimenticato, Mello. Il tuo anticipo è nella tua vecchia stanza; l’ho fatta preparare per te, spero che non ti dispiaccia. In questo modo, non dovrai spendere un centesimo per la tua sistemazione. A proposito di questo, ogni vostro eventuale spostamento, se ciò dovesse rivelarsi necessario, sarà coperto dai fondi della nostra organizzazione. Non vi costerà assolutamente niente. Quanto al resto del denaro, lo avrai alla fine del lavoro, Mello”.
“Tsk, e sia. C’è dell’altro?” domandò il biondo.
“No, è tutto” affermò Near “La prima riunione operativa si terrà domani pomeriggio alle 15. Vi lascio il tempo che vi serve per studiare tutta la documentazione del caso; ho chiesto a Gevanni di fornirvi una copia di tutto il materiale rilevante”.
Senza pronunciare un’altra parola, Mello si avviò verso la porta, sbattendosela alle spalle.
Eliza indirizzò un’occhiata velenosa verso il punto da cui era appena scomparso, per poi tornare a volgersi verso Near.
“Devo ammettere che ho ricevuto regali di compleanno migliori” sospirò, passandosi una mano nella chioma scura.
“A quello ho già pensato. Gevanni si è occupato di far arrivare dalla Russia la nuova moto che mi sono preso la libertà di ordinarti. Ho pensato che potesse farti piacere” disse il detective, andandosi a sedere a terra e iniziando a giocare con uno dei suoi trenini.
“Che…che cosa?! Near, ma sei impossibile!” sbottò la ragazza, spalancando la bocca “Quante volte devo ripeterti che odio questo genere di regali?!”.
“Credevo che le motociclette ti piacessero. A proposito, questa è un’altra cosa che tu e Mello avete in comune”.
Quell’affermazione la lasciò più spiazzata della precedente, e la rese ancor più furiosa.
“Se stai insinuando qualcosa, Near, sappi che non esiterò a mandare al diavolo anche te. Non ho mai avuto una giornata più assurda in vita mia! E non ho proprio voglia di ascoltare le tue teorie strampalate! Per tornare al nostro discorso, questa è l’ultima volta che ti permetto di farmi un regalo del genere! Sappi che la prossima volta avrai sprecato i tuoi soldi inutilmente!”.
“Ho solo pensato che avessi bisogno di una piccola consolazione, in vista di ciò che stavo per chiederti. Mello non è la persona più facile del mondo con cui avere a che fare” affermò Near, in tono piatto.
“Questo sì che è un eufemismo” borbottò Eliza.
“Ma sono certo che saprai tenerlo a bada. Dopotutto, le abilità che possiedi sono quasi una leggenda, nel nostro ambiente. La tua eredità genetica farà al caso nostro, come al solito”.
Eredità genetica.
In quel preciso istante, si ricordò perché, malgrado la sua apparente cordialità e i suoi modi pacati, in realtà non fosse mai riuscita a considerare Near come un amico.
Lo trovava intelligente, metodico, incredibilmente dotato, ma al tempo stesso provvisto di una freddezza e di un’inespressività che la mettevano a disagio; una volta, sua madre le aveva detto che Near, in qualche modo inquietante, rispecchiava una parte della personalità di suo padre. La stessa personalità cinica, concentrata e inemotiva che lei ci aveva messo tanto a comprendere, ad accettare e ad amare.
Ma dove suo padre aveva qualcos’altro, dove suo padre possedeva ulteriori qualità che lo rendevano umano e che erano riuscite a fargli capire che nella vita non esisteva solamente il raziocinio, Near sembrava freddo, apatico, incapace di farsi scalfire da nulla.
*L’opposto di Mello* si ritrovò a constatare, suo malgrado.
Per contro, malgrado le riconoscesse le sue qualità, finiva sempre per sottolineare il suo vincolo di parentela con Elle, quasi come a voler intendere che l’unica ragione per cui davvero dovesse essere considerata brava, l’unico motivo per cui dovesse sentirsi fiera di essere ciò che era…fosse proprio il fatto d’essere sua figlia. Lui, Near, possedeva quelle doti in maniera del tutto innata.
Lei, invece, aveva avuto la fortuna di nascere sotto una buona stella e si era già ritrovata un percorso spianato di fronte agli occhi, senza che in esso vi fosse un gran merito personale.
Almeno, questo era ciò che sentiva riecheggiare nelle sue parole.  
Eredità genetica. Tutto qui.
La rabbia le si rattrappì in gola, mutandosi in un’espressione cupa e infastidita.
“Se non hai altro da dirmi, ci vediamo domani”.
“Come ti dicevo, è tutto. Buonanotte, Eliza”.
Non appena fu fuori dal suo ufficio, si diresse a passo di carica verso il piano superiore, decisa a chiudersi nella sua stanza e a non uscirne prima del giorno dopo: se non altro, starsene là dentro le avrebbe permesso di evitare qualsiasi membro dell’SPK il più possibile. Soprattutto, le avrebbe permesso di non dover sopportare ulteriormente la vista di Mello.
Ma proprio quando fu giunta di fronte alla porta della sua stanza e si accinse a infilare la chiave nella toppa, un rumore improvviso la fece sobbalzare e trasalire di scatto.
La porta della camera da letto di fianco alla sua si era appena spalancata di colpo: sulla soglia, c’era l’ultima persona che avrebbe voluto come vicino di stanza.
Mello la fissò con espressione esterrefatta, se non inorridita.
“QUESTO È UNO SCHERZO!!!” esclamarono entrambi, all’unisono.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: Beneeeee, finito anche il secondo!! Di questo passo, potrei abituarvi quasi a un capitolo al giorno!! Ahahaha scherzo, per quello non ce la farò mai, purtroppo…ad ogni modo, farò del mio meglio per non farvi aspettare tanto com’è successo con ‘Sugar and Pain’, in passato. Cosa ve ne pare? In questo capitolo, ho cercato di sottolineare maggiormente l’aspetto più negativo di Near, spero che si sia percepito : ) Contavo di farlo più lungo, ma ci tenevo molto a postarlo entro stasera, soprattutto perché ieri ricorreva il mio sesto anniversario d’iscrizione a EFP e…beh, sì, sono sentimentale XD Spero davvero che vi stia piacendo! Un grazie immenso a MaryYagamy_46 per aver recensito la storia e per averla inseguita fra le preferite, grazie a Always_Potter per aver recensito e per averla inseguita fra le seguite, grazie alla mia SelflessGuard per la recensione e grazie a bananacambogianachiquita per averla inserita fra le preferite. Ringrazio in anticipo anche la mia carissima Lilian Potter in Malfoy, che non ha ancora recensito ma che spero che lo farà presto (lo spero sul serio XD). Un’ultima cosa: non so se ne ho mai fatto parola con voi, ma sono una grandissima fan degli Skillet e dei Three Days Grace. Ergo, dato che molte delle loro canzoni urlano MELLO e molte altre urlano MELLOXELIZA, aspettatevi una colonna sonora a base dei loro testi! Ultimissima precisazione: so che, per il momento, i capitoli non vi sembrano molto lunghi, ma già dal prossimo arriveremo a circa una ventina di pagine :) I primi erano una sorta di antipasto per saggiare un po' il terreno ^^ Al prossimo capitolo! Un bacione, Victoria   

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Capitolo 3
*** Little pieces of the past ***


Capitolo 3- Little pieces of the past
 
I due si guardarono negli occhi, entrambi con la medesima espressione orripilata, per quella che parve a entrambi un’eternità. Alla fine, il biondo incrociò le braccia con aria minacciosa e strinse gli occhi a fessura, come a volerla fulminare con uno sguardo.
“Fuori dal mio corridoio” ringhiò fra i denti, muovendo un passo in avanti con l’intento di farla indietreggiare.
Eliza, dal canto proprio, non mosse un passo, squadrandolo con aria di sommo disgusto.
“Oh, il tuo corridoio? Non mi pare d’aver visto il tuo nome scritto in cima alle scale. E comunque sia, da quanto ho capito sei fuori dal giro da un bel po’, signor mafioso californiano. Quindi, al massimo, questo è il mio corridoio”.
“Tu vuoi proprio ritrovarti con una pallottola piantata in fronte, non è vero?! Ci tieni così tanto?” sbottò il biondo, trattenendosi a malapena dall’estrarre la pistola per l’ennesima volta.
Per tutta risposta, Eliza gli rise in faccia.
“Stai diventando ripetitivo, signor primadonna. Ma senza dubbio, non meriti che io mi scomodi per cercare di farti sloggiare da questo piano. Sarà sufficiente che tu resti nella tua stanza e io nella mia, e penso che alla fine riusciremo a sopravvivere entrambi. Ti sta bene o vuoi sul serio che estragga la pistola?”.
Stranamente, rispetto a quanto si sarebbe aspettato di solito, quelle parole (nonostante l’insulto gli avesse fatto digrignare ancor di più i denti) non lo mandarono in bestia come si sarebbe immaginato. Per contro, l’insperata calma gli dette la possibilità di osservare meglio il volto della ragazza che gli stava di fronte.
Certo, era solo una ragazzina. Ed era irritante, dannatamente irritante. Ma non poteva negare che i suoi tratti fossero armoniosi, i suoi occhi intensi e che la sua pelle, bianca come il latte, avesse qualcosa d’inspiegabilmente magnetico. Le sue labbra sottili, leggermente carnose solo nei punti più espressivi, riuscivano a trasmettere qualcosa a chi lo osservasse anche nei momenti in cui erano dominate dalla furia e dal risentimento.
Senza sapere perché, si ritrovò a scrutare con più attenzione le sfumature dei suoi occhi, che erano di un azzurro intenso, simile al blu, infinitamente diversi dai suoi, molto più chiari e glaciali; scrutando in quelle profondità, per un solo istante, ebbe la sensazione di percepire un’ombra ebanina, quasi come se quelle iridi nascondessero qualcosa di più rispetto a quanto rivelavano a prima vista.
Merda. Gli piacevano. Forse perché erano diversi da quelli di chiunque altro avesse mai incontrato in vita sua. Forse perché era così che immaginava potessero essere gli occhi di Elle.
O forse, quella ragione non c’entrava assolutamente niente.
“Adesso chi è che sta fissando chi?”.
La voce di Eliza lo riscosse improvvisamente, portandolo ad assumere un’espressione di scherno e di sufficienza.
“Mi stavo giusto chiedendo quanta soddisfazione potrei trarre dallo sfigurarti quel bel faccino che ti ritrovi, ragazzina. Sono sicuro che sarebbe un ottimo tonico per i miei nervi” affermò il ragazzo, addentando l’ennesima tavoletta di cioccolata.
“E io sono sicura che saresti il bersaglio perfetto per il mio tiro a segno. Senza dubbio, non mancherei neanche un colpo. Non che di solito mi succeda” sbuffò Eliza, per niente impressionata “Ad ogni modo, tu vuoi i tuoi soldi, io voglio il mio caso. Quindi, sarà meglio fare il possibile per dimenticarci l’uno della presenza dell’altra. Resta nella tua stanza, e io mi impegnerò a fare lo stesso”.
“Tsk! Come se io potessi mai prendere ordini da una come te” la sfotté Mello, dandole le spalle con la massima indifferenza.
“Fa’ un po’ il cazzo che ti pare, primadonna slavata. Ma vedi di non seccarmi, o mi scorderò la ragione per cui non ti ho ancora sparato”.
Mello si voltò di scatto, estraendo la pistola, ormai deciso a piantarle una pallottola in fronte, ma non fece in tempo a mettere in atto il suo proposito: Eliza gli aveva già sbattuto la porta della sua stanza in faccia.
*Presuntuosa. Arrogante. Stronza. MALEDETTA MOCCIOSA* si ritrovò a pensare, ringhiando e tremando a causa della rabbia.
Con suo disappunto, dovette constatare che la presa della sua mano si era fatta così forte sulla tavoletta di cioccolata da spezzarla del tutto in due; imprecando, si diresse nella sua stanza, sbattendosi a sua volta la porta alle spalle e finendo per appoggiarsi contro di essa, dopo aver gettato da una parte la giacca da motociclista e il casco.
*Perché cazzo non sono rimasto a Los Angeles?* finì per domandarsi, senza riuscire a smettere di digrignare i denti al pensiero della ragazza nella stanza di fianco.
Ancora stranito per lo strano senso di frustrazione che sentiva su di sé, si lasciò cadere sul letto a braccia aperte, lo sguardo gelido fisso sul soffitto; rimase in quella posizione solo un paio di minuti, prima di rialzarsi a sedere e di lanciare un’occhiata vagamente interessata per la stanza.
Non era cambiato niente, dal giorno in cui se n’era andato. La libreria scarna posta sul lato della parete dove vi era anche la scrivania a cui era solito studiare, la finestra ampia che dava sul lato ovest del giardino, i suoi poster, ormai consunti, ritraenti svariate immagini di motociclette, il vecchio cassettone, ancora colmo dei suoi vecchi vestiti neri.
Ricordava perfettamente cos’aveva provato il giorno in cui aveva lasciato la Wammy’s House. Stufo di attendere che arrivasse il giorno in cui Elle lo avrebbe preferito definitivamente a Near, a diciassette anni aveva voltato le spalle all’orfanotrofio, portandosi dietro solo una valigia con dentro un paio d’oggetti, ed era partito.
Se l’era cavata, in qualche modo. Viaggiando da un posto all’altro, all’inizio dormendo perfino sotto i ponti, o infiltrandosi nella casa vuota di qualche idiota partito per le vacanze (a seconda delle circostanze, perfino le catapecchie abbandonate facevano alla bisogna). Se l’era cavata, mostrando al mondo che non era il tipo capace di farsi intimidire.
Quando aveva messo piede negli Stati Uniti, tutto gli era sembrato pazzesco, nuovo, sfolgorante. L’America era diversa da come l’aveva immaginata. Era ancor più caotica, ancor più frenetica, più elettrizzante, più movimentata. Più pericolosa.
La prima volta che aveva messo piede nel Bronx, a New York, ci aveva messo un paio d’ore prima di ritrovarsi coinvolto in una rissa, nel corso della quale un coltello gli aveva quasi sfiorato il cuore. Ne era uscito tutto intero, con i suoi soldi in tasca e il rispetto di coloro che avevano osservato la scena. In seguito, dopo un periodo trascorso nel Nevada, aveva optato per la California.
Los Angeles era ariosa, calda, asciutta e piena di occasioni per realizzare il suo vero obiettivo: superare Near a qualsiasi costo.
Non aveva smesso per un solo istante di seguire i casi a cui Elle e Near si erano dedicati in quegli anni, inseguendo continuamente le loro ombre e cercando di mettere le mani sulle informazioni rilevanti alle loro indagini, a volte riuscendo ad arrivarci perfino prima di Near. Voleva farlo a modo suo, dimostrando di riuscire a cavarsela, dimostrando di poter fare affidamento solo sulle sue forze. Non come Near, che aveva sempre bisogno di una squadra di babysitter che facessero il lavoro al posto suo. Non aveva bisogno di nessuno.
I suoi contatti con la malavita gli avevano fornito i mezzi di cui aveva bisogno per diventare qualcuno, per guadagnarsi il rispetto dei mafiosi, per vivere in mezzo a loro in modo indisturbato. E così era cominciata anche la bella vita: le donne, gli alcolici, le sigarette…perfino la cocaina, anche se non aveva mai pensato di provarla. Aveva sempre continuato a pensare che, al mondo, non ci fosse droga migliore di una bella stecca di cioccolata.
Si era sempre ripromesso che non sarebbe MAI tornato indietro, che non avrebbe mai più rimesso piede in quella maledetta scuola, che non avrebbe mai più accettato di avere Near intorno, sebbene si fossero incrociati un paio di volte, in quegli anni. Stranamente, Near aveva finito per intercedere per lui in un paio d’occasioni in cui avrebbe rischiato seriamente di finire dietro le sbarre. Ovviamente, si rendeva conto che l’aveva fatto per le stesse ragioni che avevano spinto lui stesso a proseguire quell’insana competizione: Near doveva dimostrare a tutti i costi di essere il migliore. E non avrebbe potuto continuare a farlo, se lui fosse finito a marcire in una fottuta prigione del Texas.
*È per questo che mi hai fatto venire qui…non è vero? Sottospecie di omino bianco del cazzo* pensò fra sé e sé, alzandosi in piedi e iniziando a fare avanti e indietro per la stanza, continuando a mangiare il suo cioccolato *Vuoi umiliarmi, eh? Con la scusa dei soldi, vuoi dimostrare che sarai tu a risolvere il caso ancora una volta, non è vero? Magari speri anche che Elle ti nomini definitivamente suo successore. Beh, sai una cosa? Stavolta no, dannato stronzo. Stavolta ti dimostrerò chi è il numero uno*.
Ancora furioso, si diresse verso la sua scrivania, dove Near, come promesso, gli aveva fatto trovare una valigetta colma di soldi; annoiato, li scrutò per un istante, prima di dargli le spalle e di dirigersi verso il bagno.
Una volta dentro, gettò scompostamente a terra il gilè di pelle e il rosario, per poi togliersi gli stivali, i guanti e i pantaloni, infilandosi definitivamente sotto il getto dell’acqua che aveva appena aperto. Quel contatto fresco gli permise di appoggiarsi alla parete della doccia e di chiudere gli occhi per un paio di secondi, cercando di togliersi dalla testa l’immagine del sorrisetto sarcastico di Near.
Ma non appena ci fu riuscito, nelle orecchie riprese a echeggiargli la voce insopportabile di lei, accompagnata da quegli occhi così caratteristici e magnetici, che non tardarono a ricomparirgli di fronte alla vista. Aggrottando le sopracciglia, si portò le dita alle tempie, sforzandosi di distrarsi, ma senza riuscirci.
*La figlia di Elle…*.
Per qualche istante, si era chiesto se quello non potesse essere uno scherzo di cattivo gusto.
Non aveva mai incontrato Elle, esattamente come non l’aveva mai fatto Near, per quanto ne sapeva. Non aveva idea di come fosse in realtà, non aveva idea di quanto Eliza gli somigliasse realmente, ma una cosa era certa: se per tutta la vita, nonostante il risentimento che provava nei suoi confronti, aveva considerato Elle come l’indiscusso modello a cui ambiva di succedere, per quella ragazzina maledettamente saccente e presuntuosa provava un misto di rabbia, irritazione e puro fastidio. Di quel passo, avrebbe finito per odiarla seriamente.
*E dovrei sorbirmela per un anno? Cristo, Near. Ringrazia che al momento sono al verde. E che non sopporto l’idea di rinunciare a una sfida*.
In fondo, non capiva il perché di tutto quel coinvolgimento. Lei non era Near, non era la sua rivale, non era nessuno. Pertanto, non meritava certo tutte quelle attenzioni.
Eppure…c’era qualcosa. Qualcosa che gli sfuggiva. Un po’ come una tessera mancante del puzzle.
*Eh no, merda! Se inizio a pensare come Near, posso anche spararmi una pallottola in fronte e vaffanculo!* pensò improvvisamente, scuotendo la testa in modo vigoroso.
Con un sospiro scocciato, chiuse il rubinetto dell’acqua e uscì dalla doccia, passandosi un asciugamano sulla chioma bionda, la mente ancora impegnata a riflettere sulla giornata assurda appena trascorsa.
*Un serial killer dotato di qualche potere paranormale che si professa seguace di Kira, eh? Potrebbe essere interessante. Se risolvessi questo caso, se riuscissi a capire tutto prima di Near…sarebbe la mia miglior vittoria. Lo umilierei, lo straccerei completamente. E va bene, Near. Hai voluto tu tirarmi in mezzo. Vuoi fare una gara? Ti darò quello che vuoi*.
Improvvisamente più rilassata, Mello si gettò sul letto, una nuova tavoletta di cioccolata ben stretta nella mano destra. Sì, ce l’avrebbe fatta. Lo avrebbe sconfitto, una volta per tutte. Lo avrebbe superato e sarebbe diventato il numero uno.
Solo il pensiero di Eliza e il ricordo delle sue occhiate infuocate, accompagnate dall’immagine dei tratti armoniosi del suo viso e del suo corpo, gli impedirono definitivamente di smetterla di aggrottare le sopracciglia.
 
In quel momento, nella stanza di fianco, Eliza si stava dedicando a disfare le valige che il suo autista di fiducia, Ryan, le aveva portato di sopra; i suoi passi frettolosi continuavano ad alternarsi fra il letto e l’armadio dove, più che riporre con gentilezza, stava scaraventando i suoi abiti alla rinfusa.
“*Smettila di fissarmi, ragazzina!*, *Mi sottoponevo a test di fisica quantistica prima ancora che i tuoi genitori iniziassero a scopare!*, *Oh, mi piacerebbe tanto divertirmi a sfregiarti la faccia!*, *Le ragazzine non sono il mio genere*” continuava a ripetere, lanciandosi in una dubbia imitazione di Mello “Quel-maledetto-DEFICIENTE!!!” sbottò alla fine, scandendo ogni sillaba, nel tentativo di infilare rudemente un paio di magliette nell’ultimo cassetto “Lui-e-la-sua-stupida-cioccolata!! Dovrei dargli fuoco, giusto! Dovrei prendere una di quelle sue maledette sigarette, ficcargliele in gola e poi gettarci anche un accendino!! Ma chi si crede di essere?! Ma come cazzo ci sono finita qui?! Ma perché non me ne sono rimasta a Boston?! Stupido Near, stupido lavoro!! E maledetto MELLO!!” concluse alla fine, scagliando il dentifricio contro la parete, i capelli scompigliati per l’impeto dello sfogo.
Dopo aver preso un respiro profondo, si accinse a sistemare il caos che aveva creato nella stanza, sforzandosi di calmarsi.
Anche se, doveva ammetterlo con se stessa, non poteva ancora credere all’esito preso da quella giornata assurda. Era partita il giorno prima da Boston convinta di affrontare qualcosa per cui era preparata; dopotutto, che cosa poteva esserci di così assurdo?
Un nuovo caso di omicidi, la collaborazione con Near, la presenza dei membri dell’SPK. La sola cosa che avrebbe dovuto pesarle sul cuore era l’assenza del nonno, che le mancava dannatamente.
Ma comunque, avrebbe dovuto cavarsela senza problemi: tornare alla Wammy’s House, discutere delle indagini, occuparsi di risolvere la faccenda e poi ripartire. Magari per raggiungere suo padre e sua madre, che al momento si trovavano a Mosca.
Senza dubbio, se gliel’avessero raccontato, non avrebbe mai creduto a una storia del genere: soprattutto, non avrebbe mai creduto possibile che le capitasse realmente qualcosa di simile.
Un caso di omicidi seriali che aveva a che fare con Kira?
Certo, il mondo era pieno di fanatici, era pieno di psicopatici pronti ad auspicare il suo ritorno…ma, a giudicare da quanto affermava Near, non era possibile ricondurre quella fattispecie a una spiegazione così semplice, considerando il modo in cui venivano commessi gli omicidi stessi.
Un brivido le attraversò a un tratto la schiena, mentre si sedeva alla scrivania e accendeva il computer portatile. Non aveva mai pensato all’eventualità di occuparsi di indagini che potessero avere a che fare con Kira.
Aveva sentito raccontare quella storia per vent’anni, per bocca di quasi tutte le persone che amava. Era rimasta scioccata nell’apprendere che, al mondo, fosse esistito un assassino dotato di un potere simile, e che egli fosse stato sul punto di vincere e di uccidere i suoi genitori. Quando era diventata più grande, suo padre le aveva permesso di studiare la documentazione relativa al caso, spiegandole nel dettaglio tutte le componenti e le riflessioni fatte da lui e da sua madre.
Quella vicenda l’aveva appassionata e le era servita come ottimo allenamento per prepararsi ai primi casi che aveva poi affrontato e risolto, certo, ed era consapevole di quanto quella storia costituisse un ricordo importante per i suoi genitori, considerando che era in quelle circostanze che si erano incontrati faccia a faccia, per poi innamorarsi.
Ma che adesso tornasse a incombere sulla loro vita…sulla sua vita…era assurdo. Perché, dopo tutto quel tempo? Perché in quel modo? Perché venire subito allo scoperto con quella teatralità?
*Parti dalla psicologia, piccola. La psicologia è il primo passo. Se non comprendi come funziona la mente di un uomo, non comprenderai mai il perché delle sue azioni*.
*E poi escogita un piano, una strategia. Studio, attacco, difesa, riserva, sorpresa, colpo di grazia. Ancora una volta, Eliza. Trova la tessera mancante. Risolvi l’enigma. Trova il suo punto debole*.
Le parole di sua madre e di suo padre presero a rimbombarle nella mente, donandole la determinazione che le serviva e finendo per strapparle un sorriso, a metà fra il nostalgico e il compiaciuto.
Adorava i suoi genitori tanto quanto li trovava irritanti e iperprotettivi. Li amava tanto quanto si sentiva intimidita da loro e dalle loro carriere, dai loro successi, dalla loro capacità di mantenere il controllo su qualsiasi situazione. Spesso, suo nonno Watari l’aveva rassicurata, dicendole che lei non aveva niente da invidiare a loro, e che era la degna figlia che tutti si sarebbero aspettati che fosse; in molte circostanze, le aveva fatto notare che il suo carattere impulsivo e la sua abile parlantina, accompagnata alle straordinarie capacità empatiche e di ragionamento, erano una degna eredità che lei si era dimostrata abile nel coltivare.
Eppure, quel senso d’inadeguatezza non se ne andava mai del tutto. Come se una parte di lei, per quanto remota potesse essere, rimanesse convinta che non avrebbe mai raggiunto il loro livello. Che non sarebbe mai stata come Ruri. O come Elle.
Proprio mentre formulava quel pensiero, una nuova chiamata sul suo cellulare la fece sobbalzare di scatto; essendo consapevole di non poter evitare all’infinito quella telefonata, finì per premere il tasto verde e per accettarla.
“Pronto?” sospirò, non riuscendo a trattenere un sorriso, suo malgrado.
La voce all’altro capo del telefono le donò una sensazione di sicurezza e d’apprensione a un tempo: qualcuno le aveva detto, una volta, che sua madre faceva quell’effetto a molte persone, ma lei non ci aveva mai creduto fino in fondo.
“Ciao, coccinella. Stai bene?” le domandò Ruri.
Nella sua voce, Eliza percepì un sorriso appena pronunciato. Il sorriso di sua madre, che aveva imparato ad amare più di ogni altra cosa al mondo.
“Sto bene, Ruri. Tutto a posto”.
All’altro capo del telefono, la sentì sospirare, rassegnata: ormai, sua madre si era arresa al fatto che Eliza non fosse più disposta a chiamarli ‘mamma’ e ‘papà’. Non da quando aveva iniziato a collaborare alle indagini di cui loro e Near si occupavano.
“Volevo solo assicurarmi che avessi tutto quello di cui hai bisogno. Io ed Elle ne avremo ancora per un po’, prima di tornare a casa” proseguì Ruri.
“Qui sono tutti gentili come sempre. Domani avremo la prima riunione operativa; le indagini sono già iniziate, naturalmente, ma adesso sappiamo meglio con cosa dovremo avere a che fare” proseguì Eliza, iniziando a fare avanti e indietro nella stanza, cercando di sistemare il caos creato poco prima “Ma ovviamente, tu questo lo sai già”.
“Sì, Near ci ha detto tutto” sospirò Ruri, con uno strano tono.
Intuendo i pensieri della madre, Eliza finì per sedersi sul letto, passandosi una mano nella chioma scura (come stava facendo la stessa criminologa all’altro capo del telefono).
“Non siamo ancora sicuri di niente. Potrebbe essere…ecco, non è detto che si parli di un nuovo Death Note. Non abbiamo ancora in mano abbastanza elementi per…beh, per capire di cosa si tratti. Quindi, non saltare a conclusioni affrettate, d’accordo?” le disse, preoccupata.
“Eliza, non devi stare in pena. Sul serio. E poi, questo è il tuo caso, non il mio. Un po’ come se stessi scrivendo la tua storia, coccinella” rise Ruri, ancora con una punta di tristezza.
“Tu che dici a me di non stare in pena? Senti un po’ come si sta capovolgendo il mondo, oggi!” rise Eliza, lasciandosi andare sdraiata sul letto a pancia in su “Comunque sia, mi fa piacere che almeno tu approvi che il caso sia mio. A quanto mi ha detto Near, Elle non ne era felice”.
“Elle è fatto così. Lo sai, è infantile; diciamo che ha sempre visto il caso Kira come una sua priorità esclusiva”.
“Ma questo non è il caso Kira” precisò Eliza, con un sospiro scocciato.
“Lo so bene; e lo sa anche lui, fidati di me. Ma i collegamenti con esso, a giudicare da quanto ho visto, sono…beh, non mi meraviglierei troppo dell’eventuale coinvolgimento di un Death Note nelle vostre indagini. Senti, tieni gli occhi aperti, va bene? So che non hai mai rivelato a nessuno il tuo vero nome e che non esiste persona al mondo che lo conosca, a parte noi, ma…ora più che mai, la riservatezza è importante, piccola” le ricordò Ruri.
“Lo so. Il primo passo per conoscere i punti deboli del tuo avversario è ricordarti di coprire sempre i tuoi” affermò Eliza, con un sorrisetto divertito.
“Elle ti ha istruita bene” ridacchiò Ruri.
Dopo una breve pausa di qualche istante, la dottoressa Dakota riprese a parlare.
“Senti, tesoro, lo so che sei arrabbiata con tuo padre…”.
“Io non ho detto una parola!” sbottò Eliza, adesso visibilmente contrariata.
“Lo so che dovrebbe darsi una calmata. Ma è fatto così; non dargli troppa importanza. Sono sicura che ti lascerà il caso finché non lo avrai risolto da sola, senza la sua interferenza. È solo che per lui è…strano. E lo è anche per me, te lo assicuro” sospirò la criminologa.
“Che cosa è strano? Fare pace con il fatto che non ho più sette anni?” sbuffò la ragazza, alzando gli occhi al cielo.
“Ne riparleremo quando avrai dei figli” ribatté Ruri, con il tono di chi sta alzando gli occhi al cielo.
“Non ci tengo, grazie. Non penso di essere tagliata” ammise Eliza “E poi, non saprei proprio come fare con il lavoro…”.
“Beh, io me la sono cavata egregiamente” le ricordò Ruri.
“Già, ma io non sono te” mormorò Eliza, in un bisbiglio appena udibile.
“Come hai detto?”.
“Niente, niente. Stavo solo…ecco, ho detto che hai ragione. Tu te la cavi sempre egregiamente” disse la giovane, sforzandosi di assumere un tono noncurante.
“Proprio come te, coccinella. Sei nostra figlia, non per niente” le ricordò la criminologa.
“Sai che non dovresti dire queste cose al telefono, vero?” disse la ragazza, cercando di svicolare.
“Eliza, non provarci. Lo sai che comunichiamo sempre su linee criptate al massimo e a prova d’intercettazione. Pensi che tuo padre non curi questi dettagli?” sospirò Ruri, a metà fra l’annoiato e il divertito.
“Se non sbaglio, stavamo parlando del caso” si affrettò a dire Eliza, ansiosa di cambiare argomento “Mi assicuri che Elle non interferirà? Dico sul serio, è importante. Voglio cavarmela da sola, sai che posso riuscirci!”.
“Farò il possibile, ma Elle è…testardo, Eliza. In più, sentire di nuovo il nome di Kira dopo tutti questi anni non gli ha fatto troppo bene. È stato come riaprire una vecchia ferita. Mi sembra di vederlo…scosso. Non che lui mostri mai apertamente il modo in cui si sente, ma è…beh, questa storia non piace a nessuno. Spero che risolverai tutto in fretta. So che puoi farcela e sono la prima a credere nelle tue capacità, ma sai che puoi rivolgerti a me per qualsiasi cosa”.
Senza riuscire a trattenersi, Eliza si concesse un sorriso rilassato, che finì per estendersi anche agli occhi; i suoi genitori erano la più grande contraddizione emotiva della sua vita. Se da un lato si sentiva sempre sotto pressione, ansiosa di compiacerli, terrorizzata all’idea di non raggiungere mai il loro livello, dall’altro li amava in modo viscerale e profondo, e li ammirava più di quanto lei stessa non volesse ammettere. Sapeva che le avevano dato tutto ciò che aveva e non avrebbe mai smesso di essergli grata per questo, come sapeva che non sarebbe mai diventata la persona che era senza di loro. Al contempo, però, desiderava dimostrargli con tutte le sue forze che poteva cavarsela. Che poteva essere brava, persino migliore…senza il loro continuo sostegno.
“Lo so, Ruri. Ti ringrazio. Ma me la caverò, te lo assicuro” disse Eliza, rialzandosi in piedi e avviandosi verso la finestra “Sai che consegnerò questo bastardo alla giustizia. Alla fine, vincerò io. Io vinco sempre”.
Quella frase lasciò in silenzio Ruri per un paio di secondi, prima di strapparle una risposta accompagnata dall’ennesimo sorriso.
“Sei sua figlia, non c’è dubbio”.
Proprio mentre stava per congedarsi da sua madre e per riattaccare, un pensiero improvviso le attraversò la mente; in fondo, avrebbe sempre potuto chiederle quella singola informazione. Non aveva a che fare direttamente con il caso, ma forse avrebbe potuto esserle utile per comprendere qual era il modo giusto per sopravvivere in quei mesi.
*Se non conosci il nemico, procurati informazioni su di lui, Eliza. Anticipalo. Gioca sporco, se serve. Quando si tratta di ottenere un obiettivo, non esistono regole*.
Le parole di suo padre la convinsero definitivamente a prendere il toro per le corna.
“Posso…farti una domanda?” le disse infine, prendendo un bel respiro profondo.
“Certo”.
*Non posso credere di stare per chiederglielo davvero…* si ritrovò a pensare, prima di sputare il rospo.
“Eliza…?” la sollecitò Ruri, a metà fra l’incuriosito e il teso.
“Conosci nessuno di nome Mello?” pronunciò tutto d’un fiato, mordendosi la lingua non appena l’ebbe fatto.
All’altro capo del telefono, Eliza avvertì un improvviso rumore di sottofondo, come di una sedia che si era improvvisamente rovesciata.
“Ehi, cosa sta succedendo là dentro?” sbottò la ragazza, a un tratto consapevole di ciò che stava accadendo.
“Niente, niente!” si affrettò a risponderle Ruri.
“Non mi dirai che…Ruri, stava ascoltando anche Elle?!” esclamò Eliza, esasperata.
“Beh…è così grave?” ammise la criminologa.
“RURI!!” protestò Eliza “Avrei anche potuto parlare di…di argomenti privati!”.
“Tesoro, tu non parli mai di argomenti privati. Non al telefono, almeno: e di solito, ci metto almeno venti minuti prima di estrarti con le pinze qualsiasi informazione a cui desidererei avere accesso. Quindi, direi che non è questo il tuo problema. Perciò? Non volevi che tuo padre sapesse che mi stai chiedendo informazioni su questa persona?”.
Non seppe perché, ma ebbe di nuovo la sensazione che stesse sorridendo.
“Tu…tu lo stai facendo di nuovo!”.
“Sto facendo cosa, Eliza?” le domandò sua madre.
“Stai facendo il sorriso di chi sa e capisce tutto!” protestò Eliza.
“Non ho ancora ben chiaro che cosa dovrei aver capito, piccola. C’è una ragione precisa per cui mi hai fatto quella domanda?” insistette Ruri, che nel frattempo stava ignorando i rumori di sottofondo provocati dal detective, ormai non più preoccupato di nascondere la sua presenza.
Eliza si sedette alla sua scrivania, ancora irritata e tesa.
“Near ha richiesto la sua collaborazione, e non ne comprendo il motivo. So solo che non sono propensa a fidarmi di lui” borbottò la ragazza.
“Il motivo?” insistette Ruri.
“ È arrogante, spocchioso, presuntuoso, egocentrico e maleducato. È irritante, è come avere intorno una sorta di presenza malefica che si diverte a farmi saltare i nervi. In altre parole, ho voglia di dargli fuoco e di soffocarlo con quella stupida cioccolata che tanto gli piace mangiare”.
Dall’altra parte, Ruri rimase in silenzio per un altro po’, prima di risponderle.
“Eliza…non vorrei sbagliarmi, ma direi che qui in giro c’è un po’ troppo coinvolgimento emotivo”.
“CHE COSA?!?” saltò su Eliza, provocando le risate della madre “Coinvolgimento emotivo?!? Avresti dovuto vedermi oggi, gli ho quasi sparato!”.
“Ah, peccato che mi sia persa la scena” ridacchiò Ruri “Comunque, non devi preoccupartene, Eliza. Mello è un tipo…beh, non l’ho mai incontrato, ma concordo che possa essere difficile”.
“Usi le stesse parole di Near” bofonchiò Eliza.
“Lui e tuo padre lo descrivono così” spiegò la dottoressa “Ma sono sicura che vi sarà utile averlo intorno. Mello ha molto…spirito d’iniziativa. Ho dato un’occhiata al suo profilo psicologico, in questi anni, da quando tuo padre me lo ha nominato per la prima volta. Ti assicuro che ha tenuto d’occhio tutti i suoi spostamenti e le sue mosse degli ultimi anni. Quel ragazzo ha talento, te lo garantisco. Sarà una bella aggiunta alla vostra squadra”.
“Un mafiosetto californiano che si veste come un’attrice da cabaret…come no…” commentò Eliza, roteando gli occhi in modo disgustato.
“Beh, il coinvolgimento di tuo zio Ayber nella malavita non ti ha mai sconvolto più di tanto. Dovrebbe essere diverso, stavolta?”.
“Certo che lo è! Lo zio ha chiuso con quella roba, molti anni fa” protestò Eliza.
“Solo perché tuo padre ha continuato ad assoldarlo nelle occasioni in cui avevamo bisogno di un infiltrato” le ricordò Ruri “A ogni modo, rilassati, Eliza. Scoprirai che Mello, a giudicare da quanto ho letto e sentito, nasconde più sorprese di quanto immagineresti. E comunque, con te come avversaria non avrà scampo: dubito che desideri incappare nella tua ira funesta”.
“Mi stai prendendo in giro, per caso?”.
“Per niente” la smentì Ruri “E se le cose si mettono male, puoi sempre fargli un buco in testa. Con buona pace di Near e dell’SPK. Ok, tuo padre ha appena detto che non è d’accordo; ma non preoccuparti, se hai bisogno di una pistola che ti copra le spalle…”.
“Ho sempre la tua” completò Eliza, ridendo insieme a lei.
“Bene, adesso ti saluto, Eliza: devo tornare al lavoro, e immagino che vorrai dormire un po’, dato che domani è il grande giorno. Chiamami, se hai bisogno di me. Ah, tua zia Robin mi ha detto di dirti che Carrie arriverà in Inghilterra appena possibile. Ha deciso d’iscriversi all’Università di Winchester, quindi credo che vi vedrete spesso”.
Quella notizia le diede un grande senso di sollievo: Carrie, la figlia di zia Robin, era la sua migliore amica da sempre. In realtà, quando erano piccole, non avevano avuto molte occasioni per frequentarsi, dato che le rispettive famiglie vivevano in Giappone e in Inghilterra, ma crescendo Eliza aveva preso ad accompagnare i suoi genitori e il nonno in giro per il mondo; e senza dubbio, le uniche persone a cui i suoi l’avrebbero affidata con sicurezza erano suo zio Ayber e la famiglia Matsuda. E così come Ruri e Robin erano sempre state amiche per la pelle, così lei e Carrie erano diventate l’una la sorella dell’altra, in maniera del tutto naturale.
“Non vedo l’ora di vederla” affermò Eliza, entusiasta.
“Bene, allora a presto, Eliza”.
Senza sapere bene perché, un moto improvviso, proveniente da un punto imprecisato del suo petto, la spinse a dire quella singola parola.
Mamma…!”.
All’altro capo, Ruri restò in silenzio per qualche istante, prima di riprendere a parlare: il suo tono era intriso di quel sorriso che a Eliza piaceva molto.
“Sì?”.
“Senti, io…grazie. E…ti voglio bene, ok? Vi voglio bene” si corresse infine, ricordandosi che anche Elle era in ascolto.
Tramite il collegamento telefonico, sentì distintamente Elle posare il suo cucchiaino da caffè.
“Anche noi ti vogliamo bene, coccinella. Falli neri, d’accordo?” le rispose infine Ruri.
“D’accordo. È una promessa” le assicurò.
“A presto”.
Una volta chiusa la telefonata, Eliza si appoggiò contro la parete della stanza, chiudendo gli occhi per un secondo.
*Coinvolgimento emotivo. L’ho sempre detto che mia madre è strana* dichiarò, prima di iniziare a spogliarsi con noncuranza, dirigendosi verso la doccia.
Una volta infilatasi sotto il getto d’acqua, lasciò che la sensazione di freschezza lavasse via tutta la stanchezza della giornata; senza dubbio, quello era stato il compleanno più strano della sua vita.
Un nuovo caso di omicidi di cui occuparsi, stranamente collegato al caso Kira in un modo piuttosto inquietante, malgrado gli standard a cui era abituata; il ritorno alla Wammy’s House, l’atteggiamento impossibile di Near, le assurde insinuazioni di sua madre, le manie di controllo di suo padre e…Mello.
Maledetto Mello.
In realtà, si sforzò di pensare, non c’era niente di così assurdo; dopotutto, era abituata a quel genere di vita.
*Già, ma non avrei mai messo in conto niente che potesse avere di nuovo a che vedere con Kira…senza considerare il dover avere a che fare con uno come quello lì*.
Con un sospiro infastidito, prese a massaggiarsi la testa, in preda a un’improvvisa emicrania: ma perché si stava scervellando così tanto? Non era certo il primo brutto ceffo con cui aveva a che fare e che fosse capace di farle saltare i nervi. E in fondo, se suo padre lo aveva tenuto d’occhio…beh, se Ruri ed Elle sostenevano che ci si potesse fidare di lui, non vedeva il motivo per cui lei stessa non avrebbe dovuto farlo. Sì, magari era un gran figlio di puttana, magari avrebbe desiderato sparargli ogni giorno che avrebbe trascorso con lui, magari era insopportabile, magari si meritava d’essere sonoramente preso a calci, ma se davvero era in gamba come dicevano tutti…beh, senza dubbio Near non avrebbe sprecato dieci milioni di dollari per un individuo che non fosse bravo in ciò che gli veniva chiesto di fare.
*E va bene, va bene. Cerchiamo di mantenere la calma. Concentrati sul caso, Eliza* finì per ripetersi, non appena si fu avvolta nell’asciugamano *Non permettere alla primadonna slavata di metterti sotto. Questa è sicuramente…una sfida*.
Ancora stretta nel telo da bagno, si lasciò andare sdraiata sul letto, piegando fino al ginocchio la gamba destra e lasciando rilassata la sinistra, che continuò a penzolare al di sotto del giaciglio, mentre le sue mani sottili sfogliavano il materiale delle indagini, che la ragazza teneva rigorosamente sospeso sopra la sua testa; esattamente come suo padre, era solita assumere posizioni alquanto assurde, soprattutto quando lavorava alla risoluzione di un rompicapo.
*Bene, vediamo. Dieci omicidi, alternati fra Londra e Parigi con un ritmo pressoché inspiegabile, secondo una spiegazione logica. Forza bruta impiegata per estrarre organi umani. No, un organo, Eliza. Il cuore. Dai, concentrati. Perché portarsi via il cuore? Ci sarà una ragione? Un rituale? Un significato simbolico? Escluderei il cannibalismo. In più, consideriamo il potere paranormale. Coraggio, individuiamo tutti gli elementi: prima il profilo psicologico*.
Trascorse gran parte della notte a lavorare sul caso, prima di crollare addormentata sul letto a pancia in giù, un braccio che penzolava al di là del copriletto e i capelli in disordine che le incorniciavano il volto. Solo ad un tratto, un singolo rumore fu capace di strapparla dal sonno, ma la sua natura era stata così brusca e improvvisa da portarla a pensare d’esserselo immaginato. Non poteva sapere che, nella stanza di fianco, Mello si era appena destato a sua volta, dopo aver lasciato andare un grido di rabbia e di terrore.
 
Il pomeriggio successivo, Eliza si avviò alla riunione convocata da Near, la documentazione sottobraccio (già colma dei suoi scarabocchi) e le tasche dei jeans colme di snack dolci; per precauzione, aveva deciso di sfoggiare anche la sua amata pistola alla cintola. In fondo, non poteva sapere che cosa le avrebbe messo di fronte quel primo meeting.
Dopo aver percorso i corridoi assolati della Wammy’s House, provvisti della consueta eleganza e raffinatezza, si diresse verso l’ascensore, intenzionata a scendere al seminterrato, dove Near aveva situato la sala controllo da cui conduceva molte operazioni dell’SPK, quando qualcuno, senza la minima delicatezza, le rifilò una sonora gomitata nel fianco, rischiando di farle cadere di mano tutti i suoi appunti e la documentazione annessa.
Prima che potesse alzare lo sguardo, sapeva già che avrebbe dovuto trattenersi per non insultarlo ancora una volta.
“Tu sei sempre fra i piedi, non è vero? Guarda che il reparto primi passi è dall’altra parte del corridoio, mi sa che stai sbagliando strada, ragazzina” la schernì Mello, addentando quella che era già, con ogni probabilità, la sua ennesima tavoletta di cioccolato della giornata.
“Tu hai proprio sbagliato continente, invece. Lo sai almeno dov’è Alcatraz? Perché non è escluso che riesca a fartici rinchiudere sul serio, balordo” replicò Eliza, fingendo la massima noncuranza, quando in realtà avrebbe preferito estrarre la pistola seduta stante.
Dal canto proprio, Mello ghignò con aria sarcastica, entrando dentro l’ascensore e premendo il tasto della discesa; Eliza sgusciò dentro appena prima che le porte si chiudessero.
Il silenzio calò fra loro in modo quasi inesorabile, rotto soltanto dal ronzio dell’ascensore che proseguiva la sua discesa; solo dopo un paio d’istanti, Eliza si concesse di spiarlo di sottecchi.
Non aveva mai incontrato un individuo simile, di questo era più che sicura. Dai suoi stivali al suo taglio di capelli, Mello aveva qualcosa che non aveva mai veduto prima in nessuna delle persone che le era capitato di conoscere; e senza dubbio, ormai poteva affermare di non averne conosciute poche.
C’era qualcosa in quella persona capace di farla andare su tutte le furie e al tempo stesso di incuriosirla, come se lui stesso fosse stato un mistero da svelare: perché suo padre lo aveva tenuto d’occhio in tutti quegli anni? Se anche davvero in passato era stato uno dei candidati per succedergli alla carica di primo detective al mondo, adesso le cose erano certamente diverse. Per quanto aveva capito, Mello aveva trascorso diversi anni in giro per il mondo, finendo perfino per unirsi alla mafia californiana.
Quindi, qual era il segreto? D’accordo, era bravo (almeno, così dicevano). Ma così bravo?
Doveva pur esserci un motivo, se il suo sesto senso continuava a dirle di non fidarsi di lui.
“Questi ascensori sono decisamente troppo lenti per i miei gusti” commentò a un tratto Mello, riscuotendola dai suoi pensieri.
“Beh, almeno su una cosa siamo d’accordo” sospirò Eliza, sforzandosi di non cogliere alcun commento sarcastico in ciò che lui aveva appena detto.
Per contro, Mello staccò un altro morso dalla sua tavoletta di cioccolata, pronunciandosi in uno sbuffo sprezzante; solo allora, guardandolo dritto in faccia, Eliza notò qualche segno di provamento, appena scorgibile da un occhio attento come il suo. Senz’altro, non dava l’impressione d’aver passato una notte tranquilla.
“Ma tu non hai proprio niente di meglio da fare che fantasticare sulla mia faccia?”.
Quelle parole le provocarono la definitiva rottura di qualsiasi embolo.
“CAZZO!!! Senti, idiota, non so chi ti abbia convinto della tua presunta avvenenza o del tuo presunto fascino, ma posso assicurarti che prima di mettermi a fantasticare su di te mi metterei a nuotare in una fogna! Così ti è più chiaro? Solo perché le persone ti guardano in faccia non significa che vogliano scoparti!” sbottò la ragazza, nuovamente furiosa.
“Io non ho mai parlato di scopare” affermò noncurantemente Mello, non appena le porte dell’ascensore si aprirono.
Senza darle il tempo di replicare, si avviò verso la sala riunioni di Near, lasciandola completamente a bocca aperta.
*Brutto…brutto…Eliza, devi stare calma*.
Sforzandosi di respirare profondamente, si avviò dietro Mello, a testa alta e dipingendosi sul volto l’espressione più impassibile che potesse sfoggiare per l’occasione.
L’ingresso nella sala riunioni dell’SPK le dette una nuova risoluzione e fu in grado di calmarla quel tanto che bastava per un rientro in grande stile: mentre Mello veniva sostanzialmente ignorato o salutato in modo freddo e distaccato, in molti membri della squadra si fecero avanti per salutarla in modo caloroso e per stringerle la mano.
In particolare, Gevanni e Halle furono fra i primi a porgerle la propria, sorridendole in maniera affabile.
“Miss Havisham, siamo lieti che abbia accettato di aiutarci con le indagini. Bentornata a casa” le si rivolse Gevanni, con tono rispettoso.
“Non cambio idea solo se la smetti di chiamarmi ‘Miss Havisham’, Gevanni. Lo sai che non mi piace” gli ricordò Eliza, alzando un sopracciglio e ricambiando il suo sorriso.
“Giusto. Eliza, allora. Bentornata all’SPK” rincarò la dose.
“Iniziamo, dunque. Direi che ci siamo tutti” sottolineò Halle, lanciando a Mello un’occhiata di traverso piuttosto incerta “Near, siamo pronti”.
“Molto bene”.
La voce di Near, accucciato su una poltrona posta a capo del tavolo allestito per l’occasione, la convinse a non seguire lo sguardo di Halle e a non indirizzare a Mello un solo grammo della sua attenzione; per contro, guardare verso il capo dell’SPK la mise nella posizione di non poter ignorare il cenno d’intesa che lui le aveva appena rivolto.
Accidenti. Voleva che si sedesse alla sua sinistra, di fronte a Gevanni.
Lo odiava, quando faceva così.
*Signore e signori, ecco a voi il fenomeno da baraccone, la figlia del genio per eccellenza*.
Sforzandosi di nascondere il suo fastidio, Eliza andò a sedersi vicino a lui, ripetendosi che, quantomeno, essere così vicina a Near avrebbe comportato lo starsene il più lontana possibile da Mello, che comunque non aveva mancato di sottolineare la sua presenza accomodandosi in modo scomposto all’altro capo del tavolo, senza smettere di mangiare la sua cioccolata e accendendosi perfino una sigaretta.
Per contro, Near ignorò diplomaticamente gli sguardi orripilati che i suoi colleghi stavano rivolgendo al tedesco, alzando infine gli occhi sul gruppo che lo osservava, in attesa.
“Bene, signori. La riunione di oggi vede la nostra squadra investigativa al completo, salvo variazioni che mi premunirò di comunicarvi nelle prossime settimane. Quindi, questo è il giorno in cui dichiaro ufficialmente aperte le indagini sul caso ‘AK’”.
Eliza dovette trattenere una smorfia. ‘AK’. Kira’s Adherent. Il seguace di Kira.
*Near e la sua teatralità…*.
“Come risulta dalla documentazione che tutti voi avete ricevuto, ci troviamo di fronte a un assassino diverso da qualsiasi mai incontrato in precedenza. Almeno, per quanto riguarda la nostra diretta esperienza come SPK. Naturalmente, ognuno di voi conosce nei dettagli il caso Kira, perciò eviterò di ridiscutere i dettagli di quella vicenda. Ciò di cui ormai possiamo essere certi è che questo omicida ha più di qualcosa in comune con Kira. Non solo sceglie le sue vittime allo stesso modo, ma sembra anche provvisto di un potere simile a quello di cui Kira si serviva per giustiziare i suoi bersagli, per quanto al contempo le due potenzialità presentino delle differenze. Inoltre, i messaggi sui cadaveri lasciatici dall’assassino lasciano ben poco all’immaginazione. È evidente che ci troviamo di fronte a un altro individuo maniacalmente teatrale, ossessionato da un delirio d’onnipotenza e probabilmente dalla personalità infantile quanto quella di Kira. Comprendere con chi abbiamo a che fare costituirà il primo passo per capire come muoverci. Per questo motivo, ho chiesto ai migliori criminologi della nostra equipe di analizzare il suo profilo psicologico; i risultati che ho ottenuto nelle scorse settimane mi hanno soddisfatto solo in parte, lo confesso. Per questo motivo, adesso vi chiederei di ascoltare il parere sulla questione di Miss Eliza Havisham”.
Eliza lo fissò con espressione sorpresa: voleva già che esponesse le sue teorie? Senza nemmeno uno studio più approfondito?
“Sei sicuro, Near?” gli domandò, accavallando appena le gambe, l’espressione assorta “Posso fornirti solo un quadro approssimativo”.
“Ti sto solo chiedendo un’opinione sommaria, Eliza. Il resto verrà delineato nei prossimi giorni. Dalla documentazione, che cosa puoi evincere sul nostro serial killer?”.
Mentre si accingeva a rispondergli, il suo sguardo non riuscì a tenersi ancora lontano da Mello; con sua sorpresa, si accorse che la stava osservando con un’attenzione che non le aveva mai riservato prima.
E per la prima volta, si rese conto del perché quegli occhi la turbassero così tanto.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: Sono le due di notte e ho scritto di getto come al solito. Accidenti, che capitolo bruttino e anche abbastanza…ehm, non so bene come definirlo. Dico solo che, quando mi sono ritrovata a scrivere di nuovo di Ruri è stato come…non lo so. Da una parte immaginavo una specie di applauso in sottofondo per il suo rientro in scena, dall’altro mi veniva da piangere. No, non sono normale e non lo sarò mai XD In realtà, prevedevo un capitolo più lungo, ma avrebbe finito per diventare dispersivo, quindi lascio il resto della scena al prossimo capitolo ^^ Cosa ve ne pare? Il solito, eh? Eh lo so, rassegniamoci…anyway! Ringrazio infinitamente Always_Potter, MaryYagami_46 e SelflessGuard per aver recensito lo scorso capitolo, grazie di nuovo a SelflessGuard per aver inserito la storia fra le seguite e grazie mille a Darkira e a The Fire (bentornata!!) per aver inserito la storia fra le preferite <3 Spero che tutti voi inizierete/continuerete a commentare! Ah, e un ringraziamento speciale lo faccio a Lilian Potter in Malfoy, che sta amando i Melliza quasi quanto posso amarli fisicamente io <3 E che mi sopporta con tutti i miei scleri su Mello e su questa benedetta serie di fanfiction. Cosa farei, senza di lei <3 Ci tengo a precisare che ha avuto moltissime belle idee per questa storia, e che sarà debitamente citata in seguito a ogni riferimento. SAPEVATELO XD Bene, non mi resta che augurarvi la buonanotte! Al prossimo capitolo! La vostra Victoria <3       

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Capitolo 4
*** Partner ***


Capitolo 4- Partner
 
Per un paio di secondi interminabili, i loro sguardi continuarono a rimanere incatenati l’uno all’altra, incapaci di spostarsi su qualsiasi altra cosa.
Gli occhi di Mello erano colmi di qualcosa a cui non sapeva dare un volto, né un nome; era come se stesse cercando di scorgere qualcosa di cui era disperatamente alla ricerca, senza essere sicuro che avrebbe trovato ciò che bramava.
Probabilmente, come tutti gli altri, stava solo tentando di immaginarsi un dettaglio che potesse ricordargli qualcosa del contegno freddo e distaccato di una persona che non aveva mai neppure visto in faccia. Come chiunque altro, in lei stava cercando Elle.
Prese un bel respiro profondo, spostando lo sguardo sul resto della platea, che la fissava impassibile, in attesa. Bene. Volevano la figlia di Elle? Gli avrebbe dato ciò a cui ambivano.
“Molto bene” iniziò, accavallando meglio le gambe e iniziando a tamburellare sul bracciolo della sedia, lo sguardo fisso sulla tazza di caffè che Gevanni le aveva appena versato; con lentezza inesorabile, prese a riempirla di zollette di zucchero.
“Come vi stavo accennando, direi che è troppo presto per trarre conclusioni affrettate. Quindi, vi pregherei di non fissarvi troppo su quanto sto per dirvi, dato che si tratta di ipotesi da verificare. Stando a quanto ho letto dal vostro verbale, e secondo il parere del Dottor Forester, l’assassino sarebbe un emulatore, un individuo scaltro e pronto a non lasciarsi condizionare da niente, pur di raggiungere il suo obiettivo. Sociopatico, ergo tendenzialmente solitario, noncurante della metodologia d’azione. In altre parole, credete che sia un folle privo di scopo apparente, salvo quello della ricerca di notorietà. Naturalmente, immagino che queste conclusioni siano state tratte prima che le ultime tre vittime facessero la loro comparsa sulla scena. Da quanto vedo, proporrei alla vostra attenzione un profilo psicologico diverso, soprattutto considerando il collegamento con il caso Kira”.
Eliza fece una pausa, bevendo elegantemente un sorso di caffè e continuando a tamburellare le dita della mano destra sulla superficie del tavolo.
Mello, dal canto proprio, cominciò ad accorgersi che era difficile che il suo corpo stesse effettivamente fermo del tutto per più di un paio di secondi; Eliza sembrava sempre scossa da una frenesia indescrivibile, come se ogni centimetro della sua figura, per pensare, non potesse permettersi di adagiarsi del tutto. Osservarla era come assistere allo scoppiettio di una fiamma viva; si muoveva in maniera ritmica, come di chi sta ascoltando un pezzo di musica, picchiettando le dita e al tempo stesso dondolando le gambe snelle, ancora accavallate. Con la mano libera, si spostava spesso i capelli dietro l’orecchio sinistro, tormentandosi il mento mentre parlava e mentre indugiava fra un tassello e l’altro del ragionamento.
Suo malgrado, doveva ammettere che quello spettacolo era quasi intrigante.
*Intrigante? Mells, devi integrare gli zuccheri* finì per pensare, mordendo la sua cioccolata.
“A prima impressione, direi che l’assassino è molto simile all’omicida del caso Kira sotto alcuni aspetti, quanto infinitamente diverso sotto altri. Tanto per cominciare, è infinitamente teatrale. La prova di questo è data dal messaggio che ha lasciato sugli ultimi tre cadaveri. In secondo luogo, agisce in modo simile a Kira per quanto riguarda la scelta delle vittime; dalle vostre indagini, risulta che tutti i morti con cui abbiamo a che fare avessero una fedina penale discretamente lunga. Ma al tempo stesso, sono criminali differenti da quelli giustiziati da Kira. È vero che i loro precedenti penali erano notevoli, ma per lo più si trattava di individui coinvolti in reati finanziari o di natura sessuale. Kira prediligeva gli assassini più di qualsiasi altra categoria: non faceva molti sconti agli altri, ma se proprio fosse vera la pista secondo cui abbiamo a che fare con una sorta di emulatore, direi che avrebbe puntato su bersagli del genere. Fra le vittime, c’è qualche killer, ma si tratta di omicidi colposi o provvisti di attenuanti. Non è esattamente lo stile di Kira. Per tornare al profilo psicologico più nel dettaglio, io lo riassumerei in poche righe. È un sociopatico, con il vizio della teatralità, infantile quanto lo era Kira. Confrontando l’ora dei decessi delle vittime, direi che è anche maniacalmente metodico; ogni omicidio si è svolto alla stessa ora, fra mezzanotte e l’una del mattino, con un margine di mezz’ora al massimo. Il nostro uomo si comporta un po’ come se dovesse compilare un documento da inviare in ufficio: cura ogni dettaglio, dal modo in cui colloca il cadavere in attesa che la polizia lo trovi agli indizi che lascia lungo la strada per far sì che ci accorgiamo del suo operato. Sta giocando con noi. È un narcisista, probabilmente con manie ossessivo compulsive e…beh, non escluderei un disturbo bipolare, a giudicare dal contrasto fra la brutalità degli omicidi e la posa composta in cui vengono ritrovati i corpi. L’ultimo, a quanto mi risulta, era perfino seduto a tavola”.
“Stiamo parlando di bipolarità o di schizofrenia?” le domandò Near, con il suo consueto tono piatto.
“Questa diagnosi è più complicata di quanto non sembri. Direi bipolarità con manie di controllo ossessivo-compulsive accompagnate a un complesso di persecuzione, ma, come dicevo prima, è troppo presto per affidarci a una conclusione concreta. Per farlo, suggerirei di confrontarci maggiormente sull’analisi delle vittime. Il modus operandi e il suo esame verrebbero di pari passo”.
“Cosa ne pensa dei cuori mancanti? Ritiene che abbiano un significato particolare per il killer?” domandò Rester, ascoltandola con la massima concentrazione.
“No, sicuramente li usa per giocarci come fa il tuo capo con i suoi pupazzi”.
Il tono sprezzante e sarcastico di Mello costrinse Eliza a sospirare profondamente, nonché a continuare a tamburellare le dita sulla superficie del tavolo, così da evitare di mettere mano alla pistola.
Gli sguardi di tutti i presenti si indirizzarono verso di lui, che nel frattempo aveva allungato le gambe sul tavolo, continuando ad addentare sprezzante la sua amata cioccolata; senza riuscire a trattenersi, Eliza lo fulminò con uno sguardo.
“Tu hai qualche idea, genio?” gli domandò, con tono irritato “Qualche ipotesi su questo singolo dettaglio che possa rivelarsi oggetto d’interesse?”.
“Il killer è metodico. Non fa mai niente senza una ragione precisa. È scrupoloso, meticoloso, attento perfino alla posizione del cadavere della vittima. Il cuore ha probabilmente un rimando di natura psicoemotiva; non escluderei un disturbo della personalità dato da mania di persecuzione. Caso Parker, 2020. L’assassino falcidiava la vittima perché convinto che potesse tornare a perseguitarlo dopo la morte; pertanto, faceva a pezzi i cadaveri per assicurarsi che questi non potessero effettivamente ‘tornare in vita’. Se fossimo di fronte a qualcosa del genere, allora parleremmo con molta più probabilità di schizofrenia, piuttosto che di bipolarità. L’altra pista che abbiamo è quella di un rituale da compiere, ma escluderei la componente religiosa”.
“E perché?” domandò Gevanni.
“Perché i rituali religiosi non sono così puliti. E non sono così metodici” lo liquidò Mello, scartando una nuova tavoletta di cioccolata “In ogni caso, quei cuori sono stati estratti per qualcosa di più che una semplice fobia psicotica, o il resto del cadavere, con ogni probabilità, sarebbe stato ridotto peggio. La pista più interessante a disposizione è un assassino con uno scopo preciso. Uccidere le vittime non è l’unica cosa che gli interessa”.
“Un omicida convinto che i suoi delitti possano realizzare un obiettivo più grande…è…è folle, ma interessante” convenne Eliza, scatenando la reazione sorpresa di tutti i presenti, esclusi Mello e Near “Avrebbe senso. E coinciderebbe bene con l’ipotesi che ci stia sfidando a tutti gli effetti”.
Mello le lanciò uno sguardo indecifrabile, quasi nel tentativo di cogliere la minima traccia di sarcasmo nella sua voce; inspiegabilmente, capì a un tratto che non ce n’era. Dal canto proprio, la ragazza ricambiò il suo sguardo, l’aria stranita e sorpresa, quasi come se non credesse realmente che fosse stato lui a pronunciare quelle parole.
*Pensavi che solo quel maledetto nano per cui lavori fosse in grado di usare il cervello? Troppo ingenua, ragazzina*.
“Bene”.
La voce di Near lo riscosse dai suoi pensieri, provocandogli una sensazione fastidiosa tanto quanto il rumore di un gessetto rotto intento a scrivere sulla lavagna.
“Il profilo psicologico è completo, almeno sulla base dei nostri elementi attuali. La vostra analisi mi è soddisfacente. Eliza, Mello, vi ringrazio”.
Quell’atteggiamento gli provocò uno scatto d’ira che lo portò a sbattere un pugno sul tavolo, facendo sobbalzare l’assemblea nel suo complesso.
Gli unici che lo fissarono impassibili furono Near ed Eliza.
“Cos’era, uno dei tuoi giochetti, Near? Ti diverti a recitare la parte del capo che si complimenta con i suoi impiegati?!”.
“A dire il vero, Mello, il mio era un complimento sincero. E, considerando il fatto che ti pago per questo lavoro…tecnicamente, tu sei un mio dipendente”.
Le sue parole lo fecero definitivamente scattare in piedi ed estrarre la pistola, puntandola contro il capo dell’SPK e facendo sì che anche Rester e Gevanni facessero lo stesso nei suoi confronti.
“NEAR!! Tu prova un’altra volta anche solo a pensare una puttanata del genere, e posso assicurarti che ammirerai di persona le cervella di cui vai tanto fiero!!”.
Near lo squadrò impassibile per un paio di secondi, prima di riabbassare gli occhi sulla documentazione del caso.
“Rester, Gevanni, abbassate le armi” disse noncurante ai suoi sottoposti, senza degnarli di uno sguardo.
“Ma Near…”.
“Le armi. Mettetele via” ripeté Near, sfogliando alcuni fascicoli “Se Mello decidesse di spararmi, seguirete la procedura prevista per la fattispecie. Nel frattempo, concentriamoci sul caso. Al momento, il killer è svariati passi avanti a noi”.
“Oh, e se ha anche solo metà del tuo sangue freddo, è possibile che ci rimanga” commentò Eliza, reprimendo un sorrisetto che non fece altro che danneggiare ulteriormente i nervi del biondo.
Ancora in piedi, Mello spostò lo sguardo dall’uno all’altra, indeciso su dove puntare il grilletto; dal canto proprio, entrambi lo ignorarono diplomaticamente, riprendendo a riflettere in silenzio sulla documentazione che avevano di fronte.
Per la prima volta, mise in dubbio il fatto che Near fosse l’essere umano che meno tollerava sulla faccia della Terra. La mano libera ancora stretta a pugno, fissò lo sguardo su Eliza, focalizzando tutta la sua furia su di lei, come nel tentativo d’incenerirla con una semplice occhiata.
Più osservava insieme quei due, più arrivava alla conclusione che fossero disgustosamente simili. Stessa spocchia, stesso atteggiamento di superiorità, stessa indifferenza verso il genere umano.
*O magari, è questo che mi piace pensare*.
La osservò per un altro paio d’istanti, ricordandosi quanto facilmente avesse risposto alle sue provocazioni, il giorno prima. Era davvero capace di mostrare due aspetti così diversi del suo carattere? O era figlia di due individui tanto simili quanto diversi fra loro, oppure l’unica soluzione era la schizofrenia pura.
Senza neppure sapere perché, decise di abbassare la pistola. Dopotutto, sparare a quella ragazzina gli avrebbe procurato non pochi grattacapi. E se proprio doveva farlo, meglio non di fronte a tutto l’SPK.
“Una volta appurato tutto quanto abbiamo esposto finora, dovremmo concentrarci maggiormente sulla componente paranormale. A quanto mi risulta, i decessi delle vittime presentano più di una componente connessa a questo particolare aspetto” proseguì Eliza, osservandolo sedersi nuovamente con la coda dell’occhio.
“Esatto. I decessi delle vittime solevano situarsi a un’ora di distanza l’uno dall’altro. Una ritmica progressione di morte che si è succeduta nelle scorse due settimane. Ma con gli ultimi tre omicidi le cose sono cambiate” decretò Near.
“Sono avvenuti in contemporanea…tutti e tre…” mormorò Eliza, picchiettando nervosamente su una delle fotografie che la interessavano.
“Proprio così. Uno di loro si trovava a Trafalgar Square, a Londra. Gli altri due sono stati uccisi a Parigi; uno si trovava all’Opera, mentre l’altro è stato rinvenuto a pochi metri di distanza dalla Torre Eiffel”.
“E tutti e tre presentano ferite identiche a quelle delle vittime precedenti. Il medico legale afferma che lo sterno è stato lacerato completamente, e che le ferite non sono riconducibili a un’arma da taglio. Quantomeno, non a un’arma che sia mai stata impugnata da un serial killer, prima d’ora. Se non si trattasse di qualcosa che a che fare con Kira, probabilmente non ci crederei, ma…”.
“Glieli ha strappati dal petto a mani nude” la interruppe Mello, con tono sprezzante.
“Così sembrerebbe” convenne Near “E la cosa non è stata fatta senza premura per i dettagli; il medico legale afferma che le lacerazioni proseguono per trenta centimetri esatti, fino al superamento dell’apparato gastroesofageo. Questo dettaglio è comune a tutti gli omicidi”.
“Le sue opinioni cliniche in merito? Qualche precedente?” domandò Eliza, ingollando un lungo sorso di caffè.
“Nessuno con un’attenzione così maniacale. Ad ogni modo, il nostro medico legale ha deciso di rassegnare le dimissioni una settimana fa” la informò piattamente Near, riprendendo a giocherellare con i suoi capelli.
“Sei senza un coroner? Sul serio?” chiese Eliza, sorpresa per la prima volta.
“Non ho detto questo. L’Interpol ci ha appena fornito un sostituto, approvato direttamente dallo stesso Elle. A quanto mi risulta, oltre ad avere una qualifica in tanatologia forense, è anche cardiochirurgo. Pertanto, se qualcuno della nostra squadra dovesse averne bisogno, possiamo sempre contare sul suo appoggio e su quello della nostra equipe d’emergenza”.
“Un cardiochirurgo che è anche tanatologo forense? Beh, non mi viene in mente nessuno, a parte…” iniziò Eliza.
“La Dottoressa Cooper. O Starling, se preferisci. Ci raggiungerà la prossima settimana. Confido che troverai costruttivo lavorare con lei, Eliza; da quello che mi risulta, voi due vi conoscete molto bene”.
“Già…è proprio strano che Elle le abbia assegnato il caso” bofonchiò Eliza, visibilmente irritata.
“È la migliore di cui disponiamo” le ricordò Near, atono come sempre.
“Sì, sì, lo so” lo zittì Eliza, scuotendo brevemente la testa e liquidando il discorso con un gesto della mano.
Spostando appena lo sguardo su Near, Mello si accorse improvvisamente che quell’atteggiamento sembrava averlo leggermente infastidito, ragion per cui non poté fare a meno di sorridere dinanzi al comportamento della giovane.
*Ha carattere, la piccola*.
“Bene, appurato questo dovremmo analizzare maggiormente le componenti del rapporto del coroner e confrontarle con l’analisi del fenomeno paranormale legato alle lesioni. Possiamo accedere alla documentazione del caso Kira e confrontare i dati con ciò di cui disponiamo al momento…anche se, devo ammetterlo, per adesso non è molto su cui basarsi” dichiarò Eliza.
“È praticamente niente su cui basarsi” la interruppe Mello, sbuffando e alzando gli occhi al cielo “Senti, omino bianco, possibile che con tutta questa tecnologia di cui disponi tu non riesca a fare di meglio? Non hai neanche un sospettato? Uno straccio di telecamera che possa monitorare la situazione nelle aree interessate? Il bello è che ti pagano pure, per quello che fai”.
“Così come pagano te!” sbottò Gevanni, visibilmente contrariato.
“Già, ma io almeno sono in grado di gestire un’operazione, quando me l’affidano” lo rimbeccò Mello, accendendosi l’ennesima sigaretta.
“Che cosa vorresti…?!”.
“Gevanni, ora si calmi” sospirò Near, appena irritato da quella nuova lite “Quanto a ciò che dicevi, Mello, t’informo che il nostro sistema di sorveglianza satellitare sta monitorando le aree che potrebbero effettivamente costituire una tentazione per il nostro uomo, ma al momento non disponiamo d’informazioni sufficienti su di lui per poter restringere il campo d’azione in maniera significativa. In merito ai sospettati, ci stavo giusto arrivando. Quattro giorni fa, il comandante Rester si è recato in Giappone: gli ho chiesto di svolgere delle indagini riguardanti l’operato di Kira e quello di tutti i personaggi della scena pubblica che si siano mai schierati a suo favore. Abbiamo una lista interessante da cui partire. Lo stesso è stato fatto da altri agenti dell’SPK in Francia e in Inghilterra, e presto ho intenzione di inviare anche una squadra negli Stati Uniti. La nostra base di riferimento a New York ci servirà allo scopo: considerando che il Presidente in carica all’epoca del caso Kira non sembrava propenso a proseguire le indagini, ritengo che ci sia il 56 % di possibilità che lo stesso Kira avesse ottenuto appoggio al Congresso, tramite le minacce o tramite una convinzione vera e propria. Forse ha persino comprato i senatori. Chi può dirlo”.
“Ci terrei a farti notare un piccolo dettaglio, Near” intervenne Eliza, continuando a picchiettare sulla superficie del tavolo.
“Sarebbe a dire?” ribatté Near, iniziando a costruire uno dei suoi piccoli castelli fatti di dadi da gioco.
“È evidente che stiamo cercando di ottenere un bel po’ di informazioni tutt’altro che pulite. Non penso proprio che basterà fare un bel sorriso alla Casa Bianca perché ci consegnino quello che ci serve. Stessa cosa per quanto riguarda Parigi e Londra. Le possibilità che l’MI6 ceda dati del genere senza essere prima trascinata in un duello giudiziario sono pari a quelle che il nostro killer venga a costituirsi a Winchester o a New York. E naturalmente, non abbiamo tempo d’attendere i comodi di qualche magistrato per mesi e mesi”.
“Beh, se Elle potesse intercedere…” tentennò Halle.
“Il caso è dell’SPK” ringhiò Eliza, muovendo nervosamente la gamba accavallata “Non possiamo andare a piagnucolare da lui alla prima difficoltà tecnica”.
“Eliza ha ragione” affermò Near, continuando a impalcare i suoi dadi “Ci serve un metodo più rapido”.
“In pratica, l’hacking è la soluzione migliore” affermò la giovane, lasciandosi andare leggermente contro lo schienale della poltroncina su cui era seduta.
“Ottenere informazioni illegalmente? Ma, Miss Havisham…” protestò Rester, incrociando le braccia.
“L’SPK è un’organizzazione governativa. Se iniziassimo ad agire in questo modo, perderemmo credibilità di fronte all’autorità internazionale” rincarò la dose Gevanni.
“E noi non facciamoci beccare” si strinse nelle spalle la ragazza “Basta solo essere più bravi di loro; tu spari un colpo, e il bersaglio si scansa. O magari no. Dipende dalla tua mira. Allora? Potremmo avere la persona che fa per noi?”.
“Se anche trovassimo qualcuno con le competenze opportune…”.
“Non sarebbe disposto a sporcarsi le mani” completò la frase Mello, la bocca contorta in un’espressione a metà fra il compiaciuto e l’irritato.
“Direi che è questione di priorità. Vogliamo quest’assassino in galera, sì o no?” insistette Eliza.
“Lo vogliamo, ma alle nostre condizioni” affermò Rester.
“Considerando che c’è solo un anno di tempo, direi proprio che siete sull’ottima strada per farvi fottere il caso” aggiunse Mello, accavallando le gambe a sua volta.
Con la massima stizza, Eliza dovette ammettere con se stessa che Mello aveva ragione. Ancora non capiva il perché di tutti quegli scrupoli.
“Fortunatamente, ho la soluzione ai vostri piccoli problemi di coscienza del cazzo” dichiarò Mello, scartando l’ennesimo involucro di una tavoletta di cioccolata.
A quelle parole, Eliza alzò un sopracciglio, colpita da quella rivelazione.
“Sapresti penetrare il sistema di sicurezza e i firewall di tutti i servizi segreti d’Europa e del Giappone?” gli domandò “Sul serio?”.
“Potrei, ragazzina, ma, non trascorrendo la vita di fronte a un monitor, ci impiegherei un paio d’ore di troppo. Ma conosco la persona appropriata per l’incarico. Sempre che Near sia disposto a sganciare altri soldi” le rispose Mello.
“Immagino che tu ti stia riferendo a Matt. Sapevo che mi avresti chiesto di considerare la sua collaborazione alle indagini” replicò Near, voltando la propria sedia verso il bersaglio per le freccette e impugnandone mollemente una, con il solito fare svogliato.
“Io non ti ho chiesto un bel niente. Ti ho detto come spendere al meglio i milioni di cui disponi al momento; se poi preferisci ficcarti un’ottima dritta su per il culo, non sono cazzi miei. Tu e la ragazzina volete sapere chi davvero era vicino a Kira e se potrebbe entrarci con tutta questa storia? Allora Matt è la persona che fa al caso vostro. Per il giusto prezzo, questo è scontato”.
“Naturalmente” sentenziò Near, senza aggiungere nient’altro.
Senza sapere se irritarsi o meno per l’atteggiamento di Mello, Eliza spostò lo sguardo dall’uno all’altro, in attesa che il capo dell’SPK si decidesse ad aprire bocca; più trascorrevano i secondi, più il movimento delle sue dita sulla superficie del tavolo si faceva frenetico, mentre i suoi occhi color cobalto scrutavano l’espressione impenetrabile di Near, la cui mente dispotica e razionale oltre l’immaginabile era intenta a riflettere sul da farsi.
“Molto bene. Ho preso la mia decisione” sentenziò infine Near “Assolderemo Matt per occuparsi della faccenda”.
“Sei…sei certo che sia la cosa giusta?” insistette Rester, subito fulminato dallo sguardo in cagnesco di Mello.
“Sì. Matt ha capacità deduttive di poco inferiori a quelle di Mello; inoltre, è scaltro, veloce e con un’ottima propensione per la tecnologia e l’informatica. Le probabilità che i sistemi di sicurezza che violerà lo individuino sono inferiori al 5 %. D’altro canto, se agissimo secondo vie legali, otterremmo ritardi nelle indagini che non possiamo assolutamente permetterci: ci servono risultati, e ci servono entro pochi giorni, non entro mesi”.
“Bene, allora direi che è perfetto” affermò Eliza, trattenendosi dal tirare un sospiro di sollievo “Quando pensi che potrà essere qui?” domandò poi a Mello, sforzandosi di mantenere un tono neutro.
“Quando gli farà comodo alzare il culo dal divano e spegnere il game-boy per ascoltare quello che ho da dire” si strinse nelle spalle Mello, con espressione annoiata “Ma se intanto gli citassi la questione ‘soldi’, magari potrebbe prendere in considerazione l’idea di accelerare i tempi”.
“Gli offrirò la stessa cifra che ho promesso a te. Non un centesimo di più” sottolineò Near, senza guardarlo in faccia.
“Immagino che gli starà bene” ringhiò Mello, con tono di sfida “Ma soltanto perché Matt è un tipo molto più paziente di me. Per quello che gli chiedi di fare, potresti degnarti di rinunciare a qualche raro trenino che compri con la grana di Washington, Near”.
“Ti ricordo che coinvolgerlo nelle indagini è stata un’idea tua, Mello. Mi sto limitando a cogliere i vantaggi della prospettiva di collaborazione con Matt, ma ci tengo a ricordarti che non posso disporre oltre un certo limite dei soldi dell’organizzazione”.
“Sì, come no” lo liquidò Mello.
“Ricapitolando: abbiamo una bozza di profilo psicologico su cui lavorare e un’analisi del coroner da integrare al più presto. Direi che il prossimo passo è fare più chiarezza su questo elemento e confrontare quello che abbiamo con il profilo psicologico di Kira e dei suoi omicidi. I dati che otterremo da questo raffronto ci porteranno più vicino a restringere il campo per quanto ci serve. Non è escluso che ci serva una copertura con i governi a cui andremo a dare fastidio” dichiarò Eliza, ticchettando a tempo la gamba sinistra.
“Come sarebbe?” intervenne Gevanni.
“Abbiamo deciso di puntare sull’hacking: questo comporta, com’è ovvio, ottenere informazioni coperte da segreto nazionale in modo illegale. Ma quelli di Washington non sono stupidi, e lo stesso vale per Londra o per Tokyo: si faranno delle domande, si chiederanno perché non avanziamo nessuna richiesta. Potrebbero insospettirsi e incrementare le misure di sicurezza dei firewall: per questo motivo, suggerirei di effettuare un paio di telefonate ai piani alti. Posso pensarci io, a Mosca ci siamo creati un paio di contatti utili nel Consiglio di Gabinetto. Chiamarli eviterà di destare sospetti indesiderati”.
“Dal momento che sei la nostra agente più qualificata nelle relazioni internazionali, immagino che sia meglio che te ne occupi tu. Naturalmente, sei autorizzata a disporre di qualsiasi mezzo di cui l’SPK possa fornirti” le disse Near, senza togliere gli occhi dal bersaglio.
“Ti ringrazio” disse Eliza, senza guardarlo in volto.
“Qualcuno ha qualcosa da aggiungere?” proseguì Near, con la massima indifferenza.
“Quanti uomini hai intenzione di impiegare per l’operazione?” chiese Mello, con tono diffidente.
“Tutti quelli che saranno necessari. Al momento, abbiamo dislocato un paio di squadre in Alaska per il caso Jerkins, ma ho già dato loro ordine di rientrare: la faccenda sarà archiviata fino a che non avremo risolto il caso Adherent. Voglio la massima priorità, per queste indagini”.
“Stiamo parlando di uomini validi o dei soliti bambocci che spedisci ai Galà di Capodanno, Near?” insistette Mello, con espressione disgustata.
“Confido che saranno all'altezza delle tue aspettative, Mello”.
Il biondo si pronunciò in un’altra espressione disgustata e si accese l’ennesima sigaretta.
“Bene. Allora monitoreremo la situazione via satellite e procederemo con l’analisi del profilo psicologico. Che mi dici dei corpi delle vittime, Near?” concluse Eliza.
“Il nostro dipartimento di tanatologia forense, insieme alla Scientifica, se ne sta occupando in questo momento. Immagino che tu voglia assistere alle autopsie che si svolgeranno a breve, Eliza”.
“Sì, è esattamente quello che avevo in mente” annuì Eliza.
“Bene. Conserveremo i cadaveri tramite crio-congelamento fino all’arrivo della dottoressa Starling. Le informazioni che necessitavamo ottenere di primo acchito riguardo ai post mortem degli assassinati sono già in nostro possesso”.
“Quindi, il tuo piano consiste nell’aspettare che il killer agisca nuovamente? Da quello che vedo, sei in un vicolo cieco, Near” gli fece notare Mello.
Siamo in un vicolo cieco” sottolineò Near, alzando appena un sopracciglio “Non ho mai parlato di un caso semplice, o non avrei chiamato convocato te ed Eliza. A proposito di questo, naturalmente ogni squadra operativa si dividerà i ruoli da svolgere; al vertice dell’operazione” spiegò il detective, piazzando due dadi in cima alla fila composta in precedenza “Ci sarà il nucleo di comando, composto da Rester, Gevanni, Ridner e me, naturalmente. Inviterei entrambi a considerarvi parte di esso”.
“Questo mi pareva evidente” sottolineò Mello, con aria minacciosa.
“In particolar modo, vorrei che voi due vi concentraste con maggior insistenza sulla psicologia del killer. In altre parole, ritengo che le rispettive competenze lavorerebbero bene, fianco a fianco. Questo ci farebbe risparmiare tempo. Le capacità intuitive e deduttive di cui disponete, secondo la mia analisi, si completano a vicenda. Inoltre, entrambi conoscete il caso Kira meglio di chiunque altro…se si escludono il sottoscritto, Elle e la dottoressa Dakota”.
“In altre parole, vuoi che…vuoi che lavoriamo strettamente insieme al caso?!” sbottò Eliza, assumendo di nuovo un’espressione disgustata.
“Sì. Vi pregherei di considerarvi…partner. Spero che non troviate la cosa inopportuna” sentenziò Near.
Prima che uno di loro potesse aggiungere una singola parola, Mello scattò in piedi, la mano pericolosamente vicina alla pistola che portava alla cintura.
“Vediamo di mettere subito in chiaro un paio di cose, caro il mio omino bianco del cazzo” sibilò il biondo, la presa delle dita ben stretta intorno al bordo del tavolo “Io ho accettato questo lavoro, ma non ho mai parlato di giocare secondo le tue regole. Pertanto, sbatterò questo assassino in galera, ma nel frattempo non ho nessuna intenzione di fare il babysitter!”.
“IL BABYSITTER?!?” sbottò Eliza, balzando in piedi a sua volta ed estraendo la pistola, subito imitata da Mello, così che le rispettive canne andassero a sfiorarsi reciprocamente “TU CI TIENI VERAMENTE TANTO A GUADAGNARTI UN BUCO IN FRONTE, NON È VERO?!?”.
“FACCIAMO A CHI ARRIVA PRIMA?!?” replicò Mello, il dito già pronto sul grilletto.
“SAI UNA COSA?! ADESSO LE METTO IO LE COSE IN CHIARO, SOTTOSPECIE DI DONNETTA ISTERICA CON LE MANIE DI PROTAGONISMO!!! NON M’INTERESSA CHI SEI O CHE COSA HAI FATTO IN QUESTI ANNI, LAVORO CON LA CIA E L’FBI DA QUANDO SONO ENTRATA IN PUBERTÀ! HO MOLTE PIÙ QUALIFICHE DI MOLTI DEGLI IDIOTI CHE LAVORANO AL PENTAGONO! QUINDI, O LA PIANTI CON QUESTO ATTEGGIAMENTO DA FIGLIO DI PUTTANA, O IL PROSSIMO CADAVERE NEI PARAGGI SARÀ IL TUO!!!” sbottò Eliza, l’espressione omicida.
Mello scrutò per un istante i suoi occhi fiammeggianti, provvisti di un’ombra che trovò a un tratto familiare, come se l’avesse già vista da qualche altra parte: la cosa lo lasciò sorpresa per un momento, considerando che era certo che Eliza avesse gli occhi più fuori dal comune di fronte a cui si fosse mai trovato. Lasciò che il suo sguardo corresse sulla rabbia incisa a fuoco nei suoi tratti, nei lineamenti del suo viso, persino nel suo corpo, attraversato da un tremito quasi incontrollabile.
Ad un tratto, capì perché si sentiva così stranito da quella situazione così assurda: la verità era che non aveva mai incontrato prima una persona che gli tenesse testa come quella ragazzina. Non con la stessa grinta e con un atteggiamento paragonabile al suo.
Così come un istante prima la trovava simile a Near, con la sua logica e la sua freddezza, concentrata sul caso, quasi indifferente a ciò che le accadeva intorno, adesso sembrava un vulcano in procinto d’esplodere. O una mina impossibile da disinnescare.
*Eliza Havisham. Una bomba a orologeria. Peccato che io sia il mago degli esplosivi, insopportabile mocciosa*.
“Mettiamola così” decretò il biondo, continuando a tenerla sotto tiro “Prima di tutto, se davvero decidessi di ucciderti, non faresti neanche in tempo a mettere mano alla pistola. Numero uno: io sono il re della balistica. Numero due: tu sei effettivamente una mocciosa, ergo, è realmente di un babysitter di cui hai bisogno. Numero tre: io lavoro da solo”.
“Sono spiacente di doverti informare, Mello, che non possiedi le credenziali necessarie per accedere alle informazioni di cui necessiti per delineare un quadro più preciso del serial killer” intervenne Near, che nel frattempo aveva continuato a giocare con le sue freccette con la massima noncuranza.
“Che cosa vorresti dire?!” sbottò Mello.
“Che dovrai accedere agli archivi dell’SPK riguardanti il caso Kira e che ti servirà supporto operativo, quando opererai sul campo. Inoltre, c’è la probabilità del 27% che tu debba infiltrarti in zona nemica per ottenere ulteriori informazioni: fra tutti i miei agenti, sei quello che sceglierei senza troppi dubbi…”.
“Io non sono uno dei tuoi fottuti agenti” ringhiò Mello, incerto se spostare la mira della pistola da Eliza a Near.
“Ma avrai bisogno di qualcuno che ti copra le spalle. Qualcuno di cui tu possa fidarti” proseguì Near, come se niente fosse.
“Per quello ci sarà Matt, al momento opportuno!” precisò il biondo.
“Il lavoro di Matt prevedrà una componente molto più sedentaria della tua. Ho valutato la questione basandomi sulle rispettive inclinazioni; d’altro canto, vi servirà un supporto tecnico dalla base, e Matt farà alla bisogna, in questo senso. Ma sul campo, dovrai essere operativo insieme a un agente dotato delle tue stesse attitudini”.
“Oh certo, e tu hai pensato bene di appiopparmi la ragazzina!” ribatté Mello.
“La ragazzina di cui parli tu” sbottò Gevanni, muovendo un passo in avanti, mentre Eliza toglieva definitivamente la sicura alla pistola “Parla sette lingue, è esperta nell’uso delle armi da fuoco e delle armi bianche, sa pilotare un elicottero, sa come disinnescare una bomba, è addestrata nelle arti marziali e studia criminologia, matematica avanzata, algebra, fisica quantistica e biologia molecolare da quando aveva sei anni! Direi che hai ben poco di cui lamentarti, con una collaboratrice del genere”.
“E so anche come si castra un esemplare di sesso maschile” precisò Eliza, lasciando a bocca aperta sia Rester che Gevanni “Sai, no? Una granata nel punto giusto e…BOOM BOOM”.
Per tutta risposta, anche Mello tolse la sicura alla sua pistola.
“Prima della fine, hai la mia parola che ti sparerò sul serio, costasse quello che costasse” sibilò Mello, gli occhi ridotti a fessura.
“Non vedo l’ora di fartela mangiare, quella pistola” replicò Eliza, affatto impressionata.
“Come ti è appena stato illustrato, Eliza ha tutte le competenze del caso per il ruolo che le ho affidato, Mello. D’altro canto, non ti sarai aspettato che la sua preparazione non comprendesse tutto ciò di cui Gevanni ti ha appena parlato. In effetti, sospetto che troverai molto…stimolante, lavorare con lei” affermò Near, scagliando l’ennesima freccetta perfettamente nel centro del bersaglio.
“Già, come un fuoco d’artificio infilato su per il…”.
La canna della pistola di Eliza accorciò ulteriormente la distanza che la separava dal volto di Mello, cogliendolo impreparato per la prima volta.
“Avanti, finisci la frase. Finisci quella cazzo di frase!” sbraitò la ragazza, la mano libera sul fianco e gli occhi di nuovo fiammeggianti.
“Adesso basta, Eliza. Devo chiederti di controllarti” la interruppe Near, lanciandole un’occhiata vagamente interessata “Se sparassi a Mello, non ne otterresti assolutamente nulla. Perderesti del tempo prezioso, così come lo perderebbe ciascuno di noi. Lo stesso vale per te, Mello: hai bisogno di Eliza quanto lei ha bisogno di te”.
“Patetico” sbuffarono entrambi all’unisono, riponendo finalmente le armi.
“Potete mettere da parte le vostre divergenze e fare quanto vi ho chiesto?” domandò Near, spostando lo sguardo dall’uno all’altra, in attesa.
Eliza emise un sospiro sprezzante, portando Mello a digrignare i denti per l’ennesima volta.
“E sia. Quantomeno, avrò l’occasione per dimostrarti che non sei altro che un pallone gonfiato” disse la ragazza, indirizzandogli un’occhiata di sfida.
“E io di provarti che i poppanti dovrebbero rimanersene a scuola” sottolineò Mello “In ogni caso, sappi che lavoreremo a modo mio”.
“Oh, e sarebbe a dire?” chiese la giovane, già pronta a sputargli altro veleno in faccia.
“Ognuno lavorerà sulla sua parte della documentazione strettamente per conto proprio: ci aggiorneremo sui risultati raggiunti ogni tre giorni, tramite una riunione operativa, o quello che ti pare. Quando avremo qualcosa in mano, esporremo la faccenda ai tuoi amici parrucconi. E in tutto questo, mi starai fuori dai piedi e terrai chiusa quella maledetta boccaccia di cui sei provvista. Tutto chiaro, principessina?” elencò Mello, sotto il suo sguardo furibondo.
“Hai dimenticato di specificare che non devi azzardarti a invadere il mio spazio vitale e che devi piantarla una volta per tutte di trattarmi come se avessi cinque anni”.
“Perché, quanti ne hai? Sette?” ghignò il biondo, con aria di sfida.
Gli occhi di Eliza si ridussero a due fessure: con uno scatto improvviso, capì che si era trattenuta per poco dall’estrarre nuovamente l’arma.
“Sai che c’è, Marylin Monroe? Vai a farti fottere”.
Senza aggiungere un’altra parola, Eliza girò sui tacchi, afferrando la documentazione del caso e attraversando la sala monitor a grandi passi; arrivata in fondo, la porta automatica si spalancò al suo passaggio, facendo sentire ai presenti nella stanza l’eco dei suoi passi infuriati solo per qualche altro secondo, prima di chiudersi nuovamente.
“Immagino che questo concluda la riunione di oggi” sospirò stancamente Lidner.
“Non avevo altro da aggiungere” si strinse nelle spalle Near “Proseguiremo con l’analisi delle registrazioni delle telecamere di sorveglianza geo-satellitare ed esamineremo tutto ciò di cui disponiamo riguardo agli ex adepti di Kira. Dopo l’analisi del nostro nuovo coroner, ci aggiorneremo sul da farsi. Naturalmente, questo accadrà anche quando tu ed Eliza avrete fatto dei passi avanti, Mello”.
“Sempre che i tuoi uomini sappiano isolare un raggio d’azione prima che il nostro killer faccia un’altra puntatina in una delle capitali” sottolineò Mello, avviandosi a sua volta verso l’uscita.
Poco prima di giungere a destinazione, si fermò per un momento, ma senza voltarsi nuovamente indietro.
“Near” pronunciò, con tono neutro.
“Mello” ribatté Near, giocherellando con uno dei suoi pupazzi.
“Voglio essere molto chiaro su un punto. Non farò da babysitter a quella ragazzina. Sotto nessun punto di vista” sottolineò il biondo.
“Questo me lo hai già detto”.
“Quello che intendo dire è che se salta in aria durante un’operazione di polizia, o se qualcuno le strappa il cuore dal petto, non è un problema che mi riguardi. Se vuoi che la principessa non si spezzi un’unghia, chiedi ai tuoi uomini di sacrificare il culo per lei. Io non ho intenzione di rimetterci la pelle” specificò Mello.
“Non ricordo di averti chiesto di farlo” disse Near, con estrema semplicità.
“Meglio così. Perché se Elle decide di far cadere qualche testa, sappi che non sarà la mia. Sono cazzi tuoi e dell’SPK. Sono stato sufficientemente chiaro?”.
“Cristallino” annuì Near “A ogni modo, scoprirai ben presto che Eliza Havisham è in grado di tenere testa a molti più ostacoli  e difficoltà di quanto non sembri. Ma volendo effettuare un’analisi di quello che si vede a prima impronta, direi che dovresti aver già capito che non è tipo da farsi mettere all’angolo facilmente. È un’agente addestrato a tutti gli effetti, Mello. E posso assicurarti che non ha niente da invidiare a qualsiasi membro dell’SPK”.
“Sarà…” si strinse nelle spalle Mello, con tono scettico “Avrai mie notizie quando ce ne saranno di significative. Nel frattempo, vedi di non seccarmi e di non starmi fra i piedi”.
“Come preferisci” concluse Near, con lo stesso tono inespressivo di sempre.
Ancor più irritato dal solito atteggiamento inumano del detective, Mello uscì dalla stanza a passo pesante, dirigendosi a sua volta verso l’ascensore.
“Near…sei sicuro di quello che fai?” gli domandò Rester, non appena Mello fu uscito.
“Perfettamente, comandante Rester. Sta mettendo in dubbio le mie decisioni?” replicò Near, fissando con attenzione il dado che aveva preso a rigirarsi fra le dita.
“No, sto solo…ecco, non avrei pensato che avresti considerato…ecco, opportuno che Miss Havisham e quell’individuo collaborassero così strettamente. A quanto mi pare di vedere, non c’è una grande sintonia, fra loro” dichiarò il militare, con tono più incerto del solito.
“A una prima analisi, questo potrebbe essere il risultato derivante da una semplice osservazione comportamentale” spiegò Near, riprendendo a costruire il suo castello di dadi “La psiche di entrambi non è semplice da analizzare. Entrambi sono individui votati al raziocinio nella sua forma più completa, ma la loro componente caratteriale è impulsiva e irruente. A quanto mi risulta dalle informazioni che ho ricavato dai brevi incontri avuti con lei, posso affermare con una certezza dell’86 % che Eliza Havisham ha molto in comune con sua madre. Ruri Dakota è una donna tanto intelligente quanto propensa ad azioni prorompenti e rischiose. Per contro, Eliza ha molto in comune con il genio di suo padre, da cui ha ereditato un certo spirito d’iniziativa. Un profilo psicologico del genere si adatta a quello di Mello e ai suoi metodi d’indagine al 96 %. L’unico rischio che corriamo è che i reciproci dissapori li portino a coltivare troppe schermaglie come quella a cui abbiamo appena assistito. Ma sono pronto a correre il rischio di un paio di proiettili conficcati nel nostro quartier generale, se questo è ciò che ci serve per catturare il killer. Voglio il caso Adherent chiuso entro il prossimo anno. In effetti, se ci riuscissimo per la fine dell’inverno sarebbe davvero un ottimo risultato”.
“E tu ti fidi di Mello al punto da chiedergli di guardare le spalle a Miss Havisham? Hai sentito cos’ha appena detto?” replicò Gevanni, incredulo.
“Non è importante che io mi fidi di Mello. È importante che Mello ed Eliza si fidino l’uno dell’altra; e due personalità come quelle di cui entrambi dispongono non possono che agire in questo modo, quando se ne presenta la necessità. Entrambi lavorano molto bene sotto pressione. Sono astuti, intelligenti, scaltri e privi d’inibizione. Perfino troppo, se consideriamo il contesto a cui queste qualità dovrebbero adattarsi. Ma considerando che ho deciso di non dare alla cosa il peso che le avrei attribuito in altre circostanze, va bene così. Vedrete che faranno un buon lavoro”.
“Speriamo in un ottimo lavoro, considerando che avere Mello fra i piedi ci costa venti milioni di dollari” sospirò Rester, passandosi una mano sotto la mascella squadrata “A proposito, vuoi che mi occupi di contattare Matt?”.
“Sì. Spiegagli che Mello ha bisogno del suo aiuto. Insieme ai soldi, questo dovrebbe costituire un incentivo sufficiente”.
 
Al piano di sopra, Eliza si diresse a passo di carica verso la sua stanza.
In altre circostanze, analizzando il suo stato d’animo, avrebbe detto d’essere furiosa, ma sapeva che quel termine non era sufficiente.
In passato, aveva incontrato individui capaci di farla innervosire, o persino arrabbiare; dopotutto, era consapevole di non avere un carattere facile e di dover avere a che fare con persone d’ogni genere, considerando il lavoro che faceva.
Si era scontrata con criminali, politici, banchieri, poliziotti, agenti federali. A volte, si era ritrovata a discutere perfino con Rester o con Gevanni, con cui di solito andava molto d’accordo.
C’erano state numerose persone, nel corso della sua vita, che le avevano fatto alzare il tono di voce, che le avevano persino messo voglia d’estrarre effettivamente la pistola, ma mai nessuno che le instillasse l’istinto di uccidere, se non per stretta legittima difesa.
Dopo sole ventiquattr’ore, Mello aveva abbondantemente superato un traguardo del genere.
*Non si conosce una persona dopo un giorno. Né dopo una settimana, un mese o un anno. Prima le informazioni, poi il profilo dell’individuo. Non c’è spazio per i colpi di testa*.
La sua mente continuava a ripeterle una delle tante dritte paterne (evocate ogni tanto come una sorta di mantra), nel tentativo di permetterle di calmare i battiti frenetici del suo cuore, ma, per la prima volta in vita sua, non sembrava riuscirci. Eppure, avrebbe dovuto essere tutto molto più semplice. Studiare la documentazione, gestire l’operazione, prendere il responsabile e chiudere il caso. Semplice.
Se non fosse stato per il balordo con cui avrebbe dovuto lavorare per i mesi successivi.
Con una smorfia, ripensò a quando sua madre le aveva parlato di quanto trovasse irritante Elle i primi tempi in cui avevano cominciato a convivere, relegati in quelle infinite suite d’albergo.
Ruri le aveva sempre raccontato che all’inizio lo aveva catalogato come la persona più assurda che avesse mai conosciuto.
*Era…completamente folle. Metodico e riflessivo quanto assolutamente inquietante. Se non avessi avuto ben chiaro chi avevo di fronte, avrei pensato a un individuo evaso da un ospedale psichiatrico. Ogni cosa che faceva era…pazzesca e al tempo stesso incredibilmente naturale. Sai qual è il punto? La verità è che Elle si comportava come una persona completamente diversa da tutte quelle che avevo conosciuto in precedenza. Non guardava in faccia nessuno pur di raggiungere un obiettivo, e non si faceva nessuno scrupolo per utilizzare qualsiasi mezzo gli aggradasse per ottenere quello di cui aveva bisogno. Tuo padre è sempre stato…capace di guardarmi dentro. Forse è questa la ragione per cui all’inizio lo odiavo. Magari anche perché invidiavo la sua capacità di sopravvivere al mondo da solo, senza bisogno dell’appoggio di nessuno. Aveva quello di Watari, ma in qualche modo se la sarebbe cavata anche senza. E io…provavo un forte senso d’inadeguatezza, di fronte a lui. Fidati, ci ho messo un bel po’ a capire qual era la sua vera natura. Ma sai una cosa? Per capire com’è fatta una persona, non c’è niente di meglio che risolvere un caso d’omicidi al suo fianco. Ti riserva sempre un sacco di sorprese. Positive o negative che siano*.
Scuotendo appena la testa, entrò nella sua camera da letto e si diresse verso la scrivania, gettando su di essa il materiale del caso Adherent e finendo per sdraiarsi a pancia in su sul pavimento, tamburellando nervosissimamente sulla superficie della moquette.
Mello.
Persino il suo nome era odioso. Il suo nome, i suoi capelli biondi da attricetta di Broadway, la sua voce sprezzante e intrisa di qualcosa a cui ancora non sapeva dare un nome, i suoi vestiti di pelle, i suoi maledetti stivali e i suoi occhi glaciali e inumani, dallo sguardo arrogante quanto la sua personalità.
*Psicopatico. Folle. Spocchioso. Presuntuoso. MALEDUCATO. CAFONE. FIGLIO. DI. PUTTANA*.
E così, Near le aveva giocato un altro brutto scherzo. Non solo doveva collaborare con lui al caso, ma doveva persino occuparsi del medesimo lavoro. Un lavoro che, nella maggior parte dei casi, era soltanto suo.
*Accidenti. Me la paghi, Near, fosse l’ultima cosa che faccio*.
Con un ulteriore sospiro scocciato, si alzò a sedere e lanciò uno sguardo per la stanza elegante, provvista di un bel letto matrimoniale, di una scrivania dove troneggiava un elegante vaso di fiori e di una libreria stracolma di volumi, situata poco prima dell’ingresso del suo lussuoso bagno.
Senza cancellare la sua aria truce, si tirò su in piedi e iniziò a sgranocchiare una tavoletta di cioccolato appena prelevata dal cassetto più vicino, iniziando a camminare avanti e indietro per la stanza. Paradossalmente, per la prima volta mangiare dolci non le serviva per sentirsi meglio: magari perché, a ogni morso, le tornavano alla mente gli schiocchi della bocca del motociclista balordo e i ghigni beffardi con cui li accompagnava.
*Stronzo*.
Ancora non capiva come fosse possibile che un individuo del genere fosse stato allievo della Wammy’s House. Anzi, che fosse stato uno dei migliori in assoluto. Secondo solo a Near, a giudicare da quanto le aveva detto Rester. D’accordo, magari, da quel poco che era emerso durante la riunione, avrebbe potuto convenire che era intelligente, ma di qui a pensare che fosse realmente…beh, era assurdo.
Tanto per cominciare, suo padre non gliene aveva mai parlato. Non che suo padre parlasse molto, certo; fin da piccola, si era abituata ai suoi lunghi silenzi, interrotti soltanto da insegnamenti significativi e da qualche complimento del tutto inaspettato.
Una delle cose di lui che amava era che non alzasse mai la voce; il tono più concitato che gli aveva sentito utilizzare si era presentato solo nelle occasioni in cui lo aveva osservato dirigere massicce operazioni di polizia, dando ordini alle forze speciali di tutto il mondo.
Sua madre, per contro, era capace di prendere per il bavero chiunque le facesse saltare i nervi quanto di condurre un freddo interrogatorio degno della sua reputazione, con chiunque le si trovasse di fronte, che fosse un teppista di basso borgo o un serial killer con esperienza decennale.
Sospirando per l’ennesima volta, si sedette sul letto, gettando da una parte la cioccolata, gli occhi fissi sul pavimento e le mani contratte intorno ai bordi del materasso.
Ruri ed Elle. La coppia più strana e più famosa del pianeta.
Ovviamente, erano in pochi a sapere della loro relazione. Per quanto ne sapeva, oltre a Watari e ai membri dell’SPK, solo gli agenti della polizia giapponese che avevano collaborato alle indagini del caso Kira sapevano che la loro non era una semplice collaborazione professionale, ed erano a conoscenza del fatto che lei fosse la loro figlia.
Agli occhi dell’Interpol e del resto del mondo, Eliza Havisham era un’orfana dalle origini misteriose, adottata da un’anonima coppia inglese e raccomandata da Roger Ruvie e Quillsh Wammy alle autorità internazionali per il suo precocissimo talento, simile in maniera del tutto ‘anomala’ a quello del detective Elle.
Non aveva avuto un’infanzia propriamente ‘normale’. Non che le fosse mai mancato niente o che non avesse avuto tutto ciò che poteva desiderare, compresa l’attenzione (per quanto stramba e anomala) dei suoi genitori, ma non era mai andata a scuola, non aveva mai giocato come una bambina normale, non aveva mai neanche pensato a cose troppo banali come il puro svago, o i giocattoli che tanto piacevano a Near.
La sua vita si era divisa fra lo studio e il ferreo addestramento a cui suo padre e sua madre l’avevano sottoposta: da sempre, la sua vita era stata indirizzata verso la carriera che aveva ormai intrapreso. Non ci aveva mai visto niente di troppo strano.
Dopotutto, non riusciva a immaginare la sua vita senza quel lavoro. Omicidi, sparizioni, collaborazioni con l’Interpol. Aveva iniziato a tredici anni, affiancando sua madre e suo padre su casi minori, sotto la guida e il suggerimento del nonno. Quando ne aveva compiuti sedici, era arrivata la telefonata dell’SPK.
Collaborare con Near non le era mai dispiaciuto troppo, nonostante quel tipo avesse sempre avuto qualcosa che non le permetteva d’essere del tutto a suo agio, in sua presenza; ma nonostante ciò, era consapevole che avessero più cose in comune di quanto pensasse, soprattutto considerando quello che era contenuto nel materiale che suo padre le aveva fornito all’inizio della loro collaborazione.
In particolare, ciò che non le era mai andato a genio di lui era la sua capacità di presentare la soluzione di un problema senza poi esporsi in prima persona per risolverlo. Era come se quel genio freddo e calcolatore fosse materialmente incapace di uscire dalla pista di macchinine tramite cui si schermava dal resto del mondo, e da cui osservava gli altri come un gigante avrebbe fatto con le formiche dalla cima del suo Olimpo.
Eliza, per contro, aveva sempre amato l’azione.
Come sua madre, era tanto intelligente quanto impulsiva, determinata e testarda.
Più testarda di qualsiasi agente dell’SPK, più impulsiva di qualsiasi operativo sul campo.
Suo padre non amava troppo quell’aspetto di lei: una volta, le aveva perfino detto che la sua propensione a mettersi così tanto in pericolo gli risvegliava ricordi che avrebbe preferito seppellire per sempre.
Eliza non si era sentita attaccata da quelle parole, che erano state pronunciate con una tristezza tale da farle rimangiare la rispostaccia che già si era posata sulla punta della sua lingua.
Non la infastidiva che le facessero notare le componenti del suo carattere, che si trattasse o meno dei suoi difetti, ma se c’era una sola cosa che odiava era la sottovalutassero.
Che le mancassero di rispetto. Che la schernissero, la sbeffeggiassero.
Che la chiamassero ragazzina.
Strinse i pugni per l’ennesima volta, sforzandosi di non pensare di nuovo a Mello e alla sua insopportabile faccia da proiettile.
Ma proprio quando era sul punto di cancellare dalla sua mente l’immagine di quel volto dai tratti nordici e appuntiti, un rumore sordo la fece sobbalzare.
Qualcuno aveva preso a bussare insistentemente alla porta, che lei si era premunita di chiudere a chiave dopo essere entrata; non appena ebbe messo piede a terra, nell’arco di una frazione di secondo, i colpi contro la porta si fecero molto più pesanti.
“HAVISHAM!! La vuoi aprire questa cazzo di porta o no?!”.
Quella maledetta voce fu capace di farle saltare definitivamente i nervi.
“MA SUL SERIO?!” sbottò, procedendo a passo di carica verso di essa.
Se Mello ci teneva tanto a rischiare così la sua vita, gli avrebbe dato quello che voleva.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: Voilà!! È un po’ più corto del previsto per ragioni di tempo, visto che avevo promesso che avrei aggiornato entro le 18! Scusate per eventuali errori di battitura, spero che non ve ne siano! Scusatemi, vado di frettissima!! Mille grazie a SelflessGuard, MaryYagami_46, Always_Potter (amo le tue recensioni e i tuoi scleri Melliza <3) e a Robyn98 (BENTORNATA!!) per aver recensito lo scorso capitolo. Grazie in anticipo a Lilian Potter in Malfoy perché so che la sua recensione sta già arrivando :DDD Scusatemi se ancora non ho risposto alle recensioni al capitolo 3, lo farò stasera non appena tornata a casa :D Un bacione a tutti, grazie mille e al prossimo capitolo :D PS: E’ scritto peggio del solito, lo so -.-

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Capitolo 5
*** Not yours, but mine ***


Capitolo 5- Not yours, but mine
 
Eliza spalancò la porta di scatto, l’espressione del volto furiosa e gli occhi che sprigionavano lampi; di fronte al suo sguardo attonito e adirato, Mello se ne stava in piedi sulla soglia, le braccia incrociate e un’espressione sprezzante dipinta sulla faccia, come di consueto; osservandolo per un paio d’istanti, finì per posare l’attenzione sul crocifisso adagiato sul suo petto, ancora intento a dondolare con leggerezza, dopo che il suo proprietario, con ogni probabilità, aveva fatto le scale a tre a tre. Scuotendo la testa, tornò a guardarlo dritto negli occhi, fulminandolo nuovamente.
“Si può sapere cosa cazzo vuoi?! Non avevamo stabilito di non appestarci l’aria a vicenda?!” sbottò la ragazza, bloccandogli l’entrata.
“Avevamo stabilito di lavorare separatamente al caso, mocciosa. Ma se ti appropri di tutta la documentazione, immagino che il proposito sarà un po’ difficile da attuare”.
Lanciando un’occhiata alle sue spalle, Eliza si rese a un tratto conto che, con suo sommo disappunto, non poteva dargli tutti i torti: il plico del materiale del caso Adherent, in tutta la sua voluminosità, aveva già finito per sparpagliarsi dalla scrivania al suo letto.
“E allora? Chiedi a Near un’altra copia!!” sbottò, tornando a voltarsi verso di lui.
“Mettiamo in chiaro una cosa, ragazzina: io non chiedo un cazzo di niente al nano. Non ho intenzione di sorbirmelo per un altro secondo prima di un’altra schifosa riunione operativa: quindi, se c’è uno di noi che deve mollare quei documenti, quella sei tu” precisò Mello, senza battere ciglio.
Eliza fece per aprire bocca per infilzarlo con una delle sue rispostacce, quando un segnale acustico, proveniente dal suo cercapersone, la convinse a desistere.
“Che c’è?!?” sbottò, accettando la chiamata.
*Eliza…sono Gevanni. Ecco…* iniziò l’agente, con tono imbarazzato *Near mi ha appena chiesto di dirti che ha inviato la documentazione del caso in copie separate a entrambi, sui rispettivi portatili di cui vi ha fornito. E mi ha anche chiesto di chiederti di abbassare la voce. Si sta…beh, concentrando*.
Eliza sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
“Ha di nuovo ricominciato a giocare al Grande Fratello con le telecamere?!” protestò la ragazza.
*Solo nei corridoi* specificò Gevanni.
“Beh, digli che se ci teneva tanto alla sua quiete, non doveva costringermi a lavorare con la primadonna isterica! E ricordagli che se scopro che mi ha piazzato un sistema di sorveglianza anche nella stanza, do fuoco alla sua collezione di trenini. Passo e chiudo, Gevanni”.
Una volta interrotte le comunicazioni con Stephen, Eliza indirizzò un altro sguardo omicida al biondo, che per contro si limitò a fare lo stesso.
“Visto?! Ora puoi anche andarci sul serio, al diavolo!” seguitò la ragazza, facendo per chiudere la porta.
Ma prima che potesse riuscirci, la mano guantata di Mello si mise in pezzo, riprendendo a spalancarla nuovamente e avvicinando i loro profili in modo vertiginoso, così che entrambi riprendessero a fissarsi negli occhi in maniera truce.
“Stabiliamo subito un altro paio di regole, mocciosa. Numero uno: tu non mi parli in questo modo. Chi ci prova normalmente, finisce con la testa conficcata sul fondo di un fiume e il corpo appeso all’ultimo piano di un grattacielo. Numero due: prima che a qualsiasi dei tuoi amici parrucconi e prima che all’omino intinto nella candeggina, tu fai rapporto a me. Numero tre: se ti appropri ancora della roba su cui io devo lavorare, giuro che ti riempio di piombo”.
“Numero uno: io ti parlo come cazzo mi pare. E se pensi di mettermi paura, è meglio che te ne torni a Broadway ad azzuffarti con la vicina di camerino, avresti miglior fortuna. Numero due: tu per me non sei nessuno. Non sei a capo delle indagini e senza dubbio non sei un mio superiore, quindi l’unica cosa che farò sarà esporti le mie considerazioni sul caso, dato che Near mi ha chiesto di farlo. Numero tre: quella è la mia roba, caro il mio primadonna isterico. Quindi adesso fila nella tua stanza e vedi di cavare dal buco qualche risultato, prima che Elle decida di toglierci il caso per non aver fatto passi avanti nelle indagini in tempi decenti! Ah, numero quattro: nella mia stanza tu non ci metterai mai piede. E ora vai all’Inferno!”.
Prima che potesse avere il tempo di aggiungere una parola, la ragazza gli assestò un sonoro colpo negli stinchi, facendogli perdere l’equilibrio e costringendolo a indietreggiare, così che lei potesse definitivamente sbattergli la porta in faccia.
Con il respiro ancora affannoso e il cuore che non smetteva di martellarle nel petto, Eliza si appoggiò contro la parete della sua camera da letto, le unghie che quasi andavano a conficcarsi nella carta da parati e gli occhi serrati, segnati da un’espressione furiosa e colma di un sentimento a cui non era in grado di dare un nome.
Era passato solo un giorno, e già era convinta che i suoi nervi non sarebbero arrivati intatti alla fine di quella vicenda. Doveva calmarsi, lo sapeva. Doveva razionalizzare ciò che stava succedendo e doveva smetterla di farsi pungere sul vivo in quel modo.
Non conosceva quel tipo, non sapeva praticamente niente di lui e non le importava chi fosse, da dove venisse, e perché avesse quell’atteggiamento così…irritante, maleducato, arrogante, odioso.
*Non stai razionalizzando, Eliza* iniziò a ripeterle la voce della sua mente, dannatamente simile a quella di suo padre.
*Razionalizzare una bella sega. Io lo uccido, quel bulletto con la faccia da proiettile* sbottò per contro, iniziando a fare avanti e indietro per la stanza.
*Devi solo collaborare con lui alle indagini. Ignora la sua impulsività, ignora il suo atteggiamento. Puoi essere più brava di lui, come tuo solito. Vedila come una sfida*.
Quell’improvviso pensiero la convinse a fermarsi di colpo, appoggiandosi allo stipite della finestra, che le forniva una bella vista sul lato ovest del giardino.
Mello.
Probabilmente, la sua fastidiosa vocetta interiore aveva ragione, come al solito: doveva cercare di calmarsi e di razionalizzare quella situazione. Dopotutto, come già aveva constatato, doveva pur esserci un motivo se Near aveva chiesto la sua collaborazione alle indagini, giusto? Near non era il tipo da convocare il primo deficiente con cui si fosse trovato a che fare nel corso della sua carriera.
A dire il vero, avrebbe giurato che Near non fosse il tipo pronto a convocare chicchessia per qualsiasi ragione; fatta eccezione per lei, forse.
*Già. Perché io sono la stramaledetta figlia di Elle. Eredità genetica*.
Quella considerazione improvvisa la convinse a conficcarsi le unghie della mano destra nel palmo della mano, l’espressione del viso che passava da furiosa a malinconica e delusa.
Cercando di scrollarsi di dosso quel pensiero, ripensò a un tratto alle parole che sua madre le aveva rivolto il giorno prima, volte a rassicurarla sul conto di quell’individuo assurdo con cui avrebbe dovuto trascorrere i mesi successivi.
Infine, rilassò le spalle e si arrese, appoggiando di nuovo il capo contro il muro. Se i suoi genitori e l’SPK si fidavano di lui, avrebbe fatto altrettanto. Dopotutto, si trattava solo di un anno; al termine delle indagini, non lo avrebbe rivisto mai più.
*Ciò non significa che gli permetterò di mettermi i piedi in testa, nel frattempo. Mi piacerebbe proprio sapere chi diavolo pensa di essere, per parlarmi in quel modo. Se proprio ci tiene ad arrivare vivo al mio prossimo compleanno, sarà meglio che riveda un tantino le sue priorità, o giuro su Dio che quella cioccolata gliela ficco…*.
Un segnale di chiamata, proveniente dal suo computer portatile, la convinse a smetterla di rimuginare e a sedersi alla scrivania; con un sorriso più simile a una smorfia, si rese immediatamente conto dell’identità del mittente.
Dopo aver premuto il pulsante INVIO, l’immagine del video le comparve sullo schermo.
La stanza che le apparve dinanzi agli occhi era tanto lussuosa quanto disordinata; gli occhi attenti di Eliza scorsero un grande letto a baldacchino e un pianoforte a coda, accompagnati da un lussuoso lampadario di cristallo, da un confortevole angolo provvisto di divani e di un ampio caminetto e da numerosi vasi di cristallo pieni di fiori. Probabilmente, si trattava di una suite imperiale. Come al solito.
Per contro, l’ambiente era invaso di appunti, di cartelle dall’aria professionale e da piatti contenenti avanzi di cibo (che si riconducevano per intero alla categoria dei dolci).
Con un ulteriore sorrisetto, riconobbe in primo piano un elegante cesto di fragole.
L’uomo che l’aveva appena chiamata ne afferrò una con noncuranza, iniziando a intingerla in una ciotola di panna con fare annoiato, mentre l’altra mano se ne stava appoggiata contro la sua guancia nivea. Come di consueto, se ne stava appollaiato sulla sedia posta di fronte alla scrivania su cui troneggiava il suo computer, ultimo modello della tecnologia presente sul mercato internazionale, ed era circondato, in linea con le sue abitudini, da un discreto numero di piattini da dessert, ciascuno ospitante una fetta di torta diversa. I suoi capelli, neri come l’inchiostro e tendenti al disordine come quelli di Eliza, non sembravano aver subito affatto il trascorrere degli anni passati.
Ci mise qualche secondo per alzare gli occhi e per rivolgerle uno sguardo a metà fra l’incuriosito e il perplesso, quasi come se la chiamata non fosse provenuta da lui; infine, lo vide immergere definitivamente la fragola nella panna per poi infilarsela del tutto in bocca; ancora con la bocca piena, le rivolse un sorriso sghembo, che si andò a estendere agli occhi con l’abituale lentezza e ponderazione.
Suo padre si prendeva sempre tutto il tempo del mondo, prima di cominciare una frase.
“Immagino che tu non abbia cenato” esordì, stringendosi nelle spalle.
“Ciao anche a te” sospirò Eliza, alzando gli occhi al cielo “E comunque no. Sono appena le 18”.
“In Inghilterra, è l’ora giusta” le fece notare Elle, con espressione pensierosa.
“Mi hai chiamato per informarti sul quantitativo di zuccheri che ho ingerito nelle ultime ventiquattr’ore?” brontolò Eliza, tamburellando nervosamente sulla scrivania.
“Ti ho chiamata per informarti che hai appena ricevuto la documentazione sul caso Kira che desideravi esaminare. E per dirti che ad essa ho accluso il dossier sulla persona su cui hai chiesto informazioni a tua madre, ieri”.
Quella singola frase le fece drizzare le antenne e la convinse ad ascoltare con la consueta attenzione: se c’era una cosa di suo padre che l’aveva sempre lasciata attonita era la sua capacità di arrivare dritto al punto di una questione con la massima naturalezza, mantenendo lo stesso tono di chi parla del tempo con espressione svagata.
“Sul serio? Hai un dossier?” domandò, con tono concitato.
“Certo che ce l’ho. Ruri te l’ha già detto, no? Ho monitorato le sue attività nel corso degli ultimi dodici anni. Non posso dire che abbia un curriculum eccellente, anzi…qui ci sono diversi precedenti penali. Ma non è un criminale come gli altri. Mello è…”.
Pronunciava il suo nome con un tono strano, particolare. Era certa che, fino a quell’istante, l’avesse sentito usarlo solo in riferimento a Near; era come se stesse parlando di un vecchio amico che non aveva mai avuto l’opportunità di conoscere come avrebbe voluto. E verso cui, al tempo stesso, provava uno strano senso di responsabilità.
“È una continua sorpresa” concluse poi, ticchettando la forchetta sul piattino del dolce “Stando ai miei dati e alle mie indagini, sembra che tutto il suo operato degli ultimi anni fosse volto a tenere sotto sorveglianza le azioni dell’SPK…e anche le mie, in un certo senso. Non dico che non si sia trovato invischiato in mezzo a situazioni molto poco raccomandabili, come il commercio di armi e lo spaccio di sostanze stupefacenti, ma non abbiamo a che fare con un criminale nel vero senso della parola. È più un…” rifletté un secondo sulla cosa, l’indice intento a tormentarsi il labbro “Un professionista della malavita” concluse poi “Sì, direi che è la definizione esatta”.
“In sostanza, mi stai dicendo che non ci ritroveremo con un coltello conficcato nella schiena” sospirò Eliza.
“Mello non avrebbe motivo di fare una cosa del genere, fidati di me. La caratteristica che lo contraddistingue maggiormente, fatta eccezione per l’impulsività, è la competitività: farebbe qualsiasi cosa per dimostrare d’essere migliore di Near” affermò il detective.
“La caratteristica che lo contraddistingue maggiormente è quella di essere un gran figlio di…”.
“E comunque sia, se davvero intralcerà le indagini, piuttosto che appoggiarne l’esito positivo, la cosa sarà evidente in men che non si dica. Ti ricordo che non avete molto tempo” la interruppe Elle, con la massima noncuranza.
Eliza gli lanciò un’occhiata di sbieco, le braccia incrociate, assumendo un’espressione gelida.
“Dimenticavo. Elle ha intenzione di toglierci il caso, se non otteniamo risultati entro la sua scadenza” pronunciò, a denti stretti.
“Non vedo quale sia il problema, Eliza. Nell’arco di un anno, è possibile ricavare materiale e prove sul conto di un serial killer a sufficienza per ottenere un’incriminazione di primo grado. Inoltre, hai lavorato a casi investigativi che hanno avuto la tua attenzione per non più di un mese, prima d’essere archiviati” affermò Elle, ingoiando un’altra fragola.
“Il problema è che in realtà speri di poter mettere le mani sulle indagini senza che io me ne accorga nemmeno” lo contraddisse Eliza, roteando gli occhi.
“Ma no, non è il caso. Come ti ho già detto molte volte, io ho la massima fiducia in te” la contraddisse Elle, con il consueto tono calmo.
“E allora perché non lasci che mi occupi della cosa come hai fatto in passato con gli altri casi di cui mi sono occupata? Mi stai più addosso del solito, Elle. Qual è il problema?”.
L’espressione di Elle si fece improvvisamente più cupa, come se il detective avesse a un tratto rievocato una parte del suo passato dai connotati oscuri e inquietanti.
“Eliza…il caso Kira è stato…beh, sai quello che voglio dire. È diverso da qualsiasi altro. Da qualsiasi altra fattispecie di cui io e tua madre ci siamo mai occupati, da qualsiasi altra cosa di cui tu stessa ti sia mai occupata”.
“Questo lo so. Dovrò stare attenta, ne sono consapevole. Ma non c’è bisogno di fare tutto questo strepito e di intrufolarti nei casi che l’Interpol ha affidato all’SPK” protestò Eliza, ancora tesa.
“Ti ricordo che l’Interpol risponde a me in prima linea. E che, se fosse stato subito evidente il coinvolgimento di un potere paranormale paragonabile a quello di Kira in quelle indagini, il caso sarebbe diventato automaticamente di mia competenza” sottolineò Elle, bevendo un lungo sorso di caffè.
“Beh, al momento non lo è. Quindi, smettila di agitarti in questo modo e lasciami fare, ok? So quello che faccio” lo rimbeccò Eliza.
“Sono sicuro che la documentazione che ti ho mandato ti darà gli elementi mancanti per avere una visione chiara delle tue indagini. Puoi rivolgerti a me per qualsiasi cosa” rispose il detective, sporgendosi per afferrare un nuovo piattino con l’ennesima fetta di dolce.
“Non ne ho bisogno, sul serio. Grazie per la documentazione, ma per il resto me la caverò da sola. Sono pronta” dichiarò la ragazza.
“No”.
Il tono con cui suo padre aveva pronunciato quella parola, accompagnata dal tonfo secco del piatto di ceramica che si posava sull’elegante superficie della sua scrivania, le scatenò un moto di sorpresa; in attesa che parlasse, Eliza continuò a ticchettare con la gamba da sotto la scrivania, ansiosa di sentirlo proseguire.
Alla fine, Elle rialzò lo sguardo su sua figlia, sospirando pesantemente e chiudendo gli occhi per un lungo istante.
“Non lo sei, Eliza, e molto probabilmente non sarai mai pronta per quello che ti aspetta”.
Quelle parole la travolsero come una sorta di valanga, colpendola dritto al cuore: in un singolo istante, si sentì come quando, da piccola, osservava suo padre concentrato su uno degli innumerevoli casi da risolvere, l’espressione annoiata o concentrata a seconda dell’occasione, le lunghe dita affusolate intente a digitare sulla tastiera del computer, gli occhi cerchiati di nero intenti a estraniarsi dal mondo. Scrutarlo in quelle circostanze era sempre stato uno spettacolo che l’affascinava e la spaventava a un tempo: era come se il suo papà entrasse in un’altra dimensione, in cui lei non poteva raggiungerlo, in cui lei non sarebbe stata in grado di reggere il suo passo. Ricordava che spesso, in quei momenti, il nonno percepiva il suo disagio e la prendeva in braccio, coccolandola e raccontandole uno dei tanti aneddoti della sua vita e del lavoro dei suoi genitori. Le aveva sempre ripetuto che lei era come loro, che era la loro perfetta sintesi.
Con il passare degli anni, Eliza ne era stata sempre meno sicura.
In particolar modo, si era quasi definitivamente convinta che non avrebbe mai raggiunto il livello di suo padre e del suo genio, così metodico, attento, provvisto di una fredda e implacabile precisione chirurgica. E come allora, per la prima volta dopo tanto tempo, Eliza avvertì quella sensazione di smarrimento e di inadeguatezza che aveva iniziato a gravare sulle sue spalle fin da quando era poco più che una bambina.
Le aveva detto esplicitamente che non la riteneva all’altezza. Che, con ogni probabilità, non ce l’avrebbe fatta.
Prima che potesse rendersene materialmente conto, un impeto improvviso all’altezza del petto le diede una nuova risoluzione, portandola ad assumere un’espressione gelida che niente aveva a che vedere con quella adottata da Elle.
Il detective numero uno al mondo non la riteneva capace di occuparsi di quelle indagini? Voleva davvero sfidarla e dimostrare di non poter essere superato? Bene. Avrebbe ottenuto ciò che desiderava.
“Ti dimostrerò che ti sbagli. Consegnerò l’adepto di Kira alla giustizia e lo farò senza il tuo aiuto, e senza quello di Ruri. Questo è il mio caso” pronunciò, a denti stretti.
“Eliza…credo che tu mi stia fraintendendo” disse lentamente Elle, posando del tutto la sua fetta di torta.
“No, non ho frainteso. Ho capito cosa intendevi dire: ti sei occupato del caso Kira e hai mandato Light Yagami nel braccio della morte. Ma questo non è il caso Kira, e non stiamo parlando di Light Yagami. A ogni modo, ti proverò che sei in errore e che anch’io so essere all’altezza delle aspettative. Anche se non sono te” concluse la ragazza, freddamente.
All’altro capo della linea, Elle le rivolse uno sguardo confuso e, in qualche modo, dispiaciuto.
“Tua madre dice che sei arrabbiata con me. È questa la ragione?” le chiese, con un sospiro.
“Non sono arrabbiata con te, Elle. Voglio solo che tu mi lasci lavorare in pace. E che, per una volta…per una sola volta, non debba sempre sottolineare come io non sia in grado di fare tutto ciò che fai tu. Lo so che sei il migliore, non c’è bisogno di ricordarmelo sempre” disse infine, evitando il suo sguardo.
“Eliza…”.
“Senti, ti richiamo. Ho da fare, ok? Salutami Ruri” disse frettolosamente.
“Eliza, ascolta…”.
Prima che suo padre potesse aggiungere una parola, Eliza chiuse la comunicazione, prendendosi la testa fra le mani e lasciando andare un sospiro di pura mortificazione e stanchezza.
Dopo qualche istante, iniziò a massaggiarsi la tempia destra, gli occhi socchiusi fissi sul piano della scrivania, dove troneggiava una fotografia di suo nonno Watari.
Inclinando appena la testa di lato, allungò lentamente una delle sue mani, così fastidiosamente simili a quelle di Elle, così da poter sfiorare il legno della cornice in mezzo a cui troneggiava il volto di suo nonno.
Parlare con lui le mancava da morire; fin da quando riusciva a ricordare, Watari era sempre stato la persona che più al mondo fosse in grado d’aiutarla a comprendere suo padre, persino più di sua madre stessa. A voler essere del tutto onesta, a volte aveva difficoltà a capire persino lei: e in questa missione impossibile, senz’altro la più complessa della sua vita, la guida del nonno l’aveva sempre rassicurata, convincendola che i suoi genitori non erano poi così distanti come a volte lei li percepiva, e che avevano semplicemente un modo tutto loro di vivere le emozioni e di dimostrare i sentimenti.

Non aveva mai avuto reali dubbi sull’affetto che i suoi genitori nutrivano per lei, e il senso di gratitudine che le albergava nel cuore nei loro confronti non l’aveva mai lasciata; ma c’era una parte di lei, neppure così piccola e insignificante, che di quando in quando finiva per prendere il sopravvento, intenta a ripeterle che fra loro ci sarebbe sempre stata un’eterna barriera.
Che non sarebbe mai stata come Ruri ed Elle.
Che non sarebbe mai stata la sua degna erede.
Quel pensiero era capace di ossessionarla, nei momenti peggiori: era capace di comparirle di fronte agli occhi quando non riusciva a dormire, era capace di invadere la sua mente quando lavorava, quando si allenava, persino quando avrebbe dovuto avere la mente sgombra da qualsiasi preoccupazione, intenta a lavorare sull’ennesimo caso.
Eppure, non c’era un motivo razionalmente spiegabile per cui si sentiva così. La sua famiglia non l’aveva mai fatta sentire inadeguata: almeno, non in modo diretto.
Ripensò a un tratto alle parole che aveva rivolto a suo padre, finendo per chiedersi se fosse stata davvero giusta nei suoi confronti e se davvero ciò che aveva detto avesse un profondo significato per lei; con un sospiro esausto, dovette riconoscere che ce l’aveva.
Era raro che suo padre e sua madre le muovessero delle critiche significative o che non la incoraggiassero, ciascuno a modo suo, in tutto quello che faceva; eppure, acquisendo maggiore consapevolezza di ciò che osservava, con il passare degli anni aveva preso a sbirciarli di sottecchi come una sorta di spettatrice che si sente di peso, più che come un membro effettivo della scena e dello spettacolo. Man mano che cresceva e smetteva di essere una bambina, dedita allo studio quanto pronta a lasciarsi scivolare fra le braccia dei suoi genitori e del nonno, aveva cominciato ad analizzare il legame di Ruri ed Elle da un’ottica diversa, quasi come se lei stessa fosse diventata un’intrusa, all’interno della loro unione. Diventando una ragazza, non si era più sentita come ‘la piccola coccinella’, ma semplicemente come una persona che si era ritrovata catapultata di fronte a qualcosa che ormai non riconosceva più: o forse, che aveva sempre avuto di fronte agli occhi, ma senza mai poterlo comprendere o accettare davvero.
La verità era che Ruri ed Elle erano un mondo a parte.
Erano capaci di comprendersi con una parola, a volte persino con uno sguardo e con un tocco. Erano in grado di passare ore intere senza nemmeno guardarsi in faccia, per poi improvvisamente balzare in piedi e dire in contemporanea la stessa cosa. Erano la coppia più strana e al tempo stesso più straordinaria su cui avesse mai posato lo sguardo: aveva avuto modo di esaminare altri esempi di persone che si amavano con tutto il cuore, come nel caso di zia Robin e zio Taro, ma i suoi genitori erano sempre stati diversi.
Assurdi, pazzeschi, impulsivi, capaci di litigare sul gusto della torta da scegliere e al tempo stesso di dare ordini all’Interpol in perfetta sintonia, quasi anticipando l’uno le frasi dell’altra. Qualsiasi azione, qualsiasi parola, qualsiasi gesto che uno dei due rivolgeva nei confronti dell’altro era intriso di significato, di intensità, di una voce tutta sua.
Una voce che Eliza, da quando aveva cominciato a dedicarsi anima e corpo al suo lavoro investigativo, non aveva più sentito.
Ogni notte e ogni giorno della sua vita, da quando era diventata operativa al fianco dell’SPK, erano stati dedicati a un singolo obiettivo: vincere. Essere la migliore. Dimostrare al mondo, e in particolare ad Elle, che lei sarebbe riuscita a cavarsela.
Le parole di suo padre tornarono a rimbalzarle nella mente, convincendola a chiudere gli occhi in uno scatto repentino e a conficcarsi nuovamente le unghie nel palmo della mano.
 
Non sei pronta, Eliza. E non lo sarai mai, per quello che ti aspetta.
 
Senza aspettare un secondo di più, la ragazza afferrò la documentazione del caso Adherent, appropriandosi in contemporanea anche del suo portatile e trascinando il tutto sul letto, su cui cominciò a sparpagliare un gran quantitativo di merendine e di dolciumi della varietà più ampia; per un secondo, i suoi occhi azzurrissimi guizzarono in direzione di una delle sue tavolette di cioccolata, dall’aspetto dannatamente invitante.
Stringendosi nelle spalle, l’afferrò, scartandola velocemente e le assestò un morso deciso, cercando di gustare il sapore sulla lingua e di imprimersene a pieno il ricordo nella mente, quasi come quella fosse stata la sua ultima occasione di assaporare qualcosa del genere.
Quel momento rilassato venne immediatamente interrotto dal pensiero fulmineo che le attraversò la mente e che la convinse a mettere subito da parte la cioccolata.
Il ricordo dello schiocco delle labbra del suo maledetto vicino di stanza, intente a fare a pezzi l’ennesima tavoletta di cioccolata, le impedì di distendere ulteriormente i suoi nervi, costringendola a scuotere la testa per liberarsi di quell’assurdo fastidio.
*Prima Mello, poi Ruri ed Elle, poi di nuovo Mello. Eliza, se non cominci a lavorare sul serio a questo caso, finirai per farti ricoverare in psichiatria. O peggio ancora, finirai per farti soffiare il caso sul serio. Concentrati*.
Dopo aver calciato via gli stivaletti, si arrampicò definitivamente sul letto, sistemandosi a gambe incrociate e riprendendo a mangiare la sua cioccolata, come se niente fosse; dopo aver sistemato la documentazione all’altezza delle cosce, allungò la mano sinistra in cerca del suo I-Pod, senza più staccare gli occhi dalle fotografie e dagli appunti che aveva di fronte.
Quando infine trovò quello che stava cercando, si infilò gli auricolari nelle orecchie e accese il dispositivo, impostando il volume al massimo come al solito.
Per qualche strano motivo, decise di non dedicarsi subito al file sul caso Kira che suo padre le aveva inviato poco prima: come prima cosa, si sarebbe occupata del materiale che le era stato fornito come punto di partenza. Qualsiasi collegamento con le indagini di Elle avrebbe potuto attendere.
*Bene, vediamo. Categoria 45690: serial killer provvisto di manie da delirio di onnipotenza. Scaltro, metodico, eccessivamente puntiglioso e meticoloso. Possibile coinvolgimento della sindrome di Asperger. C’è una certa necessità di…far sì che ogni cosa sia al suo posto, sulla scena del crimine. Come se stesse preparando un set cinematografico per la polizia e per l’SPK. È senza dubbio ossessionato da quello che fa, come se fosse una sorta di missione. Ma perché concentrarsi proprio a Londra e a Parigi? Che cos’hanno in comune le vittime? Criminali con reati a sfondo sessuale…l’assassino potrebbe aver subito molestie. Vediamo. Un possibile trauma infantile? Questo spiegherebbe il perché l’assassino tenda a chiudersi nel suo mondo. È possibile che abbia subito abusi come il bullismo o la pedofilia, magari riconducibili alla sfera familiare. Assenza della figura paterna…coinciderebbe con il profilo da serial killer, tutte le vittime sono uomini. Se giochiamo su questo aspetto e sulla pista del bambino molestato, non escluderei un complesso di Edipo dagli esiti catastrofici. D’accordo. Che cos’ha a che vedere un individuo del genere con un omicida come Kira? Condivideva i suoi metodi? Stava seguendo il suo operato e desiderava far parte del suo progetto distruttivo? Sarebbe una soluzione quasi troppo semplice…perché tornare a uccidere dopo vent’anni dalla chiusura del caso? Che Mello abbia ragione…e se la questione non fosse più soltanto uccidere i criminali, se il punto fosse…cosa ne ricaverebbe, dalla loro morte? Una sorta di macabro senso artistico? No, lo escludo. Troppo metodico, troppo studiato, troppo calcolato per rappresentare il senso morboso di un pittore incompreso. Quindi, vediamo…uno scienziato con manie di protagonismo? Beh, potrebbe avere senso. Ma uno scienziato non avrebbe agito in modo così animalesco sulle proprie vittime. Se il profilo psicologico delineato è corretto, allora significa che abbiamo a che vedere con un killer che non agisce senza motivo. E un uomo di scienza non avrebbe un motivo apparente per fare una cosa del genere: se avesse davvero i mezzi per non agire in questo modo, considerando le sue tendenze metodiche, è probabile che lo farebbe. A meno che la brutalità della morte non abbia un significato tutto suo…potrei spingerlo all’angolo e tendergli una sorta di trappola. Sarebbe una sfida a cui potrebbe scegliere di non rinunciare…ma per farlo, ho bisogno di più elementi. Coraggio, via con l’analisi del coroner. La soluzione è qui, da qualche parte. Fosse l’ultima cosa che faccio, io ti troverò*.
Quasi senza rendersene conto, in maniera conforme alle sue abitudini, cominciò a fare avanti e indietro per la stanza, muovendosi a tempo con la musica, che le scorreva lungo le braccia e le gambe come una sorta di cascata irrefrenabile, accompagnando le mosse della sua mente e del suo genio irrefrenabile, intento a scavare nelle profondità di quel mistero che ancora attendeva d’essere risolto.
 
Nella stanza di fianco, Mihael Keehl si adagiò scompostamente sul proprio letto, addentando un pezzo di cioccolata più grosso del normale, gli occhi azzurri che mandavano lampi e l’espressione del volto contratta in una smorfia irritata e disgustata.
Quella maledetta ragazzina lo avrebbe portato a compiere un omicidio entro il suo successivo compleanno; anzi, di quel passo era probabile che ci sarebbe riuscita entro un paio di settimane.
*La prossima volta che prova a sbattermi una porta in faccia, faccio trovare all’SPK il suo cadavere appeso fuori dall’edificio*.
Non era mai stato un campione di autocontrollo, ma quelle circostanze erano persino più assurde del normale; sapeva di non essere mai stato propenso alla tolleranza del prossimo, ma Eliza Havisham risvegliava in lui qualcosa che non conosceva.
Era capace d’irritarlo e di mandarlo fuori di testa con un semplice sguardo, con una semplice parola, con un semplice movimento; riflettendoci, giunse alla conclusione che solo Near era stato capace di fargli provare una rabbia del genere, prima di allora.
Con la differenza che lui e Near erano praticamente cresciuti insieme, che erano stati rivali fin da quando avevano iniziato a parlare e a camminare e che possedevano due personalità che era l’una agli antipodi dell’altra. Con la differenza che aveva trascorso una vita intera nel tentativo di superarlo, di essere il migliore.
Ma dove Near era un pezzo di ghiaccio privo d’emozione, dove Near si dimostrava alessitimico, concentrato unicamente sul suo dannato puzzle, Eliza si rivelava sempre pronta a esplodere come un vulcano, per poi tornare, l’istante successivo, a impiegare tutte le sue energie in ciò che aveva di fronte. Osservarla riflettere era come assistere a uno spettacolo fuori dal comune.
Ogni espressione che compariva sul suo volto, ogni dettaglio del suo corpo, ogni cellula del suo organismo sembrava impegnata nella produzione di un singolo ragionamento, mentre in realtà, in contemporanea, la sua mente stava già lavorando sul successivo, collegandone le deduzioni e le possibili ipotesi derivabili.
Con somma stizza, si ritrovò a dover constatare che ci stava pensando decisamente troppo.
*Lascia perdere la ragazzina. Se vuoi battere Near, concentrati sul killer* si ripeté mentalmente, ingoiando l’ultimo pezzo di cioccolata e accendendosi una sigaretta.
Con un colpo secco, si tirò su dal letto, dirigendosi verso il suo computer portatile e accendendolo, così da poter accedere alla documentazione che Near gli aveva appena inviato sul caso Adherent.
Prima che potesse farlo, il segnale d’arrivo di una mail lo distrasse improvvisamente; aprendola, con un sospiro e un sorrisetto che gli venne strappato suo malgrado, non ci mise molto a capire l’identità del mittente.
 
Mello, PORCA DI QUELLA PUTTANA.
Dieci milioni di dollari. DIECI! Mi avevi detto che Near aveva parlato di una proposta interessante, ma non pensavo COSÌ interessante! E vogliamo parlare del caso? Rester mi ha appena mandato tutte le scartoffie, è una FIGATA. Senza contare i rimandi al caso K…che cosa diamine aspettavi a chiamarmi? Lo so che preferisci stare al centro del palcoscenico, ma ti avrei preso a calci nel culo fino in Antartide, se non ti fossi deciso a fare il mio nome! Ad ogni modo, sto già buttando le cianfrusaglie in valigia. Sarò da te entro un paio di giorni, il tempo di arrivare.
Ah, la sai una novità? Near mi ha pagato persino il viaggio! Un posto in prima classe su un aereo privato del governo americano! Dovremmo lavorare più spesso con lui…
Ok, adesso probabilmente starai già mettendo mano alla pistola, quindi lascio da parte i miei sogni di gloria e torno sobrio.
Come ti dicevo, mi hanno inviato il materiale sulle indagini, ci darò un’occhiata durante il volo. Superare i sistemi di sorveglianza non sarà un problema, te lo garantisco: una volta dentro, potremo scambiarci i dati di cui necessitiamo attraverso una linea criptata e schermata dai Firewall, come quella che stiamo usando adesso. Fico, no? Sarà come essere sotto il Mantello dell’Invisibilità…come Harry Potter! Già, ma tu non sai cos’è Harry Potter…ok, lascia stare, non importa.
Gli faremo un CULO COSÌ! Vedrai!
E con i soldi che intascheremo, potremmo fare un salto a Las Vegas! Mi devi ancora la rivincita al casinò!
Ci vediamo fra un paio di giorni, amico. Ah, e non sparare all’omino bianco, nel frattempo.
 
A presto, Matt
 
PS: Rester si ostina a non rispondermi sulla questione, ma qualcosa mi dice che nei paraggi ci sia la figlia del capo. Del GRANDE capo. Me lo confermi?
 
Mello si pronunciò in una smorfia disgustata, roteando gli occhi.
Ma bene. Adesso ci si metteva pure Matt a stendere i tappeti rossi per la dannata principessa dell’SPK. Perfetto.
Decise istantaneamente che avrebbe risposto al suo amico in un secondo momento, magari quando non avrebbe avuto voglia di spaccare il portatile contro la parete.
In preda al nervosismo, si accese un’altra sigaretta, passando all’esame definitivo della documentazione di cui disponeva; sforzandosi di rilassare i muscoli, si appoggiò allo schienale della sedia, lasciando penzolare il braccio sinistro all’indietro, mentre le dita della mano destra premevano insistentemente sui tasti del mouse, scorrendo le fotografie scattate dalla Scientifica.
*Bene, figlio di puttana. Vediamo di cominciare il gioco* pensò, lasciandosi sfuggire un ghigno di soddisfazione: quel serial killer non gli sarebbe sfuggito. 
La sua mente alacre cominciò a esaminare le componenti che aveva di fronte, cominciando dalla descrizione dello stato dei cadaveri.
L’unica mutilazione evidente era quella della cassa toracica, che veniva regolarmente sventrata e da cui veniva sottratto il cuore, in ogni omicidio.
*I corpi vengono letteralmente squartati, ma senza che le ferite possano essere riconducibili a un’arma da taglio. Questo si collega immediatamente alla componente paranormale. L’assassino compie gli omicidi a mani nude: pertanto, questo significa che è dotato di una forza brutale, senza dubbio ottenuta in modo simile al potere omicida di cui disponeva Kira. Dispone i cadaveri in maniera composta, come se intendesse lasciare un messaggio ben preciso sulla scena del crimine; e nonostante la brutalità degli omicidi, dal modo in cui posiziona queste carcasse sembra quasi che cerchi una giustificazione per ciò che ha fatto. È metodico e calcolatore, e al tempo stesso non lo definirei come un individuo abituato ad avere a che fare con la violenza. Questo potrebbe voler dire che abbiamo di fronte un essere capace di farsi prendere dal panico e di commettere un errore significativo…ma sarebbe fin troppo facile. I criminali, vittime della sua furia omicida, vengono rinvenuti in quartieri altolocati. Non punta sui pesci piccoli, ma al contempo non ama scegliere fra le vittime responsabili di crimini appurati e certi. E nessuno dei soggetti che ha ucciso aveva precedenti penali che riguardassero l’omicidio. In particolare, ha una predilezione per gli stupratori. Si direbbe che il nostro uomo abbia un trascorso di abusi sessuali alle spalle che potremmo prendere in considerazione. Un frustrato, ossessionato da una sorta di delirio di onnipotenza. Ma perché estrarre il cuore? Ha senza dubbio un piano. A cosa gli possono servire? Un rituale? No, troppo scontato. Senza dubbio, non un rituale religioso, o gli omicidi sarebbero velati da un’impronta di panico e non sarebbero programmati così bene, scientificamente parlando. Ma se davvero fosse affetto da delirio di onnipotenza…beh, ci potrebbero essere delle possibilità. E la scelta di Londra e Parigi…che sia un rimando teatrale a qualcosa? Oppure, l’assassino è particolarmente legato a qualche avvenimento manifestatosi nelle due capitali. Un europeo? Ma se così fosse, i suoi contatti con Kira, o per meglio dire con Light Yagami, non avrebbero avuto modo di essere così frequenti…a meno che non si tratti di un pezzo grosso. Un membro della classe dirigente, magari, capace di contattarlo e di svelare la sua identità. Ma andiamo, Kira era soltanto un ragazzino. Quando è stato arrestato, Light Yagami era appena al primo anno d’università; eppure, era fuori dal comune. La classe politica giapponese si era già arresa alla sua influenza ben prima che Elle riuscisse a smascherarlo. Il punto è…stiamo parlando di un serial killer devoto alla sua causa…o di uno che intende prenderne il posto e il titolo?*.
Le ore iniziarono a trascorrere senza che nemmeno se ne accorgesse: fotografie che continuavano a scorrergli di fronte, dati, deduzioni dell’ex coroner, rapporti di polizia, orari del decesso, toracotomie post mortem, analisi del perimetro satellitare delle scene del delitto. Tutte quelle informazioni continuarono a vorticargli in mente, lasciando pochissimo spazio a qualsiasi altro pensiero. Doveva individuare il definitivo punto di partenza, doveva capire qual era il dannato punto debole del suo avversario.
*Quando negli scacchi mandi avanti i pedoni, devi già aver capito come muovere il tuo alfiere*.
Solo dopo aver trascorso un tempo indefinibile su quel materiale, intorno alle tre del mattino, qualcosa, dentro di lui, scattò. In seguito, ripensandoci, non fu del tutto in grado di capire per quale motivo fosse tornato su quel singolo dettaglio e sull’immagine lo ritraeva, considerandone l’apparente irrilevanza. Ma un ultimo dato proveniente dalla documentazione del caso Kira lo convinse definitivamente che stava proseguendo nella direzione giusta.
Si alzò di nuovo in piedi, un sorriso trionfante dipinto sulle labbra.
Adesso aveva finalmente una pista.
*Questo ti costerà caro, figlio di puttana*.
Non poteva sapere che, nella stanza di fianco, Eliza era giunta alla stessa, identica conclusione.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: Questo capitolo non è brutto. È ORRENDO. Non avete idea di quanta fatica mi sia costato scriverlo, nel senso che proprio non mi veniva! Brutto, ripetitivo, scritto male, non si va avanti quasi per niente. Un capitolo di transito, in sostanza. Io ODIO i capitoli di transito. Dovete perdonarmi, sul serio. Sono oberata dagli impegni, e rischio di andare più fuori di melone del solito. In più, dalla prossima settimana l’università comincerà a travolgermi come un’onda anomala, quindi avrò molto meno tempo per scrivere. Sì, lo so. Posto in ritardo, con un capitolo obbrobrioso e più corto del solito, e vi annuncio che dalla prossima settimana le cose si faranno più difficili. Mi amate, confessatelo. Vi prometto che il prossimo sarà più lungo e più decente di questa schifezzina, ma purtroppo non posso dirvi da subito quando sarò in grado di postarlo. Vi avviserò come sempre, promesso. Un immenso ringraziamento a Always_Potter, SelflessGuard e MaryYagami_46 per aver recensito lo scorso capitolo, siete troppo gentili come sempre. Scusatemi ancora, e a prestissimo, la vostra Victoria  
 

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Capitolo 6
*** Activated ***


Capitolo 6- Activated
 
La mattina successiva, Near si accomodò con la massima calma sul pavimento della sala monitor del quartier generale, circondato, come d’abitudine, dalla sua adorata pista di macchinine e da alcuni dei suoi pupazzi preferiti; i suoi occhi grigi, privi apparentemente d’espressione, si concentrarono su di essi per un paio di secondi, prima che le sue mani affusolate ne prendessero in mano uno, iniziando a schiacciarne la testa con tocco leggero e annoiato.
Il ronzio dei computer gli arrivava alle orecchie senza che lui se ne accorgesse, accompagnato dallo stridio dell’impianto condizionatore e dal piccolo allarme che il fax lanciava di quando in quando; come di consueto, Nate River sembrava completamente estraneo alla realtà che lo circondava.
La sua mente glaciale e calcolatrice, impenetrabile per chiunque, stava lentamente disponendo di fronte a sé gli elementi del caso di cui era già in possesso, valutando la mossa successiva a cui avrebbe dovuto dedicarsi. Aveva bisogno di un indizio, un singolo indizio che collegasse gli omicidi fra loro e che permettesse al puzzle di cominciare ad avere un senso.
Arrivarci non sarebbe stato un problema. Non lo era mai. La questione era come concretizzare il suo obiettivo seguente: trovare la tessera successiva. Se Kira era davvero tornato, avrebbe avuto a che fare con qualcosa che trascendeva la pura logica razionale: non che questo lo spaventasse realmente, ma senza dubbio avrebbe avuto bisogno di analizzare il fenomeno con più attenzione, rispetto all’ordinario. La componente paranormale era un’ovvietà spaventosamente ovvia, e su quel particolare aspetto del caso non trovava opportuno soffermarsi troppo a lungo.
L’unico modo per comprendere definitivamente come quel potere potesse davvero funzionare in maniera effettiva era trovare il colpevole, come aveva dovuto fare Elle quando si era trattato di recuperare il Death Note. Non era escluso, d’altro canto, che quella fosse proprio l’arma di distruzione di massa che stavano cercando.
L’elemento determinante, al momento, era capire cosa spingesse il killer ad agire e quale fosse il suo intento a lungo e a breve termine.
*Gli omicidi non sono volti unicamente a provocare la morte della vittima. Fanno parte di un quadro, di uno schema ben preciso che si sta dipanando di fronte all’attenzione di chi assiste al massacro e di chi cerca di fermarlo. Adherent è senza dubbio un killer provvisto di manie di protagonismo, ed è infantile quanto Kira. D’altro canto, se cerca di imitarlo e auspica una sorta di ‘resurrezione’ del suo maestro, questo è piuttosto evidente. Ma quale sarà il suo vero scopo? Vuole proseguire l’opera di Kira o cerca di dimostrare qualcos’altro? Qual è la chiave di volta? Un senso della giustizia deviato e malsano. Se le vittime sono collocate rispettivamente all’interno del perimetro di Londra e Parigi, allora questa non può essere una casualità. Un omicida così metodico non sceglierebbe la propria scena del delitto puramente sulla base di un capriccio o della sua impulsività. E le uniche cose che gli assassinati hanno in comune al momento sembrano essere i loro precedenti penali, tutti riconducibili a fattispecie analoghe*.
“Near” intervenne Gevanni, interrompendo il flusso dei suoi pensieri “Questi sono i dati relativi ai procedimenti giudiziari a carico delle vittime del killer che mi avevi chiesto”.
“Grazie, Gevanni” replicò Near, allungando la mano con il solito fare annoiato, senza degnare il suo sottoposto di un solo sguardo.
Dalla sua posizione raccolta in terra, Near sfogliò brevemente il fascicolo, tormentandosi alcune ciocche di capelli con la mano libera: alle sue spalle, Gevanni e Lester, come d’abitudine, attendevano un responso, consapevoli che esso sarebbe presto arrivato. Con Near, non c’era il rischio di non giungere in fretta a un risultato.
“Bene, direi che adesso è chiaro” commentò infine Near, dopo un paio di minuti.
“Come sarebbe?” replicò Lester, stranito.
“C’è un filo rosso che lega le vittime degli omicidi avvenuti finora. La componente principale che hanno in comune riguarda i loro precedenti penali: tutti loro avevano alle spalle un procedimento giudiziario, archiviato o pendente che fosse, riguardante reati a sfondo sessuale. Due di loro erano stati persino accusati di stupro ai danni di minori di quattordici anni. Analizzando la documentazione relativa al periodo in cui i processi hanno effettivamente avuto luogo, si può giungere a una conclusione piuttosto ovvia”.
Fece una breve pausa, tormentandosi con più intensità le ciocche nivee e giocherellando distrattamente con un dado.
“Tutte le cause sono state poste sotto il patrocinio di un singolo pubblico ministero. La sua carriera è cominciata in Francia, ma ben presto si è trasferito in Inghilterra. Recentemente, le sue qualifiche professionali ed accademiche gli hanno dato accesso all’High Court. Se le mie supposizioni fossero esatte, avremmo a che fare con un alto esponente della classe dirigente e della magistratura inglese. Nel caso in cui fosse in qualche modo collegato agli omicidi, dovremo muoverci con circospezione”.
“Di chi stiamo parlando?” domandò Lester.
Prima che Near potesse materialmente rispondere, i due ingressi automatici di cui la stanza era predisposta si spalancarono di colpo: nel giro di un paio di secondi, Eliza e Mello giunsero al tavolo centrale della stanza, già ingombro di documenti e fotografie, sbattendo sulla sua superficie due dossier identici, su cui troneggiava in primo piano l’immagine di un uomo distinto, probabilmente facente parte di una classe sociale decisamente altolocata.
Sul volto di entrambi troneggiava un’espressione luccicante di trionfo: per un momento, sembrava che nessuno dei due fosse consapevole della presenza dell’altro.
“Edward Greyfox!!” sbottarono all’unisono.
L’aver pronunciato insieme lo stesso nome li riportò a un tratto alla realtà, in cui dovettero improvvisamente convivere con l’idea di essere giunti alla medesima conclusione quasi in simultanea, e di averla persino pronunciata a voce alta nello stesso istante.
Ormai consci della cosa, presero a lanciarsi occhiate infuocate, unite a espressioni colme di reciproco disgusto, mentre Eliza incrociava le braccia e Mello addentava rabbiosamente la tavoletta di cioccolato che aveva appena estratto dalla tasca.
“Mi sembrava di averti detto di non starmi fra i piedi, ragazzina” commentò Mello, senza più degnarla di uno sguardo.
“E a me sembrava di averti detto di andare a farti fottere” sottolineò Eliza “E comunque, non sono qui per perdere il mio tempo con te. Ci sono novità sul caso”.
“Non ho bisogno di farmi illustrare niente da una mocciosa del tuo calibro. Queste sono le mie indagini” sottolineò Mello, con fare tagliente.
“Le tue indagini?! Nei tuoi sogni, signor primadonna! A proposito, non è l’ora della prova costume? Perché non te ne torni in camerino?!” sbottò la ragazza, alzando drasticamente la voce.
“Calmatevi, insomma!” sbottò Lester, alzando gli occhi al cielo “Che cos’è questa storia? Chi è questo Greyfox?”.
“Il giudice dell’High Court di cui stavamo parlando poco fa. Mello, Eliza, siete arrivati al momento opportuno” affermò Near, assestando un colpetto a uno dei suoi robot giocattolo e mandandolo disteso sul pavimento.
Sentendolo parlare così, i due assunsero un’espressione furibonda e schifata: se avessero potuto averne coscienza, ben presto si sarebbero resi conto che le loro facce comunicavano la stessa identica cosa.
“Se sapevi già di Greyfox, perché non hai pensato di mettermene a parte?” domandò Eliza, alzando un sopracciglio con aria fredda.
“Se hai intenzione di farmi perdere tempo, dillo da subito, nanerottolo. Mi prendo i tuoi soldi e tolgo il disturbo senza più occuparmi di risolvere i tuoi cazzo di problemi” precisò Mello, stringendo minacciosamente la presa intorno al bordo del tavolo.
“State saltando a conclusioni affrettate. Sono giunto a formulare l’ipotesi che Greyfox sia meritevole della nostra attenzione solo tre minuti fa: d’altro canto, essa ha solo il 17% di possibilità di potersi rivelare una pista concreta e dai risultati soddisfacenti” precisò Near, andando ad appollaiarsi sulla sedia più vicina.
“Per i tuoi standard, è una stima da brivido” commentò Eliza, sedendosi di fronte a lui e accavallando le gambe, accompagnate dall’abituale ticchettio.
“Mi auguro che tu abbia idea di dove andare a parare, Near” sbuffò Mello, accendendosi una sigaretta “Da quello che risulta dalle scartoffie, questo tipo sembra un osso duro”.
“Non per l’SPK, naturalmente” precisò Near.
“È facile parlare, con il culo ben piantato in mezzo alla pista dei tuoi ridicoli trenini” ringhiò il biondo, lanciandogli un’occhiata di traverso.
“Scusatemi, ma non mi sembra molto chiaro il motivo per cui dovremmo concentrarci su questo magistrato” sospirò Gevanni, sorseggiando lentamente il suo caffè “Il fatto che le vittime del killer siano state processate da lui non implica necessariamente che questo sia un elemento determinante per le indagini”.
“Peccato che tutti loro siano stati contattati privatamente dallo stesso Greyfox esattamente ventiquattr’ore prima della loro morte” specificò Eliza, gettando sul tavolo la documentazione che faceva riferimento ai dati di cui parlava “Ho verificato i tabulati telefonici. L’ufficio della procura distrettuale di Greyfox ha preso contatti con tutti i criminali che Adherent ha ucciso di recente: sembra che Greyfox stesse cercando di far riesaminare i casi già archiviati che riguardavano alcuni di loro, probabilmente servendosi della sua nuova influenza di membro dell’High Court britannica. A quanto pare, gli sono state chiuse diverse porte in faccia, ma ha comunque ottenuto di poter formulare alcune convocazioni formali. Dopo questi episodi, sembra che gli assassinati abbiano subito forme di stalking, le settimane precedenti la morte. Nell’ultimo rapporto di polizia, dice che l’ultima vittima, Jack Therence, è stato visto vicino al London Bridge circa due giorni prima che ritrovassero il suo cadavere. I testimoni dicono che delirava e che parlava con entità invisibili, ma non mi risulta che la sua cartella clinica parlasse di episodi che profilassero uno stato psicotico provvisto di allucinazioni. Naturalmente, se avesse visto qualcosa come uno shinigami…”.
“Per farla breve, Greyfox deve aver trovato il modo di portare le vittime prescelte sull’orlo della follia, prima di ucciderle. Stringere la vittima in un angolo e farla sentire in trappola è un comportamento tipico di un killer con tendenze narcisistiche, che prova il bisogno di essere al centro dell’attenzione e di avere tutto sotto controllo” la interruppe Mello, addentando un altro pezzo di cioccolata.
“Potremmo anche parlare di qualcosa di reale, e non di allucinazioni. Se è riuscito a mettere le mani su un altro Death Note, non staremmo parlando di pura manipolazione. A meno che questa non fosse inclusa nel pacchetto precedente la morte della vittima stessa” puntualizzò Eliza, indispettita.
“Stiamo giocando su un terreno troppo instabile” scosse il capo Lester, mentre anche Halle entrava nella stanza, sorridendo ad Eliza e facendole un cenno gentile “Se questo Greyfox è il pezzo grosso di cui parlate, un paio di telefonate da parte del suo ex ufficio legale alle vittime del killer non basteranno per  convocarlo per un interrogatorio. Potrebbe anche essere stato incastrato”.
“Non ho mai parlato di volerlo convocare per un interrogatorio” precisò Near, iniziando a costruire il suo castello di carte.
“Ma…ma come?” replicò Gevanni, stranito.
“Le nostre supposizioni sono ancora troppo incomplete per poter fare una cosa del genere: in più, come stavate giustamente sottolineando, avremmo bisogno di più elementi per avere un’idea chiara di come procedere. Aspetteremo di saperne di più sui dettagli relativi al modus operandi che ci verranno forniti dalle autopsie definitive e confronteremo fra loro i precedenti penali delle vittime, facendo particolare attenzione ai procedimenti giudiziari che sono stati posti sotto l’attenzione di Greyfox. Dopodiché, se quest’analisi ci darà risultati soddisfacenti, provvederemo a monitorarlo più di quanto non staremo già facendo. Al momento, terremo d’occhio il suo ufficio e la sua abitazione con il satellite; se i nostri sospetti si incrementeranno, passeremo a un controllo serrato ventiquattr’ore su ventiquattro” spiegò l’albino, con il consueto tono piatto.
“Se aspettiamo troppo, rischiamo che la pista si raffreddi” obiettò Eliza, tamburellando nervosamente sulla superficie del tavolo “Considerando i mezzi di cui è fornito Greyfox, direi che faremmo meglio ad agire in maniera tempestiva”.
“Vorrai dire ‘in maniera impulsiva’” sospirò Near, alzando gli occhi al cielo “Non ho intenzione di impiegare risorse ed energie su una possibilità ancora provvista di un discreto margine d’incertezza, Eliza. Proseguiremo in questa direzione solo quando lo valuterò opportuno”.
Uno scatto improvviso da parte di Mello per poco non la fece sobbalzare: il biondo, infatti, si era appena alzato in piedi, scagliando un pugno sul tavolo e rivolgendo al capo dell’SPK uno sguardo di puro odio.
“Se ti sei convinto che ti consideri il mio capo, non hai capito un emerito cazzo, Near!! Questo bastardo potrebbe sapere qualcosa, e tu hai intenzione di lasciarlo andare a spasso come se niente fosse, quando potrebbe tranquillamente occultare prove a suo carico o corrompere chi di dovere affinché tenga la bocca chiusa!” gli esclamò contro, concitatamente.
“Mello, sto solo dicendo che dobbiamo attendere di avere una visione del quadro d’insieme più chiara e corretta. D’altro canto, se Greyfox è l’uomo che cerchiamo, lo capiremo comunque” replicò Near, senza guardarlo in faccia.
“Arrivarci non significa avere la possibilità di tagliargli la ritirata! Solo perché ti credi Dio, non significa che questo sia reale! Mai sentito parlare di corruzione, albino del cazzo? È un’arma di persuasione molto valida, di questi tempi! In alternativa, esiste il ricatto politico! Chissà di quante carte è provvisto un individuo del genere e quanti maledetti funzionari governativi è in grado di ricattare! La vuoi finire di pensare ai giochetti?!”.
“Appunto. Non posso esporre l’SPK al biasimo dell’autorità governativa internazionale. Quello che abbiamo in programma per le prossime settimane d’indagine è già molto rischioso, sotto questo profilo: non impiegherò i miei uomini in un’operazione che potrebbe farci chiudere i battenti, senza aver valutato attentamente i pro e i contro. Se pestiamo i piedi alla persona sbagliata, potremmo avere delle ritorsioni” constatò Near, con il solito fare annoiato.
“Sei il solito codardo del cazzo, Near. Mi chiedo come sia possibile che i maledetti federali e le fottute agenzie governative americane stiano ancora scegliendo di adattarsi alle tue maledette manie da primo della classe” lo gelò Mello, con espressione schifata.
“Questo è oltraggioso!” sbottò Gevanni, guadagnandosi subito un’occhiata inceneritrice da parte del motociclista.
Affatto turbato da quell’affermazione, Near tornò a tormentarsi alcune ciocche di capelli, per poi scagliare con infinita apatia l’ennesima freccetta contro il bersaglio.
“Se i nostri metodi d’indagine non ti soddisfano, sei libero di lasciare questo quartier generale e di sfruttare le tue abilità a modo tuo, Mello, proprio come hai sempre fatto. Ho deciso di proporti una collaborazione proprio perché ho ritenuto che le tue capacità avrebbero permesso all’SPK di risolvere questa faccenda prima di quanto fosse già auspicabile, ma comprenderò, se deciderai di tirarti indietro. Non posso pretendere che tu adegui le tue strategie operative alle esigenze politiche di un governo di cui non rispetti l’autorità. Il mio incarico presso la Casa Bianca prevede incombenze e responsabilità di cui devo rendere conto all’autorità internazionale, e non posso permettermi mosse azzardate e prive delle dovute considerazioni preliminari. Capisco che tu possa non condividere il mio punto di vista; come dicevo, se preferisci tirarti indietro…”.
La reazione di Mello fu capace di scatenare il caos nel giro di un paio di secondi: prima che uno di loro avesse avuto il tempo materiale di accorgersene, il tedesco aveva già estratto la pistola, arrivando a puntarla contro la fronte dell’albino, sfiorando persino la pelle del rivale con il metallo freddo dell’arma. Immediatamente, Gevanni e Lester lo circondarono, puntandogli a loro volta le pistole contro.
“Getta subito quell’arma, Mello!!” sbottò Lester, con tono minaccioso “Gettala, o giuro su Dio che passerai il resto della vita a Rikers Island!”.
Mello lo ignorò del tutto, gli occhi glaciali ridotti a fessure fissi sul profilo del rivale, che continuava a osservarlo con la massima indifferenza: alle spalle del rivale del capo dell’SPK, Eliza osservava la scena a braccia incrociate, un sopracciglio innalzato in mezzo alla fronte e un’espressione pensierosa dipinta sul viso, paragonabile a quella di una persona impegnata ad analizzare una situazione apparentemente semplice, ma infinitamente complessa.
“Butta quella maledetta pistola!” rincarò la dose Gevanni “Buttala, prima che…”.
“Se ci tieni tanto, allora sparagli”.
La voce di Eliza echeggiò nella stanza per un istante, facendo sì che tutti i presenti volgessero lo sguardo verso di lei; per un solo istante, la ragazza fu pronta a scommettere d’aver visto un’ombra di perplessità comparire sul volto di Near.
Gli occhi di Mello, d’altro canto, le regalarono subito uno sguardo fiammeggiante di rabbia.
Affatto turbata da quella scarica di puro odio che le era appena arrivata addosso, Eliza gli rivolse uno sguardo penetrante, lanciandosi un’occhiata di sufficienza alle unghie prima di riprendere a fissarlo.
“Allora? Sparagli. Negli ultimi due giorni, non hai fatto che minacciare di premere quel dannato grilletto. Non arrivi mai al punto, Mello. Se per te è così importante sparare a Near, procedi: otterrai l’incarcerazione a vita e magari anche un biglietto di sola andata per l’Inferno. Ad ogni modo, non dimostreresti che la tua era effettivamente la strategia vincente per prendere Adherent, ma ti confesso che renderesti felice quantomeno me, se mi dessi una valida scusa per sbatterti definitivamente fuori da questa collaborazione assurda e da questo quartier generale. Le scenette da attricetta isterica risparmiatele per Broadway. Qui abbiamo da fare”.
Con uno scatto felino e rapace, ma al tempo stesso provvisto di una calma glaciale che si estese anche ai suoi occhi, Mello spostò la traiettoria dell’arma da Near a Eliza, socchiudendo gli occhi in un’espressione di puro disgusto.
“Non prendo ordini o lezioni da te, dannata ragazzina dei miei stivali” sibilò, stringendo i denti in un ringhio cupo.
“Fidati: se intendessi darti degli ordini, persino tu lo capiresti. Quello era solo un avvertimento amichevole: una sorta d’invito a valutare i pro e i contro della situazione in cui ti trovi, così almeno eviterai di farci perdere altro tempo” replicò Eliza, carezzando lentamente il calcio della propria pistola, con un gesto suadente e minaccioso a un tempo.
“Nel caso il tuo cervellino non lo avesse compreso, se stiamo perdendo tempo è proprio per colpa del tuo prezioso omino bianco, che non ha voglia di sporcarsi le mani, come di consueto” sottolineò Mello, continuando a tenerla sotto tiro.
“La vuoi abbassare, quella maledetta pistola?!” sbottò Gevanni, furioso.
“Preferisci che spari a te?!” replicò Mello, lanciandogli un’occhiata omicida.
“Ma siamo in un maledetto manicomio o cosa?!” esclamò Halle, passandosi una mano sulla fronte “Calmatevi, tutti quanti!”.
“Ridner ha ragione” riprese Near, giocherellando con uno dei suoi pupazzi “Sarà meglio mantenere i nervi saldi: Mello, ti suggerisco di non sparare a Eliza, come di consueto. Avresti più problemi di quanto tu possa anche solo lontanamente immaginare”.
“Il suo unico problema sarebbe una pallottola nel cranio, Near. Il grilletto lo premerei prima io” affermò con noncuranza la ragazza, riprendendo a sfogliare la documentazione del caso come se niente fosse e ignorando diplomaticamente la pistola che Mello continuava a puntarle contro; quando lui infine l’abbassò, i suoi occhi glaciali non smisero di penetrarla da parte a parte.
“Vi dispiacerebbe se facessimo il punto della situazione?” domandò Lester, decisamente esasperato.
“La dottoressa Cooper mi ha contattato ieri sera: mi ha detto che ha accelerato le procedure d’imbarco e ha anticipato la sua partenza. Potrà essere qui prima del previsto, fra tre giorni: procederemo con l’analisi accurata dei cadaveri delle vittime e confronteremo i dati che ne ricaveremo con le informazioni di cui disponiamo riguardo al caso Kira e ai luoghi di ritrovamento dei corpi. Dopodiché, se il monitoraggio di Greyfox avrà dato risultati soddisfacenti e questi avessero un rilievo confrontati con le informazioni di cui disponiamo, allora attiveremo l’operazione che lo riguarda. Prima di allora, raccomando a tutti la massima cautela. Qualsiasi iniziativa personale non godrà del beneficio dell’organizzazione e, pertanto, non le verrà fornito il supporto di cui potrebbe eventualmente avere bisogno” concluse Near, atono come di consueto.
“In altre parole, chiunque pensi, a differenza di te, di alzare il culo e di andare là fuori a fare qualcosa di concreto, non potrà attingere ai tuoi dannati milioni” commentò Mello, addentando sdegnosamente un altro pezzo di cioccolata.
“Questa è la mia decisione finale. D’altro canto, con l’arrivo di Matt, attingere informazioni sul conto di Greyfox sarà molto meno complicato: illegale, ma molto meno complicato” sentenziò Near “Nel frattempo, avrò bisogno che lavoriate in modo dettagliato sul profilo psicologico del killer e sul confronto fra esso e quello di Light Yagami, ovvero Kira, come vi ho già esposto ieri”.
“Sì, sì, sì, abbiamo capito” sospirò Eliza, alzando gli occhi al cielo, la bocca distorta nell’espressione di chi ha appena ingoiato un limone “Dovremo occuparcene la primadonna e io”.
“Tu ci tieni proprio tanto a finire in una bara prima della risoluzione del caso, vero?!” sbottò Mello, estraendo nuovamente la pistola, subito imitato dalla ragazza.
“No, no, no, Marylin: è a TE che voglio mostrare le meraviglie del campo santo!” sottolineò Eliza, con un sorrisetto beffardo dipinto in  volto.
“Ma chi cazzo ti ha fatto uscire dall’asilo?!”.
“E tu perché cazzo non sei rimasto a firmare autografi sul palcoscenico? A proposito, ti si è sbavato il rossetto!” replicò la giovane, assottigliando gli occhi come aveva già fatto il biondo.
“Sei proprio sicuro che dovrebbero lavorare insieme?” domandò Lester a Near, con tono incerto e preoccupato.
“Assolutamente” annuì Near, facendo sollevare in aria il suo aeroplanino “Vedrete che la loro collaborazione sarà il nostro asso nella manica”.
“Sarà…al momento, più che una collaborazione, mi sembra una gara a chi uccide l’altro per primo” sospirò il comandante, passandosi una mano dietro la nuca bionda.
“Questo è a causa della componente Q.E.” commentò Near, stringendosi nelle spalle “Direi che, nel loro caso, incide del 65% sul lavoro di squadra: ma questo non significa che il risultato sia negativo. Al contrario, lo spirito di competizione fa ben sperare”.
“SEI LA MOCCIOSA PIÙ IRRITANTE E DANNATAMENTE PRESUNTUOSA DELL’INTERA GALASSIA!!” gridò Mello, che nel frattempo, come Eliza, non aveva affatto prestato orecchio alla diagnosi di Near.
“E TU SEI SENZA DUBBIO IL PEGGIOR COGLIONE BORIOSO CON CUI POTESSI AVERE A CHE FARE IN TUTTA LA MIA VITA!!” replicò Eliza, improvvisamente rossa in viso.
“LA PROSSIMA COSA CHE FARÒ DOPO AVER CATTURATO QUESTO BASTARDO SARÀ VENIRE A CERCARTI PER REGOLARE DEFINITIVAMENTE I CONTI CON TE!!”.
“TI ASPETTERÒ AL VARCO, SIGNOR PRIMADONNA!!!”.
“BENE!!”.
BENE!!”.
Dopo essersi guardati in cagnesco per l’ultima volta, entrambi riposero la pistola e si dettero bruscamente le spalle, dirigendosi alle uscite opposte e varcandone la soglia a passo di marcia, senza degnare più di un’occhiata i presenti nella stanza.
I membri dell’SPK si lanciarono occhiate perplesse, tornando lentamente al lavoro con la massima discrezione, senza commentare ulteriormente l’accaduto.
In fondo, ciò che contava era tenere in piedi la baracca per un altro anno.
 
Mello salì le scale a passo di carica, rientrando nella sua stanza e sbattendosi la porta alle spalle: ancora preda della rabbia, assestò un sonoro calcio alla vicina cassettiera, facendone rimbalzare i cassetti ed espellendone perfino uno dai cardini, ormai cigolanti a causa della lesione del tempo.
“SI FOTTA QUESTO MALEDETTO POSTO!” esclamò, accendendosi frettolosamente una sigaretta “MA-LE-DET-TA RAGAZZINA!!”.
Dopo aver aspirato una notevole boccata di fumo, spalancò la finestra e si affacciò all’esterno, gli occhi glaciali, il cui sguardo era ancora corrotto dall’ira, concentrati sul giardino della scuola, dove alcuni bambini si rincorrevano, mentre altri se ne stavano in un angolo a giocare con le biglie, prendendo in giro quelli che si mettevano a piangere, non appena perdevano.
Chiuse gli occhi e prese un bel respiro profondo, la bocca contorta in un’espressione di disgusto e di disprezzo al pensiero della ragazzina di cui avrebbe dovuto sopportare la presenza per i mesi successivi. Ancora una volta, finì per constatare quanto il maledetto nanerottolo a capo dell’SPK fosse un autentico stronzo. Lo aveva fatto apposta, non c’erano dubbi.
Sapeva che quella mocciosa gli avrebbe fatto saltare i nervi e gli avrebbe impedito di avere la mente lucida, e così aveva pensato bene di imporgli di collaborare direttamente con lei sul profilo psicologico del killer.
*Speri che questo mi porti a rinunciare al caso, dopo avermi sottoposto la sfida, non è vero? Speri di dimostrare che sei più in gamba, che sei più intelligente, che sei migliore di me, come al solito. Beh, sai una cosa? COL CAZZO, Near. Questo psicopatico omicida non sarà l’unico a cui farò il culo, di qui a un anno. E lo stesso vale per quella maledetta, dannata, arrogante, psicolabile, fottuta RAGAZZINA DEI MIEI COGLIONI*.
Dopo aver gettato rabbiosamente la sigaretta dalla finestra, chiuse bruscamente le imposte e tornò a sedersi alla scrivania, accendendo il portatile e riprendendo a lavorare sul caso. Se quel Greyfox avesse rappresentato la pista giusta, avrebbe potuto decisamente rivelarsi molti più passi avanti al suo uomo di quanto potesse auspicare.
Addentando la sua cioccolata, lasciò scorrere i glaciali occhi azzurri sul profilo del soggetto, fissandone il volto provvisto di un’espressione sicura e di uno sguardo beffardo, tipico di chi è abituato a fregare il proprio avversario senza mai cancellarsi il sorriso dalle labbra.
*Da quello che si può evincere dal suo curriculum, questo Greyfox è più pulito di un dannato specchio di un centro commerciale. Nessun precedente penale, nessun problema con i piani alti o con la magistratura…diamine, ne è persino membro. Piano di studi impeccabile, carriera all’insegna del successo. È sposato con la stessa donna da vent’anni e ha una figlia adolescente. Laureato a Oxford, ha da sempre condotto battaglie per l’approvazione di leggi più rigide nei confronti di molestatori e stupratori. Questo è interessante. Scheletri nell’armadio, Greyfox? Questo spiegherebbe anche perché ci siano dei vuoti apparentemente privi di significato all’interno della cronologia che riguarda le sue attività curriculari al college. Forse ha fatto parte di qualche strana società segreta dedita ai rituali e preferisce che certe cose non vengano in superficie. È un tipo metodico, preciso, scrupoloso, molto attento all’opinione di chi lo circonda. È un po’ come se avesse scritto la sua vita basandosi sull’impressione che coloro che lo osservano nel quotidiano avrebbero potuto coglierne. Probabilmente, è convinto di essere sempre al centro dell’attenzione di tutti gli altri: per meglio dire, è qualcosa che vuole, ma di cui al tempo stesso ha un infinito terrore. Questo sì che è singolare. Greyfox ha molto in comune con gli elementi del profilo psicologico del nostro uomo. Per avere ciò che potrebbe servirci in definitiva per fare la giusta mossa, avrei bisogno della documentazione riservata che lo riguarda, e che naturalmente ha una chiave d’accesso di cui dispongono solo le alte cariche della magistratura. Per meglio dire, l’ideale sarebbe recuperare la merda sul suo conto che ha cercato di spazzare via. Sicuramente, ci dev’essere un qualche elemento che potrebbe condurmi in quella direzione. Diamine. Mi servono più elementi, più informazioni per mettere in piedi la maledetta operazione che quel BASTARDO non si decide ad autorizzare. Vuole che lo sputtani. Vuole che lo costringa materialmente ad ammettere che ho ragione e che questo Greyfox è la pista giusta? Va bene, omino bianco. Ti darò quello che vuoi. Però…per farlo, mi serve…*.
Un sonoro segnale di chiamata lo distolse dai suoi pensieri, facendo comparire sullo schermo la richiesta di comunicazione: al centro della schermata, era apparso anche il nome del mittente. Con un sospiro seccato, accompagnato a un sorriso appena percettibile, Mello premette il pulsante di accettazione.
All’inizio, tutto quello che vide sul monitor fu l’immagine di una stanza completamente in disordine, le cui pareti erano adorne di poster di svariati gruppi musicali, intenti a coprire la carta da parati ingiallita e scrostata. Sul letto singolo che si intravedeva era aperta una valigia vecchia e consunta, già piena per metà di vestiti gettati completamente alla rinfusa, mischiati a videogiochi dai titoli più disparati. Da quello che riusciva a intravedere, l’ambiente era invaso da una grossa nuvola di fumo, che si andava a infrangere contro i vetri chiusi della finestra, la cui vista forniva uno spettacolo misero sui bassifondi di Los Angeles; sul pavimento della stanza, erano accartocciati numerosi fogli, che si andavano a intrecciare con i fili di una console scassata, ma ancora funzionante. Prima che potesse aprire bocca per mandare improperi al suo migliore amico e alla sua proverbiale capacità di fargli perdere tempo, la voce di lui sommerse le parole che stava per pronunciare.
“AHA!! Trovato!! ‘Call of Duty: Black Cops’, non potevo partire senza di te!”.
“Matt, mi spieghi CHE CAZZO stai facendo?!” esordì il biondo, staccando con forza un altro pezzo di cioccolato dalla tavoletta, i denti bianchissimi che masticavano furiosamente.
Quell’esclamazione convinse il suo amico a tornare finalmente di fronte al portatile, gli occhi color verde acqua illuminati da un’espressione perplessa ed entusiasta al tempo stesso; come suo solito, indossava un paio di vistosi occhiali arancioni, sfoggiava una delle sue ridicole maglie a maniche lunghe a righe e un paio di pantaloni scuri trasandati e scoloriti, accompagnati ai suoi anfibi dalla suola consumata. I capelli castano rossicci gli cadevano sulla fronte, leggermente più lunghi del solito, e le sue labbra sottili, costantemente piegate in un sorriso ironico, stringevano appena il bordo di una sigaretta accesa: come era facile constatare dal posacenere colmo che si trovava nelle vicinanze, senza dubbio non era la prima della giornata.
“Aha, eccoti qui! Speravo che questo coso funzionasse ancora, ci ho armeggiato sopra per almeno un paio d’ore! Mi auguro che i giocattolini di Near siano più efficienti, per ora non sono riuscito a permettermi di meglio” sospirò Matt, sedendosi definitivamente di fronte al computer.
“Questo perché negli ultimi dodici mesi ti sei riempito il frigorifero e il posacenere spacciando droga tagliata male a quei coglioni che bazzicano il molo”  sospirò il biondo, alzando gli occhi al cielo.
“Bisogna adeguarsi a quello che passa il convento, amico. Vediamo il lato positivo: stavolta abbiamo mandato in culo il convento e ci siamo trasferiti in un albergo a cinque stelle! Questo pazzo omicida ci frutterà un sacco di soldi! Sono quasi contento che abbia deciso di emulare Kira…” affermò Matt, con una risatina sardonica.
“Queste affermazioni potrebbero costarti un bel giro a San Quintino, lo sai?”.
“Ma dai, è solo una battuta!”.
“Già, e il fottuto omino bianco ha il senso dell’umorismo di Stalin” borbottò Mello “Vedi di piantarla con le tue boiate. Si può sapere che cosa ci fai ancora a Los Angeles?”.
“Tutto sotto controllo, Mells. Dovevo solo regolare un paio di conti in sospeso con i vecchi amici della Florida, ma adesso sono libero come l’aria. Prendo il primo volo per New York e salgo sulla carretta dell’SPK. Una ficata, eh? Sarò a Winchester entro un paio di giorni” dichiarò il suo migliore amico, continuando ad armeggiare nella miriade di fogli che invadevano la stanza.
“Che cazzo vuol dire ‘un paio di conti in sospeso con i vecchi amici della Florida’? Matt, non ti sarai di nuovo cacciato nei casini…” disse Mello, roteando gli occhi.
“Ma figurati!”.
“Ti hanno riempito di botte?” domandò il tedesco, con una nota minacciosa nel tono di voce.
“Niente del genere, Mells. Tutto liscio come l’olio, te lo assicuro. Sono tornati a Miami senza darmi fastidio: adesso, sono pronto per il caso Kira 2, o come diavolo lo chiama Lester” proseguì allegramente il suo compare.
“Near ha optato per ‘Adherent’”.
“Fico. Stiamo dando la caccia a una specie di allievo, giusto? Sono sicuro che sarà davvero pazzesco!”.
Mello si trattenne dal sollevare gli occhi al cielo: l’entusiasmo di Matt era dannatamente irritante, a volte.
“Se magari ti decidi a muovere quel culo e a raggiungermi in questa bettola, magari iniziamo a fare qualcosa di concreto, invece di saltellare come una sottospecie di fan arrapata al concerto del suo idolo” lo freddò, accendendosi a sua volta un’altra sigaretta.
“Sei simpatico come un cactus su per il culo, come al solito. Hai già qualche elemento in mano?” domandò Matt, lanciando un altro paio di videogiochi in valigia.
“Qualche dubbio in merito? Abbiamo già un nome. Se quel bastardo di Near si convince che la sua fottuta organizzazione governativa avrà le spalle parate nel corso dell’operazione che dovremo organizzare, potremo anche procedere. Al momento, lo stiamo monitorando via satellite. Mi servirai operativo, per questa parte della faccenda”.
“Aaah, capisco. Vuoi che scavi in profondità e che faccia emergere un po’ di letame sul conto del nostro bastardo?” sogghignò Matt, in modo complice.
“Precisamente. Com’era ovvio, il figlio di puttana ha un curriculum e una fedina penale disgustosamente puliti, ma ci sono dei buchi non indifferenti riguardo ad alcune attività che ha diretto al college e all’inizio della sua carriera. In particolar modo, è collegato in modo netto e inequivocabile a tutti i decessi delle settimane precedenti. Come definitivo calcio nei coglioni, ha anche molti punti in comune con il profilo psicologico del killer. In altre parole, Near e i suoi sgherri impomatati delle mie palle stanno solo aspettando di poter avere il culo parato, nel caso in cui questa parte delle indagini andasse a puttane” dichiarò Mello, con il solito tono sprezzante.
“Accidenti. Ma chi è questo tizio, il Presidente in carica?” commentò Matt, strabuzzando gli occhi.
“No, ma è un pezzo grosso dell’High Court britannica. Da quello che sono riuscito a scoprire, lui e la sua famiglia hanno le mani in pasta un po’ ovunque; un tipo del genere ha parecchie frecce al suo arco, qualora dovesse decidere di mirare al tuo culo. Appurato questo, lasciargli troppo tempo a disposizione per coprire le sue tracce è un’autentica minchiata. È per questo che mi servi qui: se troviamo qualcosa di schiacciante sul suo conto e rileviamo qualcosa di anormale nel suo comportamento, quel bastardo tinto nella candeggina dovrà approvare l’operazione a tutti i costi. E a quel punto, andrò a prendere il nostro figlio di puttana” affermò Mello, con noncuranza.
“Nessun problema, amico. Inviami il file sul bastardo e mi metto all’opera anche da qui: posso continuare a lavorarci anche in aereo. Entro una settimana, avrai la tua operazione di polizia servita su un piatto d’argento” promise Matt.
“Se stessimo parlando di tre giorni, ti direi che non c’è problema. Non ho tempo, Matt. Vedi di muovere quel culo”.
“Va bene, va bene! Farò il possibile! Ma se la faccenda è così complicata come la dipingi, già mi figuro almeno sei Firewall da superare e una decina di sistemi di sicurezza di backup da prendere per il culo. Ad ogni modo, sai come si dice, no? Nella fogna di Internet, difficilmente qualcosa va perduto in modo irreparabile. E poi, è un magistrato, giusto? Deve mantenere un profilo pubblico impeccabile, non può tenerne uno basso e apparentemente incolore. Come i politici, questi coglioni devono sempre dimostrare di essere non solo puliti, ma splendenti. Nella maggior parte dei casi, hanno più schifezze da nascondere di qualsiasi altro individuo sulla faccia della Terra” dichiarò Matt, strizzandogli l’occhio con fare complice.
“Il tuo dannato entusiasmo potrebbe fare alla bisogna. Ad ogni modo, sbrigati: voglio perdere meno tempo possibile” ribadì Mello per l’ennesima volta.
“Agli ordini, capo! Cerca di non uccidere nessuno, prima del mio arrivo” ridacchiò Matt, accendendosi un’altra sigaretta.
“Un altro motivo per muovere quel culo, Mail. Non vuoi vedermi a San Quintino o a Rikers Island? Allora, non costringermi a passare il tempo con queste dannate teste di cazzo più del necessario” sottolineò Mello.
“C’è la grande squadra al completo, immagino” disse Matt, stringendosi nelle spalle.
“La grande combriccola dei coglioni. Il pacchetto completo” replicò Mello, roteando gli occhi.
“Quindi lavori con Near, Lester, Gevanni e Ridner?”.
Il pensiero di Eliza gli balenò per la testa come un fuoco d’artificio, accecandolo per un istante, mentre gli occhi profondi e glaciali di lei gli rivolgevano uno sguardo di puro odio, misto a commiserazione e a superiorità. Strinse la presa sul proprio ginocchio, sforzandosi di non digrignare i denti.
“Mells…?”.
Tornando a fissare il suo amico, Mello si rese conto che Matt, da sotto gli occhiali colorati, gli stava indirizzando un’occhiata perplessa, accompagnata dalle sopracciglia leggermente sollevate.
“Ho un altro problema di cui occuparmi” confessò Mello, storcendo la bocca “Near e i suoi amichetti non sono l’unico calcio nei coglioni, stavolta. Quel bastardo dell’omino bianco ha pensato bene di infilarmi un’ulteriore spina nel fianco”.
“Che vuoi dire…? Aspetta!” sbottò Matt, sedendosi a un tratto più dritto sulla sedia “Stiamo parlando di quello a cui ho accennato nella mia precedente mail, a cui il mio educatissimo migliore amico si è ben guardato dal rispondere?!”.
“Matt, stai iniziando davvero a seccarmi. Manca solo che tu ti metta sul serio a saltellare per l’entusiasmo…” dichiarò Mello, incrociando le braccia con fare irritato.
“Ma piantala, Mells! È una vera ficata!” sbottò Matt, gli occhi che gli brillavano.
“Tu usi quella dannata parola almeno un centinaio di volte al giorno” gli fece notare Mello, un sopracciglio alzato sulla fronte.
“Sì, ma stavolta è vero. Che diavolo aspettavi a dirmelo? Ci ho azzeccato, eh? La figlia del grande capo sta lavorando al quartier generale!” esclamò il rosso, alzando le braccia in segno di vittoria.
“Se proprio ci tieni a definire così la situazione” disse Mello, stringendosi nelle spalle.
“Allora?”.
“Allora cosa?”.
“Ma insomma! Che tipo è?!” insistette Matt.
“Tu non scopi da troppo tempo, Mail. Lasciatelo dire” lo prese in giro Mello, sogghignando.
“Questa tua insinuazione mi fa riflettere bene sull’argomento” sorrise Matt, incrociando a sua volta le braccia sul piano della scrivania e poggiandoci sopra la testa “Si sentono un sacco di cose, sul conto di Eliza Havisham. Ha un discreto curriculetto, la ragazza. Un sacco di gente la vorrebbe stecchita, qui in California, il che fa davvero ben sperare sulle sue qualità. Dicono che sia parecchio in gamba. Ho saputo del suo arrivo a Winchester solo perché quel gran trombone di Lester si è lasciato sfuggire un paio di cose al telefono riguardo al ‘ruolo di Miss Havisham’. A proposito, ‘Havisham’? Dai, si aspettano sul serio che ci crediamo! Che cazzo è, un romanzo di Jane Austen?!”.
“Se lo fosse, almeno quella dannata ragazzina non avrebbe la possibilità materiale di starmi fra i piedi” ringhiò Mello “Near vuole che io le faccia da babysitter mentre delineiamo il profilo psicologico del killer. È fortunato che i suoi maledetti soldi mi facciano comodo, al momento”.
Matt fece una breve pausa, rivolgendo all’amico un’occhiata dubbiosa.
“A giudicare da quel che ho letto e da quanto si sente in giro, direi che la Havisham ha tutto fuorché il bisogno di un babysitter, Mells. È davvero così grave? Insomma, davvero sei già arrivato a caricare la pistola?” gli chiese, misurando bene le parole.
“Vorrei vedere te, se dovessi avere a che fare con una mocciosa irritante, petulante, arrogante, sfacciata e presuntuosa ogni fottuto giorno e se dovessi lavorare a stretto contatto con lei per risolvere il caso di un maledetto serial killer! Near vuole persino che mi occupi di coprirle il maledetto culo mentre è in missione operativa sul campo, quando l’unica cosa che vorrei fare è vuotarle un caricatore in testa. Se fosse per me, l’avrei già rispedita all’asilo. D’altro canto, è la stramaledetta figlia di Elle. Non si discute, maledizione; anche se, in effetti, lui stesso non l’avrebbe voluta per questo caso. Per la verità, non avrebbe voluto nemmeno che se ne occupasse Near” disse Mello, con tono a metà fra l’adirato e l’apparentemente indifferente.
“Beh, considerando il collegamento con il caso Kira, non mi sorprende troppo. È un bene che abbia cambiato idea: magari vuole che la piccola si metta alla prova, ma, da quanto vedo, in realtà non penso che ne abbia davvero bisogno” ribadì Matt.
“Ah, piantala. Ne ho già fin sopra i capelli di elogi alla principessa. Se vuoi la mia opinione, Gevanni aspetta solo il momento giusto per sbattersela come si deve” commentò Mello “E comunque sia, è una piaga. Una delle ragioni per cui non vedo l’ora di chiudere il caso è quella di togliermela dai piedi definitivamente. Potrei anche considerare l’eventualità di ucciderla, se se ne presentassero le condizioni”.
“Seh, come no. Non ti aiuterei a nascondere il cadavere, in ogni caso: spacciare cocaina agli idioti di Los Angeles? Nessun problema. Ma non ci tengo a essere braccato a vita dalla CIA, dall’FBI, dal Mossad e dall’MI6 per tutto il globo. La reputazione di Ruri Dakota la precede, e non dimentichiamoci della controparte. Elle, hai presente?” disse Matt, sottolineando il nome del primo detective al mondo.
“Sì, sì, sì, ho capito. Ad ogni modo, prima risolviamo questa faccenda, meglio è. I soldi di Near ci permetteranno di stare lontani dal merdaio per un po’. Ergo, muoviti, Mail”.
“Ricevuto!”.
In quel momento, un rumore improvviso e dannatamente fastidioso lo costrinse ad alzare lo sguardo: nel giro di pochi secondi, sul suo volto si era già dipinta un’espressione furiosa e colma d’odio.
La porta della stanza, che aveva puntualmente dimenticato di chiudere a chiave, era stata spalancata con la massima noncuranza, oltre che con una certa violenza e spocchia: sulla soglia, la figura di Eliza Havisham lo osservava con la massima indifferenza, il volto dalla pelle diafana provvisto di una smorfia di superiorità e di uno sguardo di sufficienza, indirizzato a tratti a lui e a tratti alle sue unghie lucide. Stava appoggiata allo stipite della porta, le braccia incrociate e le caviglie accavallate, con gli stivaletti neri che si sfioravano l’un l’altro; scrutandola con più attenzione, si rese conto che doveva essere uscita da poco dalla doccia, a giudicare dai capelli più scompigliati del solito e dal cambio di vestiti, che adesso consistevano in un paio di pantaloni scuri, in una giacca del medesimo colore e in una camicetta bianca.
Con un’ulteriore occhiata, si rese a un tratto conto che quest’ultima era decisamente trasparente.
I suoi occhi, spietati e freddi come un iceberg, la scrutarono per un altro istante dalla testa ai piedi, le unghie conficcate nella stoffa dei guanti e in quella dei pantaloni di pelle nera.
“Mi stai fissando, signor primadonna”.
La sua voce, sarcastica e ironica come sempre, sembrò aver occultato per un istante l’ennesimo sorrisetto di superiorità.
“Sbaglio o dovevi stare fuori dal mio perimetro, ragazzina?! Chi cazzo ti credi di essere?! E cosa cazzo vuoi, soprattutto?!” sbraitò, balzando in piedi, la mano già pronta a scattare in direzione della pistola.
“Dopo la tua scenetta isterica di poco fa, ti sei fregato i miei appunti sul caso Adherent. Senza contare che mi serve il faldone sul caso Kira di cui ti sei appropriato mentre eravamo in sala monitor. Molla l’osso, attricetta” gli disse Eliza, il tono ancora annoiato.
“MA CHE CAZZO DI PROBLEMA HAI, MOCCIOSA?!? E MENO MALE CHE DOVEVO ESSERE IO A STARE FUORI DALLA TUA STANZA!!” gridò Mello, esasperato.
“Devo ripeterlo più lentamente, così che i tuoi neuroni riescano a mettersi in contatto fra loro? Ah già, dimenticavo che, con ogni probabilità, in testa hai dei criceti morti, piuttosto che un sistema nervoso paragonabile a quello di chiunque altro”.
Mentre Eliza entrava definitivamente nella stanza, Mello estrasse del tutto la pistola, riprendendo a puntargliela contro, l’espressione del volto corrotta dall’odio e dalla rabbia.
“Vuoi proprio darmi una scusa per spararti, ragazzina?!” sbottò il biondo, il dito già pronto sul grilletto.
“Mi serve il faldone sul caso Kira, devo dirtelo in arabo? Andiamo, Marylin, dove lo tieni? Non ho tutto il giorno” sospirò la ragazza, iniziando a frugare in mezzo ai fogli di cui la scrivania era ingombra.
Senza attendere ulteriormente, Mello attraversò la camera da letto con un paio di grosse falcate, afferrandola per un polso e facendola girare di scatto, così da posizionare la canna della pistola sotto il suo mento.
“Tu prova soltanto a toccare ancora la mia dannata roba, stronzetta, e posso assicurarti che il faldone dello stramaledetto caso Kira sarà l’ultimo dei tuoi problemi!!”.
Contrariamente alle sue aspettative, Eliza, invece di dare in escandescenze, gli rivolse un altro sorrisetto di superiorità, alzando un sopracciglio sull’ampia fronte bianca.
“E io posso assicurarti che se non mi togli immediatamente le mani di dosso, l’ultima cosa di cui dovrai preoccuparti è che io possa romperti i coglioni. Perché, indovina un po’, signor primadonna? Sarà una bella occasione per verificare se ce li hai davvero. Immagino che questa variabile inciderebbe parecchio sull’esito di ciò che avrei tanta voglia di fare”.
Ad un tratto, una fredda sensazione all’altezza dell’inguine lo costrinse ad abbassare gli occhi, capendo così a cosa si stava riferendo quella malefica ragazzina insolente: senza avere la minima idea di come avesse materialmente fatto, si accorse infine che la mano sinistra di Eliza era saldamente chiusa intorno alla pistola, la cui canna era pericolosamente vicina al cavallo dei suoi pantaloni.
Eliza gli sorrise beffardamente, un lampo di trionfo dipinto negli occhi.
“L’abbassi, quel revolver, o facciamo a chi arriva prima a premere il grilletto?” gli domandò, con aria di derisione.
Mello continuò a guardarla dritto negli occhi, senza accennare a voler fare quanto lei gli richiedeva: starle così vicino gli permetteva di analizzare al meglio le sfaccettature del volto che aveva già preso a odiare con tutto se stesso.
Guardandola con tutta quell’attenzione e con quella minuzia, notò un paio di lentiggini situate sotto lo zigomo sinistro, accompagnate a lineamenti più sottili e ben disegnati di quanto avesse notato in precedenza. I suoi occhi, grandi, profondi e provvisti di un’espressione sottile e sagace, non si staccavano per un momento dai suoi, come nel tentativo di seguire il flusso dei suoi pensieri. Ancora una volta, capì che ricambiavano in pieno lo sguardo carico d’odio che lui stesso le stava indirizzando, la presa ancora ferrea sul suo polso e la canna della pistola posizionata saldamente sotto il mento di lei. Senza accorgersene del tutto, sfiorò inavvertitamente il suo profilo con il proprio, nel tentativo di scostarsi dalla traiettoria dell’arma di lei senza variare quella del suo stesso revolver, ma senza risultato.
“Mi piacerebbe sfidarti a provarci, mocciosa. Scommetto che non hai le palle” sibilò, carezzandole il collo con il metallo freddo della pistola.
“Detto da uno che rischia di perdere le proprie, è tutto dire. Hai presente, no? BOOM, BOOM” replicò Eliza, muovendo a sua volta la canna della pistola verso il centro dell’inguine.
Senza sapere perché, capì a un tratto che quel gesto gli aveva donato un brivido non indifferente. Dannata ragazzina con i riflessi pronti.
In quel preciso istante, un singolo suono portò entrambi a voltarsi di scatto in direzione del portatile: la scena a cui assistettero, a seguito della quale si resero a un tratto conto della posizione assurda in cui avevano finito per ritrovarsi, gelò il sangue nelle vene a entrambi.
Ancora in collegamento audiovisivo, Matt se ne stava appoggiato al palmo della mano destra, il gomito disteso sulla scrivania e l’altra mano intenta a reggere la sigaretta, da cui aspirava di quando in quando, con espressione soddisfatta. Persino da quella distanza, e malgrado gli occhiali arancioni, entrambi riuscirono a scorgergli in volto un’espressione divertita e sorniona.
A quanto pareva, il rumore che avevano avvertito altro non era che un imbarazzante colpetto di tosse, che il rosso aveva appena lasciato andare.
“Ehilà! Posso anche chiudere il collegamento, se volete un po’ di privacy” disse, stringendosi nelle spalle con noncuranza.
Senza dargli alcun tipo di preavviso, Eliza piegò il ginocchio, approfittandosi della distrazione di Mello, e lo spinse via da sé senza troppe cerimonie, lanciando occhiate furibonde sia al monitor del computer che al biondo.
“E questo chi sarebbe, attricetta? Il tuo manager?” domandò Eliza, con aria di scherno.
“Piacere di conoscerti, cara! Io sono il genio dell’informatica di cui avete richiesto i servigi!” rispose Matt, prima che Mello potesse pronunciare una parola “Per gli amici, Matt. Come ti va?”.
Eliza non rispose, indirizzandogli un’occhiata stralunata, poco dopo che le sue mani sottili ebbero finalmente afferrato ciò che stava cercando.
“E dai, non avercela già con me. Non volevo essere invadente, giuro. Mells, me lo potevi anche dire che aspettavi compagnia. A dire il vero, non mi avevi nemmeno detto di esserti fatto la ragazza” si strinse nelle spalle il rosso.
“MA VAFFANCULO, MATT!!” sbottò Mello, adesso furioso “VUOI CHE FACCIA UN BUCO IN TESTA ANCHE A TE, NON APPENA METTERAI PIEDE QUI?!?”.
“Il giorno che prenderò in considerazione una cosa del genere, sarà il giorno in cui autorizzerò la mia lobotomia” dichiarò Eliza, disgustata.
“Ah, ma dai! Sei davvero inflessibile. Ma comunque…complimenti alla mamma, se posso dirlo”.
“MATT, LA VUOI PIANTARE CON LE TUE PUTTANATE?!” gridò Mello, mentre Matt scoppiava spasmodicamente a ridere ed Eliza assumeva un’espressione confusa, come di chi non ha compreso il riferimento.
Stringendosi nelle spalle, la ragazza tirò fuori una barretta di cioccolato, che addentò con la consueta eleganza, e passò davanti a Mello ignorandolo, lanciando solo una breve occhiata in direzione del computer.
“Cerca di essere qui il prima possibile. Dobbiamo iniziare a lavorare al caso in maniera definitiva al più presto. E tu, attricetta, vedi di dedicarti all’analisi del profilo psicologico. Ci aggiorniamo fra un paio di giorni, non te lo dimenticare” disse la ragazza, avviandosi verso l’uscita.
“Hai bisogno che te lo incida sulla fronte, mocciosa? NON-PRENDO-ORDINI-DA-TE” ringhiò Mello, incrociando le braccia.
“Sì, sì, come vuoi. Ricordati, piuttosto, che la prossima volta che provi a toccarmi, dirai definitivamente addio al tuo giocattolo preferito” sottolineò la ragazza, stringendosi nelle spalle.
“La prossima volta che osi pensare di potermi trattare come se fossi uno dei tuoi amici parrucconi del cazzo, farò in modo che tu finisca carbonizzata viva nell’ultimo vicolo del Bronx, mocciosetta! Immagino che avrei l’approvazione di molti di quelli che ti vogliono morta!” sottolineò Mello, stringendo la mano libera in un pugno minaccioso.
“Facciamo a chi arriva prima, signor cabaret. Buona giornata. Ah, e vaffanculo” concluse Eliza, sbattendosi la porta alle spalle.
Non appena se ne fu andata, Mello si sforzò di chiudere gli occhi e di prendere un respiro profondo, nel tentativo di non gettare dalla finestra l’intera libreria a causa del nervoso che la presenza di quella ragazzina gli aveva appena messo addosso.
Solo un suono gutturale, proveniente dal computer, lo convinse a riportare lo sguardo in quella direzione; assottigliando gli occhi in un’espressione di pura irritazione, capì che Matt si stava vistosamente trattenendo dallo scoppiare a ridere, le labbra ritratte all’indietro e gli occhi che luccicavano in un’aria di trionfo.
“Ti consiglio di stare vivamente attento a quello che dici, Matt. Te lo dico da amico” lo avvertì Mello, appoggiandosi con le spalle al muro e incrociando di nuovo le braccia.
Senza più riuscire a trattenersi, Matt scoppiò in una sonora risata, a cui persino un paio di lacrime finirono per accompagnarsi.
“TI CHIAMA ‘ATTRICETTA’?!? AHAHAHAHAHA, MELLS, QUESTA ME LA SEGNO SUL CALENDARIO!!”.
Mello scagliò una lattina di birra vuota contro il monitor, facendola rimbalzare su di esso ed estraendo di nuovo la sua pistola, che prese a lustrare con aria minacciosa.
“La vedi questa, Mail? Sarà la prima cosa con cui farai i conti, non appena atterrato in questo letamaio che chiamano scuola”.
Terminata la risata, Matt lasciò andare un fischio prolungato, a cui seguì un gran sorriso sornione.
“Alla faccia, Mells! Che carattere! E che culo! Chi diavolo era quella sventola?!” sbottò, gli occhi leggermente spalancati.
“La maledetta ragazzina con cui devo lavorare” borbottò Mello, tornando a sedersi di fronte al monitor.
Matt lo osservò per un paio di istanti senza replicare: alla fine, sollevò per un istante un dito della mano guantata, per poi riabbassarlo, aprì e richiuse la bocca per un paio di volte e aggrottò le sopracciglia. In definitiva, sbatté forte una mano sul tavolo, facendo quasi rimbalzare il portacenere stracolmo.
“No, no, no, no, no, no, no, no, no, no. Ferma tutto. Aspetta, aspetta, aspetta, aspetta. Che?!?” sbottò, tirandosi su gli occhiali per guardarlo meglio in faccia.
Mello roteò gli occhi, staccando un morso dalla sua amata cioccolata; detestava Matt e il suo modo di fare così esplicito.
“Hai capito bene” sbottò, tamburellando nervosamente sul piano della scrivania.
QUELLA è la dannatissima figlia del grande capo?! Insomma…parliamo della stessa leggenda?!”.
“È solo una mocciosa” lo corresse Mello, con il massimo disprezzo.
“Una mocciosa?!? Cazzo, Mello! Mi immaginavo una specie di topo da biblioteca, una sorta di Near al femminile! Devi aver pestato il cervello più volte, che cazzo ti dice la testa?!” lo rimproverò Matt, alzando gli occhi al cielo.
“Che cazzo di problema hai, Mail? Mi stai davvero seccando” lo avvisò Mello.
“Io? Figurati, nessuno. Sei tu che lavori con un gran pezzo di gnocca e te ne vai in giro parlando di una ‘ragazzina’, o di una ‘mocciosa’. Anche se, magari, è solo una copertura. Vi divertite un sacco, scommetto” ghignò Matt, con espressione trionfante.
“Quando arriverai qui, giuro su quello che ti pare che ti infilerò i trenini del nano uno per uno su per il…”.
“Accidenti, non è mai stato così tardi!” sbottò il rosso, lanciando un’occhiata al polso, dove non spiccava nessun orologio “Devo scappare, amico, o non finirò in tempo per prendere il mio aereo! Ci vediamo dopodomani al massimo! Nel frattempo, mi occuperò della documentazione che mi hai mandato, vedrai che lo incastreremo, quel topo di fogna! Salutami la tua ragazza! E quando avrai bisogno di un babysitter per i marmocchi, ricordati che zio Matt è più che disponibile a insegnargli a giocare ai videogiochi! Senza dimenticare Harry Potter! Non puoi farli crescere senza Harry Potter! Già avranno la sfiga di un padre Babbano, dovrò pur porre rimedio in qualche modo!”.
“MATT, GIURO SU DIO CHE TI STRAPPO LE CORDE VOCALI E CI FACCIO…”.
“Un bel violino o una bella chitarra in miniatura per Matt junior! Approvo! Devo discuterne con Eliza quando arrivo, sono sicuro che approverà le mie scelte educative! A presto, compare! E non uccidere la mia futura cognata, devo ancora stringerle la mano! Hasta la vista!”.
Matt interruppe bruscamente la comunicazione, impedendo così a Mello di lanciargli ulteriori improperi, già pronti a spiccare il volo con la massima solerzia; con un sospiro seccato, constatò, per l’ennesima volta, che il suo migliore amico era un autentico idiota.
Ma prima che potesse riflettere per un secondo su quello che aveva scoperto su Greyfox, sulla conversazione appena conclusasi con Matt, sulle stronzate che il suo compare aveva appena pronunciato, o, peggio ancora, sulla stramaledetta ragazzina e sulle situazioni assurde in cui continuava a cacciarlo, un nuovo segnale sonoro attirò la sua attenzione.
Assumendo un’aria stranita, si rese conto che era un messaggio da parte di Near.
Aprendo l’email, l’espressione del suo volto cambiò notevolmente, passando da stralunata, a infuriata, a impassibile: di fronte ai suoi occhi color del ghiaccio, erano appena apparse le fotografie di una nuova scena del crimine, al centro della quale troneggiava il cadavere dell’undicesima vittima. Allegate ad esse, vi erano solo poche righe da parte del rivale della sua vita.
 
Il nuovo omicidio ha avuto luogo a Firenze. Riunione operativa alle 18 in punto. La dottoressa Cooper ci fornirà i risultati dell’autopsia in diretta. Se entro una settimana avrò i risultati che voglio, procederemo come tu ed Eliza avete suggerito. In quel caso, sarete operativi sul campo. ACTIVATED, Mello. Sai cosa significa.
 
Mello si pronunciò in un sorrisetto soddisfatto. Dimostrare a Near d’avere ragione era una delle sensazioni migliori di tutta la sua esistenza.
Missione Attivata. Se i pezzi cominciavano a muoversi, non era più possibile fermare la partita. E a quel punto, né lui, né il suo avversario, avrebbero più potuto tirarsi indietro.
Senza neanche sapere perché, ripensò improvvisamente a Eliza, e all’immagine di lei impegnata concretamente in una missione come quella che avrebbero dovuto affrontare.
*Vedremo se sarai all’altezza della tua reputazione, ragazzina*.
Ancora non sapeva che, entro un paio di giorni, molte altre cose sarebbero cambiate.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: Ragazziiiiii, eccomiiiii!!! Come state?? Mi stavate già mancando moltissimo!! Allora, cosa posso dirvi? Innanzitutto, scusatemi infinitamente per il ritardo, sono strapiena di impegni, e sono anche lentissima, soprattutto in questi primi capitoli dove i Melliza, per ovvi motivi, devono ancora spiccare il volo! Pazientate, pazientate! Già dal prossimo ci saranno sviluppi interessanti! Quanto al caso, posso dire la stessa cosa, ma spero di avervi incuriosito almeno un po’, per il momento :D Per farvi comprendere la mia infinita lentezza, ci ho messo quasi dodici ore per finire ‘sto cavolo di capitolo (fra le mille cose che stavo facendo oggi pomeriggio, ovviamente). Contavo di pubblicarlo entro le 18, e sono già passate le 22. No, ma brava Victoria. BRAVA. Colgo anche l’occasione per scusarmi con tutti voi per l’infinito ritardo con cui rispondo alle recensioni, lo so, sono vergognosa. Ma non dubitate mai che lo farò! Arrivo in ritardo, ma arrivo XD Non dubitate! Allora, una piccola precisazione: ero infinitamente indecisa su quali nomi adottare riguardo ai membri dell’SPK, perché su Internet ho letto che la pronuncia ufficiale del nome del comandante e di quello di Halle sono rispettivamente ‘Rester’ e ‘Lidner’, quindi inizialmente li avevo scritti così. Ma sapete una cosa? Riguardare l’anime e sentire le pronunce invertite mi disturba parecchio XD Così ho deciso di correggere il tutto passando a ‘Lester’ e ‘Ridner’, spero che non vi dia fastidio. In questo capitolo, ho già operato il cambiamento, appena ho un istante correggo la cosa anche sui capitoli precedenti. Altra cosa che non vi avevo ancora detto: come vi avevo accennato, la fanfiction ha la sua colonna sonora. Diversamente da quanto facevo con ‘Sugar and Pain’, ho deciso di inserire in neretto il titolo della canzone e il gruppo musicale/cantante di riferimento, così da non costringervi ad andarvi a cercare il tutto in fondo alle Note dell’Autrice e da, se la cosa ovviamente vi piacesse, potervi ascoltare la canzone durante la lettura del capitolo, per dargli la giusta atmosfera (mi viene subito in mente Robyn98, che apprezzò moltissimo, con mia immensa gioia, l’accompagnamento di ‘New York’ al capitolo 15 di ‘Sugar and Pain’. Fra l’altro, colgo l’occasione per dire che la ringrazio infinitamente per quel particolare commento, perché quella è definitivamente la canzone dei Relle, e quel momento mi provoca un sacco di feels tutt’oggi, a ripensarci).Veniamo subito ai ringraziamenti! Grazie a Always_Potter, a Robyn98 (appunto XD), a MaryYagamy_96, a SelflessGuard per aver commentato il capitolo 5, grazie a May_Barrett e a _Grayl_ per aver inserito la storia fra le preferite, a MetalheadGirl e di nuovo a May_Barrett per aver inserito la storia fra le ricordate, di nuovo a entrambe per aver inserito la storia fra le preferite. Un immenso GRAZIE a un grande ritorno, ossia a Potterhead394, che ha inserito la storia fra le preferite e le seguite e che, in un solo pomeriggio, ha recensito i capitoli 1, 2, 3 e 5, EPICA!! Perdonami se non ti ho ancora risposto, rimedio subito (la stessa cosa vale per SelflessGuard, scusami infinitamente!). E infine, il ringraziamento più grande va alla mia Lilian Potter in Malfoy, che è diventata la mia editor ufficiale e che sta contribuendo materialmente, emotivamente, spiritualmente, psicologicamente e chi più ne ha, più ne metta, allo sviluppo di ‘Our Sweet Darkness’. Dirti che la serie ti è dedicata è riduttivo, sul serio. D’accordo, adesso ho finito di ciarlare! Farò il possibile per tornare presto con il prossimo capitolo, lo prometto!! Un bacione grosso grosso, Victoria <3      

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