Il momento giusto

di Nemamiah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La donna con il fucile ***
Capitolo 2: *** L'uomo dietro il coraggio ***



Capitolo 1
*** La donna con il fucile ***


Raziel



Raziel - Il Momento Giusto


Capitolo 1


Great is youth, and equally great is old age...
great are the day and night.
Great is wealth and great is poverty...
great is expression and great is silence.

-Walt Whitman, Leaves of Grass






Stava diventando buio in fretta: era meglio che si sbrigasse a tornare indietro alla locanda, altrimenti la proprietaria non gli avrebbe servito la cena. Non che morisse dalla voglia di mangiare il pinnekjøtt, ma almeno sarebbe stato meglio dei soliti piatti di pesce di cui iniziava ad avere la nausea. Percorse il sentiero al contrario, uscendo dalla foresta innevata e tornando al paesino dove aveva vissuto negli ultimi anni. Non era nulla di eccezionale, ma gli abitanti erano estremamente cortesi e nessuno di loro si era posto domande sul perché un forestiero si fermasse per tanto tempo in un luogo con cui non aveva legami.
Vivevano un migliaio di anime nel paesino, abbastanza per permettersi di avere una specie di macellaio, che era anche un pescivendolo, una locanda, una libreria che vendeva volumi usciti almeno dieci anni prima e un negozio di vestiti. Per la maggior parte erano anziani, donne e uomini che erano nati là e desideravano morirvi, poi si aggiungevano molte coppie di mezza età e alcuni giovani che non avevano ancora deciso di fuggire via. In aggiunta, per sua immensa sfortuna, un paio di accampamenti di militari di chissà quale nazione turbavano la quiete dei dintorni.
I militari non gli stavano simpatici: i militari portavano guerra e sangue. Ne aveva già visto abbastanza per tutta la sua vita.
Sbatté un paio di volte gli scarponi sul muro a fianco alla porta e poi entrò, correndo al suo posto per non mancare la ciotola di brodo caldo che la proprietaria distribuiva celermente. Era grasso e saporito: una goduria per le sue membra congelate.
Osservò la sala al piano terra: c'erano più soldati del solito ad occupare le sedie del bancone, ognuno con un bicchiere di un liquido ambrato di fronte. Non era però troppo strano. All'accampamento gli alcolici non abbondavano, e nemmeno il riscaldamento. Meglio bere in pace lì, al caldo e circondati da facce nuove. Anche se...
«Ofelia, che ci fanno loro qui?» chiese a una delle cameriere in carne con cui aveva fatto amicizia.
Questa gli riempì la ciotola, ormai vuota, di costolette di pecora e guardò nella direzione dei militari, contraendo il viso in una smorfia di disgusto: «Quelli, signore, sono la rovina dell'accampamento. Sono quelli che andranno a ovest, verso il mare, a trovare qualcuno che li scaldi per stanotte.»
«Ofelia, prostitute è così difficile da dire?»
La donna lo fissò imbarazzata e gli diede la schiena, servendo la pecora agli altri commensali, in silenzio.
Lui mangiò un boccone, che si sciolse in bocca, poi si tolse i guanti e divorò le costolette con mani, come un cavernicolo: era il suo primo piatto di carne dopo mesi, se lo sarebbe goduto fino in fondo.
L'uomo seduto al suo fianco rise, chiudendosi ancora di più nel cappotto che indossava e commentò acido: «Quella non sa neanche da che parte lo si scalda, un uomo, durante la notte. Ha solo una fifa nera di poter finire come loro.»
«Immagino che tu lo sappia.»
«Beh, non ho mai provato a farlo, ma state ben certo che mi sono fatto scaldare per bene. Mi chiamo Fedor, e voi?»
«... Raziel.»
«E che razza di nome è?!»
«Perché, Fedor ti pare migliore?»
L'uomo soffocò una risata con un colpo tosse: «Sì, in effetti avete ragione... Comunque, da quanto siete qui?»
«Alloggio alla locanda da qualche anno.»
«E la cara proprietaria non vi ha ancora cacciato? Io sono qua da una settimana e ogni mattina la vedo attendere impaziente la mia partenza.»
Raziel chiamò Ofelia per una seconda porzione e si tolse la sciarpa marrone, appallottolandola sopra i guanti, e il cappello, nascondendolo in una delle tasche dei pantaloni. Si alzò e si fece dare una bottiglia di vino al bancone, guardando con sdegno i soldati. Al tavolo versò un bicchiere per lui e per il suo vicino, che ringraziò.
«... Non vi piacciono i militari, vero?»
«Non particolarmente.»
«Mio figlio è uno di loro, mi ha inviato una lettera cinque o sei anni fa.»
«Immagino ti manchi.»
«No.»
Raziel sollevò il viso dalla ciotola, sorpreso da quella negazione forte, che non lasciava spazio per attenuanti.
«Non potrebbe. L'ho tenuto in braccio quando è nato, poi me ne sono andato da quella casa. Il mestiere del genitore non è mai stato il mio. Ho un po' di figli sparsi per il mondo, ma lui è l'unico che mi scrive. Quando torno a Mosca ci sono sempre pacchi di lettere per me alla posta.»
«Sono anni che non torni al tuo paese, allora.»
Fedor alzò un sopracciglio, poi tolse anche lui la sciarpa, legandola allo schienale della sedia.
«Mi piace viaggiare, ho i soldi per farlo. Diciamo solo che non ho scelto il periodo migliore.»
Fu il torno di Raziel di ridacchiare, contenendosi per non sputare il boccone che aveva appena mangiato: «Se si pensasse a tutte le disgrazie che possono accadere, non ci si sposterebbe mai da casa. Quando si ode il richiamo, si deve correre il rischio.»
«Sa che richiamo odo io, proprio ora?»
«Quello del pinnekjøtt?»
«No, quello dell'ovest. Dovreste accompagnarmi.»
Raziel per poco non si strozzò, chiedendosi per quale motivo dovesse uscire fuori, di notte, con quel gelo, con un tipo che conosceva da meno di un'ora per andare a visitare un bordello. Fedor scoppiò in un'aperta risata allo sconcerto del rosso e slacciò la cintura che gli stringeva la giacca sulla pancia per avere maggior libertà.
«Non ho mica detto che deve entrare con me: può sedersi in uno degli ingressi, vicino al fuoco e rimanere lì al caldo. Non voglio perdermi nella neve, in due sarà più facile tornare indietro domani mattina.»
Raziel aveva creduto che avrebbe visto un'arma spuntare da sotto la giacca, mentre tutto quello che notò furono una penna e dei fogli di carta. Prese un respiro profondo e bevve un altro bicchiere di vino, spingendo poi il piatto in avanti e infilandosi i guanti.
«Questo sì che si chiama prendere l'iniziativa» disse alzandosi e chiudendo la cintura. Slegò la sciarpa e la avvolse intorno al collo coprendosi bene.
Una volta vestito Raziel fece per riportare la bottiglia, ancora mezza piena, al bancone, ma Fedor lo intercettò: «Questa viene con noi. Sarà una lunga notte, dovete avere compagnia.»
Raziel scosse la testa ed uscì seguendolo. Non aveva idea di quale direzione prendere, ma non avrebbe dimenticato il cammino fatto: sarebbe stato un'ottima guida al ritorno.
Fedor estrasse una torcia dalle tasche e l'accese. La neve riluceva del pallore giallo della lampadina. Sembrava una distesa di petali soffici di iris gialli coperti di rugiada.
A Raziel arrecava quasi dispiacere calpestarla e lasciare le impronte del proprio passaggio.

Chissà cos'avevano Ofelia e le altre donne contro le prostitute. Non erano donne problematiche: negli anni aveva sentito parlare di loro solo un paio di volte a causa di alcuni neonati abbandonati davanti alla porta della chiesa. Non che ci fossero state prove a sostegno della teoria che fossero figli loro, ma alla locanda le cameriere li avevano nominati tali e tali sarebbero rimasti fino alla loro morte. Per il resto erano solo voci e commenti velati che però non nascondevano il profondo disgusto delle donne virtuose.
Come se poi la virtù dipendesse dal numero di persone con cui si ha condiviso il letto, pensò Raziel, rivedendo nella mente l'intelligentissima Kore, il caro Attalos, la dolce Iliade e la meravigliosa Caterina.
Se dovessero giudicare me, senza dubbio non ne verrei fuori pulito... Ma come direbbe Hesediel, nessuno può giudicare il faraone se non il faraone stesso.

Si strinse maggiormente la sciarpa, pregando di arrivare presto, e chiuse le maniche sul posto per impedire al freddo di entrare in quello spiraglio. Guardò poi il suo compagno di viaggio mentre camminava: nonostante la sua familiarità aveva continuato a dargli del lei, educatamente, ma come se non volesse instaurare un rapporto con lui. Probabilmente questo atteggiamento influenzava il desiderio di non volersi mai legare a nessuno e le prostitute erano un ottimo compromesso.
Nel momento in cui pensò di chiedere a Fedor quanto ancora avrebbero dovuto camminare, questo si voltò verso di lui indicando uno scuro gruppo di case in cerchio.
Al centro c'era uno spiazzo da cui la neve era stata spalata via e si vedeva bene il terreno bruno sotto i piedi. Avrebbe ricominciato a nevicare nell'arco di poche ore, ma le donne lì aveva tempo in abbondanza durante il giorno e pochi compiti da svolgere: la mattina seguente avrebbero tolto nuovamente la neve.
«Siamo usciti prima dei militari: c'è l'imbarazzo della scelta.»
Raziel sorrise un poco imbarazzato, ma non disse nulla. Si lasciò condurre nella casa più grande e si sedette a fianco a Fedor su una panca di legno vicino al fuoco, in attesa.
Dalla scala scese una donna dai capelli neri, lunghi, molto magra. Aveva il viso di una bambina: non poteva avere più di vent'anni. Gli occhi scuri sembravano quelli di un angelo e le ciglia lunghe li incorniciavano magnificamente. Fedor si alzò e lasciò alcune monete su un tavolo; la ragazza scosse la testa, in silenzio. L'uomo allora fece un sorriso sghembo e tirò fuori altro denaro dalle tasche: a quel punto la giovane lo prese per mano e lo portò al piano di sopra.
Passarono un paio d'ore e Raziel le affrontò seduto sulla panca, a godere del calore del fuoco. Aveva un po' caldo, ma non si arrischiava a togliere nessun abito: meglio non essere scambiato per un cliente in attesa.
Dopo un'altra ora, e due militari che avevano salito le scale mano nella mano con altre due belle ragazze, la bottiglia di vino era diventata invitante e ne avrebbe volentieri bevuto un buon sorso, se solo avesse trovato la voglia per tirare fuori le mani dalle tasche.
Alla fine poggiò la nuca al muro e si chiese perché avesse accompagnato Fedor: avrebbe potuto starsene tranquillo nella sua stanza, con quella copia del manoscritto di Platone da leggere e una bella coperta calda sui piedi. Invece aveva scelto, di nuovo, di aiutare una persona in cerca d'amore. Proprio vero, il lupo perde il pelo, ma non il vizio: nel suo caso, un paio di ali verde smeraldo.
Si svegliò dal pisolino sentendo gli stivali di uno dei soldati sbattere sui gradini della scala: la ragazza doveva averlo sbattuto fuori dalla stanza. Nel frattempo, mentre l'uomo si rivestiva vicino al fuoco, entrò una donna. Questa squadrò il soldato con disgusto e distolse lo sguardo, schifata. Poi notò la presenza di Raziel, e lo stesso sguardo si addolcì. Gli si avvicinò.
«Bisogno di un letto caldo?» chiese.
«Non sono un cliente.»
«E io non ti sto offrendo i miei servizi: solo un letto e delle coperte.»
«Oh, un letto e delle coperte possono ispirare molti scenari.»
Lei si mise le mani sui fianchi: «Anche un fuoco può ispirare molti scenari, ma non mi pare di averti bruciato.»
Raziel alzò gli occhi e la guardò, poi si tirò su e abbassò la testa: «In tal caso accetto molto volentieri la vostra offerta.»
Gli disse di seguirla e lo portò nella casa opposta a quella, obbligandolo a salire subito nella camera da letto.
Raziel osservò la casa attentamente: era essenziale, ma curata e pulita. Non la casa di una prostituta, quella di una donna.
Il letto era grande, con molte coperte, e sistemato abbastanza vicino al camino da goderne di tutto il calore senza rischiare di prendere fuoco. Tutto sommato era una camera accogliente.
«Immagino che vi facciate pagare bene» le disse mentre toglieva la giacca.
«Molto bene, ma stasera non lavoro.»
«Perché, se posso chiedere?»
«Non do ai soldati l'amore, io.»
Improvvisamente Raziel ebbe voglia di giocare: «Io potrei essere un soldato senza divisa.»
«Voi? Non fatemi ridere. Voi, un soldato? Non sareste capace di uccidere un uomo nemmeno se stesse minacciando la vostra vita. State giocando con la donna sbagliata.»
«Siete esperta di soldati a quanto sento.»
«Senz'altro più di voi. E ora levatevi quegli scarponi: non salirete sul letto con quelli.»
«Come volete.»
Si sedette sul bordo del letto e lasciò gli scarponi vicino al muro, distendendosi.
La donna non aveva intenzione di lavorare quella sera, ma si spogliò come se lui non fosse nemmeno nella stanza.
Lasciò la giacca su una sedia e le scarpe vicino al fuoco, poi prese un paio di calzettoni asciutti e li infilò velocemente. Si tolse il vestito e indossò una camicia di notte e una vestaglia, stringendo bene la cintura affinchè non si slacciasse. Sciolse i capelli e li lasciò liberi sulla schiena.

Quello era il corpo di una donna: non eccessivamente muscoloso, magro quanto bastava per esaltare la prosperità delle curve; i capelli selvaggi e non acconciati. Un corpo che abbracciandolo ti avrebbe trasmesso calore, qualcosa di vivo e pulsante.
«Ammirato lo spettacolo?»
«Non mi avete lasciato scelta, ma come ho già detto: un letto può ispirare molte idee, soprattutto ai civili.»
«State tranquillo e nessuno si farà male. Poi, non avevate detto di non essere un cliente?»
«Chi dovrebbe farsi male?» le chiese non appena si mise sotto le coperte a fianco a lui.
«Voi» sussurrò e spense la luce.
La donna si addormentò in pochi minuti, ma Raziel avrebbe giurato che stesse dormendo con un solo orecchio: l'altro controllava lui e ogni suo movimento.
Non importava: da qualche secolo, precisamente dopo Caterina, si era lasciato l'universo femminile alle spalle. La visione di una bella donna era sempre un piacere, ma non chiedeva altro. Non aveva bisogno di altri trattamenti. La sua vita, così com'era, gli era più sufficiente. Presto sarebbe tornato alla civiltà, magari avrebbe preso una nave e avrebbe viaggiato fino a uno dei porti americani, scendendo in quello che più l'avrebbe convinto, per poi raggiungere i suoi amici.
Passarono altre ore e Raziel, cullato dal respiro ritmato della donna al suo fianco, si addormentò, sognando di giardini immensi e di una stanza verde smeraldo, con un grande letto e un trono di legno intarsiato.
Si risvegliò di soprassalto sentendo l'urlo di una ragazza in piena notte.
Il posto accanto a lui era vuoto e la donna stava accovacciata di fronte alla finestra con un fucile tra le braccia. Si alzò e si mise dietro di lei, chiedendole di chi fosse il grido.
«Aphrotiti... Quel soldato che si è portato in camera ore fa la sta picchiando... Probabilmente non gradisce di dormire fuori come il cane che è.»
«Come lo sapete?»
Gli fece spazio e anche lui, nella notte buia, riuscì a vedere i due dall'altro lato della piazza, di fronte alla porta aperta di lei.
«E vorreste sparargli?»
«...»
L'uomo gettò a terra Aphrotiti e la donna vicino a Raziel gli diede uno spintone per aver lo spazio e prendere la mira. Raziel la guardò e seppe che non ce l'avrebbe mai fatta: la mano le tremava, avrebbe mancato il soldato correndo il rischio di colpire la ragazza.
Le prese l'arma dalle mani e sparò. Il soldato cadde e non si rialzò.
Chiuse la finestra e restituì l'arma alla donna, che lo fissava sconvolta e stupefatta.
«Ancora certa che io non sia un soldato?»
«Non più così tanto... Torniamo a dormire.»
Raziel non si oppose e si distese sul letto, lasciando le coperte aperte per la donna. Questa rimase per un po' sul bordo, intimorita da quello che aveva appena visto. Nonostante ciò, quando Raziel aprì le braccia, non esitò a posare la testa sulla sua spalla, felice di quella concessione.





Coro dell'autrice
Sono tornata dal silenzio, sopravvissuta al cibo del Natale, che tra l'altro smaltirò come minimo fino al Pasqua, e pubblico questo primo capitolo.
Altro nome, altro angelo: tocca Raziel questa volta. Ora, Raziel è (o dovrebbe essere, ogni sito la dice un po' a modo suo) un Arcangelo, Potenza dell'amore e del sapere, del coro dei Cherubini. E me lo sono immaginata come un bell'uomo, con capelli lunghi e barba entrambi rossi, la carnagione molto chiara e un carattere saggio, sentimentale, gentile ma passionale. Qualsiasi riferimento ad orientamenti sessuali si evince perfettamente dal testo, diversamente dall'aspetto. Non è un libertino, ma la persona giusta è in grado di affascinarlo e farlo cadere in tentazione.
Non mi arrischio ad aggiungere altro, sennò potrei fare spoiler per il prossimo capitolo che, ipoteticamente, potrebbe già essere l'ultimo, dipende da quanto i personaggi avranno voglia di recitare sotto la mia guida.
Aggiornerò nel più breve tempo possibile, ma dovrò conciliare la scrittura con l'Università e la sessione d'esami. In ogni caso so già perfettamente cosa debba accadere e come, ed in parte tutto ciò esiste già.
Come al solito questa storia rappresenta uno spin-off per conoscere meglio i personaggi della storia madre che, come al solito, non ho nè finito nè deciso di pubblicare.
Vi auguro Buona Lettura, Buon Anno Nuovo già che ci sono e spero che abbiate voglia di lasciarmi qualche recensione.

Un saluto a tutti
Izumi


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Capitolo 2
*** L'uomo dietro il coraggio ***


Raziel 2


Raziel - Il Momento Giusto


Capitolo 2




Great is youth, and equally great is old age...
great are the day and night.
Great is wealth and great is poverty...
great is expression and great is silence.

-Walt Whitman, Leaves of Grass

 

 

 

 

 

 

 

Lei non c’era.

Il Sole era sorto, la neve brillava e lui era solo.

Per la prima volta nella sua lunga vita anche lui sperimentava l’amara sensazione dello svegliarsi in un letto vuoto dopo avervi passato la notte con una persona, ed era spiacevole come aveva sempre creduto. Lui non aveva mai abbandonato i suoi amanti: li attendeva, li abbracciava e li baciava ancora e ancora.

Si alzò e si guardò intorno, sgranchendosi le gambe e le braccia. Il fuoco era rosso vivo e nuovi ciocchi di legna stavano accatastati a fianco al camino. Ne buttò uno dentro, pulendosi poi la mano sui pantaloni.

Allacciò gli scarponi e si affacciò alla finestra. La neve era caduta di nuovo, coprendo lo spiazzo tra le case. Una parte di essa era già stata spazzata, ammucchiata sui muri dalle donne che stavano lavorando alacremente. Prese cappotto, guanti e sciarpa e li indossò scendendo le scale, ma li tolse al piano terra, vedendo sul piccolo tavolo addossato al muro la bottiglia di vino della sera prima, chiusa, e del Gløgg fumante. Lo bevve tutto d’un fiato, mangiando con gusto l’uvetta e le mandorle, seduto sulla sedia sgangherata libera che aveva trovato.

Terminato si vestì completamente per andare a recuperare Fedor.

‹‹Tu dove credi di andare?›› disse la donna piantando un coltello nello stipite della porta.

‹‹Dal mio amico.››

‹‹Il tuo amico dorme ancora. Ora, parliamo un po’›› rispose, e lo spinse all’indietro verso la sedia.

Lei si sedette sul tavolo, incrociando gambe e braccia, fissandolo torva. Gli uomini normali non passavano la notte con una prostituta senza fare nulla, i civili non sapevano sparare con quella precisione e, in generale, non si accompagnavano sconosciuti in giro prima di una nevicata.

‹‹Dici di non essere un soldato, ma hai sparato a freddo ad un uomo, ieri notte, imbracciando il fucile meglio di chiunque io abbia mai conosciuto. Hai portato qui un tipo di dubbia fiducia e non ti sei fatto nessuna domanda, come se fosse banale.››

‹‹Cosa avrebbe potuto farmi?››

‹‹Ucciderti. Non sono rare le morti qui.››

‹‹Soprattutto se sei tu ad occupartene, immagino.››

Mise i piedi sul tavolo, sfiorando i fianchi della donna con il bordo delle scarpe e la fissò con aria di sfida. Non si sarebbe lasciato intimorire da una prostituta.

‹‹Ne ho uccisi tanti negli anni, ma mai per divertimento. Ognuno di loro ha in qualche modo ferito le ragazze.››

‹‹E tu sei la premurosa madre, vero?››

‹‹E tu il capace civile senza nome. Siamo esattamente sullo stesso piano e adesso voglio che tu mi dica chi ho ospitato sotto il mio tetto. Cosa sei? Un soldato in incognito? Una spia? Un veterano? Perché sei venuto qui?›› disse scendendo dal tavolo e schiacciando la lama del coltello contro la sua gola.

Raziel la guardò e la donna si ritrovò sbalzata contro il muro.

Si alzò e raccolse il coltello da terra, posandolo poi sul tavolo. La guardò dall’alto, con aria di superiorità, infilando le mani nelle tasche: ‹‹Mi hai tagliato, e non è una bella cosa, sai, Hjørdis.››

Poi uscì.

 

Dopo due settimane Fedor partì alla volta della Danimarca, deciso a visitarne la capitale, incurante dei rischi del viaggio. Era andato via con una borsa piena di bottiglie di vino e il corpo sufficientemente riscaldato per poter sopravvivere a lungo senza nessun altro. Aveva salutato Raziel con una pacca sulla spalla e si era tirato il cappello sugli occhi, camminando con la sua andatura sbilenca.

Raziel aveva trascorso quel tempo camminando per i boschi, cenando alla locanda e fingendo di ignorare la presenza assillante dei militari.

 

Circa un mese dopo Hjørdis si fece trovare nella sua stanza, seduta a gambe incrociate sul letto. Si era messa i suoi calzettoni, mentre le scarpe erano state lasciate vicino al camino.

‹‹Ciao Hjørdis, cosa fai qui?››

La donna si alzò in piedi sul materasso, guardandolo dall’alto: ‹‹Come sapevi il mio nome? Nessuno conosce il mio nome. E come hai fatto a fare quella cosa, a sbalzarmi?››

Raziel si appoggiò alla porta chiusa, incrociando le braccia al petto e sorridendo sghembo. Era divertente vederla agitata, perché cercava di essere minacciosa, ma in realtà gli sembrava solamente adorabile. Ora che ci pensava, non aveva mai ritenuto nessuno adorabile: intelligente, bello da mozzare il fiato, affascinante, eccitante, ammaliante, seducente erano gli aggettivi che aveva sempre utilizzato. E lei, incredibilmente, li possedeva tutti.

‹‹Sono fatti miei. Non vado in giro a spifferare i miei segreti alle prostitute.››

‹‹Non prendermi in giro!››

‹‹Non lo faccio, solo non voglio svelare a te la mia vita. Accontentati di quel poco che sai… Hai fame?››

Hjørdis saltò giù dal letto e fece scricchiolare il legno del pavimento sui cui atterrò, camminando con la lentezza di una pantera e dicendo, orgogliosa, che sì, aveva molta fame. Raziel sorrise, dandole un buffetto sulla guancia e scese nella cucina, portando poi su due ciotole di brodo caldo e due piatti di agnello. Mangiarono seduti sul letto, mentre gli unici rumori erano il risucchio del brodo caldo e le forchette che scontravano il bordo del piatto. Non si parlarono, ma i loro sguardi si scontrarono più volte. Quando Raziel abbassava gli occhi su di lei, lei faceva lo stesso, distogliendoli subito. Era una sensazione strana quella che entrambi provavano, un misto di tranquillità ed agitazione, un desiderio di sfiorarsi e prendersi a pugni.

Finiti i piatti Hjørdis si rimise gli scarponi e lo salutò con un filo di voce, sgattaiolando fuori dalla porta e giù dalle scale. Raziel non ebbe i riflessi per impedirle di andare via, e guardò la porta chiusa.

La fissò per parecchi giorni, chiedendosi cosa di quella donna l’avesse stregato, perché ne fosse così intrigato. Non era la bellezza, quella la possedevano tutte: l’avrebbe potuta trovare facilmente se si fosse messo alla sua ricerca. Il mondo era pieno di splendide donne che sarebbero facilmente cadute tra le sue braccia, in fondo anche lui era di bella presenza.

Quella donna però… Aveva un’anima determinata e orgogliosa che non si sarebbe lasciata chiudere in gabbia. Si sarebbero sempre scontrati, due caratteri diversi, agli antipodi: lui visionario, socievole, disponibile; lei pragmatica, protettiva ma solitaria. La perfetta sintonia degli opposti.

Sarebbe assurdo se…

Una notte andò a trovarla. Non fu una decisione ragionata, solo un improvviso bisogno di rivedere quegli occhi vispi e di risentire quella voce squillante. Non fu nemmeno una grande idea, perché stava lavorando e così aveva trascorso le ore buie seduto su quella sedia sgangherata, sperando che buttasse fuori in malo modo il suo amante. Se ne era andato non appena aveva sentito la casa risvegliarsi. Era scivolato in silenzio sulla neve e non era uscito dalla sua stanza nella locanda per tutto il giorno, sonnecchiando sul letto e saltando la cena.

Fece lo stesso altri giorni, concludendoli sempre nel medesimo modo. Parlò a fondo con se stesso, scavando tra la parte che si poneva domande e quella che preferiva rimanere in silenzio, statica. Aveva razionalmente deciso che non si sarebbe mai più lasciato coinvolgere da una donna molti anni prima, quando Caterina si era sposata, abbandonandolo per un fornaio di dubbia fedeltà. Aveva i perso i primi amanti a causa del frenetico scorrere del tempo, ma quella era stata la natura, crudele e generosa, e l’aveva accettato. Caterina l’aveva tradito e si portava ancora dietro quella ferita perché di lei si era innamorato: aveva giurato alla sua anima che non avrebbe più inciampato.

Dall’altra parte invece c’era Hjørdis e quello che poteva diventare.

Un altro mese trascorse in quel limbo di indecisione, fino al momento in cui Raziel, aprendo la porta della stanza, non vide la donna seduta sul suo letto, con i suoi calzettoni, mentre beveva il suo brodo.

‹‹Com’è possibile che la padrona non vi veda entrare?››

‹‹Mio padre mi ha insegnato bene, mettiamola così. Voi invece siete poco attento alle tracce che lasciate›› disse mostrando un paio di guanti marroni.

Raziel chiuse la porta a chiave, guardandola con un sorriso fintamente spavaldo. Scosse la testa e le tolse di mano i guanti, lanciandoli sul tavolino. Si sedette al suo fianco e appoggiò il mento su una mano: ‹‹Cosa fai qui, Hjørdis?››

‹‹Cosa sei venuto a fare tu in casa mia?››

Raziel non rispose, ma le tolse la ciotola di brodo vuota dal grembo, posandola a terra.

‹‹Sapevo che non avresti avuto il coraggio di ammetterlo.››

Balzò giù dal letto e prese gli scarponi, impegnandosi a rendere il silenzio spiacevole per l’uomo, ignorandolo. Li indossò in un angolo della stanza, poi si mise i guanti marroni, girò la chiave e uscì.

Raziel si lasciò cadere sul letto, la testa fuori dal materasso e le braccia aperte, ad occhi chiusi. Era molto bravo ad aiutare gli altri, ma con se stesso commetteva un errore dopo l’altro. Cosa avrebbe dovuto risponderle, che l’attraeva sotto tutte le prospettive? Che l’idea di fermarsi ancora anni in quel paese gelido non sembrasse più così inopportuna? No, e anche sì.

Rimase disteso fino a che il fuoco non si spense, respirando lentamente e pensando, come tutte le volte in cui rimaneva al buio. Si alzò di scatto. Aveva bisogno d’aria. Ignorò la proprietaria che cercava di fermarlo e uscì sotto la neve, percependo il peso leggero dei fiocchi sulla testa. Conosceva la strada.

Quando raggiunse la casa non si fermò nell’ingresso, non pensò che avrebbe potuto interrompere qualcosa ma solo che i rischi erano parte della vita, e lui voleva essere vivo. La donna voltò il viso sentendo la porta sbattere contro il muro ma rimase immobile, fissando Raziel e aspettando. Questo sorrise e le si avvicinò, baciandola. Le mise le mani nei capelli lunghi, stringendo le ciocche e lasciando scivolare le dita lungo la schiena, facendola rabbrividire. Le morse il labbro e si staccò da lei, senza fiato. Si guardarono negli occhi, i nasi che si scontravano e i respiri fusi l’uno nell’altro. Lei gli mise le braccia la collo e riprese da dove si era interrotto, sciogliendogli la treccia rossiccia, permettendogli poi di lambirle il collo con la lingua.

Poi spense il fuoco e tutta la luce nella stanza scomparve.

 

‹‹Era così difficile da ammettere?›› gli chiese sapendo che era sveglio.

‹‹A me stesso? No. A te? Enormemente.›› rispose sorridendo, con le braccia dietro la testa.

La donna gli tirò una sberla sulla spalla, ma ridacchiò in contemporanea, mostrando come non si sentisse davvero offesa dalla sua ammissione, tutt’altro, e Raziel lo comprese alla perfezione. Si alzò, spostando le coperte, e mise un ciocco di legno nel fuoco, muovendolo un poco in modo che non morisse, poi la guardò e indossò il maglione che avevano abbandonato per terra nella frenesia della notte.

‹‹Dovrei quasi pagarti, sai?››

‹‹Pensi davvero che questa sia stata una notte di lavoro per me?››

‹‹Assolutamente no. Non saresti stata così bene sennò.››

Hjørdis lo fissò incredula, coprendosi con la coperta fin sotto il mento: ‹‹Sei molto convinto delle tue capacità.››

‹‹Abbastanza da pagarti per avermele fatte ricordare›› ammiccò.

La donna scoppiò in una risata cristallina e uscì dal tepore delle lenzuola, indossando in fretta un maglione, una calzamaglia e dei pantaloni. Quell’autunno si stava rivelando particolarmente freddo, era meglio non ammalarsi.

Baciò l’uomo prima che uscisse dalla casa, per sfruttare le ultime ore di luce concesse dalla natura per tornare alla locanda.

 

Per molte notti condivisero il letto, amandosi con lentezza o frenesia, dolcemente, sentendo ogni volta le loro anime entrare in risonanza, riconoscendosi come simili, come metà di uno stesso intero, complementari. Le notti diventarono giorni e i giorni sfociarono in anni, perle fisse nel tempo e momenti che avrebbero conservato entrambi come balsami di felicità.

Hjørdis mostrò di possedere un’intelligenza incredibile, forgiata dalle molte letture fattale dal padre, e un cuore generoso, che Raziel non si sarebbe aspettato di trovare. La donna capì da sola che l’uomo era dotato di capacità inumane e diede loro il nome di magia, sorprendendolo quando gli fece domande per imparare e conoscere i dettagli. Lo fissava interessata e curiosa mentre Raziel le raccontava e le mostrava ciò che era in grado di fare, svelandosi nella sua fragilità e meraviglia. Con nessuna era mai giunto a tanto.

Poi comprese il motivo per cui Hjørdis gli ponesse così tante domande, esattamente nel momento in cui sentì l’eco magica di un’anima risuonare nella donna come lo sciabordio delle onde del mare in tempesta. Notti intere rimase sveglio ad ascoltare quel ritmo che cullava i sogni di Hjørdis, anche se lei non riusciva a percepirlo.

Hjørdis sapeva, ma non gli aveva confessato nulla: probabilmente attendeva il momento giusto. Come se si potesse sapere quale sia l’attimo preciso in cui si possa confidare o svelare qualcosa, ed essere certi che, se non si sgarrasse di un solo secondo, si raggiungerebbe la perfetta realizzazione della vita.

Fu Raziel, pur con poco tatto, a chiederle da quanto tempo fosse a conoscenza della vita che cresceva in lei e Hjørdis, con gentilezza, gli mise la mano sulla pancia, dicendo che se lui sapeva, non aveva importanza il motivo. Si sorrisero e si baciarono sulle labbra, abbracciandosi.

La bimba che nacque aveva i capelli rossi del padre e gli occhi azzurri della madre e, una volta raggiunta l’età per parlare e camminare, si dimostrò un ciclone. Nulla sembrava fermare la testardaggine e la determinazione della piccola, che in breve tempo mostrò anche abilità magiche che resero Raziel orgoglioso ogni giorno di più. La vide crescere e la tenne lontana dal mondo in cui era nata, insegnandole tutto quello che la sua memoria ricordava, chiedendosi quando quella bolla di felicità sarebbe esplosa.

 

‹‹Tu chi sei?›› chiese la giovane aprendo la porta e rabbrividendo per il vento freddo.

‹‹Un amico di Raziel, è in casa?››

La giovane chiamò a gran voce il padre, che si bloccò sulla scala non appena vide l’ospite che attendeva seduto su una sedia. Il sorriso che adornava il viso dell’uomo scomparve, lasciando il posto ad un’espressione preoccupata e allarmata. Si sedette al suo fianco e lasciò che gli parlasse, concitato e frettoloso, spiegandogli il suo bisogno mentre la figlia ascoltava in un angolo la conversazione, impallidendo ad ogni parola. Corse su per le scale, sbattendo la porta della camera.

‹‹Raziel, scusa la domanda, ma cosa fai tu in un bordello?››

‹‹Ci vive. La domanda è cosa se venuto a fare tu, qui.››

Raziel presentò Hjørdis a Lucifero e viceversa muovendo le mani, incapace di pensare esattamente a che parole dire per non far scoppiare una bufera.

‹‹Devo portarlo via, abbiamo bisogno di lui in un altro luogo. Mi rendo conto di fare un grande torto, visto che a quanto pare si è creato una famiglia, ma in questo momento il suo più prezioso ed importante amico necessita della sua presenza e io non posso agire altrimenti.››

Hjørdis lo squadrò dalla testa ai piedi, chiedendosi cos’avesse di sbagliato quel ragazzo dai capelli neri per parlare in quel modo assurdo, come un damerino, poi si rivolse a Raziel, chiedendo spiegazioni.

‹‹È la verità.››

‹‹E tu avresti intenzione di andare?›› gli disse ignorando la presenza di Lucifero.

Raziel prese un respiro e sussurrò che non aveva scelta, guardandola negli occhi come volesse scusarsi senza parole.

‹‹Lo spieghi tu a tua figlia.››

‹‹Hjørdis…››

‹‹Sapevamo entrambi che non sarebbe durata in eterno, non per me almeno, sarà meglio così›› lo confortò, tirandolo per una braccio e spingendolo verso la scala. Lanciò un’occhiataccia a Lucifero, fermo immobile in un angolo, e uscì.

 

Raziel aprì piano la porta della stanza della figlia, vedendola seduta sul davanzale della finestra a guardare fuori dal vetro, indifferente.

‹‹Devo venire via con te?››

‹‹Freya, di cosa ti preoccupi? È tua madre, non avrei mai il coraggio di portarti via da lei e nemmeno l’arroganza di ordinartelo.››

La giovane guardò il padre in un connubio di gratitudine e tristezza, le guance umide per le lacrime scese poco prima. Raziel l’abbraccio, sfregando a barba pungente sulla pelle delicata di lei, come faceva quando era piccola per confortarla.  

‹‹Quando morirà, potrò rivederti?››

‹‹Come?››

La ragazza accennò un sorriso sbiadito: ‹‹Io non cresco più, me ne sono accorta, e tu uguale, ma la mamma no. Quindi promettimi che un giorno tornerai.››

Raziel le baciò la mano, giurando: ‹‹Tornerò sempre da te, figlia mia.››

Freya si asciugò le guance con la manica del maglione e gli diede un pugno debole sulla spalla, per infondergli ottimismo.

Raziel si allontanò, lasciando che il suo sguardo vagasse un’ultima volta sulla figlia, ascoltando lo sciabordio del battito del suo cuore per conservarlo nella memoria. Al piano di sotto trovò Lucifero con la sua giacca in mano e gli diede una pacca sulla spalla, precedendolo fuori e lasciando che fosse lui ad occuparsi dell’incantesimo di teletrasporto.

Condivise un ultimo, dolcissimo sguardo con Hjørdis prima di scomparire, lo stesso che avrebbe sempre portato alla mente nei momenti di insostenibile solitudine.

 

 

 Coro dell'autrice

Come immagino abbiate notato, ho cambiato il mio nickname da Izumi_BB a Nemamiah. Quest'ultimo sarebbe il nome dell'angelo custode che dovrebbe proteggermi, e scrivendo spesso di angeli ho deciso di chiarmarmi così. Inoltre il nome è associato all'essenza del discernimento, che trovo molto bella come parola e come significato. La storia si conclude in questo modo triste, un po' come tutte le mie altre one-shot, ma spero che vi sia piaciuta: Raziel è uno dei miei personaggi preferiti e spero che stia stato simpatico anche a voi lettori. Spero che anche che iniziate a collegare le one-shot relative agli angeli, che sono tutte parte di un rete più grande. Ho quasi terminato di sviluppare quella rete, non manca molto, poi decidere se pubblicare qui o tentare la sorte con una casa editrice. Sono ancora molto indecisa.

Rinnovo l'invito a lasciarmi una recensione, anche negativa, perchè tutti i commenti sono importanti! 

Un saluto e una bacio a tutti coloro che hanno letto e apprezzato. 

Nemamiah

 

 

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