Miraculous Heroes 3

di Echocide
(/viewuser.php?uid=925448)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38 ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39 ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40 ***
Capitolo 41: *** Capitolo 41 ***
Capitolo 42: *** Capitolo 42 ***
Capitolo 43: *** Capitolo 43 ***
Capitolo 44: *** Capitolo 44 ***
Capitolo 45: *** Capitolo 45 ***
Capitolo 46: *** Capitolo 46 ***
Capitolo 47: *** Capitolo 47 ***
Capitolo 48: *** Capitolo 48 ***
Capitolo 49: *** Capitolo 49 ***
Capitolo 50: *** Capitolo 50 ***
Capitolo 51: *** Capitolo 52 ***
Capitolo 52: *** Capitolo 51 ***
Capitolo 53: *** Capitolo 53 ***
Capitolo 54: *** Capitolo 54 ***
Capitolo 55: *** Capitolo 55 ***
Capitolo 56: *** Capitolo 56 ***
Capitolo 57: *** Capitolo 57 ***
Capitolo 58: *** Capitolo 58 ***
Capitolo 59: *** Capitolo 59 ***
Capitolo 60: *** Capitolo 60 ***
Capitolo 61: *** Capitolo 61 ***
Capitolo 62: *** Capitolo 62 ***
Capitolo 63: *** Capitolo 63 ***
Capitolo 64: *** Capitolo 64 ***
Capitolo 65: *** Capitolo 65 ***
Capitolo 66: *** Capitolo 66 ***
Capitolo 67: *** Capitolo 67 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 1.514 (Fidipù)
Note: E ci siamo: l'avete atteso, me lo avete chiesto inesorabilmente da lunedì, ma alla fine è giunto: Miraculous Heroes 3 inizia. E già vi comincio a rompere con le mie informazioni gratuite: prima di tutto, questo capitolo si svolge, cronologicamente parlando, in contemporanea a Miraculous Heroes, ma dal prossimo si torna al presente (o, almeno, al presente della storia); inoltre troverete in questo capitolo due personaggi (cioè uno è proprio il protagonista di questo capitolo, l'altro è solo citato) di Tikki, la prima Portatrice (se non l'avete letta, vi consiglio di farla dato che tutto è collegato. Me e il mio maledetto vizio di collegare tutto).
E ora...
Shangri-la. In verità Shangri-la è solamente un luogo immaginario descritto nel romanzo Orizzonte perduto di James Hilton; il successo di questo romanzo nella società dell'epoca diede origine al mito: così sognatori, avventurieri ed esploratori provarono a trovare questo paradiso perduto.
Detto questo vi lascio al capitolo, sperando che vi possa piacere e che vi invogli a lasciarmi un commentino.
Al prossimo capitolo!


Quanto tempo aveva vissuto?
Quante stagioni aveva visto susseguirsi?
Quanti regni e imperi aveva visto nascere e poi morire?
Kang inspirò profondamente, mentre si appoggiava stanco al muro di pietra della caverna, alzando la testa e osservando il piccolo gazebo posto alla bocca dell’antro: il sole rendeva il piccolo edificio nero e scuro, quando invece era stato costruito con la pietra più candida di quella zona.
Forse un po’ polverosa al momento, ma pur sempre chiara.
Ricordava ancora, quando quel luogo era al colmo del suo splendore: in fondo era a giro per il mondo da molto tempo, forse anche troppo.
Era stato un neonato quando si era salvato dalla distruzione della sua patria, un regno ormai dimenticato e sfumato nei miti e nelle leggende di tutti i popoli; era stato un adolescente, quando aveva dovuto dire addio all’unico padre che aveva conosciuto: la morte di Gyrro era stato uno dei motivi per cui si era messo in viaggio ed era giunto lì ove la sua vita era diventata innaturalmente lunga.
Inspirò nuovamente, sentendo nelle narici l’odore fresco e umido dell’aria e sorrise, mentre il futuro si dipanava davanti a lui: fin da quando era stato bambino aveva avuto il dono della Vista.
Era stato grazie al suo Dono se Gyrro era partito, come primo Gran Guardiano, iniziando quella ricerca di anime valorose a cui donare gioielli…beh, miracolosi.
Era stato lui che aveva scritto di proprio pugno i testi più importanti, che a Nêdong venivano considerati sacri.
E grazie al suo Dono era riuscito a salvare due vite, che si sarebbero rivelate importanti nei giorni a venire.
Un sorriso gli piegò le labbra, mentre serrava la presa sul bastone e faceva un nuovo passo: alla fine di tutto, era stato lui a dare la spinta alla ruota del destino che lo portava proprio a quel momento.
Tutto era iniziato quando, secoli prima, aveva detto a Gyrro di intraprendere il suo viaggio, sapendo benissimo cosa il futuro avrebbe portato.
Sapeva del giovane gruppo di eroi che, in quel frangente, stava combattendo un’antica minaccia dall’altra parte del mondo.
Sapeva della donna prigioniera che, preso, si sarebbe liberata e si sarebbe ricongiunta alla sua famiglia per combattere la minaccia del suo passato.
E conosceva anche avvenimenti futuri alla sua morte, poiché lui sarebbe morto quel giorno.
Trasse un lungo respiro, alzando la testa e riprendendo la sua camminata verso il gazebo: un brandello della magnificenza dell’antica Shangri-la, la città eterna, in cui aveva vissuto tutto quel tempo.
Si avvicinò ancora, notando l’uomo al centro di esso: le spalle rilassata, la postura tranquilla e lo sguardo rivolto in avanti.
Non dava proprio l’aria dell’assassino.
«E’ una vista incantevole, non trova?» domandò, salendo i pochi gradini del chiosco e affiancandolo, voltandosi verso il panorama delle vette innevate: Shangri-la, il paradiso perduto, era situato fra i monti dell’Himalaya, non molto lontano dalla sua amata Nêdong.
Gli sarebbe piaciuto rivederla, prima di morire.
Peccato che fosse un desiderio irrealizzabile.
«Forse un millennio fa era più bella.» continuò Kang, poggiandosi stancamente al bastone e sorridendo: «C’era una strada, che costeggiava il monte: d’inverno era tutto completamente bianco ma nelle stagioni calde, la pietra candida risaltava e, quando veniva toccata dai raggi del sole, riluceva.» spiegò, allungando una mano magra e nodosa: «Era uno spettacolo. Mi ricordo di un imperatore cinese che…»
«Lei sa che cosa voglio, vero?» domandò l’uomo, massaggiandosi il mento e la barba ben curata, voltandosi verso di lui: «Non sono qui per ascoltare di una città dimenticata.»
«Sì.» dichiarò spiccio Kang, voltandosi verso l’altro: «E so anche cosa succederà.»
«Quindi potremmo…»
«Combatterò. Poiché non posso dare il potere che proteggo qua.» dichiarò orgoglioso l’anziano, alzando la testa e sfidando l’altro: «Posso essermene andato da Nêdong da tempo, ma rimango un suo accolito e, più di ogni altra cosa, sono un nativo di Daitya.»
«Non mi lascia altra scelta, allora.»
«E’ pericoloso ciò che ha in mente di fare.»
«Lei non può…»
«Io so.» continuò Kang, scuotendo la testa e inspirando a fondo l’aria, mentre concentrava l’energia nella mano destra, pronto a scagliarla contro il nemico: «Il potere – quel potere – non le darà mai ciò che vuole.»
L’uomo accanto a sé sorrise, mentre un pugnale scivolava dalla manica del completo costoso che indossava: «Lei non sa.» ringhiò, afferrando Kang per un braccio e tirandolo verso di sé, affondando la lama nel ventre dell’anziano.
Kang gemette, sentendo la carne lacerarsi e il dolore irradiarsi per tutto il corpo: «Tu...» sibilò, stringendo il braccio dell’altro e alzando lo sguardo, per vedere in volto il suo assassino; si lamentò nuovamente, quando l’uomo fece forza sull’elsa, spingendo più a fondo la lama.
Lo sguardo dell’anziano si fermò sul collo dell’assassino, notando il monile che lo adornava: «Tu…» bisbigliò, alzando tremante una mano e sfiorando l’oro.
«Sì, avevo già trovato la collana.» dichiarò l’uomo, sorridendo: «Non l’aveva visto?» domandò ironico, girando il pugnale nel corpo dell’uomo e lacerando gli organi: «E’ diverso dai gioielli di Nêdong, ma non per questo meno potente…»
«Tu sarai fermato.» mormorò Kang, vedendo il futuro dipanarsi di fronte a lui per un’ultima volta: «Tu verrai fermato.»
«Il mio futuro non è ancora deciso, vecchio.» dichiarò l’uomo, tirando fuori la lama dal corpo e spingendo il corpo dell’altro lontano da sé: l’anziano cadde a braccia aperta sulla nuda pietra, un sorriso che gli increspava le labbra e il respiro affannoso: «Io non verrò fermato. Da nessuno.»
«Oh. Incontrerai la tua fine, il giorno che ti metterai contro di loro.» dichiarò Kang, tossendo poi quando un rivolo di sangue gli salì in gola: «I gioielli di Nêdong ne usciranno vittoriosi.»


Qualcosa nell’aria era cambiato: la ragazza si voltò verso la montagna, socchiudendo lo sguardo e ascoltando il vento.
C’era qualcosa di diverso, lo sentiva.
Lasciò perdere la trappola che stava controllando e, la mano ferma sull’elsa della spada, tornò di corsa alla caverna: i lunghi capelli scuri si muovevano al vento, sferzandogli di tanto in tanto il volto; il corpo sentiva la fatica e la mente viaggiava, travolta dalle sensazioni che stava provando.
Aveva avuto un sentore, quella mattina, quando il sommo Kang l’aveva mandata via, per controllare le trappole: un dovere che avrebbe dovuto compiere nei giorni successivi, ma l’anziano era stato irremovibile e l’aveva quasi spinta fuori dalla caverna.
Si fermò, osservando la bocca della grotta in cui viveva: molti escursionisti giungevano quasi fin lì, ma nessuno poteva vedere oltre il velo che copriva loro l’entrata della città senza tempo.
Shangri-la, come la patria di Kang, erano luoghi misteriosi che stimolavano i sogni degli uomini.
Scosse il capo, riprendendo la sua marcia e fermandosi nei pressi del piccolo gazebo, che delimitava l’ingresso della città: quando era piccola, lì era solita sostare una guardia che controllava il flusso delle persone in entrata e in uscita; all’epoca, la città non era abbandonata e il novello impero vicino traeva grande profitto dal commerciare con loro.
Poi, lentamente, la rovina era giunta e di quella fiorente comunità non restava altro che rovine.
Si avvicinò lentamente, carezzando le colonne decorate e arrese alla polvere, notando poi il corpo al centro del chiosco: «Kang!» esclamò la ragazza, correndo da lui e chinandosi al suo fianco: «Cosa…?» si fermò, notando la macchia di sangue che si espandeva nell’addome dell’uomo: «Resisti. Ti porto…»
«Non c’è più tempo per me.» mormorò l’anziano, allungando faticosamente una mano verso l’alto: «Xiang, non perdere tempo.»
«Ma posso…»
«No. Non puoi.» Kang sorrise, inspirando profondamente e socchiudendo le palpebre: «Pr…presto mori…rò…»
«No.»
«Sì. Ma lo sa…pevo…» l’anziano si fermò, facendo un nuovo profondo respiro: «Xiang. Tu devi andare a Parigi.» dichiarò con voce ferma, aprendo gli occhi e fissandola: «Vai a Parigi e unisciti a coloro che portano i gioielli di Nêdong.»
«Io…»
«Lui ti aiuterà. So che è lì. Affidati a lui.»
«Non posso lasciarti…»
Kang sorrise, stringendo la mano della ragazza e portandogliela al cuore: «Sei tutto ciò che rimane di questo posto, Xiang. Sei tutto ciò che rimane dell’uomo che mi accolse a braccia aperte, quando ero ancora un bambino. Vai, figlia della Città senza tempo.» tossì, sputando sangue e tremando: «Vai e lascia che il tuo tempo scorra di nuovo. Va a Parigi, Xiang.»
Xiang osservò l’uomo sorriderle ancora una volta prima che la mano, che teneva la sua, perdesse tutta la forza e cadde inerte verso il basso: un singhiozzo le sfuggì dalle labbra, mentre si rendeva conto che Kang l’aveva lasciata.
Kang non c’era più.
Kang, l’immortale Kang, era morto.
Si accasciò contro il suo corpo e i suoi singhiozzi riecheggiarono per tutta la caverna, mentre dava voce alla tristezza che sentiva dentro al cuore: di tutto ciò che aveva conosciuto non era rimasto più nulla.
Kang, l’unica persona ad aver vissuto quanto lei, non c’era più.
Era sola.
Completamente sola.
Va a Parigi, Xiang.
L’ultimo ordine dell’anziano risuonò dentro di lei: Parigi. Doveva andare nel luogo indicatole.
Si tirò su, osservando il volto senza vita e annuì, asciugandosi con un gesto deciso le lacrime: «Eseguirò il tuo ordine, Kang.» dichiarò, alzando la testa e puntando lo sguardo davanti a sé: «Io andrò a Parigi.»

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.452 (Fidipù)
Note: Buon salve salvino! Bene, con questo capitolo inizia ufficialmente Miraculous Heroes 3, dato che si riprende la storia da dove l'avevamo lasciata...beh, più o meno, dato che sono passati due mesi buoni buoni da quando Maus è spirato; ritroviamo il gruppo di eroi miracolati e...beh, vediamo, vediamo. C'è qualche informazione che devo darvi? Ah sì, Amedei è un'azienda - o forse è il caso di dire cioccolateria? - italiana che ha sede in Toscana, più precisamente a Pontedera e rientra fra le migliori produttrici di cioccolata italiane. Indovinate a chi farà gola questa notizia?
Come al solito, voglio ringraziarvi per il fatto che leggete le mie storie, che le commentate e...beh, che ci siete.
Grazie tantissimo! (e sì, sono veloce a questo giro ma mi attende il megaripassone).


Il grande viale era illuminato dai lampioni, mentre due figure si avvicinavano furtive al bancomat, guardandosi attorno guardinghe: «Il bancomat.» ordinò uno dei due, indicando con un cenno del capo il terminale e osservando l’altro accostarsi e guardarsi attorno: «Fai alla svelta.»
«Ho bisogno di tempo…»
L’uomo sbuffò, infilando le mani in tasca e sentendo il freddo familiare della pistola: «Fai alla svelta.» ordinò nuovamente, mentre il fiato si condensava in piccole nuvolette davanti al volto: «Non so…»
«Seratina fredda, vero?» domandò una voce divertita, facendo trasalire i due ladri: «Sinceramente, avrei preferito rimanere a casa a guardare per l’ennesima volta Le due torri, ma voi…»
Uno degli eroi di Parigi uscì dall’ombra, il volto sorridente e lo sguardo fisso su di loro: «Seriamente, che problemi avete a voler rapinare bancomat con questo freddo?»
«Ehi, pennuto!» esclamò una voce divertita dall’alto: «Ti stai lamentando?»
«Io non sono certo un gattaccio viziato…» bofonchiò Peacock, alzando lo sguardo e osservando il suo compagno d’armi: «Qui il re dei lamenti sei tu, Chat Noir.»
«Non è vero!»
Peacock sbuffò, portandosi una mano all’orecchio e azionando l’auricolare: «Boss? Vero che Chat si lamenta in continuazione?»
La ragazza sospirò, balzando al fianco dell’altro eroe: «Io non vedo l’ora che Bee e Volpina tornino.» sbuffò, voltandosi verso i due ladri e notando come questi, approfittando della distrazione di Peacock, stessero cercando di scappare: «Tortoise, sono tutti tuoi. Come al solito.» dichiarò, osservando l’eroe verde uscire dall’ombra e sistemare velocemente i due criminali: «Mogui?»
«Sono qua, Ladybug.» dichiarò la voce allegra dell’americano: «Li avete sistemati?»
«Sì.» assentì la ragazza, osservando Chat Noir raggiungerli, mentre Tortoise appoggiava i due ladri contro il tronco di un albero del viale: «Anche questi sono stati sistemati.»
«A furia di ripetermi…» dichiarò Chat, portandosi una mano all’orecchio: «Perché tu non sei tornato in America per le vacanze natalizie, Mogui?»
«Perché ho una cosa chiamata istinto di sopravvivenza?» rispose Alex, dalla sua postazione a casa di Fu: «Non è che mi sono trasferito qui in Francia per scherzo. Se torno a casa, minimo, mio padre mi uccide.»
«Esagerato.»
«O mi sequestra.»
«Ok, questo posso capirlo.»
«Esperienza personale, gattaccio?»
«Taci, essere inutile.»
Ladybug sospirò, lasciando perdere i due e affiancando Tortoise: «Mi sembra di essere tornata all’inizio.» borbottò, incrociando le braccia al seno e osservando i due ragazzi litigare: «Ogni occasione è buona per litigare.»
«Peacock sente la mancanza di Bee.» dichiarò Tortoise, rialzandosi e sorridendo alla ragazza: «Appena tornerà si darà un calmata, vedrai. E Chat la finirà di punzecchiarlo.»
«Sì, non preoccuparti, Ladybug.» si aggiunse Alex: «Comunque mi dispiace avermi messo in allarme per niente.» aggiunse dopo un po’, sospirando: «Avevo sentito alcune comunicazioni della polizia e…»
«Tranquillo, amico.» sentenziò Tortoise, portandosi una mano all’orecchio e sorridendo: «Siamo un po’ tutti in allarme, dopo quello che è successo due mesi fa.»
«Il tuo lavoro è encomiabile, Mogui.» dichiarò Ladybug, annuendo con la testa sebbene il ragazzo non potesse vederla: «Ti dovremmo dare un premio.»
«Un appuntamento con te, magari?»
«Ehi! Quante volte ti devo dire di non provarci con la mia signora?»
«Io non demordo.» dichiarò Alex, ridendo divertito: «Allora, domani tornano Sarah e Lila. Andiamo da qualche parte a festeggiare? Magari ci portiamo dietro anche Fu, che ne dite?»
«E’ ancora strano?» domandò Peacock, raggiungendo Ladybug e Tortoise: da quando Maus era morto, divorato dalla sua stessa invenzione, Fu aveva iniziato a comportarsi in maniera strana, tanto da mettere in allarme tutti loro.
«Alle volte è come se avesse visto un fantasma, sapete?» bofonchiò Alex, sospirando: «Non è che vivo in un posto infestato e nessuno mi dice nulla? E se l’avessero posseduto?»
«Magari sarà solo stanco per la ricerca del nuovo Possessore del Miraculous della Farfalla.» buttò lì Chat Noir, inspirando profondamente: «Non penso sia facile trovare qualcuno di adatto.»
«Senza contare che Bee e Volpina sono volute tornare dalle loro famiglie per Natale. Con quelle ombre assassine in circolazione.»
«Ti pesa proprio che la tua bella ti abbia lasciato a secco per le feste, eh pennuto?»
«Tu…»
«Chat, lascialo stare.» sentenziò Ladybug, scuotendo il capo: «Tornerà domani, Peacock. Devi solo attendere un altro giorno.»
«Mi sento offeso.» dichiarò Tortoise, sorridendo: «Perché non prendi in giro anche me?»
«Perché, punto primo, tu non reagisci come il nostro pennuto; punto secondo…» Chat si fermò, posando una mano sulla spalla dell’amico: «Torty, mio caro ragazzo, stai con Volpina: averla lontana dovrebbe essere una liberazione.»


Li aveva osservati per tutto il tempo, rimanendo immobile nell’ombra e appuntandosi mentalmente alcune note: troppo inesperti, troppo scoperti, non sapevano combattere.
La finestra sotto al cornicione, doveva aveva trovato riparo, si aprì e una volto familiare entrò nel suo campo visivo: «Freddino, eh?» commentò l’uomo, massaggiandosi le mani coperte dai guanti e sorridendole: «Pensi di stare lì appollaiata oppure entri?»
«Come hai fatto…?»
«Ad entrare in questa stanza?» le domandò l’uomo, rientrando all’interno della camera e sorridendole, mentre lei scivolava dentro: «Ho le mie chiavi: dovresti sapere che per me ogni porta aperta.» sentenziò l’altro, facendole l’occhiolino: «Allora? Come li hai trovati?»
«Inutili.»
«Sei veramente severa, mia cara.»
«Non sono all’altezza.»
«Tu dici? Io credo invece che lo siano.»
«Tu hai troppa fiducia in loro.»
«E tu troppo poca, mia cara Xiang.»


Alex sospirò, togliendosi l’auricolare e stirando le braccia verso l’alto, sentendo i muscoli indolenziti: «Niente di nuovo?» domandò la voce di Fu, facendo voltare il ragazzo: Alex si sistemò gli occhiali sul naso, scuotendo il capo moro e osservando l’anziano: era stanco, si vedeva lontano, e sobbalzava ogni volta che il campanello di casa suonava.
Come se fosse in allerta e avesse paura di qualcosa.
«Maestro?» Fu si voltò verso il ragazzo, osservandolo in attesa: «Va tutto bene?» domandò alla fine Alex, massaggiandosi la nuca e abbozzando un sorriso: «Non ho i superpoteri come gli altri, ma…»
«Sto bene, Alex.»
«Ne è sicuro?»
«Sì, sono sicuro.» sentenziò Fu, osservando: «E adesso vai a letto, domani tornano Sarah e Lila.»


Sarah socchiuse gli occhi, ascoltando le persone attorno a lei parlare in francese: quando aveva deciso di passare il Natale a casa, in America, non pensava che Parigi le sarebbe mancata così tanto.
Eppure era stato così.
Tornare a casa, rivedere sua madre, era stato bello ma mancava qualcosa.
Le erano mancati i suoi amici.
Le era mancato il suo piccolo appartamento e la tranquillità che aveva, rispetto al caos allegro della casa di sua madre.
Le era mancato sentire parlare francese, quella lingua che amava per la sua musicalità.
Ma più di ogni altra cosa…
«Sarah!» la voce maschile la fece sorridere, mentre si guardava attorno alla ricerca della figura di Rafael: il sorriso si accentuò, quando vide il ragazzo che, un braccio alzato verso l’alto, la stava salutando; Sarah accelerò il passo, correndo quasi verso di lui e, alla fine, si buttò nel caldo e confortevole abbraccio del giovane parigino.
«Ehi.» mormorò il ragazzo, serrando lieve la presa e sorridendo: «Ti sono mancato così tanto?»
«Non te lo dico.» bofonchiò lei contro la stoffa del maglione e inspirando a fondo il profumo dell’acqua di colonia che Rafael portava spesso; voltò leggermente la testa, posando l’orecchio contro il petto di lui e sorridendo alla vista del kwami del pavone che, nascosto sotto al cappotto, le stava facendo un cenno di saluto.
«Volete la musica romantica, per caso?» domandò la voce divertita di Adrien, facendole sciogliere l’abbraccio e voltandosi verso il biondo: «Bentornata, Sarah!» continuò Adrien, allargando le braccia e stringendola in una stretta fraterna: «E’ stata dura senza di te: sopportare il pennuto tutto soletto, ascoltare i suoi lamenti...»
«Ed io cosa devo dire?» bofonchiò Marinette, spintonando via il fidanzato e aggrappandosi all’americana: «Ero sola. Con tutti loro.»
«Mi dispiace, Marinette.» dichiarò la bionda, stringendo l’amica: «Non ti lascerò più. Lo giuro.»
«Quindi non tornerai più in America?» parafrasò Adrien, poggiando una mano sulla spalla di Rafael e sorridendo: «Sentito? Rimane qui!»
«Marinette, puoi zittirlo?»
«Ci sto provando da quando avevo quattordici anni, Rafael.» sentenziò Marinette, lasciando andare Sarah: «E’ impossibile.»
«Non è vero, my lady. Un modo c’è e lo conosci perfettamente.»
«Adrien!»
«Ti sono mancati?» domandò Wei, avvicinandosi a Sarah e stringendola in un abbraccio: «Bentornata, amica mia.»
«Mi siete mancati tutti.» dichiarò la ragazza, sollevandosi sulle punte dei piedi e sorridendo al cinese: «A parte Alex.» dichiarò, osservando il suo migliore amico dietro a Wei: «Non mi sei mancato per niente.»
«Qualcosa mi dice che hai incontrato i miei.»
«Sì.» assentì la ragazza, sbuffando: «Tua madre è in pensiero per tutto quello che ti può succedere qua e tuo padre…»
«Aspetta. Fammi indovinare.» Alex inspirò profondamente e rilasciò andare l’aria, guardando poi l’amica con fare solenne: «Quella nullità di mio figlio, cosa spera di fare in una città di cui non conosce nemmeno la lingua. Ah, fosse stato qua…»
«Sì, qualcosa del genere.»
«Ah, il caro Sergente Simmons. Non cambia mai.»
«Giuro, tuo padre sta facendo sembrare il mio un santo.» dichiarò Adrien, scuotendo il capo: «E mio padre era Papillon.»
«Andiamo a prendere Lila?» domandò Wei, battendo le mani e osservando il resto del gruppo con fare speranzoso: «Sapete che se non ci trova quando arriva…»
«Dobbiamo proprio?» chiese Adrien, scuotendo il capo: «Non senti questa tranquillità…»
«Andiamo.» sentenziò Marinette, spintonando il fidanzato che fece forza, costringendola a usare tutte le sue energie per fargli fare qualche passo, mentre Wei e Alex li seguivano scuotendo il capo.
«Com’è andata qua?» domandò Sarah, voltandosi verso Rafael, mentre lui le prendeva il bagaglio a mano: «C’è stato…»
«A parte Alex che ci ha fatto dare la caccia a un po’ di ladri…» il moro si fermò, scuotendo il capo: «Niente di nuovo. Willie sta impazzendo a studiare come diventare Gran Guardiana, il maestro Fu è sempre strano, Flaffy è ancora drogato di cioccolata…»
«Qualcuno ha detto cioccolata?»
«Torna al tuo posto, Flaffy.»
«Sei antipatico, orchetto.» sbottò il kwami, tornando nel suo nascondiglio e brontolando: «Molto antipatico.»
«Sopravvivrò.» sbuffò Rafael, scuotendo rassegnato il capo: «Sempre la solita routine. Ah, non abbiamo ancora un Portatore della Farfalla.»
«Ancora niente?»
«No, nessuno. A quanto sembra Fu ha problemi a trovare qualcuno di adatto.»
«Potrebbe tentare la tecnica che usò con noi.» buttò lì Adrien, intromettendosi nella conversazione e indicando sé stesso e Marinette: «Gettarsi per terra e aspettare che qualcuno lo aiuti.»
«Ah. Lo fece anche con me.» mormorò Wei, sorridendo: «Vidi questo signore anziano, che non camminava bene e…»
«Come Fu sceglie i Portatori…» dichiarò Alex, allungando le mani davanti a sé, come se stesse dicendo il titolo di un film: «Cadendo ai loro piedi.»
Raggiunsero velocemente l’uscita del volo di Lila e osservarono le persone che si guardavano attorno: «Sbaglio o hanno tutti l’aria stravolta?» domandò Rafael, ridacchiando e rimediando una gomitata da parte di Sarah: «Che ho detto?»
«Vanno capiti. Volavano con la volpe.» assentì Adrien, cercando di vedere l’amica fra la folla: «Wei, cosa vedono i tuoi occhi da gigante?»
«Lila.»
«Questo è amore. L’ha trovata subito.»
«La chiamiamo tutti assieme?» domandò Alex, ridendo: «Così la facciamo vergognare di brutto.»
«Ci sto, Alex.» assentì Adrien mentre Marinette lo fissava sconsolata: «Dai, my lady! E’ per darle il benvenuto!»
«Adrien, tu…»
«Io sono bello, incredibilmente simpatico e dannatamente sexy?»
«Io direi…»
«Wei! Tesoro!»
«Oh, abbiamo perso l’occasione.» bofonchiò Alex, voltandosi verso Marinette e Adrien: «Dovete smetterla di fare questi bisticci da coppietta. Pensate a chi è ancora single.» borbottò, girandosi in avanti e osservando Lila gettarsi fra le braccia del cinese e regalargli un appassionato bacio: «Ecco. Appunto.»
«Ehm. Lila?» mormorò Rafael, salutandola con un cenno e attirando l’attenzione dell’italiana: «Ciao. Ci siamo anche noi.»
«Ah. Giusto.»
«Come ‘ah. Giusto’?» borbottò Adrien, incrociando le braccia: «Uno fa la fatica di venirla a salutare…»
«Micetto, devo ricordarti cosa ho in valigia?» domandò Lila, scuotendo il capo: «Giuro, è la prima e ultima volta che vi porto qualcosa.»
«Hai quello che ti ho chiesto?» domandò Rafael, allungando il collo e fissando intensamente il bagaglio di Lila: «Tutto quello che ti ho chiesto?»
«Sì. Ho sia la tua roba che quella del micetto, piumino.»
«Mi devo preoccupare?» domandò Marinette, fissando i due ragazzi e poi Lila: «State per caso mettendo su un giro di…»
«Questi due idioti mi hanno mandato dei messaggi chiedendomi di portargli del formaggio italiano, per uno.» Lila indicò Adrien, che sorrise con fare colpevole: «E della cioccolata italiana, possibilmente quella di Amedei.» la ragazza spostò la mano nella direzione di Rafael.
«E’ per Plagg.»
«Flaffy ha letto su internet che è una delle migliori italiane!»
Lila sbuffò, alzando gli occhi al cielo: «Marinette! Sarah! Venite qua! Abbraccio di gruppo!» esclamò allargando le braccia e catturando entrambe le ragazze nella sua stretta: «Mi siete mancate tantissimo, ragazze! Tutto il tempo sola soletta, con Vooxi e i suoi maledetti film di Harry Potter.» si fermò, scuotendo il capo e  facendo danzare i lunghi capelli, lasciando andare le due ragazze: «Non vedevo l’ora di tornare.»
«E i tuoi nonni?» domandò Sarah, voltandosi in modo di osservare la ragazza in volto.
«Stanno bene. Anzi, mi hanno detto che se vogliamo andare tutti, una volta, sono felici di ospitarci.»
«Magari quando non ci saranno minacce…» mormorò Rafael, massaggiandosi il mento: «Potremmo fare una bella gita in Italia. Dove vivono esattamente, Lila?»
«In Toscana, molto vicino a Firenze.»
«Uh. La città di Ezio Auditore!» esclamò Alex, battendo le mani: «Devo assolutamente vederla dal vivo. E fare il salto delle fede…» si fermò, storcendo la bocca e poi negando con la testa: «No, forse quello è meglio di no.»
«Ci potremmo fare il matrimonio di qualcuno…» propose Lila, fissando con un sorriso deciso Marinette e Adrien: «Che ne dite?»
«Non ti ci mettere anche tu.» piagnucolò la mora, voltandosi verso Adrien in cerca di aiuto.
«Le nostre mamme la stanno un po’ tormentando. Un po’ tanto.» spiegò il biondo, passandole un braccio attorno alle spalle e attirandola a sé, posandole un bacio sulla tempia: «Abbiamo passato la giornata di Natale con Sabine e mia madre che proponevano cose.»
«Forza e coraggio, Marinette.» dichiarò Lila, sorridendo alla ragazza: «Pensa a quando sarai sposata con lui e dovrai sopportarlo tutti i giorni, tutte le ore.»
«Ehi! Non sono così male.»
«Ah no?»


Fu inspirò profondamente, osservando la tazza di tè che teneva tra le mani, senza vederla davvero.
Che cosa doveva fare?
Doveva dire ai ragazzi di lui?
Doveva metterli in guardia oppure lasciare…
L’uomo scosse la testa, socchiudendo gli occhi e scuotendo la testa.
Non sapeva cosa fare e non sapeva a chi chiedere aiuto.
Bridgette? No, assolutamente lei no.
Gabriel? Sophie? Poteva chiedere consiglio a loro due?
No. Doveva farcela da solo.
Doveva trovare una soluzione a quel dilemma che lo tormentava, da quando lui si era presentato alla sua porta, buttandogli addosso quel peso: «In che guaio mi hai cacciato?»

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.515 (Fidipù)
Note: Ed eccoci qua all'ultimo aggiornamento della settimana: finalmente l'identità di qualcuno verrà svelata (e fate finta di essere sorpresi, grazie. So che vi ho dato tanti, ma tanti, indizi sul nostro misterioso uomo che avete capito fin da subito chi era). E intanto si comprende anche qualcosa su ciò che è stato portato via da Shangri-la: ve lo aspettavate questo collegamento oppure no?
Stranamente non ho nessuna informazione turistica da darvi, quindi passo subito ai ringraziamenti.
Grazie a tutti voi che leggete, commentate (Fatevi sentire!), inserite questa storia in una delle vostre liste, mi supportate (o sopportate, scegliete pure voi).
Semplicemente grazie a tutti!


Adrien poggiò la penna sul quaderno, osservando il ragazzo dall’altra parte del tavolo e ignorando i due kwami che, incuranti dei propri umani, stavano gozzovigliando in mezzo al tavolo: «Rinfrescami la memoria, pennuto.» iniziò il biondo, incrociando le braccia al petto e sorridendo: «Perché sei venuto a studiare a casa mia?»
«Perché facciamo entrambi gli stessi corsi?» domandò di rimando Rafael, alzando la testa e fissando l’altro: «E poi Flaffy è impegnato con Plagg e non sta a tormentarmi tutto il tempo.»
«Dura la vita per chi ha un kwami tolkeniano.»
«Disse quello che l’ha fissato con Masterchef.» brontolò Rafael, passandosi una mano fra i capelli e sbuffando: «Devo chiedere a Sarah di tradurmi questo articolo.»
«Questo è barare.»
«Ti passo la traduzione.»
«Questa è amicizia.» dichiarò Adrien, abbassando lo sguardo sui suoi appunti: «Sinceramente preferirei affrontare un supercattivo, piuttosto che continuare a preparare questo esame.»
«Occhio a quel che desideri, amico.» sentenziò Rafael, alzando la testa e ascoltando il trambusto che si era levato al di là della porta della grande sala da pranzo: «Ma che…?» mormorò, osservando l’uscio spalancarsi e Marinette entrare velocemente nella stanza, chiudendosi il pesante legno e appoggiandovicisi contro.
Adrien sorrise, alzandosi dalla sedia e raggiungendo velocemente la ragazza: «Un’altra volta?» domandò, aiutandola a togliersi la sciarpa e il berretto, posandole poi le labbra sulla fronte: «Devo fare qualcosa, my lady?»
«Fuggire con me?» domandò speranzosa la ragazza, alzando lo sguardo azzurro su di lui e poi notando l’altro ragazzo nella stanza: «Ciao, Rafael.»
Il moro la salutò con un cenno della mano, sorridendo: «Vi faccio da diversivo mentre fuggite via?» domandò, osservando i due sedersi di fronte a lui e poi dando una veloce occhiata all’orologio, che teneva al polso: «Cioè, mi piacerebbe ma…»
«Ma i pennuti abbandonano la nave prima che affonda?»
«Quelli sono i topi, gattaccio. Sai quei cosi grigi che dovresti cacciare?» sbuffò Rafael, chiudendo il proprio libro e radunando le sue cose: «Comunque Sarah fra poco è libera: aveva un incontro con un professore e....»
«Oh. Giusto. Dovete recuperare…»
«Adrien!» strillò Marinette, dando una lieve manata alla testa del biondo, sotto lo sguardo soddisfatto di Rafael.
«Che ho detto?»
«Io vado, eh!» dichiarò il moro, agguantando il suo kwami e tirando fuori il ciondolo del pavone: «Flaffy, trasformarmi.» dichiarò, venendo investito dalla luce del Miraculous e diventando Peacock: «A domani, gattaccio.» sentenziò, una volta che la trasformazione fu completata e, recuperato lo zaino, uscì velocemente dalla sala da pranzo.
«E’ normale il fatto di aver visto Peacock uscire da casa mia come se nulla fosse?» domandò Gabriel, entrando nella stanza e rimanendo fermo sulla porta, lo sguardo rivolto all’androne dell’abitazione, mentre Nooroo volava all’interno della sala e si accomodava di fianco a Plagg.
«Vuoi davvero una risposta?» gli domandò il figlio, alzandosi e chiudendo la porta della stanza, sotto lo sguardo interrogativo del padre: «Mamma.» spiegò lapidale Adrien, indicando la fidanzata.
«Oh. Giusto.» Gabriel annuì, sistemandosi gli occhiali e facendo vagare lo sguardo su Marinette: «Cosa ha ideato stavolta?»
«Non lo so.» sentenziò la mora, giocherellando con una ciocca di capelli: «Appena Nathalie mi ha aperto sono entrata qui dentro.»
«Puoi fare qualcosa per fermare tua moglie?»
«E’ anche tua madre, figliolo.»
«Sì.» Adrien annuì, osservando il genitore intensamente: «Ma se tu la tenessi…come dire? Occupata? Ecco sì, se tu la tenessi…»
«Finisci quella frase e ti akumatizzo.»
«Non puoi.» borbottò Adrien, incrociando le braccia: «Se mi akumatizzi poi stai male. Vero che non può, Nooroo?»
«Beh, tecnicamente potrebbe. E’ ancora il mio Portatore.»
«Quand’è che mister Miyagi si decide a trovare il nuovo? Così almeno mio padre la finirà di minacciarmi di akumatizzarmi.»
«Potrei sempre rinchiuderti in casa…»
«Ho un kwami e non ho paura di usarlo, papà.»
«Ehi, moccioso! Non parlare di me come se non ci fossi.» bofonchiò Plagg, incrociando le zampine e assottigliando lo sguardo verde: «Potrei dire cose di te che farebbero impallidire le signore qui presenti.»
Marinette tossì, un sorriso che le si stendeva sulle labbra, alla vista dell’espressione imbarazzata di Adrien: «E’ camera mia.» ringhiò il biondo, osservando male il proprio kwami: «Sarò libero di andare…»
«Ok, non voglio sapere altro.» sentenziò Gabriel, scuotendo la testa e sospirando, voltandosi poi verso la porta della sala che veniva nuovamente aperta: «Sophie?» domandò, osservando la moglie affacciarsi e sorridere alla vista della ragazza.
«Marinette!» esclamò la donna, entrando e aprendo le braccia, stringendo la mora in un abbraccio: «Mi pareva di aver sentito la tua voce.»
«Ci siamo anche noi, mamma.» borbottò Adrien, affiancandosi al padre e sospirando: «E’ proprio vero che lo sposo non se lo caga nessuno.»
«Benvenuto nel club.» mormorò Gabriel, osservando la moglie iniziare a dire qualcosa su delle bomboniere che aveva visto, mentre Marinette fissava il fidanzato con uno sguardo supplichevole: «Dovresti aiutarla.»
«Sa cavarsela benissimo anche da sola.» dichiarò Adrien, sorridendo quando, non vista da Sophie, Marinette mimò con le labbra la parola aiuto: «Ok, forse stavolta non credo.»
«Vai a darle una mano, prima che tua madre la faccia impazzire del tutto.»
«Ti ricordo che è tua moglie.»
«Gli anni in Tibet l’hanno fatta impazzire.»
«Guardate che vi sento.»
«Scusa, mamma.»
«Scusa, Sophie.»


Fu si sistemò sulla panchina, osservando il retro della mastodontica chiesa di Notre Dame e stringendosi nel giaccone, sentendo l’aria invernale penetrargli nelle ossa; rimase fermo, guardando le persone passare davanti a lui senza notarlo veramente e, da una parte, era grato di quell’invisibilità poiché gli permetteva di pensare a lui, il fantasma che era giunto alla sua porta pochi mesi prima.
Maus era appena stato sconfitto e lui si era ritrovato quel tipo davanti casa che, senza tante storie, gli aveva scaraventato addosso un macigno: se ciò che gli aveva detto era vero, i suoi ragazzi avrebbero presto affrontato qualcosa di molto peggiore di Coeur Noir e Maus.
Proprio per questo la ricerca del nuovo Possessore della Farfalla doveva finire.
Al più presto.
Per quanto sarebbe durata ancora quella calma?
Inspirò profondamente, alzando la testa verso il cielo: avrebbe dovuto dare quell’incarico a Bridgette, in quanto futura Gran Guardiana, ma la donna non aveva ancora l’esperienza né la conoscenza per svolgere appieno quel compito.
Toccava a lui. Nuovamente.
Abbassò lo sguardo e osservò una coppia passeggiare lì davanti e fermarsi ad ammirare la chiesa: la ragazza si allungò, mormorando qualcosa all’orecchio del compagno e questi rise, stringendo la mano di lei e portandosela alle labbra.
Giovani ignari di quello che sta succedendo, completamente all’oscuro delle minacce almeno finché non si palesavano.
Non come i suoi ragazzi.
Sospirò di nuovo e quasi sobbalzò, quando sentì una lieve pressione sulla spalla: «Ma che…?» sbottò, voltandosi e osservando la ragazza china al suo fianco, che lo fissava con i grandi occhi scuri dalla luce preoccupata.
«Sta bene?» gli domandò, inclinando la testa e mordendosi il labbro inferiore: «Parla francese? Sta bene?»
«Sì.» mormorò Fu, osservandola illuminarsi in volto e sorridere: «Ragazza mia, perché pensavi che stessi male?»
«Era qua, solo soletto con un’aria…» la fanciulla scosse il capo, facendo ondeggiare i ricci castani e sospirò: «Mi perdoni. Non volevo disturbarla.»
Un sorriso piegò le labbra dell’anziano che, presa la mano della ragazza, la strinse nella sua: «Grazie per esserti preoccupata per me.» dichiarò, abbassando lo sguardo sulle loro mani di colore diverso: pallida la sua, mulatta quella di lei.
«Mi perdoni ancora. Forse dovrei dare ascolto a mio fratello e smetterla di…» la ragazza scosse il capo, sbuffando e liberando la sua mano da quella di Fu: «Mi scusi ancora.» borbottò, prima di riprendere la sua strada.
«Ehi. Ragazza.» la richiamò Fu, sorridendo e notando come lei si era girata confusa: «Qual è il tuo nome?»
«Camille Lapierre.»
«Grazi, Camille Lapierre. Grazie per esserti preoccupata di uno sconosciuto.» dichiarò Fu, balzando in piedi e chinando il capo: l’aveva trovata.
Aveva trovato la nuova Portatrice del Miraculous della Farfalla.


Rafael sorrise, osservando Sarah uscire dalla facoltà e, velocemente, la raggiunse: «Rafael!» esclamò la ragazza, ritrovandosi stretta nell’abbraccio improvviso del parigino e alzando lo sguardo nocciola, notando il viso arrossato dal freddo: «Ma cosa…?»
«Sto gelando.» dichiarò spiccio il moro, stringendola più a sé e cercando di trovare conforto nel calore della ragazza: «Non sopporto il freddo.»
«Da quanto sei qui?»
«Un po’.» bofonchiò Rafael, rabbrividendo: «Marinette è venuta a trovare Adrien e quindi…»
«Potevi aspettarmi dentro.»
«Avevo paura di incontrare mio padre.» ribatté spiccio il parigino, posando il capo contro la spalla: «Siamo stati abbastanza insieme per durante il periodo natalizio. E poi non volevo si mettesse in mezzo.»
«Cosa?»
«Senti, non è che possiamo andare in un posto più caldo per parlare?» bofonchiò Rafael, sciogliendo l’abbraccio e guardandola supplichevolmente: «Un bel café dove ti danno qualcosa di bollente, andrebbe bene.»
«D’accordo.» dichiarò Sarah, prendendolo sottobraccio e tirandolo lievemente: «Qua vicino c’è un locale dove sono andata con una mia compagna di corso, ce la fai ad arrivarci?»
«Non penso di morire congelato per strada.»
«Non sapevo che reggevi così male il freddo.» dichiarò la ragazza, studiandolo: «A New York saresti già morto, mi sa. Sai che alle volte siamo andati anche a meno tredici gradi?»
«Il mio incubo fatto città.» borbottò Rafael, stringendosi nelle spalle e guardando dritto davanti a sé: «Come sopravvivono laggiù?»
«Beh, in quei giorni si sta in casa.»
«Mi sembra il minimo.» brontolò nuovamente il parigino, sospirando: «E’ stato freddo mentre c’eri?»
«Non tanto. Però ha nevicato.»
«La neve mi piace. Anche se è fredda.»
«La neve non può non piacere. Saresti un mostro se non ti piace.» decretò Sarah, sorridendo e poggiandosi contro il ragazzo: «Però mi mancava casa.»
«Casa?»
«Ormai è Parigi casa mia, non New York.»
Rafael sorrise, fermandosi e costringendo anche la bionda a fare altrettanto: «Ma cosa…?» mormorò Sarah, alzando la testa e facendo sorridere il ragazzo, mentre si chinava e le sfiorava le labbra con le proprie.
«Mi sei mancata.» le bisbigliò contro la bocca, catturandola in un nuovo e più profondo bacio.


Gabriel poggiò la matita, osservando il disegno dell’abito e studiandolo con occhio critico, segnandosi mentalmente le modifiche da fare: «Signore.» la voce di Nathalie attirò la sua attenzione, facendogliela spostare sulla donna ferma sulla soglia del suo ufficio: «Ha una visita.» continuò la sua assistente, una volta che l’interesse fu su di lei.
Nathalie si fece da parte, permettendo a Fu di entrare nell’ufficio e poi rimase ferma in attesa di ordine: «Puoi andare.» dichiarò Gabriel, osservandola annuire e uscire velocemente dalla stanza, chiudendosi la pesante porta dietro di sé.
«Ma è un robot?» domandò Fu, indicando con un cenno la porta dietro di sé e l’assistente che era uscita da quella: «Mai vista una donna più fredda di quella. Ed io sono su questo mondo da parecchio.»
«Buonasera, maestro.»
«Buonasera, Gabriel.»
«Immagino sia qui a dirmi che ha finalmente trovato il mio successore.»
Fu annuì, accomodandosi su una delle due poltroncine davanti la scrivania e togliendosi la sciarpa e il cappello, poggiandoli sull’altra: «Proprio oggi.» sentenziò, osservando l’uomo davanti a sé: «Vorrei non doverlo fare e lasciare Nooroo con te.»
«Lei sa molto meglio di me che, in periodi come questi, non è buona cosa lasciare un Miraculous inattivo.»
«Non è inattivo.»
«Io non posso utilizzarlo, come lei non poteva usare il suo quando Coeur Noir aveva minacciato Parigi.» decretò Gabriel, abbassando lo sguardo e sorridendo al piccolo kwami che ascoltava in silenzio: «Per questo ha cercato Wei. E per questo ha cercato il mio successore.»
«Io…»
«Domani consegnerò il Miraculous e tornerò a essere un uomo comune.»
«Beh, non troppo comune.» dichiarò Fu, sorridendo all’uomo e al kwami: «La persona che ti succederà è…beh, incredibilmente gentile. Sono certa che sarà un’ottima Portatrice.»
«Portatrice? E’ una ragazza, quindi.»
«Esatto.»


Blanchet gettò i guanti sul mobile all’entrata della propria abitazione e sospirò, osservando il proprio riflesso nello specchio posto proprio sopra: «Xiang?» urlò, ascoltando poi il silenzio della casa e un nuovo sbuffo gli uscì dalle labbra.
Si passò le mani fra i capelli biondi, raggiungendo velocemente l’ampio salone e osservando la ragazza che, come una ballerina, si muoveva aggraziata, mentre teneva una spada in mano: «Gradirei che mi rispondessi, quando ti chiamo.»
«Sei tornato.»
«E’ casa mia.» bofonchiò Blanchet, entrando nella stanza e dirigendosi verso il mobiletto bar: «Mi sembra il minimo tornare.» dichiarò, afferrando una bottiglia di bourbon e versandosene un bicchiere: «Vuoi?»
«Sai che non bevo quella roba.» dichiarò Xiang, rinfoderando la lama e fissandolo con lo sguardo scuro: «Non dovresti neanche tu. Shangri-la ti ha dato la vita eterna, non l’immortalità e l’alcool…»
«Sì, sì.» sbuffò l’uomo, scuotendo la testa: «Hai di nuovo guardato quel programma di medicina.» concluse l’uomo, scuotendo il capo e richiudendo la bottiglia.
«Non c’è altro di interessante.» borbottò Xiang, poggiando la spada contro il muro: «L’alternativa sarebbe guardare quei ridicoli programmi che…»
«Potresti uscire.» buttò lì Blanchet, buttando giù il liquore: «Non ti ho comprato un intero guardaroba per vederlo marcire dentro l’armadio.»
«Io non ti ho chiesto niente.»
«Sai, le vesti di Shangri-la non sono all’ultima moda, Xiang.»
«Sai niente di nuovo?»
«Sei una maestra del cambiare discorso.» sbuffò Blanchet, lasciandosi andare sul divano e osservando la ragazza in piedi, poco distante da lui: «No, ancora niente. Il nostro amico non si è ancora mosso.»
«Le ombre lo consumano, per questo non le utilizza.» ipotizzò Xiang, scuotendo la testa e facendo danzare la lunga chioma scura: «Ciò che ha fatto a quegli uomini ha sicuramente richiesto il suo prezzo…»
«Pensi che le userà di nuovo?» domandò Blanchet, sospirando: «Sarebbe veramente scocciante doversi guardare anche dalla propria ombra.»
«Non credo.» dichiarò Xiang, voltandosi verso le ampie finestre e osservando il panorama notturno: «Ha fatto un tentativo, ma il prezzo da pagare è stato alto, cercherà sicuramente un modo per usare il potere e prendere i Miraculous.»
«I Miraculous…» Blanchet sospirò, poggiando i gomiti contro le ginocchia mentre un sorriso triste gli incurvava le labbra: «Sempre lì si va a parare.» commentò, alzandosi e andando a versarsi una nuova dose di liquore: «Non capisco: ha la collana, a cosa gli servono i Miraculous?»
«Kang non te l’ha spiegato.»
«Penso abbia detto qualcosa, ma all’epoca ero troppo shockato di essere ancora in vita. O troppo sbronzo.»
«La collana è solo un veicolo per il Quantum: un antico tentativo di Routo di imbrigliare l’energia, ma non la possiede.» spiegò Xiang, osservando l’uomo bere con lo sguardo fisso su di lei: «Ma i Miraculous sono qualcosa di molto più potente, poiché essi contengono il Quantum al loro interno: ecco perché danno il potere ai loro Portatori. Lo scienziato li voleva per questo e…»
«E il nostro amico li vuole per il potere.» concluse Blanchet, buttando giù l’ultimo sorso di liquore: «Neanche fossimo in un film di supereroi.»
Xiang lo fissò, mentre si versava un altro bicchiere: «Come puoi denigrare ciò che sei stato?» gli domandò, fissandolo mentre buttava giù in sorso la nuova dose: «Tu dovresti…»
«Tu, mia cara e adorata Xiang, non dovresti parlare di cose che non sai.»
«Come vuoi.» dichiarò la ragazza, raggiungendo la porta e voltandosi indietro: «Per quel che vale: Kang ha sempre avuto grande fiducia in te ed è per questo che ti ha mandato qui, Felix Norton.»

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.517 (Fidipù)
Note: Ed eccoci qua, con un nuovo appuntamento di Miraculous Heroes: chi mi ha fra gli amici di facebook, sicuramente riconoscerà subito un passaggio che avevo spoilerato qualche tempo fa, per tutto il resto c'è...ah no, non centra niente. Bene, bene. Finalmente arriva la persona prescelta per il Miraculous della Farfalla: leggendo i vostri commenti ho notato tante ipotesi e...beh, ognuna di queste mi ha fatto veramente piacere, perché ciò significa che la storia vi prende così tanto da fare teorie e ipotesi.
Detto prima di lasciarvi ai soliti ringraziamenti di rito, voglio farvi conoscere un posticino carino: Mariage Fréres, una sala da the a Parigi molto carina e con una bella collezione di the (e dolci. Sì, ci stanno anche i dolci. Ho controllato. Sono peggio di Flaffy io!).
Detto questo, al solito, voglio ringraziarvi tutti quanti per i vostri commenti (che leggo sempre tutti, anche se poi sono pessima e non rispondo mai), grazie per il fatto che leggete, mi supportate e...
Beh, semplicemente grazie!


Wei sbuffò, girandosi nel letto e scacciando, con un gesto della mano, ciò che lo stava disturbando; la pace durò pochi secondi, prima che il fastidio riprendesse: «Wei! Wei!» pigolarono due voci e il ragazzo si voltò nuovamente sul materasso, aprendo pigramente un occhio e notando i due kwami, a pochi centimetri dal volto: «Wei! E’ successa una cosa gravissima!»
Il giovane registrò la frase, scattando subito a sedere sul letto e notando che l’altra metà era vuota: «Le ombre?» domandò, guardandosi attorno e cercando segni di lotta: li avevano attaccati? Possibile che, dopo mesi di calma, il nemico li avesse attaccati proprio quando avevano allentato un poco la guardia?
«Peggio!» strillò Vooxi, facendo saettare lo sguardo verso la porta con un’ombra di puro terrore: «Molto peggio!»
Cosa poteva esserci di più pericoloso delle ombre?, si domandò Wei, mentre scostava da sé la coperta e recuperava velocemente i pantaloni del pigiama, abbandonati per terra accanto a letto: «Lila dov’è?» domandò, dando la più completa attenzione ai due kwami: «Dove è?»
«Ecco, proprio di lei dobbiamo parlare.» iniziò Vooxi, dando una breve occhiata a Wayzz e sospirando: «Wei, io non so quale oscuro demone si è impossessato di Lila ma…»
«Cosa le è successo?»
«Si è messa in testa di fare la colazione! Di cucinare!» squittì il kwami della volpe, volando fino al volto del ragazzo e guardandolo serio: «Lila. Fornelli. Tu hai una minima idea di quello che potrebbe succedere?»
Wei scattò, attraversando velocemente il piccolo appartamento e fermandosi sulla soglia della cucina, osservando timoroso la ragazza all’interno: «Cosa fai?» domandò, allungando le mani in avanti e osservando la compagna come se fosse un animale in procinto di attaccare.
Come aveva detto quell’esperto del documentario che aveva visto con Wayzz, un po’ di tempo addietro?
Non fare gesti bruschi.
«Preparo il caffè.» dichiarò Lila, mostrandogli la moka: «So farlo, sai? Ti ho insegnato io a farla.»
«Non lo nego, ma…»
«Non sono una stupida!» sbottò la ragazza, allargando le braccia e colpendo un pensile con le nocche; Wei fece un balzo in avanti, afferrando la caffettiera prima che rovinasse a terra e, dopo aver dato un’occhiata alla ragazza, la posò sul ripiano di marmo.
Lila lo fissò mentre, meticolosamente, iniziava a riempire d’acqua la parte inferiore e metteva il caffè nel filtro: «Che cosa è successo?» domandò Wei, senza guardarla e Lila sbuffò, strusciando i piedi fino al divano nella sala attigua, dove si buttò, tenendo la mano dolorante al petto: «Lila?»
«Ha chiamato mia madre.»
«Positivo o negativo?»
«Lo chiedi anche?»
«Negativo, direi.» commentò il ragazzo, posando la moka sul fornello e, dopo averlo acceso, si voltò verso la ragazza: «Dimmi tutto.»
La castana sbuffò, facendo un cenno vago con la mano: «Mia madre ha saputo di noi.» dichiarò, lasciando cadere l’arto e posando uno sguardo stanco su di lui: «E sono appena uscita da una chiamata dove…»
«Dove ti diceva che non eri pronta per convivere?»
«Sì e no.» borbottò la ragazza, tirando su le gambe e poggiando il mento contro le ginocchia e sbuffando: «In verità era contenta, finché non ha saputo che non sei il figlio di qualche politico cinese, non hai parentele con l’ambasciatore…»
«Insomma non servo a niente per lei.»
«Sai essere brutale quando vuoi, sai?»
Wei sorrise, abbassando lo sguardo sui piedi nudi: «E tu hai deciso di ripagarla, cercando di ucciderci?» domandò, rialzando lo sguardo e sorridendole.
«Volevo farmi un caffè. So farlo il caffè. Quella donna mi ha buttato giù dal letto ed io…»
«Potevi chiamarmi.»
«Dormivi così bene.» bofonchiò l’italiana, abbassando lo sguardo: «Non volevo svegliarti.»
«Preferisco essere svegliato che trovare casa in fiamme.»
«Quanto sei melodrammatico.» Lila s’imbronciò, osservandolo sedersi sul divano con lei: «E’ successo solo una volta. E non ho incendiato casa. Più o meno.»
«Cosa hai in mente di fare?»
«Prego?»
«Con tua madre.»
«Quello che faccio sempre da un po’ di anni a questa parte: la ignoro.»
«Non pensi che dovresti provare a parlarci? Magari possiamo invitarla qui e…»
Lila scosse il capo, mordendosi il labbro inferiore e abbozzando un sorriso: «La conosco. Tu – noi, anzi – siamo inutili perché non potremmo servire all’ascesa di mio padre per l’olimpo degli ambasciatori. Te l’ho detto, lei vive in sua relazione e tutto il mondo deve fare altrettanto.»
«Lila…»
«A me non importa di quello che dice.» continuò Lila, facendo vagare lo sguardo sui due kwami che, in silenzio, ascoltavano tutto dalla porta della stanza: «Solo che…»
«Ti ha fatto innervosire.» concluse per lei Wei, allungando una mano e posandogliela sul ginocchio nudo: «E’ tua madre, forse vuole…»
«Ti prego, non dire solo il meglio per me, Wei.» bofonchiò Lila, alzandosi e guardandolo dall’alto: «Tu non conosci Ada Rossi. Io non sono un essere umano, sono un oggetto da sfruttare come meglio crede per aiutare la carriera di mio padre.» dichiarò Lila, iniziando a camminare avanti e indietro: «Alle volte penso che sia lei a voler essere ambasciatrice e non mio padre. S’impegna più di lui.»
«Io penso che dovreste solo parlare e chiarirvi.»
«Tu non conosci mia madre.»
«No, ma conosco la donna che ha cresciuto.» dichiarò Wei, alzandosi anche lui e posandole le mani sulle spalle: «Lila, parlale. Possibilmente senza attaccarla e ascolta le sue ragioni, poi potrai combattere le tue battaglie. Ma prima ascoltala e parlale.»
«Io non attacco.»
«Ah no? Devo ricordarti che quando…»
«Fino a quando mi rinfaccerai quella borsettata?»
Wei stirò le labbra in un sorriso, avvolgendo la ragazza nel suo abbraccio e la cullò dolcemente: «Se sarò costretto ti rapirò e ti nasconderò nel magazzino di Mercier.» dichiarò, posandole un bacio sulla tempia e allontanandosi un poco per guardarla in faccia: «Che c’è?»
«Wei. Stai iniziando a subire l’influsso malefico di Adrien.»
«Non ti piaceva Adrien?»
«Preferisco avere il mio Wei.»
«Oh. Sono il tuo Wei?»
«Wei, davvero, stai iniziando ad assomigliare un po’ troppo al micetto.»
Il cinese ridacchiò, posandole un nuovo bacio sulla tempia e tornò nella cucina: «Non preoccuparti, Lila. Andrà tutto bene.» dichiarò, iniziando a preparare la colazione per tutti.


Felix sbuffò, osservando la ragazza seduta al tavolo con lui che mangiava tranquillamente la sua colazione: «Oggi verrai con me.» dichiarò, indicandola con un cenno vago della mano: «Sei pregata di vestirti in modo consono.»
«Perché dovrei?»
«Perché non voglio girare con un’indigena al fianco.»
«Riformulo la domanda, Felix: perché dovrei venire con te?»
Felix posò la tazza di caffè, osservando la ragazza: «Sai, se volevo una figlia avrei preso la prima donna disponibile e…» si fermò, scuotendo il capo: «Come se ne fossi stato capace di andare con una qualsiasi. Ok, dimentica quello che ho appena detto.»
«Io non sono tua figlia.»
«Ma fai le bizze come se lo fossi.»
«Io non faccio le bizze!» sbottò Xiang, voltandosi irata verso di lui: «Sono qui con una missione e intendo portarla a termine, non voglio girovagare per la città come…»
«Kang diceva sempre di conoscere ciò che dobbiamo proteggere.»
«Kang diceva anche di rimanere concentrati sull’obiettivo.»
«Non l’ha mai detto.» dichiarò Felix, sorridendo sornione: «E lo sai.» concluse, abbandonandosi contro lo schienale della sedia: «Rimanere in questa casa tutto il tempo non ti fa bene, Xiang. Accetta il consiglio di chi è più grande di te.»
«Ho molto più anni di te, Felix Norton.»
«Oh. Certo. Sei quasi una nonnetta millenaria, ma tua mentalità è quella di una ragazzina, Xiang.» dichiarò Felix, riprendendo la tazzina e bevendo un generoso sorso di caffè: «Vivere secoli in quella caverna non ti ha permesso di maturare. Io invece ho vissuto fuori, nel mondo, almeno fino a ventidue? Ventitré anni? Quanti ne avevo quando ero a Nanchino?» si fermò, scuotendo il capo: «Comunque io sono più vecchio di te e so cosa è meglio.»
«La tua saccenza non ha limiti.»
«Io la chiamerei esperienza.» dichiarò Felix, afferrando il tablet e dando un’occhiata alle notizie quotidiane, sotto lo sguardo attento della ragazza: Xiang notò subito il cambiamento nel volto dell’uomo, l’atteggiamento tranquillo aveva lasciato il posto a un’espressione addolorata e un sorriso triste gli piegava le labbra, mentre i polpastrelli carezzavano la foto di una donna dalla capigliatura bionda.
«Non capisco…»
«Anche io non capisco perché non te ne stai mai zitta quando serve.»
«Perché non l’hai mai contattata?»
Felix abbassò lo sguardo, osservando ancora per un secondo la foto della donna e poi scosse il capo: «Vai a prepararti, Xiang.» sbottò, spegnando lo schermo del tablet e alzandosi dal tavolo: «Hai dieci minuti.»
«E’ stata posseduta da Chiyou, la sua vita è esattamente come la tua adesso.»
«Xiang…»
La ragazza lo fissò, lo sguardo scuro fermo in quello celeste: «Ho trovato il tuo punto debole, Felix Norton?»
«Dieci minuti.» sentenziò l’uomo, prima di uscire dalla cucina e andare da qualche parte nell’appartamento: Xiang sorrise, finendo di bere il suo the e poi, con un sospiro, si diresse verso la stanza che Felix le aveva messo a disposizione.
Doveva prepararsi.
Come se lei avesse voglia di uscire.


Gabriel si sistemò la giacca, osservando la propria figura allo specchio mentre una mano carezzava la spilla che teneva alla cravatta: il suo Miraculous.
Suo ancora per poco.
«Va tutto bene?» domandò Sophie, affiancandolo mentre si metteva un orecchino e guardandolo in volto attraverso lo specchio: «Gabriel, non…»
«No. Devo.» dichiarò l’uomo, voltandosi verso la moglie e regalandogli un sorriso: «E’ giunto il momento.» assentì con la testa, posandole una mano sulla spalla e dirigendosi poi verso la porta della camera, seguito dal fedele Nooroo: «Ti aspetto nel mio studio.»
«Arrivo subito.»
Gabriel annuì, uscendo dalla camera e osservando Adrien che stava entrando in camera sua, ridendo per qualcosa che aveva detto il suo kwami: «Sarà strano.» mormorò Nooroo, adagiandosi sulla spalla del suo Portatore e guardando l’androne della villa, mentre l’uomo scendeva velocemente le scale: «Gabriel?»
«Dimmi.»
«Posso venire a trovarti, di tanto in tanto?»
«Sarai sempre il benvenuto qui.» dichiarò l’uomo, dirigendosi nel suo studio e osservando il piccolo kwami volare nella stanza e guardarsi attorno, come se volesse imprimersi tutto nella memoria: «Io ti devo delle scuse, Nooroo. Ho usato il tuo potere per me stesso e…»
«Siamo stati una grande squadra, vero?» dichiarò Nooroo, fermandosi davanti il volto di Gabriel e sorridendo: «Abbiamo dato parecchio filo da torcere a Ladybug e Chat Noir, no?»
«Sì.»
«Il mio Miraculous è sempre stato il più debole, io non ho mai avuto grandi poteri come quelli di Plagg, Tikki, Mikko o Vooxi. Non sono supportivo come Flaffy o Wayzz ma tu, Gabriel Agreste, hai dimostrato che anche io potevo fare qualcosa.» dichiarò Nooroo, sorridendo: «Certo, magari essere stati per un po’ dalla parte del male non è stato buono, ma abbiamo fatto grandi cose insieme!»
Gabriel annuì, allungando una mano e carezzando il musetto del piccolo: «Ricorda di dire al tuo nuovo Portatore la marca di caramelle che ti piace e, se non può comprarle, ci penserò io. E ricordati quando ci sono le repliche di Game of Thrones.»
«Sì, Gabriel.»
«E se il tuo nuovo Portatore fa qualcosa che secondo te è sbagliato, diglielo.»
«Sì, Gabriel.»
«E…»
«Gabriel.» Il kwami sorrise, notando lo sguardo chiaro dell’uomo concentrarsi completamente su di lui: «Grazie di essere stato il mio Portatore.»
«Grazie di avermi reso Papillon, Nooroo.»


Lila sorrise, leggendo velocemente il messaggio di Marinette: le sarebbe piaciuto andare a studiare con le ragazze e il duo idiota, ma la voce della ragione – che era stranamente somigliante a quella di Wei – le aveva fatto chiamare la madre e adesso stava attendendo la donna: aveva deciso, come luogo dell’incontro, uno dei locali preferiti della madre, certa che avrebbe acconsentito di prendere un the lì con lei.
Ada Rossi non era tipa da caffè e poi a lei piaceva il Mariage Frères: la sala era immersa nella luce che proveniva dalle finestre e i dolci di quel posto erano sublimi.
Avrebbe dovuto accompagnarci anche il gruppo, una volta.
Inspirò profondamente, osservando le volute di fumo che si alzavano dalla sua tazza di the – earl grey, semplice. Ordinato in attesa della madre –, quando il suo cellulare suonò per la seconda volta.
Lila prese velocemente l’apparecchio, leggendo le poche righe che le erano state mandate: un’altra volta.
A quanto pare, per l’ennesima volta, sua madre aveva messo qualcosa prima della figlia.
Quasi in automatico, le sue mani corsero alla rubrica del telefono e immediatamente selezionò il nome da chiamare: «Devo aiutarti a seppellire un cadavere?» domandò Wei, una volta risposto alla chiamata: «Lila?» domandò poi, quando lei rimase in silenzio: «Lila? Ok, questo mi sta preoccupando. Tu non stai mai zitta.»
«Non è venuta.»
«Lila…»
«Non dovrei rimanerci male, lo so. So com’è fatta.» mormorò, incastrando il cellulare nella spalla e cercando veloce il portafogli, desiderosa di uscire dal locale: «Però…»
«Scusami, io ti avevo consigliato di parlarle e…»
«Tu non la conosci, io sì. Dovevo saperlo che non sarebbe mai venuta.» sbuffò l’italiana, alzando gli occhi al cielo: «La chiamata di stamattina era sicuramente per fare scena o per farmi capire quanto poco me ne importa della carriera di mio padre.»
«Lila…»
«Il che è vero, in effetti.»
«Che vuoi fare?» le domandò Wei, tranquillo come suo solito: «Posso sentire Mercier se mi fa uscire prima e andare…»
«Posso venire lì da te?» chiese la ragazza, storcendo il naso alla sua voce supplichevole: Da quanto in qua implorava qualcosa? Non era da Lila Rossi.
«Qui? Al magazzino?»
«Mi metto in un angolo buona buona.»
«Tu? In un angolo buona buona?»
«La finisci di ripetere quello che dico?» sbuffò la ragazza, imbronciandosi: «Vado a casa, guarda. E cucino.»
«Quando vieni qui al magazzino, mi porteresti qualcosa da mangiare? Ho una fame tremenda.»
«Ti ho appena detto che…»
«Che verrai qui, lo so.» sentenziò il ragazzo, ridacchiando: «Se passi davanti il negozio dei genitori di Marinette, mi andrebbero bene un po’ di croissant.»
«Tu stai passando veramente troppo tempo con il micetto.»
«Ci vediamo dopo.»
«A dopo.»
«E ricorda…»
«Sì, ti porto da mangiare.»
«Brava, ragazza.»


Marinette finì di disegnare un particolare dell’abito, alzando la testa e osservando la biblioteca in cui, assieme ad Adrien, Rafael e Sarah, si era rifugiata quel giorno: decidere di studiare tutti assieme era stata un’idea improvvisa, nata per lo più dalla voglia di non rimanere da soli quel giorno.
Gabriel avrebbe consegnato il suo Miraculous, mettendo fine all’esistenza di Papillon.
E questo era un fatto che stava destabilizzando un po’ tutti.
La mora sospirò, tornando al suo disegno e scuotendo il capo: no, non andava. Non le piaceva ciò che stava creando.
Cancellò le ultime modifiche, soffiando via i rimasugli della gomma e notando come anche Rafael e Sarah fossero distratti: il primo si guardava attorno, la seconda stava cancellando qualcosa che aveva scritto: «Lo rompi quel foglio, Sarah.» la brontolò il moro, osservando la forza che la ragazza stava usando.
«E’ la quinta volta che sbaglio a scrivere.» bofonchiò l’americana, poggiando la gomma e la matita, alzando poi lo sguardo e sospirando: «Non riesco a concentrarmi.»
«Penso più o meno tutti.» dichiarò Adrien, poggiando l’evidenziatore sul libro e abbozzando un sorriso agli altri: «Fra le ombre…»
«Non avete scoperto niente mentre non c’ero?»
«No.» borbottò il biondo, dando una breve occhiata all’orario sul cellulare: «Mio padre avrà già riconsegnato il Miraculous, ormai.»
« Sarà strano non averlo più con noi. Sì, certo ci sarà il nuovo ma…» dichiarò Rafael, tamburellando le dita sul quaderno: «…non sarà lo stesso.»
«Dovremmo solo abituarci.» mormorò Marinette, sorridendo: «Il maestro Fu ci ha detto che è una ragazza molto gentile, quando Nooroo la porterà da noi la faremo sentire subito accolta e…»
«E la faremo integrare subito.» aggiunse Sarah, annuendo decisa: «Dobbiamo essere uniti se chi ha mandato le ombre decidesse di attaccare.»
«Lo facesse almeno.» bofonchiò Adrien, scuotendo il capo: «Sinceramente preferisco sapere di essere sotto attacco che…» mosse le mani in aria: «Questo.»
«Lo sappiamo, Adrien.»
«Questo posto è meraviglioso.» dichiarò Sarah, osservandosi intorno e sorridendo agli scaffali che arrivavano fino al soffitto alto, intervallati da colonne: «Di che secolo è?» domandò, cambiando argomento e riportando l’attenzione sugli altri.
«Sicuramente di uno dove non ero nato.» rispose Rafael, sorridendole: «Non lo so. Millesettecento, forse?»
Sarah storse la bocca, afferrando il cellulare: «Marinette, come si chiama?» domandò, voltandosi verso l’amica e aspettando la risposta.
«La biblioteca? Biblioteca Mazzarino.» rispose prontamente la mora, scambiandosi uno sguardo divertito con Adrien: «Vuoi veramente cercare il periodo in cui è stata costruita?»
«Certo. Studio storia…»
«Archeologia, Sarah.»
«La storia m’interessa comunque. E mi piace sapere cosa narrano queste mura.» decretò l’americana, sorridendo: «E’ del milleseicento. Non ci sei andato tanto lontano, Rafael.»
«Ricordati chi è mio padre.»
«Il professore peggiore in periodo di esami?»
«Esattamente.»
«Si nota così tanto la parentela?» domandò Adrien, lasciando perdere lo studio e voltandosi verso i due amici: «E’ proprio vero che i pennuti si assomigliano tutti.»
«Ah ah. Non fa ridere.»
«E’ un peccato che non ci sia Lila.» borbottò Marinette: «Almeno vi teneva un po’ tranquilli.» dichiarò, scuotendo poi vigorosamente il capo: «No, Lila si unirebbe a voi. E’ Wei quello che vi tiene calmi.»
«Wei santo subito.» dichiarò Adrien, stirando le braccia verso l’alto: «Ok. Io mi arrendo. Per oggi ho dato tutto quel potevo dare.»
«Siamo in due, amico.» sentenziò Rafael, chiudendo con un gesto deciso il libro di economia: «Andiamo a mangiare qualcosa?» domandò, voltandosi verso le due ragazze: «Mangiamo un boccone e poi andiamo dal maestro. Magari chiamiamo anche Lila ‘vi sto snobbando tutti’ Rossi e Santo Wei. Alex non lo considero, dato che vive dal maestro.»
«Io ci sto.» dichiarò Marinette, chiudendo l’album e voltandosi verso Sarah: «Tu?»
«Sono con voi.»


Fu prese la scatolina di legno dalle mani di Gabriel, carezzando lieve il coperchio: «Fa male, vero?» domandò, voltandosi verso il giradischi e azionando velocemente il meccanismo: in vero non serviva a molto riporre lì il Miraculous, dato che avrebbe dovuto consegnarlo al nuovo Portatore.
Con Wayzz non l’aveva fatto, ora che ci pensava.
Ma stavolta voleva eseguire la procedura fino in fondo: «Resterai sempre uno di noi, Gabriel.» mormorò, posando il cofanetto all’interno della scrigno: «Il tuo nome entrerà nelle sale di Nêdong...» continuò solenne, congiungendo le mani in preghiera e chinando il capo di fronte al contenitore dei Miraculous.
«Come quello che ha reso malvagio un Miraculous?»
«Adrien ha veramente preso tanto da te, sai?» sbuffò Fu, avvicinandosi al giradischi e riprendendo la scatolina del Miraculous di Nooroo: «Tutta la solennità della situazione, mandata all’aria.»
«Chiedo perdono.» dichiarò Gabriel, senza perdere la sua calma: «Lo consegnerai oggi?»
«Sì, meglio non perder tempo.» assentì l’anziano, stringendo la presa sul piccolo scrigno: «Non sappiamo quanto durerà questa calma e preferisco che la nuova Portatrice si  abitui il prima possibile ai suoi nuovi poteri.»
«Lei ha un’idea di chi può essere il nuovo nemico?»
«Ho un’idea.» sentenziò Fu, scuotendo poi la testa: «Ma è talmente surreale che spero rimanga un’idea.»
«Vuole rendermi partecipe?»
«Solo se noterò che sta diventando realtà, Gabriel.» dichiarò Fu, abbozzando un sorriso: «Per ora ho questo signorino da consegnare alla sua nuova Portatrice.»


Sbuffò, gettando il borsone degli allenamenti ai piedi del letto: non era stato scelto.
Ancora una volta sarebbe rimasto in panchina a guardare gli altri giocare.
Si lasciò andare sul letto, incrociando le braccia dietro la testa e osservando il soffitto: Jérémie, il suo migliore amico, aveva cercato di consolarlo, dicendogli che ci sarebbero state sicuramente altre partite, ma tutto ciò che adesso aveva in mente era il sorriso di Luc, suo rivale e la peggiore persona che conoscesse.
Ricordava perfettamente quel sorrisetto derisorio che gli aveva rivolto, quando l’allenatore lo aveva informato che sarebbe stato in panchina.
Sospirò, rotolandosi sul letto e dando un’occhiata alla scrivania: avrebbe dovuto fare i compiti.
La Bustier aveva caricato la classe come se fossero stati tanti piccoli muli.
E sua madre avrebbe dato di matto se avesse preso un’altra insufficienza.
Sbuffando, si issò in piedi e si trascinò fino alla scrivania, notando solo in quel momento il piccolo cofanetto di legno: «Cosa è?» si domandò ad alta voce, inclinando la testa e studiando il piccolo oggetto: non era suo. O almeno credeva.
Forse sua madre aveva di nuovo ficcato il naso fra le sue cose e aveva riemerso quell’affare?
Però non ricordava di averlo mai avuto.
Che fosse un regalo di natale della zia che aveva gettato in fondo all’armadio?
«Mamma!» urlò, prendendo la scatolina di legno in mano e studiandola: c’era un simbolo inciso sopra, ma nulla che gli facesse venire  in mente qualcosa: «Mamma!» rimase in silenzio, ascoltando l’assenza di rumori della casa.
Ah. Giusto.
Non c’era.
Era uscita con Camille poco prima che lui rientrasse.
E dire che l’aveva anche letto il messaggio che gli avevano mandato, appena uscito dall’allenamento ma la delusione era cocente e si era dimenticato; tornò a concentrarsi al cofanetto, agitandolo e sentendo qualcosa muoversi dentro: «Ma che c’è dentro?» domandò, aprendola.
Una luce intensa gli fece chiudere gli occhi, per evitare che rimanesse accecato e quando li riaprì si trovò davanti un piccolo esserino violetto, che si guardava intorno smarrito: «Ehm. Ciao!» esclamò lo spiritello, dopo un momento iniziale di silenzio: «Io sono Nooroo e sono un kwami.»

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.928 (Fidipù)
Note: Finalmente è giunto! Il nuovo Portatore è qui! E sì, immagino che molti si sono sorpresi: in vero, il piccolo Thomas (per caso vi ricorda qualcosa questo nome? Fra l'altro, il suo migliore amico si chiama Jérèmie. Un caso, secondo voi?) era stato designato come Portatore fin dall'inizio, infatti se ricorderete era apparso alcune volte in Miraculous Heroes 2, solo...beh, lo ammetto: volevo deviarvi un po' e quindi ecco perché del disguido con Camille. Perdonatemi.
Detto ciò, vi lascio subito al capitolo e, come al solito, ci tengo a ringraziarvi tutti quanti: grazie dei vostri commenti, grazie del fatto che leggete, grazie per inserire le mie storie nelle vostre liste.
E un grazie particolare va a quelle meravigliose personcine che mi supportano sempre e si beccano spoiler gratuiti (e forse non voluti. Chissà.) su Facebook.
Grazie di tutto cuore.


Nooroo osservò confuso il ragazzino che aveva davanti: era certo che il maestro gli avesse detto che il nuovo possessore del suo Miraculous sarebbe stato una ragazza, ma quello che aveva davanti…
Beh, era un maschio.
Forse il maestro stava invecchiando e aveva iniziato a perdere colpi?
Sorrise, donando tutta l’attenzione al ragazzino che, con lo sguardo sbarrato, lo stava fissando: «U-un a-ali…eno…» balbettò, facendo un passo indietro e colpendo con le gambe il letto; Nooroo l’osservò cadere sul materasso e, muovere nel nulla gambe e braccia, mentre cercava di issarsi a sedere: «Stai lontano da me!» esclamò, quando ebbe recuperato una posizione più o meno composta.
«Non sono un alieno! Son un kwami!»
«Cos’è? Il nome della tua razza, alieno?»
Nooroo sospirò, osservando il suo Portatore: una volta, gli altri, gli avevano raccontato il primo incontro con i loro Portatori e Nooroo si era sentito quasi fortunato.
Niente grida isteriche, niente imprigionamenti…
Gabriel sapeva cosa era e a cosa serviva.
Il suo nuovo Portatore invece…
«Non sono un alieno.» ripeté nuovamente, volando vicino il cofanetto con il suo Miraculous: «Mi chiamo Nooroo e sono un kwami, uno spirito legato a questa spilla.»
«Sei un fantasma?»
«No!» sbottò Nooroo, sospirando pesantemente: «Immagino che chiederti di seguirmi…»
«Mi prendi per scemo?» bofonchiò il ragazzino, mettendosi finalmente seduto in modo consono e incrociando le braccia: «Chi mi assicura che non sei un demone o un alieno o qualsiasi altra cosa!»
«Ti prego di credermi che, dove ti condurrò, non ti succederà niente di male.» dichiarò Nooroo, fluttuando all’altezza del volto del ragazzino: «Tu sarai qualcuno di importante da ora in poi.»
«Qualcuno di importante?» domandò l’altro, scuotendo il capo e indietreggiando un poco: «E come?»
«Con il mio Miraculous tu avrai un potere e, con questo, potrai affiancare gli eroi di Parigi.»
Il ragazzino sbatté le palpebre, rilassandosi un poco e con una nuova luce negli occhi: «Gli eroi di Parigi? Cosa centri tu con loro?»
«Ogni eroe ha un gioiello, al quale è legato un kwami come me.» spiegò Nooroo, indicando la spilla e felice di aver trovato un punto che lo interessasse e che potesse invogliarlo a seguirlo da Fu: «Io vorrei condurti da loro, se tu mi seguirai perché da adesso, anche tu sarai un eroe di Parigi.»
Osservò il ragazzo puntare la spilla e, dopo una certa titubanza, afferrarla è rigirarla fra le dita: «E’ da femmina.» bofonchiò, alzandosi in piedi e cercando un punto dove sistemarla, decidendo alla fine per la cintura, così da essere nascosta alla vista grazie alla maglia lunga: «Quindi anche gli altri eroi hanno una spilla come questa?»
«Oh no. I Miraculous hanno forme differenti.» spiegò il kwami sorridendo al ragazzo: «Mi seguirai allora?»
«Sono stupido a crederci, lo so. Finirà male, lo so.»
«Ecco, io…»
«Conducimi, alieno.»
«Ti ho detto che…»
«Sì, sì.»


Willhelmina sbuffò, recuperando il cellulare dalla borsa e notando il chiamante: «Sto arrivando.» dichiarò, non appena accettata la chiamata: «Maxime ha deciso proprio oggi di voler controllare i bilanci e ho fatto un po’ tardi.»
«Un po’ tardi, Bridgette?»
«Willhelmina, Fu.» sospirò stancamente la donna, riprendendo l’amico per l’ennesima volta: «Quante volte devo dirtelo di non chiamarmi con quel…» si bloccò, gli occhi fissi sulla figura maschile davanti a lei: la camminata lenta e tranquilla, le spalle ampie accarezzate dai capelli lunghi e biondi, tutto in quell’uomo le ricordava il fantasma che la tormentava.
Ma lui era morto.
Lei l’aveva visto.
«Bridgette? Bridgette?»
«Willhelmina, Fu.» lo riprese meccanicamente, mentre l’uomo in abito candido spariva fra la folla: «Sto arrivando.»
«Stai bene?»
«Sì.» mormorò, scuotendo il capo: «Sì, sto bene.»
Non poteva essere.
Era semplicemente la sua mente che le giocava brutti scherzi: stare troppo a contatto con i ragazzi la stava riportando indietro nel tempo a quando lui era ancora al suo fianco.
O forse stava lavorando troppo.
«Sto arrivando.» dichiarò, chiudendo la comunicazione e osservandosi di nuovo attorno: «Non era lui, non era lui, non era lui…»


Xiang sbuffò, girando stizzita la pagina del giornale e domandandosi, per l’ennesima volta nell’ultima ora, perché aveva dato retta a Felix: non le interessava stare in quel locale, fra gli abitanti di Parigi.
Era in quella città con uno scopo ed era quello di trovare l’assassino di Kang e riportare a Shangri-la il monile che era stato rubato.
Kang le aveva detto di cercare chi indossava i gioielli di Nêdong: lo aveva fatto ma li reputava inadatti alla missione.
Erano troppo inesperti, per nulla coscienti del grande potere che aveva in mano.
Che cosa aveva detto la testa al Gran Guardiano per scegliere quel gruppetto di bambini?
Aveva deciso di lavorare da sola, sebbene Felix le avesse detto più e più volte di dare una chance ai Portatori.
Xiang sospirò, scostandosi dal volto una ciocca di capelli e alzando lo sguardo sulla presenza che, da una manciata di minuti buoni, era ferma davanti al suo tavolo: «Vuoi qualcosa?» domandò secca, osservando il ragazzo che le sorrideva.
«Non pensavo di vederti a Parigi, Figlia della Città senza tempo.»
«Tu…» mormorò Xiang, osservando il giovane scivolare nella sedia davanti la sua: «Come…» si fermò, notando il sorrisetto divertito sulle labbra del suo interlocutore: «L’hai posseduto, vero?»
«Sei incredibilmente intelligente, Xiang.» dichiarò il ragazzo, allargando le braccia: «Ed è incredibile come grazie a quella collana io riesca a fare ciò, non credi? Basta una piccola punta di oscurità e, tadan!, una delle mie ombre può entrare e dominarlo, rendendolo un mio schiavo.»
«Non sei diverso da quel demone cinese.» borbottò Xiang, incrociando le braccia e fissandolo malevola: «Come si chiamava? Ah sì, Chiyou.»
Chiyou, che aveva posseduto l’ex-Portatrice del Miraculous della Coccinella, nonché amata di Felix: si era trasformata in Coeur Noir e, circa un anno prima, era stata fermata proprio lì, a Parigi, dal gruppo di nuovi Portatori.
«Ma io posso fare di più…» continuò l’altro,  poggiando i gomiti sul tavolo e sorridendole: «Mi basta uno schiocco delle dita e i miei servi possono trasformarsi in guerrieri potenti.»
«Oh. Come faceva Papillon.» commentò Xiang, portandosi una mano alla bocca e ridacchiando: «Dimmi, mio caro dí rén – anche se definirti nemico è un po’ troppo devo dire –, c’è qualcosa di nuovo in te? Oppure sei solo una scopiazzatura di ciò che è venuto prima?»
«Ora basta!» tuonò improvviso il dí rén, colpendo il tavolo con il pugno: «Non ti permetterò di prendermi in giro.»
«La tua stessa esistenza è una presa in giro.»
«Pensi davvero di poterti mettere contro di me, Xiang? Qui non hai la protezione di Shangri-la.» commentò il ragazzo, accomodandosi contro lo schienale della sedia e sorridendo: «Non hai nessun potere, come non ce l’ha quell’ex-Portatore, tuo alleato.»
Xiang rimase in silenzio, osservandolo con il mento alzato: «Anche se non ho poteri, posso comunque batterti.» dichiarò, poggiando i palmi aperti sul tavolo e alzandosi in piedi: «Non pensare di farmi paura, il tuo monile non è niente: puoi controllare le ombre e creare degli schiavi ma non sarà mai altro che un catalizzatore.»
«Perché pensi che sia venuto a Parigi, mia cara Xiang?» domandò il dí rén, sorridendole dolcemente: «Qui sono riuniti i sette gioielli di Daitya ed io li avrò. Tutti quanti, assieme al potere assoluto.»
«La tua sete di potere sarà la tua rovina.»
Il ragazzo rise, gettando indietro la testa: «Io non sarò mai sconfitto.» dichiarò, regalandole un sorriso e osservando l’uomo che stava arrivando alle spalle della ragazza: «Ora devo andare. E’ stato un piacere parlare con te, Xiang. Spero di vederti ancora.»
Xiang rimase immobile, guardandolo alzarsi e andarsene: «Non ci credo!» esclamò la voce allegra di Felix alle sue spalle: «Hai un amico! Potevi dirmelo!»
«Dí rén.» bisbigliò Xiang, scuotendo il capo e sedendosi nuovamente: «Ha imparato a usare il monile, ha capito come poter controllare le ombre e come usarle a proprio vantaggio…»
«Vuoi dirmi che quello era…» Felix alzò lo sguardo, cercando fra gli avventori del locale il giovane: «Me lo immaginavo diverso, più  vecchio.»
«Quel ragazzo è posseduto da un’ombra e lui l’ha usato come tramite.» mormorò Xiang, stringendo le mani in grembo e abbassando lo sguardo su di queste: «Basta una piccola punta di oscurità e si può essere posseduti. Nessuno è al sicuro da lui. Io non so cosa fare per sconfiggerlo, Kang ha…»
«Sai, qui a Parigi, c’è una ragazza che ha purificato per parecchio tempo gli akuma, creati da Papillon.» dichiarò Felix, incrociando le braccia e sorridendole: «Non pensi che sia giunta l’ora di incontrare Ladybug?»
«Non sono…»
«Sono i Portatori dei Miraculous.» dichiarò Felix, fissandola serio: «Sono adatti e le persone giuste. Fidati.»
«Sono un branco di ragazzini, inesperti nell’arte del combattimento e…» Xiang scosse il capo, sbuffando: «Mi chiedo cosa il Gran Guardiano ha visto in loro per sceglierli.»
«Me lo sono chiesto anch’io, quando fui scelto come Portatore: cosa aveva visto quell’uomo in me? Perché mi aveva dato il Miraculous?» Felix sorrise, ritornando indietro nel tempo: «Io non sono mai stato una delle scelte migliori, non rispetto agli altri, e forse è per questo che sono caduto e sarei morto, non fosse stato per Kang.» si fermò, inspirando  profondamente e alzando lo sguardo sulla ragazza: «Ma fidati delle scelte di Fu: è un uomo saggio.»
«Come puoi saperlo?»
«Perché ho combattuto al suo fianco e, sebbene fosse giovane, ha sempre cercato di fare del suo meglio, ha cercato di fare le scelte più giuste.» dichiarò freddo l’uomo, fissandola: «Fidati del gruppo di Portatori che ha scelto: hanno sconfitto parecchi cattivi, non credi? Io direi che hanno ottime credenziali, rispetto a un sergente fallito che è caduto sotto i colpi dei guerrieri di Chiyou.»
«Ho visto come combattono…»
«Anche io, Xiang.» dichiarò Felix, sorridendole: «E mi chiedo perché la mia Ladybug non portava un costume attillato come quello.» sospirò, scuotendo il capo: «Sarei anche tentato di provarci con questa Ladybug, ma non penso che le piacerebbe uscire con uno che ha dieci volte la sua età. Senza contare che il suo compagno e lei mi ucciderebbero.»
«Sei sicuro di quello che dici?»
«Riguardo al fatto di provarci…»
«Riguardo al fatto di chiedere aiuto ai Portatori?»
«Oh. Assolutamente sì.»
Xiang tenne lo sguardo scuro su di lui, scuotendo poi il capo: «Lui…» iniziò, tamburellando le dita: «Possono aver combattuto contro Papillon e Coeur Noir...»
«E Maus.» aggiunse prontamente Felix, facendo un cenno a una delle ragazze dietro il bancone: «Non dimenticarti lo scienziato pazzo degli ultimi mesi.»
«Ciò che si troveranno davanti è l’unione di tutto ciò e loro…»
«Loro lo sconfiggeranno. Credimi.»
«E se invece non avessero la forza necessaria?» domandò la ragazza, scuotendo il capo: «Ha ucciso Kang e lui era…»
«Kang voleva morire, Xiang.» mormorò Felix, abbassando lo sguardo celeste sul tavolo e sospirando: «Sapeva benissimo che la sua morte era necessaria, per mettere in moto tutto quello che sarebbe venuto dopo. Pensi davvero che uno che ha visto il futuro fino a chissà dove, non sapesse il giorno della sua morte? Kang lo sapeva e ha scelto quella via, in modo che tu potessi venire qua e incontrare loro.»
«E se la mia venuta qua avesse un altro scopo?»
«Ho paura della piega che sta prendendo questo discorso.»
«Kang voleva che io venissi a Parigi, che trovassi i Miraculous…» mormorò Xiang, fissando l’uomo negli occhi: «Ma se non fosse per combattere al fianco dei Portatori? Se mi avesse mandato qua per prendere i Miraculous e portarli al sicuro?»
«Stai scherzando, vero?»
«Sono seria.»
«Ragioniamo.» mormorò Felix, appoggiando i gomiti sul tavolo e inclinandosi avanti con il busto: «Mi stai dicendo che credi che Kang ti abbia detto di venire qua, per prendere i Miraculous e portarli al sicuro? Al sicuro dove? Che quel simpaticone ha preso il gioiello custodito a Shangri-la.» scosse il capo, sospirando: «Tutta questa idea è talmente sbagliata che non so neanche da che parte iniziare.»
«E se fosse così?»
«E se non fosse così?»
«Io ho vissuto con Kang e…»
«Xiang, Kang era l’uomo più enigmatico di questo mondo ed è impossibile sapere cosa avesse in mente o aveva visto.» sbottò Felix, portandosi indietro le ciocche bionde: «Ma ho imparato una cosa, mentre ero nell’esercito: la via più semplice è quella corretta.»
«E quindi?»
«Quindi, appena possibile andremo da Fu, conosceremo i nuovi Portatori – io vedrò di spiegare a qualcuno che non sono morto e perché –, farai amicizia e combatterai al loro fianco.»
«Una guerriera di Shangri-la al fianco di…»
«Una ragazza cinese di…» Felix si fermò, storcendo la bocca: «Diciotto? Diciannove anni? Giusto per sapere quanti anni avresti in termini umani?»
Xiang si strinse nelle spalle, osservandolo confusa: «La mia crescita si è fermata a diciassette anni.» mormorò, storcendo le labbra in una smorfia: «Forse è quella…»
«Diciassette?» l’uomo la fissò, scuotendo il capo sconsolato: «Dovrei iscriverti a una scuola.»
«Cosa?»
«A diciassette anni non si sta a giro senza…»
«Ma io ho…»
«Chiamo il mio segretario e mi faccio dire quale è la migliore. Tu andrai a scuola, signorina.»
«So più di quanto un diciassettenne normale sa.»
«Perfetto, non avrai problemi con i compiti, allora.»
«Cosa?»


«Sei in ritardo, Willie.» dichiarò Lila, osservando la donna appena entrata: «Ma anche la nostra nuova compagna.»
«Diamole tempo.» dichiarò Sarah, sorridendo: «Non penso sia facile assimilare il fatto che un kwami appaia dal nulla e ti dica che da oggi in poi sarai una supereroina.»
«Come dimenticarsi l’incontro con Sarah.» sbottò Mikko, guardando male la sua Portatrice: «Ha urlato per dieci minuti buoni. Le mie povere orecchie.»
«Non è che mi apparissero kwami tutti i giorni!» bofonchiò l’americana, fissando male la propria kwami: «Come se gli altri avessero reagito bene.»
«Wei sì.» dichiarò Wayzz orgoglioso del suo Portatore: «E’ stato calmo e mi ha ascoltato, finché non l’ho condotto qui dal maestro.»
«Classico per Wei.» dichiarò Rafael, assestando una manata sulla spalla dell’amico: «Davvero hai urlato?» domandò, rivolto poi a Sarah, ridacchiando divertito: «Non ti ci vedo.»
«Tu cosa hai fatto?»
«Ah…ecco…»
«Ha cercato di uccidermi, Sarah!» sbottò Flaffy, volando davanti il volto della ragazza e scuotendo il capo: «Io ero lì, tutto contento di avere un nuovo Aragorn da seguire e questo cerca di schiacciarmi con un giornale.»
«Pensavo fossi un insetto…»
«Ti sembro un insetto?» gridò Flaffy, allargandosi la coda da pavone e scuotendo il capo, mentre Sophie ridacchiava divertita dall’altra parte della stanza: «Mentre Sophie urlò anche lei. E poi, anche lei, cercò di uccidermi.»
«Mamma!»
«Non volevo! Volevo semplicemente imprigionarlo, solo sono inciampata e…»
«Abbiamo capito.» sospirò Plagg, scuotendo il capo: «Tutti i Portatori di Flaffy presenti hanno attentato alla sua vita. Ed io sono l’unico che è stato scambiato per un genio della lampada.»
«Ero piccolo.» borbottò Adrien, incrociando le braccia e fissando risentito il suo kwami: «Ed ero in un momento della mia vita in cui pregavo quasi che arrivasse un genio della lampada.»
«Hai veramente pensato questo?» chiese Marinette, carezzando la testa bionda: «Che carino!»
«Oh, che carino!»
«Silenzio, pennuto killer.»
«Marinette e Bridgette, invece, mi hanno creduto un insetto entrambe.» mormorò Tikki, scuotendo il capo mentre Plagg ridacchiava al suo fianco: «Cosa c’è?» domandò la kwami rossa, voltandosi verso il proprio compagno.
«Beh, Tikki. Tu sei un insetto, alla fin fine.»
«Sono una kwami come te, genio della lampada!»
«Se v’interessa, le prime parole di Lila quando mi ha visto sono state: ma io non volevo il chihuahua.» borbottò Vooxi, scatenando l’ilarità nella stanza: «E’ stato umiliante.»
«Lila, solo tu…» riuscì a dire Adrien, prima di scoppiare a ridere: «Solo tu…» ripeté, tenendosi la pancia mentre Marinette, al suo fianco, sospirava con un sorriso sulle labbra.
«Oh. Andiamo. Ero già a conoscenza dei Miraculous, quando ho visto la scatola ho sperato in quello del Pavone o dell’Ape.» spiegò la ragazza, incrociando le braccia e guardandoli tutti male: «E invece mi appare questo cane venuto male.»
«Sono una volpe!»
«Bene.» sentenziò Willhelmina, mettendosi alle spalle di Wei e posandogli le mani sulle spalle: «Abbiamo capito che Wei, come al solito, è quello più tranquillo di questo gruppo.» la donna si fermò, tastando i muscoli del giovane: «Ma sei vero, tesoro mio?»
«Vero e occupato, Willie.»
«Tranquilla, se volessi provarci con qualcuno quello sarebbe Adrien.»
«Non mi interessano le vecchie.» dichiarò prontamente il biondo, rimediando una manata da parte di Marinette: «Che ho detto?»
«Mai sentito parlare di tatto?»
«Come arriva la nuova Portatrice, mi faccio akumatizzare e ti mando contro un gigante di ghiaccio. Lo giuro.»
«Willie, la vuoi finire con Frozen?» sbottò Adrien, scuotendo la testa e sospirando: «E se proprio vuoi fare la Elsa della situazione, crea un piccolo Olaf.»
«Olaf che ama i caldi abbracci.» citò Marinette, ridacchiando e notando lo sguardo divertito di Adrien: «Che c’è?»
«Beh, se vuoi caldi abbracci ci sono io, my lady.»
«Qualcuno lo fermi, per favore.»
«Per una volta mi trovo d’accordo con Lila.»
«Volpe, Pennuto. Io sono il vostro capo e quindi…»
«Il nostro capo è Marinette.» ribatté tranquillamente Lila, sorridendo: «Quindi sta buono, micetto.»
«E per la seconda volta sono d’accordo con Lila.» sentenziò Rafael, sospirando: «Siamo alla fine del mondo, mi sa.»
Il suono del campanello mise fine a ogni discorso e tutti rimase fermi e in silenzio: «Vado io!» esclamò Alex, rimasto in disparte fino a quel momento, alzandosi e correndo verso la porta d’ingresso.
Il gruppo rimase in attesa, sentendo l’americano parlottare e poi la porta d’ingresso dell’abitazione chiudersi, mentre il rumore dei passi si faceva vicino: «Abbiamo un problema.» esordì l’americano, affacciandosi sulla porta del salotto e osservando le persone radunate: «Vi presento il nuovo Portatore del Miraculous della Farfalla.» dichiarò, facendosi da parte e lasciando entrare nella stanza l’ospite: «Thomas Lapierre.»

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.064 (Fidipù)
Note: Ed eccoci di nuovo qua, con un nuovo capitolo! E sì, sto andando un po' a rilento con la narrazione ma...beh, ormai dovreste aver compreso che parto piano piano, poi in questa terza e ultima parte della trilogia ho veramente tanta carne al fuoco e spero di raccontare tutto a dovere. Detto ciò, abbiamo finalmente l'incontro fra Thomas e i nostri Miracolati e...beh, niente di che. Non ho veramente altro da aggiungere a questo giro, quindi passo subito ai ringraziamenti!
Grazie a tutti voi che leggete le mie storie, commentate, le inserite in una delle vostre liste, mi supportate (e sopportate) sia qui che sul gruppo di FB.
Grazie di tutto cuore!


Fu osservò il bambino al fianco di Alex, non capendo perché il giovane l’aveva definito Portatore della Farfalla: non era la ragazza che aveva scelto, non era di certo il proprietario della stanza in cui aveva lasciato il Miraculous della Farfalla.
«Maestro?» domandò Adrien, voltandosi verso di lui e mettendo in quella semplice parola la domanda che, ogni presente nella stanza, si stava facendo.
«Non è il Portatore del Miraculous…»
«Sì, maestro.» mormorò Nooroo, apparendo da sotto il giubbotto del ragazzino e osservandoli: «Thomas ha aperto la scatola del mio Miraculous e…»
«Ma io sono sicuro…» iniziò Fu, cercando di ricordare: era andato davanti casa dei Lapierre e poi aveva usato l’incantesimo che lo aveva condotto alla stanza del vero Portatore, ricordando com’era rimasto stupito dalla mobilia e dai soprammobili della camera: «Camille Lapierre è tua sorella, vero?» domandò, osservando il ragazzino e al accenno affermativo di questo, tornò nei suoi pensieri: «E’ per caso una tifosa del Paris Saint-Germain?»
«Quello sono io.» mormorò Thomas, in risposta, facendo vagare lo sguardo su tutti gli occupanti della stanza: «Camille odia il calcio.»
Fu annuì, inspirando profondamente: «Ho capito cosa è successo.» dichiarò alla fine, annuendo sicuro.
«E cosa, maestro?» domandò Rafael, scambiandosi uno sguardo dubbioso con gli altri: «Potrebbe gentilmente illuminare anche noi? Sa ci aspettavamo qualcun altro.»
«La questione è semplice: ho sbagliato a scegliere.»
«Cosa?» sbottò Adrien, alzandosi in piedi e osservando l’anziano a bocca: «Cosa vuol dire che ha sbagliato a scegliere?»
«Quando viene scelto un Portatore, per essere sicuri che il Miraculous vada in suo possesso, vengono usati degli incantesimi.» spiegò Willhelmina, attirando su di sé l’attenzione generale: «Quando Fu è andato a consegnare la spilla della Farfalla ne ha sicuramente usato uno, che l’ha indirizzato nella camera di…» la  donna si voltò verso il ragazzino: «Scusa, stellina, come hai detto che ti chiami?»
«Thomas Lapierre.» le rispose prontamente il ragazzino, fissandola serio: «Io la conosco.»
«Oh, davvero?»
Thomas annuì, osservando il resto del gruppo: «E conosco anche lui, lui, lui, lui e lei.» dichiarò, indicando con il dito Gabriel, Adrien Rafae, Wei e Lila: «Mia sorella è fissata con la moda, quindi ho imparato a conoscere un po’ di cose: signora, lei è una stilista famosa. E anche il signore lì.»  spiegò Thomas, indicando poi i due modelli: «Loro…beh, mia sorella ha tappezzato camera di loro foto.»
«Mi ricorda qualcuno…» dichiarò Adrien, ridacchiando e voltandosi verso Marinette: «A te no?»
«Smettila.» borbottò la ragazza, mettendo il broncio mentre il volto le diventava rosso: «Chiunque ha fatto i suoi errori.»
«Peccato che il tuo errore te lo sposerai.» continuò Adrien, ridacchiando e spostando poi l’attenzione verso l’americana: «Sarah!»
«Lasciala stare, Adrien.»
«Non ho foto di nessuno in camera.» dichiarò spiccia la bionda, anticipando l’amico: «Ormai ti conosco, Adrien Agreste.»
«Mi dispiace per te, pennuto.»
«C’è un modo per zittirlo, Marinette?» sbuffò Lila, osservando male il biondo: «Un silenziatore, magari? Signor Gabriel, Sophie. E’ vostro figlio dovreste sapere come tenerlo a freno.»
«Un modo ci sarebbe, volpe, ma la mia lady è troppo timida per farlo in pubblico.»
«Che schifo.» bofonchiò Lila, mimando l’atto del vomito e borbottando poi qualcosa sulla castrazione chimica dei felini.
«Ragazzi, ragazzi.»Willhelmina batté le mani, portando l’attenzione generale su di lei: «Vogliamo darci un taglio con questo asilo nido? Abbiamo un ragazzino confuso a cui dovremmo spiegare tutto.»
«E’ giovane, Willie. Non può essere un Portatore.» sentenziò Adrien, diventando immediatamente serio: «Non possiamo…»
«Perché no?» domandò Thomas, stringendo i pugni: «Io posso…»
«Noi combattiamo.» dichiarò il biondo, fissandolo serio: «Quasi ogni giorno e contro persone che non sono simpatici gnometti o…»
«Lo so. Ho visto i notiziari.» sbottò il ragazzino, incrociando le braccia: «Ero alla galleria Lafayette quando quei soldati arrivarono e non…»
«Un conto è vederli, un conto è combatterli.»
«Adrien…»
«Sì, my lady?» domandò il biondo, voltandosi verso di lei: «Vuoi veramente far diventare nostro compagno questo bambino?»
«Ho tredici anni.»
«Uao. Un adulto in pratica.»
«Adrien.» mormorò nuovamente Marinette, posandogli una mano sul braccio e facendolo voltare verso di lei: «Nooroo l’ha scelto e, a meno che Thomas non consegni di sua volontà il Miraculous al maestro, sarà il nuovo Portatore.»
«No.»
«Sì, invece.»
«Ed io non lo consegnerò.» dichiarò immediatamente Thomas, alzando orgoglioso la testa: «Sono stato scelto…»
«In verità il maestro aveva scelto tua sorella.»
«Però è arrivato a me! Perché non posso aiutarvi? Anch’io voglio proteggere gli altri.»
«Sei veramente un piccolo eroe.» sentenziò Wei, alzandosi dal suo posto e raggiungendo il ragazzino: «Ti ricordi di me, vero? Ci siamo incontrati un po’ di tempo fa.»
Thomas annuì, facendo vagare lo sguardo fino a Lila: «Mi ricordo anche di lei, la rapitrice.»
«Senti, moccioso, avevo deciso di sorvolare su questo fatto…» iniziò Lila, alzandosi minacciosa e fissandolo male: «Ma a quanto sembra…»
«No, scusa.» mormorò Rafael, fermando la ragazza e sorridendo: «Cos’è questa storia della rapitrice?»
«Una lunga storia, piumino.»
«Mi piacciono le lunghe storie.»
Wei ridacchiò, osservando Lila quasi digrignare i denti, e poi si voltò nuovamente verso Thomas: «Lascia che mi presenti ancora: il mio nome è Wei Xu, lavoro come tuttofare presso monsieur Mercier ma sono anche Tortoise e possiedo il Miraculous della Tartaruga.» alzò il braccio, mostrando il bracciale che teneva al polso e poi indicò Wayzz, posato sulla sua spalla: «E lui è Wayzz, il kwami mio compagno.»
«Onorato della tua conoscenza, Thomas.» dichiarò Wayzz, fluttuando fino a lui: «Sono onorato di conoscere il nuovo possessore del Miraculous della Farfalla.»
«Piacere mio.»
«Io mi chiamo Lila Rossi e non sono una rapitrice, quindi piantala con questa storia.» dichiarò Lila, tirando fuori il ciondolo a forma di coda di volpe da sotto la maglia: «Possiedo il Miraculous della Volpe e questa specie di chihuahua è il mio kwami, Vooxi. Ah, il nome del mio alterego è Volpina.»
«Sono Vooxi. E non sono un chihuahua.» sentenziò il kwami arancio, guardando male la ragazza: «E per te, Thomas Lapierre, ho solo una domanda.»
«Quale?»
«Grifondoro, Serpeverde, Corvonero o Tassorosso?»
«Cosa?»
«Vooxi è fissato con Harry Potter.» sbuffò Lila, alzando gli occhi al cielo: «Occhio a cosa rispondi.»
«Serpeverde.»
«Interessante.» commentò Vooxi, volando fino al ragazzino: «E come puoi dirlo?»
«Ho fatto lo smistamento su Pottermore.»
«Oh! Sei registrato su Pottermore?» esclamò Vooxi, effettuando una giravolta su sé stesso: «Lila…»
«Fantastico! Hai trovato un altro fan!» dichiarò la ragazza, raggiungendoli e acciuffando il kwami: «Ne parlate dopo, ok?»
«Facciamo fissato e fissato?» domandò Rafael, ridacchiando e voltandosi verso Thomas: «Beh, io sono Rafael Fabre e sono…»
«Sei un modello.»
«Fra le altre cose sì.» assentì il moro, sorridendo: «E sono anche Peacock, mentre…»
«Mentre io sono Flaffy!» esclamò giulivo il kwami, volando davanti al volto di Rafael: «Amo la cioccolata e i libri di Tolkien. Penso che il personaggio a cui assomiglio di più Frodo Baggins, ma dentro di me sento vivere lo spirito di Bilbo. Rafael invece è più Aragorn, poi dipende dai giorni: alle volte è solo uno stupido Nazgul senza cervello.»
«Grazie, Flaffy.»
«Io mi chiamo Sarah Davis e vengo dall’America.» dichiarò la bionda, interrompendo i due accanto a lei: «Avevo inseguito Coeur Noir e poi sono rimasta, unendomi al gruppo come Bee. Lei è Mikko, la mia fidata compagna.»
«Onorata di conoscerti, Thomas.» dichiarò la kwami dell’ape, sorridendo al ragazzino: «Sono certa che tu e Nooroo sarete una grande squadra.»
«Io continuo…»
«Presentati e falla finita, gattaccio.»
«Adrien Agreste o Chat Noir, per servirti.» dichiarò spiccio il biondo, alzandosi e inchinandosi con fare galante: «E lui è Plagg, il kwami più rompiscatole del mondo e ossessionato dal formaggio.»
«Sono un estimatore di camembert.»
«Sì, certo.»
«Io mi chiamo Marinette Dupain-Cheng.» si presentò Marinette, ignorando il fidanzato e il kwami: «E sono anche Ladybug, mentre lei è Tikki.»
«E sono la kwami del Miraculous della Coccinella.»
«Ladybug e Chat Noir…» mormorò Thomas, osservando i due ragazzi: «Voi siete…»
«Il mitico duo.» dichiarò Rafael, ridacchiando: «Notare la fama che hanno loro rispetto alla nostra.»
«Voi siete i miei idoli.» dichiarò Thomas, sorridendo: «Intendo tutti, eh. Ho seguito ogni vostra avventura da quando è apparsa Coeur Noir e poi quello svitato ma…» si fermò, osservando Marinette e Adrien: «Io non ho tanti ricordi, ero piccolo e poi Camille – mia sorella – mi tenne lontano dai nonni, ma una volta mia mamma è stata akumatizzata e…»
«Ah. Avevo akumatizzato sua madre?» domandò Gabriel, attirando su di sé l’attenzione: «Non lo ricordavo.»
«Devo farmi raccontare un po’ di cose da Adrien di quando eri un cattivo.» sentenziò Sophie, fissando il marito: «Molte cose.»
«Non c’è niente da raccontare.»
«Io credo di no, Gabriel.»
«Chi era tua madre?» domandò Adrien, scuotendo la testa: «E ignora i miei: quando mio padre si presenterà…beh, capirai tutto.»
«Chi era?»
«Come si faceva chiamare da akumatizzata?»
«Infirmitor.»
«La ricordo.» dichiarò Gabriel, sorridendo al ricordo: «E’ stata una delle poche che è andata molto vicina a rubarvi i Miraculous.»
«Oh! Ho capito! E’ quella che ci legò assieme con quelle bende e…» ricordò Adrien, voltandosi verso Marinette: «Dai, quella che Chloé aveva fatto arrabbiare quando suo padre venne ricoverato…»
«Chloé fa arrabbiare tantissima gente.»
«Andiamo, Marinette.» sbuffò Adrien, sorridendole: «Ti ricordi quando il padre di Chloé ebbe quell’incidente d’auto? E ti ricordi che accompagnammo Chloé in ospedale e…a proposito, perché eri venuta anche tu?»
«Perché ero preoccupata per Chloé.»
«Sì, certo. Pensi davvero che ci creda?»
«Comunque mi ricordo chi era: Chloé la trattò malissimo e poco dopo venne akumatizzata…» assentì Marinette, cambiando argomento e voltandosi verso Thomas: «Quindi era tua madre. E’ davvero piccolo il mondo.»
«Grazie per averla salvata.»
«E’ il nostro dovere.» dichiarò la mora, sorridendogli: «E adesso finiamo il giro di presentazioni?»
«Anche perché sono rimasti i pezzi migliori.» assentì Alex, posando una mano sulla spalla di Thomas e sorridendogli: «Io sono Alex, sono americano come Sarah – Sarah è la mia migliore amica, per la precisione – e sono la mente che c’è dietro a tutto: il mio nome in codice è Mogui.»
«Figo.»
«Il vecchietto, invece, è il Gran Guardiano dei Miraculous: il nostro dispensatore di perle di saggezza, nonché colui che sceglie i Possessori e gli dona i mistici gioielli. Fra le altre cose è stato Genbu in gioventù – sì, sembra strano ma c’è stato un tempo in cui era giovane e non somigliava a Miyagi di Karate kid – e possedeva il Miraculous della Tartaruga.»
«Chi ha deciso che continuasse lui le presentazioni?» domandò Fu, guardandosi attorno, indicando Alex e non ricevendo risposta.
«Lei invece è Willhelmina Hart, ma hai detto di conoscerla. Ciò che non sai è che lei, un tempo, è stata la Portatrice del Miraculous della Coccinella – non sembra ma ha qualcosa come duecento anni –, poi è stata posseduta da un demone cinese ed era diventata Coeur Noir. Però ora è buona, eh. E sta studiando per diventare la futura Gran Guardiana.» Thomas annuì in silenzio, osservando Willhelmina e ciò fu di incoraggiamento ad Alex che continuò: «La signora bionda è Sophie Agreste, la mamma di Adrien, ed è stata Pavo, Portatrice del Miraculous del Pavone. Poi è stata imprigionata da Maus e…beh, per farla breve si è liberata ed è tornata qua.»
«Benvenuto, Thomas.» mormorò Sophie, sorridendo al ragazzino e portando poi l’attenzione sull’americano: «Alex, penso che sia meglio che…»
«Lascio la parola a lei, signor Agreste.»
Gabriel annuì, posando lo sguardo su Thomas: «Hai detto di sapere chi sono, quindi andrò dritto al sodo: un tempo sono stato Papillon, ho posseduto il Miraculous che ora appartiene a te l’ho usato per fini sbagliati.» dichiarò spiccio, tenendo lo sguardo fisso sul ragazzino: «Non farlo mai. Non lasciare che il potere ti accechi.»
«O-ok.»
La stanza rimase in silenzio, poi Fu si alzò e con tranquillità affiancò Thomas: «Quindi, a parte l’iniziale titubanza di Adrien, siamo tutti d’accordo?» domandò, senza ricevere nessuna risposta in cambio: «Lo prendo per un sì.» assentì l’anziano, voltandosi poi verso il nuovo arrivato: «Benvenuto in squadra, Thomas.»



Marinette rimase immobile, sentendo l’altro occupante del letto muoversi per l’ennesima volta: «Qual è il problema?» domandò la ragazza, girandosi sul fianco opposto e osservando, per quanto fosse possibile nell’oscurità, il ragazzo che era con lei: «Sei preoccupato per…»
«E’ giovane. Troppo giovane.» dichiarò spiccio Adrien, lo sguardo verde rivolto al soffitto: «Come ha fatto a…»
«Noi non eravamo poi così grandi, quando abbiamo cominciato.»
«Era diverso.»
La ragazza sospirò, mettendosi seduta e osservando il ragazzo dall’alto: «In cosa era diverso?» gli domandò, osservando lo sguardo verde posarsi su di lei: «Abbiamo affrontato pericoli…»
«Papillon – mio padre – non ha mai ucciso nessuno.» mormorò Adrien, issandosi su e imitandolo, abbassando lo sguardo sulle proprie mani: «Mentre…»
«Mentre?»
«Chiunque c’è là fuori non si è preoccupato a uccidere tre persone.» spiegò il ragazzo, mentre un nuovo sospiro gli usciva dalle labbra: «E noi dovremmo lasciare che un ragazzino combatta al nostro fianco?»
Marinette annuì, allungando una mano e stringendo quella del ragazzo: «Non è solo, Adrien.» dichiarò, sorridendogli: «Ci siamo tutti noi con lui e lo proteggeremo. Dagli una possibilità…»
Il biondo annuì, tirandola lievemente e circondandola con le braccia: «Poi se non lo rende lui il Miraculous…» bofonchiò contro la pelle nuda della spalla: «Abbiamo un tredicenne in squadra, stavolta avremmo davvero bisogno di un miracolo per salvare Parigi.»
«Su, su. Sii ottimista.»
«Detto da quella che immagina le peggio catastrofi.» sentenziò Adrien, staccandosi leggermente: «Ultimamente non hai fatto tanti film mentali, ora che ci penso.»
«Attualmente è Nathaniel la vittima dei miei film mentali.» dichiarò la mora, sorridendo: «Proprio ieri penso di averne fatto uno su cosa sarebbe successo alla consegna dei progetti e centrava la professoressa, una spia russa e un mazzo di chiavi.»
«Una spia russa?»
«Tu non vuoi sapere, vero?»
«In verità no.» dichiarò Adrien, stendendosi e sorridendo quando la ragazza si sistemò nell’incavo del suo braccio, la testa mora che riposava sul suo petto: «Avrei un’altra domanda. E’ una curiosità che ho da oggi, devo dire.»
«Non ti dico niente riguardo…»
«Perché eri venuta all’ospedale con me e Chloé?»
«Ti ho già spiegato che…»
«Pensi davvero che ci creda? My lady, credevo avessi un’opinione più alta della mia intelligenza.»
«Io…tu…»
«Avanti. Sono tutto orecchie!»
«E-ecco, come di-dire…»
«Sinceramente, ho una certa teoria sul fatto che eri venuta anche tu.» continuò tranquillamente il biondo: «Venire…mh…venire anche tu.»
Marinette gli posò una mano sulla bocca, salendogli in grembo e fissandolo dall’alto: «Se ti dico il perché, tu non dirai qualsiasi battuta ti sia venuta in mente, ok?» Adrien assentì, l’ilarità negli occhi e Marinette tolse la mano: «Co-come dire…» iniziò, sentendo il volto farsi improvvisamente di fuoco: «Può essere che, all’epoca, fossi un tantino gelosa ed ero venuta anch’io all’ospedale per evitare che Chloé allungasse troppo le mani e…»
«All’epoca?»
«Ok, lo sarei anche ora, però c’è da dire che adesso ho un po’ più di sicurezza e…»
«Quindi eri venuta…» Adrien si fermò, sbuffando: «Non c’è un altro verbo che posso usare? Seriamente, se lo dico ancora morirò fra atroci sofferenze, perché ti ho promesso che non avrei fatto battute.»
«Oh. Povero il mio micetto.»
«Sei una coccinella sadica, sai?»
«Non è vero!»
«Sì, sei felice della mia sofferenza.»
«No.»
«Sì.»
«La vogliamo finire?» sbuffò Plagg, dal piano inferiore della camera: «Qui ci sono kwami che vogliono dormire.»
«Sempre il solito.» sbuffò Adrien, mentre Marinette scivolava al suo fianco e lui la cingeva con un braccio: «Ok, dormiamo. Domani ho promesso al pennuto di studiare assieme e vorrei evitare di crollare sui libri.»
«Dormiamo.» assentì la ragazza, allungandosi e baciandogli la guancia: «Buonanotte, Adrien.»
«Buonanotte, mon coeur.»
«Mh. Questo mi piace.»
«Ti piacciono anche gli altri, solo che non mi vuoi dare la soddisfazione di ammetterlo.»
«Buonanotte, Adrien.»


Plagg rimase in ascolto per un po’, sospirando beato quando non sentì più bisbigli o rumori molesti: «Dovresti smetterla di essere così brontolone.» dichiarò Tikki, con una note ilare nella voce: «E lasciarli un po’ in pace.»
«Mi avevano svegliato.»
«Ma se non stavi dormendo.» dichiarò la kwami alzando la testa e osservando il compagno che, acciambellato, le dava le spalle: «La senti anche tu?»
«Purtroppo sì.» bofonchiò Plagg, alzandosi e stiracchiandosi come un gatto: «E non mi piace. E’ la stessa sensazione che ebbi quando Routo emise quella colonna di Quantum.»
«Mi sono sempre domandata perché.»
«Cosa?»
«Perché ci fu quella colonna? Perché liberarono così tanto Quantum verso il cielo? Se l’avessero rivolta verso Daitya ci avrebbero annientati quella notte.»
Plagg la osservò in silenzio, voltando poi la testa e guardando Marinette scendere le scale: «La notte degli insonni.» sbuffò il kwami nero, mentre la ragazza li raggiungeva: «Il moccioso?»
«Sta dormendo adesso. Credo.»
Il kwami nero annuì, osservando Marinette sedersi sulla chaisse longue: «Grazie.» mugugnò, volando sulle sue gambe e accomodandosi: «Grazie per essere con lui.»
«Oh. Questa è da segnare, il grande Plagg ringrazia.» scherzò Tikki, raggiungendo i due: «E’ una cosa che non succedeva da…beh, da quando lo conosco.»
«Sono onorata, Plagg.»
«Se non ci fosse Marinette, dovrei sorbirmeli io i suoi attacchi di panico.»
«Adrien si preoccupa ed essere impegnata a tranquillizzare lui…» Marinette sospirò, scuotendo il capo: «…beh, impedisce a me di preoccuparmi.»
«Però adesso lo sei, ragazzina.» dichiarò Plagg, osservandola annuire con la testa: «Quanto hai sentito?»
«Cosa temete?»
«Non lo sappiamo, Marinette.» dichiarò Tikki, scuotendo il capo: «Ti ho narrato la nostra storia e di come Routo ci attaccò e di…»
«Della colonna di energia che fu ciò che vi portò a essere kwami, sì.»
«Cosa era? E perché successe?» Tikki abbassò le spalle, sorridendo alla sua umana: «Forse sono solo idee mie e non centra niente con tutto quello che sta succedendo ma con Maus che voleva ricreare il Quantum mi è stato impossibile non ripensare al mio passato e a ciò che successe.»
«Capisco.» mormorò Marinette, carezzando la testa della kwami: «Spero di essere all’altezza di ciò che avverrà.»
«Tu sei Ladybug.» dichiarò decisa la voce di Adrien, facendo alzare la testa dei tre e osservando il ragazzo fermò a metà scale: «Sei sempre all’altezza.»
Marinette sorrise al ragazzo, sentendo il cuore batterle più forte: sapeva benissimo che Adrien credeva in lei ma sentirlo così sicuro di ciò che stava dicendo era un qualcosa…
Un qualcosa…
Un qualcosa da battiti del cuore a mille.
«Bene, visto che siamo tutti svegli, io propongo una cosa sola.» dichiarò Plagg, volando in mezzo alla stanza: «Camambert-poker.»
«E sarebbe?»
«Come lo streap-poker, solo non ci si spoglia ma si mangia camambert.»

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.835 (Fidipù)
Note: Salve salvino! E bentornati su Miraculous Heroes 3! E partiamo subito in maniera dolce, presentando La Cure Gourmande, una catena di negozi specializzata in dolciumi vari, nonché veri e propri attentati al palato: io faccio una visitina a questo negozio, ogni volta che vado a trovare i miei parenti a Nizza e...è impossibile non uscire senza un piccolo sacchetto fra le mani. I miei preferiti sono i biscotti al burro, che ti tentano da lontano, espandendo il loro profumo nella strada e...ripeto: è impossibile non entrare quando passi davanti a questi negozi.
Detto ciò, penso proprio che non c'è nient'altro da aggiungere se non ringraziarvi come al solito.
Grazie a tutti voi che leggete, inserite questa storia in una delle vostre liste e commentate: sono sempre felice di sapere la vostra su ciò che scrivo!
Grazie grazie grazie grazie grazie!


«Sto morendo…» si lamentò Flaffy, fluttuando davanti il volto addormentato del suo umano e portandosi una zampetta al volto: «La mia vita mi sta lentamente lasciando.»
«Non sei in fin di vita.» bofonchiò Rafael, voltandosi dalla parte opposta e sospirando pesantemente: «I morti sono meno vivaci.»
«Rafael, sto morendo.»
«Sì, certo.» assentì il parigino, allungando una mano nell’altro lato del letto e sentendo il materasso vuoto e freddo; si issò velocemente a sedere, guardandosi attorno sotto lo sguardo incuriosito del kwami: «Sarah?» domandò, massaggiandosi il volto e cercando qualche segno della presenza della ragazza.
«E’ di là.» gli rispose Flaffy, osservandolo alzarsi e infilarsi i pantaloni del pigiama: «Si è alzata da un po’ e si è messa a studiare.» continuò il kwami, seguendo passo passo il ragazzo: «E Rafael…»
«Mh?»
«Non ti preoccupare di ciò che vedrai.»
«Cosa?» domandò il moro, passandosi una mano fra i capelli e raggiungendo velocemente l’altra stanza: Sarah si era accomodata sul divano, i libri e i quaderni pieni di appunti occupavano il tavolino basso assieme al pc della ragazza, mentre i capelli erano stati raccolti con il Miraculous, sulla cima della testa e…: «Tu porti gli occhiali?» domandò Rafael, notando la montatura che la ragazza indossava.
Sarah si voltò verso di lui, portandosi una mano al volto e togliendosi velocemente gli occhiali: «N-non avevo sentito che ti eri alzato.» mormorò, chiudendo le asticelle e tenendo in grembo gli occhiali da vista.
«Perché non mi hai detto nulla?» chiese Rafael, indicando gli occhiali e sedendosi sul divano, di fianco a lei: «Non…»
«In verità non li porto.»
«Ma…»
Sarah carezzò la montatura di metallo grigia con un polpastrello: «Ti ho parlato di mio padre, vero?» domandò, voltandosi verso di lui e abbozzando un sorriso: «Ti ho detto che è morto in un incidente in metropolitana, sì?»
«Sì. Non parli mai molto di lui, ora che ci penso.»
«Questi appartenevano a lui.» dichiarò spiccia Sarah, alzando gli occhiali e dondolandoli davanti il volto di Rafael: «Glieli avevo regalati io per un compleanno, avevo messo i soldi da parte per comprarglieli e fargli fare il ‘finto intellettuale’ quando aveva voglia.» continuò la ragazza, perdendosi nei ricordi: «Alle volte si metteva in salotto, con un libro in mano e gli occhiali mentre mamma lo prendeva in giro.»
Rafael sorrise dolce, cercando di immaginare la scena: non gli era difficile vedere nella sua mente la signora Davis – aveva visto alcune foto della donna a casa di Sarah –, un po’ più difficile era per il padre della ragazza; allungò una mano, prendendo la montatura dalle dita della bionda e, delicatamente, aprì le aste e li infilò, facendoli scivolare sopra al naso della bionda: «Perché li hai messi oggi?»
«Oggi è il giorno della morte di papà.»
«Sarah…»
«Visto che non posso andare a visitare la tomba, ho pensato di metterli e…»
«Perché non me l’hai detto?» sospirò Rafael, allungando una mano e portando indietro una ciocca sfuggita all’acconciatura: «Perché…»
«Abbiamo altro a cui pensare: c’è Thomas, c’è il nuovo cattivo e la nostra missione di…»
«Il tuo dovere alla missione, alle volte, è veramente ossessivo, sai?» sbuffò Rafael, portandosi le mani al volto e massaggiandoselo: «Cosa vuoi che faccia?»
«Cosa?»
«Vuoi andare a New York per visitare la tomba? Ti accompagnerò. Vuoi fare qualcosa che facevi sempre con tuo padre? Vuoi…» si fermò, scuotendo il capo: «Dimmi quello che vuoi fare ed io lo farò.»
Sarah sorrise, allungando una mano e prendendo quella di Rafael, stringendola appena: «Puoi abbracciarmi?» domandò e, immediatamente, le braccia del parigino la circondarono, stringendola forte e il calore la confortò un po’: «Grazie.» mormorò Sarah, poco dopo, staccandosi leggermente dal ragazzo e regalandogli un sorriso: «Grazie.»
Rafael la fissò un attimo, annuendo poi con la testa e carezzandogli i capelli: «Andiamo a sfamare l’hobbit rompiscatole.» dichiarò con uno sbuffo, alzandosi e dirigendosi verso la cucina, con Flaffy al seguito.


Thomas osservò la vetrina del negozio di caramelle, sospirando pesantemente: «Quindi tu mangi solo questo tipo di caramelle?» domandò al kwami, nascosto all’interno della tasca alta del suo giaccone, dando poi un’occhiata alla madre, che stava studiando la vetrina poco distante.
«Sì.» assentì Nooroo, facendo capolino e sorridendogli: «Mi dispiace tanto.»
Il ragazzino annuì, cacciando la mano nell’altra tasca e prendendo i soldi che aveva con sé: «Dovrò dire addio a quel videogioco…» dichiarò sconsolato, contandoli e annuendo: «La scatola di latta quanto ti può durare?»
«Beh, finché non userai il tuo potere speciale, non avrò bisogno di ricaricarmi.» mormorò Nooroo, annuendo con la  testolina: «Penso possa andare ben per ora.»
«Non mi hai detto come fare a trasformarmi.»
«Oh, quello è facile. Devi solo dire ‘Nooroo, trasformami’.» gli rispose prontamente il kwami, fissandolo: «Ma non dirlo ora, altrimenti diventerai….mh. Dovremo trovare un nome per quando sarai un…»
«Un supereroe?»
«Sì. Un supereroe.»
Thomas annuì, voltandosi poi verso la madre e vedendola sempre assorta ad ammirare l’esposizione della cioccolateria vicina: «Mamma! Io entro qui!» esclamò, indicando il negozio della catena La Cure Gourmande e ricevendo un segno affermativo con la testa da parte della donna.
Il ragazzino aprì la porta del negozio e venne investito dal profumo di biscotti e caramelle: entrò titubante e sorrise alla commessa che, con un vassoio di assaggi, sostava vicino alla porta: «Ciao.» esclamò, sorridendogli: «Vuoi assaggiare?» domandò poi, mettendogli sotto il naso le varie prove di biscotti e caramelle.
Thomas li guardò, prendendo poi una delle caramelle e dando un’occhiata veloce al negozio: «Hai visto qualcosa che t’interessa?» continuò la commessa, seguendolo.
«Voglio una di quelle.» dichiarò Thomas, indicando una delle scatole di latta poste in alto, mentre la donna annuiva e posava il vassoio con gli assaggi: «Quella blu.» indicò il ragazzino, seguendo le manovre della commessa per prendere il suo acquisto; la donna gli passò la scatola e Thomas si voltò veloce verso la cassa, andando a sbattere contro qualcuno: «Ah. Scus…Manon Chamack!» esclamò, riconoscendo una sua compagna di scuola, di pochi anni più piccola.
La bambina alzò la testa, fulminandolo con lo sguardo: «Lapierre!» ringhiò, assottigliando lo sguardo nocciola: «Sei sempre tu.»
«Non l’ho fatto apposta!»
«Sì, che l’hai fatto! Mi hai seguito fin qua e…»
«Ma non è vero!» sbottò Thomas, stringendo la scatola di latta al petto e alzando il mento: «Cosa vuoi che me ne interessi di quello che fa una marmocchia come te?» bofonchiò, superandola e andando a pagare il suo acquisto: era sempre così, fin dalla prima volta che si erano conosciuti.
Lei diceva che lui era la causa di ogni male sulla terra o, comunque, di tutti quelli che le capitavano.
E lui la faceva tornare con i piedi per terra, ricordandole che non era miss universo.
La commessa dietro la cassa gli sorrise e fece passare il codice a barre del suo acquisto, dando poi il verdetto finale: perfetto. Sfamare Nooroo sarebbe stato veramente costoso, fortunatamente il kwami gli aveva detto che, finché non si fosse trasformato e avesse usato i suoi poteri, non ci sarebbero stati problemi.
Da annotarsi: usare solo se strettamente necessario il potere speciale di…di…mh.
Doveva assolutamente trovare un nome per la sua identità da supereroe.
Si voltò, notando che Manon Chamack era ancora dove l’aveva lasciata: «Cosa vuoi?» borbottò, infilando la scatola sottobraccio e raggiungendo velocemente la porta.
«Perché hai comprato delle caramelle? A te non piacciono i dolci.»
«Perché non ti fai gli…» Thomas si fermò, la mano ferma sulla maniglia del negozio e lo sguardo completamente rivolto verso la bambina: «Tu come fai a sapere che non mi piacciono i dolci?»
«Così…» mormorò Manon, con un’alzata di spalla, andandosene poi verso il fondo del negozio dove Thomas intravide la madre della bambina.
«Bah.» borbottò Thomas, scuotendo il capo e uscendo dal negozio, notando sua madre ferma in sua attesa: «Scusa, ma’.»
«Uh! Sono per me?»
«No.»
«Figlio ingrato.»
«Sono per un amico, mamma.» spiegò brevemente Thomas, sorridendole: «Gli piacciono solo queste e ho pensato di comprargliele. Sai, ha preso l’influenza…» buttò lì, notando quando bene gli riuscisse mentire: beh, l’alternativa sarebbe stata spiegare che un signore anziano aveva messo in camera sua una spilla magica con uno spirito all’interno e…
No, meglio la bugia dell’amico malato.
La donna sorrise, avvicinandosi al figlio e sistemandogli la berretta: «Sei meraviglioso, tesoro.» dichiarò la donna, passandogli un braccio attorno alle spalle e iniziando a passeggiare: «Andiamo a comprare la maglia a tua sorella e poi a casa?»
«Ok.»


Alain osservò i tre ragazzi che, occupato un tavolino, erano immersi nello studio: «Ragazzi, vorrei ricordarvi che questo posto è un locale, non una biblioteca.» dichiarò, avvicinandosi e appoggiandosi alla sedia di Rafael: «Quante volte ve lo devo dire?»
«Abbi pietà di noi.» sentenziò Alex, alzando lo sguardo dal monitor e sistemandosi gli occhiali sul naso: «Abbiamo provato a studiare in biblioteca, ma questi due attirano ragazze come miele e il nostro tavolo è costantemente circondato da sospiri e da ‘Oh, Adrien! Oh, Rafael!’»
«La dura vita dei modelli.» dichiarò Adrien, sottolineando un passaggio e abbozzando un sorriso: «Di solito con noi ci sono Marinette e Sarah: sono un’ottima protezione contro le fans.»
«E dove sono oggi?» domandò Alain, incuriosito: «In verità è strano vedere questo qua, senza la sua ragazza.» aggiunse, dando una lieve manata sulla nuca di Rafael: «E pensare che ti vedevo ogni sera con una tipa diversa.»
«L’amore cambia…»
«Disse quello che, a tredici anni, dichiarò che l’amore non esisteva.»
«Ero piccolo.»
«No, avevi il cuore infranto è differente.»
«Oh. Sono curioso.»
«Lo sai che la curiosità uccise il gatto, Adrien?» borbottò Rafael, sospirando pesantemente: «Ad Alain piace parlare a sproposito, io non avevo il cuore infranto.» borbottò il moro, parafrasando la frase dell’amico.
«Si era innamorato di una più grande, parecchio più grande, e questa prima ci ha giocato un po’ e poi l’ha messo davanti alla verità, nella maniera più brutale possibile: si è fatta trovare con un altro.»
«Uao…»
«E, da allora, il signorino ha volato di fiore in fiore…»
«Come un’ape.» aggiunse Adrien, ridacchiando divertito, fermandosi poi quando qualcosa nel racconto non gli tornò: «Aspetta. Tu e questa tipa l’avete fatto?» domandò, appoggiandosi allo schienale quando il moro fece un cenno affermativo: «Uao. Precoce il ragazzo.»
«Forse sei tu che sei ritardato.»
«A tredici anni io ero rinchiuso in casa. Sequestrato, direi.» borbottò Adrien, assottigliando lo sguardo verde: «Alex?»
«Cosa? Che volete da me?»
«Tu a tredici anni…»
«A tredici anni…» l’americano alzò la testa verso l’alto, sistemandosi gli occhiali e sorridendo: «Penso che a tredici anni ho fatto il punteggio più alto a Ultimate Strike. Il punteggio più alto di tutti quelli della mia scuola.»
«Questi sono ragazzi normali.» sentenziò Alain, indicandoli: «Ok, non ho capito la cosa del sequestrato ma penso sia normale.»
«Sì, sì. Mio padre era un po’ apprensivo.» dichiarò Adrien, sorridendo allegro: «Mi teneva in casa perché aveva paura che mi succedesse qualcosa: che so, uno scienziato tedesco che mi rapisse, cose del genere.»


«Non dovresti venire qua.» sentenziò Fu, osservando l’uomo che aveva suonato alla sua porta: «E se qualcuno ti vedesse?»
«Fu…» Felix si sistemò la giacca, sorridendo divertito: «Sono in carica per diventare sindaco di Parigi, sono su tutti i giornali e telegiornali, ormai.»
«Mi meraviglio che non ti abbiano ancora scoperto…»
«Ti meravigli che lei non mi abbia ancora scoperto.» lo parafrasò il biondo, sorridendo: «Sicuramente non ci fa caso. Non è mai stata interessata a politica o altro.»
Fu sbuffò, sistemandosi al tavolino e osservando l’altro uomo: «Che cosa vuoi?» domandò spiccio, osservando Felix accomodarsi tranquillamente: «L’ultima volta che sei venuto mi hai riferito che Kang era morto e che Parigi era sotto una grave minaccia. Mi sembra che negli ultimi tempi sia tutto tranquillo, invece.»
«Ti ho parlato di Xiang?»
«Xiang?»
«E’ l’ultima superstite di Shangri-la, per dirla in maniera spiccia.» spiegò Felix, massaggiandosi il mento: «Ed era l’allieva di Kang: dopo che è stato ucciso, lei ha viaggiato per venire qua. Certo, avrebbe fatto prima se avesse preso un aereo ma…» il biondo si fermò, scuotendo il capo: «E’ di Shangri-la ed è stata un po’ lontana dalla civiltà, quindi ha pensato di farsi Shangri-la/Parigi a piedi.»
«Sai, preferivo il sergente Norton.» borbottò Fu, incrociando le braccia: «Arrivava subito al dunque.»
«Xiang è stata contattata dal nostro nemico, lei lo chiama dí rén…»
«Vuol dire nemico in cinese.»
«Non ha tanta fantasia la ragazza.»
Fu si massaggiò il viso, osservando stancamente l’altro: «Felix, per favore, puoi venire al dunque. Mi sembra di parlare con Adrien: tante battutine e poca sostanza.»
«Adrien è il nuovo Portatore del Gatto Nero?»
«Sì, credo che andrete d’accordo.»
«Non vedo l’ora di incontrarlo.»
«Vuoi dire che…»
«Se ci sarà bisogno di me, uscirò allo scoperto.» sentenziò il biondo, alzandosi e dirigendosi verso la porta del salotto: «Ma per ora rimarrò nell’ombra. Ora devo andare, Fu. Ci vediamo.» lo salutò, uscendo velocemente dalla stanza e dall’abitazione.
«Cosa era venuto a fare?» si domandò stancamente il cinese, scuotendo la testa e alzando gli occhi al cielo: Portatori del Gatto Nero, chi li capiva era bravo.


«Dovevi dircelo.» sentenziò Lila, battendo una mano sui libri di Sarah e facendo sobbalzare la bionda: l’americana alzò lo sguardo, osservando le sue due amiche in piedi accanto al suo tavolo.
«Cosa?» mormorò Sarah, togliendosi gli occhiali mentre Lila e Marinette si accomodavano: «Ma che…?»
«Rafael ha cantato.» dichiarò Marinette, tirando fuori il cellulare e mostrandole il messaggio che le era arrivato dal modello parigino: «Quindi oggi staremo tutto il tempo con te, dato che hai detto categoricamente a Rafael di fare come se nulla fosse e quindi si è preso Adrien e Alex ed è andato a studiare da qualche parte.»
«Potevi dirci che oggi era l’anniversario della morte di tuo padre, Sarah.» sbottò Lila, prendendo il menù del locale, dove Sarah si era rifugiata a studiare, sfogliandolo stizzita: «Siamo tue amiche.»
«Non volevo…»
«Al momento siamo tranquilli.» dichiarò Marinette, abbozzando un sorriso e allungando una mano sul tavolo, fino a stringere le dita della bionda: «Quindi puoi dirci senza problemi quello che ti affligge, Sarah. Siamo qui per te.»
«E a breve arriverà anche Wei.» aggiunse Lila, facendogli l’occhiolino: «Wei è un’ottima spalla su cui piangere, posso assicurartelo.»
«Beh, vista la grandezza…» aggiunse Marinette, ridacchiando e mimando nell’aria le dimensioni.
«Oh. Spero di non dover far a pugni per questo con Adrien.» s’intromise la voce tranquilla di Wei, facendo diventare rossa come un peperone, Marinette: «Ciao, ragazze.»
«We…Wei, coec…io…non…»
«Uh! Il marinettese! Da quanto tempo non lo sentivo!» dichiarò giuliva Lila, battendo le mani: «Ormai si è talmente abituata ad Adrien, che non parla più questa lingua.»
«Tranquilla, Marinette.» Wei si accomodò al tavolo, scompigliando affettuosamente i capelli della mora e sorridendo: «So che scherzavi.»
«Cusca…cioè, volevo dire scusa…»
«Tranquilla.»
«Oh, ti prego, Wei! Non tranquillizzarla subito! E’ bello sentirla parlare alieno!»
«Lila…»
Sarah sorrise, osservando i tre e scuotendo il capo biondo: «Io non....» mormorò, abbassando lo sguardo sulle sue mani: «Non volevo dirvi nulla, non volevo dire niente anche a Rafael ma…» si fermò, abbozzando un sorriso e alzando la testa: «Non sono triste. Davvero. Sono solo…»
«Sei triste, Sarah. E’ inutile negarlo.» commentò Wei, posandole una mano sul capo biondo: «Quando persi mio nonno mi sembrò di essere lacerato dentro, che qualcosa di me se n’era andato con lui. E’ normale essere triste nel giorno della loro perdita, non è una debolezza ma un semplice sinomino che i nostri sentimenti sono ancora vivi per loro.»
«Era tanto che non sentivo anche Wei sbagliare una parola.»
«Quale?» domandò il ragazzo, voltandosi verso la propria compagna e ripercorrendo ciò che aveva detto: «Non ho sbagliato…»
«Sinonimo, non sinomino.» lo corresse Lila dolcemente, spostando poi l’attenzione verso Sarah: «Comunque quello che ha detto Wei è tutto giusto: non trincerarti dietro quella facciata da dura. Sappiamo come sei, Sarah.»
«E siamo qui per stare con te.» concluse Marinette, sorridendo all’americana: «Non ti libererai facilmente di noi. E poi ho portato i macarons di mio padre.»
«Santa Marinette.»
«Grazie, ragazzi.» mormorò Sarah, sorridendo ai suoi amici: «Grazie, davvero.»


Il tassista osservò i tre che erano usciti dall’aeroporto: «Dove volete andare?» domandò, dando un’occhiata ai miseri bagagli che avevano, aprendo poi il bagagliaio dell’auto e sistemandoli lì: «Allora?»
«Parigi essere qui?» domandò il più altro dei tre, sorridendo affabile.
«Sì, è Parigi.» bofonchiò l’uomo, suscitando l’allegria del trio: ne aveva vista di gente strana da quelle parti, Parigi poi sembrava essere diventata negli ultimi anni il covo della stranezza, ma quei tre…
Uno era una montagna, poi c’era lo smilzo e infine il tappetto dall’aria ringhiosa.
Sembravano usciti da uno dei cartoni animati che sua figlia adorava tanto.
Lo smilzo tirò fuori un cellulare e dopo averci armeggiato un po’, iniziò a parlare in una lingua straniera: forse era cinese, constatò l’autista, poggiandosi alla macchina e attendendo che i suoi tre clienti decidessero in quale zona di Parigi doveva portarli.
«Portare noi a Hotel Ibis.» gli disse lo smilzo, mostrandogli il cellulare e la mappa: «Portare qua.»
L’autista annuì, facendogli cenno di salire sulla vettura: mah, ne arrivava di gente strana a Parigi.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.622 (Fidipù)
Note: E ci siamo! L'avete chiesto, l'avete domandato e finalmente avrete Thomas trasformato! Come si chiamerà? Beh, dato che il nome del personaggio è una citazione al padre di Miraculous Ladybug, ho pensato di usare un altro nome che il fandom conosce molto bene. E non vi dico altro.
Detto ciò...beh, direi di passare subito ai ringraziamenti, visto che non c'è molto da dire su questo capitolo: Le Malabar lo conoscete, dato che è stato già citato in Miraculous Heroes 1.
Perciò...
Grazie a tutti voi che leggete, commentate, inserite questa storia in una delle vostre liste, mi supportate e tutto quello che fate.
Grazie tantissimo!


Marinette si sistemò la sciarpa attorno al collo, prendendo poi il disegno che aveva ritirato dalla professoressa e guardando l’ennesima volta il voto che le aveva dato, sorridendo: aveva passato parecchio tempo su quel vestito ed era fiera del risultato ottenuto: «Una chiamata per te.» trillò allegra Tikki, alzando il cellulare e mostrando alla ragazza il chiamante.
La mora sorrise, sistemando il foglio all’interno della cartellina e recuperando poi il cellulare, accettando finalmente la chiamata: «Hai tempo per un povero gatto che è appena uscito dall’ennesimo esame?» domandò immediatamente Adrien, facendola sorridere: «Non ne posso più.»
«Com’è andata?»
«Direi abbastanza bene.» dichiarò il biondo, dall’altra parte del telefono: «Dove sei?»
«Sono andata a ritirare il mio progetto.» spiegò Marinette, dando un’occhiata veloce all’orologio: «Andiamo a mangiare da qualche parte?»
«Per me va bene.»
«Andiamo al locale dove lavora Ivan?» propose la ragazza, già pregustandosi i piatti del locale.
«Non è un po’ lontano, my lady?»
«Facciamo a chi arriva prima?»
«My lady…» sospirò il biondo al telefono e Marinette se lo immaginava mentre scuoteva il capo: «Vuoi darmi la vittoria così facilmente? Sono più vicino rispetto a te.»
«Come se tu potessi battermi.»
«Qual è il premio?»
«Chi perde paga?»
«Devi impegnarti, my lady.» dichiarò Adrien, divertito: «Se vuoi che partecipi a questa gara.»
«Decidiamo a gara conclusa?»
«E potrò chiedere qualunque cosa?»
«Qualunque cosa che io possa fare senza iniziare a balbettare o parlare lingue strane.»
«Sei noiosa.»
«Ci stai?»
«Preparati a perdere, coccinellina.»
Marinette sorrise, correndo velocemente nei parcheggi che erano sotto l’istituto e sorridendo alla kwami che, una volta al riparo da sguardo indiscreti, volò fuori: «Dobbiamo vincere.» dichiarò la ragazza, facendole l’occhio: «Tikki, transformami.» sentì la magia del Miraculous – l’energia del Quantum – avvolgerla e, una volta che tutto si fu concluso, sorrise: «Vediamo di vincere.»


Chat Noir balzò su un tetto, osservando il locale dove lavorare il suo ex-compagno di scuola: la vittoria era sua. Già poteva sentire il sapore dolce di questa: si issò in piedi e osservò la zona circostante, senza notare la coccinella nelle vicinanze. Sorrise, rimanendo ancora pochi secondi sul tetto, decidendosi poi a scendere e rendersi vincitore di quella piccola gara.
Balzò nel vuoto e, in quel momento, qualcosa lo afferrò per le gambe, scombussolandogli il mondo e facendolo ritrovare appeso a testa in giù, mentre Ladybug lo fissava sorridente da sopra il lampione, al quale lo aveva appeso: «My lady!» sentenziò l’eroe, sorridendo: «Questo non è leale.»
«Davvero?» domandò l’eroina, balzando a terra e avvicinandosi, dandogli un buffetto sul naso: «Quando lo avrei detto?»
«Tu…»
«Ho vinto io!» sentenziò allegra la ragazza, guardandosi attorno e, dopo aver appurato che non ci fosse nessuno, sciolse la trasformazione, osservando Chat Noir cadere a terra: «Scusa.» mormorò Marinette, mentre il felino le scoccava un’occhiataccia e, dopo averla imitata, tornò anche lui al suo aspetto ordinario.
«Non hai ancora vinto.» sentenziò Adrien, scattando e correndo in direzione del locale, immediatamente seguito dalla mora: attraversò velocemente la strada, raggiungendo i tavoli del Malabar e si voltò verso la ragazza che, a pochi passi di distanza lo raggiungeva; sorrise, avvicinandosi alla porta e aprendola: «Prima le signore.» dichiarò, facendo un lieve inchino e notando Marinette entrare con un sorriso fin troppo luminoso in volto: «No!» esclamò, accorgendosi di cosa aveva fatto.
«Vittoria!» esclamò allegra la ragazza, saltellando sul posto: «E hai fatto tutto da solo.»
«Ecco cosa succede a  fare i galanti.» bofonchiò Adrien, fissando male la fidanzata: «Avevo quasi vinto…»
«Povero il mio micetto.»
«A-ha! Infierisci, avanti.»
Ivan si avvicinò ai due, con uno sguardo curioso in volto: «Ciao.» li salutò, sorridendo a entrambi: «Vi accomodate oppure…»
«Ciao, Ivan!» Adrien salutò il ragazzo, sorridendo affabile: «Abbiamo fame. Tanta fame. Sono un povero studente appena uscito da un esame, mentre lei…» si fermò, assottigliando lo sguardo e voltandosi verso la ragazza: «…lei è una bara!»
«Hai fatto tutto da solo.» sentenziò Marinette, facendogli la linguaccia e armeggiando per togliersi la sciarpa, riuscendo a complicare di più il tutto; Ivan li osservò, scuotendo poi il capo e facendo cenno verso un tavolo vuoto, informandoli che avrebbe portato a breve i menù.
Marinette continuò a lavorare sulla sciarpa, avvicinandosi al tavolo e colpendo con il fianco una delle sedie: «Vieni.» sospirò Adrien, scacciandole le mani e iniziando a sciogliere la sciarpa: «Mi spieghi perché devi sempre portare questo affare così lungo? Fai troppi giri e guarda il risultato.»
«Perché è calda.» rispose immediatamente la ragazza, sorridendo allo sguardo verde concentrato: «E poi è anche morbida come lana.»
«Mh.»
«Chi capisce più di moda fra noi due?»
«Dovrei ricordarti che sono un modello.»
«Sì. Ed io vorrei ricordarti quello che vorresti comprare di solito, quando usciamo.»
«Quello è…» Adrien si fermò, alzando la testa: «Ribellione adolescenziale. Ecco.»
«Adrien, l’ultima volta volevi comprarti un maglione con due renne che bevevano assieme a Babbo Natale.»
«Ehi, Grinch. Quel maglione era perfetto per lo spirito natalizio.»
«E per far venire un infarto a tuo padre.»
Adrien borbottò qualcosa come risposta, riuscendo a sciogliere del tutto la sciarpa e mostrarla vittorioso alla ragazza: «Sei libera.» sentenziò, osservandola togliersi il cappotto e rivelare il vestito scuro che indossava.
«Che c’è?» gli domandò Marinette, inclinando la testa e osservarlo: «Sto male?»
«No, sei molto carina.» dichiarò prontamente il biondo, osservando il vestito scuro semplice che aveva come decorazione solo una linea grigia attorno allo scollo e al bordo della gonna: «Stai bene. Davvero. Stavo solo pensando a quando ci siamo conosciuti: eri sempre in pantaloni e maglia.»
«Guardavi come mi vestivo?»
«Fra le altre cose.» buttò lì Adrien, sedendosi e osservandola fare lo stesso: «Era divertente osservarti, quando andavamo alla Dupont: correvi sempre a destra e sinistra, poi…»
«Poi era divertente scommettere sui danni che avresti fatto.» concluse per lui Ivan, avvicinandosi al tavolo e grattandosi l’indice: «Max aveva messo su un vero e proprio giro di scommesse.»
«Max è morto.»
«Andiamo, principessa. Era il nostro divertimento.» dichiarò Adrien, facendole l’occhiolino: «Ti ricordi quando Max fece il sondaggio sulla ragazza più carina della classe?»
«Sì. Kim mi prese in giro perché io votai per Myléne.»
«Perché non ne sapevo niente?»
«Perché, principessa, eravamo bravissimi a nascondere il tutto a voi ragazze.» sentenziò Adrien, sorridendo: «Fra l’altro, io avevo votato per te e il mio voto ti ha fatto vincere, quindi merito un premio.»
«Vuoi un premio per avermi fatto vincere come più carina della classe? Davvero?»
«Sì.»
Ivan abbozzò un sorriso: «Volete assaggiare i nuovi hamburger? Oggi ha cambiato il formaggio, mettendo lo cheddar al posto della fontina italiana.»
«Per me va bene. Marinette?»
«Ok, anche per me.» assentì la ragazza: «E Ivan…»
«Succo di frutta per te, acqua per Adrien e il solito piattino di camembert.» sentenziò il ragazzo, annuendo: «Non venite da un po’, ma il vostro ordine lo so a memoria.»
«Grazie, amico.» sentenziò Adrien, sospirando: «Perché non puoi fare come Tikki, che non mangia mai?» borbottò, rivolto verso il suo giaccone, scuotendo poi il capo e togliendosi poi l’indumento: «Beh, non dici niente?» domandò, rivolto alla ragazza e allargando le braccia.
«Sei vestito esattamente come nell’ultimo numero di 93 style.» sentenziò Marinette, inclinando il capo: «Maglione a coste nero, camicia grigia, jeans e scarponi. Sì, esattamente uguale.»
«Ciao, Gabriel 2.0.» borbottò Adrien, imbronciandosi e osservandola male: «Stai diventando uguale a lui.»
«Sei splendor…cioè volevo dire, splendido. E lo sai.»
«Solo questo?»
«Sei a caccia di complimenti, Adrien?»
«Sì.» assentì deciso il ragazzo, poggiando le braccia sul tavolo e il viso contro di esse: «Voglio che tu mi faccia i complimenti.»
«La sfida l’avrei vinta io.»
«Solo perché hai barato.»
Marinette sospirò, sorridendo dolcemente: «Sei bello, gentile, educato, dolce…» si fermò, storcendo le labbra: «Divertente, forte, coraggioso…»
«Ti farei continuare all’infinito…» mormorò il ragazzo, tirandosi su e passandosi una mano sul volto: «Ma basta così.»
«Sei arrossito?»
«No.»
«Ti vedo, Adrien. Hai le guance rosse.» dichiarò Marinette, sorridendo: «E ti devo informare che sono una massima esperta di rossore al volto.»
«Sei diventata fin troppo sicura di te, sai?»
«E di chi è il merito?»
Adrien fece una smorfia, allungando una mano sul tavolo e giocherellando con le dita della ragazza: «Pensi che abbiamo fatto bene?» domandò di punto in bianco, tenendo lo sguardo fisso sulle loro mani: «A lasciare Nooroo con Thomas.»
«Come ti ho già detto, più e più volte, Thomas ha più o meno l’età che avevamo noi, quando Fu ci consegnò Tikki e Plagg.» mormorò Marinette, scuotendo la testa: «E sinceramente non voglio togliere questa possibilità a Thomas: se qualcuno lo avesse fatto a me, adesso non sarei qui.» si fermò, sorridendo: «Forse non ci sarei stata, se non avessi cambiato idea.»
«Sì, ci saresti stata.»
«Adrien…»
«Pensi davvero che non mi sarei mai innamorato di quella ragazzina che, la prima volta che mi vide, invece di strillare e chiedermi un autografo, mi sbraitò contro?»
«Non lo feci.»
«Oh sì! Ho avuto paura per la mia vita quel giorno.»
«Esagerato.»
Adrien sorrise, stringendo la mano della ragazza: «Allora è deciso? Sarà Thomas il nuovo Papillon o come si chiamerà?»
«Penso non ci sia più niente da decidere, Adrien.»
«Purrfetto!»


Felix osservò il proprio segretario, intrecciando le mani e accomodandosi meglio sulla poltrona: «Cosa ha chiesto Bourgeois?» domandò, sorridendo affabile: «Forse non ho capito bene le ultime parole.»
«Bourgeois ha chiesto un confronto. In televisione. Con lei.» spiegò il suo dipendente, portandosi una mano al collo e strattonando leggermente la cravatta: «Ho provato a spiegare che lei odia comparire davanti le telecamere…»
Felix lo zittì con un movimento della mano, sospirando e portandosi l’altra al setto nasale: «Parlerò con Bourgeois.» mormorò, scoccando un’occhiataccia alla terza occupante della stanza: «Puoi andare. Grazie mille. Ah, puoi rivedere gli ultimi conti? Penso che quelli che si occupano della campagna promozionale si siano fatti prendere la mano…» spiegò, osservando poi il suo segretario uscire e, solo allora, dedicò completamente tutta la sua attenzione alla giovane: «Posso sapere cosa ci trovi di divertente, Xiang?»
«La tua segretezza. E’ inutile.»
«Non è inutile.»
«Oh sì. Ti è stato facile passare inosservato da semplice politico ma come pensi di fare se vincerai le elezioni? Ho visto parecchie volte Bourgeois in televisione, sai?»
«Beh, per quando sarò sindaco mi sarò già rivelato a qualcuno.»
«E perché non farlo ora?»
«Perché non mi va?» domandò Felix, sorridendo: «E da quando in qua tu sei così esperta di pubbliche relazioni del sindaco di Parigi?»
«Da quando lo vedo molto spesso in televisione?»
«Ecco. Altra ragione per cui tu devi iniziare ad andare a scuola: questa e perché così la smetterai di pensare di prendere i Miraculous.»
«Io devo prendere i Miraculous e non andrò a scuola.»
«Ti ho già iscritto in un liceo.» sentenziò Felix, sorridendole: «Il Louis-le-Grand. Ti piacerà, ne sono certo.»
«Cosa hai fatto?»
«Tranquilla, non serve ringraziarmi. L’ho fatto per il tuo bene.»
«Tu…tu…»
«Occupato!»
«Cosa?»
«Seriamente, Xiang, tu uccidi la comicità di un uomo.»
«Io non andrò in quella scuola.»
«Io invece credo proprio che ci andrai, invece.»
Xiang lo fissò stizzita, raggiungendo velocemente la porta e aprendola: «Non pensare che te la lascerò vincere, Felix.» sbottò, uscendo dall’ufficio e chiudendo con un colpo secco l’uscio dietro di sé, lasciando l’uomo da solo.
Felix inspirò profondamente, scuotendo il capo e guardando con desiderio il carrello pieno d’alcool: «Dura la vita per un padre single con una figlia adolescente…» bofonchiò, alzandosi e avvicinandosi, recuperando la prima bottiglia a portata di mano: «Ha assolutamente bisogno di una figura femminile nella sua vita.»
«Piantala di parlare di me come se fossi tua figlia!» urlò Xiang, dall’altro lato della porta, facendo sorridere Felix mentre si portava il bicchiere alle labbra: «Sei inquietante.»



Thomas addentò il biscotto, facendo scorrere la pagina e osservando le varie foto di farfalle: «Che stai facendo?» domandò Nooroo, volando davanti lo schermo e studiando ciò che aveva davanti: «Bella quella!»
«Quella è una falena, Nooroo.» borbottò Thomas, poggiandosi contro lo schienale della sedia e sospirando, attirando così l’attenzione del kwami: «Stavo cercando ispirazione per il mio nome da supereroe: Papillon è già stato preso. Butterfly o Farfalla? No, grazie. Non voglio farmi ridere dietro.»
Nooroo sorrise, voltandosi verso lo schermo e indicando una parola: «Che ne dici di Hawkmoth?»
«Vuol dire falena.»
«Beh, le falene fanno parte dello stesso ordine delle farfalle.» spiegò Nooroo, volando poco più in alto e indicando una frase sullo schermo: «Guarda, è scritto qui.»
«Hawkmoth…» mormorò Thomas, soppesando la parola e sorridendo: «E’ figo come nome.»
«Vero?»
«Ehi tu.» Thomas balzò in piedi, indicando un punto nella camera con il braccio alzato: «Io sono Hawkmoth, il nuovo protettore di questa città!» abbassò l’arto, voltandosi verso il kwami: «Beh, suona bene.»
«Quindi sarai Hawkmoth?»
Thomas annuì convinto, abbassando lo sguardo e giocherellando con la spilla, che teneva alla cintura: «Proviamo?» domandò, fissando speranzoso il kwami.
«Ti ricordi tutto? Per trasformarti devi dire ‘Nooroo, trasformami’.» spiegò velocemente lo spirito, volando davanti a lui: «E per ritornare normale, devi semplicemente dire ‘Nooroo, trasformami’ oppure toglierti il Miraculous; e…»
«E non userò i poteri. Promesso.» sentenziò Thomas, sorridendo: «Voglio solo vedere come sono da supereroe.» Il kwami assentì e Thomas balzò al centro della stanza, prendendo la spilla e portando il braccio avanti, come aveva visto fare in un telefilm: «Nooroo, trasformami!» ordinò, venendo immediatamente avvolto dalla luce della trasformazione: chiuse gli occhi, sentendo il potere calare su di lui e, una volta che fu tutto finito aprì le palpebre, guardandosi attorno.
Il mondo era come sempre.
Sorrise, avvicinandosi all’armadio e aprendo l’anta ove era attaccato lo specchio, guardandosi: «Sono viola.» sbuffò, notando il costume di un pallido violetto: «Ho le mutande!» esclamò, abbassando lo sguardo e guardando la zona del bacino, di una tonalità più scura come i guanti e gli stivali.
Sospirò, voltandosi e notando solo in quel momento le farfalle candide, che volavano per la stanza: Nooroo l’aveva avvertito che, una volta trasformato, queste sarebbero apparse, spiegandogli anche come Papillon creava akuma, infondendo in esse l’energia negativa – o positiva, com’era successo nel caso dell’attacco contro Coeur Noir – e mandandole verso chi era stato designato suo campione.
I suoi poteri erano soggetti alle emozioni forti, aveva continuato a spiegargli il kwami ma Thomas non aveva capito benissimo quest’ultima parte: «E se provassi?» mormorò, allungando una mano e osservando una farfalla adagiarsi nel suo palmo, facendolo sorridere: «Chi mai lo scoprirà?»
Inspirò profondamente, socchiudendo gli occhi e infondendo la sua energia nella farfalla, osservando le ali candide diventare viola scuro: mh. Chissà, magari il viola era il colore predominante di chi indossava il Miraculous della Farfalla; aprì la mano, osservando l’insetto volare fuori dalla sua camera e, in quel momento, sentì la porta di casa sbattere con violenza.
La mamma?
No, lei aveva il turno in ospedale.
«Camille?» domandò titubante, guardandosi attorno e andando nel panico: ce l’avrebbe fatta a ritornare normale e far sparire tutto, prima che sua sorella irrompesse in camera sua?
«Non rompere, Thomas.» sbottò la ragazza, superando la sua porta e facendo sospirare di sollievo il ragazzino: perfetto, sua sorella era arrabbiata con qualcuno o qualcosa, quindi se ne sarebbe stata nella sua stanza a sbollire la rabbia; inspirò, lasciandosi cadere sul letto ma una fitta acuta di dolore lo fece gemere, mentre la sua vista si annebbiava e…
Perché stava vedendo camera di sua sorella?
«Io gliela farò pagare.» dichiarò la voce di Camille nella mente del ragazzino, senza fargli capire esattamente cosa stava succedendo: Thomas si alzò in piedi, facendo un passo in avanti e andando a sbattere contro la sedia della sua scrivania: «Grazie per il potere che mi hai dato, io sono…io sono…»
«Mia sorella?»
«La Sœur.»
«No, aspetta. Camille…»
Che cosa stava succedendo?
Perché sua sorella si comportava in quel modo?
Oh. Maledizione.
L’akuma o quel che era.
«Ho akumatizzato mia sorella.»

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.144 (Fidipù)
Note: Ultimo appuntamento della settimana! Bene, bene. Avrei un po' di cosette da dire, stavolta. Dai vostri commenti ho notato che Xiang, per il momento, non riscuote molto successo: e ci credo, mi ci sono impegnata per renderla così quindi direi che sia normale; vi dico solo di non giudicarla tanto frettolosamente e da quel poco che vi mostro di lei...
Passiamo ora ai poteri di Hawkmoth. Mentre mi trovavo a che fare con Thomas e la sua nascita come eroe, mi sono scontrata con un bel problemino: come caspio funziona il Miraculous della Farfalla? Rivedendo la serie e iniziando a teorizzare, ho dedotto che il potere speciale (pari al Cataclisma e al Lucky Charm) fosse proprio quello di infondere energia nelle farfalle. Però. C'è un però. E la regola dei 5 minuti? Papillon, in molte puntate, rimane nella sua forma trasformata molto più a lungo dei cinque minuti e non si preoccupa del tempo che scorre (ovviamente, io mi baso solo sulla prima stagione e non calcolo ciò che verrà in futuro e se verrà rivelato il vero potere speciale di Papillon.), al che ho iniziato a pensare e ricercare: la farfalla è un simbolo di trasformazione e cambiamento, due cose che non sono soggette al tempo e che possono durare oppure no. Quindi, con un'arrampicata sugli specchi degna da guinness dei primati, ho arginato il quesito: perché il Miraculous della Farfalla non ha un countdown?
Riguardo poi al come le persone vengono akumatizzate (premetto: continuerò a dire così, essendo più comodo e facile) e su quali emozioni si basa l'akumatizzazione...in questo caso viene in mio soccorso la psicologia,con le emozioni: ne ho scelte 5 (fra primarie e secondarie) che, secondo me, andavano bene per rendere qualcuno un Campione del Miraculous sia in senso negativo - come faceva Papillon ai tempi d'oro - sia in senso positivo.
E mi sembra di aver spiegato tutto. Vi salto le info riguardanti i due luoghi presenti nel capitolo o queste note saranno più lunghe del capitolo stesso!
Come sempre, ci tengo a ringraziarvi tutti quanti: grazie a tutti voi che leggete, commentate, inserite questa storia in una delle vostre liste e...
Beh, grazie grazie grazie grazie grazie grazie!


«Sì, lo so. Lo so.» Rafael sbuffò, ascoltando la voce acuta della sua agente sbraitare dall’altra parte del telefono, mentre si sedeva accanto a Sarah, che aveva sollevato lo sguardo curiosa dai libri: «Fifi…sì, ok. Scusa, non ti chiamerò più così. Josephine, davvero domani…» si zittì una seconda volta, catturando nel mentre la treccia della ragazza e giocherellando con i capelli: «Ok, ho capito. A che ora? Ma è l’alba! No, va bene. Va bene. Scordati l’aumento, Fifi» chiuse la chiamata, posando la fronte contro la spalla di Sarah e sentendo la testa di lei poggiarsi contro la sua: «Odio il mio lavoro. E odio la mia agente.»
«Che cosa è successo?»
«Hanno spostato un set» le rispose Rafael, scostando una ciocca di capelli e baciandola sotto l’orecchio, sorridendo al mugolio che ricevette in cambio: «Sai, stavo pensando…»
«Devo studiare.»
«Non ti ho ancora detto cosa stavo pensando» continuò il ragazzo, scivolando con le labbra lungo il collo, leccando e succhiando: «Studi dopo» mormorò contro la pelle, risalendo e sentendola sospirare: «Ti do una mano io…»
Sarah lasciò andare un sospiro, voltandosi verso il ragazzo e prendendogli il volto fra le mani: «L’ultima volta che hai detto così...»
«Ti ho aiutato, no?» domandò Rafael, fissandola con fare innocente: «Non è così?»
«Sapere tutto sugli usi delle case di piacere nel passato non mi è servito a niente» sentenziò Sarah, sorridendo al volto imbronciato: «Grazie del pensiero, ma preferis…» Rafael si avventò contro di lei, mettendo fine a ogni lamentela con la sua bocca e Sarah mugugnò qualcosa, allacciando le mani dietro al collo del ragazzo e lasciando che lui la stringesse contro di sé: «Rafael, ci sono…»
«Bambini!» tuonò il moro, tornando a dedicarsi al collo della bionda: «A letto!» ordinò, senza curarsi se i due kwami gli avessero dato udienza o meno.
«Ma è presto!»
«Flaffy, ti requisisco la cioccolata!»
«Stupido Nazgul!»
Sarah rise, passandogli le dita fra i capelli e spettinandolo mentre le labbra di lui scendevano verso la scollatura della maglietta, immobilizzandosi entrambi quando il suono congiunto dei loro cellulari irruppe nell’aria: «No» dichiarò Rafael, voltandosi verso il tavolo e osservando il nome di chi stava chiamando: «Fra tutti i momenti in cui uno poteva attaccare, proprio ora?»
Sarah tossì, facendosi aria al volto e afferrando il proprio telefono, rispondendo alla chiamata: «Alex?» domandò, osservando Rafael accanto a lei con le braccia incrociate e lo sguardo omicida: «Che cosa è successo?»
«Ohilà!» esclamò allegro il ragazzo dall’altra parte, accompagnato dal familiare rumore di tasti: «A breve sarete tutti in linea, nel mentre puoi accendere la tv? Perché questo è…» Alex fece un sospiro profondo: «Beh, davvero insolito.»
«Accendo subito» mormorò Sarah, alzandosi e recuperando il telecomando dal divano, mentre Mikko e Flaffy riapparvero nella stanza: «Ma cosa…?» bisbigliò la ragazza, osservando l’edizione straordinaria e le riprese di una tizia, molto somigliante a uno di loro, che si aggirava per il cielo di Parigi: «Alex, ma che…»
«Sto aspettando delucidazioni. Ah, dato che ci sei, sai mica dov’è Rafael? Non mi risponde.»
«Sono qui» bofonchiò il ragazzo, osservando lo schermo della tv: «Un’akumatizzata? Era da…beh, da quando Gabriel Agreste ha smesso di fare il supercattivo che non ne vedevo una.»
«Akumatizzata?» domandò Sarah, voltandosi verso il ragazzo e indicando lo schermo: «Puoi spiegare?»
«Sei lì?» chiese Alex, dall’altra parte del telefono: «Oh. Non mi dire che ho interrotto qualcosa…»
«Alex, vuoi ancora vivere?»
«Sì, mia dolce amica. Voglio vivere, voglio trovare la mia anima gemella e fare tanto di quello che stavi facendo fino a poco fa.»
«Alex, sei morto» sentenziò Sarah, voltandosi verso Rafael: «Puoi spiegare?»
«Hai visto come Gabriel trasforma gli altri, no? Willie, Sophie, il cadavere al telefono…» iniziò Rafael, indicando con un cenno del capo il televisore: «Beh, quando era cattivo quella era la prassi: di punto in bianco appariva un cattivo che Ladybug e Chat Noir sistemavano e facevano tornare alla normalità.»
«La gente che c’era all’ultimo combattimento con Coeur Noir.»
«Esatto. Quelli erano gli akumatizzati di Papillon, mentre questo…» Rafael osservò la televisione, sospirando pesantemente: «Il ragazzino è morto.» dichiarò lapidale con il sorriso sulle labbra.


«Io l’avevo detto» sentenziò Chat Noir, atterrando su una terrazza e osservando la ragazza al suo fianco: «L’avevo detto, no?»
«In verità tu hai solo detto no» precisò Ladybug, guardandosi attorno e cercando un appiglio per lanciare lo yo-yo: «Non hai parlato di akumatizzati…secondo te si possono chiamare ancora akumatizzati?»
«Pensi davvero che me ne importa?»
L’eroina sorrise, avvicinandosi al ragazzo e lasciando che lui le posasse le mani sui fianchi: «E’ qualcosa che abbiamo sempre fatto» mormorò, giocherellando con la campanella che il ragazzo aveva al collo: «Sappiamo cosa fare, no? E poi adesso abbiamo anche dei compagni in più.»
«Quindi cosa faremo d’ora in poi? Combatteremo gli akumatizzati che quel moccioso crea?»
«Gli insegneremo a usare i suoi poteri» dichiarò Ladybug, allungando una mano e carezzando il volto del ragazzo: «In fondo anche noi abbiamo fatto i nostri errori all’inizio, no?»
«Polverizzare una porta da calcio.»
«Cercare di mollare il Miraculous alla mia migliore amica.»
«Quello è stato un grave errore sì» dichiarò Chat, baciandole il naso e dando un’occhiata attorno a sé: «Sembra il tuo terrazzino» sentenziò, osservando il balcone immerso nel verde e avvicinandosi alle ampie vetrate dell’abitazione: «Ok, direi che non ci vive nessuno. E’ completamente vuota.»
«Stiamo cercando casa?»
«Beh, un giorno ci servirà, no?»
«Dubito che sarà libera fino a che noi due non…»
«Ma qualcosa del genere potrebbe andare?»
«Ti sembra il momento?»
«E’ sempre il momento per la mia signora» dichiarò Chat, facendole l’occhiolino e voltandosi poi verso la zona in cui l’akumatizzata era comparsa: «Ok, forse non è proprio il momento ideale.»
Ladybug assentì, osservando la terrazza e le piante che creavano un piccolo rifugio: «Comunque sì, mi piacerebbe: amo il mio terrazzino e sarà dura separarmene un giorno. Potrei anche tirarmi indietro pur di non lasciarlo.»
«E pensi che tua madre te lo lascerà fare?»
Ladybug sorrise, balzando sulla balaustra del terrazzo e osservando in lontananza: «Abbiamo del lavoro da fare» sentenziò, lanciando lo yo-yo e lanciandosi nel vuoto, sotto lo sguardo attento di Chat Noir.
«E non mi ha risposto» dichiarò il felino, poggiandosi con i gomiti alla ringhiera e guardando il terrazzo: era un bell’appartamento e si trovava anche in una buona zona di Parigi, sarebbe stata una casa perfetta anche se non aveva la minima idea di quanto grande fosse all’interno.
Sospirò, tamburellando le dita e gettando la testa all’indietro: c’era una akumatizzata da salvare, un novello Papillon da mettere al suo posto, non aveva proprio tempo di stare a pensare a una casa in quel momento.
Senza contare che loro due non si sarebbero sposati di lì a breve, quindi perché fissarsi?
Sorrise, saltando sulla ringhiera e scivolando nel vuoto, atterrando sul terrazzo di un palazzo vicino e riprendendo la corsa, al fianco di Ladybug, arrivando velocemente al luogo dell’incontro e vedendo che il resto del gruppo era già lì: «Siamo tutti?» domandò la coccinella, atterrando sul tetto e osservando il resto del gruppo: «Dove…» mormorò, guardandosi attorno e non notando il nuovo acquisto.
«Se stai cercando il nuovo Papillon…» dichiarò Volpina, scuotendo il capo: «E’ nascosto dietro Tortoise.»
«Mi chiamo Hawkmoth»
«Sì. Lui si chiama Hawkmoth e l’akumatizzata è sua sorella» sentenziò la castana, osservando il proprio compagno, come se potesse vedere la persona dietro di lui: «Vuoi venire fuori?»
«Chat, Ladybug. Andateci piano» dichiarò Tortoise, facendosi da parte e mettendosi dietro a Hawkmoth, le mani ben salde sulle piccole spalle: «Ha sbagliato e lo sa, voleva testare i suoi poteri e non pensava di far così tanti danni.»
Chat Noir fissò il nuovo compagno, notando lo sguardo mortificato contornato dalla maschera viola e sospirò, passandosi una mano fra i capelli: «Beh, la prima volta che ho usato il mio potere speciale ho distrutto una porta di calcio e poi sono stato catturato da Coeur de pierre» sentenziò, abbozzando un sorriso: «Non ti dirò niente, Hawkmoth. Ma devo chiederti una cosa.»
«Cosa?»
«Sono delle mutande quelle?»
«Chat!»
Hawkmoth aprì la bocca, richiudendola e scuotendo poi il capo: «Il mio costume è come quello di Superman» sentenziò, incrociando le braccia e alzando il mento orgoglioso: «Mi manca solo il mantello…»
«Sei viola» sentenziò Peacock, ridacchiando e massaggiandosi il mento: «Hawkmoth, seriamente…»
«Tu hai davvero il coraggio di dirmi qualcosa?» domandò il ragazzino, fissando l’altro da capo a piedi: «Hai una tutina di lattice completamente blu! Cosa sei? Un Puffo troppo cresciuto? Tortoise è figo, perché ha il cappuccio mentre Chat…» Hawkmoth si  voltò, fissando il felino: «Tu sembri uscito da quel film che mia madre adora tanto.»
«Ok, farfallino. Non ti dirò niente, ma ti uccido. Deciso.»
«Ti do una mano, gattaccio.»
«Peacock.»
«Niente Peacock, Bee.»
«Nessuno fa nulla» sentenziò Ladybug, fissando male i due ragazzi: «Accettate i vostri costumi per quello che sono: Hawkmoth, hai le mutande; Peacock, sappiamo benissimo che la tua tuta è blu pavone e Chat, tu sei…»
«Meaowvigliosamente bello, tanto che non puoi resistermi, my lady?»
«Tu…» Ladybug sorrise, scuotendo il capo: «combatti bene.»
«Sei seria?»
«Sì, serissima» sentenziò la coccinella, spostando la sua attenzione sul palazzo davanti a lei: «Come mai tua sorella è venuta qui a Radio France?» domandò, indicando l’enorme complesso grigio e circolare, che ospitava l’emittente: «E come si chiama?»
«La Sœur» rispose immediatamente Hawkmoth, affiancandola e guardando anche lui la sorella che, inguaiata in una tuta rosa pastello avanzava minacciosa verso il palazzo, con un paio di cuffie in testa e in mano un microfono: «Ha dei poteri legati ai suoni, se ho capito bene: ha messo ko i poliziotti, urlando qualcosa in quel microfono che tiene in mano e…»
«Perché si chiama la Sœur se ha dei poteri legati ai suoni?» s’intromise Chat, osservando anche lui la ragazza akumatizzata e voltandosi poi verso Hawkmoth, in attesa di una risposta
«Perché quando mi stava dicendo chi era, io l’ho interrotta dicendo ‘mia sorella’?» domandò di rimando il ragazzino: «Non doveva essere in casa, davvero. Volevo vedere come ero in versione supereroe, mi sono trasformato e sono apparse tutte quelle farfalle bianche e ho voluto provare il mio potere, solo…solo…»
«Tranquillo, Hawk» Chat gli posò una mano sulla testa, sorridendo: «Non siamo perfetti. Volpina era un’akumatizzata, sai?»
«Grazie per ricordarmelo, Chat» sbuffò la ragazza, alzando gli occhi al cielo: «Come se lui non avesse fatto le sue cavolate: vuoi che Ladybug ti ricordi di quante volte sei andato a testa bassa contro il nemico e questo ti ha controllato?»
«No, grazie.»
«Perfetto.»
«E come al solito, si mettono a litigare» dichiarò divertita Bee, scuotendo la testa e voltandosi verso l’eroe blu al suo fianco: «Tu non ti butti nella mischia?»
«Cosa?»
«Di solito siete in tre a beccarvi a vicenda.»
«Volpina…» mormorò Tortoise, ridacchiando e voltandosi poi verso Ladybug: «Il piano?»
«Dobbiamo trovare l’akuma» sentenziò la ragazza, osservando attentamente Sœur e sperando di scorgere un qualcosa che potesse contenere la farfalla: «Di solito è un oggetto che portava già prima…» si fermò, voltandosi verso Hawkmoth: «Era arrabbiata, per caso? Papillon sceglieva sempre persone arrabbiate, infondeva poi l’energia maligna nell’akuma e…»
«Boh, quando l’ho trasformata ha detto solo ‘Gliela farò pagare’» mormorò Hawkmoth, alzando le spalle: «Ed io ho solo preso una farfalla bianca, le ho infuso la mia energia e quella è diventata viola scuro.»
«Non abbiamo mai indagato tanto sui poteri di mio padre» mormorò Chat, giocherellando con la lunga coda nera: «Abbiamo sbagliato. Certo, chi pensava che avremmo avuto un nuovo Portatore così presto?»
«Facciamo tornare normale sua sorella e poi chiediamo a tuo padre e a Nooroo un po’ di informazioni?» sentenziò Ladybug, sorridendo al gruppo: «Se sappiamo come funzionano, possiamo aiutare Hawkmoth a usare i suoi poteri e a combattere.»
«Allora, boss. Questo piano?»
«Peacock, Volpina, Bee e Chat. Non fatela arrivare a Radio France» sentenziò Ladybug, osservando Sœur e notando solo in quel momento le cuffie della ragazza: «Ma certo! Le cuffie! Si trova lì l’akuma.»
«Ne sei certa, my lady?»
«E’ l’unica cosa che una ragazza normale, con una vita normale, potrebbe avere. No?» la ragazza annuì decisa, sorridendo: «Bene, come non detto: attacchiamola tutti assieme, il primo che prende le cuffie deve distruggerle e così potrò purificare l’akuma.»
«Che noia così: niente Cataclisma, niente Lucky Charm…» sbuffò Chat Noir, mettendo mano al bastone e allungandolo: «E’ stata una fortuna che contro Papillon eravamo solo noi due.»
«Se vuoi vi lasciamo soli, gattaccio.»
«Scordatelo! E’ la mia prima volta contro un akumatizzato» sentenziò Bee, sorridendo: «Quindi voi facevate questo, prima che arrivasse Coeur Noir? Quando non sapevate chi era chi e…»
«Sì, Bee.» sentenziò Ladybug, prendendo lo yo-yo e roteandolo, facendo un cenno verso la sorella di Hawkmoth: «Andiamo?»


Xiang osservò i sette Portatori sconfiggere facilmente la ragazza posseduta: non era stato complicato, poiché la nemica non aveva nessuna preparazione e la forza numerica era dalla parte loro; era stato un combattimento facile, che chiunque avrebbe vinto a occhi chiusi.
Erano deboli.
Lo capiva sempre di più.
Ma doveva ammettere che avevano coraggio e inventiva sul campo di battaglia, ma ciò non bastava a vincere le battaglie che sarebbero giunte: sapeva che il dí rén si stava organizzando e quella calma era solo il sinonimo che stava posizionando le sue pedine sulla scacchiera.
Cosa sarebbe successo, quando tutto fosse stato predisposto?
Era possibile che avrebbe vinto la partita facendo un’unica mossa?
No, quello no.
Al dí rén piaceva giocare e lei lo sapeva benissimo: l’aveva fatto con Kang a Shangri-la e con lei, pochi giorni prima: si sarebbe divertito, si sarebbe vantato dei suoi poteri che lei aveva sbeffeggiato; forse proprio per questo, proprio perché lei lo aveva deriso, avrebbe dimostrato la sua forza.
«Devo prendere i Miraculous» mormorò, osservando il gruppetto riunirsi nello spiazzo davanti il mostro di cemento e vetro: «Li devo prendere e portare al sicuro. E’ questa la missione che mi hai dato, vero Kang?»


«Ti avevo vietato di usare i tuoi poteri!» sbraitò Nooroo, fluttuando davanti il volto di Thomas e fissandolo serio: «Non ti ho ancora spiegato come funzionano, perché hai voluto fare di testa tua?»
«Segniamo questa data sul calendario, moccioso» sentenziò Plagg, girando il triangolo di camambert fra le zampe: «Nooroo ha tirato fuori gli attributi. Per quanto un kwami non abbia…beh, insomma…ci siamo capiti…»
«Scusa, Nooroo» mormorò Thomas, chinando la testa con fare colpevole: «E’ solo che…»
Nooroo sospirò, osservando il gruppo di Portatori e gli altri kwami: «So cosa volevi fare, Thomas. E ti comprendo, ma devi capire che prima di poter usare i poteri del mio Miraculous, devi essere a conoscenza di ciò che puoi o non puoi fare.»
«Tipo creare cattivi» dichiarò Adrien, sorridendo: «Quello fa male. E intendo, letteralmente. Mio padre è stato male fisicamente perché aveva creato dei supercattivi.»
«Nooroo, sbaglio o il tuo Miraculous non è legato al tempo come i nostri?» domandò Sarah, abbozzando un sorriso: «Mi spiego: Thomas ha usato il potere speciale, quello di creare dei campioni, però non aveva nessun countdown. Anche il signor Gabriel, ora che ci penso.»
«Perché il cambiamento supera il tempo, Sarah» spiegò il kwami viola: «Il potere del mio Miraculous è quello del cambiamento, possiamo dire. E ciò che cambia…»
«Può cambiare per tutto il tempo che vuole, anche all’infinito» Sarah assentì con la testa, sorridendo: «Grazie, Nooroo.»
«Quindi se io non purificavo gli akuma…»
«I supercattivi di Papillon sarebbero rimasti supercattivi finché non avesse deciso lui, il contrario. O Thomas, adesso.»
«Ho una domanda, Nooroo» dichiarò Lila, attirando l’attenzione del kwami su di lei: «Gabriel akumatizzava gli altri basandosi sulla rabbia, Thomas…»
«In verità il mio Portatore può akumatizzare basandosi su cinque emozioni» dichiarò Nooroo, posandosi sulla spalla di Thomas: «Rabbia, felicità, tristezza, paura e speranza. Ecco, queste sono le emozioni che possono portare una persona a diventare un campione del Portatore della Farfalla: Gabriel usava la rabbia perché era l’emozione più forte e più adatta per creare dei supercattivi, ma già quando ha akumatizzato tutti contro Coeur Noir e poi Willhelmina, Alex e Sophie…» il kwami si  fermò, abbozzando un sorriso: «In questi casi aveva fatto leva sulle altre emozioni.»
«Sarà corretto continuare a chiamare ancora akumatizzati?» domandò Rafael, prendendo il cellulare dalla tasca: «Insomma, quelli erano…»
«Gente posseduta da Hawkmoth suona male, pennuto.»
«Il gattaccio ha parlato: continueremo a chiamarli akumatizzati.»
Lila scosse il capo, portando poi l’attenzione su ciò che la circondava e osservandosi attorno: dopo il breve combattimento contro la sorella di Thomas avevano trovato rifugio su L'île aux Cygnes, certi che nessuno con quel freddo andasse sulla piccola isola artificiale in mezzo alla Senna, così da rifocillare i loro kwami – perché poi, non era dato sapere, dato che nessuno di loro aveva usato il proprio potere speciale – e cercare di fare un po’ di chiarezza sul Miraculous della Farfalla.
Erano soli, eppure era come se qualcosa li stesse osservando.
«Va tutto bene?» la voce di Wei la fece nuovamente concentrare sugli altri: «Lila?»
«Sì, sto bene.»
«In astinenza da caffeina, volpe?» le domandò Rafael, alzando lo sguardo dal cellulare con un’espressione sorridente: «Sapevo che era qui!»
«Cosa, piumino?»
Il moro voltò verso di loro lo schermo dell’apparecchio, mostrando una Statua della libertà che aveva, sullo sfondo, la Tour Eiffel: «E’ una delle repliche che ci sono qui a Parigi e questa è proprio su questo isolotto.»
«Davvero?» domandò Sarah, avventandosi sul cellulare e sorridendo alla vista del monumento: «Andiamo a vederla?»
«Per me va bene» sentenziò Rafael, guardandosi a destra e a sinistra: «Si vede la Tour Eiffel, quindi è da quella parte.» dichiarò, indicando la direzione opposta a quella del simbolo parigino: «Voi venite?»
«Perché no?» assentì Lila, guardando gli altri: «Chi si unisce alla gita?»
«Vengo io!» dichiarò Marinette, con un sorriso e voltandosi poi verso il biondo: «Vieni anche tu?»
«Spiacente, principessa. Ma passo» dichiarò Adrien, chinandosi verso di lei e baciandole la guancia: «Mi sono ricordato di una cosa da fare.»
«Ah. Ok.»
«Ti chiamo stasera, va bene?»
«Non vieni da me?»
«Devo parlare con mio padre di una cosa. Se non faccio tardi, sarò tutto tuo, my lady.»
Marinette assentì, osservando il fidanzato salutare il resto del gruppo e stringendo la cinghia della borsa con forza: un atteggiamento che, sicuramente, non era passato inosservato a Lila, che le posò una mano sulla spalla, facendo voltare la mora nella sua direzione. Non preoccuparti, le mimò l’italiana con la bocca e Marinette annuì con la testa; sentendosi stupida per i pensieri in cui si era immersa: Adrien le avrebbe spiegato tutto. Come sempre.
«Anche io passo» dichiarò Wei, affiancando Adrien: «Devo tornare al lavoro.»
«Thomas?» domandò Sarah, voltandosi verso il ragazzino: «Vieni con noi?»
«Io tornerei a casa: vorrei vedere come sta mia sorella e mia madre sarà certamente preoccupata…»
«Allora sarò il solo a difendere le signore. Anche se Lila non ha bisogno di essere difesa, farebbe scappare chiunque.»
«Piumino, sei condannato a morte.»

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.631 (Fidipù)
Note: Ed eccoci qua con una nuova settimana appena iniziata e, come sempre, si comincia con Miraculous Heroes 3. Or dunque, questo capitolo è totalmente incentrato su una cosetta o meglio su ciò che darà il via per arrivare a questa cosetta (e non vi dico cosa è, per non togliervi il piacere della lettura). Fortunamente - per voi! - non c'è nulla da dire su location varie o altro, quindi passo subito ai ringraziamenti: grazie a tutti voi che leggete, commentate, inserite le mie storie in una delle vostre liste, mi supportate e sopportate.
Semplicemente grazie a tutti voi!



«Come stai?» Thomas osservò la sorella, mentre beveva il latte caldo che la madre aveva preparato per lei: «Vuoi…»
«Sto bene, Thomas.»
«Io proprio non capisco…» mormorò la loro madre, poggiata contro il lavello della cucina con le spalle rivolte verso i due figli: «Papillon era sparito o comunque aveva smesso di fare questo. Perché? Perché proprio a mia figlia?»
«Mamma, io…»
«Non è colpa tua, Camille» mormorò Thomas, stringendo le mani a pugno e abbassando lo sguardo: la colpa era totalmente sua, che non aveva dato retta a Nooroo e aveva agito d’impulso.
Era tutta colpa sua se sua sorella…
«Tuo fratello ha ragione: non è colpa tua. E’ colpa di Papillon!» sbottò la madre, voltandosi verso di loro: «E spero che gli eroi di Parigi lo prendano e lo sbattano in prigione e gettino la chiave da qualche parte. Quel…quel…quell’essere deve marcire!»
Thomas alzò lo sguardo, fissando la madre e annotandosi mentalmente che, se mai la donna fosse venuta a conoscenza del fatto che il figlio adesso era un supereroe, non doveva fare assolutamente menzione del fatto che aveva accidentalmente akumatizzato la sorella.
«Mamma, esageri» sbuffò Camille, bevendo un sorso di latte e posando lo sguardo sull’orologio: «Thomas. Ma non avevi gli allenamenti oggi?»
«Gli allenamenti! Cavolo!»
«Thomas Lapierre, il linguaggio!»
«Ma mamma, ho solo detto ‘cavolo’.»
«Vuoi sfidare tua madre?»
«Ci conviene non farla arrabbiare, Thomas. Soprattutto ora che Papillon akumatizza di nuovo.»
«Come se io fossi tanto scemo da akumatizzare mia madre quando è arrabbiata con me…» bofonchiò Thomas, uscendo velocemente dalla cucina e andando a recuperare il borsone del calcio.
«Hai detto qualcosa?»
«No, niente. Io vado agli allenamenti!»


Lo sguardo verde era rivolto al palazzo, le mani infilate nelle tasche del giaccone e poteva avvertire su di sé lo sguardo fisso di Plagg: «Cosa c’è?» domandò dopo un po’, stanco del kwami che lo guardava: «Vuoi altro camambert?»
«No, in verità mi chiedo perché siamo qui, come due dementi a fissare un palazzo» sentenziò Plagg, facendo capolino dalla tasca e indicando con una zampetta il palazzo di fronte: «Vivo con te ventiquattr’ore su ventiquattro quindi posso escludere tranquillamente il fatto che tu abbia un’amante. Perché siamo qui?»
«Perché non ti fai gli affari tuoi?»
Plagg lo fissò, inclinando il capo e piegando la bocca in un sorriso diabolico: «Perché siamo qui?» domandò nuovamente, sapendo benissimo quanto lo avrebbe infastidito.
Il parigino sospirò, tenendo lo sguardo fisso in quello del kwami, portandosi poi una mano alla nuca: «Mentre correvamo per andare a salvare la sorella di Thomas…» iniziò, alzando la testa e osservando il balcone dell’ultimo piano: «Ecco, con Ladybug mi sono fermato qua e…»
«E…» lo incitò il kwami, quasi come se stesse pendendo dalle sue labbra: «Cosa hai visto?»
«Una casa.»
«Una casa?»
Adrien sorrise, inspirando profondamente e sentendo l’aria fredda entrare nelle narici, poi rilasciò andare tutto: «Sì. Ed è…» si fermò, scuotendo il capo: «Perfetta. Perfetta per Marinette e me.»
Plagg sbatté le palpebre, inclinando la testa: «Non è un po’ presto?» domandò, massaggiandosi il mento con la zampina: «Insomma, nel tuo grande piano, il matrimonio ci sarà quando tutti e due lavorerete e…»
«Stavo pensando…»
«Ah. Sei capace di farlo?»
«Plagg…»
«Ok, stavi pensando a cosa?»
«Io sono un modello, no?»
«Purtroppo ribadisci questa cosa ogni volta che giri per la stanza nudo.»
«Ti ripeto che quella è camera mia e sono libero di fare come voglio.»
«Ok, sentiamo il grande piano, parte seconda. Sei un modello…»
«Rafael si mantiene da solo e ha pure molti soldi da parte» spiegò Adrien, poggiandosi contro il muro e osservando il palazzo dalla parte opposta della strada: «Perché non potrei fare lo stesso? Io e Marinette potremmo…»
«Pensi davvero che quella ragazza si lascerà mantenere? Andiamo, ho imparato a conoscere un po’ Marinette e devo dire che quella ragazza ha preso da Tikki quella stramaledetta indipendenza. Tikki era uguale da umana: mai una volta che si facesse aiutare o che si lasciasse consigliare.»
«Ma non sarebbe per sempre» mormorò Adrien, inspirando profondamente: «Forse sto facendo una cavolata.»
Plagg lo fissò in silenzio, voltandosi poi verso il palazzo e sorridendo quando vide un uomo uscire dal portone di ingresso con una coppia: «Ehi, quello ha tutto l’aspetto di un agente immobiliare» dichiarò, indicando il tipo che stava stringendo la mano all’altro uomo: «Ce lo facciamo un giretto in quella casa?»
«Ma…»
«Andiamo, dai!»


Felix alzò gli occhi dal fascicolo che stava studiando, togliendosi gli occhiali e sorridendo alla ragazza che, rannicchiata sul divano, lo stava fissando da un po’: «Sì, Xi-xi?»
«Xi-xi?»
«E’ un soprannome» le spiegò l’uomo, sorridendole: «Tu potresti chiamarmi papà, che ne dici?»
«Che problema hai con la paternità?»
«Che problema hai con l’umanità?»
Xiang sospirò, scuotendo il capo e facendo così ondeggiare i lunghi capelli scuri: «Oggi sono andata a vedere gli eroi di Parigi» dichiarò, enfatizzando le ultime parole: «Il nuovo Portatore della Farfalla ha creato un campione per sbaglio.»
«Prima volta che usava i poteri» borbottò Felix, tornando al suo lavoro: «Capita a tutti. La prima volta che ho usato il potere del Miraculous ho distrutto – per sbaglio – un intero edificio.»
«E perché?»
«Beh, Plagg mi aveva spiegato come funzionava il tutto ed io volevo provare questo fenomenale potere» spiegò Felix, sorridendo al ricordo: «Il problema è che mi aveva anche detto che poi sarebbe tutto ritornato a posto, dimenticando il fatto di precisare che era il potere di Ladybug a far tornare tutto come prima.»
Xiang lo fissò in silenzio, tirando su le gambe e poggiando il mento contro le ginocchia: «Ho deciso cosa fare» sentenziò, dopo un momento di silenzio: «Penso che Kang mi abbia detto di venire qua per fare una cosa.»
«Allearti con quei ragazzi e sconfiggere il nemico?»
«No, la mia missione è recuperare i Miraculous e portarli al sicuro, dove il dì rén non possa prenderli.»
Felix annuì con la testa, sfogliando la pagina e fermandosi, quando le parole della ragazza arrivarono a destinazione: «Scusa, puoi ripetere?» domandò, sorridendo e fissando Xiang: «Vuoi prendere i Miraculous?»
«Sì.» assentì Xiang, alzandosi in piedi e fissandolo dall’alto: «Io recupererò i gioielli di Nêdong e li porterò al sicuro.» dichiarò, raggiungendo la porta della stanza e uscendo, sotto lo sguardo attonito di Felix.
L’uomo rimase immobile, poggiando poi i palmi sul tavolo e scuotendo il capo biondo: «Mi serve un bicchiere di qualcosa di forte» bofonchiò da solo, alzandosi e andando al carrello dove teneva i liquori, prendendo una bottiglia di liquido ambrato e osservandola, decidendo che, dopo quello che gli aveva rivelato Xiang, un bicchiere non sarebbe bastato. Svitò il tappo e si portò la bottiglia alle labbra, bevendo una generosa dose: «Devo avvertire Fu. Devo assolutamente avvertirlo prima che Miss Cina faccia qualche cavolata» si fermò, sbuffando e alzando gli occhi al cielo: «E sto di nuovo parlando da  solo!»



Sophie sorrise, osservando il figlio rientrare: «Ho saputo che il piccolo Thomas ha fatto qualche guaio» esordì, andando incontro ad Adrien e abbracciandolo, posandogli poi le labbra sulla guancia: «Risolto tutto?»
«Se per guaio intendi aver akumatizzato la sorella per sbaglio…» Adrien sorrise, togliendosi il giaccone e sorridendo alla donna: «Sì, ha fatto un piccolo guaio. Risolto, fra l’altro.»
«Ottimo» dichiarò la madre, prendendo il cappotto e sorridendo: «Sei stato con Marinette?»
«Ah no. Ho fatto una cosetta.»
«E cosa?»
«Papà dov’è?»
«Nel suo studio, come al solito» gli rispose Sophie, aggrottando lo sguardo: «Hai combinato qualcosa?»
«Assolutamente niente.»
«E allora perché non mi hai risposto?»
«Perché, se ti rispondessi, poi tu daresti di matto» spiegò Adrien, posando le mani sulle spalle della madre e chinandosi per baciarle la guancia: «Mentre preferisco essere prima sicuro di quello che sto per fare» le bisbigliò all’orecchio, tirandosi poi su e facendole l’occhiolino: «Nello studio, giusto?» domandò, indicando la porta della stanza del padre e raggiungendola velocemente, lasciando Sophie al centro dell’androne della villa.
Scivolò all’interno della stanza, sorridendo al padre che, accortosi della sua presenza, aveva alzato la testa e lo guardava con fare curioso: «Com’è andata con il piccolo Papillon?» domandò Gabriel, posando la penna e dedicando la sua completa attenzione al figlio.
«Si fa chiamare Hawkmoth.»
«Nome interessante» dichiarò l’uomo, annuendo con la  testa: «Immagino che sei qua per chiedermi di spiegargli come fare per creare supercattivi perfetti.»
«Papà, ti prego, pensavo avessimo superato questa fissa dei cattivi.»
Gabriel sorrise, aprendo le mani: «Vuoi fare una chiacchierata con il tuo vecchio, allora?» gli domandò, togliendosi gli occhiali e massaggiandosi il setto nasale: «Di cosa potremmo parlare? Pensiamo.»
«Stai bene?»
«Sì. Sto bene. Sono solo stanco. A breve ci sarà il rilascio della nuova collezione e sono pieno di lavoro, inoltre ci sono quei due o tre incompetenti che rallentano il tutto» l’uomo sospirò, scuotendo la testa: «Mi chiedo ancora perché non li ho licenziati.»
«Nuovi servizi fotografici» dichiarò Adrien, scuotendo il capo: «Ci sarà da divertirsi con Mister Spaghetti.»
«Mi stavo domandando se i tuoi amici avrebbero voglia di fare qualche scatto» mormorò Gabriel, poggiandosi contro lo schienale della poltrona e sorridendo al figlio: «Nathalie mi ha detto che serve un po’ di freschezza nella nuova collezione e cosa c’è di meglio di nuovi volti? Magari quelli che puoi incontrare quando esci di casa.»
«Posso sentire» Adrien annuì, fissando il padre: «Avevi qualcuno in mente?»
«Oh. I soliti: Marinette, Lila, Sarah, Alex e Wei.»
«Li sentirò.»
«Anche Willhelmina aveva in mente di contattarli.»
«Diventeranno famosi, allora, se saranno i volti sia del marchio Agreste che di quello Hart.»
«Potrei anche sentire per Thomas, ma servirebbe il consenso dei suoi genitori.»
«Tentar non nuoce, no?»
Gabriel annuì, sorridendo: «Ma non sei entrato qua per parlare di questo, vero? Su, dì tutto al tuo vecchio.»
«Sembri Plagg»
«Plagg, esci fuori così il nostro moccioso ci dirà tutto» dichiarò Gabriel, sistemandosi meglio sulla poltrona e osservando il kwami nero uscire dal suo nascondiglio e  sistemarsi davanti a lui, lo sguardo rivolto verso Adrien: «I tuoi vecchi ti ascoltano, figliolo.»
«Voi due siete inquietanti assieme. Da quando andate così d’accordo?»
«Da quando ho iniziato a vedere le repliche di Masterchef con tuo padre» sentenziò Plagg, ridacchiando: «Anche se non ha ancora apprezzato la bellezza soave del camambert.»
«Voi due mi state facendo veramente paura…»
«Che cosa volevi chiedermi, Adrien?» domandò suo padre, riportando la conversazione sui binari di partenza: «Dubito che riguardi la mia amicizia con Plagg.»
«Quanti anni avevi quando ti sei sposato con mamma?»
«Diciannove. Dovresti saperlo» rispose immediatamente Gabriel, piegando le labbra in un sorriso: «E tu sei nato parecchi anni dopo, perché…beh, come dire…volevamo goderci appieno l’intimità.»
«Questo era un dato non richiesto.»
Gabriel intrecciò le dita, guardando il figlio e socchiudendo gli occhi: «Avevo la tua età, Adrien, quando Sophie è diventata mia moglie. E immagino che questo discorso riguardi in qualche modo Marinette: se volete sposarvi adesso, per me va bene. E posso parlare tranquillamente a nome di tua madre, anche. Riguardo a Tom e Sabine…» Gabriel si fermò, sospirando: «Non posso dire nulla riguardo ai Dupain-Cheng, ma sono certo che acconsentiranno anche loro; per quanto riguarda dove potete vivere, la tua camera è…»
«Oggi ho visto un appartamento» lo interruppe Adrien, tenendo lo sguardo sulla scrivania e sorridendo: «E’ perfetto per Marinette e me: è piccolo, però c’è una stanza che lei può trasformare in laboratorio e una camera in più; poi c’è un grande terrazzo immerso nel verde, come quello che Marinette ha a casa e la sala, con la cucina, e la camera hanno queste grandi vetrate che illuminano tutto e…»
«Marinette l’ha visto?»
«No. Sono andato da solo.»
Gabriel annuì, sorridendo al figlio: «Beh, in tutti questi anni non hai lavorato come modello gratuitamente. Hai il tuo conto e, posso tranquillamente affermare, che sei abbastanza ricco» si fermò, osservando il figlio: «Io ti appoggerò, qualsiasi cosa farai. Ma non sono io quello con cui devi parlare e lo sai bene.»
«Sì, vero.»
«Quindi ora vai dalla tua adorata fidanzata e parlatene.»
«Ok» Adrien si alzò, facendo un cenno a Plagg, rimasto in religioso silenzio e si avvicinò alla porta: «Grazie, papà.»


Marinette osservò il proprio telefono per la…
Fantastico. Aveva perso il conto.
E tutto per colpa di un certo gattaccio che se n’era andato con fare misterioso.
Tutta colpa di Adrien.
«Giusto per sapere…» mormorò una voce maschile dal tono divertito: «Quante volte hai guardato il telefono da quanto ti ho lasciata?»
Marinette si voltò, osservando Chat Noir balzare dentro la camera e sorriderle: «Buonasera, my lady. Il tuo eroe è qua» dichiarò, chinandosi con fare galante e regalandole un occhiolino quando si rialzò: «Allora? Quante volte?»
«Ho perso il conto» mugugnò Marinette, osservandolo con il broncio: «Hai fatto quella cosa che dovevi fare? Cosa di cui non mi hai detto assolutamente niente.»
«Noto un certo risentimento nella tua voce» mormorò il biondo, togliendosi l’anello e tornando ad essere Adrien: «Possiamo parlare?»
«Mi vuoi lasciare?»
«Marinette…»
«Di solito quando qualcuno dice ‘possiamo parlare’, poi di solito segue anche il ‘lasciamoci’.»
«Tikki, quanti film mentali si è fatta?»
«Abbastanza» dichiarò la kwami rossa, ridacchiando: «Il mio preferito è quello dove eri diventato un agente segreto e te la intendevi con una spia russa.»
«Ma ce l’hai con le spie russe, ultimamente.»
«Vanno di moda.»
Adrien sorrise, avvicinandosi alla ragazza e prendendole le mani, esortandola ad alzarsi dalla sedia della scrivania: «Possiamo parlare? Ti prometto che non è una cosa brutta» mormorò, baciandole le nocche con fare riverente: «Sposami, Marinette» dichiarò deciso, tenendo lo sguardo in quello azzurro di lei.
«Mi sembra che avevamo già affrontato questo…»
«Intendo sul serio.»
«Cosa?»
«Sposiamoci. Facciamo i documenti necessari, diamo il via libera alle nostre madri e sposiamoci.»
Marinette aprì la bocca, richiudendola e scuotendo poi il capo: «Stai dicendo veramente?» domandò, lasciandosi cadere sulla sedia e osservando il ragazzo inginocchiarsi davanti a lei: «Non sto sognando, vero?»
«Ah. Ecco, cosa sogni quando borbotti ‘Sì, Adrien’ mentre dormi» dichiarò il biondo divertito: «Ed io che speravo in qualcosa di sconcio.»
«Io non borbotto.»
«Oh sì, che lo fai» le dichiarò il ragazzo, allungando una mano e portandole indietro una ciocca di capelli: «Quando ti ho lasciata sono andata a vedere quella casa dove ci eravamo fermati, mentre andavamo a salvare la sorella di Thomas. E’ in vendita e me la posso permettere: sono abbastanza ricco, sai?»
«Quella con il terrazzo?»
«Quella. Sono stato abbastanza fortunato perché ho incontrato l’agente immobiliare proprio fuori dall’abitazione: è perfetta per noi, Marinette.»
«Adrien…»
«Io lavoro come modello e posso tranquillamente coprire tutte le spese, finché tu non inizierai a lavorare a tua volta» continuò il biondo, baciandole di nuovo le mani e sorridendo: «Voglio iniziare la mia vita con te, Marinette. Voglio che tu diventi mia moglie e svegliarmi la mattina con te nel letto e…»
Marinette lo interruppe, posandogli una mano sulla bocca e osservando lo sguardo verde serio: «Sei davvero sicuro?» gli domandò, vedendolo annuire vigorosamente con la testa; scivolò giù dalla sedia, togliendo la mano e coprendo la bocca di lui con la propria, stringendolo forte: «Facciamolo» mormorò contro le labbra, poggiando la fronte contro quella di Adrien: «Lo sto aspettando da quando avevo quattordici anni, quindi figurati se ti dico di no.»
«Lo stavi aspettando…»
«Sposarci. E poi avere dei bambini: tre per la precisione. E poi…»
«Per quanto voglia avere dei bambini con te» Adrien la interruppe, mettendole una mano sulla bocca e sorridendole: «E fidati, ne avremo. Per il momento preferisco…come dire…godermi appieno l’intimità con la mia fantastica mogliettina. Ci stai?» Marinette annuì con la testa, sorridendo contro il palmo di Adrien: «Brava, ragazza.»
La mora portò le mani su quella di Adrien, abbassandola un poco: «Quindi…»
«Quindi domani vado a informarmi su tutto quello che serve e poi…»
«L’abito. Le bomboniere. Il rinfresco.»
«E poi tu sei appena diventata la fusione fra mia madre e tua madre.»

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.724 (Fidipù)
Note: Salve salvino! Or dunque, eccoci con il consueto secondo aggiornamento settimanale di Miraculous Heroes 3 e...che dire? Fin da quando l'ho ideata, sapevo che questa parte sarebbe stata la più lunga della trilogia: un po' perché dovevo introdurre nuovi personaggi, un po' perché c'era da tirare le fila di tutto ciò che avevo lasciato in sospeso nei precedenti capitoli e quindi avevo messo in conto che mi ci sarebbero voluto così tanti capitoli per presentarvi una storia degna (unito al fatto che non voglio appesantirvi più di tanto la lettura e quindi tendo a fare capitoli con pochi cambi di scena e media lunghezza). Tutto questo per dirvi che ho superato i 10 capitoli e si può dire che siamo ancora al prologo della storia vera e propria...
Ma bando alle ciance e ciancio alle bande, passo subito ai ringraziamenti di rito per lasciarvi poi al capitolo: grazie a tutti voi che leggete, commentate, inserite le mie storie nelle vostre liste e me fra gli autori preferiti!
Grazie di tutto cuore!!!



Alex sbadigliò, dando un’occhiata svogliata alle persone intorno e passandosi poi la mano sul volto, quasi a togliersi gli ultimi residui del sonno: doveva smetterla di stare alzato fino a tardi, soprattutto quando la mattina successiva doveva alzarsi presto per andare a fare l’esame di Matematica I.
Sbuffò, allungando il collo e sperando di vedere il bus all’orizzonte, ma senza risultato: a quanto pareva quella mattina gli autisti di Parigi se la prendevano comoda; tirò fuori il proprio cellulare, iniziando ad armeggiare con l’ultima nata fra le sue app: quando Willie gli aveva proposto di lavorare con lei – o per lei, ancora non era stato messo in chiaro questo punto – aveva provato a mettere a punto qualche applicazione che aiutasse un certo gruppi di eroi nel loro lavoro.
Certo, c’era quella sua carinissima app che hackerava il sistema di comunicazioni delle forze dell’ordine, ma sperava di fare qualcosa di più.
Quando poi era stata tirato in ballo la storia del Quantum, aveva iniziato a lavorare su un progetto che permettesse di rivelare quell’energia: i kwami erano convinti che fosse andata esaurita completamente, ma lui era di tutt’altro avviso.
Possibile che un’energia come quella, che permeava il mondo, si fosse esaurita senza riportare danni all’ecosistema?
Sì, ok. C’era stata la distruzione di due nazioni e relativo inabissamento di un continente ma veramente era tutto lì? Veramente il succhiare al massimo la vena di Quantum aveva portato solo a quello? Oppure da qualche parte ce n’era un’altra che pompava quest’energia per tutto il pianeta?
Aveva iniziato a leggere le ricerche di Maus, cercando di capire qualcosa ma anche lo scienziato aveva appurato che il Quantum era finito.
Vena seccata.
Caput.
Eppure ad Alex non tornava ciò e, per questo, aveva creato un’app che rilevasse le vene di Quantum ma mancava qualcosa: prima di ogni cosa uno scanner che gli permettesse di vedere più di quanto una semplice fotocamera potesse fare.
Impossibile? No, se ci si appoggiava a certi satelliti in orbita.
Illegale? Beh, se lo faceva senza le giuste autorizzazioni sì.
Sbuffò, alzando la testa e notando il bus arrivare finalmente; si sistemò dietro una signora anziana e attese con pazienza di salire sul mezzo: aveva preso tutto? Perché certe cose non gli venivano in mente quando era ancora a casa?
Il cellulare l’aveva.
Il portafogli uguale.
Penne, fogli e calcolatrice ultrascientifica? Sì, li aveva messi nello zaino la sera prima.
Ok, era pronto. Assolutamente pronto.
L’autobus ripartì e Alex dovette fare appello a tutto il suo equilibrio per non cadere e fare una figura non certamente carina con tutti quegli avventurieri della mattina; scivolò verso il fondo del mezzo e riprese in mano il cellulare: ok, l’app che rilevava il Quantum ancora non funzionava – doveva solo comprendere come poter usare alcuni satelliti senza ritrovarsi alla porta poliziotti o quant’altro – però quella per la caccia ai criminali faceva il suo dovere senza problemi.
Si mise gli auricolari, ascoltando alcune trasmissioni della polizia e cercando di captare qualcosa: incidenti strani, movimenti sospetti di persone sospette, gente akumatizzata da Thomas per sbaglio…
Il bus si fermò bruscamente e qualcosa cadde addosso ad Alex: l’americano si aggrappò a uno dei tanti pali del bus, impedendo a sé stesso di  rovinare a terra e a chiunque gli fosse piombato addosso: «Scusami!» esclamò una voce femminile, con un accento particolare mentre il ragazzo osservava due occhi scuri posarsi su di sé: «Non mi ero accorta che si era fermato.»
Capelli lunghi mori, occhi neri come il carbone dal taglio tipico degli orientali, quella particolare tonalità che le colorava la pelle: «Perfetta…» mormorò, mentre la ragazza inclinava la testa e piegava le labbra in un sorriso dolce: «Cioè, volevo dire: tranquilla. No problem. Tutto ok.»
«Scusami davvero.» ripeté la ragazza, chinando la testa: «Non mi sono ancora abituata a questi cosi.»
«Sei arrivata da poco a Parigi?» E da dove vieni, oh dea perfetta, che non conosci la sadica guida degli autisti di bus?
«Possiamo dire di sì.»
«Io mi chiamo Alex. Posso sapere il nome di chi mi è venuta addosso?»
«Xiang.»


Rafael poggiò la cassa che teneva in mano, voltandosi verso la ragazza appena entrata nel locale: «Siamo chiusi.» dichiarò, iniziando a togliere le bottiglie e posarle sul bancone: «Anche per te, Lila.»
«Lo fate il caffè da queste parti?»
«Lila puoi avere pietà di me?» sbottò Rafael, voltandosi verso l’amica e osservandola: «Che vuoi?»
«Che modi.» dichiarò l’italiana incrociando le braccia e studiandolo: «Sai, prima che ti accasassi, eri più gentile con tutto il genere femminile. Non con Sarah e basta.»
«Sei gelosa, tesorino?»
«Non hai idea, guarda.»
«Che vuoi, Lila?»
«Come va con Sarah?»
«Sei venuta fin qua a chiedermi di questo?»
«Tu e micetto non mi rispondete mai al telefono.» sbottò Lila, sedendosi al bancone e osservando il ragazzo: «Quindi ho pensato di farti una bella sorpresa e venire a trovarti.»
«Yuuh!»
«Ce l’avete il caffè da queste parti?»
«Rafael, con chi stai parlando?» domandò Alain, comparendo dal retro del locale e sorridendo alla vista della ragazza: «Lila! Quanto tempo!»
«Ciao, Alain. Come va? E Monique come sta?»
«Tu come fai a sapere di Monique?»
«Perché a differenza di un certo piumino, quando vengo qui, Alain mi informa della sua vita: so di Monique, dei gemelli…»
«Piumino…» l’uomo sorrise, scuotendo la testa: «Un giorno capirò questi soprannomi che vi siete dati: piumino è Rafael, vero? Poi c’è Adrien che chiamate gattaccio o…»
«Micetto.» concluse per lui Lila, sorridendo: «Poi ci sono io che sono volpe. Siamo solo noi tre con un soprannome, vero?»
«Sarah la chiamo apetta.»
«Oh. Che carino.»
«Perché mi sento preso in giro?»
«Non lo stavo facendo.» bofonchiò l’italiana, prendendo il volto fra le mani e fissando l’altro: «E’ veramente romantico che tu dia un soprannome a Sarah. Anche Adrien lo fa con Marinette: my lady, principessa, coccinellina…» si fermò, elencando quelli più usati dal biondo: «Mentre Wei mi chiama Lila.»
«Problemi in paradiso?» domandò Rafael, poggiandosi al bancone e sorridendo all’amica: «Ecco perché sei qui.»
«No, nessun problema. Ho semplicemente incontrato mia madre a colazione.»
«Ho il sospetto che non sia andata bene.»
«Che piumino intelligente.» bofonchiò Lila, osservando Rafael girarsi e iniziare ad armeggiare con la macchina del caffè: «Ho passato l’ultima mezzora a sentirmi dire se Wei è la scelta giusta per me, anche se penso che significi quanto poco contribuirebbe alla carriera di mio padre…» si fermò, scuotendo il capo: «Wei è la persona più meravigliosa che io conosca e sono certa che mi ascolterebbe, ma non voglio fargli sapere quanto i miei genitori lo reputino non all’altezza.»
«Tua madre è…» iniziò Rafael, scuotendo il capo: «Ok, meglio che non lo dica. E’ sempre la madre di una mia amica.»
«Meretrice? Cortigiana? Donna di facili costumi?»
«Ed ecco a voi, Lila Rossi, che come sempre da sfoggio della sua grande conoscenza della lingua, senza cadere in insulti volgari.» sentenziò Rafael, allargando le braccia: «Comunque tua madre non conosce Wei, altrimenti non direbbe quello.» sentenziò il moro, mettendo davanti alla ragazza il suo caffè: «Come si può parlare male di Wei? E’ un santo vivente quel ragazzo!»
«Fidati. Mia madre lo farebbe anche se lo conoscesse.» dichiarò Lila, portandosi la tazza e bevendone un piccolo sorso, storcendo poi la bocca in una smorfia: «Rafael, il tuo caffè fa schifo.»
«Bevilo e non rompere.»


Xiang osservò il ragazzo scendere dall’autobus e fermarsi sul marciapiede, lo sguardo rivolto verso il bus quasi a cercarla: durante il tragitto Alex aveva parlato un po’ di tutto e lei era rimasta ad ascoltarlo, inventandosi di tanto in tanto qualcosa su di sé.
Era una studentessa cinese che aveva fatto uno scambio culturale.
Sì, conosceva quel videogioco. Ci aveva fatto qualche partita.
Ah, anche a lei piaceva quel gruppo musicale.
I Portatori non le avrebbero mai dato di loro volontà i Miraculous, era certa di ciò, per questo aveva pensato a un piccolo incentivo, prendendo in ostaggio qualcuno a loro caro: inizialmente la sua scelta era ricaduta sul giovane Portatore appena giunto, ma sarebbe stato complicato poiché viveva con una famiglia ed era difficile trovarlo da solo.
Gli ex-Portatori? Non erano indifesi come volevano farsi passare, inoltre Felix avrebbe dato di matto se avesse saputo che aveva rapito la sua adorata.
La sua scelta era ricaduta inesorabilmente sul giovane umano che li aiutava: era l’unico che poteva prendere e con il quale poteva ricattare i Portatori.
Non aveva fatto i conti su quanto il giovane, in quella manciata di minuti, aveva fatto presa su di lei, però: «Scusami.» mormorò, osservando lo sguardo di Alex che la cercava ancora: «Mi sarebbe piaciuto conoscerti meglio, se io fossi stata diversa.»


Adrien si buttò sul suo letto, sospirando pesantemente e sentendo il letto sobbalzare poco dopo, si voltò e sorrise: «Stanca, my lady?» domandò alla ragazza che, in maniera opposta a lui, si era lasciata andare sulla superficie morbida.
«Tu non potevi avvisarmi un po’ prima delle tue idee?» domandò di rimando Marinette, girandosi e incontrando lo sguardo verde del ragazzo: «Oggi ho consegnato il progetto, poi sono andata…» la ragazza chiuse gli occhi, portandosi le mani al volto: «Ci sono troppe cose da fare. Troppe.»
«Calmati, principessa.»
«Pensi davvero che funziona dirmi così?»
«Uno ci prova.» sentenziò Adrien, alzandosi e stirandosi i muscoli delle braccia: «Comunque la casa è nostra. Almeno quella è fatta.» dichiarò, sorridendo: «Sono andato all’agenzia e il magico potere dei soldi ha fatto il resto.»
«E i mobili? E i contratti da fare? E…»
«Tu proprio non sai cosa vuol dire calmarsi, vero?» le domandò Adrien, avvicinandosi e allungandole le mani, issandola su: «Un passo per volta, ok? Oggi sono andato a sentire che documenti servono e...» si fermò, chinandosi a baciare il naso della ragazza: «Servono una quarantina di giorni di tempo. Ce la  facciamo a organizzare tutto in tempo?»
«No.»
«Marinette.»
«Davvero, Adrien. C’è tanto da fare…»
«Chi invitare. Gli inviti. Dove fare la cerimonia.» Tikki uscì dalla borsetta della ragazza, iniziando a volare per la stanza e ragionare fra sé: «Civile o religiosa?» domandò, voltandosi verso i due e fissandoli con gli occhi sgranati: «A seconda di cosa decidete bisogna trovare il posto adatto.»
«Ma si è mangiata una di quelle riviste per spose isteriche?» domandò Plagg, osservando attonito la kwami: «E’ impazzita del tutto.»
«Ha voluto la raccolta di mamma e se l’è letta quasi tutta.»
«Tua madre ha una raccolta di riviste da spose isteriche?»
«Anche la mamma di Adrien ce l’ha, Plagg.»
«Qualcuno può fermare Tikki?» domandò il biondo, sempre con lo sguardo rivolto alla kwami: «Mi sta facendo salire l’ansia.»
Marinette annuì, avvicinandosi alla piccola kwami e prendendola fra le mani: «Tikki…» mormorò, tenendo le mani a coppa attorno allo spiritello e tornando da Adrien e Plagg: «Calmati, per favore.»
«Ma…»
«Non è che possiamo aiutare molto, Tikki. Siamo kwami. Cosa vuoi che facciamo? Che santifichiamo la loro unione nel nome dei Sette Dei?» sbottò Plagg, incrociando le zampette e scuotendo la testa: «Calmati, ok?»
«Sai sempre come rovinare tutto!» scoppiò la kwami rossa, volando via e adagiandosi nei pressi della televisione, sotto lo sguardo attonito di Adrien e Marinette: era raro che i loro kwami litigassero. Che si prendessero a frecciatine era il consueto, ma non quello.
«Le passerà.» sentenziò Plagg, voltandosi anche lui verso la compagna: «Le passa sempre.»
«Cosa significa quello che hai detto, Plagg?» domandò Marinette, accomodandosi sul letto e osservando il kwami nero: «Quello dei Sette Dei, intendo.»
«Beh, i matrimoni a Daitya invocavano la benedizione degli dei del clan di appartenenza.» spiegò Plagg, mentre Adrien si accomodava vicino a Marinette e ascoltava attento la spiegazione: «Se i due sposi appartenevano a clan diversi, invocavano la benedizione di entrambi gli dei. Adesso come adesso, tutto ciò che possiamo fare Tikki ed io è benedire la vostra unione, essendo voi la Portatrice del Miraculous della Coccinella e il Portatore del Miraculous del Gatto Nero.»
«Ma sarebbe solo come la benedizione che da un genitore.» continuò Tikki, avvicinandosi titubante: «Non è una vera e propria unione. Per un matrimonio, oltre alla benedizione degli dei, serviva anche un Gran Sacerdote.»
«E poi bisognava dire le frasi di rito.» aggiunse Plagg, tossendo per schiarirsi la voce: « Qui e ora. Sotto questa luna, che mi è testimone, io mi dichiaro tuo marito e tuo compagno. La mia casa sarà la tua casa, il mio letto sarà il tuo letto. Offrendoti onore, fedeltà e rispetto, io ti sposo.»
«Perché la luna?» domandò Adrien, aggrottando lo sguardo: «E dovevate solo ripetere ciò?»
«I matrimoni a Daitya si svolgevano la sera, sotto la luce lunare.» spiegò il felino, scuotendo il capo: «Non chiedermi il perché, non lo so. E dovevi ripetere la frase di rito, tenendo le mani della tua sposa. Era più complicato, perché c’era un nastro rosso, una coppa di vino…»
Adrien annuì, prendendo le mani della ragazza e, dopo essersi schiarito la voce, ripeté le parole di Plagg: «Qui e ora. Sotto questa luna, che mi è testimone…»
«Che non c’è.»
«Io mi dichiaro tuo marito e tuo compagno. La mia casa…»
«Che non hai ancora.»
«Plagg, vuoi stare zitto?» sbottò Adrien, voltandosi verso il kwami e fissandolo male: «Fantastico. Non mi ricordo più niente.»
Tikki ridacchiò, notando come la sua Portatrice era rimasta in silenzio e le guance erano diventate di un tenue rosso: «Ripeti dopo di me, Adrien. Qui e ora…
«Qui e ora…»
«Sotto questa luna che mi è testimone…»
«Sotto questa luna che mi è testimone…»
«Io mi dichiaro tuo marito e tuo compagno.»
«Io mi dichiaro tuo marito e tuo compagno.»
«La mia casa sarà la tua casa.»
«La mia casa sarà la tua casa.»
«Il mio letto sarà il tuo letto.»
«Il mio letto sarà il tuo letto.»
«Offrendoti onore, fedeltà e rispetto, io ti sposo.»
«Offrendoti onore, fedeltà e rispetto, io ti sposo.» concluse Adrien, portandosi le nocche di Marinette alle labbra: «Tocca a te, principessa.»
«Eh? Cosa?»
Plagg rise, posandosi sulla spalla della ragazza: «E’ il tuo turno, Marinette. Dai, ti aiuto io. Qui e ora.»
«Q-qui e ora.»
«Sotto questa luna che mi è testimone, io mi dichiaro tua moglie e tua compagna.»
«Piano! Allora…sotto questa luna che mi è testimone, io m-mi d-dichiaro tua mo-moglie e tua co-compagna.»
«La tua casa sarà la mia casa, il tuo letto sarà il mio letto.»
«Vuoi andare piano, Plagg?» sbottò Marinette, inspirando profondamente e socchiudendo gli occhi: «La tua casa sarà la mia casa, il tuo letto sarà il mio letto.»
«Offrendoti devozione, fedeltà e rispetto, io ti sposo.»
«Offrendoti devozione, fedeltà e rispetto, io ti sposo.» concluse Marinette, aprendo le palpebre e abbozzando un sorriso, imitando poi Adrien e portandosi le sue mani alle labbra.
Il ragazzo sorrise, passando un braccio attorno alla vita della mora e tirandola contro di sé, poggiando la fronte contro quella della fidanzata: «Ti amo, Marinette.»
«Ti amo, Adrien.»
Plagg li osservò per un momento, volando poi verso il soppalco della stanza e sistemandosi su uno scaffale, sgombro dai libri: «Scusami.» mormorò Tikki, comparendo davanti a lui con lo sguardo contrito: «Non volevo…»
«Ci sono abituato ai tuoi isterismi.» commentò serafico il felino, socchiudendo gli occhi e sentendo Tikki sistemarsi vicino a lui: «Ti sei mai pentita di quella scelta?»
La kwami si voltò verso di lui, lo sguardo blu sgranato: «Sì e no.» mormorò dopo l’iniziale momento di sorpresa: «Mi pento di non aver dato una possibilità a noi, ma se io non avessi scelto di offrirmi adesso non sarei qui.  Non avrei incontrato Marinette, Bridgette e tutte le altre.» si fermò, abbassando lo sguardo sulle zampine: «E tu, Plagg?»
«Mi sono pentito ogni giorno.» dichiarò lapidale il felino, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé: «Certo, l’alternativa sarebbe stato morire quello stesso giorno, quindi mi è andata bene, no? Però mi pento di non averti sposata, di non aver passato la mia vita con te…»
«Scusami.»
«Almeno fino a quando non ho incontrato quel moccioso.» concluse Plagg, sorridendo: «Con tutti i suoi isterismi e i suoi film mentali mi ha dato un bel po’ da fare.»
«Vuoi mettere con Marinette? Quando ancora non sapevano chi erano? Sono io quella che ha avuto più da fare.»
«Ehi, tu non dovevi sorbirti tutti i sospiri che faceva lui davanti al Ladyblog: ‘oh, Ladybug! Chi sei? Perché non ti accorgi di me?’»
«Plagg! Ti sento!»
«Come se mi facessi paura, moccioso!»

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.938 (Fidipù)
Note: Buon salve! Eccoci di nuovo qua con il consueto appuntamento di Miraculous Heroes! E che dire...beh, oggi vi disturbo poco (anche perché ho un capitolo da finire - una robetta sulla mia coppia preferita in Pokemon - e uno da iniziare di Miraculous Heroes, quindi il tempo è prezioso oggi!), e passo subito ai rituali di ringraziamento: grazie a tutti voi che leggete, che commentate (sappiate che, anche se non rispondo, leggo tutte le vostre recensioni!), che inserite le mie storie storie o me nelle vostre liste e...
Beh, semplicemente grazie!



Marinette inspirò profondamente, entrando nel locale e sorridendo a Ivan che stava posando alcuni piatti a un tavolo; la ragazza fece vagare lo sguardo, fermandosi sulla giovane che, seduta sotto la finestra, armeggiava con il cellulare: «Alya!» esclamò, avvicinandosi velocemente al tavolo e sorridendo all’amica.
La ragazza posò il telefono, sorridendo alla mora: «Sei ancora viva!» sentenziò, alzandosi e stringendo Marinette in un abbraccio caloroso, guardandola poi da dietro le lenti quadrate degli occhiali: «Ormai siamo donne impegnate e non possiamo vederci come un tempo!»
«Come va con l’università?» domandò Marinette, districandosi con la sciarpa e poi accomodandosi al tavolo scelto dall’amica, posando il tutto su una delle sedie vuote: «Hai già fatto qualche scoop?»
«L’altro giorno!» esclamò Alya, prendendo il cellulare e armeggiando con le foto: «Guarda qua! Un’akumatizzata! Si è fatta chiamare La Soeur.» spiegò, mostrandole le foto che aveva fatto: «Era molto vicina a Radio France – io ero lì per fare una noiosissima intervista. Vabbè, lasciamo perdere – ma i nostri eroi l’hanno fermata. E Guarda qua» Alya armeggiò con una foto, aumentano lo zoom e mostrando poi lo schermo a Marinette: «Guarda! C’è un nuovo elemento! Questo in viola!»
«Uao. E’ vero!»
«Il ritorno di Papillon e un nuovo eroe. Devo assolutamente riprendere in mano il Ladyblog…mh, magari dovrei cambiargli nome, che dici?»
«Il ritorno di Papillon?»
«Ovvio. C’è stata un’akumatizzata! Chi altri potrebbe essere? Dopo Coeur Noir e quel pazzo tedesco, ecco che torna il nostro caro vecchio Papillon!»
Marinette abbozzò un sorriso, mentre Alya continuava a fare le sue congetture: come avrebbe potuto spiegarle che Soeur non era stato altro che un piccolo incidente di percorso del novello Hawkmoth, senza che l’amica sospettasse qualcosa? Semplice, non poteva. Oltretutto non era l’unica che pensava a un ritorno di Papillon: anche i suoi genitori, ascoltando la notizia dell’akumatizzata avevano pensato la stessa identica cosa.
«Comunque mi avevi detto che volevi chiedermi una cosa.» Alya si fermò, sorridendo: «Allora? Cosa volevi chiedermi?»
La mora inspirò profondamente, abbassando lo sguardo celeste sulle mani e lasciando andare l’aria: «Mifarestidatestimone?» domandò tutto d’un fiato, alzando poi timorosa gli occhi e notando Alya in silenzio, la testa piegata di lato e lo sguardo dubbioso.
«Cosa hai detto?»
«Non farmelo ripetere. Per favore.»
«Marinette, davvero, non ho capito cosa hai detto» dichiarò la ragazza, allungando una mano e stringendo quella dell’amica: «Mi sembrava solo una lunga immensa parola e, anche se ti conosco da più tempo di Adrien, non ho la sua stessa capacità di traduzione.»
«Mi faresti da testimone?»
«Hai commesso un omicidio e devo testimoniare per il tuo alibi?»
«Alya!»
«Ok. Ok. Testimone di co…» la ragazza si fermò, sgranando gli occhi castani e osservando la mora come se, all’improvviso, le fosse sbucata una seconda testa: «Lo fate? Vi sposate? Veramente?»
«Sì…»
«Non ci credo.» Alya si portò le mani alla bocca, scuotendo la testa: «Ma non è…cioè, voglio dire, abbiamo iniziato ora l’università e…»
«Secondo te è presto?» domandò Marinette, chinando lo sguardo e abbozzando un sorriso.
«No» dichiarò l’amica, scuotendo la testa: «Per un’altra coppia forse sì, ma non per Adrien e te. Voi siete come le grandi coppie, tipo Romeo e Giulietta senza la fine tragica. E sì, sarò onorata di essere la tua testimone, Marinette.»
«Grazie, Alya.»
«A proposito. Quand’è il matrimonio?»
«Appena avremo il via libera. Fra un mese, massimo due.»
«Ok. Non sono pronta a vederti come una donna sposata.»
«Fidati. Siamo in due.»
«Allora, donna quasi-sposata.» Alya allargò le braccia, sorridendo allegra: «Che cosa devo fare, in qualità di testimone della sposa?»
«Non lo so.» sospirò Marinette, scuotendo la testa: «Non l’abbiamo ancora detto ai nostri genitori e c’è da organizzare tutto ed io…non ho la più pallida idea di cosa fare e da dove iniziare.»
«Io la butto lì, ma forse sarebbe meglio partire dall’avvisare mamma e papà. Non credi?»
«Sì, direi di sì.»
«Agli inviti ci penso io. Chi avevi in mente?»
«Beh, i nostri vecchi compagni di classe e le persone più strette? Non so. Non volevo fare una cosa esagerata, invitando mezza Parigi.»
«No, quello lo farebbe Chloé. La inviti, vero? Ti prego, devi farlo per me: voglio vedere il suo volto quando Adrien ti metterà l’anello al dito.»
«Alya!»
La ragazza sorrise, adocchiando il vecchio compagno di scuola, che si stava avvicinando al loro tavolo: «Ehi, Ivan! Sei invitato al matrimonio di Adrien e Marinette.»
«Quando?»
«Fra due mesi, più o meno. Appena ho la data precisa, te la dico.» sentenziò Alya, facendo l’occhiolino al ragazzo: «Ok, Ivan è andato. Chi manca? Nathaniel, Kim, Alix, Max, Myléne, Juleka, Rose, Sabrina, Chloé. Invitiamo anche le professoresse? Lila e il gruppo delle superiori, ovviamente. Non sento Sarah da un bel po’. Chissà come le sta andando con Rafael ‘lo infilo dappertutto’ Fabre.»
«Decisamente bene, fidati.»
«Sembra assurdo che uno come Rafael sia stato messo al muro da Sarah che è la dolcezza fatta persona.» dichiarò Alya, sorridendo: «Sembra tanto una cosa che si legge in quei romanzi che adora tanto Rose. Ok, torniamo ai discorsi seri: hai altri in mente da invitare?»
«Per ora no.»
«Ok. Tu pensa a una lista con Adrien e poi fammela avere. L’abito?»
«Ci sto lavorando.»
«Nel senso che te lo fai da sola?»
«E’ brutto, secondo te?»
«No, in verità sono curiosa di sapere cosa tirerai fuori. Sono certa che sarà fantastico!»
«Il rinfresco? Hai già un luogo? E la cerimonia? Le bomboniere? Poi che altro…»
«Non lo so. Non lo so. Non lo so.» pigolò Marinette, portandosi le mani al volto e scuotendo la testa: «Non so niente di tutto questo. Ma perché non può essere facile? A che cosa serve tutto questo?»
«A rendere il giorno memorabile?»
«Sposo il ragazzo che amo da quando avevo quattordici anni. Fidati, più memorabile di questo non so proprio cosa può esserci.»
«Ok, ok. Calmati, sposina. Un passo per volta, ok?»
«D’accordo.»
«Intanto voi, novelli sposi, lo dite ai vostri genitori. Un passo per volta.»
«Un passo per volta.»
«Ottimo!»


«Sei molto ricercato» commentò Fu, osservando Alex mentre scriveva velocemente sul cellulare: «Uno dei ragazzi o qualche compagno di università?»
«Guarda com’è curioso il maestro!» dichiarò il ragazzo, passandosi una mano fra i capelli mori e sorridendo: «Una ragazza. L’ho conosciuta mentre andavo a dare un esame.»
«E’ carina?»
«E’ bellissima.» mormorò sognante Alex, poggiando il volto contro i pugni chiusi, mentre l’anziano si sedeva di fronte a lui: «Ha dei lunghi capelli neri, gli occhi scuri e poi è cinese. E’ perfetta.»
«Ah già. La tua fissa per le orientali. Cosa ci troverai mai?» sbuffò Fu, storcendo la bocca in un ghigno: «Fa, per esempio, è una spina nel fianco: ho sempre avuto pietà per quel poveraccio che se l’è presa. A proposito, l’ultima volta che l’ho sentita, aveva detto che mi avrebbe spedito qualcosa ma non ho ancora visto niente…»
«Magari è ancora a giro da qualche parte del mondo?»
«Beh, spero siano quelle radici che coltiva lei e che non trovo da nessuna parte! Son fenomenali con il riso cotto alla perfezione e la carne di maiale passata alla piastra.»
«Passo. Grazie.»
«Ho forse detto che te le avrei offerte?»
«Per fortuna no.» bofonchiò Alex, dirigendosi verso la sua camera e digitando velocemente la risposta a Xiang e la inviò, buttandosi sul letto e rimanendo in attesa: era lenta a scrivere, quasi come se non mandasse molti messaggi al giorno.
In vero, sapeva veramente poco di lei: quando l’aveva trovata fuori dalla facoltà, dopo aver sostenuto l’esame, aveva ringraziato ogni divinità che conosceva – compresi i Sette Dei, altrimenti sette piccoli spiritelli lo avrebbero trucidato – e aveva parlato un po’ con lei, rimanendo incantato dalla bellezza della ragazza e dal suo carattere.
Orgogliosa e testarda, l’aveva definita nella sua testa, quando si era impuntata per pagare il suo the che lui le aveva offerto, ma anche gentile e dolce, come quando aveva sorriso a un bambino che si era scontrato con lei e le aveva regalato una generosa macchia di qualcosa sul cappotto candido come la neve.
Xiang non sembrava che badasse molto a cosa indossava.
Si era trattenuto molto dal chiederle di sposarlo seduta stante.
Il cellulare vibrò e, con il sorriso sulle labbra, lo afferrò, leggendo velocemente la risposta che Xiang gli aveva mandato: dopo una breve consultazione con Rafael – che era valsa anche domande da parte del parigino e sguardi curiosi – aveva deciso di invitarla per una romantica passeggiata sulla Senna.
Un’uscita da amici, la città dell’amore come sfondo e la proposta di vedersi ancora, magari non come semplici amici.
Era tutto perfetto.
E Xiang aveva appena accettato di uscire con lui.
Tutto era assolutamente perfetto.


«Com’è andata?»
Marinette sorrise, sentendo la voce dall’altro capo del telefono e, dopo aver evitato una signora e la sua borsa, si fermò nella piccola zona di alberi, vicino la fermata della metrò che l’avrebbe condotta verso casa: «Alya ha accettato.» dichiarò allegra, imponendosi di non fare nessuna piroetta di felicità.
A casa, lo avrebbe fatto al riparo da sguardi indiscreti.
«Dove ti trovi ora?»
«Les invalides» rispose la ragazza, dando un’occhiata veloce alla piccola edicola e notando il numero vecchio di 93 Style dove, in copertina, c’era un Rafael ammiccante: «Tu che fai?»
«Quello che faccio tutti i giorni…»
«Tenti di conquistare il mondo?»
«No. Per quello ci pensano i nostri supercattivi» le rispose il ragazzo divertito, sospirando poi pesantemente: «No, al momento sto guardando la ragazza più bella di tutta Parigi.»
«Sei su un set?» domandò Marinette, sentendo poi qualcosa di caldo posarsi sotto l’orecchio; sussultò, voltandosi e trovando davanti a sé Adrien con il cellulare in mano e un sorrisetto divertito: «Cosa…?»
«Ero da queste parti per un’intervista» le spiegò Adrien, chinandosi e baciandole la punta del naso: «Ti avevo visto anche prima che ti chiamassi. Sono bravo a pedinare, non è vero?»
«Sicuramente più bravo di me…» bofonchiò Marinette, accostandosi a lui e lasciandosi avvolgere dall’abbraccio caldo del giovane: «Mi scoprivi molto spesso.»
«Tutte le volte» sentenziò Adrien, poggiando la testa contro quella della ragazza e sorridendo: «Sapevo perfettamente quando mi seguivi. Problemi?»
«Nessuno. Voglio solamente essere abbracciata.»
«Come desideri, ma belle.» dichiarò Adrien, aumentano la presa attorno alla fidanzata e sorridendo: «Pensavo di chiedere a Rafael di farmi da testimone.»
«Rafael?» domandò Marinette, alzando il viso verso di lui e fissandolo curiosa: «Non Nino?»
«Nino mi ucciderebbe se gli lasciassi una responsabilità come tenere gli anelli» spiegò velocemente Adrien, chinandosi e sfiorandole la bocca con la propria: «No, pensavo a Rafael: è sempre il solito pennuto rompiscatole che ci ha provato con te, ma è mio amico. No?»
«Sì. Siete amici.»
«Quindi perché non chiederlo a lui? Certo, ci sarebbero anche Wei e Alex, ma non so…» il biondo si fermò, scuotendo la testa: «Rafael mi sembra il più indicato e poi così posso sbattergli in faccia il fatto che tu sposi me.»
«Lo sai, vero, che Rafael è completamente andato per Sarah?»
«Sì. Ma lo sai che lui…»
«Adrien, è passato del tempo. Tanto tempo: Rafael è cambiato e adesso ha una bella relazione con Sarah» spiegò Marinette, allungando una mano e carezzando la guancia del ragazzo: «E non ti va ancora giù il fatto che sia stato un farfallone perché, volente o nolente, un poco lo sei stato anche tu.»
«Io non…» Adrien si fermò, assottigliando lo sguardo verde e fissandola in volto: «Eravate la stessa persona! Non puoi mettermi a paragone con Rafael 1.0»
«D’accordo» assentì Marinette, ridacchiando e sfuggendo alla stretta del ragazzo: «Però all’epoca non sapevi che ero io.»
Adrien s’imbronciò, allungando una mano e afferrandola, trascinandola di nuovo fra le sue braccia e tenendole le mani dietro la schiena: «Sei tremenda, lo sai?» le domandò, chinandosi e mordendole lievemente il naso: «E per punizione, ceneremo con i nostri genitori» dichiarò, notando lo sguardo celeste diventare agitato: «Dobbiamo dirglielo, Marinette. Mio padre penso l’abbia capito quando gli sono andato a chiedere…beh, in verità volevo chiedergli un prestito, mentre lui mi ha sbattuto in faccia i miei guadagni come modello.»
«Lo so, me l’ha detto anche Alya.»
«Via il dente, via il dolore. No?»
«Per forza?»
«Già. E non pensare di rimandare: mentre tu eri con Alya, io ho chiamato Tom e gli ho detto che domani ceneremo nel ristorante dell’hotel dei Bourgeois.»
«Mi odi, per caso? Ci sarà sicuramente Chloé.»
«E allora?»
«Adrien…»
«No, niente Adrien» dichiarò risoluto il ragazzo, portandole indietro una ciocca di capelli: «Andremo a mangiare lì, daremo ai nostri genitori la lieta novella e se c’è Chloé la ignorerai. D’accordo, principessa?» Marinette si voltò di lato, mugugnando una risposta e facendo sorridere il ragazzo: «Non ho capito, Marinette.»
«D’accordo.»
«Brava la mia ragazza.»
«Sia chiaro, se Chloé viene al nostro tavolo e ci prova, io non rispondo delle mie azioni o dei coltelli che voleranno.»
«Me ne ricorderò.»


Sarah si morse il labbro inferiore, osservando le pagine davanti a sé e sentendo la sua testa svuotarsi di ogni informazione: sapeva che quell’esame era ostico, ne aveva discusso con alcune sue compagne di corso ed erano tutte convenute che quell’esame era infattibile, senza contare che la professoressa Nolet era anche di manica stretta riguardo ai voti.
«Sarah?» la voce di Rafael le arrivava da lontano, mentre lei accentuava il morso e continuava a fissare le pagine davanti a sé: «Sarah, maledizione, stai per farti uscire sangue!» sbottò il ragazzo, riportandola alla realtà: Sarah sbatté le palpebre, osservando il viso di Rafael molto vicino al proprio e  sentendo il polpastrello di lui che le massaggiava il labbro inferiore: «Ci sei andata vicino…»
«Cosa?»
«Ti sei morsa, fino a farti quasi uscire il sangue» le spiegò Rafael, fissandola serio e portandole indietro alcuni capelli: «Questo esame ti sta facendo dannare, eh piccola?» continuò, massaggiandole le tempie con i pollici: «Quando è?»
«Domani.»
«Mh. Sai che è inutile che studi adesso? Il tuo cervello ha assimilato quello che poteva e tutto quello che leggi e cerchi di immagazzinare adesso va nella memoria a breve termine e domani sarà sparito.»
«Non so nulla.»
«Questo invece è un trucchetto della tua mente» dichiarò il ragazzo, battendole un dito sulla  fronte: «Ora non ricordo il termine tecnico, ma serve per salvaguardarti in caso di fallimento, perché darai la colpa al fatto che hai studiato poco e per questo non sapevi.»
«E tu come lo sai?»
«Perché fra le mie conoscenze c’è stata anche una psicologa e mi ha spiegato un po’ di cosette, mentre mi uccidevo per i compiti al Le-Grand.»
«Era meglio se non chiedevo.»
Rafael rimase in silenzio, continuando a massaggiarle le tempie: «Ti pesa, vero?» domandò dopo un po’, abbozzando un sorriso triste: «Il mio passato, intendo. Ok, è una domanda idiota: sicuro che ti pesa. Se fossimo invertiti penso che vorrei uccidere chiunque…»
«Sì e no.» mormorò Sarah, prendendo le mani di Rafael fra le proprie e abbassandole: «No, perché il tuo passato è ciò che ti ha portato a essere chi sei ora; e sì, perché le donne con cui stato, l’esperienza che hai…» si fermò, storcendo le labbra in una smorfia: «Ho sempre paura che io…che io…»
«Che tu sei bella, dolce e semplicemente perfetta?»
«Che non sono all’altezza, Rafael.»
«Tu sei tutto quello che voglio, Sarah.» dichiarò deciso Rafael, prendendole le mani e portandosele alle labbra: «E adesso, per evitare che ti azzanni di nuovo quel bel labbrino, che ne dici di cenare? E’ presto perché è freddo, ma avrei l’occorrente per fare il tamboulé. Che ne dici?»


Lila osservò il cellulare che vibrava e si muoveva appena sul tavolino davanti al divano: «Dovresti rispondere» le suggerì Vooxi, poggiandosi sulla sua spalla e prendendole una ciocca di capelli castani: «Non puoi continuare a ignorare le chiamate di tua madre.»
«Non voglio.»
«Lila…»
«Non potrei tagliare i legami con quella parte di famiglia?» domandò la ragazza, tirando su le gambe e poggiando la fronte contro le ginocchia: «Che ne dici? Fare finta che mia madre e mio padre non esistano e vivere la mia vita tranquilla e beata.»
«Se ciò può farti star bene sì, puoi farlo» dichiarò Vooxi, volando fino al cellulare: «Ma non ti fa bene e lo sai. Sei triste ogni volta che non rispondi a una sua chiamata.»
«E’ la mia mamma…»
«Lo so, Lila.»
«E allora perché, ogni volta che parlo con lei, mi devo sentire inadeguata? Inutile?»
Vooxi sospirò, abbassando il capino e osservando il cellulare smettere di vibrare: «Io non posso dirti alcunché, con mia madre avevo un rapporto completamente diverso: ero il figlio maggiore e unico uomo di casa, dato che mio padre era morto. Mia madre contava su di me, tutta la mia famiglia contava su di me.» si fermò, alzando la testa e sorridendo triste alla ragazza: «Però posso dirti una cosa: darei qualsiasi cosa per parlare o litigare ancora una volta con mia madre: sono a giro per il mondo da tantissimo tempo e ho visto molti miei Portatori soffrire perché non hanno dato una seconda occasione. Sarà dura e lei ti criticherà, ma non chiuderla fuori, Lila. Un giorno te ne pentirai.»
La ragazza lo fissò serio, allungando poi una mano e carezzandogli la testa: «Così piccolo e così saggio.» mormorò, spostando poi l’attenzione sul cellulare che riprese a vibrare: «Una seconda occasione, eh?» bisbigliò, prendendo l’apparecchio e accettando la chiamata: «Pronto? Ciao, mamma. No, scusami. Ero sotto la doccia…sai che mi piace farle lunghe, possibilmente calde e con un bel cinese nudo con me…cosa? No. Stavo  scherzando, mamma. Wei è ancora al lavoro e…sì, lavora sempre in quel buco. Sì.» Lila mise una mano sopra il cellulare, fissando male il kwami: «Questa me la paghi, stupido volpino.»
«Un giorno mi ringrazierai.»
«Credici.»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.758 (Fidipù)
Note: Ed eccoci qua all'ultimo aggiornamento della settimana e, come sempre, è il turno di Miraculous Heroes 3. Allora, vediamo un po'...a quanto pare non ho niente da dire su questo capitolo: è l'ennesimo di transizione, dove piano piano srotolo tutti i fili che compongono questa storia: c'è chi si salda sulla sua posizione, chi deve affrontare un invito a cena, chi fa annunci e chi...
E beh, qua mi zittisco poiché non voglio spoilerarvi niente!
Come al solito, vi ringrazio tutti per il fatto che leggete, commentate e inserite questa storia in una delle vostre liste.
Un grazie anche per inserire me nella lista di autori preferiti e per il fatto che, da quasi un anno, mi sopportate con le mie storie.
Grazie di tutto cuore!



Sarah sospirò, ripensando alle domande dell’esame e sentendo il peso del fallimento sulle sue spalle: era certa di averne sbagliate parecchio, decretò sedendosi su una delle panchine di legno poste all’ingresso della facoltà e andando a recuperare i suoi appunti sotto lo sguardo apprensivo di Mikko.
Sfogliò velocemente le pagine, ignorando le colleghe di corso finché una di loro non squittì il nome del suo fidanzato: «Rafael Fabre!» esclamò la ragazza, calamitando su di sé tutta l’attenzione della bionda: «Ci sono uscita assieme un po’ di tempo. Parecchio tempo fa, quasi un anno e mezzo…» spiegò, mordendosi le labbra e puntando il modello parigino: «Mi chiedo se è ancora così bravo a letto.»
Oh. Fantastico!
Ci mancava solo una delle tante conquiste di Rafael!
Mise stizzita gli appunti, balzando in piedi e andandosene velocemente dall’atrio, senza sapere dove dirigersi: «Il passato di mio figlio da un po’ noia, eh?» commentò la voce tranquilla del professor Fabre, facendo sobbalzare la ragazza che, voltandosi, trovò l’uomo sulla soglia di un’aula lì vicino.
Sicuramente aveva sentito tutto.
Sarah socchiuse gli occhi, scuotendo il capo: «So com’è Rafael e…» mormorò, abbassando la testa e massaggiandosi il braccio destro: «Lui è tutto per me. Se sono rimasta a Parigi è per stare con Rafael.»
«Ma è dura trovarsi davanti le sue vecchie conquiste, dico bene?» Emilé annuì, togliendosi gli occhiali dalla montatura quadrata e sospirando: «Alle volte mi chiedo ‘se avesse avuto un’infanzia diversa, con un padre e una madre più presenti, sarebbe diventato un bravo ragazzo?’»
«Rafael è un bravo ragazzo. E’ la persona più dolce e gentile che io conosca: si preoccupa sempre per me e…» si fermò, sorridendo: «Ed io sono fortunata, perché quella tipa laggiù può averlo avuto per una sveltina, mentre io l’ho sempre al mio fianco. Era questo che voleva farmi capire, professore?»
«Beh, ho notato un certo sguardo omicida e ho pensato di fare qualcosa: mi dispiacerebbe perdere il mio unicogenito in questo modo.»
«Non lo ucciderò. Prometto.»
«Bene. Sono felice di saperlo perché, devo ammettere, che lei mi piace madamoiselle Davis e sarei contento se la storia con mio figlio durasse parecchio.» dichiarò Emilé, facendo cenno alla ragazza ed entrambi si avviarono verso l’ingresso della facoltà: «Forse sono uno sciocco sentimentale, ma spero che prima o poi potrò chiamarla madame Fabre.»
«In quel caso sarebbe meglio Sarah, non crede?»
«Giustamente.» dichiarò l’uomo, voltandosi verso l’entrata e sorridendo: «Ed ecco qua il mio meraviglioso figlio: idolo delle fanciulle, modello e…mh. Rafael, rinfrescami la memoria, non hai fatto anche un calendario nudo, vero?»
«No, papà.» ringhiò il ragazzo, assottigliando lo sguardo e fissando male il genitore: «Da dove cavolo ti è venuta fuori questa?»
«Non ricordavo.» sentenziò Emilé, scuotendo il capo: «Beh, io vi lascio. Ho un appuntamento con il mio sponsor. Mecenate. Quello che mi paga le spedizioni…»
«Riparti per caso?»
«Non adesso, oltretutto non posso lasciare la cattedra o il rettore mi uccide. Però è una persona molto interessata alle mie ricerche, si ricorda quelle sui sette animali, madamoiselle Davis?»
«Come dimenticarsele.»
L’uomo sorrise, salutandoli velocemente e uscendo dalla facoltà, sotto lo sguardo preoccupato del figlio: «Qualcuno interessato alle ricerche di mio padre sugli animali dei Miraculous…» scosse il capo, sospirando: «Non mi piace questa storia.»
«Tuo padre non ha collegamenti con i Miraculous o con Daitya» mormorò Sarah, stringendosi nelle spalle: «Non penso ci sia niente di cui preoccuparsi.»
Rafael annuì, voltandosi e osservando l’americana: «Com’è andato l’esame?» domandò, allungando le mani e sistemando la sciarpa attorno al collo, passando poi al berretto e coprendola bene, indicando poi con la testa l’esterno dell’edificio.
«Uno schifo. Devo aver sbagliato molte risposte, volevo controllarle ma poi…»
«Ma poi?»
«No, niente.»
«Cos’è successo, apetta?»
«Niente di che.»
«Sarah…»
La bionda sospirò, fermandosi e osservando le auto che transitavano a pochi passi da loro: «Una ragazza della mia facoltà è stata una tua conoscente…» mormorò, nascondendo parte nel volto nella sciarpa e alzando lo sguardo nocciola sul ragazzo: «Una tua conoscenza di…»
«Sì. Avevo inteso. Sei arrabbiata?»
«Lì per lì sì.» dichiarò Sarah, sorridendo: «Sarei saltata molto volentieri al collo della tipa o al tuo, fortunatamente tuo padre mi ha fatto notare una cosa.»
«Mio padre? Cosa?»
L’americana sorrise, avvicinandosi al ragazzo e strattonandolo per il giaccone, convincendolo così ad abbassarsi un poco per avere i volti alla stessa altezza: «Molto semplicemente che, quelle possono miagolare quanto gli pare – e chiedo scusa ad Adrien per avere usato questo termine – ma tu sei tutto mio.»


«Mia madre ci vuole a cena.» dichiarò Lila, entrando nel magazzino di Mercier e attirando su di sé l’attenzione dell’anziano e di Wei: «Hai capito? A cena. Con lei.»
Mercier deglutì, avvicinandosi al suo dipendente e tenendo lo sguardo fisso su Lila: «Fatti furbo, ragazzo mio. Fingiti malato.» dichiarò, abbozzando un sorriso quando l’italiana lo fulminò con lo sguardo: «Forse dovevo dirtelo quando lei non c’era.»
«Direi.» sentenziò la ragazza, incrociando le braccia e mettendosi in posizione da battaglia, pronta a rimettere al suo posto l’anziano parigino; Wei sorrise, avvicinandosi a Lila e, passandole un braccio attorno alle spalle, la scortò nel piccolo ufficio dove Mercier teneva tutti i documenti e la contabilità della sua attività: «L’hai sentito? Quel…quel…»
«Cos’è questa novità?»
«Qualcuno, che risponde al nome di ‘Non mi faccio gli affari miei’ Vooxi mi ha convinto a chiamare mia madre.»
«Ehi, io al massimo mi chiamo Vooxi Grifondoro!»
«Silenzio, volpino.» sbottò Lila, senza degnare di uno sguardo il kwami: «Insomma, Mister non mi faccio gli affari miei mi ha convinto a chiamare mia madre. Ottimo, no? Peccato che lei ora si sia intestardita che vuole cenare con noi per conoscerti. Per conoscere te. E’ rimasta incuriosita da chi mi ha fatto smettere di passare da un ragazzo all’altro e quindi, sue testuali parole, c’è del buono in quel tipo, anche se fa un lavoro misero.»
«Beh. E’ buona come cosa, no?»
«Se dobbiamo cenare con lei, pretendo di avere una bottiglia di vino solo per me.»
«Lila, tu non bevi.»
«Direi che è il caso di iniziare.»
Wei sorrise, posandole le mani sulle spalle e massaggiandole: «Andiamo a questa cena e vediamo, ok? Poi potrai darti all’alcool o a quello che ti pare. Non fasciarti la testa prima del tempo, Lila.»
«Perché sei così maledettamente saggio?»
«Perché sono più grande di te?»
«Di quanti anni? Due? Tre?»
«Sono abbastanza. Non credi?»
«No, gli uomini maturano più tardi rispetto alle donne, quindi io dovrei essere più saggia di te.»
«Lila, quando è la cena?»
«Ha detto di chiederti quando ti è più conveniente. Testuali parole anche stavolta.»
«Bene. Chiamala e dille il giorno che preferisci.»
«Il giorno del mai dell’anno credici?»
«Lila.»
L’italiana sbuffò, imbronciandosi: «La prossima settimana ti può andar bene? Ho bisogno di tempo per prepararmi mentalmente.» dichiarò, vedendo il ragazzo annuire: «Ottimo. La chiamo appena torno a casa. Va bene?»
«Perfetto.»


«Voilà!» esclamò Alex, passando il cellulare a Thomas e sorridendo mentre il ragazzino osservava estasiato le app che aveva installato: «In questo modo anche tu potrai essere avvisato quando ci sarà qualche problema. Ed io ti terrò sottocontrollo grazie al localizzatore gps.»
«Sei un genio.»
«Me la cavo.» sentenziò l’americano, sistemandosi gli occhiali: «Come sta andando con la tua nuova identità?»
«Nooroo mi sta facendo esercitare tutti i giorni: per ora metto l’energia nelle farfalle e stop. Ah, e poi ho scoperto che sono dotato di due fighissimi boomerang! Li posso lanciare o usare come doppie spade! Fantastico!»
«In effetti tutti i Miraculous sono dotati di un’arma: Chat Noir ha un bastone allungabile, Ladybug uno yo-yo, Volpina il suo flauto – e quella ragazza mena da paura con quel flauto –, Peacock ha dei ventagli con delle parti staccabili che lancia…poi. Ah, ovviamente Tortoise e il suo mitico scudo e Bee ha un bracciale spara-pungiglioni.»
«Figo!» mormorò Thomas, sorridendo e grattandosi il naso: «Io non so combattere molto.»
«Puoi sentire uno dei ragazzi se ti allena un po’.»
«Non gli darò fastidio? Cerco di non disturbarli molto. Beh, da quando ho akumatizzato per sbaglio mia sorella non li ho più contattati e immagino che…»
Alex sorrise, poggiando una mano sul capo e scompigliando i corti capelli: «Tu sei uno di noi. Non darai mai fastidio. Quindi alla prossima riunione barra pranziamo cinese tutti assieme ci sarai anche tu. Ok?»
«Dovrei trovare una scusa per mia madre…»
«Come sono messi i tuoi voti a matematica?»
«Uno schifo. Perché?»
«Ciao, mi chiamo Alex e sono colui che ti darà ripetizioni di matematica.» sentenziò l’americano, facendogli l’occhiolino e allargando le braccia: «Adesso hai la scusa migliore per tua madre.»
«Se mi fai ripetizioni dovrei pagarti, però.»
«Volontariato.»
«Hai pensato proprio a tutto, eh?»
«Amico. Io sono la mente che c’è dietro i Miraculous Heroes.»
«Miraculous Heroes?»
«Sì, ho pensato di darvi un nome in codice e dato che siete tutti eroi e possedete un Miraculous, ho optato per Miraculous Heroes. Anche se Sarah dice che le ho copiato l’idea, dato che l’aveva avuto lei qualche tempo fa. Come se ci credessi…»
«Miraculous Heroes. Figo.»
«Vero?» dichiarò Alex, sorridendo e alzandosi: «Bene, mio piccolo amico, devo andare. Ho un appuntamento con la fanciulla più bella di tutta Parigi e non voglio farla attendere. Ci sentiamo, ok? E ricorda. Pranzo cinese. Ti mando un messaggio.»
«Ok. Grazie, Alex!»


«Ti ho mai detto che ho un debole per le tue gambe?» sussurrò Adrien, mentre aiutava Marinette a togliersi il soprabito e rimediando un’occhiataccia, che incassò con una risatina attirando su di sé l’attenzione generale del tavolo.
«Cosa c’è, Adrien?» domandò Sophie, accomodandosi fra Sabine e Gabriel, facendo passare lo sguardo dal figlio a Marinette.
«Mi stavo solo complimentando con Marinette per il suo abito. E’ una sua creazione.»
«E’ veramente molto carino.» dichiarò la donna, osservando l’abito candido dal taglio semplice e la giacchetta marrone che la ragazza aveva abbinato: «Diventi ogni giorno più brava.»
«La nostra Marinette ha veramente talento.» dichiarò orgogliosa Sabine, sorridendo alla figlia: «Ha disegnato un abito per Lila, una sua amica, che è veramente spettacolare.»
«Senza contare quello che fa per Adrien.» commentò Gabriel, togliendo il tovagliolo dal piatto e adagiandolo sul piatto: «La camicia che indossi è di Marinette, no?»
«Esatto.» dichiarò sorridente il biondo, chinandosi verso la ragazza e posandogli le labbra sulla guancia: «Goditi il momento di gloria, mon coeur. Fra poco sganceremo la bomba…»
La ragazza annuì, voltandosi e sorridendo: «I tuoi capelli…» bisbigliò, allungando una mano verso la frangia che il biondo aveva sistemato di lato: «Non portavi i capelli così da quando andavamo alla Dupont, sai? Sei sempre molto gattesco.»
«Perdo meno tempo la mattina.» dichiarò il ragazzo, intrecciando la mano con quella della ragazza e portandosele alla labbra, baciandole le nocche: «Glielo diciamo?»
«Via il dente, via il dolore?»
«Esatto, ma be…»
«Adrikins!» l’urlo di Chloé fece voltare tutti al tavolo in direzione della bionda che, in perfetto equilibrio sui tacchi alti, si avvicinò velocemente al tavolo e si fermò vicino al modello: «Quanto tempo! Giusto oggi stavo dicendo a Sabrina di quanto mi mancavi e…tadan! Eccoti qui! E’ un segno del destino, non credi?»
«In verità no, Chloé.» mormorò Adrien, facendo spaziare lo sguardo sugli altri commensali: «Ti ricordi di Marinette, vero?»
«Impossibile da dimenticare.» sbuffò la bionda, assottigliando lo sguardo azzurro e fissando male l’altra, venendo apertamente ricambiata. «Posso unirmi, Adrikins? Mio padre sta parlando con quel suo rivale per la carica di sindaco ed io sono tutta sola soletta…»
«Veramente sarebbe una cena di famiglia, Chloé.»
«Mi piacciono le cene di famiglia.»
«Ci sposiamo!» esclamò Marinette, attirando l’attenzione generale di tutti su di sé e facendo ridacchiare il biondo al suo fianco, mentre Chloé era rimasta a bocca aperta.
«Sì, lo sappiamo, tesoro.» mormorò Sabine, guardando dubbiosa la figlia: «Adrien te lo ha chiesto quasi un anno fa…»
«Nel senso che ci sposiamo, sposiamo, Sabine.» mormorò Adrien, con la voce strozzata: «Ho portato i documenti oggi in municipio e fra un mese – più o meno – ci…»
«Gabriel. Nostro figlio si sposa.»
«Sì, l’avevo intuito quando è venuto a chiedermi il permesso per comprare una casa.»
«Veramente volevo chiederti un prestito, papà.»
«Ah.»
«Lo sapevi e non mi hai detto niente? Gabriel!»
«Pensavo toccasse a loro avvisarti!»
«Tom. La nostra bambina…la nostra bambina…»
«Complimenti, my lady.» dichiarò Adrien, osservando sua madre e Sabine iniziare a dare di matto mentre Tom rimaneva in silenzio e Gabriel rimaneva tranquillo: «Non avrei saputo fare di meglio.»
«Quindi vi sposate…» mormorò Chloé, fissando Marinette negli occhi tanto che Adrien si sentì in più: forse doveva lasciarle da sole, in modo che la risolvessero fra di loro.
«Sì, Chloé.»
La bionda assentì, incrociando le braccia al seno: «Congratulazioni, allora.» dichiarò, spostando poi lo sguardo su Adrien sorridendo: «Se la tua mogliettina ti farà annoiare, sai dove trovarmi.»
«Cosa?»
«Sto scherzando, Marinette. Figurarsi se Adrien ti tradisce…» sbuffò la bionda, alzando gli occhi al cielo: «Buona cena, allora.»
«Gr-grazie…» mormorò la mora, osservando la sua antica rivale andarsene con la stessa velocità con cui era venuta al loro tavolo e spostando poi lo sguardo su Adrien che le regalò un sorriso tranquillo.
«Marinette! Marinette! L’abito!»
«Cosa, mamma?» domandò la ragazza, portando nuovamente l’attenzione sugli altri commensali: «L’abito?»
«Questa ragazza. L’abito da sposa? Sai già dove…»
«Beh, ovviamente potrà vedere fra quelli della mia linea.»
«Adrien. Avrò un Agreste come vestito da sposa…» mormorò Marinette, agguantando il braccio del ragazzo e voltandosi verso di lui: «Un Agreste!»
«E pensa! Pure io indosserò un Agreste! E te lo sposi anche un Agreste!»
«Adrien…» sospirò sua madre, scuotendo la testa: «Dov’è la casa che avete preso? Voglio vederla!»
«Oh, anche io!» squittì allegra Sabine mentre Tom, al suo fianco, si alzò: «Tesoro?»
«Torno subito.» mormorò l’uomo, carezzando il volto della moglie e allontanandosi dal tavolo, sotto lo sguardo attonito di tutti.
Marinette si morse il labbro, alzandosi anche lei e seguendo il genitore: uscì dalla sala del ristorante, trovando Chloé nei pressi dell’ascensore: «Tuo padre è andato per le scale.» la informò la bionda, fissandola per un secondo: «Non l’ha presa bene, eh?»
«N-non lo so.» mormorò la ragazza, osservando la schiena di quella che aveva sempre considerato sua rivale: era così strano parlare con lei in quel modo civile…
«Mio padre avrebbe pianto disperato se avessi mollato un annuncio così.» dichiarò la bionda e Marinette annuì: André Bourgeois viveva per la figlia e si vedeva: «Tu ed io non siamo mai andate d’accordo…» continuò Chloé, voltandosi e attirando su di sé l’attenzione della mora: «E penso  che non lo faremo mai: siamo troppo diverse.»
«Già…»
Il rumore dell’ascensore fece voltare Chloé verso la porta di metallo che, dopo pochi secondi, si aprì: «Bene. Fine del momento.» commentò la bionda, entrando nell’abitacolo e sorridendo: «Congratulazioni, Marinette. Davvero. Per quanto io ci abbia provato, Adrien ha sempre amato e amerà solo te.»
«Grazie, Chloé.»
«E poi io ne troverò uno molto migliore. Impallidirai di fronte al mio futuro marito.»
«Non credo: nessuno è migliore di Adrien.»
«Vedrai!»
Marinette sorrise, osservando Chloé premere un bottone e la porta dell’ascensore chiudersi davanti a lei: «Marinette?» la voce di Adrien, fece voltare la mora: «Sbaglio o…»
«Già. Abbiamo avuto una conversazione abbastanza civile…»
«E vi siete sfidate su chi troverà il marito migliore.» aggiunse il biondo, sospirando e scuotendo il capo, guardandosi poi attorno: «Dov’è tuo padre?»
«Qui.» comparendo nella tromba delle scale con lo sguardo lucido e il naso lievemente arrossato: «Avevo bisogno di un momento da solo. Io…»
«Marinette è la mia vita, Tom. Non hai da temere che…»
«Lo so, Adrien. Lo so. Ma è la mia principessina.» Il biondo annuì, osservando l’uomo passargli accanto e rientrare dentro il ristorante: «Vi aspetto al tavolo e tornate alla svelta, prima che Sabine sguinzagli le forze dell’ordine di Parigi.»
«Arriviamo subito.» dichiarò Adrien, spostando lo sguardo sulla fidanzata e avvicinandosi a lei: «Tutto ok?»
«Ho solo bisogno di un momento di calma, mi sento come una trottola.»
«Anche io, se ti consola.» dichiarò Adrien, prendendole le mani e portandosele alle labbra: «Tu che dichiari che ci sposiamo, il fatto che non ti azzanni con Chloé, tuo padre che mi sta odiando perché gli porto via la sua principessa e ti sei persa le nostre mamme che stanno decidendo dove fare il matrimonio…»
«Sainte-Chapelle.»
«Cosa?»
«Vorrei sposarmi a Sainte-Chapelle.» dichiarò Marinette, sorridendo: «Mi sono ricorda che, quando ero piccola, andammo al matrimonio di Nadja Chamack e mi sono innamorata di quella chiesa e…beh, è bellissima e...»
«Ok. Aggiudicato. Ricevimento?»
«Le Cigale, ovviamente.»
«Alain, ci ucciderà.» dichiarò Adrien, baciando il naso della ragazza e guardandola negli occhi: «Torniamo dentro?»
«Torniamo dentro.»

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.796 (Fidipù)
Note: Salve salvino! Eccoci qua con un nuovo aggiornamento di Miraculous Heroes 3 e, vi informo, unico di questa settimana. Perché? Beh, semplicemente venerdì - il giorno in cui dovrei aggiornare con il secondo - sia il mio profilo che la saga del Quantum Universe compiono un anno e pensavo di postare qualcosa di diverso da un classico aggiornamento della storia.
Detto questo, passo subito a ringraziarvi: grazie a tutti voi che leggete, commentate, inserite la storia in una delle liste a disposizione e me fra gli autori preferiti!
Grazie tantissimo di tutto cuore!



Lila posò la tazza sul piattino di ceramica, osservando le varie riviste che la mora stava sfogliando, rispondendo alla conversazione del tavolo con risposte monosillabe e vaghi accenni del capo, anche Sarah si era accorta dello strano comportamento dell’amica e più volte, lo sguardo nocciola della bionda, si era fermato sull’italiana: «Marinette?» domandò quest’ultima, osservando la copertina di un catalogo di mobili che la compagna stava sfogliando, segnando una pagina con un piccolo post-it rettangolare: «Marinette!»
«Che c’è?»
«Devi dirci qualcosa?»  domandò Lila, con un sorriso angelico in volto e indicando con un cenno della mano le riviste: «Magari qualcosa che riguarda mobili e…»
«Abiti da sposa» aggiunse Sarah, prendendo una rivista e dandole un’occhiata veloce, soffermandosi su una pagina segnata dall’amica: «Bello questo!»
«Allora?»
Marinette fece vagare lo sguardo sulle due ragazze, posando il catalogo che aveva in mano e stringendo forte il bordo del tavolo del café, ove si erano rifugiate quando il temporale che stava imperversando per Parigi aveva messo fine alla loro giornata di shopping: «Ci sposiamo.» mormorò, sentendo le guance andare a fuoco.
«Vi sposate nel senso che, con calma, iniziate a pensare al matrimonio e a tutto quello che lo riguarda o…»
«Adrien ha lasciato i documenti in municipio, quindi massimo quaranta giorni e…»
«E potremo chiamarti Madame Agreste!» esclamò Lila, battendo le mani e sorridendo allegra: «Ho già un bel po’ di battute da fare! Ci sto lavorando da quando te lo ha chiesto!»
«Lila…» sospirò Sarah, scuotendo la testa e allungando le mani verso quelle della mora, stringendole affettuosa: «Sono tanto, tanto, tanto, tanto, tanto felice per te, Marinette!»
«Grazie…» mormorò la mora, chinando la testa e mordendosi il labbro inferiore, sotto gli sguardi delle amiche: «Io…io…»
«Ancora non ti sembra vero, eh?» concluse per lei Lila, portandosi la tazza alle labbra e bevendo l’ultimo rimasuglio di caffè: «Beh, penso sia normale. Anche se stai sfogliando riviste per il matrimonio e cataloghi di mobili. A proposito, perché?»
«Adrien ha comprato una casa…»
«Cosa? Quando? Come? E Perché? No, aspetta. Il perché lo sappiamo.»
«Vi ricordate il giorno in cui Thomas ha akumatizzato sua sorella?»
«Come dimenticarselo…» sospirò Lila, scuotendo il capo: «Non capita tutti i giorni, sai?»
«Mentre stavamo correndo per raggiungere il luogo dell’incontro, ci siamo fermati nei pressi di una casa e Adrien ha scoperto che era vuota, così dopo il combattimento lui è tornato e…»
«L’ha comprata?»
«Sì.»
«Che carino. Il micetto ha comprato la cuccia per sé e la sua micetta.»
«Lila, perché tutto quello che dici ha qualcosa come una ventina di doppi sensi?»
«Perché tu stai troppo tempo con il piumino» dichiarò l’italiana, indicando la bionda che aveva posto la domanda, spostando poi il dito sull’altra ragazza: «E tu troppo tempo con il micetto.»
«Io non ho detto niente!»
«Parlando di cose serie…» continuò Lila, poggiando il viso contro i pugni chiusi e gongolando: «Testimone?»
«Alya.»
«Ottimo! Mi è sempre piaciuta: sa divertirsi e sa fallo bene. Addio al nubilato? Ci pensa lei?»
«Non lo so.»
«La chiamo. Ho in mente due o tre localini che faranno impazzire tutte.»
«Lila, mi stai facendo paura.»
«Fidati di me, sposina.»


Xiang sbuffò, uscendo dall’edificio che chiamavano scuola, non curandosi delle occhiate di quelli che dovevano essere suoi compagni: era stata costretta da Felix ad andare alle lezioni, ma non le aveva imposto niente sull’essere amichevole con chi la circondava.
In classe se ne stava sempre in disparte, ascoltando svogliatamente le lezioni, trattenendosi dallo sbadigliare e dall’addormentarsi.
I professori la ignoravano e i suoi compagni…
Beh, loro la odiavano: alcuni avevano provato a rivolgerle parola nei suoi primi giorni in quella prigione – perché di quello si trattava – ma avevano smesso, guardandola con astio, quando avevano capito che i loro tentativi erano ripagati con l’indifferenza più totale.
Si fermò in mezzo al marciapiede, osservando un gruppetto di ragazze a poca distanza da lei: sapeva di comportarsi in maniera sbagliata, più e più volte Felix le aveva detto di quanto poco si amalgamasse alla realtà che la circondava.
Ma cosa poteva fare?
Le chiacchiere vuote non la interessavano e gli unici altri esseri umani, con cui aveva avuto a che fare, erano l’ex-Portatore del Gatto Nero e Kang.
Ah, giusto.
Anche con Dì ren, sempre se poteva considerarlo umano.
E poi  c’era Alex…
Alex che avrebbe dovuto rapire, per chiedere come riscatto i Miraculous.
Un piano semplice e ben pensato, ma che non aveva coraggio di mettere in atto: Alex riempiva le sue giornate, con le sue chiacchiere allegre di videogiochi, serie TV e altre cose di cui lei non sapeva neppure l’esistenza, anche se era bello sentirlo parlare della trama dell’ultimo gioco e di quello che aveva dovuto penare per combattere il boss finale.
«Che cosa sto facendo?» mormorò fra sé, osservando la macchina scura, che si era fermata a pochi metri da lei: Felix aveva di nuovo mandato il suo autista a recuperarla; si sistemò meglio lo zaino sulle spalle, avvicinandosi alla vettura e aprendo lo sportello posteriore: «Ni hao, Li» mormorò, abbozzando un sorriso al cinese smilzo che Felix aveva preso a lavorare con sé, assieme ai due fratelli.
Li aveva trovati per strada, giunti a Parigi dalla Cina sotto il comando della nonna e, dopo una serie di avventure, erano giunti fino a loro: Xiang era rimasta impressionata dalla quantità di sfortuna che, in una manciata di giorni, i tre fratelli avevano avuto appena messo piede sul suolo parigino e sperava che, una volta messi da parte abbastanza soldi, avrebbero potuto compiere il volere dell’anziana che li aveva spediti lì.
«Ni hao ma?» fu la risposta di Li, che la fece sorridere, rispondendo nella sua lingua natia mentre l’uomo si immetteva sulla strada e ascoltava, annuendo con la testa di tanto in tanto.
Finito il resoconto, Xiang si accomodò sul sedile, voltandosi e osservando le persone che vivevano la loro quotidianità: aveva trascorso gran parte della sua età millenaria a Shangri-La, osservando la città affievolirsi e morire sotto ai suoi occhi mentre lei cresceva e, quando il suo corpo aveva smesso di cambiare e modificarsi, tutto ciò che le era rimasto erano le rovine di un’antica gloria e uno straniero che vedeva il futuro.
Adesso poteva vedere l’effimera vita umana e quanto poco durasse, facendole apparire strano quella frenesia che prendeva le persone: facevano tutto di corsa, senza prendersi il giusto tempo per assaporare le cose e capire cosa era veramente importante.
Succedeva perché avevano una vita relativamente breve o forse perché il mondo era cambiato così tanto, da quando lei aveva avuto il suo ultimo contatto con esso?
Erano domande che si poneva di tanto in tanto.
Lo aveva chiesto anche ad Alex e la risposta che aveva avuto era stata abbastanza soddisfacente: si corre perché il tempo va veloce e bisogna pensare al traguardo. Come quando incontri uno di quei dungeon a tempo e sai che devi farlo alla svelta, senza perderti in esplorazione o altro. Dritto alla meta!
Non aveva capito il paragone, però aveva fatto presente che, con quel modo di pensare, ci si perdeva tante cose.
Alex aveva sorriso, sistemandosi gli occhiali e scuotendo la testa: di norma in quei dungeon c’è roba di poco conto, fidati. E’ bene non perderci tanto tempo.
Lei lo aveva guardato per un secondo, osservandolo mentre la superava e si appoggiava alla balaustra, guardando le acque tranquille della Senna: era stato un buon momento, poteva colpirlo e portarlo a casa, ricattando così i Portatori. Ma non lo aveva fatto.
Stupidamente lo aveva affiancato e gli aveva domandato in quale dungeon si trovava in quel momento.
Alex aveva sorriso e le aveva risposto che era in uno di quelli dove poteva prendersi tutto il tempo che voleva per l’esplorazione.
Stupida. Era una stupida.
Doveva rapirlo, non perdere del tempo prezioso: Dì ren si stava sicuramente organizzando e presto avrebbe attaccato, lo sentiva.
C’era troppa calma e non le piaceva.
La prossima volta…
La prossima volta avrebbe messo in atto il suo piano.


Rafael sbadigliò, togliendosi la giacca scura del completo, indossato per il set fotografico e notando Adrien poco distante da lui: «Quanti piatti di pasta?» domandò, osservando lo sguardo svogliato del biondo e indicando con un cenno del capo il fotografo italiano.
«Sette. Più gli gnocchi fatti da mia madre» rispose Adrien, scuotendo la testa e sorridendo imbarazzato alla hair-stylist che lo aveva fulminato con gli occhi: «Se sapesse come cucina da schifo mia madre, non lo direbbe.»
Rafael sorrise, notando il fotografo tempestare di scatti Blanche: «Cucina davvero così male?»
«Diciamo che sperimenta. Nel modo sbagliato» spiegò Adrien, sorridendo: «Sono fortunato che Marinette abbia avuto dei buoni insegnanti.»
«Brioches a volontà!»
«Ah! Giusto! Fammi da testimone!»
«Hai ucciso qualcuno e vuoi che testimoni la tua innocenza?»
Adrien si prese il setto nasale, inspirando profondamente: «No, genio di un pennuto. Testimone. Al mio matrimonio.»
«Ah. Ok, ma non c’è tempo?»
«Beh, ho una trentina di giorni per chiedertelo. Ho pensato di togliermi il pensiero ora, senza contare che Marinette darebbe di matto se lo facessi il giorno prima del matrimonio.»
«Trenta giorni? Aspetta, mi stai dicendo che fra trenta giorni ti sposi?»
«L’idea è quella, sì.»
«Ma che ti dice il cervello? Non è un po’ presto?» Rafael sospirò, alzando gli occhi al cielo: «Ovviamente non è presto per te. State insieme da una vita. Giusto.»
«Bravo pennuto, vedo che ogni tanto ragioni. Allora, lo fai?»
«Non dovresti chiederlo…che so, a Nino? E’ il tuo migliore amico, no?»
«Nino mi ucciderebbe.»
«Quindi tocca a me?»
«Esatto.»
«Wei? Alex?»
«Se non vuoi farlo, basta dirlo.»
«Il testimone dello sposo organizza l’addio al celibato, no? Meglio che lo faccia io, hai ragione.» sentenziò Rafael, sorridendo e incrociando le braccia: «Con Wei non so cosa potrebbe succedere e Alex…sono certo che ci terrebbe a casa per una bella sessione a qualche videogioco. Non mi dispiacerebbe, devo dire, sarebbe un addio al celibato alternativo.»
«Sarai il mio testimone?»
«Sì. Ho solo una domanda, gattaccio.»
«Spara.»
«Se per caso ti porto in un locale di spogliarelliste…» Rafael si fermò, guardandosi attorno: «Credi che la tua novella moglie mi darà un altro calcio nei gioielli di famiglia?»


Thomas sospirò, osservando la ragazzina che lo stava seguendo e alzò la testa verso il cielo: «Cosa vuoi, Manon Chamack?» domandò, fermandosi in mezzo al marciapiede e osservando la compagna più piccola: sapeva che chiamandola per nome e cognome questo l’avrebbe fatta imbestialire e così era stato.
«Assolutamente nulla!»
«E allora perché mi stai pedinando?»
«Non ti sto pedinando!» dichiarò stizzita la bambina, pestando un piede per terra: «Devo andare da mia madre, che sta facendo un’intervista in questa zona. Non pedinerei mai uno come te.»
Thomas la osservò un attimo, scuotendo la testa: «Magari Jérèmie, eh?» domandò, ridacchiando: aveva intuito da tempo della cotta di Manon per il suo migliore amico, ciò che non capiva era perché la ragazzina lo aveva preso in odio.
I loro litigi erano famosi in tutta la scuola, ormai.
E molto spesso Thomas era stato preso in giro perché, quella piccola peste, lo aveva messo al suo posto con una parlantina davvero incredibile.
Rimase a osservarla, mentre le guance le diventano rosse e lo sguardo nocciola si allargavano, tingendosi di imbarazzo: «Ah. Manon, io…» mormorò, allungando una mano e sospirando, sentendosi meno di zero: che divertimento c’era a prendere in giro una bambina per la sua cotta innocente?: «Vuoi una caramella?» domandò, tastandosi le tasche del giubbotto e cercando la scorta che portava con sé per Nooroo.
Di certo non sarebbe successo il finimondo se dava una caramella alla bambina.
Manon lo fissò per un secondo, scuotendo la testa e superandolo con il mento alzato, ignorandolo fino a quando non ebbe raggiunto l’angolo della strada, poco più avanti: «E comunque a me non piace Jérèmie, stupido!» sentenziò, voltandosi verso di lui e regalandogli una linguaccia, prima di correre via.
«Ma che…»
Nooroo fece capolino dal giaccone, osservando il punto in cui Manon era scomparsa: «Ho la sensazione di essere giunto in mano tua in tempo per quelli che Plagg chiama drammi adolescenziali.» sentenziò il kwami, scuotendo la testa: «Tranquillo, li supererai.»
«Quello non era un dramma adolescenziale» sbottò Thomas, indicando l’angolo della strada: «Quello era una tipa con seri problemi!»
«Ne sei certo, Thomas?»
«Assolutamente sì!»


Marinette mosse il capo a tempo con la musica, mordendosi il labbro inferiore e cancellando una linea della gonna che stava disegnano, irrigidendosi quando sentì qualcosa sfiorarle la spina dorsale in tutta la sua lunghezza: «Adrien!» esclamò, togliendosi gli auricolari e osservando il ragazzo al suo fianco.
«Ti avevo chiamato…» mormorò il ragazzo, sollevando le cuffiette e dondolandole davanti lo sguardo celeste: «Ma eri molto assorta e non mi hai sentito.»
«Stavo disegnando…» dichiarò la mora, indicando il blocco da disegno e osservando il biondo studiare attentamente la bozza: «Oggi l’ho detto a Lila e Sarah.»
«Io ho chiesto a Rafael, invece.» dichiarò Adrien, facendo alcuni passi indietro e accomodandosi sulla chaisse-longue: «L’ha presa bene. Sta già pensando a dove fare l’addio al celibato.»
«L’addio al celibato?» domandò Marinette, alzandosi dalla poltrona della scrivania e raggiungendo il ragazzo, sistemandosi contro di lui e strusciando il naso contro la gola del biondo, sentendo le sue mani carezzarle il fianco lievemente: «Hai veramente…»
«Rafael ha chiesto se i suoi gioielli sono al sicuro, se mi porta in un locale…beh, diciamo caliente.» sentenziò Adrien, facendole l’occhiolino: «Hai il naso freddo, ma belle.»
«Caliente?»
«Sì, hai presente quelli che si vede in televisione durante i film, dove di norma fanno questo genere di feste.»
«Posso fare finta di non sapere niente?»
«Quindi è un sì?»
«Ti interessa così tanto andare a vedere delle ragazze che…che…oh, non riesco a dirlo.»
«Sei incredibilmente adorabile quando ti imbarazzi, lo sai? E, sinceramente, l’unica che mi piacerebbe veder spogliarsi sei tu.» sentenziò Adrien, posandole le labbra sul capo e sorridendo: «Mh. C’è qualche speranza che tu faccia uno spogliarello per me?»
«Io?»
«Sì. Possibilmente senza diventare color pomodoro o…ok, fai finta che non ti abbia chiesto niente.»
«Già immagino la scena, con la stanza immersa nella luce delle candele – perché fa scena – ed io che provo ad atteggiarmi, iniziando a spogliarmi…» bofonchiò Marinette, sospirando: «Poi inciampo nel lenzuolo e cado; nel mentre i miei slip colpiscono una delle candele che va a terra e da fuoco alle tende. Le fiamme si propagano per tutta la stanza e siamo costretti a uscire in strada, osservando il fuoco divorarsi tutto…» Marinette si  fermò, sentendo Adrien tremare sotto di sé: «Che ho detto?»
«Adoro i tuoi film mentali» dichiarò il ragazzo, annaspando per le risate: «Solo tu saresti capace di tramutare qualcosa di sensuale in…» si fermò, inspirando profondamente e scuotendo la testa: «questo.»
«Sarei capacissima. Ho un talento innato nel fare danni.»
«Non lo metto in dubbio, principessa.»
Marinette sospirò, posando il palmo aperto sulla pancia di Adrien e lasciandosi andare nel suo abbraccio: «Com’è andata oggi?» domandò, mentre le dita del biondo le carezzavano il braccio, risalendo verso la spalla e tornando indietro.
«Foto. Tante foto. Con il tipo che mi diceva ‘sorridi e pensa a un bel piatto di pasta!’, ‘ehi, guardami come se fossi un piatto di gnocchi fatto da mamma’…mh. Lì penso di aver fatto una faccia schifata…»
«Sophie ha di nuovo provato a cucinare?»
«Ieri sera! Papà ha passato la notte in bagno.»
«Povero Gabriel.»
«Io mi sono salvato con il fatto che avevo mangiato qua» sospirò il biondo, sistemandosi meglio la ragazza contro di sé: «E’ una fortuna che sappia cucinare il minimo per sopravvivere: quando mamma è andata a letto, mi sono fatto un piatto veloce…»
«Sai cucinare?»
«Sono purrfetto, my lady.» dichiarò orgoglioso Adrien, facendole l’occhiolino: «Quindi non dovrai temere di fare la casalinga a tempo pieno: so pulire, so mettere a posto la mia roba. Mh, devo imparare come si carica la lavatrice e stirare…»
«Adrien, ma vieni da Perfettolandia?»
«Io lo dico sempre che sono perfetto, ma nessuno mi crede!»
«Non metterò mai più in dubbio la tua parola.»
«Brava principessa.»


Xiang sospirò, osservando lo schermo spento del proprio cellulare: doveva farlo, doveva mandare quel messaggio e mettere in atto il suo piano.
Doveva…
Rotolò sul materasso, prendendo l’apparecchio e azionandolo: il testo era già pronto e doveva solo premere il tasto di invio.
Perché esitava dunque? Perché non percorreva la strada che Kang le aveva indicato?
Strinse la presa sul cellulare, portandoselo al petto e socchiudendo le palpebre.
Doveva farlo. Assolutamente.
Strinse le labbra, rileggendo le poche righe che aveva scritto e, alla fine, premette il tasto di invio: «Scusami, Alex.» mormorò nel buio della camera, poggiando il cellulare vicino a lei e sentendolo vibrare poco dopo.
Con lentezza lo riprese, azionando lo schermo e leggendo la risposta breve e affermativa di Alex.
Il giorno successivo lo avrebbe fatto.
Ormai non poteva più rimandare.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.758 (Fidipù)
Note: Bene, bene. Ecco che si comincia una nuova settimana con i classici aggiornamenti di sempre (lunedì e venerdì Miraculous Heroes 3, mentre mercoledì - per questo giro - ci sarà il nuovo capitolo di La sirena). E quindi si torna con i nostri eroi miracolati alle prese con...beh, non sto a spoilerarvi niente, però vi dico subito che i team li ho scelti a casaccio, senza tanti pensieri (a parte Adrien e Marinette: per loro mi sono basata su una fanart che avevo visto). Di cosa sto parlando? Beh, capirete leggendo.
Detto ciò, non posso far altro che ringraziarvi per i vostri commenti (sappiate che, anche se non rispondo, li leggo sempre con piacere), per il fatto che leggete e inserite le mie storie in una delle vostre liste.
Grazie infinitamente di cuore!



Ladybug atterrò su un tetto, osservando Hawkmoth imitarla e osservare la città sotto di loro: «Allora? Che dobbiamo fare? C’è qualche supercattivo da combattere o…» domandò il ragazzino, muovendosi sul posto e facendo sorridere la ragazza: le ricordava molto un certo gatto all’inizio della sua carriera come supereroe.
«Stando alle ultime informazioni dei miei amici della polizia...» dichiarò la voce di Alex nell’auricolare, seguita dal rumore della tastiera del pc: «Abbiamo una rapina.»
«Una rapina?»
«Ehi, campione. Hai detto che volevi allenarti nel combattimento, no?» gli chiese l’americano, sentendolo sospirare: «Allora, truppa! Ci siete tutti?»
«Ti rendi conto che per dei…dei…» Volpina sbuffò, facendo ridacchiare Alex: «Per dei cosi inutili ci hai chiamato tutti e sette?»
«Non potevo mandare Hawkmoth da solo. E poi dovete iniziare a imparare a muovervi come gruppo…»
«Lo sappiamo già fare, nerd dei miei stivali di pelle italiana.»
«Anche con Hawkmoth? Dimmi, Volpina, sai già come combattere con lui in gruppo?»
«Odio quando hai ragione.» bofonchiò l’italiana, suscitando l’ilarità di Alex: «Tortoise, puoi dirgli qualcosa?»
«E cosa?»
«Volpina ha dato ragione a qualcuno? Siamo alla fine del mondo?»
«Vorrei prima sposarmi, pennuto.» bofonchiò Chat, sorridendo gongolante: «E, come tutti sapete, ciò succederà…»
«Lo sappiamo, micetto. Lo sappiamo.»
«Tortoise…» Peacock si avvicinò all’amico, tenendo sotto controllo l’italiana: «E’ per caso in quel periodo del mese? No, perché mi sembra più nervosa del solito e…beh, sono abituato a Bee…»
«Bee cosa?» domandò l’eroina in giallo, incrociando le braccia e fissando il parigino: «Hai qualcosa da dire, Peacock?»
«Assolutamente niente.»
«Bee, se è possibile, non ammazzarlo: non ho voglia di trovarmi un altro testimone.»
L’ape si voltò, fissando sorpresa Chat Noir e aprendo la bocca per dire qualcosa, scuotendo poi il capo: «Da quando in qua lo proteggi?»
«Da quando è il mio testimone?»
«Mi proteggi solo perché ti faccio comodo, eh gattaccio?»
«Ovviamente.»
«Potete finirla?» sospirò Ladybug, portandosi una mano alla fronte e massaggiandosela: «Peacock, lascia in pace Volpina. Chat e Bee, lasciate in pace Peacock. Perché ho la sensazione che Hawkmoth sia più adulto di tutti voi?»
«Più adulto?» domandò Chat Noir, indicando il ragazzino al fianco della coccinella: «Al momento ha un cellulare in mano e…ehi, Hawkmoth. Che stai facendo?»
«Ehi, ho tre pokestop qui sotto. Sto facendo scorta di sfere, mentre voi parlate.»
Ladybug rimase a fissare il compagno a bocca aperta, voltandosi poi verso il resto del gruppo: «Sta…»
«Sta giocando a Pokemon Go. E mi sembra una bella idea! My lady, hai idea di quante uova potrei schiudere in questo modo?»
«No, scusate! Perché non è mai uscito fuori questa cosa che si gioca a Pokemon Go?» tuonò Alex negli auricolari di tutti: «Pretendo spedizioni punitive di…Ehi, aspettate. Di che Team siete?»
«Mystic.» rispose prontamente Hawkmoth, riponendo il cellulare in uno dei tanti passanti della sua cintura.
«Instict.»
«Traditori della patria.»
«Direi che il nostro Mogui è Valor.»
«L’hai detto micetto!»
«Possiamo andare?» sbuffò Volpina, indicando la direzione che Alex aveva detto loro all’inizio: «Non vorrei passare tutta la giornata su questo tetto.»
«Volpy, di che team sei?»
«Valor!»
«Brava, volpe!» sentenziò Alex, mentre il gruppo di eroi si metteva nuovamente in marcia: «Ovviamente noi valor siamo…»
«I migliori sono gli Instict» lo interruppe Chat, saltando dalla parte opposta della strada e aggrappandosi al cornicione del palazzo: «Vero, my lady?»
«Ecco…come dire…»
«My lady, cosa mi stai dicendo?»
«Che ho rifatto l’account e ho scelto il team Valor?»  domandò Ladybug, lanciando lo yo-yo e, facendo leva su un comignolo, saltò iniziando a correre per tutta la lunghezza del tetto, seguita da una ridacchiante Volpina.
«Questo è alto tradimento!» sbottò Chat Noir, voltandosi verso gli altri: «Voi che team siete? Tanto lo so che avete l’app!»
«Io no.» sentenziò Tortoise, poggiando una mano sulla spalla di Chat e sorridendogli: «Ma sarei felice di entrare nel tuo gruppo, amico.»
«Tortoise, sapevo che tu non mi avresti deluso. Peacock?»
«Spiacente, amico. Sono Mystic.»
«Traditore…» bofonchiò il felino, scuotendo il capo e voltandosi verso Bee: «Posso sperare…»
«Sono Instict, Chat. Tranquillo.  Hai almeno me dalla tua parte.»
«Che bello sentirlo dire, Bee. Ti abbraccerei quasi.»
«Ecco: quasi, micetto!» bofonchiò Peacock, incrociando le braccia e assottigliando lo sguardo: «Non vorrei menarti…»
«Vorrei ricordarti di quando un certo pennuto…»
«Fermi tutti! Ho catturato un Blastoise!» tuonò Hawkmoth, guardando il cellulare e poi alzando la testa, regalando un sorriso di pura gioia a tutti: «Ed ha pure degli ottimi PL!»
«La prossima volta mi porto il cellulare dietro pure io.» dichiarò Chat Noir incrociando le braccia e annuendo con la testa, mentre Hawkmoth riponeva per la seconda volta il suo: «Devo solo trovare una cintura come la tua. Dove l’hai comprata, amico?»
«Vogliamo andare o no?» tuonò Volpina, poco distante dal resto del gruppo e rimanendo a osservarli in attesa: «Dovremmo già essere là, ma no! Uno si ferma a giocare, gli altri fanno salotto e siamo ancora qui…»
«Sei veramente nervosa oggi.» commentò Ladybug, portando su di sé l’attenzione della compagna: «Qualche problema?»
«Niente di che. Dopodomani devo solo andare a cena  con il mio compagno e mia madre. Yuuh!»
«Direi che questo è un bel problema.»
«Non ne hai idea.»
«Vuoi parlarne?»
Volpina sorrise, annuendo con la testa e sospirando: «Magari davanti una bella tazza di caffè e senza maschere? Vorrei evitare di fare nomi che potrebbero mettere in pericolo le nostre identità…»
«Quando vuoi.»
«Grazie, LB.»
«Siamo amiche, no?»
«Giusto. Siamo amiche.»
«Di che parlate?» domandò Bee, atterrando vicino a loro e sorridendo a entrambe: «Roba privata o…»
«Appena possibile, ho bisogno del vostro sostegno per la cena imminente.»
«Casa mia, stasera? Vi può andare bene?» domandò l’eroina in giallo, facendo passare lo sguardo dall’una all’altra: «Serata fra supereroine?»
«Ci sto, ape.»
«Ehi, posso venire anch’io?» domandò Alex attraverso gli auricolari: «Giuro che mi vesto da donna e vi dirò di quanto sia dura farmi durare la manicure passando tutto il giorno al pc!»
«Ah. Ah. Divertente.»


Willhelmina osservò il suo assistente, mentre le posava sulla scrivania fascicoli su fascicoli: «Hai finito?» domandò, notando l’uomo sorriderle e intrecciare le mani all’altezza dell’addome: «Perché qua c’è ancora un angolino vuoto.» dichiarò, indicando una porzione della scrivania in vetro ancora libera.
«Molto divertente, Willie.» dichiarò l’uomo, sbattendo le palpebre senza che il sorriso scivolasse via dal suo volto: «Sono gli ultimi resoconti per la prossima collezione autunno-inverno.»
«Tutti questi fogli per una manciata di vestiti?» domandò la donna, posando i gomiti sul piano e il viso contro i pugni chiusi, osservando i fascicoli davanti a lei e scuotendo la testa.
«Quando lo capirai che una collezione non è solo una manciata di vestiti?» sbottò Maxime alzando gli occhi al cielo: «Ci sono le analisi dei rivali, le indagini sulla tua clientela abituale e, cosa più importante, gli ultimi dati del trend book.»
«Maxime, davvero, tu riesci a rendere noiosa una cosa fantastica come creare abiti…» bofonchiò Willhelmina, spostando lo sguardo verso il proprio cellulare e vederlo illuminarsi: «Mi stanno chiamando.»
«Prometti che darai un’occhiata? Soprattutto al trend book e…»
«Lo prometto, lo prometto.» bofonchiò la donna, facendogli cenno di uscire dalla stanza: «Dimmi che stai per propormi di andare a bere qualcosa di forte.» esclamò, una volta accettata la chiamata e sentendo ridacchiare Sophie dall’altra parte: «Ho bisogno veramente di alcol in questo momento.»
«E’ successo qualcosa di grave?»
«Solo quell’essere alieno che è il mio assistente.» bofonchiò la donna, sentendo l’altra sorridere: «Allora, per che cosa devo la tua chiamata?»
Sophie smise di ridere e un sospiro raggiunse le orecchie della stilista: «Scusami, ero sola in casa e ho iniziato a pensare e…Adrien è con gli altri per fare una sessione di allenamento con Thomas e Gabriel deve essere in una zona dove non ha campo e…»
«Sophie, cosa è successo?»
«Nulla di cui preoccuparsi» sentenziò la donna dall’altra parte del telefono: «Stavo solo notando come questo periodo di calma sia strano. Non credi? Insomma, questo nemico che uccide i sottoposti di Maus e poi sparisce nel nulla è…»
«Strano. Sì, l’hai già detto.» Willhelmina inspirò profondamente, lasciandosi andare contro lo schienale della poltrona e osservando la scrivania piena di fogli: «Posso comprendere benissimo la sensazione…» mormorò, tamburellando le dita sul vetro: «E non mi piace. Anche se non sono in prima linea, è snervante rimane così: in attesa di un qualcosa che non si sa quando e se accadrà. Non sappiamo nemmeno chi colpirà…» sospirò, spostando lo sguardo verso il soffitto: «Anche se erano ombre di Chiyou, ho sempre saputo chi dovevo combattere, mentre adesso…»
«C’era certezza…»
«E adesso siamo qui, in questo limbo ad attendere un nemico che non ha volto e usa le ombre meglio di quanto facessi io.»
«Secondo te…»
«Secondo me i ragazzi lo prenderanno a calci nel didietro. Ne sono certa. Ho fiducia in loro.»
«Giusto.»
«Fai la brava mamma, Sophie. E supporta tuo figlio in questa battaglia, senza preoccuparti più di tanto: sono ragazzi in gamba, sapranno cosa fare.»
«Hai ragione. Anche se l’ansia…»
«Prende il sopravvento. Lo so benissimo.» sospirò Willhelmina, guardando il lavoro che Maxime le aveva messo davanti: «E ora sarà il caso che mi metta sotto: quell’alieno del mio assistente sa essere malvagio, se non faccio il mio dovere. Avrei dovuto assoldarlo come mio sottoposto, quando ero Coeur Noir.»
«Buon lavoro. E scusami se ti ho interrotta.»
«Figurati. Siamo amiche, no?»


«Muoviti!» ringhiò uno dei due criminali, tenendo sotto tiro l’addetto, dall’altra parte dello sportello, mentre il compagno infilava più velocemente possibile le mazzette di banconote: «Non abbiamo tanto tempo! Hanno…»
«Ciao, ragazzi!» esclamò una voce allegra maschile, l’uomo si voltò incontrando la figura di Peacock che, comodamente poggiato contro i pannelli li osservava divertito: «Ancora a rapinare banche? Ma non vi avevamo preso qualche tempo fa mentre…»
L’uomo puntò la pistola verso l’eroe, ma uno yo-yo si avvolse attorno alla mano e la strattonò all’indietro, facendogli perdere la presa sull’arma: «Li conosci, Peacock?» domandò Volpina, avvicinandosi e assestando un calcio alle gambe dell’uomo, osservandolo cadere: «Compagno di bevute?»
«Nah. Poco prima del vostro ritorno dalle vacanze li abbiamo fermati mentre cercavano di forzare un bancomat.» spiegò l’eroe, osservando la nuova recluta assestare due colpi ben decisi con i suoi boomerang all’altro, facendolo crollare: «E bravo il nostro Hawkmoth!» si complimentò, mentre il ragazzino alzava il volto, sorridendo.
«Come sono andato?»
«Veramente bene, Hawkmoth.» si complimentò Ladybug, avvolgendo il filo e voltandosi verso il tenente Raincomprix: «Sono tutti vostri.» sentenziò, indicando il duo di ladri: il poliziotto annuì, prendendo le manette e mettendole a uno dei due, facendo cenno a un collega di fare altrettanto: «Spero che questa sia l’ultima volta che li meniamo.»
«Stavolta non riusciranno a evadere.» ringhiò il poliziotto, osservando i due ladruncoli e poi voltandosi verso i suoi uomini, sberciando un po’ di ordini: gli eroi rimasero fermi, osservando le forze dell’ordine portare via i due malviventi.
«Devo dire che non mi piace vincere così facilmente…» mormorò Chat Noir, affiancando l’eroina e sbadigliando: «In pratica non abbiamo fatto niente.»
«Finito?» domandò la voce di Alex negli auricolari e facendo sobbalzare tutti: «No, perché il sottoscritto avrebbe un appuntamento con la più bella ragazza di tutta Parigi e…»
«Spiacente, amico. La più bella ragazza di tutta Parigi è mia.» decretò il felino, facendo l’occhiolino a Ladybug: «Magari stai per uscire con la seconda più bella…»
«Come vuoi. Io vado, eh! Ci sentiamo stasera!»
«Direi che è andato.» dichiarò Tortoise, portandosi una mano all’orecchio e sentendo solo un fruscio: «Che facciamo adesso?»
«Caffè?» propose Volpina, osservandoli uno per uno: «Chi è con me?»
«Tu e la tua fissa per il caffè.» bofonchiò Peacock, facendo cenno all’italiana e indicando l’uscita: «Che poi andiamo da Starbucks e prendi, come al solito, uno di quei beveroni dove il caffè non c’è nemmeno per sbaglio.»
«Ovvio, sono abituata al caffè italiano! Non berrei mai quella schifezza!»
«E allora perché vuoi sempre andare lì?»
«Perché mi piacciono quei beveroni. Semplice.»
«C’è una logica nel tuo discorso. Devo solo capirla.»
«Non sforzare tanto il tuo cervello da piumino.»
«Volpina…» sospirò Tortoise, affiancando la ragazza e scuotendo il capo: «Cosa ti avevo detto?»
«Di non mostrare la mia superiorità?»
«Di non sfogare il tuo nervoso su Peacock e Chat.»
«Per fortuna che abbiamo Tortoise che ci protegge da quella strega.» dichiarò Chat Noir, ghignando: «Beh? Andiamo a bere questo caffè o qualsiasi cosa sia? Qua abbiamo un matrimonio a cui pensare.»


Quel giorno lo avrebbe fatto.
Xiang alzò la testa, osservando il ragazzo che stava camminando verso di lei: Alex stava giungendo ignaro di ciò che gli sarebbe capitato.
Si alzò, abbozzando un sorriso e notando lo sguardo di lui scintillare dietro le lenti quadrate degli occhiali: «Scusami per il ritardo!» esclamò, non appena fu giunto davanti a lei: «Ho dovuto aiutare un amico e…»
«Nessun problema.» mormorò Xiang, scuotendo la testa e chinando lo sguardo verso il basso, stringendo le mani una con l’altra: doveva farlo. Doveva assolutamente farlo.
«Vogliamo andare? Altrimenti facciamo tardi per l’inizio del film…»
«Certo.» mormorò, alzando la testa e osservando Alex darle le spalle: ecco, era il momento giusto. Socchiuse gli occhi e gli assestò un colpo deciso alla nuca, guardandolo crollare a terra esanime: «Perdonami.» mormorò, chinandosi al suo fianco e scostandogli una ciocca di capelli dalla fronte: «Ma devo farlo.»


Felix sbuffò, leggendo velocemente il comunicato stampa che era arrivato al partito e massaggiandosi la fronte: era stata una giornata pesante passata a evitare l’ennesima intervista della Chamack, revisionando poi il bilancio del partito e approvandolo.
Aveva solo bisogno di riposo e invece ecco una nuova gatta da pelare…
«Ma chi me l’ha fatto fare?» bofonchiò, passandosi una mano fra i capelli biondi e spettinandoli: ah, giusto. Avrebbe dovuto andare dal parrucchiere perché, secondo il suo segretario, i capelli stavano diventando troppo lunghi e alcuni elettori non gli avrebbero dato il voto.
Un’immagine sciatta può essere sinonimo di una gestione sciatta, aveva detto.
Il suo cellulare squillò e subito un nuovo sospiro si levò dalle labbra di Felix, non appena vide chi lo stava chiamando: «Dimmi, Bo.» bofonchiò, incastrando il cellulare fra la spalla e la guancia e recuperando una penna in modo da sottolineare le parti che più lo interessavano del comunicato: il cinese che aveva raccattato poco tempo prima, assieme ad altri due – tre fratelli, a quanto aveva capito – iniziò a parlare agitato e Felix dovette concentrarsi totalmente per tradurre dal cinese ciò che gli stava dicendo: «Cosa ha fatto, Xiang?» tuonò, alzandosi e osservando il cellulare cadere per terra, lo recuperò immediatamente e si accertò che non ci fosse niente di rotto: «Bo. Ehi, Bo. Sei ancora li? Dille che sto tornando immediatamente. Anzi no, non dirle niente. Quella…quella…» Felix si zittì, sentendo il cinese riprendere a dirgli di nuovo tutto da capo.
Ah. Giusto.
Non parlava francese.
Ringhiò e, mentre indossava il giaccone, ripeté nuovamente tutto in cinese.


«Le pedine si stanno posizionando tutte…» mormorò, osservando la città e toccando la collana, sentendo l’energia del Quantum attraversarlo: «Presto l’antica guerra avrà nuovamente inizio e stavolta finirà in maniera completamente diversa.» mormorò, carezzando le maglie del serpente di metallo che teneva adagiato attorno al collo.
Questi si animò e alzò la testa triangolare, puntandola verso la città e soffiando nella sua direzione: «Sì. Presto avrai la tua vendetta sui Sette Dei, mio caro amico. Presto.»

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.833 (Fidipù)
Note: Salve salvino, eccoci qua con il nuovo aggiornamento di Miraculous Heroes 3. Leggendo e rileggendo i vostri commenti (Sì, mi piace rileggerli), ho notato quando Xiang non piaccia e sono felice perché ciò significa che sto facendo una buona caratterizzazione del personaggio: Xiang è orgogliosa e indossa un paraocchi che le permette di vedere solo davanti a sé, ha deciso la sua missione e la porterà a termine (o forse no?). Penso di averle dato la mia testardaggine, al momento della creazione, ma Xiang è già in fase di cambiamento (come fece a suo tempo Rafael, così odiato all'epoca di Miraculous Heroes). Un cambiamento che è tutto dovuto ad Alex...quindi....mh. Dovrei fare un capitolo in Scene, di ciò, ora che ci penso.
Beh, per chi si aspettava le botte da orbi, penso si troverà un'amara sorpresa perché più che far valere le proprie motivazioni con la battaglia, ho dato libero campo alle parole e alle spiegazioni (che, più che in questo, ci saranno nei prossimi capitoli).
E niente...
Date una chance a Xiang, ok?
Detto ciò, come sempre, vi voglio ringraziare per il fatto che leggete le mie storie e le inserite in una delle vostre liste, per i vostri commenti e...beh, per tutto!
Grazie mille di tutto cuore.
E ci vediamo al prossimo capitolo!



Sarah si appoggiò al banco della cucina, osservando il ragazzo accanto a lei mentre sbatteva con velocità le uova in una zuppiera: «Che c’è?» le domandò Rafael, versando una parte del composto nella padella riscaldata e iniziando a muoverla, in modo che l’uovo coprisse l’intera superficie.
«Niente.»
«Mi stai fissando.»
«Hai problemi con la gente che ti fissa?»
Rafael abbozzò un sorriso, regalando un’occhiata veloce alla ragazza e tornando poi a concentrarsi sulla futura omelette: «Cosa c’è?» domandò nuovamente, allungandosi e prendendo un mestolo di legno, iniziando a scostare il contorno della frittata: «Quando mi fissi così a lungo, vuoi sempre chiedermi qualcosa.»
«Sei stato anche con una cuoca?»
«Sarah!»
La ragazza sorrise, notando le guance di lui che si erano lievemente arrossate: «Non capisco perché, quando ti ho detto che Lila e Marinette sarebbero venute qui stasera, hai dovuto prendere possesso della mia cucina…»
«Perché la tua alternativa di cena sarebbe stata cibo ad asporto.»
«Che problemi hai con il cibo ad asporto?»
«Che problemi hai con il cucinare?»
«Nessuno. So cucinare, sai? Anche se tu mi prendi sempre in giro…»
«La cucina americana non è cucina. Semplice. Non è prendere in giro, è un dato di fatto! Chiedi a Lila…»
«Lila mi ha già fatto un discorso sul fatto che, in America, roviniamo la cucina italiana. Grazie, vorrei evitare il secondo round.» bofonchiò Sarah, incrociando le braccia e fissandolo con il broncio: «E, comunque, so cucinare. La so fare anche io una frittata…»
«Omelette.»
«Quel che è.»
Rafael sospirò, allungandosi verso il pensile dove Sarah aveva riposto i piatti e prendendone uno: lo posò sopra la padella e poi, velocemente, girò il tutto e sistemò l’omelette nella padella dalla parte che doveva ancora cuocere: «Non capisco perché te la prendi. Dovresti essere contenta di avere uno schiavo che cucina per te…»
«Non capisco perché cucinare quando si può tranquillamente ordinare qualcosa…»
«Sarah, cosa hai mangiato ieri?»
«Cinese.»
«E l’altro ieri?»
«Qualcosa di surgelato.»
«Mai pensato che la tua dieta sia squilibrata?»
«Dovresti vedere quella di mia madre…» commentò la ragazza, mettendosi a sedere sul bancone della cucina e fissandolo: «Non capisco perché cucinare quando sono sola. Lo reputo uno spreco di tempo.»
«Ma oggi non sei sola…»
«Sono Lila e Marinette.»
«Sarah, questo discorso ha un fine o lo stai facendo solo per farmi impazzire?»
La ragazza aprì la bocca, ma il campanello fece morire ogni risposta da parte di lei: «Salvato dal campanello.» dichiarò, balzando giù e andando ad aprire: Rafael rimase in cucina, sistemando il formaggio e le verdure sull’omelette e richiudendola, lasciandola cucinare un altro po’.
«Oh. Mi piacciono certe visioni…» commentò la voce di Lila, facendo sorridere il ragazzo: «Seriamente Rafael questi pantaloni fanno un effetto decisamente bello al tuo lato b.»
«Ciao, Lila maniaca.» la salutò il moro, voltandosi appena: «Mai visto un paio di jeans? Mi sembra che Wei li porti ogni tanto…»
«Sì, ma purtroppo – per quanto meraviglioso Wei sia – non ha il tuo stesso lato b, amico mio.»
«Lila, piantala.»
«Gelosa, Sarah?»
Rafael ridacchiò, sistemando l’omelette pronta su un piatto e mettendosi al lavoro sulla seconda: «Dovresti vederla. L’ultima volta è quasi saltata al collo di una sua compagna di università perché…»
«Ehi. Quella era stata con te.»
«Rafael, cosa hai fatto alla nostra dolce e innocente Sarah?» domandò divertita Lila, sistemandosi al tavolino e fissando l’americana: «Mi ricordo com’eri quando ti ho conosciuto: dolce, carina, gentile. E ora sei…sei…mh. Mi ricordi un po’ me.»
«E questo è male, tanto male.» bofonchiò Rafael, voltandosi e additando la propria ragazza con il mestolo: «Fai reset e torna come prima.»
«Cosa?»
«Non voglio un’altra Lila nei dintorni. Forza. Torna la mia Sarah.»


Wei sorrise all’uomo che aveva aperto la porta, diventando immediatamente serio non appena vide lo sguardo preoccupato del maestro: «C’è qualcosa che non va?» domandò, entrando nell’abitazione e togliendosi il soprabito.
Fu scosse il capo, lasciando andare un sospiro: «Pensavo fosse Alex.» bofonchiò l’ometto, facendogli cenno di andare nella sala principale della casa: «Ma lui non avrebbe suonato…»
«Oggi aveva un appuntamento, no?»
«Sì. Penso sia ancora con quella ragazza.» continuò Fu, accomodandosi al tavolino basso e tamburellando le dita sul legno: «Quindi credo sia inutile preoccuparmi. E’ Alex, cosa può succedergli?»
«Che una donna, posseduta da uno spirito maligno cinese, gli inserisca un cristallo nero e lo soggioghi con il suo potere?» domandò Wei, divertito: «Sicuramente è con quella ragazza. Mi sembrava molto preso…»
«Oh. Lo è, lo è. Mi ha fatto ammattire a furia di osannare la sua bella.» bofonchiò l’anziano, alzando gli occhi al cielo: «E la tua dov’è?»
«Con Marinette e Sarah.»
«Una serata di riposo, eh?»
«Non capisco perché tutti pensiate che stare lontano da Lila sia…» Wei si fermò, massaggiandosi il mento: «…la cosa migliore. Io non la vedo così.»
«Perché tu pensi con altre parti che non sono il cervello.»
«O forse perché Lila non è il demone che tutti dipingete.»
«Ne sei certo?»
«Sicurissimo.»
Fu annuì, spostando lo sguardo sull’orologio e lasciando andare un sospiro: «Do ancora un’ora a quel ragazzino, poi sguinzaglio voi sette per tutta Parigi, finché non lo trovate.»


Lila gemette, buttando giù l’ultimo boccone dell’omelette: «Quel ragazzo ha le mani d’oro…» mormorò, sospirando e chiudendo gli occhi, mentre il sapore delle uova, del formaggio e della verdura si mescolava nella bocca: «Se gli va male come modello e con l’economia, ha il futuro nella cucina. Garantito.»
«Non fosse che è così fissato nel farmi mangiare…»
«Come fissato nel farti mangiare?» domandò Marinette, scambiandosi un’occhiata con Lila: «Puoi…»
«Ogni volta che viene si mette sempre a cucinare perché, secondo lui, non posso campare di cibo precotto o da asporto.»
«Beh, non è che ha torto, Sarah.» commentò Lila, sorridendo: «Anche se io devo essere l’ultima a parlare: avrei la tua stessa dieta, se non fosse per Wei.»
«Grazie mamma e papà, per avermi insegnato a sopravvivere!»
«Ehi, mia nonna ci ha provato a insegnarmi a cucinare ma…»
«Non è colpa sua se sei una calamità naturale ai fornelli.» concluse Vooxi per l’italiana, agitando la forchetta per aria con un pezzo di carne infilzata: «Ormai in casa vige la regola ‘Lila deve stare lontana dalla cucina’, perché potremmo morire tutti quanti. E noi kwami siamo immortali, dico tutto!»
«Qualcuno qui non vuole l’edizione illustrata di Animali fantastici e dove trovarli…» cantilenò Lila, osservando il proprio kwami con un sorriso mefistofelico in volto: «Potrei dire al commesso che non la prendo più e…»
«No. Lila. Ti prego, non farlo. Ritiro tutto quello che ho detto! Davvero!»
Marinette sorrise, osservando il kwami iniziare a pregare la propria umana e quest’ultima che si era voltata dalla parte opposta: «Sei più calma, adesso.» constatò, notando che Sarah annuiva con la testa: «Oggi eri così nervosa…»
«Wei mi ha fatto calmare.»
«Ho paura a chiederti come.»
«Fidati, non vuoi saperlo.»
Vooxi sbuffò, fluttuando a mezz’aria con le zampette incrociate: «Fidati, nemmeno io avrei voluto saperlo.»
«Vooxi…»
«Non ho detto nulla! Nulla!»
«Povero Vooxi.» mormorò Mikko, ridacchiando con Tikki: «Che cos’è Animali fantastici comunque?»
«Un capolavoro, Mikko!» dichiarò il kwami della volpe, volando dalla compagna e passandole una zampetta attorno alle spalle, tirandola contro di sé: «Un film del mondo di Harry Potter dove viene narrata l’avventura di Scamander, uno degli autori di uno dei libri di Harry…»
«Bello.»
«A Mikko non interessa, a meno che non ci sia una storia d’amore.» commentò Sarah, ridacchiando: «Mi sembra che ci sia o che comunque sia accennata…»
«Sì, fra un babbano e una strega.» commentò Vooxi, osservando la compagna: «Ancora devo capire perché devi essere così fissata con l’amore. Sei fuggita da un matrimonio.»
«Combinato! Io non amavo il mio promesso, te l’ho già detto! E ho sempre sognato quel sentimento che…» Mikko si fermò, indicando Tikki: «Plagg si è offerto volontario per amore! E quanti nostri Portatori abbiamo visto soffrire e gioire per questo sentimento, eh?»
«Plagg non si è offerto per amore…»
«Tikki. Per favore, ero il suo compagno di bravate e bevute: non avrebbe mai fatto quella scelta, se non fosse stato per te.» commentò il volpino: «Forse da ubriaco. Forse. Ma era completamente sobrio quando ha scelto di seguirti.»
«E adesso sono finalmente riuniti dopo tanto tempo, perché i loro Portatori si amano. Capisci quanto forte è l’amore?»
«I Portatori di Plagg e Tikki si amano ogni volta. Questa volta sono stati più fortunati perché sono insieme e nessuno è morto.»
«Vooxi, perché non vai a farti uccidere da quelli di Routo?»
«Forse perché Routo non esiste più, Mikko?»
«Dimmi che non sono l’unica a vedere una futura coppia fra i nostri kwami, Sarah.»
«Sarebbero carini assieme.»
«Cosa?» sbottarono i due kwami, indicandosi a vicenda: «Non esiste!»
Lila ridacchiò, osservando i due spiritelli con lo sguardo indignato: «Sapete, le migliori coppie iniziano sempre così…»


Rafael poggiò la cassa di bottiglie assieme alle gemelle, stirandosi poi i muscoli delle braccia e sbuffando: era andato al locale di Alain con l’intenzione di bersi qualcosa e poi andare a casa, ma l’uomo lo aveva incastrato e costretto al lavoro.
«Il maestro Fu ti sta chiamando.» lo informò Flaffy, volando verso di lui con il cellulare in mano: «E’ la seconda chiamata che fa.»
Rafael annuì, prendendo il telefono e accettando la chiamata: «Maestro?» domandò, ascoltando la voce dell’anziano dall’altra parte: «Cosa? Alex? No, è da oggi che non lo sento. Aveva un appuntamento con la sua ragazza e…cosa? Non è tornato a casa? Beh, magari è ancora con lei…lo sa, che da cosa…sì, va bene. Ok. Mi chiami se non torna entro domattina. Ok. Arrivederci.»
«Problemi?»
«Alex non è ancora  tornato a casa.» mormorò Rafael, sorridendo: «Magari il nostro amico sta facendo un po’ di attività al momento. Non credi?»
«Che genere di attività?»
«Fa finta che non ti abbia detto niente, Flaffy.»


«Puoi smettere di guardare il cellulare? Mi metti ansia.» bofonchiò Plagg, osservando il biondo: «Quando Marinette torna a casa, ti chiami e potrai andare a sfogare la tua voglia repressa. Che poi repressa…lo avete fatto anche stamattina, prima di tornare qua.»
«Sbaglio o sei molto informato?»
«Sai com’è…» borbottò Plagg, girandosi annoiato verso il cellulare e osservandolo illuminarsi: «Oh. Una chiamata.»
«Mari…ah no. E’ il maestro Miyagi.» mormorò Adrien, rispondendo e azionando il vivace: «Salve, maestro! Come va il ‘dai la cera, togli la cera’?»
«Ah ah ah. Molto divertente.»
«Ci provo. A cosa devo la sua chiamata?»
«Da quanto non senti Alex?»
«Da…» Adrien si fermò, alzando lo sguardo verso il soffitto: «Oggi pomeriggio? Abbiamo fatto quel piccolo allenamento con Thomas e poi è uscito di corsa per andare all’appuntamento con la più bella ragazza di Parigi. La seconda, ovviamente. La prima è Marinette. Perché?»
«Non è tornato.»
«Si starà dando alla pazza gioia con una che ci sta.» commentò Plagg, lanciando in aria una pallina di camambert e aprendo la bocca, recuperandola: «Insomma, non è che ha grandi possibilità e ora che ne ha trovata una…»
«La stessa cosa che ha detto Rafael.»
«Tornerà, maestro. Alex torna sempre.»
«Ok. Grazie, Adrien.»
«Di niente, maestro.»


Felix sospirò, passandosi una mano fra i capelli e osservando la ragazza seduta sul divano: «Io…» iniziò, fermandosi e inspirando profondamente: «Mi sembrava di averti istruito su ciò che si può fare e non fare, no? Quando sei arrivata qui, intendo. E rapire una persona è fra le cose da non fare, Xiang.»
«Non lo terrò qui molto. Giusto il tempo di farmi consegnare i Miraculous e…»
«Ancora?» sbottò Felix, alzando le mani e abbassandole in un gesto frustato: «Maledizione, Xiang! Perché sei così fissata con il volere prendere i Miraculous? Ti ho già detto che i Portatori…»
«Sì, sono in gamba.» assentì la ragazza, alzandosi in piedi e osservandolo: «Alex mi ha parlato di loro e mi ha raccontato le loro gesta. Certo, senza dirmi che sa chi sono e fa parte del gruppo. Hanno fatto un bel lavoro e…»
«E devi lasciare che siano loro a gestire la cosa.»
«No! Non voglio. Sono persone innocenti e fantastiche, non voglio che loro siano in pericolo.»
«Xiang!»
«Questo è un problema che è nato per colpa della mia gente, che non ha saputo rinunciare al potere di quel gioiello, una volta che è giunto a noi. Sono io che devo rimediare, non loro.» mormorò Xiang, battendosi il pugno contro il petto e osservando l’altro agitata: «E’ una guerra di Shangri-la e loro non devono entrarci, io non voglio che loro…»
«Come sei passata da ‘non sono degli di portare i Miraculous, quindi li prendo io’ a ‘Devo proteggerli, perché questo è un guaio di Shangri-la’? Xiang, tu…»
«Ciò che si abbatterà su questo mondo, se non porto i Miraculous, a Shangri-la è qualcosa di…» la ragazza si fermò, scuotendo la testa: «Potrebbero perdere la vita, Felix.»
«E’ una cosa che si mette in conto, quando combatti il male. Sai?» mormorò l’uomo, sorridendo triste: «Quando combattevo le ombre di Chiyou sapevo che ogni battaglia poteva essere l’ultima e così anche quando prestavo servizio nell’esercito inglese. Posso comprendere che, dall’alto della tua vita millenaria, ci reputi tutti bambini e incapaci ma…» l’uomo si fermò, abbozzando un sorriso e allungando una mano e stringendo quella della ragazza: «…non offendere così il coraggio e la forza di quei ragazzi. Hanno fatto grandi cose e sono certo che sapranno cavarsela anche stavolta.»
«Io…»
«E poi hanno la figlia di Shangri-la dalla loro parte.» commentò Felix, sorridendole e carezzandole i capelli: «Fidati del tuo paparino che è completamente in disaccordo con questo rapimento, quindi una volta spiegato tutto portiamo quel poveraccio da Fu. Da quanto è svenuto, piuttosto? Ci manca solo che, invece di fargli perdere i sensi, lo hai ucciso.»
«Ho controllato la mia forza.» bofonchiò Xiang, stringendosi nelle braccia: «E comunque lui me li ha fatti conoscere, mi ha raccontato le loro vite ed io…»
«Ti sei affezionata, eh? A quel ragazzo e agli altri, vero? Uao, Xiang è diventata umana.»
«Io non…»
«Andiamo, regina dei ghiacci perenni. Dillo al tuo paparino.»
«Paparino?» domandò la voce sconvolta di Alex, facendo voltare i due verso la porta d’ingresso della sala: «Lui è tuo padre?» domandò, indicando Felix e guardando Xiang in attesa di risposte: «E dove mi trovo? Perché sono qui?»
«Oh. Non è morto.» commentò Felix, sorridendo e alzandosi in piedi: «Ottimo, possiamo depennare omicidio dalla tua lista di reati.»
«Io non ho commesso nessun reato.»
«Il rapimento è reato, Xiang.»
«Ehi. Yuuh. Persona che vuole sapere qui.»
«Giusto.» Felix annuì, intrecciando le mani dietro la schiena e sorridendo affabile al ragazzo: «Prima di tutto, lascia che mi presenti: mi chiamo Felix Norton e…beh, Xiang immagino che già la conosci, no? Ecco, la nostra adorabile ragazza qua, ti ha rapito per chiedere, come riscatto, i Miraculous.»
Alex sbatté le palpebre, osservando i due con un sorriso ebete in volto: «Penso di non aver compreso bene…» mormorò, voltandosi verso Xiang e indicandola: «Mi hai rapito?»
«Già.»
«Perché vuoi i Miraculous?»
«Sì.»
Alex inspirò profondamente, annuendo con la testa: «Tu sai cosa sono i Miraculous? Tu sai tutto?» domandò portandosi le mani alla testa e osservando sconvolto la ragazza: «Sei quella che controllava le ombre e ha ucciso gli uomini di Maus? Oh, fantastico! Sono di nuovo stato catturato dal nemico! Ma che problemi hanno con me questi cattivi? Catturiamo tutti Alex!»
«Cosa? No, anche io combatto il Dì ren.»
«Chi?»
«Colui che controlla le ombre.» spiegò Xiang, facendo un passo verso Alex e fissandolo: «Ha ucciso il mio mentore ed io l’ho seguito fino a qua, mi sono avvicinata perché volevo prendere i Miraculous per portarli in un luogo sicuro e proteggerli, ma…ecco io…»
«Ok. Un passo per volta. Sei veramente cinese?»
«Sì. Più o meno. In  verità la mia patria è Shangri-la.»
«Shangri-la? Quella Shangri-la?»
«Esattamente.»
Alex annuì ripetutamente con la testa, avvicinandosi al divano e lasciandosi cadere: «Ok. Vieni da Shangri-la. Quanti anni hai?»
«Secondo il vostro metodo di calcolare il tempo, dovrei avere qualcosa come tre, quattromila anni.»
«Ah.»
«Alex, io…»
«E’ una fortuna che mi piacciono più mature, no?»
«Più mature?»
«Le donne, no? Mi piacciono mature.»
«Sta dando i numeri, Xiang.»
«No, sto semplicemente cercando  di collocare tutto nel giusto ordine.» spiegò Alex, annuendo: «Ormai penso di averne viste veramente parecchie e non mi stupisco più di niente. A proposito, come ha detto che si chiama?»
«Felix Norton.»
«Oh. Che buffo. Anche quello che piaceva alla babbiona si chiamava…» Alex sgranò lo sguardo, osservando l’uomo e additandolo con bocca aperta: «Lei…lei…lei dovrebbe essere morto!»
«Eh già.»
«E’ uno zombie? Figo!»
«Non sono uno zombie! Ti sembro che vado in giro a fa ‘uaaah’ e a mangiare cervelli?» sbottò Felix, imitando brevemente uno zombie e fissando l’altro: «E’ una lunga storia.»
«Penso che sarà una lunga notte…» commentò Alex, allargando le braccia e voltandosi poi verso Xiang: «E tu sei in debito di un appuntamento a modo. Col cavolo che considero questo come appuntamento.»
«Ma…»
«Ah. E niente furti di Miraculous, rimangono dove sono.»
«E fu così che la  millenaria Xiang venne messa al suo posto da un diciannovenne americano…»


Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.350 (Fidipù)
Note: Buon inizio di settimana! Eccoci qua con un nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3 e, devo dire, che questo con il successivo sono stati veramente un parto: non tanto perché non ero ispirata, ma quanto perché in questo (e nel prossimo) capitolo è tutto un tirar fili e riprendere ciò che è stato narrato finora. Spero di avercela fatta, intanto tutte le parti si riuniscono finalmente e c'è un tanto atteso incontro che, penso, stupirà un po' tutti.
Mh, dato che non ho nient'altro da dire, approfitto di queste poche righe per fare un po' di pubblicità (*coff*spam*coff*) alle altre mie storie in corso (che non riguardano il Quantum Universe) e sto parlando di Inori, La sirena e la novella La bella e la bestia.
Detto ciò, come sempre, vi lascio al capitolo con i ringrazimenti di rito: grazie a tutti voi che leggete, che commentate (che bello leggere che non odiate Xiang!), che inserite questa storia in una delle vostre liste e...
Beh, per il semplice fatto che ci siete, grazie!



Wayzz addentò la foglia di lattuga, masticando lentamente il boccone e osservando il compagno davanti a lui: «Sei nervoso» decretò, dopo un po’ attirando su di sé lo sguardo di Vooxi: «In realtà lo sei da quando sei tornato ieri sera.»
«Non è niente.» bofonchiò il volpino, masticando la carne e sospirando: «Solo quella stupida della mia Portatrice che non sta mai zitta…»
«Cos’ha combinato Lila, stavolta?» domandò Wei, entrando nella stanza e sorridendo ai due kwami, mettendosi poi ad armeggiare nella cucina, mentre Vooxi masticava il suo boccone.
«Cos’ha detto, casomai.» borbottò il kwami arancione, giocherellando con la carne nella scatoletta e tenendo lo sguardo basso: «Se n’è uscita con qualcosa che non sta né in cielo né in terra, per i Sette Dei!»
«E cosa?»
«Che Mikko ed io…ecco…»
«Che sarebbero una bella coppia.» dichiarò la voce della ragazza, mentre entrava a passo di marcia nella cucina: «La fai veramente lunga, Vooxi. Era solo qualcosa detto così, tanto per dire.»
«Bah…»
«Potevo capire se eri veramente innamorato di Mikko e quindi…» l’italiana si fermò, assottigliando lo sguardo e fissando il proprio: «Aspetta, aspetta, aspetta. Ti piace veramente Mikko?»
«Ma che stai dicendo?» sbottò Vooxi, fluttuando a mezz’aria e colpendo la ragazza sulla fronte: «Piantala con questi film mentali!»
Wei sorrise, avvicinandosi alla ragazza e posandole le labbra sulla tempia: «Come mai già alzata?» le domandò, passandole un braccio attorno alla vita e attirandola a sé: «Un altro incubo su tua madre?»
«No. Hai lasciato il cellulare di là…» mormorò Lila, rilassandosi nell’abbraccio e alzando la testa: «Ha chiamato il maestro. Alex non è tornato stanotte e non riesce a contattarlo. E sappiamo molto bene cosa è successo l’ultima volta che il nerd è sparito: ci siamo ritrovati un coso urlante e che distruggeva tutto per le strade e aveva problemi con la sua immagine» spiegò velocemente, tenendo su di sé l’attenzione di tutti nella stanza: «Ha detto di andare a casa sua e decidere là cosa fare.»
«Vestiamoci e andiamo, allora.»


Fu abbassò il cordless, sospirando pesantemente: aveva richiamato tutti all’appello, convincendoli a riunirsi nella sua abitazione come erano soliti fare; aveva atteso tutta la notte ma di Alex non c’era traccia. Aveva provato a rintracciarlo al cellulare, ma quello era spento e ciò non aveva fatto che aumentare la sua ansia.
Alex viveva perennemente incollato al proprio telefono, si portava dietro una batteria di riserva proprio per evitare che si spegnesse.
Con passo pesante, l’anziano si diresse verso la stanza del ragazzo, trovandola nel solito caos: l’ordine non era fra le cose che preferiva Alex Simmons e, ormai, lo sapeva bene; fece spaziare lo sguardo sul letto sfatto e poi sulla scrivania, dove facevano bella mostra di loro tre monitor e la tastiera, assieme ad alcuni fascicoli e fogli sparsi.
Ah. Quel ragazzo…
Appena lo avrebbe avuto fra le mani gli avrebbe insegnato un po’ di cosette.
Prima fra tutte il chiamare quando aveva intenzione di rimanere tutta la notte fuori casa.
Sospirò, uscendo dalla stanza e andando a sbattere contro qualcosa: «Maestro!» esclamò la voce allegra del protagonista dei suoi pensieri: «Che combinava in camera mia? Se cercava di andare sui siti porno, l’avviso ho messo il blocco parentale al pc. Non può!»
«Alex?»
«E chi altri?» domandò il ragazzo, sospingendolo da parte e, solo allora, Fu notò le altre due persone nel corridoio: Felix e una giovane ragazza dall’aspetto orientale.
«Che ci fai tu qui?» chiese l’anziano, indicando l’uomo e poi facendo vagare lo sguardo sui due giovani: «E perché sei con lui?»
«E’ una lunga storia.» sospirò Felix, incrociando le braccia e  scuotendo il capo: «Molto lunga.»
«Che preferirei fare con tutta la banda riunita. Dov’è il cordless? Li chiamerei con il mio cellulare ma…beh, è scarico. E ieri quando sono uscito, ero talmente di fretta che mi sono dimenticato di prendere la batteria portatile che avevo messo in carica.»
«Li ho già chiamati io.» mormorò Fu, osservando Alex entrare nella camera e iniziare a trafficare con il pc: «Ero preoccupato perché sei scomparso tutta la notte e…»
«Sì, lo so. Lì per lì ho pensato anch’io che il cattivone di turno mi avesse di nuovo rapito ma…» il ragazzo si fermò, recuperando la chiavetta USB e inserendola nella porta, riprendendo poi a digitare sulla tastiera: «…beh, siamo tutti dalla stessa parte. Stesso team. Niente civil war o cose simili.»
«Me lo sto chiedendo da ieri…» mormorò Felix, osservando il caos nella stanza e poi il giovane americano alle prese con il pc: «…c’è un modo per fermarlo o va avanti finché non esaurisce la batteria?»
«Sinceramente non l’ho mai visto fermarmi.» bofonchiò Fu, fissando l’uomo: «Per quanto hai in mente di rimanere qui? Fra poco arrivano tutti gli altri e…»
«E penso che morirò dalle risate non appena la babbiona lo vede.» decretò Alex, ridacchiando: «Sono indeciso: sverrà oppure si butterà fra le sue braccia, piangendo?»
Il campanello dell’abitazione zittì tutti e un silenzio innaturale inondò la casa: «Si comincia…» mormorò Fu, dirigendosi velocemente verso la porta mentre Xiang entrava nella camera di Alex, seguito a ruota da Felix.
«Sei sicuro di ciò che stai facendo?» domandò la ragazza, osservandolo mentre continuava a lavorare al pc: «Io ti ho rapito e…»
«Tu hai cercato di rapirmi. Precisiamo.» dichiarò Alex, continuando a lavorare al pc: «E di là si sta riunendo un gruppo veramente in gamba, fidati! Hanno accolto la babbiona che mi ha fatto di peggio, perché non tu?»
«Forse perché lei era posseduta da un demone cinese mentre io avevo intenzione di prendere i loro Miraculous? E ancora penso che dovrei farlo…»
«Senti.» Alex si girò verso di lei, fissandola da dietro gli occhiali: «Posso capire che hai quattromila anni e pensi di sapere tutto del mondo ma non è così. Fidati, non è così. Tu sai tutto ciò che riguarda il Quantum e qualcosina su Dì ren, quello sì. Ma di quei sei che hanno rischiato più e più volte la loro vita per tenere questo mondo al sicuro? Fidati, non sai veramente niente di loro. Sono in gamba e se hanno avuto i Miraculous, c’è un motivo.» si fermò, abbozzando un sorriso: «Combatti con loro e non contro di loro, Xiang. Permettici di aiutarti nella tua lotta contro Dì ren.»
Xiang l’osservò, annuendo con la testa e chinandola poi verso il basso: «Mai pensato di entrare in politica?» domandò Felix, sorridendo alla vista del comportamento della ragazza: «Avresti veramente un futuro.»
«Preferisco stare dietro a un pc.» decretò l’americano, recuperando la chiavetta USB e sorridendo divertito: «Bene, è ora di entrare in scena.»

«Cosa vuol dire che quel deficiente è tornato poco fa?» urlò Sarah, pestando un piede per terra e facendo un passo verso Fu: alzò le mani, riabbassandole con un gesto stizzito e voltando poi verso Rafael: «Stavolta l’uccido.» dichiarò, osservando il parigino annuire con la testa senza dire una parola.
«Sarah mi sta facendo paura…» commentò Adrien, facendo un passo indietro e trovandosi al sicuro fra i suoi genitori e Marinette: «Veramente paura…»
«E questo è niente…» bofonchiò Rafael, inspirando profondamente: «Dovresti vederla quando hai…»
«Sei sicuro che vuoi continuare, Rafael? Veramente sicuro?»
«No, Sarah. Assolutamente no.» mormorò il moro, chinando la testa e rimanendo in silenzio al proprio posto, mentre Mikko e Flaffy trovavano rifugio nel cappuccio della sua felpa.
«Sono certo che sicuramente saprà dirci il perché.» dichiarò Wei, cercando di placare gli animi mentre accanto a lui Lila sbuffò: «Sì?»
«Intendi, che ci dirà qualcosa prima o dopo che Sarah lo avrà ucciso? Perché la nostra dolce apetta sembra sul piede di guerra, oggi.»
«Ehi, solo io posso chiamarla apetta.»
«Io dovrei andare a scuola…» bofonchiò Thomas, poggiando il mento sul tavolino e  fissando Sarah: «Non stare qui a vedere una in piena sindrome mestruale.»
Rafael sentì un brivido scendergli lungo la schiena, quando la sua fidanzata si voltò verso l’ultimo acquisto del gruppo: «Sarah, non ucciderlo.» mormorò, mettendosi fra la ragazza e Thomas: «E’ piccolo, non sa quello che dice.»
«Sicuro, Rafael? Mister parlo tanto qua mi sembra sappia sempre cosa dice.» dichiarò Willhelmina, osservando Thomas: «Non sei un po’ giovane per sapere cosa è una sindrome mestruale?»
«Punto primo: ho tredici anni. Punto secondo: vivo con due donne, il cui ciclo è sincronizzato. Si fidi, ho parecchia esperienza della sindrome mestruale.»
«Ti ho nel cuore, Thomas.»
«Rafael, vuoi morire con Alex?»
«Ehi, ehi, ehi.» esclamò l’americano, entrando nella stanza: «Sarah ha il ciclo? Perché di solito augura così facilmente la morte quando…»
«Wei! Ferma Sarah!» urlò Rafael, afferrando la bionda per la vita mentre il cinese si mosse velocemente e le si parò davanti, tenendola per le spalle: «Buona, apetta. Buona. Sentiamo quello che ha da dire e poi lo puoi uccidere. Ok?»
«Tu!» ringhiò Sarah, indicando l’amico: «Spero che tu abbia una buona scusa per tutto questo macello che hai alzato, altrimenti lo giuro su quello che ho di più caro, ti rispedisco a calci in America.»
«Uao…» mormorò Adrien, passandosi una mano sul volto: «Questo aspetto di Sarah è…è…»
«Terrificante?» buttò lì per lui Marinette, voltandosi verso il ragazzo: «Agghiacciante? Spaventoso?»
«Andava bene terrificante, mon coeur.»
«Stai bene, Alex?» domandò Sophie, osservando il ragazzo e avvicinandosi a lui, studiandolo alla ricerca di qualche ferita: «Fu ci ha detto che stanotte non sei tornato a casa e il tuo cellulare non prendeva e…»
«Sto bene, sto bene. Sono solo stato rapito…»
«Cosa?»
«Ma la persona che mi ha rapito non è cattiva, eh. E’ dalla nostra parte, c’è semplicemente stato un piccolo malinteso.»
«Alex, ti prego, non iniziare con i tuoi soliti discorsi.» dichiarò Willhelmina, sedendosi e massaggiandosi le tempie: «Perché non ho proprio la forza per starti ad ascoltare.»
«E invece dovrai farlo. E non solo me, ma anche…» Alex si voltò indietro, rimanendo basito di essere solo: «Maestro, dove sono?»
«Sono rimasti di là, credo. Lo avrei fatto anch’io, sentendo la confusione di questa stanza.» borbottò l’anziano, osservando Alex andare a recuperare la ragazza e Felix, notando poi come la stanza era diventata silenziosa all’arrivo dei due.
«Allora, questi sono…» iniziò Alex, bloccandosi quando un vasetto di metallo attraversò la stanza e andò a colpire Felix alla fronte che, piegandosi in due, iniziò a dire una sequela di improperi: «Willie! Non si lanciano gli oggetti al tuo vecchio amante!» sbottò l’americano, fissando male la donna.
«Lui…lui….lui dovrebbe essere morto! L’ho visto quando è morto!»
«Tu e il tuo vizio di tirare cose!» sbottò Felix, rialzandosi e tenendosi dolorante la testa: «Anche quando avevi quel cavolo di yo-yo era sempre un lanciarmi oggetti!»
«Perché sei qui? Tu sei morto, maledizione!»
«Forse perché non sono morto, genio!»
«Fu!» esclamò la donna, indicando l’uomo biondo e osservando poi l’anziano: «Lui…lui…»
«Sì, lo so.» borbottò il cinese, scuotendo il capo: «Lo so da un po’, dato che è venuto a trovarmi poco dopo che Maus era stato sconfitto.»
«Io non ci sto capendo niente…» mormorò Adrien, osservando l’uomo che aveva suscitato l’ira di Willhelmina e notando poi il suo kwami volare davanti a lui: «Plagg?»
«Felix?» mormorò il kwami, osservando il suo ex-Portatore: «Ma eri morto. Ho sentito il nostro legame sciogliersi quando la tua vita…»
«Diciamo che sono stato morto, tecnicamente.» dichiarò l’uomo, sistemandosi la giacca e dando un’occhiata veloce a Willhelmina: «Felix Norton, anche se ora mi faccio chiamare Felix Blanchet.» si presentò, facendo un lieve inchino con il capo: «Mentre lei è Xiang.»
«Bene.» mormorò Plagg, voltandosi verso Marinette e sorridendo alla kwami rossa: «Tikki, depenna Felix dalla lista dei miei Portatori che non sono morti. Non sono più quello con il numero più alto di caduti!»
Tikki sorrise, osservando la sua ex-portatrice recuperare una statuetta in giada e lanciarla contro il redivivo Felix: «Ma la pianti?» tuonò quest’ultimo, afferrando in tempo l’oggetto e fissando male la donna.
«Se Bridgette continua a lanciargli oggetti…» mormorò la kwami rossa, ridacchiando: «Non so per quanto resterà in vita.»
«Ok. Questo non me l’aspettavo.» commentò Alex, indicando Willhelmina e poi scuotendo il capo: «Bene. Grazie al signor Blanchet per essersi presentato e aver presentato Xiang. Ah, Xiang è la futura signora Simmons.» dichiarò giulivo il ragazzo, rimediando un’occhiataccia da parte della cinese.
«Potete spiegarci?» sospirò Sarah, osservando tutti e scuotendo il capo: «Perché sinceramente io…»
«Io non ho capito niente.» dichiarò Adrien spavaldo, sorridendo: «A parte che lui è l’ex-Portatore del mio anello,  giusto? Beh, si nota subito che abbiamo qualcosa in comune: stesso charme, stessa eleganza…»
«Stesso savoir-faire» dichiarò Felix, sistemandosi la giacca e sorridendo al giovane: «Stesso aspetto piacente.»
«Stesso lato vanitoso.» mormorò Marinette, alzando gli occhi al cielo: «Ho paura di scoprire se avete lo stesso senso dell’umorismo.»
«Tu apprezzi il mio senso dell’umorismo, my lady.»
«Bene, prima che Adrien e Marinette inizino il loro battibeccare e…» Alex si fermò, osservando Willhelmina e indicandola con la mano: «Babbiona del mio cuore, posa immediatamente quell’uovo di pietra. Subito. Non si lanciano gli oggetti contro gli amanti tornati in vita.»
«Non è il mio amante.»
«Io direi il contrario…»
«Ok! Adesso basta!» esclamò Sarah, balzando in piedi e indicando le due coppie di Portatori: «Gatti e coccinelle. In silenzio! Voglio sapere dove accidenti è stato quest’idiota, cos’ha fatto, chi l’ha rapito e perché. E se tutto questo centra con il nostro nemico misterioso.»
«Chi ha rapito Alex sono stata io, Portatrice del Miraculous dell’Ape.» mormorò Xiang, portandosi una mano al petto e, in questo modo, indicandosi: «Io mi chiamo Xiang e sono l’ultima abitante di Shangri-la.»
«Shangri-la? E come mi hai chiamata? Portatrice dell’Ape? Allora tu…»
«Shangri-la è un luogo immaginario, che è stato descritto in Orizzonte perduto di James Hilton.» commentò Rafael, fissando la ragazza cinese: «In molti l’hanno cercato ma non è mai stato provato che esistesse.»
«Non trovare non significa che qualcosa non esiste.» mormorò Xiang, abbozzando un sorriso: «Shangri-la esiste e si trova nella zona che ora è chiamata Tibet, nascosto agli occhi dei più comuni dai potenti incantesimi del maestro Kang, colui che diede l’incarico al Primo Guardiano dei Miraculous.»
«Tibet…» mormorò Gabriel, sfiorandosi le labbra con l’indice: «Chissà perché la nostra storia conduce sempre in quel luogo.»
«Perché in Tibet c’è l’ultima fonte di Quantum esistente.»


Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.038 (Fidipù)
Note: Salve salvino! Bene, quando ho finito di scrivere questo capitolo, la prima cosa che mi sono domandata è stato 'perché l'ho scritto?' e la risposta che mi son data è stato 'perché era il momento'. E, in effetti, sebbene questa parte della trilogia di Miraculous Heroes sia ancora nella sua fase iniziale, ho pensato che servisse tirare un po' tutti i fili e presentare - in maniera molto superficiale - chi sarà il nemico di questa terza e ultima parte e quindi fidati appunti alla mano, mi sono messa a ripercorrere tutta la mitologia che c'è dietro questa storia e notando, proprio mentre scrivevo, come Kang sia il vero autore di questa storia. Cosa starò mai dicendo? Beh, leggete e scoprirete.
Ci tengo a precisare che Quantum, Daitya, Routo, Shangri-la, Kwami che erano umani, ex-Portatori e compagnia varia è frutto della mia mente: sinceramente non ho la più pallida idea di cosa Thomas Astruc tirerà fuori dal cilindro, in base a ciò che ho visto nella prima serie questa è stata la spiegazione che ho dato io.
E direi di lasciarvi alla lettura, ringraziandovi come sempre per leggere le mie storie (Qua potrete trovare tute le storie attualmente pubblicate del Quantum Universe), le commentate, le inserite nelle vostre liste e inserite me in quella degli autori preferiti.
Grazie tantissimo!!!



Alex sorrise, osservando il variegato gruppo sistemarsi nella sala di Fu e, voltandosi, iniziò a trafficare con la Tv, in modo da collegare la sua fidata USB: «Allora, adesso che siamo tutti riuniti e abbiamo sganciato un po’ di bombe, tipo che Felix è vivo e che Xiang viene dalla leggendaria Shangri-la…» si fermò, voltandosi di nuovo verso tutti: «Direi che il tempo della spiegazioni è finalmente giunto!» esclamò, allargando le braccia e indicando poi la bionda: «Sarah, smetti di guardare male Xiang.»
«Ti ha rapito.»
«Rafael potrebbe ingelosirsi del nostro rapporto…»
L’americana sorrise dolcemente, osservando il suo amico: «Quale rapporto? Quello dove ti strangolo?»
«Alex inizia, per favore.» sospirò Rafael, prendendosi il volto fra le mani: «Per favore. Altrimenti qui facciamo notte.»
«Io spero di trovare una scusa convincente con mia madre…» borbottò Thomas, incrociando le braccia sul tavolo e poggiandovici il mento sopra: «Altrimenti sarò un cadavere.»
«Allora, sarà una lunga spiegazione…» iniziò l’americano, indicando i kwami comodamente seduti sul tavolino: «E tutto inizia dalla vostra terra di origine.»
«Daitya?» domandò Tikki, guardandosi con gli altri kwami: «Che cosa intendi…»
«Allora come ben sappiamo, molto tempo prima di quelle che crediamo fossero le prime civiltà c’erano queste due nazioni, Daitya e Routo. Giusto? Entrambe erano tutto ciò che rimaneva di un’altra grande civiltà…»
«Il mito di Atlantide.» commentò Rafael, annuendo con la testa: «La grande civiltà scomparsa perché, con la sua superbia, aveva sfidato il volere degli dei…» sorrise divertito, massaggiandosi il labbro inferiore con il pollice: «Se mio padre fosse a conoscenza di ciò, sarebbe già in mezzo all’oceano a fare immersioni.»
«Grazie al racconto dei nostri amici kwami, sappiamo che Daitya e Routo combattevano una sorta di guerra fredda, almeno finché qualcosa non ruppe il tutto…» riprese Alex, schioccando le dita: «Questo punto di svolta, ha fatto sì che i capi di Daitya decidessero di mettere in atto il rituale che ha trasformato sette ragazzi in kwami.»
«La colonna di luce di Routo…» mormorò Wayzz, annuendo con la testa: «Tutto è cambiato da quando ci fu quell’emissione di Quantum da parte di Routo. Gyrro non seppe mai dirmi cosa pensava che fosse. O forse non ha voluto dirmelo…»
«Tutti in questa stanza sanno la storia dei Miraculous, no?» riprese Alex, accomodandosi a sedere accanto al televisore e recuperando il telecomando: «Daitya, sentendosi minacciata da Routo, decide di effettuare un rituale con sette volontari – i kwami, qui presenti – ma ciò non fa altro che portare alla distruzione dell’isola, da cui si salvano solo due persone: Gyrro, il maestro di Wayzz, e un bambino che verrà chiamato Kang. Gyrro viaggia e arriva Nêdong. Qui si naturalizza e inizia a vivere in un piccolo tempio, ove i Miraculous iniziano a essere venerati, poi grazie al suddetto Kang inizia il viaggio come Primo Gran Guardiano: i Miraculous iniziano a passare di mano in mano dei diversi Portatori, finché il maestro Liu non scegli i presenti Fu, Bridgette e Felix come Portatori. E arriviamo ai fatti di Nanchino e…» Alex inspirò profondamente, alzando un dito e fermando Willhelmina che aveva aperto bocca: «…di resurrezioni e cose varie parliamo dopo.»
La donna bofonchiò, incrociando le braccia: «Siamo a Nanchino, giusto? Perfetto, io vengo posseduta, qualcuno muore e Fu viene scelto come nuovo Gran Guardiano, passano due secoli e abbiamo la nostra Sophie che combatte contro Maus, un tedesco ossessionato dal Quantum. Lo segue in Tibet e qui si fa catturare per non mettere in pericolo la sua famiglia…»
«Passa qualche anno e il signor Gabriel, alla ricerca della moglie, giunge in Tibet ed entra in possesso del Miraculous della Farfalla, tornando a Parigi con il desiderio di prendere i due gioielli più potenti. Con questo piano in mente, indossa la spilla, diventando Papillon e costringendo così il Maestro Fu a cercare due Portatori, ovvero Adrien e me.» continuò Marinette, voltandosi verso il biondo al suo fianco e ricevendo un segno di assenso: «Combattiamo contro i suoi akumatizzati, fino allo scontro finale e tutto è andato bene, fino all’anno scorso quando Willhelmina è giunta a Parigi e ciò ha portato a una riunione dei sette gioielli.»
«Dopo la sconfitta di Coeur Noir è arrivato Maus e siamo giunti ad oggi. Giusto?» finì per tutti Adrien, allargando le braccia e facendo spaziare lo sguardo su tutti gli altri: «Direi che su questa parte siamo preparati, non credi?»
«Questa parte la sappiamo tutti, sì.» Alex assentì con il sorriso sulle labbra: «Ma in questa storia ci sono due punti importanti e, possiamo dire, avvolti nel mistero: Routo e Kang.» dichiarò l’americano, elencando con le dita: «Cosa successe a Routo, quando lasciò andare quell’emissione di Quantum? E perché attese che a Daitya compissero il rituale prima di attaccare? E Kang…» si fermò, scuotendo il capo: «Kang è la figura più misteriosa che gira attorno a tutta questa storia.»
«Shangri-la, anche.» commentò Rafael, indicando Xiang: «Anche il perché Shangri-la sia coinvolta è un punto importante.»
«Giusto.» mormorò Alex, indicando il parigino e annuendo: «Ok, direi di cominciare dall’inizio, ovvero il Quantum.» esclamò, enfatizzando l’ultima parola con un movimento delle mani che, completamente aperte, muoveva nell’aria: «Xiang, prego.»
«Cosa?»
«La parola all’esperto.»
«Ma che…»
«In pratica ti sta dicendo di parlare del Quantum.» s’intromise Felix, sorridendo: «Direi che è il punto d’inizio di questa storia.»
La ragazza annuì, mordendosi il labbro inferiore e guardando le persone riunite che attendevano: «Il Quantum è un’energia che attraversa questo pianeta.» iniziò, socchiudendo gli occhi e cercando di ricordare insegnamenti persi nel tempo: «Se paragoniamo la Terra a un corpo umano, il Quantum è come il sangue: un flusso ininterrotto che permea l’intero globo, suddividendosi in vene e capillari; in alcuni punti, poi, è possibile che fuoriesca in modo più o meno continuo e, di solito, sono zone collegate a fenomeni misteriosi…»
«Ma a Daitya ci hanno sempre insegnato che il Quantum era in esaurimento…» mormorò Nooroo, portandosi una zampina alla bocca: «E ciò che successe, ciò che ci ha fatto tramutare in kwami l’ha completamente prosciugato.»
«Se il Quantum si prosciugasse, allora sarebbe la fine di ogni forma di vita su questo pianeta, perché è ciò che ci ha donato la vita.» dichiarò Xiang, sorridendo al piccolo kwami: «Ciò che è successo alla vostra nazione ha fatto sì che si chiudesse una delle poche fonti aperte di Quantum, ovvero punti con un’emissione costante di Quantum. Dopo ciò che successe a Daitya e Routo ne è rimasta solo un’altra, ed è a Shangri-la.»
«L’ultima fonte di Quantum esistente…» mormorò Gabriel, annuendo con la testa e capendo le parole che la cinese aveva detto a lui, poco prima: «Giusto?»
«Esattamente.» assentì la ragazza, intrecciando le mani in grembo: «Dopo la distruzione delle due isole non esiste altra fonte di Quantum.»
«Riusciremo ad arrivare a capo di tutto ciò?» domandò divertito Adrien, poggiando la testa contro la spalla di Marinette: «My lady, ho già un mal di testa pazzesco. E siamo solo all’inizio!»
«Ehi, cucciolo.» bofonchiò Felix, indicando il biondo con un cenno del capo: «Poche fusa e apri bene le orecchie.»
«Fantastico! Fate entrambi battute a tema felino…» sospirò Marinette, alzando gli occhi al cielo: «Allora, il Quantum è come il sangue per la terra, giusto?»
«Sì.» assentì Xiang, annuendo con la testa: «E già sapete che Daitya e Routo sono un lascito di un’antica civiltà. Ciò che dovete sapere è che anche Shangri-la è molto simile. Avete mai sentito parlare di Lemuria?»
«Altro ipotetico continente scomparso, collocato nell’Oceano Indiano – o in quello Pacifico, a seconda dell’autore della teoria –, ma la sua esistenza è stata smentita dalla scoperta della tettonica a zolle, che spiegava perché esistevano famiglie di lemuri sia in Madagascar che in Pakistan.» spiegò Rafael, stanco: «O più o meno. Ringraziate mio padre, per un bel periodo della sua vita è stato fissato con i continenti scomparsi…»
«In verità, Lemuria è esistita.» mormorò Xiang, sorridendo: «Semplicemente è stata collocata nel posto errato: essa non era un continente scomparso, ma una grande nazione che governava la zona che ora chiamate Tibet e la sua capitale era Shangri-la.»
«Un’altra zona interessante che apparteneva a Lemuria era la provincia di Nêdong.» aggiunse Alex, sorridendo: «Nessuno di voi si è mai chiesto come ha fatto Gyrro a trovare un tempio, con una comunità fiorente quando, stando alle ricerche che ho fatto, all’epoca era una zona disabitata? Secondo quello che ho trovato le prime tribù si fermarono in Tibet attorno al 700 a.C. e…» l’americano si fermò, sorridendo: «Beh, quando Gyrro arrivò in quella zona doveva essere intorno al 3000 a.C., più o meno.»
«La mia prima Portatrice fu una ragazza egizia di nome Isinofret…» mormorò Tikki, socchiudendo gli occhi e inspirando profondamente: «Ricordi, Marinette? La mostra sugli egizi a cui andammo tanto tempo fa?»
«Sì.»
«Considerato che Gyrro è stato il Gran Guardiano più longevo…» commentò Fu, massaggiandosi il mento: «I conti di Alex tornano più o meno; il Primo ha scelto due Portatrici della Coccinella, nei suoi quattrocento anni di vita: una in Egitto e una in Cina.»
«Ma, se a Lemuria non hanno fatto boom come a Daitya e Routo…» iniziò Lila, prendendo parola: «…perché è scomparso anche questo continente, regno, quel che era?»
«La fonte di Quantum era a Shangri-la e ne beneficiava principalmente la città, il resto del regno, lentamente, è sfumato fino a perdersi…» mormorò Xiang, abbassando lo sguardo: «Quando Gyrro e Kang sono giunti a Nêdong, poco o nulla era rimasto della mia patria. Solo Shangri-la, poiché beneficiava dell’emissione continua del Quantum, e quindi è potuta sopravvivere, sebbene adesso sia morta anch’essa: la chiamano la città senza tempo, poiché per noi che ci abitiamo esso non scorre. Ma siamo mortali e lentamente, per malattia o per violenza, i miei concittadini sono morti.»
«Giusto per sapere…» mormorò Rafael, studiando la ragazza: «Quanti anni hai?»
«Tre, quattromila anni.» rispose Alex, sorridendo: «Li porta bene, vero?»
«Divinamente.»
«Bene. Ci siamo con il quadro generale? Il Quantum scorre come sangue e c’erano queste tre fonti: Daitya e Routo da una parte, Shangri-la dall’altra. Ora noi sappiamo che Shangri-la è attiva, sebbene la città e la nazione siano morte, quindi torniamo nei punti da cui tutto ha avuto inizio: Daitya, ma più precisamente Routo.» spiegò Alex, voltandosi e azionando lo schermo, facendo comparire una piccola mappa: «L’ho disegnata io, sotto suggerimento dei vostri kwami. Allora, queste sono le due isole: come potete vedere non erano molto distanti fra loro, considerate le navi dell’epoca, il tempo di navigazione era di una settimana a viaggio. Vicinissime, no?»
«Si poteva sputare contro quelli di Routo, guarda.» commentò Plagg, sbuffando: «Ok. Erano isole, erano vicine. Lo sappiamo.»
«E pensare che ho tutta una sequenza  animata. Ok, torniamo al punto da cui tutto ebbe avuto inizio: l’emissione di Quantum di Routo.» spiegò Alex, lasciando perdere la tv e voltandosi verso i kwami: «Immagino che voi, miei piccoli amici colorati, vi siate sempre chiesti cosa fosse stato.»
«Routo sperimentava molto spesso…» mormorò Wayzz, fissando Alex negli occhi: «Prima dell’emissione di Quantum c’erano stati anche parecchi terremoti.»
«Sì, li ricordo!» esclamò Mikko, annuendo vigorosamente con il capo: «E continuarono anche dopo.»
«Purtroppo non abbiamo nessuno proveniente da Routo…» mormorò Alex, sospirando: «E tutto ciò che sappiamo lo dobbiamo a Kang.» continuò, fermandosi e fissando il tavolo, in silenzio.
«Alex, per favore…»
«Tranquilla, Sarah. Non ho voglia di divertirmi tenendovi sulle spine, sto cercando le parole giuste» dichiarò l’americano, sorridendo: «Allora, Routo è sempre stato alla ricerca del potere, no? Ma più che il potere, cercava un modo di veicolare il Quantum ed è ciò che crearono il giorno dell’emissione: quando ci fu quella…quella…»
«Quella colonna di luce?»
«Esatto. Grazie, Nooroo. Ecco, quando ci fu quella colonna di luce a Routo crearono un monile che permetteva di veicolare il Quantum e, in questo modo, usarlo.» Alex si fermò e inspirò profondamente, aprendo e chiudendo le mani: «I vostri Miraculous sono impregnati di Quantum ed è ciò che vi permette di trasformarvi ed avere i poteri, giusto? Ciò è dovuto al fatto che il rituale a cui i sette kwami si sono sottoposti, altri non era che un’estrapolazione dalla vena di Quantum e l’immissione di questo nei gioielli, attraverso dei corpi umani…sentite, sinceramente non so il procedimento esatto che hanno usato e come ciò ha portato a un cambiamento di loro sette…» Alex indicò i kwami, scuotendo il capo: «Ma posso dire che i Miraculous sono gioielli fatti di Quantum e quest’energia non si esaurisce praticamente mai! Guardate da quanto tempo sono stati creati i gioielli e sì, certo si ricaricano un po’ quando vengono infilati nella scatola di legno, ma ciò non significa che non possono continuare a prestare i loro poteri anche senza…Ah, fra l’altro lo scrigno è stato creato a Nêdong con le tecniche di Shangri-la.»
«Quindi cosa avrebbero creato a Routo? Un ottavo Miraculous?»
«No, Wei. Ciò che venne creato quel giorno a Routo fu un catalizzatore di Quantum a cui dettero una forma di gioiello…» Alex si fermò, voltandosi verso Xiang: «Una collana a forma di serpente, giusto?»
«Sì. E’ una collana rigida, che ha la forma di un serpente ed è d’oro. Credo.»
«Ottimo. Grazie, Xiang.» Alex schioccò le dita, sorridendo: «Praticamente con questa collana, chi la indossa, riesce a estrapolare l’energia del Quantum e ad averne il controllo e…beh, praticamente è come un dio in terra. Può fare qualsiasi cosa con il Quantum.» sorrise, scuotendo il capo: «Se tutto ciò potesse essere messo a disposizione, in pratica risolveremo ogni problema del mondo.»
«O ne creeremo altri.» commentò Felix, sorridendo tristemente: «Rendere accessibile un qualcosa come quello, in un mondo come questo è come dare a un bambino una pistola e mandarlo al parco giochi…»
«Quindi quel giorno, a Routo, crearono questo catalizzatore.»  dichiarò Plagg, annuendo con la testa: «Ma allora perché non ci attaccarono subito? Potevano tranquillamente distruggerci e…»
«Magari c’era qualche traditore.» buttò lì Wayzz, interrompendo il compagno: «Qualcuno che era a conoscenza del nostro sapere e aveva presagito come si sarebbero comportati i Gran Sacerdoti. Creando un catalizzatore come quello, il momento migliore per loro sarebbe stato quello in cui veniva estrapolato il Quantum e inserito dentro di noi…Pensaci, ci hanno attaccato poco dopo che anche tu sei stato chiamato ed eri l’ultimo. La vena di Quantum era aperta e loro hanno attaccato in quel preciso momento.»
«Ha senso.» mormorò il felino, annuendo: «In pratica siamo stati usati e noi siamo diventati questo per cosa? Se non avessimo fatto quella cosa, magari tutti questi problemi adesso non ci sarebbero stati e…»
«Routo avrebbe trovato un altro modo.» mormorò Xiang, interrompendo il kwami: «Kang era certo di ciò.»
«Kang. Questo nome risalta parecchio in questo racconto…» mormorò Sophie, sorridendo: «Ed era l’altro punto importante, vero Alex?»
«Sì. Kang è un bambino che Gyrro ha salvato dalla distruzione di Daitya e l’ha portato con sé nel suo pellegrinaggio e…beh, era speciale.»
«In che senso?» domandò Lila, inclinando la testa: «Speciale in cosa?»
«Kang ha avuto il dono della Vista, signorina.» le rispose Felix, sorridendo: «Fin da quando era piccolo, lui ha visto il futuro dipanarsi davanti a sé e modificarsi a seconda delle scelte fatte; questo suo dono l’ha portato ad andarsene da Nêdong e raggiungere Shangri-la, quando era ancora adolescente e poi ha iniziato a viaggiare, tornando sempre nella Città senza tempo e ciò gli ha permesso di vivere finora. O almeno fino a un annetto fa, quando è stato ucciso.»
«Poteva vedere il futuro ed è stato ucciso?»
«Si è lasciato uccidere, in verità.» commentò Felix, incrociando le braccia e alzando la testa: «Kang ha sempre saputo tutto, aveva visto come il futuro si sarebbe mosso e, grazie a questo, era riuscito a mettere mano sul monile di Routo, portandolo a Shangri-la. Sinceramente, non ho la più pallida idea di come abbia fatto, non me l’ha mai raccontato…»
«Sai molte cose su Kang.» mormorò Fu, osservando il suo ex-compagno e ricevendo in cambio un sorriso triste.
«Kang è colui che mi ha salvato quel giorno a Nanchino.» spiegò Felix, inclinando la testa e sorridendo al ricordo: «Nanchino è stata costruita sopra una vena di Quantum, non ha una fonte ma con il catalizzatore è possibile reperire l’energia; quel giorno, mentre ti facevo da scudo contro i nostri nemici, mio caro Genbu, Kang ha usato quell’energia e il monile di Routo per salvarmi la vita. Voi mi avete visto morire ed io stesso ho creduto di essere morto, ma in verità quella spada mi ha solo ferito di striscio.» spiegò, sospirando: «Kang mi ha portato a Shangri-la e mi ha tenuto lì, in modo da istruirmi per il giorno in cui avrei potuto essere di nuovo di aiuto.»
«Quindi è così che è andata…» mormorò Fu, annuendo con la testa e scoccando un’occhiata a Bridgette rimasta in silenzio: «E quello che ha passato Bridgette?»
«Serviva per portarla qui adesso.» spiegò spiccio Felix, tenendo testa all’ex-compagno: «E’ brutto ammetterlo, ma non siamo stato altro che pedine nelle mani di Kang in vista di questo giorno. Lui stesso non era altro che una pedina per sé stesso: perché lasciarsi uccidere, quando poteva benissimo evitarlo? Tutto ciò che quell’uomo ha fatto è fare in modo che i sette Portatori di Miraculous si riunissero qui, assieme a tutti coloro che potevano aiutarli per fermare la minaccia di Routo una volta per tutte, anche a costo della sua stessa vita. Se Bridgette non fosse diventata Coeur Noir, tu avresti lasciato il Miraculous dell’Ape alla biondina?»
«No. E loro non si sarebbero incontrati perché non ci sarebbe stato bisogno…» mormorò Fu, annuendo con la testa: «Io stesso sono venuto a Parigi perché mi sentivo in colpa verso Bridgette e ho pensato che vivere nella città di cui lei mi aveva parlato potesse servire a calmare quel sentimento…»
«Fu…»
«Qui poi ho dato il Miraculous del Pavone a Sophie e tutto ciò che è seguito, non ha fatto altro che portare a Marinette e Adrien come Portatori della Coccinella e del Gatto Nero…»
«Kang aveva visto tutto.» mormorò Felix, chinando la testa: «Quando ho lasciato Shangri-la, sapeva che sarei giunto qui a Parigi e, in punto di morte, ha ordinato a Xiang di venire qua…ci ha riuniti, ci ha mossi egregiamente in migliaia di anni, affinché mettessimo fine a ciò che Routo e Daitya avevano iniziato.»


Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.763 (Fidipù)
Note: E si torna alla vita di tutti i giorni: perché ci possono essere state rivelazioni incredibili e un cattivo che...beh, ancora del caro Dì Ren si sa poco, in ogni caso la vita bussa alla porta e non ci pensa neanche a rimanere fuori e quindi ecco che si ritorna allo scorrere normale del tempo (o del capitolo). Detto ciò, direi che posso tranquillamente lasciarvi al capitolo, dato che non c'è molto da dire su questo (anche perché io devo tornare ai miei appunti sulle fobie e oggi sono molto indietro con lo studio), ma come sempre ci tengo a ringraziarvi: grazie a tutti voi che leggete, che commentate, che inserite questa storia in una delle liste a vostra disposizione e me fra gli autori preferiti.
Un piccolo grazie anche a Federica11 (sì, io non rispondo mai ai commenti perché sono culopesa, ma vi stalkero XD), che mi ha segnalata per le storie scelte: grazie davvero tantissimo! Sono veramente onorata della cosa.
Detto ciò, ci vediamo al prossimo capitolo!.



Bridgette osservò lo specchio che, sul fondo del magazzino di Fu, dominava la scena: quando era stata liberata da Chi You aveva chiesto all’amico di tenere l’oggetto e non l’aveva più voluto vedere. Almeno fino a quel momento.
Si fece largo fra le cianfrusaglie, che il cinese aveva recuperato nel  corso degli anni, e si fermò davanti la superficie riflettente, allungando una mano e carezzando la spaccatura che si era creata nell’esatto momento in cui Ladybug la liberava dalla presenza del demone cinese: «Stai bene, Bridgette?» le domandò la voce stanca di Fu, dietro di lei e la donna annuì.
«Per due secoli ho combattuto contro la sua presenza.» mormorò, socchiudendo gli occhi e tornando indietro con la mente, quando lei non era mai completamente sola: «Lo sentivo dentro di me, sentivo la sua presa e lottavo per non perdere il controllo. Usavo il suo potere perché volevo i Miraculous, in questo modo pensavo che mi sarei liberata o che sarei morta.» strinse le dita a pugno, alzando il viso: «Volevo avere pace ed essere libera. Non m’importava di morire…»
«Bridgette.»
«E adesso scopro che tutto ciò che ho sofferto è stato solo una mossa di un tizio millenario, che stava preparando la sua parte di scacchiera. Perché? Perché io?»
«Perché tu eri l’unica fra noi che potevi sopportarlo, Bri.» mormorò Felix, entrando nella stanza e poggiandosi contro lo stipite della porta: «Kang lo sapeva, conosceva la tua forza.»
«Non voglio parlare con te. Né vederti.»
«Bri…»
«Il mio nome è Willhelmina Hart.»
«No, il tuo nome è Bridgette Hart, Bri.» sbottò Felix, fissandola serio: «E non mi interessa se non vuoi parlare con me, né vedermi. Io voglio farlo: sono due secoli che aspetto di poter essere di nuovo con te, e…»
«Fu, puoi buttarlo fuori? Per favore.»
«Andiamo, Felix.» sospirò l’anziano, rimasto in silenzio fino a quel momento: «Se ho imparato una cosa, in tanti anni, è che c’è sempre un momento per ogni cosa. E se una donna non vuole parlare, non parlerà finché lei non lo deciderà.»
«Fu…»
«Andiamo, Felix.»
Bridgette rimase in silenzio, ascoltando i due uscire dalla stanza e, solo in quel momento, scivolò a terra: il dolore, la solitudine, la lotta incessante con Chi You, il senso di colpa per non aver svolto il suo ruolo…lei non aveva avuto la forza di affrontare tutto ciò, aveva lottano all’inizio ma poi si era arresa a quel demone che la possedeva.
Per cosa?
«Ehi, babbiona. Che combini qua da sola?»
«Alex…» sospirò la donna, voltandosi e osservando il ragazzo avanzare verso di lei: «Vorrei essere lasciata in pace.»
«Piccola domanda: tu hai avuto problemi con il tuo riflesso?»
«Cosa?»
«Mi spiego: dopo che sono stato quel figo di Mogui, per un po’ avevo problemi a specchiarmi. Non so, magari avevo paura di rivedere quel brutto muso…»
«Deciditi: o eri figo o avevi un brutto muso.»
«Sono talmente incredibile, che ero capace di esser figo pure con un brutto muso come quello di Mogui.»
Bridgette sorrise, scuotendo il capo: «Solo tu, Alex. Solo tu.» mormorò, fissando il proprio riflesso: «Ho problemi anche ora. Ogni volta che vedo me stessa allo specchio, temo che quest’altra prenda vita e mi parli come faceva quell’essere: la sua compagnia, per tanto tempo, deve avermi segnata.»
«Fu dice sempre che ciò che ci segna, ci rende forti. E solo chi non combatte non ha cicatrici.»
«Fu dice anche che la fantasia hawaiana sta bene su tutto.»
«Vero anche questo.»
La donna sorrise, voltandosi verso il ragazzo, chino accanto a lei, e allungò una mano per carezzargli la testa: «Sei diventato veramente maturo, Alex.»
«Lo sono sempre stato, ma non ve ne siete mai resi conto.»
«E passi troppo tempo con Adrien e Rafael.» sbuffò Bridgette, incrociando le braccia: «Stesso narcisismo ed egocentrismo, se ora si aggiunge anche quell’altro di là…»
«L’altro di là è qui alla porta.» sbuffò la voce di Felix, attutita dal legno dell’uscio: «Con Fu.»
«Dovevi per forza dirgli che c’ero anch’io? Maledetto!»
«Se la sarebbe presa con me e basta, altrimenti. Poi siamo compagni d’arme e bisogna condividere gioie e sofferenze.»
«E quando mai saremo stati compagni d’arme? Ogni volta che c’era da combattere, te ne stavi appollaiato da qualche parte e…»
«Controllavo la situazione e vi dirigevo. Cavolo, non c’era nessuno che avesse un minimo di esperienza militare! Forse Pavao. Forse.»
«Vorrei andare a casa mia…» sospirò Bridgette, scambiandosi un’occhiata con Alex: «Ma per farlo dovrei passare da quella porta e fra quei due…»
«Anche io vorrei andare in camera mia e per farlo dovrei fare la stessa cosa. E ho pure lasciato il cellulare di là.»


Balzò sul tetto dal lato opposto della piccola strada, tenendo d’occhio la persona che, con tutta la tranquillità del mondo, stava camminando a pochi metri di distanza da lei: sapeva benissimo di non essere una buona pedinatrice, i fallimenti avvenuti quando seguiva Rafael erano stati un segno di questa sua mancanza, ma voleva studiare la ragazza millenaria che il suo migliore amico – e idiota – si era trovato.
Voleva essere certa che non finisse nuovamente nelle mani di chissà quale nemico.
Sì, certo. Nemmeno lei ci credeva a quello che diceva.
«Che cosa sto facendo?» si domandò da sola, scuotendo il capo e osservando la ragazza cinese voltare l’angolo poco più avanti: che fare? Continuare a seguire Xiang e vedere dove l’avrebbe portata oppure…
«Ci fermiamo?» domandò la voce tranquilla di Hawkmoth, dietro di lei, facendola sobbalzare: Bee si voltò, incontrando lo sguardo curioso del giovane compagno di squadra: «Allora? Non continuiamo a seguirla?»
«Tu! Da quando…»
«Da quando ti sto seguendo?» domandò il ragazzino, inclinando la testa e soffermandosi un attimo: «Diciamo da casa del maestro. Non posso andare a scuola ed entrare ora senza permesso, non posso tornare a casa e ho pensato: perché non seguire Bee? Stai pedinando la tipa cinese, vero? Perché?»
«Beh, ecco…»
«Scusa, non sta con Alex?»
«Credo di sì.»
«E tu non stai con Rafael?»
«Sì.»
«Per caso sei innamorata di entrambi?»
«Cosa? No, io amo solo Rafael.»
«E allora perché vuoi pedinare la tipa?»
«Perché…»
«Hai paura che faccia del male ad Alex, vero?» domandò la voce di Xiang, facendo sobbalzare Bee per la seconda volta: l’eroina gialla si voltò, notando la figura della giovane poco distante da loro: «Non hai nulla da temere, Portatrice del Miraculous dell’Ape.»
«Mi chiamerei…»
«Chat Noir dice sempre di non dire i nostri nomi quando siamo trasformati. E anche Tortoise me l’ha detto.»
Xiang sorrise, facendo scorrere lo sguardo dal ragazzino alla giovane donna: «Io non ho mire su Alex, Portatrice. Posso dire che provo per lui quello che voi chiamate amicizia e non avevo assolutamente intenzione di mettermi tra voi, io volevo solo…»
«Aspetta. Aspetta. Aspetta. Tu pensi che io e Alex…» Bee s’indicò, scuotendo la testa: «E’ solo un amico. Un caro amico. Il ragazzo che amo è Peacock.»
«Ah.»
«Sono preoccupata per Alex perché è come un fratello per me.»
«Oh. Chiedo scusa, io…»
Bee scosse il capo, inspirando profondamente: «No, tranquilla.» mormorò l’eroina, abbozzando un sorriso: «Anche Hawkmoth aveva travisato: forse sono un po’ troppo…»
«Possessiva? Invadente? Inopportuna?» buttò lì il ragazzino, elencando gli aggettivi con le dita: «Ne ho altri, sai? Ho i voti più alti di tutta la classe in francese.»
«No, grazie.»
Xiang osservò i due, facendo un passo indietro e chinando il capo: «Se volete scusarmi, io andrei adesso.» dichiarò, voltandosi e facendo alcuni passi in direzione del limite del tetto, dalla parte opposta dell’edificio
«Ah, Xiang!» esclamò Bee, allungando una mano e osservando la giovane voltarsi e studiarla con fare curioso: «Ecco. Fra qualche giorno faremo un ritrovo con Ladybug e Volpina, una cosa fra ragazze, dove guardiamo la tv e chiacchieriamo fra noi. Vuoi unirti? Per conoscerci meglio e…»
«Ne sarei onorata. Grazie.»
«Perfetto. Ah, chiedo il tuo numero ad Alex, ok? Meglio non dire certe cose…»
«Abbiamo detto il nome di Alex fino ad adesso, che sarà mai un numero di telefono?»
«Hawkmoth, vuoi provare i miei pungiglioni?»
«No, grazie.»
«Chiederò anch’io il tuo numero, Bee.» dichiarò Xiang, sorridendo: «E grazie per avermi accordato la tua fiducia, nonostante io volessi prendere il tuo Miraculous.»
«Penso che ormai ci siamo abituati, alla gente che vuole i nostri Miraculous, intendo.»


«E’ strano che tu voglia passare un po’ di tempo con me.» dichiarò Emilé, osservando il figlio seduto nel suo salotto e sorridendo: «Vuoi bere qualcosa? Penso di avere della birra in frigo. Credo. In verità non lo so, l’ultima volta che ho mangiato a casa è stato prima degli esami…»
«Tranquillo, papà. Di solito non bevo mai prima di pranzo…» mormorò Rafael, sorridendo alla vista del genitore che spariva in cucina; sospirò, sistemandosi meglio contro la spalliera del divano e alzando la testa verso il soffitto: «Papà?»
«Allora, ho una bottiglia di birra, un qualcosa di biologico che sicuramente ho comprato mentre parlavo con tua madre al telefono, acqua…»
«Papà, ricordi le tue ricerche sui continenti perduti?»
Rafael rimase in attesa, ascoltando il frigo chiudersi e poi vedendo comparire il padre sulla soglia della porta della cucina: «Stiamo parlando di tanti anni fa.» commentò Emilè, entrando nella stanza e sistemandosi sulla poltrona posta davanti al divano: «Eri piccolo. Di solito pretendevi che ti raccontassi qualcosa di Atlantide, prima di dormire: la tua storia preferita era come Poseidone aveva creato la città…»
«Oggi ho avuto una conversazione con alcune persone e mi sono tornate in mente le tue ricerche. Tu eri convinto dell’esistenza di Atlantide, vero?»
«Sì.» mormorò l’uomo, massaggiandosi il mento e sorridendo al ricordo: «E, devo dire, che forse ci credo anche adesso. Sappiamo così poco della nostra storia e ci sono così tanto misteri ancora irrisolti: chi ci dice che Atlantide non centri con il mito del diluvio universale che…»
«Che è noto a popoli distanti fra di loro.»
«Esatto. Oppure anche il culto dei sette animali…»
«Quello di cui parlava Sarah?»
«Proprio quello. Come sta la signorina Davis?»
«Sta bene.»
«La stai trattando come una regina, vero? Mi piace quella ragazza e vorrei vederla al tuo fianco per molto tempo, possibile per sempre.»
«Sarah è la persona più importante della mia vita, papà.»
«Buono. Io pensavo lo stesso di tua madre. Sai?»
«E adesso vivete in due continenti separati.»
«Siamo entrambi molto arrivisti, figliolo. Dovresti saperlo.» sentenziò Emilé, allungandosi e poggiando una mano sul ginocchio del figlio: «Ciò non significa che, quando ci vediamo, ci siano i fuochi d’artificio.»
«Papà…»
«Tua madre è una vera…»
«Papà! Non voglio sapere! Non voglio avere incubi stanotte!»


«Fa uno strano effetto…» commentò Tikki, passandole alcuni peluche e osservando Marinette riporli nella scatola: «Vedere questa stanza svuotarsi: da quando siamo insieme siamo…» la kwami si  fermò, allargando le braccia: «…beh, siamo sempre state qui.»
«Già…» mormorò la ragazza, sorridendo dolcemente e sedendosi per terra, osservando le pareti tinte di rosa: «Penso che mi mancherà questa camera.»
«Se Adrien ti fa arrabbiare puoi sempre tornare qui, no?» buttò lì la kwami, tornando all’interno dell’armadio e portando fuori una piccola scatoletta: «Guarda cosa ho trovato!»
Marinette sorrise, osservando il contenitore che la piccola le aveva posato in grembo: conosceva quella scatola dalla fantasia a pois rosa, ricordava ancora quanto tempo aveva passato per sceglierla e decorarla; si sistemò meglio contro il muro della camera, sollevando il coperchio e sorridendo al contenuto. Quando aveva iniziato a frequentare Adrien si era sentita un po’ in imbarazzo nell’avere i muri tappezzati con i ritagli dei giornali e così li aveva tolti, sostituendoli piano piano con le foto che aveva fatto con il ragazzo, ma non aveva avuto il coraggio di buttare quelle foto tagliate dalle riviste e così aveva confezionato quel contenitore, sistemandoli tutti lì.
«Sì, certo. Se mi farebbe il favore di venire domani pomeriggio…» Marinette si irrigidì, sentendo la voce di Adrien provenire dabbasso e rimase a osservare la botola, finché il giovane non apparve ed entrò nella stanza: «No, io sarò già lì. Ok, ottimo. A domani.» Adrien abbassò il cellulare, sorridendo alla ragazza: «Buonasera, mon coeur. Posso confermare che domani avremo parte dei nostri mobili.»
«Davvero?»
«Sì, ho appena finito di parlare con quelli del negozio: domani pomeriggio vengono a portare e montarne una parte.» dichiarò il ragazzo, accentuando il sorriso e notando la scatola che la ragazza aveva in grembo: «Cos’è?»
«Assolutamente niente.»
«Marinette, sai che quando dici così…» iniziò Adrien, gattonando sul pavimento e avvicinandosi lentamente: «…istighi la mia curiosità. Cosa c’è lì dentro?»
«Roba vecchia.»
«Voglio vederla.»
«No!» esclamò la ragazza, alzando la scatola sotto lo sguardo divertito di Adrien che, prendendola alla sprovvista, le si buttò addosso e iniziò una breve lotta con lei per prendere l’oggetto conteso: «Adrien, lascia.»
«Cosa nascondi, my lady?» domandò divertito il ragazzo, afferrando la scatola per un lato mentre Marinette faceva lo stesso da quello opposto: «Forse qualcosa di una cotta a me sconosciuta? Oppure qualcosa di…»
«Ma piantala!» borbottò la ragazza, strattonando la scatola e finendo con il risultato di aprire la scatola e rovesciare il contenuto: «Non guardare!» esclamò, saltando addosso al fidanzato e mettendogli entrambe le mani sugli occhi.
«Sono per caso foto tue dove sei senza nulla? Perché in quel caso devo assolutamente vederle.»
«Ti sembro il tipo?»
«Ehi, non ci vedo nulla di male, anzi potre…»
«Oh!» esclamò Plagg, zittendo il suo Portatore e prendendo fra le zampette uno dei tanti ritagli: «Com’eri piccolo. E innocente. Piccolo e innocente.»
«Plagg, per favore…»
«Voglio vedere!» esclamò Adrien, afferrando le mani della fidanzata e abbassandole, facendo poi vagare lo sguardo sui ritagli di giornale sparsi attorno a loro: «Ma cosa…?»
«Non è nulla. Ora li rimetto nella…»
«Sono mie foto.» mormorò Adrien, prendendone una e sorridendo: «I famosi ritagli di giornale appesi al muro?»
«Sì» sibilò la ragazza, tirando su le gambe e osservandolo mentre li prendeva uno a uno, riponendoli nella scatola: «Posso sperare che farai finta di…»
«Non li ho mai visti, ogni volta che venivo qua non c’erano.»
«Li ho tolti quando ci siamo messi insieme.»
«Anche prima: non c’erano mai appesi.»
«Questo perché, Marinette ed io, eravamo velocissime nel levarli dal muro ogni volta che facevi un’apparizione.» dichiarò orgogliosa Tikki, ridacchiando: «Ed eravamo anche altrettanto veloci a rimetterli.»
Adrien annuì, prendendo l’ennesima foto ritagliata: «Ho una domanda, my lady.» dichiarò, sorridendole e avvicinandosi a lei: «Ti sei mai…mh. Come dire? Hai mai esplorato certe tue zone mentre guardavi le mie foto?» le domandò, sussurrandole nell’orecchio e osservando allegro il volto di lei diventare rosso.
«Adrien!»
«Cosa? Non c’è niente di male! Sai, io…»
«Non voglio saperlo!»
«Fidati, nemmeno io voglio ricordare.» bofonchiò Plagg, scuotendo il muso e alzando gli occhi al cielo: «Ogni volta che captavo qualcosa, mi rinchiudevo in bagno.»
«Io continuo a dire che i tuoi Portatori prendono sempre la parte peggiore da te.» mormorò Tikki, fissando sconsolata l’altro kwami: «Guarda Adrien…»
«E’ un caso a parte.»
«E Felix?»
«E’ tornato dal regno dei morti, anche se morto non era. Va capito.»
Adrien ridacchiò, passando un braccio attorno alle spalle di Marinette e attirandola contro di sé: «Penso che abbiamo uno squarcio di come sarà la nostra vita fra un mesetto: io che ti prendo in giro, Tikki e Plagg che battibeccano…»
«Annulla tutto.» sentenziò la ragazza, poggiando la testa contro la spalla del biondo e sentendolo ridere: «Sono seria. Annulla tutto, non ci tengo a vivere così.»
«Sicura, my lady?»
«Sicurissima.»
«D’accordo.» sentenziò il biondo, prendendo il cellulare e componendo un numero, impedito dalla mano di Marinette: «My lady!» esclamò, voltandosi verso di lei e fissando lo sguardo celeste che lo fissava: «Devi deciderti: annulli tutto o no?»
«No.» mormorò la ragazza, allungandosi e posandogli le labbra sul collo: «Possiamo stare un po’ così?»
«Appiccicati e a farci le coccole? Mi inviti a nozze, my lady. Nozze, hai capito…»
«Sì, ho capito.» sospirò la ragazza, sorridendo e poggiando nuovamente la testa contro la sua spalla: «Stai bene?»
«Mh. Direi di sì, il mio predecessore non è morto ma era semplicemente in una città mitologica con la fidanzata ultramillenaria di Alex, abbiamo un nemico che viene da Atlantide, in pratica, e sto per sposarmi con la donna che amo. Sì, direi che sto bene. Ah, e non ho fatto alcun accenno al fatto che pare ci sia un’energia misteriosa che avvolge il nostro pianeta…Sì, sto veramente bene.»
«Supereremo anche questa, vero?»
«Supereremo anche questa, my lady.»
«Prima però dobbiamo convincere le nostre mamme che le colombe al nostro matrimonio non sono un buon affare.»
«Quando hanno deciso questa cosa?»
«Prima che io salissi a inscatolare un po’ di roba.»
«Qualcuno può ricordare a mia madre che io sarei allergico alle piume?»

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.763 (Fidipù)
Note: Ah, quanto mi mancavano le informazioni random su Parigi a inizio capitolo! Negli ultimi avevo sempre usato posti già conosciuti e quindi non avevo niente da dire, ma oggi...Oggi posso di nuovo tormentarvi! E vi salvo dalle ricerche fatte sui partiti politici francesi, sebbene abbia deciso di  che partito siano Felix e il signor Bourgeois non lo specificherò mai, onde evitare di dare una qualsiasi impronta politica. Ma passiamo subito a noi: come ben sapete Xiang vive con Felix, ma non ho mai detto in che quartiere di Parigi essi abitano. La risposta è subito data: Ville



Xiang addentò il croissant, osservando svogliatamente il panorama fuori dalla finestra e ascoltando distratta i rumori che provenivano dal resto della casa: Bo e De stavano sicuramente armeggiando in cucina, mentre Li era all’ingresso, in attesa di scorta il suo datore di lavoro e lei ovunque volessero andare.
«Come sto?» domandò la voce di Felix, facendo voltare la ragazza e osservare l’uomo che entrava nella sala da pranzo: il biondo si fermò sull’entrata, allargando le braccia e mostrandole il completo chiaro che indossava, piroettando poi su sé stesso e fissandola in attesa.
«Come ogni giorno.» mormorò Xiang, azzannando la brioche e masticandola lentamente, sotto lo sguardo di disappunto dell’uomo: «Che ho detto?»
«E’ un completo nuovo.»
«Bello!»
«Anche la camicia è nuova.»
Xiang annuì, osservando Felix sedersi davanti a lei e guardarla con profonda contrarietà: «E’ per caso uno di quei codici che usate voi persone moderne e che dovrei capire?»
«Vado a trovare Bridgette, dopo la riunione al partito.»
«Aaaaah.»
«Secondo te, mi troverà affascinante? Un uomo a cui…»
«Lanciare oggetti? Sicuramente.»
Felix la fissò, aggrottando lo sguardo: «Era una battuta quella? Perché faceva veramente pietà.»
«Non sei tu che mi hai tormentato sul sembrare più umana e meno…»
«Meno te? Sì, ma non se devi prendermi in giro.» dichiarò l’uomo, voltandosi verso la porta e osservando i due che si stavano sbracciando per attirare la sua attenzione: «Sì, mi ricordo di voi. Purtroppo non ho avuto modo di informarlo…»  mormorò, sbuffando quando notò che i due si erano fermati un attimo per poi riprendere a gesticolare.
«Gliel’hai detto in francese.» mormorò Xiang, osservando il biondo ripetere il tutto in cinese; la ragazza finì la propria colazione e recuperò lo zaino con uno sbuffo: «Vado a scuola. Per quanto possa  essermi utile, dato che ho quattromila anni e so più cose di quelli che dovrei chiamare insegnanti.»
«Un giorno mi ringrazierai, bambina mia.»
«Sei inquietante.»
«Lo prendo per un complimento.»
Xiang sbuffò, uscendo velocemente dall’appartamento e si diresse verso l’ascensore, rimanendo in attesa che questi salisse: osservò le porte metalliche aprirsi e sorrise alla proprietaria dell’appartamento di fianco a quello doveva viveva, sgusciando poi nell’abitacolo e premendo il pulsante del piano terra.
Si appoggiò contro la parete, socchiudendo gli occhi e inspirando profondamente: erano pochi piani quelli che doveva affrontare in ascensore, ma erano un inferno.
Quella era una delle modernità a cui mal si adattava, sentendosi troppo vulnerabile fra quelle pareti di lamiera, eppure si ostinava a prenderlo ogni giorno, a scendere con quel mezzo, e dimostrare a sé stessa che poteva dominare la propria paura.
Il classico tremolio la informò che era giunta al pianoterra e, non appena la porta si aprì, sgusciò fuori velocemente: bene, anche per quel giorno era riuscita ad arrivare all’ingresso sana e salva; si sistemò meglio lo zaino sulla spalla e uscì dal palazzo, fermandosi un attimo per ricordarsi in quale direzione si trovava la fermata della metrò che doveva prendere: solo Felix poteva averla iscritta a una scuola che la costringeva, ogni giorno, ad attraversare quasi completamente la città.
«Ehi, tizia millenaria!» la voce giovane la riscosse dai suoi pensieri e Xiang si voltò, incontrando la figura del giovane Portatore del Miraculous della Farfalla: «Vivi nel quartiere dei ricchi?»
«Portatore…»
«Thomas Lapierre, mi chiamo così.» dichiarò prontamente il ragazzino, raggiungendola e sorridendo: «Non sono ancora così navigato da farmi chiamare in modo altisonante.»
«Hai veramente un’ottima padronanza della tua lingua, giovane guerriero.»
«L’ho detto ieri: ho i voti più alti di tutta la classe a francese e poi mio padre è professore alla facoltà di letteratura. Sono nato fra i libri, io.»
«Avevi bisogno di me, per caso? E come hai fatto…»
«Alex. Mi sono fatto dare l’indirizzo da lui.» dichiarò Thomas, abbassando lo sguardo e strusciando un piede per terra: «Tu conosci il nostro nemico, vero?»
«Sì.»
«E’ molto pericoloso?»
«Molto.»
Il ragazzino annuì, inspirando profondamente e lasciando andare l’aria: «Fantastico. Ed io sono appena arrivato…» dichiarò grave, portandosi poi una mano all’altezza del cuore e sorridendo mestamente: «Nooroo mi ha fatto pat-pat.» le spiegò, notandolo sguardo confuso della ragazza.
«Pat-pat?»
«Sì, così.» le risposte Thomas, avvicinandosi e dandole lievi colpetti sul braccio: «Lo fa sempre, soprattutto quando sono giù.»
«State instaurando un bel rapporto, direi.»
«Sì, e anche con gli altri della squadra: Rafael e Adrien si divertono a prendermi in giro, però sono sempre attenti a quello che combino; Wei ha dichiarato che mi proteggerà sempre e…beh, Lila, Sarah e Marinette sono tre sorelle acquisite: si comportamento esattamente come Camille, alle volte. E dire che sono le eroine di Parigi e Marinette si sta per sposare, fra l’altro.» sbottò il ragazzino, scuotendo il capo: «Poi Alex è il mio idolo: l’altro giorno abbiamo fatto una partita a Ultimate Strike e quel ragazzo sa giocare! E anche il resto non è male: il signor Agreste mi da sempre consigli su come utilizzare il mio potere, madame Agreste e madame Hart sono molto simpatiche e il maestro è particolare. Alle volte mi ricorda quello di Dragon Ball, ma senza il lato maniaco.»
«Dragon Ball?»
«Ah. E’ un anime giapponese vecchiotto, ultimamente è uscita una nuova serie e quindi ho recuperato anche quelle vecchie.»
«Capisco.» sentenziò Xiang, sorridendo al giovane: «Che cos’è un anime?»
«Un cartone animato. Giapponese, però. E Dragon Ball è fighissimo! Il mio preferito è Trunks.» dichiarò Thomas, bloccandosi poi e scuotendo la testa: «Ma non sono venuto qui per questo.»
«E per cosa allora?»
«Tu sai combattere, vero?»
«Sì. Sono stata addestrata da Kang al combattimento e all’uso delle armi.»
«Ottimo! Potresti allenarmi?»


Marinette inspirò, osservando il proprio riflesso e l’abito candido che indossava: era stretto fino alle ginocchia, punto in cui la gonna si allargava e creava un effetto a coda di sirena, mentre le spalle erano coperte da pizzo e trina.
Era un bellissimo abito da sposa, ma non si sentiva a suo agio indossandolo.
«Marinette, sei bellissima…» mormorò sua madre, affiancandola e posandole le mani sulle spalle: «Il bianco ti sta divinamente.»
«Bellissima come con gli altri dieci abiti.» mugugnò Lila, facendo ridacchiare Alya e Sarah: «Allora, signorina. E’ quello giusto? Quello che ti fa dire: sì, è l’abito con cui mi sposerò con Adrien e poi lui me lo…»
«Lila!» tuonò Sophie, voltandosi verso la ragazza e fissandola: «Puoi evitare di fare commenti su certe meccaniche?»
«Ah. Giusto. Dimenticavo: tu sei la mamma di Adrien e quella di Marinette è accanto a lei. Niente commenti su come i loro figli…»
«Lila…»
«Sto zitta!»
«Sophie, Sabine. Capitela. Stasera ha la cena con sua madre.» dichiarò Sarah, carezzando la testa dell’amica e sorridendo: «Deve sfogarsi in qualche modo…»
«E tu non trattarmi come se fossi il tuo piumino.»
«Il suo piumino sarebbe…»
«Rafael, Alya. Rafael è Piumino e Adrien è il gattaccio, non puoi cadermi sulle basi così!»
«E’ che sono soprannomi così strani…»
«Mai soprannomi furono più adatti.» sentenziò divertita l’italiana, riportando lo sguardo sulla futura sposa: «Allora? Altro abito, altro giro?»
Marinette riportò la propria attenzione al suo riflesso, scuotendo il capo e sentendo le lacrime salirle agli occhi: «Non troverò mai un abito che mi vada bene! Ne ho provato una marea e nessuno era giusto e…e…»
«Oh. Oh. Oh. Crisi prematrimoniale in arrivo? Era stata fin troppo brava.»
«Non ho una crisi.»
«No, assolutamente no.»
«Lila, così peggiori la situazione…» sospirò Sarah, alzando gli occhi al cielo: «Magari il prossimo è quello giusto, Marinette? Mai perdersi d’animo.»
«Esatto! Insomma, non ti sei persa d’animo quando sbavavi dietro Adrien – ed io ne so qualcosa – non iniziare ora, che sei quasi a un passo dalla meta!» dichiarò Alya, alzando il pugno e sorridendo all’amica: «E se non troviamo qui l’abito, possiamo andare nell’atelier dell’altra stilista che conosci, Willhelmina Hart.»
Marinette scosse il capo, raccogliendo le gonne e andando a nascondersi nella stanza adibita a spogliatoio, chiudendo la porta dietro di sé e accasciandosi contro di questa: cosa le stava succedendo, non lo sapeva neanche lei. Era nervosa e stanca: non ne poteva più dei preparativi di quel matrimonio quasi improvvisato, del trasloco, di stare sull’allerta per colpa di un nemico misterioso, era stanca di tutto.
E si malediceva per come si stava comportando.
Non era da lei.
Lei non era…
«Marinette…» mormorò Tikki, volando davanti al viso e sorridendole comprensiva: «Andrà tutto bene, fidati.»
«No. Non trovo un abito e la cerimonia sarà fra poco.»
«C’è ancora tempo ed è quasi tutto pronto: la chiesa c’è, il locale dove festeggiare dopo c’è, tua madre e quella di Adrien si sono occupate delle partecipazioni e delle bomboniere, Nino e Rafael hanno pensato all’animazione…» la piccola kwami si fermò, portandosi una zampina alla bocca: «Che altro c’è?»
Un lieve bussare alla porta del camerino fece sobbalzare le due e Marinette si voltò, aprendo un poco la porta e osservando Sophie dall’altra parte con il proprio cellulare in mano: «E’ Adrien.» le spiegò, sorridendo e allungandole l’apparecchio.
«Lo hai chiamato?»
«No, in verità l’ha fatto lui e ho pensato che sentirlo ti avrebbe…» si fermò, mordendosi il labbro inferiore: «..calmata? Parla con lui e poi torna di là, c’è un altro abito che ti aspetta.»
Marinette sospirò, prendendo il telefono e richiudendo la porta, appoggiandosi poi contro di essa: «Sei in crisi? Davvero?» domandò divertita la voce del ragazzo, non appena ebbe portato l’apparecchio all’orecchio: «Ero convinto che non ci saresti andata…»
«Come fai a sapere che ero io?»
«Riconosco il tuo respiro.» dichiarò borioso il ragazzo e Marinette se lo immaginò con il suo solito sorrisetto scanzonato: «Allora, principessa. Cosa c’è che non va? Dillo al tuo principe.»
«Hai fatto carriera? Da gatto a principe?»
«Spiritosa. Allora, cosa c’è che non va?»
«Non trovo l’abito adatto.»
«Beh, so che è prassi comune non trovare l’abito al primo colpo. Insomma, fanno anche quei programmi in tv dove le spose ne provano milioni, prima di trovare quello adatto…»
«Speravo di essere diversa.»
«Più di così? Posso consigliarti di non prendere qualcosa con lo strascico? Conoscendoti ci inciamperesti e finiresti addosso al prete e…»
Marinette gemette, scivolando nuovamente a terra: «Sarei capacissima!» sentenziò, iniziando a immaginarsi il suo matrimonio rovinato per colpa della sua imbranataggine e Adrien che la lasciava, andandosene con…con…
Con una modella che passava di lì per caso. Ecco.
«E l’oscar per miglior film mentale va a Marinette.»
«Io…io non stavo immaginando nulla.»
«No, certo che no.» sentenziò Adrien, ridacchiando: «Ti sei calmata? O sei ancora in fase: oh mio dio, non troverò mai l’abito perfetto e il mio matrimonio sarà un fiasco totale!  E per questo poi divorzierò e diventerò…»
«Adrien…»
«Giusto per sapere: per quanti film mentali ti ho dato il materiale?»
«Troppi!»
«Andrà tutto bene, my lady. Siamo noi due, alla fine.» dichiarò il ragazzo, cambiando argomento e assumendo un tono serio: «Ora vai di là e provati tutti gli abiti che servono fino a trovare quello con cui verrai da me all’altare, ok?»
«Ok.»
«Ottimo. Non mi piace essere quello che calma, sono io che vado sempre in crisi isterica non tu.»
«Adrien?»
«Sì?»
«Grazie.»
«Questo ed altro per la mia signora.»


Willhelmina osservò la pila di fogli che il suo assistente aveva appena posato sulla scrivania, alzando poi lo sguardo: «Giusto per sapere, Maxime. Ma da quale girone dell’inferno vieni?»
«E’ il rendiconto dell’azienda, madame.»
«Ed è compito tuo revisionarlo, no?»
«L’ho già fatto.» dichiarò l’uomo, sistemandosi la cravatta e sorridendo affabile: «Deve solamente vederlo e…»
«L’ho visto e sarà sicuramente perfetto!»
«Madame!»
«Andiamo, Maxime! Lo sai che non ci capisco niente!» sbuffò la donna, roteando gli occhi: «Da quanto lavoriamo insieme?»
«Da un tempo abbastanza lungo dove l’ho vista ubriaca e impegnata a intraprendere interessanti discussioni con il suo specchio.» sospirò l’uomo, scuotendo la testa: «Senza contare l’anno scorso, quando è sparita per andare in Tibet. In Tibet! Se voleva prendersi una vacanza perché non è andata in un posto più chic e non mi ha portato con sé?»
«Tu mi stai ancora facendo pagare il fatto che ho mandato all’aria la mia sfilata alla settimana della moda e poi me ne sono andata, vero?»
«Sì!»
«Tu…tu…»
«Lei non ha idea di quello che ho passato! Ho dovuto dire che era in depressione e che era andata St. Moritz per curarsi!»
«E allora?»
«Lei non ci è andata a St. Moritz e quel viscido di Valentino è venuto subito a dirmelo.»
«Maxime, seriamente, qual è il tuo problema?»
«Lei!»
Willhelmina sospirò, portandosi gli indici alle tempie e massaggiandosele, socchiudendo gli occhi: «Ti prometto che non farò una cosa del genere…»
«Me lo aveva promesso anche a New York, quando spariva per giornate intere.»
«Ti prometto che non succederà più. Davvero.»
«Se lo rifarà, mi licenzierò. Capito?»
«Certamente.»
«Bene.» l’uomo assentì con la testa, recuperando i fogli e sorridendole: «Ha un ospite.»
«Gabriel?»
«No, in verità è un bell’uomo, vestito distinto…» Maxime le sorrise, facendole l’occhiolino: «Poteva anche dirmelo che si era trovata una liason.»
«Cosa?» domandò Willhelmina, osservando il suo assistente sgambettare velocemente verso la porta dell’ufficio e farsi da parte per lasciare entrare Felix: «Tu!» esclamò la donna, picchiando entrambi i palmi sul vetro della scrivania: «Fuori!»
«Hai ancora intenzione di non parlarmi?»
«Sì.»
«Andiamo, Bri.»
«Fuori da questa stanza!»
«Non è colpa mia se Kang mi ha tenuto quasi segregato a Shangri-la! In verità, è meglio togliere il quasi: ero letteralmente prigioniero di quel cinese.» sbuffò l’uomo, avvicinandosi alla scrivania e fissando la donna dall’altra parte: «Ti avrei cercata anche prima, ma mister vedo il futuro ha pensato bene di allenarmi, per aiutare...»
«Non voglio vederti.»
«Siamo legati, Bri.»
«No, noi non siamo niente.»
«E allora perché sei venuta con me?»
«Duecento anni fa. Ero giovane e tu eri un maledetto dongiovanni: con la scusa che indossavi quella maledetta maschera, ti sentivi libero di fare quel che ti pareva.» dichiarò Willhelmina, afferrando un fermacarte a forma di pietra e lanciandolo verso l’uomo.
«Continui a lanciarmi roba?»
«Sei fortunato che qui non tengo armi!»
«Bri…»
«E non chiamarmi Bri!»
«Dovrei chiamarti miss Hart, per caso? Mi perdoni, miss Hart. In ogni caso, se mi sentivo libero di fare quel che mi pareva, avrei sicuramente sedotto una certa signorina di buona famiglia.»
La donna sospirò, scuotendo il capo: «Cosa vuoi da me?» domandò, accomodandosi sulla sua poltrona e osservandolo stancamente: «Avevo trovato la pace, finalmente. E adesso hai stravolto tutto…»
«Voglio stare con te. Semplice. Darci ciò che ci è stato negato.»
«Non voglio.»
Felix sorrise, poggiando i palmi sulla scrivania e allungandosi verso la donna, notando come il respiro di questa diventasse immediatamente affrettato: «Bri, per favore, lo sai che la caccia mi piace. E tu mi servi il mio passatempo preferito su un piatto d’argento» dichiarò, ritraendosi e sistemandosi la giacca: «Penso proprio che sarà divertente da ora in poi, miss Hart.»


Alex osservò i fogli che Rafael aveva poggiato sul tavolo, leggendo velocemente qua e là, portando poi l’attenzione sull’amico: «E’ quello che penso che sia?»
«Tutte le ricerche e gli articoli di mio padre sulle civiltà perdute.» dichiarò Rafael, sorridendo: «Forse non ci servono a niente, ma se Dì ren o come cavolo si chiama è legato a Routo, magari qui abbiamo qualche indizio.» dichiarò, osservando Flaffy volare sopra una mappa e studiarla: «Che ne pensi, Flaffy?»
«Forse c’è qualcosa…» mormorò il kwami, studiando la piantina di una città: «Forte, sembra la stessa che c’era in casa di mia zia.»
«Quella è una pianta della città che, secondo la leggenda, Poseidone creò per Cleito…»
«Mia zia diceva che era un ricordo di un tempo antico.» dichiarò Flaffy, sorridendo al proprio Portatore: «Parlava di una città distrutta dopo il secondo Cataclisma.»
«Ok. Forse abbiamo qualcosa fra le mani…» sentenziò Alex, sorridendo: «Bene, diventeremo degli esperti di Atlantide, un po’ come in quel film della Disney? Avviso, che se esce fuori la tipa millenaria che ha una pietra…»
«Xiang è millenaria.»
«Giusto.»
«Sai se ha una pietra?»
«Dovrei informarmi.»


Wei si accomodò al tavolo, osservando la sfarzosità della sala e poi portando l’attenzione sulla ragazza al suo fianco: «Stai bene?» le domandò, allungando una mano e prendendo quella di Lila, carezzandole il dorso con il pollice: «Lila?»
La ragazza annuì, abbozzando un sorriso: «La Tour d'Argent…» mormorò, scuotendo il capo e portandosi indietro una ciocca con la mano libera: «Mia madre gioca in casa: è il suo ristorante preferito a Parigi e il più chic. E il più caro.»
«Bene, vorrà dire che non mi offrirò di pagare il conto.»
Lila provò a sorridere, ma i muscoli della faccia le si bloccarono quando vide la madre entrare: Ada Rossi non era cambiata, dall’ultima volta che l’aveva vista. I capelli, scuri come i suoi, erano tagliati corti e le circondavano il viso come onde create a regola d’arte: un taglio elegante, che la madre sapeva portare perfettamente, come indossava altrettanto magnificamente il tailleur scuro e i pochi gioielli dalla linea classica.
La ragazza si alzò, venendo subito imitata da Wei: «Lila.» mormorò Ada, non appena si trovò davanti la figlia, studiandola e sorridendo: «Sei diventata veramente bellissima e questo tubino rosso ti dona molto.»
«Grazie.» mormorò la ragazza, stringendo la mano di Wei e aspettandosi una qualche critica da parte del genitore: era sempre così, iniziava con un complimento e poi le dava una stoccata, quando aveva abbassato la guardia.
«Immagino che tu sia Wei Xu.»
«Sì, signora.»
Ada piegò le labbra, tinte di rosso in un sorriso, annuendo: «Inizio a capire cosa mia figlia ha visto in te…»
«Mamma…»
«Il tuo sguardo è quello di una persona buona, signor Xu.»
«La prego di chiamarmi Wei.»
«D’accordo, Wei.» dichiarò Ada, allargando le braccia: «Ma accomodiamoci! Ho chiesto a Philippe un menu speciale, dato che incontravo il fidanzato di mia figlia. Philippe è lo chef del ristorante e un buon amico di mio marito, posso assicurare che i suoi piatti sono fenomenali.»
«Meraviglioso.» dichiarò Wei, abbozzando un sorriso e aumentando la stretta sulla mano della ragazza: «Non è vero, Lila?»
«Sì…» mormorò Lila, fissando la madre: cosa stava succedendo? Dov’era la donna che aveva sempre conosciuto? Chi era quell’Ada Rossi che sedeva al tavolo con lei?
«Come sta andando l’università, Lila?»
«Cosa? Ah…bene.»
«Bene. Con mia figlia va sempre tutto bene…» sbuffò Ada, sorridendo affabile: «E’ così anche con te, Wei?»
«In verità no. Lila mi dice sempre quando qualcosa non va oppure sì.»
«Capisco…» mormorò Ada, annuendo e alzandosi: «Se vogliate scusarmi, vado a dire una cosa a Philippe. Torno subito.»
«Certamente.» dichiarò Wei, osservando la donna dirigersi sicura verso la cucina, con la stessa camminata sicura della figlia: «Sta andando tutto bene, no?» domandò, voltandosi verso quest’ultima e osservandola curioso: «Lila?»
«Sinceramente mi sto chiedendo chi è la donna con cui stiamo per cenare.»
«Cosa?»
«Mia madre non si sarebbe mai comportata così.»
«Magari vuole provare a entrare nella tua vita…»
«Ne sei convinto?»
«Dalle il beneficio del dubbio, Lila.»
«Solo perché me lo chiedi tu.» bofonchiò la ragazza, dopo una buona manciata di minuti in silenzio: «Solo per te, Wei.»

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.769 (Fidipù)
Note: Ed eccoci qua con un nuovo capitolo, del quale non ho informazioni particolare da dire: il momento delle notizie random è durato veramente poco. Vabbè, vabbè.  Sarà per la prossima volta (fra l'altro devo anche esser breve, visto che ho i libri da studiare che ammiccano seducenti dall'angolo della scrivania) e quindi passo subito ai ringraziamenti di rito! Ma prima vi do appuntamento a mercoledì con il nuovo capitolo de La Bella e la Bestia!
Grazie a tutti voi che mi leggete, che mi commentate, che mi seguite, che mi votate come vostro capo supremo della Terra...ah no, questo è il ringraziamento per quando sarà il Dominatore assoluto. Come non detto.
Grazie a tutti voi che continuate a supportarmi e a seguirmi!



Marinette sbadigliò, strusciandosi un occhio e osservando il posto vuoto davanti al suo: si era messa d’accordo con Nathaniel per studiare assieme storia della moda e si erano dati appuntamento nell’aula studio della struttura, che ospitava la loro scuola.
Peccato che l’amico fosse in ritardo.
E un ritardo anche sostanzioso, concluse azionando il cellulare e osservando l’orario: era passata quasi un’ora da quella  in cui si erano dati appuntamento e ancora non si vedeva, inoltre non l’aveva nemmeno avvisata e quindi si stava iniziando a preoccupare.
Aveva provato anche a mandargli un messaggio, ma il silenzio dell’amico non aveva fatto altro che accentuare l’inquietudine.
Gli era successo qualcosa?
E se ci fosse stato un attacco?
Marinette scosse il capo, accantonando subito quell’idea: no, in quel caso Alex l’avrebbe chiamata e…
Ma certo! Alex!
Poteva contattarlo e sentire se era avvenuto qualche incidente, magari poteva scoprire se Nathaniel era stato coinvolto o meno e capire il perché del ritardo dell’amico: annuì alla sua idea, azionando il cellulare e notando il rosso entrare proprio in quel momento, avvicinandosi al tavolo: «Scusami, Marinette. Non ho sentito la sveglia.» mormorò il ragazzo, sospirando e passandosi una mano fra i capelli, spettinandoli: lo sguardo era stanco e aveva due profonde occhiaie attorno agli occhi, i vestiti poi dovevano aver visto giorni migliori di quello.
«Figurati. Stai bene?»
«Cosa? Sì, sì.» assentì il ragazzo, sedendosi davanti a lei e regalando un sorriso stanco: «Ho solo dormito troppo.»
«Ok.»
«Marinette, ti sta vibrando il cellulare.»
La ragazza spostò l’attenzione sul proprio telefono, sorridendo alla vista del mittente della chiamata: «Torno subito.» sentenziò, afferrando l’apparecchio e uscendo velocemente dall’aula studio: «Sì?» mormorò, non appena ebbe risposto alla telefonata.
«Non indovinerai mai cosa ho ritrovato!» esclamò la voce allegra di Adrien, mentre lei si appoggiava contro il muro e socchiudeva gli occhi.
«Cosa?»
«Ti ricordi di un certo braccialetto, che qualcuno mi aveva dato perché era più brava di me ai videogiochi?»
«Lo hai ancora?»
«Sì, era sul fondo di un cassetto. L’ho trattato da schifo ed era il primo regalo che mi hai fatto. Sono pessimo.»
Marinette sorrise, evitando di correggere il ragazzo: in verità il suo primo regalo era stata una sciarpa che lei aveva confezionato per il compleanno di Adrien, ma Nathalie l’aveva fatto passare come regalo di Gabriel; la donna si era poi scusata e aveva anche proposto di dire la verità al biondo, ma Marinette l’aveva fermata.
Adrien era stato così felice, quando aveva saputo che era un regalo del padre che lei non aveva voglia di deluderlo, dopo molto tempo.
E quindi aveva preferito tacere e Adrien continuava a credere che la sciarpa era stata un regalo del padre.
«E ho anche ritrovato la tua sciarpa»
«La mia sciarpa?»
«Sì, quella che mi avevi fatto per il mio compleanno. L’unica cosa che manca all’appello è il cappello da Babbo Natale, ma l’ho regalato a quel tipo, quello che era diventato Pire Noel…»
«Co-co-cosa?»
«Cosa che?»
«La…la…scarpa…no, cioè volevo dire…la sarpa…carpa…»
«La sciarpa?»
«Sì!»
«Marinette, davvero pensavi che non me ne sarei mai accorto?» domandò Adrien, ridacchiando: «Dovresti avere più fiducia nelle mie capacità.»
«Per dir la verità: Gabriel l’ho ha informato che non gliel’aveva regalata lui. Nathalie in un giorno di introspezione, gli aveva confidato come si era procurata quel determinato regalo e lui ha deciso di dirlo al figlio.» spiegò Plagg, mentre Adrien ringhiava di sottofondo: «Il moccioso ha taciuto, perché pensava che un giorno tu avresti vuotato il sacco.»
«Plagg, dannazione!»
«Che cosa bella il vivavoce, dovresti metterlo più spesso quando chiami la tua fidanzatina, sai?»
«Ad-drien…io…io…»
«Sapevi che ero stato contento di riceverla da mio padre e per questo non mi hai mai detto niente, vero?»
«S-sì.»
«Tipico della mia principessa.»
«Sei arrabbiato?»
«Mh. No. Deluso da Nathalie, che ha spacciato un tuo regalo per suo, ma ormai è passato parecchio tempo, quindi l’ho superata.»
«Parecchio tempo? Ma da quando…»
«Da quando lo so? Vediamo, forse da poco dopo la scoperta delle nostre identità?»
«E non mi hai mai detto niente?»
«Tu non dicevi niente ed io ho pensato di fare altrettanto. Ho parlato senza pensare, altrimenti non avrei detto niente nemmeno ora…»
«Adrien, io…»
«Ehi, va tutto bene, mon coeur.»
«Ti ho mentito per tutto questo tempo…»
«Beh, vorrà dire che dovrai pagare una bella sanzione, allora. Sì, voglio tanti baci stasera.»
«Stasera sono Lila, Sarah e Xiang.»
«Dovrai tornare a casa prima o poi, ma belle, e allora pagherai il prezzo per avermi mentito su quella sciarpa per tutti questi anni.»
Marinette sorrise, voltandosi verso la porta dell’aula studio: «Dovrei tornare a studiare, adesso.» dichiarò, sospirando e sentendo il ragazzo ridacchiare dall’altra parte del telefono: «Nathaniel è strano oggi.»
«Ci sta provando con te?»
«No, gelosone. E’ arrivato in ritardo, molto in ritardo e sembra stanco, quasi come se avesse passato la notte in bianco. Ma ha detto che ha dormito troppo.»
«Forse si è addormentato tardi? Magari pensava al fatto che avrebbe passato con te la mattinata e…»
«Adrien, sono io quella che si fa i film mentali.»
«Hai l’esclusiva?»
«Ti ho detto che gli interessa qualcun altro.»
«Mai sentito dire che il primo amore non si scorda mai?»
«Non ti dico niente perché sei adorabile quando fai il geloso, ecco. O almeno lo sei finché non inizi a farti paranoie e hai gli incubi mentre dormi.»
«Oh, quindi ti piace quando mi dimostro possessivo?»
«Oh, per favore! Abbi pietà di me!» squittì la voce di Plagg, facendo sorridere Marinette: «Non voglio avere il diabete per le vostre chiamate piccipicci puccipucci e tu dovresti pensare a inscatolare la tua roba! Il matrimonio si avvicina e non hai ancora fatto niente!»
«Devo andare, my lady. Qualcuno è uno schiavista nato qui.»
«No, sto solo pensando a come salvare la mia sanità mentale.»
«Sai, Plagg, che a breve…»
«Portatore muore ucciso dal suo kwami.» dichiarò Plagg, quasi come se fosse un titolo di un giornale: «Sarà il primo caso da quando sono stati creati i Miraculous ma…beh, c’è sempre una prima volta.»
«My lady, ci sentiamo appena finisci di studiare.»
«D’accordo, mon minou.»
«Ah, era tanto che non mi chiamavi.»
«Vai o Plagg ti uccide.»
«Agli ordini!»
Marinette sorrise, osservando lo schermo del suo cellulare spegnersi e, con un sospiro, tornò in aula studio: si avvicinò al tavolo che aveva occupato, notando Nathaniel seduto e con lo sguardo perso nel vuoto davanti a sé; la ragazza si accomodò di nuovo davanti a lui e notò che non era stata notata: «Nathaniel?»
«Oh. Cosa? Già di ritorno?»
«Sì.»
«Studiamo allora?»
«Sì.» mormorò Marinette, osservando l’amico recuperare il proprio libro e metterlo davanti a sé e notando come i movimenti del rosso fossero lenti e affaticati: sì, c’era decisamente qualcosa che non andava in Nathaniel quel giorno e non pensava fosse dovuto solo al fatto che avesse dormito troppo.
«Nath, stai bene?»
«Sì, certo. Perché non dovrei? Frequento una scuola che sogno, la ragazza che mi piace ha accettato di uscire con me la prossima settimana e ho avuto una chiamata per uno stage presso un nuovo brand di gioielli!»
«Non lo sapevo!»
«Mi ha chiamato il proprietario qualche giorno fa e l’ho incontrato…» Nathaniel si fermò, piegando le labbra in un sorriso: «Gli sono piaciuti alcuni miei disegni e mi ha preso come stagista, appena concludo i corsi di quest’anno.»
«Sono felice per te.»
«Grazie, Marinette.»


Thomas colpì il palmo aperto di Xiang, ricevendo un calcio sul fianco e scivolando sul pavimento: «Tregua!» esclamò, tenendosi la parte dolorante e osservando la sua insegnante, cercando di riempire i polmoni di ossigeno anche se si stava rivelando veramente faticoso: sarebbe stato complicato spiegare a sua madre i lividi che si era procurato in quel primo giorno di lezione con Xiang.
«Non esisterà una tregua, quando combatterai contro Dì Ren.»
«Mi nasconderò dietro Tortoise.»
«Non avevi detto che volevi combattere come loro, quando mi hai chiesto di allenarti? Di essere alla pari dei tuoi compagni?»
«Ehi! Ho solo tredici anni!»
«Forse sono stata troppo affrettata…» sospirò Xiang, portandosi indietro una ciocca e osservando il Portatore davanti a lei: «Dovrei riportare i Miraculous a Shangri-la ed evitare tutto questo.»
«Ehi, ehi, ehi. Calma, calma.» esclamò Thomas, mettendo le mani avanti a sé e cercando in Nooroo un appoggio: «Sono certo che quando Dì Ren arriverà, io sarò pronto. Mi stai allenando tu, no?»
«Lo spero.»
«Abbi fiducia in lui, Xiang» dichiarò Nooroo, sorridendo dalla sua postazione ove osservava l’allenamento: «Thomas è in gamba e apprende velocemente. Dagli tempo e sarà un ottimo Portatore: sa già infondere l’energia, a seconda dell’emozione che sente, e già se la cavava egregiamente nel combattimento, una volta trasformato.»
Xiang annuì, mettendosi in posizione di combattimento e osservando Thomas fare altrettanto: «Adesso dovrai parare i miei colpi, ok?»
«Lividi, sto arrivando!»
«Che cosa è successo al mio salotto?» tuonò la voce di Felix, facendo voltare i due verso la porta della stanza ove l’uomo fissava il disordine che era stato creato: «Xiang!»
«Devo allenare Thomas.»
«E per farlo ammucchi tutti i miei mobili da una parte?»
«Avevamo bisogno di spazio.»
Felix aprì la bocca, rimanendo in quella posa per qualche secondo e poi richiudendola, scuotendo la testa e passandosi una mano fra i capelli biondi: «Sei impossibile.»
«Buonasera, signor…mh…Blanchet? Norton? Come dovrei chiamarla?»
«Felix, ragazzino. Siamo commilitoni.»
«Signor Felix.»
«No, solo Felix.» sentenziò l’uomo, alzando gli occhi al cielo: «Bo! Li! De!» esclamò, osservando i tre fratelli arrivare velocemente e osservarlo in attesa, mentre lui gli ordinava di risistemare il salotto; i tre assentirono ripetutamente, mettendosi subito al lavoro sotto lo sguardo sorpreso di Thomas.
«Ma sono usciti da Mulan?» domandò il ragazzino, osservando il trio a bocca aperta: «Sapete, i tre che sono al campo di allenamento e con cui lei fa amicizia…»
«No. Vengono da…» Felix si bloccò, annuendo con la testa: «Giusto, giusto. Ehi, voi tre. Bo! Li! De!» esclamò, attirando la loro attenzione e indicando poi Thomas: «Miraculous.»
I tre abbandonarono il loro lavoro, trattenendo contemporaneamente il fiato e osservando Thomas come se fosse un dio sceso sulla  terra: «Miraculous!» strillarono all’unisono, inginocchiandosi davanti a lui e rimanendo fermi in quella posizione.
«Ma che cosa…?»
«Ho trovato questi tre che girovagavano per le strade di Parigi, qualche tempo fa.» spiegò Felix, sospirando: «Erano all’angolo di una strada e non sembravano i soliti clochard, al che mi sono avvicinato e ho parlato con loro, venendo a sapere che erano stati spediti qui a Parigi dalla nonna per aiutare il Gran Guardiano nella sua missione, ma appena giunti qua sono stati derubati di ogni avere e non sapendo una parola di francese…beh, hanno avuto un po’ di problemi; fra le altre cose ho scoperto che sono monaci di Nêdong e che la loro nonnina è la carissima Fa. Nooroo la conoscerà bene.»
«Sono nipoti di Fa?» domandò il kwami, osservando con occhi nuovi i tre e uscendo dal suo nascondiglio: «Sapevo che Fa si era creata una famiglia e che questa fosse numerosa. Sono contento.»
I tre fratelli alzarono la testa, trattenendo per la seconda volta il fiato: «Kwami!» strillarono nuovamente all’unisono, battendo le mani e inchinandosi nuovamente.
«I kwami per loro sono divinità.» spiegò Felix, incrociando le braccia: «Dovrei parlare con Fu, ma ogni volta me ne dimentico: beh, prima di adesso non potevo andare molto spesso dal mio caro vecchio amico e l’ultima volta…come dire? Ero leggermente distratto.»
«Adesso si dice così fissare le grazie della ex-Portatrice della coccinella? Posso capire che fianchi larghi e seno prosperoso possano essere elementi a favore della procreazione ma…»
«E’ una fortuna che Willhelmina non se ne sia accorta.» dichiarò Thomas, ridacchiando: «Altrimenti le avrebbe tirato qualcosa di molto più pericoloso di un semplice uovo di giada.»
«Tu, sei troppo giovane per questi discorsi.» sentenziò Felix, indicando il ragazzino e spostando poi il dito verso Xiang: «E tu devi sapere che ho molti anni di pratica: quando ero il serio e composto sergente Felix Norton ero bravissimo a notare certi particolari senza essere visto. Plagg può confermarlo.»
«Plagg può confermare tante cose dei suoi Portatori e quasi tutte rientrano in una certa categoria di azioni» sbuffò Nooroo, scuotendo la testa: «Mi domando ogni volta se è la sua influenza a cambiare i suoi Portatori o sono tutti così simili a lui.»
«Non so com’era il mio erede prima di avere un certo anello, ma posso dire che Plagg mi ha solo reso più facile avvicinarmi a una certa signora e godere delle sue grazie. Anche se non sapevo che era la stessa persona…»
«Non aveva detto che ero troppo piccolo per certi discorsi?»
«Tu non hai sentito niente, ok?»
«Il mio silenzio costa caro.»
«Xiang, puoi prendere il suo Miraculous.»
«Non dirò una parola. Lo giuro.»
«Bravo ragazzo.»


«E quindi tua madre si è comportata da umana per tutta la sera? Ma non avevi detto…» Sarah si voltò verso Lila, stringendo il cuscino contro il petto e osservando l’italiana annuire, mentre Marinette e Xiang dividevano la loro attenzione tra il drama in corso sullo schermo della tv e la conversazione fra le due.
«Sì. Io penso che sia posseduta, tipo Willie. Non mi spiego questo cambiamento…» dichiarò la ragazza, incrociando le gambe e poggiando i gomiti contro le ginocchia: «Era tutta un fare complimenti a Wei per come, nonostante le difficoltà, riuscisse a mantenersi e ad aiutare la sua famiglia. Wei! Lei ne aveva parlato male fino a pochi giorni fa! E poi mi chiedeva dell’università, se mi piacevano le lezioni: ma i nonni da quanto non li senti? Oh, dovremmo andare a fare shopping, insieme. Lila, dimmi quando sei libera perché vorrei pranzare con te. Oh, Wei. Ovviamente spero di replicare la cena e magari con mio marito, sono certa che piacerai a Ruggero.» Lila si fermò, scuotendo la testa: «E’ posseduta. Lo dico io.»
«E Wei che dice?»
«Secondo lui sta cercando di provare a entrare nella mia vita.»
«E non potrebbe essere così?» domandò Marinette, voltandosi verso l’amica: «Magari si è accorta che non è stata una figura importante nella tua vita e magari sta cercando di rimediare: certo è andata da un estremo a un altro, però potrebbe essere animata da buone intenzioni.»
«Mia madre?»
«Dovresti sapere benissimo che tutti possono sbagliare e possono anche cercare di rimediare ai propri errori.»
«Mh. Questa frase mi riporta alla mente di una certa ragazza, akumatizzata da Papillon, che si trasformava in una bellissima e sensualissima supereroina e che ha cercato più volte di vincere contro due sedicenti eroi…»
«Sì, mi riferivo proprio a quella ragazza.» assentì Marinette, sorridendo: «Poi se n’è andata e quando è tornata era pentita delle proprie azioni e lo ha dimostrato diventando una compagna fidata e insostituibile.»
Lila sorrise, allungandosi e spettinando Marinette seduta per terra davanti a lei: «Grazie mille, boss.» dichiarò, stringendo da dietro l’amica e poi spostando l’attenzione su Xiang, comodamente sistemata accanto a Marinette: «Scusa, cinesina. Sto monopolizzando la serata che doveva essere ‘conosciamo ogni segreto di Xiang’. Del tipo: l’hai già fatto con Alex?»
«Lila!»
«Sono curiosa!»
«Ma io non voglio sapere di Alex che fa roba…potrei vomitare la cena.»
«Quanto sei delicata, Sarah.»
«Fatto cosa?» domandò Xiang, fissando innocentemente le tre ragazze: «Perdonatemi, ma purtroppo non comprendo ancora bene tutti i vostri modi di dire.»
«Oh. Sei più pura di queste due. Xiang cara, so che tu credi che i bambini siano un dono di qualche dio, che li mette nelle braccia della madre, ma devi sapere che quando un ragazzo e una ragazza si amano tanto…»
«So come nascono i figli, Portatrice del Miraculous della Volpe.»
«Se vogliamo avere un qualche tipo di rapporto, devi davvero smettere di chiamarci ‘Portatrice del Miraculous del e inserire uno degli animali’. Davvero. Io sono Lila, lei è Sarah e lei è Marinette. Sono nomi facili da ricordare.»
«Oh. Certo.»
Bene. Ora torniamo al discorso principale: Xiang e Alex hanno…»
«Procreato? Per la grande dea! No! Non ho ancora vita dentro di me.»
«Uno crede che una persona di quattromila anni sia navigata, che sappia come va il mondo e invece…» Lila sospirò, scuotendo la testa: «Xiang cara, non so definirti se peggio di Marinette o di Sarah. O di entrambe.»
«Perché?»
«Sei troppo innocente, ma chére. E rigida. Lasciati andare, goditi la vita!»
«Ma…»
«Lasciati andare, goditi la vita!»
«Un consiglio, Xiang.» sospirò Marinette, scuotendo la testa e sorridendo a Lila, che stava ripetendo le due frasi e alzava le braccia verso il cielo: «Assecondala!»
«Soprattutto oggi, penso che debba ancora superare la cena.»
«Lasciati andare, goditi la vita!»
«Abbiamo capito, Lila.» sospirò Sarah, alzando gli occhi al cielo: «Ci divertiremo stasere e Xiang…beh, farà quel che farà!»
«A proposito di godersi la vita, vedrete come ci divertiremo all’addio al nubilato di Marinette! Con Alya abbiamo fatto un qualcosa di indimenticabile»
«Ho paura»
«Non avere paura, sposina! L’intera giornata sarà dedicata a te.»
«Intera giornata?»
«Fidati, Alya e Lila hanno pensato a qualcosa di meraviglioso per te.»
«Sarah…»
«Non guardare me, non so assolutamente niente. Non vuole dirmi niente e anche Alya è un muro del silenzio.»
«Vedrete, vedrete.»


«Non sei con la tua fidanzata stasera?» domandò Alain, osservando Rafael dall’altro lato del bancone e sorridendogli: «Ti ha mollato? O l’hai mollata tu?»
«Con Sarah va alla perfezione, miscredente.» bofonchiò il ragazzo, fissando male l’amico: «Semplicemente, è con le sue amiche e, beh, sai ho un qualcosa in più che non mi qualificava adatto come membro.»
«O forse qualcosa meno.» dichiarò Alain, muovendo le mani all’altezza del petto: «Sempre detto che ti consideri troppo dotato.»
«Ah. Ah. Ah. Spiritoso.»
«Che ti porto? Il solito o una birra? Oppure salti da questa parte, ti servi da solo e mi dai una mano?»
«Qualcosa che non contenga alcool, grazie. Dopo devo andare a studiare diritto e vorrei essere ancora in me» dichiarò, facendo ridere l’altro, mentre tirava fuori l’occorrente per preparare un cocktail analcolico.
«Sei cambiato, Rafael» sentenziò Alain, sorridendo e versando i vari componenti a occhio: «In quest’ultimo anno sei diventato una persona completamente diversa e mi piace: Monique ed io eravamo preoccupati per la strada che avevi preso, ma poi hai fatto queste nuove amicizie, ti sei messo con Sarah e…beh, sono contento.»
«E’ diventato la splendida persona che era sotto quell’aria da gigolò che aveva, vero?» commentò Emilé, assestando una pacca sulla schiena del figlio e sorridendo: «Buonasera, Alain.»
«Emilé! Mi chiedevo quando saresti venuto a trovarmi!» esclamò l’uomo, sorridendo e allungando una mano verso l’altro: «Ti stavo aspettando da quando Rafael mi ha detto che eri tornato.»
«Chiedo venia, ma come ben sai questo genere di locali non è propriamente il mio stile.» dichiarò il padre di Rafael, stringendo la mano offerta e sorridendo: «Tua moglie?»
«A casa con le pesti.» sentenziò Alain, iniziando a shakerare: «Cosa ti offro? Spero che non mi deluderai come il tuo erede, da quando si è accasato ha smesso di essere divertente.»
«Non avevi appena detto che eri felice che ero cambiato etcetera etcetera?»
«Sei diventato una zittella acida, fattelo dire. Non comprendi più neanche una battuta.»
«Se fosse stata carina, almeno.»
«Due dita di rhum, Alain. Appena puoi.»
«Certamente.»
Emilè sorrise all’uomo, voltandosi e osservando il locale: «E’ sempre uguale.» sentenziò, portandosi una mano alla bocca e tossendo: «Tutto bene, Rafael?»
«Sì, certo. Sono in periodo di esami, ma penso che dovresti saperlo…»
«Già, già.» assentì il padre, tossendo una seconda volta e notando il bicchiere che Alain aveva messo davanti al figlio: «Cos’hai preso?»
«Ah boh, sicuramente è qualcosa alla frutta.»
«E’ un Florida, ignorante. Ma non ti ho insegnato nulla?» sbottò Alain, scuotendo il capo e preparando velocemente il rhum per Emilé: «Vieni in questo posto da quando avevi ancora il pannolino e non impari cosa ti preparo, solamente vedendo che cosa verso nello shaker?»
«Non è che stavo facendo caso a che ci mettevi dentro.»
«Quindi potrei avvelenarti e tu non lo sapresti?»
Emilé buttò giù un sorso del suo rhum, sorridendo ma venendo colto da un attacco di tosse violenta: «Papà?» domandò Rafael, voltandosi verso l’uomo piegato in due e posandogli una mano sulla schiena, mentre questi era chinato in avanti e continuava a tossire con violenza: «Papà?»
«Sto bene, sto bene.» rantolò Emilé, riprendendosi e inspirando profondamente, rimanendo in silenzio per una buona manciata di secondo: «Devo aver preso uno di quei virus che ci sono in giro ultimamente.»
«Ultimamente ne girano parecchi.» commentò Alain, sorridendo comprensivo: «E poi con questo tempo pazzo non si sa mai come vestirsi.»
«Papà?»
«E’ solo un po’ di tosse, ho visto di peggio in vita.»
Rafael annuì, osservando il genitore sorseggiare il liquore: «Domani ti riporto le ricerche che ho preso l’altro giorno.» dichiarò, sapendo benissimo quanto il padre fosse attaccato ai propri lavori: Alex aveva scannerizzato tutti i fogli, asserendo che li avrebbe studiati sperando di carpire qualche informazione in più.
«D’accordo. Spero siano stati utili per il racconto del tuo amico.»
Racconto? Amico?
Ah, giusto.
Li aveva presi dicendo che un suo amico stava scrivendo un libro su Atlantide e gli altri continenti perduti…
«Sì, utilissimi.»
«Sono contento che le mie fantasie giovanili siano servite a qualcuno.»
Rafael annuì, sorseggiando la propria bevanda e sorridendo contro il bicchiere: ah, se suo padre fosse venuto a conoscenza di certi fatti, di certo non li avrebbe più chiamati fantasie giovanili.


Sorrise, osservando le luci della città e poi spostando lo sguardo sulla scacchiera, posta sul tavolo vicino: otto pedoni bianchi erano allineati perfettamente, dietro ai quali si stagliavano le due torri, i due alfieri e due cavalli; la parte nera, invece, aveva un re e una regina, due alfieri e due torri.
Le pedine che erano state posizionate per quella partita.
Chiunque avesse dato un’occhiata a quella scacchiera, poteva tranquillamente dire che i bianchi erano in vantaggio, poiché più numerosi: ma loro non avevano un re, una figura importante, come la controparte nera.
E lui sarebbe stato il re di tutti loro.
«Non c’è un re a cui fare scacco matto.» commentò la donna, giungendo alle sue spalle e abbracciandolo da dietro, osservando la scacchiera: «Come farete a vincere?»
«Li divorerò tutti.» dichiarò, sorridendo e posizionando alcuni pezzi neri nelle vicinanze di quelli bianchi: «Mi sto già muovendo, senza che loro se ne accorgano e quando sarà il momento, vincerò questa partita in poche mosse. Kang, Kang. Pensava di sapere tutto, sperava che posizionando ogni pedina a sua disposizione avrebbe vinto…» mormorò, sorridendo e sciogliendosi dalla stretta della donna: «Ma in verità chi vincerà sarò io.»
«Sì, mio signore.»
«E tu sarai la mia splendida regina…» commentò, voltandosi e carezzando il volto della donna: «I Miraculous abbelliranno la tua figura e avrai il loro potere.»
«Sì, mio signore.»

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.529 (Fidipù)
Note:Secondo aggiornamento della settimana e, come di consueto, abbiamo un capitolo tranquillo: certo, so già che mi maledirete per come sta procedendo lenta la storia ma preferisco muovermi piano piano, piuttosto che creare una storia affrettata. Avevo preventivato che Miraculous Heroes 3 sarebbe stata veramente lunga (molto, ma molto, più lunga di coloro che ci sono state prima) perché c'era veramente tanto da dire: c'era da presentare Xiang e Thomas, c'era da introdurre Felix, c'era da tirare fila che mi sto portando dietro dalla prima storia e, poi, presto ci sarà anche un cattivo che sarà veramente ostico (o almeno spero).
In tutto ciò, però, nessuno è fermo, soprattutto il nostro caro Dì Ren: alcuni l'avranno già notato, avranno già visto i segni di un qualcosa che si muove, un male che striscia come un serpente e



Teneva lo sguardo fisso sul padre, notando come le iridi azzurre non si staccavano dal tablet e lo degnassero di poca attenzione: «Sai cosa mi mancherà quando sarò sposato?» buttò lì Adrien, allungandosi e prendendo due biscotti dal vassoio al centro del tavolo, addentandone poi uno e riportando l’attenzione sul genitore: «Le nostre lunghe, lunghissime chiacchierate a colazione. Alle volte mi sembra di essere tornato ai vecchi tempi, solo c’è la tua presenza che distrae.»
«Chiedo venia» bofonchiò Gabriel, senza alzare lo sguardo: «Ma sono leggermente impegnato…»
«Nathalie ha fatto un altro errore?»
«No» rispose pacato il genitore, piegando le labbra in un sorrisetto: «Sto ricontrollando i disegni per la prossima collezione. C’è qualcosa che non mi torna…»
Adrien annuì, tornando a dedicare la sua attenzione alla colazione e sorridendo alla madre, appena arrivata: «Nuova lista degli invitati!» esclamò Sophie, allungando una cartellina blu al figlio e sorridendo: «Ho incluso anche Felix e Xiang. Non sembrava carino lasciarli da parte…»
«Penso che Xiang fosse il più uno di Alex, sai?» commentò Adrien, sorridendo alla donna e leggendo la lista di nome: «Ah, io depennerei Nathaniel Kurtzberg.»
«Perché? Non viene?»
«No, ci prova con Marinette.»
Sophie sbuffò, alzando gli occhi al cielo e accomodandosi davanti al figlio: «Ne sei certo?» gli domandò con voce dolce, scambiandosi poi una breve occhiata con il marito: «Ne sei proprio sicuro sicuro?»
«Se non ricordo male aveva una cotta per lei quando era giovane…» mormorò Gabriel, rendendosi partecipe alla conversazione: «L’ho akumatizzato, vero? Sì, era quel ragazzo veramente portato per il disegno e ricordo che aveva organizzato una serata romantica sulla Senna…sì, ha ragione, Adrien. Depennalo.»
«Oh! Voi due!» sbottò la donna, scuotendo la testa bionda: «Non significa nulla se era innamorato di lei quando era più piccolo. Sapete i sentimenti delle persone cambiano…» dichiarò, sentendosi addosso lo sguardo dei due: «A parte per gli uomini della famiglia Agreste. Voi siete fedeli e continuate ad amare nonostante tutto…»
«Nonostante la ragazza che ami si rifiuta di renderti partecipe della sua vera identità e della sua vera vita…»
«Nonostante la donna che ami sparisca per molti anni…»
«Mi sento come se mi fossi data la zappa sui piedi.» sospirò Sophie, spostando lo sguardo dal marito al figlio: «Che faccio con questa povera anima che ha avuto l’ardire di essere innamorato di Marinette da piccolo?»
«Se lo depenni Marinette però mi terrà il broncio…» mormorò Adrien, battendosi le dita sulle labbra: «E’ maledettamente affezionata a quel pomodoro con le gambe.»
«Che cosa devo fare allora?»
«Lascialo, mamma. Ma assicurati che sia al tavolo più lontano e nascosto di tutta la sala…»
«Sento Alain se mi mette un tavolo in magazzino solo per lui?»
«Puoi farlo?»
«Adrien!»
«Ehi, l’hai proposto tu, mamma!»
Sophie aprì la bocca, richiudendola quando Nathalie annunciò la sua presenza con un lieve colpo di tosse e portando l’attenzione degli Agreste su di sé: «Marinette è venuto a trovarla, Adrien.» dichiarò compita la donna, uscendo poi in silenzio così come era giunta.
«Ma non vi siete visti fino a poche ore fa?»
«Veramente ho dormito a casa, papà. Marinette era con le altre ed è poi rimasta da Sarah…» spiegò Adrien, alzandosi e dirigendosi velocemente verso l’androne della villa, sorridendo alla vista della ragazza che stava armeggiando con la chiusura del cappotto: adorava osservarla quando non era visto, notare i particolari come i ciuffi scuri che si piegavano per via del cappello che indossava, le guance rese rosse dall’aria fredda e lo sguardo celeste completamente rivolto all’abbottonatura del piumino che indossava: «Bonjour, ma belle!» esclamò, portando le iridi di lei su di sé e sorridendole dolcemente, mentre le si parava davanti e con gentilezza le prendeva il viso fra le mani, piegandosi poi per baciarle la punta del naso fredda.
Sorrise, allontanandosi un poco e osservando le guance tingersi velocemente di un rosso acceso, chinandosi nuovamente e regalandole una scia di baci lungo il naso, risalendo fino allo spazio fra le sopracciglia, spostando poi leggermente il cappello e continuando a donarle lievi sfiori di labbra sulla fronte, scendo poi lungo la tempia sinistra e fermandosi all’altezza dell’orecchio: «Te l’ho detto che l’avresti pagata la tua bugia…» le sussurrò, facendo scivolare le mani sui fianchi della ragazza e stringendola contro di sé.
Marinette ridacchiò, alzandosi sulla punta dei piedi e cercando di baciarlo, non ricordandosi della visiera del cappello, che cozzò contro la fronte del biondo: «Scusa!» esclamò la mora, togliendosi il copricapo e osservando dispiaciuta Adrien massaggiarsi la fronte: «Io…»
«Beh, vuol dire che ti avevo talmente stregato che non ti ricordavi di avere ancora il cappello.» sentenziò il ragazzo, togliendole il berretto e dandole un veloce bacio sulle labbra: «Com’è andata la serata?» le domandò, osservandola sbottonarsi il giubbotto e toglierselo velocemente.
«Per riassumere: ho paura di Lila per ciò che combinerà al mio addio al nubilato, Sarah mi ha fatto conoscere una bellissima storia d’amore tragica  e Xiang non è male. Un po’ rigida ma sembra una brava ragazza.»
«Rigida come qualcuno che si allarmava ogni volta che mi avvicinavo?»
«Più sul rigido militare, direi.»
«E’ una guerriera, penso sia normale.»
«Sì. Ha detto che Thomas le ha chiesto di allenarla e lei ha acconsentito: gli ha già dato una prima lezione e dice che se la cava bene.»
«Quel ragazzino mi sorprende: pensavo avrebbe giocato per tutto il tempo con il suo Miraculous e, invece, si sta dimostrando incredibilmente in gamba: chiede di essere allenato, si informa sui poteri dei Miraculous…» dichiarò Adrien, sorridendo: «Alex se lo trova sempre intorno, poi. Hai notato come non ha battuto ciglio mentre Alex ci illuminava sul Quantum?»
«Forse perché sapeva già tutto? L’hai detto che sta sempre incollato ad Alex.»
«Incollato come un certo gattaccio sta attaccato alla sua fidanzatina.» borbottò Plagg, facendo capolino da sotto il maglione di Adrien e fissando male il suo Portatore: «Ehi, si soffoca qua sotto! Perché cavolo ti sei messo un maglione di lana?»
«Perché ho freddo, forse?»
«E non pensi a me?»
«Puoi infilarti nella tasca dei jeans.»
«Nei tuoi sogni, bello! Io non ci vado ai piani bassi!»
«E allora soffoca in silenzio.»
Marinette ridacchiò, scuotendo il capo e armeggiando con la borsa, recuperando da questa due sacchetti di carta: «Guardate che vi ho portato!» esclamò, attirando l’attenzione dei due litiganti e trovando due sguardi verdi completamente attenti su di lei: «Brioche per Adrien e praline al camambert per Plagg.»
«Sei la migliore, Marinette.» sentenziò Adrien, afferrando il proprio regalo e aprendolo, inspirando il contenuto: «Appena sfornati…»
«Ehi, moccioso! Prendi anche il mio! Anche il mio!»
«Non voglio rovinare questo momento con la puzza di camambert.»
«Vieni, Plagg.» dichiarò Marinette, allungando la mano e prendendo il kwami che faceva capolino dal collo alto del maglione dell’altro, sistemandolo poi nella borsa con il sacchetto di praline: «Attento a Tikki!»
«Oops. Troppo tardi!»
«Sposta quel didietro gigantesco da me!»
«Non ho il culo grosso, Tikki.»
«Sì, che ce l’hai.»
La ragazza ridacchiò, osservando la propria borsa muoversi un poco, prima di ritrovare la calma: «Marinette!» esclamò la voce di Sophie, facendo voltare la mora verso la porta che dava sulla sala da pranzo: «Proprio te volevo! Adrien, ma mangi ancora?»
«Marinette mi ha portato le brioche.»
«Hai appena mangiato metà vassoio di biscotti…»
«Erano solo due o tre.» dichiarò il biondo, sorridendo allo sguardo della madre: «Ok, forse qualcuno in più, ma non ho mangiato metà vassoio! C’era anche papà con me.»
«Certo, certo. Hai fatto vedere la nuova lista degli invitati a Marinette?»
«L’ho lasciata di là e Marinette non ha ancora sviluppato il potere di leggere la mente.»
«Nuova lista?»
«Sì, ho pensato di aggiungere anche Felix e Xiang, sebbene qualcuno mi abbia fatto notare che Xiang poteva essere il più uno di Alex.»
«Willhelmina darà di matto se c’è Felix…»
«Willhelmina ha solo bisogno di passare un po’ di tempo con Felix, chiarire i dissapori e…beh, sapete.»
«No, non voglio sapere!»
«Anche io non vorrei sapere che mio figlio è attivo su un certo fronte, ma lo so. Preferisco far finta di niente, ma lo so. Quindi, tesoro, pensi davvero che siete gli unici che si dilettano in un certo modo? Come pensi di essere venuto al mondo? Portato dalla cicogna?»
«Mamma!»


Thomas sbadigliò, entrando nell’aula e osservando il suo migliore amico seduto al proprio posto: la testa castana di Jérèmie Ruiz era china sul quaderno e si muoveva a tempo di una musica invisibile, mentre alcune loro compagne di classe se lo stavano mangiando con gli occhi nei banchi dietro.
Le sue coetanee gli facevano veramente paura, soprattutto quando ciò riguardava il suo migliore amico.
«Thomas!» esclamò Jérèmie, alzando il capo e sorridendogli allegro: «Finalmente!»
«Finalmente cosa?»
«Ehi, non sei venuto a scuola l’altro giorno!»
«E tu non sei venuto ieri.» dichiarò Thomas, posando lo zaino sul banco accanto all’amico e notando il sorriso allegro dell’altro vacillare un attimo: ahia, non era mai una buona cosa quella.
«Ci sono stati dei problemi. A casa.»
Thomas annuì, sapendo benissimo cosa volevano dire in realtà quelle parole: i miei hanno di nuovo litigato di brutto, mio padre è andato via e non è tornato, mentre io non me la sentivo di lasciare mamma da sola, così sono rimasto a casa con lei. No, non ho voglia di parlare e voglio solo fingere che tutto vada bene.
Era, purtroppo, un qualcosa di abituale nella famiglia di Jérèmie e, ogni volta, Thomas si malediceva perché non poteva fare altro che stare lì, con uno sguardo ebete in volto e le mani in mano: voleva che i genitori dell’amico si separassero, donandogli pace in questo modo; ma sapeva che i coniugi Ruiz non lo avrebbero mai fatto.
La madre dipendeva in tutto e per tutto dal marito e il padre non voleva una simile onta nella sua immacolata carriera di capofamiglia esemplare.
Meglio litigare quindi e mandare avanti quella famiglia così rovinata.
«Non ti preoccupare, Tom. Ok?»
«Ok…» mormorò mesto, annuendo e spostando lo sguardo verso la porta dell’aula, da dove una certa ragazzina stava controllando l’interno: sguardo curioso, volto come una luna piena, i capelli legati nelle classiche codine per cui alcune compagne la prendevano in giro.
Manon Chamack.
La fissò, fino a quando lo sguardo nocciola di lei non si posò su di lei e rimase compiaciuto nel vederla sobbalzare, con il volto rosso dall’imbarazzo e poi correre via: «Dovresti trattare bene i nostri compagni più piccoli, lo sai?» lo riprese Jérèmie, posandogli una mano sulla spalla e ridacchiando: «Soprattutto con le tue ammiratrici.»
«A Manon piaci tu, non io.»
«Io direi il contrario, Thomas.»
«Fidati, le piaci tu e vorrebbe morto il sottoscritto.»
Jérémie annuì, scrollando le spalle e tornando al proprio quaderno, riprendendo la penna e controllando i compiti che erano stati dati per quel giorno: «Sto iniziando a sperare che ci sia un attacco di un qualche cattivo, così evito di dare alla Bustier i miei compiti. Fanno schifo.»
«Disse quello che prenderà un voto alto come sempre.»
«Non a questo giro, amico. Sto notando che ho sbagliato parecchie cose, ora che li rileggo. Spero che la prof. faccia tardi, così li sistemo, per quanto posso.»
Thomas annuì, valutando quanto avrebbe aiutato l’amico se avesse utilizzato il proprio potere: akumatizzare la professoressa Bustier e poi…poi cosa? Chiederle di fare tardi a lezione, in modo che Jérèmie potesse finire di rileggere i compiti?
Certo, sarebbe stato un bel gesto per l’amico ma…
C’era un ma grosso quanto la Tour Eiffel.
Il signor Agreste lo aveva intimato di non usare mai il Miraculous per il proprio tornaconto e poi era certo che gli altri avrebbero preso la spilla della Farfalla e l’avrebbero data a Xiang, in modo che la portasse al sicuro a Shangri-la.
Però…
Insomma, era per aiutare un amico…
«Non ci pensare nemmeno.» sibilò la voce di Nooroo, nascosto all’interno del cappuccio della felpa e Thomas avvertì un brivido lungo la schiena, reazione alla minaccia nella voce del kwami.
«Hai detto qualcosa, Thomas?»
«No, nulla.»


«Davanti a quella foce che viene chiamata, come dite, Colonne d’Eracle, c’era un’isola. Tale isola, poi, era più grande della Libia e dell’Asia messe insieme e, a coloro che procedevano da essa, si offriva un passaggio alle altre isole e dalle isole a tutto il continente che stava dalla parte opposta, intorno a quello che è veramente mare.» Sarah finì di leggere, abbassando il foglio e osservando gli altri riuniti attorno al tavolo: «Dunque, Platone introduce così Atlantide nel Timeo.»
«Parla di isole…» commentò Vooxi, posandosi sulla spalla della bionda e rileggendo il breve pezzo: «Però Platone è vissuto parecchio tempo dopo la distruzione di Daitya e Routo. I popoli dell’est erano cavernicoli: ricordo bene quello che dicevano i cantastorie che tornavano e narravano le storie di ciò che si trovava al di là del mare. Solo quelli che si erano spinti fino al lontano Est avevano detto di aver trovato delle civiltà simili alla nostra e di cui narravano le leggende…»
«Forse avevano trovato Lemuria? La patria di Xiang.» mormorò Mikko, fissando speranzosa l’altro kwami: «Pensi sia possibile?»
«Può darsi.»
«Può darsi, può darsi, può darsi…» Alex sbuffò, spettinandosi i capelli furioso e poi poggiando la fronte contro i fogli: «Ci faccio una nuova Atlantide con i ‘può darsi’ che ho sentito in questi giorni.»
«E’ quello che succede quando si ha a che fare con un passato lontanissimo migliaia di anni…» bofonchiò Lila, voltando svogliata alcune pagine di un articolo: «Non è vero, futura archeologa?»
«Inoltre, stiamo parlando di un mito. E’ difficile trovare qualcosa di concreto, Alex.»
«Noi abbiamo già qualcosa di concreto…» borbottò il ragazzo, alzando la testa e fissando le altre con il broncio: «I kwami erano abitanti di Daitya, una parte di ciò che restava di Atlantide e la mia dolce e bellissima Xiang viene da Lemuria…» Alex si fermò, sospirando mestamente: «Peccato che nessuno abbia una minima idea di chi sia questo fantomatico nemico: Dì Ren.»
«Lo chiamiamo così, allora?»
«Penso che sia meglio di ‘nemico invisibile di cui non sappiamo niente’, Lila.»
«E se poi arriva e dice ‘io mi chiamo così’, che facciamo?»
«Continuiamo a chiamarlo Dì Ren, semplice.» borbottò Alex, tirandosi su e togliendosi gli occhiali, massaggiandosi il setto: «Sappiamo che Routo aveva creato un catalizzatore di Quantum, sappiamo che ha attaccato quando vennero creato i Miraculous – che sono gioielli infusi di Quantum – e che questo ha portato alla distruzione di tutto. Cosa è successo al catalizzatore durante il…il…»
«Il terzo Cataclisma?» buttò lì Vooxi, sorridendo: «l’antico impero è stato distrutto dai primi due Cataclismi, direi che quello che ha annientato Daitya e Routo era tranquillamente il terzo.»
«E fu così che scoprimmo che Atlantide è stata distrutta da quelli della tribù di Plagg, perché avevano usato il potere del Cataclisma senza pensare.» dichiarò Lila, allargando le braccia e scuotendo la testa: «Un po’ come fa un certo gatto di nostra conoscenza: prima agisco, poi penso. Questo è il motto di Adrien.»
Sarah sorrise, tornando poi a prestare l’attenzione ai fogli: «Sapere cosa è successo al catalizzatore, come Kang ne è entrato in possesso e chi lo ha preso.» mormorò, picchiettando le dita sul tavolo: «Forse abbiamo la risposta davanti a noi, ma siamo troppo ciechi per vederla…»
Mikko osservò la propria portatrice, spostando poi la propria attenzione su Vooxi che, in disparte, stava studiando una piantina: «Vooxi…» mormorò, volando dal kwami e abbozzando un sorriso di fronte allo sguardo violetto, che si era posato su di lei: «Forse Wayzz…»
«Non sa niente neanche lui. Sapeva che c’era la possibilità di una spia, ma non sa chi poteva essere e non ha nessun sospetto.» mormorò il kwami della volpe, scuotendo il musetto: «Gyrro, sicuramente sapeva: era a capo di Daitya in quel periodo e, scommetto quello che vuoi, era a conoscenza di qualcosa. Anche il fatto che ci ha permesso di tenere i nostri gioielli: il mio Miraculous non è altro che una collana che mia madre mi regalò per un compleanno…»
«Dici che Gyrro sapeva a cosa andavamo incontro?»
«Ricordi come ci dava per morti? Non lo siamo, certo, ma non siamo più neanche umani. Servivamo per veicolare il Quantum nei gioielli o qualcosa del genere.»
Mikko annuì, spostando l’attenzione sul pettinino fra i capelli di Sarah: «Era un regalo di Abba.»
«Cosa?»
«Il mio Miraculous.» mormorò la kwami, chinando il capo: «Abba avrebbe voluto regalarmelo il giorno del nostro matrimonio, ma me lo dette dopo che mi offrì come volontaria.»
«Lo amavi? No, domanda stupida. Sei diventata una kwami per sfuggire al matrimonio…»
«Ero affezionata a lui, ma non così tanto da sposarlo: il matrimonio con lui mi sembrava qualcosa di soffocante, che mi avrebbe uccisa. Amore…» Mikko si fermò, sorridendo al compagno: «Non ho mai conosciuto il vero significato di questa parola.» dichiarò la kwami, tenendo lo sguardo in quello dell’altro spirito: «Ma torniamo alle cose serie: hai detto che Gyrro sapeva, ma allora perché farci fare il rituale? Abbiamo fatto il gioco di Routo così.»
«Forse perché non c’era un’altra soluzione, forse la spia è stata veramente abile e ha giostrato tutto secondo i suoi voleri…» il volpino alzò le spalle, abbozzando un sorriso: «Forse Kang non era l’unico con la Vista e anche quest’individuo ha schierato tutto secondo i suoi piani…»
«Sarebbe stato meglio che fosse stato scelto qualcuno migliore di me, per la tribù dell’Ape. Qualcuno che aveva più conoscenza di me.»
«Ma Abba…»
«Lui non mi rendeva partecipe del suo lavoro come Gran Sacerdote della nostra tribù.»
«Però eri sempre un gradino più alto. Io cosa ero? Un cittadino comune, che si divertiva ad andare in giro a far danni con Plagg…»
Mikko sorrise, sistemandosi accanto all’altro kwami e andando indietro con i ricordi: «Le vostre gesta erano leggende. Ricordo che le cameriere della mia casa ridacchiavano e sospiravano sempre quando le narravano; le ascoltavo di nascosto, perché si sarebbero zittite se avessi mostrato la mia presenza…»
«Tu invece eri la fanciulla nascosta.»
«Cosa?»
«Uscivi poco e quasi nessuno ti aveva visto, al di fuori delle cerimonie dove presenziavi al fianco di Abba, ma indossavi sempre un velo che ti copriva il volto.» spiegò Vooxi, sorridendo al ricordo: «Con Plagg avevamo progettato di entrare in casa tua di notte e vedere se alcune voci erano vere.»
«Voci?»
«Alcuni dicevano che eri brutta come la morte, altri che avevi il viso deturpato. In ogni caso, quasi tutte dicevano che Abba si vergognava di te e per questo ti teneva reclusa.» dichiarò Vooxi, ridacchiando: «E’ stato un vero colpo, quando ti sei offerta volontaria: eri a volto scoperto, con i boccoli biondi attorno al volto e…e…»
«E cosa?»
«Ah…» Vooxi scosse il capo, schiarendosi la voce: «Niente. Ho scoperto che le voci non erano vere.»
«Ah.»
«Sentirò nuovamente Wayzz, riguardo alla spia. Forse se ci pensa, ricorderà qualcosa. Insomma, era l’allievo di Gyrro…»
«Sì, certo.»


Wei sorrise, entrando nel locale e notando il ragazzo al di là del bancone, impegnato a sistemare i bicchieri: «Non pensavo di trovare te.» dichiarò, attirando l’attenzione di Rafael: «Ho portato gli scatoloni per Alain.»
«Sì, ma non è che devi far sfoggio dei tuoi muscoli così» dichiarò il parigino: «So già quanto sei forte.»
«Tutta invidia la tua!»
«Ehi, le donne mi cadono ai piedi. Sempre. Non ho bisogno di tutta quella massa muscolare…»
«Se Sarah ti sente parlare così, potrebbe ucciderti.»
«Probabile.»
«Come va?»
«Con Sarah? Il paradiso finché è calma e tranquilla, poi si trasforma in un demone, come con Alex l’altro giorno…»
«E tu che pensavi che fosse docile docile…»
«In verità non l’ho mai pensato, soprattutto da quando affrontò Mogui per salvarmi.» dichiarò Rafael, sorridendo al ricordo: «Devo essermi innamorato di lei proprio in quel momento o forse no. Notavo Sarah già da parecchio prima e cercavo di interagire ogni volta possibile…»
«Sembrano passati secoli e invece è trascorso sì e no un anno…»
«Dura la vita con Lila, eh? Se parli così significa che è veramente stancante.»
«Non potrei mai stancarmi di Lila.» sentenziò Wei, posando l’enorme pila di scatoloni ancora da piegare sul banco e sospirando: «Lei è la mia metà.»
«A proposito com’è andato l’incontro con la draghessa Rossi?»
«Draghessa?»
«Sarah la chiama così.»
«E’ stato tranquillo, sembrava così diversa da come la descriveva Lila.» mormorò Wei, sospirando: «Mi aspettavo un bestia che mi avrebbe mangiato in un sol boccone e, invece, ho avuto a che fare con una donna ricca che si preoccupa della figlia…»
«Da come ne parla Lila non sembra così.»
«Lila dice che è posseduta.»
«Willie ha smesso di infilare cristalli neri dentro le persone, vero?»
«Sì, credo.»
«Ok. Volevo evitare di replicare un nuovo Mogui.» dichiarò Rafael, battendo entrambi i palmi sul bancone: «Parlando d’altro, ricordati di questo sabato.»
«Siete veramente convinti di farlo?»
«Ehi, è l’addio al celibato del gattaccio! Dobbiamo farlo! Anche Nino è d’accordo!»
«Sai, vero, che farlo significherà…»
«Ho già detto a tutti che i cellulari saranno requisiti: niente cellulari, niente possibilità di prove con foto, video e note vocali. Andrà tutto liscio come l’olio e le nostri dolci metà non sapranno nulla.» sentenziò Rafael, incrociando le braccia e sorridendo: «E poi…»
«E poi?»
«Scriviamo testamento e lo consegniamo a Fu, se mai verremo scoperti almeno le nostre ultime volontà saranno eseguite.»

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.451 (Fidipù)
Note:


Gabriel si fermò sulla porta del suo ufficio, osservando la donna seduta alla scrivania che giocherellava con un fermacarte: «Cosa fai qui, Willhelmina?» domandò, chiudendo la porta dietro di sé e posando tablet e giornali sul tavolo, rimanendo poi in piedi e in attesa che l’altra lo informasse.
«Il mio ufficio è stato preso d’assedio» mugugnò la donna, fissandolo imbronciata: «Quello stupido non fa altro che passare a ogni ora!»
«Monsieur Blanchet?»
«E chi altri? Ma non ha un lavoro?»
«Da quel che so, si è candidato per il ruolo di sindaco» dichiarò Gabriel, piegando le labbra in un sorriso: «Non sarebbe male avere uno di noi come sindaco, devo dire che è stato veramente geniale…»
«Bah.»
«Non vuoi dargli nessuna chance?»
La donna lo fissò, prendendosi il viso fra le mani e sospirando: «L’ho amato con tutta me stessa e lo amo ancora.» dichiarò, facendo scivolare lo sguardo per la stanza: «Vorrei veramente dargli un’opportunità, vedere dove tutto questo ci porterà ma…»
«Ma?»
«Ho sofferto troppo, Gabriel. E adesso ho paura di rivivere tutto.»
«Dubito che ci sia un altro demone cinese che…»
«No, quello no. Ma potrei perderlo una seconda volta, potrei vederlo morire di nuovo e non potrei sopportarlo.»
L’uomo annuì, osservandola in silenzio: «La paura di soffrire…» mormorò dopo un po’, attirando su di sé l’attenzione di Willhelmina: «La conosco benissimo: dopo che Sophie sparì, avevo il terrore di perdere anche Adrien e l’ho costretto a vivere in una gabbia per molto tempo.»
«Tu però non hai rifiutato Sophie, quando è tornata da te.»
«Perché penso di aver compreso che questa vita è una sola e sarebbe sprecata vivendo nella paura e nel terrore.»
«C’è forse un insegnamento o un consiglio che dovrei apprendere, dietro le tue parole?»
«Questo sta a te dirlo, Bridgette.»
«Ho paura.»
«La paura si può affrontare.»
Bridgette sospirò, alzandosi e fissando l’altro: «Ammettilo, vuoi solamente che io liberi il tuo ufficio.»
«Sono così trasparente nei miei pensieri? Ed io che credevo di essere enigmatico, misterioso…»
«Me ne vado, me ne vado.» sentenziò la donna, scuotendo il capo e dirigendosi verso la porta: «Ma se commetto l’omicidio di un certo candidato al ruolo di sindaco, sappi che sei mio complice.»
«Ho akumatizzato gran parte di Parigi, non pensare che questo mi farà paura.»
«Io ho attaccato con i miei guerrieri neri.»
«Ma io ero nel gruppo che ti ha fermato…»
«Tu hai solo mandato gli altri a fare il lavoro sporco.»
«Bella cosa il Miraculous della Farfalla, vero?»
La donna sospirò, uscendo dall’ufficio di Gabriel e marciando spedita verso il suo, e scuotendo la testa e ridacchiando, mentre ripensava all’ultimo scambio di battute; raggiunse velocemente la propria meta e si fermò, non appena vide l’uomo in completo bianco che aspettava davanti la sua porta: «Bri..»
«Devo lavorare.» sentenziò freddamente Willhelmina, fissandolo in attesa che lui si spostasse e le permettesse di entrare nel suo ufficio; incrociò le braccia al seno, osservandolo finché non si fece da parte, lasciando finalmente libera la porta della stanza.
«Bri, stavo pensando…»
«Quale parte di ‘devo lavorare’ non ha compreso, Sergente Norton?»
«Blanchet, mi chiamo Blanchet adesso, Bri. E non sono più un sergente.»
«Ed io mi chiamo Willhelmina Hart, non Bridgette.»
Felix sorrise, poggiandosi con il gomito allo stipite della porta e chinandosi leggermente, in modo da poterla guardare negli occhi alla stessa altezza: «Puoi farti chiamare Willhelmina, ma rimani la mia Bridgette. Inoltre, Bri è un diminutivo molto migliore di Willie…»
Willhelmina sorrise, facendo un passo indietro e fissandolo: «Devo lavorare, Sergente Norton.» dichiarò, chiudendo la porta in faccia all’uomo e appoggiandosi contro di essa, sentendo l’altro sospirare frustrato.
Gabriel l’avevo esortata a vincere la propria paura e vivere quella storia.
Sì, certo.
E ci avrebbe provato.
Avrebbe cercato di non vivere nel terrore di poterlo perdere una seconda volta.
Ma questo non significava che non poteva far diventare un po’ matto il caro Sergente Norton.
Doveva pagare un po’ di cose: prima fra tutti la sua pseudomorte per la quale aveva sofferto e si era lasciata possedere da Chiyou, poi aveva una lunga lista di tentativi di corteggiamento, che erano sempre stati rifiutati dal militare e per i quali adesso poteva finalmente trovare vendetta: «E ora mettiamoci al lavoro!» cinguettò allegra, sentendo una carica creativa scorrerle dentro.
Avrebbe fatto contento Maxime quel giorno, creando qualche nuovo abito.
Sempre se il suo assistente si degnava di presentarsi…

 
Marinette sciolse i muscoli delle braccia, chiudendo il blocco dal disegno e osservando la propria kwami: «E’ giunto il tempo» dichiarò, sospirando e vedendo Tikki ridacchiare, prima di nascondersi nel cappotto che aveva preparato: quella mattina Lila le aveva mandato un messaggio, dicendole di prepararsi poiché sarebbero passate da casa sua in tardo pomeriggio e l’avrebbero prelevata per festeggiare il suo addio al nubilato, in perfetto stile parigino.
Fra le note c’era anche quello di vestirsi comoda, dato che avrebbero camminato parecchio, e pesante.
In fondo era febbraio.
La ragazza sorrise, osservando il calendario e allungando una mano, per carezzare il giorno che aveva segnato con mille colori: il giorno del suo matrimonio.
Ancora due giorni.
«Sapevo benissimo che Adrien è un romanticone…» esclamò la voce di Alya alle sue spalle, facendola voltare e vedendola fare capolino dalla botola: «Ho visto la vostra relazione nascere e crescere, quindi direi che ho visto i suoi gesti romantici a sufficienza…»
«Ma…»
«Ma penso che abbia superato sé stesso, quando ha deciso la data del matrimonio.»
«Anche io sono rimasta sorpresa.» mormorò Marinette, sorridendo e infilandosi il cappotto: «Non avevamo deciso nulla e arriva tutto tranquillo, dicendo di essersi messo d’accordo con il prete e tutto.»
«Maledetto d’un gatto!» tuonò Lila, dal piano inferiore: «Proprio il giorno di San Valentino si sposa! Ma non pensa agli altri? Anche io vorrei passarlo con il mio uomo…»
«Come direbbe il protagonista del nostro discorso: ehi, c’è tutta la serata…»
«Alya, fidati, quel gattaccio lo direbbe in un modo più odioso e che ti istiga alla violenza pura.»
Alya ridacchiò, scendendo le scale e osservando Marinette fare altrettanto: «Bene, lasciamo perdere lo sposo e concentriamoci sulla sua metà: Marinette! Sei pronta?»
«No.»
«E questo è lo spirito giusto per iniziare!» dichiarò Lila, aiutando l’amica con la sciarpa e il berretto: «Allora, come saprai bene le ragazze di Parigi sono solite festeggiare l’addio alla vita di jeune fille indossando abiti stravaganti, di solito vestite da conigliette…»
«Ma dato che siamo a febbraio, abbiamo pensato di evitare di farti venire un broncopolmonite pochi giorni prima del matrimonio.»
«Quindi via libera a cappotti, piumini, jeans e quant’altro copra i nostri corpi.» dichiarò Lila, schiarendosi la voce: «Le parigine poi vagano per le vie di Parigi, in compagnia delle amiche e…Alya. A te, prego.»
«Beh, queste lanciano delle sfide alla futura sposa.»
«Sapevo che avrei dovuto preoccuparmi.»
«Non temere! Abbiamo evitato cose che ti avrebbero fatto svenire dall’imbarazzo…»
«Lo spero!»
«Ma piantiamola con le chiacchiere e raggiungiamo le altre in strada!»
«Le altre?»
«Sarah, Juleka, Rose, Myléne, Alix e la ragazza di Alex.» elencò Alya, sorridendo: «Tranquilla, non abbiamo invitato Chloé. Avevo sentito Sabrina, ma…beh, non si muove senza Chloé.»
«La nostra sposina è pronta?»
«No.»
«Sì, è pronta.» decretò Alya, prendendola per una mano mentre Lila faceva lo stesso con l’altra, trascinandola fuori dall’appartamento e giù per le scale, raggiungendo poi velocemente il marciapiede davanti la boulangerie.
«Dove andrete a divertirvi, ragazze?» domandò Tom, uscendo dal negozio e sorridendo al gruppetto: «Spero non…»
«A giro per Parigi.» dichiarò Lila, sorridendo all’uomo: «Stia tranquillo, Tom. Sua figlia è sotto la mia supervisione.»
«L’affido a voi, ragazze.»
«La tratteremo con i guanti, promesso!» dichiarò l’italiana, facendo ridacchiare tutto il gruppo e Tom che, dopo aver salutato la figlia, tornò nel negozio: «Bene, abbiamo deciso di proporti una prova ciascuna, mentre andremo a giro per le strade di Parigi.»
«E la prima sono io!» esclamò Sarah, alzando la mano e sorridendo divertita: «Allora, Marinette dovrai…»
«Paura. Tanta paura.»
«Miagolare dal Ponte degli artisti.»
«Miagolare?»
«Sì, fare ‘miao miao’. E convincente anche.»
«Oh! La devo riprendere e mandare al gattaccio! Penso morirà, dopo averlo visto!»
«Ovviamente, per essere una micetta convincente…» Sarah si bloccò, armeggiando con la propria borsa e sorridendo, quando tirò fuori un cerchietto con due orecchie triangolari, mettendolo in testa a Marinette: «Perfetta!»
«Bene! Diamo il via all’addio al nubilato di Marinette!»


Adrien poggiò la fronte contro la scrivania, sospirando pesantemente: «Questo è un colpo basso, Lila.» ringhiò, allungando una mano e recuperando il cellulare, guardandosi per l’ennesima volta il video di Marinette che miagolava con due orecchiette da gatto in testa: «Perché me lo sono perso? Perché?»
«Perché è l’addio al nubilato di Marinette e tu non ci puoi essere.» dichiarò Plagg, fluttuando attorno ad Adrien e sospirando: «Vorrei anche ricordati che sei in ritardo, moccioso. Rafael e gli altri saranno qui a breve.»
Il biondo sospirò, alzandosi e recuperando la camicia nera che aveva abbandonato sul letto, quando gli era arrivata la notifica del messaggio di Lila e finì di vestirsi, tornando poi in bagno e dandosi una sistemata ai capelli: «Bene. Pronto.» dichiarò, facendo un giro su sé stesso e sorridendo al kwami:«Posso andare?»
«Bah.»
«Sei sempre così…così…incoraggiante, Plagg.»
«Ricordati il camambert.»
«Già messo nel giaccone.»
«E un piccolo consiglio: resta lucido. Sempre. In queste situazioni puoi fare qualcosa che potrà essere usato contro di te in futuro, quindi…» il kwami si fermò, annuendo solennemente: «Resta lucido.»
«Mi dici solo questo?»
«Resta lucido.»
«Ma…»
«Resta lucido.»
Adrien annuì, osservando il proprio kwami fissarlo: «Ho paura a…»
«Resta lucido.»
«…cosa ti sia successo in passato. Davvero.»
«Resta…»
«Sì, ho capito. Lucido. Devo restare lucido.»


Marinette ridacchiò, sistemandosi il boa di struzzo attorno al collo e mettendosi in posa, davanti la fotocamera: «Può andare, Juleka?» domandò, volgendosi alla ragazza che le aveva dato la nuova sfida: posare come una modella con un boa di struzzo.
Era stato relativamente complicato trovare un boa ma, alla fine, erano riuscite nell’impresa e Marinette aveva potuto completare anche quella sfida.
«Allora, l’abbiamo costretta a miagolare al Ponte degli Artisti, a passare davanti l’hotel dei Bourgeois e gridare ‘I Bourgeois sono la rovina di Parigi’, le abbiamo fatto dire a dieci persone che ‘Marinette ama Adrien’, poi…»
«La mia prova consiste nel farci trovare un posto dove mangiare da Marinette» dichiarò Alix, mettendo mano all’orologio a cipolla e osservando l’orario: «Ragazze, siamo a giro da tre ore ed io inizio ad avere fame.»
«Alix, sei…sei…»
«Tremendamente pratica, Lila? Volevi dire questo, vero?»
«Unica.» dichiarò l’italiana, sospirando e alzando gli occhi al cielo:«Marinette, cercaci un posto dove mangiare.»
«Mi usate come navigatore adesso?»
«E’ la prova che ti ha dato Alix, rifattela con lei.»
La mora sospirò, iniziando a marciare spedita lungo il marciapiede e avanzare per l’Avenue des Champs-Élysées, con le amiche al seguito: «Non vorrei dire, ma forse abbiamo scelto il posto sbagliato per cercare, non vedo un…» si fermò, aguzzando la vista e sorridendo: «Che ne dite di quel posto?» domandò, voltandosi indietro e osservando le amiche, mentre indicava i tavoli un po’ più avanti e la piccola folla di persone, che era davanti il locale.
«Per me va bene.» dichiarò Alix, superandola e andando a controllare il locale, subito imitata dalle altre: non era ancora affollato e s’impossessarono velocemente di un tavolo: «Unisex. Mi piace come nome.»
«Marinette, non potevi scegliere locale migliore, seriamente.» dichiarò Lila, togliendosi il cappotto e colpendo, per sbaglio, un ragazzo che stava passando: «Scusami.» dichiarò l’italiana, abbozzando un sorriso e non degnando di una seconda occhiata lo sconosciuto che, con un’alzata di spalle, se ne andò verso il bancone.
«Oh. Qualcuno è diventato fedele…» scherzò Alya, indicando l’amica e ridacchiando: «Mi ricordo che, quando sei tornata, passavi da un ragazzo all’altro come se niente fosse.»
«Wei ha degli ottimi argomenti, che devo dire.» sentenziò l’italiana, sorridendo alla futura sposina: «E grazie al tipo, ho avuto un’idea per la mia prova…»
«Adesso ho paura.»
«Devi semplicemente andare dalla cameriera e dire che siamo qui, così ci porta i menu e…» Lila si fermò, adocchiando la fauna maschile del posto: «Flirtare con quel tipo laggiù.»
«Cosa?»
«Uh. Biondo, camicia bianca…»
«La faccio partire avvantaggiata.»
«Lila, tu…»
«Andiamo, Marinette. Non devi far altro che andare lì, colpirlo per sbaglio, arrossire un po’ e fare quel tuo sorrisetto timido…» dichiarò la ragazza, sorridendo: «Lo conquisterai in un attimo.»
«Ma…»
«Poi ovviamente ti seguirà fino a qua e non ti salveremo.»
«Ma…»
«Fidati di noi, Marinette. E ora vai: inizio ad avere fame.»
Marinette sbuffò, alzandosi in piedi e dirigendosi verso il ragazzo scelto da Lila, sotto lo sguardo divertito delle altre: «Dici che lo farà?» domandò Alya, sorridendo mentre osservava la mora avvicinarsi al bancone e parlare con la cameriera; il ragazzo prescelto fece un passo indietro e colpì per sbaglio Marinette con il gomito: «Uh! Si fa interessante.»
«Amico, stai parlando con la futura moglie di Adrien Agreste…» mormorò Lila, mentre osservava il ragazzo sorridere e provare a toccare Marinette: «Non hai speranze.»
«Però da qui sembra carino…»
«Lo dici tu, Rose. Marinette è abituata al meglio. Come Sarah.» dichiarò l’italiana, sorridendo all’americana che aveva spostato la sua attenzione su di lei: «Come ti sembra quel tipo?»
«Passabile?»
«Ecco, questo perché anche lei sta con un modello.» sentenziò Lila, sorridendo quando vide Marinette avanzare velocemente verso il loro tavolino e sistemarsi fra Alya e Sarah: «Com’è andata?»
«Mai più. Mai più. Mai più. Mai più. Mai più.»


«Ne sei sicuro?» domandò Adrien, mentre scendeva le scale che portavano al locale prescelto da Rafael e Nino, seguendo il resto degli amici: oltre ai soliti, Rafael aveva invitato anche alcuni suoi vecchi compagni di scuola e alcuni modelli che entrambi conoscevano e che lavoravano per il marchio Agreste.
«Beh. Che addio al celibato sarebbe…» iniziò il moro, fermandosi alla fine delle scale e allargando le braccia: «…senza una visitina a uno strip club?»
Adrien si fermò al suo fianco, osservando il piccolo locale dove era stato condotto: era una stanza dominata dalla luce rosata e, sulla sinistra, troneggiava una piccola passerella con due pali da lapdance, mentre il centro della stanza era occupato da divani in pelle e tavolini rotondi. Infine, sulla destra un piccolo bancone completava il tutto.
Wei si sistemò a uno degli sgabelli, regalando un sorriso alla barista dalla generosa scollatura, mentre Adrien osservò i compagni di scuola e lavoro calamitarsi verso il palco, ove una signorina in abiti succinti stava facendo il suo ingresso: «Ok, sulla carta era una bella idea…» commentò Rafael, assestando una generosa pacca sulla spalla di Adrien: «Goditi la festa, vado a fare compagnia a Wei.»
«Vengo con voi.»
«Adrien, è il tuo addio al celibato.»
«Si divertono anche senza di me.» dichiarò il biondo, indicando i suoi ‘invitati’, che si erano calamitati a godere delle grazie della spogliarellista: «Fidatevi.»
«Io sono con voi» sentenziò Alex, mentre Nino al suo fianco annuiva convinto: «Brutta cosa essere accasati.»
«Tu non sei ancora accasato.»
«Per poco, ancora.»
«Mi sono perso qualcosa. Sento che mi sono perso qualcosa.» dichiarò Nino, compiendo l’atto di togliersi l’onnipresente berretto e muovendo la mano nell’aria: «Da quando Alex ha una donna?»
«Da poco.»
«Che vi porto, zuccherini?» domandò la barista, sistemandosi in modo che il gruppetto di ragazzi potesse avere un’ottima visuale del suo davanzale: «Birra? Oppure volete qualcosa di più forte?»
«Portaci la tua migliore…» Rafael deglutì, abbozzando un sorriso: «…acqua.»
«Acqua?»
«Già. Acqua.» La barista li osservò come se fossero alieni e Rafael sbuffò: «Ok, una birra a testa.» sentenziò il moro, ricevendo l’assenso degli altri.
«Che vi porto?»
«Cosa hai?»
«Se vuoi giocare in casa, ho Telenn Du o la Bonnets Rouges, altrimenti andiamo sulle marche italiane o tedesche.» dichiarò la donna, piegando le labbra in un sorriso: «Di solito servo qualcosa di differente alla gente che viene qua.»
«Cinque Bonnets Rouges» dichiarò Rafael, sorridendole e osservandola prendere le bottiglie dal frigo e stapparle, servendole a tutti e cinque: «Beh, all’addio al celibato di Adrien.» brindò il moro, alzando la propria bottiglia e venendo imitato dagli altri.
«Che poteva essere migliore se davate retta a me.» aggiunse Alex, portandosi la birra alla bocca e buttandone giù un lungo sorso: «L’avevo detto io che videogiochi e pizza sarebbero state un’ottima combinazione.»
«Per te, Alex.»
«No, anche per me.»
«Adrien!»
«Ehi, sai cosa succederà se da quelle scale apparissero Marinette e le altre?» domandò il biondo, indicando l’entrata del locale: «O se…»
«Ho requisito i cellulari di tutti proprio per questo. Nessuno farà foto o altro, possiamo divertirci.»
«E allora perché siamo tutti e cinque qui al bancone?» domandò Wei, guardando fisso davanti a sé e bevendo una generosa dose di birra, spostando poi l’attenzione sugli altri quattro e trovandoli nella sua medesima posizione.
«Si chiama istinto di sopravvivenza.» decretò Rafael, scuotendo il capo e sospirando rumorosamente: «Puro istinto di sopravvivenza.»


«Bene.» Lila batté le mani, sorridendo: «E dopo che Myléne ha fatto far finta a Marinette di essere un pervertito con l’impermeabile...Xiang, sei rimasta tu.»
«Che devo fare?»
«Chiedere qualcosa a Marinette.»
«E che cosa?»
«Qualsiasi cosa che possa essere ritenuta una prova.»
«Un combattimento va bene?»
«Xiang…»
La cinese sospirò, guardandosi intorno: «Entrare in quel posto?» domandò, indicando l’entrata nera di un locale: «Può andar bene?»
«Ma è…» mormorò Sarah, guardandosi con il resto del gruppo e sorridendo: «E’ uno strip club?»
«Xiang, tu sì che sai proporre una vera prova!» sentenziò Lila, passando un braccio attorno alle spalle dell’altra e ridacchiando: «Ci andiamo?»


Adrien si voltò verso il palco, sorridendo alla vista di Max che, in mutande, stava provando a muoversi a ritmo della musica e ballare con le due spogliarelliste, venendo incitato dal resto della compagnia: «Forza, Max!» esclamò Nino, al suo fianco: «Fagli sentire il joystick.»
«Questa è veramente pessima, Nino!» dichiarò Rafael, scuotendo il capo e ridacchiando: «E’ una fortuna che non abbiano scelto uno di noi…»
«Beh, nel caso sarebbe stato come in Fight Club» dichiarò Adrien, annuendo con la testa e continuando a guardare l’amico: «Prima regola del Fight Club: non parlare mai del Fight Club.»
«Ovviamente» assentì Wei, annuendo con la testa: «Se fosse toccato a uno di noi, il segreto sarebbe morto con gli altri.»
«Oh, ma guarda come sono solidali…» commentò la voce zuccherosa di Lila, alle loro spalle: «Trovo che siete veramente adorabili: così leali l’uno all’altro…»
«Ho sentito la voce della volpe.»
«Pure io, gattaccio.»
«Forse perché sono dietro di voi…» dichiarò l’italiana, osservandoli mentre si giravano a rallentatore: Sarah e Marinette erano di fianco a lei e stavano provando a non ridere per le facce stralunate che i cinque avevano in volto: «Ciao, ragazzi. Come andiamo?»
«Voi…»
«Che cosa facciamo qui, Rafael? E’ questo che vuoi chiedere?» domandò Sarah, sorridendo dolcemente: «Beh, Xiang ha proposto come prova di entrare qui dentro e…»
«Non sapevamo che avevate deciso di festeggiare a questo modo.» dichiarò Alya, spostando l’attenzione verso il palco e sospirando: «Siete così scontati.»
«Come ogni esponente del genere maschile.» dichiarò Xiang, osservando le due spogliarelliste che si strusciavano addosso a un ragazzo di colore: «Che cosa ci troveranno poi…»
«Beh, non vogliamo rovinare la loro festa, no?» dichiarò Marinette, sorridendo e sospingendo le altre verso l’uscita: «Divertiti, mon chaton.» cinguettò, poco prima di salire le scale e sparire fuori dalla vista dei ragazzi.
«Siamo morti.» decretò Alex, osservando le ragazze uscire velocemente dal locale: «Siamo decisamente morti.»
«Hai lasciato il testamento a Fu, vero?»
«Sì.»


Lila si accasciò contro il muro, tenendosi la pancia: «Avete visto le loro facce?» domandò, osservando le altre ragazze piegate in due dalle risate: «Erano terrorizzati! Terrorizzati!»
«Non penso sia bello veder apparire la propria fidanzata mentre sei in un locale del genere.» decretò Sarah, accucciandosi e ridendo: «Rafael era sbiancato, sembrava che avesse visto un fantasma!»
«Perché Nino?»
«Adrien! Adrien aveva lo sguardo di chi si è visto passare davanti agli occhi tutta la vita!» sentenziò Lila, mentre Marinette annuiva, asciugandosi gli occhi dalle lacrime delle risate.
«Domanda.» dichiarò Alya, alzando le mani e ridacchiando: «Chi farà finta di tenere il muso, per vedere cosa s’inventeranno come scusa?»
«Io, sicuramente.» assentì l’italiana, mentre Sarah annuiva vigorosamente e anche Marinette: «Tu, Xiang?»
«Cosa?»
«Perdonerai subito Alex o farai finta di essere arrabbiata?»
«Alex ed io…»
«Certo, certo. Ti consiglio di far finta di essere arrabbiata, è così bello quando cercano di rimediare.»
«Siete crudeli…»
«Oh sì, Rose tanto.»


La stanza era immersa nell’oscurità, eppure sapeva benissimo che loro erano tutti lì: la sua regina e i quattro, che aveva scelto come suoi sottoposti.
I quattro generali del suo futuro esercito.
I quattro che gli avrebbero portato i Miraculous.
Mosse una pedina sulla scacchiera, piegando le labbra in un sorriso e prendendo poi la mano della donna in piedi, vicino a lui, portandosela alle labbra: «Cominciamo con la nostra partita?»

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.221 (Fidipù)
Note: Devo ammtterlo: questo capitolo non era stato contemplato mentre pianificavo la storia, ma quando ho scritto quello precedente e ho lasciato quei poveracci allo strip-club...beh, sentivo che c'era il bisogno di tranquillizzarli, e quindi mi sono messa a fare questo, dando la possibilità a ogni coppia e, giusto per non restare ferma, mettere anche un elemento che sarebbe dovuto sortire fuori fra un po': in quanti si ricordano Miraculous Heroes? E soprattutto, in quanti si ricordano di una certa visione del nostro pavoncello mai avverata? Sì, tanto per cambiare non avevo messo un elemento a casaccio ma aveva un suo perché...
Io devo veramente smetterla di fare storie così contorte, seriamente, ne va della mia sanità mentale.
Prima di passare ai consueti ringraziamenti, vorrei rimandarvi al mio profilo dove troverete il calendario di aprile degli aggiornamenti: ho pensato di farlo, visto che in tanti mi chiedete 'ma quando aggiorni XXX?', per questo ho pensato di farlo e di aggiornarlo mese per mese.
Detto questo, come sempre vi ringrazio per i vostri commenti alle mie storie, per il fatto che le leggete e le inserite in una delle vostre liste.
So che è poco, ma non posso fare a meno di ringraziarvi tantissimo!



Marinette sospirò, mentre entrava nella cucina, sorridendo alla vista della madre che, seduta sopra uno sgabello, stava annusando il contenuto della tazza che teneva tra le mani: «Cos’è?» domandò la ragazza, fermandosi e allungando il collo per vedere cosa la donna stava bevendo.
«Long Jing. Me lo ha spedito lo zio dalla Cina» spiegò Sabine, sorridendo: «C’è un biglietto anche per te. E’ in cinese.»
«Lo farò tradurre ad Adrien.»
«Dice che è felice per te e che è contento che tu sposi Adrien.» dichiarò la madre, bevendo un piccolo sorso: «A quanto pare allo zio è piaciuto fin da subito» continuò, posando la tazza e allungandole il biglietto sul tavolino: «Dentro c’è anche il regalo dei tuoi nonni e dello zio. In Cina sono soliti donare denaro, sai?»
La ragazza annuì, prendendo la busta rossa e osservando la mazzetta di banconote al suo interno: «Mamma, ma…»
«Beh, non avevano euro, ovviamente. Basterà andare in una banca e scambiarli, tesoro.» dichiarò la donna, sorridendo alla vista delle banconote cinesi: «E’ una vita che non le vedevo» mormorò, prendendone una e sorridendo al volto stampato di Mao Tse-tung: «Sarebbe bello se tuo padre si prendesse un po’ di ferie e andassimo a trovare i miei.»
Marinette sorrise, sistemandosi davanti alla madre: «Sai com’è papà, no?»
«Sì, e lo amo anche per questo.» dichiarò Sabine, rimettendo la banconota a posto: «Com’è andata la serata? Quando le ragazze sono venute a prenderti non c’ero e…»
«Abbiamo festeggiato in perfetto stile di Parigi.»
«Oh, quindi vi siete…»
«Troppo freddo, mamma.»
«Almeno ti hanno fatto fare le prove?»
«Quelle sì: ho miagolato, ho detto a dieci persone che amo Adrien, ho urlato che i Bourgeois sono la rovina di Parigi…» mormorò Marinette, sorridendo: «Poi ho posato con un boa di struzzo, ho cercato un ristorante, ho flirtato con un ragazzo e sono entrata in uno strip-club.»
«L’ultima è la prova di Lila, vero?»
«No, quella di Lila era il flirtare con un ragazzo.» dichiarò Marinette, ridacchiando: «Lo strip club me l’ha proposto Xiang.»
«Xiang?»
«E’ la quasi-ragazza di Alex.»
«E’ cinese?»
«S-sì.»
«Quel ragazzo deve avere una qualche passione per la Cina.» sentenziò Sabine, ridendo: «Qualche tempo fa mi aveva chiesto se conoscevo qualche ragazza originaria del mio paese…beh, sono felice che alla fine abbia trovato qualcuno che gli piace.»
«E’ solo Xiang che deve ancora accorgersene. Credo.»
«Prevedo tempi duri per il povero Alex, allora.» dichiarò Sabine, alzando la tazza e sorridendo malinconica: «Mi mancherà averti per casa, tesoro. Ma sono felice per te: Adrien è sempre stato importante per te e, per una madre, non c’è niente di più bello che vedere la propria figlia realizzare il proprio sogno d’amore.»
«Mamma…»
«Poi Adrien ti adora e ti venera. Si vede lontano un miglio. Non posso essere più felice: hai trovato un ragazzo fantastico che ti ama esattamente come tu ami lui.»
Marinette sorrise, chinando il capo e rimanendo in silenzio per una buona manciata di minuti, mentre la madre continuava a sorseggiare il proprio the: «Vado a dormire» sentenziò dopo un po’, alzandosi e avvicinandosi alla madre, baciandole le guance: «Domani dovrei andare a sentire una professoressa e poi…»
«Poi devi riposarti o arriverai al matrimonio con due occhiaie degne di un panda!»
«Sì, certo.»
«Ah, dev’essere caduto qualcosa.» mormorò Sabine, alzando la testa verso l’alto: «Prima ho sentito un tonfo.»
«Sarà caduta una delle scatole che sono rimaste…» risposte Marinette, alzando le spalle: «Wei ha detto che domani è libero e ci darà una mano a portare le ultime cose. Sarà brutto dormire domani e dopodomani: la stanza vuota, le mie cose sparite…»
«Pensa a dove sarai fra due giorni, tesoro.»
La ragazza sorrise, baciando nuovamente la madre e dandole la buonanotte, salendo poi le scale e, una volta giunta in camera, si accucciò e chiuse la botola dietro di sé; si morse il labbro inferiore, cercando di non ridere mentre si rialzava e si dirigeva alle scale del soppalco, sedendosi poi sul letto e legandosi i capelli in due codine: «Oh! Chat!» esclamò, vedendo il biondo, che aveva volutamente ignorato da quando era entrata, salire i gradini che portavano al letto: «Qual buon vento?»
«Qual buon vento?» ripeté il ragazzo, portandosi la mano guantata di nero al setto nasale e prendendoselo tra l’indice e il pollice: «Hai solo questo da dirmi?»
«Dovrei dirti altro?» domandò la ragazza, inclinando il capo e fissandolo in attesa: era dura, maledettamente dura, non sapeva se sarebbe riuscita a portare a termine la commedia che aveva improvvisato, soprattutto se lui continuava a guardarla cauto e con le orecchie feline abbassate ai lati della testa.
Mancava solamente che sbattesse nervosamente la coda per terra…
«Non posso farcela» mormorò Marinette, lasciandosi andare sul letto e iniziando a ridere, tenendosi le mani sulla pancia, sotto lo sguardo confuso di Chat Noir: «Hai una faccia…»
«Per caso avete bevuto? Fatto uso di sostanze? Hai battuto la testa e nessuno me l’ha detto?»
«Chat, ti prego…»
«No, Marinette. Ti prego io. Mi hai trovato in quel locale e ridi?»
«Non farmi pensare alla faccia che hai fatto!» esclamò la ragazza, iniziando nuovamente a ridere e rotolandosi sul letto: «Era troppo comica! Sembrava che avessi visto un fantasma.»
«Avrei avuto meno paura nel caso…» commentò il biondo, scuotendo la testa e scivolando sopra la ragazza, prendendole i polsi e trattenendoli contro il cuscino: «Devo dedurre che non rischio la vita, giusto?»
Marinette sorrise, muovendo un poco le mani e Chat la lasciò libera, socchiudendo le palpebre quando lei gli carezzò il viso e piegando le labbra in un sorriso, quando sentì quelle della ragazza sulle proprie: «Vi abbiamo rovinato il divertimento, eh?»
«Se per divertimento intendi fare amicizia con Cerise…beh, sì. Per la cronaca, Cerise era la barista e, mentre ci serviva – per la cronaca penso di aver sviluppato una certa simpatia per la Bonnets Rouges – ci ha raccontato un po’ della sua vita, della sua compagna…»
«Capito.»
«E tu? Ti sei divertita con le ragazze?»
Marinette annuì, spingendo leggermente il giovane e facendolo sdraiare sul letto, salendogli poi in grembo e prendendo la mano dove teneva l’anello, togliendolo e socchiudendo gli occhi davanti alla luce della trasformazione: «Lila ti ha mandato il video, vero?» domandò, carezzando il volto senza maschera di Adrien.
«Sì. Voglio che miagoli per me.»
«Miao.»
«Eri più convincente nel video…»
«Miao. Miao. Miao. Miao.» mormorò Marinette, chinandosi e strusciandosi contro il ragazzo, ridacchiando quando sentì le braccia di Adrien stringerla per la vita: «Miao. Miao. Miao. Miao.» continuò, crogiolandosi nelle carezze del fidanzato e fermandosi quando lui tastò la tasca della felpa che lei indossava: «Ah. Me l’ha dato mamma.» esclamò, sistemandosi di fianco a lui con la testa poggiata contro la spalla: «L’ha spedita lo zio Cheng.»
«Sono soldi?»
«In Cina è usanza regalare soldi agli sposi, così ha detto mamma.»
Adrien annuì, prendendo il cartoncino rosso all’interno della busta e sorridendo a ciò che era stato scritto: «E’ un peccato che non può venire…» mormorò il ragazzo, sistemando il cartoncino all’interno della busta e posandola per terra, girandosi poi verso la ragazza e giocherellando con i capelli: «Che altro ti hanno fatto fare poi?»
«A parte entrare in un certo locale e miagolare?»
«A parte quello sì.»
«Ho dovuto dire a dieci persone che Marinette ama Adrien, poi ho dovuto urlare davanti l’albergo dei Bourgeois che sono la rovina di Parigi…ah!» Marinette si allungò, recuperando il cellulare che aveva abbandonato vicino la cesta dove erano soliti dormire Tikki e Plagg, armeggiando poi con la galleria delle foto: «Voilà!»
«Hai un futuro come modella.» sentenziò Adrien, osservando la foto e baciandole poi la tempia: «Perché il boa?»
«Era la prova di Juleka.»
«Poi?»
«Ho dovuto trovare un posto dove sfamarci e…niente.»
«Niente?»
«Altre cosette.»
«Marinette…»
«Prometti che non ti arrabbi o diventi isterico?»
«Marinette…»
«Promettilo.»
«Lo prometto.»
La ragazza annuì, inspirando profondamente: «Houtofliareconuno.» mormorò tutto d’un fiato e sorridendo impacciata allo sguardo confuso del ragazzo: «Adrien?»
«Non ho capito cosa hai detto.»
«Devo ripeterlo?»
«Sì.»
«Ho dovuto flirtare con uno.»
«Cosa?»
«Adrien, hai promesso.»
«Prima di…» Marinette gli mise entrambi le mani sulla bocca, osservando lo sguardo verde arrabbiato e aspettando che il biondo si fosse calmato: «Quindi è per questo che non hai fatto storie per il locale, eh? Sapevi di essere colpevole anche tu.»
«Veramente non avrei fatto storie lo stesso.» bofonchiò Marinette, fissandolo male: «Anche se devo ammettere è stato divertente vedervi terrorizzati.»
«Beh, sai com’è…allora, questo tipo con cui…»
«Ciao, mi chiamo Marinette. Fai finta di stare al gioco perché le mie amiche mi hanno chiesto di flirtare con te. Ah, fra due giorni mi sposo. Ciao.» borbottò velocemente la ragazza, sospirando: «Gli ho detto così.»
«Questo non è…»
«Non è niente di cui preoccuparsi, vero?»
Adrien annuì, sistemandole una ciocca dietro l’orecchio e si chinò verso di lei, baciandole la punta del naso: «Ti ho già detto che ti amo, my lady?»
«Mh. Non ricordo.»


Mikko fissò l’umana accanto a lei, comodamente seduta sul divano, mentre infilava il cucchiaio nel barattolo di gelato e teneva lo sguardo fisso sul monitor del pc: «Sarah…» mormorò, spostando l’attenzione verso la porta e sul silenzio momentaneo che era sopraggiunto.
Sarebbe durato poco.
Presto, avrebbe cominciato a bussare.
«Sì, Mikko?»
«Per quanto tempo hai in mente di tenere fuori Rafael?» domandò la kwami, mentre i colpi alla porta erano ripresi e la voce del ragazzo implorava di entrare.
«Quanto tempo è passato da quando è arrivato?»
«Dieci minuti.»
«Dici che è abbastanza?»
«Non sei neanche arrabbiata con lui.» sbuffò Mikko, scuotendo il capo: «Fai tutta questa scena per…»
«Divertimento?»
«Sei crudele, Sarah. Non l’avrei mai detto.»
La bionda sorrise, carezzando la testolina dello spiritello e si alzò, raggiungendo velocemente la porta dell’appartamento e aprendola: Rafael indossava ancora la camicia candida e i pantaloni scuri che gli aveva visto al locale, mentre lei…
Beh, si era messa più comoda dopo che era tornata.
«Ciao!» esclamò, posandogli le mani sulle spalle e baciandogli la gola, tirandolo poi dentro l’appartamento: «Stavo per mettermi a vedere qualcosa…»
«Sì, noto.» decretò Rafael, facendo vagare lo sguardo grigio sul portatile della ragazza e il barattolo di gelato, entrambi sul tavolino basso davanti al divano: «Sarah, perché mi hai…» mormorò, indicando la porta e scuotendo la testa: «Non sei arrabbiata.»
«Arrabbiata per cosa?»
«Sarah…»
«Davvero, non so come ho fatto a non scoppiarvi a ridere in faccia quando vi abbiamo trovato lì.» dichiarò, sospingendolo verso il divano ed esortandolo a mettersi seduto: «Vuoi metterti comodo? Dovresti aver lasciato qui…»
«Sarah, frena.»
«Non sono arrabbiata con te, tranquillo. Eri a divertirti con i tuoi amici e, anzi, come ha detto Marinette forse vi abbiamo rovinato la serata. Non pensavamo che eravate in quel locale, davvero» mormorò l’americana, sedendosi sulle gambe del moro e passandogli le mani fra i capelli: «Stavamo scherzando e chiacchierando, quando siamo giunte in zona e Xiang ha buttato lì di entrare come prova per Marinette…»
«Quindi…»
«Certo, se entravo e ti trovavo con quelle due mezze nude che si strusciavano addosso a te…» Sarah si fermò, sorridendo: «In quel caso saresti stato il bersaglio dei miei pungiglioni.»
«Ringrazio di avere avuto istinto di sopravvivenza, allora.»
Sarah sorrise, fissandolo negli occhi: «So come sei, Rafael, quando ci siamo conosciuti quello era il genere di locale che frequentavi e, alle volte, penso che tu…»
«Penso di aver capito, dopo stasera, che la mia idea di divertimento è veramente cambiata.» sentenziò Rafael, posandole le mani sui fianchi e allungandosi per sfiorarle le labbra: «Preferisco stare qui con te a farmi maratone di serie tv o film, piuttosto che stare da solo in un locale come quello.» dichiarò, facendola scivolare sul divano e alzandosi: «Che stavi per guardare?»
«Train to Busan.»
«Che sarebbe?»
«Un film coreano…»
«Tanto per cambiare.»
«…dove ci sono gli zombie.» dichiarò la ragazza, sorridendo: «Zombie.»
«Perché voi americani avete la fissa degli zombie?»
«Perché sono fighi. E perché penso che sia l’unica apocalisse che potrebbe succedere veramente: alla fine ci sono tantissime laboratori dove sperimentano virus o altro, no?»
«Giusto. Poi noi non combattiamo cose sovrannaturali che potrebbero distruggere tutto quanto.»
«Fuori da questa casa, miscredente dell’apocalisse zombie.»
Rafael ridacchiò, osservando il volto improvvisamente serio della bionda e il braccio che gli indicava la porta dell’appartamento, si allungò verso di lei, sfiorandole le labbra con le proprie: «Mi cambio e lo vediamo insieme?»
«Resti sempre un miscredente dell’apocalisse zombie.»
«Va bene, va bene.» sospirò il parigino, alzando gli occhi al cielo: «L’apocalisse zombie è l’unica che può succedere veramente. Insieme a quella per meteoriti, raffreddamento della terra, invasione aliena…»
«Fuori da questa casa, Rafael.»
«Dove hai messo la mia roba?»
«Secondo cassetto dell’armadio.» bofonchiò Sarah, mentre il ragazzo la faceva scivolare sul divano e lei si raggomitolava: «Puoi portartela via.»
«Mi cambio e poi ci vediamo il film, ok?» le sussurrò Rafael, baciandole la fronte: «Non farlo partire senza di me.»
«Vuoi anche il gelato?»
Il moro negò con la testa, strusciando il viso contro i capelli biondi: «Mangio un po’ del tuo.» dichiarò, sorridendole: «Non…»
«Aspetto te, ok.»


Tortoise incrociò le braccia, osservando l’eroina ferma, poco più avanti sul bordo del tetto: «Qualche problema?» le domandò, affiancandola e osservandola: «Non è bello ricevere un messaggio e…»
Volpina sorrise, avvicinandosi al giovane e poggiando la fronte contro la spalla: «Scusami, ti stavo aspettando a casa e…» si fermò, scuotendo la testa e facendo passare un braccio attorno alla vita dell’altro: «Ho sentito il bisogno di uscire.»
«Trasformata?»
«Raggiungo Place des Vosges più velocemente così. Ed evito di dover malmenare qualche malintenzionato.»
Tortoise sorrise, prendendo il volto della ragazza fra le mani e fissandola: «Quale è il problema?»
«Nessuno, tranquillo. Avevo solo bisogno di star fuori…» mormorò Volpina, allungandosi e sfiorando il naso dell’altro con il proprio: «Come stanno il mio piumino e il mio gattaccio? Tremanti di paura?»
«Diciamo che dopo che ve ne siete andate, hanno iniziato a capire quanto è bella la vita.»
«Tu, al solito, calmo e stoico, eh?»
«Conosco te. E tu conosci me.»
«Sì. So che sei leale e sempre pronto ad aiutare gli amici, tanto da entrare nel Fight Club del…come si chiamava il posto?»
«Non lo so.»
«Come non lo sai?»
«Non era qualcosa d’importante per me» decretò Tortoise giocherellando con uno dei ciuffi bicolore della ragazza: «Ero lì solamente per divertirmi con i miei amici e nient’altro. Anche se, devo dire, non siamo persone adatte per locali come quello…»
«Forse il nostro piumino…»
«Non credo lo sia più.»
Volpina sorrise, passando entrambe le braccia attorno alla vita dell’altro e alzando il posto: «Potrei organizzare uno spettacolo esclusivo per te, che ne dici? Visto che ti piace tanto osservare delle donne spogliarsi…»
«Mi piace osservare te. Solo te.»
«Sì, lo so. E’ per questo che mi piaci molto, sei così fedele…»
«Ti piaccio solamente?»
«Lo sai, Tortoise.» mormorò l’eroina, avvicinando le labbra tinte di arancio a quelle dell’altro: «Cosa provo.»
«Non mi dispiace sentirtelo dire, di tanto in tanto.»
«Io te lo dico ogni giorno, sei tu che non lo dici mai a me.»
«Ah, davvero?»
«Sì, davvero.»
L’eroe sorrise, chinandosi e strusciando il naso contro la tempia della compagna, sfiorando con le labbra il padiglione dell’orecchio: «Wo ai ni…» le bisbigliò, baciandole poi il profilo del volto e sorridendo, allo sguardo luminoso di lei: «Mi sono meritato uno spettacolo extra così?»
«L’ho detto e lo ripeto: la vicinanza con quei due ti sta facendo male, tesoro mio.»
«Forse è la convivenza con te? Sto imparando parecchio da te.»
«No, è la vicinanza con quei due.»
«Se lo dici tu…»
Volpina sorrise, stringendosi a lui e sentendo le braccia circondarla subito: «Ti sei guadagnato una fornitura illimitata di spettacoli…» mormorò, scivolando via dall’abbraccio e strattonando: «Andiamo a casa?»
«Come desideri.»


Xiang inspirò profondamente, abbassando la spada e osservando il display del suo cellulare illuminato; rinfoderò l’arma e l’appoggiò sul letto, sedendosi poi sulla superficie morbida e sorridendo al messaggio di Alex: aveva passato l’ultima mezz’ora a rassicurarlo che non le interessava il luogo dove l’aveva trovato.
Non era una persona possessiva e, in verità, non aveva nessun motivo per dichiarare il possesso dell’americano.
Dunque, dato che non sei arrabbiata con me per i miei istinti maschili, dobbiamo parlare del tuo nome in codice
Non posso essere chiamata Xiang?
No!
E perché?
Perché devi proteggere la tua identità
Lui sa già chi sono
Ma se qualcuno sentisse gli altri chiamarti per nome, poi farebbe due più due
E quindi?
Pensa a Felix, pensa a tutti noi. Metteresti in pericolo la nostra segretezza

Xiang sospirò, scuotendo il capo: «E come dovrei farmi chiamare, allora?» sbottò, digitando le parole che aveva appena detto ad alta voce e attendendo il messaggio del ragazzo.
Avevo pensato a Katana o Katana Girl, ma la prima è in Suicide Squad e la seconda in Heroes Reborn
La katana è una spada giapponese, io sono di Lemuria. In ogni caso non centra niente con il Giappone
, digitò la risposta e rimase in attesa, osservando la lama con cui si allenava: era una spada dalla linea dritta e dal doppio filo. Un regalo che Kang le aveva portato, secoli addietro, da uno dei suoi viaggi.
L’aveva usata ogni giorno, allenandosi con costanza e dedizione, imparando a conoscerla: poteva sentire anche in quel momento le forme dell’elsa nella propria e il peso che la spada aveva quando la impugnava: un giorno ti sarà utile, le aveva detto Kang, quando gliel’aveva donata.
E adesso aveva compreso.
Alex
Alex
Stavo facendo qualche ricerca, un attimo
Che ne dici di Jian?
Cosa?
Il mio nome in codice, come hai detto tu
Jian?
Sì.
Può andare
E’ la spada che uso, me l’ha regalata Kang
Allora non c’è nome più adatto di Jian



La città era immersa nella distruzione, volute di fumo scuro si alzavano verso il cielo mentre lui osservava la devastazione: i monumenti che caratterizzavano la ville lumière erano andati perduti, le voci disperate delle persone gli giungevano alle orecchie mentre l’odore acre di bruciato gli riempiva le narici.
Attorno a lui poteva sentire la presenza dei suoi compagni.
Gli altri Portatori.
Quella era l’ultima battaglia, lo sapeva.
Quella era…
«Rafael!»
Il ragazzo aprì gli occhi, osservando il soffitto della camera di Sarah e accorgendosi di avere il respiro ansante: «La visione…» mormorò, passandosi una mano sul volto: «La visione…»
«Cosa? Non sei trasformato, Rafael.»
«E’ quella visione, Rafael? Quella che avevi prima di…» mormorò Flaffy, fluttuando davanti il volto del proprio umano e fissandolo sconvolto: «Quindi non era il frutto di un errato uso del Miraculous.»
«Flaffy, ma cosa…»
«Ma non può essere. Non sei trasformato e…»
«Trasformato o no, ho di nuovo visto Parigi distrutta.» mormorò Rafael, mettendosi seduto sotto gli sguardi preoccupati di Sarah, Flaffy e Mikko: «E penso che sarà quello che succederà se non fermeremo Dì Ren.»
Sarah annuì, alzando una mano e carezzando il volto del ragazzo: «Domani…»
«No, facciamo passare il matrimonio di Adrien e Marinette, ok? Lasciamoli in pace almeno per quel giorno…» mormorò il parigino, prendendole la mano e portandosi il palmo alla bocca: «Proteggono Parigi da quando avevano quattordici anni, hanno diritto a un po’ di pace nel giorno del loro matrimonio.»
«Ma…»
«Sto bene, Sarah.» Rafael le sorrise, sdraiandosi nuovamente e tirando la ragazza con sé, stringendola poi in un abbraccio e posandole le labbra contro la fronte: «Proteggi i miei sogni, apetta. D’accordo?»

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 5.968 (Fidipù)
NoteLo avete atteso, lo avete voluto dal giorno in cui postai il capitolo di Miraculous Heroes dove Adrien fece la proposta e adesso è qui. Questo capitolo è...mh, in verità non so come definirlo, ma senza dubbio è importante: un po' perché è un passo importante per Marinette e Adrien e poi...beh, non vi dico altro. Avrei veramente tanto da dire, riguardo a questo progetto che ormai mi accompagna da un anno buono buono e mi accompagnerà per parecchio tempo ancora (ed io che ero convinta che, quando sarebbe andata in onda la seconda stagione, avrei già concluso tutto. Ah. Illusa), ma in verità non ho parole (strano, vero?) e quindi vi lascio al capitolo e, come sempre, vi ringrazio.
Grazie tantissimo a tutti voi che leggete, commentate, inserite la mia storia nelle vostre liste. Grazie a chi mi dice che considererà la mia fanfiction ufficiale, rispetto alle nuove serie di Miraculous, grazie a chi mi sopporta su facebook, leggendo i miei vari post e scleri...
A tutti voi, sia che siete con me dall'inizio, sia che siete giunti dopo, grazie di tutto cuore!



Marinette inspirò profondamente, osservando il proprio riflesso e posando le mani all’altezza dell’addome, sentendo la stoffa morbida e leggera dell’abito bianco: era stato frutto di una ricerca infinita, ma quando lo aveva indossato aveva sentito che quello era il vestito giusto.
Era un abito dalla linea semplice, con una scollatura a cuore e le spalle completamente scoperte; la stoffa candida si intrecciava nel corpetto ed era impreziosita da un ricamo floreale mentre, abbandonato sulla sedia, un piccolo bolero di lana bianca aspettava di essere indossato, onde evitare che morisse congelata nel tragitto dalla macchina alla chiesa.
Alzò una mano, toccandosi i capelli che erano stati acconciati semplicemente, in linea con l’abito: uno chignon all’altezza della nuca e poi i ciuffi che le incorniciavano il volto erano stati arricciati, mentre il lungo velo era stato appuntato all’acconciatura, senza coroncine ma con un semplice fermaglio, che riprendeva il ricamo dell'abito.
«Sei bellissima…» mormorò Sabine, prendendo la figlia per le spalle e sorridendo al riflesso che rimandava lo specchio.
«Mamma» bisbigliò Marinette, voltandosi e osservando gli occhi lucidi della donna.
«La mia bambina si sposa…»
Tom entrò nella stanza, strattonandosi la giacca scura e allargando le braccia: «Come sto?» domandò, sorridendo titubante alle due: «Pensate…»
«Tom, i pantaloni.»
«Non vanno bene?»
«Non li indossi.» dichiarò paziente Sabine, lasciando la figlia e tirando il marito in mutande verso la camera da letto, sotto lo sguardo divertito della figlia.
Marinette tornò a guardare il suo riflesso, prendendo il bouquet che aveva abbandonato sul tavolo e stringendolo fra le mani: «Va tutto bene, Marinette.» mormorò Tikki, facendo capolino tra i fiori: «E tu sei semplicemente bellissima.»
«Sarai con me, Tikki?»
La kwami scosse il capo, sorridendole serena: «Non oggi. Sarò vicino a te, ma è il tuo giorno: non hai bisogno di una kwami millenaria, che sospirerà per tutto il tempo»
«Ma…»
«Non sarai sola, Marinette. Ci sarà Adrien con te.»


«Qualcuno lo blocchi.» dichiarò spazientita Lila, fissando torva il biondo e suscitando l’ilarità del gruppetto: «Wei, fermalo, prima che lo uccida.» continuò, voltandosi verso il proprio ragazzo e indicando Adrien che, accorgendosi di essere al centro dell’attenzione, si fermò sul posto.
«Che c’è?»
«Che c’è? Lo domandi anche?»
«Amico…» sospirò Nino, passandogli un braccio attorno alle spalle e sorridendo conciliante: «Stavi per creare un solco. E non penso che al prete di questa chiesa possa piacere un solco proprio qui.»
«Ah. Non me n’ero accorto.»
«Il nostro Adrien è in preda al nervosismo? Non l’avrei mai detto.» scherzò Rafael, ridacchiando: «Tranquillo, devi solo ripetere quello che dice il prete e poi dire sì, infili l’anello e festa finita.»
«Rafael, gli anelli.»
Il moro sorrise, tastandosi le tasche del completo scuro mentre l’espressione allegra scivolava via, sostituita da una di puro terrore: «Sarah.» esclamò, voltandosi verso la bionda al suo fianco: «Gli anelli.»
«Li ho io» sospirò l’americana, prendendo la borsetta e tirando fuori la scatolina che conteneva le fedi nuziali: «Me li hai dati ieri, perché avevi paura di perderli.»
«Ho perso dieci anni di vita.»
«Tu? Tu hai perso dieci anni di vita?» tuonò Adrien, passandosi le mani fra i capelli e suscitando un moto stizzito da parte di Lila: «Che ho fatto?»
«Ci ho messo un’ora a sistemarti quelle ciocche e tu che fai? Ci passi tranquillamente le mani!» sbottò l’italiana, costringendolo a sedersi e sistemandogli i capelli: «Provaci di nuovo e ti uccido. E uccido anche voi, se non la smettete di muovervi.» dichiarò, indicando Alex e Thomas, impegnati ad armeggiare con i cellulari.
«C’è un Dragonite.»
«Thomas, dimmi che non stai giocando…»
«Ehi, mi sto annoiando.»
«Alex?»
«Mi sto annoiando anche io.»
Lila sbuffò, scuotendo il capo e portandosi poi gli indici alle tempie: «Non ci arrivo a fine giornata con voi, non ci arrivo.» sentenziò, poggiando la testa contro la spalla di Wei e biascicando qualcosa che solo il giovane cinese capì: «Fra quanto arriva Marinette?»
«E’ in ritardo? E se ha cambiato idea?»
Lila ringhiò, recuperando la propria pochette dalle mani di Wei e dando un colpo allo sposo: «Non ci sono ancora tutti gli ospiti, genio! Ti sembra sia in ritardo?» sbottò, voltandosi poi verso l’entrata della chiesa e sorridendo a Willhelmina, che stava entrando con Gabriel e Sophie, mentre subito dietro loro facevano la loro comparsa Xiang, Felix e Fu.
«Perché Manon Chamack è qui?» domandò Thomas, alzando lo sguardo dal cellulare e notando la ragazzina, che si stava accomodando di fianco alla madre in quel momento.
«Conosci Manon?» domandò Adrien, voltandosi e osservando anche lui la piccola: «Marinette le faceva da babysitter quando era piccola.»
«E’ nella mia scuola.»
«E’ la tua fidanzatina?»
«No, mi odia. Però le piace il mio migliore amico.»
«Jérèmie?» domandò Alex, sorridendo: «Potevi portarlo, alla fine avevi un più uno anche tu.»
«Non gli interessava e ho evitato di portare mia sorella: sarebbe stato imbarazzante.» mormorò il ragazzino, scuotendo il capo: «Molto imbarazzante, dato che è fan di questi due.» spiegò, indicando Adrien e Rafael: «Quindi immaginate cosa avrebbe fatto…»
«Ci siete tutti?» domandò Fu, avvicinandosi al gruppetto assieme agli altri e poggiando una mano sulla spalla di Thomas: «Aiuta questo povero vecchio, giovanotto, e portami a sedere.»
«Sei vecchio quando ti pare, Fu.» mormorò Felix, scuotendo il capo e regalando un sorriso a Nino: «Non penso ci abbiano presentato: Felix Blanchet, molto lieto.»
«Rottura di scatole è più indicato.» sbuffò Willhelmina, ignorata dai due e suscitando una risata in Sophie, che si sistemò vicino al figlio con Gabriel.
«Nino Lahiffe.» mormorò il ragazzo, stringendo la mano che gli era stata offerta dall’uomo e osservando stranito quel gruppo così variegato: conosceva Felix Blanchet di nome, lo aveva letto molto spesso negli articoli che parlavano delle imminenti elezioni del sindaco di Parigi, ma non riusciva a capire come mai fosse così intimo di Adrien, da presenziare al suo matrimonio.
E il ragazzino?
E l’anziano?
Forse erano tutte conoscenze degli Agreste…
Sorrise, ascoltando distrattamente le chiacchiere del gruppo attorno a lui e osservando poi Alya correre, per quanto glielo permettessero i tacchi, verso di loro: «La sposa sta arrivando! Non è un’esercitazione! La sposa sta arrivando! Ripeto: la sposa sta arrivando!» annunciò trillante e quelle parole dettero il via a tutto: gli invitati iniziarono a sistemarsi nelle panche della chiesa, il parroco si sistemò la toga e la stola attorno al collo, mentre Adrien si alzava e si sistemava il completo scuro, sotto lo sguardo divertito degli altri e raggiungendo l’altare con Rafael al seguito.


Marinette inspirò profondamente, osservando l’enorme portone di legno dalla linea gotica e ricordava di come le era parso immenso, quando era stata in quella chiesa da piccola; si voltò, sorridendo al padre e posò la mano nell’incavo del braccio dell’uomo: «Papà?» mormorò, attirando la sua attenzione e abbozzando un sorriso: «Prometti che non mi farai cadere, vero?»
«Per tutte le baguette di questo mondo, lo impedirò anche con la mia vita.»
«Grazie.» mormorò, sentendo l’organo intonare la marcia nuziale: fece un passo, seguita dal padre e lentamente entrò nella chiesa, inspirando profondamente quando tutti si voltarono verso di lei; sentiva il panico salirle mentre faceva vagare lo sguardo su tutta quella gente e, poi, guardò verso la fine della chiesa e si tranquillizzò.
Adrien era lì.
La fissava con il suo solito sorriso sulle labbra, forse più luminoso quel giorno, i capelli biondi tirati indietro e lo sguardo verde completamente rivolto verso di lei.
Marinette sorrise, mentre avanzava nella chiesa e non curandosi di nessuno, se non di Adrien.
Solo ed esclusivamente lui.
Ogni sguardo, ogni parola, tutto era nella sua mente, conservato gelosamente come quei ritagli di giornale per cui lui l’aveva presa in giro.
Adrien era stato il suo mondo, fin da subito, anche se lei non se n’era mai accorta.
E lei era stato il suo.
Suo padre si fermò vicino all’altare e le prese la mano, che teneva ancorata nell’incavo del suo braccio, passandola al giovane: «Ciao» mormorò Adrien, sorridendo e stringendole le dita: «E’ brutto dirti che ho pregato per tutto il tempo che tu non cadessi?»
«L’ho fatto anche io.» dichiarò Marinette, sorridendo: «Al prossimo matrimonio niente velo lungo.»
«Al prossimo matrimonio? Quante volte vuoi sposarti?» Adrien rise leggermente, stringendo le mani di lei: «Sei bellissima.»
«Anche tu.»
«Io sono sempre bellissimo.»
Il prete tossì, attirando l’attenzione su di sé e sorridendo ai due: «Se volete, iniziamo. Che ne dite?»
«Ci perdoni.»
«Non si preoccupi» mormorò Rafael, chinandosi verso l’uomo di Chiesa e ridacchiando: «Fanno sempre così: si dimenticano del mondo.»
Il parroco si schiarì la voce, allargando le braccia: «Un benvenuto a tutti voi, nella Casa del Signore. Oggi siamo qui riuniti per celebrare il sacro vincolo del matrimonio di quest’uomo e di questa donna…»


Tikki si sistemò sulla cornice di una delle vetrate, che donavano un aspetto colorato a una chiesa, altrimenti troppo carica com’era consono nelle chiese gotiche: «Marinette era nervosa?» domandò Plagg, sistemandosi accanto a lei: «Il moccioso si è dovuto abbottonare la camicia otto volte, prima di riuscire a centrare i buchi giusti. E non ti dico per la cravatta…fortuna, che è entrato Gabriel a salvare quel povero pezzo di stoffa.»
«Era nervosa sì.» mormorò la kwami, sorridendo: «Ma era più sul ‘non mi sembra vero’»
«Sono i primi…»
Tikki si voltò, osservando Plagg tenendo lo sguardo verde sui loro due Portatori e lei annuì: era vero, per quanto coloro che indossassero i loro Miraculous si amassero, Marinette e Adrien erano i primi che riuscivano a legarsi per tanto tempo e arrivavano anche a sancire la loro unione: «Sono contenta per loro…» mormorò la kwami, sospirando e sentendo il compagno fare altrettanto.
«Prima del classico rito, Marinette e Adrien ne vogliono recitare un altro» esclamò l’officiante, attirando l’attenzione di Tikki sulla coppia: li osservò, mentre erano un di fronte all’altro, le mani intrecciate.
«Qui e ora…» iniziò Adrien e Tikki si portò una zampina alla bocca, voltandosi verso Plagg e trovandolo sorpreso come lei: «Sotto questa luna, che mi è testimone, io mi dichiaro tuo marito e tuo compagno. La mia casa sarà la tua casa, il mio letto sarà il tuo letto. Offrendoti onore, fedeltà e rispetto, io ti sposo.»
«Qui e ora…» mormorò Marinette, sorridendo al suo sposo: «Sotto questa luna che mi è testimone, io mi dichiaro tua moglie e tua compagna. La tua casa sarà la mia casa, il tuo letto sarà il mio letto. Offrendoti devozione, fedeltà e rispetto, io ti sposo.»
«Quei due…» mormorò Plagg, scuotendo la testa: «Quei due…»
«Sarebbe stato bello celebrare anche il vostro matrimonio.» commentò Vooxi, sistemando di fianco a Plagg e ridacchiando: «In fondo, dove sta scritto che i kwami non possono sposarsi?»
«Esatto!» trillò Mikko, volando a fianco di Tikki e sospingendola un poco: «Inoltre, voi eravate promessi.»
«E il nostro Wayzz può officiarlo!» dichiarò Flaffy, fluttuando in aria con Nooroo e Wayzz, che avevano un sorriso compiaciuto: «Che dite? Lo facciamo?»
«Cosa volete fare voi?»
«Oh, andiamo!» sbottò Vooxi, scuotendo il capino: «Come se non ti conoscessi, Plagg. Quante volte ho dovuto ascoltare i tuoi piagnistei perché Tikki non te la dava?»
«Questo…»
«Lo facciamo?» domandò Wayzz, sfregandosi le zampette e ridacchiando: «Plagg, della tribù del Gatto Nero, colui che mi ha dato il tormento per tanti anni con le sue bravate, finalmente si sposa.»
«Voi…voi…» Plagg li osservò, voltandosi poi verso Tikki e fissandola: «Tikki, tu…»
«Sì.»
«E’ un vero peccato che non sia notte, come da tradizione a Daitya.» commentò Nooroo, sospirando: «Ma va bene lo stesso, sarà un matrimonio bellissimo.»
Wayzz si sistemò davanti a Plagg e Tikki, mentre gli altri kwami creavano un cerchio attorno a lui, i sorrisi allegri e gli occhi puntati sulla coppia: «Oggi, davanti ai nostri Sette Dei, celebriamo l’unione di queste due anime.» dichiarò, alzando le zampette verso il cielo: «Qui e ora, le vostre anime saranno legate.»
Plagg inspirò, prendendo la zampa di Tikki e fissandola, rivedendo quasi la ragazza che era stata un tempo: «Qui e ora. Sotto questa luna che mi è testimone, io mi dichiaro tuo marito e tuo compagno. La mia casa sarà la tua casa, il mio letto sarà il tuo letto. Offrendoti onore, fedeltà e rispetto, io ti sposo.»
« Qui e ora. Sotto questa luna che mi è testimone, io mi dichiaro tua moglie e tua compagna. La tua casa sarà la mia casa, il tuo letto sarà il mio letto. Offrendoti devozione, fedeltà e rispetto, io ti sposo.» mormorò Tikki, sentendo l’emozione salirle in petto: avrebbe voluto piangere, dando libero sfogo a tutto ciò che sentiva ma non poteva. Poteva solo guardare gli occhi verdi di Plagg che, nonostante tutto, non erano mai cambiati.
«Che i Sette Dei possano benedire la vostra unione.» mormorò Wayzz, chinando il capino: «Avete sopportato e rinunciato a così tanto che questo è solo una magra consolazione…»
«Sei mia moglie, Tikki.»
«E tu mio marito, Plagg.»
«E nessuno considerò il nostro caro, Wayzz.» dichiarò Vooxi, ridacchiando e posando una zampa sul guscio del kwami: «Beh, vanno capiti. E’ da quando eravamo umani che lo attendevano.»
«E adesso vai con la cioccolata!»
«Flaffy, non tutti qui mangiano cioccolata.» sospirò Mikko, scuotendo la testa mentre il pavone fluttuava attorno a tutti loro: «Flaffy…»
«Mangiate quel che volete! Io ho della cioccolata di qualità extra-superiore che attendeva un momento del genere per essere mangiata!»
Tikki ridacchiò, stringendo forte la zampa di Plagg e sorridendo al gruppo di kwami: «Sono contenta di essere qui con tutti loro. E sono contenta di poter essere diventata finalmente tua moglie, Plagg.»
Il kwami nero ridacchiò, spostando lo sguardo verde dai loro compagni a Tikki: «Anche io, Tikki. Anche io.»


Adrien si appoggiò allo schienale della sedia di Thomas, osservando divertito le donne riunirsi davanti a Marinette che sorrideva, imbarazzata da tutta quell’attenzione: «Che usanza barbara» commentò Alex, portando su di sé l’attenzione del biondo: «Sinceramente, perché costringere a questa rissa? Per cosa poi? Vincere un mazzo di fiori…»
«Ehi, chi se lo aggiudica si sposa entro l’anno» commentò Rafael, buttando giù lo champagne che aveva nel bicchiere e storcendo le labbra: «Sarah, ti prego, non prenderlo.»
«Ehi, cosa vorrebbe dire questo? Che ti vuoi solamente divertire con la mia migliore amica?»
«Amo Sarah, è la donna della mia vita ma preferisco andare piano…»
«Basta vedere quanto tempo ci ha messo per portarsela a letto. Al pennuto piace lento.»
«Non ti rispondo nemmeno.» commentò Rafael, fissando male l’amico e poi accennando con il capo a Wei: «Lila potrebbe tranquillamente prenderlo…»
«Perché no?»
«Wei, c’è qualcosa che ti smuove? Veramente, ti ho visto solo un po’ alterato quando combattemmo gli uomini di Maus e quelli avevano fatto dei commenti poco carini sulle nostre ragazze…»
«Maus…» commentò Alex, piegando la testa all’indietro e sospirando: «Sembra passato un secolo da quando è morto.» bisbigliò, scuotendo poi il capo: «Marinette, mi sembra l’abbia superata. O sbaglio?»
«Superato cosa?» domandò Thomas, alzando la testa dal proprio cellulare e osservando gli altri: «Cosa?»
«Maus è morto durante l’ultima battaglia che abbiamo avuto con lui» spiegò Adrien, osservandosi attorno e notando Felix avvicinarsi al tavolo: «E Marinette non l’ha presa bene: per un po’ si è accusata di non aver fatto abbastanza e non riusciva a dormire bene, aveva gli incubi e si svegliava in continuazione. Non è stato un bel periodo, ma adesso sta bene. E’ una ragazza forte.»
«Qualcuno vuole scommettere su chi si aggiudicherà l’agognato bouquet?» domandò Felix, poggiando i palmi delle mani e fissando gli occupanti del tavolo: «Io punto sulla biondina: mi sembra molto agguerrita.»
«Perché Chloé vuole prendere il bouquet? Non sta con nessuno o sbaglio?»
«L’ultima sua conquista di cui sono a conoscenza eri tu, pennuto.»
«Ehi, è stata una botta e via. Peccato che non abbia capito bene il concetto.»
«Sapete che c’è un bambino al vostro tavolo?»
«Stia tranquillo, Felix. Ormai sono abituato.» commentò Thomas, tornando a fissare il cellulare e aggrottando le sopracciglia: «Io punto su Lila.»
«Anche io.»
«Ovviamente Wei non poteva che puntare la sua donna.» dichiarò Adrien, ridacchiando: «L’avete capita? Puntare. La sua donna.»
«Perché Marinette non ti ha ancora ucciso, gattaccio?»
«Io scommetto su Sarah.» dichiarò Adrien, ridacchiando ed evitando il pugno di Rafael: «Scommetto che la nostra apetta…»
«Non chiamarla così!»
«…non vede l’ora di infilarti un anello al dito e proclamare a tutta Parigi che non sei più disponibile.»
«Sarah sta parlando con Fu e Willie.» borbottò il moro, indicando con un cenno del capo le tre persone in disparte: Fu e Willhelmina sembravano ascoltare con interesse e serietà quello che Sarah stava dicendo loro; Rafael sperò che la giovane non stesse raccontando loro dei sogni che stava facendo da due notti a quella parte, ma quando tutti e tre si voltarono verso di lui capì che stavano parlando di quello: «Vado da lei.» dichiarò, alzandosi e dirigendosi verso la ragazza.
«Uh. Sta per lanciare il bouquet.» commentò Thomas, poggiando il cellulare sul tavolo e osservando interessato la scena.
Rimasero tutti in silenzio, osservando il mazzo di fiori candidi venire tirato da Marinette che, voltata di spalle, si girò velocemente per vedere chi sarebbe stata la fortunata e l’intera sala rimase a bocca aperta quando il bouquet finì fra le mani di Sophie Agreste; la donna fissò i fiori, sorridendo e poi spostando l’attenzione sul marito, seduto con lei a un tavolino assieme alle vecchie professoresse di Adrien: «Sarei già sposata…» dichiarò Sophie, sventolando per aria il bouquet e venendo poi fermata da Gabriel, che fece voltare la moglie verso di sé e le sussurrò qualcosa all’orecchio, facendola ridacchiare. Sophie riabbassò il mazzo, carezzando dolcemente i petali e poi sporgendosi verso Gabriel, sfiorandogli le labbra con le proprie.
«Penso che i tuoi rinnoveranno a breve la promessa di matrimonio» constatò Alex, alzandosi in piedi e stirandosi: «Qualcuno ha visto Xiang?»
«Ah! Qualcuno mi ricorda, dopo tutta questa festa, di avvisare Fu che ho qualcosa da consegnargli?» domandò Felix, riponendo il cellulare e scuotendo la testa: «Mi dimentico sempre: Bri è…» si fermò, inspirando profondamente: «Impegnativa.»
«Come stanno andando le manovre di riconquista?»
«Ha smesso di ringhiarmi contro. E’ un buon segno, no?»
Alex scosse il capo, allentandosi la cravatta e sospirando: «Vado a cercare, Xiang.»


Sarah si voltò, osservando il ragazzo avvicinarsi a lei e abbozzò un sorriso: «Come stai?» domandò, notando lo sguardo stanco di Rafael: anche la notte precedente aveva avuto una nuova visione e si era svegliato ansante e sudato, lo aveva osservato mentre cercava di riprendere il controllo di sé e poi si era lasciata abbracciare.
Rafael riusciva a dormire tranquillo solo se la stringeva fra le braccia.
«Ho visto che hai parlato con Fu e Willie.»
«Dovevo dirglielo.» mormorò Sarah, allungando una mano e carezzandogli la tempia con la punta delle dita: «Il maestro ha detto che cercherà qualcosa fra i suoi testi e…»
«Non potevi aspettare domani, vero?»
«No, non potevo.»
Rafael sospirò, scuotendo il capo e ritrovandosi poi spinto in avanti e verso Sarah, si voltò notando una bionda – che conosceva fin troppo bene – strusciarsi contro di lui: «Chloé Bourgeois.» mormorò, allontanandosi di un poco e osservando la figlia del sindaco con la sua schiavetta personale: «Affoghi il dispiacere nello champagne?»
«Avevo smesso di puntare Adrien già da un po’» dichiarò la ragazza, piegando le labbra finemente tinte di rosso e fissandolo bramosa: «Soprattutto da quando…»
«Conosci Sarah?» dichiarò il parigino, prendendo la ragazza per le spalle e usandola quasi a mo’ di scudo: «E’ la mia fidanzata.»
Chloé lo fissò, assottigliando lo sguardo e fissandolo in volto: «Fammi indovinare, sei come Adrien?»
«Se non peggio» dichiarò Rafael, sistemandosi dietro Sarah e passandole le braccia attorno alla vita: «Sono un cattivo redento, quindi sono anche peggio del signorino Agreste…» dichiarò, poggiando le labbra contro il collo della ragazza che teneva nel suo abbraccio e osservando l’altra andarsene stizzita, con Sabrina Raincomprix dietro di sé.
«Fammi indovinare…»
«No, non vuoi indovinare.»
«D’accordo» mormorò Sarah, voltandosi fra le sue braccia e alzando le mani fino al suo volto, carezzandogli le guance: «Hai l’aria stanca…» bisbigliò, ignorando ciò che era successo fino a poco prima e ritornando a quello che più la premeva.
«Sto bene. Davvero.»
«Mh.»
«Sto bene, apetta. Devo solo dormire un po’ di più, possibilmente abbracciato a te.»
«Sono diventata il tuo peluche.»
«Sì, soprattutto quando indossi quel tuo pigiamone pesantissimo e morbidissimo.» dichiarò, chinandosi e baciandole la fronte: «Sto bene.»


Thomas sbadigliò, sistemandosi in un angolo del locale e osservando la folla di persone: l’unica altra persona della sua età era Manon Chamack, ma non che questo gli importasse, poiché aveva imparato da tempo a stare fra gli adulti.
Era il più piccolo dell’intera famiglia e alle riunioni, in occasioni delle festività, si era abituato a dover fare i conti con persone più grandi di lui e, proprio per questo, gli riusciva benissimo distrarsi, giocando con il cellulare.
«Cosa fai?» la voce di Manon lo riscosse, facendolo voltare verso la ragazzina in piedi alla sua sinistra: aveva sciolto i capelli che, legati in parte, le circondavano il volto e aveva sostituito gli abiti che indossava sempre con un grazioso vestito rosa.
Era carina quel giorno.
E se lo ammetteva lui, doveva essere così.
«Gioco» bofonchiò, mostrandole lo schermo dello smartphone e osservandola mentre si sedeva al suo fianco; si portò involontariamente una mano alla camicia, allentandosi il colletto e la cravatta che, quella mattina, sua madre aveva annodato alla perfezione.
Manon annuì con la testa, fissandolo poi seria: «Posso mettermi qui con te?» domandò, osservando il posto vuoto accanto a lui e, al cenno affermativo del ragazzino, sorrise gioiosa: «Il mio cellulare si è scaricato e…»
«Batteria di riserva.» borbottò Thomas, riportando l’attenzione sullo schermo e aggrottando lo sguardo, effettuando un lancio a effetto con la pokeball: adorava quel locale perché era piano di pokemon, quasi come se ci fosse un nido da quelle parti.
«Cosa?»
«Io mi porto sempre una batteria di riserva o il caricatore portatile.» spiegò Thomas, sorridendo e mostrando lo schermo a Manon, che gli sorrise di rimando: «Mi mancava questo…» le spiegò il ragazzino, massaggiandosi la nuca con la mano libera: «Comunque dicevo: io mi porto sempre dietro un caricatore portatile, altrimenti si scaricherebbe subito anche a me e…beh…» indicò le persone davanti a loro e Manon annuì.
«Vero. Non ci ho mai pensato.»
«Nemmeno io, poi ho visto mia sorella farlo e mi si è aperto un mondo.»
«Hai una sorella?»
«Sì, è più grande di me.»
«Che bello…»
«Io direi l’opposto, veramente.»
«Io sono figlia unica, invece.»
«Lo so.»
«Davvero?»
«Beh, tua madre è famosa, no? Quindi…»
«Ah. Giusto.» sospirò Manon, guardandosi la punta delle scarpe, in tinta con il vestito, e rimanendo in silenzio: «Tu…»
«Uaaah! Mi mancava anche questo!» esclamò Thomas, voltandosi verso di lei e mostrando lo schermo: «Per la fine della festa, avrò riempito il pokedex.»
Manon sorrise, sporgendosi verso di lui e osservandolo mentre provava a catturare un nuovo pokemon, si voltò guardando lo sguardo concentrato di Thomas e poi spostò di nuovo tutta l’attenzione sullo schermo, indicando un piccolo mostriciattolo dall’aria: «Quello! Quello!»
«Ok, vediamo di prenderlo!»



«Signora Marinette Agreste…» bisbigliò Adrien, chinandosi verso la moglie seduta al suo fianco e baciandole la spalla nuda, ascoltandola ridacchiare: «Suona bene, non trovi?»
«Dici?» domandò Marinette, piegando la testa e poggiandola contro quella del biondo, sospirando poi pesantemente e rimanendo in quella posizione per un po’: socchiuse gli occhi, ascoltando la musica e le chiacchiere delle persone che li circondavano, lasciandosi cullare dalle carezze della labbra di Adrien sulla spalla.
«Hai freddo?» le domandò il suo neo-marito, facendole riaprire le palpebre e alzare la testa: Adrien si era tolto la giacca del completo e aveva allentato la cravatta: «Vuoi la mia giacca?»
«Vorrei togliermi questi affari dai piedi» sentenziò Marinette, fissando la gonna del vestito e sapendo che sotto gli strati di stoffa bianca c’erano due strumenti di tortura medievale: «Non sono abituata ai tacchi.»
«Vero. Li indossi veramente di rado.» commentò Adrien, passandole un braccio sulle spalle e attirandola verso di sé: «L’ultima volta che te li ho visti ai piedi è stato alla settimana della moda. Giusto?»
«E’ passato così poco da quando li ho portati l’ultima volta?»
«Non ti sei portata un paio di scarpe di ricambio?» le mormorò il ragazzo, baciandole la tempia e sfiorandole i capelli mori con le labbra: «So che in molte lo fanno.»
«Non ci ho pensato…»
Il biondo annuì, stringendola più forte contro di sé: «Appena arriviamo a casa le togli e ti rilassi, ok?»
«Casa…» mormorò Marinette, posando una mano sul petto del ragazzo e giocherellando con la cravatta di seta: «E’ strano pensare che non sarà quella che ho considerato fino a ieri.»
«Ti capisco, anche per me è uguale.»
«Oh per favore!» sospirò Lila, poggiandosi al tavolo degli sposi e fissandoli: «Già eravate diabetici, non potete darvi una calmata adesso?»
«Volpe, perché non vai da Willie?»
L’italiana si voltò, nella direzione dove la ex-Portatrice del Miraculous della Coccinella, completamente sbronza, aveva eletto Felix a tiro al bersaglio: «C’è Felix che sta facendo da vittima sacrificale…»
«Vai da qualche parte con Wei, vai a dar noia ad Alex, l’importante è che ti levi dal nostro tavolo.»
«Bello il gattino romanticone!» esclamò Lila, allungandosi sul tavolo e prendendo le guance del biondo, tirandole come avrebbe fatto una nonna o una zia: «Che si sposa per San Valentino e manda a monte quello degli altri.»
«Mi stai facendo male, Lila.»
«Lila, lascialo.»
«Solo perché lo dice il boss.»
Marinette sorrise, osservando Adrien massaggiarsi le guance, facendo poi vagare lo sguardo per la sala del Cigale, allestita per il loro matrimonio: «Sto sognando, vero?»
«No, purtroppo ti sei unita con il gattaccio.»
«Te ne vuoi andare?»
«E lasciarti in pace con la tua mogliettina? Neanche morta.»
«Dov’è Wei quando serve?»
Rafael si avvicinò al tavolo, ridacchiando con Sarah, Thomas e Alex dietro di sé: «Willie ha beccato in pieno Felix.» decretò il parigino, continuando a ridere: «Con una fetta della torta.»
«No, me lo sono perso!» esclamò Adrien, balzando in piedi e posando le mani sulla tovaglia candida: «Maledizione!»
«Ho il filmato!» esclamò trionfante Thomas, mostrando il proprio cellulare: «Ha più mira da ubriaca che da sobria, quella donna.» dichiarò il ragazzino, facendo partire il filmato dove Willhelmina lanciava una fetta di torta e colpiva in pieno il volto di Felix.
«Povero Felix, forse gli conveniva rimanere a Shangri-la.» dichiarò Alex, ridacchiando e poi guardandosi in giro: «Lo so  che mi ripeto: ma qualcuno ha visto Xiang? La sto cercando dal lancio del bouquet!»
«Forse si sta nascondendo da te, Alex. Mai pensato questo?»
«Per favore, qualcuno trovi Wei, prima che gli cataclismo la fidanzata.»
«Cataclismi me? Hai veramente intenzione di farlo? Devo ricordarti di quando ti ho fatto limonare con l’aria?»
«Wei. Dov’è?»


Xiang storse la bocca, togliendosi le scarpe con il tacco e sospirando beata mentre poggiava i piedi per terra: perché le donne dovevano portare quegli strumenti di tortura? Aveva guardato con malcelata invidia Lila e le altre mentre camminavano tranquille su quegli affari, senza mostrare un minimo di cedimento.
Forse era una qualche abilità che le donne sviluppavano da quelle parti?
A Shangri-la non c’era mai stato bisogno di simili affari e, anzi, camminare con quelle ai piedi sarebbe significato morte certa nell’impervia Città senza tempo; sospirò, mentre muoveva le dita contro il pavimento freddo e cercò di non dare molto peso alla persona che stava giungendo verso di lei: «Va tutto bene?» le domandò una voce maschile, dal timbro stranamente familiare.
Dove l’aveva sentita?
Non lo ricordava.
Inspirò profondamente, aprendo le palpebre e voltandosi verso il nuovo venuto, rimanendo a bocca aperta: «Dì Ren…» bisbigliò, ricordando benissimo i tratti del ragazzo posseduto che l’aveva avvicinata, non molto tempo prima.
Era lui.
Non poteva che essere lui.
«Cosa?» le domandò il ragazzo, fissandola con un sorriso impacciato in volto: «Non ho capito.»
«Nulla…» mormorò Xiang, facendo un passo indietro e chinandosi per raccogliere le sue scarpe: era ancora posseduto dal suo nemico? Oppure, dopo che era stato usato, Dì Ren l’aveva lasciato libero?
«Stai bene?» le domandò il ragazzo, abbozzando un nuovo sorriso e guardandosi attorno.
«S-sì. Grazie.» mormorò Xiang, superandolo e raggiungendo la sala centrale del locale, si guardò attorno e notò il gruppo di Portatori al tavolo degli sposi.
«Oh, ecco la nostra Xiang!» esclamò Rafael, vedendola sopraggiungere: «Ed è la prima che ha ceduto, a quanto pare.» aggiunse, indicando le scarpe, che la ragazza teneva in mano.
«Sembra che hai visto un fantasma…» mormorò Sarah, inclinando la testa e studiandola assorta: «Xiang?»
La cinese si voltò, osservando i novelli sposi e il resto di Portatori: poteva dare loro la notizia lì, in quel momento?
Era un giorno di festa e il ragazzo che aveva incontrato non sembrava sotto l’influsso di Dì Ren.
«Mi fanno solo male i piedi….» mormorò, voltandosi nella direzione da cui era venuta e osservando colui che era stato posseduto da Dì Ren unirsi a gruppetto di invitati.
«Xiang, perché stai fissando Nathaniel?» domandò Lila, guardando anche lei la stessa direzione della cinese e sorridendo: «Alex, mi sa che hai un rivale.»
«Lo conoscete?»
«Veniva a scuola con noi. Perché?»
«Niente.»
«Testa di pomodoro deve sempre rompere le uova nel paniere a quanto pare.» commentò Adrien, passando un braccio attorno alle spalle di Marinette: «Condoglianze, Alex.»
«Cosa?»
«Se vuoi il mio consiglio, infilale un anello al dito prima che Testa di pomodoro ci provi.»
«La smetti?» sbottò Marinette, colpendo il biondo in pieno petto e fissandolo male: «Tu mi hai chiesto di sposarti quando…»
«Quando un certo pennuto ci provò con te. Vero.»
«Non rivanghiamo cose che non vogliamo dissotterrare.»
«Come siamo filosofici, piumino.»
«Me lo hai chiesto perché ti stavo tenendo il muso.»
«Ti ho chiesto di sposarmi perché sei l’amore della mia vita e l’unica che voglio al mio fianco. Fine.»
«Dateci un taglio! Siete diabetici!»
«Wei, dov’è?» sbottò Adrien, fissando male l’amica: «Diventa insopportabile quando non c’è.»
«Sta aiutando Felix con Willie.» spiegò Sarah, sorridendo: «Dopo il lancio riuscito della torta, Wei ha cercato di tenerla buona, mentre Felix evitava le cose che lei gli lanciava. Penso stia aiutando l’assistente di Willie a portarla in macchina, o qualcosa del genere.»
«Fantastico. Ci manca solo un attacco del nostro nuovo nemico e il mio matrimonio con Marinette è da ricordare per sempre.»
«L’ha detto, vero?»
«L’ha detto, volpe.» mormorò Rafael, sospirando e voltandosi verso Sarah: «Mikko e Flaffy?»
«Sono nella mia borsetta, non preoccuparti.»
«Nella mia ci sono Wayzz e Vooxi, mentre Nooroo, Plagg e Tikki sono con Sophie.» dichiarò Lila, annuendo con la testa: «Siamo pronti.»
«Io non volevo combattere il giorno del mio matrimonio, però.»
«Forse era meglio se stavo zitto…»
«Tu prega che non ci sia un attacco fino a domani, gattaccio.»


Marinette inspirò profondamente, osservando la porta dell’appartamento che, da quel giorno, avrebbe condiviso con Adrien: «Facciamo le cose per bene?» domandò il ragazzo, non dandole il tempo di rispondere e chinandosi, sollevandola poi in braccio e ridendo all’urletto spaventato della ragazza.
«Adrien!»
«Non c’è questa usanza? La sposa che entra in braccio allo sposo?» domandò il ragazzo, gettandole con qualche difficoltà il mazzo di chiavi in grembo: «Ho le mani occupate, Marinette.»
La ragazza sbuffò, prendendo le chiavi e armeggiando con la serratura, finché non riuscì ad aprirla e Adrien entrò velocemente dentro l’abitazione, poggiandola a terra: «Le mie povere braccia…» sospirò il ragazzo, andando a chiudere la porta e massaggiandosi i bicipiti sopra la giacca scura.
«Faccio finta di non aver sentito niente.» chinandosi e armeggiando con i laccetti delle scarpe: «Libera!» dichiarò felice la ragazza, guardandosi attorno e sorridendo a quella che era la loro casa: la cucina con i pensili chiari, il grande divano con la tv che dominava la stanza centrale e che dava sulla terrazza piena di piante; si avviò nel corridoio che portava alle camere e sorrise, vedendo che una era stata trasformata in una piccolo atelier: «Adrien, ma…»
«Pensavo avevi bisogno di un posto dove disegnare e cucire.» sentenziò il ragazzo, raggiungendola e osservando anche lui la stanza: «E’ stato complicato, ma con i ragazzi siamo riusciti a sistemarla a tua insaputa. Ti piace?»
«E’…è…»
«Talmente bello e dolce, che tuo marito merita un bacio?» dichiarò Adrien, abbracciandola da dietro e baciandole il collo: «Mh. Mi piace.»
«Cosa?»
«Definirmi tuo marito. E’ bello.»
«Sì, vero.»
Adrien aprì la bocca, ma qualcosa lo colpì alla nuca, si voltò e osservò irato il kwami nero: «Plagg!» esclamò, massaggiandosi la parte colpita e notando Tikki ridacchiare vicino all’altro: «Che ti prende?»
«Che mi prende? Che mi prende?» sbottò il felino, agitando le zampette vicino al viso del giovane: «Mi prende che, di punto in bianco, sento voi due che pronunciate i voti nella maniera di Daitya. Ecco, che mi prende.»
«E’ il suo modo per dirvi grazie.» dichiarò Tikki, strusciandosi contro la guancia della propria Portatrice e sorridendo: «E’ stato bello, sentirvi dire quelle frasi una seconda volta e durante la vostra unione ufficiale. Grazie.»
«Non potevi fare come Tikki? No, dovevi colpirmi.» sbottò Adrien, fissando male il kwami nero e voltandosi poi verso la moglie e il piccolo esserino rosso che confabulavano fra di loro: «Ci hanno completamente dimenticati.» sentenziò, poggiandosi contro lo stipite della porta mentre Plagg si sistemava contro la sua spalla.
«Mi chiedo se dovrei continuare a chiamarti moccioso…»
«Mi verrebbe la pelle d’oca se mi chiamassi in un altro modo, sai?»
Plagg sbuffò, alzando lo sguardo verso il cielo: «Sono contento per te.» sentenziò, dopo un po’: «Ho ascoltato i tuoi piagnistei per parecchio, quando ancora non sapevi chi era lei e vederti adesso felice e al suo fianco…beh, sono contento.»
«Adesso cosa farai? Ti struscerai contro il mio viso e…»
«Neanche morto.»
«Ottimo. Riesco a gestirti meglio così, piuttosto che un affarino coccoloso.»
Marinette si voltò verso di loro e Adrien le regalò un sorriso innocente, osservandola mentre si aggirava per la stanza e sorrideva alla vista dei suoi oggetti: il suo manichino, la sua macchina da cucire, i suoi album da disegno, gli scampoli di stoffa che teneva impilati nell’armadio e poi…
Si chinò per terra, recuperando un oggetto che conosceva molto bene: «E’ tornato da me?» domandò, agitando l’ombrello scuro e vedendo Adrien sorridere: «Mi sembrava di avertelo restituito.»
«Sarà finito qui per sbaglio…» mormorò il ragazzo, allungando una mano e prendendo l’oggetto che lei gli aveva offerto: «Stavolta non lo apro.»
«Nemmeno io.»
Adrien abbassò lo sguardo, carezzando l’incerata scura e poi riportando l’attenzione sulla ragazza davanti a lui, sua moglie: «Alle volte, mi chiedo quale sia stato il nostro vero inizio: quando ci siamo incontrati da Ladybug e Chat Noir? Quando ti ho offerto questo ombrello in segno di pace?»
Marinette lo fissò, sorridendo: sembrava passato così tanto tempo da quei loro primi incontri, da quando era caduta addosso a quel ragazzo vestito di nero e con due orecchie feline in testa, lo stesso che poi lei aveva ripreso perché pensava che facesse parte della combriccola di Chloé.
Lo stesso che le aveva donato quell’ombrello, in segno di pace.
Lo stesso che era sempre stato al suo fianco, in una veste o nell’altra, da quando tutto era cominciato.
«Quando abbiamo avuto i nostri Miraculous…»
«Cosa?»
«Il nostro inizio. E’ stato quando io ho aperto la scatola con il Miraculous di Tikki e tu quella con il Miraculous di Plagg.» mormorò Marinette, avvicinandosi a lui e poggiando la testa contro la sua spalla: «E’ lì che è iniziata la nostra storia.»
Adrien le posò le labbra sul capo, stringendola contro di sé e carezzandole la schiena: «Che ne dici di continuare questa storia con tuo marito che ti toglie questo meraviglioso abito bianco? Bellissimo, ma sento che ci sono un po’ troppi bottoni…»
«Oh, il mio micetto si arrende prima del tempo?»
«Dovresti sapere bene che mi piacciono le sfide: non sono forse riuscito ad agguantare una certa coccinella, che non faceva altro che sfuggirmi?»
Marinette sorrise, posando le mani sulle guance del biondo e annuendo: «Sì. E’ vero.»

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.848 (Fidipù)
NoteE dopo il matrimonio, si riprende la quotidianità dei nostri, fatta di università, riunioni strategiche, set fotografici (per i due modelli di Parigi) e quant'altro. E intanto inizia a smuoversi qualcosa: che i nostri baldi eroi abbiano capito qualcosa? E Dì Ren, quando la smetterà di fissare la scacchiera e farà la sua mossa? Parlando del capitolo...beh, grazie a questo, ho capito che fino a ora chiamavo in modo errato il campionato di calcio francese e lo appellavo come quello inglese (geniale, vero?) e attualmente la Ligue 1 è sotto l'egemonia del Paris St. Germain, che vince il campionato dal 2012; inoltre ho fatto la scoperta del lotto francese: nato nel 1505, grazie a Re Francesco I ed è il gioco preferito dai francesi, che hanno l'opportunità di tentare la fortuna tre volte alla settimana (il lunedì, il mercoledì e il sabato) ed è necessario scegliere 5 numeri che vanno da 1 a 49, inoltre è necessario scegliere un ulteriore numero bonus dall'1 al 10.
E sì, ho fatto le mie solite ricerche.
E non mi sembra ci sia altro da dire...non credo almeno...
Come sempre, vi ringrazio tantissimo per il fatto che seguite le mie storie, le leggete, le commentate, le inserite nelle vostre liste, le usate per andare al bagno (ok, questo non lo so ma siccome son propensa a dire che stimolo certe attività corporee...beh, penso siano un ottimo utilizzo, no?)
Grazie di tutto cuore!
E con Miraculous Heroes ci vediamo lunedì!



Rafael si svegliò, allungando una mano sul materasso e sentendolo vuoto ma ancora tiepido al tatto: «Sarah si è alzata da poco.» lo informò Flaffy, volando verso di lui con una barretta di cioccolato fra le zampe: «Ha pensato di farti dormire, visto che stavi riposando tranquillo…»
Il ragazzo annuì con la testa, mettendosi seduto sul letto: «Ora mi alzo…» sentenziò, passando una mano sul volto e sospirando: anche quella notte aveva avuto l’ennesimo incubo, la visione che aveva dominato gran parte del periodo in cui era stato solo, ora era tornata in maniera prepotente.
«Stai bene?»
«Sì» mormorò Rafael, carezzando il capino del kwami e sorridendogli: «Mi sto solo trasformando in una specie di Kang, direi. A breve vedrò tutto il futuro anche io e inizierò a tessere le mie trame…»
«Non capisco perché ti stia succedendo questo» mormorò Flaffy, addentando la barretta e masticò lentamente il boccone, scuotendo poi la testa: «Più ci penso e più non capisco: nessuno dei miei Portatori ha avuto simili problemi.»
«Qualche altro dei tuoi Portatori ha provato a usare il tuo potere per scoprire i numeri del Lotto? O avere in anticipo i risultati della Ligue 1?» dichiarò il ragazzo, alzandosi in piedi e dando un’occhiata al pavimento, alla ricerca dei suoi indumenti.
«No, quello no.»
«Forse è il prezzo che devo pagare per avere usato il potere per uso personale» mormorò Rafael, recuperando i pantaloni del pigiama dal pavimento: «Non ho un malessere come Gabriel, perché ho fatto così per meno tempo rispetto a lui, ma questo è un…Flaffy, che c’è?»
«Niente. Ho solamente capito perché Plagg si lamenta tanto del fatto che Adrien gira per camera nudo.»
Rafael abbassò lo sguardo, abbozzando un sorriso e indossando velocemente i pantaloni che teneva in mano: «Scusa. Ero sovrappensiero…» mormorò, massaggiandosi il petto nudo e guardandosi nuovamente attorno: «Dov’è la mia maglietta?»
«Ce l’ha Sarah.»
«Eh?»
«Quando si è svegliata se l’è messa.»
Rafael annuì, uscendo dalla camera e raggiungendo velocemente la cucina, fermandosi sulla porta: Sarah era in piedi davanti ai fornelli, intenta a preparare la colazione per entrambi, con i capelli biondi raccolti e la sua maglia che le lasciava scoperto le gambe e parte del sedere.
Sorrise, raggiungendola e posando il capo contro la sua spalla, sentendola sobbalzare: «Mi hai spaventato!» lo riprese lei, dandogli una leggera manata sul bicipite e allontanandosi di qualche passo, fissandolo male.
«Perdono, perdono» sentenziò Rafael, avvicinandosi e prendendola fra le braccia: «Buongiorno, apetta» dichiarò, chinandosi e sfiorandole le labbra con le proprie: «Dormito bene?»
«Questo dovrei chiederlo io a te.»
«Sto bene…»
«Rafael.»
«Sto bene. Davvero» sospirò il ragazzo, posandole nuovamente la testa contro la spalla e sentendo la mano di Sarah accarezzargli i capelli: «Non è bello vedere sempre Parigi distrutta nei propri sogni, ma ci sto facendo l’abitudine. Davvero» mormorò, voltandosi e baciandole il collo: «Se poi mi sveglio e trovo un simile spettacolo…»
«Spettacolo?»
Rafael sorrise, imprigionando Sarah contro il bancone e piegandosi verso di lei, sfiorandole il lobo con le labbra: «Tu, con la mia maglietta addosso e una bella visuale del tuo sedere…» dichiarò, sorridendo e osservandola in volto: «Se non dovessi andare in facoltà, avrei recitato alla perfezione il ruolo di uomo di caverna.»
«Mi avresti preso come un sacco di patate e portato nel tuo antro?»
«Esattamente, apetta» dichiarò il moro, osservando i preparativi della colazione e aggrottando lo sguardo: «Dove sono i tuoi cereali?»
«Li ho finiti.» dichiarò la ragazza, abbozzando un sorriso: «Pensavo di averli finiti a casa mia e non qui.»
«Sarebbe veramente più comodo vivere nella stessa casa…» buttò lì Rafael, allontanandosi da lei e iniziando ad armeggiare con il bricco dell’acqua: «Quindi prendi anche tu il the?» domandò, allungandosi verso il pensile e recuperando due bustine di infuso: «Sarah?»
«Ah. Eh? Sì. Anche io.»
«Che hai?»
«Nulla, nulla.»
«Sarah.»
La bionda si morse il labbro inferiore, alzando le spalle: «Quello che hai detto…» pigolò, notando lo sguardo grigio e confuso di Rafael posarsi su di lei: «Sulla casa.»
«Ah» Rafael si voltò verso di lei, giocherellando con il ciondolo a forma di pavone: «Ecco, io…»
«Immagino che l’hai detto sovrappensiero, no? Insomma, noi…»
«Io lo vorrei» dichiarò il parigino, fermandola e sorridendo dolcemente all’espressione confusa: «In pratica già lo facciamo, no? Vivere assieme. Se non sono io da te, sei tu qui e…» si fermò, lasciando andare il Miraculous e massaggiandosi il collo, sospirando: «Niente, era un pensiero che mi è venuto quando sei tornata dall’America. Ma immagino che per te sia presto e quindi non ti ho mai detto nulla.»
«Mi vorresti davvero qui con te?»
«O verrei io a vivere da te» mormorò Rafael, abbozzando un sorriso: «Certo, sarebbe più comodo qui: questa casa è dei miei genitori, quindi non c’è un affitto da pagare, poi è in una bella zona e tu adori Sacre Coeur; inoltre ho una connessione migliore della tua: immagina vedere i tuoi drama senza dover aspettare che si carichi la barra del video…»
«Stai provando a convincermi?»
«Non so. Ci sto riuscendo?»
La ragazza sorrise, allungando una mano e carezzando il gioiello che Rafael teneva al collo, facendo poi scivolare i polpastrelli sulla pelle liscia: «Io...io…»
«Non voglio una risposta, Sarah» mormorò il moro, abbozzando un sorriso: «Solo pensaci. Ok?»
«Ok.»


«Non c’era bisogno di accompagnarmi» mormorò Marinette, osservando Adrien uscire dall’auto argentata e sorridendo al Gorilla che, silenzioso come sempre, stava guardando in avanti con le mani strette attorno al volante: «Farai tardi…»
«Non faccio tardi.» dichiarò Adrien, intrecciando le mani con quelle della ragazza e tirandola verso di sé: «Ho lezione fra un’ora e il set fotografico sarà questo pomeriggio. Sono in tempo per tutto, quindi non preoccuparti, ok?» il biondo si chinò, sfiorandole il naso con il proprio: «Come stai?»
«A parte il mal di schiena?»
Adrien ridacchiò, assentendo con la testa: «A parte quello» mormorò, sorridendole dolce: «Forse dovrei essere meno…»
«No!»
«Marinette?»
«Cioè…ecco…io…mi sono scavata la fossa da sola.»
«Sì, coccinella pervertita» dichiarò Adrien, tirandola contro di sé e posandole il mento sul capo: «Quindi ti piace che io sia così voglioso. Bene.»
«Non potresti esserlo in una giusta dose? Sarebbe un po’ seccante se poi non potessi combattere Dì Ren perché qualcuno è parecchio attivo a letto.»
Adrien si mosse, poggiando la fronte contro la spalla di Marinette e ridendo divertito: «Sei unica, Marinette» mormorò fra le risate, rialzando poi la testa e scuotendola: «Giusta dose…»
«Non siamo usciti di casa per due giorni, Adrien.»
«Non mi sembra che ti sei lamentata: non possiamo fare una luna di miele a modo e quindi…»
«Mi sto lamentando ora.»
«Adesso non è valido.»
«Perché no? Adesso che sono lucida…»
«Ah. Quindi ti faccio talmente impazzire – di piacere, ovviamente – che non sei lucida?»
Marinette sospirò, chiudendo gli occhi: «Come ci siamo finiti a fare questi discorsi?» mormorò, riaprendo le palpebre e osservando il ragazzo con un sorriso divertito in volto: «Io davvero…»
«Ti lamentavi del tuo mal di schiena» le rispose Adrien innocente: «Vuoi che il tuo maritino ti faccia un bel massaggio stasera?»
«No.»
«Come no?»
«No, perché so dove finiremo poi.»
«Tanto ci finiremmo lo stesso» dichiarò Adrien, facendo la linguaccia: «Non è colpa mia se le coccinelle non sanno resistere al richiamo degli ormoni.»
«Sei in ritardo, Adrien.»
«Non è vero, vengo sempre puntuale.»
«Adrien!»
Il  biondo ridacchiò, chinandosi e poggiando la fronte contro quella della moglie: «La smetto di prenderti in giro. Per ora» dichiarò, osservando il volto imbronciato di lei: «Sai che sei bellissima anche da arrabbiata?»
«Stai cercando…»
«Di evitare la possibilità di dormire sul divano dopo tre giorni di matrimonio? Sì.»
«Per quanto tu sia impossibile, non ti farei mai dormire sul divano per così poco.»
«Ehi, potrei usare queste parole contro di te un giorno» dichiarò il biondo, voltandosi appena e osservando Nathaniel entrare nell’edificio: «Secondo te come fa Xiang a conoscerlo?» domandò di punto in bianco, attirando l’attenzione di Marinette sul rosso: «Lei non è tipo da frequentare questa scuola.»
«Xiang va al Louis-le-Grand» mormorò la mora, sospirando: «Quindi non so proprio dove possa averlo conosciuto e, da quel che ci ha raccontato, da quando è qui a Parigi non ha avuto molti contatti: seguiva noi per via dei Miraculous e poi si è avvicinata ad Alex, ma sempre per lo stesso motivo.»
«E l’interesse che aveva per lui al matrimonio…» bisbigliò Adrien, assottigliando lo sguardo: «E’ ancora strano?»
«Non so dirti. Al matrimonio non ci ho parlato molto e poi…beh, lo sai.»
«Sì, lo so molto bene» dichiarò Adrien, facendole l’occhiolino e portandosi le mani della moglie alle labbra: «Puoi farmi il favore di stare attenta?»
«A chi?»
«A Nathaniel.»
«Adrien…»
«Ragiona, Marinette: che cosa ossessiona Xiang?»
«Dì Ren.»
«E quindi…»
Marinette aprì la bocca, voltandosi verso la porta dell’edificio e poi tornando a guardare il marito: «Pensi…»
«Non lo so» dichiarò Adrien, sorridendole: «Ma voglio che tu stia attenta. E chiamami, se vedi qualcosa di strano. Ok?»
«D’accordo.»
«Marinette, sono serio. Ti conosco e so quanto ti piace fare di testa tua o da sola.»
«Starò attenta, te lo prometto.»
«E…»
«E ti chiamerò, se vedo qualcosa di strano.»


Alex picchiettò la penna sul blocco davanti a sé, passandosi una mano fra i capelli e spettinandoli di più di quel che erano, scuotendo poi il capo: «Non hai nessuna idea, Wayzz? Nemmeno una piccola piccola?» domandò, guardando intensamente il kwami della tartaruga e pregando dentro di sé che una lampadina si accendesse.
«Ho pensato e ripensato a quello che hai detto, Alex. Ma non ho nessuna idea.»
«Non stiamo andando da nessuna parte.» sbuffò Lila, incrociando le braccia e fissando una alla volta gli altri occupanti della stanza: Wayzz e Vooxi erano sul tavolo, cercando di dare qualche nome ad Alex sulla possibile identità di Dì Ren; Willie e Fu erano seduti con loro ma non stavano partecipando alla conversazione, troppo impegnati a fare delle ricerche sui testi antichi del maestro, Xiang era in completo silenzio anche lei, spostando la sua attenzione dall’americano ai kwami.
E Wei…
Wei era seduto accanto a lei e le carezzava il dorso della mano, quasi a consolarla di quel fallimento totale di riunione.
«Se solo Gyrro fosse qui…» mormorò Wayzz abbattuto, chinando il capino e inspirando profondamente: «L’ho sempre aiutato con la documentazione che riguardava l’andamento della città: se c’era un problema ero io che intervenivo, se Plagg combinava qualcosa intervenivo io, se…»
«Amico, è inutile che ti scervelli: il caro vecchio Gyrro non ti ha messo al corrente di questa informazione. Di vitale importanza, soprattutto ora.» mormorò Vooxi, sbuffando: «Poi mi chiedo cosa ci serve sapere chi era.»
«Magari per capire i suoi scopi e anticiparlo?» borbottò Alex, lasciando andare la penna sul blocco: «Sarebbe più facile hackerare il sistema del Pentagono…»
«Puoi farlo?» domandò Lila, fissando Alex: «Veramente?»
«Dovrei studiarci un po’ sopra, ma non sarebbe infattibile.»
«Alex, mi sorprendi…»
«Ehi, prima ancora di essere un nerd, fissato con i supereroi, sono un hacker provetto» dichiarò orgoglioso il ragazzo, sistemandosi gli occhiali: «Mio padre ancora mi odia per quando manomisi il sistema della base di Chattanooga: ma insomma, non è che ci fosse qualcosa da fare da quelle parti e il Tennessee è un posto veramente noioso per un newyorkese di quattordici anni»
«Uao. E lo ripeto: uao. Quello che sapevo fare io a quattordici anni era far impazzire Chat Noir e Ladybug con i miei poteri di akumatizzata»
«Io aiutavo i miei, facendo il guidatore di risciò» mormorò Wei, sorridendo: «E’ stato il mio primo lavoro ed ero anche molto bravo.»
«Io vivevo a Shangri-la e cacciavo»
«Uno di voi che abbia avuto una vita normale, no?» sbottò Willhelmina, chiudendo il libro e prendendo il cellulare, storcendo le labbra: «Felix, amico tuo, informa che sta arrivando, Fu.»
«Perché amico mio? E’ il tuo amante.»
«Per avere un amante, dovrei essere sposata o avere un compagno.»
«Mi correggo: è il tuo compagno.»
«Fu!»
«Fu cosa?»
La donna si voltò versi gli altri, seduti al tavolo indicando l’anziano al suo fianco: «Gli potete dire qualcosa?» sbottò, mentre il campanello dell’abitazione informò che qualcuno era alla porta.
«E’ già qui» piagnucolò Willhelmina, sbuffando mentre Fu si alzava e andava ad aprire al nuovo ospite: «Perché è tornato? Perché?»
«Felix non vedeva l’ora di rivederti, Bridgette» lo informò Xiang, sorridendo: «Ha passato tutto il tempo ad allenarsi per essere sicuro di poterti proteggere.»
«Che amore!»
«Vero, Bri?» esclamò il biondo, entrando nella stanza e sorridendo alla donna: «Sono sopravvissuto, solo per poter stare con te.»
«Ma le frasi a effetto sono comprese nel pacchetto ‘Miraculous del Gatto Nero’?» domandò Lila, osservando l’uomo poggiarsi contro lo stipite e incrociare le braccia, tenendo sotto controllo la donna al tavolo: «Come anche l’amore ossessivo. Giuro, voi del Gatto Nero siete inquietanti…»
«Oh, Lila. Oggi ho avuto il piacere di conoscere tua madre.»
«Condoglianze.»
«Lila…»
«Donna molto interessante, devo dire» dichiarò Felix, sorridendo: «E, a quanto ho capito, tuo padre è molto favorevole alla mia candidatura come sindaco.»
«A mio padre non piace Bourgeois» mormorò Lila, sbuffando: «Quando sono venuta qui in Francia la prima volta, Bourgeois…beh, non si è fatto proprio ben volere.»
«Bourgeois è parecchio cieco rispetto ai cambiamenti» dichiarò il biondo, annuendo con la testa: «Per questo ho indirizzato la mia campagna elettorale proprio sul mutamento.»
«Sei venuto per parlare di politica?»
«No, Bri. Sono venuto per portare qualcosa a Fu» dichiarò Felix, osservando l’anziano entrare nella stanza con i tre fratelli dietro di sé: «Allora, vecchio mio?»
«Fa è morta» sbottò Fu, attraversando la sala e dirigendosi verso il telefono, pronto a dirne quattro all’ex-Portatrice della Farfalla: «Mandarmi i suoi nipoti per cosa? Per rompermi le scatole? Come se non avessi niente da fare! Ma stavolta mi sente, quella vecchia megera incartapecorita…»
Alex ridacchiò, sentendo Fu continuare a insultare l’anziana amica e si voltò verso i tre uomini, che stazionavano all’ingresso: «Ma sono usciti da Mulan? Dai, sembrano proprio i tre che lei incontra al campo di allenamento…»
«Ho capito male o sono i nipoti di Fa?» domandò Lila, guardando Felix e aspettando una risposta, spostando poi l’attenzione sui tre fratelli: «E concordo con Alex: sono usciti da Mulan questi tre. Anche Fa, se è per questo: sembrava la nonna di Mulan.»
«Sono i nipoti di Fa, sì» assentì il biondo, sospirando: «Sono tre sacerdoti di Nêdong e la cara nonnina li ha spediti qua per aiutare Fu,  solo che hanno avuto qualche problemino all’arrivo ed io li ho trovati che vagabondavano per strada e gli ho dato un lavoro.»
«Gli hai dato un lavoro?» domandò Willhelmina, voltandosi verso Felix e fissandolo sorpresa: «Li hai resi tuoi schiavi, vorrai dire.»
«Hanno un regolare contratto e sono ben pagati, Bri» sbottò l’uomo, guardandola imbronciato: «Ah, si chiamano Bo, Li e De.»
«Bo, Li e De? Mi stai prendendo in giro?»
«Mai stato più serio, Lila.»
«Perché ti dovrebbe prendere in giro?» domandò Alex, sistemandosi gli occhiali e fissando l’amica: «Cosa c’è di strano?»
«Bo. Li. De. Bolide. E’ una parola italiana che significa che qualcosa va velocissimo, del tipo: Ehi, quella macchina è un bolide!»
«Ah.»
«Conoscendo Fa gli avrà dato i nomi a caso» mormorò Willhelmina, riaprendo il testo davanti a lei: «Quasi tutti i suoi nipoti hanno nomi corti e semplici: La, Min, Mu.»
«Ma quanti nipoti ha?»
«Tanti, Lila. Tanti.»

Rafael si sistemò davanti l’obiettivo, inclinando la testa e storcendo le labbra in un mezzo sorriso, cercando di reprimere lo sbuffo all’ennesimo richiamo del fotografo alle tagliatelle di sua madre: «Perfetto! E’ proprio l’espressione che voglio!» dichiarò l’italiano, sdraiandosi per terra e scattando alcune foto con l’angolazione dal basso: «E ora te lo vuoi mangiare quel piatto di tagliatelle!»
Tradotto: fai uno sguardo seducente e ammiccante.
Si stampò in faccia l’espressione che il fotografo voleva, poggiando il gomito contro il ginocchio, e lasciando la mano penzolare nel nulla: a quanto pareva la posizione piacque all’italiano che, in giubilo, scattò una nuova serie di fotografie: «Perfetto! Assolutamente perfetto!» sentenziò l’uomo, dando un’occhiata alle anteprime.
Rafael si alzò, sciogliendosi i muscoli del collo e dirigendosi verso Adrien, che attendeva paziente il suo turno di foto: «Come andiamo, gattaccio?» domandò, prendendo una delle bottigliette d’acqua, che Nathalie aveva messo a loro disposizione e bevendo una lunga sorsata: «La vita da sposato ti piace?»
«Decisamente sì.»
«Non vi abbiamo visto a giro per due giorni, quindi penso che…»
«I due giorni migliori della mia vita.»
«Condoglianze a Plagg, allora.»
«L’hai detta giusta» sbottò il kwami nero, facendo capolino dal giubbotto di Adrien e fissandoli serio: «Quel povero letto...»
«Plagg» ringhiò Adrien, riponendo il cellulare e sospirando: «Sei pregato di…»
«Stare zitto. E lo faccio, solo perché ho un appuntamento con una bella fetta di camambert e non perché me l’hai detto tu.» bofonchiò il kwami, tornando nel suo nascondiglio e facendo ridacchiare il moro.
«Quindi tutto ok, in casa Agreste» dichiarò Rafael, incrociando le braccia: «Allora perché quello sguardo serio? Non mi hai preso in giro per le tagliatelle.»
«Niente di grave.»
«Se vuoi parlarne…»
«Preferisco essere sicuro, prima di mettere in allarme tutto.»
«Queste parole non mi piacciono, significano una sola cosa…»
«Dì Ren. Esatto.»

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.309 (Fidipù)
NoteFinalmente torna l'azione in quel di Parigi! Chi dovranno combattere i nostri eroi? I soliti due ladruncoli che si divertono ad assaltare bancomat e banche, oppure qualcosa di più serio? Beh, vi posso rispondere: qualcosa di più serio, finalmente Dì Ren ha fatto la sua prima mossa e ha mandato il suo primo emissario contro i nemici: riusciranno i nostri eroi a batterlo? Oppure rimarranno con un pugno di mosche in mano? Bene, la pianto di tormentarvi e...
Mh. Pensiamo, c'è qualcosa di dire su questo capitolo? Le Grand Paris lo conoscerete sicuramente, essendo l'hotel di proprietà della famiglia Bourgeois, ma non so se sapete che è basato su un hotel veramente esistente, l'Hôtel Plaza Athénéé: un hotel a cinque stelle (e quindi, non propriamente per tutte le tasche, vi dico solo che la camera più 'economica' va sui mille euro a notte), che ha aperto nel 1913 e ha accolto, fra le sue mura, reali, celebrità e politici. Ha quattro ristoranti e in un (il Louis XV) potete assaggiare la cucina di Alain Ducasse, cuoco francese naturalizzato monegasco di fama mondiale (se guardate la versione statunitense di MasterChef, potrete averlo visto come ospite).
E dopo il consuento appuntamento con la vostra guida di Parigi passo, come sempre, ai ringraziamenti di rito: grazie a tutti voi che leggete, commentate, inserite le mie storie nelle vostre liste e me fra gli autori preferiti, mi piacizzate i post su facebook e...
Beh, grazie tantissimo e di tutto cuore!
E ci vediamo mercoledì con il nuovo capitolo de La bella e la bestia (Miraculous Heroes 3, invece, come al solito sarà aggiornato venerdì).



Adrien lesse velocemente il paragrafo, evidenziando il concetto chiave esposto e sospirando, passandosi una mano fra i capelli biondi e spettinandoli: aveva finito da poco gli esami del primo semestre e già doveva lavorare per quelli del secondo, dato che i professori - sicuramente figli di Routo, come li aveva nominati Plagg - avevano pensato di sobbarcarli di materiale fin dal primo giorno.
Il rumore della chiave nella serratura lo distrasse e sorrise, vedendo la porta di casa aprirsi e Marinette entrare carica di buste: «Ma che...?» Domandò il ragazzo, alzandosi e andando ad aiutarla: «Hai per caso rapinato una panetteria, mon coeur?»
«Papà» sbuffò Marinette, lasciando andare per terra la sua borsa fissandolo ansante e con le guance rese rosse dallo sforzo. Adrien le sorrise, andando a poggiare la borsa che aveva in mano sul tavolo, e poi tornò da lei, aiutandola a districarsi con la sciarpa e il giubbotto: «Ma Adrien sta mangiando, vero?» Bofonchiò la ragazza, imitando il vocione del padre: «E mi ha caricato di brioche, baguette e biscotti»
«Tom è sempre il migliore» sentenziò Adrien, chinandosi e baciandola: «Ma non potevi chiamarmi? O chiamare il gorilla?»
«Un po' complicato con le braccia cariche»
«Sei venuta fin qua...»
Tikki ridacchiò, attirando l'attenzione di Adrien: «Si è trasformata» lo informò, volando poi fino al divano dove Plagg si era spaparanzato e si sistemò di fianco al kwami.
«Ti sei trasformata ma non potevi chiamarmi?»
«Ho scoperto che posso trasformarmi anche con le mani occupate, sai?»
«Sì. Mi è bastato dire le due paroline magiche e...hop! Ero Ladybug»
Adrien scosse il capo, sospirando e seguendo la ragazza fino alla cucina, osservandola iniziare a trafficare con le pentole: «Vuoi che cucini io, così ti riposi?» Le chiese, abbracciandola da dietro e posando il mento contro la spalla.
«Sto aspettando»
«Cosa?»
«Il momento in cui ti trasformerai da principe perfetto a gatto rompiscatole» dichiarò la ragazza, voltandosi nella sua stretta e sorridendo: «Madame Sauvage, che mi è una cliente di mio padre da quando ero piccola, ha detto che suo marito ha smesso di essere perfetto pochi giorni dopo il matrimonio».
«Ma io sono purrfetto, è differente» dichiarò Adrien, strofinandole il naso con il proprio: «E non insultarmi, paragonandomi a un marito comune: sono la tua anima gemella e, quindi, come tu sei perfetta per me, io lo sono per te».
 «Io sono perfetta per te?»
«Sì, mia principessa e signora» dichiarò Adrien, chinandosi e strusciandole le labbra contro l'orecchio: «E direi di spostare questa conversazione in camera per...»
Il campanello dell'appartamento lo bloccò ed entrambi si voltarono verso la porta: «Plagg! Tikki!» esclamò Adrien, osservando i due kwami volare verso una delle altre stanze mentre lui andava ad aprire e sorrise: «É Sarah»  dichiarò, facendosi da parte per far entrare l'amica: «Potete tornare.»
«Mi ha chiesto di andare a vivere assieme» esclamò l'americana, afferrando per la maglietta Adrien e fissandolo sconvolta.
«Ehm...chi?»
«Il tuo amico»
«Sarah, ho parecchi amici adesso. Un conto era quando avevo quattordici anni e c'erano solo...»
«Penso parli di Rafael, Adrien» mormorò Marinette comprensiva, vedendo il marito aprire la bocca in un a O perfetta.
«Hai capito il pennuto!» esclamò il ragazzo, sorridendo e liberandosi dalla presa dell’amica: «E dove sarebbe il problema?»
Sarah osservò Mikko andare dagli altri due kwami e sospirò: «Non lo so» mormorò, scuotendo il capo biondo: «In verità lo so: mia madre. Sarebbe un bel problema spiegarle perché vorrei disdire l’affitto del mio appartamento…»
«E’ a conoscenza dell’esistenza del pennuto, almeno?» domandò Adrien, incrociando le braccia e osservando l’amica sorridente: «Oppure il nostro amico dalla coda che s’innalza…» si fermò, storcendo le labbra e ridacchiando fra sé: «Questa gliela devo dire, appena ne ho l’occasione.»
«Adrien…»
«Oh! Andiamo! Pensa alla situazione, Marinette: siamo trasformati, buttò lì la sua mancanza di coda che s’innalza e lascio poi fare a Volpina.»
«Sei tremendo.»
«E mi ami anche per questo, no?» dichiarò il biondo, facendole l’occhiolino: «Per tornare al tema principale: tua madre è a conoscenza di questo pavone che ti fa la ruota?»
«Adrien! Basta!»
«Che ho detto? Era un semplice riferimento all’animale del Miraculous di Rafael, tutto qui.»
Sarah sorrise, scuotendo il capo: «Sa che c’è un ragazzo, ma non che questo è così importante per me» spiegò l’americana: «Sinceramente volevo evitare che facesse i bagagli e venisse con me qui a Parigi.»
«E quindi?»
«Non sono venuta a chiedere consiglio a te, Adrien, ma a Marinette.»
«Ehi, ti può far comodo una visione maschile della situazione.»
«Maschile?»
«Marinette può testimoniare, sono…»
«Adrien!»
«…molto dotato…»
«Questo non volevo saperlo.» sospirò Sarah, alzando gli occhi al cielo e osservando l’amica, con il volto completamente rosso: «Marinette?»
«Cosa? Non lo ammazzo solo perché non voglio diventare vedova così presto!» sospirò la ragazza, avvicinandosi e fissando male il marito: «Tutto ciò che posso dirti, anche se penso che dovresti sentire anche Lila, è di seguire il tuo cuore: se senti che vuoi andare a vivere con lui, vai. Altrimenti rimanete così: conoscendo Rafael non ti ha fatto nessuna pressione, giusto?»
«L’ha solo buttata lì come idea, dicendo che secondo lui sarebbe ottima.»
«Visto?»
L’americana annuì, sospirando: «Seguire il cuore, eh?» domandò, facendo vagare lo sguardo dalla ragazza all’altro.
«Non guardare me. Io sono stata incastrata: un bel faccino, un carattere adorabile e poi mi sono ritrovata legata a questo gatto perennemente in calore.»
«Non mi sembra che ti lamenti, my lady. E devo aggiungere che oltre al mio bel faccino, tu apprezzi anche il mio fisico: si sa che salvare il mondo è un ottimo allenamento, vero?» dichiarò il ragazzo, facendole l’occhiolino: «E poi adori quando ti prendo in giro o faccio battute. Solamente non vuoi darmi soddisfazione, a parte quando…»
Marinette gli posò entrambe le mani sulla bocca, sorridendo imbarazzata a Sarah: «Rafael è come lui. Pensaci bene.» dichiarò, ricevendo in cambio un’occhiataccia dal biondo: «Sì, mon chatton?» domandò innocentemente, togliendo le mani e sorridendogli.
«Mon chatton…» la imitò lui, storcendo la bocca e voltandosi verso l’americana: «Vuoi rimanere a cena da noi?»
«No, grazie. Mikko ha trovato un nuovo drama da vedere…»
«Cosa?»
«Ah. Grazie Sarah, per averla contagiata» sbottò Adrien, alzando gli occhi al cielo: «L’altro giorno mi ha costretto a farle da cuscino mentre ne guardava uno e a un certo punto è partita a piangere…»
«A me succede a ogni drama che vedo» dichiarò la ragazza, sorridendo: «Sono così belli e alcuni così meravigliosamente tristi che anche se stai male e piangi, sai che è un dolore sano.»
«Dolore sano?» domandò divertito il ragazzo, chinando la testa e poggiandola contro la spalla della moglie: «Chi vi capisce è bravo.» sospirò, baciando il collo di Marinette e dirigendosi verso il divano, iniziando a pungolare Plagg.
«Scusa, se sono piombata così…»
«Nessun problema. Ti capisco benissimo.» dichiarò Marinette, guardando l’amica: «Scusami per…beh, Adrien.»
«Sappiamo com’è, no?»
«Giusto.» mormorò Marinette, voltandosi a osservare il marito mentre sogghignava e Plagg agitava furente le zampette: «Sicura che…»
La suoneria congiunta di tre cellulari la fermò dal dire altro e scambiò un’occhiata con Sarah e Adrien: «Le cose sono due: o è finito il periodo di pace o Alex ha ribeccato quei due ladruncoli.» sentenziò Adrien, prendendo il suo cellulare e rispondendo alla chiamata, mettendo il vivavoce: «Alex?»
«In persona, amico.» sentenziò la voce allegra del ragazzo: «Attendo che tutti si collegano e…»
«Marinette e Sarah sono con me.»
«Oh. Ottimo.» dichiarò Alex, accompagnato dal rumore dei tasti: «Ok. Lila, Wei, Rafael, Thomas e Xiang. Ci siete tutti.»
«Sentiamo, nerd dei miei stivali di pelle italiana, cos’abbiamo oggi? Un’altra banca?»
«A quanto pare ci sono dei problemi al Le Grand Paris» spiegò l’americano, sospirando nel microfono: «Il tenente Raincomprix ha chiesto un quantitativo ingente di uomini sul posto e l’ha fatto solo quando Coeur Noir o Maus attaccavano.»
«Le Grand Paris…» mormorò Xiang: «Felix doveva andare lì oggi, aveva una specie di dibattito amichevole con l’altro candidato, Bourqualcosa.»
«Bourgeois.» la corresse Adrien, inspirando profondamente e scambiandosi un’occhiata con le due ragazze al suo fianco: «Trasformiamoci e troviamoci tutti lì, ok?»
«Da quando sei tu il boss, gattaccio?»
«Da quando l’ho sposata, ovvio.»
«Ah. Giusto.»
«Ci vediamo davanti l’albergo.» dichiarò Adrien, facendo l’occhiolino a Marinette: «Ah, Xiang. E’ gradita una maschera per celare l’identità.»
«Nessun problema.» esclamò Thomas, intromettendosi nella comunicazione: «Abbiamo risolto la situazione.»
«E quando un bambino dice che ha risolto la situazione…»
«Ehi, ho tredici anni.»
«Ci vediamo lì, truppa.»
«Truppa? Da quando siamo una truppa?»
«A dopo, volpe.» sentenziò Adrien, chiudendo la chiamata e sorridendo alle due ragazze con lui: «Direi che è ora di trasformarci, che ne dite?»
Sarah si chinò verso Marinette, fissando il biondo davanti loro: «Ma gli hai veramente lasciato il comando?»
«Veramente no.»
«Plagg! Trasformarmi!»


Felix tamburellò le dita sul bracciolo della poltrona, osservando con la coda dell’occhio la giornalista e il suo rivale politico: Nadja Chamack doveva essere abituata perché era immobile con lo sguardo puntato sulla donna, mentre André Bourgeois…
Beh, se si fosse portato nuovamente le dita al colletto della camicia avrebbe urlato.
Spostò l’attenzione sulla donna che, tranquilla, camminava per la grande sala dell’albergo, ancheggiando e sorridendo ai suoi poveri ostaggi: aveva lunghi capelli scuri, legati in una coda e il volto era in parte coperto da una rosa nera e in parte da una maschera rossa come il sangue.
Gli stessi colori degli abiti dalla fattura orientale.
Dì Ren aveva fatto la sua mossa a quanto pareva e aveva mandato quella bellezza come primo emissario.
Rimase impassibile, mentre la donna si fermò davanti lui e inclinò il capo, studiandolo con l’unica iride visibile, di profondo color rosso cremisi: «Sei tranquillo» commentò, chinandosi in avanti e dandogli una bella visuale della profonda scollatura della casacca; Felix sorrise, tenendo lo sguardo in quella della nemica e osservandola rialzarsi: «Fin troppo.»
«Sono stato nell’esercito…» commentò il biondo, accavallando le gambe e sistemandosi i polsini della camicia: «Una tipa come te non può farmi paura.»
«Ah no?» domandò la donna, toccandosi il ciondolo rosso che portava al collo e azionandolo, facendo materializzare un arco e frecce nella mano libera: «Il mio signore ha detto che conquistare questa città non sarà facile, ma non impossibile.» dichiarò, spostando l’attenzione su tutta la sala: «Ed io, Yi, sono qui per suo volere. Chinatevi al mio signore e sarete salvati.»
«Chinarsi? Tesoro mio, dovresti sapere che Parigi ha degli eroi pronti a tutto per difendere la città e i suoi abitanti.»
«Gli eroi di Parigi non saranno un problema.» dichiarò la donna, sorridendo lasciva: «Perché…»
Un boato e poi una pioggia di vetri bloccarono Yi dal continuare il soliloquio, Felix scattò verso la giornalista e, dato un calcio al tavolino basso, lo usò come riparo per sé e la donna: «Coeur Noir, ti ho detto e ridetto, che Marshmallow non va bene!» la voce di Chat Noir riecheggiò per la stanza e Felix sorrise: la cavalleria era arrivata.
«Perché non va bene?» domandò Coeur Noir, voltandosi verso il gigante di ghiaccio e sorridendo: «Il mio piccolino ha fatto il suo dovere e ci ha fatti entrare, no?» tubò, ricevendo un gorgoglio soddisfatto dal bestione: «E in quanto a te, tesoro, lo stile gatta morta è passato.» continuò, volgendosi verso la nemica che, impugnato l’arco, tendeva la corda e osservandoli uno per uno.
«A me piace il suo stile» commentò Peacock, incrociando le braccia e osservando la donna: «Casacca stretta e con una profonda scollatura, gonna con spacco strategico e profondo…direi che abbiamo fatto il salto di qualità da quando combattevamo i guerrieri neri o gli scagnozzi di Maus.»
«Sono d’accordo con il pennuto.»
«Ehi, scemo e più scemo» Volpina li affiancò, sorridendo angelicamente e indicandoli uno per volta: «Le vostre donne sono dietro di voi»
«My lady! Mai pensato di vestirti così?» esclamò Chat, sorridendo innocentemente: «Penso che…»
«Non ti lego con il mio yo-yo solo perché dobbiamo combattere» sentenziò la coccinella, mettendo mano alla sua arma e ignorandolo, spostando tutta la sua attenzione sulla donna dall’altra parte della stanza, che li teneva sotto mira con il suo arco.
«Idiota.»
«Ti senti così superiore da commentare, Peacock?»
«Bee, tu sei l’unica donna della mia vita.»
«Certo» commentò l’eroina in giallo, fissandolo male e caricando i bracciali, prendendo poi la mira verso la loro nemica.
«Ha un’aria familiare» commentò Coeur Noir, battendosi le dita sulle labbra tinte di nero e ignorando le due coppiette: «Solo non mi ricordo dove l’ho vista.»
«Anche a me capitava, tanti anni fa, quando incontravo Ladybug…» mormorò Chat, sospirando: «Ehi, panterona! Piccola domanda: sei una nemica?»
«Ci sta puntando una freccia contro, io direi che è nemica» sbottò Volpina, muovendo zittita il proprio flauto e scuotendo il capo: «Panterona, poi.»
«Mi sembrava adatto come nomignolo» bofonchiò Chat, alzando le spalle: «Come dovrei chiamarla? Tizia con un fiore davanti l’occhio? Panterona rende meglio l’idea.»
«Bello, mi piace Panterona» commentò Alex, negli auricolari di tutti: «Dì Ren, Panterona. Il prossimo pretendo di chiamarlo Topo Gigio. Ci state? Comunque non stiamo facendo bella figura…»
«Parigi ci è abituata.»
«No, con Xiang.» dichiarò l’americano, sorridendo: «Ehi, Jian. Tutto ok? Ci sei ancora o l’akumatizzazione ti ha fatto impazzire?»
«Sono qui.» commentò la ragazza, portandosi una mano all’auricolare, che Alex le aveva fornito, e portandosi una mano al petto, afferrando la stoffa bianca del suo vestito da akumatizzata: un qipao bianco, con ghirigori argentati, composto da casacca e pantaloni, stretto in vita da una fascia oro e una maschera che riprendeva il disegno del vestito: «Ma fate sempre così?»
«Di solito siamo più tranquilli» commentò Tortoise al suo fianco: «Ma era un po’ che non combattevano contro qualcuno come quella là»
«Non abbiamo mai combattuto contro una Panterona.»
«Chat! Smettila!»
«Sì, my lady.»
«Gli eroi di Parigi…» mormorò la donna, sorridendo divertita: «Non siete nient’altro che un gruppetto di ragazzini, che verranno schiacciati dalla potenza del mio signore.»
«Beh, tesorino. Dobbiamo vedere se il tuo signore ce la farà» sentenziò Peacock, mettendo mano ai ventagli e aprendoli, sorridendo divertito: «Boss, il piano?»
«Jian, che dobbiamo fare?»
«Combatterla.» sentenziò la cinese, fissando l’altra e posando la mano destra sull’elsa della spada al suo fianco: «Sicuramente è posseduta da Dì Ren: le avrà infuso il Quantum attraverso il gioiello, trasformandola e soggiogandola.»
«Ok. E c’è un modo per farla tornare alla normalità?»
«Prosciugare il Quantum che ha nel corpo.»
«E come facciamo?»
«Non lo so, Ladybug.» mormorò Jian, scuotendo il capo: «Intanto dovremmo metterla alle strette, in modo che non faccia male agli innocenti.»
«E il vostro Mogui aggiunge alle cose da fare: scoprire un modo per prosciugare il Quantum da un posseduto. Fantastico. Poi? Devo trovare anche una cura a tutti i mali nel mondo?»
«Se puoi.» commentò Ladybug, inspirando profondamente e annuendo: «Ok. Mettiamola alle strette per ora: Peacock, se puoi vedere una soluzione sarebbe fantastico; Hawkmoth tu pensa a proteggerlo» ordinò, osservando i due annuire e arretrare di qualche passo: «Bee, sfere di energia a volontà e Volpina vediamo fin dove possiamo spingerla con il tuo fuoco fatuo.»
«Ok, LB.»
«Jian, Chat: il corpo a corpo è vostro.»
«Spada contro arco. Chi vincerà?» domandò divertito il felino, ridendo: «Ci pensiamo noi, my lady.»
«Coeur Noir, tu…» Ladybug si voltò, osservando il gigante di ghiaccio fuori dal palazzo e sorridendo: «Usa Marshmallow per portare fuori tutti quanti e, Tortoise, puoi aiutarla?»
«Certamente, Ladybug.»
La coccinella sorrise, osservando tutti assumere il ruolo che avevano avuto: Chat sfoderò il suo bastone e, dopo aver avuto un cenno di assenso da parte di Jian, corse verso la donna, evitando la freccia che gli scagliò; Bee la colpì con una sfera di energia, facendo deviare il secondo dardo lontano da Jian e Volpina, invocando il proprio potere, creò un cerchio di fiamme attorno ai piedi della nemica.
Jian e Chat Noir affondarono le proprie armi nello stesso momento, ma l’altra bloccò entrambi i colpi con l’arco, iniziando a duellare ed evitare gli assalti dei due e le sfere di energie di Bee.
Ladybug si voltò, osservando Hawkmoth in posizione di difesa davanti a Peacock e, quest’ultimo aprire le palpebre, scuotendo il capo: «Qualcosa riguardo ai Miraculous…» dichiarò, sospirando: «Ma non ho capito cosa.»
«Fantastico.» sbuffò la ragazza, prendendosi il setto nasale e voltandosi, notando Felix vicino a Coeur Noir e André Bourgeois uscire dal palazzo: «E se provassi con il Lucky Charm?» domandò, guardando Peacock e vedendolo annuire.
Ladybug inspirò, prendendo lo yo-yo e lanciandolo verso l’alto, osservando la magia del Miraculous entrare in azione e far apparire il Lucky Charm, che cadde fra le sue mani: «Un paio di occhiali?» domandò l’eroina, prendendoli per una stanghetta e fissandoli interessata.
Era una montatura che lasciava le lenti completamente libere e queste avevano la forma lievemente quadrata.
«Forse è miope?» buttò lì Peacock, osservando anche lui il Lucky Charm.
«My lady! Sta venendo verso di te!»  esclamò Chat, facendo voltare Ladybug in direzione della donna che, saltando fuori dal cerchio di fiamme, era atterrata vicino a lei e fissava con mal celato odio il Lucky Charm.
«Quello...» mormorò, passandosi la lingua sulle labbra e fissando ansante la ragazza davanti a lei: «Dammelo! E’ mio!»
«Io…»
«Dammelo!» tuonò la donna, abbandonando la propria arma e portandosi le mani alla testa, urlando di dolore: «E’ mio! Mio!»
«Che faccio?» domandò Ladybug, voltandosi verso gli altri e vedendoli tutti fermi, mentre fissavano la donna: «Che faccio?»
La nemica poggiò i palmi per terra, respirando pesantemente e un cerchio nero si materializzò sotto di lei, iniziando a inglobare la donna: «No!» esclamò Jian, lanciandosi in avanti e osservando la nemica venire completamente inglobata: «No!»
«Jian» Peacock balzò in avanti, impedendo alla neo-compagna di venir presa a sua volta e, solo quando la nemica fu completamente sparita, la lasciò andare: «Che pensavi di fare?»
«Dì Ren l’ha riportata a sé.»
«Sì, lo sospettavo» sbottò il pavone, passandosi una mano fra i capelli e sospirando: «Questo però non significa che puoi buttarti a capofitto anche tu. Sai cosa ti avrebbe aspettato? No. E Mogui si sarebbe preoccupato, noi ci saremmo preoccupati» dichiarò l’eroe, fissandola male: «Pensa prima di agire.»
«Io…»
«Quella donna ha reagito al Lucky Charm» mormorò Ladybug, guardando gli occhiali che aveva in mano: «Perdonatemi, speravo di poter fare qualcosa di più…»
«Tranquilla, LB. Siamo una squadra, no?» dichiarò Volpina, sorridendole e portandosi una mano all’orecchio, azionando l’auricolare: «E ciò significa che qualcuno dovrà studiare un modo per farci combattere contro quella donna, in modo da liberarla per sempre dalla presa del cattivone. Giusto, Mogui?»
«Giustissimo, Volpina. Tanto non ho niente da fare: non ho nessunissima lezione da seguire, ricerca sul Quantum da fare…» l’americano si fermò, sospirando: «Niente di niente.»
«Non vi sembrava che si comportasse come Mogui?» buttò lì Bee, osservando interessata anche lei l’oggetto fra le mani di Ladybug: «Mogui non poteva vedere il suo riflesso e quella tipa sembrava volersi sbarazzare di quegli occhiali. Magari sono un collegamento con la sua identità? Che, faccio notare, non sappiamo.»
«Oh. Fantastico. Un altro nemico con problemi gestionali» sbuffò Peacock, indicando Bee: «Però hai detto bene, magari è collegato a qualcosa nella sua vita reale e se noi…»
«E se voi non vi muovete, a breve mostrerete a tutti la vostra vera identità» s’intromise Felix, fissandoli: «A parte Tortoise i vostri Miraculous stanno facendo il conto alla rovescia. E fra le altre cose, la tipa ha detto di chiamarsi Yi.»
«Com’è che non mi meraviglio che tu sappia il suo nome?»
«Sinceramente, Coeur, non ho potuto approfondire più tanto la conoscenza, perché siete arrivati voi» dichiarò Felix, voltandosi verso di lei e facendole l’occhiolino: «Inoltre preferisco il look total black, devo dire.»
Coeur Noir gli fece una smorfia in cambio, mentre Ladybug lanciò per aria il Lucky Charm e tutto ritornava al proprio posto, sotto l’influsso della magia della creazione: «Il nemico ha fatto la prima mossa e ci ha trovato impreparati…» mormorò, fissando il resto del gruppo: «Ma non succederà una seconda volta. Non lo permetteremo.»

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.395 (Fidipù)
NoteEbbene sì, oggi vi romperò un po' con le note ma devo parlarvi un po' di Yi e dei Quattro Generali che, finalmente, entrano in scena! Ma partiamo e immergiamoci nella mitologia cinese, partendo proprio dai Quattro generali, che devono i loro nomi alle Quattro bestie demoniache, presenti nello Shan Hai Jing o o Libro dei monti e dei mari, che è una descrizione geografica e culturale - in gran parte favolistica e mitologica - della Cina di epoca pre-Qin, risalente ad oltre 2000 anni fa. Il libro, lungo circa 31.000 parole, è diviso in diciotto sezioni e descrive più di 550 montagne e 300 corsi d'acqua. Le quattro bestie demoniache sono contrapposte alle Quattro bestie sacre (note anche con i nomi di Suzaku, Seiryu, Byakko e Genbu).
Per quanto riguarda Yi, anche qui andiamo a toccare la mitologia cinese, con la figura di Houyi (o Yi): un personaggio mitologico cinese. Talvolta viene rappresentato come il dio dell'arco, sceso dal paradiso fin sulla terra per aiutare il genere umano; altre volte è invece rappresentato come il capo della tribù Youqiong; sua moglie di Houyi si chiama Chang'e e, in alcune versioni della mitologia, è la dea della luna. E non vi sto a narrare tutte le sue imprese, per questo vi rimando alla pagina di Wikia dove ho preso le informazioni.
Detto tutto ciò non ho davvero altro da dire. Credo. Mi sembra.
Sì, ok. Non ho nient'altro da dire e, prima dei ringraziamenti, vi rimando ai prossimi appuntamenti: domani ci sarà un nuovo capitolo di Scene, mentre per la prossima settimana oltre ai consueti aggiornamenti di Miraculous Heroes, mercoledì ci sarà il nuovo capitolo de La sirena.
Come sempre voglio ringraziarvi tutti quanti: grazie a tutti voi che leggete (se avete voglia, lasciate un commento, prometto che vi risponderò!), che commentate, che inserite le mie storie nelle vostre e me fra gli autori preferiti.
Grazie a tutti voi!


Yi entrò nella sala, il passo deciso e il mento alzato, osservò le persone riunite senza degnarli di un secondo sguardo: «La nostra regina è tornata.» dichiarò una voce femminile, facendo voltare Yi verso l’unica altra donna della stanza: «A mani vuote.»
«Hundun…» mormorò Yi, osservando il generale dalla lunga veste bianca e dalla maschera dello stesso colore, che le copriva la parte superiore del viso: «Vuoi forse dirmi qualcosa?»
«Assolutamente niente, mia signora.» dichiarò l’altra, chinandosi e storcendo le labbra dipinte di rosso in un sorriso divertito: «Semplicemente stavo costatando la realtà: dovevate prendere i Miraculous o sbaglio?»
«Il nostro signore non le aveva dato quel compito» commentò una voce maschile, facendo voltare le due verso l’alto e osservare il giovane dalle vesti rosse, comodamente seduto sulla balaustra della balconata del piano superiore e con le gambe, fasciate da un paio di pantaloni candidi, accavallate: «Dovresti portare un po’ di rispetto, Hundun.»
«Anche tu, Taowu. Alle persone più anziane.»
«Quindi sei vecchia?» commentò Taowu da dietro la maschera cremisi, ridacchiando divertito: «E dire che ti atteggi…»
Hundun storse le labbra, stringendo i pugni e voltandosi verso gli altri due uomini nella stanza: «Non gli dite niente?» domandò, osservando i due guerrieri in armatura, una verde e l’altra nera, indicando il giovane al piano superiore: «Voi…»
«Se non sai farti rispettare, Hundrun, non è colpa nostra.»
Hundun rimase in un disdegnoso silenzio, voltandosi e uscendo velocemente dalla stanza, sotto lo sguardo impassibile di Yi e quello divertito degli altri tre generali: c’era una rivalità fra i quattro, tutti vogliosi di mostrarsi degni davanti al loro signore e pronti a tradire i compagni se ciò gli avesse portato vantaggio.
Yi li ignorò, continuando la sua marcia e aprendo la porta della stanza attigua alla sala, osservando l’uomo fermo la grande finestra: «Vi ho deluso.» mormorò, inginocchiandosi davanti a lui e fissando il pavimento: «Io…»
«Sono stato uno sciocco» commentò Dì Ren, voltandosi verso la scacchiera e fissando le pedine: «Non ho pensato al potere dei Miraculous, a ciò che possono fare, e ti ho quasi persa per questo.»
«Mio signore…»
Dì Ren la zittì con un cenno della mano, carezzando con l’altra il monile che teneva al collo: «Una mossa imprevista che rende il gioco più interessante. Non credi, mia diletta?»
«Posso batterli.»
«No, non posso correre il rischio di mandare nuovamente te.» dichiarò Dì Ren, sorridendo alla scacchiera: «Kang ha i suoi pedoni, io creerò i miei, dunque.»
«Pensate sia la mossa giusta?»
«Mia diletta, non si può vincere solo con i pezzi forti» dichiarò l’uomo, prendendo alcuni pedoni neri e sorridendo: «Alle volte abbiamo bisogno di pedine da sacrificare…»
«Certamente, mio signore»
Dì Ren sorrise, avvicinandosi alla donna e carezzandole le guance: «Non permetterò che ti portino via da me» dichiarò deciso, osservandola per un attimo e poi voltandosi, dandole le spalle: «Va ora. Se manchi troppo, potrebbero sospettare di qualcosa.»
«Sì, mio signore.»


Fu sospirò, mentre seguiva la donna avanti a lui: «Perché mi hai portato con te?» domandò, mentre entrambi si fermavano davanti a una porta: «Seriamente, Bridgette…»
«Willhelmina» ringhiò la donna, fissando male il cinese e suonando il campanello dell’appartamento: «Ti ho portato con me perché non voglio commettere stupidate.»
«Del tipo?»
«Lo sai.»
«Bridgette…» mormorò Fu, fermandosi quando vide la porta della casa spalancarsi e Felix fare la sua comparsa: «Buonasera, Felix.»
«Oh. Siete venuti a prendervelo?»
«Chi?»
«Alex» dichiarò il biondo, facendosi da parte e lasciandoli entrare: «Bri, sei uno splendore anche oggi. Devo dire che da Coeur Noir fai la tua porca fig…»
«Finisci quella frase e mi faccio akumatizzare da Thomas, solo per vederti schiacciato da Marshmallow.»
«Marshmallow sarebbe…?»
«Il bestione di ghiaccio» sbuffò Fu, alzando gli occhi al cielo: «Qualcuno qui si è un po’ fissata con Frozen.»
«E’ un bel film ed Elsa un bel personaggio» dichiarò spiccia la donna, guardandosi attorno e poi dirigendosi verso le voci che sentiva nella casa: entrò in quella che doveva essere la sala e osservò Xiang e Thomas allenarsi al centro mentre Alex, comodamente seduto su un divano, stava armeggiando con il proprio cellulare con Nooroo appollaiato sulla spalla.
«Ehilà, babbiona del mio cuore!» esclamò l’americano, non appena l’ebbe notata, mettendo fine al combattimento in corso: Xiang bloccò il calcio di Thomas, costringendolo a stare in equilibrio su una gamba sola, e si voltò verso di lei con il sorriso sulle labbra.
«Non è un po’ tardi per te, Thomas?»
«Il bello di essere un supereroe!» dichiarò il ragazzino, mentre la ragazza gli lasciava andare la caviglia e lui poteva tornare a una posizione più stabile: «Mi trasformo e mi fiondo a casa in un lampo.»
«Immagino che siete venuti qua a parlare della panterona» decretò Alex, alzandosi in piedi e facendo vagare lo sguardo da Bridgette ai due uomini dietro di lei.
«Adesso facciamo le riunioni a casa mia?» sentenziò Felix, poggiandosi contro lo stipite e incrociando le braccia muscolose: «Dovrei farvi pagare l’affitto, sapete?»
«Beh, è più grande qui» dichiarò Alex, sogghignando: «Perché no? Potrei mettere da qualche parte la mia postazione e liberare il soggiorno del maestro.»
«Sarebbe una bella cosa, sì» bofonchiò Fu, fissando il ragazzo e sorridendo: «Mi piacerebbe riappropriarmi di casa mia.»
«Però sarebbe scomodo perché dovrei correre qui ogni volta» dichiarò l’americano, sbuffando: «Questa cosa ha pro e contro.»
«Come ogni cosa al mondo» dichiarò Felix, sorridendo e voltandosi verso Fu e Bridgette: «Vi offro qualcosa?»
«Non hai nient’altro da dire?»
«Mh. E’ una domanda trabocchetto?» domandò il biondo, studiandola: «Non mi pare che hai cambiato taglio – ah, per la cronaca, ti preferivo mora – e, fattelo dire, Bri: questa gonna ti fa un sed…»
«Il nemico, Felix!»
«Il nemico? Non era il mio tipo: metteva troppo in mostra le sue argomentazioni e…»
«Thomas! Akuma!»
«Cosa?»
«Mi akumatizzi, io creo Marshmallow e lo uccido, per davvero stavolta, mettendo così fine alla sofferenza che la sua vita da a questo pianeta.»
«Mi ferisci così, Bri» sospirò Felix, portandosi una mano al cuore e sorridendole: «Comunque ho poco da dire: stavo facendo un’intervista doppia con Bourgeois, quando questa è apparsa e ha tenuto tutti in ostaggio, poi ha dichiarato di essere lì per conto del suo signore ed è allora che siete arrivati voi. Ah, ha detto di chiamarsi Yi.»
«Yi? E’ uno scherzo?» sbottò Fu, fissando l’altro uomo: «Dimmi che stai scherzando.»
«Sì, anche io ho trovato grottesca la cosa.»
«Mi volete spiegare?» domandò Bridgette, fissando i due: «Che cosa…»
«Houyi, o anche solo Yi, è una figura della mitologia cinese» spiegò Felix, socchiudendo gli occhi: «Una figura benevola, che ha aiutato il genere umano e ha compiuto molte imprese. Inoltre, era un arciere…»
«Come quella donna.»
«Yi è famoso per il suo arco rosso» spiegò Felix, sospirando: «E direi che lo spirito umoristico del nostro caro Dì Ren, stavolta, ha raggiunto il suo picco massimo, dato che ha donato quel nome a una sua emissaria.»
«Io sto cercando di capire come fare a liberare chiunque ci sia sotto la maschera di Yi» spiegò Alex, sospirando: «Purtroppo Peacock non ha avuto una visione decente e ha detto che l’unica parola che sentiva era ‘Miraculous’ e non ha visto niente. Solo buio totale.»
«E il Lucky Charm?»
«Forse è un oggetto collegato alla sua vita reale» buttò lì Alex, scuotendo il capo: «Forse, come successe a me quando ero Mogui, reagisce a qualcosa che la porterebbe a tornare a essere sé stessa. O forse odia la sua vera sé. Non so dirlo, Willie.»
«Siamo senza niente in mano, quindi.»
«Dì Ren non manderà di nuovo lei» sentenziò Xiang, intromettendosi nel discorso: «Si è accorto che possiamo fare qualcosa e non rischierà di nuovo.»
«E cosa manderà? Le ombre assassine?»
«No» mormorò la cinese, portandosi una mano alla bocca: «Le ombre lo consumano troppo, poiché deve crearle e dare loro una volontà: le userà solo in caso di estremo pericolo.»
«E allora…»
«Ha il catalizzatore, no?» mormorò Fu, socchiudendo gli occhi: «Può usare il Quantum come più l’aggrada.»
«Maestro, sta dicendo che potrebbe usarlo per i suoi fini?»
«Ti sembra il tipo che si tira indietro, Alex?»
«No, direi di no» bofonchiò l’americano, lasciandosi andare sul divano e prendendosi la testa fra le mani: «Almeno sapessimo la sua identità, il suo scopo: Papillon voleva i Miraculous, Willie voleva i Miraculous, Maus voleva i Miraculous e questo…»
«Alex! Sei un genio!» esclamò Bridgette, battendo le mani: «Ma certo! Dì Ren ha il catalizzatore ma i Miraculous sono gioielli impregnati di Quantum, che non esauriscono mai la loro energia…»
«Quindi dice che vuole i Miraculous?» domandò Felix, annuendo: «Se ottiene i Miraculous, uniti al catalizzatore, avrà il potere nelle sue mani e si parla di un potere paragonabile a quello di un Dio.»
«E cosa fa un tipo che ha il potere nelle mani? Ovviamente, vorrà dominare il mondo»
«Io l’avevo detto che dovevo riportare i Miraculous a Shangri-la.»
«Xiang, non ricominciare.»
«Bene, sappiamo cosa vuole.» sentenziò Alex, sorridendo: «E non ci serve a niente! Ok, il tipo vuole i Miraculous. Sai che novità! Li vogliono tutti i Miraculous, a breve anche mio nonno vorrà i Miraculous perché gli curano il mal di schiena!»
«Alex, calmo» sospirò Bridgette, posandogli le mani sulle spalle e sorridendogli: «Ricorda, in cosa sono bravissimi Ladybug e Chat Noir?»
«A evitare che i loro Miraculous cadano in mano sbagliata?»
«Esattamente. E anche gli altri sono fenomenali in questo. Ora ci serve che il nostro hacker di fiducia non perda il suo sangue freddo e continui a sorvegliare Parigi, in attesa del prossimo attacco. Ok?»
«Ok.»
«Bravo il mio ragazzo.»
«E se posso vorrei anche partecipare sul campo» dichiarò Alex, facendole l’occhiolino: «Sento un po’ la mancanza del caro vecchio Mogui. Sai, figo se Mogui e Yi s’incontrano? Uno che sbraita per gli specchi e l’altra per gli occhiali.»


Sarah sospirò, sciogliendosi i capelli e poggiando poi la fronte contro le ginocchia: «Dovrebbero vietare lo studio, soprattutto dopo le battaglie con i cattivi» bofonchiò, mentre una mano le carezzava il capo con fare rincuorante: «Non ce la faccio a concentrarmi»
«Siamo in due» sentenziò Rafael, facendole alzare il viso: «E’ tre volte che rileggo questo articolo.»
La ragazza sorrise, mettendo da parte i propri libri e, fatto lo stesso con quelli di lui, gli si accomodò in grembo: «Ti ho preso i cereali» dichiarò Rafael, socchiudendo gli occhi quando sentì le dita di lei massaggiargli le tempie: «E il miele per Mikko, stava finendo.»
«Grazie»
«E ribadisco l’idea che ho avuto.» Il massaggio alle tempie si fermò e Rafael aprì le palpebre, osservando lo sguardo nocciola che era fisso su di lui: «Sarah, io…»
«Fino a un anno fa non sapevo nemmeno chi eri» mormorò l’americana, puntando lo sguardo nel nulla: «Poi arrivo a Parigi e, prima incontro questo tizio con un Miraculous, che mi chiama apetta e poi un ragazzo che mi consiglia cosa prendere in mensa…» si fermò, riportando l’attenzione su di lui e sorridendogli: «Sei diventato il mio mondo ed ho paura, perché ho già perso una persona così e, sinceramente, non è un dolore che voglio rivivere. E forse pensavo che…»
«Se viviamo separati o insieme, non è che cambia quello che proviamo l’uno per l’altra»
«No. E’ vero.» assentì la bionda, sorridendo appena: «Però…»
«Sarah, vieni a vivere qui con me.» dichiarò Rafael, posandole le mani sui fianchi e stringendola lievemente: «Parlerò con tua madre, farò qualsiasi cosa: ti prometto anche di non prendere mai più la metrò ma, ti prego, abbi pietà di me.»
«Ti serve qualcuno da abbracciare la notte?»
«Sì. E qualcuno che mi aiuti a sopportare Flaffy quando va in astinenza da cioccolato.»
«Io non vado in astinenza da cioccolato» sbuffò il kwami, lasciando la barretta che stava mangiando e fissando male il proprio portatore: «Ed io che dovrei dire? Con te che giri nudo per casa?»
«Una volta sola. E mi sono infilato subito i pantaloni.»
«Una volta basta e avanza.»
Sarah ridacchiò, osservando la propria kwami: «Mikko?»
«La connessione di Rafael è il paradiso per una dramista! Io sono a favore.»
«Kwami venduta.»
«Io l’avevo detto che avevo una connessione migliore della tua, apetta»
Sarah annuì, poggiandosi contro il petto del ragazzo: «Dovrò spostare qua tutta la mia roba…» mormorò, imbronciandosi: «E tante altre cose.»
«Il gattaccio è in debito per un trasloco e Wei ci aiuterà sicuramente. Wei è un santo.» le bisbigliò Rafael, contro i capelli: «Verrai a vivere con me, allora?»
«Se proprio devo…»
«Un po’ più di allegria sarebbe carino, sai?»
«Uah! Verrò a vivere con te! Che bello! Che bello! Che bello!»
«Ora è troppo.»
«Deciditi, pavone.»
«Pavone?»
«Tu mi chiami apetta, io posso chiamarti pavone. Anzi no, pavoncello.»
«Noi due dovremmo fare un discorso sui nomignoli, sai?»
«Piumino è il modo in cui ti chiama Lila, pennuto è quello in cui ti chiama Adrien…»
«Ma andare su qualcosa di classico?»
«Tipo honey?» Sarah si issò, fissandolo in volto e storcendo il naso: «Era più carino pavonc…»
«Honey va benissimo!»


«Mi raccomando, va subito a casa» dichiarò Alex, osservando il giovane supereroe che, annuendo velocemente con la testa, balzò all’indietro e atterrò sul tetto della villetta vicina: «E non fermarti ad akumatizzare nessuno!»
«D’accordo!»
L’americano rimase in silenzio, osservando il ragazzino correre lungo la cima dell’edificio e poi balzare, scomparendo dalla visuale: «Va tutto bene?» domandò Xiang, affiancandolo e guardandolo: «Sembri…»
«Fino a pochi anni fa, prima che a Sarah venisse dato il Miraculous, tutto il mio mondo era tranquillo» mormorò Alex, abbozzando un sorriso e sospirando: «L’unica cosa che mi interessava era riuscire a evitare mio padre il più possibile, fare il miglior punteggio nei miei videogiochi preferiti…» si fermò, alzando la testa verso il cielo, che stava imbrunendo, lasciando andare un sospiro: «Mentre adesso sono qui e cerco di comprendere e fermare i piani malvagi di non so chi, mentre i miei amici rischiano sempre in prima linea…»
«Fai già tanto, Alex»
«Forse non abbastanza, però. Insomma se io…»
«Cosa speri di ottenere? L’identità di una persona che usa terzi per parlare e non si mostrerà mai?»
«Vorrei solo…»
«Senza di te, molto di quello che fanno i Portatori non ci sarebbe: permetti loro di essere sul campo velocemente e li aiuti sempre, con tutto ciò che hai a tua disposizione.»
«Forse…»
«Forse dovresti riconoscerti i meriti che ti spettano, Alex.»
«Io non credo…»
«Io credo che tu sia un punto fermo in questo gruppo» dichiarò Xiang, allungando le mani e prendendogli il volto, in modo che la potesse guardare negli occhi: «Ho vissuto tanto e ho visto intere civiltà scomparire, ho visto la mia famiglia svanire nel tempo, e quindi posso affermare con certezza tutto che ti ho detto.»
L’americano la fissò, annuendo poi con la testa e lasciando andare un lungo sospiro: «Grazie, Xiang.»
«Non farti abbattere, ok? Tu sei…»
«Io sono…»
«Incredibilmente attivo ed energico, ecco» dichiarò la ragazza, abbassando le mani e voltandosi di lato, sentendo il volto diventarle improvvisamente caldo: «Io rientro. Felix si starà domandando dove sono finita…»
«Con Willie in casa? Ne dubito.»
«Vado a vedere se è ancora vivo.»



«Grazie, Willhelmina» mormorò Marinette, chiudendo la chiamata e osservando gli altri: Adrien e Lila avevano entrambi lo sguardo rivolto verso il cellulare e, la mora era convinta, stavano riflettendo sulle conclusioni che Willhelmina aveva appena finito di esporre.
«Che dire…» mormorò l’italiana, incrociando le braccia e scuotendo la testa: «Questi cattivi sono veramente originali. Mai una volta che vogliano avere…che so…Alex!»
«Ce lo spedirebbero indietro dopo poco» dichiarò Adrien, sospirando: «Però sono d’accordo con quello che ha detto Willie: Dì Ren vuole i Miraculous e con quelli avrà il potere assoluto. Fantastico, quando mai finirà questa storia?»
«Mai» sospirò Lila, incrociando le braccia sul tavolo e poggiando il mento su di esse: «Bei vecchi tempi, quando tuo padre mi akumatizzava ed io vi tormentavo.»
«Ti ricordi la prima volta che sei stata Volpina?»
«Vi prego non ricordatemelo.» sospirò Adrien, gettando la testa all’indietro: «Trasformati in Chat, ritorna Adrien, trasformati in Chat di nuovo e cerca di far capire a qualcuno che Adrien non era in pericolo.»
«Entra nell’anello. Esci dall’anello. Entra nell’anello. Che giornata stressante è stata quella» sospirò Plagg, scuotendo il capo: «Non la dimenticherò mai.»
«A mia discolpa, posso dire che non sapevo che tu eri Adrien e quindi…» mormorò Marinette, guardandolo male: «Beh, avevo visto lei fuggire con te. Dovevo salvarti.»
«Ma se uno ti dice che va tutto bene…»
«Ogni volta che tu dicevi che tutto andava bene, in verità non andava bene.»
«Però Marinette si è quasi tolta gli orecchini per salvarti quella volta, cioè per salvare la tua illusione.»
«La mia meravigliosa lady» dichiarò Adrien, allungandosi e carezzando la testa della moglie: «Così preoccupata per me che è poi venuta a controllarmi.»
«E tanto per cambiare stavi facendo la doccia.»
«Ero trasformato e l’unico modo per non farti entrare in bagno era quello.»
«Le famose docce da modello…» dichiarò Lila, ridacchiando: «Quante volte le avrai usate come scusa?»
«Tante.» sbottò il biondo, sospirando: «Nino mi ha anche chiesto se avevo un disturbo ossessivo-compulsivo, visto che dovevo lavarmi ogni volta.»
Lila ridacchiò, sorridendo ai due: «Sembra di parlare di qualcosa di lontanissimo, vero?» domandò, tirandosi su: «Voi due vi giravate intorno ed io mi divertivo a infastidirvi ogni volta…»
«Ogni volta che provavo a rimanere da solo con lei, ti facevi trovare in mezzo.»
«Perché volevi rimanere da solo con me?»
«Perché all’epoca mi piacevano Marinette e Ladybug? Te l’ho detto che per molto sono stato indeciso, non sapevo chi delle due scegliere…»
«E quando si accorse che eravate la stessa persona, penso abbia ringraziato qualsiasi divinità esistente.» dichiarò Plagg, volando sulla testa del biondo: «Era divertente vederlo cercare indizi e prove, poi per fortuna una volta ti salvò come Chat e vide di sfuggita Tikki, iniziando a fare due più due.»
«Certo, sarebbe stato tutto più semplice se qualcuno» Adrien alzò il tono della voce e fissò male il proprio kwami: «Mi avesse detto che avvertiva Tikki.»
«E togliermi tutto il divertimento?»
«Plagg…»
«Andiamo, Tikki. Era divertente vederlo mentre si disperava per il suo amore.»
Lila e Marinette ridacchiarono, scambiandosi un’occhiata: «Io vi scoprì perché vi pedinavo» dichiarò l’italiana, tirando su le gambe e poggiando il mento sulle ginocchia: «E allora sì, che fu divertente rompe le scatole al micetto.»
«Ti odio, Lila.»
«Non l’hai mai detto a nessuno.» mormorò Marinette, inclinando la testa e osservando l’amica: «Neanche a Papillon.»
«Forse ero già entrata nel mio periodo ribelle…»
«Non c’erano più gli akumatizzati di una volta» sospirò Adrien, alzando gli occhi al cielo: «Mi chiedo che avrebbe fatto mio padre se tu gli avessi detto che ero io Chat Noir…»
«Ti avrebbe preso l’anello nel sonno?»
«Probabile» sentenziò il biondo, sospirando e scuotendo il capo: «Domande a cui non avremo mai una risposta.»
Lila sorrise, osservando il proprio cellulare e notando l’ora: «Beh, sposini novelli, io devo andare. Wei fra poco smette di lavorare.»
«Fallo venire qui.» propose Adrien, allargando le braccia: «Chiamiamo anche Pennuto e Sarah?»
«Oggi è il giorno in cui chiama i suoi in Cina.»
«Oh.»
«Quindi vado, così i fratelli di Wei mi prenderanno in giro per il mio pessimo cinese.»
«Oh, la nostra volpetta innamorata.»
«Muori, gattaccio.» sentenziò Lila, alzandosi in piedi e fissando il proprio kwami: «Vooxi, trasformarmi!» dichiarò ad alta voce e l’energia del Quantum l’avvolse, dandole l’aspetto di Volpina: «Tu, piuttosto, vacci piano con il nostro boss.»
«Tranquilla, volpe»
«Marinette, se sfrutta troppo la scusa del dovere coniugale, chiamami. Ci penso io a sistemarlo con le mie illusioni.»
«Certamente!»
«Come certamente? Marinette!»
«Andiamo, gattaccio. Mi sembra che quando sono tornata a Parigi, hai gradito parecchio baciare il nulla…» Volpina ridacchiò, avvicinandosi alle porte a vetri e sorridendo: «Ci vediamo, sposini.» dichiarò, balzando fuori e perdendosi nella notte parigina.
Marinette si alzò, andando a richiudere la porta e si voltò poi verso Adrien, sorridendogli: «Non la chiamerei mai, lo sai.» dichiarò, raggiungendolo al tavolo e abbracciandolo da dietro: «Un altro che vuole i Miraculous…»
«Siamo bravi a fermare questo genere di cose, my lady» mormorò Adrien, poggiando la testa all’indietro e posando una mano su quelle della ragazza: «Lo faremo anche stavolta.»
«Sì…»
«Nathaniel?»
«Tutto regolare.»
«Forse mi sbagliavo e forse Xiang ha una fissa per i rossi…» buttò lì Adrien, sciogliendo l’abbraccio e alzandosi in piedi: «In quel caso, dovrei consigliare ad Alex una bella tinta.»
«Adrien!»
«Non tiferò mai Testa di pomodoro. Mai!»

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.915 (Fidipù)
NoteEd eccoci qua con un nuovo aggiornamento di Miraculous Heroes 3: bene, bene. In questo capitolo facciamo la conoscenza di un altro dei Generali di Dì Ren, ovvero di Taowu e vedremo come il caro possessore del Catalizzatore di Routo ha intenzione di arginare la situazione ed evitare che i nostri baldi eroi gli portino via tutti i sottoposti. Bene, bene. Che altro posso dire? Non so se ho già citato la scuola che frequenta Thomas, ma si tratta del Collége de Navarre e non mi sembra ci sia altro da dire...credo.
Come sempre vi do gli appuntamenti di questa settimana (giusto per allungare un po' il brodo in queste note striminzite): mercoledì ci sarà un nuovo capitolo de La sirena, venerdì il consueto aggiornamento con Miraculous Heroes 3 e sabato un nuovo capitolo di Lemonish. E poi muoio.
Scherzi a parte, come sempre vi ringrazio tantissimo, per il supporto e l'affetto che mi date sempre: un grazie a tutti voi che leggete, commentate, inserite le mie storie nelle vostre liste e me fra gli autori preferiti, mi supportate su facebook e...
Beh, ci vediamo al prossimo aggiornamento!



Adrien si sistemò il maglione, voltandosi verso il letto e osservando la ragazza che dormiva profondamente: sorrise, avvicinandosi e sdraiandosi al suo posto, allungò le dita e carezzò il dorso della mano posata sul cuscino, indugiando sulla fede all’anulare.
Sua moglie.
Marinette era diventata sua moglie.
Aveva fantasticato tante volte, ma nessun sogno a occhi aperti raggiungeva la perfezione della realtà o l’emozione che appellare in quel modo, la ragazza che dormiva, gli provocava: sentiva il cuore battere più velocemente nel petto e un qualcosa crescere dentro di lui.
Orgoglio? Forse.
Possesso? Senza ombra di dubbio, era un tipo decisamente possessivo.
Felicità? Sicuramente sì.
Non sapeva dare una definizione a ciò che sentiva, ma era forte e potente dentro di lui.
Marinette borbottò qualcosa nel sonno, voltandosi nella sua direzione e Adrien rimase a fissarla, spostando la mano e portandole indietro una ciocca di capelli: «Abbi pietà di me…» mormorò la ragazza senza aprire gli occhi e facendolo ridere: «Voglio dormire.»
«Ed io che pensavo di svegliare la mia bella addormentata con un bacio.»
«Cambia fiaba.»
Adrien ridacchiò, avvicinando il viso a quello della mora e posandole le labbra sulla tempia: «Mi piacerebbe assecondare i tuoi bisogni di coccinella pervertita e depravata…» si tirò su, in tempo per vedere le palpebre aprirsi e le iridi azzurre fissarlo indispettite: «Ma sono in ritardo.»
«E’ già ora di alzarsi?» domandò Marinette, tirandosi su e fissarlo, massaggiandosi le braccia per il freddo e guardandosi attorno alla ricerca di qualcosa.
Adrien recuperò la felpa candida, che di solito la ragazza indossava appena alzata, e gliela porse: «Ti ho mai detto che adoro questa tua camicetta da notte?» domandò, facendo il giro del letto e aiutandola ad alzarsi: «La trovo semplicemente adorabile.»
«Sì. Ogni volta che la indosso» dichiarò la mora, sorridendogli mentre Adrien le tirava su il cappuccio: «Penso di averlo capito alla quarta volta, però fa sempre piacere sentirtelo dire.»
«Ottimo. Non avevo in mente di smettere» dichiarò Adrien, prendendo i lembi della felpa e tirando la ragazza verso di sé, dandole poi un bacio a stampo sulla bocca: «Sul tavolo ci sono le brioches di tuo padre. E i biscotti per Tikki.»
«E’ passato anche oggi?»
«Approfittiamone finché possiamo, my lady» dichiarò il biondo, posandole la testa contro la spalla e baciandole il collo: «Non voglio andare…»
«Non andare» mormorò Marinette, passandogli le braccia attorno alle spalle: «Rimani con me.»
«Mi stai mettendo a dura prova, mon coeur» sospirò Adrien, ricambiando l’abbraccio e cullando la ragazza: «Ma se non vado mio padre mi uccide, stavolta lo fa sul serio.»
«Ma non avevi un servizio per 93 Style oggi?»
«Sì, con Rafael. Dove indosseremo abiti della marca Agreste e daremo alle fans nuove foto da attaccare nelle loro stanze, un po’ come faceva una certa coccinellina di mia conoscenza…»
«Adesso sì, che non voglio che tu vada a fare questo servizio.»
«Perché sai i pensieri perversi che potrebbero avere?»
«Forse.»
«Forse…» Adrien sospirò, intrecciando le mani dietro la schiena di Marinette: «Stiamo facendo progressi» dichiarò, dandole un nuovo bacio e allontanandosi da lei: «Vado adesso.»
«Ok.»
«Ci vediamo oggi pomeriggio al meeting indetto da Lila?»
«Tutti allo Starbucks allegramente.»


Thomas sbadigliò, osservando la professoressa mentre stava segnando qualcosa alla lavagna: sarebbe stato ucciso dalla noia, da un momento all’altro. Ne era certo.
Sbuffò, incrociando le braccia e appoggiandovicisi il viso, sentendo Jérèmie ridacchiare al suo fianco: «Manca poco alla fine dell’ora» lo consolò l’amico, segnandosi qualcosa sul tablet e tenendo l’attenzione sulla donna.
Thomas stava per ribattere, quando un rumore assordante lo fece balzare in piedi, assieme a molti altri compagni: senza attendere alcunché il ragazzo si calamitò fuori dalla classe, ignorando l’urlo dell’insegnante e osservando sorpreso ciò che aveva davanti agli occhi: «C’è Golem nella mia scuola?» domandò, osservando il mostro, fatto completamente di roccia, che tanto gli ricordava il pokemon.
Si guardò attorno, scattando verso la zona ove era la palestra e attraversando velocemente la distanza che lo separava, elencando mentalmente le cose da fare: arrivare negli spogliatoi, controllare che non ci fosse nessuno, chiamare gli altri e poi trasformarsi.
Sì, poteva farcela.
Girò l’angolo, continuando a correre e osservando il mostro che, usando la forma sferica del suo corpo, rotolava per tutto il piazzale interno, distruggendo tutto ciò che trovava: i professori stavano cercando di mettere al sicuro la maggior parte degli alunni e Thomas osservò molti suoi compagni guardare pietrificati la creatura.
Sorrise, vedendo davanti a sé la porta dello spogliatoio e aumentò l’andatura, allungando una mano davanti a sé e aprendola, fiondandosi all’interno e addossandosi poi contro di questa; si tastò le tasche della felpa, alla ricerca del cellulare: «Rispondi…» mormorò, una volta composto il numero di Alex e rimase in attesa, finché non sentì l’americano rispondere all’altro capo: «Alex! C’è una creatura di Dìcoso!»
«Thomas? Cosa?»
«Alla mia scuola, è apparsa una creatura di Dìcoso.»
«Dì Ren, Thomas. Dì Ren.»
«Sì, del tipo.»
«Contatto subito gli altri.»
«Ottimo» Thomas chiuse la chiamata, osservando il cellulare e si guardò velocemente attorno: «Nooroo» mormorò, voltandosi verso il kwami violetto: «Trasformami»


«Niente male, vero?» domandò l’uomo, incrociando le braccia e osservando, attraverso l’enorme polla d’acqua che dominava l’androne dell’abitazione, la creatura che stava seminando panico e distruzione nella scuola: «Niente è più forte della pietra. Niente.»
«Non pensi di cantare vittoria troppo facilmente, Taotie?» domandò Hundrun, affiancandolo e battendo un piede per terra: «Anche la nostra signora era convinta di battere quel gruppo di eroi, eppure è tornata con un nulla di fatto.»
Taotie si voltò, fissando la donna da dietro la maschera di metallo, che era parte integrante dell’elmo che indossava, e poi riportando l’attenzione sulla creatura che aveva generato grazie al potere che il suo signore gli aveva concesso; alzò il mento e strinse la presa sul manico della lancia, sorridendo di fronte a ciò che la creatura di pietra stava facendo: «Sarò io a portare i Miraculous al nostro signore.»
«Ah, quanta ingenuità in così poche parole…» sospirò Hundrun, voltandosi e andandosene, accompagnata dal suono della propria risata.
Taotie strinse la presa sulla sua arma, storcendo le labbra: «Ti farò pentire delle tue parole, donna!» tuonò nella stanza ormai vuota.


«Fatemi capire bene…» mormorò Peacock, atterrando su un tetto e scuotendo il capo: «C’è un pokemon? Un maledetto pokemon nella scuola di Hawkmoth.»
«Eh, a quanto pare sì» dichiarò la voce di Alex, seguita da un rumore ritmico: «Occupato!»
«Ma dove accidenti sei?»
«In un bagno» sbottò l’americano: «Hawky mi ha chiamato mentre ero a lezione e ho cercato un posto tranquillo dove mettermi al lavoro. Voglio il mio pc e la mia casa.»
«Veramente sarebbe casa del maestro» dichiarò Chat, ridacchiando: «Quindi ci stai guidando da un cesso. Uao. Siamo caduti proprio in basso.»
«Io sono caduto in basso…» bofonchiò Alex, facendo ridere gli altri due: «Volpina. Bee. Tortoise. Ladybug. Siete vivi?»
«Purtroppo sì» borbottò l’italiana, sospirando pesantemente: «Ascoltavo ciò che il trio di idioti stava dicendo. Noi quattro siamo nei pressi della scuola, comunque.»
«Ottimo, Peacock e Chat stanno arrivando. E anche Xiang è in zona.»


Hawkmoth balzò a terra, osservando il mostro ruggire in direzione di alcuni alunni più giovani: Alex gli aveva detto di aspettare, ma non poteva farlo. Non poteva lasciare i suoi compagni in balia di quel coso.
Mise mano ai due boomerang e li lanciò contro il bestione, attirando su di sé l’attenzione: «Scappate!» urlò, rivolto al gruppetto e sorrise, vedendoli eseguire immediatamente il proprio ordine, mentre lui riagguantava le proprie armi: «Se avessi una pokeball ti catturerei. Sai, mi manchi nel gioco» dichiarò, osservando il mostro girarsi lentamente verso di lui e ricambiare la battuta ruggendo: «Capito. Capito. Non vuoi essere catturato» sospirò il ragazzino, mentre il mostro assunse la forma di una sfera e rotolò nella sua direzione: Hawkmoth attese, balzando a sinistra e osservando il bestione schiantarsi contro l’ennesimo muro.
«Sbagliato mira?» domandò divertito, lanciando nuovamente i boomerang e storcendo le labbra: la sua arma lo colpiva ma non provocava nessun danno.
Sarebbe stato un vero problema affrontarlo.
E più che altro cosa era?
Un akumatizzato come ai tempi di Papillon?
No, quelli li creava lui adesso.
Un guerriero nero come quelli di Coeur Noir?
Di certo non era uno dei soldati di quel pazzo tedesco che aveva tenuto sotto tensione la città per qualche mese…
Che cosa era?
Un singulto femminile lo fece voltare e osservò Manon Chamack uscire dalla palestra, lo sguardo sbarrato e rivolto verso il mostro, anche quest’ultimo la notò e Hawkmoth lo vide riassumere la sua forma sferica e rotolare in direzione della ragazzina.
Scattò, raggiungendo Manon e prendendola per una mano, tirandola via dalla direzione che il bestione aveva preso: non ce l’avrebbero fatta, quel coso si muoveva troppo veloce e lui…
Qualcosa si avvolse attorno ad Hawkmoth e, stringendo forte Manon contro di sé, si sentì tirare via dalla traiettoria del mostro: «State bene?» domandò la voce divertita di Ladybug, mentre Hawkmoth riapriva le palpebre e fissava la compagna: «Sai, Hawk, ci dispiacerebbe perderti subito.»
«Ladybug…» mormorò Manon, osservando l’eroina a pois e il gruppo assieme a lei.
Erano giunti.
In tempo.
Hawkmoth si mise a sedere, guardando i propri compagni e sorridendo: «E’ la tua fidanzatina, Hawky?» domandò Peacock, indicandolo e rimediando una manata sulla spalla da parte di Bee: «Che ho detto? La tiene stretta come se fosse Chat con Ladybug.»
Cosa stava facendo?
Hawkmoth riportò l’attenzione su ciò che il suo corpo stava facendo e, liberata la ragazzina dalla sua stretta, balzò lontano, fissandola con lo sguardo sgranato: «Io…io…»
«Grazie per avermi salvato» mormorò Manon, aprendo la bocca e scuotendo poi la testa, regalandogli un sorriso appena accennato: «Se non fosse stato per te, sarei morta.»
«D-di niente.»
«Mettiti al riparo, Manon» ordinò Ladybug, sorridendo alla giovane e osservandola mentre annuiva, scappando poi via dopo aver osservato Hawkmoth: «Ok. Che cosa è quel coso?»
«Un Golem» dichiarò Chat, baldanzoso: «Ho dovuto pregare in ginocchio un certo dj di nostra conoscenza per farmi scambiare il mio Graveler e avere un signor Golem.»
«Potevi chiedere a me, mon chatton.»
«Oh certo. Immagina la scena: scusa, vorrei scambiare questo pokemon, così mi evolve. Ci stai? Ah…eh…co-co-co..ah…mh…» Chat sorrise, inchinandosi leggermente davanti la ragazza: «Era un po’ difficile parlare con te.»
Ladybug gli fece la linguaccia, voltandosi e osservando il mostro di pietra: «Io però vorrei sapere cosa è? E’ una persona oppure no?»
«Xiang dice che è una creatura di Quantum» la informò Alex: «Aspetta, la metto in linea. Qualcuno ha dimenticato a casa il proprio auricolare…»
«Non tutti sono fissati con queste cose moderne» sbuffò la voce della cinese: «E’ già tanto se mi ricordo di prendere il cellulare.»
«Ciao, Jian» la salutò Chat Noir, posando le mani sui fianchi e sorridendo: «Che bello sentirti mentre litighi con il tuo bello.»
«Con chi?»
«Con me!» trillò allegro Alex: «Il tuo futuro…»
«E’ una creatura fatta di Quantum» dichiarò Xiang, interrompendo l’americano: «Dopo lo scontro con Yi, Dì Ren si deve essere accorto che possiamo…come dire? Liberare le persone possedute e…»
«E quindi ci manda contro dei pokemon?»
«Avrà preso l’ispirazione da lì...»
«Questo Dì Ren inizia a starmi simpatico» sentenziò Chat, stirando le braccia verso l’alto: «Come lo fermiamo?»
«Distruggendolo.»
«Oh. Questo mi piace. So farlo benissimo.»
«Il problema è fermarlo» dichiarò Tortoise, osservando il mostro che, nel cortile interno della scuola, rotolava da un punto all’altro: «Spero non esca altrimenti…»
«Le ultime parole famose» mormorò Bee, osservando il golem creare una seconda apertura vicino l’entrata della scuola e andare a schiantarsi contro l’inferriata del cortile esterno: «Tortoise, non potevi stare zitto?»
«Chiedo scusa.»
«Con quel coso le mie illusioni non funzioneranno» dichiarò Volpina, muovendo stizzita il flauto: «Non so cosa potrebbe fargli il mio fuoco fatuo.»
«I miei boomerang rimbalzano, invece.»
«Quindi lo faranno anche i miei pungiglioni…»
«O i miei ventagli.»
«Tortoise, devi cercare di tenerlo in un limite circoscritto con le tue barriere» sentenziò Ladybug, sorridendo all’amico: «Peacock, il tuo compito è quello di vedere: Jian ha detto di distruggerlo, ma voglio essere sicura prima di far usare a Chat il suo Cataclisma.»
«Ok, boss.»
«Volpina, Bee. Voi dovrete proteggere Peacock» continuò l’eroina in rosso: «Mentre noi dobbiamo attirarlo in una zona dove Tortoise può creare una barriera senza problemi» dichiarò, rivolta a Chat Noir e Hawkmoth, abbassando poi lo sguardo sullo yo-yo che teneva in mano: «Forse il Lucky Charm può esserci di aiuto.»
«Il Lucky Charm ci è sempre stato di aiuto, my lady» dichiarò il felino, guardandosi intorno e illuminandosi alla vista del marciapiede che divideva le due strade davanti la scuola: «Che ne dici, my lady? Torty potrebbe creare lì la sua barriera e noi ce lo spediamo dentro.»
«Ottima idea, mon chatton» dichiarò Ladybug, avvicinandosi e grattando il mento al biondo, che alzò il capo per godersi quelle attenzioni: «Invoco il Lucky Charm e voi…»
«Hawky ed io giochiamo agli allenatori di pokemon» sentenziò Chat, facendole l’occhiolino e mettendo mano al bastone: «Forza, farfallino è tempo di acchiappare quel coso.»
Ladybug sorrise, osservando Chat e Hawkmoth attirare l’attenzione del mostro e costringerlo a rimanere nel cortile; si voltò, in tempo per notare che Peacock aveva riaperto gli occhi e le stava facendo un segno affermativo con la testa: perfetto, qualunque cosa aveva visto significava che potevano usare il Cataclisma di Chat su quell’affare di pietra.
Lanciò in aria lo yo-yo, invocando il proprio potere e osservando l’oggetto creato cadere fra le proprie mani: «Una fune elastica?» domandò, studiandola e poi guardandosi attorno: a cosa poteva servir…
Si fermò, aprendo la bocca e sorridendo: «Volpina, puoi creare del fuoco fatuo davanti il cancello della scuola?» domandò, osservando l’italiana annuire e invocare il proprio potere, facendo ciò che le era stato detto; Ladybug rimase in attesa, notando come il bestione, deviò il proprio percorso per evitare le fiamme di Volpina.
Perfetto.
A quanto pare era fatto di pietra, ma mal tollerava i loro poteri.
«Bee, usa una frusta di energia per mandarlo contro la porta della scuola.» sentenziò Ladybug, lanciando lo yo-yo e balzando all’interno del cortile: «Tortoise, prepara la tua barriera!» urlò, atterrando su un albero e osservando Bee, Chat Noir e Hawkmoth che limitavano gli spostamenti del nemico: «Chat!»
L’eroe nero alzò la testa al richiamo della compagna e lei gli lanciò un capo della fune, indicando con la mano libera la porta della scuola: «Bee! Mandalo nella nostra direzione, possibilmente a tutta velocità!»
«Cosa?»
«Fidati, Chat»
«Mi fido, ma…»
Ladybug gli sorrise, tenendo il capo di fune che aveva ben stretto fra le mani e osservando Chat fare lo stesso dall’altra parte della porta, mentre Bee a suon di frustate costringeva il mostro a rotolare verso di loro: «Non lasciare la presa, Chat» mormorò l’eroina rossa, poco prima che il nemico rotolasse verso l’interno della scuola; Chat e Ladybug serrarono la presa, facendo appello a ogni oncia della loro forza e la fune elastica fece il suo lavoro, quando fu al massimo della sua elasticità ritornò alla sua forma originaria, spedendo il golem nell’aria e dritto nel punto in cui Tortoise aveva creato una barriera: «Chiudila, Tortoise!»
L’eroe verde annuì, concentrandosi e chiudendo la barriera attorno al mostro: «Tutto tuo, Chat!» esclamò, osservando il felino correre nella sua direzione con la mano impregnata di forza distruttrice, balzò in alto e, sfruttando la mancanza di un soffitto nella barriera di Tortoise, atterrò all’interno e posò le dita sul mostro, osservando l’energia del cataclisma divorarlo e tramutarlo in polvere.
«E il titolo di eroe della situazione va a Chat Noir» dichiarò l’eroe in nero, sogghignando e voltandosi verso i compagni: «Ah, se non c’ero io…»
«Vi prego, ditemi che d’ora in poi non sconfiggeremo i nostri nemici grazie a Chat…» mormorò Volpina, voltandosi verso Ladybug e osservandola mentre lanciava in aria il Lucky Charm, ripristinando tutto: «Non potrei sopportarlo. Non potrei reggere il suo ego.»
«Ah, volpe, se non c’ero io eravate ancora in balia di quel coso rotante.»
«Avete finito?» domandò Alex, sospirando: «No, perché sembra che questo sia l’unico bagno funzionante della zona e…beh, vorrei uscire. Quello che è stato nel box di fianco al mio non deve aver mangiato bene ieri…»
«Sì, Mogui. Abbiamo finito» sentenziò Ladybug, sorridendo: «Ci vediamo oggi.»
«Non mancherò. Tutti da Starbucks.»



«Ah. Starbucks.» sospirò Rafael, sedendosi accanto a Sarah: «Quanto non mi mancavano le nostre riunioni post-battaglia che facciamo qui» dichiarò, prendendo il proprio the dal vassoio e guardando il resto del gruppo: « E sottolineo il non.»
«Oh, andiamo! Stiamo un po’ assieme!» domandò Lila, sorridendo dolcemente: «Insomma, non ci vediamo quasi mai.»
«Veramente noi stiamo sempre assieme» la contraddisse il parigino, scuotendo la testa: «Vedo più voi di mio padre.»
«Ok, volevo provare il nuovo frappuccino. Contento?»
«Ma voi italiani non dovreste odiare questa catena che ha distrutto il vostro caffè?»
«Sì, però i frappuccini mi piacciono, quindi gli perdono quel peccato mortale.»
«No, maledizione!» sbottò Alex, abbandonando il proprio cellulare sul tavolo e sospirando pesantemente: «Una sola nota mancata e potevo fare la Full Combo» bofonchiò, passandosi le mani fra i capelli e recuperando la propria ordinazione, tirando su dalla cannuccia e fissando lo schermo: «Ma sarai mia, Maki. Mia.»
«E’ impazzito del tutto?»
«No, sono ancora sano di mente, Lila» dichiarò il newyorkese, sorridendole e mostrando lo schermo del cellulare: «Solo che un mio compagno di corso mi ha fatto conoscere questo paradiso in terra: è un gioco musicale, dove puoi collezionare carte di idol…» si fermò, armeggiando con lo schermo e mostrando la propria collezione: «Cioè di due gruppi di idols: Maki è la mia waifu. E immaginati la mia frase con un cuoricino finale.»
«Oh, lo conosco» mormorò Marinette, sorridendo: «Juleka ci gioca, è molto brava.»
«Juleka, Juleka…»
«Alta, mora, stile dark» l’aiutò Adrien, sorridendo: «Non la diresti appassionata, lo so.»
«Era al vostro matrimonio?»
«Sì, era insieme a Rose» mormorò Marinette, battendosi le dita sulle labbra: «Adrien?»
«Cosa?»
«Ora che ci penso…» la mora si voltò verso di lui: «Ti ricordi il ragazzo che era con Rose?»
«Ehm…forse?»
«Non era il principe Alì?»
«Abbiamo avuto il principe Alì al nostro matrimonio?»
«Adrien e Marinette. Gli unici che non si ricordano se hanno avuto un reale al proprio matrimonio» dichiarò Rafael, scuotendo la testa: «Solamente voi…»
«Beh, erano presi l’uno dall’altro.»
«Presi l’uno dall’altro? Wei, quando Marinette è arrivata all’altare, c’era il prete che stava facendo notare l’ora, perché questi due avevano da miagolare.»
«Non è vero» bofonchiò Adrien, fissando male l’amico: «E non dovremmo parlare del nemico?»
«Dì Ren fa creature di Quantum che battiamo nel solito modo» riassunse Volpina, sorridendo: «Ecco, abbiamo parlato del nemico.»
«Veloce come discussione» commentò Xiang, studiando il the che aveva ordinato: «E’ veramente…»
«Forse è differente rispetto a quello cui sei abituata» sentenziò Rafael, scuotendo la testa: «Ma qualcuno qui è fissata con Starbucks.»
«Hai problemi?»
«Lila…» sospirò Wei, poggiando una mano sul capo della ragazza e sorridendo, mentre l’italiana fissava imbronciata il modello moro: «Lascia in pace, Rafael.»
«E’ lui che non lascia in pace me.»
«Rafael, lascia in pace Lila» sentenziò Sarah, ridacchiando e osservando lo sguardo di Adrien, posarsi sull’uno e l’altra, pronto ad aprir bocca ma venendo fermato da un solo sguardo di Marinette.
«Io lascio in pace entrambi. Capito il concetto.»
«Che bello, siamo tornati alle vecchie storie? Lila, Rafael e Adrien che si beccano a vicenda, mentre Sarah, Wei e Marinette li devono fermare» sentenziò Alex, divertito: «Ed io non ho fatto full combo di nuovo.»
«Posso provare?» domandò Xiang, prendendo il cellulare e armeggiando con questo, aggrottando le sopracciglia mentre Alex la incitava e anche Thomas fissava incuriosito lo schermo.
«Parlando di cose serie…» mormorò Lila, voltandosi verso Sarah: «Tu ora vai a vivere con il piumino e noi dove faremo le nostre serate al femminile a suon di drama?»
«Sarah, ma ce n’è una che non hai contagiato?» domandò Rafael, fissando la ragazza: «Perché vi piace soffrire così tanto? Non ce n’è uno dove non piangete.»
«Concordo» sentenziò Adrien, annuendo con la testa: «Ne ho visto uno con Marinette e sul finale…»
«Scatola di fazzoletti?»
«Scatola? Si è fatta fuori non so quante confezioni...»
«Esagerato.»
«Marinette, Plagg navigava in un mare di fazzoletti e usava una scatola di camambert come zattera!»
«Voi siete miscredenti che non comprendono la bellezza dei drama. Ecco» dichiarò Sarah, alzando il mento: «Sono certa che, vedendo il drama giusto, anche voi piangereste.»
«Ne ho visti parecchi con te…»
«Oh, ma non ti ho fatto vedere quello che ti fa male proprio qui» dichiarò Sarah, battendosi il pugno all’altezza del cuore: «Moon Lovers.»
«Sarah…» mormorò Lila, inspirando profondamente: «Quella ferita è ancora aperta.»
«Moon Lovers sarebbe...»
«Non l’hai visto, Rafael.»
«Sarà come gli altri.»
«Oh, ti assicuro che non è così» dichiarò Lila, scuotendo il capo: «Anch’io la pensavo come voi e invece…»
«Full combo! Grande Xiang!» esclamò Alex, attirando su di sé l’attenzione dell’intero gruppo, mentre le prendeva il viso e le regalava un sonoro bacio sulla guancia: «Sei un mito.»
«Non è difficile…»
«E Xiang si appassionò al gioco» sentenziò Rafael, ridendo: «Se stai con Alex, impari a giocare.»
«Pennuto, per favore, se vuoi fare battute devi avere un certo non so che.»
«Gattaccio, piantala di miagolare…»
Lila sospirò, alzando gli occhi al cielo: «Quanto mi mancavano le nostre riunioni post-combattimento…»


Felix sorrise, osservando la donna in completo nero che sedeva davanti la sua scrivania: «Non aspettavo una tua visita, Bri» dichiarò, chiudendo dietro di sé la porta dell’ufficio e raggiungendola: doveva essere passata dal parrucchiere perché le onde bionde, che aveva avuto fino a poco tempo prima, adesso erano scure come la notte.
Non le disse niente, sicuro che lei avrebbe trovato una scusa al suo cambiamento e non dandogli nessuna soddisfazione.
Aveva cambiato anche look quel giorno, preferendo un sobrio completo giacca e pantalone, rispetto alle gonne attillate che indossava di solito.
«Hai saputo?»
«Che sono il favorito per l’elezione di sindaco? Sì, il mio segretario mi ha informato.»
La vide sospirare e sistemandosi più comodamente allo schienale della poltroncina: «No, Dì Ren. Ha attaccato nella scuola di Thomas.»
«Sì» sospirò Felix, poggiandosi alla scrivania e incrociando le braccia: «Un mostro di pietra. Alex mi ha chiamato poco dopo, dicendo che era qualcosa simile a un…»
«Golem dei pokemon. Sì, l’ha detto anche me» dichiarò Bridgette, sorridendo: «Cosa ne pensi?»
«Che ha calibrato il tiro. Si è accorto di aver fatto una cazzata – e passami il termine – con Yi e quindi si è regolato.»
Bridgette annuì, tamburellando le dita sul bracciolo e sospirando: «Manderà altri così?»
«Non so dirtelo, Bri» dichiarò Felix, scuotendo la testa e sorridendo: «Però posso dirti una cosa.»
«Cosa?»
«Tu. Io. Un tavolo al Taillevent. Stasera. Che ne dici?»
«Non ti arrendi mai?»
«Non quando so di poter vincere. Allora?»
Bri si alzò, sorridendogli zuccherosa, preludio di un sicuro no: «Stasera devo vedermi con Maxime.»
«E chi diavolo è Maxime?»
«Il mio assistente, genio.»
«Ah.»
Felix la osservò, mentre recuperava la pochette e raggiungeva la porta, fermandosi: «Prenota per un altro giorno» dichiarò la donna, aprendo la porta e chiudendosela dietro, mentre Felix sorrideva divertito.


Taowu sbadigliò, osservando la distruzione fatta da Taotie e poi la polla d’acqua scura: a quanto pareva l’emissario del compagno era stato annientato. Distrutto.
Gli eroi di Parigi avevano vinto nuovamente.
Una folata di vento gli mosse i capelli, facendolo sorridere: «No, non manderò te» dichiarò, alzando la mano e sentendo l’aria intrecciarsi alle sue dita: «Non ancora. Lascia che se la giochino gli altri.» Il vento si mosse nuovamente e Taowu avvertì una carezza sulla nuca: «Noi useremo un’altra strada.»

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.334 (Fidipù)
Note: Buon venerdì! Eccoci qua con un nuovo aggiornamento di Miraculous Heroes 3! Or bene, a questo giro ho un po' di cosette da dire...in verità, rispetto al solito son poche, ma nell'aggiornamento del mercoledì ho sempre delle note così striminzite...vabbè, passiamo agli argomenti della giornata: dunque, dovete sapere che io vivo in Toscana e sono sempre stata appassionata dagli Etruschi, onde per cui...tadan! Indovinate chi compare in questo capitolo? Esattamente, proprio gli Etruschi! Sono solo accennati in una discussione fra Sarah e un certo professore ma...beh, ci sono! E ho pensato di far girare questa discussione sulle origini incerte degli Etruschi: sapete che c'è una corrente - molto misera, devo dire - che pensa che gli Etruschi siano giunti fino in Italia da Atlantide? Devo dire che ho colto la palla al balzo, quando l'ho letta e quindi l'ho infilata nel capitolo, per un piccolo accenno (in fondo, certi kwami provengono da un certo continente ormai andato) e...
Beh, non vi sto a dire altro di quello che succede in questo nuovo capitolo!
Come sempre, però,  vi voglio ringraziare tutti quanti per il fatto che leggete, commentate, inserite in una delle liste questa mia storia (e tutte le altre, anche!).
Grazie di tutto cuore!
E noi ci vediamo domani con un nuovo appuntamento di Lemonish!



Thomas sbadigliò, alzando poi la testa e osservando la strada lievemente in salita che portava alla scuola: «Voglio dormire…» mormorò, sentendo il kwami ridacchiare da dentro il giaccone: «Ehi, sono reduce da un combattimento…»
«Ci farai l’abitudine» dichiarò Nooroo, con una nota orgogliosa nella voce: «E poi ti stai anche allenando con Xiang. Sono certo che…»
«Thomas Lapierre.»
Il ragazzo si voltò, trovandosi davanti Manon Chamack: Thomas mantenne il contatto visivo con la compagna più piccola, ricordandosi che, in un documentario, aveva letto che non bisognava mai perderlo in uno scontro, altrimenti l’avversario avrebbe capito la sua superiorità.
Ok. Poteva farcela.
Sì, certamente.
Inspirò, abbassandolo pochi secondi dopo e maledicendosi mentalmente.
Chi doveva mantenere il contatto visivo per non dimostrare la propria debolezza?
Lasciò andare l’aria, alzando il mento e notando che Manon non si era mossa di un millimetro: «Che vuoi?» domandò e già immaginava Nooroo che lo fissava sconsolato, a quanto pareva il kwami viola ci teneva molto all’etichetta e al galateo.
La ragazzina sospirò, guardandosi attorno e poi annuendo con la testa, fissandolo nuovamente negli occhi: «Thomas Lapierre» ripeté, fermandosi un attimo e lasciando passare una signora che veniva dalla direzione opposta a quella in cui lei era: «Io so.»


Marinette picchiettò la matita sul foglio, osservando la bozza del disegno e storcendo le labbra, cercando di capire che cosa voleva fare della giacca maschile che stava progettando.
Un modello classico o sportivo?
Qualcosa di stravagante?
Inspirò profondamente, chiudendo gli occhi e immaginando Adrien…
Pessima idea.
Gabriel l’aveva avvertita di non fossilizzarsi su di lui e di pensare un modello X per creare così capi di abbigliamento che potevano essere indossati da chiunque e non solo da chi assomigliava al marito; il problema era che, ogni volta che chiudeva gli occhi, il volto e il fisico di Adrien apparivano chiari alla sua mente.
«Problemi?» domandò la voce di Nathaniel, facendole riaprire le palpebre e trovandosi il rosso davanti, che le sorrideva convinto: «Sembravi…»
«Volevo disegnare una giacca» spiegò Marinette, indicando le poche linee che aveva tracciato: «Solo che non ho le idee ben chiare e stavo provando a immaginarla.»
«Capisco. Alle volte succede anche a me…» mormorò il rosso, sistemandosi davanti a lei: «Ho in mente l’idea di un bracciale, solo che allo stesso tempo non ce l’ho. E’ frustrante devo dire» continuò, poggiando la testa contro il pugno chiuso e osservando il disegno: «Sono certo che sarà qualcosa di meraviglioso come sempre.»
«Lo spero.»
Nathaniel piegò le labbra in un sorriso, allungando una mano e sfiorando quella di Marinette, facendo passare il polpastrello sulla fede della ragazza: «Credi in te, Marinette» mormorò, continuando a toccarla e regalandole un’occhiolino, ritornando al suo posto sotto lo sguardo sbigottito della mora: dove era finito il ragazzo timido e impacciato che tanto le assomigliava?
Chi era quello che aveva davanti?
«S-stai bene?» domandò, tirandosi indietro e osservando l’amico, sotto una luce nuova: Nathaniel non era mai stato così sfrontato con lei, neanche quando le piaceva al collége. L’aveva sempre osservata da lontano e, solo quando era stato akumatizzato da Papillon, aveva fatto la sua mossa.
Possibile che…
Adrien l’aveva ipotizzato, gettandola lì come idea eppure…
Possibile che Nathaniel fosse sotto l’influsso del Dì Ren?
«Nath…»
«Sto bene, sto bene.» dichiarò il rosso, infilando le mani nella tasca della felpa che indossava e sorridendole: «Ti ho parlato della tipa con cui esco, no? Ecco, stare con lei mi ha reso più…mh, come dire? Espansivo. Mi ha dato fiducia in me e…» si fermò, mordendosi il labbro inferiore e scuotendo poi la testa: «Non volevo metterti in imbarazzo,  Marinette.»
«N-no, i-io…»
«Anche tu sei cambiata da quando stai con Adrien? Sei più aperta, più sicura…» Nathaniel assentì, abbassando lo sguardo: «Stare con chi si ama e ci apprezza ci cambia. Vero?»
«Già» mormorò la ragazza, sorridendo dolcemente e fissando il disegno, su cui poggiò entrambe le mani: «Sono contenta che hai trovato…» Marinette si bloccò, osservando Nathaniel mettere le dita sopra le sue e donandole un sorriso caloroso: «N-nathaniel?»
«Alle volte mi pento veramente di non essermi fatto avanti prima di lui…» sospirò il rosso, lasciandola andare e rialzandosi: «Beh, ormai è tardi. No? Ho una ragazza che amo ma tu sarai sempre speciale per me, Marinette.» dichiarò, passandosi la lingua sulle labbra: «Vado in classe.»
La mora annuì, osservandolo andare via e rilasciò il fiato: cosa era appena successo?
«Tutto bene, Marinette?» domandò Tikki, facendo capolino dalla borsa della ragazza e osservandola: «Nathaniel era…»
«Strano?»
«Io direi intraprendente» dichiarò la kwami sorridendo dolcemente: «Anche se non ha molte speranze, vero?»
«Io…io…»
«Calmati, Marinette. Lui ha parlato al passato.»
«Ti sembrava il comportamento di uno che parlava al passato?»
Tikki ridacchiò, osservando la sua Portatrice e inclinando la testa: «Mh. Forse Adrien dovrà stare attento: ha un rivale, a quanto pare.»
«Tikki!»
«Ma ovviamente, per quanto ci provi, Nathaniel non potrà mai farcela conto Adrien.»
«Ovviamente.» bofonchiò la ragazza, mostrandole la fede che portava al dito: «Mi sono sposata, ricordi?»
«Conosco uno che non si faceva problemi di fronte a una cosa come il matrimonio…» mormorò la kwami, sospirando: «Cosa mai ci avrò visto in lui, lo so solo io.»
Marinette ridacchiò, chiudendo l’album da disegno e riponendolo nella borsa: «Plagg poteva rivaleggiare con Rafael, eh?»
«E avrebbe vinto.»
«Immagino avesse l’aria da cattivo ragazzo…»
«Lo era.»
«…a cui non si sa resistere.»
«Tu hai resistito a Chat Noir» mormorò la kwami, sospirando: «Certo, Chat era molto più tranquillo rispetto a Plagg.»
«Davvero?» domandò la ragazza, scuotendo la testa: «Io ho saputo resistere a Chat Noir? Direi il contrario.»
«Per un breve tempo ce l’hai fatta» si corresse Tikki, ridacchiando: «E non dirò niente a tuo marito, vorrei evitare che si montasse la testa più di così.»
«Grazie mille.» dichiarò Marinette, sistemandosi la borsa sulla spalla e uscendo dall’aula studio ove si era rifugiata, dando poi un’occhiata all’ora: aveva lezione fra un bel po’ e magari poteva concedersi uno spuntino al bar…
«Marinette Dupain-Cheng!» esclamò una voce femminile, facendo voltare la ragazza verso la scala di metallo che dominava l’ingresso della scuola, mentre l’insegnante che l’aveva chiamata scendeva velocemente i gradini, seguita da un uomo: Agnès Leroux si sistemò gli occhiali dalle lenti quadrate, sorridendole calorosamente e, incurante del generoso seno, l’abbracciò stretta, quasi soffocandola: «O forse dovrei dire Marinette Agreste.»
«Co-come preferisce…» mormorò la ragazza, facendo un passo indietro: la professoressa Leroux era famosa in tutto l’istituto per i suoi abbracci al limite della molestia, soprattutto perché, se non eri dell’altezza giusta, la donna era capace di spalmarti in faccia il seno abbondante.
Sfortunatamente per Marinette, lei non era dell’altezza giusta ed era anche una delle preferite della donna.
«Volevo presentarti una persona…» gongolò Agnès, voltandosi verso l’uomo e sorridendogli: «Questa è la ragazza di cui le parlavo, monsieur Wong. Marinette, questo è uno dei nostri più cari finanziatori: Kun Wong ed è…»
«Sono cinese, sì.» dichiarò l’uomo che, dietro la donna, rimaneva composto e austero: «Madame Leroux mi ha parlato molto bene di lei, madamoiselle…»
«Madame, Wong. Marinette è sposata.»
«Oh. Così giovane?»
«Sì, ed è anche recente» tubò la donna, sorridendo a Wong: «Si è sposata due settimane fa – sono già due settimane, cara? – con il figlio di Gabriel Agreste, il noto stilista: Adrien Agreste, il modello di punta del padre. Ed è stato un matrimonio bellissimo: mi hanno detto che Marinette e Adrien sono innamorati fin da piccoli. Una vera favola d’amore.»
Ah. C’era anche la professoressa Leroux al suo matrimonio?
Ma possibile che non fosse stata attenta a nessuno tranne che Adrien?
Sì, ricordava che c’erano stati i suoi amici e i loro genitori ma…
Beh, fine delle persone che ricordava al suo matrimonio.
«Congratulazioni allora» dichiarò Wong, con un piccolo cenno del capo e sorridendole: «Ero intenzionato a invitarla a cena, madamois…volevo dire madame Agreste, per parlare dei suoi lavori ma penso che non sia…»
«No, per niente.» dichiarò prontamente Marinette, sorridendo impacciata: ma cosa stava succedendo? Perché tutti erano interessati a lei?
E dov’era quel gatto geloso quando c’era effettivamente bisogno di lui?
«Monsieur Wong si è innamorato del tuo abito da sirena.»
«Oh.»
«Un lavoro veramente eccellente, sinonimo di creatività e talento» dichiarò Kun Wong, prendendo un biglietto da visita dall’interno della giacca e porgendoglielo: «Ero intenzionato a farle una proposta di lavoro per il mio marchio.»
«In verità, io…»
«Deve sapere che Marinette è già sotto la protezione di suo suocero, Gabriel Agreste e verrà presa dalla sua maison non appena lascerà la nostra scuola» lo interruppe Agnès, sorridendo: «Inoltre anche Willhelmina Hart è interessata a lei.»
«Le farò una proposta che non può rifiutare, madame Agreste.»
«Oh, Marinette!» La professoressa Leroux chiocciò, sorridendole complice: «Sei così ricercata.»
«La ringrazio infintamente, ma non ho intenzione di accettare alcuna proposta» mormorò Marinette, abbozzando un sorriso: «Adrien ed io abbiamo un piano e…»
«E se con suo marito non andrà?»
«Ne dubito.»
«La prego di pensarci, madame Agreste. Se…»
«Non esistono se nella mia vita con Adrien» dichiarò Marinette, alzando la testa e fissando il cinese negli occhi: «Adrien è il mio amore e mio marito e non ho assolutamente intenzione di accettare alcuna offerta di lavoro, all’infuori di quella della maison Agreste.»
«Ma Marinette…»
«Ora, se mi volete scusare, dovrei andare a lezione» dichiarò la ragazza, salutandoli entrambi con un cenno del capo e prendendo la strada che portava al piccolo bar esterno.
«Marinette Agreste» la voce di Kun Wong la fermò, facendola voltare e osservare il cinese a pochi passi dalla professoressa: «Non sono un uomo che si arrende: ho visto i suoi lavori e mi sono piaciuti. Io l’avrò nel mio marchio.»
«Beh, buona fortuna.» sentenziò la ragazza, scuotendo la testa e andandosene velocemente, cercando il cellulare nella borsa e sorridendo nervosa alla propria kwami; si fermò, componendo veloce il numero di Adrien e attese che lui rispondesse: «Adrien?»
«La mia bella mogliettina non riesce a stare lontano da me, che deve chiamare per sentire la mia voce?»
Marinette sorrise, inspirando profondamente e socchiudendo gli occhi: «A quanto pare sì. Avevo proprio bisogno di sentirti.»
«Mh. Cosa è successo?»
«Di tutto.»
«Vuoi raccontarmi, my lady?»
«Stasera a casa, così potrai dare di matto tranquillamente.»
«Ah. Questo non mi piace…»
«Adrien?»
«Sì, mon coeur?»
«Tra noi andrà tutto bene?»
«No» mormorò il ragazzo, dopo una manciata di secondi in silenzio: «Io ti farò ammattire, tu me lo farai notare e forse litigheremo un giorno. Abbiamo mai litigato noi? No? Rafael dice che il ses…»
«Adrien.»
«Vedi? Hai già cambiato tono e solo perché stavo facendo un accenno a…»
«Adrien»
«Ti amo, Marinette. Sei la mia vita e il mio cuore. Sei il mio intero mondo e non potrei mai lasciarti andare. Quindi non andrà mai tutto bene fra di noi, è una cosa normale in ogni coppia ma saremo sempre insieme» mormorò Adrien, sospirando poi pesantemente: «E Rafael sta facendo il verso del vomito. Come se non l’avessi sentito prima con Sarah: oh, apettina mia.»
«Io non la chiamo apettina mia!» sbottò la voce dell’altro modello al telefono, facendo ridacchiare Marinette: «Marinette, sei autorizzata da tutta la squadra a mollare questo gattaccio!»
«Come se lo facesse, pennuto» bofonchiò Adrien, sbuffando poi nel telefono: «Stasera mi dici per filo e per segno come sei arrivata a certi pensieri, ok?»
«Ok.» mormorò Marinette, mordendosi il labbro inferiore: «Adrien?»
«Sì?»
«Ti amo.»
«Lo so, my lady. Me lo hai dimostrato anche stamattina quando sei venu…»
«Però voglio il divorzio!»
«Quanto sei suscettibile!»


Sarah si fermò davanti la cattedra, osservando l’uomo mentre stava sistemando gli appunti della lezione nella cartella di pelle: «Ho letto il suo libro sugli Etruschi» esclamò, stringendo la borsa contro il petto e sospirando: «La parte sulle ipotesi delle loro origini, poi mi ha completamente preso. Rafael ha dovuto togliermi il libro di mano, altrimenti non mi sarei mai addormentata.»
«Oh. Ed io che credevo che la gente comprasse i miei libri come alternativa al sonnifero» dichiarò Emilé, sorridendo alla ragazza: «E quando mi darai del tu, ragazza mia? Sei la fidanzata di mio figlio, una figlia per me quasi.»
«Veramente non c’è un’origine certa? Per un intero popolo?»
«No, purtroppo.» mormorò l’uomo, togliendosi gli occhiali e sorridendo: «Ci sono molte ipotesi ma nessuna prevale sulle altre. Per molto tempo ho sperato che provenissero dal lontano Occidente, un lascito di un antico impero che venne sommerso dal mare…»
«Atlantide?»
«Esattamente, Sarah» Emilé sospirò, scuotendo il capo: «Rafael ha rispolverato le mie ricerche sul continente perduto e ciò mi ha fatto tornare alla mente i miei voli pindarici su quella civiltà. Fantastica, certamente, ma sempre un sogno per ogni archeologo» si fermò, tossendo un po’ e poi riportando l’attenzione sulla ragazza: «Ma sentiamo: quale ipotesi ti sembra più adatta?»
«Direi l’ipotesi del popolo del mare, se proprio ne devo scegliere una.»
«I Tereš o Turša…» mormorò Emilè, tossendo nuovamente: «Beh, sono un popolo citato anche dagli egizi e potrebbero essere un’origine per questo popolo misterioso che si è stanziato nell’antica Etruria. Inoltre, ciò li collegherebbe anche a un altro mito…»
«Quello della città di Troia!» esclamò Sarah gioiosa: «Perché se così fosse, potrebbero essere stati Enea e i suoi che giunti nell’Etruria via mare, poi avrebbero dato origine a questa popolazione.»
«Cantami, o Diva, del pelide Achille l'ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei…» recitò l’uomo, sospirando soddisfatto: «Questo sì, che era talento letterario» mormorò, poco prima che un attacco di tosse lo costrinse a piegarsi in due sulla cattedra.
Sarah fissò Emilé mentre, rosso in viso, cercava di respirare e venendo impedito dalla tosse che gli sconquassava il petto; rimase inerme, incapace di fare alcunché fino a quando l’uomo non si calmò e, respirando profondamente, si tirò su: «Perdonami.»
«Sta bene?»
«Ho preso una brutta influenza e sempre non volermi lasciare» mormorò Emilé, inspirando profondamente e lasciando andare l’aria con calma: «Dovrei veramente farmi vedere: è ora di superare la mia fobia per il dottore e andare.»
«Direi anch’io» mormorò Sarah, fissandolo seria: «Rafael lo sa?»
«Sì, per mia somma sfortuna, ha assistito a un attacco anche lui e ogni tanto – ogni tanto spesso, mi viene da aggiungere – mi ricorda di andare dal medico» dichiarò Emilé, sbuffando: «Come se lui ci andasse volentieri: ricordati, Sarah, se mai starà male va legato bene e portato di peso dal suo dottore.»
«Me lo segnerò.»
«Oh, Alain mi ha detto che sei andata a vivere con lui?»
«Co-cosa?»
«Sono veramente contento. Ho già detto a Rafael che ti voglio come nuora, quindi che si sbrighi a farti anche la proposta.»


Non usciva.
Thomas si affacciò, osservando gli alunni delle altre classi del Collége de Navarre uscire mentre Manon Chamack sembrava essere risucchiata in qualche buco nero: quella mattina l’aveva fermato, buttando lì che lei sapeva senza spiegare nulla.
Niente di niente.
Se n’era andata, lasciandolo come uno stupido.
Ma ora…
Ora avrebbe avuto la risposta alla domanda che lo attanagliava da quando lei avevi parlato: Manon Chamack sapeva. Ma cosa?
Fermò i propri pensieri, osservandola uscire con due sue amiche e inspirò profondamente: sapeva che, fermandola e portandola via, avrebbe suscitato chissà quali chiacchiere – già vedeva le due che erano con lei parlare di dichiarazioni o altro – ma la conoscenza superava tutto ciò.
Raddrizzò le spalle, alzò il mento e, a passo di marcia, la raggiunse e si fermò davanti a lei: «Dobbiamo parlare» dichiarò, squadrandola e notando come lei non mostrasse nessuna emozione: «Ora.»
«D’accordo» mormorò la ragazza, voltandosi verso le due e sorridendo: «Ci sentiamo dopo!» trillò allegra, prendendolo poi per una mano e trascinandolo fuori dalla scuola, in strada: e adesso perché era lei che aveva preso in mano la situazione? Doveva essere lui a portarla da qualche parte e farle domande.
La seguì docilmente, mentre lei lo conduceva nel piccolo parco vicino la scuola: lo stesso dove Thomas aveva incontrato per la prima volta Lila e Wei; Manon si fermò vicino a una panchina e si guardò intorno, accertandosi che non ci fosse nessuno nei paraggi: «Vuoi parlarmi di stamattina, vero?» bisbigliò, mentre si torceva le mani con fare nervoso.
«Io pensavo di parlare del tempo» bofonchiò Thomas, incrociando le braccia e fissandola male: «Certo che voglio parlare di stamattina! Te ne esci con ‘Io so’ e poi te ne vai…»
«Ti giuro, io non l’ho fatto apposta.»
«Cosa, Chamack?»
«Ero nello spogliatoio maschile perché mi stavo nascondendo Noèmie e so per certo che lei non entrerebbe mai lì e…»
«Spogliatoio maschile? Mi hai visto nudo?»
«Cosa? No!»
«E allora che…»
«Ti ho visto trasformarti…» dichiarò Manon, fissandolo negli occhi: «…in Hawkmoth.»
«Co-cosa?»
«Io non volevo, davvero ma…» si fermò, scuotendo il capo: «Tu sei entrato, hai parlato con qualcuno al cellulare e poi con quella fatina e…Davvero, non volevo. Thomas, davvero.»
«Tu mi hai visto?»
«Non lo dirò a nessuno, lo giuro.»
«Tu…»
«Manterrò il tuo segreto.»
Thomas inspirò a fondo, sedendosi sulla panchina e prendendosi la testa fra le mani: «Ho il Miraculous da neanche due mesi e sono già stato scoperto. Gli altri mi uccideranno, ne sono certo.»
«Non lo dirò a nessuno e non voglio sapere chi sono gli altri eroi.»
«Ed io sono Babbo Natale.»
Manon sorrise, chinandosi davanti a lui e poggiandogli una mano sul ginocchio: «Il tuo segreto è al sicuro con me, Thomas Lapierre» mormorò, osservandolo mentre la guardava fra le dita: «E grazie per avermi salvato la vita. Io…» Manon si fermò, sorridendo: «Io cercherò di aiutarti quando dovrai trasformarti e...sì, ti aiuterò.»
Nooroo fece capolino dal giaccone, sorridendo alla ragazzina: «Sembra sincera, Thomas.»
«La fatina…»
«Sono un kwami, signorina. E, in verità, sono un maschio.»
«Nooroo, ma…»
«Io sento: è sincera, Thomas.»
«Lo sono! Davvero! Non lo dirò a nessuno, neanche se il nuovo nemico mi torturasse: il tuo segreto è al sicuro con me.»
«Mi uccideeranno…»
«Abbi fiducia in lei, Thomas.»
«La fai facile tu! Sei immortale!»
Nooroo abbozzò un sorriso, indicando poi con un cenno del capo la ragazzina che li ascoltava in silenzio: Thomas la fissò negli occhi, osservando le iridi dell’altra e cercandoci qualcosa, annuendo poi alla fine con un sospiro lugubre: «Sono nelle tue mani, Manon Chamack» dichiarò, alzando il mento e senza ricambiare il sorriso, che aveva illuminato il volto della ragazzina: «Ma se qualcuno…»
«Nessuno saprà niente.»
«Lo spero bene.»
«A meno che tu sia così idiota da trasformarti di nuovo senza controllare il luogo. Quello non è colpa mia.»
«Ti odio, Chamack.»
«Sono certa che andremo d’accordo. E tu fatina?»
«Sono un kwami.»
«Kwami» mormorò Manon, annuendo con la testa: «Me lo ricorderò…»


Lila studiò con occhio critico i boxer esposti, inclinando il capo e ignorando lo sbuffo che proveniva dalla sua borsetta: «Sai, credo che Wei si accorgerà che le sue mutande…»
«Sono cambiate in meglio» dichiarò la ragazza, alzando la borsetta e sorridendo al kwami: «E’ una vera fortuna che tu assomigli così tanto a un cane, posso portarti a spasso e non sembrare una malata di mente.»
«Tornando al problema principale, Wei…»
«Senti, non è colpa mia se la lavatrice aveva fame di boxer.»
«E adesso diamo colpa alla lavatrice…» borbottò Vooxi, fissandola sconsolato: «Posso capire l’emancipazione femminile e tutto, quindi comprendo che puoi anche non essere brava nelle faccende domestiche, ma…Lila è mai possibile che qualsiasi cosa tocchi la distruggi?»
«Non ho distrutto la lavatrice» mormorò la ragazza, prendendo alcuni boxer in colori differenti: «E’ lei…»
«Sì, sì.»
Lila sorrise, voltandosi nel negozio e sorridendo al manichino con addosso un impalpabile sottoveste di pizzo trasparente rosso: «Secondo te se mi faccio trovare con quella, quando arriva, mi perdonerà le mutande perdute?»
«Questo si chiama giocare sporco.»
«Questo si chiama: Wei facciamo…» Lila si fermò, osservando un nuovo cliente entrare: indossava una lunga casacca bianca che a Lila ricordava tanto quelle indiane, mentre nella mano destra si rigirava una pipa lunga e i capelli erano…
Possibile che fossero un ammasso di rose rosse?
«Buonasera» trillò il nuovo arrivato, guardandosi attorno e attirando l’attenzione delle clienti e del personale: «Sono qui per nome di Hundrun, generale del sommo signore. E voi sarete le mie vittime.»

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.452 (Fidipù)
Note: Una nuova settimana inizia ed eccomi qua, pronta a tormentarvi anche in questi giorni! Bene, bene: abbiamo un nuovo nemico, un nuovo combattimento e un ristorante come location per una scena, ovvero Le Quai, un ristorante sulla Senna che, grazie alla sua terrazza galleggiante, permette ai commensali di pranzare (o cenare) con una meravigliosa vista del fiume e della Parigi storica; inoltre il ristorante si trova a pochi passi dal Museo D'Orsay.
Detto questo, come sempre, vi passo a elencare gli appuntamenti di questa settimana: mercoledì ci sarà un nuovo capitolo di Inori, venerdì come sempre il nuovo aggiornamento di Miraculous Heroes 3 e, sabato, il nuovo capitolo di Scene.
Come sempre, vi rimando al mio profilo, dove c'è il calendario degli aggiornamenti per il mese di Maggio.
E, per concludere, i ringraziamenti di rito: grazie a tutti voi che leggete, commentate, inserite le mie storie in una delle vostre liste e me fra gli autori preferiti.
A tutti voi: Grazie!



Lila scattò di lato, nascondendosi in uno degli spogliatoi e ignorando le grida delle altre clienti e delle commesse, mentre il suo cellulare vibrava nella borsa: «Sono già sul posto» dichiarò, una volta preso e accettata la chiamata: «Manda subito tutti gli altri.»
«Ok» esclamò allegro Alex, ridacchiando: «Efficiente la nostra Volpina, eh?»
«Sbrigati» sentenziò Lila, chiudendo la chiamata e osservando Vooxi volare fuori dalla borsetta e annuire con la testa: «Vooxi, trasformami» ordinò, chiudendo gli occhi e sentendo l’energia della trasformazione avvolgerla e darle forza e potere: quando riaprì gli occhi, lo specchio del camerino le dette l’immagine di Volpina e lei sorrise, aprendo una mano e vedendo una nuvola di fumo arancio creare il lungo flauto.
Bene.
Era ora di dare una lezione a quella rosellina là fuori.


Chat Noir balzò sul lampione, chinandosi e osservando i compagni, poco distanti da lui: «Andiamo, gente. Non abbiamo tutta la giornata» dichiarò, mentre Tortoise superava la sua postazione, subito seguito da Ladybug e Hawkmoth: «Comunque io vorrei far notare che il luogo dove ha attaccato il nemico…»
«Era un altro dove c’era uno dei nostri» sentenziò la coccinella, fermandosi per lanciare il suo yo-yo contro l’edificio davanti a lei e usarlo come punto per saltare: «E’ veramente…»
«No. Io mi riferivo al fatto che la nostra Volpina era in un negozio di biancheria intima» dichiarò l’eroe nero, ridacchiando: «Seratina bollente, Torty caro?»
«Penso piuttosto che abbia avuto di nuovo uno scontro con la lavatrice» sospirò Tortoise, fermandosi all’inizio di una via e indicandola con un cenno del capo, guardando poi in alto e ricevendo un segno affermativo da parte di Ladybug: «Sicuramente mi starà ricomprando ciò che ha distrutto…»
«Ma quella ragazza è capace di non demolire niente?» domandò Peacock, raggiungendo l’amico e posandogli una mano sulla spalla: «Veramente, ti sei preso una bomba in casa. E non sto usando il termine in senso positivo…»
«Ha dei lati positivi.»
«Immagino quali.»
«Ehi, non sta bene parlare di me in mia assenza» sbottò la voce di Volpina all’auricolare, seguita dai suoni della battaglia: «Volete venire qui o io e Rosellina qua faccio da soli?»
«Rosellina…» mormorò Chat, balzando su un nuovo lampione: «Volpina, tu ed io dobbiamo fare un discorso sui soprannomi che diamo ai nemici.»
«Parli tu che l’ultima l’hai chiamata ‘Panterona’?»
«E’ un bel nomignolo, volpe.»
«Bei vecchi tempi quando davamo soprannomi nerd…» sospirò Alex, facendo ridacchiare Chat Noir: «Siete vicini ragazzi. E’ ora di andare al gran ballo.»
Il gruppetto si mosse, raggiungendo velocemente il negozio in cui era apparsa la creatura di Dì Ren, in tempo per vedere Volpina balzare fuori dalla vetrina e atterrare per la strada: «Finalmente!» sbottò l’eroina, posandosi le mani sui fianchi e fissandoli male: «Pensavo di dover fare tutto da sola…»
«Ma quanto ti piacerà lamentarti?» sospirò Chat, osservando il nemico uscire dal negozio: «Oh. E’ proprio una rosellina!»
«Che avevo detto?»
«Che sai dirci, Volpina?» domandò Ladybug, osservando la creatura che, incurante di tutti loro, si guardava estasiato attorno: «Cosa…»
«Usa il profumo come arma: lo solidifica e attacca» dichiarò l’eroina arancio, osservando il nemico muovere la lunga pipa fra le dita, mentre volute di fumo grigio si dipanavano e si allungavano verso di loro: «Ecco che arrivano…»
Volpina saltò indietro, portandosi il flauto alle labbra e suonando alcune note, creando copie di tutti loro e sperando che questo distraesse il nemico; Chat e Peacock misero mano alle loro armi, centrando i colpi a loro diretti mentre Tortoise si sistemò davanti Bee e Hawkmoth, proteggendoli con il suo scudo.
Ladybug iniziò a far girare velocemente lo yo-yo e, similarmente a Tortoise, si protesse dall’attacco del fumo grigio: «Peacock.»
«Ci penso io!» dichiarò l’eroe blu, socchiudendo gli occhi e invocando il proprio potere speciale: l’oscurità l’avvolse completamente, mentre ai suoi occhi appariva Rosellina e il suo fumo, poi un vento forte si alzò, spedendo l’arma del nemico contro di sé e annientandolo: «Il fumo. Dobbiamo rimandarglielo indietro!»
Ladybug annuì, saltando indietro e osservando Volpina posizionarsi davanti a lei e invocare il fuoco fatuo, lanciandolo contro le volute di fumo che stavano per colpirle, contemporaneamente Chat, con la mano impregnata del potere della distruzione, balzò sulla sinistra di Tortoise e colpì il fendente nemico, osservandolo disgregarsi sotto di lui. Hawkmoth lanciò i suoi boomerang, tagliando in due una voluta che si stava dirigendo verso Peacock, mentre Bee sparò un pungiglione alla solidificazione di fumo davanti a loro, invocando poi il suo potere speciale e, piroettando su sé stessa, colpì una seconda voluta in contemporanea con Peacock, che aveva lanciato un dardo del ventaglio.
«Se li distruggiamo, però non li rispediamo contro di lui» bofonchiò Peacock, osservando Ladybug usare il proprio potere e lanciare in aria lo yo-yo, notando poi un ventilatore cadere fra le mani della ragazza che, con una smorfia, lo tenne evitando che cadesse a terra.
«Bene» dichiarò la coccinella, osservandosi attorno e sorridendo: «Lo potete distrarre?» domandò, sorridendo ai propri compagni e, stretto il ventilatore contro il petto, corse verso il negozio, saltando attraverso la vetrina rotta e atterrando all’interno: Rosellina si voltò e, muovendo il corpo come un lanciatore di baseball, lanciò contro di lei una voluta di fumo denso e consistente che la colpì al fianco, spedendola contro il muro.
«Ladybug!» tuonò Chat Noir, allungando il bastone e ingaggiando un duello contro il nemico, mentre la ragazza si tirava su e, con un sorriso sofferente in volto, afferrò la spina del Lucky Charm e la inserì nella presa lì vicino; voltandosi poi verso il compagno, quando lo sguardo verde si fissò su di lei, fece un segno con il capo: Chat Noir costrinse Rosellina a rientrare all’interno del negozio, aiutato da Bee e Hawkmoth e, dopo essere balzato alle sue spalle, si mise davanti a Ladybug: «Dimmi quando» mormorò, osservandola mentre posizionava le dita sopra i pulsanti.
«Ora» mormorò la ragazza, mentre il nemico si preparava a lanciare un nuovo colpo verso di loro: Chat annuì, mettendosi in posizione di difesa e sentendo il ventilatore azionarsi alle sue spalle; Rosellina lanciò un nuovo attacco e il felino balzò di lato, lasciando Ladybug pronta a respingere il fumo del nemico verso questo e notando come, più si avvicinava, più il volto e il corpo s’ingrigiva e diventava grinzoso, accartocciandosi su sé stesso e diventare poi polvere.
Ladybug fece un altro passo, uno di troppo e la spina scappò dalla presa, scivolando per terra, mentre la ragazza osservava il piccolo mucchietto di polvere che era diventato il loro nemico: «E’ veramente inquietante…» mormorò, balzando poi indietro quando la polvere si mosse e diventò velocemente una piccola tromba d’aria, dalla quale si materializzò una donna vestita di bianco e con una maschera dello stesso colore che gli copriva il volto.
Chat Noir balzò davanti a Ladybug, il bastone stretto fra le mani, mentre il resto del gruppo la circondava e rimaneva in allerta: «Oh» mormorò la nuova venuta, guardandoli uno a uno: «Ecco qui il gruppetto di bambini che ha reso la vita difficile alla povera Yi» bisbigliò, piegando le labbra rosse in un sorriso divertito: «Ma come siete carini.»
«La povera Yi?» domandò Peacock, piegando le labbra in un sorrisetto: «Questa è amica della panterona.»
«Panterona…» mormorò la donna, ridacchiando: «Mi piace. Mi piacete. Avete umorismo» fece vagare lo sguardo su tutti, fermandosi poi su Ladybug: «Ma non vincerete questa guerra: siete destinati a perdere?»
«Vuoi scommettere che adesso perdi tu?» domandò Chat, roteando il bastone e mettendosi in posizione di attacco, caricando poi contro la donna che, ridacchiando, schioccò le dita, sparendo in un turbine di polvere e lasciando che Chat lo attraversare, rovinando poi contro Hawkmoth.
«Quante volte ti devo dire di pensare prima di agire?» sospirò Ladybug, scuotendo la testa e sorridendo dolcemente, lanciando poi in aria il Lucky Charm, osservando tutto tornare alla normalità: «Bene, che ne dite di andarcene?»


Gabriel poggiò il cellulare sul tavolo, sospirando pesantemente: a quanto pareva i ragazzi avevano agito tempestivamente e sistemato nuovamente tutto. Si sistemò gli occhiali, osservando Nathalie entrare nell’ufficio: «Signore, c’è il signor Kun Wong» dichiarò, facendosi da parte e lasciando entrare il cinese che, regalandole un sorriso, si dedicò completamente all’uomo dietro la scrivania.
«Gabriel Agreste!» esclamò Kun, porgendogli la mano e sorridendo: «Sono un suo fan e la sua griffe è la mia preferita» dichiarò, stringendo la mano di Gabriel e sedendosi poi, dandosi una sistemata alla giacca.
«Noto» dichiarò il francese, catalogando il vestiario dell’altro a una prima occhiata: riconosceva la giacca scura e i pantaloni color crema come capi della sua collezione invernale, la camicia sembrava appartenere al marchio di Willhelmina e la cravatta…
Una Vittorio J?
Sì, quell’uomo sapeva vestirsi bene a quanto pareva.
«Immagino che sappia perché sono qui» dichiarò Wong, sorridendo: «La sua assistente…»
«Immagino che Nathalie le abbia detto che voglio avere azionisti» dichiarò Gabriel, intrecciando le mani davanti a sé: «Non ho intenzione di vendere nessuna azione dell’Agreste Maison e, quando sarà il momento, mio figlio erediterà tutto…»
«Suo figlio non è uno stilista»
«Mia nuora sì, però»
Kun annuì, sorridendo: «Marinette Agreste…» mormorò, sorridendo: «L’ho incontrata proprio oggi all’IMF: una ragazza veramente graziosa e con un talento veramente grande. Un ottimo acquisto, devo dire.»
«Sì, Marinette ha un grande talento…» mormorò Gabriel, assottigliando lo sguardo e sorridendo glaciale: «Ma più di ogni altra cosa, lei e mio figlio si amano e sono contento di ciò» continuò, fissandolo e poi spostando lo sguardo verso la porta dove Nathalie stava aspettando: «Ora se è così cortese da andarsene, monsieur Wong. Avrei del lavoro da finire.»
Il cinese annuì, alzandosi e sorridendo: «Spero che ripensi alla mia offerta, soprattutto considerato il consistente aiuto che…»
«Nathalie, puoi mostrare a monsieur Wong l’uscita?»
«Certamente» dichiarò la donna, aprendo la porta e facendo cenno all’uomo di uscire, osservandolo un attimo dietro le lenti quadrate e seguendolo quando questi si mosse, uscendo dall’ufficio: «Buonasera, signorina Hart» mormorò l’assistente, osservando la donna entrare nell’ufficio di Gabriel e chiudendosi poi la porta dietro di sé.
«La tua assistente mi mette sempre i brividi»
«E’ brava in quel che fa» dichiarò Gabriel, osservando la donna davanti a lui: «Sei venuta a chiedermi per la cena di stasera?»
«Tua moglie è morta» mormorò Willhemina, sbuffando: «Oh, Willie. Mi sono dimenticata di dirti che ho invitato anche Marinette e Adrien. E Felix.»
«Ah, Adrien e Marinette anche? Stamattina non mi ha detto niente.»
«Sicuro che eri tu il supercattivo in famiglia?»
«Sei ancora ai ferri corti con il tuo uomo?»
«Felix non è il mio uomo, è la mia spina nel fianco.»
«Non vedo nessuna differenza.»
«Oh. C’è. Eccome se c’è!»


Wei osservò il campionario di biancheria maschile, ordinatamente piegato sul letto, scuotendo la testa e iniziando a riporre il tutto nel cassetto del comodino: «Ma quante ne ha comprate?» domandò Wayzz, aiutando il suo Portatore e andando poi a controllare la busta del negozio, controllando che non ci fosse altro: «Oh. Questo non penso sia per te…» dichiarò, tirando fuori un impalpabile indumento femminile e mostrandolo al ragazzo.
Il giovane prese l’indumento per le spalline sottili, posandoselo poi contro l’addome e sorridendo al kwami: «Come mi sta?» domandò, ridacchiando all’espressione confusa del kwami; Wei si buttò sulla spalla la sottoveste, una di quelle che Lila indossava sempre per andare a dormire o distrarlo da qualche danno che aveva fatto, mettendosi alla ricerca della giovane e trovandola in salotto, completamente assorbita nell’operazione di darsi lo smalto ai piedi: «Lila?»
L’italiana alzò il capo, osservandolo in attesa, mentre lui prendeva l’indumento e lo spiegava davanti a sé: «Questo non è per me, vero?»
«Definisci per te, cucciolo» dichiarò Lila, ritornando alla sua operazione, mentre lui attraversava la stanza e le si parava accanto: «Non è per me, nel senso che non lo devo indossare io?»
«Esattamente.»
«Ma è per me perché sarai un bello spettacolo con solo questa addosso.»
«Solo quella?»
«Solo questa.»
Vooxi sbuffò, alzando il musetto dal libro di Harry Potter, che stava rileggendo, e fissò i due umani: «Io pretendo una casa tutta mia» dichiarò, voltandosi verso Wayzz e fissandolo: «Vorrei un po’ di aiuto in questi casi.»
«Possiamo andare sul terrazzo?»
«Wayzz è molto più saggio di te, Vooxi» sentenziò l’italiana, facendo la linguaccia al suo kwami e notando il suo cellulare vibrare: «Non rispondere» ordinò, bloccando Wei, mentre stava allungando verso l’apparecchio.
«Lila, è tua madre»
«Lo so. Vorrà sicuramente invitarmi a una nuova sessione di shopping e…» Lila si voltò verso di lui, scuotendo la testa: «…io impazzirò se devo stare un’intera giornata con lei.»
«Lila…»
«Le risponderò. Prima o poi.»
«Lila…»
«Lo farò, davvero. Ma non oggi. Ti prego, non oggi.»
«D’accordo.»


«Mamma mi ha mandato un messaggio» dichiarò Adrien, facendo voltare la ragazza verso di lui mentre si sistemava nel posto davanti a lei: «Ah. Ci aveva invitato a cena…»
«Per quando?»
«Stasera» dichiarò Adrien, digitando velocemente la risposta e prendendo il menù del ristorante: «Certo, avvisasse un po’ prima…»
«Possiamo andare…»
«Ci sono anche Felix e Willie. Non ho voglia di trovarmi in mezzo al tiro al bersaglio» Marinette sorrise, voltandosi poi verso l’ampia vetrata della piattaforma che, ancorata alla riva del fiume, permetteva di pranzare e cenare con una meravigliosa vista sulla Senna: «E poi tua madre ci ha invitato dopodomani, no? Li vedremo tutti e quattro assieme.»
«Non pensavo che fossi il classico tipo che, una volta lasciato il nido, non ci saresti voluto tornare nemmeno per sbaglio…»
«Voglio bene ai miei genitori, Marinette, ma sinceramente voglio passare più tempo possibile con te» dichiarò il ragazzo, facendole l’occhiolino da sopra il menu e tornando alla lettura dei piatti: «Ah, ti ricordi che avevo preso la patente, l’estate scorsa?»
«Sì»
«Stavo pensando di prendermi qualcosa…»
«Una macchina?»
«Una moto, in verità.»
«Una moto?»
«La pelle nera mi sta divinamente.»
«Sei sicuro?»
«Sì.» assentì il biondo, sorridendole: «Un ragazzo che frequenta la mia facoltà lavora part-time in un negozio e mi farebbe uno sconto. Sia a me che a Rafael…»
«Voi due siete passati dal litigare ogni tre per due all’andare dal parrucchiere assieme»
«Beh, quello lo facevamo anche prima» dichiarò Adrien, ridacchiando: «Sai, quando ci sistemano per le sfilate o i set…»
«Sì, sì. Hai già scelto il modello?»
«Ne ho visto uno sportivo, nero.  Stavo puntando a quello.»
«Come vuoi…» mormorò Marinette, dando un’occhiata al menu e decidendo cosa prendere: «Nathaniel mi ha detto che si è pentito di non essersi fatto avanti a me…» dichiarò, guardando Adrien mentre, dopo un momento di sorpresa, chiudeva il menu e, preso il tavolo con entrambe le mani, respirò profondamente: «Adrien?»
«Mi sto trattenendo dall’andare a ucciderlo…»
«Sei geloso?» domandò Marinette, allungandosi sul tavolo e sorridendo: «Comunque parlava al passato, penso fosse un ricordare occasioni perse…»
«Ah. Perché ha mai avuto un’occasione?»
«No.» dichiarò la ragazza, tornando al proprio posto: «E poi la professoressa Leroux mi ha presentato uno.»
«Oh. Ma insomma!»
«Un possibile datore di lavoro, a cui ho detto no.»
«Chi era?»
«Un certo Kun Wong: possiede un marchio e mi ha chiesto di lavorare per lui.»
«Tu non andrai più in quella scuola…»
«Adrien.»
«Testa di pomodoro che si fa avanti, Kuncoso che si fa avanti…» bofonchiò il biondo, incrociando le braccia e imbronciandosi: «Ma la vedono la fede al dito o sono ciechi?»
«Ti fidi così poco di me?»
«No, mi fido così poco di loro. E’ differente, mon coeur.»
La ragazza ridacchiò, osservandolo mentre imbronciato, aveva incrociato le braccia: «E’ un vero peccato che io sia completamente persa di un certo ragazzo che mi chiese scusa dandomi un ombrello…»
«Oh. Io pensavo che avessi perso la testa per il mio aspetto affascinante»
«Anche per quello»
«Marinette…»
«Starò attenta, te lo prometto» dichiarò la ragazza, portandosi una ciocca dietro all’orecchio e osservando la cameriera avvicinarsi: «Pronto a ordinare, mon minou?»
«Ovviamente, my lady.»


Manon osservò Hawkmoth balzare in camera sua e, poco dopo, la trasformazione sciogliersi facendo ritornare il giovane eroe a essere semplicemente Thomas Lapierre: «Ok, ammetto che è comodo» dichiarò il ragazzino, guardandosi attorno e cogliendo qualche particolare qua e là: la camera in tonalità pastello e i mobili bianchi, ai muri erano appese foto di Manon con alcune compagne e, in molte, era assieme a Marinette; parecchi peluche occupavano il letto singolo e la libreria era piena di libri e manga: «Uao! Questo lo seguo anch’io!» esclamò, avvicinandosi e prendendo il volume uno di una fumetto, sfogliandolo velocemente: «Non ti facevo tipo da manga sportivi, però.»
«Li preferisco: papà mi faceva sempre vedere dei vecchi cartoni animati sul calcio e quindi…» la ragazzina si fermò, osservando Thomas sfogliare interessato il volume, con la fatina – o kwami, come l’avevano corretta più volte – sulla spalla: «Com’è andata?»
«Come al solito: abbiamo combattuto e il nemico è stato sconfitto» dichiarò Thomas, riponendo il volume e voltandosi verso di lei: «Tua madre…»
«Non è mai salita. E’ dovuta andare di corsa allo sede per un’edizione straordinaria.»
«Ottimo.»
«Te l’avevo detto che ti avrei aiutato…» dichiarò Manon, alzandosi in piedi e guardandosi impacciata attorno: «Mh. Ti serve qualcosa?»
«Sto bene, grazie.» dichiarò Thomas, voltandosi poi verso Nooroo: «Tu?»
«Non hai usato il tuo potere speciale, quindi non ho bisogno di mangiare niente.»
«Cosa mangi di solito?»
«Caramelle, signorina.»
«E non una marca qualsiasi» bofonchiò Thomas, sedendosi per terra: «Quelle della Cure Gourmande.»
«Oh…» mormorò Manon, sistemandosi davanti al ragazzino e annuendo con la testa: «Quindi, quella volta che ti ho incontrato in quel negozio…»
«Stavo comprando le caramelle per Nooroo» spiegò Thomas, indicando il kwami: «Ero diventato da poco Hawkmoth e avevo bisogno di fare rifornimento.»
«Ne comprerò un po’»
«Cosa?»
«Da tenere con me, se…» Manon scosse la testa, sorridendo: «….beh, in caso di emergenza.»
«Ok.» mormorò Thomas, annuendo: «Grazie, Manon.»


Avrebbe ucciso i coniugi Agreste.
Avrebbe chiesto a Thomas di akumatizzarla, poi avrebbe creato Marshmallow e avrebbe imposto le peggio torture a Sophie e Gabriel.
«Dal tuo sguardo posso dedurre che i tuoi pensieri sono un tantinello violenti…» dichiarò Felix, ondeggiando il liquido ambrato nel bicchiere e abbozzando un sorriso: «E’ così terrificante stare da sola con me?»
«Sì»
«Andiamo! Hai anche accettato il mio invito a cena, che poi hai rifiutato perché quella piaga del tuo assistente ha dovuto darti del lavoro extra. Ma di solito non è il contrario?»
«Ciò mi ha permesso di rinsavire.»
«Bri…»
«No, niente Bri, Felix.» dichiarò lei, accavallando le gambe e guardandolo male, mentre lui si sistemava sulla poltrona davanti a lei: «Ti ho creduto morto per bene due secoli. Sono andata avanti, sai?»
«Talmente avanti che non hai mai avuto un uomo, vero?»
«Io…»
«Lo so, Bri» dichiarò Felix, ingollando un nuovo sorso di liquore e sorridendole: «Vuoi che ti corteggi come tutti? Lo farò. Vuoi che ti supplichi di riprendermi con te? Metto da parte il mio orgoglio e lo farò. Dimmi quello che vuoi che io faccia e lo farò: ti amo, Bri. E farò qualsiasi cosa per averti.»
«Qualsiasi cosa?»
«Sì.»
«Anche camminare nudo per gli Champs-Elysées?»
«Ne risentirà la mia elezione a sindaco di Parigi ma sì, lo farei. Vuoi che lo faccia?»
Bridgette scosse il capo, poggiandolo poi contro il pugno e fissandolo: «Perché vuoi diventare sindaco? Eri un militare, potevi…»
«Perché potrei dare una mano ai ragazzi in questo modo: Parigi non è più una città sicura da parecchio tempo e questo mondo è completamente impazzito, come sindaco potrei attuare dei piani e permettere che…»
«…che anche chi non sa usare un’arma o non ha le possibilità di proteggersi da solo possa essere al sicuro» finì, per lui, la donna: «Avevi fatto un discorso simile anche quando ti chiesi perché eri diventato un militare.»
«E’ vero. Ci eravamo appena conosciuti…»
«E tu mi guardavi dall’alto in basso, come se fossi…»
«Veramente stavo cercando di guardare dentro la scollatura» bofonchiò Felix, portandosi il bicchiere alle labbra: «Avevi quel vestito così scollato…»
«Cosa?»
«Ehi, se non volevi essere guardata potevi metterti qualcosa di più accollato.»
«Quindi, ogni volta che ci incontravamo e avevi quello sguardo serio, il collo rigido e…»
«Ero bravissimo, vero? Nessuno si è mai accorto di niente»
Bridgette rimase a bocca, scuotendo il capo e lasciandosi andare contro il divano: «Ed io che ho sempre pensato che eri un uomo dalla morale integra…»
«Apprezzare una bella donna e le sue grazie non centra un cavolo con la morale.»


Sophie guardò il marito, mordendosi il labbro inferiore e accostandosi di più alla porta, cercando di carpire il più piccolo suono: «Secondo te come sta andando?»
«Non sento grida disperate o rumore di oggetti lanciati…»
«Quindi bene?»
«Forse l’avrà soffocato con un cuscino.»
«Gabriel!»
«E’ un’ipotesi.»
«E se entrassimo?»
«Tu pensa all’alibi, io nascondo il cadavere.»
«Gabriel, non sei di aiuto.»
«Non voglio essere di aiuto, voglio essere pronto a qualsiasi situazione troveremo oltre questa porta!»
«Gabriel!»

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.198 (Fidipù)
Note: Buon pomeriggio! Ed eccoci qua con un nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3: bene, cosa c'è da dire su questo capitolo? In verità, non ho grandi cose ahimè (e dire che mi diverto tanto quando devo parlare delle ricerche che faccio!) e quindi queste note, per vostra fortuna, saranno veramente brevi. In pratica le finisco qui e vi lascio direttamente al capitolo, non senza ringraziarvi come sempre e vi ricordo che domani verrà aggiornata Scene!
Grazie a tutti voi che leggete, commentate, inserite questa storia in una delle vostre liste e me fra i vostri autori preferiti!
Grazie di tutto cuore!



Thomas sferrò un pugno, storcendo le labbra quando Xiang lo parò senza problemi: «Ricorda» dichiarò la cinese, stringendo la presa sulla mano del ragazzino: «Devi agire, non reagire: non lasciare all’avversario il controllo del combattimento, ma prendilo. Detta i tuoi tempi…» Xiang lasciò andare la mano dell’amico, facendo un passo indietro e mettendosi in posizione di difesa: «Ora attaccami e prendi il possesso del combattimento.»
«Fosse facile…» mormorò Thomas, studiando la postura dell’avversaria: mise in avanti il piede sinistro, sferrando contemporaneamente un colpo con il pugno destro, venendo bloccato da Xiang; il ragazzino ruotò leggermente il fianco, calciando con la gamba destra e sbuffando, quando la cinese lo fermò nuovamente.
«Cosa ti avevo detto, Thomas? Devi prendere il controllo del combattimento.»
«Ma non so farlo!»
«Questo perché tu reagisci a me e non agisci!»
Il giovane sbuffò, muovendo leggermente il fianco e inducendo l’altra a mollare la presa sulla caviglia:  «Non capisco.»
Xiang sorrise, lasciando la presa e osservando il suo allievo poggiare la gamba per terra e sciogliersi un po’ i muscoli: «Come dire…» mormorò la ragazza, voltandosi verso i due che, comodamente seduti sul divano, stavano osservando l’allenamento in religioso silenzio: «Felix?»
L’uomo sospirò, alzandosi in piedi e passandosi una mano fra i capelli biondi: «Quando combatti, Thomas, tu attendi che l’avversario faccia la sua mossa: se Xiang non attacca rimani a osservarla, fino a quando non si effettua il primo colpo e, se da una parte può essere snervante per l’avversario, dall’altra ti metterà sempre in una condizione di svantaggio» spiegò Felix, facendo un cenno con il capo a Xiang e prendendo il suo posto davanti a Thomas: «Anche prima hai studiato Xiang, hai aspettato e poi hai colpito…»
«E non va bene studiare l’avversario?»
«Sì, finché non ti mette in una posizione di svantaggio» dichiarò Felix, guardando Thomas e sorridendo: si spostò in avanti, sferrando un pugno e fermandosi a pochi centimetri dal volto del ragazzino: «Io ti ho studiato ed ho agito»
Thomas, a bocca aperta, annuì: «Non ce la farò mai» mormorò sconsolato, abbassando le spalle e raggiungendo Alex al divano: l’americano abbozzò un sorriso, passandogli la bottiglietta d’acqua e osservandolo bere avidamente: «Marinette e Adrien combattono da un casino di tempo; Lila uguale. Rafael, Sarah e Wei…beh, anche loro…»
«Ognuno di loro ha dovuto iniziare come te, però» dichiarò Alex, posandogli una mano sulla spalla: «E posso garantire che Sarah era tremenda le prime volte che combatteva!»
«Sei all’inizio, Thomas» dichiarò Felix, incrociando le braccia e sorridendo: «E stai già facendo un ottimo lavoro come Portatore»
«Ma…»
«Non pretendere di essere nato pronto, Thomas»
Il ragazzino annuì, abbassando le spalle e chiudendo la bottiglietta: «Dì Ren sta attaccando ed io…»
«Tu hai fatto un ottimo lavoro amico» dichiarò Alex, battendogli una mano fra le scapole: «Insomma, alla tua scuola sei stato un grande: hai reagito subito, mi hai chiamato e abbiamo salvato la situazione»
Thomas annuì con la testa, sorridendo mesto e poi lasciando andare un sospiro lugubre: «Io…»
«Tu sei parte integrante della squadra, amico» lo interruppe Alex, sorridendogli: «Al di là del tuo potere speciale, che permette a Xiang, Willie e me di combattere, tu sei un valido compagno»
«Vorrei solo fare di più…»
«E lo farai.» dichiarò Felix, poggiando una mano sulla spalla del ragazzino: «Ma ciò non significa strafare: continua i tuoi allenamenti con Xiang e a imparare a gestire più campioni – o, come li chiamate voi, akumatizzati – contemporaneamente…» il campanello dell’abitazione, mettendo in allerta il piccolo quartetto: «Aspetti qualcuno?» domandò il biondo, osservando la ragazza scuotere il capo.
«E chi scusa?» chiese Xiang, voltandosi verso Thomas e Alex: «Non saprei per me…»
«Butto lì qualche nome?» domandò Alex, sorridendo: «Marinette, Sarah, Lila, Wei, Rafael, Adrien…E ho solo detto i nostri eroi preferiti! Poi c’è il maestro Fu, Gabriel Agreste, Sophie Agreste…»
«Bridgette...»
«Penso che Bridgette si uccida, prima di venire qui» commentò Alex, sorridendo al biondo e spostandosi verso l’entrata nella sala dove Bo – o forse era Li? Ah no, De. Maledizione, li confondeva sempre! – si stava mettendo da parte per far entrare Willhelmina, con un piccolo trolley con sé: «O forse no. Babbiona del mio cuore!»
«Io vengo a vivere qui» dichiarò la donna, fissando seria il biondo e mettendo da parte il proprio bagaglio: «Non accetto repliche.»
«Bri, forse non te l’hanno detto…» mormorò Felix, avvicinandosi cauto alla donna: «Ma prima di andare a convivere ci sono alcune tappe da fare…»
«Chi ha parlato di convivenza?» domandò la donna, fissando l’altro: «Io voglio solo un posto dove nascondermi»
«E perché?»
«Kun Wong» Felix sorrise a quelle parole, voltandosi verso Alex e Thomas, entrambi negarono con la testa e Willhelmina sbuffò: «Kun Wong. Un cinese malefico che si è messo in testa di comprare una parte sostanziosa delle azioni del mio marchio» borbottò la donna, incrociando le braccia: «E quel genio di Maxime gli ha dato il mio indirizzo, per parlare. Certo, parlare…»
«Thomas…» mormorò Felix, sorridendo al ragazzino: «Akumatizzami.»
«E perché?»
«Devo andare a dire due paroline a questo tipo…»
«Perché no?» dichiarò Alex, sistemandosi meglio sul divano e sorridendo allo sguardo inorridito di Willhelmina: «Che c’è? Non l’ho ancora visto akumatizzare qualcuno! Ti ricordo che io ero nel mio covo, l’ultima volta.»
«Nooroo, trasformarmi» dichiarò Thomas, osservando il kwami venir risucchiato nella spilla, che teneva attaccata alla cintura e sentendo l’energia pervaderlo: ogni volta che si trasformava si sentiva più forte e potente, ne aveva anche parlato con gli altri e con il kwami, scoprendo che era una cosa comune a tutti; quando riaprì gli occhi, era consapevole di non essere più Thomas Lapierre ma Hawkmoth.
Inspirò, afferrando una delle farfalle bianche che erano comparse attorno a lui e la impregnò di energia, avvicinandosi poi a Felix e posandogli la mano sul petto, all’altezza del cuore: «Ah. Niente oggetto?» domandò Alex, osservando la situazione e guardando, alternativamente, Willhelmina e Xiang.
«No, Hawkmoth mette l’akuma direttamente nel cuore» spiegò Willie, osservando Felix venire avvolto da un velo di luce bianca che, si modellò alla forma dell’uomo e poi, dopo aver pulsato un poco, si dissolse: «Ovviamente non potevi che essere un gatto, eh?» domandò, sorridendo alla versione akumatizzata del biondo.
«Sembra un misto fra Papillon e Chat Noir…» mormorò Alex, alzandosi e avvicinandosi a Felix: «Però bianco…»
Felix sorrise, osservandosi le mani guantate di bianco e poi il completo candido che indossava; si sistemò il bastone da passeggio sotto al braccio e si toccò la testa, avvertendo le orecchie feline: «Chiamatemi Chat Blanc» dichiarò, ridacchiando e, presa la coda attaccata alla giacca, divertendosi a rotearla: «Interessante, pensavo di prendere una forma più particolare…»
«Nooroo mi ha spiegato che, di solito, viene assunta la forma con cui una persona si sente più potente: per esempio Sophie Agreste ritorna a essere Pavo e anche Alex…»
«Io divento Mogui.»
«Bri, perché tu…»
«Perché io ritorno a essere Coeur Noir e non Ladybug?» domandò la donna, fissando il volto, in parte coperto da una maschera bianca: Perché mi sento più forte quando sono Coeur, come Ladybug ho fallito su molti fronti e quindi non si può proprio dire che sia la mia forma più potente.»
«Bri…»
«Ho fallito come leader e come guerriera, Felix. E’ inutile dire il contrario, senza contare che ho ceduto al lato oscuro…»
«Ciao, Darth Vader.»
«E sapevo che dire così avrebbe scatenato Alex.» dichiarò la donna, osservando il ragazzo al suo fianco e dandogli una lieve spinta con il fianco: «Ti ho mai detto che sono andata alla prima?»
«Alla prima di quale dei tanti film?»
«Che domande, Alex! Del primo! Quello che adesso è diventato il quarto: ero seduta vicino a Harrison Ford, ti ho detto tutto.»
«Willie, sei appena diventata il mio idolo. Sappi che ti venero! Ti creerò una religione e…» l’americano si fermò, sorridendo: «Aspetta che lo sappia Wayzz!»
«Perché il kwami di Wei? E’ interessato a Star Wars?» domandò Hawkmoth, massaggiandosi la nuca e guardando Xiang : «Tu…»
«Quando abbiamo combattuto contro Maus, c’era uno dei suoi uomini che usava una spada laser ed io gli avevo messo il nome di Sith e…» Alex si fermò, incassando la testa nelle spalle: «Beh, Wayzz si è interessato, ho prestato i film a Wei e abbiamo creato un perfetto fan di Star Wars.»


Marinette sorrise, osservando la piccola libreria e la foto che la ritraeva assieme ai suoi genitori: «Ho sempre adorato quella foto…» commentò Adrien, abbracciandola da dietro e poggiando il mento contro la spalla della ragazza: «Hai un sorriso bellissimo.»
«Marinette ha un sorriso bellissimo e tu dovresti lasciarla un po’» dichiarò Sophie, tirando via Marinette dall’abbraccio del figlio e regalando una linguaccia a quest’ultimo: «Non è vero, Sabine?»
«Oh. Vero! Da quando vi siete sposati non ho più visto mia figlia…» dichiarò la donna, abbassando lo sguardo e fissando intensamente la pancia della ragazza, scuotendo poi il capo.
«Mamma!» esclamò la ragazza, portandosi le mani all’addome e voltandosi, in cerca di aiuto, verso Adrien: «Ma…»
«Oh, insomma! E’ normale sperarci, no?»
«Papà!»
«Sabine, non mettere in imbarazzo…»
«Zitto, Tom! Posso almeno sperarci?»
«Non è un po’ presto?» ribatté la figlia, iniziando poi a farsi aria al volto con la mano e facendo una smorfia alla madre, mentre Sophie andava a stringerla in un abbraccio di conforto.
Adrien ridacchiò, avvicinandosi al padre che, comodamente seduto sul divano dei Dupain, stava addentando uno dei macarons di Tom: «Papà, dovresti dare il buon esempio!» dichiarò il ragazzo, sedendosi accanto a lui e osservandolo mentre masticava lentamente: «Insomma, dici sempre di stare attenti alla linea e roba varia…»
«Io non devo posare.»
«Bella scusa.»
«Sono arrivati gli scatti nuovi, dovresti stare un po’ a dieta. Si vede la pancia.»
«Non ho la pancia! Ho un fisico purrfetto!»
«Non è vero!» dichiarò Marinette, giungendo alle sue spalle e tirando una ciocca bionda: «Vedi cosa succede a mangiare brioches tutte le mattine? Diventerai…»
«Non ho la pancia, dovresti saperlo bene!»
«Marinette, Adrien ha un fisico perfetto» dichiarò Sabine, sorridendo ai due: «E se proprio vogliamo parlare di pance…»
«Giusto, parliamo della tua pancina, mon coeur.»
«Non parliamo della pancia di nessuno!»
«E comunque io stavo scherzando» dichiarò Gabriel, allungandosi e prendendo un altro macaron: «Però, ho notato che Blanche si è un po’ arrotondata. Sai niente?»
«Che dovrei sapere?»
«Ha un uomo? Convive? E’ incinta?»
«Papà, non sono cose che viene a dire a me.»
«E perché dovrebbe venire a dire a te certe cose, mon minou?»
«Sabine! Parliamo della pancia di Marinette…»
«Piantala!»
Sophie ridacchiò, avvicinandosi al consuocero e sorridendo a quest’ultimo: «Mi scuso ancora per quest’improvvisata, immagino non sia stato facile preparare tutto quanto…» mormorò, cercando di rompere il ghiaccio: per quanto con Sabine si fosse trovata subito benissimo, con Tom Dupain aveva ancora qualche problema a parlare.
Cosa che non succedeva a Gabriel, invece.
«Oh, nessun disturbo. Il bello di avere una boulangerie è che hai sempre qualcosa di pronto…beh, per quanto riguarda i dolci.»
«E sono veramente buonissimi: non ho mai visto Gabriel mangiare così tanti macarons come stasera.»
Tom sorrise, massaggiandosi i baffi e spostando l’attenzione su Gabriel Agreste: «E’ cambiato da quando lei è tornata, Sophie» dichiarò il padre di Marinette: «E’ più rilassato e tranquillo. Adrien l’ha portato qua da noi alcune volte, ma aveva sempre un’aria riservata e tesa, che adesso è sparita. Sono contento che lei sia tornata a Parigi.»
«Anche io sono contenta di essere di nuovo qua» mormorò Sophie, sorridendo allo sguardo del marito che, quasi come se si fosse sentito preso in causa, si era spostato su di lei: «E sono stata contenta di trovare mio marito e mio figlio felici…»
«Gabriel è tornato a essere felice dopo che lei è tornata.»
«Grazie, Tom.»


«Ti devo un favore, Wei» dichiarò Rafael, posando l’ultimo scatolone nella camera, che un tempo era stata dei suoi genitori e osservare l’amico fare altrettanto: «Senza di te e Adrien non so quanto ci avrei messo a portare qua tutta la roba di Sarah.»
«Nessun problema» sentenziò il cinese, rialzandosi e osservando la stanza: «Sicuro che ti basta solo questo? Posso…»
«Sarah ha detto che ci penserà lei a sistemare tutto…» dichiarò il moro, alzando le mani: «E non voglio intrometterti! Roba sua!»
«Quello che ho fatto anch’io, quando mi sono trasferito con Lila»
«A proposito, prima stavo parlando con Vooxi e…»
«E l’ho informato che Lila ha ucciso la lavatrice. Di nuovo.» dichiarò il kwami arancio, volando nella stanza e posandosi sulla spalla di Wei: «E, da stamattina, possiamo annoverare nella lista dei caduti anche il frullatore.»
«Quella ragazza è un danno vivente.»
Wei sorrise, massaggiandosi la nuca e lasciando andare un lungo sospiro: «Dovrò di nuovo passare dal negozio, quindi…»
«Amico, sei un santo. Come fai…»
«Come fa a fare cosa, piumino?» domandò Lila, entrando nella stanza con Sarah al seguito: «Allora?»
«A sopportarti? Seriamente, Lila sei una calamità naturale! E conosco Marinette!» dichiarò Rafael, incrociando le braccia: «Ho ancora  difficoltà ad associare la ragazza che scivola sempre con Ladybug.»
«Quello pure io» dichiarò Sarah, accucciandosi e controllando il contenuto di una scatola: «E la vedo trasformarsi ogni volta.»
«A proposito, perché non li hai invitati, piumino?»
«Veramente l’ho fatto, ma Adrien ha detto che aveva già una cena con i loro genitori.»
«Dovremmo rifare un’altra cena, allora.» dichiarò Lila convinta, annuendo: «Con Adrien, Marinette e anche il nostro nerd di fiducia e la sua dolce metà»
«Che ancora non è stata avvisata che è la dolce metà di Alex» sentenziò Rafael, scuotendo la testa e guardando le due: «Giusto per sapere: chi sta controllando che non si carbonizzi niente?»
«Flaffy.»
Il parigino sospirò, alzando la testa verso il soffitto: «Vado a vedere se abbiamo ancora una cena o il signor ‘la cioccolata sta bene su tutto’ ha già cosparso tutto…»
«Il signor…»
«Flaffy è convinto che la cioccolata sia come il prezzemolo e quindi stia bene su tutto.»


«Ho mangiato troppo» sentenziò Adrien, tirando contro di sé Marinette e baciandole la tempia: «Giusto per sapere, principessa, stavi scherzando quando dicevi che sono…»
«Stavo scherzando» dichiarò Marinette, sorridendo: «Il tuo ego si è scalfito dunque?»
«Ah ah ah. Spiritosa.» tirandola nuovamente a sé e mordendole lieve il naso: «Ah, stamattina ho portato i documenti per la moto e, grazie alle mie conoscenze, la prossima settimana l’avrò.»
«Ottimo!»
«Finalmente la finirò di essere scarrozzato dal Gorilla!» sospirò sognante il biondo, facendole l’occhiolino: «Così potrà essere a disposizione tua e di mamma.»
«Beh, io…»
«Ti scarrozzerò io, my lady. Immagino che muori dalla voglia di appolparti a me e…»
«Veramente volevo dire che potevo tranquillamente fare come sempre, esistono delle cose chiamate mezzi pubblici, sai?» sbuffò Marinette, fermandosi e allungandosi verso Adrien, baciandogli la guancia: «Ma penso che ti userò come tassista molto spesso.»
«A tuo completo servizio, principessa» sentenziò Adrien, baciandola e poi voltandosi verso l’ingresso del loro palazzo, aggrottando la fronte quando osservò la figura in attesa davanti alla porta che, accortasi di loro, si avvicinò; tenendo Marinette per mano, la tirò dietro di sé e rimase in allerta, finché la persona misteriosa non fu abbastanza vicina: «Nathaniel Kurtzberg» dichiarò, tenendo lo sguardo sull’ex-compagno di classe.
«Adrien»
«Ciao, Nath» esclamò Marinette, comparendo da dietro il marito e sorridendo al rosso: «Che ci fai qua?»
Nathaniel fece vagare lo sguardo dalla ragazza al biondo e sospirò, scuotendo il capo: «Io…»
«Tu, Kurtzberg?»
«Adrien!»
«Voglio sapere che vuole, tutto qua!»
Il rosso sorrise, scuotendo la testa: «Nulla, passavo di qua e…» negò nuovamente con la testa, infilando le mani in tasca e superandoli: «Ci vediamo a lezione, Marinette»
La ragazza annuì, osservandolo dileguarsi velocemente e poi spostando lo sguardo su Adrien: lo sguardo verde era fisso nella direzione che Nathaniel aveva preso, la mascella era serrata e l’intero corpo era in tensione, quasi fosse pronto a scattare al primo segnale: «Adrien?»
«Non mi piace…»
«E’ stato strano, sì.»
Il biondo scosse la testa, tirando contro di sé la ragazza e circondandola con le braccia: «Voglio che tu stia attenta, Marinette. E anche tu, Tikki. Al primo segnale di stranezza da parte di Nathaniel, ti devi trasformare e contattarmi. Ok?»
«Non penso che…»
«Marinette.»
La  ragazza lo fissò negli occhi, annuendo poi lentamente e carezzandogli la guancia, sorridendo dolce: «D’accordo lo farò.» dichiarò, poggiando poi la testa contro il petto del biondo: «Starò attenta e lo controllerò…»
«Marinette, per favore…»
«Non mi metterò in pericolo, te lo prometto.»


Rafael abbassò il cellulare, osservando i due kwami sul tavolino basso che, a loro volta, ricambiavano lo sguardo: «Niente?» domandò Mikko, volando verso di lui e posandosi sulla mano che teneva stretto il telefono: «L’ultima volta che l’ho visto con Sarah non stava tanto bene, magari è solo andato a dormire presto e…»
«Sicuramente è così, Mikko» sospirò il ragazzo, carezzandole il capino: «Flaffy mi ha detto che i suoi erano morti, quando era a Daitya. I tuoi invece?»
«Stavano bene» dichiarò la kwami, sorridendo: «Erano la classica coppia di genitori che volevano il meglio per i loro figli…»
«Immagino che non abbiano preso bene questa tua scelta.»
«Per niente.»
«Le loro urla si sentivano anche da dove vivevo io» dichiarò Flaffy, agitando la barretta di cioccolata che aveva fra le zampette: «Soprattutto il pianto di tua madre…»
«Flaffy.»
«Piangeva forte, è vero.»
«Di che parlate?» domandò Sarah, balzando sul divano accanto a Rafael e sorridendo ai tre, che si erano zittiti al suo arrivo: «Me ne devo andare forse?»
«Genitori» dichiarò Flaffy, volando in grembo alla ragazza: «Di quanto piangeva la mamma di Mikko quando lei si è offerta e del volume del suo pianto.»
«Io dovrei chiamare mia madre…» mormorò l’americana, spostando lo sguardo nocciola sul ragazzo al suo fianco: «E qualcuno ha detto…»
«Possiamo rimandare a domani la conoscenza della signora Davis? Sono distrutto!»
«Come sei distrutto?»
«Ehi, ho finito di portare la tua roba! Ma quanta ne avevi?»
«Se vuoi me ne vado subito…»
«Prego, la porta è da quella parte!» dichiarò Rafael, sdraiandosi per metà sul divano con un sorriso soddisfatto in volto; aprì un occhio, in tempo per bloccare l’assalto di Sarah e sistemarsi in modo che lei si sdraiasse sopra di lui: «Seriamente, apetta, davvero pensavi che ti avrei lasciato andare?»
«Come dire…»
«Dopo tutta la fatica che ho fatto per portare la tua roba qua?»
«Solamente per questo, ovviamente.»
Rafael sorrise, baciandole la punta del naso e stringendola fra le braccia, mentre lei gli si accoccolava contro: «Ovviamente, apetta» mormorò, passandole le dita fra i capelli, lasciati sciolti: «Ah, come dire, siccome ho già avuto brutte esperienze con i miei gioielli e…»
«Starò attenta quando mi alzo, tranquillo.»
«Nel caso, mi sembra che nel freezer ci sia una confezione di piselli surgelati!»
«Flaffy, niente cioccolata fino al prossimo attacco!»
«Cosa? Ed io che volevo essere di aiuto!»
«Buoni bambini!»


Taowu sorrise mentre, nell’oscurità della stanza, era comodamente seduto sulla poltrona e tamburellava le dita sul bracciolo: il suo piano stava andando bene e si sarebbe avvicinato senza destare sospetti, nel mentre avrebbe anche attaccato a viso scoperto.
Un piccolo turbine di sabbia si animò davanti a lui, assumendo lentamente una forma vagamente femminile: «Andrai tu per prima» ordinò allo spirito di terra, osservandolo inchinarsi davanti a lui e poi scivolare lungo il pavimento, sparendo alla sua vista.
Era il suo turno, stavolta.

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.749 (Fidipù)
Note: Buon lunedì! E buon inizio di settimana! Eccoci qua con un nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3 e...beh, essendo un capitolo un po' di passaggio non che ci sia molto da dire, tranne che qui troverete il gioellino appena preso da Adrien; per le informazioni di servizio, vi comunico che da ieri mi sono fatta una pagina facebook, che potrete trovare a questo indirizzo e dove posterò gli aggiornamenti, informazioni dalla Francia, dal Quantum Universe e dal resto delle mie storie. Beh, se avete facebook e avete voglia di leggere i miei deliri o le ricerche che ho fatto per le varie fanfiction...beh, a voi!
Detto questo, prima dei ringraziamenti, vi lascio al recap degli aggiornamenti di questa settimana: mercoledì ci sarà il nuovo capitolo de La bella e la bestia; giovedì invece è il turno di Laki Maika'i (la nuova storia pokémon!AU), venerdi come di consueto un nuovo aggiornamento di Miraculous Heroes 3 e sabato toccherà a Lemonish.
Come sempre voglio ringraziarvi tutti quanti voi che leggete, commentate, inserite la storia in una delle vostre liste e me fra gli autori preferiti.
Grazie di tutto cuore!



Felix si fermò sulla porta della sala da pranzo, osservando i due esponenti di sesso femminile che stavano tranquillamente facendo colazione assieme: Bridgette si era praticamente impossessata della stanza degli ospiti, fuggendo in questo modo dal magnate cinese – e anche dal proprio assistente, ma Felix aveva ancora un po’ di buon senso ed evitava di dirlo davanti alla donna –, potendo dedicarsi completamente alla realizzazione di nuovi modelli.
Il problema è che, nonostante vivessero praticamente assieme, lei continuava a trattarlo a pesci in faccia.
«Buongiorno, signore» decretò, entrando nella stanza e dirigendosi al suo posto a capotavola: gli piaceva quell’aria da famiglia modello e così si era sempre immaginato la vita con Bridgette…
Certo, prima che la  ritrovasse e lei decidesse di diventare la regina dei ghiacci con la cintura di castità in adamantio.
E stava decisamente passando troppo tempo con quel ragazzino americano, se iniziava a tirar fuori roba dei fumetti.
Bridgette lo fissò, osservandolo mentre Bo gli metteva di fronte la colazione e continuando a tenergli lo sguardo addosso, finché non sbuffò: «Sì, Bri?» domandò, prendendo la tazzina del caffè e bevendone un sorso.
Nero. Bollente. Amaro.
Come piaceva a lui.
«Stavo notando che sei invecchiato…»
«Anche tu» ribatté prontamente il biondo, sogghignando quando lo sguardo blu scuro di Bridgette – i suoi occhi gli avevano sempre ricordato il cielo che cedeva alla notte – si spalancava e diventava inorridito.
«Sono invecchiata?» domandò la donna, voltandosi verso Xiang e ricevendo in cambio un’alzata di spalle, mentre la giovane si rimpinzava come se non mangiasse da secoli.
«Stupido demone cinese, aveva detto che sarei stata eternamente giovane!»
«Bri, dimostri trentacinque anni, massimo massimo quaranta. E ne hai duecento. Direi che sei ancora eternamente giovane. Ma non ce l’avevi uno specchio in tutti questi anni?»
«Sì, e mi parlava» sbottò Bridgette, voltandosi verso Xiang e decretando così la fine della conversazione: volubile come un tempo, sentenziò Felix prendendo il tablet e dando  un’occhiata alle notizie di cronaca, mentre le due donne al tavolo stavano conversando fra di loro.
Le ultime cose che riuscì a captare, prima di immergersi nella lettura di un articolo sul suo rivale politico, furono shopping e moda.
Roba che decisamente non faceva per lui.
Lesse interessato l’intervista che aveva rilasciato André Bourgeois, sospirando di tanto in tanto, notando come l’uomo continuava a marciare sempre sulla solita solfa: Parigi aveva bisogno di innovazione, di cambiamento e di misure che aiutassero quei poveri sette (nove, se contava anche Xiang e il piccolo informatico) a combattere i pericoli che sembravano aver preso di mira la capitale francese.
Forse era il fatto che i Miraculous fossero tutti lì che decretava Parigi un bersaglio con la Tour Eiffel al centro?
Ne avrebbe parlato con Fu.
«Felix!»
Il richiamo di Xiang gli fece alzare lo sguardo dal tablet e notò la ragazza in piedi, con lo zaino sulle spalle che lo fissava: «Io vado» dichiarò la ragazza, abbozzando un sorriso: «Ci vediamo stasera.»
«A stasera» mormorò l’uomo, fissandola mentre usciva velocemente dalla cucina: era cambiata totalmente, da quando aveva conosciuto Alex e il resto della banda, diventando più umana e meno Xiang, non ricordava più la ragazzina con lo sguardo da vecchio, che aveva conosciuto poco dopo il suo arrivo a Shangri-la.
«Sei molto affezionato a lei…» mormorò Bridgette, senza nessun tono di domanda e sorridendo dolcemente: «Xiang mi ha raccontato un po’ di te, quando eri a Shangri-la.»
«Xiang sta prendendo il brutto vizio di Alex.»
«Bello notare come tu conosca da poco Alex, ma sai già alla perfezione i suoi difetti.»
«Non sta mai zitto! Mai!»
«Lo so» dichiarò la donna, ridacchiando: «Quando era Mogui, però, aveva i suoi momenti di pausa.»
«Dovrò chiedere a Thomas di akumatizzarlo, allora» dichiarò il biondo, abbassando di nuovo lo sguardo sul tablet e sospirando, riportando poi nuovamente l’attenzione sulla donna: «Tu hai in mente di rimanere qui anche oggi?»
«Se intendi che lavorerò nel tuo salotto…» Bridgette si fermò, sorridendo: «Sì, ho in mente di rimanere anche oggi.»
«Quindi da stasera posso considerare la mia camera degli ospiti libera?»
«Quella sarà libera appena Kun Wong se ne tornerà in Cina a mangiare involtini primavera»
«O quando…»
«Nei tuoi sogni, Felix.»
«Sei impossibile, Bri.»
«Grazie, sono lieta che te ne sia accorto. Ho messo veramente molto impegno nel diventarlo» Felix la fissò, scuotendo poi il capo e tornando a fissare il tablet: «Problemi?» gli domandò Bridgette, osservando lo sguardo celeste posarsi nuovamente su di lei: «Sai, quando sei preoccupato ti si formano delle rughette attorno agli occhi…»
«Bourgeois è uno stupido, che non capisce assolutamente niente e preferisce nascondersi piuttosto che affrontare i problemi…» sbottò, indicando con un gesto stizzito il tablet: «E sembra che i cittadini non lo capiscono, dato che non ho ancora una percentuale sufficiente nelle proiezioni per farmi capire che vincerò le elezioni e se quel tipo dovesse di nuovo essere sindaco…»
«Non tutti sono come te, Felix. Certa gente non sa affrontare…»
«André Bourgeois non ha le palle, francamente parlando» sbottò Felix, accorgendosi poi di come aveva parlato di fronte a una signora e chinando lievemente il capo: «Pardon, non volevo…»
«Salve, sergente Norton. E’ da tanto che non ci vediamo.»
«Bri…»
«Sono certa che i parigini capiranno cosa è meglio per la loro città» dichiarò la donna, allungando una mano e posandola sopra quella del biondo: «E non lo dico perché mi stai offrendo un rifugio, finché il cinese rompiscatole non se ne andrà...»
«Potrei offrirti molto di più, devi solo dirmi di sì» dichiarò l’uomo, alzandosi di scatto e chinandosi verso di lei: «Questa è tutta una farsa a cui vuoi giocare» mormorò, abbassandosi e sentendo il respiro affrettato di lei contro la pelle del volto: «Bri…»
«Fu mi ha scelto come suo successore e…»
 
«Non è scritto da nessuna parte che il Gran Guardiano non possa avere relazioni.»
«Io…»
Felix le sfiorò le labbra con le proprie e sorridendo quando sentì il suo respiro affrettato: «Puoi fare la difficile quanto ti pare, Bri, ma sappiamo entrambi come andrà a finire» decretò, rialzandosi e sistemandosi la giacca: «Ci vediamo questa sera, tesoro.»


«Scusami se ti ho fatto uscire così presto, Alex» dichiarò Marinette, sedendosi davanti all’amico e osservandolo mentre si beveva il caffè americano che aveva preso: «Ma volevo parlare con te.»
«Ormai è tardi per accorgersi del mio fascino, Marinette cara» dichiarò Alex, sorridendole e abbassando il bicchiere: «Sai che è strano essere in uno Starbucks senza Lila? Sto aspettando di vederla entrare da un momento all’altro.»
«Anche io!» esclamò Marinette, ridacchiando e girando il the che aveva preso: «Alex…»
«Non so niente sui nostri nemici, Marinette.»
La ragazza sospirò, abbassando le mani in grembo e giocherellando con l’orlo del maglione rosa pastello: «Speravo che potevi dirmi qualcosa…» bisbigliò, abbozzando poi un sorriso: «Non è strano che ogni attacco era in un luogo dove uno di noi c’era già? Prima Felix, poi Thomas e per ultima Lila…»
«E’ strano, lo so» mormorò Alex, poggiandosi contro lo schienale della sedia e sospirando: «Pensi che il caro Dì Ren sappia chi siete?»
«Ma allora perché non ci attacca direttamente?»
L’americano sospirò, storcendo le labbra in una smorfia: «La butto lì ma in molti videogames, soprattutto in quelli tattici, molti preferiscono sfiancare il nemico prima di sferrare l’attacco decisivo e forse il nostro caro Dì Ren è uno di quelli: sta spedendo una creatura dietro l’altra, per farvi arrivare allo scontro finale debilitati: stanchi mentalmente dal continuo combattere e anche fisicamente.»
«Ma i Miraculous non ci fanno stancare…» mormorò Marinette, portandosi una mano alle labbra: «Tikki ha detto che è l’energia del Quantum…»
«Beh, il Quantum vi assicura energia e forza, ma non puoi negare il fatto che essere continuamente sotto tensione vi stia stancando mentalmente» mormorò il ragazzo, alzando le spalle: «Non sono uno psicologo, ma non penso faccia bene sentirsi costantemente sotto attacco…»
«Non sapere quando si verrà attaccati.»
«Da chi.»
«O cosa.» Alex sospirò, sorridendo appena: «Vorrei poter fare di più: al momento sto analizzando la visione che ha avuto Rafael, quando avete combattuto contro la Panterona…»
«Potresti chiamarla Yi?»
«E niente. Tutto ciò che ha visto sono stati i Miraculous, con Flaffy abbiamo ipotizzato che la forza congiunta dei vari gioielli potrebbe farla tornare normale ma…» si fermò, ridacchiando: «Preferisco sentire Wayzz prima.»
«Capis…» Marinette si bloccò, sentendo la suoneria del proprio cellulare e recuperando il telefono dalla borsa, storcendo le labbra quando vide il mittente della chiamata: «Nathaniel» bisbigliò, posando l’apparecchio sul tavolo e osservandolo come se da un momento all’altro si trasformasse in qualcosa di mostruoso.
«Non rispondi?»
«Ho paura»
«Uh, la grande Ladybug ha paura» dichiarò Alex, ridacchiando mentre il cellulare smetteva di suonare: «Nathaniel è…»
«Un mio amico.»
«Penso sia qualcosa di più complicato di un semplice amico…» bisbigliò l’americano, sistemandosi gli occhiali: «Nathaniel è Testa di pomodoro, vero?»
«I soprannomi di Adrien sono sempre azzeccati»
«Cos’è? Il signorino si è accorto che è ancora innamorato di te e, ora che sei sposata e felice, torna alla carica? Io dico solo di lasciar scatenare il gatto.»
«Adrien lo farebbe fuori…»
«Appunto. E non lo dico perché Xiang sembra interessata a lui, eh. Assolutamente no.»
«Nathaniel è diventato strano, molto strano.»
«Pensi che…»
«Adrien lo pensa sì, crede che centri qualcosa il nostro nuovo nemico.»
«Vuoi che controlli?»
«Puoi farlo, Alex?»
«Posso tutto, boss.»


Thomas sorrise, osservando Manon seduta nel giardino esterno della scuola: «Ehi, Chamack!» la salutò, avvicinandosi a lei e ricordandosi dopo che era appena uscito da una partita di calcetto: bravo, Thomas. Falle sentire come puzzi…
La ragazzina gli sorrise, mentre lui rimaneva in piedi e la osservava: «Devi forse…»
«Cosa? No, no» mormorò, allungando le mani in avanti e negando con la testa: «Ti avevo visto qua da sola e…»
«E’ uscito il nuovo capitolo di una storia che seguo e…» Manon gli mostrò il cellulare, sorridendo: «Sono certa che, se fossi rimasta in classe, Noèmie mi avrebbe presa in giro, quindi sono venuta a leggerlo fuori.»
«Anche l’altra volta avevi parlato di una certa Noèmie…»
«Tu conosci Marinette, vero?»
«Sì»
«Ecco, Noèmie è la mia Chloé Bourgeois» spiegò Manon, abbozzando un sorriso mesto: «Solo che io non sono coraggiosa e forte come Marinette.»
«Ah no? Io direi il contrario.» dichiarò Thomas, incrociando le braccia e ridacchiando: «Insomma, mi hai affrontato a testa alta, praticamente da quando ci conosciamo.»
«Io non…»
«Andiamo, Chamack. Quando hai scoperto…»
«Volevo aiutarti» borbottò la ragazzina, abbassando lo sguardo sullo schermo e mordendosi il labbro inferiore, sentendo le guance andarle a fuoco; rialzò la testa, quando vide l’ombra di Thomas coprirle il cellulare, e l’osservò mentre fissava interessato quello che stava leggendo.
«E’ un libro?»
«Una fanfiction» bisbigliò Manon, facendogli spazio sulla panchina e abbozzando un sorriso: «Vedi, ci sono delle persone che scrivono su...beh, praticamente tutto. E questa è sulla mia coppia preferita del manga che sto leggendo ora e…»
«Forte!»
«E quest’autrice…beh, è fenomenale! Ogni volta che posta un capitolo lo divoro e…»
«Uao. Non sapevo di tutto questo» mormorò Thomas, ridacchiando: «Ci sono anche sui videogiochi?»
«Certamente! Anime, manga, videogiochi, telefilm, persone famose…»
«Scrivono storie sulle persone famose?»
«Qualcuno sì.»
«Quindi pensi che qualcuno abbia scritto anche sugli eroi di Parigi?»
«Qualcosa c’è, principalmente su Ladybug e Chat Noir. Sono storie romantiche, ecco.»
«Beh, penso sia normale, dato che stanno insieme…»
«Stanno davvero insieme?»
«Sì, sì. E poi Volpina e Tortoise sono una coppia. E anche Peacock e Bee» dichiarò Thomas, incrociando le braccia: «In pratica l’unico single sono io.»
«Capisco» mormorò Manon, abbassando lo sguardo sullo schermo e sorridendo: «E non ti piace nessuna al momento?»
«E’ carina Joelle Pape.»
«Quindi sei innamorato di Joelle?»
«Cosa? No!»
«Rinunciaci, Chamack» dichiarò Jérèmie avvicinandosi ai due e ridacchiando: «Questo tonto ha un unico pensiero fisso in mente ed è entrare nel Paris St. Germain. Ovviamente se salti gli allenamenti come l’altro giorno, lo sogni il Paris.»
«Avevo da fare…»
«Avevi da fare…»
«Sì, problemi?»
Jérèmie sorrise, sporgendosi e osservando il cellulare di Manon: «Cosa leggi?» domandò, osservando poi la ragazzina in volto e sorridendo: «Sembra interessante…»
«Una fanfiction!» dichiarò orgoglioso Thomas, portandosi su di sé l’attenzione dell’amico: «Sai che sono…»
«So cosa sono, tonto. Mia sorella le scrive e, purtroppo, io sono quello che deve sempre ascoltare i suoi sproloqui.»
«Ah. Davvero?»
«Già. Davvero.»
«Sei proprio tonto.»
«Ehi, Chamack! Pensa a leggere e non intrometterti nei discorsi fra uomini.»
«Ah, perché questi sono discorsi fra uomini?»
«Secondo la mentalità tonta di Thomas…» dichiarò Jérèmie, fermandosi e ridacchiando: «…sì!»
«Ma prego, infierite tutti contro me!»
«Ovviamente, amico.»
«Ovviamente, Lapierre.»
«Vi odio. Entrambi.»



Marinette sospirò, mentre usciva dalla scuola e osservava la lista di libri di marketing, che le era stata data per il corso che avrebbe iniziato: poteva capire che la preparavano a ogni aspetto della sua futura professione ma poteva dire, con assoluta certezza, che già dai titoli dei testi avrebbe capito poco o niente di quello che c’era scritto.
Non bastava Dì Ren da combattere e Nathaniel da evitare per il suo strano comportamento.
No, adesso ci si metteva anche la professoressa del corso di marketing.
Un lungo sospiro lugubre le scivolò dalle labbra, mentre piegava in due il foglio e lo riponeva nella borsetta: «Sentirò Adrien» mormorò, sotto lo sguardo divertito di Tikki: «In fondo questa è roba di sua competenza, no?»
«Se lo dici tu» dichiarò Tikki, sorridendo: «Sei cambiata: un tempo…»
«Un tempo avrei fatto tutto da sola, lo so» sentenziò la mora, guardando la strada in entrambe le direzioni e decidendo di dirigersi verso nord, passeggiando così lungo la Senna: «Ma a cosa servirebbe Adrien, altrimenti?»
«Mh. Vediamo» mormorò la kwami, stando al gioco: «In verità ci sarebbero parecchi utilizzi di quel ragazzo!»
«E’ vero» ridacchiò Marinette, alzando la mano sinistra e osservando l’anulare a cui portava i due anelli: quello di fidanzamento e la fede nuziale, chiudendo poi le dita e portandosi il pugno alle labbra, sorridendo: «Hai presente la sensazione di vivere in un sogno e temi che, prima o poi, ti svegli e tutto sarà svanito?»
«Tranquilla, Marinette. Questa è la realtà» dichiarò la kwami, intuendo ciò che la ragazza aveva in mente: «Non…» s’interruppe, voltandosi indietro e nascondendosi nella borsa: Marinette osservò il comportamento dello spiritello, girandosi anche lei e notando il motociclista, completamente vestito di nero, a bordo di un veicolo scuro e fermo poco distante da lei.
Il tipo alzò una mano, salutandola e, facendo rombare il motore, scivolò per il pezzo che li separavano; Marinette inspirò profondamente, stringendo la cinghia della borsa, guardandosi poi attorno e notando che non c’era assolutamente nessuno a cui chiedere aiuto.
Fantastico!
La sua solita sfortuna!
«Ehi, splendore. Sembri pronta a uccidermi…» dichiarò la voce del motociclista, leggermente mascherata dal casco, ma non per questo irriconoscibile: «Marinette?» domandò Adrien, alzandosi la visiera del casco e sorridendole: «Non mi avevi riconosciuto?»
«Adrien?»
«E chi altri?» domandò il biondo, sistemandosi meglio in equilibrio sul motore: «Beh, che ne dici? Una meraviglia, vero? E’ Suzuki GSX-R 125!»
«Io so solo che mi hai fatto prendere un accidente!» sbuffò, fissandolo imbronciata e poi facendo vagare lo sguardo sul giovane vestito di scuro e la moto nera con le rifiniture rosse: «E’ adatta a te…»
«Vero?» domandò giulivo il biondo, dando una lieve pacca al mezzo: «Questa bellezza è una meraviglia! Dovresti sentire come fa le fusa il motore e…» si fermò, alzando il braccio sinistro e mostrandole il casco che teneva appeso: «L’ho appena presa e il mio amico mi ha regalato un casco in omaggio. Vuoi venire a fare un giro? Plagg, l’adora.»
«Plagg non l’adora da quando si è mangiato un moscerino.»
«Così impari a stare a bocca aperta…» sentenziò Adrien, sorridendo: «Vuoi salire, my lady?»
«E’ una fortuna che oggi mi sia messa i jeans, allora.» decretò Marinette, prendendo il casco che Adrien le aveva offerto e sistemandoselo in testa, non senza qualche fatica: «Va bene così?»
«Sei perfetta» dichiarò Adrien, inclinando la testa e studiandola: «Ce la fai a salire senza distruggere te stessa. La moto. Parigi?»
«Ah ah ah. Spiritoso.» bofonchiò Marinette, issandosi sul sellino posteriore e abbracciando il giovane pilota: «Visto?» domandò, sentendo la mano di Adrien posarsi sulla sua: «Dove andiamo?»
«Dove vuole che la porti, principessa?»
Marinette sorrise, stringendosi più forte ad Adrien: «A casa» mormorò, sentendolo carezzarle il dorso della mano: «Voglio andare sul nostro terrazzino a disegnare…»
«Ogni tuo desiderio è un mio ordine, my lady» dichiarò il ragazzo, giocando con l’equilibrio e mettendosi in strada, sentendo la ragazza stringerlo mentre la moto scivolava fra le vie di Parigi.

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.450 (Fidipù)
Note: Ultimo aggiornamento della settimana per quanto riguarda Miraculous Heroes 3 (purtroppo per voi, avete ancora domani con il nuovo capitolo di Lemonish) e torna l'azione con il caro Taotie e la sua creatura, inoltre si scoprono alcune cosette su personaggi vari...insomma, un capitolo un po' pieno. Luogo di parte di questo capitolo è Champ de Mars, un giardino pubblico di Parigi che si trova sulla rive gauche (riva sinistra). È delimitato a nord-ovest dalla Torre Eiffel e a sud-est dall'École militaire; il suo nome deriva dal Campo Marzio romano (e dunque dal dio romano Marte, divinità della guerra) che indicava un'area destinata all'addestramento militare; il giardino è stato teatro di importanti avvenimenti durante la Rivoluzione Francese e ha ospitato anche numerosi esposizioni universali, compresa quella del 1889, in occasione della quale fu innalzata la Tour Eiffel.
Per maggiori informazioni vi rimando poi alla pagina facebook, dove prossimamente farò un articolo anche su questo luogo parigino.
Come sempre, infine, ci tengo a ringraziarvi tutti quanti: grazie a tutti voi che leggete, commentate e inserite questa storia in una delle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!



Chiuse gli occhi, mentre si lasciava andare contro lo schienale della poltrona e la sua mente poteva viaggiare, collegandosi all’essere fatto di aria e vedere ciò che l’altra vedeva: lei stava dormendo nel suo letto e non si era accorta dello spirito che era entrato nell’abitazione, poteva vederla con le ciocche scure che le carezzavano il volto e il respiro tranquillo e regolare; lui la stava tenendo stretta a sé, una mano che le teneva il polso e il volto poggiato contro la spalla, abbracciandola da dietro.
Dormivano entrambi, persi nel mondo dei sogni e incuranti della sua presenza.
Allungò una mano e lo spirito fece lo stesso: voleva toccarla, voleva sentirla sotto le sue dita…
«Che cosa stai facendo?»
La voce del suo signore lo riscosse e Taowu si alzò immediatamente, chinandosi di fronte l’uomo che gli aveva donato tutto: «Non vi ho sentito, mio signore» dichiarò, abbassando la testa e non osando alzarla: «Io stavo…» si fermò, inspirando profondamente e sentendo lo sguardo di riprovazione dell’altro su di sé: «Io…»
«Taowu» mormorò Dì Ren, fissandolo dall’alto: «Il giorno in cui ti ho dato i poteri, ti ho anche raccomandato di non usarli e di non farti scoprire.»
«Mi dispiace, mio signore.»
«Se la toccavi tutto sarebbe stato perduto…»
«Vi chiedo perdono.»
«Taowu.»
«Sì, mio signore?»
«Non avevi perso questo sentimento per lei? Non era andato a morire il giorno in cui lei aveva scelto un altro?»
«Io…»
«Tu la vuoi. Posso sentirlo nella tua voce e vederlo nelle tue azioni, ma ciò ti porterà alla rovina» continuò Dì Ren, superandolo e dirigendosi verso la stanza che usava solamente lui, cui aveva dato l’accesso solo a Yi: «Ricordalo, Taowu» dichiarò, prima di chiudere la porta dietro di sé.
Taowu inspirò profondamente, issandosi su e socchiudendo nuovamente gli occhi: immediatamente tornò nella camera da letto e rimase a osservarla, finché non la vide aprire gli occhi e fissare il punto ove era l’essere fatto d’aria; arretrò di un passo, andando a sbattere contro la poltrona e sciogliendo così il legame che aveva con la propria creatura.
L’aveva visto?
Si era accorta di lui?


Marinette si tirò su a sedere, osservando la camera e sentendo Adrien svegliarsi al suo fianco: «Plagg?» domandò il biondo, massaggiandosi il volto e spostando l’attenzione sulla cesta, dove i due kwami stavano dormendo bellamente: «Marinette, che c’è?»
«Mi sentivo osservata…» mormorò la ragazza, scostando le coperte e alzandosi velocemente, sentendo Adrien sbuffare dietro di lei: accese la luce nel corridoio, andando a controllare il suo piccolo studio e il resto della casa. Non c’era nessuno, lo sapeva benissimo, eppure non poteva togliersi di dosso la sensazione di quello sguardo che la stava spiando.
«Marinette, stavi sicuramente sognando» dichiarò Adrien, raggiungendola nel bagno e osservandola, mentre si guardava attorno con le braccia strette attorno al corpo: «Vuoi la tua felpa?» le domandò, avvicinandosi e carezzandole le spalle, lasciate scoperte dalla camicetta da notte, fredde al tatto; sorrise quando lei assentì e corse nella camera da letto, recuperando l’indumento di Marinette.
«Che succede?» domandò assonnato Plagg, fluttuando davanti al ragazzo e seguendolo fino al bagno: «Io te l’avevo detto che tutto quel divertimento avrebbe portato a una bella forma di camembert in forno» dichiarò il kwami, diventando serio quando si accorse che nessuno dei due rispondeva alla battuta: «Che cosa sta…»
«C’era qualcuno, Plagg» dichiarò Marinette, scuotendo la testa e superando il marito, dirigendosi verso la cucina: «Lo so che è una follia, ma ho sentito una presenza» continuò la ragazza, accendendo la luce e controllando anche quella parte della casa, facendo vagare lo sguardo sulla piccola cucina e sulla grande stanza che funzionava da sala e ingresso: «Ho sentito…»
«Calma, principessa» mormorò Adrien, raggiungendola e passandole le mani sulle braccia: «Stavi sicuramente sognando…»
«Adrien…»
«In casa non c’è nessuno e non ci sono segni che indicano il fatto che qualcuno sia entrato» dichiarò il ragazzo, baciandole la fronte: «E poi il sistema di allarme non è entrato in azione, no? Quindi…»
«E se fosse stato qualcosa che non aveva bisogno di entrare?»
«Grazie, Plagg. Io sto cercando di tranquillizzarla e…»
«Le ombre!» esclamò Marinette, voltandosi verso Plagg e osservandolo: «Pensi che sia stata una di quelle?»
«Era un’idea.»
«Che fate tutti alzati?» pigolò Tikki, facendo voltare il trio verso la kwami rossa che, mentre si strusciava gli occhi, li fissava assonnata: «E’ già ora di alzarsi?»
Marinette sorride dolcemente, avvicinandosi alla kwami e prendendola tra le dita: «No, è ancora presto» bisbigliò, voltandosi verso gli altri due e facendo cenno loro di tornare in camera, mormorando poi qualcosa allo spiritello rosso.
Adrien sospirò, spegnendo le luci che Marinette aveva accesso e raggiungendo poi la ragazza a letto: «Sei tranquilla?» le domandò, baciandole la spalla e sistemandosi come era solito, con Marinette fra le sue braccia e il volto nascosto contro il collo di lei.
«Più o meno. Non me lo sono immaginata, Adrien.»
«Lo so, my lady.»
La ragazza inspirò profondamente, chiudendo gli occhi e cercando di dormire nuovamente, anche se poteva sentire ancora lo sguardo sconosciuto su di lei.


Nonostante l’aria frizzante della prima mattina, alcuni turisti coraggiosi si erano già avventurati per Champ de Mars, godendo della bellezza del meraviglioso giardino pubblico dominato dalla Tour Eiffel: la guida fissò il gruppetto, che stava portando a giro per Parigi, e indicò l’imponente struttura di metallo, iniziando a raccontare la storia come sempre faceva ma, quando si accorse che nessuno la stava ascoltando, si voltò verso i turisti e notò come erano interessati a un punto alla sua sinistra.
Si voltò, osservando l’uomo in armatura che, in mezzo alla strada, stava ridendo a voce alta prima di alzare la lancia che teneva in mano: la donna si strinse nel giaccone, osservando un turbine di sabbia e rocce materializzarsi al centro dello spiazzo erboso e dare forma a quella che sembrava, senza ogni ombra di ragionevole dubbio…: «Una sfinge?» esclamò, fissando a bocca aperta la statua di pietra così simile a quella che si poteva trovare nella piana di Giza a parte per la figura femminile che sembrava cavalcare il colosso di pietra.


Alex sbadigliò, armeggiando svogliato con il cellulare e ascoltando distrattamente le conversazioni radio della polizia: furto in Rue du Four…
Ok, ci avrebbero pensato il caro tenente.
Oh, sembrava ci fosse una lite domestica da qualche parte e il marito le stava prendendo di brutto.
Sempre compito di Raincrompix.
Una sfinge era apparsa a Champ de Mars.
Alex si mise sull’attenti, ascoltando la comunicazione fra l’addetto della forza dell’ordine che si trovava sul posto e il centro di comando: alzò lo sguardo, sistemandosi gli occhiali e raggiungendo velocemente le porte della metrò, mentre azionava l’app che l’avrebbe messo in contatto con tutti gli altri, sorridendo all’anziana signora che l’aveva fissato malevola, quando aveva cercato di superarla per mettersi davanti la porta.
Il mezzo si fermò e Alex scese, raggiungendo immediatamente l’uscita e salendo poi verso la superficie: una volta giunto in strada si guardò attorno, storcendo le labbra quando si rese conto che non conosceva quella parte della città.
«Alex, ti prego, no» sospirò la voce di Adrien al suo orecchio, mentre lui cercava di raccapezzarci: dov’era? Maledizione. Dove era sceso?
«Fatto tardi ieri sera, micetto?» domandò divertito Rafael, mentre un borbottio in lontananza confermò la presenza di Sarah: «Beh, li preferisco i nemici mattutini, devo dire.»
«Marinette non mi ha fatto dormire, ieri sera.»
«Cosa avrei fatto io?»
«Oh. Se continua così avremo un mini-boss a breve!» dichiarò Lila, ridacchiando: «Ce lo vedo il pupo – o la pupa – a darci ordini.»
«Mentre voi parlate tranquillamente, vi avviso che c’è una Sfinge a Champ de Mars. Ed io non so dove sono.»
«Come non sai dove sei, Alex?» domandò Sarah, preoccupata: «Vuol dire che…»
«Voglio dire che, appena ho saputo la notizia, sono sceso dalla metrò senza star troppo a guardare a quale fermata ero! E ora non so dove sono!»
«Scusatemi, dovevo liberarmi di Jérèmie. Che mi sono perso?»
«A parte che a breve avremo un mini-boss e abbiamo Alex disperso per Parigi?» precisò Lila, ridacchiando: «Niente di che, Thomas. Ah sì, c’è una Sfinge a Parigi.»
«Una Sfinge sfinge?»
«No, una Sfinge finta.»
«Volete trasformarvi e andare?» sbottò Alex, respirando profondamente: «Io cerco di capire dove sono e vi tengo tutti in contatto.»
«Che succede? C’è un attacco? Serve Marshmallow?»
«Qualcuno mi spiega perché, come e quando il moccioso americano ha infilato un app nel mio cellulare?»
«Io starei a ore ad ascoltare i discorsi che facciamo in queste chiamate di gruppo» ridacchiò Adrien, mentre rumori  diversi giungevano alle orecchie di Alex: «E Felix…»
«Sì?»
«Per caso hai lasciato il tuo cellulare da solo con Alex?»
«Non pensavo che dovevo preoccuparmi della virtù del mio cellulare, oltre quella di Xiang.»
«Perché dovresti preoccuparti della mia virtù?»
«Ehi, sergente Norton. Com’è che ora ti preoccupi tanto della virtù di una povera fanciulla?»
«Oh. Ma io mi sono sempre preoccupato della tua…»
«Vi ricordo che ci sarei anche io collegato» dichiarò Thomas, zittendo Bridgette e Felix: «E non voglio sapere assolutamente niente di virtù perdute.»
«Trasformatevi e andate tutti a Champ de Mars! Subito!»
«E fu così che scoprimmo che il vero capo della baracca era Alex» dichiarò Thomas, sospirando: «Bridgette, Xiang. Dove possiamo trovarci? Così facciamo la cosa delle akuma?»
«Vieni a casa di Felix.»
«Arrivo subito. Il tempo di diventare Hawkmoth!»
«Scusate. Com’è che Bridgette è a casa di Felix?»
«Te lo spiegherò poi, gattino.»
«Tu non spieghi proprio niente, sergente Norton.»
Alex sospirò, massaggiandosi il volto e chiuse la chiamata di gruppo: li avrebbe contattati tutti più tardi, una volta che si fossero trasformati, per il momento aveva solo bisogno del suo fidato Maps per capire in che parte del mondo era.


Chat Noir balzò su uno dei lampioni, osservando l’imponente statua animata che sembrava trovare interessante distruggere tutto ciò che aveva a portata di zampa: «Oh. Io non vorrei dire ma con questa meraviglia, le battute si sprecano!» sentenziò il felino, accucciandosi e sorridendo: «Ehi, bel gattone! Hai perso il tuo gomitolo?» domandò, attirando su di sé l’attenzione della Sfinge e sorridendo.
«Un benvenuto a voi, eroi di Parigi!» tuonò una voce potente maschile e il gruppo portò l’attenzione sull’uomo in armatura ai piedi dell’animale di pietra: «Io mi chiamo Taotie e sono qui per conto del mio signore.»
«Armatura. Maschera. Questo è parente di Mogui» decretò Chat, scivolando a terra e roteando con nonchalance il proprio bastone: «Avrà anche lo stesso odio per gli specchi? Che ne dici, pennuto?»
«Di certo va male a storia. La Sfinge – quel tipo lì, in particolare – si trova in Egitto.»
«Ma Napoleone portò qua molte meraviglie egizie» decretò Taotie, ridendo poi sguaiato: «E a Parigi c’è anche una sfinge.»
«Sì, al Louvre» decretò Peacock, incrociando le braccia al petto: «Non certo a giro per Parigi a distruggere.»
«Sottigliezze»
«Se la lezione di storia è finita, Peacock» mormorò Ladybug, balzando sul lampione vicino a lui: «Potresti gentilmente usare il tuo potere, mentre noi…» si fermò, osservando Marshmallow caricare contro la sfinge e assestarle un pugno in pieno viso, facendola finire a parecchi metri di distanza: «… aiutiamo la creatura di Coeur Noir a tenere occupata la Sfinge.»
Peacock annuì, balzando indietro e chiudendo gli occhi: Ladybug l’osservò, facendo poi un cenno al resto del gruppo e guardando mentre caricavano tutti contro la Sfinge e la colpivano in ogni modo possibile: sfere di energia, fuochi fatui, boomerang e quant’altro venne scagliato contro il colosso mentre lei rimase a proteggere il pavone da un eventuale attacco.
Restò in allerta, osservando un tipo in bianco e dalle orecchie feline – quasi sicuramente Felix Blanchet akumatizzato – ingaggiare invece un duello con il nemico che si era presentato come Taotie: usando il proprio bastone da passeggio come se fosse una spada, parò i fendenti della lancia dell’altro e attaccò poi a sua volta, facendolo indietreggiare fino a toccare la recinzione della fontana che divideva in due la strada: «Allora?» domandò la coccinella, saltando giù dal lampione e osservando Peacock riapre gli occhi: «Visto…»
«Un Lucky Charm interessante questa volta» dichiarò l’eroe in blu, con un’espressione sconvolta in volto: «Alle volte odio il mio potere.»
Ladybug annuì, lanciando in aria il proprio yo-yo e osservando un punteruolo materializzarsi dal nulla: «E cosa dovrei farci?»
«Eh. Sapessi.» mormorò Peacock, prendendolo e correndo poi verso la Sfinge, con la coccinella al seguito: osservò Volpina suonare alcune note e creare delle copie di sé stessa, spedendole in ogni direzioni, mentre Tortoise parava le zampate dell’avversario con il suo scudo, proteggendo così sia sé stesso che il piccolo Hawkmoth dietro di lui.
Chat balzò su un lampione, cercando di saltare sul colosso e raggiungere l’amazzone di pietra ma venendo fermato da una zampa dell’animale; e finalmente Peacock la vide, mentre volava sopra la testa del bestione, pronta a prendere la mira e lanciare un pungiglione contro l’amazzone: «Bee!» esclamò l’eroe, attirando l’attenzione della Portatrice del Miraculous dell’Ape che, lasciando perdere il tutto, gli planò vicino: «Direi che è ora di mettere in pratica quella cosa...» iniziò Peacock, non appena lei gli fu davanti.
Bee spalancò lo sguardo nocciola, fissando per un attimo Ladybug al fianco del ragazzo: «Ne sei certo? Non ti facevo così intraprendente…»
«Cosa? No! Che hai capito?»
L’ape ridacchiò, facendogli l’occhiolino: «Sei tu che parlavi di fare cose, honey» dichiarò, alzando le spalle e sorridendogli dolcemente: «Ho semplicemente pensato…»
«Quello che abbiamo provato in allenamento, Bee.»
«Oh. Quindi fate anche allenamento?»
«Boss, stai troppo tempo con il tuo micio» sbottò Peacock, facendo poi un cenno all’eroina gialla: Bee si dette la spinta per librarsi in aria, effettuando poi un’ampia ruota nel cielo e scese in picchiata, rasentando il terreno con i corpo, afferrò poi l’eroe in blu per una mano e lo tirò su in alto con sé: «Ok, apetta» dichiarò il pavone, piegando il collo all’indietro e sorridendole: «Mollami.»
Bee annuì, lasciandolo andare e l’osservò mentre atterrava sulla schiena della Sfinge: Peacock, cercando di mantenersi in equilibrio sul dorso dell’animale, avanzò verso la parte posteriore con il punteruolo in mano e si voltò indietro, dando una veloce occhiata all’amazzone che cavalcava quell’affare e accertandosi che era troppo presa dal resto del gruppo per notarlo; s’inginocchiò e, alzato l’oggetto creato da Ladybug, usò tutta la sua forza, conficcandolo nel didietro della Sfinge.
L’animale di pietra si dimenò, iniziando a saltellare sulle quattro zampe e Peacock perse l’equilibrio, cadendo nel vuoto ma invece del terreno e del dolore, avvertì solo freddo: riaprì le palpebre, che aveva chiuso nel momento della caduta, e sorrise al muso di Marshmallow: «Grazie, amico» dichiarò, ricevendo un grugnito in cambio: «Chat, l’amazzone! E’ l’anima dell’intero mostro!»
Il felino annuì, facendo poi un cenno a Coeur Noir che, creati alcuni pugnali di ghiaccio, li lanciò a ripetizione contro la figura femminile di pietra che stava cercando di riprendere il controllo della Sfinge; il felino balzò su una zampa che la bestia aveva alzato, agilmente arrivò sulla cima della testa, azionando il proprio potere e posando la mano intrisa di forza distruttrice sulla schiena dell’amazzone.
La figura si sbriciolò sotto di lui e Chat si ritrovò nel vuoto, venendo fortunatamente salvato da Marshmallow, ridacchiando e dando una generosa manata sulla spalla di Peacock: «Bell’idea quella di infilarle qualcosa nel…»
«Finisci quella frase, Chat Noir, e dico a Marshmallow di renderti una frittata di gatto!» tuonò Coeur Noir, indicando il ragazzo comodamente sistemato nella mano del gigante di ghiaccio e correndo poi verso Chat Blanc che, incurante dello scontro appena avvenuto, stava ancora duellando con Taotie: rimase a fissarli, mentre l’uomo in bianco metteva alle strette il nemico fino a che, poggiato ansante alla propria lancia, quest’ultimo guardò male il gruppo di eroi.
«Non è finita qui!» dichiarò Taotie, infilzando il terreno con l’arma e creando un turbine di terra, che lo avvolse: «Non è finita qui!»
«Qualcuno può spiegare a questi cattivi che la sparizione in un turbine è out?» domandò Volpina, tossendo per colpa della polvere: «Tortoise!»
«Che ci posso fare io?»
«Niente! Ma la prossima volta, proteggimi con il tuo scudo.»
«Come la mia signora comanda.»
«Ehi, Torty! Non si rubano le battute!»


Manon sorrise, mentre scartava una caramella per Nooroo e la dava alla fatina, seduto vicino a lei Thomas teneva gli occhi chiusi e la testa riversa all’indietro: «E’ stato così stancante?» domandò la ragazzina, inclinando lieve il capo e vedendo l’altro aprire una palpebra: «Sembri distrutto.»
«Non è che abbia combattuto…» mormorò Thomas, sospirando: «E che akumatizzare più persone assieme è…»
«Lo debilita mentalmente» spiegò Nooroo, addentando il dolcetto: «Questo perché deve collegarsi mentalmente con i propri campioni.»
«Ricordo che quando venni akumatizzata sentivo una voce nella mia testa…»
«Oh. E’ vero. Anche tu sei stata vittima del mio potere» dichiarò il kwami violetto, chinando la testa: «Ti chiedo venia, piccola Manon, il mio precedente Portatore aveva perso la strada e usava il mio potere in maniera errata.»
«Nessun problema, Nooroo. Io ci avevo messo del mio.»
«Perché eri stata akumatizzata?»
«Ah. Ecco…Mh…» il sonoro rumore di uno schiaffo la interruppe: Manon si voltò, osservando una compagna di scuola, dello stesso anno di Thomas, scappare via in lacrime mentre Jérèmie rimaneva immobile al suo posto.
«Quando lo capiranno…» sospirò il ragazzo accanto a lei, osservando anche lui la tipa che fuggiva.
«Capire cosa?»
«Che non avranno mai una speranza con Jérèmie.»
«In effetti l’ho sempre visto rifiutare tutte quelle che si sono dichiarate…»
«Beh, con i gusti che ha…»
«Vuoi dire che…»
«Io non ti ho detto niente, Chamack. Jérèmie ha già parecchi problemi con il padre per questo e…» si fermò, guardandosi attorno: «Non vuole che a scuola si sappia.»
«Sarò muta.»
Thomas le sorrise, annuendo: «Lo so. Mi fido di te.»


Marinette entrò nell’appartamento, accendendo la luce e guardando la stanza che ormai conosceva bene: il divano con il tavolino basso, la televisione, l’arco al di là del quale c’era la cucina, l’enorme porta a vetri che dava sul terrazzo immerso nel verde; poggiò la borsa e chiuse la porta dietro di sé, inspirando profondamente.
Sentiva addosso quella sensazione, nuovamente le pareva di essere osservata anche se non sapeva come ciò fosse possibile.
Scosse il capo, togliendosi la sciarpa dal collo e dirigendosi verso la camera, gettando poi il cappotto sul letto: era sicuramente una suggestione. Doveva essere così.
Prese alcuni abiti che, di solito indossava in casa per stare più comoda, ed andò poi in bagno, decisa a farsi una lunga doccia calda per togliersi la fatica e quell’assurda sensazione; allungò una mano, azionando le manopole dell’acqua e osservando il getto per una buona manciata di minuti, prima di iniziare a spogliarsi.
Non c’era assolutamente nessuno.
Non c’era nessuno.
Se lo ripeté come un mantra, entrando nella cabina doccia e chiudendo la porta dietro di sé, non facendo caso all’asciugamano, poggiato sul lavabo, che si mosse appena.


Yi osservò l’uomo per terra, mentre si teneva dolorante la mano sinistra e quasi avvertì le ombre attorno a sé muoversi: «Mio signore» mormorò, inginocchiandosi di fianco a lui e posandogli una mano sul petto: «Vi state solo facendo male. Dovete smetterla. Kwon, voi…»
«Non dire quel nome» ringhiò l’uomo, inspirando profondamente e lasciando andare il potere che aveva provato a evocare: Kang. Tutta colpa di quel maledetto di Kang.
Non aveva mai capito perché quell’uomo, che tutto vedeva e sapeva, si era lasciato uccidere così facilmente da lui.
Lo aveva saputo che sarebbe stato l’artefice della propria morte, eppure lo aveva accolto nella sua casa.
Poi, il giorno che aveva usato le ombre contro gli uomini di quello stupido tedesco, aveva compreso.
Aveva capito la maledizione che Kang gli aveva imposto con la propria morte, con il proprio sangue.
«Avrei avuto i Miraculous adesso» ringhiò l’uomo, picchiando il pugno sul pavimento: «Se quel maledetto non mi avesse bloccato i poteri.»
Yi lo fissò, posandogli le mani sulle guance e osservandolo in volto: «Hai me. Usami come preferisci, mio signore. Farò tutto ciò che è in mio potere per portarti ciò che desideri.»
«Ho altre pedine, no?» domandò sarcastico l’uomo: «Perché usare te quando posso farlo con loro?»


Il campanello dell’abitazione suonò imperioso e Fu si apprestò ad andare a aprire, trovandosi davanti la sua vecchia compagna d’armi: «Bridgette…» mormorò, facendosi da parte e permettendo a lei di entrare: «Se cerchi Alex, non è…»
«Fu. Io ti devo parlare.»
L’uomo la fissò, annuendo gravemente: «Lo so. Lo immaginavo, Bridgette.»
«Io…»
«Va tutto bene.»
«No, che non va bene.»
«Bridgette, non è scritto da nessuna parte che un Gran Guardiano non possa avere una famiglia e, fidati, ti meriti un po’ di felicità dopo tutto quello che hai passato.»
«Ma…»
«Bridgette, piantala di nasconderti dietro la scusa che sei la mia erede: vai da Felix e sii felice.»
«Grazie, Fu.»
«Sono tuo amico, no?»

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Capitolo 35 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.079 (Fidipù)
Note: Buon lunedì! E una nuova settimana ha nuovamente inizio! Bene, bene. Non abbiamo nemici a questo giro, ma molti fili - due in special modo - verranno tirati: voi l'avete compreso dallo scorso capitolo, i nostri eroi ci arriveranno in questo ma intanto abbiamo l'identità di uno dei Generali di Dì Ren (al secolo Kwon) e se ne svela un altro, rimasto un po' in disparte rispetto a Taowu o agli altri due. E, nel mentre, quando si lascia finalmente andare...
E non mi sembra di aver nient'altro da dire...ah no! Nel gioco ho citato i picross, per chi non lo sapesse, il nome ufficiale è Nonogram oppure Paint by Numbers (dipingere con i numeri) o griddlers, e sono dei rompicapi logici grafici in cui le celle di una griglia devono essere colorate o lasciate in bianco in base a dei numeri a lato della griglia utili a svelare un'immagine nascosta. In questo tipo di rompicapo, il numero indica quante celle consecutive devono essere riempite, o in riga, o in colonna.
E posso affermare che sono una droga, io stessa passo veramente molte ore a risolverli.
Ma passiamo agli aggiornamenti di questa settimana! Mercoledì verrà aggiornata La sirena, giovedì invece sarà il turno di Laki Maika'i e venerdì, come di consueto, ci sarà un nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3. Infine, sabato sarà il turno di Scene.
Come sempre vi ricordo la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati.
Detto ciò, come sempre vi ringrazio tantissimo: grazie a tutti voi che leggete, commentate e inserite questa storia in una delle vostre liste.
E noi ci vediamo al prossimo aggiornamento!



Bridgette sospirò, tamburellando la penna sul blocco e guardando il disegno che aveva appena concluso, cercando così di ignorare l’uomo in piedi dall’altra parte della scrivania: «Sì, Maxime?» domandò, dopo un po’: sapeva benissimo cosa sarebbe successo da quel momento in poi.
Maxime non le avrebbe fatto passare liscia l’ennesima sparizione, soprattutto quando c’era un magnate cinese che voleva comprare parte delle azioni del suo marchio e lui non poteva decidere da solo: «Dove sei stata stavolta? Nuovamente in Tibet?»
«Sono stata via solo per pochi giorni…»
«Dove eri?»
«A casa» pigolò la donna, sorridendo poi alle due parole: casa. Già, era là da pochi giorni ma aveva iniziato a considerare l’appartamento di Felix casa, molto più di quello dove viveva da quando era giunta a Parigi; rituali comunissimi come la colazione avevano assunto una sfumatura differente: chiacchierare con Xiang, tentando di convincerla ad andare a fare shopping assieme, mentre Felix leggeva le notizie sul tablet era diventato uno di quei tanti, piccoli, tasselli che la facevano sentire a casa.
Amata e protetta.
«Non eri a casa. Ci sono passato da casa tua, Willhelmina, e non c’eri» dichiarò Maxime, incrociando le braccia e fissandola serio: «Voglio sapere dove eri: mi sono rotto di non sapere più dove poterti rintracciare o per quanto tempo sarai assente.»
«Lo so, lo so. Ti chiedo scusa, ma…»
«Ma cosa, Willhelmina? Un tempo non eri così! Un tempo pensavi solo ed esclusivamente al tuo lavoro!»
«Forse perché un tempo avevo solo il mio lavoro, Maxime» dichiarò la donna, sfidando il suo assistente con lo sguardo, alzandosi e posando entrambe le mani sulla scrivania: «E’ forse un male che, dopo tanto tempo, io abbia qualcosa all’infuori del marchio Hart?»
«Se questo non ti distrae dal tuo lavoro sì, è un bene» decretò l’uomo, lisciandosi il completo grigio: «Ma, Willie, sei andata in Tibet per parecchi mesi, sei tornata e non sei mai con la testa – e alle volte anche con il corpo – dove devi essere…»
«Io voglio solo disegnare i miei abiti, Maxime.»
«Un tempo volevi fare soldi, Willie» la riprese l’assistente: «E mi piaceva la Willie di quel tempo: faceva il suo lavoro e mi aveva assunto per fare il mio, non anche quello che spettava a lei. Sei cambiata, Willhelmina.»
«Anche tu.»
«Ma non so dirti se in meglio o peggio.»
«Maxime» la donna incrociò le braccia, studiandolo: «Per quanto io abbia sempre accettato i tuoi pensieri, adesso stai andando troppo oltre.»
«Ah. Davvero?»
«Sì, davvero.»
L’uomo assentì, sistemandosi la cravatta e fissandola, prima di voltarle le spalle: «Sulla scrivania c’è l’agenda con i tuoi impegni» dichiarò, superando la porta e chiudendola dietro di sé, sotto lo sguardo di Bridgette: sì, Maxime era cambiato. Era diventato fin troppo sicuro di sé e sembrava che avesse il potere nelle sue mani.
Era successo mentre lei era in Tibet?
O forse aveva sempre sottovalutato il suo assistente?


Manon era intenta a completare gli esercizi di matematica, tanto che non si accorse dell’ombra che si era fermata davanti la sua finestra, almeno fino a quando un lieve bussare non la fece sobbalzare: tirò su la testa dai libri di matematica e vide Hawkmoth al di là del vetro: «E’ successo qualcosa?» domandò, non appena ebbe aperto e lasciato entrare il giovane eroe parigino in camera sua.
«In verità no.»
«E allora…»
«Mia madre è al lavoro e mia sorella ha invitato il suo attuale ragazzo a casa e…» si fermò, sganciando la spilla e ritornando a essere semplicemente Thomas: «…beh, non volevo stare a casa e sentire. Sentire cose.»
«Oh…»
«Non posso andare da Jérèmie e quindi…»si fermò, allungando il collo e osservando i compiti della ragazzina: «Problemi?»
«Un po’.» mormorò Manon, scuotendo il capo: «Penso che prenderò un’altra insufficienza in matematica.»
«Oh. Matematica. Spiacente, faccio schifo anch’io a matematica.»
«Ci avevo quasi sperato…»
Thomas alzò le spalle, abbozzando un sorriso e andando a curiosare nella libreria dell’amica, recuperando alcuni volumi di un manga che non aveva e lo ispirava: «Ah, però se vuoi posso presentarti un mio amico…»
«E’ uno del gruppo di supereroi?»
«Quasi. In ogni caso, ogni tanto mi da una mano con matematica ed è veramente bravo…»
«Pensi che dirà qualcosa?»
«Basterà non dire che tu sai e sarà tutto ok!»
«Vuoi dire che…»
«Non ho ancora avuto il modo di informarli che sei a conoscenza di questa piccola cosa che mi trasformo. Ecco.»
«Thomas!»


Sarah sorrise alla donna al di là dello schermo, muovendo lentamente la mano in segno di saluto: «Ciao, mamma» mormorò, mentre una sua versione più vecchia ricambiava il sorriso di rimando: «Come va?»
«Come sempre, tesoro. Se vuoi ti racconto della mia magnifica mattinata in ospedale!» dichiarò Bethany Davis, spostando un poco il cellulare e inquadrando parte del personale medico: «Salutate la mia bambina!»
Sarah salutò tutti, osservando le facce familiari dei colleghi della madre e anche l’ambiente dell’ospedale dove la donna lavorava: era tutto esattamente come ricordava, quasi come se il tempo si fosse fermato dall’ultima volta che c’era stata.
Mancava solo l’albero di Natale in un angolo e poi era identico.
«Finito il trasloco?»
«Sì.»
«Quindi posso finalmente conoscere la tua coinquilina?»
Lila entrò nello schermo, sorridendo allegramente: «Salve, signora. Sono Lila!» dichiarò allegra, parlando tranquillamente inglese: «Non si preoccupi mi prenderò ottima cura della sua bambina! E con me ci saranno anche Marinette e Xiang!» continuò, prendendo le altre due ragazze per i polsi e tirandole nel raggio della camera:  «Dite good afternoon, ragazze!»
«Mi sembra che sei in buone mani.»
«Lo sono.» dichiarò Sarah, guardando Lila e vedendola con un sorriso zuccheroso in volto: «Allora…»
Bethany sorrise, abbassando poi lo sguardo e sbuffando: «Ah, tesoro. Rimarrei davvero a parlare con te ma la pausa pranzo è finita e devo tornare.» le spiegò, inclinando la testa: «Mi raccomando: comportati bene, studia e...» si fermò, accentuando maggiormente il sorriso: «…la prossima volta vorrei conoscere il ragazzo con cui sei andata a vivere e non la tua finta coinquilina. Ti voglio bene, tesoro.»
«Cavolo!» sbottò Sarah, fissando lo schermo mentre al suo fianco Lila e Marinette ridacchiavano: «Non c’è niente da ridere.»
«Davvero? Pensavi di fregarla così?»
«Ci speravo!»
«Sarah, tu sai mentire esattamente come sa farlo Marinette.» decretò l’italiana, poggiando un fianco contro il tavolo e incrociando le braccia: «Ovvero non sai farlo.»
«Ehi!»
«Marinette, ti voglio bene ma, davvero, anche Xiang è più brava di te a mentire: basta vedere come si era rigirata Alex.»
«Ma, io non volevo rigirare Alex.»
«Di che state parlando?» domandò Alex, entrando nella stanza con una pila di cartoni della pizza fra le mani e dirigendosi verso la cucina, con gli altri tre ragazzi dietro, tutti e quattro interessati alla conversazione: «Allora?»
«Di un meraviglioso paio di stivaletti che ho visto ieri in negozio» iniziò l’italiana, vedendo l’interesse scemare subito nello sguardo dei ragazzi: «Erano in pelle pitonata e avevano dei graziosi
«Scarpe…» mormorò Alex, perdendo completamente ogni attrattiva al discorso fra le ragazze e venendo imitato anche dagli altri tre: «…comprare.»
«Ma che?»
«Se non vuoi che s’interessino a quello che dici…» Lila si piegò verso Marinette, rimasta basita dal comportamento dei ragazzi: «…inizia a parlare di scarpe: con Wei funziona sempre quando gli devo dire degli elettrodomestici difettosi. Questo e poi…beh, ha un certo interesse per i babydoll, soprattutto se me li toglie.»
«Babydoll?» domandò Adrien, alzando la testa e diventando improvvisamente interessato: «Di pizzo?»
«Precisa, per favore» aggiunse Rafael, osservandole una per una: «Che c’è?»
«In questo preciso momento mi sto domandando perché non sono dalla parte di Dì Ren» decretò Lila, sospirando poi pesantemente: «E’ arrivata la pizza?»
«Sia chiaro, nessun commento sulla pizza» borbottò Rafael, iniziando ad aprire i cartoni: «Lo sappiamo tutti che quella italiana è la migliore, ma qui siamo a Parigi quindi accontentati.»
«Fra l’altro siamo andati a prenderla in una trattoria italiana» precisò Adrien, incrociando le braccia: «Quindi…»
«Quindi avrà sicuramente qualcosa che non va» decretò l’italiana, avvicinandosi e studiando le pizze: «Infatti sembra focaccia!»
«Quand’è che mangerai senza lamentarti?»
«Quando, mio caro piumino, qui in Francia capirete che mettere ‘italiano’ sull’insegna non significa cucinare italiano. Semplice.»
«Lila…»
«Perché non lo dici alla controparte americana qua?» domandò Rafael, indicando il ragazzo accanto a lui: «A loro non dici niente?»
«Loro sono il male fatto nazione per quanto riguarda la cucina» sentenziò l’italiana, posando un fianco contro il tavolo e guardando le tre ragazze che stavano sistemando il tavolo: «Ehi, micetto.»
«Che vuoi, volpe?»
«Cos’ha il boss? Sembra stanca.»
Adrien sospirò, finendo di tagliare la pizza e spostò lo sguardo sulla moglie, scuotendo il capo: «Non sta dormendo bene da alcuni giorni…»
«Adrien!»
«Non è colpa mia!»
«Boss non dorme. Gatto perennemente in calore…» buttò lì Rafael, ridacchiando: «E’ normale che facciamo due più due.»
«Dice che sente la presenza di qualcuno che la spia.»
«Uno stalker?»
«Non so dirti, pennuto» Adrien sospirò, incassando la testa nelle spalle: «Io non avverto niente, ma so per certo che le sensazioni di Marinette sono sempre corrette: ricordi la prima volta che sei stata akumatizzata da mio padre?» si fermò e aspettò che l’altra annuisse: «Beh, fu Marinette ad accorgersi di tutto, se fosse stato per me sarei cascato come un idiota nella tua trappola.»
«Ecco perché ho riconosciuto Marinette come mio boss e non tu.»
«In ogni caso, sono caduta anch’io nelle illusioni di Volpina, all’epoca» dichiarò Marinette, introducendosi nella conversazione: «Soprattutto quando scappò portandosi dietro una copia di Adrien…»
«Già, mi hai quasi dato i tuoi orecchini…»
La mora annuì, osservando il gruppo che la fissava a sua volta: «Che c’è? Sto bene, davvero. Sono solo…» si fermò, sospirando: «Stanca dall’inquilino non voluto nel nostro appartamento. Tikki e Plagg pensano sia una delle ombre di Dì Ren e…»
«Sto iniziando a pensare che non possa più utilizzare le ombre» mormorò Xiang, poggiandosi al tavolino con gli avambracci e studiando il contenuto nei cartoni: «Il fatto che stia mandando queste creature di Quantum…»
«Dici che non può più fare il giochetto del ‘appaio dal nulla e vi uccido tutti’?» domandò Alex, annuendo e sbuffando: «Ma perché non ci sono i cattivi di una volta?»
«Perché come erano i cattivi di una volta?» domandò Rafael, scuotendo il capo e tornando a tagliare la pizza in spicchi: «Illuminami.»
«Stile Maus? Arrivano, proclamano in pompa magna che sono cattivi e ci mandano contro i loro scagnozzi.»
«Beh, è quello che fa Dì Ren.»
«Però Dì Ren lavora nell’ombra, usa persone…» Alex si fermò, incrociando le braccia: «Secondo voi il tipo che era con la Sfinge, e anche quella che era apparsa nel negozio di biancheria, chi sono? Creature di Quantum o persone come la Panterona?»
«Vi prego, la potete chiamare in un altro modo?» sbottò Lila, alzando gli occhi al cielo: «Seriamente, Panterona…»
«E’ un signor nomignolo!» decretò Adrien, sghignazzando: «Non so. Xiang, tu che tutto sembri sapere, puoi illuminarci?»
«Penso che siano persone che possiede attraverso il Quantum» spiegò la cinese, inspirando profondamente: «Al vostro matrimonio ce n’era uno.»
«E lo dici solo ora?»
«Me ne ero dimenticata. Perdonate.»
«Al nostro matrimonio…» Adrien si fermò, socchiudendo gli occhi e voltandosi poi verso Marinette e fissandola: «Io l’avevo detto.»
«Sì, l’avevi detto» assentì la ragazza, mordendosi il labbro inferiore: «E spiegherebbe anche il suo assurdo comportamento. Ma perché…»
«Io avevo detto anche un’altra cosa, my lady: non ha superato la cotta che avevi per te e il comportamento assurdo – per citare le tue parole – lo ha esplicitato perfettamente. Non mi stupirebbe fosse lui lo stalker invisibile…»
«Pensi che Dì Ren gli abbia dato un potere che gli permette di…»
«Scusate» Rafael li interruppe, sorridendo affabile: «Potete spiegare anche a noi poveri mortali che non capiamo il vostro linguaggio da coppietta sposata? Grazie, siete gentilissimi.»
«Al nostro matrimonio, la cara Xiang era molto interessata a Nathaniel ed io avevo buttato lì che, magari, poteva essere legato a Dì Ren.» iniziò a spiegare Adrien, voltandosi poi verso la millenaria cinese e ricevendo un cenno affermativo con il capo.
«Quando sono arrivata qui a Parigi, Dì Ren mi ha contattato tramite un ragazzo: aveva i capelli rossi e gli occhi verdi, difficile da dimenticare un simile accostamento e quando l’ho visto…»
«Quindi non ti piace Nathaniel?»
«Alex! E’ una cosa importante! Dì Ren…»
«Sì, sì. Fissavi Testa di Pomodoro perché era legato a Dì Ren, non perché ti piaceva?»
«Sì, lo stavo tenendo d’occhio.»
L’americano sorrise raggiante, voltandosi verso gli altri: «Non le piace Nathaniel» dichiarò contento, indicando la cinese: «Quindi…»
«Alex, non per dirti ma non è che ti ha dichiarato amore eterno.»
«La pianti di distruggermi ogni speranza, Rafael? Non ti considero più il mio migliore amico.»
«Pensavo di esserlo io, Alex.»
«Sarah, abbiamo già fatto questo discorso: Rafael è il mio migliore amico maschio, tu sei la mia migliore amica femmina. Con Rafael posso parlare di cose che con te non posso toccare, tipo come sarebbe stato magnifico farsi…»
«Ho capito. Non continuare.»
«In tutto ciò, penso che abbiamo quasi confermato che Nathaniel è posseduto da Dì Ren, giusto?» domandò Wei, riportando la conversazione nei binari: «E forse è anche lo stalker di Marinette. Non sappiamo i poteri che ha e devo dire che tutta questa situazione non mi piace…»
«Nemmeno a noi, Wei» mormorò Adrien, sbuffando: «Sentite, forse è meglio fare una bella riunione anche con Mister Miyagi, Felix e Bridgette. E i miei anche» sentenziò, indicando il salotto: «Di là abbiamo dei kwami che ci attendono e una dura scelta: che film vediamo?»
«Direi di togliere dalla lista Il signore degli Anelli e Harry Potter» dichiarò Rafael, prendendo due cartoni della pizza e portandoli nel salotto.
«Cosa? Perché?» chiesero in coro Vooxi e Flaffy, volando attorno al moro e disturbandolo mentre cercava di posare tutto sul tavolino basso.
«Perché possiamo vedere solo un film: qualcuno domani deve andare a lezione o a lavorare» spiegò il parigino, scacciando i due kwami con un gesto della mano: «E vedere o l’uno o l’altro sarebbe un torto a uno di voi due.»
«Oh. Vero.» dichiarò Vooxi, mentre Flaffy annuiva e tornava a sedersi fra Mikko e Wayzz: «Quindi che vediamo?»
«The amazing spiderman!»
«Alex, veramente vuoi vedere un film di supereroi con tutti noi?»
«L’alternativa cosa è?»
«Zombie!»
«Sarah, ti prego, basta zombie» sospirò Rafael, sedendosi sul divano e prendendosi il volto fra le mani: «Sei fissata con gli zombie tanto quanto con i drama.»
«Uh. Hai già conosciuto questo lato?» domandò Alex, sghignazzando: «Di solito evita: sai com’è, non è bello far sapere la sua passione per dei tizi che mangiano il cervello.»
«Di solito evita?»
«Ignoralo.»
«Non divaghiamo» sentenziò Lila, fissandoli tutti: «Cosa ci vediamo? Perché la pizza raffredda e non è buona fredda!»
«Zombie?»
«Sarah!»


Qiongqi non amava passare molto tempo assieme agli altri e, proprio per questo, tendeva a stare nella casa del suo signore il meno possibile, oltretutto non sapeva cosa facesse quando non era sé stesso e, quindi, non aveva idea di quanto tempo poteva dedicare all’uomo che l’aveva, in un certo modo, creato.
Chi era la persona che si nascondeva dietro la maschera che indossava?
Chi era veramente lui?
Sospirò, attraversando l’enorme sala e dirigendosi verso la stanza in cui Dì Ren era solito ritirarsi: sapeva che l’accesso era vietato a loro quattro, ma c’era quel gusto di proibito che lo attraeva e gli faceva allungare la mano verso la porta a doppia anta che lo divideva da quel luogo misterioso.
Perché non potevano accedervi?
Perché solo Yi poteva entrare in quelle stanze?
Qiongqi abbassò la maniglia e aprì uno dei due battenti, osservando la stanza deserta: non c’era niente di particolare: pochi mobili d’epoca posizionati contro il muro, un tavolino tondo dominava il centro della stanza assieme a due poltrone; l’uomo si avvicinò a questo, maledicendo lo sferragliare della propria armatura e osservò la scacchiera posta sopra, studiando i vari pezzi bianchi e neri.
Dunque era così?
Dunque era quello il piano di Dì Ren?
Qiongqi si ritrovò a ridere nella solitudine della camera del suo signore, scuotendo il capo e poi ritornando sui suoi passi: non sapeva ancora se avrebbe accettato in silenzio tutto ciò, dichiarò a sé stesso, mentre chiudeva la porta dietro di sé. Forse no, forse sì.
Per il momento si sarebbe limitato a osservare e conoscere i sedicenti eroi di Parigi.
Taotie aveva già presidiato la scena per troppo tempo, tanto che aveva quasi esaurito le creature che il loro signore gli aveva concesso.
Hundun sembrava sparita e Taowu era troppo preso dalla fiamma del suo passato.
Adesso era il suo turno.


Bridgette lasciò cadere la borsa, togliendosi le scarpe con il tacco e lasciando andare un enorme sospiro: casa. Finalmente era a casa.
Li la sorpassò, diretto verso la cucina della casa e lei sorrise: quando era uscita dalla Fondazione Vuitton aveva trovato il cinese ad attenderla, informandola che Felix aveva predisposto che l’accompagnasse ovunque volesse andare; rimase in ascolto, sentendo i fratelli parlottare nella loro lingua natia e poi si mosse, diretta verso il salotto dov’era certa di trovarlo e, infatti, così fu: era seduto con l’onnipresente tablet fra le mani, le gambe stese sul divano, in una posa di completo relax.
Aveva anche abbandonato i classici completi che indossava, per maglietta e pantaloni della tuta.
Si avvicinò silenziosamente, notando come le labbra di lui si erano piegate in un sorrisetto anche se non la degnava di uno sguardo, troppo intento a guardare lo schermo: «Stai giocando?»
«Posso dire che picross è una droga, soprattutto se ti piacciono i puzzle» dichiarò l’uomo, continuando a fissare lo schermo e aggrottando lo sguardo: «Com’è andata al lavoro?» Bridgette rimase in silenzio, sorridendo mentre lo vedeva portarsi una mano al viso e massaggiarsi la mascella, quasi che il gesto lo aiutasse a risolvere il rompicapo: «Bri?» domandò alla fine Felix, voltandosi verso di lei e fissandola in attesa.
Si chinò, posandogli le mani sulle guance e sfiorandogli le labbra con le proprie, assaporando quel sapore che aveva sentito una volta sola e che non aveva mai dimenticato: «Scusami, se ti ho fatto attendere» bisbigliò contro la sua bocca, sentendola piegarsi in un sorriso.
Felix si mosse veloce, felino come il nome che aveva, alzandosi dal divano e prendendola fra le braccia, mentre premeva le labbra contro le sue: «E’ veramente disdicevole far attendere così tanto un uomo, miss Hart» dichiarò, chinandosi e passandole un braccio sotto le gambe, sollevandola poi da terra, attraversando la stanza e dirigendosi verso la propria camera da letto: «Dovrete fare ammenda per il vostro comportamento.»
«Ah, davvero?»
«Sì, davvero.»

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Capitolo 36 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.075 (Fidipù)
Note: Ed eccoci qua con un nuovo capitolo! E in verità non è che ci sia molto da dire: succedono cose, Marinette mostra ancora una volta la forza del suo carattere e...niente, tutto qua. Fine. In vero non ho neanche qualche notizia su Parigi da darvi, dato che in questo capitolo non è che abbia toccato luoghi particolari. Che note misere a questo giro!
Ma va bene, non posso sempre starvi a tormentare con le mie chiacchiere!
Quindi passiamo subito alle noste di servizio, ovvero che domani verrà aggiornata Scene con un nuovo capitolo.
Come sempre per essere sempre aggiornati con i capitoli che verranno postati o avere piccole anteprime dei capitoli, vi rimando alla pagina facebook.
E niente. Non c'è altro da dire.
Quindi, per concludere, come sempre vi ringrazio tutti quanti: grazie a tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste!
Grazie di tutto cuore!



Poteva sentire il respiro lieve contro il collo e questo la faceva sorridere mentre rimaneva immobile, ascoltando il russare sommesso dell’altro occupante del letto e accentuando maggiormente il sorriso, quando lui la strinse più forte: era vero? Stava veramente vivendo tutto ciò?
Lo sentì tirare su con il naso, prima che la stretta attorno ai suoi fianchi si fece più decisa: «Ci siamo svegliati bene, sergente Norton?» domandò, voltandosi leggermente all’indietro e sorridendo all’uomo, che le catturò la bocca con la propria.
«Decisamente sì» dichiarò Felix, posandole le labbra contro la spalla nuda, lasciando andare un sospiro mesto: «E mi piacerebbe anche ampliare questa felicità ma…»
«Il lavoro chiama.»
«Già.» sospirò l’uomo, dandole un secondo bacio e poi alzandosi, completamente a suo agio con la sua nudità: «Tutta colpa di Bourgeois» Bridgette sorrise, tirandosi a sedere e coprendosi con la coperta, strinse le ginocchia con le braccia, fissandolo mentre si preparava per la giornata lavorativa: «Hai in mente di rimanere tutto il giorno a letto, Bri?»
«Sto aspettando che tu te ne vada.»
«Veramente sarebbe tutta roba che ho già visto e rivisto.»
«Felix…»
«Bri.»
«Non mi alzerò, finché non sarai uscito da quella porta.»
L’uomo sbuffò, finendo di annodare la cravatta: «E se me ne vado e poi mi ricordo che ho dimenticato qualcosa?» domandò, incrociando le braccia e sorridendo divertito: «Potrebbe succedere. In fondo ho quasi duecento anni, la vecchiaia inizia a farsi sentire…»
«Ti conviene prendere tutto, perché troverai la porta chiusa a chiave.»
«Donna impossibile.»
«Lo so, e ne vado fiera.»
«Ti aspetto per la colazione» sospirò, avvicinandosi al letto e chinandosi, sfiorandole le labbra con le proprie: «Anche se continuo a pensare che potresti…»
«Vai, Felix.»
«Malvagia.»
«Lo sono stata sì.» dichiarò Bridgette, ridacchiando e vedendolo scuotere la testa bionda, prima di raggiungere velocemente la porta della camera e uscire, mentre lei poggiava il mento sulle ginocchia, facendo vagare lo sguardo per la stanza: era impersonale e anche molto, se non fosse stato per i pochissimi oggetti personali di Felix avrebbe pensato che si trattasse di una camera degli ospiti e non quella del padrone di casa.
In vero, tutta l’abitazione dava un che di casa da catalogo – un po’ come il suo appartamento –, non fosse stato per la vibrante energia che c’era dentro le mura: era quella che faceva la differenza e l’avvertiva nelle voci attutite dalla porta, mentre si alzava e cercava i propri indumenti. Felix doveva aver detto qualcosa di troppo a Xiang, dato che la voce della ragazza risuonava per il corridoio e passi concitati le fecero capire che presto avrebbe avuto compagnia.
La giovane cinese entrò come una furia, sbattendo la porta in faccia a Felix e fissandola: «Non lo sopporto» dichiarò in un modo così bambinesco, che la fece ridacchiare: «Pensa di poter fare le veci di mio padre. Mio padre!»
«Che cosa è successo?»
«Li l’ha avvisato che sono tornata tardi.»
«Ed è una cosa gravissima, sì» dichiarò la donna, ridacchiando e infilando la gonna e la camicia del giorno prima: «Veramente gravissima.»
«Bridgette, ti sento! Non dare ragione alla bambina!»
«Bambina? Ho più anni di tutti voi messi insieme, Felix! E conto anche il maestro Fu.»
«E a parte gli ultimi mesi li hai passati a Shangri-la! Sei una bambina per questo mondo!» sbottò l’uomo, dalla parte dell’uscio: «Xiang, apri la porta.»
«Non posso, Bridgette si sta preparando.»
«Xiang.»
«E tu sei in ritardo.»
«Anche tu.»
«Non ho lezione alla prima ora, te l’ho detto ieri quando mi hai chiamato per assicurarti che la mia virtù fosse indenne.»
«Felix!»
«Ehi, non mi fido del moccioso americano! Maledetto yankee!»
«Cos’è uno yankee?»
«Roba del milleottocento» sospirò Bridgette, abbottonandosi la camicetta e sospirando: «Sergente, vorrei ricordarle in che secolo siamo.»
«Lo so, in che secolo siamo.»
«E vorrei anche ricordarti…» continuò la donna, avvicinandosi alla porta e aprendola con un sorriso zuccheroso in volto: «Che sei in ritardo, caro. Ti ricordi? Bourgeois…»
«Non è finita qui, Xiang. Me ne frego se hai quattromila e passa anni.»
«Felix…»
«Sì, sì. Vado.»
«Buon lavoro, tesoro.»


Lila osservò la madre da sopra il bordo della tazzina, seguendo ogni movimento della donna: «Mi sembra di averti insegnato che è maleducazione fissare intensamente qualcuno» dichiarò Ada, alzando lo sguardo e fissando eloquente la figlia: «Non ti ho certo educata per essere la moglie del primo che passa, cosa che ovviamente hai fatto.»
«Wei ed io non siamo ancora sposati, mamma. Almeno per il momento.»
«Gradirei che non facessi come quella tua amica: diciannove anni. Mi chiedo come…» la donna si fermò, muovendo il cucchiaino nella tazza e sospirando: «Immagino il perché di tale matrimonio, queste ragazze parigine non sanno proprio cosa sia la contraccezione.»
«Per quanto tutti lo desideriamo, sono certa che Marinette – perché la mia amica ha un nome – non sfornerà nessun baby Agreste a breve termine.»
«Hai intenzione di rispondermi così a ogni mio commento?»
Lila poggiò la tazzina, tenendo lo sguardo in quello della madre: «Sì» dichiarò, alzando il mento: «Mi ero domandata cosa ti fosse successo ultimamente, ma noto con dispiacere che sei tornata a essere la solita Ada Rossi che ho conosciuto fin da quando sono nata; detto questo ti informo che non ti permetto di insultare Wei o i miei amici come se tu sapessi tutto, mamma.»
«Tu sei…»
«Leale verso chi mi vuole bene e a cui io ne voglio: Wei è un ragazzo d’oro ed io sono fortunata ad averlo al mio fianco, non ti permetto di considerarlo ‘il primo che passa’; Marinette e Adrien sono persone importanti per me e non ti lascerò infangare così il loro amore: si amano e per questo hanno deciso di sposarsi e vivere assieme.»
Ada strinse le labbra, in quell’espressione così tipica che a Lila sembrò di essere tornata indietro nel tempo, quando le bugie le sfuggivano dalle labbra come se niente fosse: «Sai, ho veramente pensato che fossi cambiata, mamma» mormorò, allungandosi e prendendo la borsetta abbandonata sulla sedia: «Che eri veramente felice per me, perché avevo trovato un ragazzo meraviglioso ma invece…» si fermò, sospirando mentre si alzava in piedi: «Ho capito da chi ho preso il mio talento a mentire.»
Fissò la madre per un secondo, prima di scuotere la testa e andarsene, senza fregarsi di pagare la sua parte di conto: voleva solo andare via da lì e da quella donna che, per l’ennesima volta, l’aveva illusa.
Camminò a testa alta, uscendo dal locale e tirando su con il naso, impedendo a sé stessa di piangere.
Non avrebbe versato una lacrima per quella donna.
«Lila…» la voce di Vooxi la fece sobbalzare e abbassò lo sguardo verso il kwami, che la fissava preoccupato: «Lila…»
«Sto bene» dichiarò la ragazza, sorridendogli e carezzando il capino: «Ci sono abituata. Anzi, sono più allenata ad avere a che fare con lei così, piuttosto che con quella cosa strana che era prima.»
«Vuoi chiamare Wei?» domandò la volpe, mostrandole il cellulare e sorridendole: «Magari gli diciamo di fare scorta di schifezze e stasera ci guardiamo uno di quei film che ti piacciono tanto.»
«Rinunceresti a Harry Potter per me?»
«E’ per una giusta causa.»
«Grazie» mormorò Lila, prendendolo e stringendolo contro di sé: «Ma in verità, tutto ciò che voglio è solo andare a lezione, rompere le scatole ai miei tre idioti preferiti e poi andare a casa, evitare di far saltare qualcosa, cenare con Wei e poi rilassarci sul divano, mentre tu e Wayzz decidete cosa è meglio: se l’ennesima battaglia di Hogwarts o la distruzione della Morte Nera.»
«Sicura?»
«Sicurissima. Voglio solo la mia quotidianità.»


Marinette sistemò alcune scatole di biscotti in vetrina, sobbalzando quando sentire un rumore provenire dal laboratorio della boulangerie e si guardò attorno, avvertendo su di sé lo sguardo di qualcuno: era sola in negozio in quel momento, non c’era nessuno tranne suo padre che stava lavorando a un ordinazione nel retro.
Era sola.
Nessuno la stava spiando.
Eppure non si sentiva così.
Aveva sperato che stare lì, nel negozio dei genitori, la facesse sentire più al sicuro, rispetto che al proprio appartamento vuoto ma non stava andando come aveva progettato; abbassò la testa, osservando le scatole finemente incartate e riprese a sistemarle, mentre la sua mente lavorava alacremente: Nathaniel era senza dubbio sotto l’influsso del nemico. Che poteri gli aveva dato? Che cosa poteva fare? Avrebbe messo in pericolo Adrien?
E se si fosse accorto dei loro kwami?
E se già lo sapeva? In casa loro Plagg e Tikki giravano tranquillamente, non avendo nessuno da cui nascondersi.
E se Nathaniel fosse a conoscenza delle loro identità?
Da quanto tempo la stava spiando?
«Marinette?»
La voce improvvisa la fece sobbalzare e si voltò verso l’ingresso del negozio, trovando Manon e Thomas che la fissavano: «C-ciao» balbettò, regalando un sorriso incerto ai due: «Che fate qua?»
«Manon dice che i biscotti di qui sono i migliori al mondo» bofonchiò Thomas, osservando la merce esposta e sorridendo: «Quindi dato che non ho gli allenamenti oggi…»
«Ma voi due vi conoscete?»
«Andiamo a scuola assieme» mormorò Manon, gettandosi verso di lei e abbracciandola con tutta la forza che aveva, facendo sorridere la ragazza: sapeva già, come Ladybug però, che la ragazzina frequentava la scuola del nuovo acquisto del gruppo, ciò che le pareva strano era che i due si conoscessero così bene.
Però, ora che ci pensava, li aveva visti parlare durante il suo matrimonio…
«Va tutto bene?» le domandò Thomas, sistemandosi lo zaino sulla spalla e fissandola eloquente: «Prima sembravi…non so. Spaventata?»
«E’ vero!» esclamò subito Manon, alzando il viso e fissandola: «Ti è successo qualcosa? Lo so! Qualcuno ti viene dietro, vero? Adrien lo diceva sempre che tu…»
«Tu sei stata troppo tempo con Adrien, quando ti facevo ancora da babysitter.»
«Ehi, eri tu che te lo portavi dietro quando andavamo al parco o da qualche altra parte.»
«Veramente era lui che si univa.»
Manon sghignazzò, lasciando andare la ragazza e, intrecciate le dita, si portò entrambe le mani alla guancia, assumendo un’espressione sognante: «Perché così poteva proteggere sempre la sua principessa» dichiarò sicura di sé: «Mi diceva sempre così, ogni volta che gli domandavo perché veniva con noi.»
«Tipico di Adrien…»
«A proposito dov’è?» domandò Thomas, guardandosi a giro come se da un momento all’altro il biondo potesse apparire da dietro il bancone.
«A lezione e poi aveva un set fotografico.»
«Avere una famiglia richiede molti soldi» dichiarò il ragazzino, incrociando le braccia e annuendo: «Almeno è così che dice mio padre.»
«Ha parlato l’uomo di mondo.»
«Silenziati, mocciosa.»
«Come mi hai chiamato?»
«Mocciosa, perché sei una mocciosa.»
«Che cosa volete, ragazzi? Ci sono i macarons freschi, oppure i biscotti con le gocce di cioccolato, anche quelli sono stati fatti oggi.»
«Biscotti!» esclamarono in coro i due, facendo sospirare Marinette: si diresse dall’altra parte del bancone, prendendo un sacchetto di carta e sistemando all’interno una quantità generosa di biscotti, sapendo benissimo che i due li avrebbero spolverati tutti.
Sorrise soddisfatta e alzò la testa, bloccandosi alla vista del ragazzo al di là della vetrina: completamente vestito di nero, Nathaniel la fissava dall’altra parte del vetro con la testa lievemente inclinata e un sorriso spento sulle labbra.
Era lì.
Lui era lì.
Fece un passo indietro, continuando a fissare la figura del ragazzo e sentendo il cuore batterle forte nel petto: doveva fare qualcosa, doveva…
Avrebbe dovuto trasformarsi? E poi? Che avrebbe fatto?
Non era come uno degli avversari che aveva sempre combattuto? Non era un akumatizzato o un guerriero di Coeur Noir.
Non era uno dei soldati di Maus.
Non era nemmeno una creatura di Quantum.
Era un qualcosa di completamente nuovo per lei.
«Marinette!»
La voce di Thomas la fece trasalire e riportare la realtà, accorgendosi che si era portata una mano all’orecchio destro e le dita le stavano tremando: riportò nuovamente lo sguardo sulla vetrina, accorgendosi che non c’era nessuno, e poi sui due ragazzini che la fissavano sconvolti.
Non andava bene.
Non andava bene per niente.
«Io chiamo Adrien» dichiarò Thomas, prendendo il cellulare e cercando velocemente nella rubrica, mentre Marinette si chinava per raccogliere il sacchetto di biscotti che aveva fatto cadere: doveva reagire, doveva fare qualcosa.
Non poteva andare così.
Non poteva permettere a Dì Ren di abbatterla così facilmente.
Eppure…
Eppure il sorriso di Nathaniel, così spento e sinistro, le aveva fatto veramente paura.


«Fidanzata a ore dieci» dichiarò Adrien, uscendo dalla facoltà con Rafael e indicando Sarah che, sbracciandosi, stava cercando di far notare la sua presenza: «Ciao, Sarah! Sei venuta per assicurarti che il pennuto non alzi troppo la coda?»
«Le tue battute non fanno ridere, gattaccio» sbuffò Rafael, fissandolo male e poi portando l’attenzione sulla ragazza: «Tu non avevi lezione con mio padre?»
«Non si è presentato» dichiarò Sarah, poggiandosi a lui quando Rafael le fece passare un braccio attorno alle spalle: «Ha chiamato la facoltà: non sta bene, Rafael. Per niente.»
Il moro annuì con la testa, sospirando pesantemente: «Prima di andare sul set, vado a vedere a casa sua» dichiarò storcendo le labbra: «Visto che non si degna di rispondere alle mie chiamate: se trovo un cadavere non voglio saperne niente.»
«Non penso sia morto, honey. Oggi ha chiamato in facoltà.»
«Honey? Ti chiama davvero honey?»
«Perché non te ne vai, gattaccio?»
«Perché sto apprendendo tante cose interessanti: che carini che siete, però. Tu la chiami apetta, lei honey.»
«Tu hai dato a Marinette mille soprannomi» sentenziò Rafael, mentre Sarah scuoteva il capo: «Non sei nella posizione di dire nulla.»
Il suono del cellulare fermò Adrien dal dire qualcosa, recuperò il telefono e fissò curioso il mittente della chiamata: «Thomas?» domandò, una volta risposto: «Sì. Cosa? No, ok. Arrivo subito. Sì, certo. No, tranquillo. Hai fatto bene.»
«E’ successo qualcosa?» domandò Rafael, vedendo l’amico improvvisamente preoccupato: «Adrien?»
«Nathaniel si è presentato alla boulangerie dei genitori di Marinette e l’ha spaventata» dichiarò il biondo, prendendo la chiave della moto: «Vado da lei. Puoi dire…»
«Ci penso io con il set, non preoccuparti. Sono certo che tuo padre capirà» sentenziò Rafael, seguendo l’amico fino al suo mezzo: «Adrien, se hai bisogno…»
«Chiamaci immediatamente» dichiarò Sarah, decisa: «E lo posso tranquillamente dire anche a nome di tutti gli altri: Marinette è il nostro capo e non permetterò che una Testa di pomodoro qualsiasi la tratti così.»
«Sarah, mi piaci.»
«Ehi!»
«Tranquillo, pennuto. Sono sposato.»


Il rombo del motore, che conosceva perfettamente, fu rassicurante.
Marinette sorrise, osservando Adrien parcheggiare la moto e dirigersi subito verso la porta del negozio, mentre si toglieva il casco: «Sto bene» dichiarò la ragazza, non appena lo vide entrare: «Thomas non doveva…» non finì la frase, ritrovandosi stretta nell’abbraccio del marito e aggrappandosi a lui: «Sto bene, Adrien. Davvero.»
«Stai bene? Pensi davvero che ci creda?»
Marinette si scostò leggermente da lui, sorridendogli dolcemente e carezzandogli il volto preoccupato: «Io…» iniziò, scuotendo la testa e sospirando: «Non me l’aspettavo, tutto qui. Non pensavo di vederlo così…»
«Sì è fatto audace.»
«Vero.»
Adrien chiuse gli occhi, poggiando la fronte contro quella della ragazza: «Come posso proteggerti, my lady?» le domandò, la voce affranta  e stringendola di più contro di sé: «Io non…»
«Non voglio che tu mi faccia da scudo, Adrien. Abbiamo sempre combattuto assieme e anche questa volta andrà così.»
Adrien sorrise, baciandole la fronte e stringendola contro il suo corpo: «Amo la tua forza» dichiarò, allungando una mano e carezzandole i capelli: «Ogni volta che hai tenuto testa a Chloé o hai dichiarato il tuo intento di proteggere Parigi…» si fermò, scostandosi un poco e guardandola negli occhi: «Mi sono innamorato di più ogni volta.»
«E tu la più avventata.»
«Ehi, in qualcosa devo risaltare» dichiarò Adrien, facendole l’occhiolino e sospirando: «Mi sembra di combattere di nuovo l’Invisible…»
Marinette annuì, illuminandosi poi a ciò che il marito aveva detto: «Adrien, sei un genio!» esclamò, sorridendo e portandosi le mani congiunte alla bocca: «Un vero genio!»
«Ah…» il biondo sorrise impacciato, osservando la ragazza: «…beh, sempre detto che sono geniale.»
«Veramente quella sono io.»
«O-ok. Che ho detto di così geniale?»
«Ti ricordi come abbiamo sconfitto l’Invisible?»
«Con delle biglie?»
«Quello è stato con Antibug.»
«Ah…» Adrien sospirò, scuotendo la testa: «Mh. Un elastico? Un ombrello? Marinette, non lo ricordo.»
«Polvere glitter.»
«Ok. E che facciamo? Glitteriamo Nathaniel?»
«Io sento qualcuno in casa, no?»
«S-sì.»
«Adrien, non balbettare. Quello lo faccio io. Ascolta il piano.»
«Lo sto ascoltando.»
«Dicevo…» Marinette si fermò, annuendo a ciò che stava ideando: «Io sento una presenza in casa, giusto? E se fosse qualcuno di invisibile? Magari come gli altri, anche Nathaniel ha delle creature di Quantum che utilizza, un po’ come quel tipo con la sfinge.»
«E ti ha messo alle calcagna uno stalker invisibile» Adrien si portò una mano al viso, tamburellando le dita sulla guancia: «Ci sta. Sarebbe molto fattibile e immagino come gli rodeva l’anima mentre vedeva in diretta quando ti ho fatto venir…»
«Adrien!»
«Testa di pomodoro sta stalkerando mia moglie, posso avere un po’ di soddisfazione a immaginarmelo mentre s’incavola, osservandomi praticare i miei diritti coniugali?»
«I tuoi diritti coniugali?»
«Sono certo che se lo dico in un altro modo, dirai scandalizzata ‘Adrien’. Ti conosco.»
«Adrien…»
«Ok, ok. Abbiamo uno stalker invisibile in casa e…» il biondo si fermò, sorridendo e annuendo con la testa: «Ho capito il tuo piano, my lady.»
«E…»
«E mi piace» sentenziò Adrien, sorridendo: «Chiamiamo il resto del gruppo?» domandò, poco prima che i loro telefoni suonassero congiunti: «Oppure Alex ci chiama.»
«Nemico?»
«Ci scommetto Plagg.»
«Ehi!» sbottò il kwami, comparendo da sotto il giubbotto: «Perché non scommetti i tuoi gioielli di famiglia?»


«E siamo tutti in linea!» sentenziò allegro Alex, quando vide tutte le icone dei cellulari collegati: «Abbiamo un problemino al Louvre, a quanto pare la nostra babbiona ha lasciato Marshmallow in libertà.»
«Io non ho lasciato proprio nessuno in libertà!»
«Ah. Allora abbiamo Marshmallow 2.0» decretò Alex, storcendo la bocca: «Vedi che succede a creare sempre Marshmallow, Willie? La gente poi ti copia.»
Un borbottio indistinto giunse alle orecchie di Alex, che lo fece sorridere: «Ok. Ragazzi, direi che è il momento degli eroi.»
«Io sono abbastanza vicino» dichiarò Thomas: «Chi vuole essere akumatizzato?»
«Io sicuramente» sentenziò Xiang: «Non so Willie o Felix…»
«Spiacente di non essere dei vostri, ma ho un incontro con il mio partito fra cinque minuti» decretò Felix: «Ma tenetemi aggiornato.»
«Io ci sarò. Sia mai che lascio impunito questo copione.»
«Ci troviamo tutti al Louvre?» domandò Marinette, ricevendo risposte affermative da tutti i componenti del gruppo: «Ottimo. Andiamo a fare il nostro lavoro, gente.»

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Capitolo 37 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.805 (Fidipù)
Note: Buon pomeriggio! E mentre mi sto letteralmente sciogliendo per il caldo (penso sia da tantissimo tempo che non passavo dal dormire con il piumione a passare al lenzuolo e finestra spalancata in pochissimo tempo!), eccomi qua ad aggiornare con il nuovo capitolo: bene, bene, bene! Oggi so torna a parlare di Parigi e, più precisamente, di Place du Carrousel: piazza sita ad occidente del palazzo del Louvre, che deve il suo nome ad una esibizione di equitazione militare, svoltasi in questo luogo al tempo di Luigi XIV il 7 giugno 1662, in occasione della nascita di suo figlio Luigi, il Gran Delfino. L'Arco di Trionfo del Carrousel domina oggi questo luogo, che venne edificato fra il 1806 e il 1808 come ingresso d'onore al Palazzo delle Tuileries. Piccola curiosità: Place du Carrousel è il luogo dove venne ghigliottinata Maria Antonietta.
E adesso passiamo alle info della settimana: mercoledì verrà aggiornata Inori, giovedì sarà il turno di Laki Maika'i e venerdì ci sarà un nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3, mentre sabato sarà la volta di Lemonish.
Come sempre, vi ricordo la pagina facebook per essere sempre aggiornati e ricevere piccole anteprime.
Infine, come al solito, voglio ringraziare tutti voi che leggete, commentate e inserite la mia storia nelle vostre liste.



Jian atterrò su uno dei palazzi che circondavano Place du Carrousel e rimase a osservare il gigante di ghiaccio che si stava accanendo contro un’ala del grande e famoso museo parigino: «Siamo i primi?» domandò, issandosi su e osservando il giovane eroe viola al suo fianco; oltre il ragazzino, completamente in nero, Coeur Noir fissava astiosa il nemico.
«A quanto sembra…» commentò Hawkmoth, mettendo mano ai due boomerang e posizionandosi pronto all’attacco: «Iniziamo?»
«Ehi, mocciosetto» ghignò la voce di Chat Noir alle sue spalle: «Non aspetti la cavalleria?»
«Siete voi che siete in ritardo» sentenziò l’eroe della farfalla con un sorrisetto in volto: «Ma posso immaginare: avete una certa età e inizia a farsi sentire.»
«Segnare sulla lista di cose da fare: uccidere Hawkmoth» dichiarò Chat, prendendo il suo bastone roteandolo mentre, accanto a lui, Ladybug sospirava e scuoteva il capo.
La coccinella si avvicinò al bordo del tetto, sentendo i rumori degli arrivi degli altri alle sue spalle, mentre teneva lo sguardo sul colosso di ghiaccio: «Mi sembra di esser tornata indietro nel tempo…» commentò con un sorriso, voltandosi verso Coeur Noir: «E’ stato il tuo esordio a Parigi, no?»
La donna sbuffò, incrociando le braccia e fissando il golem di ghiaccio: «Marshmallow è più carino» sentenziò con un sorrisetto in volto: «Allora, Portatrice del Miraculous della Coccinella, qual è il tuo piano?»
Ladybug rimase in silenzio, osservando il colosso di ghiaccio e poi spostando l’attenzione sulla figura umana che, in precario equilibrio, si ergeva sopra la piramide di vetro: «Quello dev’essere uno dei sottoposti di Dì Ren» mormorò, indicando la persona: «Tortoise, Volpina, Bee! Occupatevi delle persone che non si sono ancora messe in salvo» ordinò, osservando l’eroe verde superarla e balzare nel vuoto, mentre le due ragazze lo seguivano librandosi nel cielo: «Coeur Noir, Jian. Voi occupatevi del nostro ospite e niente Marshamallow, un gigante di ghiaccio è più che sufficiente per questo posto. Chat, Peacock e Hawkmoth, noi quattro invece abbiamo un gigante di ghiaccio da scalare.»
«Non servono le mie visioni?»
«Ho già una mezza idea su come batterlo» dichiarò Ladybug sorridente: «E poi voglio preservare il tuo potere per dopo.»
«Dopo?»
«Tutto ti sarà spiegato a tempo debito, pennuto» dichiarò Chat, posandogli una mano sulla spalla e ghignando: «Diciamo, che dobbiamo fare una disinfestazione in casa nostra»
«Continuo a non capire…»
«Dopo, dopo» sentenziò il felino, allontanandosi dall’amico e stirandosi i muscoli: «Bene, andiamo a tritare un po’ di ghiaccio!» dichiarò l’eroe in nero, saltando giù dal tetto e usando il bastone come appoggio per raggiungere un punto più lontano del piazzale, mettendosi poi con le mani sui fianchi a osservare il bestione di ghiaccio.
Peacock sospirò, usando Hawkmoth come appoggio e rimase a osservare l’altro: «Ma se non andiamo, rimarrà lì per tutto il tempo?» domandò, inclinando la testa alla parte opposta: «Oppure sta cercando qualche frase idiota da dire?»
«Ehi, bel ghiacciolone!»
«Stava cercando qualcosa di idiota da dire» sentenziò Ladybug, sorridendo dolcemente: «E’ così carino, non trovate?» domandò, voltandosi verso i due compagni e trovandoli con lo sguardo sconvolto: «Andate!» ordinò, indicando perentoria il nemico e fissandoli eseguire immediatamente l’ordine.
La ragazza sospirò, dando un’occhiata generale alla situazione: Jian aveva ingaggiato un duello con il sottoposto di Dì Ren – o, almeno, credeva fosse un sottoposto –, aiutata da Coeur Noir che lanciava dardi di ghiaccio ed entrambe stavano costringendo l’altro ad arretrare a ogni passo; il bestione di ghiaccio era impegnato da Chat, Hawkmoth e Peacock in una versione di acchiapparello leggermente più distruttiva di quanto conosceva e ciò rendeva più difficoltoso il lavoro di Tortoise, Bee e Volpina che stavano aiutando i turisti e il personale del famoso museo a uscire indenne da tutto.
Inspirò profondamente, lanciando in aria il suo yo-yo ed evocando il Lucky Charm, certa che dopo tutto ciò era necessario il potere ripristinatore del suo Miraculous e sorrise, quando si ritrovò fra le mani un piccone, decisamente adatto alle scalate; si guardò attorno, prendendo la mira e lanciando lo yo-yo verso una delle decorazioni dell’edificio davanti a lei e, usandolo come perno, si slanciò nel vuoto, atterrando sulla spalla del gigante: «Fai un po’ di rodeo, my lady?» le domandò Chat, balzando sul tetto: «Certo, devo dire che ti manca il completino da cowgirl sexy e questo è tutto tranne che un toro…» il biondo si fermò, scuotendo il capo: «…ma potremmo rimediare a casa, nella nostra camera.»
«Sinceramente, non voglio sapere» dichiarò Hawkmoth, lanciando un boomerang e impedendo così al bestione di prendere la ragazza che, non senza qualche fatica, era giunta fino alla testa.
«Neanche io» bofonchiò Peacock, balzando all’indietro ed evitando così l’assalto del piede del mostro: «Il piano, boss?»
Ladybug non gli rispose, sfruttando una sporgenza al lato della testa del bestione e aggrovigliandoci il filo dello yo-yo, tenendo poi ben saldo il piccone nell’altra mano si dette la spinta e si arrampicò sopra il cranio, usando la propria arma come se fosse un cavo di sicurezza: «Chat! Non appena lo acceco, usa il tuo potere!»
«Come desideri, my lady!»
La ragazza annuì, scivolando un poco in avanti e arrivando a raggiungere gli occhi del colosso: strinse il piccone, portando indietro il braccio e colpendo con tutta la forza prima un occhio e poi l’altro; il gigante di ghiaccio ululò di terrore, portandosi le mani al volto e iniziando a muoversi parecchio: «Peacock!» urlò Ladybug, in precario equilibrio e, se non fosse stato per il cavo dello yo-yo sarebbe già caduta da tempo.
«Cosa?»
«Prendimi!» ordinò la coccinella, lasciando la presa sul manico del piccone e tirando il filo dello yo-yo, che ritornò completamente in mano sua, nel momento in cui Chat balzò in avanti con la mano impregnata del potere del Cataclisma; l’eroe in blu sbarrò gli occhi, osservando la compagna gettarsi nel vuoto mentre il nemico diventare polvere: allargò le braccia, prendendo la coccinella e rovinando a terra con Ladybug stretta contro: «Bella presa!» esultò la ragazza, tirandosi su e sorridendogli.
«Ehi, pennuto. Giù le zampe da mia moglie» sentenziò Chat, atterrando vicino a loro e fissandoli: «Devo forse ricordarti…»
«E’ lei che è saltata!»
«Oh certo! Adesso si dice così quando ci provi con le mogli altrui!»
«Ehi, non sono mai andato con nessuna che era già impegnata!»
«Ah, quindi nel tuo pavoneggiare avevi un certo codice?» la voce di Bee fece raggelare Peacock, l’eroe in blu fece spostare velocemente la compagna a pois da sé e, con un sorriso luminoso in volto, si alzò e si voltò verso la propria fidanzata: «Niente sorrisi, Peacock.»
«Bee, tu sai che…»
«Lo sappiamo, piumino, che sei cambiato e che, da quando stai con la tua bella, hai messo al coda nei pantaloni» dichiarò Volpina, poggiandosi con il gomito alla spalla di Bee: «Ma è sempre divertente vedere come reagisci.»
«Scusami, honey. Mi ha costretto lei…»
«Quanto mi diverto a sentirlo chiamare honey.»
«Chat, te ne vai a fare un giro sui tetti a miagolare?»
Ladybug sorrise, recuperando il Lucky Charm e lanciandolo per aria, osservando il potere magico sistemare tutta la distruzione lasciata indietro dal bestione di ghiaccio; si voltò poi nuovamente verso il gruppo, vedendo Coeur Noir e Jian raggiungerli: «Il tipo?»
«Se n’è andato, non appena avete distrutto il bestione» dichiarò Coeur, incrociando le braccia e storcendo la bocca in un’espressione schifata: «Viscido. Veramente viscido il tipo.»
La coccinella annuì, portandosi una mano all’orecchio e sentendo il suono familiare del conto alla rovescia: «Chat, dobbiamo tornare normali» dichiarò, sentendo anche l’anello del marito trillare imperioso: «Ci vediamo…»
«Da Fu?» domandò la voce allegra di Alex all’orecchio di tutti: «Così mi aggiornate.»
«Arriviamo subito, allora.»


«Un’altra fanfiction?»
Manon alzò la testa dal cellulare, osservando Jérèmie chinò sopra di lei e con un sorriso tranquillo in volto: «Mh. Sì.»
«Su cosa è?» le domandò il ragazzino, sedendosi al suo fianco e fissandola, in attesa della risposta.
«Hawkmoth.»
«Il nuovo eroe di Parigi?»
«Esattamente» assentì la ragazza, inclinando la testa e sospirando: «L’autrice ha fatto una storia dove Hawkmoth la salva e…beh, praticamente lui poi va a trovarla a casa…»
«E da cosa nasce cosa» concluse per lei Jérèmie, annuendo con la testa: «Sì, ho capito l’andamento. E perché quell’espressione arrabbiata? Per caso ti piace Hawkmoth?»
«Cosa? No!»
Il ragazzo sorrise, annuendo: «Bene. Sono contento» dichiarò, facendole l’occhiolino: «Altrimenti tutti i miei sforzi per far capire a Thomas che ti piace sarebbe andati vani.»
«Cosa?»
«Manon, se ne sono accorti anche i muri. A parte Thomas, ma lui è idiota.»
«Tu…»
«Tranquilla, anche tu piaci a lui» sentenziò Jérèmie, sorridendole maggiormente: «Solo stiamo parlando di Thomas e, quindi, dovrai pazientare un po’.»
«Io…»
«Non sono cieco, Manon» continuò il ragazzo, allargando le braccia e posandole sullo schienale della panchina: «Mi sono accorto fin dall’inizio che ti piaceva e Thomas è un bravo amico e si merita qualcuno di speciale al suo fianco.»
«Io…» Manon scosse la testa, poggiando il cellulare in grembo: «Non sono niente di speciale.»
«Non è vero.»
«Quando ero piccola sono stata akumatizzata.»
«Tanti parigini lo sono stati, eppure continuano la loro vita tranquilli.»
«Non sono adatta per Thomas, fidati.»
«Manon, seriamente, sei giovanissima…»
«Ha parlato il vecchio!»
«Beh, siamo giovani e siamo ancora in tempo per fare tanti sbagli. Questo ci rende meno adatti per qualcuno? No, perché anche quel qualcuno avrà sicuramente fatto tanti sbagli…E Thomas, fidati, ne ha fatti e ne farà tanti.»
Manon sorrise, voltandosi verso il ragazzo: «Sei veramente adulto…»
«Non è niente di che e…»
«Thomas me l’ha detto.»
«Oh» Jérèmie annuì, posando lo sguardo davanti a sé: «Io…» si fermò, scuotendo la testa: «Sono certo che Thomas si fidi totalmente di te, se ti ha detto ciò e questo ribadisce il mio giudizio sul fatto che sei perfetta per lui, anche se…beh, abbiamo tutta la vita davanti a sé.»
«Jérèmie?» Manon osservò il ragazzo, voltarsi verso di lei e fissarla sereno: «Se avrai bisogno di qualsiasi cosa, io ci sarò.»
«Sei veramente una ragazzina speciale, Manon.»


Marinette sorrise a Wei che, con galanteria, stava tenendo aperta la porta per le ragazze, permettendo a tutte loro di entrare: «Sembri stanca…» le mormorò il cinese, studiandola in volto quando fu vicino a lui: «Hai bisogno…»
«Non sto dormendo bene.»
«Abbiamo uno presenza molesta in casa» borbottò Adrien, dietro di loro: Wei annuì, spostando nuovamente l’attenzione sulla ragazza e Marinette notò immediatamente come l’amico fosse diventato teso. Wei era la persona più controllata che avesse mai conosciuto, ma era anche molto leale e sembrava non gradire chiunque facesse male a Lila o a tutti loro.
«Se avete bisogno di aiuto…»
«Ho un piano» dichiarò Marinette, regalandogli un nuovo sorriso: «E vorrei parlarne con tutti.»
«Ottimo. Come dice Lila: il boss non si tocca.»
La ragazza sorrise, entrando nell’abitazione e inspirando il profumo di incenso e olio che c’era in quel luogo: era tanto che non facevano una delle loro riunioni a casa del maestro e, doveva ammettere, che le erano mancate molto.
«Ah» bofonchiò Fu, osservandoli entrare tutti nel salotto: «Siete di nuovo qui?»
«Andiamo, maestro» esclamò Rafael, accomodandosi al tavolino e ridacchiando: «Gli siamo mancati, vero?»
«Come una verruca sul sedere» borbottò l’anziano, facendo ridacchiare il parigino: «Allora? Perché siete tutti qui?»
«Ho bisogno del vostro aiuto» esordì Marinette, accomodandosi accanto ad Adrien e sorridendo quando vide lo sguardo di Lila posarsi sorpreso su di lei: «Che ho detto?»
«Marinette ‘lo faccio io’ Dupain…ah no, aspetta. Hai cambiato cognome. Dicevo…» Lila tossì, schiarendosi la voce: «Marinette ‘lo faccio io’ Agreste chiede aiuto? Questa data è da segnare sul calendario!«
«Io non…»
«Volpe, dobbiamo ammetterlo» sentenziò Adrien, posando una mano sul capo della moglie: «Ultimamente è cambiata.»
«In effetti, è vero: adesso arrossisce meno e immagino che in un certo campo stia diventando più intraprendente.»
«Non ne hai idea.»
«Per cosa ti serve il nostro aiuto?» domandò Sarah, vedendo le guance della moretta diventare rosse: «Riguarda…»
«Nathaniel è sotto il controllo di Dì Ren» esordì Marinette, voltandosi verso Xiang: «Tu ce l’hai confermato.»
«Il discorso che facevamo l’altro giorno…» mormorò Lila, annuendo con la testa: «Penso di sapere dove vuoi andare a parare e credo centri la presenza che senti in casa, vero?»
«Sì. Io non so…» Marinette scosse il capo, inspirando profondamente: «Io credo che Nathaniel, come sottoposto di Dì Ren, abbia ai suoi ordini qualcosa come la Sfinge e il bestione di ghiaccio; una creatura fatta di Quantum, invisibile agli occhi, che…»
«Che ti spia al posto suo» concluse Rafael per lei: «Sono tutti discorsi che abbiamo già fatto l’altra sera…»
«Che ne dite se vi dico che ho un piano per sconfiggere questo spirito invisibile?»
«Dico che sono tutta orecchie, LB.»


Qiongqi strinse i denti, mentre entrava a testa altra nell’androne e sentiva addosso gli sguardi di Hundun e Taotie: «Eri così sicuro di te» commentò la donna, rigirandosi l’asta fra le mani: «Così certo che li avresti sconfitti e portato i Miraculous al nostro signore.»
«Perché non lo fai tu, Hundun? A parte un misero attacco, non hai fatto nient’altro.»
Hundun piegò le labbra in un sorriso, ridendo e gettando indietro la  testa: «Forse perché attendo che voi altri vi togliete di mezzo con i vostri fallimenti? Per esempio il caro Taotie…»
«Pensa ai tuoi fallimenti, donna.»
«Io non ho fallito.» dichiarò Qiongqi, superandoli e dirigendosi verso le scale che portavano al piano superiore, sentendo la risata di Taotie alle sue spalle: «Oh, certo che no. Infatti sei qui, carico di Miraculous. Hai ragione, non hai fallito.» commentò Hundun, ridendo sguaiata.
Qiongqi strinse la mascella, evitando di rispondere all’accusa di Hundun e si guardò attorno: «Dov’è Taowu?» domandò, non notando il giovane elemento; Taotie bofonchiò qualcosa, mentre Hundun scosse le spalle come a risposta che non sapeva dove era.
«Spero non abbia in mente di fare chissà quale sciocchezza…»
Qiongqi riprese il suo cammino, diretto verso la stanza che il suo signore gli aveva concesso in quell’abitazione, mentre i pensieri andavano al giovane Taowu: sembrava così ossessionato da qualcuno dell’altra sua vita, talmente tanto che aveva sentito il suo signore riprenderlo più volte.
Forse…
No, sicuramente era immerso nell’altra sua vita.
Taowu non era idiota.
Non avrebbe commesso errori.


Marinette entrò in casa, poggiando la borsa vicino alla porta d’ingresso, togliendosi poi il soprabito e le scarpe; a piedi nudi si diresse verso il divano, distendendosi e sospirando soddisfatta: si portò una mano sulla fronte e l’altra l’appoggiò sull’addome, socchiudendo poi le palpebre e lasciandosi andare alla stanchezza del corpo.


Era lì.
Davanti a lui.
Così perfetta, così bella.
Allungò una mano, tenendola a pochi centimetri dal volto.
Avrebbe tanto voluto toccarla, avvertire il calore della sua pelle contro le dita.
Poteva farlo?
Poteva sfiorarla?


Marinette rimase immobile, avvertendo l’aria spostarsi vicino al proprio viso e ciò avvalorò la sua ipotesi: c’era una presenza invisibile in casa; inspirò profondamente, mentre sentiva sulla sua guancia qualcosa: un dito? Sì, sembrava un dito.
Qualcosa la stava accarezzando.
Un movimento lento e delicato, che seguiva il contorno della mascella.
Esattamente come aveva visto Peacock nella visione: mentre erano da Fu aveva chiesto all’amico se poteva vedere qualcosa e Rafael aveva acconsentito, trasformandosi nuovamente e attivando il proprio potere speciale; ciò che aveva visto era quello che lei stava vivendo in quell’esatto momento.
«Chat Noir, tocca a te!» esclamò, balzando all’indietro e osservando un pacco di farina venire lanciato e aprirsi, cospargendo di polvere bianca la presenza e rivelando le sembianze femminili di quest’ultima; Marinette rimase immobile a fissare il nuovo nemico, riprendendosi quando Chat le balzò davanti.
«A quanto sembra devo darti una seconda lezione, mio caro ex-Dessinateur.»
«Veramente la prima volta…»
«Principessa, che ne dici di andare a metterti al sicuro?» domandò Chat, voltandosi verso di lei e sorridendole dolcemente: «Qui ci penso io.»
«Ah, vuoi fare tutto da solo?» domandò Volpina, comparendo sulla porta che dava sul terrazzo con Tortoise: «Perché noi due dovremmo…»
«Beh, io dovrei andare a casa a fare i compiti» dichiarò Hawkmoth, aprendo la porta d’ingresso e comparendo sulla soglia, con alle spalle Jian e Mogui: «Quindi se mi dite che posso andare…»
«Sì, in effetti se vuole fare il bell’eroe da solo, dovrebbe solo avvisarci e ce ne andiamo» commentò Peacock, balzando sul tavolo della cucina mentre Bee appariva dal corridoio che portava alle camere: «Una parola e ti lasciamo da solo a combattere per la tua…»
«Non me ne passate una, eh?» borbottò Chat, scuotendo la testa: «Principessa, qui lascia fare agli eroi.»
Marinette annuì, correndo verso la camera da letto e osservando Tikki uscire dal suo nascondiglio: «E’ andato tutto come da programma» sentenziò la kwami, sorridendole: «E, adesso, hai solo una cosa dire.»
La ragazza annuì, sentendo i primi rumori dello scontro dall’altra parte: sì, c’era senza ombra di dubbio bisogno di Ladybug.
Era certa che i suoi amici avrebbero sconfitto facilmente la creatura di Quantum, però…
Però c’era assolutamente bisogno del potere rigenerante del suo Miraculous.
«Tikki, trasformami!»

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** Capitolo 38 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.749 (Fidipù)
Note: Buon salve salvino! Ed eccoci qua a un nuovo appuntamento di Miraculous Heroes 3 e...beh, in vero non ho tanto da dire, tranne che un altro nemico viene annientato, qualcuno scopre qualcosa e...
Niente, vi lascio direttamente al capitolo!
Al solito, vi ricordo la pagina Facebook per rimanere sempre aggiornati e vi rammento che domani verrà aggiornata Lemonish.
Detto questo, come sempre, voglio ringraziare chiunque legga, commenta o inserisca le mie storie in una delle sue liste!
Grazie di tutto cuore!



Uscì sulla terrazza, tremando a ciò che avrebbe trovato nell’altra parte della casa, quasi certa che i suoi amici non facessero molta attenzione a dove stessero combattendo; scivolò fra le ombre del terrazzo e si fermò davanti la porta-finestra da cui erano apparsi Volpina e Tortoise, osservando il disastro in cui versavano il salotto e la cucina: lo spirito, completamente sporco di farina, si muoveva velocemente fra tutti loro, quasi sicuramente alla ricerca di una via di fuga e i suoi amici…
Beh, si muovevano senza un preciso ordine, costretti dall’ambiente ristretto.
I dardi scagliati da Peacock avevano infilzato senza pietà il divano e alcuni pungiglioni di Bee erano ben piantati nel muro; proprio in quel momento Volpina roteò il suo flauto, colpendo l’essere femminile e facendo cadere alcuni quadri dietro di lei: «Oops» mormorò la volpe, alzando le spalle e balzando di lato per evitare la carica di Mogui, che travolse il nemico e anche il tavolinetto basso posto davanti al divano.
«Mogui!» tuonò Ladybug, osservando il guerriero nero voltarsi verso di lei e ringhiarle qualcosa contro, mentre Chat Noir balzò al fianco della sua compagna e le sorrise dolcemente.
«Jian dice che è una creatura di Quantum, quindi…»
«Tu non distruggi proprio niente» dichiarò la coccinella, puntandogli il dito contro il petto e fissandolo seria: «Non finché non ho invocato un Lucky Charm che mi permetta di risistemare tutto questo dopo!»
«My lady, questo è usare il proprio Miraculous per fini personali…» mormorò Chat, sorridendo dolcemente alla ragazza e chinandosi, sfiorandole le labbra con le proprie: «Ma sono d’accordo. Fai il tuo dovere, mia signora.»
Ladybug lo fissò scuotendo il capo e lanciando lo yo-yo per aria, osservando la magia creatrice prendere la forma di una tenda per la doccia: «Dovevamo cambiarla, mon minou?» domandò, voltandosi verso l’eroe in nero e vedendolo scuotere la testa; sorrise, aprendo la tenda e facendo un cenno a Tortoise dall’altra parte della stanza: l’eroe in verde annuì e si avvicinò alla creatura sporca di farina, prendendola per le spalle mentre Ladybug l’avvolse nella tenda, imprigionandola e costringendola a terra; l’eroina a pois si voltò poi verso Chat Noir e lo trovò già pronto con la mano impregnata di distruzione: lo vide mentre posava gli artigli su quella che doveva essere la testa e Ladybug sentì il corpo invisibile sparire sotto di lei e rovinò in avanti, cadendo fra le braccia dell’eroe verde che, saldo, la prese.
«Tutto ok?» le domandò Tortoise, mentre l’eroina ritornava in posizione eretta e sorrideva all’amico: «Devo dire che non c’era veramente bisogno di un Lucky Charm questa volta…»
«Si chiama prevenzione dei danni, questa» sentenziò decisa Ladybug, osservandosi intorno e notando la stanza semidistrutta: «Almeno così tutto tornerà come prima…»
«Vero» assentì Tortoise, incrociando le braccia e sorridendo: «E’ finita?»
«Lo spero» mormorò Chat Noir, avvicinandosi a Ladybug e osservandola mentre piegava la tenda per la doccia e la lanciava poi in aria: la magia rigeneratrice sistemò tutto nell’abitazione, facendo ritornare esattamente la stanza a com’era prima del combattimento: «Non voglio altri inquilini non richiesti in casa»


Sconfitta.
L’avevano sconfitta. Distrutta. Annientata.
Taowu colpì i pugni sui braccioli della poltrona, alzandosi in piedi e urlando di rabbia: la sua creatura, la sua fidata compagna, era stata distrutta da loro.
Loro che l’avevano allontanato dal suo amore.
Loro che gli avevano impedito di avvicinarla.
«Li ucciderò» ringhiò Taowu, avvicinandosi allo specchio e fissando il suo volto, coperto dalla maschera: «Uno a uno. Li annienterò tutti e poi sarà il turno di lui, che me l’ha portata via…»


Marinette sospirò, tamponandosi i capelli con l’asciugamano e osservando il riflesso nello specchio del bagno: era veramente finita? Per quanto avesse sentito la creatura di Quantum dissolversi sotto, le sembrava ancora di sentirne addosso lo sguardo. E se Nathaniel avesse avuto più di uno spirito invisibile al suo servizio?
Poggiò le mani ai due lati del lavabo, scuotendo il capo e inspirando profondamente: no, non poteva essere così.
Non poteva essercene un altro…
E se invece fosse il contrario?
Se Nathaniel la stesse spiando anche in quel momento?
«Marinette?» la voce dolce di Tikki la riscosse e la ragazza spostò lo sguardo, osservando la kwami che la fissava preoccupata: «Non…» iniziò il piccolo spirito, sorridendole dolcemente: «Vorrei dire di non iniziare a pensare, ma ti conosco troppo bene per sapere che la tua mente sta già lavorando.»
La ragazza sorrise, prendendo la kwami fra le dita e portandosela vicino al volto: «E se non ce ne fosse solo uno?» domandò, sentendo Tikki strusciarsi contro il suo volto: «E se anche adesso ci stesse spiando?»
«E se invece Dì Ren gli avesse dato un solo spirito o qualsiasi altra cosa fosse? Ragiona, finora avete combattuto nemici sempre diversi fra loro, perché in questo caso ce ne dovrebbero essere più uguali?»
«Vero anche questo» decretò Marinette, lasciando andare la kwami e sorridendole: «Cosa non farei senza di te, Tikki?»
«Staresti in bagno a farti paranoie su paranoie» dichiarò Tikki, annuendo decisa: «Fortunatamente ci sono io.»
«E’ vero» mormorò Marinette, infilandosi la maglia di qualche taglia più grande della sua e sospirando: «Vorrei solo essere tranquilla, almeno a casa mia.»
«E lo sarai» dichiarò la kwami, ridacchiando: «Sempre se i baldi cavalieri, che sono di là, non faranno saltare tutto in aria»
«Non mi dire che stanno cucinando…»
«Più che cucinare, direi che è in corso un dibattito sul camembert»
La ragazza sorrise, infilando le ciabatte e uscendo dal bagno, dirigendosi verso la cucina: Adrien era intento a lavorare sotto la supervisione di Plagg, che borbottava qualcosa senza venir ascoltato dall’umano; Marinette si avvicinò, circondando la vita del ragazzo con le braccia e poggiando il viso contro la spalla: «Come stai?» le domandò Adrien, sistemando la lattuga nei panini e voltandosi poi verso di lei: «Marinette?»
«Stanca. Sollevata. Sconvolta. Turbata» La ragazza si fermò, scuotendo la testa e poggiando le labbra contro la stoffa della maglietta di Adrien: «Questa cosa è da buttare…»
«E’ comoda per stare in casa, quindi non la butterai» dichiarò il biondo, chinando la testa e poggiandola contro quella di Marinette: «Xiang ha controllato casa, mentre stavi facendo la doccia: secondo lei non c’è niente, però mi fido di più di quello che senti tu.»
La ragazza gli sorrise dolcemente, annuendo e voltandosi verso la stanza: al di là dell’arco, che separava la cucina dal resto, poteva vedere il loro salotto e poi la porta che conduceva al corridoio dove si affacciavano le camere e il bagno: «Non so dirti…» mormorò, allontanandosi da lui e iniziando a recuperare gli oggetti per apparecchiare la tavola: «Forse sono ancora...» si fermò, mordendosi il labbro: «Fresca di tutto?»
«Può darsi» commentò Adrien, ritornando a occuparsi dei panini: «Dobbiamo andare a fare la spesa, abbiamo il frigo vuoto» decretò il biondo, sollevando il piatto e mostrandole i due panini ricolmi: «Beh, per stasera mi sono arrangiato, comunque.»
«Ci vado domani dopo le lezioni»
«Chiama il gorilla» sentenziò Adrien, posando il piatto e baciandole la spalla nuda, lasciata scoperta dal collo della maglietta: «Questa era mia» sentenziò il ragazzo, tirando appena la stoffa e sorridendole: «Sei una ladra, amore mio.»
«Non c’è scritto Adrien da nessuna parte» dichiarò Marinette, sedendosi e studiando i panini: «A cosa sono?»
«Insalata, salmone e roba bianca spalmabile.»
«Roba bianca spalmabile?»
«Era in frigo»
«E se un giorno ci mettessi una crema per le rughe? La useresti per condirci la cena?» domandò la ragazza, addentando il panino e sospirando, quando sentì il sapore del salmone: l’aveva sempre adorato e sua madre era solita prepararle piatti a base di quel particolare pesce, quando era giù o c’era da festeggiare qualcosa.
«Beh, ricordati di scrivercelo sopra» borbottò Adrien, posando il proprio panino nel piatto e alzandosi, andando a recuperare due piattini e posando camembert in uno e biscotti nell’altro, tornando poi a tavola con il lauto pasto per i loro kwami.
«Alla buon’ora! Ti sei ricordato anche di noi!» bofonchiò Plagg, sistemandosi davanti al proprio pasto e iniziando a divorare con gusto il formaggio, mentre Tikki sospirò e alzò gli occhi al cielo, prima di dedicarsi anche lei alla propria cena.
Adrien fece una smorfia al proprio kwami, riprendendo il proprio panino e addentandolo, osservando Marinette armeggiare con il cellulare: «Che guardi?» domandò curioso, allungando il collo e osservando la schermata dell’applicazione della guida televisiva.
«Cosa danno stasera…» mormorò Marinette, posando il telefono fra loro due e indicando con lo schermo: «C’è il primo film di quella saga che ti piace tanto.»
«Niente storie strappalacrime o roba coreana consigliata da Sarah?» domandò Adrien, osservando i programmi e studiando i titoli, premendo poi sulla locandina di uno che lo ispirava particolarmente: «E se ci vediamo questo?» domandò, leggendo velocemente la trama e facendolo vedere a Marinette: «Sembra carino.»
«E’ una commedia romantica, Adrien.»
«Io amo le commedie romantiche!»
«Ma se ti addormenti sempre!»
«Non è vero! Ok, la maggior parte delle volte mi addormento…»
«Ecco.»
«Però Plagg è quello che russa!»
«Ehi, sono qui che mangio il mio camembert tranquillo, perché devi sempre mettermi in mezzo?»
«Perché siamo partner. Semplice.»


Il campanello suonò imperioso dall’altra parte della porta, ma nonostante fosse attaccato al bottone da un buon minuto scarso, nessuno venne ad aprire alla porta: «Se al di là di questa porta troviamo un cadavere…» iniziò Rafael, tirando fuori le chiavi e mettendosi alla ricerca di quelle dell’appartamento del padre: «Io non voglio saperne niente. Chiaro?»
«Ma…»
«Ehi, i figli sono i primi sospettati» borbottò il parigino, trovando la chiave giusta e infilandola nella toppa, riuscendo così ad aprire: «E se lo trovo mentre sta facendo attività extraconiugale?»
«Rafael!»
«Sono cose che segnano!»
Sarah sbuffò, aprendo il portone dell’appartamento e osservando l’interno: il disordine regnava sovrano e, ovunque, si potevano trovare fogli e libri; la ragazza fece qualche passo nella stanza, tallonata dal compagno e si fermò al centro, osservando il pc del professor Fabre in standby e ascoltando il rumore della ventola che girava alacremente: «Papà?» la voce di Rafael risuonò nel silenzio della casa: «Per me è morto!»
«Rafael, seriamente…»
«Vado a vedere se è in camera. Morto nel letto.»
«Rafael!»
Il moro sospirò, dirigendosi sicuro verso una porta, mentre Sarah si mise a controllare i fogli sparsi: non sapeva se mettere in ordine o meno, di certo aveva capito che Rafael non aveva preso il disordine dal padre ma, anzi, a differenza di questo era veramente meticoloso: «Non c’è» decretò il ragazzo, ritornando nella stanza principale dell’abitazione e fissandola: «Ho controllato camera e bagno. Papà non è da nessuna parte.»
«Che sia andato in farmacia?»
«Può darsi» mormorò il ragazzo, avvicinandosi a lei e leggendo velocemente il titolo a caratteri cubitali sul foglio che Sarah aveva in mano: «Gli animali totem? Mio padre sta continuando gli studi sui Miraculous?»
«Alle volte ne parlava a lezione» sentenziò Sarah, posando il foglio sul tavolo e scuotendo la testa: «Ma non credevo che fosse una ricerca così importante» continuò la ragazza, facendosi spazio sul divano e allungandosi per prendere una manata di fogli e leggere velocemente il contenuto: «La regina Boudicca e il culto della Morrigan» lesse sottovoce, dando un’occhiata al contenuto dell’articolo: «Ma questa regina…»
«Era celta, più o meno. Si ribellò all’esercito romano e…» Rafael si fermò, poggiandosi sulla spalliera del divano dietro di lei, scuotendo la testa: «Non fece una bella fine.»
«Boudicca» mormorò Mikko, sgusciando fuori dalla borsa di Sarah e posandosi sulla spalla della ragazza: «Da quanto tempo non sentivo il suo nome…»
«E’ stata una tua Portatrice?»
«Non mia, ma di Tikki» spiegò la kwami dell’ape, sorridendo: «Una delle tante Ladybug, che si sono susseguite nel tempo. Ma al tempo di Boudicca anche il mio Miraculous venne donato…»
«Anche il mio! Anche il mio!» esclamò Flaffy, affacciandosi dalla tasca del giaccone: «Il caro vecchio Poenio. Mi donava sempre i frutti più dolci...»
«Poenio?»
«Era un generale romano o qualcosa del genere.»
«Con un nome simile mi sarei stupito se fosse stato una ballerina di can can» borbottò Rafael, sospirando: «Quindi un Peacock del passato è stato un generale romano? Figo.»
«Il tuo predecessore, Sarah, era invece una ragazza che serviva Boudicca» mormorò  Mikko, rispondendo allo sguardo indagatore dell’americana: «E all’epoca non era innamorata del Portatore del Pavone ma, anzi, lo odiava con tutta sé stessa.»
«Mi sarei stupito del contrario» mormorò Rafael, incrociando le braccia: «Quindi in nostri predecessori si odiavano?»
«A quanto sembra…» commentò Sarah, regalandogli un sorriso e riprendendo a leggere posando poi il tutto sul tavolo, voltandosi all’indietro: «Che facciamo?»
«Sotterriamo l’ascia di guerra?»
«Sai a cosa mi riferisco…»
«Penso che dovrò chiamare mia madre» sentenziò Rafael, prendendosi la testa fra le mani e spettinandosi i capelli mori: «Ormai è andato completamente fuori dal mio controllo.»


Hawkmoth avvicinò le proprie labbra alle sue, poteva sentire il suo respiro caldo che gli alitava sul volto…
Manon smise di leggere, lanciando il cellulare contro il letto con tutta la forza che aveva, osservandolo rimbalzare sul materasso; solo dopo aver compiuto il gesto, si ricordò dei due ospiti in camera sua: Thomas e Nooroo stavano fissando l’apparecchio con gli occhi sgranati, voltandosi poi verso di lei e fissandola come se le fosse spuntata una seconda testa.
«Scusate» bofonchiò la ragazzina, incrociando le braccia e voltandosi verso la finestra, oltre la quale il cielo era ormai scuro: «Ho letto una cosa che non dovevo leggere…»
«Ricordami di non farti mai arrabbiare» mormorò Thomas, fissando il cellulare allungando una mano per prenderlo e vedere cosa aveva fatto infuriare così tanto l’amica, ma Manon scattò in avanti e recuperò il telefono, fissandolo furiosa mentre lui alzò le mani in segno di resa, tornando poi a leggere il manga dal punto in cui lo aveva interrotto.
Manon chiuse la schermata del sito, spostando lo sguardo sull’amico e decidendosi a fare la domanda che, da tutto il giorno, le stava martellando nella testa: era un qualcosa che aveva pensato parecchie volte, fin da piccola e quel giorno quel pensiero era tornato prepotente alla mente.
«Thomas?»
«Mh?»
«Posso farti una domanda?»
«Certo.»
Manon rimase in silenzio, tanto a lungo che Thomas alzò la testa, fissandola in attesa: «Marinette e Adrien…» mormorò Manon, torcendosi le mani l’un con l’altra: «Sono tuoi compagni, vero?»
L’amico rimase in silenzio, scambiandosi un’occhiata con Nooroo e poi annuendo lentamente con la testa: «Sì» mormorò dopo un attimo esitazione: «Tu avevi detto…»
«Era un qualcosa che ho sempre pensato» bisbigliò la ragazzina, stringendosi nelle spalle: «E oggi, quando eravamo alla boulangerie…beh, diciamo che ho avuto la conferma.»
«Marinette è…»
«Grandiosa, non è vero?» dichiarò Manon, sorridendo dolcemente: «Le voglio bene, tantissimo. Ancor più di mia madre è il modello di donna che vorrei diventare…»
«E’ grande sì. E anche in gamba.»
«Già.»
La ragazzina sorrise dolcemente, alzando poi la testa verso il soffitto della camera e sorridendo: «Mi sono sempre chiesta come mai Ladybug sapesse il mio nome e tante cose di me» bisbigliò, ridacchiando poi fra sé: «Sai che ho avuto sotto il mio controllo Chat Noir?»
«Cosa?»
«Beh, ecco…»
«Aspetta. Sei stata akumatizzata anche tu?»
«Perché? Anche tu?»
«No, io no» Thomas scosse il capo: «Ma mia madre sì. Tu per quale motivo? Cosa ti aveva spinto a provare così tanta rabbia che…»
«Volevo delle bambole» mugugnò sottovoce Manon, tenendo lo sguardo basso; rimase in attesa e, dopo un po’, alzò la testa e trovò l’amico con in volto il classico sguardo di chi non aveva capito: «Thomas?»
«Tu sei stata akumatizzata perché volevi delle bambole?»
«Erano delle belle bambole!» sentenziò Manon, incrociando le braccia e alzando il mento: «Le aveva fatte Marinette e…»
La ragazzina si fermò, vedendo Thomas iniziare a ridere e cadere disteso per terra, tenendosi la pancia con entrambe le mani: «Per delle bambole…» riuscì a dire il giovane fra le risate, mentre Nooroo scuoteva sconsolato la testa e si voltò verso Manon, osservandola prendere il cuscino che teneva sulla sedia della scrivania  e alzarsi, pronta a colpire il giovane Portatore.
Ah.
Thomas…
Aveva parecchia strada da fare.


Marinette stava dormendo sopra di lui, il volto poggiato contro il suo petto e il respiro lento e regolare: non la vedeva riposarsi così tranquillamente da un po’ e gli dispiaceva sapere che, prima o poi, avrebbe dovuto svegliarla per andare a dormire in camera loro; inspirò profondamente, voltandosi verso la televisione e guardando distrattamente le auto che sfrecciavano veloci durante la gara che si sarebbe conclusa con la vittoria del protagonista.
Carezzò lentamente la testa della moglie, sentendola stirarsi appena come se fosse una gattina in cerca di coccole e sorrise, osservandola alzare la testa e fissarsi confusa attorno a sé: «Dormito bene?» le mormorò sottovoce, guardandola mentre si strusciava gli occhi e annuiva, ancora intontita dal sonno; si allungò, prendendo il telecomando e spegnendo la televisione, mentre Marinette si alzava e barcollava leggermente, prima di voltarsi verso di lui e intrecciargli le braccia dietro al collo: «Sei diventata viziata, principessa» mormorò Adrien, prendendola di peso mentre lei si aggrappava a lui, stringendogli le gambe attorno alla vita: «Anzi, ora mi sembri una scimmietta.»
«Chiamami come ti pare, non ho la forza di risponderti» mugugnò la ragazza, facendolo sorridere mentre lui la portava in camera, aiutato da Plagg e Tikki che si occuparono di accendere e spegnere le luci.
Adrien si chinò sul letto, liberandosi delicatamente dalla stretta della moglie: «Allora aggiungerò scimmietta ai tuoi soprannomi» decretò, osservandola sgusciare sotto le coperte e sistemarsi nel suo posto abituale
«Ok, micetto» mormorò Marinette, voltandosi di lato e addormentandosi nuovamente: Adrien la fissò un attimo, sistemandole meglio le coltri e baciandole la tempia, raggiungendola poi e prendendo la sua posizione abituale, passandole un braccio attorno alla vita e posando il viso contro la spalla, assaporando il profumo dolce che la ragazza emanava sempre.
«Dormi tranquilla, amore mio» mormorò, serrando un poco la presa attorno ai fianchi della ragazza: «Se quel pomodoro ci riprova, gli farò pentire di essere nato.»

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** Capitolo 39 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.149 (Fidipù)
Note: Ed eccoci qua, pronti a una nuova settimana piena di aggiornamenti...beh, come sempre del resto. E si comincia proprio con Miraculous Heroes e con questo nuovo capitolo dove scopriremo altarini, passati oscuri e incontri fra semafori e gatti. Sì, direi che tutto ciò riassume bene il capitolo che andrete a leggere e, per vostra fortuna, anche stavolta ho poco da dire. Anzi niente...mh, l'unica cosa è che non so se in Francia faccio fare come corsi facoltativi all'università come qui in Italia ma...Beh, di solito mi attengo alla realtà dei fatti ma, per esigenze di copione, mi sono presa questa piccola licenza (un po' come quando ho decretato la Fondazione Vuitton sede degli uffici di Gabriel e Willhelmina/Bridgette).
Detto ciò, passo subito a elencarvi gli aggiornamenti di questa settimana: mercoledì ci sarà un nuovo capitolo de La bella e la bestia, giovedì come sempre l'appuntamento è con Laki Maika'i, venerdì il secondo capitolo della settimana di Miraculous Heroes 3 e, infine, sabato sarà il turno di Scene, con la seconda parte di Antieroe.
Dopo tutto ciò, come sempre, voglio ringraziarvi tutti quanti: grazie a voi che leggete, commentate (fatemi sempre sapere la vostra!) e inserite questa storia in una delle vostre liste.
Grazie davvero di tutto cuore!



La moto nera scivolò veloce fra le auto, fermandosi poi davanti l’enorme edificio che dominava il lato della strada, oltre il quale la Senna si muoveva placida: la ragazza balzò a terra, sistemandosi il giaccone e iniziando ad armeggiare con il casco: «Sai che cosa non mi piace di avere una moto?» domandò Adrien, osservandola mentre si toglieva il pesante copricapo.
«Cosa? Il fatto che i capelli siano un completo disastro?» domandò Marinette, sorridendogli dolcemente: «Perché, sinceramente, a me non piace per niente per questo.»
«No, il fatto che da quando ti accompagno a lezione, hai smesso di indossare quei meravigliosi vestiti che lasciavano scoperte le tue purrfette gambe» dichiarò Adrien, prendendo il casco che Marinette gli aveva passato: «Dovevo comprarmi un’auto.»
«Sai com’è…» mormorò la ragazza, ridendo: «Non ci tengo a far vedere alcune cose a tutta Parigi.»
«Quello nemmeno io.»
Marinette sospirò, alzando gli occhi al cielo: «Oggi vado a fare la spesa» dichiarò, cambiando argomento: «Richieste particolari?»
«Camembert!» trillò allegro Plagg, facendo capolino da sotto il giaccone del ragazzo e fissandola speranzoso, ignorando lo sbuffo infastidito che si era levato dal suo portatore.
«L’avevo già segnato, Plagg» dichiarò la ragazza, sorridendo al kwami: «Nient’altro?»
«Qualsiasi cosa commestibile è ben accetta» dichiarò il biondo, sorridendole: «E niente crema per le rughe da mettere in frigo.»
«Non ne ho ancora bisogno!»
«Questo lo dici tu.»
«Cosa?» Marinette s’imbronciò, voltandosi poi verso la scuola e raggiungendo velocemente l’entrata dell’edificio, voltandosi poi a guardarlo e girandosi indispettita prima di entrare e sparire dentro l’IFM.
Adrien ridacchiò, alzando una mano per abbassare la visiera del casco ma si fermò a metà del gesto, notando la persona ferma nell’ombra dell’edificio: Nathaniel era in disparte, l’album da disegno stretto al petto e il cappuccio della felpa tirato sopra la testa, in modo da coprire i capelli rossi.
Come se quell’abbigliamento potesse renderlo meno riconoscibile e più anonimo.
Adrien smontò dalla moto, sistemandola sul cavalletto e, con tutta la calma del mondo, poggiò il casco di Marinette sul sellino e si tolse il suo, assieme ai guanti; si voltò poi, osservando l’ex-compagno di scuola fermo nel solito punto e sorrise: «Se serve un alibi, sarò lieto di fornirtelo» dichiarò Plagg, sparendo dentro il giaccone e facendo sogghignare il ragazzo.
Lentamente raggiunse il rosso, tenendogli lo sguardo addosso per tutto il tempo e notando come Nathaniel fosse assolutamente privo di qualsiasi emozione: quando andavano ancora a scuola insieme l’aveva visto agitato ogni volta che Marinette era nelle sue vicinanze, l’aveva visto imbarazzato e arrabbiato quando Chloé lo aveva preso in giro, davanti tutta la classe, per la sua cotta; deluso e amareggiato, quando lui aveva iniziato a uscire con Marinette.
Ma mai, Adrien, lo aveva visto così vuoto.
«Kurtzberg» dichiarò, fermandosi davanti a lui e sorridendo appena: «Come va?»
Nathaniel puntò l’unico occhio visibile su di lui e qualcosa guizzò nell’iride smeraldo: rabbia forse?
Incrociò le braccia, inclinando la testa e rimanendo in attesa della risposta dell’altro; l’osservò stringere maggiormente a sé il blocco, voltandosi poi verso l’ingresso dove Marinette era sparita: «Sai avevo in mente di dirti qualcosa…» mormorò Adrien, portandosi una mano al volto e picchiettando le dita sulla guancia: «Ma mi fai veramente pena.»
«Lei non è tua.»
«Sì, hai ragione» decretò Adrien, sorridendo: «Marinette appartiene unicamente a sé stessa, ma è mia moglie ed è mio compito proteggerla dai tipi come te.»
«Tu…»
«Andiamo, dai. Dillo: tu non la meriti, lei ti ha sposato solo per il tuo bel faccino» Adrien sorrise, assottigliando lo sguardo: «Anzi no, ne ho una migliore: ti ha sposato per i tuoi soldi. Dai, forza. Perché non la insulti dicendomi tutto questo? Andiamo. Dammi una valida ragione per prenderti a pugni…»
«Tu!» Nathaniel gettò il blocco per terra, avventandosi sul biondo che continuava a sorridere di fronte alla sua furia: «Lei sarebbe stata mia!»
«Tua. Mia. Sei proprio fissato sugli aggetti possessivi o sbaglio?»
Nathaniel strinse la mascella, alzando la mano destra e chiudendola a pugno, Adrien lo fissò e attese il colpo, osservando sorpreso la mano di una terza persona che si frappose e fermò il diretto del rosso: «Seriamente, una rissa qui?» commentò la voce divertita di Felix Blanchet: Adrien si voltò, guardando l’uomo in completo candido e la donna alle sue spalle, che alternava lo sguardo da lui al rosso.
«Tutto bene, Adrien?» gli domandò Willhelmina, mentre Nathaniel lo lasciava andare e si allontanava di qualche passo: «Si può sapere che stavi facendo…»
«Quattro chiacchiere con un vecchio compagno di scuola» commentò il biondo, sistemandosi il giubbotto e sorridendo a Nathaniel: «Non è vero?»
«Ah. Adesso si chiamano così» bofonchiò Felix, scuotendo la testa e mollando la mano dell’altro: «Tu…» si fermò, studiando i capelli rossi e lo sguardo di smeraldo: «Tu, semaforo con due gambe, vattene.»
Nathaniel strinse la mascella, scoccando una nuova occhiata di fuoco ad Adrien, chinandosi poi per recuperare il blocco e andandosene poi velocemente all’interno della scuola: «Lo terrò d’occhio io» dichiarò Willhelmina, incrociando le braccia e fissando assorta la porta dell’istituto: «Oggi devo tenere una lezione, quindi sarò qui tutto il giorno.»
«Ah, ecco perché siete qui» commentò Adrien, sorridendo: «Ed io che speravo si fosse acceso lo chat-segnale.»
«Non sarebbe una cattiva idea» dichiarò Felix, massaggiandosi il mento: «Una zampa felina, sparata nel cielo che informa quando la città ha bisogno dell’aiuto dell’eroe in nero. Lo farò installare non appena sarò sindaco.»
«Io vado a fare la lezione» decretò Willhelmina, con un sorriso freddo in volto: «Voi andate pure a buttarvi nella Senna. Tutti e due.»
«Adesso dice così» dichiarò Felix, chinandosi verso Adrien: «Ma stasera cambierà sicur…»
«Felix, la Senna è dietro di te!» bofonchiò la donna, fissandolo male e andandosene poi con la testa alta, sicura sui tacchi e ignorando il fatto di dare una certa visuale di sé all’uomo.
«Il più bel sedere di tutta Parigi» commentò Felix, ridacchiando: «E se sa che l’ho detto, è la volta buona che mi uccide. Definitivamente.»
«Quello di Marinette è più bello» dichiarò Adrien, sorridente: «Io almeno rischio solo di venire appeso da quel cavolo di yo-yo.»
«Non ricordarmelo…» sospirò l’uomo, scrollando le spalle: «I primi giorni in cui avevamo avuto i Miraculous, la signorina doveva fare pratica e non ti dico quante me ne sono capitate…»
«Posso immaginarlo» commentò Adrien, ricordando Marinette la prima volta che l’aveva incontrata sotto forma di Ladybug: impacciata, insicura e con la tendenza a lanciargli la sua arma in testa.
«Penso di essere stato salvato da Kang, altrimenti non mi spiego come ho fatto a sopravvivere a Bri» commentò Felix, poggiando le mani sui fianchi e scuotendo la testa: «Però aveva fascino e coraggio. Mi sono sentito in colpa verso Bridgette, quando ho iniziato a provare qualcosa per Ladybug e poi quando…beh, abbiamo fatto quel che abbiamo fatto, non ho più avuto il coraggio di incontrarla.»
«Quindi prima che Kang ti portasse via, non l’hai più vista?»
«Solo nelle vesti di Ladybug» dichiarò Felix, sorridendo tristemente al ricordo: «Certo, la vedevo da lontano mentre usciva con la governante, ma non mi sono mai avvicinato: la vedevo triste, ma avevo saputo da un servitore di casa Hart che aveva avuto un litigio con il suo amico cinese – Fu – e, quindi, avevo collegato il suo stato d’animo a quello. Non potevo certo sapere che…»
«Che lei era la ragazza che amavi con tutto te stesso» concluse per lui Adrien, annuendo con la testa: «Posso comprenderlo: mi sono odiato con tutto me stesso perché non riuscivo a essere totalmente fedele a una delle due. Ero cieco, veramente cieco: Marinette ha sempre dimostrato il suo carattere ogni volta, solo con me sembrava sempre imbarazzata o insicura con me e non ho mai collegato al fatto che era innamorata.»
«Siamo degli idioti.»
«Concordo» sentenziò Plagg, facendo capolino dal giubbotto e fissandoli alternativamente: «E Felix…»
«Eccolo che ricomincia.»
«Me la sono legata al dito!» sbottò il kwami, fluttuando in aria e mettendosi davanti al viso dell’uomo: «Come hai osato? Maledetto!»
«Devi sapere che, una volta, gli ho dato del Tofu spacciandolo per camembert» dichiarò Felix, sorridendo al ragazzo: «Era un po’ problematico trovare quel formaggio a Nanchino e quindi…»
«Quindi l’ha infilato nelle calze di un suo compagno d’armi e poi me l’ha mollato come camembert.»
«La puzza era identica» commentò Felix, ridacchiando: «Il caro, vecchio Sean aveva due formaggiere al posto dei piedi. Chissà che fine ha fatto?»
«Sicuramente è morto, genio.»
«Sì, questo lo so, Plagg» borbottò Felix, scuotendo la testa: «Mi chiedevo dopo Nanchino, cosa avrà fatto.»
«Sarà tornato in patria, si sarà sposato e…»
«E si sarà divertito parecchio con la mogliettina?» buttò lì Adrien, incrociando le braccia e ridacchiando.
«E con mezza Londra, anche. Diciamo che non era uno che lo teneva nei pantaloni» commentò Felix, sorridendo al ricordo: «Come dimenticarsi le sue prodezze a Nanchino…»
«Aspetta» Plagg si posò sulla spalla di Adrien, annuendo con la testa: «Sean è quello che avevate trovato nella camera con tre prostitute?»
«Proprio lui, Plagg»
«Mi stavo domando…» la voce di Willhelmina fece sobbalzare Felix, che si voltò verso la donna con un sorriso innocente in volto: «Cosa tu stessi facendo ancora qui e ti trovo a chiacchierare…»
«Ti ricordi di Sean, Bri? Era quello che trovavi sempre con me, mentre…»
«Fila al lavoro, Felix.»
«Vado» sentenziò l’uomo, sorridendo dolcemente alla donna: «Alla prossima, Adrien. Plagg.»
Adrien l’osservò raggiungere velocemente la macchina grigia e salire a bordo, prima che questa partisse e s’immergesse completamente nel traffico parigino: ridacchiò, pensando al rapporto che si instaurava di volta in volta fra i Portatori del Gatto e della Coccinella, voltandosi poi e trovandola al suo fianco, con le braccia conserte e uno sguardo molto eloquente in volto: «Vado anch’io» decretò il biondo, correndo verso la moto e sistemandosi il casco in testa.


Poteva distruggere il suo cellulare?
Ringhiò, mentre chiudeva con un gesto stizzito la pagina della storia che stava leggendo e abbandonò il cellulare in grembo, incrociando le braccia e voltandosi di lato: certa gente lavorava decisamente troppo con la fantasia e la tipa che stava scrivendo della sua meravigliosa storia d’amore con Hawkmoth era fra queste.
«Storia interessante» commentò Nooroo, facendo capolino dal cappuccio della felpa e ridacchiando: «Mi chiedo cosa ne penserebbe Thomas se la leggesse.»
Manon lo fissò, spostando poi l’attenzione sul ragazzo che stava giocando a basket con altri compagni di classe: «Ce lo vedi a dire: Mara, sono diventato un eroe solamente per proteggere te. La donna del mio cuore.» recitò la ragazzina, sbuffando: «Andiamo! Al massimo potrebbe dire: Sono diventato un eroe perché così posso atteggiarmi!» Nooroo ridacchiò, facendo sorridere anche Manon: «E’ un vero peccato che non lo possa dire al mondo intero: ce lo vedo a fare un annuncio stile Iron Man.»
«Beh…»
«Anche se, un atteggiamento del genere, lo vedo più da Adrien.»
Nooroo sorrise, scuotendo il capo: «Hai ragione» commentò il kwami, sistemandosi contro il collo della ragazza: «Sai, non mi piace che tu sappia le loro identità.»
«Perché potrei rivelarle?»
«No, perché potresti essere in pericolo, piccola Manon» dichiarò il kwami, sospirando: «Hai dimostrato già di saper mantenere il segreto: da quanto sospettavi di Marinette e Adrien?»
«Da tanto. Però non ho mai avuto una conferma certa, come l’altro giorno alla boulangerie: il comportamento di Marinette, Thomas che chiama immediatamente Adrien…» si fermò, lasciando andare un sospiro: «Era tutto così sospetto e unito a ciò che pensavo prima…»
«Hai fatto semplicemente due più due.»
«Esattamente» dichiarò la ragazzina, portandosi una mano al collo e carezzando il capino del kwami: «Ho sospetti anche sugli altri, devo dire.»
«Oh…»
«Beh, ci sono persone che Marinette e Adrien non frequentavano prima di ciò che è successo l’anno scorso» dichiarò Manon, inclinando la testa: «E adesso sono diventati amici e con un rapporto veramente solido, uno di quelli che non crei andando semplicemente a scuola e non in così poco tempo…»
«Complimenti.»
«Grazie» dichiarò la ragazzina, sorridendo e spostando nuovamente l’attenzione verso Thomas: «Vorrei essere d’aiuto, sai? Non solo creando scuse per quando lui sparisce ma…»
«Sei come Alex…»
«Chi?»
«Un ragazzo esperto nei computer che aiuta tutti loro» dichiarò Nooroo, sorridendo: «Anche lui voleva aiutare e ha trovato il modo di farlo.»
«Quindi dici che posso anche io?»
«Volere è potere, Manon.»


«C’è una visita per te»
Wei alzò la testa, osservando incuriosito il signor Mercier che, le mani sui fianchi, lo fissava; il ragazzo posò la scatola piena di risme e si tirò su, pulendosi le mani ai pantaloni e andando verso l’entrata del magazzino, rimanendo basito quando vide la donna che lo attendeva: stretta in un cappotto nero, Ada Rossi si fissava attorno, quasi come se volesse essere ovunque tranne lì.
Lila aveva accennato al litigio che aveva avuto con la madre, l’ultima volta che si erano incontrate ma lo sguardo della ragazza e quello del suo kwami gli avevano impedito di indagare: quando Lila sarebbe stata pronta, gli avrebbe detto tutto.
Conosceva ormai bene la ragazza e aveva imparato che, nonostante sapesse che lui sarebbe stato sempre al suo fianco, lei aveva bisogno di battere le sue battaglie da sola: l’indipendenza e l’orgoglio che dimostrava erano parte di ciò che l’aveva fatto innamorare.
«Signora» mormorò, chinando il capo e osservandola, mentre piegava le labbra in un sorriso appena accennato: «Non ricordavo di averle detto dove lavoravo.»
«Ho le mie fonti» dichiarò Ada, guardandosi attorno: «Carino come posto.»
«E’ solo un magazzino» Wei scrollò le spalle, non capendo: «Lila…»
La donna negò con la testa, avvicinandosi e posandogli una mano sul braccio, un tocco che a Wei non piacque per niente: «Non sono qui per parlare di mia figlia…» mormorò Ada, carezzandogli lieve l’avambraccio con la punta dei polpastrelli e poi con le nocche: «Sei veramente sprecato per un posto del genere.»
«Signora?»
«Non sono così vecchia, Wei» bisbigliò Ada, alzando la testa e sorridendogli pigra: «Certo, ho una figlia poco più piccola di te ma…»Wei rimase impietrito, mentre la madre della sua compagna gli posava le mani su entrambe le guance e tirava giù il suo viso: «Potrei farti diventare ricco e tu dovresti semplicemente rendermi soddisfatta.»
Sbatté le palpebre, incerto su ciò che aveva capito ma tutto nella donna era eloquente: «Mi lasci» mormorò tranquillo, osservandola sorridere: «Ho detto di lasciarmi.»
«Wei…»
Gentilmente si liberò dalla stretta della donna, arretrando di un passo: «Quando Lila mi parlava di lei, ho sempre pensato che esagerasse e fossero solo le lamentele di una figlia poco considerata dai genitori, troppo presi dal loro lavoro» si fermò, scuotendo il capo e fissandola freddamente: «Sa, adesso sono felice che lei sia stata poco tempo con Lila e che abbia passato tanto tempo con i nonni, invece che con i suoi genitori…»
«Tu non sai niente di mia figlia. Pensi davvero che sia una santarellina?»
«So del passato di Lila, so degli errori che ha fatto e la donna che è adesso è una persona che li ha accettati per crescere.»
«Mia figlia è esattamente come me.»
«No, Lila non è assolutamente una sgualdrina come lei» dichiarò Wei, indicando con il mento l’uscita del piccolo parcheggio: «Spero di non vederla più, signora Rossi.»
«E se gli dicessi che è stata una tua idea? Credi che crederebbe a te o a me?»
«Lo faccia» dichiarò Wei, sentendo i rumori dietro di sé: «Il signor Mercier ha visto tutto e Lila mi conosce.»
Ada storse la bocca, alzando il mento e fissandolo malevola: «Non è finita qui, signor Xu» dichiarò, voltandosi e andandosene frettolosamente, sotto lo sguardo glaciale di Wei.
«Se pensa di farmi paura…» bofonchiò il ragazzo, voltandosi e chinando il capo di fronte all’anziano: «Mi perdoni per ciò che ha visto, signore.»
«Tranquillo, Wei» il signor Mercier si passò una mano fra i capelli canuti, scuotendo la testa: «Povera ragazza, ci credo che ha abbandonato la famiglia appena possibile: con una madre come quella l’avrei fatto anche io.»
«Già…»
«Beh, adesso ha te, però.»
«Sì, signore.»
«E se prova a metterti contro la tua fidanzata, dimmelo: sono certo che le servirà la carta per pulirsi quel didietro cadente e sarebbe veramente brutto se non ne trovasse in tutta Parigi.»
«Grazie mille, signore.»


Rafael osservò l’italiana sistemarsi nel posto davanti a lui e sospirò: «Sei un incubo» dichiarò, sentendo Adrien sbuffare accanto a lui: «Ma fra tutti i corsi facoltativi che potevi scegliere proprio questo?»
Lila ridacchiò, sistemando il blocco degli appunti sul tavolo e poi voltandosi verso i due ragazzi: «Andiamo, sarà divertente!» dichiarò, poggiando i gomiti sulla superficie dietro di lei e sorridendo: «Faremo gruppi di studio assieme, festini…»
«Sono sposato.»
«Sono fidanzato.»
«Tu non sei fidanzato» dichiarò Lila, indicando Rafael: «Non ho mai visto nessun anello al dito di Sarah, quindi non lo sei.»
«Viviamo assieme.»
«Siete conviventi, esattamente come me e Wei finché il signor Pazienza e controllo non mi darà un anello.»
«Devo forse leggere qualcosa tra le righe?» domandò Adrien, sorridendo: «Del tipo: dite a Wei di comprarmi quel maledetto coso da infilare all’anulare.»
«Sapevo che potevo contare su di voi» cinguettò Lila, sbattendo le palpebre: «Come sta Marinette?»
«Ha dormito come un sasso tutta la notte» le rispose Adrien, sorridendo: «Tutta quella situazione l’aveva veramente sfinita e ieri è crollata; purtroppo ha il brutto vizio di non voler mostrare quando è debole…»
«Già» mormorò Lila, scuotendo il capo: «Mi ricordo come si faceva in quattro quando andavamo tutti a scuola assieme e quante volte Alya la rimproverava perché non chiedeva mai aiuto.»
«Almeno questa situazione si è risolta» commentò Rafael, poggiando le braccia sul banco e il viso contro di esse: «Ormai resta solo sconfiggere Dì Ren, trovare mio padre…»
«Trovare tuo padre?»
«Ieri sono andato con Sarah a casa sua ma è sparito» borbottò il moro, passandosi una mano fra i capelli e tirandoli indietro: «Non mi meraviglierei se avesse seguito un’idea del momento e fra un po’ mi arrivasse una chiamata da qualche parte del mondo, ma stava male e poi ha preso quel lavoro all’università…» si fermò, scuotendo la testa: «…insomma, non è più libero come prima e poi ha lasciato tutte le cose nel suo appartamento.»
«Serve una mano, piumino?»
«No, tranquilla, volpe. Ho chiamato mia madre, anche se ho parlato con uno degli studenti che ha sotto la sua ala…»
«La signora Fabre» esclamò Adrien, giocherellando con la penna: «Non riesco a immaginarla.»
«Alta, mora, sguardo severo, se può creare un topo con tre teste è felicissima» elencò Rafael, facendo un gesto vago con la mano: «Ti presento mia mamma.»
«Direi un tipo interessante...» commentò Lila, sorridendo: «Come ha conosciuto tuo padre?»
«Fidati, non vuoi saperlo.»
«Fidati, voglio saperlo.»
«Per pagarsi gli studi mio padre…» Rafael si fermò, sospirando: «Beh, faceva lo spogliarellista e mia madre era un’abitué del locale dove lui lavorava: da cosa è nata cosa, hanno fatto…» il ragazzo scosse il capo: «E nove mesi dopo sono arrivato io.»
«Tuo padre? Uno spogliarellista?»
«Già»
«Inizio a capire tante cose, pennuto.»
«Tu non capisci proprio niente, gattaccio.»

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** Capitolo 40 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.634 (Fidipù)
Note: E' venerdì e quindi è il turno del nuovo aggiornamento di Miraculous Heroes 3 e...beh, la situazione inizia a farsi caliente! E' tempo di combattere per i nostri eroi, è tempo di un breve faccia a faccia con Dì Ren ed è tempo per qualcuno di aprirsi...Di chi starò mai parlando? Vi lascio al capitolo per scoprirlo!
E vi ricordo che domani verrà aggiornata Scene, con la seconda parte di Antieroe.
Come sempre vi ricordo la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati e io vi do appuntamento a lunedì con una nuova settimana di aggiornamenti!
Come sempre, un grazie grande quanto la Tour Eiffel a tutti voi che leggete, commentate e inserite questa storia in una delle vostre liste!



Lila poggiò il volto contro il pugno chiuso, osservando i due ragazzi davanti a lei finché uno dei due non tirò su la testa dal proprio piatto e la fissò eloquente: «Sì, volpe?» domandò Adrien, attendendo e notando che l’altra non si degnava di rispondergli: «Lila!»
«Mi stavo domandando…»
«E quando inizia così, io mi preoccupo» bofonchiò Rafael, infilzando un pezzo di frittata e portandosela alle labbra: «Di solito sono cose che non voglio che si domandi.»
«Cosa ci trovate di bello in economia?»
«Mi serve per rilevare l’azienda di famiglia» commentò serafico Adrien, infilzando un boccone di carne e portandoselo alle labbra, aggrottando lo sguardo quando vide la borsa della ragazza, poggiata sul tavolo accanto a lei, muoversi: «Ma che…?»
«Vooxi sta leggendo la Pietra Filosofale per la non so quale volta. Ho sinceramente perso il conto.»
«Come io l’ho perso per La compagnia dell’anello» sospirò Rafael, scuotendo il capo: «E ritieniti fortunata, Harry Potter sono solo sette volumi.»
«Il Signore degli Anelli non sono uguali? Di numero, intendo.»
«Sono sei» dichiarò Rafael, giocherellando con il cibo nel piatto: «Ma vorrei farti notare le dimensioni di quei libri. Fino a che non ho comprato l’ereader mi dovevo portare dei mattoni dietro…»
Il kwami della volpe fece capolino dalla borsa, gattonando fino a che il musetto non uscì e fissò il moro: «Ereader? Che cosa è?»
«Rafael, ti uccido se gli rispondi.»
«E’ una specie di tablet dove puoi leggere e portarti dietro tutti i libri che vuoi» dichiarò il moro, sorridendo all’italiana davanti a lui: «Allora? Vuoi uccidermi sul serio e inimicarti Sarah?»
«Attenderò che Sarah sia in quel periodo del mese e lascerò fare a lei» decretò Lila, sorridendo e poi voltandosi e osservando i due personaggi che erano entrati nella mensa: entrambi avevano il volto coperto da una maschera sorridente bianca ed erano vestiti con una tuta attillata nera, con delle fiamme che dal basso salivano verso l’alto, uno di un rosso acceso e l’altro di un blu elettrico; gli stessi colori si ripetevano nei capelli legati in una coda laterale: il rosso tenuta sulla spalla di destra e il blu su quella di sinistra: «Nuovi studenti?» domandò, voltandosi verso Adrien e Rafael, vedendoli entrambi in allerta: «Devo dire che lo speravo vivamente.»
Rimase ferma, osservando i due che, in sincrono, attraversarono l’intera stanza giungendo quasi al centro: entrambi alzarono un braccio e, mente il rosso sprigionò una fiammata, il blu creò un dardo di ghiaccio.
«Oh. Bene.» sentenziò Adrien, scivolando sotto al tavolo con Rafael e Lila: «Abbiamo fuocherello e ghiacciolino. Chi chiama il grande capo?»
«Ladybug o Mogui?»
«Secondo te, volpe?»
«Dobbiamo trasformarci, prima» mormorò la ragazza, indicando la porta dei bagni e ricevendo due cenni affermativi: l’italiana scattò in avanti, ignorando il caos e le urla che avevano riempito la mensa e scivolò nella toilette femminile, voltandosi e osservando i due che erano con lei: «Questo è delle signore.»
«Trasformati e non rompere» sentenziò Rafael, invocando il nome del proprio kwami che, risucchiato nel Miraculous del Pavone, lo trasformò in breve tempo; l’eroe in blu aprì gli occhi, osservando il felino accanto a sé e poi la ragazza che, ancora, non si era trasformata: «Lila!»
«Non lo faccio davanti a voi due!» sentenziò Lila, prendendoli per le spalle e spintonandoli fuori dal bagno: «Vooxi, trasformarmi» ordinò, osservando la piccola volpe entrare nella sua collana e la forza della trasformazione avvolgerla, facendola diventare Volpina.
Allungò una mano, osservando la voluta di fumo arancio creare il lungo flauto e, solo allora, uscì dal bagno con tutta la calma del mondo: «Questa me la devi spiegare» sentenziò Peacock, mettendo mano all’auricolare che teneva all’orecchio e attivandolo: «Sono in linea, Mogui.»
«E anche io» aggiunse Chat, usando il proprio bastone come appoggio e osservando i due nuovi nemici: «Creature di Quantum. Mensa della facoltà di economia. Vi attendiamo calorosi e anche un po’ congelati.»
«Che stai dicendo?» domandò la voce di Ladybug, facendo sorridere il felino: «Chat?»
«Vedi, my lady, abbiamo un fuocherello e un ghiacciolino a questo giro» le spiegò l’eroe, sorridendo: «Devo dire che quei due mi ricordano il nostro rapporto agli inizi: caliente come il fuoco ma anche freddo come il ghiaccio.»
«Sto arrivando» sospirò Ladybug, ignorando ciò che aveva detto Chat Noir: «Tortoise? Bee? Hawkmoth?»
«Sono quasi arrivata» decretò la Portatrice dell’Ape: «Se mi dite dov’è la mensa vi raggiungo subito.»
Il nemico di ghiaccio si accorse dei tre, puntando la mano verso di loro e sparando uno dardo: Peacock prese il ventaglio, deviando il colpo nemico e vedendolo frantumarsi a terra: «Apetta, atterra davanti l’entrata e poi la seconda porta a sinistra» le spiegò, mettendosi in posizione di attacco: «Qui le cose si sono appena fatte animate.»
«Sto arrivando!»


Tortoise balzò a terra, osservando il piccolo Hawkmoth giungere assieme a Ladybug e Jian: «Sono dentro?» domandò l’eroe in verde, voltandosi poi quando sentì il rumore di vetri che si rompevano e osservare Peacock balzare fuori, i due ventagli stretti in mano mentre uno dei nemici lo seguiva fuori e lo puntava; Bee volò fuori e colpì il tipo in nero con i capelli rossi con una sfera di energia, mentre Peacock lanciava i dardi dei suoi ventagli.
«Oh. Siete venuti alla festa anche voi?» domandò l’eroe in blu, riprendendosi e sorridendo ai nuovi arrivati: «C’è decisamente bisogno di una mano: Fuocherello qui è al quanto ardente, mentre Ghiacciolo…» Peacock tremò, fingendo di provare freddo: «Mai visto un tipo più glaciale.»
«Non è un tipo da festa, allora» decretò Tortoise, mettendo mano al suo scudo e parando l’assalto di Fuocherello, prima che si schiantasse contro Peacock: «Veramente caldo l’amico qua.»
«Già. Dovremmo invitarlo a un’uscita di noi ragazzi, non credi?»
«A proposito, quando ne facciamo un’altra?» domandò Tortoise, dando un colpo secco con lo scudo e mandandolo lontano da sé: «E’ un po’ che non vengo al locale.»
«Vero!  Dobbiamo rifarci.»
«Mentre voi vi accordate per l’uscita…» dichiarò Ladybug, con una corda rossa a pois neri in mano: «Io ho evocato il Lucky Charm e ho anche una mezza idea su come usarla. Fuoco e Ghiaccio, hai detto?»
«Ti sto leggendo nel pensiero, Ladybug» sentenziò Peacock, osservando Chat Noir balzare fuori dall’edificio con Volpina e Ghiacciolino: «Ehi, Chat! Spingi mister freddo da questa parte!»
Il felino annuì, evitando un dardo di ghiaccio e scivolando alle spalle del nemico, colpendolo con il bastone e mandandolo verso il gruppo, mentre Ladybug lanciò una cima della corda a Jian e, assieme a lei, legarono strettamente il gemello di fuoco: «Adesso tocca all’altro» mormorò la coccinella, facendo un cenno a Chat e sorridendo quando, come se le avesse letto nel pensiero, iniziò a duellare contro il nemico di ghiaccio, aiutato da Hawkmoth, Volpina e Tortoise: i quattro lo costrinsero a indietreggiare lungo un percorso preciso, mentre Peacock e Bee mantenevano saldamente a terra l’altro nemico, finché anche Ghiacciolo non fu legato nella corda e stretto assieme al gemello di  fuoco.
La vicinanza fra i due iniziò a provocare delle volute di fumo, segno che i due si stavano annientando a vicenda e, poco dopo, entrambi si dissolsero sotto ai loro occhi: «Questa volta è stata…» mormorò Volpina, roteando il bastone: «Veramente facile. Non credete?»
«Almeno una volta abbiamo risolto la situazione velocemente e senza tanti problemi» mormorò Ladybug, raccogliendo la corda e lanciandola in alto, osservando la magia risistemare tutto: «Ma non penso che sarà sempre così.»
«Stai dicendo bene, mia cara Portatrice della Coccinella» dichiarò una voce maschile, facendo voltare l’eroina a pois verso un punto della piazza antistante la facoltà: Ladybug osservò la figura in nero che si stava avvicinando, battendo le mani: rimase a fissarla sorpresa, con la bocca aperta e portandosi una mano alle labbra, mentre il giovane dalla capigliatura fulva si fermò davanti a tutti loro: «I miei ossequi, eroi di Parigi. Io sono…»
«Dì Ren» dichiarò Jian, storcendo le labbra e fissando male il ragazzo: «Hai paura di mostrarti a noi?»
«Dì Ren…» mormorò Nathaniel, piegando le labbra in un pigro sorriso: «E’ un nome carino quello che mi hai dato, ma in verità io mi chiamo Kwon. E non ho paura, mia piccola figlia della città senza tempo, semplicemente è un mezzo comodo per comunicare con voi…»
«Perché lui?»
«Perché non lui? Direi io» dichiarò Kwon-Nathaniel, allargando le braccia: «Quando l’ho incontrato era confuso: amava una ragazza, ma non riusciva a dimenticare il suo vecchio amore…»
«Io l’avevo detto» cantilenò Chat, chinandosi verso l’orecchio di Ladybug: «L’avevo detto, no?»
«E non riusciva a superare il senso di inferiorità che provava per questa fanciulla. Com’è che si chiama? Marinette, mi sembra.»
«Direi che non sa delle vostre identità» mormorò Alex, negli auricolari: «Oppure sta fingendo e, fatemelo dire, date un oscar a quest’uomo nel caso.»
Ladybug si portò una mano all’orecchio, assentendo a ciò che Alex aveva detto loro e poi riportò l’attenzione su Nathaniel: «Che cosa vuoi Kwon?»
«Il potere. Quello assoluto che solo Daitya aveva e che ha sempre sperperato» decretò il rosso, stringendo i pugni: «I vostri Miraculous mi renderanno un dio su questa terra ed io, finalmente, avrò il ruolo che mi spetta.»
«Di poche ambizioni il tipo» borbottò Peacock, poggiandosi le mani sui fianchi: «Il tizio che vuole diventare divinità ci mancava, giusto?»
«Con l’invasione aliena e il dominatore di tutti i popoli» dichiarò Chat, annuendo: «Avremmo finito l’album: la tizia vendicativa ce l’abbiamo, lo scienziato pazzo c’è, il tipo che agisce come cattivo per l’amor perduto pure, la pseudo-divinità adesso…»
«E tutti vogliono i Miraculous. Sempre, eh!»
«Scherzate pure» mormorò Kwon-Nathaniel allargando le braccia e creando così un vortice d’aria, facendosi portare in alto: «Ma i Miraculous saranno miei e, assieme alla Collana di Routo, io dominerò questo mondo e il Quantum!» decretò, prima di sparire nel vento che aveva creato.


«Cioccolato! Voglio del cioccolato!»
«Non morirai se attendi qualche minuto» decretò Rafael, scacciando il proprio kwami con un gesto della mano: «Oltretutto non ho neanche usato il mio potere speciale…»
«Cioccolato!»
«Tieni, Flaffy» mormorò Sarah, prendendo una stecca di cioccolato dalla dispensa e dandola allo spirito del Pavone, felice di avere ciò che agognava; la ragazza lo fissò mentre volava per la stanza e si sistemava davanti alla  televisione dove, per l’ennesima volta, andava il primo film del Signore degli Anelli: «Che c’è?» domandò, voltandosi verso il ragazzo al suo fianco.
«Sto cercando di educarlo che non può avere tutto e subito» dichiarò il moro, indicando con il mestolo i due kwami e scuotendo la testa: «E poi oggi non ho usato il mio potere, non ne aveva bisogno.»
«Educare? Un kwami?»
«Sì» bofonchiò Rafael, tornando a occuparsi della cena e sentendo lo sguardo di Sarah addosso: «Tutto bene?»
«Sì. Sto studiando le ricerche di tuo padre» mormorò la ragazza, poggiandosi con i fianchi alla cucina e sospirando: «Spero di riuscire a capire qualcosa e magari avere un indizio su dove sia.»
Rafael si chinò verso di lei, sfiorandole il naso con l’indice e sorridendole: «Non ti preoccupare, apetta. Verrà risolta anche questa.»
«Lo spero» sospirò la ragazza, incrociando le braccia e scuotendo il capo: «Che ne pensi?»
«Che forse non c’è da preoccuparsi per mio padre, queste sparizioni erano all’ordine del giorno prima e forse non ha mai preso sul serio il suo impegno in facoltà…»
«Stavo parlando di Dì Ren. Kwon…»
«Un altro cattivo con mille nomi» bofonchiò il moro, concentrandosi su ciò che stava cucinando: «E non mi piace il fatto che abbia usato Nathaniel come portavoce sembra…»
«Fatto apposta per destabilizzare Marinette, vero?»
«Già»


Marinette si sistemò il vestito, fissando malevola il ragazzo al suo fianco, mentre si chiudeva i jeans: «Che c’è?» le domandò innocentemente Adrien, sorridendole dolcemente: «Ah, ti ho spettinata un po’...» mormorò, allungando le mani e sistemando i capelli.
«Non ci posso credere…»
«E’ una cosa normale.»
«A casa! Non nel bagno del ristorante.»
«Che posso dire? Non so resisterti quando indossi certi vestiti» dichiarò Adrien, alzando le spalle: «E poi mi sembra che anche tu hai fatto la tua parte, soprattutto quando mi hai infilato le mani dentro le mutan…»
«Adrien, zitto!» bofonchiò Marinette, prendendosi il volto fra le mani e scuotendo la testa: «L’abbiamo fatto nel bagno. Nel bagno del ristorante che c’è nell’hotel dei Bourgeois…»
«Io non capisco cosa ci sia di male, sai? Insomma, sono tuo marito, sono di una bellezza assoluta…»
«Sei un gatto perennemente in calore.»
«Silenzio, Plagg.»
«E se qualcuno ci ha sentito o peggio ripreso? Oddio, e se qualcuno l’avesse fatto? Magari uno di quei tipi che poi li caricano da qualche parte su internet o peggio mi ricatterà e mi chiederà in cambio…» Adrien la osservò fare un’espressione oltraggiata, prima di scuotere vigorosamente il capo: «La mia vita è rovinata, sarò arrestata e tu troverai sicuramente un’altra.»
«Come è arrivata da una sveltina in bagno con il marito a te che vai con un’altra?» domandò Plagg, alzando la testa verso il suo Portatore: «Non capisco.»
«I suoi film mentali sono sempre meravigliosi.»
«E’ tutta colpa tua!»
«Sto iniziando a rimpiangere la vecchia Marinette, sai? Almeno balbettavi e …» Adrien si fermò, osservando lo sguardo di totale paura di Marinette: «Cosa hai pensato?»
«Ti sei stancato di me…»
«Marinette, io ti amo» mormorò Adrien, prendendola per le braccia e sorridendole: «E mi sembra anche di avertelo dimostrato cinque minuti fa, ma tu ed io dobbiamo assolutamente lavorare sulla tua tendenza a farti film mentali che girano sempre al peggio. Non sono stanco di te, nessuno ti ha ripreso e nessuno ti ricatterà.»
«Ma…»
«Cuore mio, ti prego non pensare. Te lo chiedo per favore: andiamo di là, godiamoci la nostra cena e poi torniamo a casa, ok? Casa nostra dove non ci sono telecamere o entità invisibili» Adrien si fermò, imbronciandosi: «Sei già partita con un altro film, vero?»
«Sì» mormorò Marinette, incassando la testa nelle spalle: «Scusa.»
Adrien scosse il capo, sospirando e poggiando la fronte contro quella di Marinette: «Ti amo anche per questo e, se mai ti farò arrabbiare veramente parecchio, ricordati che sono l’unico che è capace di sopportare questa tua tendenza. Ok?»
«D’accordo» bisbigliò Marinette, carezzandogli la guancia: «Ed io sono l’unica a sopportare il tuo ego spropositato.»
«Ed entrambi sopporteremo benissimo i due gâteau au chocolat che ci attendono al tavolo.»
«Pensi ai dolci?»
«Ehi, ho consumato poco fa. Devo fare il pieno o non saprò come soddisfare la mia mogliettina più tardi» dichiarò Adrien, facendole l’occhiolino e aprendole la porta, ridacchiando davanti alla signora, ferma dall’altra parte e con lo sguardo oltraggioso; il biondo la vide entrare nel bagno, borbottando qualcosa su giovani senza ritegno mentre Marinette diventava completamente rossa in volto: «Ho il sospetto che ci abbia sentiti…»
«Tu dici?»
«Te lo dico sempre che urli troppo, my lady» dichiarò Adrien, sogghignando quando la vide andarsene a testa alta: «Almeno ha messo di pensare a Nathaniel…»
«Quindi era tutto un piano per distrarla?» domandò Plagg, facendo capolino dalla tasca della camicia: «Bel piano, complimenti.»
«Grazie mille.»
«Non era un complimento, moccioso.»


Alex osservò in basso, deglutendo nervosamente e voltandosi poi verso la ragazza che l’aveva portato lassù, su una delle tante travi orizzontali che formavano la Tour Eiffel: «Non c’era un posto un po’ più…» si fermò, stringendo il braccio della ragazza: «Come dire? Più basso per parlare?»
«Qui saremo tranquilli.»
«Mi chiedo chi verrà a darci noia oltre ai piccioni…» borbottò il ragazzo, sistemandosi gli occhiali e sorridendole: «Ti ho mai accennato il fatto che sono umano?»
«Sì, lo so.»
«E penso tu sappia che, se io cado da quassù, mi faccio male. Muoio. Cose del genere, insomma.»
«Non ti farei mai cadere, Alex» dichiarò Xiang, sorridendogli e sistemandosi a gambe incrociate: «Sei al sicuro con me.»
«Bene, perché sarebbe un po’ complicato spiegare ai miei che sono morto, cadendo dalla Tour Eiffel perché una ragazza cinese mi ci ha portato stile principessa…» bofonchiò il ragazzo, abbozzando un sorriso nervoso: «Mio padre sarebbe capace di resuscitarmi e uccidermi con le sue stesse mani.»
«Tuo padre è un negromante?»
«E’ un modo di dire, Xiang.»
«Oh» mormorò la ragazza, rimanendo a bocca aperta e annuendo con la testa, chiuse le labbra e si voltò verso la città sotto di loro che, lentamente, stava cedendo al tramonto e alle sue tinte calde: «Dì Ren si è fatto spavaldo» mormorò, poggiando i gomiti contro le ginocchia e sentendo Alex muoversi a disagio accanto a lei: «Ha usato il vostro amico come tramite…»
«Ciò mi fa pensare cosa pensi del caro Nathaniel» borbottò l’americano, facendosi più vicino a lei: «E non credo rientri fra le persone che stima di più.»
«Tutti sono pedine nel gioco di Dì Ren. Anche noi.»
«Che tipo simpatico» borbottò Alex, stringendole l’avambraccio: «Davvero, non potremmo andare a parlare da qualche altra parte? Un posto magari a zero centimetri di altezza.»
«Hai paura, Alex?»
«Quando non sono Mogui? Sì. E anche tanto.»
Xiang sorrise, tirando su una gamba e stringendola nell’abbraccio delle braccia, mentre poggiava il mento sopra il ginocchio: «A Shangri-la ero solita salire molto più in alto di così: mio fratello adorava montare sulle spalle della grande statua del nostro primo sovrano e da lì osservare tutto.»
«Avevi un fratello?»
«Più di uno, in verità.»
Alex annuì, osservando anche lui la città, lasciando andare un lento sospiro: «Eravate un grande nazione» mormorò, scuotendo il capo e fissandola: «Com’è possibile che tutto sia andato…»
«Come è possibile che vi siete estinti. Questo vuoi chiedermi Alex.»
«Messa così…» mugugnò il ragazzo, sospirando: «Volevo essere delicato e dire ‘estinti’ non mi pareva il caso.»
«Avere una lunga vita non è sinonimo di invulnerabilità» dichiarò la ragazza, scuotendo la lunga chioma bionda: «Il mio popolo ha sofferto la sua sete di potere: troppe guerre per espandere i domini e sottomettere le popolazioni nascenti, questo ha portato all’estinzione della mia gente.»
Alex annuì, tirando su le gambe e poggiando gli avambracci su di esse, osservando il panorama davanti a sé: «Mi chiedo come sia. Vivere per così tanto tempo.»
«Doloroso e molto solitario» dichiarò la ragazza, sorridendo appena: «Quando sono nata, della mia gente era rimasta solo un esiguo gruppo e, nonostante ciò, mia madre ha ordinato la guerra contro il nascente impero cinese e questo ha portato alla rovina di Shangri-la: sono morti in tanti e pochi sono rimasti fra le mura della città; sono rimasta sola quando avevo mille e cinquecento anni…»
«Mh. Più o meno che epoca era?»
«Vediamo…» Xiang sospirò, alzando la testa verso il cielo e osservando la struttura di metallo sopra di lei: «Voi prendete come punto di riferimento la morte di quel vostro santone, vero?»
«Secondo la religione sarebbe il figlio di Dio ma…» Alex sospirò, scuotendo il capo: «Chi sono io per farti lezioni di religione? Comunque sì, prendiamo come punto di riferimento la nascita di questo individuo e infatti sono passati duemiladiciassette anni da allora.»
«Duemiladiciassette, eh?» mormorò Xiang, sorridendo poi: «Ok, doveva essere più o meno un periodo come cinquecento anni prima che questo tizio nascesse.»
«Uao.»
«Il mondo era così giovane all’epoca…»
«Io non ero neanche un girino nei pensieri del mio antenato, mi sa.»
Xiang sorrise dolcemente, voltandosi verso di lui: «Tu però hai vissuto, Alex. La tua vita è piena, incredibile; io ho semplicemente vissuto dentro una grotta, per molto tempo sola, finché Kang non è giunto da me: avevo passato mille anni da sola, prima che lui giungesse a Shangri-la.»
«Sei stata da sola per mille anni?»
«Sì.»
«E’ tanto tempo.»
«Non dirmelo!» sentenziò la ragazza, sorridendo: «Ma poi Kang è arrivato e, sebbene si allontanasse spesso, tornava sempre da me e un giorno portò…»
«Felix!»
«Esattamente! E la mia grotta si animò: Felix mi raccontava del mondo che c’era fuori e di quello che aveva visto, di Bridgette…» si fermò, ridacchiando: «Era molto romantico quando parlava di lei, non come ora.»
«Ora è il gatto che è in lui a parlare. Se noti anche Adrien è uguale: quando è solo è tutto un osannare la sua dolce e meraviglia Marinette, ma quando è con lei…»
«Kang mi ha narrato una volta di Marinette e Adrien.»
«Cosa?»
«Lui vedeva nel tempo, ma non voleva mai condividerlo con nessuno: passato, presente e futuro. Lui vedeva tutto, però era solito dire che il tempo era un affare suo» decretò, sorridendo: «Però una volta mi parlò di loro due: ‘un amore così grande e forte da far rivivere ciò che era passato’»
«Far rivivere ciò che era passato? Ma che…?»
«Non ammattire, Alex. Kang era incomprensibile alle volte.»
«Sai che io adoro questo genere di cose? Indovinelli, enigmi, sembra di stare in un GDR ma senza Master rompiscatole.»
«Farò finta di aver capito di cosa stai parlando…»
«Scoprirò cosa voleva dire.»
«Buona fortuna, Alex.»
Il ragazzo sorrise, voltandosi verso di lei e sistemandosi gli occhiali: «Me lo merito un bacio di buon augurio?» domandò, fissandola in attesa e osservandola mentre si alzava e si puliva gli abiti: «Xiang?»
«Forse il giorno in cui riuscirai a scendere da qui» decretò la cinese, balzando nel nulla, sotto lo sguardo allibito del giovane.
L’aveva veramente lasciato lì?
A metà Tour Eiffel?
Alex scosse il capo, sbuffando e recuperando il cellulare dalla tasca del giubbotto: in certi casi c’era solo una cosa da fare! Cercò il numero nella rubrica e poi si portò il telefono all’orecchio, aspettando che la persona dall’altra disturbasse: «Ciao, come va?» domandò, quando sentì la voce dall’altra parte della linea: «Senti, avrei un piccolissimo favore da chiedere…»
«Alex, sto facendo i compiti.»
«Sempre detto che sei un bravo studente, Thomas.»
«Cosa vuoi?»
«Puoi venire sulla Tour Eiffel e akumatizzarmi? Oppure portarmi direttamente giù?»
«E che ci fai lì?»
«A quanto pare, portare un ragazzo a un’altezza dalla quale non può sfuggire e andarsene via è l’idea di appuntamento romantico di Xiang. O almeno credo» spiegò l’americano, guardando in basso: «Ti prego, vieni a salvarmi.»
«Arrivo subito.»


Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** Capitolo 41 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.495 (Fidipù)
Note: Ed eccoci qua con un nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3. Bene, bene. Si comincia a tirare qualche filo e altre rimangono sempre aggrovigliati, figure misteriose appaiono e tant'altro. In vero, non è che abbia molto da dirvi, senza spoilerarvi l'intero capitolo e quindi vi lascio subito alle informazioni di servizio.
Come sempre vi ricordo la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati e ricevere piccole anteprime dei capitoli; inoltre vi ricordo che mercoledì ci sarà il nuovo capitolo di La Sirena, giovedì sarà il turno di Laki Maika'i, venerdì avrete un nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3 e sabato sarà il turno di Lemonish.
Come sempre voglio ringraziarvi tutti quanti per il fatto che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!



Rafael sbadigliò rumorosamente, strusciandosi gli occhi e osservando il furgoncino di Mercier fermarsi davanti il locale di Alain, vedendo poi Wei balzare giù dal vano di guida e salutarlo con un gesto della mano: «Scusa, amico» bofonchiò il parigino, voltandosi verso la porta de La Cigale e aprendola, facendo passare l’altro con il carico di scatole: «Ma quel genio di Alain si è ricordato all’ultimo di fare l’inventario e…»
«Tranquillo» commentò Wei, entrando e poggiando l’ordine sul bancone, sciogliendosi poi i muscoli del collo: «Tanto dovevo passare lo stesso di qua per alcune consegne.»
«Ti offrirei qualcosa. Se non fosse che è mattina e vorrei evitare che Alain ci scambi per due alcolizzati.»
«Tranquillo, Rafael.»
Il moro annuì, incrociando le braccia e fissando l’amico, trovando un qualcosa di diverso, che quasi intaccava la calma storica dell’altro: «C’è qualcosa che non va?» domandò, osservando Wei abbozzare un sorriso e guardare poi verso l’alto, quasi come se potesse trovare nel soffitto le parole per esprimersi: «Wei?»
«La madre di Lila ci ha provato con me.»
«Cosa? Non ho capito bene. Madame Rossi ci ha provato con te? Provato nel senso di…»
«Il concetto è stato molto in stile ‘se vuoi essere ricco e fare felice mia figlia, devi prima soddisfare me’.»
«Che putt…» iniziò il parigino, fermandosi e guardando la tasca della felpa: «Flaffy, tappati le orecchie.»
«E perché?» domandò il kwami, uscendo dal suo nascondiglio e sorridendo all’altro Portatore: «Ciao Wei!»
«Ciao, Flaffy» lo saluto di rimando il cinese, notando poi il proprio kwami uscire da sotto la maglia e recuperare lo spirito del pavone, portandolo lontano da loro: «Penso che ora puoi commentare tranquillamente.»
«Prima mi esprimevo con più tranquillità, ma da quando so che era appena un ragazzino quando si è offerto come volontario…»
«E’ stato molto coraggioso.»
«Decisamente» sentenziò Rafael, sorridendo al piccolo kwami che parlava entusiasta con Wayzz, scuotendo poi il capo: «Beh, come il nostro Thomas: anche lui è molto coraggioso.»
«Vero.»
«L’hai detto a Lila?»
«Cosa?»
«Di sua madre.»
Wei negò con la testa, sospirando pesantemente: «Non saprei come introdurre l’argomento e poi non voglio…» si fermò, negando con la testa: «Non voglio che soffra ancora per colpa dei suoi genitori.»
«Non è che tenendoglielo nascosto, risolverai questa cosa.»
«E che dovrei fare, grande esperto di relazioni?»
«Esperto di una botta e via, casomai» sentenziò moro, sospirando: «Non so. Parlargliene? Sarah mi ha fatto capire che il dialogo è una cosa importante nel rapporto di coppia.»
«Non voglio ferirla» borbottò Wei, sospirando poi pesantemente: «Ed è già abbastanza ai ferri corti con sua madre…»
«Conoscendo la volpe questo non aggiungerebbe altro che benzina sul fuoco» Rafael si massaggiò il volto, lasciando poi andare un lungo sospiro: «Ma anche tacere…» si fermò, sorridendo appena: «Non vorrei essere nei tuoi panni in quel caso.»
«Nemmeno io.»
«Fidati, amico, se non vuoi che si trasformi e ti infili il flauto dove non vorresti mai averlo…» Rafael si fermò, sogghignando: «Parlale. E trova anche un modo di fermare le voglie della tua futura suocera.»
«Peccato che hai messo la testa a posto. Mi avresti fatto comodo com’eri un tempo.»
«Ah ah ah ah. Molto divertente. E comunque con una del genere non ci sarei mai andato, ho un certo codice morale.»
«Giusto per sapere, con quante…»
«Venti? Venticinque?»
«Uao.»
«E, se devo essere sincero, non ricordo assolutamente niente di nessuna di loro: volti, nomi, quello che abbiamo fatto. Niente» si appoggiò, al bancone sorridendo: «Di Sarah, invece, ricordo perfettamente tutto: la prima volta che l’ho vista nel giardino della scuola, quando mi sono infilato in mensa dietro di lei e l’ho osservata mentre cercava di vedere che c’era da mangiare…»
«Era quella giusta.»
«E Lila, purtroppo per te, è la tua anima gemella, quindi Wei parlale. Veramente. Dille ciò che ha fatto sua madre.»
«Uao» mormorò Flaffy, fluttuando fra i due: «Mi sembra di essere entrato in uno di quei cosi asiatici che si guarda Mikko, manca solo che parta la canzone adeguata e sareste perfetti…»
«Io sono asiatico.»
«Ma Rafael no» sentenziò Flaffy, incrociando le zampine: «E poi non sei il tipo di asiatico che ci serve: quelli di solito hanno tre o quattro nomi, sono una cosa assurda quando si chiamano: Nam Hyung Koo. Andiamo, vuoi mettere l’epicità di…non so? Aragorn! Senti qua. Senti l’epicità!»
«Com’è che non avevo dubbi che infilavi da qualche parte Aragorn?»
«Silenzio, signore dei Nazgul.»
«Qui stavamo parlando di questioni serie!»
«Il Signore degli anelli è una questione seria!»


«Ti stai ossessionando» commentò Mikko, osservando la ragazza mentre recuperava un testo dalla borsa, leggendo il titolo e fissando male la propria Portatrice: «Dovresti…»
«Concentrarmi sulla missione, lo so. Lo so» bisbigliò Sarah, guardandosi attorno e prendendo anche il blocco degli appunti su cui aveva segnato alcune cose della donne che l’avevano preceduta: Mikko le aveva detto che, come il Miraculous della Coccinella, anche quello dell’Ape era andato esclusivamente a donne.
Un caso?
Una coincidenza?
In verità non lo sapeva proprio.
Le sarebbe piaciuto scoprire le loro storie e parlare con una di loro, invidiando i suoi amici che avevano la possibilità di parlare con i loro predecessori: in vero, lei e Lila erano le uniche che non avevano una specie di mentore che le potesse in qualche modo guidare.
Certo, per quanto potesse considerare mentori personalità come Felix…
Sospirò, rileggendo i nomi che aveva scritto sul foglio assieme a pochi dati che le servivano per contestualizzarle: Maria. La donna che aveva combattuto come Abeja al fianco di Bridgette e Felix, magari poteva chiedere informazioni su di lei e il marito…
Henrique, ovvero Zorro.
Sarebbe stato interessante scoprire che cosa avevano da offrire a lei e Lila le loro storie.
Il rumore della porta che si apriva, le fece alzare la testa e notò stupida la figura di Emile Fabre entrare nell’aula, accompagnata dal brusio degli studenti: l’uomo sembrava in salute e tranquillo come se venisse a lezione in un giorno qualunque e non senza una discreta dose di assenze alle spalle.
«Ma che cosa…?»
«A quanto pare siamo rimasti un po’ indietro con il programma» sentenziò Emile, sorridendo a tutti loro: «Dovrò mettere l’acceleratore per riuscire a recuperare. Iniziamo subito, che ne dite?»
Stava bene.
Non sembrava minimamente l’uomo malato che aveva visto l’ultima volta.
Dove era stato? Che cosa gli era successo?
Sarah inspirò profondamente, tenendo lo sguardo fisso sull’uomo mentre apriva il voluminoso libro di storia antica e si fermava su una pagina a casaccio, tenendo sotto controllo i movimenti del professore, cercando di carpire qualcosa.
Qualsiasi cosa.


«Mi hai deluso, Hundun» mormorò Kwon, afferrando la donna per il mento e scaraventandola dall’altra parte della stanza: «In vero, tutti mi state deludendo. E’ così difficile prendere quei gioielli?»
«Io…» Hundun si tirò su, inspirando profondamente e, chinando la testa, si prostrò sul pavimento: «Credevo fosse un buon posto.»
«Una mensa? Una mensa di una facoltà universitaria di Parigi?»
«Ha attirato gli eroi, però» mormorò la donna, mordendosi le labbra: «Loro sono giunti subito, vero?»
«Come Taowu, vi lasciate guidare troppo da ciò che eravate, da ciò che siete» continuò Kwon, avvicinandosi alla donna e carezzandole il volto con le nocche: «Tu sai perché hai attaccato proprio quel luogo, non è vero?»
«S-sì.»
«Così come Taowu, anche tu hai lasciato che la tua umanità ti guidasse…» continuò l’uomo, passandole un dito sulle labbra e vedendola mentre le schiudeva: «E ciò porterà sempre alla vostra disfatta. Volete che loro ci annientino? Che il grande Impero non torni mai?»
«No, mio signore.»
«Non deludermi, Hundun. Non deludermi un’altra volta.»
«Sì, mio signore» mormorò la donna, mentre l’altro la lasciava andare e si voltò, raggiungendo la porta delle sue stanze e ritirandosi in esse; Hundun tirò lentamente su le mani, stringendosi le spalle e inspirando lentamente mentre il suo corpo non la smetteva di tremare: aveva avuto paura, per la prima volta da quando aveva avuto il potere ed era diventata una dei Generali di Kwon, aveva sentito il terrore di perdere tutto.
Ed era colpa di loro.
Era tutta colpa degli eroi di Parigi.
La donna fissò rabbiosa in avanti, stringendo i pugni e storcendo le labbra in un ghigno mentre respirava pesantemente, non accorgendosi della figura che la fissava nell’oscurità.


Felix parò il calcio di Xiang con l’avambraccio, sorridendo strafottente e, portato avanti il pugno, sfiorò il volto della ragazza che indietreggiò, andando a sbattere contro il mobile alle sue spalle; Xiang strinse le labbra, assumendo nuovamente una posizione di difesa e fissando l’altro mentre si muoveva lento: «Non sei concentrata» dichiarò l’uomo, sorridendole appena e parando il colpo della ragazza e trattenendole il polso, lasciandola poi andare: «Si direbbe che tu sia parecchio distratta, anzi. Centra per caso quel yankee?»
«Stavo pensando a Dì Ren…»
«Avrei preferito se pensavi allo yankee» sospirò Felix, passandosi una mano fra i capelli biondi e portandoseli indietro, mentre Xiang rimaneva immobile davanti a lui: «Che cosa temi?»
Xiang lo fissò un momento negli occhi prima di distogliere il proprio sguardo e lasciarlo vagare per la stanza, tirando le labbra fino a farle diventare una linea sottile: «Ha un grande potere nelle mani, eppure non lo usa; potrebbe tranquillamente battere i Portatori, affrontarli a viso aperto e invece manda emissari e creature di Quantum…»
«Si chiama strategia, Xiang» mormorò Felix, posandosi le mani sui fianchi e guardandosi attorno, sorridendo appena: «Kang ha fatto qualcosa con la propria morte, lo so per certo» bisbigliò a voce appena udibile, sorridendo un poco al ricordo dell’anziano: «Non era tipo da sacrificare la vita per niente.»
«Perché non ha detto niente?»
«Tu lo conoscevi da più tempo di me, Xiang» mormorò Felix, portandosi una mano al viso e massaggiandosi il mento: «Sai come ragionava il suo cervello: per enigmi. Ricordi? Sicuramente ci ha detto qualcosa, ma non gli abbiamo dato importanza o non l’abbiamo capito.»
«Vorrei che fosse qui…»
«Anche io, piccola» borbottò il biondo, avvicinandosi alla ragazza e posandole una mano sulla testa, sorridendole dolcemente: «Kang…» si fermò, lasciando andare un lento sospiro e scuotendo la testa: «Per quanto abbia cercato di prepararmi, non sarò mai una guida come era lui: io non so niente se non quello che un misero essere umano sa, mentre Kang era un veggente.»
«Vorrei essermi preparata di più: non ho mai considerato la minaccia del gioiello che custodivamo come reale e tangibile. Era una collana che doveva stare a Shangri-la. Fine. Io…»
«Non potevi sapere, Xiang. Nessuno di noi due poteva saperlo e quel demente di Kang non ha mai voluto renderci partecipi di tutto» borbottò Felix, facendole l’occhiolino: «Non angosciarti, ok? Altrimenti, appena tornerà a casa, dovrò subirmi il terzo grado di Bri per il fatto che sei giù di morale e…» l’uomo si fermò, piegando le labbra in un sorriso sornione: «Fidati, ho altri progetti in mente.»
«Progetti che preferisco non sapere.»
«Brava, ragazza.»


«Tesoro, sono a casa» dichiarò Adrien, entrando nell’appartamento e chiudendosi la porta dietro le spalle, osservando la sala e la cucina deserte: «Marinette?»
«Sono qua!» urlò la voce della ragazza, dal fondo del corridoio, prima che il trambusto di scatole e altri oggetti che cadevano raggiunse le orecchie di Adrien; si mosse velocemente, fermandosi sulla porta dello studio della moglie e, poggiatosi con le braccia incrociate allo stipite, fissò Marinette: aveva un sandalo sulla testa, mentre scatole e scarpe la circondavano: «Non dire niente» lo intimò la ragazza, togliendosi la calzatura dal capo e guardandosi attorno, squittendo di gioia quando trovò il frutto di tanta ricerca.
«Tutto questo per un paio di stivali?» domandò Adrien, chinandosi al fianco della ragazza e iniziando a sistemare il tutto, poggiando un paio di suoi mocassini in una scatola e passando alla moretta un sandalo dal tacco alto.
«Li volevo mettere domani, ma non ricordavo dove erano» spiegò Marinette, chiudendo una scatola e alzandosi, posandola sulla mensola vuota: «Solo che per prenderli…»
«Hai fatto cadere tutto il resto.»
«Esatto!» dichiarò la ragazza, mentre il marito si alzava e le passava una scatola da scarpe che, celermente, lei infilò al suo posto: «Com’è andata oggi?»
«Al solito: lezioni, volpe che rompe, lezioni, servizio fotografico a suon di pasta e gnocchi. Mia madre che chiama…»
«Sophie?»
«Sì» sentenziò Adrien, sospirando e poggiandosi al mobile: «A quanto pare, la prossima settimana, c’è un evento e voleva sapere se andiamo, così da tormentarti per abito, scarpe e…» si fermò, inclinando la testa e studiando la moglie dalla testa ai piedi, mentre lei continuava a sistemare gli oggetti caduti.
«Adrien?» domandò Marinette, voltandosi verso di lui quando si accorse che il ragazzo non le parlava più: «Perché ti sei fermato?»
«Mi stavo chiedendo…»
«Cosa?»
«Ma è normale che tu sia sempre più sexy ogni volta che ti vedo? Insomma, siamo sposati adesso eppure…»
«Oh, per i sette dei!» bofonchiò il kwami nero, palesando la sua presenza e sbuffando, con le zampette incrociate mentre scuoteva la testa con fare indignato: «Possibile che tu sia sempre così…»
«Plagg, dovresti solo stare zitto!» mormorò Tikki, dalla sua postazione sulla scrivania, rigirandosi un biscotto fra le zampette: «Oppure preferisci che racconti ad Adrien…»
«Niente. Tu non gli racconti niente.»
Adrien rimase in silenzio, osservando i due kwami allontanarsi e andarsene da qualche parte della casa, riportando poi la completa attenzione sulla moglie: «Dicevamo? Ah sì, come fai a essere sempre così dannatamente sexy?»
«Forse perché ti lasci accecare dai tuoi sentimenti?»
«Oh. E tu no?»
«Ovviamente» borbottò Marinette, voltandosi di lato e sentendo le guance andarle a fuoco, sobbalzando poi quando avvertì il tocco delle dita di Adrien, che le carezzavano il contorno dello zigomo: la ragazza sospirando e allungando le braccia, in modo tale da stringendosi a lui, lasciando che le catturasse le labbra e la baciasse, sentendo le sue mani posarsi decise sui fianchi e tirandola contro di sé. Marinette sorrise, quando Adrien si staccò, dandole poi dei baci a stampo sulla bocca, mentre le faceva scivolare le mani sotto le natiche, sollevandola: «Micetto, dovrei…» iniziò, intrecciando le gambe attorno alla vita di Adrien e venendo zittita dall’ennesimo bacio a stampo, sentendolo muoversi nella stanza, sorridendo divertita all’idea di ciò che aveva in mente il ragazzo: «Adrien, davvero, dovrei…»
«Goderti le attenzioni di tuo marito. Concordo» dichiarò il biondo, lasciandola andare sul materasso e seguendola, catturandole nuovamente le labbra, mentre si stendeva al suo fianco e lei gli saliva in grembo: «Ti si sono allungati i capelli» commentò, prendendole una ciocca fra le dita e strofinandola fra i polpastrelli: «Mi sono sempre piaciuti i tuoi capelli» continuò, sistemandosi meglio sul cuscino e sorridendole: «E i tuoi occhi. Avevo fatto anche una poesia…»
«Una poesia?»
«Sì, il San Valentino in cui Kim venne akumatizzato» commentò Adrien, lasciando cadere la mano e carezzandole il fianco: «Era schifosa e la buttai, però ho ricevuto una risposta. Non ci avevo più pensato finora…»
«Una risposta?»
«Già. In un bel biglietto a forma di cuore. Ne sai qualcosa, Marinette?»
«Beh, non era firmato quindi…»
«Io non ho detto che non era firmato, my lady» La ragazza lo fissò, un sorriso gelato in volto e poi sbuffò, chinandosi e nascondendo il volto contro il collo, borbottando parole senza senso e facendolo ridere: «I tuoi capelli sono d’oro e i tuoi occhi di un verde splendente, quando ti guardo vorrei condividere con te i tuoi pensieri e sogni corrispondenti…»
«Ma l’hai imparata a memoria?»
«Sì, voglio essere la tua Valentina» Marinette si tirò su, fissandolo imbronciata e Adrien la vide pronta a colpirlo: «Staremo bene insieme, ti amerò per sempre, il mio cuore ti appartiene» recitò velocemente, chiudendo gli occhi e aspettando che la furia della moglie si scatenasse; attese e quando si accorse che la ragazza non stava facendo nulla riaprì lentamente una palpebra, osservandola mentre a cavalcioni su di lui, lo fissava divertita: «Marinette?»
«La sai veramente a memoria?»
«Penso di averla letta all’infinito» commentò il biondo, sorridendole e tirandosi su, portando entrambe le mani sulle guance di Marinette: «E ora ti dimostrerò quanto stiamo bene insieme.»
«Come se non lo sapessi già.»
«E’ sempre bene precisare» dichiarò Adrien, girandosi con un colpo di reni e sovrastandola, chinandosi a baciarle la fronte e poi le palpebre socchiuse: «Ti amo, Marinette. Il mio cuore è tuo» bisbigliò, infilandole le mani sotto alla maglia e carezzandole la pelle nuda: «E lo sarà sempre.»
«E il mio è tuo. Sempre.»


Sospirò, mentre si voltava a osservare i propri compagni attorno a lui e poi, nuovamente, la distruzione che regnava ovunque davanti ai suoi occhi: quando quel sogno l’avrebbe lasciato in pace? Quando quel mondo fatto di rovine e morte avrebbe smesso di perseguitarlo? Di esistere?
Fu non gli aveva saputo dare risposta sulla possibilità che il suo potere funzionasse anche senza trasformazione, sebbene lui continuava a sognare tutto ciò ogni notte: «Non è dovuto al tuo potere» commentò una voce infantile dal tono divertito, facendolo voltare: Rafael osservò il bambino dai capelli chiari avanzare con lo sguardo scuro fisso su di lui, mentre un sorrisetto divertito gli piegava le labbra: «Perdonami» mormorò il piccolo, affiancandolo e fermando davanti a lui, alzando il viso: «Ho dovuto scegliere te perché avevi già dimestichezza con tutto ciò» dichiarò, allargando le braccia con i palmi rivolti verso l’alto, quasi a mostrargli la distruzione sovrana di tutto: «E questo aspetto…beh, pensavo avresti avuto più facilità ad accettarmi così che come vecchio e canuto.»
«Chi sei?»
«Qualcuno che, come te, ha visto tutto ciò tante volte.»
«Quindi…»
«Sì, Rafael. Sono io che ti mostrando questo» spiegò il ragazzino, sorridendo e illuminandosi in volto: «Il tuo potere è sempre stato il più adatto, anche se ho dovuto aspettare e continuare a controllare la linea del tempo per capire quando sarebbe giunto il momento giusto, quello perfetto per mostrarti il tutto.»
«Chi sei tu?» borbottò Rafael, scuotendo il capo e portandosi una mano alla tempia, massaggiandosela mentre la sua testa cercava di collocare tutto in un ordine che non lo avrebbe fatto impazzire: visioni, bambini misteriosi che parlavano…
«Stai pensando che forse sarebbe stato meglio per te non aver mai aperto la scatola che conteneva il Miraculous, vero?»
«Sì» rispose seccamente il ragazzo, sbuffando e incrociando le braccia: «Ero una persona normale e bam! sono stato catapultato in tutto questo.»
«Eri una persona sola e triste, che cercava un sollievo fra le gambe delle donne e nei loro abbracci freddi» mormorò il piccolo, avanzando e fissando in avanti: «Avresti continuato ad andare alla ricerca di ciò che desideravi, senza trovarlo e morendo da solo, in un letto gelato.»
«Mi stai dicendo che se non avessi avuto il Miraculous…»
«Non avresti mai incontrato Sarah» mormorò il bambino, sorridendo e fissandolo serio: «Basta un minimo cambiamento e la storia cambia, si modella su ciò che il nuovo percorso avrà: lei avrebbe avuto un uomo, ma non l’avrebbe mai amato abbastanza, perché non era quello destinato, e tu…»
«Io non l’avrei mai trovata» bisbigliò Rafael, chinando la testa e fissando le punte dei suoi stivali blu, voltandosi poi verso la Bee della visione e sorridendo: «Lei non sarebbe mai entrata nella mia vita, io non sarei mai stato ossessionato da un kwami cioccolato-dipendente e tolkeniano e adesso non starei parlando con un bambino, in un mio sogno, di ciò che sarebbe successo oppure no.»
«Cosa interessate il destino, vero? Ancor più del tempo, devo dire.»
«Si può sapere chi accidenti sei?»
«Il mio nome non ha importanza, Rafael» decretò il piccolo, incrociando le braccia dietro la testa e sospirando lentamente: «Ho voluto mostrarti più e più volte cosa accadrà se Kwon metterà le mani sui Miraculous: so bene che li proteggerete, ma il destino non è mai stato chiaro su ciò che sarebbe avvenuto in seguito ed io non ho avuto la forza per indagare più profondamente. Se vincerete, il mondo continuerà il suo cammino fino a quando non apparirà un’altra minaccia.»
«Un’altra minaccia?»
Il bambino sorrise, voltandosi verso il giovane eroe e ridacchiò all’espressione sconcertata che aveva sul volto: «Non sarete voi a fermarla» dichiarò, alzando il mento: «Nuovi Portatori giungeranno, sebbene ancora devono nascere.»
«Quindi noi andremo in pensione? Mi piace.»
L’altro annuì, voltandosi e osservando il panorama di una città distrutta e in balia della morte e della desolazione: «Ma se voi non vincerete questo è quello che si avvererà ed i vostri eredi non nasceranno mai» sentenziò, scuotendo il capo e abbassandolo, prima di posare nuovamente lo sguardo su Rafael: «Per questo ho voluto mostrarti tutto ciò, per questo ho voluto incontrarti adesso; per questo ho mandato da voi altri, intromettendomi nella linea del tempo e assoggettandola a me, facendo soffrire alcuni: forse ho peccato di superbia, ma non sapevo veramente cosa fare e questa è stata l’unica scelta che ho sentito come certa. Come il mio consanguineo, anche io ho giocato alla divinità.»
«Si può sapere chi accidenti sei?»
«Nessuno di importante, ma Rafael, vi prego di fermarlo» mormorò il piccolo, fissandolo con una serietà e una maturità che mal si adattavano a quel volto infantile: «Fermatelo e fate sì che il mondo segua il suo giusto cammino.» 

Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** Capitolo 42 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.413 (Fidipù)
Note: Nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3 e un nuovo passo verso i misteri di questo universo: nell'incontro dello scorso capitolo Kang (non lo nascondo nemmeno, dato che tutti voi l'avete capito) ha dato qualche risposta ma, in vero, ha lasciato poche domande? Come ha fatto a raggiungere Rafael e a introdursi nei suoi sogni? Perché ha chiamato Kwon in un certo modo? Risposte che, al momento, nessuno ha. E intanto Nathaniel continua a pedinare Marinette, Ada prova ad affrontare la figlia e...beh, non sto a dirvi altro.
Vi ricordo che domani sarà aggiornata Lemonish, a conclusione della settimana di aggiornamenti.
Come sempre vi ricordo la pagina facebook, per rimanere aggiornati ed avere piccole anteprime dei capitoli.
Infine, come sempre, voglio ringraziarvi tutti quanti: un grazie a tutti voi che leggete, commentate e inserite la mia storia in una delle vostre liste.
Grazie tantissimo!



Rafael premette il campanello dell’abitazione di Fu, voltandosi verso la ragazza al suo fianco e donandole un sorriso tremolante e insicuro, lasciando poi andare il respiro e voltandosi verso la porta in attesa dell’anziano maestro che aprisse loro. Chiuse e aprì i pugni, mentre il tempo scorreva, quasi più lentamente del solito, e si sentì sollevato quando gli giunse alle orecchie il suono della porta che si apriva: «Ehilà» esclamò Alex, comparendo davanti a loro e sistemandosi gli occhiali con una mano, mentre l’altra stazionava sulla maniglia della porta: «Vi stavamo aspettando.»
«Ci sono tutti?»
«Io, Xiang e Felix. E il maestro, ovviamente» dichiarò l’americano, facendosi di parte e lasciando andare un sospiro, mentre scuoteva la testa: «Questa ancora non l’avevo sentita…»
«Nemmeno io, amico» commentò Rafael, sbuffando e sbottonandosi il cappotto, mentre raggiungeva la sala e sorrideva alle persone all’interno, seguito da Sarah e l’altro ragazzo.
Xiang si alzò, osservando i nuovi arrivati e aprì la bocca, pronta per dire qualcosa, ma si fermò immediatamente, scuotendo poi la testa e sedendosi nuovamente: «Rafael, Sarah» mormorò Felix, salutandoli con un cenno del capo e sorridendo loro, spostando poi l’attenzione su Fu: «Iniziamo?»
«Sì, non volevo fare una riunione di gruppo prima di avere qualcosa di solido in mano» mormorò Alex, grattandosi la nuca e sbuffando: «Ho chiamato solo voi perché…beh, conoscete l’argomento di questo incontro.»
«Kang mi ha contattato» dichiarò lapidale Rafael, sedendosi e intrecciando le mani davanti a lui: «Quando ho usato la prima volta il mio Miraculous ho avuto una visione e, ogni volta che lo usavo al di fuori della battaglia, continuavo a vedere quella scena, con l’aggiunta di nuovi particolari: Parigi distrutta si estendeva davanti a me, ed io ero circondato da persone che, via via, si sono rivelate essere…» si fermò, abbozzando un sorriso: «Beh, gli altri.»
«Poco tempo fa ha iniziato a fare questa visione anche senza Miraculous» spiegò Fu, massaggiandosi il mento e giocherellando con la barbetta: «Solo che non comprendevo come fosse possibile: l’unica influenza che i Miraculous hanno su di noi è la nostra innaturale lunga vita e non avevo mai sentito di un Portatore del Pavone che poteva vedere anche senza essere trasformato.»
«E invece era quel deficiente di Kang» sospirò Felix, scuotendo il capo e lasciandosi andare sulla sedia: «Ma come è possibile? Insomma. Sì, so benissimo che era capace di vedere il futuro ma…»
«In verità non ha voluto dirmi chi era» mormorò Rafael, alzando la testa e sorridendo appena: «Ma parlava come se sapesse tutto e…beh, lui è stato il primo nome che mi è venuto in mente.»
«Sarebbe capacissimo di fare una cosa del genere» borbottò Felix, portandosi le mani alle tempie e tirando indietro le ciocche bionde: «Ma come ha fatto? E’ morto.»
«Il gioiello di Routo?» buttò lì Xiang, intromettendosi nella conversazione e attirando su di sé l’attenzione di tutti: «Utilizzando il Quantum potrebbe essere possibile…»
«Dici? E allora perché Dì Ren non si è spostato allegramente nel tempo per uccidere tutti noi quando ancora non avevamo nessun potere?»
«Forse non è pienamente consapevole di tutto ciò che il gioiello può fare?» domandò Xiang, scuotendo la testa: «Oppure la morte di Kang è servita, in qualche modo, anche per questo: oltre a creare creature di Quantum e ad aver posseduto i quattro che si sono presentati…»
«Cinque, non dimenticarti la panterona.»
«Cinque, grazie Alex» mormorò Xiang, annuendo in direzione del ragazzo: «Cos’altro ha fatto? Niente. E il gioiello è capacissimo di molto altro, magari con la sua morte Kang ha bloccato alcuni poteri.»
«Forse ha bisogno di una fonte di Quantum?» buttò lì Fu, inspirando profondamente: «Se il gioiello ha bisogno di molto Quantum, una fonte come quella di Shangri-la potrebbe...»
«Potrebbe fornirgli l’energia necessaria per attraversare il tempo e introdurre visioni nei sogni di un Portatore» mormorò Xiang, annuendo con la testa: «Mentre qui a Parigi, dove non esiste una fonte diretta, è costretto ad assimilare quello che riesce e ciò gli impedisce di poter usare appieno il gioiello.»
«La fonte di Quantum più potente qui sono i Miraculous» commentò Felix, inspirando e lasciando andare l’aria, incrociando le braccia al petto: «Ecco perché è così desideroso di averli.»
«Che voleva i Miraculous lo sapevamo già» commentò Alex, sorridendo: «Questo sono discorsi triti e ritriti. Kang. Sogno. Soffermiamoci su questo.»
«Fa uno strano effetto sapere che, dopo Sarah, avrò una nuova Portatrice» commentò Mikko, parlando per la prima volta e sorridendo: «Non è vero, Flaffy?»
«In effetti…» commentò il kwami, alzando gli occhi dall’ereader e fissando l’altra kwami: «Insomma, finora non sapevamo se ci saremmo risvegliati, una volta lasciati i nostri portatori mentre adesso…» si fermò, poggiando l’apparecchio sul tavolo e annuendo: «Ci sarà qualcun altro dopo Rafael. E’ strano.»
«Molto.»
«Voi due state dando per scontato che noi vinceremo…» commentò Rafael, scuotendo la testa e fissando i due esserini: «C’è sempre la possibilità che…»
«Che perdiate? Ma per favore! Come se ve lo lasciassimo fare» dichiarò Flaffy, volando in mezzo al tavolo e battendosi una mano sul petto: «Abbi fiducia nel potere di noi kwami! Sono molti millenni, ormai, che combattiamo, sappiamo quel che facciamo.»
«Vero, abbiate fiducia nel potere che avete e vincerete.»


Poteva sentire un brivido percorrerle la schiena, ma non alzò lo sguardo.
Poteva avvertire il suo sguardo sulla pelle e questo la fece muovere a disagio sulla sedia, mentre girava la pagina del libro e tamburellava la penna sul bloc notes.
Non l’avrebbe fatto.
Non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederla in una posizione di inferiorità, di dimostrargli quanto la sua insistenza la stesse mettendo a disagio.
Voltò nuovamente una pagina, guardando le parole stampate ma senza riuscire a comprenderle: dovette rileggere più e più volte la prima riga, prima di carpire il significato di ciò che era stato scritto e riuscire ad andare avanti, mentre continuava ostinatamente a tenere la testa bassa e ignorare la presenza del giovane, seduto a qualche tavolino di distanza.
Il cellulare, che aveva poggiato sul tavolo, vicino all’astuccio vibrò e Marinette fu grata di quell’interruzione: prese l’apparecchio e si alzò con tutta la calma del mondo, regalando solo in quel momento un’occhiata a Nathaniel che, seduto in modo da essere completamente davanti a lei, teneva le ginocchia puntate contro il tavolo e il blocco da disegno poggiato contro di esse.
Lo sguardo di smeraldo, però, non guardava le pagine ma lei.
Vestiva ancora di nero e il cappuccio della felpa era stato tirato sui capelli rossi, che risaltavano contro la stoffa scura: era sotto il controllo di Kwon in quel momento? Oppure no, era semplicemente lui ma risentiva dell’influsso che il loro nemico aveva?
«Adrien?» mormorò, accettando la chiamata e uscendo velocemente dall’aula studio dove si era rintanata dopo la fine delle lezioni, avvertendo sulla schiena gli occhi di Nathaniel: «C’è qualche problema?»
«Questo dovrei essere io a chiederlo a te» sentenziò il biondo con un sorriso nella voce: «Va tutto bene con Testa di Pomodoro?»
«E’ solo inquietante, come lo è sempre negli ultimi giorni.»
«Si è avvicinato?»
«Mh. No, mi spia da lontano.»
«Cosa?» la voce del ragazzo si alzò di qualche tono e Marinette dovette allontanare il telefono dall’orecchio, massaggiandosi poi il padiglione auricolare: «Mi stai dicendo che adesso è vicino a te?»
«A una manciata di metri, più o meno.»
«Vengo e lo ammazzo.»
«Adrien, posso…»
«Posso gestire la situazione da sola» borbottò il ragazzo, falsando la voce e tirando fuori un sospiro della ragazza: «Siamo un duo, ricordalo.»
«In verità, adesso saremo un gruppo.»
«Ecco. Esatto. C’è Willie lì, chiedi aiuto a lei.»
«Sta tenendo lezione al momento.»
«Vai alla sua lezione.»
«Adrien, devo studiare.»
«Marinette, ti voglio lontana da Testa di Pomodoro. Adesso. Possibilmente con un oceano nel mezzo.»
«Un po’ complicato, non credi?»
«Volere è potere.»
«Adrien…»
«No. Niente, Adrien!» borbottò il ragazzo e Marinette sorrise, mentre lo immaginava con un broncio in volto, lo sguardo verde offeso e le braccia incrociate: «Non ti voglio nella stessa stanza con lui.»
Marinette sospirò, poggiandosi contro il muro vicino alla porta dell’aula studio e alzando la testa verso il soffitto, osservando interessata il neon incassato nella gabbia metallica: «Potrei tornare a casa…» mormorò, giocherellando con l’orlo del maglione lungo che indossava: «O dai miei o dai tuoi. In effetti, dovrei chiedere alcune cose a tuo padre…»
«Ecco, vai dai miei! La sicurezza là è purrfetta.»
«Adrien…»
«Parlo per esperienza personale, dico davvero!» dichiarò il ragazzo, facendola sorridere appena: «Non hai idea della fatica a scappare, quando non avevo Plagg.»
«Mh. Sì, mi avevi accennato a qualcosa…»
«Ecco, quindi vai a casa dei miei. Da brava.»
La ragazza sospirò, voltandosi di lato e fissando la porta chiusa vicino a lei: «D’accordo» mormorò con tono dolce, dandosi una leggera spinta e allontanandosi dal muro: «Ma solo perché devo parlare con tuo padre.»
«Sia mai che vuoi darmi una soddisfazione, eh?» sbottò l’altro, sospirando lugubre nel microfono del telefono: «Beh, al di là di certe sodddisfazi…»
«Ci sentiamo dopo, Adrien.»
Marinette chiuse la comunicazione con un gesto stizzito e fissò lo schermo spegnersi lentamente; sospirò, avvicinandosi alla porta e aprendola, sobbalzando all’indietro quando trovò Nathaniel davanti a sé: il ragazzo la fissò, lo sguardo smeraldo era spento come sempre, prima di scostarsi e lasciarla passare, mentre lui usciva dall’aula diretto verso le scale che portavano al piano inferiore.
Marinette fissò la schiena e la testa, ancora coperta dal cappuccio della felpa, finché questa non sparì dalla sua vista: «E’ veramente strano» commentò Tikki, facendo capolino dalla tasca del maglione e fissando anche lei il punto in cui il rosso era sparito: «Veramente strano.»
«Hai ragione, Tikki.»


Molto spesso, soprattutto quando in televisione passavano alcuni programmi di esperienze soprannaturali, si era domandato chi fosse stato nella sua vita passata: un grande condottiero? Una persona comune? Un illustre genio?
Di certo, doveva essersi macchiato dei peggiori crimini al mondo, vista la tortura che stava sopportando in quel momento.
Sbuffò, tenendo il viso fra le mani mentre, accucciato per terra, fissava il bambino dall’altra parte del negozio, riconoscendo un suo compagno di sventura: lo sguardo di chi aveva visto cose che nessun umano doveva vedere, la sensazione di essere sopravvissuto a stento a qualcosa di più grande di loro…
Sì, era decisamente un compagno in quel girone infernale.
Lasciò andare un sospiro, alzando la testa verso la ragazzina, in piedi accanto a lui, e la fissò: Manon non lo guardava, non degnava di abbassare lo sguardo nella sua direzione, troppo intenta a soppesare i due oggetti che aveva in mano, con un’espressione corrucciata e mordendosi, di tanto in tanto, il labbro inferiore: «Ne hai per molto?» pigolò Thomas, osservandola e dando voce a ciò che voleva chiedere da una buona manciata di minuti.
«Ho quasi finito…»
«Cosa hai finito? Di contare le righe che ci sono su quel…quel…» Thomas si alzò di scatto, indicando i due oggetti che l’altra tenevano in mano, senza sapergli dare una definizione: «Manon, cosa sono?»
«Portafoto» dichiarò la ragazza, mostrandogli le due basi in tono pastello e dalla forma arrotondata da cui partiva, per entrambe, un piccolo filamento di metallo a cui era attaccata un clip: «Secondo te qual è meglio? Questa con la base verde e le strisce nere o quest’altra con la base rosa e le strisce bianche?»
«Non sono identici?»
«Beh, devo capire quale va bene per camera mia.»
«Uno qualsiasi?»
«Thomas!»
«Che c’è? Senti, mia sorella non è che mi porta sempre a fare shopping con lei. Per mia fortuna. Non sono un esperto di certa roba» borbottò, incrociando le braccia e annuendo, dimostrando così la sicurezza nelle sue parole: «Portami in un negozio di videogiochi o chiedimi quali sono i migliori scarpini per giocare a calcio e, allora sì, che potrò darti la mia consulenza.»
«Sei inutile.»
«Cosa?»
Nooroo sbucò dalla felpa del ragazzo, scuotendo il capo e osservando il modo in cui, il suo Portatore, stava conducendo la sua miserabile vita verso la fine: doveva assolutamente fargli un corso accelerato di sopravvivenza, altrimenti presto sarebbe finito in nuove mani e il gruppo avrebbe dovuto adattarsi a un nuovo elemento.
Rientrò nella felpa e si mosse fino ad arrivare alle spalle del ragazzo, scostò l’etichetta della felpa e, ben attento a non farsi scoprire dalla ragazza, si avvicinò all’orecchio: «Dì quello rosa, per i Sette Dei.»
«Q-quello rosa?»
Manon spostò l’attenzione sul portafoto rosa, annuendo con la testa mentre un sorriso luminoso le apparve in volto: posò l’altro sul banco, assieme ai fratelli e, canticchiando la canzone che le casse del negozio stavano mandando, si avvicinò alla cassa allegra: «Mi hai salvato» commentò Thomas, afferrando il kwami: «Come facevi a sapere che era il rosa quello giusto?»
«Il modello di ragazza che Manon aspira è Marinette e lei…»
«Marinette ha molte cose rosa, vero. Giusto» mormorò Thomas assentendo con la testa e fissando la compagna di scuola: «Quindi d’ora in poi, se mi chiede consigli…»
«Devi dire quello che pensi adatto per Marinette, sì.»
«Grazie amico.»
«Sono il tuo kwami, è mio compito guidarti.»


Lila si fermò sulla soglia della propria facoltà, lo sguardo fermo sull’auto parcheggiata lì vicino e sulla donna che, in piedi, attendeva con le mani strette attorno ai manici della borsa: strinse le labbra, gettandosi indietro una ciocca di capelli e s’incamminò a testa alta nella direzione della fermata della metrò, passando a pochi passi dalla donna e ignorandola del tutto.
Non le avrebbe parlato.
Non lo avrebbe fatto.
Anche se la voglia di fermarsi e buttare fuori tutto quello che aveva detto era grande, ma ciò avrebbe dimostrato ad Ada  Rossi quanto l’aveva ferita, quanto la sua assenza e le sue parole l’avevano straziata sempre, fin da piccola.
«Lila» la voce della madre la fermò dal proseguire il suo cammino; il passo bloccato a metà, poggiò il piede per terra e rimase immobile sul posto, con la schiena rigida e senza nessuna intenzione di girarsi: «Lila, vorrei parlare con te» continuò la madre e si accorse che questa si era avvicinata di poco, sentendo la sua voce più vicina rispetto al primo richiamo: «Di Wei.»
«Vuoi insultarlo ancora?» domandò, voltandosi e fissando l’altra donna, osservando il tono dismesso che sua madre aveva e di come teneva incurvate le spalle e stringeva la borsetta all’addome: «O vuoi farmi di nuovo cercare di capire quanto sia inferiore…»
«Lui ci ha provato. Con me. Ha proposto di diventare il mio amante.»
Rimase immobile, assorbendo con un respiro le parole che la madre le aveva detto, socchiudendo poi gli occhi e alzando un angolo della bocca in un sorriso patetico: «Inventane una migliore, mamma» sentenziò, aprendo le palpebre e posando lo sguardo sulla donna, tenendola inchiodata nella luce fredda che questo aveva: «Tu non conosci Wei, io sì e posso scommettere la mia stessa vita che lui non ti abbia mai fatto una simile proposta ma, forse, il contrario può essere avvenuto e considerato quanto era teso qualche giorno fa, posso anche dirti quando.»
Lila osservò Ada irrigidire il proprio corpo, quasi accusando la propria bugia che le si era ritorta contro; la guardò mentre stringeva le labbra e le narici si dilatavano, la presa sui manici della borsa si fece più serrata, tanto da farle diventare le nocche bianche: «Cosa c’è, mamma?» domandò Lila, poggiando una mano sul fianco destro e inclinando la testa dalla parte opposta: «Eri veramente convinta che avrei creduto a te? Wei non mi ha detto nulla e posso intuire il motivo, soprattutto adesso che mi hai  buttato addosso tutta la tua falsità, mamma.»
«Io…»
«Evita di aggiungere altro, per favore» mormorò la ragazza, sentendo lei stessa la stanchezza nella sua voce: «Diventeresti solo più ridicola.»
«Lila…»
«Basta così, mamma» sentenziò con voce dura la ragazza, aprendo le palpebre e fissandola senza alcuna emozione in corpo: «Smetti di renderti più ridicola di quella che sei» dichiarò, voltandosi e riprendendo la sua strada, ignorando i richiami della donna, mentre si avvicinava alla fermata della metrò e scendeva le scale, che la portavano lontana.


Gabriel osservò i disegni che gli erano stati messi sotto al naso, annuendo con la testa e sorridendo alla ragazza al suo fianco: «Sei migliorata molto» decretò, alzando lo sguardo e incontrando il sorriso pieno di luce della nuora: «Però, al solito, quando disegni gli abiti maschili…»
«Immagino che li indossi Adrien, sì» assentì Marinette, stringendo le labbra e storcendole leggermente: «Non riesco a non pensare a lui.»
«Posso comprendere, i primi tempi creavo vestiti da donna solo ed esclusivamente per Sophie» decretò Gabriel, poggiandosi contro lo schienale della poltrona e tenendo lo sguardo fisso avanti a sé, un sorriso malinconico in volto: «Ci è voluto del tempo, prima di riuscire a non immaginare solo lei, quindi non avere fretta. Non avere mai fretta, Marinette.»
«D’accordo» mormorò la ragazza, assentendo e allungando le mani per riprendere i propri lavori: «Adrien è preoccupato per via di Nathaniel» bisbigliò, chiudendo il blocco e tenendo le mani ferme su di esso, senza alzare lo sguardo sull’uomo: «Lui…»
«Lui vuole proteggere ciò che ha di più caro a questo mondo» commentò  Gabriel, lasciando andare un lungo sospiro e intrecciando le mani davanti a sé, mentre un sorrisetto gli piegava le labbra: «Posso comprenderlo e, se ha in mente di segregarti in casa, chiamami.»
«Mi aiuterà a scappare?»
«No, lo aiuterò a rendere la casa a prova di bomba.»
«Allora vorrà dire che chiederò aiuto a Sophie» dichiarò giocosa la ragazza, sorridendo e scuotendo la testa, riponendo l’album nello zaino: «A proposito dov’è?»
«A far ammattire Nathalie, per l’evento della prossima settimana» sentenziò Gabriel, togliendosi gli occhiali e, dopo essersi massaggiato il setto nasale, li infilò nuovamente: «E pensare che è del marchio di Willhelmina, nemmeno del mio.»
«Beh, sono amiche…»
«Vero anche questo.»
«Adrien ti ha informato, vero?»
«Sì, mi sto già disperando per cosa mettermi e per i tacchi che dovrò indossare quel giorno» buttò lì Marinette, facendo sorridere l’uomo; la ragazza si guardò attorno e lasciando andare un sospiro, guardando la mobilia dello studio: «Adrien non vuole che io torni a casa, posso rimanere qui finché non viene a recuperarmi?»
«Ovviamente, Marinette.»


Sarah si appoggiò allo stipite della porta del bagno, le braccia incrociate al seno e lo guardo rivolto verso il ragazzo che, nudo, stava uscendo dal box doccia: «Maledizione!» esclamò il moro, notando la sua presenza e balzando all’indietro, cozzò con la testa contro la porta scorrevole e, cercando di ignorare il dolore, si coprì le parti intime con entrambe le mani: «Sarah!»
«Beh, non è niente che non abbia visto» dichiarò l’americana, lanciandogli un asciugamano e fissandolo, mentre se lo sistemava attorno ai fianchi: «Perché non gli hai detto di come Kang ha chiamato Dì Ren?»
«Perché vorrei esser certo di sapere qualcosa in più?»
«Pensi che ti verrà a visitare nuovamente?»
«Ormai la mia mente è un’area di sosta» bofonchiò Rafael, poggiandosi al lavello e flettendo i muscoli delle braccia: «Beh, lo spero. E spero anche mi dica qualcosa in più, sebbene sia diventato bravo a risolvere enigmi: le visioni che ho quando sono Peacock…»
Sarah si avvicinò a lui, poggiandogli le labbra sul bicipite e inspirando l’odore di pelle e bagnoschiuma al muschio: «Non ti ho mai chiesto com’è il tuo potere» mormorò, strusciando il naso contro la spalla e sentendolo muoversi, ritrovandosi poi catturata dall’abbraccio del moro e avvertendo la maglietta bagnarsi appena al contatto con la pelle umida di lui: «Parli sempre come se vedi o senti qualcosa…»
«Alle volte è tutto buio e sento una voce che mi dice qualcosa, che mi informa in maniera criptica» commentò Rafael, intrecciando le mani dietro alla schiena di Sarah e alzando la testa verso il soffitto: «Altre vedo esattamente cosa succederà, altre ancora quello che devo evitare. Quelle visioni non funzionano mai nello stesso modo…»
«E ogni volta le interpreti perfettamente» mormorò la ragazza, carezzandogli la tempia e scendendo lungo lo zigomo: «Dovresti essere fiero di ciò che sei.»
«Lo sono.»
«Bene, perché io ricordo ancora il ragazzo che non credeva in sé, ma che mi ha comunque aiutato.»
«Ragazzo che non credeva in sé? Di certo non ero io.»
«Ah no?»
«No.»
«Posso garantirlo, ha talmente tanta boria da riempire la torre di Isengard» commentò Flaffy, fluttuando nel vano della porta e guardandoli, prima di strusciarsi gli occhi con la zampetta e regalando a entrambi un enorme sbadiglio: «Rafael…»
«Arrivo, arrivo» commentò il giovane, sciogliendo l’abbraccio e sospirando: «Sei viziato, Flaffy.»
«Mi dai sempre la cioccolata della buonanotte.»
«Questo perché sei viziato!»
«Ed io ti dico di no.»
«Ed io ti dico di sì.»

Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** Capitolo 43 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.974 (Fidipù)
Note: Buon salve! Eccoci qua con un nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3 e si comincia a tirar fili che sono abbandonati da un po', quindi cosa si troverà quando tutto sarà stato tirato e la storia sarà completamente palesata? Chi lo sa, dico io. Anche perché se vi dicessi altro...beh, sarebbero spoiler enormi quanto case e castelli. E anche a questo giro non ho molto da dirvi, non avendo toccato zone di Parigi o altro ed essendo questo, alla fine, un capitolo di preparazione al successivo, quindi vi lascio alle solite informazioni di rito...
Come sempre vi ricordo la pagina facebook, per rimanere sempre aggiornati.
E vi ricordo che mercoledì ci sarà un nuovo capitolo di Inori, giovedì come di consueto sarà aggiornata Laki Maika'i e venerdì sarà il turno di un nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3, mentre sabato toccherà a Scene, con la prima parte di Fuoco fatuo.
Detto questo, come sempre, vi ringrazio tantissimo per il fatto che leggete le mie storie, le commentate e le inserite nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore.


Una persona poteva abituarsi a tanta brutalità?
Poggiò le mani sui fianchi, facendo vagare lo sguardo sul panorama davanti a lui e sospirando: avrebbe voluto dire qualcosa ai suoi compagni ma, come sempre, erano semplici statue immobili che respiravano senza essere protagonisti diretti di ciò che lui stava vedendo: «Immagino che attendevi una mia visita…» commentò la voce infantile alle sue spalle, facendolo voltare verso il ragazzino.
«Kang…»
Il piccolo piegò le labbra in un sorriso, che non arrivò fino allo sguardo dal taglio tipico degli asiatici: «Non ho voluto dirti il mio nome, ma sapevo che avresti capito chi ero…» commentò con un sospiro nella voce, mentre lo affiancava e si metteva fra Tortoise e Hawkmoth, facendo notare a Rafael la presenza di un nuovo elemento alle spalle del giovane eroe in viola.
Un piccolo cambiamento, una piccola aggiunta, che non aveva notato l’ultima volta.
Forse qualcuno che ancora doveva unirsi al loro gruppo?
«Sì. Presto si aggiungerà» commentò Kang, notando la direzione del suo sguardo: «Molto presto.»
Rafael socchiuse gli occhi, massaggiandosi la fronte e scuotendo la testa, prima di lasciare andare un sospiro: «Come fai?» domandò, portando la conversazione su ciò che lo premeva e fissando il giovane: «Insomma, tu sei morto…»
«Lo so» dichiarò tranquillo il ragazzino, regalandogli un sorriso: «Ed è proprio con la mia morte che Kwon non può più usare le sue ombre…»
«Ma quindi…»
«Stai cercando di collocare la mia dipartita nella linea del tempo, vero?»
«Sì. Mi piacerebbe capirci qualcosa.»
Kang sorrise, intrecciando le mani dietro la schiena e alzando la testa verso il cielo, nel quale si stagliavano le nubi grigie create dagli incendi non domati che stavano divorando la città: «Sono morto mentre voi combattevate contro Coeur Noir, contro Bridgette» mormorò, passandosi la lingua sulle labbra: «Ho utilizzato il mio sangue, impedendo a Kwon di poter usare il potere della sua famiglia e, alla prima occasione usata, lui ha avvertito le catene della mia maledizione…»
«Della sua famiglia?»
Le labbra di Kang si piegarono in un sorriso, mentre il giovane rimaneva immobile: «Sei figlio di tuo padre» mormorò, voltandosi e incontrando lo sguardo sgranato dell’altro: «Non essere stupito, ho conosciuto tuo padre quando era ancora un giovane avventuriero, in uno dei suoi tanti viaggi: l’utopia dell’Impero perduto, l’ossessione per i Sette Dei. Chi credi che l’abbia indirizzato?»
«Sei stato tu…»
«Le risposte che cerchi» Kang si fermò, sorridendo appena e scuotendo il capo: «No, che cercate. Le risposte che cercate sono molto più vicine di quanto credi…»
«Le ricerche di mio padre…»
«Esattamente. Quelle che, inconsciamente, ha messo al sicuro per non farle giungere in mani sbagliate.»
«Ma che…?»
Un nuovo sorriso piegò le labbra del giovane che, voltandosi indietro, scosse il capo e fece ondeggiare le corte ciocche chiare: «Ho già detto molto» bisbigliò, i passi lenti verso la parte opposta dell’edificio su cui si trovavano: «Rifletti, Rafael. La risposta la sai già, è dentro di te.»


Rafael aprì le palpebre, osservando con il respiro ansante il soffitto della propria camera: le luci della strada creavano dei giochi sulle pareti mentre alcune voci strascicate giungevano dalla strada sottostante. Con un sospiro, buttò le gambe fuori dal letto e raggiunse velocemente l’imposta, guardando attraverso le fessure di questa e notando i due ragazzi che, camminando traballanti per la strada, si appoggiavano di tanto in tanto l’uno all’altro.
Rimase a fissarli, mentre si domandava dove volessero andare dato che quel vicolo era senza sfondo e chiedendosi quanto avessero bevuto per essere in quello stato: poteva comprendere il piacere di una buona bevuta, ma non la mancanza di controllo che portava la gente a ubriacarsi, tanto da non essere del tutto saldo suoi propri piedi.
Una risata sguaiata giunse alle sue orecchie e quasi voleva scendere per mandare i due nella giusta direzione, salvando così la quiete notturna del vicolo: «Rafael?» la voce assonnata di Sarah lo fece desistere dall’intento di mettersi qualcosa di pesante e raggiungere la strada: si voltò verso il letto, osservando la ragazza seduta che si stava stropicciando gli occhi, guardandolo e inclinando la testa, mentre una ciocca bionda le scivolava sulla spalla nuda: «Va tutto bene?»
Il ragazzo annuì, attraversando la camera e sistemandosi sul bordo del letto, al suo fianco mentre lei si copriva con le lenzuola e la coperta: «E’ tutta roba che ho già visto» la prese in giro, agganciando il lenzuolo con l’indice e abbassandolo un poco, chinandosi e baciandole l’incavo dei seni: «Ho incontrato Kang» mormorò contro la sua pelle, rialzando la testa e incontrando lo sguardo di Sarah, adesso sveglio e attento: «E abbiamo parlato un po’…»
«Che cosa ti ha detto?»
Rafael scosse il capo, lasciando andare un sospiro e stirando le labbra in una smorfia: «Mi ha detto che ha incontrato mio padre quando era giovane» mormorò, spostando lo sguardo verso la finestra della camera e fissandola vacuo: «E’ stato lui a farlo interessare ai regni perduti e al culto dei Sette Dei.»
«Quindi tuo padre conosce Kang?»
«Non penso che si sia presentato come Kang di Daitya, ma ha avuto il piacere della sua conoscenza» Sarah annuì, allungando una mano e carezzandogli la tempia, mentre il parigino riportava l’attenzione completa su di lei: «Dopo che ha parlato di mio padre, Kang ha detto che le risposte che cerchiamo sono vicine…»
«Le ricerche…» mormorò subito Sarah, portandosi l’indice al labbro inferiore e facendo scivolare il polpastrello su questo: «Ma le ho lette e non c’era niente…»
«Kang ha detto che, inconsciamente, mio padre le ha messe al sicuro.»
«Al sicuro? Da cosa?»
«Forse anche lui è coinvolto in qualche modo con Kwon…» mormorò Rafael, scuotendo il capo e sbuffando: «Non lo so. Che senso avrebbe ciò che mi ha detto Kang?»
La bionda annuì, spostando lo sguardo di lato e mordendosi il labbro inferiore: «Ho lezione con lui domani, cioè oggi, posso provare ad avvicinarlo e indagare un attimo…»
«Sarah, se mio padre è coinvolto…»
«Ehi, ricordati con chi stai parlando» dichiarò la ragazza, sorridendo e regalandogli un occhiolino: «Combattevo Coeur Noir da sola, io. Non sono rimasta a giocherellare con il mio Miraculous e a vedere orribili visioni di distruzione…»
«Touché» mormorò il moro, allungando una mano e catturando fra i polpastrelli una ciocca di capelli biondi: «Stai attenta, però.»
«Ci sarà Mikko con me.»
Rafael annuì, abbassando le spalle con un sospiro e voltandosi nuovamente verso la finestra, accorgendosi che gli schiamazzi dei due erano finiti; si chinò verso la ragazza, prendendole il viso fra le mani e baciandole la fronte: «Vado a vedere un attimo il resto della casa e torno a letto» mormorò, alzandosi e uscendo dalla camera, sotto lo sguardo attento di Sarah.


«Ehilà, piccioncini!» esclamò Bridgette, avvicinandosi alla moto e osservando la ragazza che, tolto il casco, lo passava al centauro in nero: «Ci sarà mai una volta che vedo la mia allieva senza di te, Adrien?»
«Da quando in qua Marinette è tua allieva?» domandò il biondo, alzando la visiera e scambiandosi un’occhiata divertita con la moglie: «Non mi avevi detto niente…»
«Da quando faccio lezione qua?» sentenziò Bridgette, indicando l’edificio alle sue spalle e posandosi poi le mani sui fianchi: «E tutto perché quel genio di Maxime, prima di andarsene chissà dove dicendo che aveva bisogno di una vacanza, mi aveva reso disponibile per questi corsi.»
«Povero Maxime» mormorò Marinette, sorridendo: «Gli hai dato un bel po’ di gatte da pel…oh no!»
«Oh, oh, oh» esclamò Adrien, ridacchiando dietro il casco: «Qualcuno sta imparando egregiamente.»
«Questo è perché tu non fai altro che fare stupidi giochi di parole tutto il tempo!» bofonchiò Marinette, incrociando le braccia e girandosi su sé stessa, rimanendo poi ferma con lo sguardo rivolto verso un punto preciso, attirando così l’attenzione degli altri due che, seguita la direzione in cui lei stava guardando, notarono la figura vestita di nero.
«Anche oggi è inquietante» mormorò Bridgette, incrociando le braccia e fissando il rosso, finché non entrò nell’edificio: «Non mi piace per niente…»
«Non dirlo a me» mormorò Adrien, chinandosi in avanti e poggiando le braccia sul manubrio, in modo da gravare con il viso su queste: «Bridgette?»
«Ci starò attenta, non  temere.»
«Sai che posso cavarmela anche da sola, vero?»
«Sì, my lady. Purtroppo però so che hai anche un cuore tenero e non saresti capace di fare del male a Testa di Pomodoro» dichiarò il biondo, rialzandosi e sorridendole: «Quindi, onde evitare problemi, io mi affido a Bridgette.»
«Mi stai sottovalutando.»
«Non potrei mai, my lady» dichiarò Adrien, facendole l’occhiolino, prima di abbassarsi la visiera del casco e, accesa la moto, s’immise nel traffico, scivolando agilmente fra le auto e sparendo velocemente nella strada della capitale parigina.
Marinette rimase a fissare il punto dove la moto aveva svoltato, lasciando poi andare un sospiro e, stretta nelle braccia, si massaggiò gli avambracci coperti dal cappotto, guardandosi poi attorno e facendo saettare la testa in ogni direzione, prima di rilassare la postura.
«Qualcosa non va?» le domandò Bridgette, posandole una mano sulla schiena e massaggiandogliela, guardando in volto alla ricerca di una risposta.
«Io…» Marinette si fermò, scuotendo la testa e socchiudendo le palpebre: «In casa mi sento nuovamente tranquilla, forse perché è lì che abbiamo combattuto lo spirito invisibile ma quando sono fuori…» la ragazza si fermò di nuovo, negando per una seconda volta con la testa e alzando lo sguardo verso la donna: «Sento ancora quello sguardo addosso e poi...»
«E poi immagino che quel tipo inquietante non aiuti.»
«No, decisamente no.»
«Ne hai parlato con Adrien?» domandò Bridgette, voltandosi verso la scuola ed esortandola a avviarsi: «Penso di no, altrimenti…»
«Conoscendolo, si preoccuperebbe troppo.»
«Non tenerlo all’oscuro, però.»
Marinette annuì con la testa, lasciando andare un sospiro e scrollando le spalle: «Lo so, ma lo conosco e non farebbe altro che preoccuparsi e fare qualcosa di avventato.»
«Come ogni buon micio che si rispetti.»
«Esattamente.»


Sarah infilò, più in fretta che poteva, i libri nella borsa a tracolla, alzandosi poi e scivolando fra i posti, raggiungendo così la fine del lungo banco con lo sguardo fisso sul professore che, flemme, stava uscendo dall’aula: «Professore» esclamò, osservando l’uomo fermarsi e voltarsi verso di lei, sbattendo più volte le palpebre, quasi facesse fatica a mettere a fuoco e vederla: «Sarah» sussurrò la ragazza, poggiandosi una mano sul petto e sorridendo.
«Oh. Sarah» mormorò Emile, accompagnando le parole con un sorriso debole: «Come…» si fermò, scuotendo il capo e muovendo le labbra, quasi come se facesse fatica a far uscire le parole: «Come posso aiutarti?» le domandò, dopo essersi schiarito la gola.
«Ho letto le ricerche e gli articoli che mi ha consigliato» iniziò l’americana, portandosi una mano all’orecchio destro e scostando una ciocca, sfuggita allo chignon: «E mi chiedevo se aveva altro per me. Sa, sui sette animali e…»
«I sette animali?»
«Sì» mormorò la ragazza, aggrottando lo sguardo e inclinando la testa: «Ne aveva parlato lei a lezione e mi ero interessata molto all’argomento.»
«Oh. I sette animali…» Emile annuì, quasi come se si fosse ricordato solo in quel momento di ciò che stavano parlando: «Quando vuole, a casa mia, ci sono tutti i miei lavori in attesa di essere letti…»
«Oh. Bene» Sarah sorrise dolcemente, sistemandosi meglio la borsa sulla spalla e facendo vagare lo sguardo attorno a sé, mentre spostava il peso da un piede all’altro: «Va bene se vengo…» si fermò, incassando la testa nelle spalle e sorridendo lieve: «Stasera? Con Rafael?»
«Rafael?»
«Sì. Suo figlio» mormorò la ragazza, facendo un passo indietro e cercando di carpire qualcosa nell’uomo mentre questi si portava una mano alla testa e si guardava attorno, come se non capisse dove fosse e chi era: «Si ricorda di Rafael, vero?»
«S-sì» mormorò Emile, sorridendole appena: «Non sapevo che lo conoscesse.»
«Sono la sua ragazza…»
«Oh. Lei è la ragazza di Rafael? Che coincidenza interessante» mormorò l’uomo, continuando a sorridere vacuo e portandosi una mano alla testa, massaggiandosi la tempia sinistra: «Mi perdoni, signorina. Adesso devo andare: l’attendo a casa mia, stasera. Con Rafael.»
«Sì,  certo» mormorò Sarah, osservando Emile andarsene con la testa incassata fra le spalle e il passo lento, ogni tanto l’uomo si fermava quasi a non capire dove fosse e dove volesse andare, per poi riprendere il proprio cammino: «Questa cosa non mi piace…»
«Neanche a me, Sarah» mormorò Mikko, facendo capolino dalla borsa e tenendo lo sguardo blu sul professore: «Forse Rafael ha visto giusto quando ha detto che suo padre potrebbe essere collegato a Kwon.»
L’americana annuì, senza abbassare lo sguardo verso la piccola kwami e continuando a fissare l’uomo che, lentamente, si allontanava da lei: «Sì. Ma in che modo sono collegati?»


Wei mosse il collo, sentendo i muscoli dolere a quel movimento e sospirando, mentre abbandonava la sacca accanto alla porta e si toglieva gli scarponi, sistemandoli poi ordinatamente vicino al muro, pronti per essere usati il giorno successivo: Wayzz volò per il corridoio, precedendolo verso la cucina mentre lui lo seguiva con passo lento, decidendo l’ordine in cui si sarebbe mosso.
Prima doccia e poi spuntino?
Oppure prima lo spuntino e poi la doccia?
Forse era meglio se, prima di ogni cosa, si toglieva di dosso il sudore del lavoro e la fatica, concentrandosi poi sulla missione di rifocillarsi e preparare infine la cena per tutti: «Oh» mormorò, una volta entrato in cucina e notato la ragazza che, con una tazza di ceramica bianca in mano, sembrava aspettarlo pazientemente: «Casa non è esplosa?»
«So farmi il caffè da sola» mormorò Lila, osservando i due kwami che, ritrovatisi, avevano iniziato a chiacchierare fra loro.
Wei annuì, avvicinandosi a lei e sfiorandole le labbra con le proprie, avvertendo il sapore del caffè che aveva iniziato ad associare alla sua bella italiana: «Vado a farmi una doccia» mormorò, sorridendole appena: «Oggi è arrivato un carico bello grosso da Mercier e sono distrutto.»
«Mia madre ti ha fatto un’offerta, vero?» domandò improvvisa Lila, ignorando le sue parole e facendolo irrigidire: «Quella donna…» continuò, storcendo la bocca in una smorfia e nascondendo poi il volto nella tazza.
«Lila, io…»
L’italiana sbuffò, abbassando la tazza e poggiandola con un rumore secco sul bancone della cucina: «E sai cos’è peggio? Che ha provato a servirmi la storiella che tu avevi proposto di andare con lei.»
«Cosa?»
«Come se non riconoscessi una bugia lontano un miglio: sono un ottimo bugia-radar» borbottò l’italiana, portandosi indietro le lunghe ciocche castane e scuotendo il capo: «E se sparo battute del genere, vuol dire che sono stata troppo a contatto con Adrien e Rafael.»
«Lila…»
«Non avrei mai pensato che mia madre arrivasse a tanto» riprese la ragazza, scuotendo la testa e voltandosi da una parte, il petto che si muoveva veloce con il respiro: «Lei…lei…» si fermò, puntando lo sguardo chiaro sul cinese: «Immagino che vuoi lasciarmi, vero? Ecco, perché eri così teso in questi giorni e adesso…»
«Lila» mormorò Wei, prendendole le mani e posandosele sul petto, tirandola contro di sé e fissandola negli occhi con un sorriso mite in volto: «Placati, per favore. Non potrei mai farti uscire dalla mai vita e lo sai. Non ti lascerò libera, se è questo quello che pensi e per tua madre…» si fermò, allungando una mano e carezzandole piano la guancia, timoroso di vederla sgretolarsi davanti a lui, mentre il cuore gli doleva davanti allo sguardo umido di lei: «Io non sapevo come dirtelo. Non volevo neanche dirtelo, ferirti ancora di più per il suo comportamento e non pensavo che lei sarebbe venuta da te, provando a proporti la storia che io…che io…» si fermò, sorridendo appena: «Non riesco nemmeno a dirlo.»
Si fermò, osservandola chiudere gli occhi e cercare di trattenere le lacrime, mentre lui l’avvolgeva nel suo abbraccio, sentendola rigida: la sua forte e indomita volpe era stata nuovamente ferita dalle persone che dovevano proteggerla e adesso era suo compito far sì che non diventasse nient’altro che pezzetti di sé stessa.
Era suo compito difenderla, anche dalla sua stessa famiglia.
Soprattutto dalla sua stessa famiglia che, più di ogni altra cosa, sembrava esser capace di ferirla in modo così profondo e devastante.
«Ti comprendo» sbuffò Lila, dopo un bel pò aprendo le dita sul petto di Wei e carezzandogli la maglia: «Quale madre ci prova con il fidanzato della figlia?»
«La tua, a quanto pare.»
«Se era una battuta, non era divertente.»
Wei sorrise, allontanandosi un poco e chinandosi, catturandole la bocca in un nuovo e veloce bacio: «Vado a farmi una doccia e poi penso alla cena, ok?» le propose, allungando una mano e carezzandole la guancia, mentre lei tornava a essere una parte della sua Lila: lo sguardo si illuminò subito di malizia e le labbra si piegarono in un sorriso che tanto preannunciava.
«Vuoi una mano?»
«E’ sempre gradita, lo sai.»


Strinse i pugni, tenendo lo sguardo sull’acqua scura della Senna e osservandola mentre sciabordava placida contro la banchina.
Lui.
Doveva toglierlo di mezzo.
L’aveva visto quella mattina, mentre la guardava e parlava con lei.
Lui era l’ostacolo.
Doveva essere tolto, spianato, distrutto.
Ogni volta che lo vedeva, quella convinzione era sempre più forte.
Senza di lui, lei sarebbe stata sua.
Senza di lui…
Si fermò, guardandosi i palmi delle mani e osservando le proprie dita piegarsi lentamente su sé stesse: se lui non fosse mai stato nelle loro vite, adesso sarebbe stato tutto diverso.
Lei sarebbe stata al suo fianco, gli avrebbe sempre sorriso dolce e innamorata.
Avrebbe portato il suo anello all’anulare.
Tutta colpa di lui.
Lui doveva cessare di esistere, solo così le cose sarebbero andate nel giusto ordine.
L’acqua si ingrossò sotto il suo sguardo, mentre un tocco umido gli sfiorò la guancia e il potere crebbe dentro di lui, circondandolo completamente e i vestiti scuri vennero sostituiti dall’uniforme da generale di Kwon: «Lui sarà annientato» mormorò, alzando la mano e osservando le dita, chiuse fino a sentire le unghie conficcarsi nella carne: «Lui deve essere cancellato.»

Ritorna all'indice


Capitolo 44
*** Capitolo 44 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 4.095 (Fidipù)
Note: Ed eccoci di nuovo qua con il secondo appuntamento settimanale di Miraculous Heroes 3! Nuovi fili vengono tirati, piccole verità che vengono a galla e qualcuno che sarebbe bene si calmasse un attimo...Vi piace come riassunto del capitolo? In vero, non ho molto da dire perché, tanto per cambiare, non mi sono mossa in ambienti nuovi di Parigi ma anzi, sono stata fissa su luoghi che conosciamo alla perfezione: la casa di Adrien e Marinette, il magazzino di Mercier, l'antro di Kwon e via dicendo.
Quindi, come sempre, vi lascio alle classiche informazioni di servizio, dicendovi che domani verrà aggiornata Scene, con la prima parte di Fuoco fatuo, per concludere un'altra settimana carica di aggiornamenti.
Come sempre vi ricordo la pagina facebook per essere sempre aggiornati e ricevere piccole anteprime dei capitoli.
Come sempre voglio ringraziarvi tutti quanti: grazie a tutti voi che leggete, che commentate (a breve risponderò ai commenti, non temete!) e che inserite le mie storie in una delle vostre liste.
Grazie di cuore!



Grandi palazzi e villette graziose costeggiavano il grande viale reso buio dalle ombre della notte, Rafael sospirò mentre marciava verso il palazzo dove Emile aveva preso l’appartamento, sospirando di tanto in tanto: «Andrà tutto bene» mormorò Sarah, intrecciando le dita con le sue e sorridendo dolcemente, fermandosi e costringendo il ragazzo a fare altrettanto: la bionda allungò la mano libera, carezzandogli la guancia e costringendo a guardarla negli occhi: «Kang non ha detto niente di pericoli, giusto?»
«Da quel che ho capito di quel tipo, è che ama essere criptico e un passo avanti agli altri» bofonchiò Rafael, voltando il viso e baciandole il palmo, alzando poi la testa verso la schiera di terrazzine che si affacciavano sulla strada: «Voglio solo che sia al sicuro.»
«E lo sarà» decretò Sarah, facendogli riportare l’attenzione su di lei: «Tu lo proteggerai e anch’io, senza contare tutti i nostri amici.»
Il moro annuì, voltandosi poi verso il palazzo e percorrendo velocemente la distanza che lo separava dal portone: con l’indice percorse la lunga fila di campanelli, finché non trovò il nome del padre e suonò, sotto lo sguardo attento di Sarah: «Per una volta facciamo le cose a modo» bofonchiò, allontanandosi di un passo e rimanendo in attesa, mentre si infilava le mani nelle tasche del cappotto.
«Sì?» la voce gracchiante di Emile giunse dall’interfono, facendo sorridere il ragazzo: «Rafael, sei tu?»
«Sì, papà» mormorò il ragazzo, regalando un sorriso alla bionda con lui: «Non mi sono portato le chiavi di casa tua dietro e…» il rumore dell’apertura automatica arrivò alle orecchie dei due; Rafael si avvicinò, aprendo la pesante porta a vetri e lasciando entrare Sarah all’interno, seguendola e accompagnando la chiusura dell’uscio del condominio, mentre la bionda si avvicinava alle scale e iniziava a salire i primi scalini, diretta verso il piano in cui vi era l’appartamento del professore Fabre.
Raggiunsero velocemente il secondo piano e Rafael sorrise, vedendo il padre in attesa sulla soglia di casa con un sorriso sereno in volto: «Rafael! Sarah!» esclamò, allargando le braccia con fare amorevole e facendosi poi da parte, permettendo a entrambi di entrare nell’appartamento completamente in disordine come l’ultima volta: «Perdonate, stavo lavorando a un progetto…»
«Lo vedo» commentò il ragazzo, scuotendo il capo di fronte a tanto caos: «E’ per l’università o un tuo progetto personale?»
«Una cosetta su cui stavo lavorando da un po’» decretò Emile, guardandosi attorno alla ricerca degli occhiali da vista, sorrise quando li trovò abbandonati sul tavolo e li inforcò, avvicinandosi a Sarah e posandole entrambe le mani sulle spalle: «Sei qui per le mie ricerche, vero?»
«S-sì» balbettò la ragazza, scambiandosi una fugace occhiata con il giovane al suo fianco e poi ricambiando stentatamente il sorriso dell’uomo: «Aveva detto che mi avrebbe prestato…»
«E’ tutto lì» dichiarò Emile, indicando una pila sostanziosa di fogli e cartelle: «Tutto ciò che riguarda i sette animali e che ho raccolto in questi ultimi anni» continuò l’uomo, posandosi le mani sui fianchi: «Io…io…»
«Papà?»
Rafael avanzò verso il padre, osservandolo mentre si toglieva gli occhiali e scuoteva la testa, quasi come a scacciare qualcosa: Emile rialzò lo sguardo, fissandosi attorno come se non riconoscesse il luogo in cui si trovava e avanzò di un passo, traballando e quasi crollando in avanti, se non fosse stato per il tempestivo intervento del figlio: «Papà, cosa…»
«Porta via tutto, Rafael» mormorò Emile, aggrappandosi al braccio del figlio e fissandolo serio in volto: «Non devono trovare niente.»
«Che?»
«Porta via tutto» ripeté il genitore, scuotendo il capo mentre la voce si faceva flebile: «Se puoi trova gli eroi di Parigi e affida tutto a loro, ok?»
«O-ok.»
«Professore?» mormorò Sarah, avvicinandosi ai due, mentre Rafael aiutava il genitore a sistemarsi sul divano: «Sta bene?»
«Starò meglio» sentenziò Emile, facendo vagare lo sguardo sul figlio che, recuperata una cartella di pelle, stava infilando velocemente tutto all’interno: «Madamoiselle Davis, le chiedo di non avvicinarmi più a lezione. La prego, non vorrei metterla in pericolo…»
«Cosa?»
«Rafael, non fare parola con tua madre di tutto ciò» continuò Emile, chinando la testa e stringendo la mascella, mentre si portava entrambe le mani alle tempie quasi come se un dolore improvviso lo avesse colto: «Non contattatemi, vi prego. E non avvicinatemi. Non voglio mettervi in pericolo.»
«Papà, seriamente, se pensi…»
«Puoi gentilmente fare come ti chiedo?» sbottò Emile, alzando la testa e fissando il figlio negli occhi: «Sono tuo padre, per quanto fallimentare io possa essere, e tu farai quello che ti sto dicendo: prenderai i miei lavori, uscirai da casa mia con la signorina e non mi contatterai, fino a quando non lo farò io. D’accordo?»
«Papà!»
«Niente papà, Rafael!»
Il ragazzo continuò a infilare nella borsa gli articoli e i fascicoli di fogli, scuotendo di tanto in tanto la testa e puntando poi sul genitore lo sguardo grigio: «Non sono d’accordo» sentenziò, stringendo la mascella e tenendo lo sguardo in quello del padre: «Non ti darò retta, lo sai.»
«Lo spero, invece.»
«Mi conosci poco, papà.»
«Sarah, potresti gentilmente…»
«Io sono d’accordo con Rafael» sentenziò la ragazza, interrompendolo e avvicinandosi all’uomo, sistemandosi al suo fianco sul divano: «Non può dirci cosa le sta succedendo?»
«Se lo sapessi, ve lo direi» mormorò Emile, storcendo la bocca come se una nuova fitta di dolore lo attraversasse: «Io non so cosa mi sta accadendo, da quando ho incontrato quel cinese…»
«Kang?»
«E tu come conosci Kang?» domandò Emile, voltandosi verso il figlio che l’aveva interrotto: «No, non è Kang comunque. Qualche tempo fa sono stato contattato da un cinese, voleva finanziare un mio progetto e una mia spedizione per il Tibet, ma…» si fermò, socchiudendo gli occhi e inspirando profondamente, prima di riaprire le palpebre e riprendere a parlare: «Ma poi ho accettato la cattedra in facoltà e tutto è andato a monte, finché non l’ho incontrato nuovamente qualche tempo fa ed è da allora che non mi sento più me stesso: è come se ci fosse qualcun altro dentro di me.»
Rafael annuì, scambiandosi un’occhiata con Sarah e vedendo la sua stessa consapevolezza nello sguardo della ragazza: «Forse sei solo stanco» mormorò, chiudendo la cartella e scrollando le spalle con un sorriso divertito in volto: «Troppo lavoro di mente. Non sei abituato, papà.»
«Già. Vero» commentò Emile, sorridendo appena e socchiudendo lo sguardo: «Beh, adesso andate e, per favore, non tornate.»
«Papà, non ricominciare…» sospirò il ragazzo, scuotendo il capo e alzando la testa verso il soffitto, massaggiandosi il collo con la mano libera: «Sai molto bene che tornerò a romperti o comunque a controllare se non ci sono cadaveri per casa. Il tuo cadavere per casa.»
«Che figlio amorevole.»
«Almeno lo riconosci» sentenziò il moro, osservando la ragazza che si alzava e sorrideva all’uomo, raggiungendolo poi e fissandolo negli occhi, annuendo impercettibilmente con la testa: Emile li accompagnò alla porta e li gettò quasi di peso fuori, salutandoli frettolosamente prima di chiudere il pesante portone dell’appartamento, intimandoli di non tornare una seconda per l’ennesima volta.
Come se gli avesse dato retta…
Rafael rimase a fissare la porta chiusa, scuotendo il capo e stringendo la mano libera, colpendo poi con il pugno il muro dietro di sé con tutta la sua forza, tenendo serrata la mascella e lo sguardo fisso avanti a sé: «Rafael!» lo riprese la ragazza, prendendogli la mano fra le sue e controllando che non ci fossero ferite, spostando poi lo sguardo nocciola sul ragazzo: «La risolveremo, ok?»
«Non dovevano intromettere mio padre.»
«Lo so. Ti comprendo» mormorò Sarah, stringendo le dita attorno alla mano del parigino: «Ma non è prendendo a pugni un povero muro innocente, che risolverai la questione. Chiamiamo Alex, ok?»
«D’accordo.»


Alex sbadigliò, osservando il cellulare che vibrava sulla scrivania e sorridendo alla vista del nome: «Sarah!» esclamò, dopo aver accettato la chiamata: «Fammi indovinare: devi nascondere il cadavere di Rafael.»
«Non darmi per morto tanto facilmente» sentenziò la voce dell’interessato, mentre l’americano si sistemava nel suo letto con la risata in gola: «Sono sopravvissuto a un calcio di Marinette e a uno di Sarah, sono Highlander!»
«Quelle casomai sono le tue pal…»
«Abbiamo cose più importanti di cui discutere!» sentenziò la ragazza, zittendoli entrambe: «Alex, abbiamo tutte le ricerche del padre di Rafael. Tutte le ricerche sui sette animali.»
«E il mio adorato papà deve essere coinvolto con il nostro nemico, dato che sembrava parlare come se fosse in un film con spie e gente che lo inseguiva. Per non parlare della presenza che sente dentro di sé…»
Alex si mise sull’attenti, balzando a sedere sul letto e quasi il telefono gli scivolò di mano: «Avete tutto?» domandò, gettando le gambe fuori dal materasso e alzandosi in piedi, iniziando a girare per la camera senza una meta fissa: «Ok. Calmiamoci, anzi calmati Alex. Ora è tardi, ma domani chiamo tutti e megariunione strategica, intanto voi studiate quella roba e vedete se ci capite qualcosa.»
«Sarà una lunga notte insonne…» sospirò la voce di Rafael nel microfono del telefono, facendo sorridere l’americano: «Ci sentiamo domani, amico.»
«A domani» mormorò Alex, chiudendo la chiamata e osservando lo schermo del cellulare spegnersi: abbandonò l’apparecchio sulla scrivania, massaggiandosi il collo poco sopra il bordo del collo della maglia, pregando che le risposte di cui avevano bisogno fossero in quelle ricerche: «Dove altro potrebbero essere altrimenti?» mormorò fra sé, gettandosi sul letto e osservando il soffitto, portandosi entrambe le mani alla testa e tirando indietro i capelli: «Arriveremo mai a capo di tutto?»


Kwon osservò i suoi generali, sentendo l’aria palpitare delle emozioni represse dei quattro mentre lui si costringeva a mantenere una certa calma, nonostante il desiderio di riprendere l’energia che aveva donato a quei fallimenti fosse tanta: li aveva scelti accuratamente, avvertendo su di loro le tracce di Quantum e sperando che, inconsapevolmente, lo portassero dai Miraculous.
Ma così non era stato.
Certo, la traccia c’era e la poteva percepire anche in quel momento: filamenti dorati che si avviluppavano attorno ai loro corpi, come un lungo e sinuoso serpente leggermente più grasso rispetto a quello che avevano quando li aveva conosciuti.
Erano persone che, in una certa misura, erano entrati in contatto con i Miraculous.
Ma come?
Quanto vicino erano ai Portatori di quell’epoca?
Quanto vicino era lui ad avere i sette gioielli nelle sue mani?
Un sospiro si liberò dalle sue labbra, mentre apriva e chiudeva la mano destra, sentendo le spalle cedere sotto al peso cocente della sconfitta: lontano, era sicuramente lontano molto più di quanto aveva sperato quando aveva infuso quelle persone di Quantum, creando la così la sua piccola corte.
Li aveva adescati, promettendo loro ciò che desideravano e li aveva usati fino a quel momento, ma cosa aveva ottenuto se non una serie interminabile di fallimenti? Dove sbagliava?
Dove sbagliavano i suoi Generali?
«Mio signore…» la voce inespressiva di Yi lo riscosse dai suoi pensieri, facendolo voltare incontrare lo sguardo della donna: in piedi, alla sua destra, vegliava su di lui e attendeva i suoi ordini.
Il suo lavoro meraviglioso.
Era stata la prima, il suo esperimento e la sua condanna: si era legato troppo a quella donna, tanto da renderla qualcosa di più di un semplice sottoposto; allungò una mano, carezzandolo il fianco e seguendo la curva piena del sedere, tirandola poi verso di sé: «Siete un fallimento totale» mormorò con le labbra contro la stoffa degli abiti di Yi: «Quante volte volete ancora imbarazzarmi?»
«Mio signore» mormorò Hundun, prostrandosi per terra con il suo bastone ben stretto in mano, la testa china e le spalle rigide: «Lasciate che…»
«Taowu. Andrai tu stavolta» dichiarò Kwon, osservando il più giovane dei suoi generali: il ragazzo si guardò attorno quasi non capacitandosi del fatto che si stesse rivolgendo a lui, posando poi lo sguardo sulla sua figura e annuendo lieve con la testa: «Non fallire una seconda volta, non lasciare che i tuoi sentimenti offuschino il tuo giudizio nuovamente.»
«Sì, mio signore» mormorò Taowu, picchiando i talloni fra di loro e portandosi una mano al petto, chinandosi appena e guardando il pavimento: «Non vi deluderò.»
«Lo spero.»
«Non pensa sia una decisione…» Qiongqi s’intromise, rimanendo in disparte, nei pressi della polla d’acqua che dominava la sala con Taotie al fianco: «Come dire? Avventata? Taowu ha già dimostrato…»
«Così ho deciso.»
«Certamente, mio signore.»


Adrien sbadigliò, avvicinandosi al tavolo e sorridendo alla vista del piatto con le brioches, spostando poi l’attenzione sulla ragazza che, le spalle rivolte verso di lui, stava trafficando ai fornelli: «Buongiorno, amore» mormorò, dopo essersi avvicinato silenziosamente e vendendola sobbalzare, prima di voltarsi e fissarlo malevola.
«Non farlo più» sentenziò Marinette, lo sguardo celeste che lo fissava contrariato e la bocca storta in una smorfia; Adrien le sorrise, assestandole una generosa manata sul sedere e saltando velocemente all’indietro per evitare il colpo della ragazza, cozzando contro il tavolo e storcendo le labbra in una smorfia, mentre si portava una mano al fianco e lo massaggiava: «Ecco cosa succede a fare l’idiota.»
«Ah, perché lo fa ogni tanto?» domandò Plagg, fluttuando per la stanza e avvicinandosi al frigo, entrando all’interno e aprendolo da lì, uscendo con una scatola di camembert fra le zampette: «Io lo credevo sempre.»
«Smetto di comprarti il camembert. Stavolta lo faccio sul serio.»
«Marinette…» cantilenò il kwami, posando la scatola sul tavolo e aprendola, aspirando il profumo del formaggio: «Puoi ricordare a tuo marito che senza camembert, io non gli dono i poteri?»
«Parigi farà a meno di Chat Noir per un po’.»
«Oh. Ed io come farò senza il mio fidato compagno?» domandò la ragazza, osservando Adrien alzarsi in tutta la sua statura e un sorriso luminoso accendergli il volto, facendole ricordare il ragazzino che aveva conosciuto sotto le spoglie dell’eroe felino, che si vivacizzava ogni volta che lei gli faceva un complimento.
«Fidato compagno?»
«Indispensabile, direi» decretò Marinette, avvicinandosi a lui e posandogli le labbra sulla guancia, sorridendo di fronte allo sguardo verde che la fissava pieno di amore: «Siamo Ladybug e Chat Noir, sempre e comunque.»
«Più qualche aggiunta.»
«Giusto, adesso siamo i Miracolati.»
«Miraculous Heroes, prego» decretò Adrien, spostando la sedia e sistemandosi al suo posto, mentre Marinette poggiava la caffettiera – dono di Lila dall’Italia – sulla piastrella di ceramica bianca che usava per non rischiare di bruciare il tavolo: «Alla fine non è male come nome, no?»
«E’ un po’ strano, ma no. E’ carino.»
«Un po’ come gli Avengers…»
La ragazza annuì, osservando la propria kwami volare traballante per la stanza e raggiungerli al tavolo, sbadigliando sonoramente e fissando l’altro spiritello in attesa: «Che vuoi?» domandò Plagg dopo un po’, addentando un pezzo di formaggio e attendendo la risposta da Tikki, che non giunse; sbuffò, volando verso la dispensa e recuperando i biscotti che la piccola kwami mangiava sempre, posandoglieli davanti e ritornando poi a consumare la sua colazione, sotto lo sguardo divertito dei loro Portatori.
«Che farai oggi?»
Adrien allungò una mano verso le brioches, prendendone una e spezzandola  a metà, storcendo le labbra: «Lezione. Servizio fotografico. Penso di mangiare con Lila e Rafael fra le due cose, vuoi unirti?» domandò, voltandosi verso la moglie e vedendola, mentre si batteva le dita sulle labbra: «Marinette?»
«Se mi trasformo e corro sui tetti, dovrei farcela per unirmi.»
«Uh. Uso del Miraculous per scopi personali.»
«Disse quello che lo usava per scappare di casa.»
«Ehi, dove si è mai visto un eroe segregato nella propria casa?»
«Qui a Parigi.»
«Ah ah ah. Spiritosa.»
«Ho imparato dal migliore.»


Thomas sbadigliò, entrando in classe e osservando il banco vuoto di Jérèmie, storcendo le labbra mentre si avvicinava e poggiava lo zaino nel suo posto consueto: un altro giorno no, a quanto pareva. Un altro dove il suo amico non si sarebbe presentato e, quando lo avrebbe fatto, dopo un po’ di giorni di assenza, avrebbe riportato qualche livido da qualche parte.
Poggiò le mani aperte sul banco, facendo scivolare i polpastrelli sulla superficie piana e portandoli verso il palmo: avrebbe voluto fare qualcosa, anche se non sapeva cosa. Dare un potere all’amico e permettergli di avere la propria rivincita sul padre?
Ma così facendo non sarebbe stato diverso da Papillon, utilizzando il potere di Nooroo per creare un cattivo e lasciarlo libero di rifarsela contro un essere esecrabile, ma pur sempre un altro essere umano.
«Ciao!» La voce allegra di Manon lo riscosse, facendolo voltare verso la porta e osservando la ragazzina, ferma sulla soglia che fissava il banco vuoto vicino al suo: «Jérèmie non c’è?» domandò, entrando nell’aula e ignorando gli sguardi degli altri compagni di Thomas, mentre aspettava che lui le rispondesse.
Il ragazzino scosse la testa, voltandosi poi di lato e lasciando andare un sospiro, prima di riportare l’attenzione su di lei: «Scusa, Chamack. Non è giornata oggi.»
Manon annuì con la testa e, aperta la borsa, si mise a rovistare all’interno, sorridendo quando i suoi polpastrelli toccarono un oggetto a lei familiare: lo tirò fuori, posandolo sul banco davanti a Thomas e osservando lo sguardo del ragazzo passare alternativamente dalla bacchetta che gli era stata messa davanti alla ragazzina che, le mani sui fianchi, lo fissava sorridente: «Giochiamo alle maghette?» domandò Thomas, vedendo Manon sospirare e abbassare le spalle, prima di scuotere la testa.
«No, volevo darti un oggetto per…» la ragazzina si fermò, scuotendo il capo e recuperando la bacchetta che aveva messo davanti a Thomas, infilandola nuovamente nella borsa: «Lascia perdere» borbottò, chiudendo la cerniera e raggiungendo velocemente la porta, uscendo dall’aula.
Il ragazzo la rincorse, fermandosi appena fuori dalla porta e osservandola mentre si dirigeva con passo deciso verso la propria aula: «Quello era l’oggetto dove l’akuma di Gabriel si infilò, quando lei divenne la Marionettiste» mormorò Nooroo, facendo capolino da sotto la maglia: «Forse voleva darti una specie di portafortuna.»
«Io non ne ho bisogno.»
«Tu no, ma il tuo amico di sicuro.»
Thomas annuì, lasciando andare un sospiro e scuotendo il capo: «Vorrei fare qualcosa, Nooroo» mormorò, avvicinandosi al muro e poggiandosi contro di esso, fissando il soffitto del corridoio: «Ma cosa posso fare? Sono solo…»
«Uno degli eroi di Parigi, non dimenticarlo.»
«Un eroe inutile in questo caso.»
«Potresti chiedere aiuto agli altri? Sono certo che ti aiuteranno volentieri a salvare il tuo amico.»
«Lo so, ma Jérèmie…»
«Immagino che lui non voglia far sapere a tutti la situazione che ha in casa» Nooroo si fermò, annuendo con la testa e lasciando andare un sospiro: «Sì, comprendo benissimo.»
«Sto iniziando a capire perché Papillon akumatizzava le persone.»
«Thomas…»
«Non lo farò. Non preoccuparti.»
«Lo spero bene.»


Wei sospirò mentre osservava la donna che stava entrando nel magazzino di Mercier: poteva percepire l’aura di rabbia fin da lì e non gli serviva vedere lo sguardo iracondo e la postura rigida che lei aveva.
Ada Rossi si fermò a pochi passi da lui: le labbra dipinte di rosso storte in una smorfia di disapprovazione, le braccia conserte al seno e lo sguardo pieno di riprovazione: «Immagino che sarai contento» mormorò con la voce carica di veleno: «Mettere una figlia contro la propria madre…»
«Cosa?» mormorò il giovane, cadendo dalle nuvole e fissando la donna a bocca aperta, non riuscendo a credere a ciò che aveva appena sentito: «Cosa avrei fatto io?»
«Lila è cambiata da quando sei entrato nella sua vita» sentenziò Ada, sciogliendo le braccia e stringendo le dita a pugno: «Tu l’hai cambiata.»
«Mi piacerebbe avere questo onore, ma non ce l’ho» dichiarò Wei, scuotendo la testa e fissando la donna davanti a sé con la pietà negli occhi: «Lei davvero non conosce sua figlia.»
«Ovvio che la conosco! Sono sua madre!»
«Averla messa al mondo non significa sapere tutto di lei» dichiarò Wei, lasciando andare un sospiro e abbassando le spalle sotto al peso che sentiva: «Sa come le piace il caffè? Quale bagnoschiuma adora? Sa che ha il vizio di tamburellare le dita quando pensa? Oppure su che fianco dorme? La sua tendenza a distruggere ogni elettrodomestico?» il giovane si fermò, sentendo la propria voce carica di emozione e il respiro affannato; inspirò profondamente, concentrandosi sull’atto in sé e ritrovando la sua calma interiore: «Queste sono piccole cose, eppure lei non ne conosce nessuna. Lo vedo dal suo sguardo» mormorò, scuotendo la testa e sorridendo con amarezza: «Lei non sa che sua figlia ha iniziato a cambiare da quando è tornata in Italia e, quando l’ho conosciuta, era già la persona magnifica che è adesso.»
«Tu…» Ada si fermò, stringendo la mascella con forza, le narici erano dilatate e le labbra strette, tanto da formare una riga rossa: «Proteggerò mia figlia da te!»
«No. Io la proteggerò da lei» decretò Wei, rimanendo immobile sul posto e tenendo lo sguardo in quello della donna, senza cedere di un millimetro: «Lila non ha bisogno di lei e, ogni volta che la incontro, sto capendo sempre di più perché si è voluta allontanare: è il comportamento di una madre il suo? Oppure è semplicemente quello di una donna che non ha avuto ciò che desiderava?»
«Non hai idea di chi io sia» bisbigliò Ada, passandosi la lingua sulle labbra e sbavando un poco il rossetto, mentre il ragazzo si chiese come fosse possibile che non avesse una lingua biforcuta: «Potrei farti spedire nuovamente in Cina. Non credi?»
«Sono in regola e ho un lavoro fisso» dichiarò Wei, sorridendo con tutta la tranquillità del mondo e posando le mani sui fianchi, scuotendo la testa: «Come potrebbe rimandarmi nella mia patria?»
Ada sorrise, alzando il mento e fissando con lo sguardo assottigliato: «Potrei muovere persone, trovare cavilli, fare in modo che i tuoi documenti in regola non lo siano più…»
«Faccia quel che vuole» sentenziò la voce di Mercier, anticipando la figura dell’ometto che comparve da dietro alcune pile di cartoni, le mani intrecciate dietro la schiena e lo sguardo fisso sulla donna: «Ma io ho registrato – e sto registrando tuttora – qualsiasi cosa» si fermò, sciogliendo le dita e infilando una mano nella tasca dei pantaloni, recuperando il cellulare e mostrando lo schermo alla donna, aperto sul registratore vocale: «Se questo ragazzo avrà problemi, io porterò questa registrazione a chi di dovere. E anch’io posso muovere persone, trovare cavilli…» sentenziò l’anziano, avanzando e mettendosi davanti a Wei: «E adesso se ne vada. Non voglio più vederla nel mio magazzino!»
Ada inspirò dal naso, trattenendo l’aria per pochi secondi prima di lasciarla andare e osservando i due, assottigliando lo sguardo e storcendo le labbra in una smorfia: «Non finirà qui» sentenziò, alzando il mento, stringendo forte i denti: «Non…»
«L’ha detto anche l’altra volta» continuò Mercier, facendo un passo avanti: «E cosa è successo? Lei è tornata qui a minacciare il mio ragazzo, perché sua figlia ha capito che cagna di madre si ritrova.»
«Signore…»
«Non fermarmi, Wei. Quando ci vuole, ci vuole» bofonchiò l’anziano, voltandosi e rimettendo al proprio posto Wei con una sola occhiata, riportando poi la più totale attenzione su Ada: «In quanto a lei, signora – sempre se signora posso chiamarla –, se osa ritornare nel mio magazzino, le posso assicurare che avrà problemi a pulirsi quel didietro pieno di ciccia, ogni volta che andrà al bagno.»
«Signore…»
«Ho detto di non interrompermi, Wei!» borbottò l’anziano, voltandosi e fissandolo con il broncio, scuotendo poi il capo e indicando la donna alle sue spalle: «Posso minacciarla senza che tu mi interrompa ogni tre per due?»
«Madame Rossi, se ne vada» mormorò il cinese, sorridendo all’anziano e facendo poi vagare lo sguardo fino alla madre di Lila: «E le chiedo gentilmente di non farsi mai più vedere da me» aggiunse, socchiudendo lo sguardo: «Per quanto riguarda Lila, deciderà lei se vorrà vederla o meno.»
«Non finisce qui, Wei.»
«Invece finirà qui, madame.»
 

Taowu osservò il proprio riflesso nell’acqua stagnante della polla che dominava l’ingresso dell’abitazione di Kwon, allungò una mano e osservò l’acqua allungarsi, quasi fino a toccarlo: «Il mio signore mi ha dato una possibilità» mormorò nel silenzio dell’androne e osservando il fluido muoversi sotto il suo palmo: «Vuole i Miraculous e noi glieli daremo, vero?» l’acqua si avvitò su sé stessa, assumendo poi la forma di una mano e intrecciando le dita con quelle del giovane generale: «E per farlo dovremo dare un motivo agli eroi di Parigi di intervenire, non credi?» si fermò, sorridendo quando avvertì la stretta dell’acqua farsi più decisa.
Lo comprendeva.
Lo capiva.
«E quale metodo migliore se non mettere in pericolo qualcuno?» si fermò, ascoltando il gorgoglio che aveva accettato le sue parole: «Qualcuno come un certo modello» si fermò, inspirando profondamente mentre l’idea che carezzava la sua mente si fece più decisa: «Togliamolo di mezzo. Liberiamoci di Adrien Agreste e così facendo gli eroi usciranno allo scoperto, noi prendere i loro Miraculous e lei…»
E lei sarebbe diventata sua.
Solamente sua.

Ritorna all'indice


Capitolo 45
*** Capitolo 45 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 4.388 (Fidipù)
Note: Eccomi qua, leggerment in ritardo rispetto al solito orario ma, ahimé, ho avuto un piccolo problema tecnico-tattico e quindi ho dovuto slittare tutto nella giornata, ma ce l'ho fatta (e più che altro spero di aver corretto tutto il correggibile) ed eccomi qua con il nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3 e...beh, oggi si torna con le informazioni su Parigi, dato che buona parte del capitolo si svolge in una graziosa e tranquilla piazzetta, circondata da un incantevole giardino e che un tempo era il cuore del potere templare. Proprio a Square du Temple si trovava il quartier generale dei Templari, che comprendeva un palazzo, una chiesa, negozi e perfino delle carceri, dove nel 1792 venne imprigionato Luigi XVI e Maria Antonietta fino alle esecuzioni capitali.
Un posto denso di storia, non credete?
E dopo questa ennesima informazione su Parigi, vi lascio, come sempre alle solite informazioni di rito.
Vi ricordo la pagina facebook, per essere sempre aggiornati e avere piccole anteprime dei capitoli.
Inoltre, come sempre, vi riporto la programmazione degli aggiornamenti: mercoledì sarà il turno de La bella e la bestia, giovedì come sempre sarà la volta di Laki Maika'i e venerdì vi aspetterà un nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3, infine sabato sarà aggiornata Lemonish.
Vi ringrazio sempre tantissimo per il fatto che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Un grazie di tutto cuore!




Lila stirò le braccia verso l’alto, sospirando soddisfatta mentre usciva dalla facoltà e lo sguardo captava un movimento sul tetto di un palazzo adiacente: «Consorte in avvicinamento» dichiarò divertita, voltandosi verso i due ragazzi con lei e osservando il biondo, muovere velocemente la testa in ogni direzione, facendola sorridere: «E’ appena balzata là dietro» conitnuò, indicando l’edificio incriminato e vedendo Adrien girarsi immediatamente: «Il tempo che torni chi deve essere e sarà da te, gattino innamorato.»
«Come se non la vedesse mai, poi» sospirò Rafael, sistemandosi meglio la tracolla sulla spalla e ridacchiando: «Sei imbarazzante, gattaccio.»
«Parla l’altro…» Lila sospirò, mascherando la risatina con un colpo di tosse e sorridendo poi innocente ai due sguardi che si posarono su di lei: «Che c’è? Io non nascondo il mio essere totalmente dipendente da Wei, a differenza di voi due che volete fare gli spavaldi quando poi scodinzolate…» si fermò, storcendo le labbra e fissando Rafael con interesse, battendosi le dita sulla guancia: «I pavoni scodinzolano?»
«Ma che ne so!»
«E’ il tuo animale totem, Raffy! Dovresti sapere certe cose!»
«Raffy?»
«Che fa rima con Flaffy!»
«Lila…» il moro si avvicinò, posandole le mani sulle spalle e fissandola negli occhi, alla ricerca di qualcosa: «Ammettilo: nella bottiglietta che avevi a lezione non c’era acqua, vero?»
«Una fanciulla non può essere in voglia di scherzare con i propri amici?»
«Tu non scherzi, tu prendi in giro e stop» decretò il parigino, mentre il biondo alle sue spalle annuiva con tutta la sicurezza che aveva, dando così il suo appoggio all’altro ragazzo: «Stai bene? E’ successo qualcosa? Wei ti ha lasciato per caso, dopo che hai distrutto anche il frigo?»
«O forse a questo giro la povera vittima è stato il forno a microonde?»
«Voi due» mormorò l’italiana, assottigliando lo sguardo e puntandolo prima sul giovane vicino a lei e poi sull’altro, quasi a volerli uccidere con la sola imposizione di questo: «Dovete smetterla di dare per spacciata e così facilmente la mia relazione con Wei. Voi siete…»
«Ciao» la voce affannata di Marinette bloccò Lila, facendola voltare verso la ragazza che si stava avvicinando velocemente, con la lunga gonna candida come la neve svolazzante a ogni passo, lo sguardo celeste posato sul giovane biondo e un sorriso pieno di amore in volto: «Di che state parlando?»
«Di loro che se la prendono con me?»
Marinette sospirò, scuotendo la testa e fissando i due ragazzi, tenendo lo sguardo su di loro finché Adrien non si mosse a disagio e indicò l’italiana: «E’ lei che ha cominciato» decretò, mentre Lila incrociava le braccia e lo fissava a sua volta: «E ora vuole scaricare la colpa su di noi.»
«Vero, vero» Rafael assentì con la testa, incrociando le braccia e fissando le due ragazze: «Ha iniziato lei.»
«Mi ricordate…»
«My lady, tu non vuoi continuare quella frase, vero?» domandò Adrien, passandole un braccio attorno alle spalle e tirandole a sé, sorridendole e facendole l’occhiolino: «Ti conosco abbastanza bene per sapere come l’avresti continuata e ciò mi avrebbe costretto a dimostrarti quanto poco infantile io sia. Beh, anzi, a pensarci bene…» si fermò, allontanandosi dalla ragazza con un balzo e chinandosi appena, con una mano sul cuore: «Prego, mia signora, continua pure.»
«Oh. Per favore!» bofonchiò Rafael, tirando fuori la lingua e storcendo il volto in una smorfia: «Davvero, abbiate pietà di me. Ve lo chiedo con il cuore in mano.»
«Ecco cosa succede quando un pavone sta lontano per troppo tempo dalla sua dolce metà» dichiarò ghignante Lila, scuotendo la testa e scambiandosi uno sguardo d’intesa con gli altri due: «A proposito perché Sarah non è venuta a questo piccolo ritrovo da mensa?»
«Perché aveva lezione a quest’ora» le rispose immediatamente Rafael, scrollando le spalle e storcendo la bocca in un sorriso mesto: «Ho provato a sentire anche Alex, ma blaterava di voler studiare gli articoli di mio padre…»
«Di tuo padre?»
«Ah. Già. Non vi ho informato» mormorò il moro, lasciando andare un sospiro e massaggiandosi i capelli scuri, scuotendo poi il capo: «Ieri sono andato con Sarah da mio padre e lui ci ha dato tutte le sue ricerche sui sette animali – i nostri animali totem, per usare il modo di dire di Lila – e…» si fermò, voltandosi di lato e mordendosi il labbro inferiore: «Era strano, veramente strano. Blaterava di non farli trovare a qualcuno e di consegnarli, se possibile, agli eroi di Parigi…»
«Come strano?» domandò Adrien, lasciando andare Marinette e scambiandosi un’occhiata con lei, vedendola annuire con la testa: «Era…»
«Ho il sospetto che mio padre sia collegato in qualche modo a Kwon, non so come o perché, ma lo è: lui ha parlato di un cinese che ha incontrato e che, da allora, si sente strano come se ci fosse qualcosa dentro di lui.»
«E se fosse come Nathaniel?» domandò Marinette, portandosi le dita chiuse alla bocca, sospirando: «Sono persone vicine a noi e…» si fermò, posando lo sguardo celeste sul marito, osservandolo annuire quasi come se fosse venuto alla sua stessa conclusione: «Kwon non sa chi siamo, vero?»
«Non credo. Non saprei come avrebbe avuto quell’informazione» decretò Rafael, scuotendo la testa: «Non è ce andiamo a dire a chiunque che…»
«Pennuto, visti i tuoi trascorsi, dovresti solo stare in silenzio» sentenziò Adrien, portandosi poi il pugno chiuso alla bocca: «Però è vero, ora come ora non ho proprio idea di come Kwon possa sapere di noi…»
«Come Xiang, magari?» buttò lì Lila, osservando gli sguardi dubbiosi degli altri tre: «Ehi, era un’idea.»
«Xiang sapeva delle nostre identità grazie a Kang, volpe» mormorò Adrien, poggiandosi le mani sui fianchi e negando con la testa, lo sguardo rivolto verso il basso: «Ma Kwon, come avrebbe potuto scoprirle? Dubito che Kang gli abbia facilitato il lavoro dicendogli chi siamo.»
«Una domanda a cui non troveremo mai risposta» dichiarò Rafael, allargando le braccia e sorridendo appena: «Andiamo a mangiare?»


Xiang osservò la pila di fogli davanti a lei, spostando l’attenzione sul giovane che si stava accomodando accanto a lei nel lungo tavolo di legno rosso, guardando poi incantata l’enorme sala in cui si trovavano: la stanza era immensa, tanto che lei si sentiva una piccola formica al confronto ed era veramente tanto che non provava una simile sensazione, identica a quella che aveva ogni volta che era entrata nella sala del trono di Shangri-la. Chiuse gli occhi, ricordando la grande stanza scavata nella pietra che, come voleva la leggenda, era stata opera degli ultimi giganti, prima che questi morissero e la loro razza sparisse completamente dalla faccia del pianeta.
Xiang riaprì le palpebre, posando lo sguardo scuro sulle mura piena di libri e poi alzando lentamente la testa, verso il soffitto che, con un doppio arco, si allungava sopra di loro: «Speri di trovare qualcosa?» domandò la ragazza, riportando l’attenzione sull’americano e ritornano su ciò che premeva a entrambi: «E che cosa?»
«Qualsiasi cosa per venire a capo di tutta questa situazione e capire chi è Kwon, che legami ha con Kang e come sconfiggerlo?»
«Ambizioso.»
«Volere è potere» dichiarò deciso Alex, facendo vagare lo sguardo sulle ricerche del professor Fabre: Sarah gliele aveva portate quella stessa mattina, informandolo che le aveva lette un poco e che erano focalizzate su ciò che l’uomo aveva scoperto sui sette animali nelle varie culture del mondo, sembrava fosse quasi giunto che ci fosse un denominatore comune che legava queste leggende che toccavano l’Europa, l’Asia e l’Africa.
Non l’America.
Ma, come aveva fatto presente Sarah, il continente americano fino alla sua riscoperta non era stato facilmente raggiungibile dai Gran Guardiani e, forse per questo, non presentava leggende legate ai sette animali.
«Il culto della coccinella presso gli Iceni» mormorò Xiang, afferrando un fascicolo e leggendo il titolo sulla copertina di questo, scuotendo poi il capo e lasciandolo, prendendone un secondo: «Tomoe Gozaen, il pavone dell’Oriente? Riguardano i Miraculous…»
«Kang ha detto che le risposte sono qui. Ok. Ma dove?»
«Forse non stiamo guardando con gli occhi giusti» bisbigliò la ragazza, storcendo le labbra e tamburellando le dita sul tavolo: «Cosa ha detto Kang a Rafael?»
«Che le risposte sono nelle ricerche del padre?»
Xiang inspirò, poggiandosi allo schienale della sedia e portandosi l’indice destro alle labbra, massaggiandosi il labbro inferiore con il polpastrello: «Ricerche sui sette animali» mormorò, socchiudendo le palpebre e negando con la testa: «Kang non darebbe mai una soluzione così facilmente…»
«Tu hai vissuto con lui, quindi sai come funziona il suo cervello! Forza, Xiang. Illuminami.»
«E se queste ricerche fossero solo un indizio?» domandò la ragazza, voltandosi verso di lui e guardando poi i fogli davanti a loro con una luce rinnovata negli occhi: «Queste ricerche parlano dei sette animali, ovvero…»
«I kwami» esclamò Alex, battendosi una mano sulla fronte e, schioccate le dita, indicò la ragazza: «E i kwami provengono da…»
«Daitya e Routo» bisbigliò Xiang, sorridendo come se avesse capito il piano di Kang: «Ma certo! Il padre di Rafael aveva già…»
«Messo al sicuro le ricerche su Atlantide! Le aveva date a Rafael quando gliele aveva chieste per noi.»
«La risposta era molto più vicina di quello che pensavano.»
«Dove sono quelle ricerche adesso?»
«A casa mia» decretò Alex, iniziando a radunare tutti i fascicoli, scuotendo poi il capo: «Ma voglio studiarli con gli altri, però. Forse i kwami potranno notare cose che a me sono sfuggite e…»
«E da lì trovare il collegamento fra Kwon e Kang» esultò la cinese, balzando in piedi e posando le mani sulle spalle di Alex, sorridendogli piena di calore: «Sei un genio, Alex» dichiarò, allungandosi verso di lui e posandogli le labbra sulla guancia, regalandogli poi un nuovo sorriso, prima di iniziare a sistemare le loro scartoffie anche lei: «Ce la faremo.»
«Certamente» decretò l’americano, posandosi una mano sul punto dove Xiang l’aveva baciato e fissandola con gli occhi sgranati: «Sono un genio.»


Adrien osservò il piccolo parco ove si svolgeva il set di quel giorno, avvicinandosi all’albero e dando un’occhiata alla vegetazione dietro di lui, che circondava il piccolo laghetto che dominava quella zona, e si poggiò con il braccio al tronco, portando poi l’altra mano al colletto della giacca e tirandolo lievemente su, inclinando poi la testa verso destra e regalando il classico sorriso da modello alla macchina fotografica.
Sentì l’uomo gemere di giubilo, iniziando a saltellare da una parte all’altra e facendo scatti da ogni angolazione.
Il biondo accentuò leggermente il sorriso, facendo vagare lo sguardo oltre il fotografo e vedendo Marinette con il padre che stavano parlando fra loro, quasi sicuramente discutendo di qualcosa inerente il settore della moda, ignorando totalmente lui e l’italiano che scattava fotografie una dietro l’altra.
Sospirò, ricevendo in cambio un gemito di disapprovazione e, subito, riprese la sua solita espressione da modello, aggrottando poi lo sguardo quando vide l’italiano abbassare la macchina fotografica e fissare con gli occhi sgranati e  la bocca aperta qualcosa alle sue spalle: era forse rimasto affascinato da un arbusto di particolare bellezza? Magari aveva la forma di uno gnocco?
Si voltò, sperando di vedere anche lui ciò che aveva così tanto affascinato il fotografo, ritrovandosi a fissare dei tentacoli di acqua che s’innalzavano dal laghetto, muovendosi nell’aria sinuosi: aprì la bocca, ma non riuscì a emettere alcun suono prima che uno di quei tentacoli lo colpisse in pieno petto, spedendolo qualche metro più avanti e facendolo rotolare sull’erba.
Adrien scosse il capo, poggiando il peso sugli avambracci e cercando di tirarsi su, sentendo il sapore metallico del sangue in bocca, mentre il dolore s’irradiava per tutto il corpo: gli mancava l’aria e la sola azione di respirare irradiava nuove fitte, nella caduta doveva avere colpito un ginocchio, poiché una lieve ondata di dolore si levò da quel punto; cercò di rialzare lo sguardo, giusto in tempo per vedere un nuovo tentacolo abbattersi sulla sua schiena, colpendo per una seconda volta, prima di avvolgersi attorno alla sua vita e sollevandolo per aria: «Adrien!» la voce di Marinette gli giunse alle orecchie nel mare di dolore che gli ottenebrava la mente, facendolo voltare leggermente nella direzione in cui questa era giunta e osservò la ragazza, tenuta da suo padre, che lo fissava con la preoccupazione negli occhi, mentre cercava di liberarsi dalla stretta dell’uomo e raggiungerlo.
«Contattata…» un nuovo tentacolo si avvolse al suo collo, stringendolo appena e impedendogli di parlare: «Contatta Ladybug» riuscì a dire, prima che l’acqua si avviluppasse intorno alla sua gola, facendo forza e togliendo un poco il fiato.
Doveva resistere.
Doveva attendere che i suoi compagni lo raggiungessero e lo liberassero.
Storse le labbra, cercando di ignorare ciò che il suo corpo gli stava dicendo e osservò, con la coda dell’occhio, Marinette annuire e correre via con suo padre alle calcagna: l’uomo l’aveva fissato per un secondo, annuendo con la testa e seguendo poi la ragazza verso un punto del parco, sicuramente lei era alla ricerca di un punto dove trasformarsi e tornare immediatamente da lui: «Abbandonato dalla propria consorte» commentò una voce a lui fin troppo familiare, mentre un tipo con abiti bianchi e rossi dal taglio decisamente orientale, una maschera rossa in volto e i soliti capelli cremisi che ben conosceva, uscì dalla vegetazione con un sorriso in volto.
Non aveva mai incontrato quella versione di Nathaniel ma non aveva bisogno di una grande deduzione logica per sapere che si trovava davanti all’ex-compagno di scuola.
«Salve, Kurtzberg» mormorò Adrien, sorridendo appena: «Hai deciso di mostrarti, finalmente?»
«Il mio nome è Taowu» decretò l’altro, stringendo lentamente le dita della mano e sorridendo, quando la presa del tentacolo si accentuò  attorno alla gola di Adrien: «Oggi tu morirai ed io…»
«E tu? Che farai?» domandò Adrien, alzando il mento e sorridendo, mentre la stretta si faceva sempre più stretta e gli stava togliendo completamente l’aria dai polmoni: «Proverai a consolare una povera vedova?»
«Prenderò ciò che è sempre stato mio!»
«Tuo!» esclamò Adrien con la voce affaticata, cercando di ridere nonostante la situazione in cui si trovava: «Bello, spiacente di deluderti, ma Marinette è sempre stata solo mia.»
«Tu!» Nathaniel lo fissò carico d’odio, stringendo i pugni e i viticci d’acqua che lo avvolgevano si strinsero con più forza e più velocemente: pessima idea, farlo arrabbiare di più era stata veramente una pessima idea.
Qualcosa scattò davanti a lui e Adrien sentì la presa del tentacolo farsi meno, scivolando a terra: furono i suoi riflessi, accentuati da anni di combattimenti, a permettergli di atterrare traballante sulle proprie gambe mentre, davanti a lui la figura rossa a pois neri di Ladybug si palesò in tutta la sua magnificenza: «Allora è vero che i gatti atterranno sempre sulle loro zampe» decretò l’eroina, avvolgendo il filo dello yo-yo e catturando la propria arma nella presa della mano: «Iniziavo a pensare che non fosse così.»
«Sei in vena di battute?» domandò Adrien, portandosi una mano all’addome e  osservando Nathaniel: «Ce la farai da sola?»
«Ovviamente» decretò Ladybug, regalandogli un secondo sorriso e un occhiolino: «E presto arriveranno anche gli altri.»
Adrien annuì, scattando verso sinistra e correndo, avvertendo il rumore del tentacolo dietro di lui: «Non mi sfuggirai così facilmente!» urlò la voce di Nathaniel – o Taowu, come aveva detto di chiamarsi – mentre lui aumentava l’andatura e si tuffava dentro un cespuglio basso, inspirando profondamente e ascoltando i rumori della battaglia che aveva iniziato a scatenarsi.
«Dobbiamo andare ad aiutarla» sentenziò Adrien, scostandosi di un poco la giacca e osservando il proprio kwami uscire: «Ladybug ha bisogno del nostro aiuto.»
«Tutto questo mi ricorda i cari bei vecchi tempi» dichiarò Plagg, le labbra piegate  in un sorriso pieno di divertimento: «Sai quando non sapevate ancora chi era l’uno e chi era l’altra?»
«E’ vero» sentenziò Adrien, ricambiando l’espressione allegra del kwami: «Plagg, trasformarmi!»


«Perché? Perché vi intromettete sempre?» urlò Taowu, scatenando i propri tentacoli contro Ladybug e osservando l’eroina saltare ed evitare agilmente i suoi attacchi: «Senza di lui, lei sarebbe stata mia!»
«Lei?» domandò Ladybug, fermandosi e scuotendo la testa: «Tu credi davvero che Marinette possa provare qualcosa per te?»
«Sarebbe successo, se lui non si fosse intromesso.»
«Marinette è innamorata di Adrien, lo ama più della sua stessa vita!» dichiarò Ladybug, scuotendo la testa e fissando l’altro, mentre stringeva i pugni con forza e si tratteneva dal correre contro di lui, picchiandolo con tutte le energie che aveva in corpo: «Tu…»
«Tu non sarai mai paragonabile ad Adrien Agreste!» esclamò la voce sicura e allegra di Chat Noir, prima che questi balzasse al fianco di Ladybug con un sorriso pieno in volto: «Andiamo, davvero Pomodorino pensi di poterti paragonare a tanta perfezione? Bello, ricco, modello…»
«Sicuro di sé, strafottente…»
«Incredibilmente bravo a letto…»
«Chat!»
L’eroe in nero ghignò, portandosi una mano alla schiena e, recuperato il suo bastone, lo roteò e si sistemò in posizione di attacco: «Allora, tu pensa ai tentacoli ed io mi occupo di Pomodorino» dichiarò Chat Noir, sorridendo e, alzata la testa, notò i movimenti dei loro compagni che stavano giungendo lì: «Piccola precisazione: voi vi occupate dei tentacoli.»
«Sei sicuro di farcela?»
«My lady, sono indistruttibile. Lo abbiamo appurato da poco, a quanto pare» la ragazza annuì, osservando Bee atterrare nei pressi del laghetto e guardare con confusione i tentacoli che fuoriuscivano dall’acqua, scattò nella direzione dell’amica, venendo però fermata dal richiamo del giovane eroe in nero: «Mi ami più della tua stessa vita?» le domandò Chat Noir, sorridendole e tenendo lo sguardo verde in quello di lei.
«Hai veramente bisogno di sentirtelo dire?» chiese Ladybug, sorridendo dolcemente e annuendo con la testa: «Ti amo e ti amerò sempre più di ogni altra cosa, gattino.»
«Ottimo. Adesso posso menare Pomodorino con tutte le mie energie.»
«Vacci piano, gattino. Ti voglio in forze, poi.»
«Non temere, my lady.»
Ladybug annuì, voltandosi poi e raggiungendo velocemente Bee a cui si era aggiunto anche il resto del gruppo: «Bene, idee su come sconfiggere dei tentacoli d’acqua?» domandò l’eroina a pois, osservando le lunghe protuberanze muoversi sinuose nell’aria e poi abbattersi su di loro: Peacock balzò all’indietro, mettendo mano ai propri ventagli e osservò Tortoise al proprio fianco, annuendo con la testa, lanciando poi i propri dardi, guardandoli mentre attraversano l’acqua e cadevano fra la vegetazione oltre il laghetto.
«Ok. Io vedo, d’accordo?» domandò il pavone, ghignando mentre Tortoise si posizionava davanti a lui, con lo scudo eretto davanti a sé, mentre scuoteva la testa divertito: «Signore, a voi il compito di trattenere la bestiolina tentacolosa e acquosa.»
«Si dice tentacolosa?» domandò Volpina, roteando il proprio flauto e fissando interessata l’eroe in blu: «Non credo sia presente sul vocabolario.»
«Da oggi sì» bofonchiò Peacock, scuotendo il capo e socchiudendo poi gli occhi, lasciandosi andare al proprio potere: le immagini si mossero velocemente avanti a sé e un sorriso divertito gli piegò le labbra: «So come batterlo!» esclamò, osservando gli altri voltarsi verso di lui e fissarlo attentamente: «Volpina, ho bisogno che tu crei una copia di Chat Noir, dato che l’originale è impegnato» spiegò, vedendo la volpe annuire e poi spostò lo sguardo sul resto del gruppo: «Ladybug, il tuo Lucky Charm e Tortoise, appena te lo dico crea una delle tue barriere!»
«Ma da quando il piumino è diventato il boss della situazione?»
«Da quando stiamo per diventare la portata principale di un tentacle rape?» domandò l’eroe in blu, sorridendo mentre Ladybug, con il sorriso sulle labbra, scuoteva il capo divertita: «E purtroppo il nostro Mogui non è dei nostri oggi, altrimenti lo avremmo sicuramente sentito definire le gioie dei tentacoli in certe…beh, cose.»
«Che cosa è un tentacle rape?»
«Niente che tu debba sapere, apetta.»
«Ora me lo dici, Peacock!» sbottò l’eroina in giallo, posando le mani sui fianchi e fissando in attesa;  Volpina, dopo uno sbuffo, si portò il flauto alla bocca, suonando alcune note e osservando una copia di Chat Noir materializzarsi: la comparsa di questo fermò i tentacoli che si riunirono in uno solo e si abbatterono sul finto eroe nero, massacrandolo senza pietà.
«Tortoise, adesso!» urlò Peacock, e l’eroe verde creò una barriera attorno al tentacolo, chiudendone anche la sommità e tranciandolo di netto, l’acqua si mosse al suo interno e velocemente assunse una figura dalle sembianze femminili, che si abbatteva contro i muri della gabbia di energia.
Ladybug lanciò in aria il proprio yo-yo, osservando il Lucky Charm comparire e cadere fra le sue mani: «Un blocco da disegno?» domandò, girandoselo fra le mani e sfogliando le pagine bianche: «Ma cosa?»
«Per sconfiggere Miss Acquatica» la informò Peacock, indicando con un cenno della mano la gabbia di Tortoise: «Abbiamo bisogno del potere della distruzione di Chat, ma il signorino è impegnato al momento…»
Ladybug annuì, osservando Chat Noir e Taowu duellare: l’eroe parigino aveva messo nell’angolo il suo rivale e sembrava quasi trovare divertente quella situazione, mentre l’altro fumava di rabbia e, l’eroina, era certa che centrassero anche tutte le battutine che aveva dovuto subire da parte dell’avversario: «Nathaniel» mormorò, avvicinandosi e notando Chat fermarsi, voltandosi verso di lei e fissandola, poggiandosi al bastone in attesa della sua mossa: «Ti prego, cerca di ricordare chi sei.»
«Io sono Taowu, generale di Kwon» ringhiò l’altro, indietreggiando e fissandoli rabbioso: «E voi non mi porterete via ciò che bramo! Io l’avrò!» dichiarò, sparendo poi in una voluta di fumo sotto lo sguardo sconsolato di Ladybug e quello furioso di Chat Noir.
«Lui non avrà proprio un bel niente» ringhiò il felino, voltandosi e scuotendo la testa, mentre studiava poi la situazione e, attivato il potere della distruzione, si lanciò contro la gabbia di Tortoise, annientando la creatura di Quantum: «Se pensa che lo lascerò fare, si sbaglia di grosso!»


Marinette sospirò, osservando Adrien indossare una maglietta candida e nascondere alla vista i lividi che erano comparsi sul costato, precisamente dove era stato colpito dal lungo tentacolo d’acqua: «Come stai?» gli domandò, dando della sciocca per la stupida domanda che aveva fatto e guardando lo sguardo verde puntarsi su di lei per pochi attimi, prima di tornare a trafficare nell’armadio: «Adrien.»
«Sto bene. Un po’ dolorante, ma niente di che» borbottò il ragazzo, massaggiandosi la nuca e voltandosi verso di lei: «Dove sono le felpe?»
«Il cassetto sotto» rispose la ragazza, scambiandosi poi un’occhiata con i due kwami e riportando l’attenzione sul biondo: «Adrien…»
«Qualunque cosa vuoi dirmi la risposta è no» decretò il ragazzo, recuperando un maglione e voltandosi, mentre lo indossava: «Io…»
«Oh. Quindi bocci l’idea di divertirci come dei pazzi qua sopra?» domandò Marinette, allungando le braccia e indicando il loro letto, dove lei era comodamente seduta: «D’accordo. Comprendo.»
«Ritiro quello che ho appena detto.»
«Idiota» bofonchiò Plagg, intromettendosi nella conversazione e mascherando il commento con un colpo di tosse, guardando poi il resto degli occupanti della stanza: «Ehi, anche noi kwami ci ammaliamo, sapete?»
Adrien scosse il capo, gattonando sul materasso e raggiungendo la moglie, poggiandole poi la fronte contro la spalla e sorridendo: «Ti ho mai detto che adoro quando porti le maglie con lo scollo così ampio?» domandò, socchiudendo le palpebre quando sentì le dita di Marinette carezzargli i capelli: «Mh. Di solito mi riprendi sempre quando sbircio…»
«Per oggi te lo lascio fare, gatto in calore» mormorò la ragazza, osservandolo allontanarsi e sdraiarsi sulla schiena: si avvicinò, allungando una mano e spostandogli le ciocche bionde dalla fronte: «Come stai?»
«Sto bene, non preoccuparti.»
«Ehm…»
«Sì, lo so. Dire a te di non preoccuparsi è come dire a mio padre di non fissarsi sull’ultimo modello di antifurto.»
Marinette sorrise, stendendosi accanto al ragazzo e accoccolandosi contro il corpo del giovane, prendendogli la mano con il Miraculous e giocherellando con questo: «Sei in pericolo» mormorò, sentendolo sospirare pesantemente, rimanendo poi in silenzio: «Adrien?»
«Anche tu. Nathaniel è ossessionato da te, non so se hai notato.»
«Sì, ed è convinto che togliendo di mezzo te potrebbe avere …»
«Campo libero» bofonchiò il biondo, condendo le due parole con uno sbuffo e girandosi, circondando la vita della ragazza con un braccio: «Ce l’avrebbe avuto?»
«Cosa?»
«Una possibilità con te. Se io non ci fosse mai stato…»
«Non credo. Nathaniel è sempre stato solo un amico e niente di che» mormorò Marinette, allungando una mano e seguendo con il polpastrello il contorno del viso del biondo: «Penso proprio che sarei rimasta single a vita, forse sarei stata la classica vecchietta con tanti gatti…»
«Che vita triste.»
«Già.»
«Fortuna sono giunto io a salvarti da tale destino, my lady.»
«In pratica un gatto ce l’ho ugualmente» dichiarò Marinette, ridendo quando Adrien si spostò, puntando le braccia ai lati del suo viso e fissandola dall’alto: «E anche quello più bisognoso di attenzioni e cure.»
«Ehi, sono un gatto di razza io!»
«Vero anche questo.»
«Che adora tantissimo le coccinelle.»
«Le?»
«Una in particolar modo» dichiarò Adrien, chinandosi e sfiorandole le labbra con le proprie: «Mh. Cos’è che avevi detto su fare qui sopra?»


Alex si tolse gli auricolari, abbandonando la conversazione dei canali radio della polizia e, tolti gli occhiali, si massaggiò il setto nasale: Taowu sembrava essersi ritirato e non c’era nessuna notizia del combattimento avvenuto in Square du Temple.
A quanto pareva, Parigi si stava abituando a cose strane come tentacoli che fuoriescono da un laghetto…
Inforcò nuovamente gli occhiali, guardando le pile di articoli che circondavano la sua postazione e sentendosi abbattere sotto quella mole di lavoro: avrebbe dovuto analizzare e leggere tutto con occhi nuovi, per dirla alla Xiang, attento a ogni minimo particolare.
Nulla sarebbe dovuto sfuggire al suo occhio.
Il campanello dell’abitazione risuonò per tutte le stanze e Alex, con un sospiro si alzò e, attraversata per intero la casa, raggiunse il portone: chi poteva essere? Nessuno dei suoi amici, quasi sicuramente stavano tutti amoreggiando allegramente nei loro nidi.
Pubblicità, forse?
A quell’ora, però?
Quasi sicuramente non era Xiang.
Lei assolutamente no.
Aveva l’allenamento con Thomas, poi.
Lasciò andare un sospiro, abbassando la maniglia e osservando l’ospite improvviso dall’altra parte della porta: aveva conosciuto quella ragazzina, intravista al matrimonio di Adrien e Marinette mentre parlava con Thomas, sebbene ora il nome gli sfuggisse.
Lei lo fissò seria, alzando il mento e tenendo lo sguardo nocciola nel suo: «Ehm. Posso fare qualcosa per te?» domandò, portandosi una mano alla nuca e massaggiandosela, cercando di capire perché l’amichetta di Thomas fosse lì.
Aveva un appuntamento per un massaggio con Fu?
Ma non era un po’ giovane?
La ragazzina inspirò profondamente, socchiudendo le palpebre e muovendo le labbra senza emettere alcun suono, poi riaprì gli occhi e lo fissò con tutta la serietà che poteva avere: «Io so.»

Ritorna all'indice


Capitolo 46
*** Capitolo 46 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.251 (Fidipù)
Note: E ci siamo! Un nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3 è giunto e, chi aveva letto quel piccolo pezzo che avevo messo sulla pagina facebook, lo stava attendendo con molta ansia. Ma eccolo qua, finalmente! E che dire? Non vi disturberò più di tanto con le mie solite note, dato che non è che ci siamo molto da dire e quindi passo alle solite informazioni di servizio.
Domani sarà il turno di Lemonish, che concluderà questa settimana di aggiornamenti che, come al solito, è stava veramente intensa (un giorno, forse, riuscirò a riavere di nuovo un calendario meno pieno).
Come sempre vi ricordo la pagina facebook per essere sempre aggiornati e avere piccole anteprime dei capitoli, dei progetti futuri, dei miei scleri.
Infine, ma solo perché è un rito mettere i ringraziamenti alla fine, voglio ringraziare tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di cuore!



Alex osservò la ragazzina accomodarsi sulla sedia e poggiare i palmi sul tavolo, mentre vagava con lo sguardo per la stanza e si posava, di tanto in tanto, su qualche soprammobile: le mise un bicchiere ricolmo dell’unica bevanda in casa – esclusa l’acqua e il the del maestro Fu – e si sistemò nel posto davanti a lei, continuando a guardarla mentre lei ne beveva un piccolo sorso, storcendo la bocca quando il sapore aspro le inondò la bocca: «Scusa, in casa abbiamo solo il succo al pompelmo» mormorò Alex, portandosi una mano al collo e massaggiandoselo, lasciando andare un sospiro: «L’alternativa sarebbe stato il the.»
Manon annuì con la testa, facendo danzare le codine in cui aveva legato i capelli, e abbassò lo sguardo, tenendolo fisso sul liquido giallognolo: «Allora…» iniziò Alex, passandosi la lingua sul labbro inferiore e sistemandosi gli occhiali: «Tu sai» mormorò, ripetendo ciò con cui lei si era presentata davanti all’uscio: «Cosa?» domandò con la voce carica di incertezza.
«Thomas è Hawkmoth» dichiarò Manon, facendo scivolare un dito lungo il bordo del bicchiere e alzando lo sguardo, tenendolo fisso in quello del ragazzo: «L’ho visto trasformarsi quando il mostro ha attaccato la nostra scuola. Lui…» si fermò, guardando di lato e poi negando con la testa: «Io non volevo, davvero. Mi ero nascosta negli spogliatoi dei maschi per…»
«Per spiarli?» domandò Alex, schiarendosi poi la voce e abbozzando un sorriso incerto di fronte allo sguardo sgranato che lo fissava.
«Cosa? Che schifo! No! Volevo solo evitare che Noemie mi prendesse in giro.»
«Ah. Scusa. Sono abituato a…» Alex si fermò, stirando le labbra in un sorriso: «Beh, a nulla. Nessuna delle dolci donzelle che conosco farebbe una cosa del genere» si fermò, l’espressione in volto congelata: «Forse Lila. Sicuramente Lila. E sono certo che lo farebbe per prendere in giro i poveracci all’interno.»
Manon abbozzò un sorriso, ascoltandolo in religioso silenzio e facendo scivolare i polpastrelli sulla superficie del vetro, avvertendo la patina umida della condensa sulle dita: «Io vorrei aiutarvi» decretò dopo un momento di silenzio, osservando l’altro inspirare profondamente e aggrapparsi con entrambe le mani al tavolo: «Io…»
«Piano. Andiamo piano» mormorò Alex, alzando una mano e fermando la ragazzina: «Tu sai che Thomas è Hawkmoth? E domandandotelo, ho appena ammesso ciò. Lo so, non c’è bisogno di infierire.»
«Sì, so chi è Thomas e conosco anche Nooroo.»
«E conosci anche Nooroo» Alex sorrise, prendendo gli occhiali con entrambe le mani e togliendoseli, poggiandoli con calma sul tavolo, massaggiandosi poi gli occhi: «E nessuno dei due ha pensato di avvisarmi. Lo sai da quanto? Un mesetto? Da quando è apparso Golem alla vostra scuola? Quel moccioso…»
«Lui non l’ha fatto apposta.»
«No, certo che no» mormorò Alex, con una nota stanca nella voce: «E posso tranquillamente dire che ha superato Rafael in quanto a ‘sveliamo il segreto’. Da quanto aveva quel cavolo di Miraculous?» si fermò, scuotendo la testa e inspirando lentamente una volta, poi una seconda e infine una terza: «Calmo. Devo restare calmo. Meditazione antica cinese.»
«Veramente…»
«Immagino che il signorino – anzi, i signorini. Dato che Nooroo è colpevole – ti abbiano rivelato le identità di tutti gli altri» bofonchiò Alex, poggiando i palmi sul tavolo e, fatta le va su questi si alzò, tenendo lo sguardo rivolto verso la superficie: «Quei due. Non hanno neanche detto una parola poi. Thomas è morto. Vado a dire al maestro che abbiamo bisogno di un nuovo Portatore» dichiarò, afferrandogli occhiali e inforcandoli con un gesto fluido; Manon si alzò a sua volta, allungando un braccio verso l’americano e, presagli una manica della felpa, lo tenne fermo sul posto: «Sto scherzando, piccoletta» mormorò Alex, lasciando andare un sospiro: «Io non lo uccido, ma qualcun altro di certo sì.»
«Thomas non mi ha detto chi erano gli altri» mormorò Manon, scuotendo la testa e abbozzando un sorriso: «Sono io che ho capito chi erano: avevo dei sospetti e le parole di Thomas non hanno fatto altro che confermarli.»
Alex annuì con la testa, liberando con un gesto delicato il braccio, ancora tenuto dalla flebile presa della piccola e si voltò verso di lei: «Sei intelligente e perspicace» mormorò, posandole una mano sul capo e chinandosi alla sua altezza: «Ma non posso permetterti di aiutarci.»
«Perché?»
«Ti metteremmo in pericolo. E poi sono certo che Marinette e Adrien mi ucciderebbero» dichiarò Alex, rialzandosi e massaggiandosi il collo: «In ogni caso devo informarli che tu sei a conoscenza, quindi magari potresti entrare nel giro ma come guest.»
«Come cosa?»
«Ospite.»
«E non potevi dirlo subito?»


Sentì le mani della donna posarsi sulle spalle, mentre il naso veniva inondato dall’odore del profumo che era solita mettersi – Air di Gioia, come aveva potuto leggere sulla bottiglietta che, adesso, faceva bella mostra di sé in camera, assieme alla trousse di trucchi –, sentendo poi le dita scivolare lungo gli avambracci: «Problemi?» domandò Bridgette, sistemandosi al suo fianco e osservando i fogli che lui aveva davanti agli occhi, spostando poi l’attenzione sul volto dell’uomo.
Felix sospirò, lasciandosi andare contro la spalliera della poltrona e, piegandosi di lato, appoggiò la testa contro il costato della donna: «Bourgeois ha messo le mani su un bel po’ di soldi e ha promesso il rifacimento di un ospedale» bofonchiò, inspirando profondamente e posando una mano sulla coscia di Bridgette, carezzando la stoffa morbida della gonna nera: «Tradotto: lui sale di un gradino verso la rinomina a sindaco ed io scendo di due.»
La donna annuì, passandogli le mani fra i capelli e tirando indietro le ciocche più lunghe che, di solito, gli spiovevano sul volto: «Non puoi fare niente?» domandò, continuando la sua carezza e osservando Felix socchiudere gli occhi: «Magari Bourgeois ha un fondo illegale.»
«Vedi troppa tv, Bri.»
«Succedono anche nella vita vera queste cose.»
«Il finanziamento a Bourgeois è stato fatto da un cinese, a quanto pare favorisce il fatto che sia nuovamente lui il sindaco di Parigi e non io» mormorò Felix, aprendo le palpebre e sorridendo alla donna: «Beh, potrei vendere qualcuno di quei ninnoli che mi sono portato dietro da Shangri-la.»
«Ho finalmente avuto la risposta alla domanda che mi stavo facendo da un po’.»
«Ovvero?»
«Come potevi permetterti tutto questo» decretò Bridgette, sistemandosi meglio sul bracciolo della poltrona e sorridendo divertita: «Insomma, sei stato in una grotta per due secoli, non puoi aver messo da parte una fortuna come ho fatto io.»
«Ehi, tu non hai idea dei giocattolini che ci sono a Shangri-la» decretò l’uomo, appoggiandosi completamente contro di lei: «Magari una volta che tutto sarà finito, ci tornerò. Potrei assicurarmi la pensione con tutta la roba che c’è nelle cripte di quel luogo.»
«Felix…»
«Uno deve assicurarsi la pensione per quando sarà vecchio! Soprattutto se ha più di duecento anni» decretò Felix, ghignando divertito di fronte all’espressione esasperata che Bridgette aveva in volto: «Guarda Fu: continua a fare massaggi nonostante la sua età, non voglio ritrovarmi così a quattrocento anni.»
«Quanto ancora vuoi vivere?»
«Siamo stati Portatori di Miraculous, la nostra vita è decisamente più lunga del normale.»
«Sì, ma…»
«Noi siamo vissuti fino a ora perché tu eri posseduta ed io a Shangri-la, diciamo che dobbiamo ancora usufruire del bonus Miraculous.»
Bridgette  sospirò, alzandosi e portandosi le mani ai fianchi, scuotendo poi la testa: «Vado a vedere se è pronta la cena.»
«Ok. Voglio te con quella cosa trasparente che hai portato a casa l’altro giorno e un contorno di patate, grazie.»
«Felix, pensa alle elezioni. Ok?»


Wei osservò la pasta scivolare dalla pentola nello scolapasta, che dominava il lavello di acciaio, muovendosi attento e ben deciso a non far schizzare l’acqua a bollore: già una volta si era bruciato in quell’impresa e non voleva ripetere l’esperienza una seconda volta: «Perché mi ha dovuto informare Wayzz che mia madre è venuta a minacciarti una seconda volta?» la voce di Lila lo fece sobbalzare e la pentola gli sgusciò dalle mani, scivolando nel lavabo e cadendo miseramente addosso alla pasta già presente nello scolapasta.
«Addio cena» mormorò il cinese, osservando il fallimento del suo lavoro e voltandosi poi verso la ragazza che, incurante di tutto ciò che aveva provocato, lo stava osservando a braccia conserte: «Non pensavo ce ne fosse bisogno» decretò, alzando le spalle e sorridendo appena: «E’ stata messa al suo posto da Mercier e quindi…»
«Lunga vita a Mercier, il vero eroe della situazione!» bofonchiò Lila, alzando le braccia per aria e poi posandosi le mani sui fianchi: «Dovevi dirmelo, non devo venire a sapere queste cose dal tuo kwami.»
«Wayzz» mormorò Wei, spostando l’attenzione sullo spiritello verde che, fluttuante, rimaneva nei pressi di Lila: «Perché l’hai fatto?»
«In verità stavo parlando con Vooxi» spiegò il kwami della tartaruga, volando davanti al viso dell’italiana e indicandola con la zampetta: «Lei è apparsa dal nulla e mi ha costretto a parlare. Ha usato la minaccia che mi avrebbe fatto vedere Harry Potter ininterrottamente.»
«Harry Potter non è una minaccia, è una ricompensa» bofonchiò Vooxi, posandosi sulla spalla di Lila e scuotendo il musetto: «Non capisci niente, Wayzz.»
«Devo rivangare quello che hai combinato a Daitya?»
«Quello che è successo a Daitya rimane a Daitya!»
«Bella scusa. Sa tanto di Plagg, sai?»
«Da chi pensi che l’ho imparata?» decretò Vooxi, incrociando le zampette e sorridendo soddisfatto: «Dal migliore.»
«Il migliore in fatto di scuse, sì.»
Lila sospirò, osservando i due kwami discutere animatamente fra di loro, sentendo il nome di Plagg spuntare più e più volte: «Dovevi dirmelo» riprese, ritornando al discorso originario e avvicinandosi a Wei, poggiandogli una mano sul petto: «E’ mia madre, è compito mio proteggerti da lei.»
«In effetti mi fa un po’ paura con quegli artigli rossi» disse il giovane, rabbrividendo appena al ricordo: «Ho pensato che mi avrebbe graffiato e strappato via la carne.»
«Non devo più mettermi lo smalto rosso. Ho capito.»
«Su di te sta bene, è anche molto bello vedere le tue mani carezzarmi con quel colore sulle unghie. E’ tua madre che mi fa paura.»
«Povero piccolo.»
«La sognerò stanotte. Sarà un incubo.»
«Wei.»
«E giungerà Mercier con la sua armatura fatta di carta a proteggermi.»
«Smettila, adesso.»


Prese il tavolino, stringendo la presa sul legno e scaraventandolo dalla parte opposta della stanza, osservandolo mentre si schiantava contro il muro e si rompeva in più pezzi: «Quei…» iniziò, inspirando profondamente l’aria e sentendo i polmoni riempirsi di questa; afferrò la sedia per lo schienale, lanciandola nella stessa direzione del tavolo e guardandola fare la medesima fine: «Non chiedo tanto. Semplicemente sette gioielli, che sono in mano a dei ragazzini e quattro generali, potenziati dal Quantum non riescono a fare ciò» la voce tuonò nella stanza, facendo rabbrividire la donna che, in silenzio, era stata testimone della furia del suo signore.
«Mio signore…»
«Bramo quei gioielli da millenni» dichiarò Kwon, muovendosi per la camera in penombra, le mani che si muovevano nell’aria quasi come se cercassero nuove vittime da distruggere: «Millenni. Li ho inseguiti, per molto tempo sono stato vicino ad alcuni di essi e, adesso che li ho a portata di mano, per colpa di un branco di incompetenti non riesco ad averli.»
«La prossima volta andrò io, mio signore.»
Kwon si fermò, guardando la sua sottoposta che, con il corpo rigido e la testa china, si offriva come sua nuova arma: «Mi deluderai anche tu, Yi? Anche tu non riuscirai a farmi avere ciò che bramo da una vita intera?»
«No, mio signore» Yi rialzò la testa, osservandolo con l’unico occhio lasciato libero dalla maschera, aprì la bocca ma le parole le morirono sulla lingua e, chinata nuovamente la testa, se ne andò silenziosamente dalla camera, lasciandolo solo nell’oscurità.
Kwon osservò la porta chiusa, stringendo le dita e reprimendo la voglia di distruggere anche quella, di annientare tutto ciò su cui si posava il suo sguardo: «Non deludermi anche tu, mio bellissimo fiore» mormorò, portandosi poi una mano al collo e avvertendo il freddo e familiare acciaio del monile di Routo.
Li avrebbe avuti tutti.
Doveva solo attendere.
Doveva pensare a questo, prima che la sua sete di distruzione si volgesse sulle quattro persone che aveva scelto come suoi sottoposti.
Doveva dargli ancora tempo.
Lo stesso che lui aveva avuto, nel corso dei millenni, per avvicinarsi ai Miraculous come lo era in quel momento.
Il tempo era la soluzione a ogni cosa, Kang era solito ripeterlo, accompagnando le parole con il sorriso di un uomo che aveva visto e sapeva.
Attendere.
Dare il tempo necessario.
Peccato che lui non aveva la stessa pazienza di Kang.
Non adesso che era così vicino al raggiungimento del suo sogno.


Sangue.
Le sue mani erano piene di sangue.
Sentiva il calore del liquido contro la pelle, ne vedeva le macchie scure sui guanti cremisi che la fasciavano: concentrò la propria attenzione su una chiazza che dominava il palmo, leggermente spostata verso l’attaccatura delle dita, quasi come se tutto il mondo si concentrasse unicamente lì.
Se guardava solo quello non era costretta a spostare l’attenzione, costringendosi a venire a patti con ciò che la circondava.
Con chi era steso davanti a lei.
Non aveva la forza.
Non voleva distogliere lo sguardo, non voleva…
Socchiuse le palpebre, abbassando le mani e lasciando andare un sospiro, stringendo le labbra e maledicendosi per la sua debolezza: non poteva fargli questo affronto, non poteva abbandonarlo così; abbassò lo sguardo e un singulto le sfuggì dalle labbra, mentre osservava il corpo riverso a terra e poco distante da lei.
Si avvicinò di pochi passi, sentendo la forza nelle gambe venir meno e ritrovandosi per terra mentre allungava tremante una mano  verso di lui, fermandosi a metà del viaggio: era vivo? Respirava? Da dove veniva il sangue che le macchiava le mani?
«Chat» disse con un filo di voce, sfiorando con la punta delle dita la guancia del ragazzo disteso a terra, sentendolo freddo al tatto, ritirando poi la mano e avvertendo il cuore aumentare i battiti: «Chat?» mormorò di nuovo, una supplica nella voce mentre gli sfiorava i capelli dorati e passava le dita sugli occhi chiusi, dietro la maschera nera.
Non poteva essere…
«Piantala con gli scherzi» bisbigliò, posandogli le mani sulle spalle e scuotendolo leggermente, senza ricevere niente in cambio: nessun ghigno divertito, nessuna occhiatina maliziosa, nessun commento su come si facesse prendere subito dal panico: «Ti prego, svegliati» deglutì, sentendo la voce venirle meno e poggiò una mano per terra, avvertendo il liquido viscoso sotto le sue dita: si voltò, massaggiandosi i polpastrelli gli uni con gli altri e osservando inorridita il sangue che le macchiava la mano.
Lo stesso sangue che, come un orrido lago, si allargava dal corpo di Chat Noir.
«No. No. No. No» mormorò la ragazza, portandosi la mano al volto e sentendo il calore del sangue sulla pelle del viso, mentre lo sguardo non riusciva a togliersi dal suo amore, e la consapevolezza si faceva strada in lei: lui non c’era più. Il corpo che aveva toccato fino a quel momento era senza vita.
Chat Noir era…
Adrien era…


Marinette si svegliò con il respiro ansante e lo sguardo puntato sulla finestra della camera da letto, avvertendo immediatamente il peso di Adrien dietro di lei: poteva sentire la sua stretta attorno alla vita, il respiro tranquillo contro la pelle della sua spalla e il corpo caldo e solido che la rassicurava con la sua sola presenza.
«Un brutto sogno?» mormorò il giovane contro la sua pelle, facendole capire così che lui non stava affatto dormendo: «Ti stavi agitando, Marinette.»
«S-sto bene» bisbigliò la ragazza, senza neanche voltarsi e socchiudendo di nuovo le palpebre, pentendosi amaramente di quel gesto: subito le immagini di Chat le riempirono di nuovo la mente, aumentando i dettagli che, nel sogno, non aveva considerato: la ferita alla testa che imbrattava i capelli biondi, il labbro tagliato, il volto tumefatto…
«Marinette.»
«Sto bene» ripeté, storcendo le labbra alla nota stizzita della sua voce e pentendosene amaramente subito: «Io…»
«Sto aspettando da quando siamo arrivati a casa» le mormorò Adrien, allontanandosi di un poco e permettendole di girarsi nella sua stretta: il ragazzo le sorrise, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio e osservandola poi negli occhi, cercando in essi ciò di cui aveva bisogno: «Ti conosco da parecchio e so che, la ragazza con cui ho parlato stasera prima di dormire, non era mia moglie.»
«Io…»
«Mi preoccupo di più quando ti comporti così, Marinette» dichiarò il ragazzo, sorridendole e baciandole poi la punta del naso: «Non sei la Marinette che conosco.»
La ragazza socchiuse gli occhi, andando nuovamente con la mente al sogno e passando le braccia attorno al ragazzo, stringendosi con tutta la forza che aveva in corpo al suo, quasi fosse stato l’unico abbastanza saldo da tenerla ancorata lì: «Non voglio perderti» bisbigliò, contro la maglietta di Adrien, mentre piccole lacrime le scivolavano sulle guance e lei tirò su con il naso, provando ad aggrapparsi ancora di più al marito: «Non voglio perderti» ripeté, dando via libera al pianto che aveva trattenuto, singhiozzando senza freni e stringendo la stoffa della maglia fra le dita, stropicciandola e quasi strappandola.
Adrien le carezzò il capo corvino, baciandole la tempia e lasciandola sfogare contro il suo petto, socchiudendo le palpebre e tenendola stretta fra le sue braccia, sentendo anche lui lo stesso bisogno di lei: il più possibile vicini, accogliendo l’uno il calore dell’altra e aggrappandosi a questo: «Non ti lascerò mai sola» le bisbigliò, contro le ciocche more, strusciando il volto e accogliendo la nuova ondata di singhiozzi e lacrime: «Non lascerò mai che nessuno mi porti via da te, neanche quello stupido pomodoro con le gambe» continuò, sentendola sbuffare: Adrien si allontanò leggermente, osservando il volto rigato di lacrime e il tenue sorriso che era comparso sulle labbra di Marinette: «Ti ho fatta sorridere.»
«Lo fai sempre.»
«Sono qui per questo» mormorò Adrien, passandole il pollice sulla guancia sinistra e asciugandole le lacrime, ripetendo poi lo stesso sull’altra parte del viso: «Farti ridere ed essere usato come fazzoletto formato gigante.»
Marinette sistemò la testa sul cuscino, in modo da avere il braccio di Adrien nell’incavo del collo e lo fissò in volto, carezzandogli i lineamenti e seguendo la linea della mascella: «Ho sognato che eri morto.»
«Non morirò, Marinette.»
«E il tuo sangue mi macchiava le mani.»
«E tu non sarai assolutamente la causa della mia morte.»
L’indice di Marinette indugiò sul labbro inferiore e la ragazza concentrò lo sguardo sulla sua unghia, lasciando andare poi un sospiro: «Vorrei che fosse» bisbigliò, alzando poi timidamente le iridi celesti e incontrando quelle verde di lui: «Io…»
«Beh, in effetti è vero: potresti uccidermi domattina, mentre prepari colazione e scivoli su un pezzetto di camembert, che Plagg ha incautamente fatto cadere, e il coltello che tieni in mano volerà e si pianterà dritto nel mio petto.»
«Adrien?»
«Come sono andato?»
«Manca la parte dove vengo arrestata e dove entra una spia russa in gioco.»
«Punto primo: mi hai interrotto. Punto secondo: tu sei fissata con le spie russe.»
«Le spie russe stanno bene su tutto.»
«Certo. Come il nero» dichiarò Adrien, sospirando e carezzandole il capelli, catturando una ciocca e giocherellando con questa: «Non ti lascerò, Marinette. Puoi fare tutti i sogni brutti, film mentali degli di un oscar che vuoi, io sarò sempre qui. Ok?»
«Dillo a Nathaniel.»
«Ho un conto in sospeso con lui, my lady.»
«Anche io.»
«Ahia. Non voglio essere Nathaniel, quando proverà il tuo yo-yo.»
«O il tuo bastone.»
«Avevo giusto una mezza idea di usarlo per infilarglielo su per…»
«Adrien, non voglio altri brutti sogni.»
«Secondo me gli piacerebbe anche.»
«Adrien!»

Ritorna all'indice


Capitolo 47
*** Capitolo 47 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.346 (Fidipù)
Note: Buon inizio di settimana! Eccomi qua, pronta come sempre - e un po' in ritardo rispetto al solito - per aggiornare! Che dire? I fili si continuano a tirare e forse nuovi membri arriveranno nel gruppo, portandoci sempre più vicini alla battaglia finale che, per il momento, è ancora abbastanza lontana. Ok, spero di averlo scritto bene, ma nel capitolo uno dei nipoti di Fa usa la parola 'xiansheng', che è il nostro equivalente di Signore. E niente. Non penso ci sia altro da aggiungere se non...
Pregate per Thomas! Pregate tanto per Thomas!
E adesso passiamo alle note di servizio: come al solito vi ricordo la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati, ricevere piccole anteprime e spoiler dei nuovi capitoli e delle nuove storie (La mia testa è ormai una fucina di idee su Miraculous!)
Vi ricordo che mercoledì ci sarà un nuovo aggiornamento de La sirena, mentre giovedì avrete un nuovo capitolo di Laki Maika'i. Venerdì sarà il turno del secondo aggiornamento settimanale di Miraculous Heroes 3 e, infine, sabato verrà aggiornata Scene con la seconda parte di Fuoco fatuo.
Come sempre ci tengo a ringraziarvi tutti quanti per il fatto che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie tantissimo e di tutto cuore!



Fissò lo schermo del cellulare, rileggendo le poche parole che aveva scritto e indugiando sopra il tasto d’invio: non era un testo rivelatore, ma il contrario, semplicemente una volta inviato avrebbe avuto poco tempo per imbastire un piano che avrebbe permesso la sopravvivenza di Thomas e l’introduzione nel gruppo della piccola Manon.
Dopo un iniziale rifiuto e aver messo alla porta la ragazzina, aveva riflettuto ed era giunto alla conclusione che non poteva essere solo una sua decisione: non toccava a lui decidere se Manon sarebbe stata integrata o meno nel gruppo. Dovevano decidere tutti assieme e questo era il motivo per la riunione che aveva in mente di organizzare.
Chiuse gli occhi, premendo su invio e riaprì le palpebre, osservando l’icona della busta da lettere chiudersi e la scritta ‘inviato’ apparire sullo schermo: bene, era andata.
Sollevò lo sguardo dal proprio cellulare, posandolo sull’ingresso del condominio che aveva davanti a sé e, donando un sorriso alla signora in abiti eleganti che stava uscendo proprio in quel momento, sgusciò all’interno, dirigendosi verso l’ascensore, chiamandolo al piano terra e ignorando quella sensazione che avvertiva al collo: un pugnale sembrava essere stato piantato fra le sue spalle, ma sapeva che era solo lo sguardo della donna che aveva appena incontrato.
Si voltò, accennando un sorriso e salutandola con la mano, mentre lei si stringeva nel cappotto e si voltava di lato, sgambettando via sui tacchi alti e suscitando una nuova domanda in Alex: come diavolo facevano le donne a camminare veloci su quegli affari?
Avrebbe dovuto informarsi.
Magari chiedendo alla babbiona.
Era certo che lei avrebbe saputo risolvere quel quesito che gli era giunto alla mente, molto più delle sue amiche: sapeva benissimo come Marinette e Sarah mal tolleravano quel tipo di scarpe, Lila le sopportava maggiormente ma non gli sembrava una vera e propria fan.
E Xiang…
Xiang era già tanto se sapeva cosa erano le scarpe.
«Ed io ho seri problemi se sto facendo un trattato sulle scarpe nella mia mente» decretò Alex, sistemandosi gli occhiali ed entrando nell’ascensore, appena giunto: «Ho veramente seri problemi. E sto parlando da solo» continuò, premendo il tasto del piano che gli interessava e scuotendo la testa, portandosi due dita sotto gli occhiali e massaggiandosi il setto nasale: «Devo andare in analisi.»
Si appoggiò contro il muro freddo, socchiudendo le palpebre e riaprendole quando il suono dell’ascensore lo riscosse: attese che la porta scorrevole si aprisse e mise un piede nel corridoio, osservando questo allungarsi avanti a lui; scivolò velocemente lungo le mattonelle di marmo, arrivando fino alla porta che gli interessava e suonò il campanello, rimanendo in attesa.
Passi concitati gli arrivarono da dietro l’uscio, finché uno dei nipoti di Fa non gli aprì con il sorriso sulle labbra: «Ni hao» disse Bo – o forse era Li? O De? -, chiudendo il pugno e colpendo con questo il palmo della mano opposta, chinando leggermente il capo: «Benvenuto nell’umile dimora di Blanchet xiansheng»
«Blanchet che?»
«E’ un qualcosa di simile a ‘signore’ in cinese» dichiarò la voce di Felix, apparendo alle spalle del cinese e sorridendo appena: «Salve, yankee.»
«Sa vero che quel termine è vecchissimo?»
«Il mio vecchio era poco aggiornato» disse Felix, stringendosi nelle spalle e storcendo le labbra in una smorfia di divertimento: «Che posso dire? Non mi ha permesso di aggiornarmi. Che vuoi?»
«Felix! Le maniere!» la voce di Bridgette fece sobbalzare i tre uomini, prima che la donna comparisse, annunciata dal ticchettio dei tacchi: «Non puoi trattare Alex in questo modo.»
«E’ in casa mia, posso.»
«Veramente, sarei ancora in corridoio. Se vogliamo puntualizzare la cosa.»
«Sei nel palazzo che ospita la mia casa. Sei sotto il mio tetto, yankee.»
«Sarò sotto il suo tetto, appena varcherò questa soglia» dichiarò Alex, indicando il vano della porta con un gesto ampio delle mani: «Attualmente sono in territorio condominiale.»
«Tu, moccioso…»
«Finitela immediatamente. Tutti e due» intimò la donna, posandosi le mani sui fianchi e guardando alternativamente i due litiganti: nel mezzo, il povero cinese, volgeva lo sguardo attorno a sé, quasi cercasse di capire il suo ruolo in tutto ciò: «Li, potresti gentilmente andare a preparare la macchina? Devo uscire e rimanere qui farà salire il mio nervoso.»
Li annuì con la testa più volte, prima di sgusciare oltre Alex e sgambettare veloce, diretto all’ascensore quasi come se stesse fuggendo da un mostro spaventoso e facendo ridacchiare Felix: «Se vuoi, Bri, conosco un’ottima tecnica per rilassarti?» dichiarò l’uomo, poggiandosi con una spalla al muro e incrociando le braccia, mentre lo sguardo seguiva i movimenti di Bridgette, mentre s’infilava il cappotto e lo superava decisa.
«Ucciderti, Felix? Perché al momento è l’unica cosa che vorrei fare con te» decretò la donna sorridendo zuccherosa, salutandolo con un cenno della mano: «Ci vediamo stasera. E non dire cosa fare a De, ci ho già pensato io.»
Alex la osservò prendere la stessa direzione del cinese, camminando sicura sui tacchi quasi fosse nata con quegli affari ai piedi: «Ha già preso possesso di casa mia» sentenziò Felix, avvicinandosi alla porta e, fatta leva su una mano, si sporse oltre il vano, osservando la donna fermarsi davanti alle porte dell’ascensore: «Ma la amo e, maledizione, amo quel sedere» si fermò, voltandosi verso il giovane: «E tu smettila di guardarlo.»
«Veramente mi stavo domandando come fa a camminare su quegli affari.»
«Misteri femminili» decretò Felix, tornando dentro l’appartamento e facendogli cenno di entrare: «Xiang si sta ancora preparando. Credo. Minimo è uscita dalla finestra perché non voleva che le dicessi qualcosa.»
«Che le dicesse qualcosa?»
«Hai visto come si veste ultimamente?»
«Come una ragazza del ventunesimo secolo?»
«Questo secolo è osceno per quanto riguarda il vestiario femminile.»
«Ha appena apprezzato la gonna stretta di Willie, sa?» domandò Alex, voltandosi e indicando la porta dell’appartamento: «Anche quella è di questo secolo.»
«Tu non hai spirito di sopravvivenza, vero?»
«A quanto sembra no.»
«Tipico di uno yankee.»
«Senta, non sono venuto qui per farmi chiamare yankee» iniziò Alex, lasciando andare un sospiro e abbozzando un sorriso all’uomo: «Ho un bel problema fra le mani e Fu mi ha consigliato in un modo, ma volevo sentire il parere di altri ultracentenari.»
«Se hai messo incinta qualcuno…» Felix si batté la mano sul petto, allargando le braccia: «Sono l’uomo per te.»
«Lei ha messo incinta qualcuno?»
«No, però molti miei commilitoni a Nanchino, hanno avuto un problema simile. Sono diventato un esperto, devo dire.»
«Ottimo. In ogni caso…» Alex tirò la vocale dell’ultima parola, scuotendo la testa e sorridendo: «No. Non ho messo incinta nessuno.»
«E allora cosa?»
«Diciamo che, se continua così, forse ci sarà un nuovo membro del gruppo. Un membro di undici anni. Una ragazza di undici anni che ha scoperto Thomas.»
Felix annuì, socchiudendo gli occhi e inspirando profondamente, scuotendo poi la testa e dirigendosi con passo deciso verso il salotto: «Tutto questo ha bisogno che io introduca alcool nel mio corpo. Assolutamente.»
«Non è un po’ presto per bere?»
«Una ragazzina di undici anni ha scoperto Thomas? Potevi tranquillamente dirmi che la terza guerra mondiale è alle porte, sarei stato più felice» Felix scosse il capo, lasciando andare un sospiro e voltandosi verso indietro, osservando Xiang giungere nel corridoio: «Bonjour, ma chére.»
«Alex, che fai qua?» domandò la ragazza, osservando immediatamente i due e fermandosi in mezzo al disimpegno e tenendo lo zaino per gli spallacci: «E’ successo qualcosa?»
«Ha messo incinta una» decretò Felix, con un sorriso in volto e lo sguardo luminoso: «Sempre detto di non fidarsi di uno yankee.»
«Cosa? No» bofonchiò Alex, scuotendo il capo e fissando l’altro con uno sguardo rabbioso, posandolo poi su Xiang e sospirando: «Diciamo che è successo un imprevisto.»
«Dì Ren?»
«Ehm. No. Ma riguarda i Miraculous.»
«Devo portarli a Shangri-la?»
«No» sentenziò Alex, distendendo le braccia e alzando i palmi, quasi come a tenere ferma così la ragazza: «Avevamo detto ‘No Miraculous a Shangri-la’.»
«Solo se non in caso di pericolo.»
«Lo yankee ha avuto una visita ieri» s’intromise Felix, poggiandosi con le spalle al muro del corridoio e sospirando: «A quanto sembra il marmocchietto del gruppo si è fatto scoprire da una sua compagna di scuola e la signorina vuole entrare nel gruppo.»
«Oh. In pratica è come Alex?» domandò Xiang, sorridendo dolcemente: «Anche tu sei venuto a conoscenza del segreto, no?»
«Diciamo che Sarah me l’ha rivelato quasi subito» commentò l’americano, portandosi una mano ai capelli e grattandosi la testa: «Però io ero più grande, Manon ha undici anni.»
«Manon…» Xiang si portò le dita della mano destra alle labbra, posando lo sguardo da una parte e annuendo con la testa: «La ricordo. Era al matrimonio di Adrien e Marinette.»
«Sì, è la bambina a cui Marinette faceva da babysitter.»
«Capisco» commentò la ragazza, annuendo nuovamente con la testa: «Qual è il tuo dubbio?»
«Tutto quanto? Sinceramente non credo…»
«Non è una decisione che puoi prendere tu.»
«Sì, questo lo sapevo, Xiang» commentò Alex, lasciando andare un lungo sospiro e prendendo il cellulare dalla tasca: «Ecco perché ho indetto una riunione.»
«Ah, ecco cos’era quel messaggio che è arrivato poco fa» bofonchiò Felix, rimanendo fermo nella sua postazione: «Quindi sei venuto qua per cosa, yankee?»
«Chiedere aiuto a salvare Thomas dalla  furia degli altri? Sono certo che qualcuno – in particolare Adrien e Rafael– non la prenderà molto bene.»
«Ordine del giorno: salvare il marmocchietto dalla furia dei suoi compagni di squadra» decretò Felix, dandosi una leggera spinta con le spalle e allontanandosi dal muro: «Me lo segno fra: revisionare il bilancio di partito e l’intervista con la Chamack.»
«Manon è la figlia della Chamack» decretò Alex con un sorrisetto in volto, sistemandosi poi gli occhiali: «Magari può mettere una parola per la figlia.»
«Signora, tenga sua figlia al guinzaglio, altrimenti scopre cose che non deve scoprire» dichiarò Felix, scuotendo il capo: «Penso che nel caso farebbe un pessimo articolo su di me. E già ho parecchi problemi contro Bourgeois» si fermò, massaggiandosi il mento e assottigliando lo sguardo, puntandolo poi contro Alex: «Tu puoi fare qualsiasi cosa al pc, vero?»
«Qualunque.»
«Anche controllare i fondi di una certa persona?»
«Posso anche quello.»
«Yankee, sei appena diventato il mio migliore amico.»


«Felix mi farà impazzire» dichiarò Bridgette, scuotendo il capo e accavallando le gambe sotto il tavolo, mentre osservava la ragazza dall’altra parte con il viso nascosto nella tazza fumante di the e gli angoli delle labbra piegati in un sorriso: «Tratta sempre male Alex e solo perché sa che gli piace Xiang.»
«E’ protettivo.»
«Fin troppo» commentò Bridgette, picchiettando il piede per terra e poi piegando di lato la testa, poggiandola contro il pugno chiuso: «Non mi sembri molto in forma, Marinette.»
«Ho solo avuto una nottataccia» commentò la ragazza, posando la tazza sul tavolo e guardandosi attorno: il locale, che era stato aperto da poco nella struttura che ospitava la scuola di moda, era immerso nella luce solare che entrava dalle vetrate con cui erano state rivestite le mura; il bancone formava un’isola al centro del grande stanzone e aveva al centro una colonna dipinta con più colori, quasi fosse il frutto di un artista impazzito.
Marinette rimase a osservare le due bariste che lavoravano, notando la figura di Nathaniel nei pressi del bancone: per una volta non aveva il cappuccio tirato su e i capelli del colore del fuoco, sembravano quasi risplendere alla luce del sole: «Ti preoccupa che possa fare del male ad Adrien?» domandò Bridgette, osservando nella stessa direzione della ragazza e storcendo le labbra in una smorfia: «Sai che noi tutti non glielo permetteremo.»
«Vorrei trovare il modo per liberarlo. Solo così Adrien sarà al sicuro» mormorò Marinette, abbassando lo sguardo e osservando il liquido nella tazza che teneva ancora fra le mani: «E’ colpa mia se l’ha preso di mira.»
«No, è semplicemente la sua infatuazione per te che ha fatto sì che diventasse ossessionato» dichiarò Bridgette, voltandosi verso la ragazza e allungandosi, posandole le dita sulla mano: «Non imputarti colpe che non sono tue, Marinette. Non farlo mai.»
«Grazie» bisbigliò la ragazza, rialzando la testa e donandole un sorriso, voltandosi poi verso Nathaniel e sgranando lo sguardo, quando notò la figura che aveva affiancato il giovane: «Kun Wong conosce Nathaniel?»
«C’è qualcosa dove quel cinese non ha le mani in pasta?» domandò Bridgette, strascicando le parole e socchiudendo gli occhi, portandosi una mano alla tempia: «Sta diventando un’ossessione anche quello: me lo ritrovo ovunque! Vado da Gabriel per chiedere consiglio sull’evento? E c’è. Vengo qua e c’è. Vado al mio ufficio e c’è.»
«Meglio non dirlo a Felix allora…»
«Sono certa che lo ucciderebbe, conoscendolo.»
«Ah, questi gatti gelosi…»
«Mi chiedo se sia un requisito per diventare Portatore: bella presenza e possessività alla massima potenza.»
«E il pessimo senso dell’umorismo dove lo mettiamo?»
«No, dove mettiamo il loro fascino. Direi io» bofonchiò Bridgette, sorridendo alla kwami rossa che, interessata all’argomento, stava facendo capolino dalla borsa: «Tikki, ma devono per forza essere tutti così i Portatori di Plagg?»
«Vorrei dirti di no, che non sono stati tutti così ma in verità…» la kwami sospirò, sorridendo appena: «Sono tutti così e non capisco come mai.»
«Speravo che in qualche secolo ci fosse stata una Ladybug che non ha avuto a che fare con quel sorriso da ‘ti farò provare i piaceri più nascosti del tuo animo, solo se mi perdoni per aver distrutto la tua cipria’» sospirò Bridgette, massaggiandosi in volto: «E invece no. Quei maledetti sembrano essere farti con lo stampino!»
«Pe-però lo fa-fanno» balbettò Marinette, sentendosi il volto andare a fuoco e agitandosi una mano davanti, per farsi un po’ d’aria: «Far provare i piaceri più nascosti del tuo animo…» disse con un filo di voce, abbassando la testa e pregando che il rossore che aveva in volto sparisse velocemente: «Adrien è bravissimo in questo.»
«Anche Felix…»
«Anche Plagg. Sebbene lo abbiamo fatto un’unica volta.»
«Come un’unica volta?» domandò Bridgette, sgranando lo sguardo e aprendo la bocca in una perfetta o: «Pensavo che il signorino fosse molto attivo…»
«Lo era, con le vergini del Tempio della Farfalla ma con me…» Tikki si fermò, scuotendo la testa mentre lo sguardo andava a ritroso nel tempo e un sorriso triste le compariva sul musetto: «C’è stata un’unica volta, la notte prima che ci offrissimo volontari e diventassimo kwami.»
«Mi dispiace tanto, Tikki.»
«Non dispiacertene, Bridgette. E’ stata una mia scelta e non la rimpiango, per quanto alle volte senta nostalgia di certe cose da umana…»
«Non c’è possibilità che diventiate umani, un giorno?» chiese Marinette, voltandosi verso la propria kwami e vedendola scuotere il capo, energicamente in risposta alla sua domanda.
«No, Marinette. Non credo e, in ogni caso, i Miraculous sono importanti: che cosa succederebbe se noi trovassimo il modo per ritornare umani e un nemico attaccasse? Non ci sarebbe nessuno a difendere le persone da questo. Ho scelto tanto tempo fa quale sarebbe stata la mia vita e non me ne pento.»
«Tutto ciò ti fa onore, Tikki» mormorò Bridgette, allungandosi e carezzando il piccolo musetto: «E perdonami per non aver onorato come si deve il tuo coraggio e il tuo spirito. Sono stata una pessima Ladybug.»
«Sei stata una ragazza che ha commesso i propri errori, Bridgette.»
«Grazie, Tikki.»
«Poi se vogliamo parlare di pessime Ladybug, devo dire che neppure io non scherzo: ho fatto akumatizzare un po’ di gente a Papillon…»
«Questo perché tu sei istintiva e facevi parlare per prima cosa la tua cotta per Adrien» dichiarò Tikki, sorridendo alla sua Portatrice: «E’ una vera fortuna che poi lui ti abbia presa.»
«Noi ci lamentiamo tanto dei nostri micetti» mormorò Bridgette, fermandosi e osservando Kun Wong passare accanto al loro tavolo assieme a Nathaniel: il cinese teneva una mano sulla spalla del giovane e lo sospingeva avanti a sé, quasi a esortarlo ad andare avanti e non fermarsi: «Ma anche loro non è che abbiano fatto un grande affare» continuò, bloccandosi per una seconda volta e scuotendo il capo: «E’ veramente strano. Molto strano.»
«Decisamente.»
«Dovremmo parlarne con il resto del gruppo» sentenziò Bridgette, osservando i due uomini uscire dal locale e stazionare un attimo fuori dalla porta, prima di riprendere il loro cammino: «In fondo Alex ha indetto una riunione di gruppo. Sarà il momento ideale.»
«Tu sai per cosa?»
«No, però stamattina è venuto a casa, penso volesse parlare con Xiang: sicuramente è venuto a capo di qualcosa.»
«Ottimo.»



Vooxi tirò fuori il musetto, osservando il palazzo avanti a loro e poi spostando la propria attenzione sulla ragazza, la cui borsa stava popolando: «Vuoi veramente entrare lì?» le domandò il kwami, guardandola mentre annuiva con la testa senza distogliere lo sguardo dal palazzo che ospitava il consolato italiano.
«Non deve più dare noia a Wei» dichiarò Lila, scostandosi una ciocca castana e fissando l’edificio: «Solo che faccio? Entro lì e le dico: non dare più noia al mio uomo?»
«Sarebbe un’idea» decretò Vooxi, voltandosi verso il consolato e osservando il movimento che c’era alla porta: «Oppure aspetti arrivi al marciapiede e le dici le stesse cose.»
Lila fece scattare la testa, osservando la madre mentre raggiungere la propria auto con il fido assistente alle calcagna: rimase immobile al suo posto, osservando la donna fermarsi di fronte alla portiera del passeggero e guardarsi attorno, posando lo sguardo su di lei. Ada s’irrigidì, lo poteva vedere anche da quella distanza, dall’altra parte della strada, e poi abbassare lo sguardo e voltarsi di lato, prima di scivolare all’interno della vettura dopo che l’assistente: «Non credo ci sia bisogno di dirle nulla» decretò Lila, continuando a fissare la scena e vedere anche l’altro montare sulla vettura, prima che questa s'immettesse nella strada e scivolasse veloce nel traffico di Parigi.
«Ne sei certa?»
«Non ce l’ha fatta a guardarmi negli occhi» dichiarò Lila, scuotendo il capo e allontanandosi dal consolato: «Forse ha capito cosa ha fatto e si vergogna adesso. Non sarebbe la prima volta.»
«Uao. Tua madre mi sorprende a ogni mossa…»
«Oppure qualcuno ha detto qualcosa a mio padre e lui l’ha rimbeccata di dovere.»
«E tu sei voluta venire qui per vedere l’effetto del messaggio che avevi mandato ieri sera, giusto?» Vooxi la fissò, scuotendo il capo e lasciando andare un lungo sospiro: «Ecco perché stavi armeggiando con il cellulare dopo che Wei dormiva.»
«Devo proteggerlo. E’ mio compito. Anche se il signorino pensa di potercela fare da solo e non mi dice che mia madre lo minaccia.»
«Sai com’è Wei.»
«E lui sa come sono fatta io.»
«Il motivo per cui, forse, ha taciuto?»
Lila sbuffò, storcendo le labbra in una smorfia e osservando il kwami nella borsa: «Dovresti essere dalla mia parte, sai?» decretò, posando le mani sui fianchi e scuotendo poi la testa, alzandola e fissando nuovamente l’edificio che ospitava il consolato.
«Il fatto che io ti dia il potere per diventare Volpina, non significa che sarò d’accordo con te sempre e comunque.»
«Stasera niente Harry Potter.»
Vooxi aprì la bocca, fissandola con lo sguardo sgranato e poi aggrottandolo, mentre un’ombra gli scendeva sul volto: «Sei il male fatto persona, Lila.»


Alex osservò la coppietta che stava uscendo con tutta tranquillità dalla scuola: Thomas stava dicendo qualcosa e la piccola Manon annuiva con la testa, fermandosi nei pressi del cancello e abbassando le spalle, come se queste avessero avuto un peso enorme da tenere; Thomas si stoppò poco più avanti, girandosi e raggiungendo l’amica, chinandosi poi per parlare più vicino.
Guardalo.
Sganciava la bomba e amoreggiava come se nulla fosse.
Si avvicinò, le mani nelle tasche del giubbotto – almeno così non sarebbe saltato alla gola del ragazzino – e un sorriso pieno di mefistofelico calore in volto: «Thomas» cantilenò, trovando piacere nel vederlo sobbalzare e voltarsi verso di lui: «Sai che abbiamo una riunione oggi pomeriggio?»
«S-sì» balbettò il ragazzo, voltandosi verso l’amica e vedendola con lo sguardo basso: «Stavo per venire, infatti.»
«Ero da queste parti e sono venuto a prenderti» Alex si fermò, facendo scivolare lo sguardo su Manon: «A prendervi.»
«Alex, giusto per sapere…»
«Cosa?»
«Quanto sono morto da uno a dieci?»
«Diciamo che sei sul nove.»
«Ottimo. Fantastico. Incredibile» bofonchiò Thomas, allargando le braccia e scuotendo la testa: «Prego, conducimi verso la morte.»


Ritorna all'indice


Capitolo 48
*** Capitolo 48 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.311 (Fidipù)
Note: Ed eccoci qua con il secondo aggiornamento settimanale di Miraculous Heroes 3 e, finalmente!, sapremo se Thomas morirà oppure no. Ci sarà bisogno di un nuovo Portatore della Farfalla oppure no? La domanda ai posteri.
Una piccola precisazione: non so perché ma nell'opera originale è stata fatta passare la quiche lorraine come una torta dolce, in verità è sì una torta, ma salata (la tradizionale è fatta con uova, formaggio e pancetta). E vi lascio la ricetta (che potrete trovare a questo link), se mai avrete voglia di sperimentare questa delizia (io ne solo letteralmente golosa).
Oltre a ciò, vi lascio con le solite informazioni di servizio: vi rammento la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati e vi ricordo che domani, a conclusione della giornata, ci sarà il nuovo aggiornamento di Scene, con la seconda parte di Fuoco fatuo.
Come sempre voglio ringraziarvi tutti quanti voi che leggete, commentate, inserite la storia in una delle vostre liste e me fra gli autori preferiti.
Grazie di tutto cuore!



Manon inspirò profondamente, sentendo i piedi pesanti a ogni passo: più si avvicinava alla porta del centro massaggi – ora, da quando in qua, dei supereroi avevano come base operativa un centro massaggi? – e più si sentiva come se mille macigni si abbattessero sulle sue spalle.
O forse erano più di mille?
Si voltò, osservando Thomas camminare al suo fianco, la testa chinata verso il basso e le spalle curve, quasi stesse portando anche lui un peso maggiore rispetto a quello dello zaino che aveva; allungò timidamente la mano verso di lui, sfiorando appena il mignolo e vedendolo voltare di scatto la testa verso di lei, gli occhi scuri che la fissavano in cerca di qualcosa: Manon abbozzò un sorriso, sentendo faticoso stirare le labbra in quella semplice espressione e notando Thomas provare a ricambiare, prima che le dita del ragazzo si avvolgessero attorno alle sue.
Una semplice stretta cui lei si aggrappò con tutto il suo essere, ricambiandola e dando la sua forza al giovane eroe che, con il passo strascicato, camminava al suo fianco verso un destino ignoto a entrambi: e se, per colpa sua, Thomas avrebbe dovuto consegnare il Miraculous e non essere più Hawkmoth?
Non voleva essere la causa di ciò, non dopo aver visto lo sguardo luminoso di eccitazione di Thomas, le poche volte in cui l’aveva chiesto di coprirlo a scuola.
Non se lo sarebbe mai perdonata, ancor di più del fatto di essere stata akumatizzata quando era piccola.
Il ragazzo avanti a loro si fermò, voltandosi e posando le mani sui fianchi, mentre lo sguardo si fissava sulle loro mani unite: «Non morirai, Thomas» decretò Alex, con un sorriso in volto: «Farò tutto ciò che è in mio potere per non farti uccidere a tredici anni. Ok?»
«E’ una consolazione» mormorò Thomas, osservando la porta vicino a loro e sospirando, superando poi Alex e continuando a stringere la mano di Manon: «Andiamo a sentire il verdetto.»
«In verità non ho detto nulla» lo informò Alex, tirando fuori le chiavi di casa e raggiungendoli, infilandone una nella toppa del portone e aprendolo: «Quindi non hanno avuto ancora il tempo di organizzare piani omicidi nei tuoi riguardi.»
«Che bella cosa» commentò il ragazzino, senza nessuna vitalità nella voce mentre muoveva le sopracciglia verso l’alto e alzava un poco il mento: «Improvviseranno.»
Alex rimase in silenzio, un sorriso quieto in volto, lasciando entrare i due nell’abitazione e seguendoli, chiudendo poi la porta dietro di sé: «Per quanto vorrei fare come Homer Simpson e attaccarmi al tuo collo, Thomas» iniziò, posando una mano sulla spalla del ragazzo e sorridendogli: «Farò tutto ciò che è in mio potere per salvarti. Alla fine non è colpa tua se madamoiselle voyeur trova divertente andare per spogliatoi maschili.»
«Io stavo solo…»
«Sì, sì. Ti nascondevi» dichiarò l’americano, passandosi una mano fra i capelli scuri e spettinandoli più di quel che erano: «Impara una cosa, madamoiselle Manon. Qui prendiamo in giro. Sempre e comunque.»
La ragazzina annuì con la testa, scambiandosi poi uno sguardo con Thomas e osservando il sorriso abbozzato del ragazzo, mentre l’americano riprendeva la sua marcia verso la stanza dove l’aveva condotta la prima volta che era stata lì e la sua mente iniziò subito a lavorare, a porsi domande che, fino a quel momento, non aveva pensato.
O, più precisamente, aveva cercato di non farsi.
Come l’avrebbero presa?
Sarebbe stata accettata come persona cosciente del segreto che si celava dietro gli eroi di Parigi?
Manon lasciò andare il respiro, accorgendosi che lo aveva trattenuto, mentre Alex abbassava la maniglia e le voci nella stanza le giunsero più forti e chiare: «Si può sapere dove sei stato?» domandò una voce di ragazza dal tono leggermente battagliero: «Hai chiamato tutti e poi sparisci.»
«Sarah, per favore, non aggredirlo subito» fu il commento di una voce: maschile, profonda e più tranquilla rispetto alla prima che aveva parlato.
«Sono dovuto andare a prendere qualcosa. O meglio, qualcuno» sentenziò Alex, facendo capolino e sorridendo a entrambi: «Forza. Non mordono. Forse Sarah.»
«Alex!»
Manon sobbalzò a quel richiamo, cercando di associare il nome di Sarah ai volti dei nuovi amici di Adrien e Marinette: ricordava una ragazza dai capelli d’oro, americana come Alex, e dall’aspetto dolce e tranquillo.
Bene. A quanto pareva si era sbagliata totalmente su di lei.
Thomas inspirò al suo fianco, alzando il mento e avanzando a passo di marcia verso la porta, trascinandola con sé per la mano e fermandosi sulla soglia; Manon osservò il variegato gruppo all’interno della stanza, sentendo il corpo iniziare a tremare sotto gli sguardi curiosi che si erano letteralmente calamitati su di loro: tutte le persone all’interno della stanza erano a lei conosciute.
Conosceva Marinette e Adrien, assieme ai loro amici.
Conosceva i genitori di Adrien e il resto degli adulti erano volti a lei noti.
Avrebbe voluto parlare ma dalla gola non sembrava voler uscire alcun suono e la bocca era stranamente secca e impastata: «Manon?» la voce di Marinette, la domanda che questa conteneva, la riscosse e lei puntò lo sguardo sulla sua ex-babysitter.
«Perdonami, Marinette» riuscì a mormorare con molta fatica, abbassando lo sguardo e sentendosi in colpa: perdonami, se sono venuta a conoscenza di una cosa che volevi tenere segreta a tutti i costi. Perdonami, se non ti ho mai detto niente e se non ti ho mai ringraziato per tutto quello che hai fatto per me.
Anzi no, per Parigi.
«Direi di tagliarla corta» sentenziò Alex, facendo alzare il capo alla ragazzina e attirando su di sé l’attenzione generale della stanza: «Vi ricordate della creatura di Quantum che aveva attaccato la scuola di Thomas? Bene, durante quell’attacco, qualcuno qui è venuta a conoscenza della vera identità di Hawkmoth.»
Manon chinò la testa, stringendo con più forza la mano di Thomas e sentendolo irrigidirsi al suo fianco: «Non mi ero accorto che, nello spogliatoio, ci fosse qualcuno» decretò con la colpa nella voce, facendole rialzare il capo e fissandolo sorpresa: aveva pensato, fin dall’inizio, che lui avrebbe lasciato tutta la colpa a lei.
In fondo era così.
«Che cosa vuol dire: ci fosse qualcuno?» domandò Adrien, attirando l’attenzione di Manon su di lui e osservandolo fare un passo verso di loro, lo sguardo verde che saettava dal giovane eroe parigino a lei: «Thomas, non vorrai dirmi che…» si fermò, passandosi una mano sul volto e lasciandola sulla bocca, attirando l’attenzione della ragazzina sulla fede che portava al dito.
Un dettaglio insignificante, se paragonato a ciò che si stava per scatenare in quella stanza.
«Non sono l’unico senza poteri a sapere delle vostre identità» decretò Alex con la voce più stanca di quanto aveva voluto far trasparire fino a quel momento: «Una brutta situazione? Decisamente, non lo metto in dubbio. Si poteva evitare? Devo dire che non lo so, sarebbe potuto capitare tranquillamente anche a uno di voi.»
«E quindi poi Thomas ha pensato bene di spiattellare anche le nostre identità» commentò il ragazzo dai capelli scuri – un modello, se non ricordava male. L’aveva anche visto molte volte sulle riviste di moda – e facendo riconoscere a Manon la voce di poco prima, quella che aveva cercato di calmare la virago di poco prima.
La bionda al suo fianco, sicuramente.
«In verità già sapevo» mormorò Manon, chinando nuovamente la testa e socchiudendo gli occhi, respirando con la bocca: «Avevo dei sospetti in qualche modo io ho sempre saputo chi c’era dietro le maschere. Thomas non mi ha detto niente.»
«Io avrei una domanda» mormorò una delle persone rimaste in silenzio, attirando su di sé l’attenzione di Manon: la pelle olivastra, i lunghi capelli castani e lo sguardo che scintillava di malizia: «Nessun commento su questi due, che si tengono per mano da quando sono entrati?» domandò, indicando la mano, che teneva intrecciata a quella di Thomas.
Il ragazzo sgranò lo sguardo, lasciando andare immediatamente le dita di Manon e suscitando l’ilarità nella ragazza che aveva parlato: «Volpe, seriamente, ti sembra il momento?» domandò Adrien, lasciando andare un sospiro e fissando la compagna come se questa fosse appena uscita da un’astronave aliena.
«Sì» decretò la ragazza additata come ‘volpe’, incrociando le braccia e inclinando la testa di lato, osservando l’altro: «Il danno – se così si può definire – è stato fatto e, sempre che non ricordi male, nessuno di noi ha il potere per farle dimenticare ciò che ha visto senza contare che il nostro nerd ha ragione: sarebbe potuto succedere a chiunque di noi. E vorrei ricordare che io avevo scoperto la tua identità, micetto, e quella della tua signora.»
«Lila non ha tutti i torti, Adrien» mormorò Marinette, posando una mano sulla spalla del marito e sorridendogli dolcemente, quando lo vide girarsi verso di lei: «Non possiamo rimediare al fatto che Manon ha scoperto le nostre identità» si fermò, voltandosi verso la ragazzina sempre con il sorriso in volto: «E poi ha detto che aveva già dei sospetti: vedere Thomas le ha confermato tutto ciò che ipotizzava.»
«Ed io ho pensato che sarebbe meglio avere la piccola voyeur con noi, piuttosto che sola là fuori» decretò Alex, sorridendo senza allegria in volto: «Sappiamo bene quanto Dì Ren-Kwon adori prendere gente che sia vicino a noi, no? Nathaniel è un chiaro esempio.»
«Testa di pomodoro è fra i nemici?» domandò Manon, attirando l’attenzione di tutti su di sé e sgranando poi lo sguardo, portandosi una mano alla bocca e storcendo le labbra in un’espressione di pura mortificazione, mentre faceva vagare lo sguardo da Adrien a Marinette: «Scusa, Adrien. Non ho pensato…»
«Questa è la mia ragazza» decretò Adrien, facendole l’occhiolino e poi voltandosi verso la giovane donna al suo fianco, il sorriso sempre in volto: «Che c’è?»
«Perché Manon ha chiamato Nathaniel ‘testa di pomodoro’?»
«Perché forse, quando uscivo con te e tu le facevi da babysitter, me lo sono fatto sfuggire una volta o due?»
«Tu e la tua mania di dare soprannomi» mormorò Marinette, scuotendo il capo e fissando il marito, spostando poi l’attenzione sulla ragazzina: «E tu non dovresti dargli ascolto.»
«Testa di pomodoro mi piaceva come soprannome» commentò Manon, incassando la testa nelle spalle e sorridendo appena: «Senza contare tutti quelli che dava a te: principessa, my lady, mon coeur, mon amour, ma belle» iniziò a elencare i vari nomignoli, utilizzando le dita e fermandosi, scuotendo poi il capo: «E parecchi li ho dimenticati.»
«Bene» Alex s’intromise, mettendosi dietro Manon e posandole le mani sulle spalle: «A quanto sembra gli scenari pieni di sangue e pezzi di Thomas da tutte le parti non si sono realizzati» commentò il giovane, regalando un sorriso al ragazzino al suo fianco: «Quindi è tempo di presentazioni» riprese, voltando Manon verso la parte di gruppo che era stata in silenzio: «Questo qua è l’ospizio dei Portatori, dove puoi trovare il Maestro Fu – attuale Gran Guardiano dei Miraculous – Willhelmina barra Bridgette Hart, nota me la donna dai mille nomi, Felix Norton barra Blanchet e, poi, Gabriel e Sophie Agreste. Sono gli ex-Portatori dei Miraculous, ovvero i gioielli magici che danno i poteri ai nostri eroi.»
Manon annuì, facendo vagare lo sguardo su ognuno delle persone presentate e cercando di comprendere se gli sguardi pieni di lampi d’odio erano rivolti a lei oppure al giovane alle sue spalle: «Ospizio dei Portatori?» domandò la donna dai capelli mori, incrociando le braccia al voluminoso seno e tenendo lo sguardo Alex: «Sei fortunato che non sono più posseduta, altrimenti io…»
«Ah, giusto. Bridgette è stata posseduta da Chiyou, un demone cinese, ed è stata anche Coeur Noir. In verità lo è anche adesso, solo che ora per trasformarsi le serve una delle farfalline di Thomas.»
Manon annuì, cercando di annotarsi mentalmente tutto: Bridgette era Coeur Noir e adesso doveva essere akumatizzata, il Maestro Fu era il Gran Guardiano dei Miraculous, qualunque cosa volesse dire.
«Ah, e il nostro caro Felix è stato per due secoli a Shangri-la, una città dove il tempo non scorre» continuò Alex, facendo poi schioccare le dita: «Giusto, prima che mi dimentichi: Fu, Felix e Bridgette hanno qualcosa come centonovanta anni. Anno più, anno meno. Mentre Gabriel e Sophie…» Alex si fermò, sorridendo: «Beh, loro non hanno età assurde.»
Manon annuì, domandandosi se sarebbe stato cortese chiedere un quaderno per appuntarsi tutto.
«Lei invece è Xiang» continuò l’americano, mettendola davanti a una ragazza dai tratti orientali: «Non farti ingannare dall’aspetto, ha più di quattromila anni e sarà la futura signora Simmons.»
«Futura signora Simmons?»
«Ignoralo, per favore» mormorò Xiang, incrociando le braccia e fissando Alex, scuotendo poi la testa e sorridendole: «Benvenuta fra noi, Manon.»
«Grazie.»
«E adesso passiamo agli attuali Portatori, ovvero Adrien, Marinette, Rafael, Sarah, Lila e Wei. E ovviamente Thomas» continuò Alex, voltandola verso il gruppo più giovane: «Loro sono i sette eroi di Parigi: ognuno ha il proprio Miraculous e un kwami come compagno.»
«Anche voi avete delle fatine?»
«Fatine?» domandò una vocetta dal tono sarcastico, prima che un felino nero uscisse da sotto la felpa di Adrien e le fluttuasse davanti al volto: «Ti sembro Trilli, per caso?»
«Plagg…» sospirò Adrien, portandosi una mano alla nuca e massaggiandosela, osservando Manon fissare incantata il kwami del Gatto Nero e Plagg ricambiare tutto, rimanendo fermo e con le zampe anteriori incrociate: «Perdonalo. Plagg è…»
«Che carino» squittì la ragazzina, afferrando il kwami nero e iniziando a rigirarselo fra le mani, sotto lo sguardo divertito del modello parigino e i commenti poco lusinghieri di Plagg: «Ne avete uno per uno?» domandò poi Manon, alzando la testa e fissando piena di aspettativa il gruppo di portatori.
«Ogni Miraculous ha uno spirito che lo possiede» mormorò Tikki, fluttuando verso la ragazzina e sorridendole: «Il nostro compito è affiancare i nostri Portatori e aiutarli nella loro missione» si fermò, accentuando il sorriso dolce sul volto: «Ciao, io sono Tikki. E Sono la kwami del Miraculous della Coccinella.»
«Ladybug…»
«Esattamente, Manon. Io aiuto Marinette a trasformarsi in Ladybug» decretò Tikki, scambiandosi un’occhiata divertita con il kwami nero: «Mentre Plagg fa lo stesso con Adrien.»
«Io invece sono Flaffy e amo la cioccolata: calda, in barrette, cioccolatini» esclamò un piccolo essere blu, svolazzandole attorno al viso e fermandosi poi davanti a lei: aveva una lunga coda simile a quella di un pavone e lo sguardo rosso era acceso di divertimento: «Ah. E mi piace tanto anche la saga del Signore degli Anelli.»
«Lei mi sembra più da Harry Potter, Flaffy» dichiarò un nuovo kwami, stavolta dal pelo arancio e dalle fattezze di un volpino, affiancando l’altro e annuendo con il musetto: «Sì, decisamente la vedo benissimo come fan di Harry Potter.»
«Vooxi, abbi pietà di noi» sospirò Lila, alzando gli occhi al cielo e scuotendo la testa: «Lui è Vooxi, il kwami potterhead.»
«E fiero di esserlo» dichiarò il volpino, voltandosi verso la sua Portatrice e muovendo la coda nell’aria: «Grifondoro, Tassorosso, Corvonero o Serpeverde?» domandò poi, voltandosi nuovamente verso Manon: «Da questa risposta dipenderà il tuo futuro.»
«Ehm. Serpeverde.»
Vooxi rimase in silenzio, fissandola negli occhi e poi scuotendo la testa: «Beh, nessuno è perfetto» decretò, scrollando l’intero corpo mentre i restanti tre kwami si avvicinarono a Manon: Nooroo che già conosceva; la piccola Mikko, la kwami dell’ape, fissata con le storie d’amore e i drama coreani; mentre Wayzz, il kwami della tartaruga, sembrava non avere particolari ossessioni o, comunque, non evidenti come quelli degli altri kwami.
«Bene. Direi che le presentazioni sono state fatte» dichiarò Alex, allargando le braccia e abbracciando la ragazzina: «Da oggi sei dei nostri, Manon. Sarai la nostra...» si fermò, inspirando l’aria e rimanendo in silenzio, un tempo talmente lungo che Manon iniziò a preoccuparsi: mascotte! Ecco sì, sarai la nostra mascotte» decretò poi alla fine Alex, facendo ridacchiare il gruppo e sgranare lo sguardo alla ragazzina.
«Mascotte?»
«Avevamo giusto bisogno di una mascotte, sì.»


Fu notò come la casa era diventata improvvisamente quieta, appena il gruppo di persone sempre più numeroso se n’era andato: «Avrò fatto la scelta giusta, maestro?» domandò Alex, rientrando nel salotto e posando lo sguardo sull’anziano, che non si era alzato dal tavolo: «Sinceramente non sapevo che fare.»
«E’ stata una buona scelta. Manon è giovane e potrebbe cadere facilmente nelle trame del Dì Ren.»
«Avevo deciso di lasciar scegliere gli altri» riprese il ragazzo, sedendosi davanti a lui: «Ma, alla fine, l’ho fatto io: quando sono arrivato con Thomas e Manon avevo già scelto e ho cercato il modo migliore per far accettare la cosa a tutti.»
«Sono stati molto comprensivi, alla fine.»
«E’ vero. Mi aspettavo che qualcuno desse di matto, che scorresse il sangue…»
«Sono maturati, devo dire» commentò Fu, sorridendo divertito: «Forse, se ciò fosse successo un anno fa, non l’avrebbero presa così tranquillamente.»
«O forse stanno aspettando il momento buono per scoppiare.»
«E’ possibile anche questo.»
«Maestro, lei non è di aiuto.»
«Chi vuol aiuto deve prima capire dove.»
«Perla di saggezza cinese?»
«No, l’ho sentito in televisione l’altro giorno.»


Hawkmoth atterrò sul terrazzo di casa Agreste e osservando la luce della casa che illuminava l’esterno: per quanto tutto fosse andato liscio come l’olio, sentiva il cuore peso e le spalle incurvate sotto la colpa.
Manon era fidata, lo sapeva bene, ma questo non cambiava che si era fatto scoprire velocemente.
Era un anello debole in quella catena di eroi.
Quale altro Portatore era stato così veloce?  Nessuno. Solo lui.
Fece un passo, sentendo la colpa aumentare mentre si avvicinava e bussava poi al vetro: Marinette si affacciò dalla zona della cucina, sussultando quando lo vide e correndo per aprirgli, con i due kwami al seguito: «E’ successo qualcosa?» domandò la ragazza, non appena ebbe fatto scivolare la porta scorrevole, lo sguardo celeste che lo fissava preoccupato.
Il ragazzino scosse il capo, rimanendo fermo al suo posto: «Io…» iniziò, scuotendo poi la testa e tenendo lo sguardo basso: «Io ho fallito. Non avrei dovuto farmi scoprire così facilmente. Io…»
«Sono cose che possono succedere» mormorò Marinette, poggiando una mano sulla spalla del ragazzino: «Come ha detto Lila: Adrien ed io siamo stati scoperti facilmente da lei, quando era ancora un’akumatizzata sotto l’influsso di Papillon ed è stata una vera fortuna che non abbia detto niente a Gabriel, perché altrimenti la storia sarebbe andata in maniera differente.»
«Sarei dovuto stare più attento, però.»
«Tutti noi dovremmo stare più attenti» dichiarò la ragazza, sorridendogli dolcemente: «Non solo tu, Hawkmoth.»
L’eroe annuì con la testa, lasciando andare un sospiro: «Mi dispiace tantissimo, Marinette» mormorò poi nuovamente, negando con il capo: «Io non volevo coinvolgere Manon in tutto questo.»
«Lo so» commentò la ragazza, chinandosi per vederlo in volto: «E adesso devi andare a casa, Thomas, altrimenti tua madre si preoccuperà» continuò, dando un piccolo sbuffetto sul naso del ragazzo: «Non pensarci più, ok?»
Hawkmoth annuì, saltando poi fuori dall’appartamento e andandosene velocemente, sotto lo sguardo attento di Marinette: «Va tutto bene?» la voce di Adrien fece sobbalzare la ragazza, che si voltò e osservò il marito che, un asciugamano in testa e i comodi abiti che portava in casa, la fissava pieno di attesa.
«Hawkmoth voleva scusarsi» commentò Marinette, guardandolo mentre la raggiungeva e alzando le mani, iniziando a tamponare la capigliatura umida: «Si sente in colpa per aver coinvolto Manon.»
«Ormai il danno è stato fatto» Adrien alzò le spalle, sorridendo appena: «Non c’è bisogno di piangere sul latte versato. Non credi?» domandò, ricevendo un cenno affermativo dalla moglie e annusando poi l’aria: «Ti prego, dimmi che hai fatto la quiche lorraine. Ti scongiuro.»
«Ho fatto la quiche lorraine.»
«Te l’ho mai detto che ti amo? No? Bene, rimedio adesso: ti amo.»
«Sei la vergogna di ogni Portatore del mio Miraculous» commentò Plagg, scuotendo il musetto e addentando il triangolo di camembert che aveva fra le zampe, donando un nuovo sguardo pieno di riprovazione al giovane.
«Disse quello che si vendeva per un po’ di camembert.»
«Adrien, Plagg. Se continuate così non vi do la cena.»
«Ma lui sta già mangiando.»
«Uh, uh. A quanto pare non è il moccioso a portare i pantaloni in questa casa.»
«Plagg.»

Ritorna all'indice


Capitolo 49
*** Capitolo 49 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.311 (Fidipù)
Note: Buon pomeriggio! Eccoci qua con un nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3 e stavolta, dopo tanto tempo, ho un po' di informazioncine su Parigi. E si parte con L'Annexe du Petit Café, un carinissimo bistrot nei pressi del Collegé de Navarre (la scuola frequentata da Thomas, Jérèmie e Manon), di cui vi lascio il sito e...beh, fatemelo dire, penso proprio che se mai ci andrò un café gourmand me lo prenderò sicuramente.
Altro luogo che viene presentato nel capitolo è l'Arco di Trionfo, fatto costruire da Napoleone I in onore della Grande Armata. Ispirato agli archi dell’antichità, questo monumento emblematico porta addosso i nomi illustri della nazione e ospita la tomba del milite ignoto, la cui fiamma è rinnovata tutte le sere.
E adesso è il turno delle classiche informazioni di servizio: come sempre vi ricordo la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati e ricevere piccole anteprime dei capitoli o leggere i miei scleri.
Vi ricordo, inoltre, che mercoledì ci sarà un nuovo capitolo di Inori, giovedì sarà il turno di Laki Maika'i, mentre venerdì sarà aggiornata nuovamente Miraculous Heroes 3; eccezionalmente, per questa settimana, Lemonish slitta alla domenica con una nuova AdrienMarinette.
Come sempre voglio ringraziarvi tutti quanti voi che leggete, commentate, inserite la storia in una delle vostre liste e me fra gli autori preferiti.
Grazie di tutto cuore!

 

 

Yi allungò la mano sulla pozza d’acqua, avvertendo il potere del Quantum e osservando il riflesso nell’acqua mutare: non più il soffitto della stanza principale dell’abitazione, ma il panorama di Parigi; si concentrò, arcuando appena le dita e, quasi fosse uno zoom, l’immagine si restrinse su un’abitazione in particolare.
La sua vita.
Ciò che era quando il Quantum non la inondava con la sua forza.
Strinse ancora le dita, lasciando che l’immagine scivolasse nell’interno della casa: il suo ufficio dalle pareti candide come la neve, una seconda casa per lei che aveva considerato il proprio lavoro come vita; non era mai stata una donna vezzosa, amante della vita mondana, e il suo luogo di lavoro rispecchiava tutto ciò.
Bianco. Anonimo. Spoglio.
Era così che gli altri la vedevano?
Una donna senza interesse, senza una vita, al di fuori del suo impiego?
Eppure lui aveva visto qualcosa, l’aveva liberata da quelle catene che lei stessa aveva chiuso attorno ai suoi polsi e alle sue caviglie, e le dispiaceva che l’altra parte di sé non fosse a conoscenza di tutto ciò: come l’avrebbe presa? Cosa avrebbe pensato di quell’entità che viveva dentro di lei e che aveva sempre scalpitato, cercato di liberarsi in un modo o nell’altro?
Strinse le dita, sentendo le unghie conficcarsi nel palmo e osservò incantata la piccola goccia cremisi che scivolò verso il basso, increspando le acque e scacciando l’immagine che aveva evocato: «Disturbo forse?» domandò la voce di Kwon, apparendo dalle ombre della stanza come se fosse stato una di quelle: il sorriso tenue che aveva in volto era rivolto completamente a lei, mentre si avvicinava e alzava la mano, toccandole la guancia e scostandole con gentilezza uno dei petali dell’enorme fiore che le copriva parte della faccia: «Che stavi facendo, mia diletta?»
«Osservavo» mormorò la donna, voltando lo sguardo verso la polla d’acqua senza aggiungere altre parole e senza azzardarsi a posare lo sguardo sull’uomo: «Ho trovato il mio obiettivo, presto attaccherò» decretò, portando l’attenzione di Kwon su qualcosa che premeva parecchio a entrambi: «Vi porterò i Miraculous.»
«Non mi deluderai?»
«Non io, mio signore.»
Kwon la fissò in silenzio, annuendo poi lentamente con la testa e chinandosi poi su di lei, sfiorandole le labbra con le proprie: «Tu non potresti mai…» le bisbigliò contro la bocca, lasciandola andare e osservandola mentre barcollava leggermente: «Non deludermi, Yi» sentenziò per un’ultima volta Kwon, prima di voltarsi e tornare nelle ombre a cui apparteneva.
Yi rimase immobile, osservando il punto in cui l’uomo sembrava essere scomparso, ignorando i rumori alle sue spalle: «Che cosa bella essere la favorita, non è vero?» le domandò la voce lenta di Qiongqi facendola voltare nella sua direzione: l’uomo era fermo a pochi passi da lei, il volto coperto dalla maschera di metallo grigio e le labbra piegate in un sorriso pigro, mentre si avvicinava a lei e le sfiorava la spalla con la punta delle dita: «Ma in fondo, essere vicina a uomini potenti è sempre stata una tua prerogativa. Non è vero?»
«Si direbbe che tu mi conosci bene…»
«Diciamo che siamo vicini. Nell’altra tua vita» Yi rimase in silenzio, stirando le labbra e voltandosi, senza commentare le parole dell’altro e ascoltando la risata che sgorgò dalla gola di Qiongqi: «Volevo chiederti un favore, cara la mia preferita del nostro signore» continuò l’altro, posandole entrambe le mani sulle spalle e avvicinandosi a lei: «Lascia andare me contro gli eroi» le sussurrò all’orecchio, facendola rabbrividire leggermente per quel contatto.
Era sempre stata una donna così lasciva?
Non ricordava.
«Perché vuoi andare tu?» domandò la donna, cercando di mantenere la voce neutra, continuando a fissare le ombre avanti a lei, quasi come se da queste potesse uscire da un momento all’altro Kwon: «Non mi sembra che hai riportato grandi successi l’ultima volta.»
«Voglio solo riscattarmi» commentò l’uomo, ridacchiando appena e aumentando la stretta per un poco, prima di lasciarla andare e allontanarsi da lei: subito Yi sentì la mancanza del calore umano che aveva percepito fino a quel momento, voltandosi e osservando la maschera di Qiongqi.
«Non è solo questo…» mormorò, scuotendo il capo e vedendo l’altro sorridere: «Che cosa hai in mente, Qiongqi?»
«Divertimento? Distruzione? Desolazione?»
«Il nostro compito non è questo.»
«Lo so, la nostra missione di vita è portare i Miraculous al nostro signore» decretò l’altro, alzando le spalle e scuotendo la testa: «Ma non credi che, in tutto questo, un po’ di divertimento possiamo concedercelo?»
Yi alzò il mento, fissandolo con l’unico occhio libero fino a quando il sorriso dell’uomo non scivolò via dalle labbra: «Ti concedo di andare, Qiongqi» dichiarò austera, incamminandosi e superandolo, fermandosi a pochi passi da lui: «Ma non fallire.»
«Non lo farò.»


L’entrata della Fondazione Vuitton era piena di luce a quell’ora del giorno, tanto che Bridgette fu tentata di tenere su gli occhiali da sole, per impedire al riverbero del sole di costringerla a tenere un’espressione corrugata per tutto il tempo, aumentando così la probabilità della nascita di nuove rughe: una donna doveva curarsi e stare attenta al proprio aspetto, soprattutto quando ritrovava il suo amato di due secoli prima, che la prendeva in giro per un capello bianco.
Felix sembrava aver trovato, come divertimento della giornata, prenderla in giro per il capello bianco che aveva visto quella mattina, mentre lei si preparava e da allora non aveva avuto un attimo di tregua: «Cosa ci avrò trovato in lui? Cosa?» bofonchiò fra sé, scuotendo il capo e lasciando andare un sospiro, quando il suono del suo cellulare l’avvisò di un nuovo messaggio in arrivo.
Felix era morto.
Avrebbe chiesto a Thomas di akumatizzarla e poi avrebbe chiesto al piccolo Marshmallow di giocare un po’ con lui.
Si fermò, aprendo la borsa e recuperando l’apparecchio, digrignando i denti quando lesse il mittente del messaggio: ovviamente Felix. Quell’uomo non capiva quel piccolo concetto che veniva riassunto in un modo di dire ‘il gioco è bello, quando dura poco’. No, il signorino sembrava del tutto ignaro di tale massima e lo confermava la foto di una tinta per capelli che le aveva mandato, correlata di domanda sull’efficacia.
Ma possibile che non avesse niente di meglio da fare?
Era un politico.
Era in corsa per il ruolo di sindaco di Parigi e iniziava a pensare che i parigini non avevano molto sale nella zucca, se volevano votare un tipo del genere.
Scrisse velocemente una risposta piccata, ricevendo subito in cambio un’emoji sorridente.
No, Felix non capiva proprio.
Infilò nuovamente il cellulare nella borsa, lasciando andare un lungo sospiro e spostando lo sguardo nell’androne, sorridendo alla donna che stava attraverso la stanza a passo di marcia: Nathalie Sancoeur era riconoscibile ovunque, con il tailleur serio e i capelli stretti nella stessa acconciatura di sempre: «Miss Sancoeur» trillò dando libertà al suo lato inglese, alzando un braccio per aria e attirando così l’attenzione della donna, osservandola fermarsi e sistemarsi la montatura degli occhiali, mentre lei la raggiungeva: «Buongiorno.»
«Madame Hart» la salutò l’altra, formale come sempre, e rimanendo in attesa mentre Bridgette sorrideva: «Vuole avere informazioni circa l’evento della linea Hart?»
«Sì, grazie» mormorò la donna, sistemandosi una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio e domandandosi mentalmente come facesse Gabriel a lavorare con quel robot: nessuna domanda di cortesia, nessun pettegolezzo, era semplicemente andata dritta al sodo; si fermò, lasciando andare un sospiro: Gabriel lavorava bene assieme a lei proprio perché era Gabriel: «Mi scuso ancora per l’incombenza, ma purtroppo il mio assistente mi ha lasciato…come dire? A piedi, proprio adesso» commentò, storcendo le labbra in una smorfia mentre augurava le torture peggiori a Maxime.
Lo avrebbe fatto lei stessa, ma le monsieur non le aveva lasciato nessun recapito dove raggiungerlo.
E ucciderlo.
Anzi no, torturarlo e poi ucciderlo.
Il trillo del suo cellulare le ricordò anche di un altro uomo che non aveva abbastanza istinto di sopravvivenza.
«Ho chiamato il catering e il dj, le modelle sono già state informate e anche lo staff è stato informato della scelta degli abiti da lei fatta» elencò velocemente Nathalie, recuperando una cartella, fra quelle che aveva in braccio, e passandogliela: «Ho abbozzato anche una lista di ospiti. Se vuole approvarla, manderò velocemente gli inviti.»
Bridgette annuì, osservando i fogli all’interno e sorridendo: «E’ incredibile, miss Sancoeur» dichiarò, alzando la testa e osservando la mano che si stava nuovamente sistemando gli occhiali: «Oh. Si è ferita?» domandò, prendendole le dita fra le sue e notando la piccola ferita all’interno del palmo: «Dovrebbe stare attenta al proprio corpo, miss Sancoeur.»
«E’ solo una ferita da nulla» commentò la donna, muovendo appena la mano e facendo intendere così che voleva essere lasciata andare: «Non ricordo nemmeno come l’ho fatta.»
«Stia attenta, ok?»
«Certamente» mormorò la donna, annuendo lieve con la testa e fissandola poi con il volto senza espressione: «Appena possibile mi faccia sapere se la lista degli ospiti va bene.»
«Oh. Sì, certamente.»
Nathalie annuì nuovamente con la testa, dandole poi le spalle e riprendendo la sua marcia: il fatto che l’aveva fermata era semplicemente un piccolo intoppo nella sua scaletta giornaliera, Bridgitte n’era certa.
Un piccolo intralcio in un ordine perfetto.
La donna sospirò, osservando la lista di nomi e rendendosi conto del lavoro impeccabile che Nathalie aveva svolto: quella donna sembrava quasi un automa, vista la perfezione con cui eseguiva ogni cosa, tanto che molto spesso Bridgette era stata tentata di chiedere a Gabriel su che catalogo l’avesse ordinata.
Maxime non era così.
Sebbene fosse un buon assistente, Maxime era anche sbadato e molto spesso faceva errori: Nathalie Sancoeur, da quanto sapeva, una volta sola aveva mostrato il suo lato umano, ed era stato l’anno precedente quando aveva fatto uno sbaglio per la sfilata di Gabriel per la settimana della moda.
L’unica pecca in quella perfezione totale.
L’unico punto di umanità che quella donna-robot aveva mostrato al mondo.
Il suono del suo cellulare la riscosse, trascinandola via dalle sue elucubrazioni su Nathalie: con lentezza fece scattare nuovamente la serratura della borsa, cercando poi all’interno il cellulare e sospirando quando, una volta trovato, vide sullo schermo le notifiche di due messaggi da parte di Felix.
Quell’uomo voleva decisamente morire…


Osservò l’appunto che aveva scritto a margine del libro, allungando la mano verso il quaderno abbandonato poco distante da lei, sentendo due dita calde sfiorarle il dorso della mano: Marinette alzò immediatamente la testa, osservando il giovane in piedi e che la fissava di rimando: «Nathaniel» mormorò, ritirando velocemente la mano e osservando le iridi color smeraldo che non abbandonavano un suo movimento: «T-ti serve qualcosa?»
«Da quando balbetti con me, Marinette?» le domandò il ragazzo, piegando la testa di lato e fissandola con un sorriso in volto: «Quest’onore era sempre e solo riservato ad Adrien. O sbaglio?»
«Balbetto ogni volta che sono confusa» bofonchiò la ragazza, alzando poi il mento e tenendo lo sguardo in quello del ragazzo, quasi a sfidarlo così: «Avevi bisogno di qualcosa?» domandò con tutta la freddezza che possedeva e notando una lieve espressione di meraviglia sul volto dell’amico: non pensava che lei potesse comportarsi così, lo leggeva chiaramente nelle sue iridi del colore dello smeraldo che adesso la fissavano più guardinghe.
«Hai tirato fuori gli artigli?»
«Non ti conosco più» Un sorriso comparve sulle labbra di Nathaniel, lo sguardo si posò su di lei un secondo prima di tornare a fissare il basso: «Cosa ti è successo? Questo non è il Nathaniel che ho sempre conosciuto dal collége.»
«E se questo fosse il vero Nathaniel? Che faresti, Marinette?» le domandò il ragazzo, inclinando la testa di lato e allargando le braccia: «Lo considereresti differente? Mi considereresti più di Adrien?»
«Lascia stare Adrien.»
«Il povero maritino…»
Marinette poggiò entrambi i palmi delle mani sul tavolo, facendo leva su questi e fissando l’altro astiosa: «Ti avviso, Nathaniel: osa anche solo minacciare Adrien e ti farò pentire di essere nato.»

«Sono proprio curioso di sapere come farai.»
«Non ti conviene sfidarmi. Tu non sai niente di me, Nathaniel.»
Nathaniel la fissò per un secondo annuendo con la testa e regalandole un sorriso senza vita, alzando poi le mani al cappuccio e tirandolo sopra i capelli: «Neanche tu, Marinette» mormorò, chinando poi il mento e andandosene in silenzio come era giunto.
Marinette si portò la mano al petto, inspirando e lasciando andare poi l’aria dopo averla trattenuta un poco dentro di sé, voltandosi poi verso la borsa: le mani le tremavano, mentre l’apriva e recuperava il cellulare all’interno, trovando difficoltoso mandare un veloce messaggio ad Adrien, scrivendo parole errate più e più volte, come se il suo balbettare confuso si fosse trasmesso alle dita.
Alla fine riuscì a scrivere un breve messaggio di senso compiuto e lo inviò, mettendosi poi seduta e tenendo il telefono fra le mani, con il cuore che batteva furioso nel petto mentre aspettava una risposta che, a ogni secondo, sembrava tardare ad arrivare.
Il trillo del cellulare la fece sobbalzare e un tenue sorriso le comparve in volto quando vide l’icona del messaggio comparire e il nome di Adrien a fianco.
Stava bene.
Nathaniel non gli aveva ancora fatto niente.
E mai gliene avrebbe fatto.


Alex osservò le sedie in legno dal telaio rosso che, a gruppi di quattro circondavano i piccoli tavoli neri e rotondi, cercando di ignorare lo sguardo penetrante della ragazza dietro al bancone, all’interno del locale, che sembrava quasi non avesse nient’altro da fare: non aveva gente da servire? Bicchieri da pulire? Qualcosa da fare che non fosse considerare lui che, come un ebete, stazionava davanti al locale in attesa di una ragazzina di undici anni.
Lasciò andare un sospiro, osservando il suo appuntamento arrivare di corsa, le mani che tenevano ferma la cinghia della borsa.
La vide fermarsi a pochi passi da lui, piegarsi in due e poggiare le mani sulle ginocchia, facendo poi lunghi respiri profondi in modo da calmarsi: «Scusami» mormorò con la voce affaticata: «Ma la professoressa non voleva lasciarmi andare.»
«Nessun problema» dichiarò Alex, indicando con la testa l’interno del locale e trattenendosi dal voltarsi verso la barista e relegarle un sorriso trionfante, quasi a dimostrarle che non era uno spostato che stazionava lì per caso; Manon lo seguì dentro il piccolo café composto da una stanza più lunga che larga e dominata in gran parte dall’enorme bancone: «Buonasera» li salutò la ragazza, sistemandosi una ciocca di capelli mossi e biondi dietro l’orecchio e fissandolo: «Desiderate?»
«Per me un café gourmand» ordinò Alex, adocchiando la foto del dessert su un menu lasciato aperto sul bancone: il caffè ricco e i dolcetti di accompagnamento lo invitavano «Mentre…» si fermò, voltandosi verso Manon e vedendola mentre faceva vagare lo sguardo attorno a sé «Che prendi?» le domandò, attirando su di sé lo sguardo e la completa attenzione della piccola.
«Un Mi-cuit au chocolat» ordinò Manon, sgambettando poi verso il fondo della stanza e accomodandosi a un tavolo basso, poggiando la borsa su una delle sedie e rimanendo in attesa; Alex pagò il tutto, aspettando poi che la ragazza facesse il loro ordine e osservandola mentre, dopo averlo riscaldato, mise su un piatto di ceramica bianca quello che sembrava essere un muffin al cioccolato e poi preparare il suo café, disponendo su un piccolo vassoio rettangolare un paio di macarons al burro salato, alcune gelatine di frutta, una mousse al cioccolato, una panna cotta e, infine, un espresso con la panna montata come aggiunta.
Una vera delizia.
Doveva assolutamente portare Xiang in quel locale.
E anche gli altri.
Era certo che miss ‘il caffè migliore lo fanno solo gli italiani’ non avrebbe avuto niente da ridire davanti a quel bendidio.
Afferrò i due piatti, raggiungendo veloce Manon e posando davanti a lei il suo muffin, osservandola mentre allungava il collo per osservare ciò che lui aveva ordinato: «Dovevo prendere quello anche io» commentò con le labbra imbronciate, mentre prendeva il cucchiaino e lo affondava nella pasta del dolce.
«Non sei un po’ piccola per il caffè?» commentò Alex, prendendo uno dei macarons e mettendoglielo nel piatto: «Ok, vorrei sapere perché hai voluto incontrarmi. Ero convinto che avresti voluto parlare con gli altri e...» Alex si fermò, aggrottando lo sguardo e osservando la ragazzina piegarsi verso la borsa e tirare fuori un bloc notes e l’astuccio ben carico di matite: «Che vuoi fare?»
«Prendere appunti» dichiarò Manon, aprendo la cerniera e recuperando una penna dalla busta rosa chiaro: «Mentre tu mi spiegherai la storia dei Miraculous.»
«Vuoi prendere appunti?»
«Certamente.»
«E se per caso qualcuno li legge?» Alex scosse il capo, prendendo una delle gelatine e addentandola: «Che succede se tua madre o una tua compagna di scuola legge gli appunti?»
«Dirò che sono per una fanfiction.»
«Prego?»
«Sei un nerd e non sai cosa sono le fanfiction?»
«So cosa sono le fanfiction» bofonchiò Alex, incrociando le braccia e assottigliando lo sguardo: «Ma prendere appunti…»
«Fidati, nessuno li leggerà e, se mai succederà, se dirò che sono per una fanfiction mi crederanno subito.»
«Tu le scrivi, eh?»
«Cosa? No. Non ancora» Manon socchiuse gli occhi, scuotendo la testa e, una volta aperte nuovamente le palpebre, puntò lo sguardo sul ragazzo: «La storia dei Miraculous.»
«Te la racconto perché così non romperai se mai parleremo di fatti che tu non sai. Ok?»
«Ok.»
«Allora...» Alex si fermò, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé e annuendo poi ai suoi stessi pensieri: «I kwami che hai conosciuto, molto ma molto tempo fa, erano esseri umani: vivevano su un’isola, il ricordo di un impero che ormai è andato perso nella memoria degli uomini ed è sfociato nel mito…»
«Atlantide?»
«Esattamente.»
«C’erano due isole: Daitya, quella in cui vivevano i kwami quando erano umani; e Routo, una sorta di isola gemella, i cui regnanti erano ossessionati dal potere di controllare il Quantum, tanto che crearono una specie di catalizzatore in modo da sfruttarlo.»
«Che cosa è il Quantum?»
«Un’energia che scorre nel nostro pianeta, Xiang l’ha paragonata al sangue. Senza Quantum non ci sarebbe vita.»
«E quelli di Routo lo volevano.»
«Esattamente.»
«E crearono questo catalizzatore.»
«Per fermare la minaccia di Routo, i sacerdoti di Daitya chiesero sette volontari dal popolo, in modo da eseguire un rituale e fermare Routo: questo rituale consisteva nell’infondere di Quantum i sette e…»
«E tramutarli in kwami?»
«Sì. Il risultato fu questo, anche se i sacerdoti non erano a conoscenza di cosa sarebbe successo e che tutto ciò avrebbe portato alla distruzione della loro isola; si salvò solo un uomo, Gyrro, e un bambino di nome Kang. Questi due, assieme ai sette kwami, viaggiarono fino ad arrivare a Nêdong, in Cina, e qui trovarono un tempio dove vennero ospitati e dove iniziò il culto dei Miraculous. I sette gioielli diventarono un qualcosa di mistico da adorare e presto Gyrro comprese il motivo per cui era stato salvato: era il primo Gran Guardiano dei Miraculous e il suo compito era quello di trovare persone adatte e donare a loro i Miraculous, in modo da fermare le forze del male» Alex si fermò, prendendo la panna cotta e giocherellando con il cucchiaino: «Ma non furono i soli a salvarsi, anche qualcuno di Routo ci è riuscito e adesso ha deciso di prendere i Miraculous.»
«Quindi il cattivo che gli eroi stanno affrontando viene da Routo?»
«In verità non sappiamo se è qualcuno che si è salvato di Routo o ha solo legami con esso.»
Manon annuì, socchiudendo gli occhi ed elencando nuovamente dentro di lei tutto ciò che aveva appreso: «E’ una storia incredibile» mormorò, scuotendo il capo: «E immagino che sia molto più complessa di come me l’hai raccontata.»
«Un poco. Ti ho fatto il riassunto veloce.»
La ragazzina annuì, osservando il foglio bianco intonso da ogni appunto che aveva avuto in mente di prendere: «Come posso aiutarvi io? Non so niente e…»
«Come hai fatto finora? Aiutato Thomas con le scuse? Magari potresti fornirne anche agli altri, se mai ne avessero bisogno.»
«Solo questo?»
«Il maestro Fu dice sempre che anche un piccolo sasso può smuovere le acque.»
«Filosofia cinese?»
«No, penso l’abbia sentito in tv.»


Qiongqi osservò ciò che lo circondava dall’alto dell’enorme monumento in marmo bianco che dominava le strade sottostanti: l’Arco di Trionfo, l’opera voluta da Napoleone Bonaparte per sancire la sua vittoria nella battaglia di Austerlitz e sarebbe stato anche teatro del suo trionfo.
Colpì la pietra candida con la lancia, osservando l’energia ocra modellarsi e dare forma a una creatura: «Vai, mia creatura, vai e distruggi i Portatori» ordinò, osservandola atterrare nel piazzale sottostante e urlare piena di rabbia.
Presto sarebbero arrivati, portando a lui i sette gioielli di Daitya.
Presto avrebbe vinto, dimostrando al suo signore chi era l’unico degno di fiducia.
Presto sarebbe stato il trionfatore.

Ritorna all'indice


Capitolo 50
*** Capitolo 50 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.731 (Fidipù)
Note: Or bene, eccoci qua con il secondo aggiornamento di Miraculous Heroes 3 e...beh, non vi dico nulla e vi lascio al capitolo, ma prima due cosette sulle Mianju, le maschere hanno sempre fatto parte della cultura cinese e sono apparse circa 3,500 anni fa come importante elemento di shamanismo.
Durante le funzioni religiose dove si chiedeva a Dio di portare via pestilenze o durante le danze di esorcismo e a tanti altri rituali shamanici non potevano avvenire senza indossare maschere. Anche oggi le maschere vengono indossate durante rituali, matrimoni e funerali da 40 gruppi etnici che vivono in circa 20 province e regioni autonome della Cina.
E adesso è il turno delle classiche informazioni di servizio: come sempre vi ricordo la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati e ricevere piccole anteprime dei capitoli o leggere i miei scleri.
Eccezionalmente di domenica ci sarà il nuovo aggiornamento di Lemonish, con una nuova AdrienMarinette.
Come sempre voglio ringraziarvi tutti quanti voi che leggete, commentate, inserite la storia in una delle vostre liste e me fra gli autori preferiti.
Grazie di tutto cuore!

 

Ladybug atterrò sul tetto di uno dei palazzi che si affacciavano sull’ampio spazio aperto che ospitava uno dei monumenti simbolo della capitale francese, avvicinandosi poi al bordo e osservando la distruzione che regnava nella strada sottostante: l’anello di asfalto che circondava la piazza con l’Arco di Trionfo era un inferno di lamiere: «Tortoise. Volpina» i due eroi scattarono sull’attenti al suo richiamo: «Aiutate più persone possibili» ordinò la coccinella, spostando lo sguardo sulla figura in abiti candidi che stazionava sopra l’Arco: «Peacock, Hawkmoth. Vedete di farlo scendere da lassù. Jian, Bee e Chat Noir, voi occupatevi…» Ladybug si fermò, osservando la creatura di Quantum: un essere con quattro braccia e il fisico veramente muscoloso e una faccia che ricordava molto una maschera che aveva visto a casa del Maestro Fu.
Una volta ne aveva presa una in mano e il Maestro Fu le aveva dato delucidazioni in merito: si chiamavano Mianju, per l’esattezza, che veniva indossata durante le funzioni religiose o gli esorcismi.
Ladybug rimase a osservare le line del volto della creatura, così mostruosa e familiare al tempo stesso: gli occhi a palla, il naso che dominava gran parte del volto e la bocca piegata in un sorriso, che mostrava le zanne affilate: «Devo ammettere che hanno fantasia nel creare le creature di Quantum» mormorò, sorridendo appena: «D’accordo. Vediamo di salvare Parigi anche oggi.»
«Non è quello che facciamo sempre, my lady?» le domandò Chat Noir, affiancandola e regalandole un occhiolino, prima di saltare, seguito da Jian e Bee; anche gli altri scattarono mentre la coccinella rimase immobile, osservando la distruzione che regnava sovrana: «Mogui, quanto tempo è trascorso prima di avvisarci?» domandò, portandosi la mano all’auricolare e attendendo la risposta dell’amico.
«Veramente poco» dichiarò Alex con un sospiro nella voce: «Ho ricevuto la chiamata dell’agente e…» si fermò, ridacchiando delle sue stesse parole: «Usiamo i termini corretti: ho intercettato la chiamata e vi ho contattato immediatamente.»
Una decina di minuti scarsi, decretò Ladybug, socchiudendo gli occhi e rendendosi conto della forza distruttrice di quella creatura: le macchine ribaltate e distrutte, gli alberi sradicati circondavano l’Arco di Trionfo che, solitario, si ergeva sopra tutto. Alcuni poliziotti aveva cercato di costruire una barriera nella parte più esterna dell’anello, in modo da contenere tutto quanto, ma era certa che se il generale avesse comandato alla sua creatura di ampliare il suo raggio di azione, a nulla sarebbero serviti gli sforzi degli agenti.
Ladybug lanciò il proprio yo-yo verso il monumento, usandolo come punto di appoggio e poi lasciandosi andare nel vuoto, atterrando in un punto dell’asfalto sgombro e guardandosi attorno: Tortoise stava usando il suo scudo e la sua forza per aiutare le persone rimaste intrappolate, mentre Volpina aveva creato alcune illusioni di se stessa, spedendole contro la creatura: Ladybug rimase a osservarla, mentre invocava il potere speciale del suo Miraculous e creava una strada di fiammelle azzurre, indicandola poi alle persone e aiutandole così a mettersi più velocemente al sicuro.
Poco distanti da loro, Peacock e Hawkmoth stavano lanciando le loro armi contro il generale che, con una risata divertita che risuonava nell’aria, si divertiva a evitare ogni loro colpo, saltando poi a terra; Ladybug trattenne il fiato, mentre osservava il generale caricare contro Hawkmoth, ma venire intercettato da Peacock, che lo reclutò in uno scontro corpo a corpo, parando i colpi dell’altro e mettendolo velocemente in una posizione di svantaggio.
Sul volto di Peacock comparve un sorrisetto sfrontato, mentre apriva entrambi i ventagli e li usava per parare l’assalto, meno sicuro e più goffo dell’altro: il generale caricò e Ladybug vide il compagno chinarsi mentre un boomerang di Hawkmoth colpì in pieno volto il nemico, prima di ritornare fra le mani del giovane membro.
Qiongqi si portò una mano alla parte del volto libera dalla maschera, abbassandola poi e mostrando le labbra storte in una smorfia, tornando poi alla carica con un urlo feroce e cercando di raggiungere il piccolo Hawkmoth ma venendo nuovamente ingaggiato da Peacock in uno scontro.
Non avevano bisogno di lei, a quanto pareva.
Sarebbero stati capaci di trattenerlo da soli.
Ladybug si voltò dalla parte opposta, osservando Chat Noir e Jian attaccare sui due fronti opposti la creatura, ma sia spada che bastone vennero bloccate da due delle quattro mani della creatura: «My lady, pensi di stare guardare o ti unisci a noi?» le domandò Chat, mentre con una smorfia liberava la propria arma, balzando poi indietro e assottigliando lo sguardo verde, tenendolo fisso sulla creatura: «Ci servirebbe veramente qualcosa che lo tenesse fermo.»
«Stavo controllando se Peacock aveva bisogno di aiuto» dichiarò la coccinella, affiancando il felino e sorridendo all’espressione che si era palesata sul volto del ragazzo: «Che c’è? Fa parte della squadra o non l’hai ancora capito?»
«Beh, sai che se c’è da aprire la ruota e mostrarla al mondo intero, il pennuto lo fa sempre e volentieri.»
«Guarda che ti sento, gattaccio» esclamò Peacock, poco distante, colpendo con la spalla l’avversario e spedendolo poco più avanti: «Non sono sordo.»
«Mai detto il contrario, pennuto.»
«Qualcuno ci salvi da voi due» sentenziò Bee, sparando alcuni pungiglioni contro la creatura e colpendola in pieno petto, facendola arretrare di un passo ma senza provocare alcunché nel nemico; Jian ne approfittò, balzando di lato e affondando la spada nella carne della creatura, facendola uggiolare di dolore prima che l’afferrasse e la spedisse lontano, facendola scivolare sul piastrellato alla base del monumento.
Bee sparò altri pungiglioni, storcendo le labbra quando nuovamente non riuscì a realizzare nulla: «Che facciamo?» domandò, voltandosi verso Ladybug e Chat Noir: la coccinella strinse lo yo-yo fra le dita, lasciando andare poi un lungo sospiro e girandosi verso il compagno, vedendolo annuire con un sorriso tranquillo sulle labbra, lo sguardo rivolto completamente verso di lei.
«Chat, Jian» mormorò Ladybug, inspirando poi profondamente mentre serrava maggiormente la presa sullo yo-yo: «Continuate a distrarlo. Bee, appena ho evocato il Lucky Charm, crea una frusta con il tuo potere speciale» si fermò, osservando i compagni annuire e poi lanciò in aria la sua arma, osservando il potere speciale attivarsi e un piccolo contenitore spray.
Ladybug se lo rigirò fra le mani, sorridendo convinta quando capì di cosa si trattava, si voltò e osservò Bee già all’opera, mentre modellava l’energia gialla del suo potere speciale: muovendo le mani a mezz’aria, l’eroina iniziò a creare un lungo serpente canarino che crepitava e scoppiettava, afferrandone poi un’estremità e guardando l’altra, rimanendo in attesa. La coccinella le indicò il nemico e Bee annuì, facendo schioccare la frusta sul pavimento, indirizzando poi la punta verso la creatura, storcendo le labbra quando questa saltò all’indietro, evitando il suo assalto.
Bee avanzò di qualche passo, muovendo la frusta attorno a sé e osservò Jian ingaggiare uno scontro con la creatura: l’eroina rimase in attesa, seguendo i movimenti di entrambi e attendendo il momento giusto per colpire; sorrise quando vide Chat Noir balzare in avanti e dare man forte a Jian, aiutato da Ladybug che, con il suo yo-yo, aveva ingaggiato uno scontro a distanza con le braccia superflue della creatura.
Era il momento propizio.
Fece roteare la frusta sopra la testa, allungando poi il braccio in avanti e osservando l’energia, circondare il corpo della creatura, imprigionando tutte e quattro le braccia: «Ladybug! Ora!» esclamò, voltandosi appena verso la coccinella e osservandola scivolare in avanti, il Lucky Charm stretto in mano e raggiungere velocemente il nemico: allungò il braccio in avanti, le dita ben serrate sul meccanismo dello spray e premette, spruzzando sul volto della creatura lo spray urticante.
L’essere urlò, cercando di liberarsi dalla presa ferrea della frusta di Bee e portarsi le mani al volto, mentre Ladybug si voltava e, dopo un cenno di assenso del capo, osservò Chat Noir azionare il suo potere speciale e avvicinarsi alla creatura, posandole sul petto la mano impregnata di forza distruttrice.
Il nemico si sgretolò come sabbia, creando un piccolo mucchietto di polvere scura ai piedi dei due eroi e venendo poi portato via dal vento: «E anche questo è andato» commentò il felino, voltandosi e osservando Qionqgi parare i colpi di Hawkmoth e Peacock: il guerriero rivale si stava guardando attorno freneticamente, arretrando sempre senza provare ad attaccare nuovamente i due.
Un nuovo passo indietro e si portò entrambe le braccia al petto, sparendo poi in una nuvola di polvere e fumo: «Maledizione» tuonò il pavone, allungando una mano e afferrando solo il pulviscolo, scuotendo poi il capo: «Era con le spalle al muro.»
«E sappiamo bene quanto sono capaci a darsela a gambe, pennuto» sentenziò Chat, roteando il proprio bastone e usandolo come punto di appoggio: «Potrebbero fare concorrenza agli uomini di Maus.»
«Però ancora una volta abbiamo sconfitto una loro creatura» mormorò Ladybug, sorridendo dolcemente e avvicinandosi all’amico: «Ormai è la prassi: arriva la creatura, la combattiamo e l’annientiamo.»
«Sembra di essere tornati ai tempi di Papillon, non è vero?» domandò Chat, ghignando divertito: «Ehi, ora che ci penso il piccoletto si è unito prima che comparissero queste creature o sbaglio? Hawky, hai niente da dichiarare?»
«Che ho appena catturato un chikorita?» domandò Hawkmoth, mostrando il cellulare con una smorfia di profondo disappunto in volto: «L’ennesimo fra l’altro.»
«Tu devi smetterla di giocare a Pokémon Go mentre lavoriamo.»
«Non stiamo lavorando, Chat» decretò il piccolo del gruppo, allargando le braccia: «Il nemico è stato sconfitto. Fine. Ho timbrato il cartellino.»
«Posso ucciderlo?»
«Chat, ti prego.»
«Sarò rapido e indolore, my lady. Un cataclisma ben piazzato e…»
«Ti ricordo, gattaccio, che hai già usato il tuo potere speciale» dichiarò Volpina, intromettendosi nella conversazione, ridacchiando e roteando il proprio flauto, poggiandolo poi contro una spalla: «Dovresti dar da mangiare al tuo kwami e poi pensare ai piani omicidi verso Hawkmoth.»
Chat Noir la fissò, aprendo la bocca per rispondere e poi scuotendo la testa: «Sei salvo» mormorò, indicando Hawkmoth: «Per stavolta.»


Osservò lo schermo del cellulare, indugiando sull’icona di chiamata mentre le raccomandazioni di suo padre gli tornavano nuovamente alla mente: da quando li aveva quasi scacciati dal suo appartamento, Rafael non aveva più tentato di contattarlo, sebbene la preoccupazione per l’uomo fosse veramente tanta.
Cosa stava facendo?
Cosa gli era successo?
Come era rimasto coinvolto in tutto quello?
Strinse le labbra, spegnendo lo schermo e gettando poi il telefono sul divano, mentre piegava la testa all’indietro e poggiava la nuca contro la spalliera: un sospiro gli scappò, chiudendo poi le palpebre e inspirando pesantemente; ascoltava distratto i rumori che lo circondavano, soffermandosi di tanto in tanto su uno di questi: il rumore dell’alluminio di una barretta di cioccolata che veniva scartata, le chiacchiere nell’altra stanza delle due presenze femminili della casa, i suoni che giungevano dalla strada sottostante.
Continuò a tenere le palpebre chiuse, anche quando sentì i passi leggeri di Sarah avvicinarsi a lui e poi le dita fresche di lei posarsi sulla fronte e tirargli indietro le ciocche scure: «Stai bene?» gli domandò, continuando a carezzarlo e rimanendo in attesa al suo fianco.
«Sì» mormorò Rafael, aprendo gli occhi e regalandole un sorriso tranquillo che subito si spense di fronte allo sguardo dell’altra: «Volevo chiamare mio padre» dichiarò, socchiudendo nuovamente le palpebre e lasciando andare un sospiro: «Solo non saprei cosa dirgli. Magari qualcosa: papà, giusto per sapere, come sei finito nel mezzo di questa guerra millenaria?»
«Potrebbe essere un’idea.»
«Sarah…» Rafael disse il nome della giovane con un sospiro, aprendo nuovamente gli occhi e fissandola, ricambiando il sorriso che la ragazza aveva in volto: «Seriamente come potrei chiedere a mio padre una cosa simile.»
«Come Peacock?» buttò lì la ragazza, scostandogli i capelli dalla fronte e sorridendo: «Magari puoi dirgli che Rafael ti ha fatto avere tutti i documenti che lui gli aveva affidato e tu volevi sapere come mai, un semplice professore come lui, fosse coinvolto in tutto ciò.»
Rafael assimilò le parole di Sarah, annuendo lentamente quando il piano prese forma: era semplice, lineare e dannatamente efficace.
Se si fosse presentato come Peacock, suo padre non avrebbe potuto scacciarlo e avrebbe potuto rispondere alle domande che lo tormentavano.
Sempre se anche lui sapesse le risposte.
«Sarah, sei un genio.»
«Lo so» dichiarò divertita la ragazza, sorridendo dolcemente allo sguardo del fidanzato: «Alle volte la soluzione più semplice è quella più banale, l’ha detto una volta il maestro Fu.»
«Perla di saggezza cinese.»
«No, mi disse che l’aveva sentita in televisione…»
«Quel vecchio.»


Lila osservò la pentola, ascoltando il borbottio dell’acqua, accompagnato dal suono metallico del coperchio, traballante sopra il tegame e in perenne movimento per colpa del vapore: «Vuoi ucciderci tutti?» le domandò Vooxi, fluttuandole attorno al volto e fissandola, voltandosi poi indietro e scambiandosi un’occhiata incerta con Wayzz, poco distante da entrambi, quasi cercando aiuto in lui.
Il kwami verde scosse il capo, volando poi via e uscendo dalla stanza.
Traditore.
Vooxi storse la bocca, appuntandosi mentalmente di farla pagare al compagno.
Questa non se la sarebbe dimenticata.
«Lila, non pensi che dovrebbe occuparsene Wei, non appena finisce la doccia?»
«So buttare la pasta da sola» borbottò la ragazza, storcendo le labbra e assottigliando lo sguardo, puntato addosso al kwami: «Non sono messa così male da non riuscire neanche a…» la suoneria del cellulare la fermò e Vooxi tirò un sospiro di sollievo, mentre l’osservava andare a recuperare il telefono nel salotto.
Erano salvi.
Per il momento.
Il piccolo kwami rimase a fissare la pentola, ascoltando il borbottio rumoroso dell’acqua e poi si voltò verso la ragazza nella stanza attigua, oltre il grande arco che divide la zona ove venivano cucinati e consumati i pasti dal soggiorno della scasa: «Lila?» domandò, vedendola immobile con il cellulare in mano che squillava inesorabile: «Perché non rispondi?»
«E’ mio padre.»
«Cosa?»
La ragazza scosse il capo, premendo sul pulsante di accettazione della chiamata e portandosi l’apparecchio all’orecchio: «Sì?» mormorò, dopo una manciata di secondi e con la voce ridotta a un sussurro, mentre il rumore di fogli che venivano girati le arrivò dall’altra parte.
«Lila» la voce profonda del padre la investì appieno, ricordandole da quanto tempo non lo sentiva: erano mesi che non aveva più avuto un contatto con l’uomo, una presenza ormai invisibile nella sua vita: «Come stai?»
«Bene» bisbigliò Lila, sedendosi sul divano e chinando la testa, nascondendosi al mondo grazie ai lunghi capelli: «Perché hai chiamato?»
«Per via di tua madre» le rispose il padre, la voce leggermente contraffatta quasi come se stesse tenendo il telefono in modo poco consono: «Mi sono arrivate voci che ha minacciato il tuo ragazzo.»
«Cosa?»
«Non sottovalutare la mia rete» dichiarò il padre con una risata nella voce: «E poi sono un buon amico di monsieur Mercier, che ha pensato bene di informarmi del comportamento poco consono di mia moglie.»
«Quindi? Hai chiamato per questo?»
«No» suo padre si fermò e Lila poté sentire il suo respiro nell’orecchio: «Tua madre è scomparsa. Da un po’ di giorni: l’ho ripresa non appena Mercier mi ha informato e pensavo se ne fosse andata con la coda tra le gambe. Sai com’è fatta, no?»
«S-sì.»
«Solo che non è tornata a casa, non è andata in nessuna delle abitazioni che abbiamo qui in Francia…» l’uomo si fermò e Lila socchiuse gli occhi, inspirando profondamente: «Ho provato a sentire anche in Italia ma sembra sia scomparsa. Il suo cellulare è spento e nessuno l’ha più vista da qualche giorno…»
«Scomparsa?»
«Mi chiedevo se tu avessi un’idea.»
«Sai molto bene che sono l’ultima persona da cui verrebbe.»
«Anche questo è vero» commentò l’uomo, lasciando andare l’ennesimo sospiro: «Magari è da qualche parte a bere e a farsi fare le unghie, conoscendola.»
«Sicuramente e quando avrà voglia, accenderà il telefono e partirà in quarta.»
«Andrà così.»
«Forse mi sto preoccupando troppo» L’uomo si fermò e Lila rimase in silenzio, aspettando il continuo di ciò che voleva dire: «Ma dopo che tu sei stata vittima di Papillon e con questi nuovi tizi a giro, per farla breve, ho paura.»
«Dubito che qualche supercattivo sano di mente voglia avere a che fare con Ada Rossi»
Uno sbuffo divertito le arrivò nell’orecchio e anche lei si ritrovò a piegare le labbra in un timido sorriso, alzando la testa quando il rumore di passi le annunciò la presenza di Wei: l’osservò entrare nella cucina e guardarsi attorno, prima di correre dalla pentola che lei aveva abbandonato: «Mercier mi ha detto che ti sei trovata un bravo ragazzo.»
«Sì, lo è.»
«Sono contento per te» suo padre si fermò, quasi fosse titubante a dire altro: «Tesoro» aggiunse poco dopo, facendola sorridere appena: «Spero di conoscerlo il prima possibile. E prometto di non provarci con lui.»
«Grazie, ne sarei felice.»
Il silenziò calò, mettendo fine alla conversazione e facendo sospirare l’uomo dall’altra parte del telefono: «Noi due non parliamo da tanto, vero? Se non me l’avesse detto Mercier non avrei nemmeno saputo il nome del tuo ragazzo: Wei Xu. E’ cinese?»
«Sì.»
«Mercier ha detto che è un gran lavoratore, un ragazzo gentile e calmo.»
«E’ esattamente così» commentò Lila, osservando il protagonista della loro conversazione mentre recuperava un pacco di pasta italiano e lo apriva, versandone una generosa quantità nella pentola, prendendo poi un mestolo di legno e girando per un attimo, prima di posarlo di traverso al tegame: «E’ l’uomo migliore che esista su questo mondo.»
«Bene. Hai trovato un ragazzo d’oro. Non lasciartelo scappare.»
«Non lo farò.»
«E se senti tua madre, dille di chiamarmi.»
«D’accordo.»


Adrien osservò il frigo, usando l’anta come appoggiò e scandagliando con lo sguardo l’interno: «Che mangiamo?» domandò a voce alta, rimanendo poi in attesa di una risposta che non giunse; sospirò, voltandosi verso i kwami che lo fissavano dalla loro postazione sul tavolino e poi ascoltando i rumori che provenivano dall’altra parte della casa: «Marinette?»
«Penso che se non andrai di là, non riceverai la risposta che vuoi, Adrien» commentò Tikki, sorridendo poi al volto sconsolato del giovane: «Sai com’è fatta, no?»
«E l’amo anche per questo» dichiarò Adrien, avvicinandosi e carezzando il capino della kwami, ricevendo in cambio un gorgoglio divertito.
Il suono del campanello dell’appartamento gli fece alzare la testa, puntando lo sguardo verde sulla porta e quasi attenendo che questa venisse scardinata via, mentre l’ennesima creatura di Quantum irrompesse nella stanza; si allontanò dalla cucina, avvicinandosi con calma all’uscio di casa, aprendolo quando il campanello suonò per la seconda volta: «Manon» esclamò, osservando la ragazzina che attendeva con il dito sul pulsante.
«Ciao» mormorò la piccola, osservando Adrien da capo a piedi e trovandolo strano in quella tenuta casalinga: era sempre stata abituata a vederlo perfetto, prima come il modello dietro al quale la sua babysitter sbava e poi come fidanzato di Marinette; mentre adesso con gli abiti dall’aria vissuta e i piedi nudi sembrava una persona del tutto estranea all’idea che aveva sempre avuto in mente: «Ecco, io passavo di qua e…»
«Immagino che vuoi parlare con Marinette, vero?»
«Io non le ho ancora spiegato niente.»
Adrien le sorrise, facendosi da parte e lasciandola entrare nell’appartamento, osservandola divertito mentre, con le mani strette alla cinghia della tracolla, si guardava attorno: «Non eri ancora venuta qua, vero?» le domandò, ricevendo in cambio un cenno negativo con la testa: «Plagg e Tikki li conosci già» continuò, indicando i due kwami che fluttuavano nei pressi della zona cucina e un nuovo cenno gli giunse come risposta, stavolta affermativo: «Mentre Marinette…»
Un trambusto si levò da una delle stanze e un sospiro scappò dalle labbra di Adrien: «Tesoro, sei viva?» domandò ad alta voce, indicando con un cenno del capo il corridoio e raggiungendo l’atelier della moglie: il pavimento era pieno di stoffe e alcune scatole si erano rovesciate per terra, mentre Marinette era seduta al centro della stanza con un cartone sulle gambe e uno scampolo di tessuto rosso sulla testa: «Manon, ecco a te, Marinette Agreste, eroina delle folle e imbranata cronica» dichiarò Adrien, ridacchiando allo sguardo della moglie; fece un passo verso di lei, stando ben attento a non calpestare niente e le allungò una mano, aiutandola a rialzarsi: «Manon è venuta per parlare con te» le spiegò, mentre lo sguardo celeste si calamitava sulla bambina: «Io vi aspetto di là con Plagg e Tikki. E, per favore, dimmi cosa vuoi cena.»
«Va bene qualunque cosa» dichiarò Marinette, sorridendo divertita quando Adrien roteò gli occhi alla sua affermazione: «Quello che hai voglia di mangiare tu?»
«Così va già meglio» decretò Adrien, tornando indietro e spintonando Manon nell’atelier: «Non ti mangia, almeno fino a quando non calpesterai una stoffa.»
«Disse quello che ha lasciato un’impronta di scarpone su un pezzo di seta rosa» sospirò la ragazza, scuotendo il capo e fissandolo: «Era anche una bella seta.»
«Te l’ho ricomprata o sbaglio?»
«Adrien, vai a fare la cena.»
«Ricevuto!»
Le due l’osservarono sgusciare velocemente fuori dalla stanza e Marinette sorrise alla ragazzina: «Come stai?» le domandò, chinandosi e iniziando a sistemare le stoffe nelle scatole, venendo però attirata dai rumori di Manon: alzò la testa e la vide sistemare la borsa in un angolo, prima di mettersi seduta sul pavimento e iniziare ad aiutarla: «Immagino sia stata un po’ dura assimilare il tutto.»
«In verità, avevo già qualche sospetto da parecchio tempo. Su di te e Adrien.»
«Davvero?»
Manon annuì, piegando le labbra in un sorriso: «Ti ricordi quel giorno che mi hai portato al parco con la tua amica Alya? Quello in cui poi feci un servizio con Adrien?» si fermò, osservando la ragazza e ricevendo un cenno affermativo: «Ho iniziato ad avere qualche sospetto lì. Ladybug mi conosceva troppo…troppo…troppo bene, ecco. Quelle parole che mi rivolgeva poi erano molto più da Marinette e non dall’eroina che salvava sempre Parigi.»
«E per tutto questo tempo sei rimasta in silenzio?»
«Sì» Manon si fermò, stringendo fra le dita un pezzo di cotone candido, abbassando lo sguardo: «Avrei voluto continuare a farlo, mantenere il tuo segreto ma io…io…» si fermò, inspirando profondamente e alzando la testa: «Io volevo essere d’aiuto, in qualche modo, più del creare scuse per Thomas quando deve sparire. Alex mi sta spiegando tutto quello che c’è da sapere sul Quantum e voglio chiedergli anche di insegnarmi qualsiasi cosa, non voglio essere un peso.»
Marinette sorrise, allungando una mano e poggiandola su quella della ragazzina: «Non sarai mai un peso, Manon» dichiarò, stringendo le dita su quelle più piccole, chinandosi poi verso di lei e passandole un braccio attorno alle spalle, stringendola contro di sé e posandole il mento contro il capo: «Grazie, Manon.»
«Grazie a te, Marinette. E grazie ad Adrien, a Lila, Sarah, Rafael, Wei e Thomas.»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 51
*** Capitolo 52 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 4.067 (Fidipù)
Note: Ed eccoci qua con un nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3 e una piccola informazione per tutti voi: qualche giorno fa ho completato la scaletta dei capitoli che mancano ancora, riuscendo a dare così un numero totale di capitoli di questa storia: Miraculous Heroes 3 si concluderà con il suo 67esimo capitolo circa (Il circa è basilare, perché non è un'affermazione sicura al 100%, ma ha dalla sua parte un buon 90%) e quindi sì, mancano ancora una quindicina di capitoli, prima che io metta fine alla trilogia che mi sta accompagnando da un anno e mezzo.
Il presente è un capitolo un po' sottotono rispetto ai precedenti, ma in verità mi serviva per due punti in particolare e per collegare quello che lo precedeva con quello che lo succede, senza caricare troppo quest'ultimo di avvenimenti e situazioni, spezzettandolo troppo.
Detto questo, devo dire, che non ho nient'altro con cui disturbarvi e quindi si passa tranquillamente alle solite informazioni di servizio.
Come sempre vi ricordo la pagina facebook dove essere sempre aggiornati su capitoli, anteprime e coming soon, senza contare i miei disagi.
Vi ricordo che domani sarà il aggiornata Scene, con il capitolo Per la mia famiglia.
Detto ciò, come sempre, voglio ringraziarvi tantissimo per il fatto che mi leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

Lasciò andare il respiro, accorgendosi solo in quel momento di aver trattenuto l’aria, mentre entrava nell’edificio che fungeva da consolato italiano: si guardò intorno, osservando i pochi impiegati che ciondolavano nell’atrio, adocchiando in un angolo quella che sembrava la reception; alzò il mento, avvicinandosi a passo deciso e sorrise alla donna dall’altra parte del tavolo, facendo vagare lo sguardo sul viso che non aveva niente di eclatante e i vestiti ordinari.
Una classica segretaria, come ne aveva viste molte nella carriera del padre.
«Ho un appuntamento con il signor Rossi» mormorò, sistemandosi la cinghia della borsetta sulla spalla e regalando un nuovo sorriso allo sguardo dell’altra donna che passava in rassegna la sua mise e il suo aspetto: «Sono sua figlia, Lila.»
La donna strinse le labbra, prima di annuire e allungare una mano verso l’apparecchio telefonico, alzando poi la cornetta e digitando un breve numero: «Sì, Tommaso?» domandò la donna, non appena qualcuno rispose dall’altra parte: «C’è una ragazza qui. Dice di essere la figlia di Ruggero…ah. Perfetto. Allora, la mando su» annuì ancora una volta, scostandosi poi la cornetta dall’orecchio e posandola nuovamente, alzando alla fine lo sguardo su di lei: «E’ attesa.»
«Lo so» disse Lila, sorridendo appena e trattenendosi dall’alzare gli occhi al cielo, mentre la donna le indicava un corridoio alla sua destra con un cenno del capo; si voltò nella direzione indicata e stranamente sentì le gambe pese, compiendo il primo passo con molta lentezza e fatica.
Più copriva la distanza che la separava dall’ufficio del padre, ogni passo sempre più difficoltoso dei precedenti.
Si fermò davanti una porta che ben conosceva, ricordando l’ultima volta che era stata lì: il giorno della sua partenza da Parigi aveva voluto incontrare il genitore prima di lasciare il suolo francese, trovando solo una porta chiusa e un impiegato che la informava che il deputato era partito poche ore prime.
Abbassò lo sguardo, osservando Vooxi fare capolino dalla borsetta e fissarla con i penetranti occhi violetto, mentre lei alzava la mano e stringeva le dita tremanti a pugno, abbassandolo poi sul legno della porta e colpendola, ascoltando il rumore sordo e poi ripetendo l’intera operazione una seconda volta: «Avanti» la voce dall’altra parte la bloccò con la mano a pochi centimetri dalla porta e il suo cuore accelerò i battiti, mentre l’irrequietudine s’impadroniva di lei.
Voleva entrare.
Non voleva entrare.
Voleva vederlo.
Voleva andarsene il più lontano da lì.
«Puoi farcela» mormorò il piccolo kwami, nascondendosi poi nella borsa mentre lei scivolava con la mano fino alla maniglia, stringendo il freddo metallo nel palmo e abbassandolo, spingendo in avanti la porta e osservando l’interno della stanza: non era cambiato poi molto da quando era andata lì l’ultima volta, qualche anno prima, osservando i mobili di legno scuro che risaltavano contro le pareti color crema, il pavimento di marmo nero e, sulla parete opposta rispetto alla porta, la grande vetrata che donava luce all’intera stanza.
Lila fissò l’uomo chinò sulla scrivania, che non aveva alzato la testa quando lei era entrata e rimase ferma sulla soglia, indecisa su cosa fare: palesare la sua presenza? Rimanere in silenzio finché suo padre non avesse alzato la testa e scorta? Sapeva che era lì, sapeva che aveva bussato e che era entrata eppure, come sempre, il lavoro veniva prima di tutto: «Puoi entrare» mormorò l’uomo, riscuotendola appena e alzando un attimo lo sguardo, prima di abbassarlo nuovamente sulle carte che aveva davanti a sé: «Finisco di controllare questo resoconto e poi parliamo.»
Lila annuì, guardandosi attorno e lasciando andare un sospiro, mentre puntava una delle due sedie poste davanti la scrivania del padre e si accomodò su una di esse, sistemandosi la borsa in grembo e lisciandola appena, quasi trovando conforto in quel gesto: dentro c’era Vooxi ed era certa che il piccolo kwami le stesse dando tutto il supporto possibile e immaginabile, mentre suo padre continuava a mettere il lavoro prima di tutto.
Prima della moglie scomparsa.
Prima della figlia che non vedeva da qualche anno.
Rimase in silenzio e immobile, come aveva imparato fin da piccola mentre studiava la fisionomia del padre: era invecchiato, i capelli scuri avevano fili d’argento che erano in maggioranza e lo sguardo era contornato da profonde occhiaie, le spalle erano curvate in avanti e gli abiti stropicciati.
Tutto dava un aspetto generale di stanchezza e di un uomo che si riposava veramente poco.
«Come stai?» le domandò, facendole notare anche la nota stanca che aveva la voce dell’uomo, mentre l’osservava chiudere il fascicolo di foglie che aveva davanti e piegare le labbra in un sorriso, che non arrivava agli occhi: «Perdonami, per quanto tua madre mi faccia ammattire devo mandare avanti il lavoro.»
«Non ci sono problemi.»
Ruggero annuì, lasciandosi andare sulla poltrona e osservando la figlia, socchiudendo appena le palpebre: «Ti trovo bene» mormorò, annuendo con la testa e riaprendo gli occhi: «Rispetto all’ultima volta che ci siamo visti.»
«L’ultima volta che ci siamo visti mi hai intimato di andarmene da Parigi.»
«Eri diventata incontrollabile, Lila.»
«Immagino i brividi di paura, quando sono tornata l’anno scorso.»
«Sì»
Lila inspirò profondamente a quell’affermazione secca del genitore, lasciando andare l’aria e voltandosi di lato, stringendo le labbra: «Non so se sono dispiaciuta o meno di aver deluso le tue aspettative» commentò, scuotendo il capo e posando nuovamente lo sguardo sul padre: «Torno e me ne sto tranquilla tranquilla: vado a scuola, frequento i miei amici…»
«Ti iscrivi a Scienze politiche» disse Ruggero, intrecciando le mani sull’addome e sorridendo: «Tale padre, tale figlia.»
«Solo perché le materie erano facili e non avevo tanto da studiare. E’ per questo che ho scelto quella facoltà.»
«Vuoi convincere me o te, Lila?»
«Vogliamo parlare della mamma? Tua moglie. Sparita nel nulla.»
«Ho ricevuto una chiamata proprio stamattina» dichiarò Ruggero, sorridendo appena: «E’ andata in una spa e tornerà questo fine settimana.»
«Quindi perché sono venuta qui?»
«Perché volevo vedere mia figlia» dichiarò spiccio Ruggero, continuando a tenere il sorriso in volto: «Non ci vediamo da parecchio, Lila.»
«E non certo perché l’ho voluto io, papà» decretò la ragazza, enfatizzando l’ultima parola e scuotendo il capo: «Mi avete mandato via e, quando ero dalla nonna, mi telefonavate raramente. Sono tornata a Parigi e quando mi avete contattato tu e la mamma? Te lo dico io: mai. Mamma l’ha fatto non appena ha saputo che avevo un ragazzo e vivevo con lui…» si fermò, inspirando profondamente e lasciando andare l’aria: «Per cosa poi? Offenderlo e provarci con lui.»
«Mi dispiace…»
«Ti dispiace di cosa, papà?»
«Di tante cose, Lila» mormorò Ruggero, scrollando le spalle e socchiudendo gli occhi: «Io ero in una situazione delicata e tu venivi continuamente akumatizzata da Papillon: volevo proteggerti, ma tua madre premeva per l’incarico qui al consolato. Farti tornare in Italia è stata la decisione che mi sembrava migliore e poi…» l’uomo si fermò, lasciando andare un sospiro: «Non ho mai pensato a come ti sentivi e a quello che avresti provato.»
«L’ho notato.»
«Lila, io…»
Lo squillo del cellulare fermò Ruggero dal continuare e rimase in silenzio, osservando la figlia aprire la borsetta e prendere il cellulare, lasciando andare un sospiro dopo aver visto lo schermo: «E’ una chiamata che non posso rifiutare» mormorò Lila, stringendo la presa sull’apparecchio e lo sguardo fermo su di lui: «Io…»
«Vai pure. Ci saranno altre occasioni per parlare» Ruggero si fermò, socchiudendo gli occhi e sorridendole: «Ammetto di aver usato la sparizione di tua madre come scusa per rivederti, Lila.»
Lila piegò le labbra in un tenue sorriso, scuotendo la testa e alzandosi dalla sedia, spostandosi poi dietro di essa e poggiando le mani sulla spalliera, continuando a tenere il telefono squillante fra le dita della sinistra: «Sei pessimo, papà.»
«Ogni cosa per incontrare nuovamente mia figlia.»
«Potevi farlo prima.»
«Avevo paura.»
«E di cosa?»
«Di non essere perdonato da te, Lila.»


«Alla buon’ora» esclamò la voce di Alex nell’orecchio di Ladybug, mentre questa atterrava su uno dei palazzi che si affacciavano sulla piazza antistante la bianca chiesa di Sacre Coeur: «Volpina, cosa stavi facendo? E soprattutto con chi, dato che Tortoise ha risposto subito alla chiamata. Per quanto lui possa rispondere subito, considerato il suo datore di lavoro.»
«Ero da mio padre» sentenziò lapidale la ragazza, facendo ridacchiare la coccinella che, scambiatasi una breve occhiata con Bee, scosse poi il capo: «E non ti azzardare a fare commenti, Mogui.»
«Sai che fare commenti è il suo talento naturale» sentenziò Bee, lasciando andare un sospiro e portandosi poi la mano all’orecchio destro: «Ma ci siamo solo noi?» domandò, affacciandosi dal tetto e osservando Tortoise nella strada sottostante: «Peacock e Chat Noir? Hawkmoth?»
«Hawky non ha risposto, penso non gli abbiano permesso di andare al bagno» sentenziò Alex, mentre alle orecchie di tutti arrivava il rumore di mani che lavoravano alacremente alla tastiera: «Peacock e Chat dovrebbero essere vicini.»
«Chat potrebbe tranquillamente rimanere dove si trova» bofonchiò Ladybug, storcendo le labbra e incrociando le braccia al seno, attirando lo sguardo dubbioso di Bee mentre Volpina atterrava alle loro spalle e, aperta la mano, evocò il lungo flauto.
«Ero convinta che voi due non litigaste mai» decretò l’ape, voltandosi indietro e cercando appoggiò nell’amica che ridacchiò, scuotendo il capo e facendo sospirare l’altra: «Potresti darmi una mano, Volpina.»
«Che posso dire? Ci son problemi anche in paradiso.»
«Non ci sono problemi in paradiso» decretò la voce di Chat Noir, intromettendosi nella conversazione e facendo girare le tre, osservando il felino e Peacock atterrare sul tetto: «Semplicemente qualcuno che tiene il broncio.»
«Io non tengo il broncio.»
«My lady, per favore, lo tieni da due giorni buoni» dichiarò il felino, incrociando le braccia e fissandola in volto: «Da quando siamo andati a fare la spesa.»
«Questo perché qualcuno fa piani idioti.»
«Ancora con questa storia? Ti ho detto che…»
«I panni sporchi si lavano in casa» decretò Alex, intromettendosi nella conversazione e attirando su di sé l’attenzione generale: «Signori e signore, adesso avete da fare il vostro lavoro di supereroi e sconfiggere…» si fermò, inspirando profondamente e lasciando andare poi l’aria: «Beh, l’urlo di Munch.»
«Questa cosa è irreale» commentò Peacock, avvicinandosi al bordo del tetto e osservando la piccola figura che camminava mesta nella piazza antistante: era un piccolo esserino che si aggirava nell’erba e risaltava con l’abito scuro che gli copriva l’intero corpo serpentiforme, quasi senza scheletro, privo di capelli, deforme e con la pelle grigia; si teneva il volto fra le mani e un’espressione di spasmo gelata nel viso: «Che facciamo? E soprattutto come lo sconfiggiamo?»
«Evocherò il Lucky Charm» decretò Ladybug, scuotendo il capo e fissando il resto del gruppo: «Mentre voi distraetelo e studiate le sue mosse.»
«Agli ordini, boss» sentenziò Peacock, balzando giù dal tetto e atterrando accanto a Tortoise: il piccolo essere si voltò verso di loro, inclinando il capo e lasciando andare un verso agghiacciante e un’onda d’urto si propagò nella distanza che divideva il nemico da loro, spedendoli entrambi contro il muro dell’edificio.
La creatura rimase a osservare il proprio lavoro, prima di immagazzinare nuovamente aria e prepararsi a lanciare una seconda onda sonora contro i due malcapitati: Tortoise balzò in piedi, sistemando velocemente il proprio scudo avanti a sé e proteggendo così se stesso e Peacock da un secondo attacco.
«Il tuo scudo può fermare anche quello?» domandò Peacock incredulo, scostandosi una ciocca scura dagli occhi e fissando l’amico con un ghigno in volto: «C’è qualcosa che non ferma?»
«Una donna in quel periodo del mese, credo.»
«Questa non è male. E spero che Bee non ti abbia sentito, altrimenti sei morto» dichiarò Peacock, sorridendo e rialzandosi, storcendo la bocca in una smorfia di dolore e portandosi una mano all’addome, punto in cui era stato colpito in pieno dall’attacco nemico: «Mi verrà un bel livido.»
Ancora ferma sul tetto, Volpina si portò il flauto alle labbra, suonando alcune note e creando delle copie di tutti loro, spedendole contro la creatura di Quantum e osservandola lanciare onde sonore contro di queste, distruggendo ogni cosa era nel suo raggio, mentre Bee e gli altri due balzarono a terra, affiancando i due eroi: «Sto bene» decretò Peacock, sorridendo allo sguardo pieno di rimprovero di Bee e massaggiandosi la pancia, mentre l’ape scuoteva la testa: «Davvero.»
«Oh. Stai bene? Dopo essere stato sparato contro un muro tu stai bene.»
«Sì, Bee. Non è niente di che.»
«Non è niente di che…»
«Abbiamo già una coppia in lite» dichiarò Tortoise, sorridendo appena e indicando i due al suo fianco: «Perché non pensiamo a sconfiggere quel piccoletto, piuttosto che litigare?»
Ladybug annuì, stringendo il proprio yo-yo nella mano e lanciandolo poi per aria, attivando così il proprio potere speciale e osservando la magia della creazione mettersi all’opera, materializzando un piccolo sacchetto rosso a pois neri, che cadde fra le sue mani: «Biglie?» domandò, guardando dubbiosa gli altri che l’avevano circondata: «E come dovrei usarle?»
«Ah. Non lo so» Chat Noir scosse il capo, sorridendole: «Sei sempre stata tu l’artista dei piani.»
«Oh. Quindi ammetti che i tuoi piani sono pessimi?»
«Nemico. Sconfiggere» sentenziò Tortoise, indicando il piccolo essere che aveva annientato tutte le illusioni di Volpina e, in quel momento, si stava voltando verso di loro: «E’ il momento di mettere in moto il cervello, Ladybug.»
La coccinella annuì, inspirando profondamente e guardandosi attorno mentre un sorriso le comparve in volto: «Bee, spedisci una sfera di energia contro di lui. Peacock, tu usa i tuoi ventagli quando te lo dico io. Tortoise, se prova a urlare di nuovo, parla l’onda con il tuo scudo e Volpina, quando Bee lancerà la sua sfera, tu farai lo stesso con i tuoi fuochi. Chat Noir, tieni pronta la tua mano distruttrice.»
Ladybug li osservò tutti annuire e, usando lo yo-yo, agganciò un ramo di un albero vicino e saltò sopra di questo, osservando Bee e Volpina eseguire le sue direttive e impedire alla creatura di urlarle contro; Tortoise si era posizionato avanti a tutti, lo scudo ben saldo nella presa della mano mentre Peacock seguiva ogni suo movimento, pronto a entrare in azione; Ladybug lo fissò e annuì con la testa, lanciando poi il sacchetto delle biglie e il pavone lo colpì con uno dei pugnali dei suoi ventagli, aprendolo e lasciando che le sfere si sparpagliassero davanti alla creatura di Quantum.
Un sorriso piegò le labbra di Ladybug, mentre osservava l’imitazione del famoso quadro scivolare sopra le biglie e ritrovarsi disteso per terra: saltò nuovamente l’avvolse con il filo del suo yo-yo, mentre Chat si avvicinò con la mano impregnata di potere della distruzione e la posava al centro del corpo della creatura, osservandola diventare polvere nera e venire spazzata poi via dalla brezza: «Anche questo è stato facile» commentò il felino, scuotendo il capo e osservando la sua compagna recuperare il Lucky Charm e lanciarlo per aria, in modo che la magia facesse il suo dovere e ripristinasse tutto: «E’ veramente strano.»
«Molto strano» commentò Ladybug, scuotendo il capo e lasciando andare un sospiro: «E’ tutto così facile.»
«Ho paura che prima o poi ci scontreremo con il vero potere di Kwon» commentò Tortoise, sistemandosi lo scudo sulla schiena e poggiando le mani sui fianchi: «E che allora rimpiangeremo questi nemici deboli.»
Peacock sospirò, poggiando il gomito contro la spalla dell’amico e fissandolo dal basso: «Ti prego, Torty, facci gioire di questi nemici che si battono con niente» decretò, sorridendo appena e allontanandosi: «Penso li rimpiangerò, appena Kwon si metterà a fare sul serio.»
«Come tutti noi, pennuto. Come tutti noi.»


Manon allungò il collo, osservando lo schermo del cellulare di Thomas e sorridendo alla vista delle poche righe scritte: «E’ andato tutto bene?» domandò più per confermare ciò che aveva letto e vedendo l’amico annuire con la testa e risistemare il telefono nella tasca della felpa, mentre si stravaccava meglio sulla panchina nel giardino della scuola e alzava la testa verso il cielo: «Immagino che avresti voluto essere con loro.»
«Sì.»
«La prossima volta…»
«Alle volte mi chiedo se sono davvero utile alla squadra» buttò lì Thomas, dopo una buona manciata di minuti di silenzio: «Se il mio intervento sia prezioso o meno: loro riescono a vincere anche senza di me, mentre io…»
«Loro hanno da più tempo i Miraculous e…»
«E voi due che fate qua soli soletti?» la voce di Jérèmie li fece sobbalzare entrambi, Thomas osservò l’amico che si era avvicinato in silenzio e li fissava con le labbra storte in un ghigno pieno di divertimento: «Ultimamente siete sempre assieme. Potrei essere geloso, Thomas.»
«Vedrò di tradirti con più discrezione» commentò Thomas, scuotendo il capo e incontrando lo sguardo di Manon, alzando le spalle e stirando le labbra in una linea: «Volevi qualcosa?»
«In verità no» Jérèmie si portò una mano al volto, massaggiandosi la mascella e inclinando il capo: «Vi ho visti qui, soli soletti, e volevo sapere se avevi qualcosa di cui informarmi.»
«Mh. No, niente.»
«Sicuro?»
«Sicurissimo.»
Jérèmie annuì, scuotendo la testa e lasciando andare un lungo sospiro, spostando tutta la sua attenzione su Manon e fissandola dall’alto: «Buona fortuna. Ne hai veramente bisogno con questo idiota.»
«Ehi, perché mi offendi ora?»
«Perché lo sei, idiota.»
«Io non sono idiota.»
«No, hai ragione: sei un idiota tardone e addormentato.»
Manon sbuffò, osservando Thomas alzarsi in piedi mentre alle sue orecchie arrivava lo scambio sempre più acceso fra i due amici, infilando la mano in tasca e recuperando il cellulare: sarebbero andati avanti per molto tempo, lo sapeva bene.
Thomas si sarebbe scaldato a ogni scambio, mentre Jérèmie si sarebbe semplicemente divertito.
Scrisse velocemente un messaggio a Marinette, congratulandosi per la nuova vittoria e poi aprì l’app su cui leggeva le sue amate fanfiction e notando immediatamente un aggiornamento della sua autrice preferita, lasciando perdere i due ragazzi con lei e il mondo circostante.
Aveva da leggere adesso e nessuno era più importante di ciò.


Osservò interessata l’ampio schermo rettangolare, che dominava la parete e sul quale erano trasmesse alcune scene di un inseguimento automobilistico; rimase a fissare l’auto scura che sfrecciava per strade deserte, con alle calcagna quelli che dovevano essere i buoni. O i cattivi.
Non aveva ben compreso chi inseguiva chi.
Era talmente intenta a cercare di comprendere ciò che vedeva, da non far più di tanto caso a chi la circondava e dovette usare tutto il suo autocontrollo per non atterrare l’innocente commesso che si era avvicinato e che, adesso, la fissava con un sorriso cordiale in volto: «Non è niente male, vero?» le domandò, facendo un nuovo passo verso di lei, quasi si sentisse fiducioso del suo silenzio: «E’ una televisione decisamente adatta per una  ragazza giovane come te: la possibilità di connetterla alla rete Wi-Fi ti permette di poter usufruire di servizi…»
«Come parlare al nulla, amico.»
Xiang si voltò, fissando Alex che sorrideva e si sistemava gli occhiali, scivolati lungo il naso, mentre fissava entrambi: «E’ già tanto se sa cosa è un televisore.»
«Io so cosa è un televisore» dichiarò Xiang, incrociando le braccia al seno e alzando il mento, quasi a sfidare l’altro a ribattere la sua affermazione.
Certo, sarebbe morta piuttosto che raccontare ad Alex come era stata la sua prima esperienza con quell’apparecchio: ancora adesso Felix la prendeva in giro per come era balzata e aveva sguainato la spada, cercando di uccidere l’elettrodomestico, la prima volta che l’uomo l’aveva accesa, mentre le mostrava le meraviglie dell’epoca moderna.
Tutto ciò era valso il divertimento dell’ex-Portatore del Miraculous del Gatto Nero e una presa in giro infinita, che aumentava ogni qualvolta lei si avvicinava a una televisione.
I toni di Felix si erano un po’ smorzati, dopo che Bridgette era andata a vivere con loro e lo aveva minacciato con la possibilità di un incontro con Marshmallow, il gigante di ghiaccio che evocava ogni volta che Thomas la trasformava in Coeur Noir.
L’uomo si era leggermente calmato, prendendola in giro solo quando Bridgette non era nei paraggi.
«Sapere e sapere usare sono due cose differenti» sentenziò Alex, strappandola dalle sue elucubrazioni, mentre si avvicinava e le posava una mano fra le scapole, spintonandola via dal commesso e dalla promessa di un acquisto fantastico: «E poi mi sembra che Felix abbia lo stesso modello in salotto.»
«Ah» mormorò Xiang, voltandosi appena e assottigliando lo sguardo, cercando di comprendere come Alex avesse fatto a capire che era dello stesso tipo di quella di Felix: a lei parevano tutte così simili, impossibili da riconoscere l’una dall’altra.
Erano tutte rettangolari e con le immagini in movimento.
«Hai preso ciò che dovevi prendere?» domandò la ragazza, cercando di portare la conversazione su argomenti più tranquilli e inclinando un poco la testa, in modo da vedere il volto di Alex: «Era un…»
«Cuffie con microfono incorporato» spiegò con pazienza il ragazzo, sorridendo appena: «Le mie hanno concluso un lungo e onorato servizio ieri, quando durante una sessione di gioco mi sono morte.»
«Le cuffie possono morire?»
«Il fatto che non siano vive, non significa che non hanno una vita.»
Xiang socchiuse gli occhi, sospirando appena: «Se cerchi di fare filosofia, ti posso assicurare che stai sbagliando approccio» decretò, sorridendo sicura della sue parole: «Stare troppo tempo con il Maestro Fu sta avendo un brutto effetto su di te.»
«Tu dici?»
«Io dico» dichiarò Xiang, sorridendo appena: «Le persone con cui trascorriamo la nostra vita ci influenzano: tu lo fai con me» si fermò, voltandosi e fissandolo in volto, allungando poi una mano e, con l’indice, sistemò gli occhiali che nuovamente gli stavano scivolando lungo il naso: «Sei importante per me, Alex, e sono contenta che proprio tu sia a influenzarmi e a rendermi, per dirla alla Felix, umana» si fermò, abbassando la mano e chinando la testa, mentre sentiva le guance diventarle improvvisamente calde.
«Non si possono dire queste cose così, però» decretò Alex, chinandosi per terra e intrecciando le braccia, poggiando i gomiti sulle ginocchia e nascondendo il volto, mentre Xiang si guardava attorno e sorrideva impacciata alla gente che li guardava e li superava, continuando la loro spedizione nel centro commerciale dove l’americano l’aveva portata.
«Alex?» mormorò piano la ragazza, chinandosi e poggiando le dita sulla mano di lui, vedendolo trasalire a quel piccolo contatto: «Scusami, io…»
«Quando devi fare queste sparate» Alex alzò il viso, fissandola imbronciato e con il volto completamente rosso, quasi avesse fatto uno sforzo immane: «Devi scegliere meglio il luogo in cui dirle: non puoi dire a un ragazzo – che stravede per te ed è cotto a puntino – che è importante mentre sei in un centro commerciale. Un po’ di romanticismo, Xiang.»
«Romanticismo?»
«Ma quando Sarah ti fa vedere i drama cosa vedi?»
«L’arte della spada? Di solito Sarah mi fa vedere quelli storici e…»
«Quando le migliori amiche non servono a niente.»


Bridgette osservò la sala che le era stata messa a disposizione nel complesso della Fondazione e sorrise, voltandosi verso la donna al suo fianco: «Hai fatto veramente un ottimo lavoro, Nathalie» dichiarò, battendo le mani e accentuando ancora di più l’espressione di felicità che aveva in volto: «Non so come avrei fatto senza di te.»
«Sarebbe stata capacissima anche da sola.»
Bridgette annuì, rimanendo in silenzio e catalogando le parole dell’assistente di Gabriel come una mera frase di cortesia, mentre faceva spaziare lo sguardo sull’allestimento e immaginandolo con le luci soffuse e le persone che affollavano la stanza, mentre le modelle e i modelli sfilavano al centro.
Sarebbe stato un successo.
Inspirò profondamente, girando nuovamente su se stessa e osservando la passerella che dominava il centro e il pesante tendone nero alla fine, che nascondeva il dietro le quinte dove si sarebbe svolta la parte più febbrile dell’intera serata: alcuni tecnici stavano aggiustando gli ultimi dettagli e un uomo risaltava in mezzo a tutti loro, con il completo grigio antracite e la pelle olivastra: «Maxime?» domandò Bridgette, attirando su di sé l’attenzione di Nathalie che, sistemati gli occhiali, si voltò nella direzione in cui lei guardava e rimase impassibile come sempre.
«Io non vedo nessuno» decretò l’assistente di Gabriel, facendo voltare Bridgette per un secondo: come poteva non vederlo? Era proprio al centro della passarella in mezzo agli elettricisti, si voltò nuovamente pronta a dimostrare la presenza del suo collaboratore ma tutto ciò che vide fu solamente gli addetti ai lavori che stavano finendo di completare il tutto.
Maxime.
«Era lì…» mormorò Bridgette, scuotendo la testa e indicando il punto in cui l’uomo era stato: l’aveva visto, n’era certa. Non poteva essere sparito nel nulla e non poteva assolutamente additare il tutto alla stanchezza dell’ultimo periodo: «Maxime…»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 52
*** Capitolo 51 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.623 (Fidipù)
Note: E si comincia! Una nuova settimana di aggiornamenti che si apre con Miraculous Heroes 3, ovviamente. Bene, che dire? Anche stavolta è un capitolo di collegamento e di spiegazioni: mi sto rendendo conto che ce ne sono stati veramente tanti in questa terza parte, ma ho dovuto tirare fili che tenevo in ballo da Miraculous Heroes e quindi l'azione è stata un po' abbandonata. Ma non temete, tornerà a breve!
Ma passiamo alle informazioni di servizio...
Come sempre vi ricordo la pagina facebook dove essere sempre aggiornati su capitoli, anteprime e coming soon, senza contare i miei disagi.
Vi ricordo che mercoledì verrà aggiornata La bella e la bestia, giovedì sarà il turno di Laki Maika'i, mentre venerdì ci sarà un nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3 e, infine, sabato sarà il turno di Scene.
Detto ciò, come sempre, voglio ringraziarvi tantissimo per il fatto che mi leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

Lasciò andare un sospiro, mentre lo sguardo vagava sul panorama di distruzione ormai familiare: «Dovremo trovare un posto un po’ più romantico per i nostri rendez-vous» decretò Rafael, senza voltarsi e sentendo la risata argentina alle sue spalle: «Non so quanti anni hai al momento, ma hai veramente bisogno di lezioni su come e dove portare una persona a un appuntamento.»
Kang ridacchiò nuovamente, affiancandolo in silenzio e rimanendo fermo lì con lo sguardo rivolto in avanti: «Nel mio tempo, questa visione si sta mitigando» mormorò dopo un po’, mentre le labbra si piegavano in un piccolo sorriso che gli rischiarò il volto: «E ciò significa che state facendo un ottimo lavoro.»
Rafael alzò un poco gli angoli della bocca, piegando le labbra in un sorriso appena accennato, senza voltarsi verso il suo interlocutore: «Mio padre è coinvolto» mormorò poi, lasciando andare un sospiro: «Ed io non ho proprio idea di cosa fare: mi ha lasciato tutte le sue ricerche, dicendo di darle agli eroi di Parigi ed io…»
«E’ quello che hai fatto, no? In un certo senso.»
«Devo salvarlo.»
Kang annuì lento con la testa, continuando a fissare davanti a sé: «E lo farai» sentenziò dopo un po’, lasciando poi cadere nuovamente il silenzio fra di loro: «I pezzi si stanno muovendo tutti nella direzione che volevo…»
«I pezzi? Siamo questo per te, Kang?»
Il ragazzino storse le labbra, piegando appena il capo: «E’ una brutta espressione, chiedo venia» bisbigliò, chinando poi la testa e lasciando andare un sospiro: «Ma quando vedi il disegno più ampio, non puoi fare a meno di pensare che tutti siano pezzi di un’enorme scacchiera: ho mosso e posizionato persone, seguendo la strategia che mi ha portato, in questo, momento a parlare con te. E’ un rischio, è peccare di superbia ma dovevo farlo. Dovevo in ogni modo fermare il mio consanguineo.»
«Quindi Kwon è un tuo parente?» domandò Rafael, voltandosi verso l’altro e vedendolo con un sorriso appena accennato in volto: «Sai, ho sempre amato quando le persone mi dicevano le cose in modo chiaro. Parla, quindi.»
Kang mantenne lo sguardo fisso davanti a sé, inspirando profondamente e lasciando andare l’aria: «I miti e le leggende che girano attorno alla mia patria, parlano di un unico grande cataclisma che distrusse tutto» si fermò, stringendo le labbra e socchiudendo poi gli occhi: «In verità per annientare quella civiltà, ne servirono tre: il primo autore fu una donna, colei che regnava sull’intera nazione e peccò di superbia; esse ebbe due figli, che divisero ciò che restava di quel grande impero ma, nuovamente, l’uomo peccò e un secondo cataclisma si abbatté e dette origine a ciò che voi conoscete come Daitya e Routo.»
«La patria dei kwami e l’altra isola…»
«Su Routo, la discendenza dell’ultima imperatrice continuò a regnare, mantenendo intatta la sua sete di potere e conquista. A Daitya le cose cambiarono e la discendenza abdicò in favore dei sette sacerdoti» Kang si fermò, sorridendo appena e voltandosi verso Rafael: «Kwon ed io discendiamo da quell’antica imperatrice, la cui sete di potere dette origine a tutto.»
Rafael assimilò le parole del ragazzo, la bocca aperta e lo sguardo sgranato, scuotendo poi la testa e lasciando andare il sospiro trattenuto, socchiudendo poi gli occhi: «Tu e Kwon siete cugini alla lontana?» buttò lì, portandosi una mano alla fronte e massaggiandosela: «Tu saresti una specie di principe?»
«Io sono niente, se non un vecchio con manie di grandezza che spera di fermare la parte marcia della famiglia.»
«Sei un principe.»
«Come ti ho già detto» Kang si fermò, sospirando e scuotendo appena la testa: «Non lo sono.»
«Sì, che lo sei. Tecnicamente saresti dovuto essere a capo di Daitya!»
«Tecnicamente, l’hai detto» Kang si fermò, alzando una mano e bloccando Rafael: «Possiamo concentrarci su altro? Prima che tu riprenda con la tua solfa sulla mia principesca discendenza, vorrei parlare di Kwon: lui vi attaccherà, o meglio vi farà attaccare ripetutamente, in modo da sfinirvi e poter così riuscire a prendere i Miraculous più facilmente…»
«E’ quello che sta già facendo. Mi sa che la tua sfera non funziona tanto a dovere, ultimamente.»
«A mia discolpa posso dire che non so esattamente in che preciso momento della storia sei» commentò Kang, storcendo le labbra e lasciando andare un sospiro: «Userà persone a voi vicine, sperando che in qualche modo lo portino ai Miraculous.»
«Persone a noi vicine…» Rafael ripeté queste parole, poggiando le mani sui fianchi e scuotendo la testa: «Com’è possibile? Kwon non sa chi siamo» si fermò, osservando l’altro alzare la testa verso il cielo e scuoterla poi: «Non mi spiegherai niente?»
«Al nostro prossimo incontro, Rafael.»


Wei strinse la macchinetta del caffè, poggiandola poi sul fornello e accendendolo, spostandosi velocemente lungo il bancone e iniziando a preparare la colazione anche per i kwami; si passò una mano sul volto, cercando di scacciare il rimasuglio di sonno che faticava a lasciarlo andare quel giorno, ascoltando il rumore di passi strascicati che lentamente si stavano avvicinando: «La colazione è quasi pronta» dichiarò, non appena sentì la presenza di Lila nella cucinetta.
Continuò a tagliuzzare l’insalata, sentendo la ragazza avvicinarsi finché non avvertì la fronte di Lila contro le spalle e il suo respiro caldo sulla pelle della schiena: «Vuoi andare da tuo padre?» le domandò, raggiungendo immediatamente il punto focale della situazione e senza tanti giri di parole: «E’ sempre tua madre.»
«Non so cosa potrei fare.»
«Qualunque cosa?» buttò lì Wei, chinando la testa all’indietro e toccando quella della ragazza con la nuca: «Puoi fare tantissime cose, Lila. Essere un aiuto morale per tuo padre, aiutare nelle ricerche…» si fermò, poggiando le forbici e la foglia di insalata sul piano della cucina e voltandosi, incontrando lo sguardo dell’altra: «Vuoi che venga con te?»
«Se ti dicessi sì, tu lo faresti» mormorò Lila, carezzandogli la guancia e sorridendo appena: «Ma preferirei che incontrassi mio padre in tempi più tranquilli. E poi Mercier…» si fermò, scuotendo la testa e facendo danzare i lunghi capelli: «Come farebbe senza di te?»
«E’ stato senza di me per gran parte della sua vita, potrebbe riuscire a sopravvivere un giorno solo.»
Lila scosse nuovamente il capo, mordendosi il labbro inferiore e lasciando andare il respiro, mentre teneva lo sguardo fisso avanti a sé: «No. E’ una cosa che devo fare da sola» dichiarò, spostando lo sguardo su quello di Wei e sorridendogli: «Ma so che, se ti chiamerò, tu risponderai subito.»
«Come sempre.»
«Ce la farò.»
«Sicura?»
«Sicurissima» decretò la ragazza con un sorriso in volto: «Andrò da mio padre, vedrò quel che posso fare per aiutare a ritrovare quella stupida di mia madre e poi…» si fermò, scuotendo le spalle: «Tornerò a casa, dove vivono quelle due piaghe di kwami nerd e il mio perfetto fidanzato.»
«E’ un buon piano.»

L’energia colpì in pieno petto Qionqgi, scaraventandolo contro il muro e facendolo gemere di dolore, mentre rovinava sul pavimento, il corpo completamente succube alle ferite e alle percosse subite: «Non siete nulla» la voce di Kwon tuonò nell’androne, facendo indietreggiare gli altri tre generali, mentre Yi rimaneva impassibile nell’ombra, osservando il suo signore usare nuovamente il Quantum per colpire Qionqgi.
Ancora una volta, il generale venne spedito contro il muro e un rivolo di sangue gli segnò l’angolo della bocca, mentre Kwon si voltava frenetico attorno a sé: «Non chiedo niente. Solo quei sette gioielli. E’ così difficile portarmeli?»
«Mio signore…» Hundun si prostrò ai suoi piedi, la fronte che toccava il pavimento e le mani congiunte avanti a sé: «Forse con un po’ di Quantum in più.»
«Ne ho sprecato fin troppo per voi. Avete perso ogni occasione, mandando le creature che io avevo forgiato per voi e perdendole, una dietro l’altra» Kwon si fermò, scuotendo la testa e sospirando: «Perché vi lascio ancora in vita? Perché vi permetto di avere ancora il Quantum che vi circola in corpo? Siete inutili. Siete…»
«Un’ultima possibilità» la voce di Qionqgi fermò la discussione e Kwon si voltò verso di lui, mentre con fatica si rialzava dal pavimento, tenendosi le mani sull’addome e lo sguardo rivolto verso il basso: «Ho ancora una carta nella mia mano. Una carta molto buona.»
Kwon lo fissò, rimanendo immobile e poi lasciando andare il respiro: «Spero per te che sia una carta vincente, Qionqgi. La mia pazienza è al limite.»
«Sì, mio signore.»
    

Si tolse gli occhiali da sole con un gesto fluido della mano, mentre entrava all’interno della Fondazione Vuitton e si fermava nei pressi della porta a vetri, bloccata dal suono del suo cellulare: velocemente lo prese dalla tasca del giaccone e sorrise al nome del mittente della chiamata: «Gabriel» tubò allegra, ascoltando il sospiro e poi la voce dell’uomo dall’altra parte della linea: «Sì, ti ho chiamato. Sinceramente, non so davvero come ringraziare Nathalie. La tua assistente è un genio» sentenziò Bridgette, incastrando il cellulare fra il volto e la spalla, mentre rovistava nella borsa alla ricerca delle chiavi del suo ufficio: «Sai per caso se le piace qualcosa di particolare, Gabriel? Vorrei farle un regalo per tutto il lavoro che ha fatto per me» la donna si fermò, sorridendo quando trovò l’oggetto a lunga cercato e, recuperato il telefono in mano, scosse il capo: «Come non sai cosa gli piace? E’ la tua assistente! Non parlate mai? Io so vita e morte di Maxime. Almeno, fino a poco fa sapevo vita e morte di quel traditore…»
Bridgette rimase in silenzio, ascoltando la risposta concisa dell’uomo dall’altro capo del telefono e osservando con disinteresse le persone all’entrata della Fondazione Vuitton: le ragazze alla reception, un fattorino, Maxime.
Bridgette sgranò lo sguardo, osservando il suo assistente mentre camminava tranquillo verso la parte dell’edificio che, di norma, veniva allestita per le esposizioni a lungo termine: «Scusa, Gabriel. Devo andare. Salutami Sophie» dichiarò veloce, chiudendo la chiamata e dirigendosi velocemente nella direzione in cui il suo assistente era andato.
Maxime era tornato senza dirle niente?
Camminò spedita, il rumore dei tacchi che risuonava nel corridoio e si fermò, osservando la porta aperta alla fine del disimpegno: se non ricordava male, in quella sala c’era l’esposizione di un giovane stilista che aveva esposto lì le proprie creazioni; si avvicinò e mise la testa all’interno, osservando i manichini all’entrata, agghindati con abiti dai colori appariscenti: «Maxime?» domandò, aprendo un poco la porta ed entrando, guardandosi attorno: la sala era quadrata con le mura candide e senza altre uscite se non quella da cui era appena entrata; una manciata di manichini erano sparpagliati ma di Maxime neppure l’ombra.
Poteva una persona essere svanita così?
Oppure era lei che si era immaginata tutto?
Bridgette scosse il capo, lasciando andare un sospiro e, dopo aver dato una nuova occhiata alla sala, tornò sui suoi passi e si chiuse la porta dietro di sé: sicuramente aveva immaginato tutto. Un uomo non poteva scomparire così dal niente.
Sì.
Stava lavorando veramente troppo e, da quando con Felix le cose si erano aggiustate, anche a casa...
Beh, le energie a quanto pareva iniziavano a scarseggiare.
Non che si lamentasse, ma la stanchezza si stava facendo sentire a quanto pareva.


Xiang prese un nuovo fascicolo, aprendolo e fermandosi al titolo del primo articolo, trattenendo l’aria dentro di sé e alzando una mano tremante, carezzando l’ultima parola: Shangri-la.
A quanto pareva il padre di Rafael non aveva indagato solamente sulla famosa Atlantide, ma era anche andato alla ricerca delle altre civiltà perdute.
Shangri-la.
Chiuse gli occhi e subito la sua mente la trasportò fra le sue montagne: il panorama che vedeva dall’apertura della grotta, i pendi ripidi che tante vite avevano tolto, la vegetazione che copriva tutto con il suo verde e si lasciava morire quando l’inverno giungeva; la sua città natale, ormai vuota e deserta, ridotta a un cumulo di pietre senza vita.
Quanto tempo era passato da quando aveva lasciato tutto ciò?
Le sembravano trascorsi anni, se non millenni.
Le sembrava di vivere da sempre a Parigi, quando invece era in quella della città da solo una manciata di mesi.
Briciole di tempo per lei o, per meglio dire, ciò che era stata.
«Tutto ok?»
La voce di Thomas la fece trasalire e Xiang riaprì lo sguardo, osservando quelli curiosi del Portatore della Farfalla e della piccola Manon: erano giunti da Fu dopo le lezioni e si erano messi a studiare la storia di Atlantide assieme a lei, in attesa che Alex tornasse dalle sue lezioni universitarie.
«Sì» mormorò, scuotendo la testa e chiudendo il fascicolo, riponendolo nella pila di quelli decretati inutili e prendendone un altro, aprendolo e leggendo velocemente il titolo: Atlantide e la sua religione.
Forse lì c’era qualcosa di utile.
Shangri-la non era importante, in quel momento.
«Certo che il papà di Rafael è veramente ordinato» commentò Manon, chiudendo l’ennesimo fascicolo: «Non lo credevo. Pensavo fosse come quelli che si vedono in televisione…»
«Rafael dice che lo è solo con le cose che riguardano il lavoro» dichiarò Thomas, alzando lo sguardo dai fogli e scrollando le spalle: «Per tutto il resto è un disordinato cronico. Almeno lui dice così.»
«Capito.»
Xiang sorrise, ascoltando i due e poggiando il viso contro il pugno chiuso, osservandoli mentre la discussione degenerava e iniziavano a battibeccare sul fatto di essere disordinati o meno: aveva vissuto tantissimo, eppure mai come nell’ultimo periodo si era sentita viva.
Le emozioni che provava, le situazioni in cui si trovava…
Tutto era nuovo e strano per una come lei, che era vissuta nella pietra fino a poco tempo prima.
Adesso finalmente comprendeva ciò che le raccontava sempre Felix, capiva perché Kang non aveva mai voluto che lei si fossilizzasse a Shangri-la e sentiva un dolore sordo al petto, ogni volta che il suo pensiero andava a un imminente partenza per ritornare al suo luogo natio.
Forse un giorno sarebbe tornata a Shangri-la, ma sapeva che sarebbe stato un addio carico di dolore: si era affezionata a tutti loro e non voleva dire addio a nessuno.
Alex.
Non voleva dire addio ad Alex.
Il giovane che aveva puntato come anello debole della catena, era entrato nella sua vita come un uragano e l’aveva cambiata come aveva fatto anche con lei: Alex era diventato importante per lei e lo comprendeva ogni giorno di più, sebbene sarebbe morta piuttosto che dargli quella soddisfazione.
Come diceva Lila?
Gli uomini vanno tenuti un po’ sulle spine, prima di accontentarli.
E lei stava provando a mettere in pratica quella massima dell’italiana.
Fallendo o riuscendo, questo non poteva saperlo.
«Forza, forza» la voce del Maestro Fu li fece trasalire tutti e tre: «Siete qua per studiare e aiutare i ragazzi o chiacchierare?»
«Per chiacchierare?» buttò lì Thomas, scambiandosi un sorriso pieno di complicità con le altre due: «E vorrei ricordare che io sono uno degli eroi di Parigi.»
«La cui prima azione è stata quella di akumatizzare sua sorella.»
«Zitta, Marionettiste!»
«Non rivangare il mio passato!»
«Tu puoi ed io no?»
«No!»
«Ma non ha senso!»
Xiang ridacchiò, osservando una nuova lite nascere fra i due ragazzini e si scambiò uno sguardo con il maestro Fu: «Amore e guerra sono le facce della stessa medaglia» sentenziò l’anziano, scuotendo il capo e sistemandosi su una sedia libera: «O almeno così dicono…»


Marinette osservò la frutta, storcendo le labbra e allungando poi la mano, infilata nel guanto di plastica, e prendendo un po’ di arance, chiuse poi il sacchetto di plastica e lo passò al ragazzo al suo fianco: «Banane? Kiwi?» domandò, voltandosi verso Adrien e vedendolo applicare l’etichetta al sacchetto e posarlo poi nel carrello di plastica verde: «Mele?»
«Mele e banane» le rispose il ragazzo, indicando poi con la testa le baguette esposte oltre la frutta: «Mi dispiace tradire Tom, ma abbiamo finito il pane.»
Marinette mugugnò una risposta, facendolo sorridere: «Per una volta non morirai, mon coeur» le disse il ragazzo, avvicinandosi e posandole un bacio sulla tempia: «Quante ne prendo? Una o due?»
«Una» borbottò la ragazza, recuperando una nuova busta di plastica e infilandoci poi dentro con stizza alcune mele: «Mi rifiuto di mangiare quel pane un giorno di più.»
«Domani passo da Tom, promesso» dichiarò Adrien, avvicinandosi alle baguette e prendendone una, infilandola in una busta di carta marrone e raggiungendo poi il carrello: «Devo prendere anche il camembert.»
«Ah. Manca anche il sapone per i piatti e quello per i pavimenti.»
«D’accordo» cantilenò il ragazzo, poggiandosi al carrello e osservandola mentre infilava in una nuova busta le banane: «Shampoo? Bagnoschiuma?»
«Se continui con le tue docce da modello, dovremmo prendere anche quelli.»
«Spiritosa» commentò Adrien, facendole la linguaccia e spingendo poi il carrello, seguendola fra i corridoi del supermercato: «Piuttosto, stasera che ci mangiamo? Il frigo è deserto.»
«Come al solito…»
«Abbiamo dei problemi a tenere il frigo pieno, mi sa.»
«Tu dici?»
«Marinette, siamo sposati da più di un mese e non lo abbiamo mai avuto pieno per più di due giorni consecutivi» decretò Adrien, fermandosi e osservandola mettere nel carrello due bottiglie di succo di frutto: «Anche quello alla pesca, grazie» l’osservò, mentre prendeva una bottiglia di succo e la posava nel carrello, riprendendo poi a seguirla fra i vari scaffali, mentre il contenuto della loro spesa aumentava velocemente.
«Ah. Devo prendere anche una cosa» mormorò Marinette, fermandosi all’improvviso quasi nei pressi della cassa e tornando indietro, sotto lo sguardo pieno di curiosità di Adrien che, le mani sulla barra orizzontale del carrello, spinse il mezzo fino alla zona dove la ragazza era tornata e ridacchiò, quando la vide studiare le confezioni di assorbenti: «Sai, fino a che non siamo andati a vivere assieme, non sapevo che ce ne fossero così tanti tipi…» commentò, osservandola per un breve momento e notando il lieve rossore che era apparso sulle guance.
«Non potevi aspettarmi alla cassa?» gli domandò Marinette, voltandosi verso di lui e scuotendo la testa, tornando poi al suo lavoro e mettendo nel carrello due confezioni: «Potevo tranquillamente tornare da me.»
«E farti girare con una confezione di assorbenti con le ali e una di…» Adrien si allungò sul carrello, recuperando il pacchetto e rigirandoselo fra le mani: «Ultra? Lungo con ali? C’è qualcosa che non mi hai mai detto Marinette?»
«Sono per…» la ragazza si fermò, scuotendo la testa e lasciando andare un sospiro: «Devo proprio spiegartelo?»
«Sono tuo marito. E’ un mio dovere sapere queste cose. E se per caso, te ne servisse uno e non saresti cosciente? Come potrei aiutarti se non sapessi a cosa servono.»
Marinette si portò una mano al volto, facendosi aria con quello e provando a ignorare il volto che le andava a fuoco: «E’ per quando ne ho tanto» borbottò la ragazza, alzando gli occhi al cielo e mormorando parole di ringraziamento, quando la suoneria del suo cellulare mise fine a quella conversazione; recuperò il telefono dalla borsetta, seguendo Adrien che puntava verso le casse, e rispose senza controllare il mittente della chiamata: «Allô?» domandò, senza ricevere nessuna risposta dall’altra parte.
Si fermò in mezzo al corridoio fra gli scaffali, controllando il mittente e accorgendosi solo in quel momento che era un numero a lei sconosciuto: «Chi sei?» chiese, portando nuovamente il telefono all’orecchio e alzando lo sguardo, incontrando quello curioso di Adrien che si era fermato, a pochi passi di distanza.
«Marinette.»
La voce nel telefono le provocò un brivido lungo la schiena, mentre serrava le dita attorno all’apparecchio e il cuore iniziava a batterle velocemente in petto, mentre la lingua le si faceva pesante in bocca e un nodo le serrava la gola: si trattenne dal guardarsi attorno, quasi convinta che se si fosse girata avrebbe trovato la figura vestita di nero: «Nathaniel» mormorò, tenendo lo sguardo su Adrien e osservandolo irrigidirsi appena: «Che cosa vuoi?»
«Sentire la tua voce» disse il ragazzo dall’altra parte del telefono, la voce ridotta a un sussurro: «Mi manchi, Marinette.»
«Questo non sei tu, Nathaniel.»
«E chi te lo dice?»
Marinette aprì la bocca, pronta a rispondere ma si fermò, avvertendo la presa ferrea di Adrien sulla mano che, con gentilezza, le toglieva il telefono di mano e se lo portava all’orecchio: «Ehilà, Testa a pomodoro» esclamò allegro, mentre la mano libera si stringeva a quella della moglie: «Sempre a importunare le donne altrui?»
«Lei è mia.»
Adrien ridacchiò alle parole piene di veleno, incontrando lo sguardo celeste e poggiando la fronte contro quella della ragazza: «Abbiamo già fatto questa conversazione, genio» commentò con la voce piena di stanchezza: «Quindi, fai un favore all’umanità, e piantala.»
«Tu…»
«Io ti avviso» decretò Adrien, stringendo la mascella prima di riprendere a parlare: «Non provare più a chiamare mia moglie, ad avvicinarla o altro, perché ti farò pentire di essere nato.»
«Come se tu ne avessi il potere.»
«Ti conviene non sottovalutarmi, Testa a pomodoro» decretò Adrien, chiudendo poi la chiamata e passando il telefono a Marinette, sorridendo dolcemente allo sguardo celeste che era fisso su di lui: «Perdono, ma sentivo il bisogno di intervenire.»
«E non pensi che, dicendogli così, ti attaccherà di nuovo? Non sappiamo quante creature a sua disposizione abbia.»
«Meglio me che te.»
«Adrien.»
«Con i tentacoli abbiamo appurato che sono immortale, no?»
«No. Tu non sei immortale, sei solo un grandissimo idiota» decretò Marinette, avvicinandosi al carrello e spingendolo verso le casse, ignorando il richiamo del ragazzo alle sue spalle, continuando per la sua strada finché Adrien non le si parò davanti, bloccando il carrello e fissandola in volto: «Che c’è?»
«Lo so che non vuoi che io mi metta in pericolo, ma dobbiamo mettere in conto che Nathaniel vuole te ed io sono un ostacolo per lui» decretò Adrien, accennando appena un sorriso: «Se vogliamo salvarlo è l’unico piano che abbiamo.»
«No, è l’unico piano che tu hai ideato, senza chiedere aiuto o consiglio.»
«Non è il caso di essere così puntigliosi.»
«E se ti succedesse qualcosa? E se…»
«Marinette, gli ‘e se…’ non sono certezze.»
«Ma potrebbero esserlo.»
«Non sarò mai in pericolo, Marinette» dichiarò Adrien, sorridendole appena: «Ladybug sarà sempre pronta a salvarmi. E anche gli eroi di Parigi.»
«Sei sicuro di questo?»
«Assolutamente sì» disse il ragazzo, facendole l’occhiolino e chinandosi verso di lei: «Ladybug è fin troppo innamorata di me per lasciarmi a me stesso.»
«Dovrebbe farlo» sentenziò Marinette, muovendo il carrello e liberandolo dalla presa di Adrien, superandolo e sentendolo mentre bisbigliava con convinzione il contrario, ben sapendo quanto lui avesse ragione.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 53
*** Capitolo 53 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.450 (Fidipù)
Note: Nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3 e, finalmente, ecco a voi il tanto famigerato evento di Bridgette, per il quale la donna ha maledetto in ogni lingua conosciuta e non il suo assistente scomparso e che si diverte a fare le apparizioni random. Chissà perché. Chissà come mai.
Ovviamente, quando si tratta di eventi di moda, ecco che torna la cara Blanche, la modella di casa Agreste che...
Beh, almeno una volta deve comparire in ogni storia.
E detto questo non ho tanto altro da dire, se non passare alle solite informazioni di rito: come sempre vi ricordo la pagina facebook dove essere sempre aggiornati su capitoli, anteprime e coming soon, senza contare i miei disagi.
Vi ricordo che mercoledì verrà aggiornata La sirena, mentre giovedì sarà il turno di Laki Maika'i e venerdì quello di Miraculous Heroes 3, con il secondo capitolo capitolo; chiuderà la settimana Lemonish, aggiornata come sempre di sabato.
Detto ciò, come sempre, voglio ringraziarvi tantissimo per il fatto che mi leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

Si voltò appena, osservando l'altro occupante dell'abitacolo posteriore dell'auto e facendo scivolare lo sguardo sulla sua figura: l'abito rosso accarezzava le forme della ragazza e la profonda scollatura lo fece sorridere leggermente, guardandola mentre s’irrigidiva appena e le dita serravano la presa sulla pochette che teneva in grembo, continuando ostinatamente a fissare la strada al di là del vetro.
Adrien scivolò sul sedile, poggiando la fronte contro la spalla lasciata scoperta dall’abito: «Hai in mente di tenermi il broncio per parecchio?» le domandò, alzando un dito e facendo scivolare la stola che la ragazza aveva usato per coprirsi, baciandole la pelle: «Sono già tre giorni, my lady.»
Marinette lasciò andare un sospiro, muovendosi appena e rifuggendo dal contatto con il ragazzo, osservandolo poi seria: «Non ti sto tenendo il muso» mormorò la ragazza, alzando una mano e facendosi aria con quella, mentre Adrien sorrideva appena e scivolava ancora più vicino a lei, imprigionandola fra lo sportello dell’auto e se stesso, usando come punto di appoggio la spalliera del sedile e, piegato il gomito, usò il pugno chiuso per sostenersi la testa: «Puoi tornare al tuo posto?» gli domandò Marinette, fissando imbronciata il sorriso sardonico che il giovane aveva in volto.
«La mia vicinanza non ti ha mai dato fastidio, my lady» dichiarò Adrien, piegandosi un poco e sussurrandole nell’orecchio: «Anzi, se non erro, l’apprezzi molto. A parte gli ultimi tre giorni…»
«Immagino che hai tenuto anche il conto delle ore.»
«Tre giorni, sette ore e una quarantina di minuti» le rispose immediatamente il marito, dopo aver dato un’occhiata all’orologio: «E tutto per una sciocchezza.»
«Hai tenuto il conto delle ore…» sospirò Marinette, scuotendo il capo e fissandolo in volto: «Rischiare la tua vita non è una sciocchezza, in ogni caso.»
«Non rischio la mia vita…» mormorò Adrien, avvicinando più il viso a quella della ragazza e indicandole con un lieve cenno del capo l’autista: per quanto il Gorilla fosse un uomo silenzioso, Adrien preferiva non rischiare e sorrise quando vide la ragazza annuire lievemente con il capo: «La mia vita è al sicuro, mia signora. Voglio solo proteggerti con tutto ciò che ho a disposizione. Anche me stesso, se devo.»
«Ti devo ricordare quante volte sei caduto sotto il controllo degli akumatizzati di tuo padre, pensando in questo modo?»
«No, grazie.»
Il volto di Marinette s’illuminò con un sorriso di vittoria, voltandosi poi verso il ragazzo e baciandolo veloce sulle labbra, poggiando poi la testa contro di lui e sentendo il petto tremare sotto la risata che le giunse alle orecchie: «Non sai proprio starmi lontana, eh?» le domandò Adrien, facendole alzare la testa e incontrando lo sguardo verde e pieno di ilarità: «Sono impossibile, lo so.»
Marinette inspirò profondamente, negando poi con la testa e sistemandosi meglio nel suo abbraccio, ignorando il fatto che non erano soli nell’auto ma che la figura silenziosa del Gorilla faceva loro compagnia: poteva sentire le dita di Adrien carezzarle la pelle lasciata scoperta dall’abito e dalla stola, cullandola nella sua presa senza lasciarla andare: «Nulla mi separerà da te» dichiarò deciso il ragazzo, stringendola leggermente più forte e baciandole la tempia: «Assolutamente nulla, figurarsi una testa di pomodoro inutile come è Kurtzberg.»
«Sai, non puoi saperlo» mormorò Marinette, sorridendo con dolcezza a quelle parole e posandogli una mano all’altezza del cuore, carezzando la stoffa candida della camicia: «Potrebbe succedere un incidente proprio ora, la macchina sterza all’improvviso e…»
«E rimaniamo coinvolti in un incidente pazzesco, io rimango ferito e vado in coma, intanto tu vieni salvata da una spia russa e te ne innamori subito» la interruppe Adrien, facendole l’occhiolino e sorridendo allo sguardo sgranato e alla bocca aperta di Marinette: «Ehi, ho imparato da te a fare film mentali.»
«Dovremmo rivedere questa cosa delle spie russe.»
«Concordo. Devo ancora capire da dove le hai tirate fuori» dichiarò Adrien, poggiando la testa contro quella della moglie e ridacchiando divertito, mentre l’ascoltava borbottare qualcosa contro le spie russe e il loro intromettersi costantemente.


Felix fece ondeggiare il liquore nel bicchiere, osservando le bollicine risalire il liquido dorato e poi portandoselo alla labbra, buttandolo giù tutto in un sorso, sentendo il sapore frizzante dello champagne nella gola, riportando poi l’attenzione sulla star della festa: Bridgette sorrideva cordiale a una donna, meravigliosa nell’abito nero che aveva indossato per l’evento dedicato al suo marchio, splendente come Venere nel firmamento.
«Se continui a fissarla così, la spoglierai con gli occhi» mormorò la voce di Fu, facendolo sorridere appena e spostare l’attenzione sul vecchio compagno d’armi: l’anziano cinese era al suo fianco e stava strattonando la giacca scura che aveva indossato sopra la consueta camicia hawaiana, ormai il simbolo dell’ex-Portatore del Miraculous della Tartaruga.
«L’intento è quello» dichiarò Felix, sorridendo appena e alzando il calice vuoto fra le sue dita, osservando un cameriere poco distante annuire al suo gesto: «Quando eravamo a Nanchino mi mettevo sempre in un angolo e la fissavo, finché lei non si voltava verso di me e mi sorrideva» si fermò, scuotendo la testa e sorridendo appena al ricordo: «Quanto tempo sprecato…»
«Vi siete ritrovati adesso.»
Felix annuì, inspirando l’aria e osservando il cameriere raggiungerlo con un nuovo calice di champagne per lui: accettò l’offerta, scambiandola con il bicchiere vuoto che teneva con l’indice e il pollice, buttando poi giù il contenuto del nuovo bicchiere: «Sarebbe andata diversamente se io non mi fossi comportato come uno che aveva un palo infilato su per il…»
«Felix!»
La voce scandalizzata di Bridgette lo fermò, facendolo voltare verso la donna e regalarle un sorriso divertito: «Non mi apprezzi forse per il mio linguaggio colorito, Bri?» domandò, mentre lo sguardo azzurro scivolava sulle forme generose che erano mal contenute nello stretto abito nero e quasi si pregustava il momento in cui sarebbero stati soli e avrebbe potuto gioire di tutte quelle delizie che poteva reclamare come sue.
«In verità lo odio» borbottò la donna, scuotendo il capo e incrociando le braccia al seno, guardandosi poi attorno e tirando le labbra fino a farle diventare una linea sottile, mentre il corpo sembrava abbandonarsi a un peso invisibile: «Secondo voi sta andando tutto bene?» domandò con la voce ridotta a un sussurro, sciogliendo l’intreccio delle braccia e portandosi una mano al volto, posandosi l’indice sulle labbra e lasciando andare un sospiro.
«C’è gente. C’è alcool. Per me è un successo» commentò Felix, alzando le spalle e scrollandole poi, mente le mostrava il calice nuovamente vuoto, guardandosi poi attorno e sorridendo al cameriere di poc’anzi, notando come questo avesse immediatamente compreso: «Quel tipo mi piace. Capisce al volo.»
«E’ il terzo bicchiere che ti porta» borbottò Fu, scuotendo la testa e alzando gli occhi al cielo, lasciando andare un sospiro: «Ormai ha capito che sei un ubriacone.»
«Mi piace bere, è differente. E questo champagne è veramente ottimo.»
«L’ha scelto Nathalie» dichiarò Bridgette, fermandosi quando il cameriere giunse veloce verso di loro, con un nuovo bicchiere per Felix: «Se vuoi le chiedo la marca, così puoi ordinarla.»
«Oh sì. Grazie mille.»
Bridgette annuì, sorridendo appena e poi facendo spaziare lo sguardo sulle persone raccolte nella sala e sorridendo alla vista dei coniugi Agreste: Gabriel austero e impeccabile con un completo chiaro della sua linea e Sophie meravigliosa in un abito blu pavone, che le fasciava la figura snella, mentre i capelli biondi erano abbandonati sulla spalla destra in una coda morbida, notando poi la figura minuta e aggraziata di Marinette, poco distante da loro: «Gabriel! Sophie! Marinette!» li chiamò, agitando per aria la mano e muovendola con grazia, richiamando così il trio.
Sorrise, vedendo i tre avvicinarsi a loro: «Grazie per essere venuti» esclamò, non appena si furono riuniti e sentendo un po’ della tensione lasciare il suo corpo: «Non sapete quanto sia felice di vedervi qua.»
«Non avrei mai potuto mancare» dichiarò Sophie, allargando le braccia e stringendola in un abbraccio pieno di affetto, posandole poi le mani sulle spalle e sorridendole cordiale: «Adrien è stato catturato da Nathalie non appena è arrivato.»
«Sì, grazie a tuo marito» Bridgette si fermò, indicando Gabriel con un cenno del capo: «Adrien e Rafael si sono gentilmente offerti di sfilare per me oggi.»
«Oh, ecco perché il gattino non è al fianco della signorina» dichiarò Felix, avvicinandosi a Marinette e spintonandola leggermente, mentre la risata cristallina gli usciva dalle labbra: «Come si sta in libera uscita, madame coccinelle?»
«Fino a che non ho incontrato te, Felix, meravigliosamente.»
«La ragazza sa rispondere a tono» dichiarò Felix, ghignando e passandole un braccio attorno alle spalle, stringendola a sé: «E con un gattino come il tuo, ti servirà tutto ciò. Fidati delle mie parole.»
«Dato che avete un carattere molto simile…» Bridgette sospirò, scuotendo la testa e fissando l’uomo, prima di lasciare andare un sospiro e riportando l’attenzione sui coniugi al suo fianco: «Devo ancora ringraziarti, Gabriel. Nathalie è stata preziosissima.»
«Sono felice di saperlo» dichiarò l’uomo, sorridendo appena e guardandosi attorno, annuendo e posando di tanto in tanto l’attenzione su ciò che lo catturava: «Ha fatto veramente un ottimo lavoro.»
«E’ stata miracolosa» decretò Bridgette, ridacchiando alla sua battuta e portandosi una mano alle labbra: «Ah, Marinette. Ho visto Lila, Sarah e Wei. Erano con Alex e Xiang.»
«Li raggiungo subito.»


Hawkmoth balzò sul davanzale, entrando con un movimento fluido nella camera di Manon e guardandosi attorno senza trovare alcun segno dell’amica: possibile che non fosse in casa? Eppure non gli aveva detto niente riguardo a uscite o quant’altro.
Scosse il capo, avvicinandosi alla libreria e sorridendo alla vista dei volumetti, facendo scorrere un dito guantato su di essi.
Se qualche mese prima, qualcuno gli avesse detto che avrebbe trovato divertente stare in compagnia di Manon, avrebbe sicuramente pensato che quel tipo aveva bisogno di un qualche ricovero.
Beh, qualche mese prima non pensava nemmeno che sarebbe diventato un supereroe.
Lo scalpiccio di passi nel corridoio su cui si affacciava la camera lo mise in allarme e subito si fiondò nell’angolo morto dietro la porta, sperando di non fare spiacevoli incontri: sarebbe stato veramente complicato spiegare il perché della sua presenza lì, senza rivelare anche la sua identità soprattutto se fosse entrata la madre di Manon.
Non era adatto a mantenere i segreti.
Se lo sentiva.
E sapeva che una donna come Nadja Chamack sarebbe stata capacissima di metterlo con le spalle al muro.
La porta si aprì di colpo e Hawkmoth sentì la maniglia conficcarsi nella pancia, provocandogli dolore e facendogli storcere la bocca; gli occhi gli si riempirono di lacrime, offuscandogli la vista di una figura minuta che si era lanciata sul letto e alle sue orecchie giunse il suono attutito di un pianto.
Rimase immobile, indeciso se palesare o meno la sua presenza, mentre osservava l’amica versare tutte le sue lacrime sul cuscino e non capendo cosa l’avesse resa così infelice. O chi.
Strinse le dita, richiudendole a pugno, mentre poteva sentire il suo corpo diventare preda di una rabbia immotivata e il bisogno di vendicare il torto subito da Manon farsi sempre più presente.
Manon si tirò su, guardandosi attorno quasi come se un rumore l’avesse attirata: rimase seduta nel letto, asciugandosi le lacrime e facendo vagare lo sguardo per la camera, finché non si puntò sulla porta ancora aperta: «Hawkmoth?» domandò, gettando le gambe fuori dal letto e andando velocemente a chiudere l’uscio della sua stanza, osservando il giovane eroe parigino: «Che fai qui?»
«Ah…ecco…io…» Hawkmoth si portò una mano alla nuca, massaggiandosela e sorridendo appena, incapace di guardare in volto l’amica e puntandolo sulla scrivania alle sue spalle: «Mi annoiavo a casa ed ero venuto…»
«Ah» Manon abbassò la testa, stringendo l’orlo della maglietta e sgualcendolo sotto la tortura che gli stava sottoponendo: «Io…»
«Perché piangevi?»
«Cosa?»
«Perché piangevi?»
«Niente.»
«Non era niente se piangevi.»
Manon lo fissò in volto, sorridendo e scuotendo poi il capo, passandosi nuovamente una mano sulle guance e sentendo la pelle leggermente umida: «Noemie mi ha fatto un agguato mentre rientravo a casa» commentò, avvicinandosi al letto e sedendosi su di questo con le mani intrecciate in grembo e gli occhi fissi su queste: «Non mi ha detto cose tanto carine. In verità dovrei esserci abituata ma…»
«Mh. Mi chiedo se gli altri mi darebbero l’autorizzazione ad akumatizzarla…»
«Thomas!»
«Hawkmoth, al momento» la riprese il ragazzo, alzando una mano e facendo segno di no con l’indice: «Inoltre non penso che potrei farlo. Anzi, dovrei trovare qualcuno che la odi per akumatizzarla e…» si fermò, un sorriso divertito in volto: «Come hai detto che ti chiami da akumatizzata?»
«Non lo farai.»
«Ma…»
«Posso sopportare tranquillamente. Sono abituata a Noemie.»
«Sei noiosa.»
«No, sei tu che vuoi usare facilmente i tuoi poteri» dichiarò Manon, incrociando le braccia e alzando il mento: «Alex mi ha spiegato perché c’è stato bisogno di un nuovo Portatore della Farfalla, sai?»
«Maledetto Alex.»
«Ma, in ogni caso, grazie. Grazie solo per averlo pensato.»
«Di niente, madamoiselle.»


La musica dai ritmi veloci rimbombando nei petti di tutto, mentre i modelli sfilavano sulla passerella sotto gli sguardi dei partecipanti all’evento: «Devo dar loro il merito di essere dannatamente bravi nel lavoro» dichiarò Lila, osservando Rafael giungere alla fine della passerella e girare su se stesso, mostrando così il completo che indossava e poi ritornando sui suoi passi, mentre Adrien aveva già cominciato la sua sfilata: «Idioti, insopportabili ma dannatamente bravi.»
«Vi rendete conto che guadagnano un casino solo per camminare su una passerella?» commentò Alex, scuotendo la testa e fissando l’amico mentre si fermava sul finire della pedana: «Potrei farlo anche io. O Wei.»
«Ne dubito, Alex.»
«Andiamo, amico! Un po’ di ottimismo!» esclamò l’americano, dando una manata sulla spalla di Wei e scuotendo poi la mano, con il sottofondo della risatina piena di allegria di Lila: «Wei, mai sei fatto di adamantio?»
«Cosa?»
«Roba da nerd, cucciolo.»
«Comunque io continuo a dire che dovremmo sentire la nostra cara babbiona» riprese Alex, voltandosi e cercando appoggio in Xiang, seduta al suo fianco: «Come mi vedreste a fare il modello?»
«Malissimo.»
«Sarah, non sei interpellata.»
«Non hai specificato, quindi sono stata interpellata anche io.»
Alex sospirò, scuotendo il capo e guardando la modella che stava iniziando, in quel momento, a sfilare davanti: «Uh. Blanche» esclamò con un sorrisetto sul volto, tenendo lo sguardo fisso sulla bella ragazza che aveva conosciuto tempo addietro, senza accorgersi degli occhi fissi su di lui e che erano molto vicini a smembrarlo con la semplice vista.
«Alex, ti conviene togliere lo sguardo di dosso da Blanche, se non vuoi che Xiang ti uccida» dichiarò Lila, chinandosi in avanti e sorridendo all’americano, che si era voltato verso di lei con un’espressione confusa in volto: «Ha appena reso verità la famosa frase: se uno sguardo potesse uccidere…»
«Non ho ucciso nessuno io.»
«Ma stavi per farlo, Xiang.»
«Non è vero, Lila.»
«Oh, mia dolce futura signora Simmons» cantilenò Alex, passando un braccio attorno alle spalle della giovane e tirandola verso di sé: «Sei gelosa di me.»
«Lila non vede bene.»
«Lila vede benissimo, invece.»
«Lila, non dare fastidio a Xiang.»
«Sì, cucciolo.»


«Dammelo» dichiarò Bridgette, togliendo di mano a Felix il calice di champagne e bevendolo in un solo sorso, abbassando poi la mano e lasciando andare un sospiro, voltandosi poi verso l’uomo al suo fianco, che la fissava con lo sguardo azzurro sgranato: «Che c’è?» domandò, inclinando la testa e portandosi indietro un ciuffo di capelli scuri: «Sono nervosa. E quando sono nervosa, bevo.»
«Buono a sapersi» commentò Felix, aggiustandosi la giacca candida e riportando l’attenzione sui modelli e modelle che sfilavano davanti a loro: «Non penso ci sia niente di cui preoccuparsi, in ogni caso.»
«E da cosa lo deduci?»
«Dal fatto che tutti mi sembrano interessati ai tuoi modelli?» buttò lì Felix, sorridendo appena e incrociando le braccia: «E’ un successo questo evento.»
Bridgette lo fissò, stirando poi le labbra in un sorriso e annuendo con la testa, riportando l’attenzione sulla sfilata mentre inspirava profondamente: «Grazie» mormorò, voltandosi appena verso l’uomo e vedendolo accettare quel semplice ringraziamento con un gesto del capo.
«Sono qui per questo, Bri.»


Qionqgi alzò una mano, posandola sopra la pozza d’acqua e socchiuse gli occhi, sentendo l’energia scivolare lungo le sue arterie, quasi fosse un serpente, e concentrarsi sulla punta delle dita; inspirò profondamente, continuando a concentrarsi finché non sentì il Quantum malleabile nella sua mano: alzò il palmo verso l’alto, chiudendo lentamente le dita una per una, stringendo poi la mano a pugno finché una piccola goccia di energia non traboccò e scivolò verso il basso, mischiandosi all’acqua della polla.
Le immagini vorticarono e Qionqgi sorrise, osservando ciò che voleva.
Avrebbe voluto attaccare, ma l’ennesimo fallimento non sarebbe stato perdonato se non con la sua dipartita.
Aveva provato nuovamente, mandando la sua creatura che tanto assomigliava a un quadro che adorava nell’altra sua forma, ma ancora una volta era fallito tutto.
Perché era così debole?
Perché non riusciva a ottenere ciò che voleva?
Perché doveva soccombere?
Strinse più forte le dite e nuove stille di Quantum caddero nell’acqua, creando nuovi vortici e mostrandogli il suo passato: la vita servizievole presso la donna che lo aveva portato a Parigi, trascinandolo via dalla sua città natale, il disagio provato quando quella donna era scomparsa e poi il potere che aveva ricevuto per mano del suo signore.
Una sola creatura rimaneva in suo possesso.
L’ultima.
L’ultimo tentativo prima della disfatta.
Doveva vincere.
Assolutamente.


Adrien sospirò, lasciandosi andare sul divano e ascoltando la risata divertita di Plagg: «Non pensavo che sfilare fosse così stancante» dichiarò il kwami, fluttuandogli intorno al viso e guardandolo con i penetranti occhioni verdi: «O forse sei tu che sei invecchiato. In effetti, inizio a notare qualche ruga qua e là…»
«Marinette, puoi dargli un po’ di camembert così sta zitto?» Adrien poggiò il peso sui gomiti, osservando la moglie nei pressi della porta, impegnata a togliersi le scarpe alte e vedendola annuire, mentre un sorrisetto di puro divertimento le compariva in volto: «E non ci provare nemmeno a dargli corda.»
«Non ho detto niente, Adrien.»
«Lo stavi pensando.»
«Oh, adesso sei diventato anche telepate?» domandò Marinette, scuotendo il capo e abbandonando i sandali vicino all’ingresso, dirigendosi a piedi scalzi in cucina e recuperando il formaggio tanto amato da Plagg nel frigo: posò la forma sul piano di lavoro della cucina, prendendo un coltello e tagliandola in spicchi, sentendo i movimenti fluidi alle sue spalle, fino a quando due labbra non si posarono sul suo collo e le mani la strinsero per la vita.
«Non te l’ho detto? Sono bravissimo a sapere quello che pensi.»
«Ah. Davvero?»
«Sì. Adesso stai pensando: perché non mi ha tolto ancora quest’abito?»
«Certo, certo» Plagg volò davanti ai due, assottigliando lo sguardo verde e incrociando le zampette, prima di scuotere la testa: «Prima datemi il mio formaggio, poi andate a fare i pervertiti.»
«Plagg, lasciali in pace.»
«Si tratta del mio formaggio, Tikki. Camembert! Il migliore.»
«Per i sette dei, puoi vivere anche senza camembert un giorno.»
«No, che non posso.»
Adrien sospirò, baciando nuovamente Marinette sul collo e allontanandosi di qualche passo: «Vado a farmi la doccia, mentre tu sfami questo ingrato» dichiarò, facendole l’occhiolino: «Sono ancora pieno di glitter.»
«Uh. Il signorino è pieno di glitter.»
«Marinette, per favore, dagli il suo formaggio.»
«Ai tuoi ordini, mio gatto padrone.»


Peacock balzò sul tetto del palazzo, osservando la distanza che lo separava dall’edificio dove abitava il padre e lasciando andare un sospiro, mentre si posava le mani sui fianchi e rimaneva fermo: l’idea di Sarah, di presentarsi all’uomo trasformato, l’aveva corteggiato nella sua testa perché, in questo modo, non avrebbe disobbedito all’ultimo volere del padre.
Solo che, adesso che mancava veramente poco, non ce la faceva.
Non riusciva a percorrere la poca distanza che gli mancava.
Sentì qualcuno alle sue spalle e si voltò, trovando Bee a fissarlo con un sorriso tranquillo in volto: «Ti avevo detto…» iniziò, fermandosi quando lei lo raggiunse e lo strinse a sé, passandogli le braccia attorno al collo, tenendolo nel suo abbraccio; Peacock storse la bocca, ricambiando la stretta e abbandonandosi a quella della compagna.
Si aggrappò a Bee, sentendola la sua ancora in quel turbinio di pensieri, e stringendola con più forza contro di sé: «Non potevo lasciarti andare da solo» dichiarò la ragazza contro il suo orecchio, carezzandogli la nuca e i capelli: «Non era una cosa che dovevi fare da solo.»
«Non ho il coraggio di andare a casa sua.»
«Peacock…»
«Sono un idiota debole e coglione, vero?»
«No, sei umano.»
Peacock sospirò, poggiando la fronte contro la spalla inguaiata di giallo e socchiudendo gli occhi, mentre lasciava che Bee lo cullasse con le sue carezze: «Possiamo rimanere così per un po’?» le domandò, sentendo il corpo di lei scuotersi per via della risatina che le era uscita dalle labbra.
«Tutto quello che vuoi, honey.»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 54
*** Capitolo 54 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.127 (Fidipù)
Note: Secondo appuntamento della settimana con Miraculous Heroes 3 e con questo ritornano anche le informazioni su Parigi e precisamente sul ristorante 58 Tour Eiffel, che si trova al primo piano del monumento simbolo di Parigi, e accoglie i suoi clienti tutti i giorni per un pranzo veloce e ludico: una hostess vi guiderà verso il tavolo e il pranzo sarà servito in cestini per il picnic, per un pasto assolutamente originale.
E con ciò le informazioni sono finite e posso passare tranquillamente alle classiche informazioni di rito: come sempre vi ricordo la pagina facebook dove essere sempre aggiornati su capitoli, anteprime e coming soon, senza contare i miei disagi.
Vi ricordo che domani sarà aggiornata Lemonish, a conclusione della settimana.
Detto ciò, come sempre, voglio ringraziarvi tantissimo per il fatto che mi leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

Il suono della sveglia risuonò nella stanza, strappandola al sonno e facendole aprire pigramente un occhio, mentre allungava una mano con fatica e la spegneva, abbassando di nuovo le palpebre e lasciandosi tentare dal calore delle coperte e dell’altro occupante del letto: Adrien dormiva ancora profondamente, del tutto ignaro che la sveglia aveva imperiosamente messo inizio a una nuova giornata, e la stringeva per la vita, il respiro che le solleticava la pelle del volto e della spalla.
Sarebbe voluta rimanere lì per tutta la giornata, cullata da lui e protetta in quell’abbraccio, ma doveva alzarsi.
Si mosse leggermente, avvicinandosi al bordo del letto e stando attenta a non svegliarlo, riuscì a mettere fuori le gambe e poi, con molta fatica, si liberò dalla stretta e sgusciò completamente fuori dal letto, rimanendo un attimo in piedi e osservando il marito ancora immerso nel sonno: «E’ carino. Quando dorme e sta zitto» commentò Plagg, volandole attorno al volto e posandosi sulla sua spalla: «Il problema è che lo fa poco.»
«Ti sento, Plagg» borbottò Adrien con la voce impastata dal sonno, mentre si voltava e, con un lungo e profondo sospiro, si abbandonava nuovamente alle spire del sonno.
«Mi domando se mi ha risposto perché mi ha veramente sentito oppure perché mi sta sognando» decretò il kwami nero, scuotendo la testa e lasciando andare un lungo sospiro: «Colazione, signorina?»
«Colazione sia» dichiarò Marinette, osservando il kwami volare fuori dalla camera e seguendolo fino alla cucina, con Tikki appreso: «Adrien non ha lezioni stamattina. Potevi dormire tranquillamente, Plagg» mormorò, iniziando a recuperare dai pensili ciò che le serviva per il primo pasto della giornata e fissando Plagg scuotere la testa, mentre recuperava la forma di camembert dal frigo.
«Plagg sta dormendo poco ultimamente.»
«Tikki…»
«E’ la verità.»
«C’è qualcosa che ti preoccupa?»
«C’è qualcosa che non preoccupa nessuno ultimamente?» domandò Plagg di rimando, tenendo lo sguardo verde in quello di Marinette e vedendola annuire: «Non è niente di grave, signorina. Non mi piace questa situazione, tutto qua.»
«Non piace a nessuno, Plagg.»
Il kwami annuì, sistemandosi sul tavolo e aprendo la scatola di formaggio, afferrando poi un triangolo dall’interno e portandoselo alle labbra, sotto gli sguardi di Marinette e Tikki: la kwami sorrise, scuotendo il capino e iniziando ad aiutare la ragazza nella preparazione della colazione, fino a quando la suoneria del cellulare di questa non disturbò il silenzio della casa.
«L’ho lasciato in camera.»
«Vado a prenderlo» dichiarò Tikki, schizzando verso il corridoio che portava alla zona notte della casa e tornando poco dopo, con l’apparecchio fra le zampette: «Marinette, è Nathaniel» dichiarò, posando il cellulare sul tavolo vicino a Plagg: tutti e tre rimasero a fissare lo schermo illuminato e il nome del mittente della chiamata, fino a quando il telefono smise di suonare.
«Sta diventando insistente» commentò il kwami nero, masticando lento il formaggio e fissando lo schermo ormai spento e nero: «Che farai?»
«Immagino che l’omicidio sia ancora illegale, vero?»
«Sì, signorina. Almeno l’ultima volta che ho controllato io.»
«Marinette, non è la soluzione questa.»
La ragazza piegò gli angoli della bocca in un sorriso senza allegria, posando le mani ai bordi del cellulare e fissando lo schermo, che rimandava il riflesso poco chiaro di lei: «Non permetterò che faccia del male ad Adrien» dichiarò, facendo scivolare le dita sul tavolo e stringendo le mani a pugno: «Nathaniel non si avvicinerà mai più a lui. Sono pronta a tutto pur di difenderlo.»
Plagg la fissò per un momento, annuendo poi con un sorriso pieno di divertimento in volto: «Mi ricordi qualcuno, sai?» buttò lì, prendendo un nuovo triangolo di formaggio e addentandolo, masticando poi lentamente il boccone.
«Chi?» chiese la ragazza, inclinando la testa e fissando con curiosità il kwami, mentre questo si prendeva tutto il tempo del mondo per mangiare e deglutire.
«Me stesso.»


Sarah recuperò i libri dalla borsa, osservando Mikko sbadigliare e ricambiò il sorriso della piccola kwami, prima di chiudere la borsa e sistemarla al suo fianco, guardandosi poi attorno e notando una certa confusione nell’aula: la lezione sarebbe iniziata a breve, eppure nessuno era intenzionato a prendere posto.
Prese nuovamente la borsa, recuperando l’agendina dove si era segnata gli orari dei corsi e l’aprì velocemente, sotto lo sguardo confuso di Mikko che, in silenzio, osservava ogni sua mossa; Sarah picchiettò l’indice sulla lezione che doveva esserci, alzando poi la testa verso la cattedra vuota e respirando lentamente.
Il professor Fabre non ci sarebbe stato quella mattina o sarebbe arrivato semplicemente in ritardo?
Si voltò, alla ricerca di un volto familiare fra quelli dei suoi colleghi e sorrise nel vedere una ragazza con cui aveva studiato assieme per gli esami appena passati: «Letitia?» mormorò, piegandosi verso di lei e attirando l’attenzione dell’altra: «Sai per caso se il professor Fabre farà lezione oggi?»
Letitia scosse il capo, facendo ondeggiare i corti ricci ramati: «E’ venuto un professore poco prima che tu arrivassi» le spiegò, catturando una ciocca e rigirandosela attorno al dito: «Il professore sarà assente e qua si sta decidendo che fare. Noi andiamo in biblioteca, ti vuoi unire?»
Sarah annuì con la testa, senza prestare troppa attenzione alle parole e poi riscuotendosi improvvisamente: «Ah. Sì, certo. Dove andate?»
«Non so, pensavamo una qui vicino.»
«Ok.»
Si voltò nuovamente verso la scrivania, lasciando andare un sospiro e socchiudendo le palpebre, mentre tamburellava le dita sui libri e poi recuperando il cellulare dalla borsa e mandando un breve messaggio a Rafael, informandolo della nuova possibile sparizione del padre.

 

Bridgette sorrise al cameriere, mentre le scostava la sedia dal tavolino e lei si accomodava, passandosi le mani sulle natiche e tenendo così la gonna scura, impedendo a questa di risalire e spostando poi lo sguardo sul panorama parigino immerso nella luce del sole e poi dando un’occhiata distratta alla struttura metallica della Dama di Ferro: «Fra tutti i ristoranti di Parigi…» mormorò Felix, accomodato davanti a lei, attirando così la sua piena attenzione: l’uomo era rigido sulla sedia, le mani che tenevano il bordo del tavolo e lo sguardo celeste che sembrava volersi calamitare ovunque tranne che sul panorama.
«Soffre di vertigini, sergente Norton?» domandò Bridgette, notando come l’uomo aveva serrato la mascella e gli occhi si erano posati su di lei con una luce omicida: «Come facevi a Nanchino? Abbiamo sempre…»
«Erano più bassi» bofonchiò Felix, prendendo il tovagliolo e spiegandolo, posandoselo poi sulle gambe: «E non soffro di vertigini, amo solo stare su strutture stabili.»
«La Tour Eiffel è stabile.»
«Dillo a Le mime.»
«Chi?»
«Uno degli akumatizzati di Gabriel» Felix sospirò, scuotendo leggermente il capo: «Non ti sei mai informata di quello che aveva fatto da Papillon?»
«Giusto il minimo. Non che mi interessasse.»
«Bri…»
«Ehi, ero venuta qua per prendere i Miraculous, non per studiare le mosse di Papillon ai tempi in cui era cattivo» borbottò la donna, incrociando le braccia al petto e voltandosi di lato, osservando il cameriere giungere verso di loro con il loro pasto: sorrise, mentre lo guardava posare un cestino di metallo davanti a loro, pieno di prelibatezze: «Grazie mille» mormorò al ragazzo che li aveva serviti, osservandolo poi andarsene e spostando l’attenzione su Felix, che fissava dubbioso ciò che era stato portato loro.
«Cosa è?»
«Chic Picnic» decretò Bridgette, poggiando i gomiti sul tavolo e prendendosi il volto fra le mani, osservando Felix allungare il collo e studiare il contenuto del cestino, mentre il loro cameriere tornava con una bottiglia di vino rosso: «Per quanto tu abbia abbracciato il tuo lato felino…» iniziò, una volta che furono nuovamente soli: «Ho notato che mangi sempre a casa o, comunque, in ristoranti abbastanza classici, caro il mio sergente Norton.»
«Blanchet. Mi chiamo Blanchet.»
«Anch’io adesso mi chiamo Willhelmina, ma tu continui a chiamarmi Bridgette.»
«Forse perché Willhelmina è un nome orrendo?»
«Era il nome di mia madre.»
«Tua nonna doveva volerle veramente male.»
Bridgette sospirò, contando mentalmente fino a dieci e poi riprendendo a parlare: «In ogni caso, vista la tua classicità nel consumare i pasti, ho pensato che questa sarebbe stata un’alternativa interessante» dichiarò, sorridendo allo sguardo celeste: «Fidati, è tutto buono» allungò un dito, indicando i contenitori di vetro e le pietanze che contenevano: «Abbiamo zuppa di funghi con crema di funghi, formaggio di capra ed erba cipollina; insalata di fagioli con baccalà in camicia, mandorle tostate e panna acida…» si fermò, mordendosi il labbro inferiore e spostando la mano: «Questo dovrebbe essere pollo arrosto, poi il puré di patate con erbe e crema di porto; infine i dolci: mousse di cioccolata con praline e scelta di formaggi con marmellata. Ho imparato il menu.»
«Sono allergico ai funghi.»
«Cosa?»
«Sono allergico ai funghi» ripeté Felix, indicando la zuppa: «Se vuoi uccidermi è il modo migliore. Xiang ci ha provato a Shangri-la.»
«Come Xiang ci ha provato…» Bridgette si fermò, scuotendo il capo e socchiudendo gli occhi, mentre si mordeva il labbro inferiore e apriva la bocca, richiudendola e dando poi voce ai suoi pensieri: «Puoi spiegarti?»
«Ho scoperto di essere allergico quando vivevo a Shangri-la» iniziò Felix, poggiandosi con le spalle allo schienale della sedia e intrecciando le mani in grembo: «E diciamo che i ristoranti lì scarseggiano, quindi cucinavamo a casa; un giorno Xiang trova questi funghi e fa una bella zuppa…» si fermò, storcendo le labbra e annuendo al ricordo di ciò che era avvenuto e di come si era sentito male: «Kang mi ha salvato anche quella volta.»
«Non lo sapevo…»
«Pensavo fosse un modo per vendicarti del fatto che io mi sia preso delle libertà.»
«Ti prendi sempre delle libertà» bofonchiò Bridgette, scuotendo il capo e lasciandosi andare sulla sedia: «Inoltre, pensavo che avevamo messo in chiaro ciò che era successo a Nanchino.»
«Sai com’è…» Felix alzò le spalle, infilando una mano nella tasca della giacca e tenendola lì, quasi come se stesse giocherellando con qualcosa: «Tutto questo chiamarmi ‘sergente Norton’, i ricordi di Nanchino…» si fermò, sorridendo appena: «Mi ha fatto notare come io non abbia mai cercato di riparare a ciò che ho fatto e ho pensato che…»
«Maxime?»
Felix si fermò, osservando la donna poggiare i palmi sul tavolo e osservare un punto nella stanza alle sue spalle, si voltò e guardò i pochi avventori del locale, senza riconoscere nessuno: «Maxime?» domandò, tornando a guardare Bridgitte e osservandola sedersi, mentre si portava una mano alla fronte e massaggiava la pelle: «Non è il nome del tuo assistente?»
«Sì»
«Era qui?»
«Non lo so» dichiarò Bridgette, scuotendo il capo e guardando Felix negli occhi: «Ultimamente lo intravedo molto spesso ma…» si fermò, scuotendo la testa e abbassando lo sguardo sul cestino fra loro: «Alle volte penso di avere le allucinazioni: un momento c’è, quello dopo no. Forse i miei duecento anni si iniziano a far sentire, oppure è il post-possessione di Chiyou. Non so proprio…»
«Oppure potrebbe centrare qualcosa con il nostro nemico, non credi?»
«Maxime? Andiamo, Felix!»
«E’ un’eventualità, Bridgette.»
«Ma non avrebbe senso.»
«Il padre di Rafael e l’amico di Marinette e Adrien hanno senso, secondo te?»
Bridgette scosse nuovamente il capo, quasi a commentare così l’idea di Felix: «Che stavi dicendo prima?» domandò, mentre ripercorreva con la mente la conversazione e si rendeva conto che l’aveva interrotto: «Stavi parlando di Nanchino e poi io ti ho fermato.»
Felix sorrise, allungando una mano nel cestino di metallo e recuperando i vari contenitori, iniziando a dividerli fra loro due: «Non è il momento adatto» dichiarò, strizzandole l’occhio e ridacchiando di fronte all’espressione confusa di lei: «La prossima volta.»
«Sai che dire così stimola la curiosità?»
«Lo so.»
«Sei perfido.»
«Lo so.»


Qionqgi osservò la donna che camminava attorno alla pozza d’acqua, accorgendosi di come Hundun non aveva prestato molta attenzione alla sua presenza; rimase immobile nel cono d’ombra creato da una delle colonne dell’androne dell’abitazione, studiando i movimenti lenti e cadenzati dell’altra, mentre un’idea gli accarezzava la mente.
Stavano rischiando tutti e quattro.
Troppe volte avevano deluso il loro signore ed erano su quella che si poteva tranquillamente dire ‘essere la stessa barca’: allora perché non gettare via i pezzi più deboli? Perché non lanciare un piccolo seme, instillare un’idea e rimandare il momento inevitabile dell’affondamento?
Annuì a se stesso, uscendo dal suo nascondiglio e osservando Hundun di spalle: si avvicinò silenzioso, posandole le mani sulle spalle tirandola contro di sé, stringendola in una presa ferrea: «Cosa stai pensando?» le domandò, carezzandole il lobo con le labbra e guardando distratto la polla d’acqua.
Una ragazza dai lunghi capelli castani e la pelle olivastra.
Un volto non propriamente familiare ma nemmeno sconosciuto.
«Chi è?»
«Non lo so» mormorò Hundun con la voce spezzata e il petto che si muoveva ansante: «Voglio solo…»
«Cosa vuoi?»
«Toglierla di mezzo.»
«E allora perché non lo fai?» le sussurrò, mentre la tirava leggermente contro di sé, mentre un sorriso gli piegava le labbra di fronte all’agitazione della donna: «Potresti usare il tuo potere e liberarti da questa catena» si fermò, leccandole il contorno dell’orecchio con la punta della lingua: «E’ questo quello che vuoi, non è vero. Togliere questa catena della tua vecchia vita, essere libera…»
«Sì.»
«E allora fallo. Non indugiare. Liberati.»


Le risatine l’accolsero non appena mise un piede fuori dalla scuola e furono il suo accompagnamento per tutto il tragitto fino al cancello: da quando aveva iniziato a frequentare Thomas e Jérèmie, Noemie attendeva sempre i momenti in cui era da sola per prenderla di mira o ridere di lei assieme alla sua corte di amichette.
Manon doveva ancora comprendere il motivo di tale trattamento, ricordando ancora i tempi in cui la ragazzina era stata la sua migliore amica
Noemie era cambiata molto da quando erano entrate al collége e quasi le sembrava che solamente vedendola, Noemie, ricordasse qualcosa che voleva dimenticare: che cosa c’era di così profondamente sbagliato nel periodo che avevano condiviso assieme, lei doveva ancora comprenderlo.
Avevano giocato, avevano riso assieme, si erano divertite.
C’era forse qualcosa di sbagliato in tutto questo?
Forse c’era qualcosa che lei non comprendeva, che sfuggiva alla sua logica e che, invece, era ben saldo in quella di Noemie.
Una nuova ondata di risatine si levò dal gruppetto e Manon resistette alla tentazione di voltarsi e fissarle, sentendo la mancanza dei suoi due fidi cavalieri: si era abituata fin troppo alla presenza dei due ragazzini e adesso trovava difficoltoso proteggersi da sola, anche da delle semplici risatine.
Si fermò fuori dal cancello, voltandosi e trovando Noemie completamente rivolta verso di lei, con lo sguardo pieno di risentimento e odio: che cosa le aveva fatto per farla diventare così? Ogni volta che cercava di trovare il motivo di tutto ciò, non riusciva a comprendere alcunché.
Non si era comportata male con lei.
Non le aveva fatto nessun torto.
Si era semplicemente comportata da Manon, come sempre.
Eppure…
«Missione: salviamo la principessina di Thomas iniziata» decretò una voce femminile, prima che una presa ferrea l’avvolgesse e la sollevasse da terra: Manon annaspò, muovendo mani e braccia nell’aria, prima di venir messa nuovamente giù e si voltò, osservando le quattro ragazze che erano lì davanti a lei.
«Ma cosa…?»
«Thomas ci ha mandato un messaggio» le rispose Sarah, sorridendole con dolcezza e allungando una mano, sistemandole una ciocca di capelli. «Ha detto che oggi aveva gli allenamenti e non poteva aiutarti a uscire da scuola.»
«Perché avrebbe problemi a uscire da scuola?» domandò Xiang, voltandosi verso colei che aveva assaltato Manon e osservandola indicare il gruppetto di Noemie: «Che ti hanno fatto quelle ragazzine, Lila?»
«Penso che quelle ragazzine siano il motivo per cui Manon ha bisogno di aiuto, futura signora Simmons.»
«Piantala di chiamarmi così.»
«Dire così spezza il cuore ad Alex, sai?»
Marinette sospirò, alzando gli occhi al cielo e, avvicinatasi a Manon, le passò un braccio attorno alle spalle, dando un’occhiata al gruppetto: «Ma quella non è la tua amica?» domandò, inclinando la testa e studiando la ragazzina dall’aspetto familiare: «Avete litigato per caso?»
«Non lo so.»
«Come non lo sai, Principessina di Thomas?»
«Lila, puoi piantarla con questi soprannomi?»
«Mancano il micetto e piumino, Sarah. Devo fare le veci.»
«E chi l’ha detto?»
«Io.»
Sarah sbuffò, scrollando le spalle e fissando l’amica: «Andiamo da Starbucks?» domandò, sorridendo quando vide lo sguardo dell’italiana illuminarsi: «Così mettiamo sotto torchio Manon per quanto riguarda l’amica e tu la pianti di dare soprannomi.»
«Pensi davvero che così si fermerà?»
«Ci spero, Marinette.»


Balzò sul piccolo davanzale della finestra, mentre un sorriso vittorioso gli piegò le labbra quando poggiò la mano sul vetro e lo spinse verso l’interno, saltando poi dentro l’abitazione e non trovandola poi tanto cambiata dall’ultima volta che era stato lì: il caos regnava ancora sovrano e molti fogli erano sparsi qua e là, mentre il laptop era abbandonato sul tavolino davanti al divano.
Niente di diverso, se non l’assenza del proprietario della casa.
Peacock fece alcuni passi, guardandosi attorno e fermandosi poi nel punto più centrale della stanza, senza sapere esattamente cosa fare.
Cosa aveva pensato quando era giunto lì?
Di trovare suo padre e parargli tranquillamente, quella era la risposta.
Non aveva pensato che l’uomo potesse essere nuovamente scomparso e che, in quel preciso momento, si trovasse chissà dove.
Si lasciò andare sul divano, fregandosene altamente di spiegazzare i fogli che vi erano stati appoggiati e piegando la testa all’indietro, mentre socchiudeva gli occhi, mormorando il nome del suo potere speciale: la visione arrivò improvvisa come sempre, strappandolo dal luogo in cui era e mostrandogli ciò che non voleva vedere.
Come sempre, quando cercava di usare il potere per scopi personali.
Xiang, fallo!
La voce maschile, l’ordine perentorio, arrivò alle sue orecchie e Peacock poté vedere l’amica avvicinarsi a un monile che risplendeva di luce ocra e galleggiava a mezz’aria: la ragazza allungò le mani, circondando con le dita il gioiello e l’energia tremolò, prima di risplendere in tutta la sua potenza.
Peacock si piegò in avanti, il respiro ansante e il corpo completamente dominato dai brividi.
Cosa aveva visto?
Chi aveva ordinato a Xiang di fare qualunque cosa avesse fatto?
La voce maschile aveva un che di familiare e, allo stesso tempo, a Peacock sembrava che fosse la prima volta che la sentiva.
Il monile, il gioiello che aveva visto, poteva essere quello di Routo? Ma allora perché Xiang avrebbe dovuto usarlo?
Ciò che aveva visto era forse un brandello di quello che sarebbe successo nel futuro? Un dato certo di qualcosa che sarebbe accaduto oppure qualcosa di incerto come la visione che Kang gli aveva propinato più e più volte?
Si portò le mani alla testa, portandosi indietro i capelli scuri e socchiudendo gli occhi, mentre il suo Miraculous iniziava ad avvisarlo del conto alla rovescia che lo avrebbe portato a essere di nuovo Rafael: cosa aveva visto?, si domandò nuovamente mentre apriva le palpebre e fissava il suo riflesso nella televisione spenta, dall’altra parte della stanza.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 55
*** Capitolo 55 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.483 (Fidipù)
Note: Ed eccoci qua con una nuova settimana ricca di aggiornamenti e, ovviamente, si comincia con Miraculous Heroes 3: un nuovo capitolo che...beh, non vi dico assolutamente nulla per non rovinarvi la lettura e, quindi, passo subito alle informazioni di rito. Anche perché vado un po' di fretta oggi e, quindi, non volevo dilungarmi più di troppo.
Passiamo subito agli appuntamenti di questa settimana: mercoledì, vi ricordo, ci sarà un nuovo capitolo di Inori, giovedì sarà il turno di Laki Maika'i e venerdì, come sempre, verrà pubblicato il secondo aggiornamento di Miraculous Heroes 3, mentre sabato sarà il turno di Scene con Eroina I.
Come sempre vi ricordo la pagina facebook dove essere sempre aggiornati su capitoli, anteprime e coming soon, senza contare i miei disagi.
Detto ciò, come sempre, voglio ringraziarvi tantissimo per il fatto che mi leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

«Che problemi avete?» domandò Rafael, osservando il gruppetto che stava stazionando nella sala da pranzo di casa sua e poi i fogli sparsi sul tavolo, che occupavano l’intera superficie: «Insomma, sappiamo già tutto quello che c’è da sapere. Perché vi state fissando con le ricerche di mio padre?»
«Sapere è la massima arma contro i nostri nemici» dichiarò Alex, annuendo alle sue parole e fissando poi un punto del soffitto, le labbra imbronciate e lo sguardo pieno di serietà dietro le lenti degli occhiali: «E non l’ho sentita dalla televisione.»
«Abbiamo trovato un appunto mentre stavamo sistemando tutto» spiegò Sarah, allungando le mani e iniziando a cercare fra i fogli, fino a che non trovò un post-it che aveva visto giorni migliori: «Ed è qualcosa che non riusciamo a capire» continuò, scambiandosi una fugace occhiata con Alex e Xiang, osservandoli entrambi annuire: «Magari tu…»
«Io avrei lezione fra poco, Sarah.»
«Una letturina veloce veloce?»
Rafael sospirò, prendendo il post-it e leggendolo, aggrottando poi le sopracciglia e poggiando il fianco contro il tavolo: «Come un ragno tessitore ha creato la sua tela nei secoli, assoggettando al proprio volere chi aveva il potere e usandolo per i propri fini…» lesse ad alta voce, scuotendo la testa e rileggendo una seconda volta il post-it muovendo le labbra ma senza emettere alcun suono: «Ma che significa?»
«E’ quello che ci piacerebbe sapere» decretò Xiang, portandosi indietro una ciocca di capelli, che la infastidiva: «Forse non centra niente con tutto questo, però è strano: perché era lì?»
«Questa è la scrittura di mio padre e posso assicurare che, sebbene sia disordinato cronico, è molto ordinato e organizzato con il proprio lavoro.»
«Quindi sicuramente si sta riferendo a qualcosa che ha a che fare con Atlantide o con il culto dei Sette animali» decretò Alex, sospirando e fissando la marea di foglia davanti a sé, togliendosi gli occhiali e massaggiandosi il setto nasale: «Ma in che modo? Possibile che proprio ora che eravamo riusciti a comprendere tante cose, spuntano nuovi misteri?»


Felix si fermò, mentre si allacciava la cravatta e osservò la donna che, seduta davanti la toeletta – il nuovo acquisto della mobilia della sua stanza – si stava, preparando per una nuova giornata lavorativa: fissando quei rituali mattutini e rendendosi conto di come i movimenti di lei erano ben fissati nella sua mente, notando quanto gli era divenuto familiare vedere Bridgette truccarsi e pettinarsi ogni mattina.
Una visione di lei che solamente in un determinato ruolo avrebbe avuto.
Guardò la giacca, abbandonata sulla poltroncina dall’altra parte della stanza, sapendo benissimo il contenuto della tasca destra e avvicinandosi, tastando l’indumento e sentendo la scatolina al tatto: «Oggi che farai?» gli domandò Bridgette, mentre allungava la mano e prendeva la spazzola, iniziando a sistemarsi i capelli mori.
Quando l’aveva conosciuta come Miss Bridgette Hart, lei teneva sempre i capelli acconciati in una di quelle complicate pettinature femminili, che gli facevano sempre domandare come fosse possibile che le dame non avessero un perenne mal di testa; da Ladybug aveva potuto ammirare quei boccoli scuri che creavano un manto sulla schiena della sua compagna di armi, esattamente come in quel momento.
«Cosa?»
«Che fai oggi, Felix?»
«Il solito» dichiarò l’uomo, scrollando le spalle e sorridendo appena, mentre recuperava ciò che voleva dalla propria giacca: «Sarà un’altra lunga giornata all’insegna dell’accaparrarsi più voti possibili. Ormai le elezioni si stanno avvicinando e ogni voto è indispensabile.»
«Capisco» mormorò Bridgette, voltandosi verso di lui e inclinando il capo, mentre aggrottava la fronte e storceva le labbra: «Felix, c’è qualcosa che non va?»
«Sposami.»
«Cosa?»
«Io…» Felix si fermò, socchiudendo gli occhi e inspirando profondamente: «Io devo fare ammenda per ciò che è avvenuto a Nanchino: ti ho privata della tua verginità e mi sono preso libertà che non avrei mai dovuto prendermi.»
«Sono passati due secoli, Felix.»
«Sei la mia donna, la mia compagna e voglio che tu porti il mio nome.»
«Blanchet non è il tuo nome, Felix.»
«Hai finito di ribattere su ogni cosa? Maledizione, donna, mi farai diventare matto.»
«Non è quello che fa una moglie di solito?» domandò Bridgette, alzandosi in piedi e avvicinandosi a lui, posandogli le mani sui fianchi e sorridendo divertita, allungandosi e sfiorandogli le labbra con le proprie: «Sto iniziando a fare pratica.»
«Quindi è sì?»
«Ovvio che è sì.»
Felix sorrise, baciandola nuovamente sulle labbra, leggero come una piuma, mostrandole poi la scatoletta che teneva in mano e notando lo sguardo di lei calamitarsi su questa: «Avevo provato a chiedertelo anche l’altro giorno» iniziò, aprendo il piccolo cofanetto e mostrandole l’anello di oro bianco, sormontato da un unico diamante, candido anch’esso: «Mh. Non sapevo esattamente i tuoi gusti in fatto di gioielli e sono andato sul classico. Ecco» mormorò, prendendole la mano sinistra e infilandogli il piccolo cerchietto all’anulare: «Io…»
«E’ bellissimo, Felix.»
«Ti piace?»
Bridgette abbassò lo sguardo, osservando la mano con un sorriso pieno di luce in volto, mentre poggiava il volto contro il petto dell’uomo e sospirò soddisfatta, quando lo sentì abbracciarla: «Tantissimo. E’ perfetto. Come te.»
«Beh, che io sono perfetto lo sapevo.»
«Occhio, sergente Norton, sai cosa dice il saggio?»
«Che uomo che si è proposto deve festeggiare con una bella rotolata fra le lenzuola?»
«Che chi si loda, s’imbroda» dichiarò Bridgette, sfiorandogli le labbra con le proprie: «E per quanto mi piacerebbe festeggiare alla tua maniera, dobbiamo entrambi andare al lavoro.»
«Possiamo darci malati.»
«Puoi?»
Felix sorrise, chinandosi e passando un braccio sotto le ginocchia di Bridgette, sollevandola con facilità e posandola poi sul letto, baciandola irruento e posandole la mano sul fianco, carezzandoglielo poi con le nocche: «Faccio una chiamata e sono tutto tuo.»
«Ti aspetto, sergente.»


Manon alzò la testa dallo schermo, osservando Thomas giungere verso di lei e lasciarsi andare senza tante cerimonie accanto a lei sulla panchina: il ragazzo sospirò pesantemente, gettando indietro la testa e portandosi una mano alla fronte, tirando indietro le ciocche sudate: «Che stai leggendo?» le domandò, girando appena la testa e dandole un’occhiata veloce, prima di chiudere le palpebre e lasciare andare un sospiro.
«Niente» mormorò Manon, spegnendo lo schermo e voltandosi completamente verso l’altro, osservandolo mentre rimaneva seduto, completamente stravaccato, le gambe stese e le braccia abbandonate lungo la spalliera della panchina; il volto era imperlato di sudore e la maglia era leggermente zuppa intorno al collo: «Chi ha vinto?»
«Loro» mormorò Thomas, senza aprire le palpebre e indicando con un cenno del capo il campetto da basket, dalla parte opposta del cortile dove Jérèmie era rimasto a parlare con gli altri ragazzi: «Per poco» continuò, tirandosi su e asciugandosi il sudore sul viso con la maglia e costringendo Manon, voltatasi verso di lui non appena aveva parlato una seconda volta, a girarsi dalla parte opposta quando si accorse della pelle esposta del ragazzo.
Aveva già visto ragazzi mezzi nudi.
Aveva visto persino Adrien in costume, ma la vista dell’addome di Thomas l’aveva messa a disagio.
«C’è Noemie» mormorò Thomas, indicando con un nuovo cenno del capo la ragazzina, che stava attraversando il cortile diretta verso il gruppetto al campo di basket: Manon spostò l’attenzione, osservandola avvicinarsi a Jérèmie e Luc – un ragazzo con cui Thomas riusciva a scontrarsi almeno una volta al giorno – e rimase a fissarla, mentre ridacchiava e si portavano una mano ai capelli, giocherellando con una ciocca.
Era bella. Femminile. E sembrava saperci fare.
Tutto il contrario di lei.
«Lila ha detto che non le piace.»
«Lila come fa a conoscerla?»
«Quando sono venute a prenderti a scuola?» le rispose di rimando Thomas, voltandosi e ridacchiando: «Ha detto che le ricorda troppo Chloé Bourgeois. Mentre tu sei Marinette…»
«Il problema è che io non mi sono innamorata di un modello.»
«Cosa?» Thomas rimase a bocca aperta, lo sguardo sgranato e il busto completamente rivolto verso l’amica; si passò una mano sul volto, scuotendo il capo e continuando a fissarla: «Ti piace qualcuno?»
«Sì, un demente» borbottò la ragazzina, stringendo le palpebre e impedendosi di cadere in un cliché delle storie che amava parecchio: alzare gli occhi al cielo. Si issò poi, sistemando il cellulare nella tasca della maglia e voltandosi verso l’altro: «Puoi dire a Lila di non chiamarmi più principessina di Thomas? Grazie.»
«Perché dovrebbe chiamarti così?»
Manon scosse il capo, lasciando andare un breve respiro e voltandosi, osservando Noemie girata nella sua direzione e con un sorriso pieno di trionfo sulle labbra: «Chiedilo a Lila» borbottò, infilando le mani nella tasca della maglia e allontanandosi con la testa china, sotto lo sguardo dell’amico.
Thomas rimase a fissare la ragazzina, scuotendo poi il capo e cercando di non dare troppa importanza a ciò che era successo: era abituato agli sbalzi di umore di sua sorella Camille e di sua madre, che ormai non si stupiva più degli alti e bassi di una ragazzina.
Manon sarebbe tornata la solita di sempre.
«Avete di nuovo litigato?» domandò Jérèmie, avvicinandosi e sorridendo, voltandosi nella direzione dove era sparita Manon e scuotendo poi la testa, posando lo sguardo sull’amico e, Thomas n’era convinto, aveva visto un che di esasperato negli occhi dell’altro: «Quando lo capirai?»
«Capire cosa?»
Jérèmie inspirò profondamente, piegando le labbra in un sorriso e portandosi la mano destra al viso, posando l’indice su una tempia e il pollice sull’altro: «Amico, sapevo che eri addormentato su certe questioni, ma non pensavo così tanto. Lascia che ti spieghi: tu e Manon vi state girando attorno. Lei piace a te e tu piaci a lei» Jérèmie si fermò, alzando la mano e scuotendo la testa: «Thomas, non provare a dirmi che non è vero: ti conosco, sto imparando a conoscere lei e ho gli occhi per vedere quello che sta accadendo davanti a me.»
Thomas aprì la bocca, richiudendola e portandosi una mano al volto, scuotendo poi la testa e alzando nuovamente lo sguardo sull’amico: «Non può essere.»
«Può essere. E’ quello che sta accadendo.»
«Io e Manon noi…noi siamo amici.»
«A volte un’amicizia si trasforma, sai?»
«Io…»
Jérèmie sorrise, poggiando le mani sui fianchi e chinando la testa verso il basso, scuotendola appena e facendo oscillare le corte ciocche castane: «Pensaci, ok? Manon è una ragazza in gamba e mi piacerebbe veramente tanto vedervi finalmente insieme.»
Thomas rimase in silenzio, poggiando le mani sulle ginocchia e guardando la terra fra i suoi piedi: rimase immobile per molto tempo, una statua davanti all’amico che attendeva paziente un suo segno di vita e sorrise, quando Thomas rialzò la testa e lo fissò senza nessuna espressione in volto: «Quindi il demente che le piace sono io?»
«Sì, Thomas. Sei tu.»
«Ma io non sono demente.»
«Devo veramente risponderti?»


Wei poggiò uno scatolone nel furgoncino, asciugandosi il sudore della fronte e voltandosi, osservando l’uomo che stava entrando nel cortile del signor Mercier: indossava un completo scuro e aveva un soprabito dello stesso colore, la pelle era leggermente scura e gli occhi castani lo fissavano decisi: «Wei Xu?» domandò il nuovo arrivato, fermandosi a pochi passi da lui e attendendo la sua risposta con un sorriso tranquillo in volto, tendendogli la mano.
Il giovane l’osservò, mentre l’altro rimaneva fermo e con il braccio a mezz’aria: «Lei sarebbe…» mormorò, sentendo un movimento alle sue spalle e voltandosi per una manciata di secondi, in tempo per vedere la figura minuta del signor Mercier affacciarsi dal magazzino.
«Ruggero Rossi. Sono il padre di Lila.»
Wei fece spaziare lo sguardo dalla mano, ancora rivolta verso di lui, allo sguardo tranquillo che l’osservava di ricambio e, alla fine, si decise a stringere le dite che erano protese in una stretta decisa: «Wei Xu» dichiarò con voce tranquilla, lasciando andare poi la mano dell’italiano e rimanendo sul suo posto, lo sguardo in quello dell’altro: «Posso esserle utile in qualcosa?»
«Assolutamente no» dichiarò Ruggero, sorridendo appena e sistemandosi il giaccone: «Ero da queste parti e volevo conoscerti, finalmente. E ringraziarti.»
«Ringraziarmi?»
«Grazie per rendere mia figlia felice» disse l’uomo, sorridendo appena e abbassando lo sguardo: «Ho incontrato Lila qualche giorno fa, immagino te l’abbia detto» si fermò, alzando la testa e notando il cenno affermativo di Wei: «L’ho trovata finalmente tranquilla e serena. E di questo penso di dover ringraziare, prima di tutto, tu.»
«Io non ho fatto niente…»
«Sei nella sua vita e questo è già molto per Lila» Ruggero si fermò, scuotendo il capo: «Lei è abituata a essere sola, a non avere nessuno al suo fianco e questo…beh, questa è una colpa esclusivamente mia e di mia moglie. Io ho sempre cercato di essere qualcosa nel mio lavoro, in modo da poter dare solidità economica alla mia famiglia, ma questo…»
«Questo ha fatto sì che l’allontanasse dai suoi cari.»
«Esattamente.»
Wei annuì, storcendo appena le labbra e piegando gli angoli verso l’alto: «Posso comprenderlo» dichiarò, posando le mani sui fianchi e guardando un attimo di lato: «E sono certo che anche Lila lo comprende.»
Ruggero sorrise, chinando la testa e lasciando andare un lungo sospiro: «Sono anche qui per scusarmi. Il comportamento di mia moglie è stato inqualificabile. Ti chiedo scusa per tutti i problemi che ti ha causato.»
Wei sorrise, scuotendo la testa e scrollando le spalle: «Nessun problema. Il signor Mercier l’ha messa in riga.»
«Mercier sa sempre come mettere in riga chiunque.»
«Vero.»
Ruggero annuì, voltandosi e osservando il proprio assistente ballettare sul posto, guardando di tanto in tanto l’orologio: «Purtroppo devo andare, altrimenti farò tardi» dichiarò, girandosi nuovamente verso Wei: «Ancora grazie e ancora scuse.»
«Spero di incontrarla nuovamente, signor Rossi.»
«Lo spero anche io.»


Marinette inspirò, osservando il ragazzo appena fuori dall’istituto e la moto, con il suo cavaliere scuro, che l’attendeva in prossimità del marciapiede: fece un respiro profondo, mentre poggiava la mano sulla porta a vetri e l’apriva, attirando così l’attenzione di Nathaniel: «Marinette…» mormorò quest’ultimo, stringendo le mani sulla tracolla della borsa e inspirando profondamente: «Io…»
«Io non voglio parlare con te, Nathaniel» dichiarò Marinette, osservando Adrien togliersi il casco e scendere dalla moto: «Io non voglio…»
«Tu sei mia, Marinette.»
«Io non sono di nessuno. Non sono un oggetto, Nathaniel.»
«Ma…»
«E Adrien è mio marito, non il mio proprietario.»
«Noi due potremmo essere felici assieme.»
«Nathaniel, sono sempre stata innamorata di Adrien: amo e amerò sempre e solo lui. E lo sai anche tu. Questo non sei tu, non sei il mio amico, non sei il ragazzo che conosco, ti prego.»
Nathaniel fece un passo verso di lei, allungando una mano e cercando di afferrarla: «Toccala e sei morto, Kurtzberg» dichiarò la voce decisa di Adrien, facendo desistere l’altro: «Sei avvisato.»
Nathaniel ignorò il giovane alle sue spalle, tenendo lo sguardo solo ed esclusivamente su Marinette: «Ti pentirai di ogni cosa.»
«Nathaniel, ti prego.»
«Non minacciarla, Kurtzberg» Nathaniel scosse il capo, incassando la testa nelle spalle e, stretta la tracolla della borsa, se ne andò velocemente, sparendo alla vista dei due: «Se osa solo minacciarti un’altra volta, io…» iniziò Adrien, venendo interrotto dal suono congiunto dei loro cellulari: infilò la mano in tasca del giubbotto, recuperando l’apparecchio mentre Marinette faceva lo stesso con il proprio: «Spero sia lui che si è già dato alla pazza gioia.»
«Adrien.»
«Niente Adrien, mon coeur» dichiarò Adrien, facendo dondolare il cellulare davanti al volto di lei: «Abbiamo un lavoro da fare.»


«Ok, ok. Ci siamo» la voce di Alex rimbalzò nell’orecchio di Ladybug, mentre lanciava lo yo-yo verso il cornicione di un palazzo e lo usava come leva per saltare su quello dall’altra parte della strada: «Ponte Alessandro III. Il caro Raincomprix ha già fatto evacuare la zona e sembra che stavolta abbiamo un nemico bello agguerrito.»
La coccinella si guardò intorno, osservando Chat Noir dall’altra parte della strada, che saltava agilmente i tetti, seguito da Peacock e Hawkmoth: «Stiamo arrivando al ponte, Mogui» dichiarò, portandosi una mano all’orecchio e premendo l’indice sull’auricolare: «Sai niente del nemico?»
«Sembra spari qualcosa, ma gli agenti non capiscono cosa.»
«Che bello» commentò Chat, ghignando: «Il nemico sparaqualcosa ci mancava.»
«Questa era pessima, gattaccio.»
«Questa, pennuto, non era una battuta ma una constatazione di fatto. Sinceramente non sono in vena per fare battute» decretò Chat Noir, saltando giù dal tetto e atterrando nella grande zona di verde sottostante, divisa in due dalla strada: «Bene, noi ci siamo. Il cattivo dove è?» domandò, poco prima che un dardo intriso di fiamme bianche passasse a pochi centimetri dal volto; Chat mise mano al proprio bastone, roteandolo e mettendosi in posizione difensiva, mentre un sorrisetto gli piegò le labbra: «Ok, penso di aver trovato il nemico» decretò, osservando la creatura che si stava avvicinando: poco più alto di un uomo normale, sembrava rivestito di scaglie di pietra grigia e la testa era composta da quattro facciate, sulle quali erano state scolpite delle espressioni grottesche e di rabbia.
«Mi ricorda il boss di un videogioco» mormorò Hawkmoth, inclinando la testa e studiandolo: «Ma non riesco a ricordarmi quale.»
«Ok. Come lo battiamo?» domandò Ladybug, roteando lo yo-yo davanti a sé e proteggendosi così dal secondo dardo lanciato dalla creatura: «Volpina. Bee. Tortoise?»
«Io sono qui, boss» dichiarò la voce di Volpina, prima che l’eroina atterrasse alle spalle del mostro, anticipando di poco l’arrivo dei rimanenti membri del gruppo: «Simpatico il ragazzone che abbiamo oggi.»
Ladybug osservò il nemico, muovendosi lentamente verso sinistra, un passo dopo l’altro e, quando un nuovo dardo venne lanciato dalla bocca del mostro, usò lo yo-yo per proteggersi e notò come la testa girava su sé stessa, mettendo in posizione frontale una nuova facciata: «Forse riesce a fare un attacco per volta…» mormorò, notando la nuova faccia lanciare il proprio colpo verso Tortoise, che alzò lo scudo e si protesse con quello.
Nuovamente la testa girò su se stessa.
Ladybug annuì, sorridendo convinta del piano che si stava formando nella sua mente: «Volpina, usa le tue illusioni per distrarre le facciate e costringerle a usare i dardi; Tortoise, tieni il tuo scudo alzato e…» si fermò, aprendo appena la bocca e osservando a rallentatore la scena che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi: la seconda facciata, quella che aveva usato il dardo contro di lei, lanciò un secondo colpo e colpì in pieno la spalla di Chat Noir che si accasciò per terra, portandosi una mano alla lesione; Ladybug saltò davanti a lui, facendo ruotare lo yo-yo e usandolo come scudo, mentre due facce lanciavano in contemporanea due dardi: «Peacock, vedi!» urlò, senza voltarsi verso il compagno per assicurarsi che eseguisse l’ordine: «Chat…»
«Sto bene, my lady. Mi ha preso alla sprovvista.»
Le teste nuovamente girarono e Tortoise rotolò per terra, evitando un assalto e usando lo scudo per proteggere se stesso e Peacock: «Non possiamo attaccarlo se siamo impegnati a proteggersi.»
«E il simpaticone non considera le mie illusioni» bofonchiò Volpina, roteando il flauto e osservando le copie di tutti loro che si muovevano, senza attirare l’attenzione della creatura: «Che facciamo?»
«Il Lucky charm» dichiarò Peacock, scuotendo la testa e osservando il nemico, portandosi la mano alla fronte e massaggiandosela: «Dobbiamo usarlo sulla facciata frontale e, prima che questa giri, permettere a Chat Noir di usare il proprio potere.»
«Ok» dichiarò Chat, alzandosi e invocando il suo potere speciale, osservando poi la mano impregnata di energia distruttiva e spostando lo sguardo su Ladybug: «Tocca a te, my lady.»
Ladybug annuì, lanciando in aria lo yo-yo e osservando l’energia della creazione riunirsi in un solo punto e dare vita all’oggetto designato, che cadde fra le mani della coccinella: «Uno specchio?» domandò, rigirandosi il quadrato che aveva fra le mani e rimandava il riflesso della propria espressione dubbiosa: «E’ come Mogui.»
«Mettilo in alto e mettiti davanti la facciata principale» dichiarò Peacock, osservando Ladybug annuire ed eseguire esattamente ciò che aveva detto: «Volpina, Bee. Voi dovete usare i vostri poteri sulle facciate laterali, invece» continuò il pavone, osservando le due eroine annuire e posizionarsi ai lati della creatura, saltando quando due dardi vennero sparati nelle loro direzioni: «Dovete attaccarlo non appena il dardo…»
Peacock si fermò, osservando la facciata frontale lanciare il dardo contro Ladybug e vedere questo rimbalzare contro lo specchio e tornare indietro, la coccinella fece alcuni passi indietro, rovinando poi a terra e guardando il dardo colpire la faccia della creatura, in contemporanea ai poteri congiunti di Volpina e Bee; Chat Noir balzò in avanti, posando la propria mano sull’addome della creatura e vederla iniziare a sgretolarsi davanti a lui: «Ce l’abbiamo…» iniziò, fermandosi quando vide un ultimo dardo, l’ultimo attacco della creatura morente, venire lanciato dalla facciata posteriore: «Hawkmoth, attento!»
Il giovane eroe rimase immobile, osservando il proiettile di fiamme bianche giungere verso di lui e poi si sentì spostare di lato, cadendo nell’erba, il peso completamente sulla parte destra del corpo: sputò un po’ di erba che aveva ingoiato quando era stato spintonato, e si rialzò; si guardò attorno, scuotendo la testa e massaggiandosi la fronte, non capendo cosa lo aveva spinto e perché, finché i suoi occhi non si fissarono sul corpo inerme vicino a lui e poco lontano dal mucchietto di polvere che era diventato il loro nemico: «Bee!»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 56
*** Capitolo 56 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.139 (Fidipù)
Note: Nuovo appuntmaentocon Miraculous Heroes 3 e, dopo questi giorni di attesa, saprete cosa è successo a Sarah: andiamo, davvero credete che l'avrei fatta fuori? Io che cerco sempre di non uccidere nessuno? Beh sì, le premesse c'erano tutte. Comunque non perdo tanto tempo in chiacchiere ma, anzi, vi lascio immediatamente al capitolo, ricordandovi che domani verrà aggiornata la raccolta Scene con Eroina I (Sì, in pratica questa settimana è quasi totalmente incentrata su Sarah).
Come sempre vi ricordo la pagina facebook dove essere sempre aggiornati su capitoli, anteprime e coming soon, senza contare i miei disagi.
Detto ciò, come sempre, voglio ringraziarvi tantissimo per il fatto che mi leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

 La donna era prostrata ai suoi piedi, con il viso poggiato contro il pavimento freddo e le mani congiunte avanti a sé, quasi a pregare in quella posizione: «Sono molto deluso» commentò Kwon, muovendosi attorno a lei senza perderne il contatto visivo, quasi convinto che lei sarebbe sparita: «Profondamente deluso. Vi ho dato il potere, vi ho dato la forza, e come vengo ripagato? Con un fallimento dietro l’altro. Hundun, mia cara, quale scopo ha la tua stessa esistenza? A che cosa mi servi?»
«Mio signore…»
Kwon inspirò, abbassando le palpebre e piegando in un sorriso senza vita, mentre il pesante monile, che teneva al collo, strisciò contro la sua pelle e alzò il capo di metallo, aprendo le fauci e soffiando verso la donna, che continuava a rimanere inginocchiata ai suoi piedi: «Sei un tale fallimento, Hundun» continuò, alzando lentamente il braccio destro e, arcuate le dita, sorrise mentre osservava le spire di Quantum avvolgersi attorno al corpo della donna, stringendola; Kwon rimase a fissarla, mentre boccheggiava e la voce flebile implorava pietà.
Un qualcosa che lui non aveva.
Strinse le dita, mentre il Quantum avvolgeva completamente il corpo di Hundun, solidificandosi e intrappolando la donna al suo interno: Kwon la fissò, passando lo sguardo sul corpo che galleggiava nel Quantum, le braccia tese in avanti, la bocca spalancata e gli occhi che sembravano quasi continuare a implorare la pietà in quel signore che ora temeva con tutta sé stessa.
Kwon chiuse le palpebre, sentendo le spire del Quantum lasciarlo andare e si voltò, lasciando lì il bozzolo di energia, un monito per gli altri tre generali.
Hundun era stata la prima, ma sentiva dentro di sé che non sarebbe stata l’unica.
Alzò la testa, aprendo nuovamente gli occhi e lasciando andare il respiro che aveva trattenuto fino a quel momento, marciando deciso verso la porta della propria stanza e ignorando le presenze dei tre uomini, testimoni della sua giustizia implacabile.
Un monito.
Hundun sarebbe stato quello.
Qionqgi emerse dalle ombre, osservando il pesante uscio della stanza del loro signore chiudersi e poi spostare lo sguardo su Hundun, imprigionata come un insetto nell’ambra preistorica: «Una pessima fine» commentò, avvicinandosi al bozzolo e poggiandovici una mano, sentendolo caldo al tatto: «Mi chiedo che dovremo fare noi adesso» si voltò, osservando i suoi due compagni e trovandoli in uno strano silenzio.
Taowu abbassò lo sguardo, osservando il pavimento e scuotendo poi il capo.
Taotie serrò maggiormente la presa sulla sua lancia, il mento alzato e il corpo teso.
Qionqgi li osservò, tamburellando le dita sulla parte di volto lasciata scoperta dalla maschera: chi dei due avrebbe potuto usare? Chi dei due avrebbe potuto sacrificare? Quale sarebbe stato il prossimo che avrebbe utilizzato come scudo, per posticipare ancora di un po’ il suo momento?
Taowu era troppo concentrato sulla sua bella, troppo deciso a prendersela per sé.
Taotie…
Piegò le labbra in un sorriso, mentre si avvicinava all’altro uomo e l’osservava, indeciso su come approcciarsi: non sapeva molto di Taotie, non era stato abbastanza vicino da comprenderlo, da sapere quale leva usare per smuoverlo.
«Una brutta cosa, non è vero?» buttò lì, osservando il bozzolo di Quantum e la donna imprigionata al suo interno, domandandosi se era morta o meno: «Mi chiedo se anche noi faremo quella fine…» si voltò, osservando il volto semicoperto di Taotie e lasciando andare un sospiro: «Che cosa hai in mente di fare, mio caro compagno?»
«Li distruggerò.»
Qionqgi sorrise, sentendosi quasi riconoscente all’uomo che gli aveva fornito su un piatto d’argento la leva su cui fare forza per spingerlo ad andare a combattere: «Solo tu puoi riuscirci» mormorò, posando una mano sullo spallaccio dell’armatura ingombrante che Taotie indossava: «Solo tu puoi vendicare Hundun.»
«Lo farò. Porterò i Miraculous al nostro signore.»


Rafael poggiò il mento sul materasso, osservando la ragazza distesa e mezza nuda: «Come ti senti?» mormorò, allungando una mano e carezzando con le nocche la pelle delle spalle, guardando le palpebre fremere e poi aprirsi, mentre lo sguardo nocciola si posava nel suo: «Fa male?»
«Un poco» bisbigliò Sarah, alzando appena gli angoli della bocca: «Ma sopravvivrò.»
Rafael lasciò andare un sospiro, annuendo con la testa: «Dovresti stare più attenta…» bisbigliò, poggiando la guancia sul materasso e continuando ad accarezzarla: «Capisco che Thomas era in pericolo ma…»
«Thomas sarebbe stato preso in pieno, io solo di striscio.»
«Sarah…»
«Rafael, parli proprio tu?»
Il ragazzo sorrise, allungandosi un poco e poggiando la fronte contro la spalla: «Non voglio perderti» bisbigliò, baciandole poi la pelle e dando un’occhiata alla schiena nuda: una lunga ferita l’attraversava partendo dalla spalla sinistra e giungendo fin quasi al fianco destro; Sarah era stata ferita superficialmente dal dardo della creatura del Quantum, quando si era gettata sopra Thomas per salvarlo da quel colpo che lo avrebbe sicuramente ucciso.
Xiang l’aveva curata e aveva assicurato che la ragazza si sarebbe ripresa velocemente, aiutata dal fatto di essere una Portatrice e dall’energia benefica del Quantum, di cui il gioiello dell’Ape era intriso: «Non mi perderai» bisbigliò la ragazza, inspirando profondamente e lasciando andare poi l’aria: «Ho intenzione di darti noia ancora per un po’.»
«Ed io che speravo di tornare alla mia vecchia vita.»
«Appena sconfiggiamo Kwon, me ne torno in America. Addio, Rafael.»
«Non mi lascerai.»
«Sei troppo sicuro di te.»
La carezzò con le nocche, scendendo fino al gomito e risalendo poi nuovamente verso la spalla, un sorriso gli piega le labbra e lo sguardo seguiva le sue stesse dita: «Ho sempre pensato che Marinette e Adrien abbiano voluto fare le cose un po’ troppo velocemente, ma devo ammettere di capire il perché…»
«Cosa?»
Rafael socchiuse le palpebre, scuotendo la testa e chinandosi verso di lei, poggiandole le labbra sulla fronte: «Non è il momento di parlarne, apetta.»
«Io direi che è il momento di parlarne. Qualunque cosa hai in mente.»
«Quando starai bene e non avrai la schiena spalmata di unguento cinese.»
«Rafael…»
«Ti dico solo una cosa: non ti permetterò di tornare in America. A meno che tu non torni entro breve o mi porti con te.»
«Rafael, che cosa…?»
Rafael sorrise, tirandosi su e poggiando la schiena contro il comodino, voltandosi verso la porta e notando solo allora la figura di Alex: «E’ successo qualcosa?» domandò, vedendo l’americano tenersi una mano davanti la bocca e tormentare l’unghia del pollice con i denti: «Alex?»
«Vi prego, ditemi che non c’è un altro attacco…»
«Nessun attacco» dichiarò Alex, con un sorriso senza allegria in volto: «Ero di là, stavo controllando le carte di tuo padre e…beh, ho trovato una cosa inquietante. Molto inquietante.»
Rafael aggrottò lo sguardo, scambiandosi un’occhiata con Sarah e vedendo la stessa incomprensione anche in lei: «Puoi spiegarti, Alex?»
«Avete presente il foglietto che avevamo trovato? Il ragno tessitore etcetera etcetera? Ecco, prima stavo controllando alcune cose e ho notato alcune foto e dipinti che tuo padre aveva raccolto: in ognuno aveva cerchiato un volto e praticamente è la stessa persona. Sempre.»
«Come è la stessa persona?»
«E’ lo stesso. Sempre lui. Sempre un uomo dai tratti orientali.»
«Forse Kang? Aveva i capelli chiari?»
«No, li aveva scuri. Almeno mi sembra siano scuri. Insomma, nei dipinti se uno è moro lo dipingono moro, no?»
«Sì.»
«E allora è moro.»
«Che sia Kwon?» domandò Sarah, osservando dal basso i due e vedendoli scambiarsi un’occhiata, senza che nessuno le degnasse di una risposta: «Potrebbe essere tranquillamente.»
«Dovrei mostrarlo a Xiang. Lei è l’unica che sa come è fatto.»
Rafael annuì, portandosi una mano alla tempia e massaggiandosela, passando poi agli occhi e strusciandoseli: «Chiamala. Controlla se è veramente Kwon. Vediamo di riuscire a tirare fuori le gambe da tutto ciò una volta per tutte.»
«Lo faccio subito» dichiarò Alex, uscendo dalla camera sotto lo sguardo di Rafael e Sarah; quest’ultima spostò l’attenzione sul ragazzo al suo fianco, osservando le linee tese del volto e allungò una mano, carezzandogli la guancia e portando su di sé lo sguardo grigio.
«Andrà tutto bene» mormorò la ragazza, tenendo la mano sulla guancia e carezzandogli lo zigomo con il pollice: «Ce la faremo.»
«Lo spero.»
«Siamo un gruppo veramente in gamba e lo sai. Semplicemente, adesso non vuoi darmi la soddisfazione di darmi ragione.»
«Sarah…»
«Rafael.»
Il ragazzo sospirò, piegando le labbra in un sorriso e poggiando nuovamente la testa contro il materasso: «Ce la faremo. Sei contenta adesso?»
«Più convinzione nella voce.»
«Dovresti riposarti, sai?»
«Lo sto facendo: sono a letto, non sto facendo niente. Io questo lo chiamo riposo» Sarah si fermò, continuando a muovere il pollice e sorridendo: «Vuoi unirti a me?»
«Sarah!»
«A riposare! Maniaco!»

 

Lila lasciò andare un sospiro, osservando la televisione senza seguire ciò che veniva proposto: «Non pensavo ti interessassero delle panciere» mormorò Wei, poggiando le braccia sullo schienale del divano e abbassando lo sguardo: «Non mi sembrava che tu fossi così in carne, devo dire.»
La ragazza non gli rispose, continuando a fissare lo schermo e le immagini di donne che mostravano i benefici dell’indumento, senza mostrare di aver ascoltato una parola di ciò che aveva detto Wei: «Lila?» il ragazzo la richiamò e l’osservò sobbalzare leggermente, prima di inclinare indietro la testa e fissarlo stupita: «Mi hai sentito?»
«Che cosa mi hai detto?»
«Sei preoccupata per Sarah» dichiarò il giovane, tirandosi su e lasciando il respiro: «Rafael ha detto che sta bene.»
«Lo so.»
«E allora?»
La ragazza scosse il capo, tornando a guardare lo schermo, mordendosi il labbro inferiore: «E’ stata fortunata. Siamo sempre stati fortunati» dichiarò Lila, tirando su le gambe e poggiando il mento contro le ginocchia: «Ammettiamolo, è sempre stato un gioco e abbiamo sempre giocato benissimo, ma adesso…»
«E’ veramente sempre stato un gioco, Lila?»
La ragazza aprì la bocca, lasciando andare un sospiro e richiudendo le labbra, scuotendo la testa: «No. Ho sempre preso seriamente il mio ruolo di supereroina, però…»
«Ammetto che, tutti quanti, non abbiamo mai pensato seriamente alle possibili conseguenze, sebbene sia io che Ladybug abbiamo provato sulla nostra pelle.»
«Come dimenticarsi…»
«E Peacock.»
«Peacock ha fatto l’abbonamento. Se non si ferisce non è contento.»
«Ma questo non ci ha mai fermato. E non fermerà nemmeno Sarah.»
Lila gettò nuovamente indietro la testa, un sorriso tenue che le piegava le labbra e annuì: «Hai ragione. Anche se non sembra, Sarah è forte.»
«Come te. E come Marinette.»
«Come tutti noi.»
Wei sorrise, tirandosi su e scivolò lungo il divano, sedendosi a fianco della ragazza e passandole le braccia attorno al corpo, tirandola contro di sé e aspettando il momento in cui lei si sarebbe arresa: Lila non fece nessuna resistenza, abbandonando ogni tensione del proprio corpo e ricambiando la stretta, passando le mani attorno alla vita di Wei e poggiando il viso contro la sua spalla.
Il ragazzo chinò la testa, accentuando maggiormente la stretta e baciandole la tempia sinistra, lasciando andare un sospiro pesante e facendo vagare lo sguardo scuro per la stanza, notando i due kwami che li fissavano senza dire una parola.


Felix osservò il ragazzo seduto sul divano e con una bella ferita alla spalla destra: «Ti ha preso bene» dichiarò, sedendosi accanto a lui e studiando la lesione: «Sei fortunato che non ha preso né nervi né legamenti, altrimenti potevi tranquillamente dire ciao ciao a mano e tutto il resto.»
Adrien abbozzò un sorriso, osservando velocemente la ragazza in piedi e che li fissava, torturandosi le mani: «Visto, my lady? E tu che dici sempre che sono sfortunato.»
Marinette lasciò andare un sospiro, scuotendo il capo e portandosi una mano alla tempia, massaggiandosela: «Puoi fare qualcosa, Felix?»
«Posso amputargli il braccio» dichiarò l’uomo, ridacchiando di fronte allo sguardo verde e sconvolto che si era posato su di lui: «Oppure potrei usare la crema fatta da Fu e sentirti soffrire.»
«Posso suggerire a Bridgette di mollarti?»
«Sarai lieto di sapere che Bridgette diventerà la futura signora Blanchet.»
«Cosa?» domandò Adrien, voltandosi verso l’uomo con la bocca spalancata e lo sguardo sgranato; storse poi le labbra, quando Felix spalmò il rimedio sulla ferita e sibilò dal dolore: «Che diavolo le è preso?»
«Forse la stessa pazzia che è presa a Marinette?»
«Tenetemi fuori dai vostri discorsi» dichiarò la ragazza, sedendosi per terra di fronte ai due e osservando Felix curare la ferita di Adrien con pazienza, spalmando la crema in ogni punto e poi posandovici sopra una garza e fasciando il tutto; quando ebbe finito, Marinette si complimentò per il lavoro perfetto, tanto da sembrare quello di un medico.
L’uomo sorrise, scrollando le spalle e iniziando a sistemare il vasetto con l’unguento e le fasce: «Ero venuto qui perché Bridgette era preoccupata e non poteva venire personalmente, da quanto ho capito l’assistente di Gabriel l’ha sequestrata, ma non pensavo di dover fare da dottore a un gattino.»
«La prossima volta eviterò di prendere dardi nelle spalle.»
«Bravo gattino» Marinette allungò una mano, posandola su quella di Adrien e stringendo appena le dita di lui, un movimento che non passò inosservato allo sguardo di Felix che commentò il tutto con un sorriso: «Come sta andando con il semaforo a due gambe?»
«Al solito» dichiarò Adrien, poggiandosi contro il divano e lasciando andare un sospiro: «Ormai mi chiedo com’era la nostra vita senza un tipo inquietante che ci minacciava un giorno sì e l’altro pure.»
«Tranquilla? Rilassante? Normale?» buttò lì Marinette, incontrando lo sguardo di Adrien e sorridendo: «Meno pericolosa.»
«Quello non lo discuto» dichiarò il giovane, socchiudendo le palpebre e storcendo le labbra, inspirando poi profondamente e stringendo le dita di Marinette: «Odio quella crema del cavolo.»
«Ma funziona benissimo» dichiarò Felix, alzandosi in piedi e fissandoli dall’alto: «Immagino che non hai avvisato i tuoi.»
«Per venire rinchiuso da mio padre? No, grazie.»
«Non penso sia necessario che io vi faccia un discorsetto su quanto può essere pericolosa la vostra missione, vero?» domandò Felix, incrociando le braccia e studiandoli entrambi: «Io stesso avevo preso tutto come un gioco, fino a quando…» si fermò, scuotendo il capo e lasciando andare un sospiro: «Beh, fino a quando non fui rapito, salvato, preso da Kang. Era facile combattere con il potere del Miraculous, con la forza della distruzione che Plagg mi donava ma ho sempre preso sottogamba ciò che questo significava.»
«Non credo che questo sia un problema per Marinette e Adrien» commentò la voce di Plagg, quasi come se si fosse sentito chiamato in causa, e volò davanti al volto dell’uomo, voltandosi breve indietro: «Non confonderli con Bridgette e te, Felix. Su questo punto di vista, loro due sono molto più maturi e votati alla missione di quanto lo eravate tu e la tua donna.»
Felix rimase immobile, facendo scivolare lo sguardo sui due ragazzi e annuì lentamente con la testa, inspirando profondamente: «Sono lieto di ciò» dichiarò, piegando le labbra in un sorriso e poggiando le mani sui fianchi: «Tu comunque dovresti chiamare i tuoi: non penso che Gabriel e Sophie saranno felici di essere tenuti all’oscuro, sono pur sempre stati ex-Portatori.»
«Lo farò, lo farò.»
«Signorina coccinella, assicurati che lo faccia.»
«Li chiamerò io.»
«Questo mi piace di più.»
«Felix, non è che hai qualcosa da fare? Non so, andare a gettarti da qualche ponte, rotolarti con Bridgette su un…»
«Adrien.»
«Stavo dando solo alcune opzioni di cose da fare, my lady.»


«Come ti senti, Sarah?»
La voce di Mikko costrinse la ragazza ad aprire le palpebre e sorrise, trovando davanti a sé i due kwami: Mikko e Flaffy la fissavano in attesa, il timore negli occhi di entrambi; la ragazza allungò la mano e li avvolse entrambi con le sue dita, portandoseli vicino al volto, sentendoli accomodarsi contro il suo corpo: «Non è niente» bisbigliò, socchiudendo nuovamente le palpebre e lasciando andare un sospiro, mentre si sistemava meglio nel letto: «Starò bene. Non preoccuparti.»
«Non voglio perderti, Sarah.»
«Non lo farai, Mikko.»
«Nemmeno io voglio perderti, Sarah» bisbigliò Flaffy, muovendo la lunga coda e provocandole un brivido di solletico lungo la spada: «Rafael era intrattabile prima di incontrare te, adesso è più tranquillo, sereno. Non devi fare mai più una cosa del genere, pensa a me e a quella regina degli elfi instabile. Nemmeno fosse Galadriel di fronte all’Unico Anello.»
Sarah sorrise, cercando di cogliere la metafora fatta dal kwami del pavone e annuì, per quanto le era possibile, con la testa: «Non mi perderete. Ve lo giuro.»


Manon sobbalzò non appena mise piede nella propria camera, osservando il ragazzo seduto sul letto: Thomas teneva lo sguardo basso, fisso sulle proprie mani intrecciate e le spalle incurvate: «Va tutto bene?» domandò, chiudendo la porta dietro di sé e avvicinandosi poi lentamente al letto, sedendosi accanto a lui e tenendo lo sguardo fisso davanti a sé: «Ho visto il telegiornale.»
«Sarah si è ferita per colpa mia.»
«Sta bene? E’ grave?» Manon si voltò verso di lui, posandogli una mano sulla coscia e guardandolo, cercando negli occhi le risposte a quelle domande: «Thomas?»
«Si è gettata addosso a me, perché non avevo visto uno di quei dardi venirmi addosso e si è ferita alla schiena» spiegò il ragazzino, scuotendo il capo: «Xiang e Rafael mi hanno detto che non è grave e si rimetterà. Ma è stata colpa mia. Non sono stato attento e lei è dovuta intervenire: mi ha salvato ed è rimasta ferita.»
«Thomas…»
«Io sono uno degli eroi di Parigi. Io dovrei…»
«Tu sei umano, Thomas. Come chiunque.»
«No. Io…»
Manon fece scivolare le dita su quelle intrecciate del ragazzino, piegando il capo e cercando di vedere l’altro in volto: «Non è successo niente di irreparabile e sono certa che Sarah sapeva esattamente quello che faceva. Non è colpa tua.»
«Io dovevo essere attento. Non avrei dovuto abbassare la guardia solo perché Chat aveva usato il proprio potere.»
«Thomas…»
«E se facessi un altro errore? E se stavolta fossi la causa della…della…»
«Non pensarlo, Thomas» bisbigliò Manon, prendendogli il volto fra le mani e facendolo girare verso di lei: «Non farlo nemmeno per un secondo: nessuno morirà e non succederà per colpa tua. Ti conosco, so che impari dai tuoi sbagli e migliori» si fermò, sorridendo appena: «Abbi fiducia in te e nella persona che ti ha scelto come Portatore del Miraculous. Abbi fiducia nei tuoi compagni.»
Thomas la fissò, tenendo lo sguardo in quella della ragazzina e poi lasciandosi andare, poggiando la fronte contro la spalla di Manon e sentendo le braccia di lei circondarlo e cullarlo dolcemente: poteva sentire il suo profumo fiorito e quello del sapone del bucato di cui erano intrisi i panni che indossava: «Sai di fiori» bisbigliò, non capendo neppure lui da dove gli fosse uscita quell’affermazione e continuando a rimanere nella stessa posizione; inspirò profondamente, assaporando il profumo di Manon e, dopo un attimo di indecisione, decise di contraccambiare l’abbraccio della ragazzina, passandole le braccia attorno alla vita e tirandola lievemente verso di sé.
«Andrà tutto bene, Thomas» bisbigliò Manon, sistemandosi meglio nella sua stretta e carezzandogli la nuca: «Andrà tutto bene.»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 57
*** Capitolo 57 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.798 (Fidipù)
Note: Eccoci qua con un nuovo appuntamento di Miraculous Heroes 3 che, come sempre, inaugura una nuova settimana di aggiornamenti. E niente, sinceramente non ho molto da dire su questo capitolo perché, alla fin fine, parla di cose note a tutti voi che ormai mi leggete da più di un anno e mezzo, quindi passo subito alle informazioni di servizio.
Come sempre vi ricordo la pagina facebook dove essere sempre aggiornati su capitoli, anteprime e coming soon, senza contare i miei disagi.
Inoltre vi ricordo gli appuntamenti di questa settimana: cominciamo con mercoledì con un nuovo capitolo di La bella e la bestia, giovedì al solito sarà aggiornata Laki Maika'i e venerdì vedrà la luce un nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3; infine, sabato sarà il turno di Lemonish.
Vi ricordo inoltre che la settimana dal 14 al 20 agosto non ci saranno aggiornamenti, perché sarò stra-impegnata con il lavoro per via del Ferragosto.
Detto ciò, come sempre, voglio ringraziarvi tantissimo per il fatto che mi leggete, commentate (lo so, sono un mostro perché non rispondo mai, però se mi mandate mp o mi contattate su facebook lo faccio, eh!) e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

Carezzò il fianco nudo, risalendo con lentezza verso l’alto e sfiorando il costato della ragazza con i polpastrelli, scivolando poi sulla scapola e sentendo sotto le dita la pelle rialzata della ferita: Rafael storse la bocca, lasciando andare un sospiro e ritornando indietro nel suo percorso: «Guarirò» mormorò Sarah, alzando la testa in modo da incontrare lo sguardo grigio dell’altro: «E’ inutile che fai quello sguardo…» continuò, muovendosi e scivolando sopra di lui, sistemandosi a cavalcioni e allungando poi una mano verso il viso di Rafael, carezzandogli le guance e risalendo fino alle tempie, sistemando indietro le ciocche more.
Rafael socchiuse le palpebre, lasciandosi cullare dalla carezza di Sarah e posando le mani sulle cosce di lei, risalendo poi lungo i fianchi e tenendo le dita lì: «Avrei dovuto proteggerti. O pensare io a Thomas.»
«Eri lontano.»
«Tu non dovevi ferirti.»
«Rafael» Sarah mormorò il suo nome, chinandosi in avanti e baciandogli la fronte, rialzandosi e osservando il volto con le palpebre chiuse: «Rafael, guardami» Sarah rimase in attesa, osservando Rafael tenere ostinatamente gli occhi chiusi, finché le palpebre del giovane non fremettero e si aprirono lentamente, rivelando lo sguardo chiaro che, fisso su di lei, attendeva con pazienza che lei continuasse: «Il giorno in cui ho indossato per la prima volta il mio Miraculous, ho deciso che avrei fatto tutto ciò che è in mio potere per non far vincere il mio nemico. Pensavo di essere sola, di non avere compagni, ma poi ho scoperto di Ladybug e Chat Noir, sono giunta qui a Parigi e ho conosciuto i nostri compagni. Ho conosciuto te. E allora ho fatto un’altra promessa con me stessa: avrei fatto tutto ciò che è in mio potere per salvare chi combatte al mio fianco.»
«Sarah…»
«So che tu non vuoi che io mi esponga ai rischi, è quello che provo anche io per te. Ma non voglio nascondermi.»
Rafael rimase in silenzio, carezzando lieve i fianchi della ragazza e tenendo lo sguardo sulle proprie dita, prima di rialzarlo e incontrare quello di Sarah: «E’ un crimine volerti al sicuro?» domandò, con un sorriso sulle labbra e alzando poi un dito, quando vide la ragazza aprire bocca e fermandola con quel semplice gesto: «Ma so anche che mi uccideresti se provassi anche solo a impedirti di combattere.»
«Vedo che ci capiamo…»
«Ma non per questo…»
«Lo so, lo so. Ti preoccupi» Sarah si chinò in avanti, sfiorandogli le labbra con le proprie e sorridendo divertita, quando nuovamente si tirò su: «E adesso, per quanto io odi quella crema, devi aiutarmi con la ferita che non sopporti vedere.»
«Non possiamo chiamare Xiang?» domandò Rafael, piegando la testa contro il cuscino e guardando la testata del letto: «Sinceramente, quella crema che ti ha fatto è una cosa abominevole.»
«Devo andare a lezione, quindi no. Non possiamo chiamare e aspettare Xiang.»
Rafael sospirò, portando di nuovo lo sguardo sulla ragazza e fissandola: «Sai niente di mio padre?» domandò, carezzandole il fianco con le nocche e vedendola mentre negava con la testa: «E’ sparito nuovamente e inizio a pensare che sia nelle mani di Kwon» si fermò, stringendo le labbra mentre i lineamenti del volto si facevano tesi: «Kang non doveva utilizzare mio padre. Perché non ha preso un archeologo a caso?»
«Tuo padre è bravo nel suo lavoro ed è sempre stato interessato a ciò che ci riguarda, in un certo senso.»
«Questo perché quel vecchiaccio non ha fatto altro che indirizzarlo su questa strada.»
«Se l’ha fatto ci sarà un motivo, no?»
«Ha messo in pericolo mio padre: io non so dove sia adesso, cosa stia facendo e se sia al sicuro. Non so niente di niente.»
Sarah allungò una mano, carezzandogli il volto e lasciando andare un sospiro, prima di adagiarsi sopra di lui e posare l’orecchio all’altezza del cuore, ascoltandolo battere furioso nel petto: «Lo salverò, Rafael» bisbigliò, poggiando una mano vicino al viso e carezzandogli la pelle: «Sconfiggeremo Kwon e lo salveremo da lui.»


Marinette sbadigliò, strusciandosi gli occhi con la mano destra e sorridendo alla piccola kwami rossa che, tranquillamente, stava mangiucchiando uno dei suoi biscotti preferiti: «Vorrei tornare a letto…» mormorò la ragazza, scuotendo il capo e sobbalzando quando sentì i rumori che provenivano dalla camera, rimanendo in silenzio e ascoltando le voci concitate degli altri due inquilini della casa.
«Potevi svegliarmi, Plagg!»
«E da quando in qua dovrei farti da sveglia?»
«Da quando sei diventato il mio kwami.»
«Non ricordo di aver stipulato un simile contratto.»
«Arriverò in ritardo, ed è tutta colpa tua!»
«Sai che esistono delle cose chiamate sveglie, vero? Mi sembra che in parecchi le usano, forse dovresti provare anche tu.»
«Plagg! Maledizione, non è il momento di fare battute!»
«Disse quello che le fa in continuazione.»
Un verso di fastidio fu la risposta di Adrien, prima che il ragazzo apparisse nella sala con le scarpe in mano, i capelli stravolti e lo sguardo che vagava alla ricerca di qualcosa, illuminandosi poi quando vide lo zaino scuro, abbandonato vicino alla finestra: «Immagino che non farai colazione» mormorò Marinette, alzandosi e palesando così la sua presenza al marito; lo vide scuotere il capo, mentre si sedeva sul divano e infilava gli scarponi scuri, rialzandosi poi velocemente: «Vuoi portarti dietro qualcosa?»
«Una brioche. Anzi no, facciamo due» dichiarò sbrigativo Adrien, afferrando il giubbotto e infilandolo alla svelta, recuperando poi lo zaino: «Ti vengo a prendere dopo le lezioni?»
«Va bene» dichiarò Marinette, sistemando due brioche in uno dei sacchetti di carta della boulangerie, che teneva in casa per emergenze come quella, e passando poi il tutto ad Adrien: «Non ho lezioni stamattina, ma devo andare a sentire una professoressa per un progetto.»
Adrien annuì, chinandosi e sfiorandole le labbra in un bacio frettoloso, dirigendosi poi verso la porta e fermandosi con la mano a mezz’aria: scosse il capo, ritornando sui suoi passi e, passate le braccia attorno alla vita di Marinette, la strinse a sé per un bacio più profondo del precedente: «Ci vediamo dopo, my lady» dichiarò, facendole l’occhiolino e dirigendosi per la seconda verso la porta con un sorriso divertito sulle labbra, fermandosi poi con un piede fuori dall’abitazione: «Ah. Stasera andiamo al cinema? Rafael mi aveva parlato di un film da vedere e…»
«Ne parliamo oggi, micetto. Sbaglio o sei in ritardo?»
«Giusto» Adrien si riscosse, uscendo velocemente e chiudendosi la porta dietro di sé, lasciando la casa di nuovo in silenzio, quasi come se non fosse avvenuto nulla nell’ultima manciata di minuti.
«Mi chiedo quando quei due andranno d’accordo» commentò Tikki, ancora comodamente seduta sul tavolo, mentre allungava le zampette e afferrava un secondo biscotto: «Ogni scusa è buona per litigare.»
«Sai come sono fatti, no?» domandò Marinette, stringendosi nelle spalle e facendo vagare lo sguardo attorno a sé, studiando attentamente ogni angolo della stanza e poi scuotendo il capo, tornando al tavolino sotto lo sguardo serio e scrutatore della piccola kwami: «Che c’è?»
«Ancora non ti è passata del tutto, vero?»
«Cosa?»
«Ogni volta che siamo sole in casa, ti guardi attorno come se sentissi ancora la presenza di quell’essere invisibile.»
Marinette rimase immobile, annuendo poi con calma e guardando la tazza piena di latte, abbandonata sul tavolo: «Non è più successo niente da quando abbiamo sconfitto quell’essere, però…» si fermò, inspirando profondamente e lasciando andare il respiro con lentezza: «Mi sento ancora come se avessi quello sguardo puntato addosso.»
«Beh, considerato che Nathaniel è diventato uno stalker…»
«Secondo te è come ha detto Adrien? Non ha mai smesso di essere innamorato di me?»
Tikki addentò il biscotto, masticando con calma, buttando poi giù il boccone: «Non credo, sai? Insomma, quando avete iniziato a frequentare la scuola di moda, lui sembrava essere tranquillo, aveva trovato anche una ragazza. Ricordi?»
«Ma allora perché?»
«Forse il nostro nemico gli ha fatto qualcosa e quello contro cui ci stiamo scontrando non è il vero Nathaniel, ma semplicemente qualcosa che ha solo il suo aspetto. Tu lo conosci, Marinette, ti sembra un comportamento da lui quello dell’ultimo periodo?»
«Assolutamente no.»
«Forse il Quantum ha fatto qualcosa su di lui, a livello mentale, e lo ha trasformato.»
Marinette annuì, poggiando il volto contro il pugno chiuso e girando pigramente il cucchiaino, che aveva lasciato nella tazza: «Perché lui? Perché il padre di Rafael? Quando l’abbiamo incontrato, Kwon non sembrava sapere chi eravamo, quindi perché scegliere loro?»
«Kang ha detto Rafael che Kwon usa persone a voi vicine, no?»
«Ma perché?»
Tikki abbassò il capo, lasciando andare un sospiro e poggiando il biscotto sul ripiano: «Mi dispiace, Marinette. Purtroppo non so darti una risposta. Non conosco l’energia nella quale sono stata infusa e non so come potrebbe essere utilizzata: forse Kwon riesce a usarla per scovarvi, oppure come traccia…» la kwami si fermò, scuotendo la testolina: «Non so proprio che risposta darti.»
«Non importa, Tikki» bisbigliò Marinette, allungando la mano e carezzandola dolcemente sul capino: «Grazie per essere al mio fianco, sempre e comunque.»
«Siamo una squadra, no?»
«Esattamente.»


Manon strinse gli spallacci dello zaino, mentre entrava nel cortile della scuola e lo sguardo veniva immediatamente catturato dal piccolo gruppo di benvenuto: Noemie era davanti l’entrata della scuola, le mani poggiate sui fianchi e l’attenzione completamente rivolta verso di lei, mentre la piccola corte che la circondava cicalava sé.
Era impossibile non capire chi Noemie stava aspettando e, sfortunatamente, era proprio lei la persona tanto attesa.
«Manon Chamack» cinguettò la ragazzina, non appena lei fu abbastanza vicina da vedere lo sguardo verde e risoluto dell’altro e il sorriso che le piegava le labbra: uno di quelli che non prometteva nulla di buono.
Assolutamente niente di buono.
«Ciao, Noemie» mormorò, fermandosi a pochi passi dall’altra e cercando di comprendere cosa l’altra volesse da lei a quel giro: «Tutto bene? Sempre a fare la reginetta del nulla?» Manon serrò i denti, storcendo le labbra e maledicendosi mentalmente per la sua lingua che, prima ancora di pensare, aveva sputato fuori la frecciatina verso l’altra.
Bene.
Adesso sì, che Noemie non l’avrebbe lasciata in pace.
«Manon ha sempre così tanta voglia di scherzare» tubò l’altra, voltandosi verso le altre e ridendo con loro: «Soprattutto adesso che ha conoscenze.»
«Io non ho…» iniziò Manon, lasciando morire le parole e sospirando, mentre roteava il capo e lo piegava all’indietro: «Senti, sai che c’è? Non mi interessa minimamente quello che hai da dire.»
«Oh, invece dovrebbe» mormorò l’altra, con un sorrisetto sulle labbra: «Perché io potrei renderti ogni giorno un inferno. Ti pentiresti di non avermi ascoltata.»
«Sai, una cosa del genere, io la chiamo bullismo» dichiarò decisa la voce di Thomas, mentre il ragazzo si fermò a pochi passi dal gruppetto, lo sguardo completamente rivolto a Noemie; Manon si voltò, sorridendo appena all’entrata in scena dell’amico e girandosi nuovamente verso le altre: «Mi sembra che anche alla vostra classe sia stato fatto quell’incontro con psicologi ed esperti» continuò Thomas, spostando la propria attenzione su Manon: «O non l’avete ancora fatto?»
«Qualche mese fa.»
«Oh, bene. Sa di cosa parlo, quindi.»
Noemie inspirò profondamente, alzando il mento e stringendo i pugni, facendo un passo verso di loro mentre lo sguardo si posava su Manon: «Il tuo fidanzatino non ci sarà sempre a salvarti» dichiarò, stringendo poi le labbra e tornando indietro, non appena notò Thomas avvicinarsi alla ragazzina: «Sei avvisata.»
Thomas fissò Noemie, osservandola mentre se ne andava, seguita dal gruppetto di accolite ed entrava nell’edificio, senza voltarsi: «Ma si può sapere che le hai fatto?» domandò, voltandosi verso l’amica e fissandola in volto, incontrando lo sguardo di lei e sentendosi il calore salire al volto, catturandolo nelle sue spire infuocate: «Insomma…non è normale che…ecco sì…»
«Esisto? Semplicemente questo è un affronto per lei» Manon sospirò, scrollando le spalle e guardandolo in volto: «Come sta Sarah?»
«Meglio» dichiarò Thomas, chinando lo sguardo per terra e trovando interessante le punte delle proprie scarpe: «Xiang l’ha curata con una specie di impasto che facevano a Shangri-la e lei si sta riprendendo velocemente; il maestro Fu mi ha spiegato che, essendo Portatrice di un Miraculous, ha un recupero molto più veloce rispetto a quello di un normale essere umano.»
«I Miraculous vi fanno guarire più velocemente?»
Thomas annuì con la testa in risposta alla domanda dell’amica, infilando le mani nelle tasche dei jeans e cercando di ricordare le parole dell’anziano maestro: «Con la loro magia – chiamiamola così – ci fanno guarire velocemente e rallentano il nostro invecchiamento: ecco perché, nonostante abbia quasi duecento anni, il maestro Fu è ancora vivo. Non so per Bridgette e Felix, con quello che mi hanno raccontato ho capito che per loro è un po’ diverso.»
«Duecento anni…» mormorò Manon, inspirando profondamente: «Quindi anche tu?»
«Cosa?»
«Diventerai vecchio lentamente?»
«A quanto pare sì. Chiunque abbia posseduto un Miraculous ha questa caratteristica» mormorò Thomas, sorridendo appena: «Sinceramente è una cosa a cui non avevo mai pensato, mentre adesso ogni tanto lo faccio: fra cento anni sarò ancora qui – se tutto va bene – e ho iniziato a pensare a come sarà Parigi o il mondo in generale.»
«Macchine volanti?»
«Realtà virtuale alla Sword Art Online?»
«Tu hai visto Sword Art Online?»
«Ovviamente. E anche l’altro. Come si chiamava?»
«Accel World?»
«Esattamente.»
Manon aprì la bocca, scuotendo il capo e chiudendo le palpebre, prima di lasciare andare un lungo sospiro: «Stavo per dire una frase di cui mi sarei sicuramente pentita subito dopo.»
«Cosa? Che volevi dire?»
«Niente, niente.»
«Dimmelo!»
«No, no, no. Non sono così masochista da dirla.»
«Non puoi gettare lo spoiler e poi non dire nulla.»
«Posso e lo farò!»


«Marinette Agreste!»
La ragazza alzò la testa verso la scala che dominava l’entrata della scuola, osservando la proprietaria della voce che l’aveva accolta, e sorridendo dolcemente alla professoressa, mentre questa la raggiungeva: «Buongiorno, madame Leroux»
«La mia studentessa preferita» esordì la donna, prendendola per le spalle e sorridendo soddisfatta: «Come stai?» le domandò, studiandole il volto quasi come se stesse cercando qualcosa: «Ho notato che, ultimamente, non sei molto attiva a lezione.»
«Sono solo un po’ stanca.»
«Immagino non sia facile abituarsi al matrimonio, eh? Ricordo ancora i primi mesi con il mio Pierre: un incubo! Ma sapeva farsi valere quando si spegnevano le luci.»
Marinette chinò il capo, non sapendo cosa rispondere e sentendo il calore salire al volto, leggermente imbarazzata dalle confidenze della donna: «Stavo cercando il professore de Foer, dovrei consegnargli alcuni disegni. Per caso sa dove si trova?»
«In aula magna» le rispose sbrigativa la donna, indicando la porta rossa a doppia anta, sotto la rampa di scale: «Se non erro sta sistemando della roba per quell’evento degli studenti dell’ultimo anno.»
«Grazie mille.»
«Questo è altro per la mia studentessa preferita» dichiarò madame Leroux, facendole l’occhiolino mentre Marinette le regalò un nuovo sorriso, prima di raggiungere veloce la porta dell’aula magna: premette il maniglione, spingendo la porta verso l’interno e osservando stranita la stanza.
Era abituata a vedere quel luogo con file e file di sedie, mentre adesso l’intera sala era stata sgombrata e solo poche cose la riempivano: alcuni manichini ancora senza niente e un cubo di plexiglass che dominava il centro; Marinette si guardò attorno, facendo alcuni passi nella stanza, cercando con lo sguardo il professore ma senza trovarlo.
Possibile che fosse uscito?
Possibile che qualcosa fosse sfuggito allo sguardo onnipresente della Leroux?
Marinette poggiò la borsa vicino a uno dei manichini, avvicinandosi al cubo trasparente e posando una mano sulla superficie di plexiglass, mentre la sua mente cercava di comprendere il motivo della struttura; camminò lungo il perimetro, carezzando con le mani il materiale liscio e trovando una piccola porta che sembrava fungere da entrata per la gabbia trasparente.
Forse all’interno ci sarebbero state delle modelle?
Socchiuse gli occhi, immaginandosi la sala durante l’evento che sarebbe avvenuto: le luci sarebbero state soffuse, la musica avrebbe fatto da cornice, mentre le persone avrebbero camminato per la sala, sorseggiando qualcosa e allungando le mani per afferrare gli stuzzichini dai vassoi dei camerieri. Il cubo di plexiglass sarebbe stato al centro, catturando l’attenzione di tutti con le modelle all’interno, mentre sfoggiavano le creazioni migliori degli studenti dell’ultimo anno e stilisti come Gabriel e Willhelmina potevano trovare lì qualche talento nascosto da inserire nel proprio organico.
Un sorriso piegò le labbra di Marinette, mentre tornava indietro con la mente e raggiungeva la se stessa quattordicenne: aveva sempre sognato di partecipare a un evento simile, fantasticato su come Gabriel Agreste l’avrebbe notata e Adrien, improvvisamente conscio dei suoi sentimenti, le avrebbe chiesto di uscire.
Riaprì gli occhi, alzando la testa e sorridendo ai suoi sogni di adolescente e a quanto non si discostassero dalla realtà che stava vivendo: Gabriel l’aveva notata come stilista e Adrien, l’amore della sua vita, adesso era suo marito.
Una realtà pressoché perfetta.
Si voltò, sobbalzando quando notò la figura di Nathaniel poco distante da lei: «Nathaniel» mormorò, portandosi una mano al petto e sentendolo battere furioso mentre il corpo tremava per lo spavento che aveva preso: quando era giunto vicino a lei? E come aveva fatto a essere così silenzioso?
«Sarà un bell’evento, vero?»
«Co-cosa?»
«Quello degli studenti dell’ultimo anno.»
«A-ah. Sì, vero» Marinette sorrise appena, spostando lo sguardo sulla borsa e notando quanto fosse distante da lei, constatando che sia Tikki che il cellulare erano lì dentro: «Stavo cercando il professor de Foer. L’hai visto, per caso?»
«Non oggi» mormorò Nathaniel, facendosi più vicino a lei e tenendo lo sguardo fisso in quello di Marinette: «Ho trovato solo te, Marinette.»
La ragazza annuì, piegando appena le labbra e facendo un passo indietro, sentendo la porta del cubo cedere contro il suo peso; cadde all’indietro, trovandosi all’interno della stanza dalle pareti trasparenti e osservando Nathaniel all’esterno.
L’energia ocra del Quantum l’avvolse, trasformando gli abiti in qualcosa di completamente diverso e molto simile a quello che indossavano gli altri sottoposti di Kwon, mentre il volto era coperto da una maschera di metallo: «Nathaniel?»
«Io sono Taowu» mormorò il giovane, mentre alzava una mano e stringeva le dita a pugno, mentre un sorriso gli piegava le labbra: «Dovevi diventare mia, Marinette. Se tu fossi diventata mia, non saremo giunti a questo.»
Il rumore di sabbia che scivolava arrivò alle spalle di Marinette che, con lo sguardo sgranato, si voltò notando la rena dorata scivolare velocemente lungo la parete e osservandola depositarsi sul pavimento, mentre il piano di Nathaniel le diventava immediatamente chiaro nella mente: si rialzò, sentendo le gambe pesanti e si abbatté contro la parete di plexiglass, cercando di aprire la porta da cui era caduta ma senza riuscirci, abbattendo i pugni contro la superficie e fissando il ragazzo dalla parte opposta.
«Nathaniel! Fammi uscire!»
«Non posso, Marinette.»
«Sì, che puoi. Nathaniel, questo non sei tu!»
«Chi te lo dice, Marinette?»
«Perché io ti conosco!»


Tikki fece capolino dalla borsa, osservando la scena che si era palesata davanti ai suoi occhi e sentendo il suo corpo completamente in preda al terrore: avrebbe perso Marinette? Si sarebbe dovuta mostrare, fregandosene altamente di tutto, e aiutare così la sua Portatrice?
Scivolò all’interno della borsa, cozzando contro il cellulare della ragazza e venendo subito colta da un’idea.
Sarebbe giunto velocemente, Tikki lo sapeva bene.
E l’avrebbe aiutata.
Come sempre.
Annuì decisa, sbloccando il telefono di Marinette e aprendo immediatamente il registro delle chiamate, selezionando il numero e rimanendo in attesa, ascoltando il suono degli squilli e pregando che Adrien rispondesse velocemente.


Rafael osservò pigramente la commessa mentre incartava l’acquisto di Adrien, spostando poi l’attenzione proprio su quest’ultimo: «Sai, mi hanno sempre insegnato che se regali un gioiello a una donna è per due motivi: il primo è un evento particolare, il secondo è per farti perdonare di qualcosa. Ora, che cosa il boss deve perdonarti?»
«Perché vai subito sul secondo?» domandò Adrien, voltandosi verso l’altro modello e tirando fuori la carta di credito, passandola alla commessa: «Non devo farmi perdonare niente.»
«Quindi è un evento particolare?»
«Ho visto il ciondolo, ho pensato che fosse perfetto per Marinette. Fine.»
Rafael assorbì le parole dell’amico, annuendo poi con la testa e poggiando gli avambracci sulla teca di vetro che fungeva da bancone: «Devi farti perdonare di qualcosa.»
«Ti ho appena detto che non è così.»
«Certo, certo.»
Adrien aprì bocca, rimanendo con le labbra semiaperte e sentendo il cellulare vibrare nella tasca del giubbotto: velocemente prese l’apparecchio e sorrise al nome del mittente della chiamata: «Mon amour, avevi bisogno di sentire la mia voce?» domandò, ridacchiando quando vide Rafael sbuffare e roteare gli occhi.
«Adrien. Sono Tikki.»
«Tikki?»
Sentì il respiro della kwami nell’orecchio, mentre il cervello cercava di collegare il fatto che la piccola avesse chiamato: «Marinette è in pericolo» mormorò sottovoce: «Nathaniel l’ha imprigionata, ed io sono nella borsa e non posso andare da lei. Adrien, sbrigati.»
«Arrivo subito» dichiarò il ragazzo, chiudendo la chiamata e voltandosi verso Rafael: «Puoi pensarci tu?»
«Che è successo?» domandò Rafael, tirandosi su e tenendo lo sguardo sull’amico: «Problemi.»
«Marinette è in pericolo.»


Aria.
Aveva bisogno di aria.
Marinette colpì il plexiglass, osservando la figura di Taowu dall’altra parte e sentendo la sabbia fine che continuava a crescere nella sua gabbia trasparente mentre l’aria diventava sempre meno: portò indietro il pugno, colpendolo di nuovo contro la parete e stringendo poi con forza le dita.
Non sapeva che fare.
E sentiva l’ansia e la paura salire velocemente e impadronirsi di lei.
Cosa poteva fare?
Come poteva liberarsi?
Il suo sguardo corse alla borsa, abbandonata poco lontano da Nathaniel, ben conscia della presenza di Tikki al suo interno: come poteva richiamare la kwami e trasformarsi senza rivelare la sua identità?
La sabbia continuò a salire, raggiungendo velocemente l’altezza delle sue spalle e continuando a riempire il cubo di plexiglass: presto sarebbe stata sommersa e questo avrebbe decretato la sua fine.
No. Non poteva finire così.
«Liberami, Nathaniel» mormorò, colpendo nuovamente il plexiglass con il pugno e cercando lo sguardo dell’altro: «Questo non sei tu.»
«Questo sono io, Marinette» dichiarò Taowu, allargando le braccia e sorridendo divertito: «Il vero me.»
«Non è vero! Io lo conosco il vero te: è un ragazzo dolce, che ama disegnare e che non farebbe male a nessun…» le parole le morirono in gola, mentre un po’ di sabbia le entrò fra le labbra, costringendola a tossire e a sputacchiare, mentre socchiudeva gli occhi e alzava il volto verso il cielo, cercando di afferrare ogni secondo in più di aria. Si issò sulle punte dei piedi, sentendo la sabbia circondarle il volto e respirando quel poco d’aria che era rimasta nel cubo, finché tutto non finì.
Marinette si ritrovò a cadere sopra una montagnola della rena che, fino a un secondo prima, stava decretando la sua fine e respirò a pieni polmoni, sentendo l’aria impadronirsi di nuovo di lei; inspirò profondamente, mentre alzava la testa e notava al figura nera davanti a lei: «Stavolta l’hai fatta grossa, Testa di pomodoro» dichiarò la voce di Chat Noir, affilata e piena di rabbia: «Ti cataclismo l’esistenza.»

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 58
*** Capitolo 58 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 4.558 (Fidipù)
Note: Dopo tanto e dopo tanta fatica, finalmente, ecco qua il nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3: vi chiedo immensamente scusa per il ritardo nel postare questo capitolo, ma agosto è stato un mese abbastanza tosto per quanto riguarda il settore lavorativo e ho dovuto concentrare tempo ed energie in quello, rimettendoci così sul campo della scrittura.
Ma agosto è finito ed io sono tornata finalmente alla mia consueta routine, quindi eccomi di nuovo qua, con un nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3.
Ma non voglio tediarvi ancora per molto, quindi passo subito a ricordarvi la pagina facebook dove essere sempre aggiornati su capitoli, anteprime e coming soon, senza contare i miei disagi.
Detto ciò, come sempre, voglio ringraziarvi tantissimo per il fatto che mi leggete, commentate (lo so, sono un mostro perché non rispondo mai, però se mi mandate mp o mi contattate su facebook lo faccio, eh!) e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

Marinette si portò le mani alla gola, respirando a pieni polmoni l’aria e socchiudendo gli occhi, mentre con lunghi respiri cercava di calmarsi; attese un attimo prima di alzare la testa e osservare ciò che aveva avanti a sé: Chat Noir era fra lei e Taowu con gli artigli sfoderati e la voglia di uccidere sicuramente al massimo livello; inspirò, inspirò profondamente, assaporando ogni oncia di aria come se fosse la prima e sentendo il proprio cuore rallentare i battiti.
Era la prima volta, da quando aveva accettato il suo ruolo di eroina e difensore di Parigi, che aveva quasi toccato con mano la morte.
Inspirò, stringendo le dita a pugno e lasciò andare l’aria che aveva trattenuto, alzando la testa e fissando la schiena del proprio compagno: «Chat» mormorò, vedendo la testa del giovane eroe scattare al suono della sua voce: Chat Noir si voltò appena e lei poté osservare i lineamenti tesi del volto di lui, lo sguardo verde pieno di preoccupazione; un movimento alle spalle del felino l’attirò e Marinette rimase a bocca aperta, osservando il loro nemico avanzare con una spada fra le mani, iniziando a ingaggiare un duello con Chat, senza che lei sapesse cosa fare e adocchiando la borsa con Tikki, dall’altra parte della stanza.
Cosa doveva fare?
Poteva trasformarsi lì?
Spostò la sua attenzione su Chat Noir, osservandolo mentre parava gli affondi di Taowu con malcelata fatica, sapendo benissimo quanto gli costasse per via della ferita alla spalla, non ancora guarita completamente: «Tikki…» mormorò, socchiudendo gli occhi e prendendo la decisione dentro di sé.
Non le interessava se Taowu avesse scoperto chi lei era.
Non le interessava se qualcun altro fosse venuto a conoscenza del suo segreto.
Il suo interesse primario era salvare Chat Noir, salvare l’amore della sua vita.
«Madamoiselle, immagino che questa sia sua» dichiarò la voce familiare di Peacock la costrinse a riaprire le palpebre e rimase a osservare incantata il volto mascherato dell’amico, affiancato da Bee e Volpina: «Se vuole andare, adesso. Lasci fare a chi di dovere, madamoiselle.»
«Già, abbiamo un gattino da salvare»
«Volpina.»
«Che ho detto, Bee? E’ la verità.»
Peacock sorrise, prendendo la tracolla della borsa e sistemandola sulla spalla della ragazza, indicando poi con un cenno del capo la porta dell’aula: «I nostri colleghi la scorteranno fuori» dichiarò, e Marinette si voltò in modo da vedere Hawkmoth, Tortoise e Jian in attesa, lo sguardo di tutti puntati sul duello che si stava svolgendo a pochi passi.
Marinette si voltò, in tempo per osservare Chat Noir colpire alla spalla Taowu e fargli cadere così la spada dalle mani: il felino roteò il bastone, assestando un secondo colpo sul mento dell’avversario e facendogli così piegare la testa all’indietro, lasciandolo completamente scoperto e inerme all’affondo del bastone nell’addome.
«Vai» mormorò Peacock, facendole spostare lo sguardo verso di lui e notare che, come lei, stava osservando lo scontro: «Abbiamo bisogno del nostro boss per calmare il micetto. E prima arriva, prima evitiamo che uccida quel poveraccio.»
Marinette annuì, stringendo la cinghia della borsa e raggiungendo velocemente i tre compagni che stazionavano, in attesa, nei pressi della porta: «Ti accompagno al bagno» dichiarò Jian, piegando le labbra in un sorriso e osservandola da dietro la maschera: «Abbiamo bisogno del tuo potere» continuò, mentre Marinette si voltava e osservava Chat assestare un nuovo colpo, completamente dimentico di tutti loro e con lo sguardo rivolto verso Taowu: il nemico scosse il capo, alzando la testa e bloccando il nuovo colpo con il braccio destro, afferrando poi l’estremità del bastone di Chat Noir e strattonandolo, cercando in questo modo di disarmare l’altro.
«Sbrighiamoci.»


Chat Noir ringhiò, serrando maggiormente la presa sul proprio bastone e strattonandolo, liberandolo così dalla stretta di Taowu e, dopo averlo roteato, lo colpì con l’arma al fianco, quasi gioendo al gemito di dolore che uscì dalle labbra dell’altro: «Non avresti dovuto farlo» ringhiò, abbassando il bastone e poi rialzandolo, colpendo il nemico dall’altro lato e costringendolo a cadere all’indietro: «Non dovevi toccarla. Non lei.»
«Adesso basta, Chat Noir» la voce forte e decisa che tanto amava lo fermò: le braccia a mezz’aria, la presa di entrambi le mani stretta su un’estremità del bastone, pronto a essere calato su chi aveva davanti; inspirò profondamente, lasciando andare poi l’aria e si voltò, osservandola in tutta la sua bellezza: Ladybug era in piedi a pochi passi da lui, circondata dai loro compagni, una mano alzata e rivolta nella sua direzione, lo sguardo celeste che sembrava scandagliare il suo volto e trovare qualcosa che solo lei sapeva: «Sto bene, Chat.»
«Lo vedo, my lady» dichiarò, piegando le labbra in un sorriso che sapeva essere finto, mentre balzava di lato e si chinava con fare cavalleresco: «Stavo intrattenendo il nostro amico per te.»
«Da quando in qua, quasi ammazzare è sinonimo di intrattenere?» domandò Volpina, agitando le lunghe chiome e facendo un passo in avanti, la testa inclinata di lato e lo sguardo rivolto verso Taowu: «Chat, ti hanno mai detto che hai problemi di gestione della rabbia?»
«Volpe, vuoi essere la prossima?»
«Finitela tutti e due» mormorò Ladybug, voltandosi verso Taowu e ascoltando distratta il richiamo del Miraculous di Chat Noir: «Quanto tempo ti resta?» chiese, voltandosi verso il compagno e vederlo alzare la mano con l’anello, studiando assorto il simbolo che lampeggiava imperioso: «Chat?»
«Tre minuti, facciamo anche due.»
«Magari sarebbe meglio…»
«Io non mi muovo di qui finché non sconfiggiamo il signorino qua.»
Ladybug lasciò andare un sospiro, voltandosi verso Tortoise e osservando il mucchietto di sabbia, poco distante da tutti loro, nel punto esatto in cui si era trovato il cubo di plexiglass: «Tortoise, puoi gentilmente rinchiudere quella sabbia in una delle tue barriere? Penso sia esattamente come gli altri sottoposti di Nath…volevo dire, di Taowu.»
«Agli ordini, Ladybug» dichiarò il Portatore del Miraculous della Tartaruga, azionando il potere speciale del proprio Miraculous e creando una barriera, imprigionando così la sabbia e concentrando la propria energia in quel compito.
Ladybug annuì, voltandosi poi nuovamente verso Chat e fissandolo, poggiando le mani all’altezza sui fianchi, mentre lui ricambiava il tutto con un sorriso in volto: «Abbiamo bisogno del tuo potere e non lo puoi usare, se prima non dai da mangiare al tuo kwami.»
«E dovrei lasciare il nostro amichetto?»
«E’ in buona compagnia, non temere» dichiarò Ladybug, voltandosi verso Taowu che, chinò verso il pavimento, si teneva una mano sulla pancia: «E non penso abbia voglia di andare da qualche parte.»
Chat Noir fissò anche lui il nemico, tenendo lo sguardo verde su Taowu e poi spostandolo sull’eroina al suo fianco, facendolo infine spaziare su tutti i suoi compagni: «Torno subito» dichiarò, appuntando poi le iridi feline su Tortoise: «Amico, ce la fai a tenere in gabbia quel mucchietto di polvere?»
«Nessun problema, Chat»
Chat Noir annuì, portandosi una mano al cuore e chinandosi davanti a Ladybug: «Non sentire troppo la mia mancanza, my lady» dichiarò, ghignando e andandosene velocemente, mentre l’eroina sorrideva appena, un sorriso che sparì non appena il suo sguardo tornò ad appuntarsi su Taowu.
Strinse lo yo-yo in mano, socchiudendo gli occhi e lasciando andare un lungo respiro: «Se prova a scappare, fermatelo» dichiarò con voce ferma e, senza aspettare un segno da parte degli altri, lanciò in aria la propria arma e attivare il proprio potere speciale, ritrovandosi fra le mani un blocco da disegno.
Lo stesso modello che Nathaniel era solito usare per i propri schizzi.
Ladybug lo strinse al petto, socchiudendo gli occhi per un breve secondo, prima di calamitare lo sguardo sull’amico: «Questo non sei tu, Nathaniel» bisbigliò, allungando il blocco da disegno e vedendo lo sguardo dell’altro sgranarsi davanti all’oggetto: «Ti prego, Nathaniel. Ricorda chi sei veramente, ricorda il tuo vero io.»
Taowu scosse il capo con forza, portandosi le mani alle tempie e tenendole, mentre il corpo veniva scosso da brividi e i muscoli s’irrigidivano: «No, no» bisbigliò, continuando a negare con il capo e stringendo ciocche cremisi fra le dita: «No, no.»
«Nathaniel…»
«Io non sono Nathaniel, io sono Taowu» ringhiò, alzando lo sguardo di smeraldo verso Ladybug e fissandola pieno d’odio: con una ritrovata forza si alzò, spintonando l’eroina da una parte ed evitando velocemente gli attacchi di Bee e Peacock, correndo deciso verso l’uscita dell’aula; Hawkmoth afferrò i propri boomerang, lanciandoli entrambi contro il nemico, ma questi non raggiunsero l’obiettivo, ritornando indietro e venendo ripresi dal ragazzino.
«Che facciamo?» domandò il giovane eroe, voltandosi verso gli altri e vedendo le loro facce scure, piene di risentimento e rabbia: «Non possiamo lasciarlo andare.»
«Purtroppo è quello che faremo, Hawkmoth» bisbigliò Ladybug, rialzandosi e prendendo il blocco che le era sfuggito di mano, quando Taowu l’aveva spinta: «La presa di Kwon è troppo forte, e lui non riesce a capire chi è veramente.»
«E quindi? Cosa facciamo? Aspettiamo che Chat ritorni, gli facciamo distruggere la creatura di Quantum e poi?»
«Poi torniamo a fare quello che facciamo sempre, farfallino» si intromise Volpina, poggiandogli una mano sulla testa e scompigliandogli affettuosamente i capelli: «Ci sarà un momento in cui riusciremo a vincere in maniera schiacciante, non temere.»
«Ma…»
«Ma oggi è andata così, farfallino. Non si può sempre vincere, ricordalo.»


Colpì il bracciolo con il pugno, stringendo le dita con forza mentre il suo intero essere veniva ghermito dalla rabbia: il suo piano, la sua missione di rendere Taotie una vittima sacrificale, era andato in fumo per colpa di quello stupido avventato di Taowu.
Il giovane generale aveva mandato a monte i suoi progetti, troppo interessato a fare sua la ragazza che aveva amato da giovane.
Avventatamente si era fatto avanti, perdendo così un’altra creatura.
Presto il loro signore se ne sarebbe accorto e anche Taowu sarebbe stato una vittima della sua rabbia…
Qionqgi si appoggiò contro lo schienale, la mente che lavorava celermente e sistemando ogni cosa nel suo mondo fatto di idee: forse poteva usare a proprio vantaggio l’avventatezza di Taowu.
Forse tutto quello non era successo per caso.


Lo sguardo celeste era fisso sul ragazzo seduto davanti a lei, studiandone i movimenti lenti e calibrati mentre si chinava in avanti per prendere la tazzina di caffè e la smorfia che gli aveva storto la bocca per un secondo: «La tua ferita» mormorò Marinette, continuando a tenere lo sguardo su Adrien e osservandolo sorseggiare la bevanda calda, posando poi nuovamente la tazzina e piegare nuovamente le labbra: «Dovevi stare più attento.»
«Pensi davvero che mi sia preoccupato della mia ferita? Soprattutto quanto tu eri in pericolo?»
«Potevo…»
«Farcela da sola? Devo ricordarti che, quando sono arrivato, eri sommersa di sabbia? Stavi soffocando, Marinette.»
La ragazza sospirò, voltandosi di lato e osservando la Senna che, placidamente, scorreva nel suo letto oltre la finestra: «Io…» iniziò, senza voltarsi e sentendo lo sguardo Adrien addosso a sé, ma le parole le morirono in gola, incapaci di uscire come quando era quattordicenne e il ragazzo davanti a lei non sembrava quasi nemmeno considerarla dal punto di vista romantico.
«Tu cosa?»
«Niente.»
Adrien sorrise, accomodandosi contro lo schienale della poltroncina e intrecciandosi le mani in grembo, allungando le gambe avanti a sé: «E’ scientificamente provato che quando una donna dice ‘niente’, in verità ha un miliardo di cose da dire» cantilenò, accentuando il sorriso quando lo sguardo celeste si calamità su di lui: «Legge di Rafael.»
«E sappiamo bene che Rafael è esperto in questo campo.»
«La sua esperienza lo sta salvando dagli sbalzi umorali di Sarah» decretò Adrien, inclinando appena la testa e studiandola: «Che cosa volevi dire, Marinette?»
«Io non voglio che tu sia in pericolo.»
«Oh. Fantastico. Anche io non voglio che tu sia in pericolo.»
«Adrien…»
«Sai, penso che molto spesso ce ne dimentichiamo, ma tu ed io abbiamo sempre lavorato in coppia: ci siamo sempre difesi le spalle a vicenda» il ragazzo si fermò, sorridendole appena e chinando lo sguardo, per poi rialzarlo leggermente: «Io proteggo te e tu proteggi me, my lady?»
Marinette sorrise, osservando il marito alzarsi e scivolare dalla sua parte di tavolino, costringendola a fargli posto: Adrien le regalò un breve sorriso, passandole un braccio attorno alle spalle e tirandola contro il proprio corpo: «Sei stato avventato» mormorò la ragazza, posandogli una mano sulla coscia e sistemandosi meglio nel suo abbraccio: «Testardo anche. Ti sei messo a combattere contro Taowu da solo, senza curarti di nessuno di noi e della tua ferita.»
«Chiedo perdono, my lady.»
«Se non ti dicevo di andartene, tu non l’avresti fatto e la tua trasformazione si sarebbe conclusa…»
«Ho sbagliato. Ho capito» dichiarò Adrien, posandole le labbra sulla tempia e sorridendo contro i capelli mori: «Ma eri in pericolo e non ho ragionato.»
«So cavarmela da sola.»
«Non lo metto in dubbio, ma ciò non toglie che io voglio proteggerti: l’ho sempre fatto e sempre lo farò.»
«Quando vuoi sai essere veramente testardo, lo sai?»
«E tu mi ami anche per questo» cantilenò Adrien, ridacchiando e lasciando andare un sospiro, lo sguardo fisso sul posto che aveva lasciato vuoto: «Pensi che riusciremo a far rinsavire quello stupido pomodoro? Insomma, per quanto ho veramente gioito nel menarlo, mi dispiacerebbe lasciarlo nelle mani del nostro nemico…»
«Lo spero.»
«Lo speri?»
«Lo salveremo.»
«Mh. Bene. Questa decisione mi piace di più: è da te.»
«E’ da Ladybug.»
«Sbaglio o avevamo superato questa fase?» domandò Adrien, allontanandola un poco da sé e fissandolo sguardo celeste: «Mi era sembrato che avevi capito che non c’è nessuna Ladybug, perché sempre di te si tratta.»
«Ti stavo prendendo in giro, micetto» mormorò Marinette, sfiorandogli la punta del naso con l’indice e tornando a sistemarsi nell’abbraccio del marito, lasciando andare un sospiro: «Vorrei che tutto questo finisse…»
«Mh.»
«Cosa?»
«Stavo pensando…»
«Ho sempre paura quando inizi una frase in questo modo, sai?»
«Nulla di cui avere paura, my lady» mormorò Adrien, sorridendole e poggiando la testa contro la sua: «Stavo semplicemente pensando che, quando la battaglia contro Kwon sarà finita, potremmo andare in viaggio di nozze, non credi?»
«Tu dici?»
«Beh, ce lo meritiamo, no?» Adrien sogghignò divertito, intrecciando le dita della mano con quelle di Marinette e stringendola appena: «Hai in mente un luogo dove andare?»
«Cina.»
«Cina?»
La ragazza annuì, spostandosi appena e sorridendo all’espressione di curiosità che si era dipinta sul volto di Adrien: «Sono andata pochissime volte a trovare i parenti di mia madre a Shangai e mi piacerebbe tornarci; poi vorrei andare a Nanchino e vedere i luoghi dove hanno vissuto Bridgette e Felix…» si fermò, prendendosi il labbro inferiore fra i denti: «E poi Tikki mi ha parlato di una portatrice cinese, vorrei andare a vedere i luoghi dove lei è vissuta.»
«Una portatrice cinese?»
Marinette annuì, sistemandosi di nuovo contro Adrien: «I monaci di Nêdong hanno scritto il libro sugli eroi basandosi proprio su di lei e i portatori del suo tempo. Tikki ha detto che è stata la prima volta in cui tutti e sette i Miraculous furono donati contemporaneamente; la seconda fu a Nanchino e poi…»
«Fammi indovinare. Noi?»
«Esatto» assentì la ragazza, piegando un poco la testa all’indietro e osservando il profilo del marito: «Tu non hai mai fatto domande a Plagg? Su chi ti ha preceduto intendo.»
«Diciamo che non è mai stato un argomento che è saltato fuori nei nostri discorsi.»
«Mai?»
«Mai. Non sono mai stato curioso su chi c’era stato e Plagg non è un chiacchierone: mi ha detto qualcosa su Felix e qualcos’altro su un giovane vissuto qui in Francia. Fine.»
«Nient’altro?»
«Nient’altro» decretò Adrien, sorridendo e fissando lo sguardo celeste che lo guardava scettico: «Stasera lo costringerò a raccontarmi ogni cosa, a costo di minacciarlo di non dargli camembert.»
«Ehi, cosa sono queste minacce gratuite?»
«Silenzio, Plagg.»


Sarah si lasciò cadere sul divano, mentre un sospiro le uscì dalle labbra e si accomodò meglio, prendendo uno dei cuscini e posizionandolo contro il bracciolo, poggiando poi la testa su di esso e voltandosi verso la televisione spenta che rimandava il riflesso confuso di lei sdraiata: «Come stai?» al suono della voce di Rafael inclinò appena il capo, regalando un sorriso al giovane che era in piedi, accanto a lei: «Vuoi qualcosa?»
«Solo il mio pc con i miei drama» mormorò la ragazza, sistemandosi meglio contro il cuscino, sorridendo appena: «E qualcuno che mi coccoli, grazie. Ah, anche un po’ dei biscotti che abbiamo preso alla boulangerie dei genitori di Marinette.»
«Hai finito?»
«Ho finito.»
Rafael la fissò per una buona manciata di secondi, tenendo le mani sui fianchi e i piedi ben piantati per terra, lasciando poi andare un sospiro: «Vado a prendere tutto» dichiarò, scuotendo il capo e dirigendosi verso la cucina con i due kwami appresso; Sarah rimase a fissare lo schermo, ascoltando i rumori che le giungevano dal resto della casa e alzando poi lo sguardo quando un paio di gambe, coperte da jeans entrarono nella sua visuale: alzò leggermente la testa, osservando il proprio laptop fra le mani del giovane e i due kwami che  tenevano la busta con i biscotti.
Rafael le fece segno di spostarsi con la testa e, con lentezza e fatica, lei eseguì il comando, osservandolo mentre posava sul tavolinetto il portatile e poi le si sedette accanto, recuperando poi il computer e allungando le gambe, poggiando i piedi sul tavolino basso e sistemandosi meglio il laptop sulle gambe: «Cosa vuoi vedere?» domandò, mentre Sarah si accoccolava al suo fianco e gli passava un braccio attorno alla vita, usando la sua spalla come cuscino.
La ragazza storse la bocca, osservando le cartelle ordinatamente in linea nella finestra del pc e leggendo i titoli con cui le aveva nominate, prendendosi tutto il tempo per decidere e indicando alla fine una cartella: «Quello non è un drama» commentò Rafael, muovendo l’indice sul mouse ottico del portatile e picchiettandolo poi appena per aprire ciò che gli era stato indicato: «E mi sembra di ricordare che non ti piaceva…»
«Ehi, quei due erano destinati a stare insieme, ma mi uccidono lui e fanno mettere lei con il primo che passa.»
Rafael sorrise, selezionando il primo episodio della serie Tv scelta da Sarah e sistemandosi meglio sul divano, stringendola un poco di più per le spalle, mentre sullo schermo del pc il filmato partiva con una Londra futura distrutta: «Possiamo vedere qualcos’altro…» commentò, alzando la mano destra e catturando quella che Sarah aveva poggiato sul suo cuore, portandosela alle labbra e sfiorandole le nocche.
Sarah rimase in silenzio, osservando dei militari uccidere senza pietà civili, mentre il fumo della distruzione ammantava ogni cosa e le urla disperate le giungevano alle orecchie: «Pensi che sarà simile il futuro in cui ci saranno i nostri eredi?» domandò, mentre il capo dei cattivi si faceva strada fra i morti con il passo deciso del conquistatore: «Insomma, se i Miraculous verranno nuovamente donati come ha predetto Kang…»
«So che è brutto dirlo, ma non è un problema nostro. Minimo saremo morti quando succederà.»
Sarah piegò la testa all’indietro, osservandolo per un attimo e annuendo poi con la testa: «Pensiamo a Kwon» mormorò, osservando il cattivo della storia uccidere senza pietà un ragazzino, prima che la scena cambiasse: «Pensiamo al nostro presente.»
«Brava, apetta» mormorò Rafael, posandole le labbra sulla tempia e sfiorandole i capelli biondi, poggiando poi il capo contro quello di lei e dedicandosi completamente alla visione del film.


Hawkmoth balzò all’interno della camera da letto, atterrando e piegando le ginocchia per attutire il carico sulle caviglie, poggiando la mano destra a terra: «Nooroo, trasformarmi» mormorò, socchiudendo gli occhi e avvertendo la forza del Quantum lasciarlo, renderlo più debole e mostrando al mondo la propria identità.
«Devi farlo per forza in camera mia?» squittì la voce femminile, subito accompagnata dal rumore sordo di una porta che si chiudeva: Thomas aprì le palpebre, sorridendo alla ragazzina in piedi, ferma con le mani ben piantate sui fianchi, e lo sguardo che esigeva una risposta: «Non hai nemmeno controllato se la stanza fosse stata chiusa o meno.»
«Pensavo che…»
«Sai, se continui a trasformarti così tranquillamente, presto qualcun altro scoprirà la tua identità» bofonchiò Manon, scuotendo il capo e avvicinandosi alla scrivania, poggiando una mano sul ripiano e carezzando lo schermo del cellulare, senza voltarsi verso il giovane eroe e il kwami che, in silenzio, rimanevano fermi al centro della camera: «Non penso che qualcun altro terrà la bocca chiusa, sai?» riprese, alzando la testa e fissando lo sguardo in quello scuro di Thomas: «Potresti…»
«Ho sbagliato. Ho capito» sospirò il ragazzo, alzando le mani e tenendo i palmi rivolti verso l’amica, un sorriso indolente sulle labbra e lo sguardo che iniziò a vagare per la camera, lasciando andare un sospiro: «Non ho voglia di andare a casa.»
«Io voglio leggere il nuovo aggiornamento della storia.»
«Quale?» domandò Thomas, mettendosi a sedere sul letto e poggiando i palmi sulla coperta rosa, concentrando il peso del tronco all’indietro e tenendo lo sguardo sulla ragazzina che, scostata la sedia dalla scrivania, si era accomodata su questa e giocherellava distratta con lo schermo del cellulare. Manon rimase in silenzio e un sospiro uscì dalle labbra del ragazzino, mentre gettava la testa all’indietro, vagliando nella sua mente tutte le possibili opzioni di dialogo.
Se prima era sempre stato facile parlare con Manon, nelle ultime volte che si erano incontrati era diventato maledettamente complicato.
Tutta colpa di Jérèmie e dei suoi sproloqui senza senso.
Eppure, sebbene fosse ben a conoscenza del disagio che lo metteva quella situazione, era stato impossibile per lui non andare a trovarla e rimanere un po’ di tempo lì; Nooroo entrò nel suo campo visivo, studiandolo con gli occhioni violetti e Thomas gli regalò un sorriso, prima di tornare in una posizione consona e fissare nuovamente Manon: «Per caso è quella che ti era piaciuta su Ladybug e Chat Noir?»
«Quale? Quella dove pensano che lui sia una specie di cattivo ragazzo e lei una signorina di buona famiglia?»
«Devo farla leggere ad Adrien» commentò Thomas, storcendo le labbra in un sorrisetto e scuotendo poi la testa: «Sono certo che non farebbe altro che ridere leggendola.»
«Tu dici? Secondo me si monterebbe la testa per come lo hanno dotato…»
«Dotato di cosa?»
Manon scosse il capo velocemente, abbassando lo sguardo e tamburellando le dita sulla scrivania, le guance che si imporporavano appena; Thomas inclinò la testa, non capendo il perché di quel cambio di atteggiamento così veloce e scambiandosi una breve occhiata con Nooroo, vedendo il kwami scuotere la testa e alzare le piccole spalle: «Aspetta…» mormorò il ragazzo, sgranando un poco gli occhi e fissando l’amica, come se comprendesse il tutto: «Tu leggi storie porn…»
«Io non leggo proprio nulla! Le salto quelle scene. Di solito» sbottò Manon, alzandosi in piedi e fissandolo, tenendo le braccia lungo i fianchi e i pugni stretti, il viso sempre più rosso per l’imbarazzo: «Solo che alle volte non me ne accorgo subito e ho letto di Chat Noir che è parecchio…»
«Dotato» concluse per lei Thomas, rimanendo con la bocca aperta e notando la sorpresa nel suo stesso tono di voce, prima che un piano malsano non iniziasse a formarsi nella sua mente e un sorrisetto gli piegasse le labbra: «Facciamola leggere a Lila.»
«Cosa? Perché Lila?»
«Prenderebbe in giro Adrien a vita.»
«Che ti ha fatto di male Adrien?»
«Niente. Voglio solo divertirmi un po’.»
«Hai un senso del divertimento al quanto discutibile, sai?» commentò Nooroo, volando davanti al viso del suo portatore e sospirando lugubre, abbassando la punta delle ali verso il basso e sentendo il peso dei millenni che aveva: «Prima Gabriel, adesso te. Che cosa ho fatto di male per meritarmi due portatori come voi?»
«Ehi, io non vado in giro ad akumatizzare gente. Per ora.»
«Veramente lo stai già facendo.»
«Silenzio, Chamack. Questo è un discorso fra Portatore e kwami, i civili non sono ammessi.»
«Thomas, non è un modo di comportarsi con una signorina.»
«Ma Manon…»
«Prova a dire che non sono una signorina» iniziò Manon, sorridendo come un angelo quando il ragazzino si voltò verso di lei, sbattendo civettuola le palpebre e inclinando appena la testa: «Ed io faccio leggere ad Adrien quella fanfiction su Hawkmoth. Quella dove conquista quella signora di una certa età, e viene condotto nella stanza…»
«Non volevo dire quello. Tu sei una signorina, Manon.»


Sophie si tolse il soprabito, regalando un sorriso al Gorilla che l’assistette nell’esecuzione del tutto e spostò l’attenzione sulla donna che, ferma vicino al grande scalone che portava al piano superiore, sembrava avere lo sguardo perso nel vuoto; il dipendente al suo fianco grugnì appena, attirando la sua attenzione quasi a chiederle in questo modo il suo congedo e Sophie piegò appena la testa, muovendola in un cenno di assenso e osservando l’uomo dalle fattezze quasi animalesche allontanarsi a grandi passi.
Si voltò, notando che Nathalie era ancora ferma vicina alle scale, la mano destra poggiata delicatamente sulla balaustra e lo sguardo rivolto verso l’alto: «Sta aspettando mio marito?» domandò, notando come l’altra era saltata su al suono della sua voce: Nathalie si voltò, portandosi la mano sinistra agli occhiali e sistemandoli con un movimento frenetico delle dita, quasi come se quel gesto servisse a calmarla.
«Io stavo…» Nathalie iniziò, deglutendo e tossendo appena per schiarirsi la voce: «Io stavo andando a casa, madame» decretò, portandosi le mani dietro la schiena e intrecciandole, muovendo un poco la testa in un gesto di ossequio e superandola, raggiungendo velocemente la porta del suo studio e sparendo all’interno.
Sophie rimase immobile, lo sguardo rivolto verso l’uscio ove Nathalie si era arroccata e sentendo qualcosa dentro di lei: una sensazione di disagio, quasi come se stesse per succedere qualcosa e questo era collegato allo strano comportamento dell’assistente del marito.
C’era stato qualcosa di differente in Nathalie, qualcosa che le aveva dato da pensare: un comportamento ben diverso a quello a cui lei era abituata.
A cui tutti loro erano abituati.
Nathalie era stata diversa, strana.
E non ne comprendeva il perché.


Vicini.
Maledettamente vicini.
Avvertiva la loro energia, la sentiva addosso alle persone come se si trattasse di un profumo: flebile, che abbracciava chiunque avesse avuto a che fare con gli eroi parigini.
Poteva percepire il picco del Quantum che precedeva di poco l’arrivo degli eroi.
Poteva avvertire l’energia che tanto voleva, ma che ancora non era nelle sue mani.
Poteva sentire la rabbia che montava nel suo corpo, ogni giorno di più, ogni fallimento di più: non era tanto più vicino ai Miraculous di quanto lo era stato quando aveva ucciso Kang a Shangri-la, nessun passo era stato fatto nella direzione che aveva intrapreso, nulla lo portava più vicino all’essere simile alla sua antenata.
Non aveva il controllo del Quantum.
Non aveva i sette gioielli che gli avrebbero permesso ciò, assieme alla collana che, con le sue spire, gli cingeva il collo.
Il conduttore era niente, senza gli altri sette gioielli: un serpente, il cui unico ruolo, era mostrare le zanne nello stesso modo in cui Routo si era relazionata con Daitya millenni prima.
Alzò una mano, carezzando la testa metallica e continuando a far scivolare il polpastrello sulle maglie che formavano la pelle dell’animale, mentre lo sguardo si posava sulla città, al di là del finestrino dell’automobile che lo riportava al ruolo che doveva chiamare casa.
Una casa fasulla, finta.
Una casa che aveva cercato per tanti anni, vagando sulla terra e rammentando sempre quella che, oramai, giaceva dimenticata sul fondale dell’Oceano Atlantico.
La casa che avrebbe riportato agli antichi sfarzi, nel momento esatto in cui avesse messo mano sui Miraculous.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 59
*** Capitolo 59 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.523 (Fidipù)
Note: Questo capitolo è stato un parto in pratica, complicato da scrivere perché non doveva succedere niente - e infatti è nulla più che un collegamento con ciò che avverrà dopo - ma doveva succedere qualcosa, qualcuno doveva decidersi per muovere le pedine nei prossimi e portare alla conclusione di tutto e, questo qualcuno, non è nient'altro che Qionqgi. Ma che fare? Un capitolo intero con una sola scena? E quindi via a metterci un po' di contorno, a muovere un po' due coppie che erano arenate e riportare qualche personaggio che, vuoi per forza di cose, era andato un po' in penombra. E quindi niente, ecco a voi il nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3.
Non voglio tediarvi ancora per molto, quindi passo subito a ricordarvi la pagina facebook dove essere sempre aggiornati su capitoli, anteprime e coming soon, senza contare i miei disagi.
Detto ciò, come sempre, voglio ringraziarvi tantissimo per il fatto che mi leggete, commentate (lo so, sono un mostro perché non rispondo mai, però se mi mandate mp o mi contattate su facebook lo faccio, eh!) e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

Inspirò profondamente, ascoltando le voci dei propri amici attorno a lui e osservando l’ambiente familiare: «Starbucks. Da quanto tempo» bofonchiò Rafael, incassando la testa nelle spalle e affondando le mani nelle tasche dei jeans, mentre si accodava al resto del gruppo, capeggiato da una Lila decisa a prendersi il miglior tavolo del locale: «Perché ogni volta che ci incontriamo tutti assieme, veniamo sempre qua?»
«La mia domanda è un’altra» mormorò Manon, affiancandolo e tenendo lo sguardo fisso sulla schiena dell’apripista: «Lila è italiana, giusto?»
«Sì.»
«E gli italiani non odiano posti come questo?»
«Ti prego, non farti sentire da Lila» borbottò Adrien, intromettendosi nel discorso e inspirando, le spalle incassate e il passo lento quasi stesse andando verso il patibolo: «Sarebbe capace di partire in quarta con un trattato sulle schifezze che fanno qua.»
«Da italiana quale sono» iniziò la protagonista del discorso, fermandosi a un tavolo abbastanza ampio da poterli ospitare tutti e sgusciando lungo la panca, accomodandosi sulla fine e sistemandosi, intrecciando le mani davanti a sé: «Posso affermare che aborro il caffè che fanno in questi luoghi pieni di miscredenti, ma posso passarci sopra perché sono anche i fautori di quelle meravigliose schifezze piene di calorie e grassi che si andranno a depositare tutti sul mio sedere, ma che ti mandano in estasi per quei cinque minuti buoni.»
«Tu hai dei problemi» sentenziò Rafael, scostando alcune sedie e lasciando accomodare Sarah e Marinette su di queste.
«Uno dei quali sei tu, piumino» dichiarò decisa Lila, sorridendo zuccherosa e sbattendo le palpebre, iniziando a giocherellare con una ciocca di capelli: «Ed è inutile che parlate alle mie spalle. Ho un buon udito.»
Adrien le sorrise, un’espressione che si limitò alla bocca e che tanto ricordava quella che usava quando era davanti all’obiettivo: «Che cosa volete che vi portiamo, signore?» domandò, poggiando le mani sulla spalliera della sedia di Marinette e chinandosi leggermente in avanti, poggiando il mento sulla testa della moglie: «Richieste particolari?»
«Va e portami un frappuccino al caramello» ordinò Lila, incrociando le braccia al seno e alzando il mento, con un sorriso deciso in volto: «Mostra il tuo essere ricco sfondato e paga, Agreste.»
«Veramente offre il pennuto.»
«Cosa?» esclamò il protagonista del discorso, voltandosi verso l’amico: «Vorrei ricordarti che io vivo da solo.»
«Ed io sono sposato.»
«E che cosa centra? Non è che il fatto che sei sposato, ti rende migliore di noi comuni conviventi.»
«Pago io, basta che andate al banco» bofonchiò Lila, allargando le braccia e fissando male i due: «E vorrei ricordarvi che anche io vivo da sola, ma non mi lamento come voi due.»
«Tu vivi alle spalle di Wei» decretò Rafael, incrociando le braccia e piegando le labbra in un ghigno: «Chi è il poveraccio che deve ricomprare tutti gli elettrodomestici che distruggi?»
«Chi è il poveraccio che a breve rimarrà senza attributi maschili se continua a parlare di ciò?»
«Lila» Wei alzò una mano, posandola sul capo della ragazza e carezzandola dolcemente: «Cosa ti ho detto riguardo alle minacce?»
«Che non si fanno. Ma Rafael è esente da ciò.»
«Ehi, perché solo io?»
«Ogni essere maschile a questo tavolo è esente da ciò, tranne Wei.»
Marinette sorrise, piegando indietro la testa e osservando il marito dabbasso: «Potresti gentilmente andare a prenderci qualcosa? Così la finite?» domandò, alzando una mano e portandola sopra quella del ragazzo: «Per favore.»
«Come la mia signora desidera» dichiarò Adrien, chinandosi e baciandole la fronte, spostando poi l’attenzione sul gruppo: «Ok, fate la vostra ordinazione.»
«Frappuccino al caramello.»
«Lo so, volpe» decretò il giovane, rimanendo in silenzio e appuntandosi mentalmente ciò che il resto del tavolo desiderava, annuendo a ogni richiesta e ripetendo a bassa voce il tutto; una volta finito il giro, si diresse verso il bancone del locale con Wei e Rafael, lasciando il resto del gruppo al tavolo.
«Devo capire» bofonchiò Lila, poggiando il volto sui palmi aperti e fissando i tre: «Lo fanno, ma prima si devono lamentare. Ma sono così anche a casa?»
«Intendi Adrien?»
«Adrien e Rafael.»
«Sono bravi ragazzi, Lila» mormorò Sarah, sorridendo e chinando la testa: «E solo con te sono così.»
«Oh. Devo essere felice per questo trattamento speciale? Aspetta. No, non lo sono. Come fate a sopportarli?»
«Penso con lo stesso criterio con cui Wei sopporta te, Lila» commentò Alex, poggiando le spalle alla sedia e allungando le gambe sotto al tavolo, sorridendo indolente all’amica: «Pover’uomo, costretto a vivere con te ogni giorno.»
«Perché tu non sei andato con gli altri?»
«In verità stavo pensando di andare» commentò il ragazzo, sistemandosi più comodamente sulla sedia e mettendo le mani nelle tasche della felpa, tirando fuori una carta di credito e mostrandola al resto del gruppo: «Anche perché, con la gentile concessione del maestro Fu, potrei evitare i problemi su chi paga il conto.»
«Hai di nuovo rubato la carta di credito al maestro?» domandò Sarah, voltandosi verso l’amico e incrociando le braccia, lo sguardo che si offuscava come il cielo prima della tempesta: «Alex!»
«Ehi, è per una giusta causa.»
«Quale sarebbe la giusta causa per un furto? Sono curiosa.»
«Mia piccola e innocente amica, è molto semplice: devo comprarmi un nuovo monitor per aiutarvi nelle vostre imprese.»
«In pratica ci stai usando per migliorare il tuo pc?» domandò Lila, scuotendo il capo e lasciando andare un sospiro: «Alex, tu sei…»
«Incredibilmente geniale, non è vero? E ora andrò dai vostri baldi uomini – Thomas escluso, perché è fisso al suo cellulare – e li libererò dalla costrizione di pagare il conto» dichiarò il ragazzo, alzandosi con un movimento fluido e stirando i muscoli, dirigendosi con tutta calma verso il bancone, puntando il gruppetto di amici.
«Mi spiegate perché li sopportiamo?» domandò Lila, facendo vagare lo sguardo sulle amiche e sospirando pesantemente: «O meglio, perché voi tre li sopportare: Wei è la perfezione fatta maschio.»
«Perché sono compresa anche io?» domandò Xiang, posando la sua più totale attenzione su Lila e vedendola sorridere: «Io non…»
«Tu stai con Alex. Forse non ancora ufficialmente, ma siete già una coppia» decretò l’italiana, puntandole l’indice contro e sorridendo divertita: «Devi semplicemente accertarlo, mia piccola millenaria che non sa niente in campo amoroso.»
«Alex è un amico» decretò Xiang, alzando il mento: «Un caro amico.»
«Come friendzonare qualcuno» bofonchiò Thomas, alzando lo sguardo dallo schermo del cellulare e puntandolo sulla ragazza: «Xiang, dovresti scriverci un libro.»
«Mentre tu dovresti stare solo zitto» borbottò Manon, seduta accanto a lui e ignorando lo sguardo pieno di offesa che il ragazzino le puntò contro, voltandosi verso Marinette e sorridendo alla ragazza con tutta l’innocenza del mondo, sbattendo le palpebre sugli occhioni castani e continuando a non considerare l’amico.

 


Sorrise mentre scendeva la grande scalinata che dominava la parte centrale della casa, lo sguardo verde rivolto verso la donna che si stava togliendo il soprabito, aiutata dall’assistente del marito: «Bridgette» mormorò, attirando su di sé lo sguardo divertito dell’interpellata e quello pieno di confusione del Gorilla; Sophie aprì la bocca, schioccando la lingua e ricordando solo in quel momento l’altro nome dell’amica: «Perdonami, non sono abituata a usare l’altro tuo nome.»
«Nessun problema» dichiarò la donna, scuotendo la lunga chioma e scostandosi le onde scure come la notte dalla schiena, liberando così i capelli dalla prigionia della sciarpa di seta che portava al collo: «Ero da queste parti e ho pensato di fare un salto: hai voglia di andare in quel locale che avevamo visto l’ultima volta? Mi andrebbe proprio un buon the.»
Sophie annuì, mugolando sottovoce e passandosi la lingua sulle labbra, quasi assaporando già il gusto pieno della bevanda: «Non mi dispiacerebbe» dichiarò, ridendo cristallina e annuendo poi con la testa: «Mi preparo e andiamo?»
«Assolutamente sì» Bridgette sorrise, tirando su la grande borsa di pelle marrone e indicandogliela con un cenno del capo: «E mentre tu lo fai, io vado a tormentare tuo marito. Ho bisogno dei due idioti come modelli.»
«Immagino tu stia parlando di Adrien e Rafael.»
«Com’è che tutti lo capiscono subito?» domandò Bridgette, scuotendo la testa e facendo ondeggiare i lunghi capelli, mentre il suo sguardo veniva attratto da un movimento alla sua sinistra: Nathalie stava uscendo dal suo ufficio, la testa inclinata e premuta contro la spalla, le mani cariche di fogli e le labbra che si muovevano, mentre dava ordini al telefono incastrato fra viso e corpo.
Non si fermò, mentre marciava diretta verso il portone della villa, salutandole con un impercettibile movimento del capo, senza che questo le impedisse di continuare ciò che stava facendo: «Ultimamente è strana» commentò Sophie, tenendo lo sguardo verde sulla schiena dell’assistente del marito e abbassando un poco le spalle: «La trovo molto spesso a fissare il nulla. Gabriel ha detto che, alle volte, è irraggiungibile.»
«Forse è solo stanca?»
Sophie lasciò andare un lento respiro, scuotendo il capo e storcendo le labbra in una smorfia: «Non so dirti. Non la conosco così bene, sono tornata da nemmeno sei mesi ma Gabriel sa com’è fatta e questo suo comportamento è strano.»
«Un atteggiamento alquanto particolare» commentò la voce di Gabriel, intromettendosi nella conversazione e avvicinandosi alle due donne, lo sguardo puntato sulla borsa che Bridgette teneva fra le mani e lasciando andare un sospiro: «Sinceramente spero sia solo un segno della sua umanità, una fase passeggera. Esattamente come spero lo sia anche il fatto che tu debba disturbarmi sempre, Bridgette.»
«Gabriel…» mormorò Sophie, avvicinandosi al marito e poggiandogli una mano sul petto, carezzando la stoffa del panciotto chiaro e sorridendogli: «Bridgette è un’amica.»
«Non ricordo di averla mai elevata al rango di amica.»
«Questo perché tu sei asociale come solo pochi possono essere» bofonchiò Bridgette, alzando il braccio e facendo ondeggiare la borsa davanti al viso di Gabriel: «Ho una nuova collezione e voglio i tuoi modelli.»
«Non ne hai di tuoi?»
«Ci pensava Maxime. E quell’idiota è ancora non reperibile.»
«Chissà come mai…»
«Gabriel.»
«Non era un insulto alla tua amica, Sophie» spiegò l’uomo, calcando la voce sull’aggettivo possessivo e sorridendo appena: «Ma una constatazione di ciò che sta avvenendo: il suo assistente è irreperibile da settimane, ormai.»
«Devi, per forza, infierire?» bofonchiò Bridgette, incrociando le braccia al seno per quanto glielo permettesse la borsa, e fissando male l’uomo: «Ok. Ammetto che venir posseduta totalmente da Chiyou e sparire per parecchi mesi in Tibet – dove, vorrei ricordarti, stavo cercando tua moglie – non favorisce alla mia causa, ma Maxime mi ha mollata, nel pieno di un evento. E adesso ho una nuova collezione da presentare e nessun modello.»
«Gabriel, per favore, vuoi aiutarla? Così Bridgette ed io andiamo a prenderci un the e sparlare…» Sophie si fermò, sorridendo appena: «Beh, qualcosa troveremo.»
«Oh. Fidati. Sono piena di argomenti, io.»
Gabriel fissò le due, lasciando andare un sospiro e abbassando le spalle, socchiudendo le palpebre e riaprendole, guardando da sopra le lenti la collega stilista, indicandole poi il suo ufficio con un cenno del capo: «Solo perché me l’ha chiesto Sophie. Sia chiaro.»
«Certo, certo» mormorò Bridgette, piegando le labbra in un sorriso che le fece brillare gli occhi, mentre una risatina le scuoteva le spalle: «Ricordi Felix, quando dici così: lo faccio, ma solo perché lo dici tu, Bridgette.»
«Pover’uomo.»
«Gabriel…»
«Sophie, stavo semplicemente constatando.»


Xiang si fermò all’incrocio dei due grandi viali, alzando la testa e notando il cartellone pubblicitario sul palazzo di fronte ove una spiaggia al tramonto faceva da sfondo a quello che doveva essere un noto marchio: «Non capisco perché ci siamo dovuti incontrare» mormorò, stringendosi nelle spalle e osservando il ragazzo, poggiato alla balaustra e che, inclinato verso i due ragazzini al suo fianco, stava studiando lo schermo del cellulare del primo: «Non abbiamo fatto nient’altro che…»
«Rilassarci, Xiang. Ci siamo rilassati: siamo stati in compagnia dei nostri amici e, per una volta da parecchio, non abbiamo pensato a niente» le spiegò Alex, tirandosi su e portandosi una mano agli occhiali, sistemandoli in un gesto ormai familiare alla ragazza: «Non è vero, Thomas?»
«Se per rilassarci intendi ascoltare Lila, Adrien e Rafael farsi frecciatine a vicenda…» borbottò Thomas, senza alzare la testa dallo schermo e sospirando: «Manon, potresti darmi una mano? Non è che si prende facilmente questo leggendario.»
«Ehi, ti ricordo che l’ho installato da poco» borbottò Manon, aggrottando la fronte e storcendo le labbra, prendendosi fra i denti quello inferiore: «No, no, no. Non morire.»
«Dai. Non possiamo perderlo.»
«Sto facendo del mio meglio.»
Alex ghignò, scuotendo il capo e lasciando andare un sospiro, mentre spostava l’attenzione su Xiang: «Non ti sei divertita?» le domandò, tirandosi su e avvicinandola, allungando una mano e stringendo quella della ragazza: «Mi sembra che anche tu hai riso mentre quei tre si beccavano a vicenda.»
La ragazza chinò la testa, annuendo lentamente e stirando le labbra in un sorriso che sparì subito dal volto: «Dovremmo rimanere concentrati, non perdere tempo in questo modo»
«Fu dice sempre che di solo missione non si vive» dichiarò Alex, sorridendole con dolcezza e stringendo un poco di più le dita di lei: «Alle volte bisogna fermarsi e dare tregua alla nostra povera anima.»
«Non è ciò che mi è stato insegnato.»
«Tu sei stata educata per essere una guerriera dei tempi passati, Xiang» la riprese Alex, inclinando la testa e fissandola negli occhi: «Ma gli eroi di quest’epoca, oltre alla missione, hanno anche una cosa chiamata divertimento e vita privata.»
«Il tuo discorso ha un fine, non è vero?»
«Beh, ho saputo che c’è un film molto interessante al cinema e mi domandavo se volevi venire a vederlo con me.»
«Al cinema?»
«Sì, sai quelle cose con le immagini che vanno in televisione? Ecco, praticamente è la stessa cosa ma con un schermo più grande, ma con tanta gente attorno a te e, cosa più importante, i pop corn.»
«Non penso che…»
«Cosa ti ho appena detto, mia cara Xiang?»
«Che gli eroi di quest’epoca devono sapere divertirsi?»
«Quindi andiamo al cinema.»
Xiang lo fissò, scrollando poi le spalle e sorridendo, alzando la testa verso il cielo che si stava imbrunendo e lasciando andare un sospiro: «Come vuoi» bisbigliò, ricambiando la stretta della mano che, ancora, teneva la sua: «Ma voglio i pop corn. Tanti pop corn.»
«Come dice Chat: ogni desiderio della mia signora, è un ordine.»
«Io non…»
«Certo, certo» Alex ghignò, tirando su testa e spalle, quasi come se l’accettazione dell’invito da parte di Xiang l’avesse alzato di una manciata buona di centimetri: «Thomas. Manon. A casa.»
«Finalmente ti sei ricordato che eravamo qui anche noi.»
«Eravate impegnati con il raid.»
«Certo, certo» sospirò Thomas, scostando dalla ringhiera di ferro che delimitava il vano delle scale che portavano alla fermata della metro sottostante e scambiandosi un’occhiata fugace con Manon che ricambiò con un’alzata di spalle, scuotendo poi la testa e seguendo la quasi coppia per le scale della metro.
Thomas rimase indietro, osservando la schiena della ragazzina e i capelli che ondeggiavano a ogni passo, infilando poi il cellulare in tasca e stringendolo spasmodico: «Manon?» domandò, raggiungendola velocemente e affiancandola, tenendo sotto controllo Xiang e Alex avanti a lui: «Stavo pensando…» iniziò, guardandola con la coda dell’occhio e vedendo la sua completa attenzione: «Domani potremo andare a caccia di un altro raid, che ne dici?»
Manon sgranò lo sguardo, fissandolo per una buona manciata di secondi e facendolo sentire stupido per la proposta che aveva fatto, poi la vide piegare le labbra in un sorriso allegro e annuire con la testa: «Però non sono molto di aiuto…» bisbigliò la ragazzina, chinando la testa e abbassando le spalle: «Lo hai visto prima, no?»
«Beh, l’importante è divertirsi, no? E chi se ne frega se scappa anche quello.»
«Sicuro?»
«Sicuro» assentì Thomas, sempre più convinto di ciò che aveva deciso, quando la vide sorridere raggiante: «Domani dopo scuola?»
«Domani, dopo scuola.»


Il Quantum cristallizzato donava una luce ambrata alla stanza, dandole un aspetto molto diverso: l’oscurità onnipresente in quel luogo era rischiarata appena dal monolite che conteneva Hundun, quasi come se fosse un antico insetto immerso nell’ambra.
Viva?
Morta?
Qionqgi se lo domandava, ogni volta che la vedeva.
«Non pensa di essere stato troppo severo, mio signore?» domandò, voltandosi verso l’uomo che l’affiancava e puntando lo sguardo sul volto e poi sul monile che Kwon teneva al collo: ciò che gli permetteva di usare il Quantum, ciò che aveva reso tutti loro quello che erano.
Kwon non rispose, lo sguardo fisso avanti a sé e Qionqgi si domandò cosa stesse pensando: aveva qualche rimorso per aver ucciso – sempre se questo aveva fatto – la donna che lui stesso aveva scelto come suo generale? Oppure non provava assolutamente niente, ammantandosi dell’insensibilità dei potenti?
«Mi chiedo chi sarà il prossimo. Taotie? Taowu?» continuò Qionqgi, mentre un movimento, nelle ombre della stanza, attirò la sua attenzione: Yi li fissava da lontano, l’unico occhio libero fisso su di loro, il corpo teso e pronto a scattare, quasi come se stesse temendo che lui potesse fare qualcosa al loro signore.
Interessante.
Dunque Yi e Kwon non si fidavano di lui.
«Forse tu?» mormorò Kwon, voltandosi verso di lui e Qionqgi fu quasi certo di vedere le spire del serpente di metallo stringersi appena attorno alla gola del loro signore: «E’ interessante come ti senti superiore a tutti, Qionqgi, quando invece sei esattamente uguale a tutti gli altri.»
«Io sono qui per servirvi, mio signore.»
«Ed è quello che devi fare, Qionqgi. Non deludermi e non subirai la fine di Hundun.»
«Certamente, mio signore.»
Kwon lo fissò, voltandosi poi e andandosene, diretto verso la propria stanza mentre Qionqgi rimase immobile dove era, spostando poi l’attenzione verso la povera e cara Hundun: lui non sarebbe finito così, lui non sarebbe mai stato una pedina sacrificabile per permette a Kwon di avere il pieno potere, lui non si sarebbe fatto usare.
Lui avrebbe usato.
Taotie. Taowu. Yi. Lo stesso Kwon.
Li avrebbe usati tutti.
Strinse i pugni, spostando l’attenzione verso il punto in cui aveva visto Yi e trovandolo solo il vuoto ad attenderlo.


Sorrise, posando le labbra sul collo della ragazza e succhiando leggermente la pelle candida: «Adrien, dobbiamo…» bisbigliò Marinette, stringendo appena la presa fra i capelli di Adrien e inclinando appena il capo all’indietro, sorridendo quando sentì la risposta mugugnata del marito. Si morse il labbro inferiore e un gemito le sfuggì dalle labbra, mentre faceva scivolare le mani sulle spalle nude di lui e avvertiva sotto le sue dita la fasciatura alla spalla ferita: «Adrien, devo cambiare la medi…»
«Puoi farlo dopo, no?» mormorò il ragazzo contro la pelle della gola, scivolando con le labbra verso il basso e baciandola poco sopra lo scollo della maglietta: «Non morirò se ritardiamo un po’.»
«Ritardare un po’?» commentò la voce sarcastica di Plagg, facendo sospirare pesantemente Adrien che, ancora stretto alla moglie, poggiò la fronte contro il seno di lei: «L’ultima volta ti sei divertito tutta la notte.»
«Secondo te è possibile uccidere un kwami?» domandò il ragazzo, sistemandosi meglio sul divano e posando un braccio attorno alla vita di Marinette, osservando lo spirito felino che, comodamente seduto sul tavolinetto basso, li fissava intensamente: «Non hai niente da fare? Non so, mangiare camembert? Rinchiuderti nel congelatore?»
«Mi diverto di più qui» dichiarò Plagg, assottigliando lo sguardo verde e muovendo le zampette: «Ma, prego, continuate pure. Non fate caso a me.»
«Come se fosse possibile…» borbottò Adrien, mentre Marinette scivolava al suo fianco e, inclinata la testa, studiava la fasciatura che gli prendeva la spalla e parte dell’addome: «Beh, volevi cambiare la medicazione, no? Sono tutto tuo, mon coeur» continuò lui, allargando le braccia e piegando le labbra in un sorriso felino: «Certo, per fare un lavoro accurato dovresti tornare sulle mie gambe.»
«Sei incredibile, moccioso.»
«Vuoi andartene?»
«Vorrei commentare, ma preferisco pensare alla tua salute, Adrien.»
«Se vuoi pensare a quella, vedi anche il modo di occuparti di quella mentale e far sparire questo guastafeste dalla mia vista.»
«Non è colpa mia se tu volevi divertirti con la tua mogliettina in soggiorno, dimenticandoti che ci siamo anche noi.»
«Tikki non è qui a disturbare. Cosa che tu fai e, fammelo dire, anche in maniera eccelsa.»
«Che posso dire? Ho un talento naturale.»
«Non lo metto in dubbio.»
Marinette alzò gli occhi al cielo, portandosi le mani ai capelli e legandoli in uno chignon improvvisato, allungandosi poi e iniziando a sfasciare Adrien, aggrottando lo sguardo alla vista della ferita che si stava rimarginando: «Stai meglio» decretò, alzando la testa e sorridendo al ragazzo: «Decisamente meglio.»
«Tutto merito delle amorevoli cure della mia mogliettina.»
«Oh, ma per favore.»
«Plagg, muori!»
«Sono un kwami, moccioso, non posso morire.»


Gabriel poggiò gli occhiali, massaggiandosi il setto nasale e inspirando profondamente, ascoltando il silenzio che regnava in casa: Sophie era ancora fuori con Bridgette – a quanto pareva avevano deciso di estendere l’uscita anche a una cena fra donne –, il Gorilla era sicuramente da qualche parte fuori l’abitazione e Nathalie…
Nathalie sembrava essere sparita, come succedeva molto spesso da un po’ di tempo.
Un comportamento che lo impensieriva, sebbene aveva cercato di minimizzare la cosa con Sophie e Bridgette: non poteva negare la sensazione che avvertiva, era come se stesse aspettando che succedesse qualcosa, sebbene non ne comprendesse il motivo.
Qualcosa stava per succedere e non sapeva se tutti loro erano preparati ad accoglierlo.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 60
*** Capitolo 60 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.436 (Fidipù)
Note: Un poco in ritardo (dai, solo un giorno!), ma finalmente ecco qua il nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3 e, finalmente!, i nostri eroi azionano i loro cervelli, mettono in moto i neuroni e iniziano a fare due più due. Ed era anche ora.
Detto questo, passo subito alle informazioni di rito così da non annoiarvi più di tanto e quindi vi ricordo la pagina facebook dove essere sempre aggiornati su capitoli, anteprime e coming soon, senza contare i miei disagi.
Come sempre, voglio ringraziarvi tantissimo per il fatto che mi leggete, commentate (lo so, sono un mostro perché non rispondo mai, però se mi mandate mp o mi contattate su facebook lo faccio, eh!) e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

Non seppe cosa l’aveva destata, cercava di capirlo mentre si tirava su e poggiava il peso sugli avambracci, sbattendo le palpebre e cercando di svegliarsi a modo per essere pronta ad affrontare qualsiasi cosa fosse stata la causa del tonfo che l’aveva strappata via al mondo dei sogni e fatta trasalire.
Si tirò maggiormente su, notando il posto vuoto accanto a sé e poi qualcosa che si muoveva, immerso nell’ombra: «Cosa stai facendo?» domandò, mentre si allungava verso il comodino e a tentoni cercava l’interruttore della lampada.
Entrambi gemettero pieni di fastidio, quando lei riuscì nell’impresa e la luce irradiò la camera: «Sono caduto» borbottò Rafael che, nudo come un verme, continuava a stazionare sul pavimento: «Mi passi i pantaloni?»
«I pantaloni di cosa?»
«Del pigiama» le spiegò, mentre allungava le mani e arpionava il materasso, tirandosi su in tutta la sua gloriosa nudità: «Me li hai tolti tu, Sarah.»
«E non ricordo assolutamente dove li ho messi.»
«Lanciati rende meglio l’idea.»
Sarah sbuffò, gattonando sul materasso e osservando il pavimento, alla ricerca dell’indumento mentre sentiva il letto cedere leggermente sotto il peso dell’altro occupante della stanza: «Perché?» domandò, mentre le labbra si stendevano in un sorriso alla vista della stoffa grigia e si allungò, recuperando l’indumento e lanciandolo al ragazzo: «Non ti fai mai problemi a dormire senza.»
«Flaffy» borbottò Rafael, infilandosi velocemente i pantaloni e massaggiandosi il volto, dando una fugace occhiata alla scrivania ove erano state poste la costruzione della Torre nera di Isengard, in cui dormiva Flaffy e una casa delle bambole, che Rafael aveva comprato per donare anche a Mikko un po’ di privacy: «Sarebbe capacissimo di urlare al trauma» continuò, scostando le coperte e infilandosi nuovamente a letto: «Poi scusa, ti sei messa la mia maglia perché io devo rimanere nudo?»
«Perché sì»
Rafael sorrise, sistemandosi meglio il cuscino sotto la testa e lasciando poi andare un sospiro soddisfatto non appena trovò la posizione perfetta: «Non è una risposta» le rispose, socchiudendo le palpebre e sentendola muoversi, la luce si spense lasciando la stanza nel buio: «Capisco che ti piace vedermi nudo, ma mi sento un oggetto.»
«Oh, povero piccolo» mormorò Sarah, sdraiandosi al suo fianco e poggiando la testa contro la spalla muscolosa, venendo subito accolta nell’abbraccio del compagno: «Come mai sei caduto? Hai sognato Kang?» domandò, posandogli la mano sull’addome e massaggiandolo con cerchi lenti.
Rafael sospirò, voltandosi di lato e inspirando il profumo dello shampoo, carezzandole lieve il fianco con la punta delle dita: «No» mormorò, strusciando il naso fra i capelli di lei: «Mi devo essere mosso nel sonno e sono caduto.»
«Ti muovi solo quando hai brutti sogni, lo sai?»
«Stavo sognando mio padre.»
Sarah inspirò profondamente, muovendosi e salendo in grembo al ragazzo, sistemandosi sopra di lui e guardandolo dall’alto, carezzando il volto che iniziava a vedere nel buio notturno: «Non era un bel sogno» bisbigliò, scivolando con l’indice lungo lo zigomo e fermandosi sulle labbra.
«Per niente» mormorò Rafael, inspirando e lasciando andare l’aria: «Mio padre è sotto il controllo di Kwon e sappiamo che ha cinque sottoposti: tolte le due donne contro cui ci siamo scontrati, lo stalker di Marinette…» si fermò, socchiudendo le palpebre e assaporando le dita di Sarah sul volto: «Uno dei restanti è sicuramente mio padre.»
«Rafael…»
«Sono stato un idiota a non averci pensato, finora.»
«Non prenderti una colpa che non hai» mormorò Sarah, continuando a carezzargli il volto e chinandosi in avanti, poggiando le labbra sulla fronte: «Nessuno ci ha pensato, nessuno ha pensato a scoprire le identità dei suoi sottoposti: sappiamo quella di Nathaniel perché lui si è mostrato a noi, ma gli altri?»
«Nathaniel, mio padre…» Rafael si fermò, posando le mani sui fianchi di Sarah e scostandola un poco da sé: «Sono persone a noi vicine…»
«Pensi che Kwon sappia chi siamo?»
«Non lo so» Rafael storse la bocca, spostando lo sguardo di lato e osservando le due stanzette dei kwami: «Sicuramente conosco qualcuno che ha la risposta.»
«Kang.»
«Esattamente.»
«E come pensi di contattarlo?»
«Questo non lo so» mormorò Rafael, accentuando la presa sui fianchi della ragazza e girandosi nel letto, ribaltando le loro posizioni; sorrise allo sguardo di lei, sentendo le gambe stringerlo all’altezza del bacino: «Finora mi ha sempre contattato lui.»
«Un golem e una sfinge…»
«Cosa?»
«Stavo ragionando» Rafael si sistemò in modo da non gravare con il suo peso sulla ragazza, fissandola curioso e rimanendo in attesa, quasi vedendo il cervello di Sarah all’opera: «A parte Yi, la panterona, i restanti sottoposti di Kwon avevano delle creature di Quantum, no?» inspirò, allungando le braccia e passandole attorno al collo di Rafael: «Magari trovando dei collegamenti fra le creature, potremmo…»
«Risalire al mandate?»
Sarah annuì, stringendo maggiormente la presa attorno al bacino di Rafael e sospirando, quando sentì le labbra di lui sulla gola: «Pensi che sia possibile?» le domandò Rafael contro la pelle del collo, salendo con i suoi baci fino al punto dietro all’orecchio e mugolando quando sentì le carezze di lei sulla schiena, accompagnate da lievi graffi: «Sarah?»
«E’ possibile. Devo studiare un attimo le creature che abbiamo sconfitto finora» mormorò Sarah, scendendo lungo i fianchi del giovane e tirando leggermente i pantaloni del pigiama, sorridendo poi allo sguardo che si era posato sul suo volto: «Io l’avevo detto che non dovevi rimetterli, honey.»


Adrien sbadigliò, osservando l’interno del frigo e ascoltando distratto la donna al telefono, mormorando qualche risposta di tanto in tanto e collocandola con la giusta tempistica nel discorso: «Non mi stai ascoltando, vero?» domandò a un certo punto Sophie, facendolo trasalire leggermente: «Per sapere, di tutto quello che ti ho detto cosa hai sentito?»
«Non è che non ascoltavo, diciamo che ero leggermente distratto» dichiarò Adrien, sentendo la risata della madre dall’altra parte del telefono; chiuse l’anta del frigo, poggiandosi contro di questa e rabbrividendo appena per il contatto del metallo freddo con la pelle nuda della schiena: «Stavo cercando qualcosa con cui preparare la colazione» spiegò, portandosi una mano al petto e grattandoselo vicino alla fasciatura della spalla.
«Oh, pensavo che Marinette ti stesse distraendo.»
«Sta ancora dormendo» le rispose Adrien, osservando Plagg fluttuare in modo non lineare, andando a sbattere contro il muro e suscitando una risata da parte del Portatore; Plagg scosse il muso, tastandoselo con le zampe e assottigliando lo sguardo, dedicando ad Adrien un’occhiata omicida prima di fiondarsi verso il frigo e sparire all’interno, sicuramente alla ricerca del camembert: «Vuoi che te la svegli?»
«Oh. Non importa» dichiarò Sophie e Adrien quasi se la immaginò mentre negava con la testa, accompagnando così le parole: «Tanto ci vediamo oggi da Maestro Fu?»
«Ah. Già. La mega riunione.»
«Te ne eri dimenticato?»
«Un po’ difficile, visto che Alex ha mandato un messaggio alle cinque di mattina» borbottò Adrien, spostando il peso da un piede all’altro e sentendo i rumori di Plagg all’interno dell’elettrodomestico contro cui era poggiato: «Speravo di riposarmi oggi, visto che non avevo lezioni. E neanche Marinette.»
La porta del frigo si aprì con violenza, spostando Adrien di peso che si voltò a fissare il kwami che, incurante di ogni cosa e con una scatola di camembert fra le zampe, lo fissava pieno di eloquenza: «Certo, riposo. Ora si chiama così.»
«Tesoro, è successo qualcosa?»
«Nulla, mamma. Solo Plagg.»
«Solo Plagg» lo scimmiottò il kwami, posando la confezione del formaggio sul tavolo vi ci sedette accanto, armeggiando con la chiusura e togliendo il nastro che teneva le due parti della scatola dalla forma rotonda, aprendo poi il coperchio e appestando la cucina con l’odore forte del camembert: «Solo Plagg.»
«Ci vediamo oggi, allora?»
«Certamente. Immagino vuoi andare a svegliare la tua principessa, eh? Ricordo ancora quando tuo padre ed io eravamo appena sposati e ogni occasione era buona per…»
«Ciao, mamma» Adrien biascicò velocemente le due parole, spegnendo la chiamata e posando il cellulare sul tavolo, osservando il kwami sbafarsi velocemente metà forma sotto il suo sguardo: «Giusto per sapere…»
«Me ne starò di qua, in compagnia di questa meraviglia: camembert marca Président» mormorò Plagg, tirando su con il naso e trattenendo l’aria nel piccolo corpo, prima di sospirare soddisfatto: «La senti questa intensa nota aromatica?»
«Io sento un gran puzzo» commentò Adrien, portandosi una mano al viso e tappandosi contemporaneamente così naso e bocca, allontanandosi di qualche passo e scuotendo il capo: «Vado a svegliare Marinette.»
«Siete pregati di farlo in maniera silenziosa a questo giro» commentò la voce del kwami, accompagnandolo mentre si dirigeva verso la zona notte dell’appartamento: «Perché sinceramente, sentire i vostri orgasmi per la quarta-quinta volta, inizia a essere troppo anche per un tipo come me.»
Adrien evitò di commentare, scuotendo il capo e raggiungendo in pochi passi la camera: la luce mattutina filtrava dalle imposte chiuse e l’aria calda era ancora impregnata dall’odore suo e di Marinette; sorrise mentre si avvicinava al letto, lo sguardo e il suo intero essere rivolti completamente verso la ragazza che stava dormendo profondamente.
Lentamente si sedette sul bordo del materasso, scostandole una ciocca di capelli dalla guancia e chinandosi a baciarle la spalla, lasciata nuda dal laccetto della mise da notte, scivolato lungo il braccio; Marinette gemette e il suono arrivò direttamente alle parti di Adrien, risvegliandole: «Vuoi rimanere a letto tutto il giorno?» bisbigliò, schiarendosi la voce non appena si rese conto del tono roco: «Oppure vieni a farmi compagnia per la colazione?»
Marinette mormorò qualcosa, girandosi su un lato e allungando le braccia verso Adrien che, con un sorriso, si chinò in avanti, lasciando che la ragazza lo stingesse a sé; le passò un braccio attorno alla vita, tirandosi su e portandosela con sé, ridacchiando quando la sentì aggrapparsi totalmente a lui con le braccia e con le gambe: «Sei una scimmietta» dichiarò, trovando una stabilità e sistemandosela meglio fra le braccia, passandole un braccio sotto il sedere e posando l’altra mano sulla schiena.
«E tu sei incredibile.»
«Lo so.»
«No, Adrien, seriamente sei già…»
«Ehi, è un bravo soldatino che fa sempre l’alzabandiera la mattina» dichiarò Adrien, ghignando e sentendola mormorare parole sconclusionate contro il suo orecchio: «E posso dirti che sentirti bisbigliare così, con quell’incredibile voce sensuale, non mi aiuta di certo.»
«Io non ho…»
«Mh. Non indossi qualcosa» bisbigliò Adrien, voltando la testa e posandole le labbra sulle guance, succhiando leggermente la pelle: «Sai, my lady, ho proprio voglia di farti notare quanto io sia bravo a togliermi i pantaloni anche con le mani impegnate...»
«Adrien.»
«Marinette.»
La ragazza si tirò su, sbattendo le palpebre e piegando le labbra in un sorriso pieno di malizia: «Solo perché sei tu» bisbigliò, chinandosi e sfiorando la bocca del marito con la propria, stringendolo forte quando lo sentì muoversi velocemente per la stanza, trovandosi poi prigioniera fra l’armadio e il corpo del giovane: «Adrien!»
Adrien la fissò, lo sguardo pieno di promesse e un sorriso malizioso che gli illuminava il volto: «Dopo potrai rimproverarmi quanto vuoi, my lady» le sussurrò contro le labbra, catturandole in un nuovo bacio carico di aspettativa e anticipazione di ciò che sarebbe successo di lì a breve.


Wei fissò i due, posando le mani sui fianchi e sfruttando il suo fisico per incutere timore: «Dovreste essere a scuola» dichiarò con la voce ferma e lo sguardo serio, ben conscio che un atteggiamento simile era più efficace di una semplice sfuriata ad alta voce: troppa l’esperienza con i fratelli minori per non conoscere l’efficacia di un simile comportamento: «Gradirei una risposta.»
«Allarme bomba» biascicò Thomas, saltando su alcune panche di legno accavallate e guardando l’altro, con la testa incassata nelle spalle: «La mamma di Jérèmie ha garantito per voi.»
«Garantito» commentò Mercier, passandosi una mano fra i capelli argentei e ghignando: «Cosa siete? Delinquenti?»
Thomas sospirò, scuotendo il capo e scambiandosi una fugace occhiata con Manon: «Secondo i nostri professori sì» borbottò, infilando le mani nelle tasche del giubbotto e storcendo le labbra in un broncio: «Minimo sospettano che siamo stati noi a dare l’allarme per non fare il compito di matematica.»
«Conoscendo alcuni tipi della tua classe…» Manon si fermò, scuotendo il capo e facendo danzare così le due codine: «Alcuni sarebbero capaci.»
«Quello che non capisco è perché siete venuti qui…»
«Non avevo voglia di andare a casa» borbottò Thomas, tirando su le gambe e poggiando il mento contro di queste: «Ho provato a chiamare Adrien o Rafael, ma nessuno dei due mi risponde.»
«Diciamo che non possono risponderti al momento» commentò Wei con un mezzo sorriso in volto, avvicinandosi al giovane compagno e posandogli una mano sulla testa, massaggiandogli i capelli corti: «Però, per pranzo, mi incontro con loro e se vuoi unirti sei il benvenuto…»
Thomas annuì, inclinando la testa: «Oggi pomeriggio dobbiamo trovarci a casa di Fu?» domandò poi, ricordando il messaggio di Alex che aveva visto quella mattina e vedendo che anche Manon annuiva, voltandosi interessata verso Wei.
«Sì, a quanto pare Alex deve dirci qualcosa» mormorò Wei, mettendo mano alle tasche posteriori dei pantaloni e tirando fuori il cellulare, osservando per un attimo lo schermo e rispondendo poi alla chiamata: «Sì? Ruggero?» rimase in silenzio, annuendo di tanto in tanto a ciò che gli veniva detto dall’altro capo del telefono: «Sì, certo. Se non è un problema per Lila, per me va benissimo. Ok, ottimo. Allora a domani sera. Sì, certo. Sa dove abitiamo? Ah. Ottimo. A domani.»
«Problemi, ragazzo?» domandò Mercier, osservando Wei mentre chiudeva la chiamata e sistemava nuovamente il cellulare nella tasca: «Sai che puoi contare su di me.»
«No, nessun problema. Ruggero voleva semplicemente venire a cena da noi.»
«Oh. Buono. Spero non ci provi come ha fatto la moglie.»
«Lo spero anche io.»


Lila osservò il padre abbassare il telefono, un sorriso in volto e lo sguardo che rimaneva fermo sullo schermo: «Forse te l’ho già detto, ma Wei mi piace. E’ un bravo ragazzo.»
«Sì, me l’hai detto» mormorò Lila, intrecciando le caviglie e ricambiando il sorriso sul volto dell’uomo: «Alla mamma non è piaciuto, lo crede un arrivista che non pensa altro che a mettere le mani sui nostri soldi.»
«Tua madre è allarmista e maledettamente fissata» commentò Ruggero, mentre l’espressione di felicità spariva dal suo volto come se un alito di vento l’avesse portata via: «Ed io non riesco a trovarla.»
«Ancora niente?»
«Ho controllato tutti i centri di bellezza dove, di solito, si rintana ma niente. Sembra scomparsa.»
«Forse stavolta è stata più brava a nascondere le sue tracce? Magari vuole far sbollire il tutto e tornare alla risalta meglio di prima.»
«Forse.»
«Sicuramente è così.»
Ruggero annuì con la testa, sorridendo appena: «Forse» mormorò nuovamente, piegando le labbra in un sorriso che non arrivò allo sguardo: «Forse.»


Lo sguardo era fisso sulla donna imprigionata, mentre dentro di lui montava quello strano senso dell’onore che gli imponeva di vendicare la sorte subita dal suo commilitone: non conosceva Hundun, non sapeva chi era e cosa facesse, in vero erano stati rivali per risaltare agli occhi del loro signore…
Eppure eccolo lì, davanti il bozzolo di Quantum cristallizzato, con il bisogno di vendicare quel torto subito.
Quell’affronto.
Avrebbe sconfitto gli eroi di Parigi, avrebbe fatto pagare loro ciò che Hundun aveva subito per colpa loro.
Avrebbe risanato il debito di onore, mettendo così la sua anima in pace.


«Allora…» Alex si fermò, osservando il variegato gruppo che aveva riempito il soggiorno del maestro Fu e lasciò andare un respiro, scambiandosi una fugace occhiata con Sarah e Rafael, veri fautori di quella riunione improvvisata: «Vi ho qui riunito per…»
«Per il matrimonio di qualcuno, yankee?» domandò Felix, sorridendo divertito e ignorando lo sguardo pieno di veleno che Bridgette gli aveva lanciato: «Se vuoi hai due volontari qui.»
«Oh. Vi sposate?» chiese Lila, voltandosi verso la coppia di ex-Portatori e sorridendo, prima di fissare con insistenza Wei: «Tu non dici niente?»
«Congratulazioni?» buttò lì il ragazzo, alzando le spalle e sorridendo alla coppia e poi alla propria compagna: «Non è quello che si dice sempre in questi casi?»
«Sì, certo.»
«Mi sa che la volpe voleva qualcosa in più, Wei» dichiarò Rafael, incrociando le braccia al petto e ghignando: «Una bella dichiarazione in pubblico, magari. Eh, Lila?»
«Perché non pensi ai tuoi di problemi. Eh, piumino?»
«Io non ho problemi.»
«Oh, davvero? Allora quell’articolo che ho letto su 96 Style, secondo cui sei…»
«Perché ogni santa volta riusciamo a parlare di tutto tranne che di quello ci interessa?» sbottò Sarah, bloccando l’amica e indicandola con il dito: «E quell’articolo dichiara il falso, solo perché non va più di fiore in fiore, non significa che non funziona più.»
«Ho il mezzo sospetto di essermi perso quest’articolo.»
«Anche io, pennuto» mormorò Adrien, sorridendo e voltandosi verso la moglie: «A casa hai tutti i numeri di 96 Style, vero? Sono molto interessato ad approfondire la lettura…»
«E’ il numero del mese scorso, micetto.»
«Grazie, volpe» dichiarò Adrien, sogghignando e indicando l’italiana che ricambiò con un cenno della testa: «Beh, di cosa parlavano? Ah sì, il nostro Felix convola a giuste nozze con Bridgette. Willhelmina…ehi, come ti farai chiamare?»
«Bridgette» borbottò la donna, sospirando e indicando Alex con un cenno del capo: «Possiamo far parlare il nostro povero Mogui? Insomma, per una volta che ha qualcosa di serio da dirci…»
«No, no, no. Fermi tutti. Io voglio leggere quell’articolo.»
«Alex! La riunione!»
«Ma Sarah…»
«Alex, perdendoci in chiacchiere non riusciremo a sconfiggere Dì Ren» dichiarò Xiang, alzandosi e avvicinandosi al giovane americano, osservandolo negli occhi: «E penso sia più importante di un articolo che parla dell’impotenza di Rafael.»
«Che cosa? Chi sarebbe impotente?»
«No. Marinette, devo leggerlo. Io devo leggerlo. »
«Adrien. Rafael. Silenzio» la voce di Gabriel tuonò imperiosa, zittendo le chiacchiere del gruppo e attirando su di sé gli sguardi di tutti: «Se avete finito, vorrei parlare di cose serie, ovvero perché siamo tutti qui? Che cosa c’è di così importante da dire? Devo andare a sistemare il nuovo disastro che ha fatto Nathalie, sparendo all’improvviso.»
«Ecco, proprio di questo vorrei parlare…» mormorò Alex, portandosi una mano alla nuca e massaggiandosela, lasciando andare l’aria che aveva trattenuto: «E sinceramente non so proprio da dove iniziare per spiegare il tutto…» si fermò, mordendosi il labbro inferiore e osservando un punto fisso davanti a sé: «Ok. Noi sappiamo che il caro Dì Ren, Kwon, l’amico di Bridgette in quanto a nomi, ha dei sottoposti, vero? Uno dei quali è lo stalker di Marinette…»
«Nathaniel non è il mio stalker, lui è…»
«Una spina nel fianco. Un essere che non ha capito il suo posto al mondo. Un pomodoro che ci prova con la donna di un altro» Adrien snocciolò le definizioni, dipingendosi poi un sorriso innocente in volto: «Devo continuare?»
«No, grazie» mormorò Alex, annuendo con la testa e storcendo le labbra: «Un altro che sappiamo essere fra le file nemiche è il padre di Rafael. Stamattina Sarah mi ha contattato e mi ha illuminato con la sua teoria…»
«Quale teoria, Sarah?» domandò Lila, osservando l’altra ragazza e fissandola seria in volto: «Cosa hai pensato?»
«Ricordate quando Alex è stato posseduto da Coeur Noir?» Sarah si fermò, osservando tutti coloro che erano stati presenti annuire: «Alex era cambiato e, per un certo periodo, era anche sparito. No? Ora consideriamo la situazione attuale e…» inspirò profondamente, spostando l’attenzione verso un punto della stanza: «Ammettiamolo. Ci sono delle persone che hanno un simile comportamento attualmente, vero?»
«Nathaniel è diventato strano, in effetti» Marinette si voltò verso Adrien, osservandolo e posandogli una mano sulla spalla: «Quando abbiamo iniziato a frequentare la stessa scuola non era così, vero?»
«Per quanto mi duole ammetterlo…» Adrien si sistemò contro lo schienale della sedia, osservando il soffitto della stanza: «No, Pomodoro non era così inquietante i primi tempi, lo è diventato dopo Natale.»
«Anche mio padre ha iniziato a star male dopo Natale» decretò Rafael, ricordando la prima volta che l’uomo aveva avuto un attacco e collocandolo nel tempo: «Magari è stato in quel lasso di tempo che hanno incontrato Dì Ren, Kwon, il tipo lì…»
«Può essere, pennuto.»
«Maxime è sparito, poco dopo» mormorò Bridgette, portandosi una mano alla bocca e sbuffando: «Proprio io non me ne sono accorta. Io che avevo posseduto Alex…»
«Nathalie è strana» commentò Gabriel, incrociando le braccia e annuendo con la testa, storcendo le labbra in una smorfia: «E se li uniamo al resto, ovvero al signor Pomodoro e al padre di Rafael…» si fermò, sospirando pesantemente: «Manca una donna, però.»
«No, non manca» Lila interruppe l’uomo, senza alzare lo sguardo dalle mani che teneva intrecciate in grembo: «Se il ragionamento di Sarah è esatto – e sinceramente non fa una piega e tornerebbe con tutto ciò che sta succedendo – so chi è la donna mancante.»
«Lila…»
«Wei, è palese. E’ mia madre.»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 61
*** Capitolo 61 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.436 (Fidipù)
Note: Finalmente! I capitoli di Miraculous Heroes sembrano essere maledetti dato che, ultimamente, non riesco mai a essere puntuale con gli aggiornamenti. Ad ogni modo, finalmente, eccolo qua! E con questo si entra nella parte finale della storia: ormai le fila vengono tirate e presto ci sarà il temuto faccia a faccia.
Parte di questo capitolo si svolge nei pressi del Canale Saint-Martin: un canale di Parigi lungo oltre 4 km, che collega il Bacino della Villette e il Canal de l'Ourcq, di cui ne rappresenta il prolungamento cittadino, al Port de l'Arsenal e dunque alla Senna. Il canale attraversa i quartieri orientali di Parigi, in particolare il X e XI arrondissement, e fu fatto costruire per volere di Napoleone ad inizio 1800 ed inaugurato nel 1825.
Quasi la metà del corso del canale è al coperto e corre sotto un tunnel in mattoni molto suggestivo illuminato in parte da luce artificiale e in parte da luce naturale; è stato bonificato e restaurato tra il 1999 e il 2002, diventando così un luogo rilassante ed estremamente piacevole, ideale per trascorrere qualche ora all’aria aperta tra passeggiate e giri in bicicletta. E' inoltre possibile effettuare anche delle crociere del canale in battello.
Passeggiando lungo il canale costeggiato da platani e adornato da deliziosi ponti e passerelle, o navigando lungo il suo corso, scoprirete una Parigi insolita e rétro e un'infinità di scorci suggestivi e poetici.
Vi mancavano le mie informazioni su Parigi, vero?
Vengono poi citate un po' di popolazioni tribali di cui non vi tormento (alla fine non sono importanti ai fini della storia) e passo anzi alle solite chiacchiere di rito, ricordandovi come sempre la pagina facebook dove essere sempre aggiornati su capitoli, anteprime e coming soon, senza contare i miei disagi.
Come sempre, voglio ringraziarvi tantissimo per il fatto che mi leggete, commentate (lo so, sono un mostro perché non rispondo mai, però se mi mandate mp o mi contattate su facebook lo faccio, eh!) e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!
 

 

Wei inspirò profondamente, aggrappandosi al bancone della cucina, lasciando poi andare l’aria trattenuta: «Lila» sibilò fra i denti, socchiudendo le palpebre e cercando di non abbandonarsi al piacere, per cui la ragazza stava lavorando alacremente: «Lila, ora basta» dichiarò con più decisione nella voce e posandole una mano sulla spalla, osservando lo sguardo chiaro alzarsi e posarsi su di lui.
Lila si allontanò, passandosi la lingua sulle labbra e Wei socchiuse gli occhi, inspirando profondamente mentre si risistemava i pantaloni della tuta, osservandola mentre si rialzava e si poggiava al tavolo poco distante: «Apprezzo tantissimo queste attenzioni» iniziò Wei, voltandosi verso i fornelli e cominciando a preparare la colazione, aprendo la moka e dosando il caffè da metterci.
«Ma?»
«Ma cosa?»
«Il tuo discorso aveva un ma, Wei.»
Il giovane sorrise appena, continuando in silenzio nel suo lavoro e, dopo aver acceso il fornello e poggiato sopra di esso la caffettiera, si voltò verso la ragazza: «E’ da ieri che sei strana» mormorò, allungando una mano e carezzandole delicato lo zigomo, vedendo immediatamente lo sguardo verde imbrunirsi: «Lila, comprendo che ciò che abbiamo dedotto ti abbia…»
«Non me ne sono accorta» bisbigliò la ragazza, inspirando e lasciando andare l’aria: «L’ho accusata, l’ho allontanata e non mi sono accorta che invece c’era qualcosa di sbagliato in lei» si fermò, portandosi indietro i capelli con una mano e scuotendo la testa: «Dovevo essere più attenta, dovevo fare…»
«Non potevi saperlo. Neanch’io ho notato niente.»
«Tu non la conoscevi, Wei.»
«No, è vero. Però non toglie che nessuno si è accorto di nulla, neanche Ruggero» continuò Wei, passandole un braccio attorno alla vita e tirandola verso di sé: «Nessuno aveva notato qualcosa, Lila. Non addossarti la colpa e, per quanto mi sia piaciuto, non penso che cercare l’oblio del sesso possa servire a cambiare la situazione.»
«Oblio del sesso?»
«Sono migliorato, non è vero?» dichiarò Wei, facendole l’occhiolino e sfiorandole le labbra con le proprie, assaporando i loro due sapori uniti: «Un anno fa non avrei saputo mettere insieme due parole in croce…» Lila annuì, un sorriso triste che gli piegava le labbra e lo sguardo che seguiva ogni movimento di Wei: «E’ incredibile come la mia vita sia cambiata da quando sono arrivato a Parigi» continuò il giovane, storcendo le labbra in un sorriso divertito: «Arrivo qua e, a parte il momento iniziale, divento un supereroe, trovo un gruppo di amici, la donna della mia vita, imparo il francese…»
«Ricevi avances da mia madre, rischi la vita ogni volta che metto mano a un elettrodomestico…»
«A proposito, che cosa è successo al phon?»
«Niente.»
«Lila, anche quello adesso!»
«E’ lui che ha deciso di non funzionare.»
«Da quando in qua i phon decidono di non funzionare?»
«Il nostro è un phon intelligente.»
«Ma l’hai sempre usato.»
«Diciamo che, accidentalmente, l’ho appoggiato sul lavandino e, sempre accidentalmente, ha avuto un incontro ravvicinato con il rubinetto.»
«Ecco spiegato il motivo per cui la mia sveglia era impazzita.»
«Sempre detto che non dovevi comprarla elettrica» commentò Lila, incrociando le braccia e sorridendo: «La mia non è impazzita perché c’è stato un piccolo blackout.»
Wei rimase in silenzio, continuando il proprio lavoro e osservando con la coda dell’occhio Lila al suo fianco: nuovamente lo sguardo di lei era perso nel vuoto, puntato contro le mattonelle di ceramica che adornavano il pezzo di muro fra il piano di lavoro e i pensili, salvando così la tinteggiatura dagli schizzi della preparazione dei pasti.
Due voci allegre spezzarono il silenzio dell’abitazione, segno che i due kwami si erano svegliati e li stavano raggiungendo: «Buongiorno» esclamò Vooxi, entrando nella stanza e fluttuando fino alla ragazza: «Lila, dobbiamo tornare in Italia.»
«Prego?»
«Bisogna andare in un supermercato italiano perché stanno dando dei gadget di Harry Potter.»
Lila rimase in silenzio, osservando il kwami per una buona manciata di minuti, prima di scuotere la testa e incrociare le braccia al petto: «Stai scherzando, vero?» domandò con la voce leggermente acuta per via dell’incredulità: «Hai veramente detto di tornare in Italia per…»
«Ehi! Sono gadget di Harry Potter!»
Wei rimase in silenzio, ascoltando la risposta per nulla pacata di Lila e la nuova replica di Vooxi, continuando a preparare la colazione con il sottofondo dell’ennesimo litigio fra Portatrice e kwami della Volpe: forse Vooxi non aveva pensato o forse era stato proprio intenzionale, ma sembrava che il suo intervento avesse distratto Lila dal pensiero della madre.
Poggiò la caffettiera sul fornello, accendendolo e osservando le fiammelle azzurre le cui punte, di tanto in tanto, guizzavano in una colorazione arancio: Vooxi stava riuscendo dove lui aveva fallito, nonostante la ricerca dell’oblio per mezzo di lui, sapeva benissimo che Lila aveva reiniziato a pensare, una volta che il piacere era scivolato via.
Vooxi, invece, la stava mantenendo costante sul loro litigio e poteva vedere la luce che accendeva lo sguardo di Lila in quel momento, battagliera e decisa a vincerla sul kwami.
Kwon avrebbe pagato, Wei se l’era promesso nel momento esatto in cui aveva visto la consapevolezza sul volto di Lila, in cui quella ragazza orgogliosa e decisa, si era adombrata e le cui ombre sembravano ancora avvolgerla; strinse i pugni, rimanendo concentrato sulle fiammelle azzurre e promettendo a se stesso la sconfitta di Kwon e la liberazione di Ada Rossi.


Adrien chiuse il libro di economia, inspirando profondamente e lasciando andare poi l’aria, socchiudendo gli occhi e piegando il capo all’indietro: «Ricordami perché ho scelto questa facoltà» mormorò a bassa voce e aspettando la risposta del suo vicino di lezione: «Ohi, Pennuto?»
«Sto cercando di ricordare perché io ho scelto questa facoltà» borbottò Rafael, calcando la voce sul pronome personale e fissando la cattedra: «Non potevo andare a fare archeologia? No, figurarsi. Perché facilitarmi così la vita? No, dovevo infilarmi a Economia.»
«Sarah ti ha per caso contagiato con l’isteria da ciclo?» domandò Adrien, poggiando il gomito contro il banco e poi la testa contro il pugno chiuso: «Oppure è chiusa per lavori e quindi sei in astinenza?»
«Il boss non ti ha ancora ucciso?»
«Marinette mi ama e quei giorni è solo dolorante, ma ha imparato…»
«Volpe, zittiscilo» sbottò Rafael, voltandosi verso la ragazza che, seduta alle loro spalle, stava ascoltando tutto in religioso silenzio: «Perché quando devi parlare a sproposito, non lo fai mai?»
«Perché mi stava dando materiale per ricattarlo, piumino» sbottò la ragazza, scuotendo la testa e fissando male l’amico: «Insomma, sua moglie lo uccide se sa cosa va raccontando in giro, e poi ero curiosa di sapere cosa ha imparato la dolce, piccola e innocente Marinette.»
«Non lo farebbe mai…»
«No, ucciderti forse no» Lila inclinò la testa, catturando una ciocca di capelli castana e rigirandosela fra le dita: «Però appenderti a testa in giù da qualche parte con lo yo-yo…» si fermò, piegando le labbra in un sorriso per nulla angelico: «O quello sì, quello lo farebbe.»
«Ama farlo violento, che posso farci?» Adrien sorrise all’amica, alzando le spalle in un gesto a mo’ di scusa e poi spostò l’attenzione sui due che si erano avvicinati ai loro posti: «Possiamo aiutarvi?» domandò, osservando la ragazza dall’atteggiamento sbarazzino, che sembrava divertirsi a tormentarsi le ciocche dei capelli corti e si muoveva accanto all’amico che, stoico, li osservava uno a uno.
«Questo sabato ci ritroviamo con alcuni compagni a Le Palace…» iniziò la ragazza, regalando un sorriso a tutti loro: «E mi chiedevo se volevate venire.»
«Posso portare mia moglie?»
«Posso portare la mia fidanzata?»
«Posso portare il mio compagno?»
La ragazza che li aveva invitati aprì la bocca, richiudendola e osservando dubbiosa il ragazzo al suo fianco: «Sapevo di Adrien…» mormorò, portandosi una mano all’orecchio e scacciando una ciocca: «Ma non pensavo che anche voi…» si bloccò, scuotendo il capo e alzando le spalle, mentre in volto le si dipingeva un sorriso incerto: «Beh, se volete. Perché no? Più siamo, meglio è.»
Adrien sorrise, annuendo e mettendo mano al cellulare, scrivendo velocemente poche parole e poi alzando la testa, regalando uno dei sorrisi da modello alla compagna: «Mandato il messaggio a mia moglie, appena so qualcosa ti informo.»
«Ok. Ottimo» mormorò la ragazza, sorridendo loro con fare impacciato e spostando il peso da un piede all’altro: «Noi andiamo, ok? Ci sentiamo per sabato.»
Adrien annuì con la testa, osservandoli raggiungere il resto del gruppo con cui seguivano le lezioni, notando come la ragazza stava parlando con le altre, voltandosi poi nella loro direzione e sobbalzando quando notò che era al centro della loro attenzione: «Penso che qualcuno ci stesse provando con voi due» cantilenò Lila, facendo sospirare Adrien: «Insomma, era palese che vi voleva al loro incontro, possibilmente senza moglie e fidanzata.»
«Non sono più sulla piazza» dichiarò Adrien, sorridendo appena: «In verità non penso di esserci mai stato, dato che Marinette è stato il mio primo e unico amore.»
«Ed io mi sono ritirato e quelle non valgono neanche l’unghia del mignolo di Sarah.»
«Siete così adorabili quando decantate in questo modo l’amore per le vostre donne…»
«Disse quella che ha marchiato Wei come compagno.»
«Convivente mi sembrava brutto.»


Marinette sorrise, riponendo il cellulare nella borsa e carezzando il capino di Tikki nell’operazione: «Qualcosa di interessante?» le domandò Sophie, facendole riportare l’attenzione sulla donna che, dall’altra parte del tavolo, la fissava con la tazza fumante fra le mani e lo sguardo verde molto simile a quello del figlio.
«Solo Adrien che mi chiede di andare in un posto, sabato sera.»
Sophie si portò la tazza alle labbra, sorridendo sopra il bordo: «Sono contenta che abbiate anche una vita normale» dichiarò, sorseggiando il caffè e poi posando nuovamente la tazzina: «Non va bene concentrarsi sulla missione, ma questa non deve diventare l’unico scopo della vostra vita…» si fermò, intrecciando le mani in grembo e abbassando lo sguardo, le spalle che si abbassavano sotto il peso del passato: «Non come ho fatto io, abbandonando la mia famiglia per seguire la mia missione.»
«In verità io spero di non dover mai prendere una decisione simile» mormorò Marinette, con il sorriso velato dall’amarezza: «Non saprei veramente cosa sceglierei: darei più importanza alla mia missione, al motivo per cui sono Ladybug, o diventerei egoista e lascerei che tutto crolli attorno a me? Alle volte me lo domando, guardo Adrien e mi chiedo se sarei capace di abbandonarlo, di lasciare che lui…»
«Basta» Sophie alzò una mano, il palmo rivolto verso la ragazza: «Non è una scelta che devi fare, tu devi solo vivere felice con il tuo amore e prendere a calci nel sedere Kwon.»
«E’ in questi momenti che capisco da chi ha preso Adrien» mormorò Marinette, scrollando le spalle e lasciando che la propria battuta alleggerisse l’aria che si era creata attorno a loro: «Vedevo Gabriel e non comprendevo come potesse essere venuto fuori Adrien, poi ti ho conosciuta e…»
«Da Gabriel ha preso il senso dell’umorismo. Pessimo.»
Marinette annuì, ridacchiando appena e voltandosi, osservando il locale all’interno dell’edificio dell’IFM, dove era solita andare dopo le lezioni, notando solo in quel momento la presenza del finanziatore cinese che sembrava trovarla interessante: «Kun Wong…» mormorò, notando che anche l’uomo si era accorto di lei e l’aveva salutata con un gesto della mano, dirigendosi poi verso di loro.
«Chi?»
«Mi aveva fatto una proposta di lavoro» spiegò brevemente Marinette, prima che l’uomo si fermasse al loro tavolo e le guardasse entrambe dall’alto: «Monsieur Wong.»
«Madame Agreste» la salutò cordiale l’uomo, con un sorriso sereno in volto e lo sguardo scuro che quasi brillava: «E…»
«Sophie Agreste» si presentò Sophie, allungando elegantemente una mano e stringendo quella dell’uomo: «Sono la suocera di Marinette.»
«Oh. Incantato» dichiarò l’uomo, portandosi la mano della donna alle labbra e sfiorandole le nocche: «Ho avuto il piacere di conoscere suo marito e Nathalie. Donna incantevole.»
«Conosce Nathalie?»
Kun Wong annuì, sorridendo e spostando il peso da un piede all’altro: «Ho avuto il piacere di fare la sua conoscenza quasi un anno fa, poco prima della settimana della moda. Sa, stavo cercando di ampliare il settore moda del mio marchio e sono venuto qui a Parigi, culla della moda, per informarmi…» si fermò, massaggiandosi il mento mentre lo sguardo si perde nel vuoto: «Sì, è stato allora che ho fatto la conoscenza di Nathalie.»
«Capito» mormorò Sophie, scambiandosi uno sguardo dubbioso con Marinette e sorridendo: «Volevate qualcosa, monsieur Wong?»
«Fra qualche giorno farò una festa nella villa che ho preso qui a Parigi…»
«Non sabato, per favore, non sabato.»
«Ha già un impegno, madame Agreste?» domandò Wong, sorridendo affabile e dedicando la totale attenzione a Marinette: «In ogni caso, non è sabato ma la prossima settimana: sarà un evento molto interessante e vorrei invitare voi e ovviamente anche i vostri amici. Come dico sempre è ottima cosa espandere la propria cerchia…»
«Beh, abbiamo un po’ di persone che potrebbero essere interessate» dichiarò Sophie, sorridendo e battendo le mani: «Voi ragazzi sono certa che vi divertirete molto.»
«Appena possibile fatemi avere la lista allora, ogni nome che mi darete sarà mio gradito ospite.»


Thomas strinse gli occhi, infastidito dal riverbero del sole sull’acqua del canale che, placido e stagnante, si snodava in quella parte della città, collegando la Senna a uno dei bacini della reta idrica parigina: «Mi chiedo quante malattie potrei prendere se cadessi qui dentro» bofonchiò, allungandosi un poco oltre il bordo e osservando la figura della sua ombra sull’acqua torbida e di un bel colore verdognolo.
«Sicuramente le stesse che prenderesti con un bagno nella Senna» gli rispose Manon, rimanendo all’ombra di uno dei platani che costeggiavano il canale e osservando il battello che, lento, scivolava lungo le acque del canale: «E’ lontano l’ospedale dove lavora tua madre?» domandò, attirando su di sé l’attenzione dell’amico che, negando con la testa, rispose alla sua domanda.
«No, qui vicino» Thomas indicò un punto, abbassando poi il braccio e fissandola: «Non capisco perché sei voluta venire anche tu» dichiarò, non riuscendo a comprendere ancora come mai Manon si era offerta di accompagnarlo quando aveva saputo che sarebbe dovuto andare all’ospedale Saint-Louis per recuperare la propria paghetta e poter poi andare a fare rifornimento di caramelle per Nooroo: «Potevi tranquillamente aspettarmi al negozio.»
«Non avevo voglia di stare ferma come un’idiota» bofonchiò la ragazzina, alzando lo sguardo e fermandosi, mentre cercava di capire cosa stava succedendo davanti a lei: un uomo stava correndo verso di loro, un’andatura e un abbigliamento ben lontani da quelli di un habitué dell’attività fisica, ma ben deciso a correre la maratona di Parigi.
L’uomo li superò, facendoli voltare entrambi e seguire con lo sguardo quello strano individuo, prima che alcune urla attirarono la loro attenzione sul ponte di metallo che si ergeva poco lontano da loro: altri stavano correndo via, lungo i due lati del canale mentre alcune figure iniziarono ad arrampicarsi sulla struttura: «Ma che cosa…?» mormorò Thomas, facendo un passo avanti e fermandosi, la mano ferma a mezz’aria e il respiro trattenuto: «Ho bisogno di un posto dove trasformarmi» sibilò a denti stretti, facendo scattare la testa a destra e a sinistra, prendendo poi la piccola strada alla loro destra, quasi correndo lungo il marciapiede alla ricerca di un punto nascosto a occhi indiscreti.
Manon lo seguì, osservandolo mentre recuperava il cellulare dalla tasca della felpa e se lo portava all’orecchio: «Alex?» domandò la voce di Thomas, dopo una manciata di secondi: «Sono vicino all’ospedale di mia madre, a quanto pare c’è un attacco. Sì, sì. Io sono già qua e mi trasformo, chiama tutti gli altri.»
Thomas annuì, fermandosi davanti la porta aperta di un condominio e osservandone l’interno, prima di annuire con la testa, quasi come se avesse deciso il punto dove diventare Hawkmoth: «Starò di guardia» mormorò Manon, vedendolo mentre infilava nuovamente le mani in tasca e tirava fuori un piccolo auricolare, che le passò: «Trasformati subito.»
«Lo faccio» mormorò Thomas, scivolando all’interno dell’androne del palazzo mentre Manon si piazzava davanti la porta aperta, osservando la gente che continuava a correre, scappare in ogni direzione mentre una luce improvvisa come un lampo la illuminò da dietro: Hawkmoth comparve al suo fianco, lo sguardo scuro rivolto verso il punto in cui erano comparsi i nemici.
«Hawkmoth» Manon lo vide voltarsi e sorrise al volto coperto dalla maschera viola: «Potresti akumatizzarmi?»


«Allora, siamo tutti in linea?»
Alex digitò velocemente sul pc, osservando il monitor e sistemandosi poi meglio le cuffie con la mano destra: «Ok, il nostro amico Raincomprix ha delimitato la zona tra Boulevard de Magenta e Boulevard de la Villette» si fermò, inspirando profondamente: «Ragazzi, c’è un ospedale nelle vicinanze. Facciamo in modo che qualsiasi cosa sia, non ci arrivi.»
«Sappiamo niente del nemico?» domandò Ladybug, mentre Alex zoomava la zona di Parigi interessata: «E’ una creatura di acqua, terra, che sparaflasha roba strana…»
«Hawky ha detto che sono indigeni locali» rispose prontamente Alex, poggiandosi contro lo schienale della poltrona: «Non chiedetemi cosa significa. Non lo so.»
«Indigeni locali? Ma che…»
«Sono tipi bassi, con il gonnellino di bambù e hanno delle lance in mano» commentò la voce affannata di Hawkmoth: «E sono tanti! Ma tanti tanti tanti!»
«Definisci il tanti tanti tanti, farfallino» dichiarò Chat Noir: «Quanti tipi bassi con il gonnellino di bambù mi troverò davanti?»
«Una ventina. Forse trenta. Non lo so, spuntano come funghi questi qua.»
«Come sta andando, Hawkmoth?» domandò Ladybug, mentre Alex continuava a seguire gli spostamenti di tutti sul monitor del pc: «Ce la fai a resistere finché…»
«Sì, sì. Nessun problema. Ma sbrigatevi!»
«Stiamo arrivando!»


Manon poggiò le mani sul muro di pietra, respirando profondamente e si affacciò nel vano della porta: Hawkmoth era in piedi davanti a lei, la schiena rivolta nella sua direzione e i due boomerang in mano, impegnato a tenere lontani i nemici dalla porta nella quale lei si era nascosta: «Se tu mi akumatizzassi» iniziò Manon, cercando di riportare l’attenzione su un particolare che Hawkmoth non aveva voluto prendere in considerazione: «potrei darti una mano.»
«No.»
«Ma perché?»
«Ma puoi fare la fanciulla in difficoltà senza rompere tanto?» dichiarò l’eroe, lanciando uno dei boomerang e colpendo tre indigeni con questo, voltandosi verso di lei e fissarla con astio: «Non è complicato: stai lì e lasci che il combattimento lo facciano altri.»
«Sono una ragazza. Sono in difficoltà. Potrei cavarmela da sola.»
«Oh, certo. Come no?»
«Stai veramente…» Manon si fermò, aprendo la bocca e sentendo la voce mancarle mentre osservava uno degli indigeni tirava su il braccio, calibrando il peso della lancia e la scagliava nella direzione di Hawkmoth; boccheggiò, mentre cercava di avvertire l’amico del pericolo che stava correndo ma nulla usciva dalle sue labbra: immobile osservò la lancia avvicinarsi come se fosse al rallentatore, ogni secondo scandito, finché qualcosa di verde non si intromise fra Hawkmoth e l’arma.
«Tortoise!» esclamò il giovane portatore della Farfalla, osservando il compagno che, scudo avanti a sé, aveva bloccato l’attacco nemico: «Siete arrivati» continuò, osservando il resto del gruppo atterrare vicino a lui e puntare nella direzione degli indigeni locali.
«Si direbbero Korowai, ma non ne sono certo» commentò Peacock, poggiando le mani sui fianchi e inclinando la testa: «Forse Asaro?»
«A me ricordano quelli nella Mummia 2» dichiarò Bee, mordendosi il labbro inferiore: «Hai presente quando vanno nella foresta, vicino alla tomba del Re Scorpione e ci sono quei nanetti piccoli e letali?»
«Vero.»
«Beh, quei cosi sono piccoli e letali» dichiarò Hawkmoth, riprendendo il proprio boomerang che era caduto poco distante da lui: «E molto attivi.»
«Ragazzi!»
«Che c’è Mogui?» domandò Chat Noir portandosi una mano all’orecchio e fissando il resto del gruppo: «Hai notizie sui nostri piccoli amici del cuore?»
«Ho appena realizzato che la Mummia 3 è realizzata su di me.»
«Cosa?»
«Pensaci Chat, il protagonista si chiama Alex e si mette insieme alla tipa millenaria che proviene…» Alex si fermò un po’, battendo le mani sulla scrivania: «Indovina un po’? Da Shangri-la.»
«Tu e Mogui state assieme?» domandò Chat Noir, voltandosi verso Jian e vedendola scuotere il capo: «Mogui, Jian dice che non state assieme.»
«Per ora, mio felino amico.»
«Possiamo concentrarci sugli…» Ladybug si fermò, osservando il gruppo di nemici che era fermo davanti a loro: «Indigeni locali? Come li sconfiggiamo? Non possiamo usare il cataclisma di Chat Noir su ognuno di loro…»
«Userò il mio potere e vedrò se c’è una soluzione» dichiarò Peacock, balzando all’indietro e avvicinandosi a Manon che, ancora nel suo nascondiglio, era rimasta in silenzio e aveva ascoltato il tutto: «Salve, signorina.»
«Salve, Ra…volevo dire, Peacock.»
«Tortoise, puoi occuparti di Peacock e Manon?» domandò Ladybug, osservando l’amico annuire e posizionarsi vicino ai due, lo scudo ancora ben saldo in mano: «Mentre noi teniamo occupati gli indigeni locali in attesa di avere qualche notizia…»
Chat Noir sorrise, roteando il proprio bastone e mettendosi in posizione di attacco; al suo fianco Bee alzò entrambe le braccia, prendendo la mira e iniziando a scagliare pungiglioni verso i nemici che, con un grido di guerra collettivo, avanzarono verso di loro: Ladybug lanciò il proprio yo-yo, colpendone due sulla fronte e spedendoli indietro, mentre Volpina usava il proprio flauto a mo’ di bastone ne atterrò altri, sorridendo divertita.
Peacock osservò la scena per una manciata di secondi, chiudendo poi gli occhi e attivando il proprio potere speciale: l’oscurità l’avvolse, ghermendolo con le proprie spire e subito si rese conto che non stava vedendo ciò che voleva: non c’era una soluzione a ciò che stavano affrontando.
Era in una stanza, la polvere che si adagiava su ogni cosa e una pozza d’acqua vuota avanti a sé: fece un passo, poi un altro, muovendosi in quell’ambiente estraneo, senza comprendere ciò che stava vedendo e come potesse tornargli utile nella lotta contro il nemico; una porta cigolò, aprendosi leggermente e Peacock si diresse immediatamente nella direzione di questa, facendo capolino all’interno e osservando ciò che la stanza conteneva.
Quattro monoliti di uno strano cristallo aranciato dominavano l’intero ambiente e lui poteva vedere benissimo le quattro figure umane che erano all’interno, come insetti immersi nell’ambra preistorica quattro persone erano imprigionate e non sapeva se erano vive o morte.
Fece un passo, avvicinandosi al primo monolite e poggiò la mano guantata di blu sulla pietra: subito immagini confuse gli attraversarono la testa, costringendolo a staccarsi e indietreggiare.
Peacock riaprì le palpebre, trovandosi nuovamente nella strada dove si stava svolgendo il combattimento, senza capire cosa avesse visto.
Cosa era successo in quella visione?
Che cosa…?
«Peacock?» la voce di Ladybug, l’urgenza che sentì nel suo nome, lo riscosse e calamitò l’attenzione sull’amica, negando con la testa: «Non ho visto niente…» si fermò, inspirando profondamente e scuotendo per la seconda volta il capo: «Io…»
«Proverò a usare il Lucky Charm» mormorò Ladybug, sorridendogli e inspirando profondamente, lanciando poi in aria e invocando il proprio potere speciale: una maschera di legno, grande quasi quanto lei si materializzò in aria e la coccinella faticò non poco quando la prese fra le mani, sbuffando sotto al peso: «Ma che cosa…?»
«Sembrerebbe una maschera tribale» mormorò Peacock, avvicinandosi e aiutandola a sostenere il peso dell’oggetto: «In alcune culture africane, chi la indossa abbandona la propria identità e viene trasformato nello spirito che la maschera rappresenta.»
«E questa cosa rappresenta?»
«Non ne ho la più pallida idea.»
Chat Noir colpì al ventre uno degli indigeni, vedendolo saltellare all’indietro e riunirsi ai suoi simili: «Stanno per fare qualcosa» commentò il felino, osservando i piccoli saltare l’uno sulle spalle dell’altro, iniziando a fondersi assieme e a dare vita a qualcosa di più grande e più pericoloso: «Ma che cosa…» mormorò Chat, osservando a bocca aperta gli indigeni diventarne uno più grosso e poi protendere la mano verso la maschera sostenuta da Ladybug e Peacock.
«Lasciamogliela» commentò il pavone, osservando il nemico prendere il Lucky Charm e assicurandoselo in volto: «Chat Noir…»
«Direi che è il momento del micio» dichiarò il felino, attivando il proprio potere e approfittando del momento di distrazione del nemico, impegnato a indossare la maschera tribale e per nulla attento a ciò che lo circondava: Chat Noir corse in avanti, la mano pregna di forza distruttrice pronta e toccò un angolo della gamba della creatura.
Un solo tocco e la creatura si dissolse, diventando polvere come tutte quelle che avevano combattuto fino a quel momento e venire portata via dal vento: «E’ stato facile» dichiarò Chat Noir, osservando la maschera tribale cadere per terra e indicandola a Ladybug: «Ce la fai a lanciarla per ripristinare tutto?»
«Proverò.»
«Doveva esserci mio padre dietro» commentò Peacock, mentre la coccinella si avvicinava al Lucky Charm: «Troppe cose che riguardano il suo lavoro per non essere lui il generale dietro a questa creatura.»
«Ne sei sicuro?»
«Sì, Bee» mormorò Peacock, alzando lo sguardo verso il cielo mentre sprazzi della visione che aveva avuto gli balzano nuovamente davanti agli occhi: cosa aveva visto? Che luogo era quello? Chi erano le persone intrappolate nei monoliti di cristallo?
Troppe domande, poche risposte.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 62
*** Capitolo 62 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 4.034 (Fidipù)
Note: Un po' in ritardo ma eccomi qua a recuperare gli aggiornamenti che mi sono lasciata indietro: il primo è, ovviamente, Miraculous Heroes 3! A seguire ci sarà anche il nuovo di Scene. E cosa si può dire? Ci stiamo avvicinando sempre di più alla fine e i fili vengono tirati maggiormente, mentre qualcuno trama nell'ombra e altri...beh, vanno a divertirsi.
In questo capitolo i nostri eroi vanno a Le Palace Club, una delle discoteche più famose di Parigi, la cui storia risale al 1977 quando Fabrice Emaer, personalità importante della vita notturna di Parigi, acquistò il palazzo abbandonato ove Le Palace aprì le sue porte.
Detto ciò, come sempre vi ricordo la pagina facebook dove essere sempre aggiornati su capitoli, anteprime e coming soon, senza contare i miei disagi.
Come sempre, voglio ringraziarvi tantissimo per il fatto che mi leggete, commentate (lo so, sono un mostro perché non rispondo mai!) e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

Felix osservò il liquido fumante all’interno della tazza e inspirò profondamente, poggiando i palmi sul tavolo e posando lo sguardo sugli altri due al tavolo: «Devo fare una confessione» iniziò, chinando un poco la testa e sentendo gli sguardi di Bridgette e Fu superare la barriera degli abiti e scivolare sulla sua pelle: «Ho sempre odiato il the. E il mio odio è aumentato dopo Nanchino. Ecco. L’ho detto.»
«Ma se lo bevevi sempre» borbottò Bridgette, aprendo la bocca e negando con la testa: «Ricordo che quando ci trovavamo dagli Alvares, lo prendevi sempre.»
«Mi sembrava scortese rifiutare.»
«A proposito…» mormorò Fu, portandosi la tazza la tazza alle labbra e sorseggiando un poco di bevanda calda: «Voi sapete chi erano Henrique e Maria?»
«Me lo disse Kang» rispose Felix, poggiandosi allo schienale della sedia e lasciando andare un sospiro: «Non lo avrei mai immaginato» si fermò, piegando le labbra in un sorriso mesto: «Ma, in verità, è un pensiero che posso fare su chiunque: sinceramente non mi interessava di nessuno. A parte Ladybug.»
«Fidati, ce n’eravamo accorti.»
«Ero abbastanza palese, vero?»
«E non solo tu» commentò Fu, scoccando un’occhiata veloce a Bridgette e vedendola stringere con forza la tazza: «Questa non è un’accusa: eravamo tutti più giovani, immaturi. Se non mi fossi lasciato accecare dall’ira, se non avessi perso la fiducia nella nostra Ladybug, forse sarebbe andata diversamente…»
«Con i se e i ma non si fa la storia» dichiarò Felix, sorridendo: «Mio padre me lo diceva sempre e non ho mai rimpianto una mia decisione, giusta o sbagliata che fosse» si fermò, sorridendo: «Le decisioni prese a Nanchino sono state sbagliate, ma ci hanno portato qui. Adesso. E di ciò sono più che grato: mi sarebbe scocciato morire senza venire a conoscenza di tutte queste tecnologie.»
«Se non fossi stata posseduta da Chiyou, non sarei mai diventata una stilista e…» Bridgette si fermò, sorridendo e fissando il the nella propria tazza: «Si sa come la pensavano sulle donne nell’Ottocento, no? Per quanto io abbia sofferto, sono felice di essere qui adesso e dovresti anche tu Fu.»
«Oh. Certo, la mia massima aspirazione di vita era ospitare un moccioso americano con fisse assurde e aprire un certo massaggi.»
«Quanto la fai lunga, vecchio mio. Nemmeno io pensavo a diventar sindaco di Parigi e invece…» Felix allargò le braccia, sorridendo divertito: «Eccomi qua!»
«Non sei ancora sindaco, Felix.»
«Bri, non distruggere i sogni di un uomo, esattamente come hai fatto stamattina quando mi hai promesso un pom…»
«Sergente Norton!»
«Fu, com’è che quando deve zittirmi tira fuori sempre il ‘Sergente Norton’?»
«Io non ne voglio sapere niente.»


«Benvenuti a Le Palace» commentò Rafael, scendendo gli ultimi scalini della scalinata d’ingresso del locale e allargando le braccia, scivolando con lo sguardo sulla sala piena di gente che ballava al ritmo della musica che, a tutto volume, veniva sputata fuori dalle casse: «Devo ammettere che non sono un grande fan di questo posto, ho sempre preferito La Cigale.»
«Non l’avrei mai detto» dichiarò Adrien, osservando la fauna che popolava quel posto e sospirando pesantemente: «Che facciamo?»
«Andiamo a cercare quelli che ci hanno invitato?» buttò lì Lila, scostandosi una lunga ciocca di capelli dalla spalla e puntando poi lo sguardo su Alex che, accanto a lei, fissava interessato il tutto: «Tu proprio non sai stare almeno una serata senza fare il nerd?»
«Perché?»
«La tua maglietta, Alex.»
L’americano abbassò lo sguardo, tirando i lembi della maglia marrone su cui svettavano l’immagine e la citazione di un film, spostando poi lo sguardo su Lila: «Ehi, Jumanji è perfetto per ogni occasione.»
«Jumanji?» domandò Xiang, affiancando i due e osservandoli come se stessero parlando in una lingua aliena: «Che cosa è?»
«Un film che devo assolutamente farti recuperare» dichiarò Alex, infilando le mani nelle tasche dei jeans e annuendo con la testa: «Assieme a tanti altri, è tempo che la tua millenaria ignoranza in fatto di cultura nerd venga abbattuta.»
«Andiamo a sederci?» propose Wei, posando una mano sul fianco di Lila e storcendo le labbra in una smorfia, togliendo immediatamente le dita e guardandole: «Quei cosi tondi mi hanno fatto male sotto le unghie.»
«Questi cosi tondi si chiamano paillettes» borbottò Lila, muovendo i fianchi e facendo ondeggiare i dischi multicolor che adornavano l’abito: «E non fare tante storie. Non ti sei fatto niente.»
«Sì, invece» dichiarò Wei, mostrandole il dito ferito e stirando le labbra in un sorriso: «Ti avevo detto che preferivo l’altra opzione.»
«Altra opzione mi avrebbe reso la protagonista delle battute di questi tre» decretò la ragazza, indicando i tre amici che, attenti, ascoltavano il discorso fra i due: «E vi sognate che io vi dica qualcosa. Forza, piumino, marsh. A cercare un posto dove sederci.»
«Ora sono curioso» mormorò Adrien, posando le mani sui fianchi di Marinette e facendola camminare avanti a lui, mentre con lo sguardo fissava Wei: «Qual era l’altra opzione?»
«Rischio a dirtela, Adrien.»
«Sarò muto come un pesce. Anzi, me lo mangio il pesce.»
«Adrien…»
«Tesoro» Adrien sorrise al richiamo esasperato di Marinette, chinandosi e posandole le labbra sul collo, lasciato libero dallo chignon in cui la ragazza aveva raccolto i capelli: «Voglio solo sapere se poteva superare questa meraviglia di vestito che indossi. Tutto qua.»
«Come se non ti conoscessi…»
Adrien sorrise, facendole l’occhiolino e baciandola fra le scapole, lasciate nude dai fili sottili che tenevano su l’impalpabile vestito nero che la ragazza aveva indossato per l’occasione: «Vogliamo andare a ballare?» le propose, indicando con un gesto del capo la pista da ballo e sorridendo, quando vide lo sguardo di lei sgranarsi: «Andiamo. Non ti ho mica detto di uccidere qualcuno.»
«Vuoi per caso scatenare un’apocalisse? Perché mettere me, con questi affari ai piedi» Marinette si fermò, tirando su un piede e indicando i sandali con il tacco alto che indossava: «In mezzo a tanta gente, significa vedermi uccidere un po’ di persone. Sicuramente inciamperò o colpirò qualcuno, infilerò un tacco nel piede di qualche malcapitato e poi…»
«Poi arriverà una spia russa a fermare tutto quanto» cantilenò Adrien, sospirando e, usando le mani che ancora teneva sui fianchi della ragazza, al dirottò verso la pista da ballo: «Prometto che non succederà niente del genere. Ti è mai successo qualcosa di terrificante quando sei con me?»
«Devo fare l’elenco? O ci fermiamo solo al fatto che ci siamo conosciuti perché tuo padre voleva fare il supercattivo?»
«Supercattivo. Andava in giro a possedere gente. Chi non lo fa?»
«Ehm…»
«Solo un ballo, piccolo piccolo. Non uccideremo nessuno» dichiarò il ragazzo, scivolandole davanti e sorridendole: «Promesso. Ok?»
«Potrei colpire qualcuno per sbaglio, magari il doppio di te e questo vorrà fare rissa e…mpf» Marinette assottigliò lo sguardo, piegando le labbra in un broncio sotto la mano di Adrien che l’aveva zittita e che, adesso, le sorrideva innocente.
«Ci mettiamo in un angolino, lontano dai parenti del Gorilla. Ok?» le domandò e, al cenno affermativo con la testa, tolse la mano: «Adoro avere la meglio su di te.»
«Io non voglio la responsabilità di quello che succederà, sia chiaro.»
Adrien le sorrise, tirandola per i fianchi e facendo aderire il corpo di lei al suo: «Certo, certo» decretò, chinandosi e baciandole nuovamente il collo: «Intanto ti ho portato in pista.»


Sarah si sistemò sul divanetto rosso, lisciandosi il top argentato largo che aveva indossato e osservando, con la coda dell’occhio, Rafael mentre salutava due ragazze che lo avevano riconosciuto: «Eri molto conosciuto qui» mormorò, quando il ragazzo si sedette accanto a lei e si pentì subito delle parole e del tono di voce che aveva usato: petulante.
«Venivo qualche volta» le rispose Rafael, allungando un braccio sul bordo del divano e chinandosi verso di lei, scostandole con l’altra mano una ciocca di capelli: «Penso di aver appena rivalutato i pantaloncini di jeans, sai? Quando vedevo qualche ragazza che li indossava, pensavo che…»
«Non ti manca venire in posti come questo?»
«Cosa?»
Sarah strinse i denti, scuotendo il capo e lasciando andare un sospiro: «Niente, lascia stare» mormorò, cercando di guardare ovunque tranne che nella direzione del giovane e sentendo su di sé il peso dello sguardo di lui: «Rafael…»
«A me piace stare a casa» le rispose lui, scostandole nuovamente i capelli e sorridendo: «E te l’ho già detto.»
«Qui sembri a tuo agio…»
«Beh, perché sono abituato a venire in posti simili» si fermò, sospirando pesantemente: «Sarah, a me non interessa venire in locali simili, mi basta andare a dare una mano ad Alain e non mi pesa stare a casa con te la sera, assieme a quel fissato tolkeniano e a Mikko con i suoi drama sdolcinati. Abbiamo già fatto un simile discorso…»
«Mi sembra di costringerti.»
«Fidati, amore, fai di tutto tranne che costringermi» dichiarò Rafael, sorridendole e chinandosi in avanti, sfiorandole le labbra con le proprie, poggiando poi la fronte contro quella di lei: «Adoro stare con te, passare la serata sul divano a vedere qualsiasi cosa, addormentarmi con te fra le braccia e svegliarmi la mattina con te. E’ una cosa che voglio fare per il resto della vita, apetta.»
«Rafael?»
«Ma questo non è il tempo e il luogo per certi discorsi» decretò il ragazzo, tirandosi su e strizzandole il naso fra l’indice e il medio: «Quindi rilassati e goditi la serata, ok? E possibilmente non uccidere nessuna che…beh, lo sai.»
Sarah mugugnò, prendendosi il volto fra le mani e inspirando profondamente: «Quante ne potrei incontrare?» bofonchiò, aprendo le dita e fissandolo male: «Ma non potevi tenerlo ogni tanto nei pantaloni?»
«In effetti potevo.»
«E invece no.»
«Ehi, stavo facendo pratica per te.»
«Ora non passarlo come una cosa positiva per me.»
«Mi sembra che…»
«Rafael, zittisciti.»


Lila sorrise, passando le braccia attorno al collo di Wei e sorridendogli dolcemente, mentre faceva aderire il suo corpo a quello del compagno: «Come sta il ditino?» domandò, mentre il sorriso le si accentuò quando sentì le mani di Wei posarsi sui suoi fianchi: «Vuoi che gli dia un bacino?»
«Perché ho il sospetto che questa frase abbia un doppio senso?»
Lila sorrise, allungandosi e sfiorando la mascella di Wei con le labbra, notando con la coda dell’occhio due ragazze sedute vicino a loro, riconoscendole come compagne del corso di economia che seguiva con Adrien e Rafael: «Ehi» mormorò, attirando su di sé l’attenzione delle due e sorridendo loro: «Non mi sembra ci sia molta gente.»
«Molte non sono venute» borbottò una, chinando il capo e frugando nella pochette: «Soprattutto quando hanno saputo che Adrien e Rafael avrebbero portato…beh, lo sai.»
«Quindi avevo ragione…»
«Lila.»
«Oh, andiamo. Come si fa a sperare con due del genere? Sono uno più fedele dell’altro. E Adrien è sposato fra l’altro» borbottò Lila, roteando gli occhi e sbuffando infastidita: «Non sono due tipi che, solo perché sono modelli e famosi, si fanno ogni tipa…ok. Rafael lo faceva, quando era ancora single.»
«Lo sappiamo, però…»
«Avete offeso i miei amici.»
«Piano, volpe» mormorò Wei, sfiorandole il lobo con le labbra e stringendola appena: «Penso che sappiano anche loro che non avevano speranze.»
«Bah.»
«Lila…»
«Andiamo a ballare, Wei.»
«Ti devo ricordare che su questo punto sono al livello di Marinette?» le domandò lui, lasciandosi portare via e seguendola per il locale: «Non dovevi prendertela così, alla fine non hanno fatto nulla di male che invitarvi…»
«Ci volevano provare con Adrien e Rafael, ignorando completamente che sono tutti e due accasati e felici.»
«Loro non lo sanno.»
«Oh, andiamo! Chiunque in quel corso sa…»
«Perché ti sei arrabbiata così tanto? Non penso riguardi solo Adrien e Rafael.»
Lila lasciò andare un sospiro, indicando con un cenno del capo le due ragazze che avevano lasciato al divanetto a cui si erano avvicinati: «Quello è un qualcosa che avrei fatto anche io, se non di peggio, e rivedere una parte della vecchia me…»
«Tu sei cambiata, Lila.»
«Lo spero bene.»
«E quelle due penso abbiano avuto una bella delusione, dato che i due che puntavano stanno tranquillamente amoreggiando di fronte a tutti» decretò Wei, sorridendo: «Sono senza pudore.»
«Ah, te ne accorgi adesso?»


Alex storse le labbra, portandosi una mano alla fronte e massaggiandosela, cercando di ignorare il martellare ritmico della musica: «E’ ufficiale: non sono tipo da posto del genere» dichiarò, sospirando pesantemente e fissando alcune ragazze che ballavano poco lontano da lui: «Xiang, posso farti una domanda?»
«Cosa?»
«Perché ti sei dovuta mettere dei pantaloni lunghi?»
«Lila ha detto che andavano bene» dichiarò la ragazza, massaggiandosi le cosce fasciate in un paio di leggings di pelle: «Ha detto che, nonostante il fatto che fossi vissuta in una caverna, avevo un buon gusto nel vestire.»
«Potevi metterti qualcosa di corto. Come tutte.»
«Mi sentivo a disagio. Io…» Xiang si fermò, stirando le labbra e alzando appena gli angoli della bocca: «Non sono abituata a mettere in mostra così tanta pelle, ecco. Già indossare questa cosa che mi lascia le spalle completamente scoperte…» si fermò, tirando gli angoli del top fucsia e scuotendo il capo: «Sono una persona all’antica.»
«A proposito di persone all’antica, il mio sergente preferito come ha preso la tua serata in discoteca?»
«Mi ha detto di castrare lo yankee se ci avesse provato con me.»
«Simpatico come sempre, il caro sergente Norton.»
Xiang sorrise, poggiando i gomiti contro le gambe e posando il volto nelle mani messe a coppa: «Jumanji…» mormorò, osservando la maglietta di Alex: «Me lo farai mai vedere?»
«Ovviamente! Hai delle lacune enormi che devo colmare.»
«Andiamo al cinema allora?»
«Questo non lo danno al cinema» dichiarò Alex, storcendo le labbra: «O meglio ci sarà il remake, ma prima devi assolutamente vedere l’opera originale.»
«E allora…»
«Ti introdurrò alla magica arte dello streaming e, fidati, una volta conosciuta non ne farai più a meno.»
Xiang annuì, sorridendo: «Il televisore in salotto, va bene? Felix blatera sempre di come vede bene tutto con quello.»
«Ah, quindi usiamo quello? Mh. Sarà complicato per le mie manovre di appolpamento con il sergente Norton fra i piedi ma si può fare, magari sento Bri se può darmi una mano…»
«Le tue cosa?»
«Nulla, stavo parlando ad alta voce.»


Thomas inspirò, cercando di ignorare lo sguardo che sentiva addosso e si sistemò meglio sul letto, togliendosi da sotto la schiena il cuscino e sistemandolo contro la spalliera del letto, sfogliando il volumetto che aveva fra le mani e concentrandosi sulla lettura: «Potevi akumatizzarmi» dichiarò la voce di Manon, mentre Thomas mugugnò e si portò il manga al viso, nascondendosi con quello: «Non sbavarci dentro.»
«Non sto sbavando» borbottò il ragazzo, abbassando il fumetto e fissando l’altra: «Te l’ho detto: non ti akumatizzo.»
«Ma perché? Potrei essere utile.»
«No.»
«Ma sei duro!» Manon si alzò dalla sedia della scrivania, i pugni stretti e le braccia abbandonate lungo i fianchi: «Non ti fai problemi ad akumatizzare Xiang o Bridgette e con me sì?»
«Forse perché Xiang e Bridgette non sono state delle akumatizzate di Papillon?» sbottò Thomas, voltandosi verso di lei e allargando le braccia: «Hai mai pensato a cosa direbbero a scuola, a cosa direbbe qualcuno in particolare, se per caso La Marionettiste tornasse a girare per Parigi?»
Manon aprì la bocca, richiudendola e scuotendo il capo, sentendo tutta la rabbia scivolarle di dosso, mentre si lasciava cadere sulla sedia della scrivania e abbassava lo sguardo: «Potrei essere qualcosa di differente…» mormorò a voce bassa, stringendo le ginocchia fra sé e alzando speranzosa il capo: «Forse…»
«Il mio potere fa affidamento sulla versione di te che reputi più forte» Thomas inspirò, scuotendo il capo: «C’è un’alta probabilità che tu torni a essere La Marionettiste e, sinceramente, non ho voglia di rischiare» lasciò andare l’aria e si voltò di lato, sorridendo alla vista di Nooroo che dormiva tranquillo e beato fra le zampe di un orsacchiotto di peluche bianco: «Quella simpatica ragazza – e sono sarcastico – ti tormenta abbastanza già così, non voglio essere proprio io a darle altro mater…» si fermò, sgranando gli occhi e sentendo il corpo irrigidirsi: Manon si era gettata contro di lui, le piccole mani che gli sfioravano le spalle e le labbra che gli toccavano la guancia.
Rimase immobile, mentre lei si tirava su e gli sorrideva luminosa: «Grazie» bisbigliò, portandosi le mani alla bocca e sorridendo: «Posso ufficialmente dire che sei diventato il mio cavaliere dalla scintillante armatura.»
«Co-cosa?»
Manon gli sorrise, non rispondendo alla sua domanda e recuperò il cellulare dalla scrivania, alzandosi e raggiungendolo sul letto, costringendolo a farsi da parte mentre la ragazzina si accomodava al suo fianco: Thomas la fissò mentre, con tutta la tranquillità del mondo, Manon riprendeva a leggere dal punto dove si era fermata, sicuramente per tormentarlo, rimanendo a fissare il contorno del viso dell’amica, seguendo la linea dello zigomo e quella del naso, scivolando poi lungo il corpo e notando, con un piccolo sorriso, di quanto lei fosse più bassa.
Riprese a leggere il manga, irrigidendosi quando sentì Manon posare la testa contro la sua spalla ma, sebbene si sentisse a disagio, continuò a seguire la storia, sebbene dovesse passare più tempo su una nuvoletta rispetto a poco prima, mentre un sorriso gli piegava le labbra e sentiva il proprio cuore aumentare furiosamente i battiti.


Qionqgi sorrise mentre poggiava la mano sul cristallo ambrato, osservando l’uomo imprigionato e immobile nella posa stoica con cui aveva accettato l’esecuzione: Taotie non aveva supplicato il loro signore, in silenzio si era chinato e aveva abbassato il capo, ben sapendo che quell’ultimo fallimento era calato su di lui come una spada di Damocle.
Taotie si era poi rialzato, fiero e orgoglioso, mentre il loro signore lo imprigionava, esattamente come aveva fatto con Hundun, sotto lo sguardo suo e di Taowu.
Un monito a convincerli a non fallire ancora.
«Una sgradevole perdita» commentò Qionqgi, voltandosi e sorridendo al giovane generale mentre nella sua testa iniziava a elaborare velocemente il miglior modo per usare il suo ultimo compagno: doveva convincerlo a scontrarsi nuovamente con i Portatori, possibilmente a indebolirli e permettere poi a lui di scoccare il colpo finale.
E poco gli importava se anche Taowu sarebbe diventato un abbellimento della sala.
Doveva solo usare la sua leva migliore e quale, più perfetta, che dei sentimenti che il giovane generale nutriva per una certa ragazza?
«Un po’ come la tua» mormorò, abbassando la mano e voltandosi verso Taowu, notando come lo sguardo di smeraldo si era posato su di lui, vigile e attento.
«La mia?»
«La giovane amante che hai perso» mormorò Qionqgi, iniziando a passeggiare per la stanza e ascoltare il suono dei suoi passi che risuonavano nel silenzio: «Ma forse dovrei dire in un altro modo? Alla fine non è mai stata tua, dopotutto ha sposato un altro» si fermò, sorridendo all’effetto che le sue parole stavano facendo, notando come Taowu aveva stretto i pugni, e decise di rincarare la dose: «E’ a un altro che apre le gambe.»
Lo vide subito, il momento esatto in cui qualcosa divampò nello sguardo di Taowu e Qionqgi rimase in silenzio, mentre l’altro se ne andava dalla stanza in silenzio: aveva fatto il suo passo, adesso Taowu si sarebbe scatenato contro i Portatori e lui doveva solo attendere, aspettare il momento propizio.
Si voltò verso i due generali imprigionati nel cristallo ambrato e sorrise, promettendo a se stesso che non avrebbe fatto quella fine.
Ma e poi mai.


Il panorama era cambiato.
La distruzione onnipresente della visione, che lo accompagnava da quando era diventato Peacock, era sparita dalla città di Parigi che vedeva sempre nei suoi sogni; certo, era ancora ben lontana dall’essere un qualcosa di pacifico ma si stava avviando sulla buona strada per esserlo.
O almeno voleva sperare che fosse così.
Voleva credere che le scelte che stavano facendo, li portasse ben lontani da ciò che aveva sempre visto.
«E’ cambiato» commentò la voce di Kang alle sue spalle, mentre il giovane veggente lo affiancava e fissava il panorama davanti a loro: «Beh, c’è ancora qualcosa da fare.»
«Solamente sconfiggere Kwon. Roba da niente» commentò Rafael, posando le mani sui fianchi e inspirando profondamente, mentre il ricordo di un’altra visione gli giungeva prepotente alla mente: «L’altro giorno abbiamo combattuto contro uno dei suoi emissari ed io ho usato il mio potere per vedere una soluzione e sconfiggerlo, ma…»
«Ma la tua visione ti ha fatto vedere tutt’altro.»
«Sì.»
Kang rimase in silenzio per una buona manciata di minuti, inspirando profondamente e lasciando andare lento l’aria, continuando a fissare avanti a sé: «Ho visto anche io ciò di cui parli» mormorò, stringendo le labbra: «E anche il momento in cui scoprirai – scoprirete – chi è all’interno di quei cristalli.»
«Che cosa?»
«Voi li salverete» continuò Kang, ignorando l’esclamazione del giovane e annuendo con la testa: «Loro sono state pedine in questo gioco, pedoni che Kwon ha spostato per arrivare a ciò che più gli preme: i Miraculous.»
«Tu sai chi sono?»
«Sì, e presto lo saprete anche voi» Kang si voltò verso di lui, allungando una mano e posandola sull’avambraccio di Rafael: «Devi sapere che Kwon non è mai stato a conoscenza della vostra identità, non sa chi c’è sotto la maschera di coloro che indossano i Miraculous. Vi cerca inesorabilmente, captando le tracce di Quantum e qualcuno, più di altri, ha queste tracce addosso…»
«I generali.»
«Esattamente. Perché pensi che abbia usato persone a voi vicine?»
«Non comprendo» mormorò Rafael, scuotendo il capo e inspirando profondamente: «Su di noi, me e gli altri Portatori, non dovrebbe essere più forte questa traccia? Se ha preso persone che conosciamo, vuol dire che lo abbiamo incontrato in qualche modo. O almeno credo.»
«Devo ammettere che è complicato da spiegare» dichiarò Kang, stirando le labbra in un sorriso: «Su di voi c’è una traccia uguale alle altre, che esplode nel momento in cui usate il potere del Miraculous. Un po’ come se fosse un geyser e, a meno che Kwon non sia vicino a voi nel momento della trasformazione, non sarebbe capace di individuarvi rispetto a chiunque altro ha una traccia come voi.»
«Ma allora perché quei quattro?»
«Sono state le prime persone che lui ha incontrato, appena giunto a Parigi» spiegò Kang, socchiudendo gli occhi e inspirando profondamente: «Dopo avermi ucciso, Kwon è giunto a Parigi e qui ha incontrato la prima persona che ha posseduto, andandosene subito dopo: il suo piano iniziale era quello di smascherarvi per mezzo di Maus.»
«Kwon conosceva Maus?»
«Kwon ha finanziato Maus» dichiarò Kang, continuando a tenere gli occhi chiusi: «Quando è tornato, ancora ignaro della traccia, ha posseduto le prime persone che, secondo lui, potevano portarlo facilmente ai Miraculous ma poi…»
«Poi si è accorto che le tracce erano tutte uguali e quindi nulla lo poteva avvicinare ai Miraculous, ma nonostante tutto è riuscito a prendere qualcuno di vicino a noi.»
«Una piccola fortuna ma anche un’enorme sfortuna, perché voi vi battere con ogni mezzo per salvare le persone a cui tenete» dichiarò Kang, storcendo le labbra in un sorriso: «Vorrei tanto darti il nome che usa, ma non riesco a vederlo. E’ l’unica cosa che non riesco a vedere di lui e ho paura che abbia usato il Quantum per mascherarlo a me.»
«E’ possibile?»
«Non lo so. Forse. Oppure inizio a essere vecchio» Kang ridacchiò, osservando il panorama di Parigi e sorrise: «Questo panorama è veramente bello: ho sempre visto questa città nelle mie visioni e l’ho sentita come una casa…» si fermò, inspirando profondamente l’aria e rilasciandola: «Vorrei dirti due ultime cose.»
«Ultime cose?»
«Ci sarà un momento in cui vorrai agire, ma attendi» Kang si fermò, sorridendo e socchiudendo le palpebre: «Il vostro vero potere è nell’unione. Da soli siete deboli, forti uniti. Ricordalo sempre, Rafael. Siete sette non uno e come tali dovete combattere.»
«Ma che…»
«Questa è l’ultima volta che ci vediamo, mio giovane amico» si fermò, sorridendo e alzando lo sguardo, fino a incontrare quello di Rafael: «Vi ho sempre osservato nelle mie visioni, ho sempre visto i possibili futuri che le scelte portavano e ho fatto di tutto perché si realizzi il mio preferito: è un bel futuro, sai? Voi avete sconfitto Kwon e vivete le vostre vite finalmente in pace, per quanto quest’ultima sia un concetto effimero e temporaneo. Ma ogni tanto è bella, no? La pace.»
«Kang…»
«Vivi felice, Rafael, assieme all’amore della tua vita e ai figli che avrete. Ve lo siete meritato.»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 63
*** Capitolo 63 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 4.647 (Fidipù)
Note: E' ufficiale, nonostante io abbia messo l'aggiornamento di un capitolo di questa saga durante il weekend (perchè presumo di essere più libera), ogni volta non riesco mai ad aggiornarla e stavolta il colpevole è stato il letto che, per ben due volte, mi ha richiamato come una sirena. Problemi miei a parte, eccomi qua a recuperare il capitolo maledetto, che doveva essere aggiornato durante il weekend e non vi sto ad annoiare più di tanto, lasciandovi subito alle parole della storia.
Come sempre vi ricordo la pagina facebook dove essere sempre aggiornati su capitoli, anteprime e coming soon, senza contare i miei disagi. E vi ricordo anche il gruppo facebook Two Miraculous Writers, gestito assieme a kiaretta_scrittrice92.
Detto ciò, voglio ringraziarvi tantissimo per il fatto che mi leggete, commentate (lo so, sono un mostro perché non rispondo mai!) e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

«Sempre a casa mia» bofonchiò Fu, osservando il gruppo riunito nella sala e rimanendo seduto con le braccia incrociate. Vagliando uno per uno con lo sguardo: erano al gran completo quel giorno. Non solo i sette Portatori ed i rispettivi kwami, ma anche chi li aveva preceduti più le due aggiunte composte da Alex e Manon.
Erano tutti lì.
«Non avevate detto che casa di Felix era meglio?» riprese l’anziano, indicando l’ex-Portatore del Gatto Nero con un cenno del capo e osservando il gruppo, mentre uno sbuffo divertito si levò dalle labbra del biondo che concorreva alla carica di sindaco di Parigi.
«Invidioso, Fu?»
«Felix…» Bridgette mormorò il nome dell’uomo al suo fianco, portandosi due dita alla tempia e massaggiandosela: «Lascia in pace, Fu.»
«Beh, alla fine ho qui tutta la mia roba» dichiarò Alex, sorridendo appena e sistemandosi gli occhiali, alzando poi le spalle: «Perché andare a casa di Felix?»
«Per te sono monsieur Blanchet oppure tuo peggiore incubo.»
«Felix, seriamente, adesso basta.»
«Non sto facendo nulla di male, Bri. Semplicemente indico allo yankee qual è il suo posto nel mondo.»
Bridgette fece schioccare la lingua contro il palato, ballettando il piede per terra: «Felix, seriamente, inizio a essere stanca…»
«Beh, penso sia normale dopo stamattina.»
«Alex, vogliamo parlare di cose serie?» domandò Bridgette, sospirando e scoccando un’occhiata glaciale a Felix: «E tu, zitto!»
«Ma io voglio sapere» cantilenò Adrien, passando un braccio attorno alle spalle di Marinette e tirandola contro di sé: «Vero? Noi vogliamo sapere dei nostri predecessori.»
«No, non vogliamo sapere.»
«Ma…»
«Moccioso, vuoi veramente continuare un discorso di cui sai già il vincitore?» domandò Plagg, intromettendosi nel discorso e fissando il suo Portatore negli occhi: «Lo sappiamo tutti come andrà a finire, no?»
«Plagg, tu distruggi il divertimento» borbottò Adrien, piegando le labbra in un broncio e ignorò la risata della moglie.
«Plagg ha detto una cosa sensata» dichiarò Marinette, allungando una mano e scompigliando i capelli dorati del ragazzo, sorridendo al broncio e posando poi la testa contro l’incavo della spalla di Adrien, sentendolo sospirare e facendole capire che aveva abbandonato ogni idea di tenere il muso.
«Per una volta» bofonchiò Wayzz, sospirando: «Inizio a pensare che siamo alla fine del mondo…»
«Un quinto cataclisma?» pigolò Flaffy, abbassando la tavoletta di cioccolato e fissando gli altri a bocca aperta: «No. Non ho ancora finito di leggere i racconti di Tolkien.»
«Forse ricordi male, ma i cataclismi erano tre» borbottò Plagg, mentre Vooxi annuiva convinto al suo fianco.
«E quello che ha distrutto Daitya e Routo come lo chiamate?» domandò Flaffy, agitando il cioccolato davanti a sé: «Anche se siamo stati noi, si è comunque trattato di un cataclisma e quindi sono quattro quelli già avvenuti.»
«Forse proprio perché eravamo noi è stato un cataclisma» commentò Nooroo, mentre Mikko si portò le zampette al volto, ridacchiando: «In fondo il potere della distruzione di Plagg non si chiama cataclisma?»
«Nooroo, sei fortunato che non esistono più vergini sacre alla Farfalla, altrimenti…»
«Altrimenti cosa, Plagg?»
«E gira che ti rigira, il gatto viene sempre zittito dalla coccinella» commentò Alex, ghignando e indicando con un cenno del capo Tikki e Plagg: «Avete notato questo parallelismo?»
«Sai, Alex, è sempre stato così» dichiarò Mikko, ridacchiando: «O almeno con i Portatori di Tikki e Plagg che ho conosciuto…»
«Bene, dopo il documentario su gatti e coccinelle, possiamo parlare delle cose serie?» domandò Lila, scostandosi una ciocca di capelli dalla spalla e tamburellando le dita sul tavolo: «Tu» si voltò verso Rafael: «Hai incontrato di nuovo Kang, no?»
Rafael annuì, lasciando andare un sospiro e poggiandosi contro lo schienale della sedia: «Sì» bofonchiò, portandosi le mani alle tempie e tirando indietro i capelli: «E ha parlato di tracce di Quantum che sono addosso a noi, del fatto che il nostro amico finanziava Maus e che ha incontrato tutti i suoi sottoposti, poi…»
«Poi ha spoilerato il finale a Rafael, dicendogli che si sarebbe sposato con Sarah e avrebbero avuto tanti bambini» ghignò Alex, dondolando la testa con un sorriso allegro pieno di allegria in volto, mentre gli occhi rilucevano di una luce furba dietro le lenti degli occhiali.
«Dovevi dirgli anche questo?» domandò Sarah, voltandosi verso Rafael e indicando l’amico: «Sai com’è fatto!»
«Mi è sfuggito…»
«Kang ha detto veramente tanto» mormorò Sophie, intrecciando le dita e stringendo con forza, socchiudendo poi gli occhi: «Maus…»
«Fermi, fermi, fermi» Lila mise le mani avanti, aprendo la bocca e rimanendo immobile per alcuni secondi: «Kang ha detto che la nostra Sarah e piumino si sposeranno? E figlieranno?» domandò, scuotendo il capo e sorridendo divertita: «Seriamente?»
«Sai, Lila, non credo che ‘figliare’ sia il termine corretto» Vooxi si voltò verso la sua Portatrice, incrociando le zampette e annuendo con la testa: «E neanche il punto su cui soffermarsi.»
«Maus era finanziato da Kwon. Ottimo, sapevamo che il tedesco aveva un finanziatore, no? Alex l’aveva scoperto dai documenti» borbottò Lila, indicando l’amico: «Tracce di Quantum» si fermò, leccandosi le labbra e inspirando: «Ok, questa non l’ho capita.»
«Da quanto ho capito io» iniziò Alex, sistemandosi gli occhiali e storcendo le labbra: «Beh, in pratica il Quantum lascia tracce su ogni cosa e Kwon ha seguito questa traccia per cercare di arrivare a voi.»
«Ma i Portatori non dovremmo essere intrisi di Quantum?» domandò Sophie, scuotendo il capo: «In fondo indossiamo i gioielli e siamo…»
«Kang ha fatto l’esempio del geyser» dichiarò Rafael, tirandosi su e poggiando i gomiti sul tavolo: «In pratica ha detto che il Quantum è sopito, almeno fino a quando non ci trasformiamo e in quel momento esplode, un po’ come un geyser…»
«In pratica, finché non ci trasformiamo siamo persone comuni con una traccia comune di Quantum» bofonchiò Adrien, incrociando le braccia e annuendo: «Ma quando usiamo i Miraculous ecco che a Kwon appare il Quantum-segnale.»
«La citazione a Batman mi piace» dichiarò Alex, annuendo con la testa: «Comunque per dirla in maniera semplice è così» si fermò, sospirando e alzando lo sguardo verso il soffitto: «Se contatto il signor Raincomprix pensate che me lo mette il Quantum-segnale?»
«Alex, rimani concentrato» bofonchiò Sarah, schioccando le dita: «Ok. Abbiamo capito questa cosa delle tracce di Quantum, che sono addosso a tutti ma…»
«Perché Nathaniel?» domandò Marinette, inspirando profondamente e poggiandosi contro lo schienale della sedia, sentendo la presa di Adrien farsi più forte sulle sue spalle: «Perché lui? E perché tuo padre, Rafael? O qualsiasi altro che ha preso…»
«Kang ha detto che sono stati i primi che ha incontrato qui a Parigi» Rafael si fermò, scuotendo il capo: «Noi abbiamo dei sospetti, alcuni confermati e altri no, il problema è trovare un punto in comune fra Nathaniel, mio padre, gli assistenti di Gabriel e Bridgette, la madre di Lila…che cosa hanno in comune?»
«Magari chi hanno in comune» buttò lì Manon, intromettendosi nel discorso e calamitando su di sé l’attenzione di tutti: «Scusate, avete detto che questo Kwon li ha incontrati tutti, no? Quindi ci sarà un nome in comune per tutti, qualcuno che tutti hanno incontrato e…» si fermò, storcendo il naso e scuotendo il capo: «O forse ha usato più di un’identità.»
«No, il tuo ragionamento ha un senso» Rafael tamburellò l’indice sul tavolo, portandosi il pugno chiuso al volto: «Kang ha parlato di un nome solo, ha detto che non riesce a vedere il nome che usa. Non i nomi, il nome. Uno solo.»
«Quindi ci sta che sia come ha detto, Manon» mormorò Thomas, incrociando le braccia e voltandosi verso la ragazzina al suo fianco: «Sei intelligente.»
«No. Sei tu che sei stupido, Lapierre.»
«Che cosa?»
«Se così fosse…» Bridgette tamburellò il piede per terra, annuendo con la testa e voltandosi verso Gabriel: «Potremmo controllare le agende di Nathalie e Maxime, Gabriel. Magari qualcosa salta fuori…»
«Nathalie e Maxime potrebbero avere molti nomi in comune, vorrei ricordarti che lavoriamo nello stesso settore.»
«Ma se ne trovassimo uno che coincide con quello del padre di Rafael, della mamma di Lila e del tipo con i capelli rossi, allora potremmo…» Bridgette si fermò, sorridendo: «Maxime è sparito poco dopo Natale, magari possiamo concentrare…»
«Per Nathalie dovete andare un po’ più indietro» dichiarò Adrien, intromettendosi nel discorso: «La prima volta che si è comportata stranamente fu poco prima della settimana della moda, quando tu eri ancora sotto il controllo di Chiyou, Bridgette.»
«Vero» Gabriel annuì con la testa, piegando le labbra in un sorriso: «Se troviamo un nome comune in quel periodo che coincide con uno di quelli di Maxime il gioco è fatto…»
«Noi pensiamo a Nathaniel, my lady?»
«Possiamo andare a scuola. Non saprei dove altro cercare altrimenti.»
«Sarah ed io ci occupiamo di mio padre» dichiarò Rafael, voltandosi verso la ragazza al suo fianco e vedendola annuire, spostando poi l’attenzione su Alex: «La roba di mio padre è qui, vero? Dovrebbe esserci anche la sua agenda, magari da lì troverò qualcosa.»
«Io mi occupo di mia madre, invece» decretò Lila, allungando una mano e stringendo quella di Wei: «Posso chiamarlo e sentire se può mandarmi la sua agenda.»
«Ti do il mio indirizzo, così l’analizziamo subito qui» dichiarò Alex, sorridendo e battendo le mani: «Direi che abbiamo un piano, signori.»
«Ed io cosa faccio?» domandò Thomas, osservando uno a uno gli altri e sorridendo impacciato: «Anzi, precisiamo: noi due che facciamo?»
«Tu potresti studiare l’arte della guerra, Thomas» dichiarò Xiang, rimasta ad ascoltare fino a quel momento e sorridendo al giovane Portatore: «Devo ammettere che, ultimamente, hai abbandonato un po’ i tuoi allenamenti…»
«Ecco» bofonchiò Thomas, abbassando le spalle: «Yuuh. Nessuno le dice niente? Vuole farmi studiare l’arte della guerra!»
«Ti farà solo bene, Lapierre.»
«Silenziati, Chamack.»
Manon sorrise angelica, sbattendo le sopracciglia e voltandosi verso Xiang: «Posso assistere? Sarà un piacere vederlo mentre viene menato» borbottò, incrociando le braccia e voltandosi nella direzione di Thomas, un broncio a piegarle le labbra.
«Come vuoi, Manon.»
«Grazie, Xiang.»
«Bene, adesso che abbiamo deciso anche cosa faranno i bambini» Alex si fermò, allargando le braccia e sorridendo divertito: «Signori, abbiamo un piano.»

 

Gabriel entrò a passo spedito nella Fondazione Vuitton, seguito a ruota da Bridgitte e dal suono dei sui tacchi sulle mattonelle di marmo, continuò per la sua strada non curandosi di nessuno e niente: «Gabriel, potresti salutare qualcuno» lo riprese gentilmente Sophie, arrancando al suo fianco e fissandolo con un sorriso pieno di divertimento: «Inizio a capire perché Adrien dice sempre che sei temuto in questo posto…»
«Io non sono temuto in questo posto.»
«Come no?» sbuffò Bridgette, scuotendo il capo e facendo ondeggiare la chioma scura: «Infatti non ho sentito parlare di stagiste, in lacrime nei bagni, per una sola tua occhiata. No, no.»
«Come io non ho mai sentito parlare di quando sei stata beccata con quello stagista?»
«Cosa è questa storia?» domandò Felix, con la voce leggermente acuta, che seguiva i tre chiudendo il quartetto: «Bridgette?»
«Tu eri morto.»
«Io non so mai stato morto.»
«Tu eri morto» ripeté nuovamente Bridgette, fermandosi e incrociando le braccia: «Fino a quando non ti ho visto entrare con Xiang da Fu.»
«Possiamo discutere sulla presunta mortalità del signor Blanchet più tardi?» sbottò Gabriel, osservando alternativamente i due: «Abbiamo qualcosa di più urgente da fare.»
Felix bofonchiò sottovoce, prendendosi il bavero della giacca con entrambe le mani e tirandolo leggermente: «non finisce qui, signorina Hart» dichiarò, passando accanto alla donna e fissandola serio: «Allora, da che parte cominciamo a controllare?»
«Le agende di Maxime e Nathalie» dichiarò Gabriel, riprendendo la marcia e fermandosi davanti agli ascensori, chinandosi in avanti e premendo il tasto di chiamata: «Dobbiamo vedere se esiste un nome in comune: voi due controllate il periodo dopo Natale per Maxime, mentre Sophie ed io guarderemo per Nathalie.»


Adrien si tolse il copricapo protettivo, scuotendo la testa e sistemando poi il cavalletto della moto, scivolando poi giù dal mezzo con un movimento fluido e, tenuto il casco sotto il braccio, alzò la testa, sorridendo alla figura rossa che stava saltando sui tetti, sparendo poi dalla sua vista. Rimase in attesa, sorridendo quando vide la moglie correre verso di lui, il vestito cremisi che ondeggiava a ogni passo: «Potevi venire in moto con me» dichiarò, non appena fu davanti a lui e le sorrise innocente, quando lo sguardo celeste si posò addosso.
«Ti devo far presente come sono vestita?»
«Lo vedo benissimo come sei vestita.»
«Quindi il discorso è chiuso» dichiarò Marinette, stringendo il laccio della borsa e osservando l’istituto: «Mi chiedo se troveremo davvero qualcosa qui, Nathaniel potrebbe averlo incontrato ovunque e…» si fermò, scuotendo il capo: «A conti fatti non so assolutamente niente della vita di Nathaniel, al di fuori dei corsi.»
«E di questo sono immensamente felice.»
«Oh. Che cosa strana.»
Adrien piegò le labbra in un ghigno, posando una mano sulla schiena della ragazza e sospingendola avanti a lui: «Dai, andiamo. Magari scopriamo qualcosa. Qualunque cosa è meglio di niente, non credi?»
Marinette annuì, facendo alcuni passi verso l’edificio e fermandosi, indicando le mura con l’indice: «Ma certo. Come ho fatto a non pensarci prima?» mormorò, portandosi la mano alle labbra e guardando un punto fisso avanti a sé: «Sono un’idiota.»
«Marinette?»
«Qualche tempo fa, ero con Bridgette e ho incontrato Nathaniel assieme a quel cinese, Kun Wong.»
«E quindi?»
«E se fosse lui Kwon? Era parecchio interessato a me, ricordi? Magari avvertiva la…»
«Traccia di Quantum? Potrebbe darsi» Adrien annuì, inspirando profondamente: «Ci sta. Ricordi altro, my lady?»
«Ci sto provando, ma non ho prestato tanta attenzione. Insomma, erano al bar, io stavo parlando con Bridgette e loro…» si fermò, sbuffando e incrociando le braccia, mentre negava con la testa: «Niente. Non ricordo niente.»
«Beh, è un nome. Meglio di niente.»
«Dici che può bastare?»
Adrien si strinse nelle spalle, scuotendo il capo: «Non so dirti, my lady: sei tu la mente ed io il braccio, ricordi? In fondo siamo Chat Noir e Ladybug.»
«Ladybug e Chat Noir.»
«Mai una volta che non mi riprendi sull’ordine.»
«Perché tu sei solito invertirlo come pare a te» dichiarò Marinette, recuperando il cellulare e digitando velocemente un messaggio ad Alex: «Ok. Gli ho mandato quello che so, in ogni caso voglio andare a parlare con i professori.»
«Come la mia lady desidera.»


«Cosa è questa storia dello stagista?» domandò Felix, avvicinandosi a Bridgette e facendo scivolare una mano sul fianco della donna e immergendo il naso nei boccoli scuri, assaporando il profumo dello shampoo: «Allora, Bri?»
«Ti sembra il momento adatto per parlarne?» sbuffò lei, sentendo la mano di Felix scivolare lungo il suo posteriore e carezzarla lasciva: «O per palparmi?»
«Ogni occasione è buona, mia cara.»
Bridgette lo fissò, mordendosi il labbro inferiore e lasciando andare un sospiro, cercando di ignorare le dita di Felix e rimanere concentrata sul compito che doveva svolgere, per quanto la voglia di saltargli addosso iniziava a farsi prepotente in lei: «In ogni caso non mi ricordo assolutamente nulla dello stagista, quindi vuol dire che ero sotto il controllo di Chiyou.»
«E’ un vero peccato che quel demone sia stato sconfitto, sono certo che gli avrei fatto passare un brutto quarto d’ora.»
«Maxime ha iniziato ad avere appuntamenti con Kun Wong dopo natale» mormorò Bridgette, indicando la scrittura ordinata dell’assistente, sfogliando poi a ritroso l’agenda e scuotendo il capo: «Non è mai comparso prima. Tutti gli altri nomi sono ripetuti ma quello no.» si fermò, poggiandosi alla scrivania e tenendo lo sguardo fisso sui fogli che aveva davanti: «Se non ricordo male, l’ho visto parecchie volte con Natha…» si bloccò, osservando la porta dell’ufficio aprirsi e Gabriel e Sophie fare la loro comparsa all’interno: «Trovato niente?»
«Kun Wong ti risulta familiare?» domandò Gabriel, sorridendo quando vide Bridgette annuire: «Bene, perché ha incontrato Nathalie nel periodo antecedente la settimana della moda. Lo stesso dove lei fece il primo errore della sua intera carriera lavorativa.»

 

Rafael voltò la pagina dell’agenda, aggrottando la fronte mentre decifrava i geroglifici del padre e lasciò andare un sospiro, tamburellando con un dito su un appuntamento: «Ma non potrebbe scrivere un po’ meglio?» borbottò, voltandosi verso la ragazza al suo fianco e fissandola, mentre si spostava una ciocca bionda e leggeva velocemente i segni che erano stati vergati: «Che c’è scritto?»
«Dentista» gli rispose Sarah, alzando lo sguardo e sorridendogli con dolcezza: «Sai, dovresti essere capace di leggere la scrittura di tuo padre.»
«Io so leggere scritture normali, l’aramaico non l’ho ancora imparato.»
Sarah scosse il capo, allungando una mano e carezzandogli il volto, spostando poi l’attenzione su Lila che passeggiava per la stanza con il cellulare attaccato all’orecchio: «No, papà. Vorrei sapere degli appuntamenti di mamma. Il periodo dopo Natale…cosa? No, è che mi è venuta in mente una cosa e volevo controllare. Sì, magari se vedi e noti qualche nome particolare, magari che non conosci…ok, attendo. Sì, sì.»
Rafael sospirò, voltando alcune pagine e fermandosi alla vista di un appuntamento: «Questo è la prima volta che lo vediamo, vero?» domandò, allungando l’agenda a Sarah e vedendola annuire con la testa: «Cosa c’è scritto?»
«Puoi imparare a leggere l’aramaico di tuo padre?» gli chiese lei, ridacchiando e leggendo in silenzio il nome: «Kun…»
«Kun Wong? Davvero? E’ l’unico nome che non conosci?»
«Cosa hai detto, volpe?»
«Scusa un attimo» Lila abbassò il cellulare, coprendolo con la mano e fissando i due: «Che c’è?» sbottò, mostrando loro il telefono: «Sto cercando di lavorare, sapete?»
«Tua madre ha incontrato Kun Wong?»
«Perché? Anche tuo padre?»
Rafael annuì, mentre Sarah girava l’agenda e mostrava l’appuntamento di Emile: «Grazie, papà. Sei stato fenomenale» mormorò Lila, dopo essersi portata nuovamente l’apparecchio all’orecchio e, salutato sbrigativamente il genitore, chiuse la chiamata: «Se anche gli altri…»
«Mio padre è un professore barra ricercatore di storia, tua madre è la consorte di un diplomatico. Sinceramente, come potrebbero conoscere entrambi quest’individuo?» domandò Rafael, voltando la testa e rimanendo in ascolto, aggrottando lo sguardo al suono di passi concitati che si stavano avvicinando: «Ma che…?»
«Attacco» esclamò Thomas, comparendo nella sala di Fu e indicando con un gesto della mano la direzione dove era la camera di Alex: «L’abbiamo sentito ora. Stanno attaccando il collége Dupont.»
Ladybug atterrò sul terrazzino di quella che era stata la sua camera fino a poco tempo prima e osservò l’edificio adiacente, il cuore che le batteva in gola: «Si direbbe che i tuoi stanno bene» commentò Chat Noir, avvicinandola e guardando in basso, tenendo sotto controllo le figure di Tom e Sabine che, all’esterno del loro negozio, erano rivolti verso il collége: «Vuoi andare a dirgli qualcosa, my lady?»
Ladybug annuì, saltando giù dalla balaustra e atterrando alle spalle dei genitori, vedendoli sobbalzare dalla paura e voltarsi verso di lei: «Ladybug» esclamò sua madre, portandosi le mani alle labbra mentre lo sguardo si puntava dietro la giovane, e l’eroina fu quasi certa che Chat Noir era atterrato, silenzioso come solo lui poteva essere.
«Che cosa è successo, ma…» si fermò, leccandosi le labbra e sorridendo appena: «Madame?»
«In verità non lo sappiamo» Sabine si voltò verso la scuola, osservando gli studenti che uscivano urlanti e senza un preciso ordine: «C’è odore di bruciato» commentò Chat Noir, annusando l’aria e alzando un poco il volto verso l’alto: «Signori, sarebbe meglio se vi metteste al riparo» dichiarò a Tom e Sabine, osservando l’uomo poggiare le mani sulle spalle della moglie e spintonarla via.
«Grazie» bisbigliò quest’ultima, fermandosi e costringendo Tom a fare altrettanto: la donna allungò le mani e prese quella guantata di rosso di Ladybug: «Non vi ho mai ringraziato per tutto quello che fate per Parigi, che fate per noi.»
«Dovere, madame.»
«Sabine, andiamo» mormorò Tom, spintonandola nuovamente e superando il proprio negozio, dirigendosi verso la parte opposta rispetto alla Dupont.
«E’ veramente preoccupato per lei» mormorò Ladybug, guardando i genitori mentre raggiungevano il marciapiede: «Il negozio è la cosa più importante, dopo mamma e me.»
«La sicurezza della sua famiglia prima di tutto» commentò Chat, con le labbra distese in un sorriso tranquillo: «Posso comprenderlo. Io farei uguale.»
Ladybug sorrise, lanciando lo yo-yo e ancorandolo a uno degli elementi decorativi dell’istituto, passando poi un braccio attorno alla vita di Chat Noir e osservandolo ammiccare, mentre si stringeva a lei, poco prima che tirasse il filo e venissero entrambi strattonati verso l’alto: «Odio il tuo yo-yo» bofonchiò il felino, atterrando sul pavimento del tetto e osservando male la ragazza al suo fianco: «E’ divertente fare il Tarzan della situazione, ma le partenze le odio veramente.»
«Cosa ha il micetto da lamentarsi?»
«Silenzio, volpe» Chat poggiò le mani sui fianchi, voltandosi nella direzione da cui era giunta la voce amica e osservando il gruppo di Portatori al completo.
Ladybug sorrise, avvicinandosi al bordo dell’apertura sul tetto e portandosi una mano al volto per proteggersi dalla calura che si elevava: «Fuoco» commentò Bee giungendo al suo fianco e osservando anche lei verso il basso: «E così è qui che tu e Chat vi siete conosciuti…»
«Già.»
«Ci sono venuto una volta» commentò Peacock, poggiando un piede sul bordo e sorridendo: «Durante l’ultimo anno, parecchio prima che tuo padre mi prendesse come modello» si fermò, inclinando la testa: «Era per una partita di basket, se non ricordo male.»
«Aspetta. Eri tu quello che ci provava con tutte?» domandò Chat, indicando il compagno e aprendo la bocca senza emettere alcun suono, la richiuse e inspirò profondamente: «Nino mi prese in giro tutto il tempo perché ero geloso di Marinette.»
«Com’è che non ti smentisci mai, honey?»
«Ero piccolo e innocente, apetta» bofonchiò Peacock, posando le mani sui fianchi e sbuffando: «Comunque sì, ci provai con qualcuna ma non mi ricordavo di averlo fatto anche con Marinette.»
«Io non ricordo, quindi dovevo essere già partita.»
«Già» borbottò Chat Noir, incrociando le braccia al petto e sbuffando: «Quindi ci hai provato con la mia donna, non solo quando andavamo al Le Grand ma anche prima.»
Ladybug batté le mani, portandosele al volto e sorridendo: «Alya mi suggerì di provare a uscire con te!» esclamò, ridacchiando e scuotendo il capo: «Visto che con qualcuno non stava andando per niente bene.»
«Colgo una velata allusione, Chat.»
«La colgo anche io, Torty» borbottò il felino, sogghignando: «My lady, in verità stava andando veramente bene, solo che c’era quel piccolo particolare di dover scegliere fra due persone…»
«Che fortuna, micetto: scoprire che erano la stessa persona.»
«Senti volpe, perché non ti vai a gettare fra le fiamme?»
Volpina rise, gettando indietro la testa e poi calamitando l’attenzione su Ladybug: «Allora, qual è il piano, boss?» domandò, avvicinandosi a Hawkmoth e sequestrandogli il cellulare: «Signorino, non è tempo di giocare adesso.»
«Stavate facendo salotto.»
«Bee, Volpina, aiutate le persone a uscire» dichiarò Ladybug, affacciandosi oltre il bordo e osservando le fiamme che si levavano da vari angoli del cortile interno, rimanendo in attesa e notando una figura umana muoversi fra le lingue di fuoco, anch’essa fatta di queste: «Tortoise, devi riuscire a imprigionare quella cosa, penso sia la creatura di Quantum di questa volta. Peacock…»
«Non assicuro nulla su ciò che posso vedere o non vedere.»
«L’importante è provarci» dichiarò Ladybug sorridendo all’amico: «Hawkmoth, tu proteggilo.»
«Ed io, my lady?»
«Non vedo Taowu da nessuna parte» mormorò la coccinella, inspirando profondamente: «Questo vuol dire che stavolta non è qui…»
«Magari quel vigliacco è nascosto da qualche parte.»
«Chat…»
«Che cosa faccio, my lady?»
«Aiuta Tortoise, mentre io evocherò il Lucky Charm» dichiarò la ragazza, inspirando profondamente: «Bene, andiamo a fare il nostro lavoro.»


Tortoise balzò all’interno del cortile della scuola, scivolando di lato e proteggendosi con lo scudo da un getto di fiamme che lo accolse: «Bel benvenuto» commentò, notando Chat mettersi davanti a lui e roteare il bastone, in modo da proteggere entrambi dallo sbuffo infuocato; grato della tregua dall’attacco nemico, il Portatore della Tartaruga invocò il proprio potere e iniziò a modellare una barriera che si erse dai piedi della creatura, imprigionandolo in un cilindro di energia: «Fatto.»
«Bene, adesso aspettiamo che il pennuto ci dica qualcosa o la mia signora tiri fuori qualcosa dallo yo-yo magico» dichiarò Chat, alzando la testa e osservando Bee e Volpina aiutare alunni e insegnanti a uscire velocemente dalle aule, tossendo appena per il fumo acre che stava riempiendo tutto: «E’ strano» mormorò sovrappensiero, sentendo come se ci fosse qualcosa che non andava in tutto ciò: Taowu, a parte la prima volta, era sempre stato presente durante gli attacchi e, per quanto avessero vinto ogni volta, non era certo andato tutto liscio come stava succedendo in quel momento; inoltre non poteva ignorare quella strana sensazione che gli percorreva il corpo e lo rendeva agitato: c’era qualcosa di profondamente sbagliato in tutto quello e non capiva perché…
Scosse il capo, spostando la sua attenzione su un oggetto rosso e a pois che era stato lanciato nella sua direzione e lo afferrò, sbilanciandosi con il proprio peso, mentre osservava l’estintore che aveva fra le mani: «Mi stai dicendo che devo diventare un pompiere sexy, my lady?» le domandò, mentre la vedeva raggiungerlo con un’espressione di profondo disappunto in volto: «Stavo scherzando. Lo so che preferisci il poliziotto…»
«Non ti ho lanciato il Lucky Charm per farti fare battutine, Chat.»
«E allora per cosa?»
«Magari per usarlo contro quella creatura lì?» domandò la ragazza, indicando la figura di fuoco che Tortoise aveva velocemente imprigionato; Chat sorrise, osservandola mentre armeggiava con la sicura dell’estintore e poi puntò l’erogatore verso il loro nemico: «Quando vuoi Tortoise, apri pure la tua barriera.»
«Sicura, Ladybug?»
«Sicurissima.»
Tortoise annuì, lasciando andare il proprio potere e liberare così la creatura fatta di fiamma, nello stesso istante in cui Ladybug azionò l’estintore e l’agente estinguente si riversò contro la creatura, impedendole la sua avanzata e spegnando il fuoco, rendendolo qualcosa di molto simile a lava raffreddata; Ladybug continuò a sparare, fino a quando il Lucky Charm non si esaurì e il loro nemico non era nient’altro che un ammasso di terra raffreddata: «Direi che è il mio turno» dichiarò Chat, attivando il potere della distruzione e sorridendo alla vista della mano impegnata.
Era stato un lavoretto facile.
E la sensazione che sentiva…
Frutto delle sue paranoie, quasi sicuramente.
Alzò l’arto, pronto a posarlo sulla creatura ma il richiamo di Peacock lo fermò a pochi centimetri dalla pelle bruciata della creatura: «Che diavolo vuoi, pennuto?» sbottò, voltandosi nella direzione in cui aveva sentito la voce e osservando l’amico balzare all’interno del cortile della scuola con Hawkmoth dietro.
«Quello è Nathaniel» esclamò Peacock, fermandosi a pochi passi e osservando la creatura che, inginocchiata, stava attendendo il proprio destino.
Chat scosse il capo, dando completa attenzione alla creatura fatta di terra bruciata e osservando la superficie iniziare a rompersi, a screpolarsi come se fosse stato un guscio di un uovo, mentre il volto familiare del vecchio compagno di scuola si palesava a loro e lo sguardo di smeraldo si guardava attorno impaurito: «Io…» mormorò Nathaniel, portandosi le mani al volto: «Io cosa sto facendo qui?»
Ladybug si avvicinò, la mano tesa verso l’amico ma si fermò, quando vide un cerchio di luce dorata materializzarsi ai piedi di Nathaniel e inghiottirlo: «Cosa? No! No! No!» esclamò, scattando in avanti ma finendo nel vuoto lasciato dietro dal giovane dai capelli cremisi: «Cosa?»
Chat Noir strinse i denti, sibilando e poggiando frustrato la mano pregna del suo potere speciale su un masso che era vicino a lui, osservandolo con malcelata soddisfazione sgretolarsi di fronte al suo potere: «Quando ho attivato il mio potere, l’ho visto unirsi alla creatura iniziale che aveva…» mormorò Peacock, chinandosi e recuperando il Lucky Charm che Ladybug aveva gettato: «Non ho capito come ha fatto, ma penso che con il Quantum sia possibile e…»
«Grazie, Peacock» mormorò Ladybug, sorridendo all’amico e prendendo l’estintore, lanciandolo con un po’ di fatica verso l’alto e osservando la magia rigeneratrice fare il suo lavoro, mentre lei sentiva il peso di tutto accasciarsi sulle sue spalle: «Abbiamo trovato qualcosa dalle nostre ricerche, no?» domandò, ricordando ciò che Alex le aveva detto, prima che lei e Chat giungessero lì: «Direi che è tempo di andare a trovare Kwon.»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 64
*** Capitolo 64 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 4.647 (Fidipù)
Note: Che cosa strana: questa settimana ce l'ho fatta a fare i soliti due aggiornamenti canonici. Bene, bene. Ci siamo, siamo in dirittura d'arrivo...ancora tre capitoli e Miraculous Heroes 3 si concluderà, mettendo fine anche al cuore del Quantum Universe. Ma non vi libererete di me: ci sono ancora in corso Scene, Le ombre di Nanchino e non conto i tanti progetti riguardanti questo what if...!Universe che è stato creato, partendo dalla prima stagione.
Detto questo, oggi vi parlo di Place d'Italie, luogo protagonista di una parte del capitolo: è una piazza del XIII arrondisment ed è il punto di partenza della strada che collega Parigi con l'Italia, oggi strada nazionale n. 7. Ma non solo: è anche il punto di passaggio obbligato della circolazione sutomobilistica e delle linee del métro e dei bus. È un punto di transito tra la banlieue e il centro di Parigi o tra il quartiere di Montparnasse e la riva destra. Uno dei più grandi centri commerciali di Parigi confina con la piazza.
Detto questo, come sempre, vi ricordo la pagina facebook dove essere sempre aggiornati su capitoli, anteprime e coming soon, senza contare i miei disagi. E vi ricordo anche il gruppo facebook Two Miraculous Writers, gestito assieme a kiaretta_scrittrice92.
Detto ciò, voglio ringraziarvi tantissimo per il fatto che mi leggete, commentate (lo so, sono un mostro perché non rispondo mai!) e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

Qionqgi osservò il cristallo di Quantum, il terzo che adornava l’androne dell’abitazione e si voltò verso l’uomo che era con lui, chinando la testa con un movimento fluido mentre un mezzo sorriso gli piegava le labbra: «Sono veramente costernato per i fallimenti dei miei compagni, mio signore» mormorò, alzando una mano e carezzando il Quantum solidificato che imprigionava Taowu: «Io non ho parole…»
«Non voglio parole, voglio fatti» Kwon osservò il suo sottoposto, carezzando la testa di metallo del serpente che gli adornava il collo: «Ormai sono stanco dei vostri fallimenti, stanco di non vedere fare nemmeno un passo verso i Miraculous. Vi ho donato il potere ma per cosa? Per vedermi deriso dai miei nemici?»
«No, mio signore.»
«Sei l’ultimo, Qionqgi, e so che hai lavorato per esserlo, per avere ogni oncia di tempo a tua disposizione» Kwon si avvicinò, allungando una mano e afferrando il generale per il collo: «Fa che le tue manovre non siano state vane: portami i Miraculous o subirai la stessa fine degli altri.»
Qionqgi boccheggiò, aprendo e chiudendo la bocca, cercando di afferrare quanta più aria potesse mentre la presa del suo signore si faceva sempre più stretta e forte: l’avrebbe ucciso lì, senza aspettare il suo fallimento o il suo successo.
No, Kwon sembrava intenzionato a sfogare la propria rabbia e a porre fine alla sua vita.
Cercò di respirare, di riempire i propri polmoni d’aria, ma diventava sempre più faticoso e il corpo iniziava a sentire la mancanza di afflusso di nuovo ossigeno mentre la vista si appannava leggermente e la testa iniziava a girare; socchiuse gli occhi, alzando una mano e sfiorando con i polpastrelli quella che si stava stringendo attorno alla sua gola, sentendo le dita di Kwon fare meno pressione e lasciarlo andare: si accasciò a terra, inspirando profondamente e portandosi le dita alla gola, sentendola dolorante per la forza con cui era stata stretta.
«Non deludermi, Qionqgi» furono le parole, quasi sputate dall’uomo, prima che questi se ne andasse e lo lasciasse completamente solo; inspirò profondamente, cercando di recuperare l’aria che gli era mancata e calmare così il proprio corpo, recuperando un po’ della compostezza che lo contraddistingueva.
Non doveva fallire.
Non doveva fare la fine degli altri.
Inspirò a fondo, socchiudendo gli occhi e lasciando andare l’aria, mentre due piccole mani si poggiarono sulla sua schiena, facendolo trasalire appena: «Mio povero signore» mormorò una voce femminile e Qionqgi sorrise, issandosi un po’ su e lasciando andare un nuovo respiro: «Ci penserò io a fermare il vostro nemico.»
«Fallo e sarai ricompensata.»
«Avrò un corpo vero?»
«Ti darò il corpo che più desideri.»


Alex storse la bocca, mentre si lasciava andare contro lo schienale della poltrona e tenendo lo sguardo sul monitor, quasi come se fissandolo intensamente potesse trovare la soluzione a tutti i suoi dilemmi: «Problemi?» la voce del maestro Fu lo riscosse e lo fece voltare verso l’entrata della camera e notare l’anziano con un vassoio in mano; Fu gli sorrise, avanzando nella stanza ed evitando ogni ostacolo presente sul pavimento, dimostrandosi veramente agile nonostante gli anni che aveva.
«Di solito, le persone normali, lasciano qualche traccia…» bofonchiò Alex, poggiando il gomito al bracciolo della poltrona e il viso contro il pugno chiuso, osservando le finestre del monitor con un broncio: «mentre Kun Wong…» si fermò, stringendo le labbra e facendole poi schioccare: «Niente. Nulla. Nada. Nothing. Rien de rien.»
Alex sospirò, seguendo con lo sguardo i movimenti di Fu e osservandolo mentre poggiava il vassoio sull’unico punto libero della scrivania e armeggiava poi con le tazze, passandogliene una che il ragazzo accettò con il sorriso sulle labbra: «Magari essendo millenario» buttò lì Fu, portandosi alla bocca la propria tazza e sorseggiando il the: «Ha nascosto le sue tracce.»
Alex l’osservò, scuotendo il capo e sorseggiando la bevanda calda, storcendo le labbra al gusto amarognolo: «Sarebbe plausibile, ma a un certo punto sarebbe dovuto comparire: sembra abbia un qualcosa in Cina, finanziava Maus, pare che abbia le mani in pasta ovunque…» si fermò, portandosi nuovamente la tazza alle labbra e allungandosi, digitando velocemente qualcosa sulla tastiera e osservandola scritta ‘not found’ che era comparsa sullo schermo: «Ci dovrebbe essere qualcosa: i soldi che dava a Maus da qualche parte venivano, no? La festa a cui siamo invitati? Non c’è un catering a suo nome. Nulla di nulla.»
«Forse sta usando un altro nome?»
«Che sia fan di Bridgette?»
Fu sorrise, allungando una mano e posandola sulla spalla di Alex: «Sei venuto fuori da situazioni ben più difficili di questa…»
«Stavolta invece non ci riuscirò» mormorò il ragazzo, allungandosi e poggiando la tazza sul vassoio: «Sinceramente mi chiedo a cosa possa servire il mio aiuto…»
«A tanto» dichiarò Fu, battendo la mano sulla spalla del ragazzo e inspirando: «Sai, inizio a pensare che sarebbe stato utile ai Gran Guardiani venire affiancati da qualcuno come te, Alex: un valido aiuto nella missione e…»
«Uno scudiero, in pratica.»
«Cosa?»
Alex alzò le mani, ridendo e scuotendo il capo: «Lila ha prestato a Xiang dei libri, dove ci sono dei guerrieri immortali e alcuni di questi hanno dei tipi che li aiutano e si chiamano scudieri» si fermò, ghignando: «Io avevo iniziato a leggerne uno perché volevo le scene di sesso, ma invece ho beccato il punto della spiegazione e poi Xiang mi ha trovato con il libro in mano e…beh, tanti saluti alle scene di sesso.»
«Puoi sentire Lila se te lo presta…»
«E’ una possibilità, ma conoscendola me lo farebbe sudare quel libro.»
Fu annuì, portandosi una mano al mento e massaggiandosi la barbetta, sorridendo appena: «Scudieri di Nêdong. Mi piace.»
«Ed io sono il primo dell’ordine, vero?»
«Ovviamente, tu sei Alex. Primo scudiero di Nêdong.»
Il ragazzo sorrise, alzando una mano e portandola sopra quella dell’anziano, voltandosi poi verso il pc e notando l’icona di un programma lampeggiare: si issò, recuperando le cuffie che aveva abbandonato vicino alla tastiera e le infilò, sistemandosi gli occhiali e iniziando a lavorare velocemente al pc, annuendo con la testa: «Guai in arrivo.»
«Un altro attacco?»
«Già.»


Hawkmoth atterrò nei pressi della grande fontana che dominava Place d’Italie, sorridendo imbarazzato alla donna che era trasalita per il suo atterraggio improvviso: «Sei sicuro che sia qui?» domandò, portandosi una mano all’orecchio e ascoltando la voce metallica di Alex.
Il giovane eroe ascoltò, annuendo e osservando verso l’alto, notando le figure dei suoi compagni saltare sui tetti che circondavano il grande spiazzo composto dalla piazza e dalle strade che la circondavano: era stato in quel luogo qualche vuota, accompagnando sua madre al grande centro commerciale di Italie 2: «Alla buon’ora» esclamò, osservando i quattro e aggrottando lo sguardo, notando la mancanza di due componenti del gruppo: «Ladybug e Chat Noir?» chiese, facendo passare lo sguardo sui compagni.
«Ladybug non ha risposto e Chat è andato a recuperarla» spiegò brevemente Peacock, posando le mani sui fianchi e guardandosi attorno, scuotendo il capo: «Mogui, sei certo che il posto è questo? Perché è tranquillo. Veramente tranquillo.»
Hawkmoth annuì, osservandosi anche lui attorno e notando, solo in quel momento, un dettaglio che stonava con tutto il resto, che non si accordava alla quotidianità e normalità di quel posto: «Manon?» mormorò, facendo un passo avanti e notando il corpo dell’amica, disteso in mezzo alla strada.
Perché lei era lì?
Cosa era successo?
Perché era riversa per terra?
Sbatté le palpebre, scuotendo la testa e inspirando profondamente, mentre faceva un passo verso di lei: Manon era in pericolo e lui era…
Era…
Era lì.
Poteva aiutarla, poteva salvarla.
Poteva fare qualcosa.
Fece un altro passo, sentendo le gambe tremare e quasi temette che non reggessero il suo peso: doveva vedere come stava.
Doveva salvarla.
Portarla via di lì. Al sicuro.
Un altro passo, eppure aveva la sensazione di non avvicinarsi, di rimanere fermo sul posto.
Iniziò a correre, ma non riusciva a raggiungerla lo stesso: sempre lontana, sempre fuori dalla sua portata.
Sentiva il cuore battere furioso nel petto, il corpo tremare ed essere sul punto di cadere, di cedere, ancor prima di essere riuscito nel suo intento: era colpa sua, era tutta colpa sua.
Non aveva dovuto trascinarla in quel mondo, non aveva dovuto permettere che lei scoprisse ed entrasse in quella realtà fatta di pericoli per chi non era in possesso di un Miraculous, per chi non aveva i mezzi per difendersi.
Se Manon si era fatta male, se adesso lei era in pericolo, era solo ed esclusivamente colpa sua.


Qionqgi sorrise, osservando la grande struttura che dominava Place d’Italie e carezzò la fredda porcellana del volto della sua creatura: quando il suo signore gli aveva dato quell’essere, Qionqgi aveva pensato a uno scherzo, a una presa in giro nei suoi confronti.
Perché dargli una bambola?
Perché offenderlo in quel modo?
Ma a quanto pareva si era sbagliato e la piccola creatura di Quantum non solo aveva preso possesso delle persone che erano, per caso, in quel luogo quel giorno, rendendole tante piccole marionette al suo servizio.
No, la piccola era riuscita a imprigionare anche cinque dei sette portatori.
Un risultato che nessuno degli altri era riuscito a raggiungere.
Il sorriso si accentuò, quando vide i restanti Portatori giungere lì.
Presto. Presto lì avrebbe avuti tutti in mano sua.


Volpina osservò con stizza la coppia che si era materializzata avanti a lei, roteando il flauto con un gesto secco e inspirando: «Direi che questo è un affronto personale» bofonchiò, avvicinandosi ai suoi genitori e colpendoli con la propria arma, osservandoli svanire come fumo: «illusioni. Illusioni a me» sbuffò in maniera poco femminile, mentre il mondo attorno a lei si distorceva e si sfaldava, rivelando effettivamente ove si trovasse sia lei che il resto della squadra: alte pareti grigie li imprigionavano e i suoi compagni sembravano ognuno persi nel proprio mondo, di certo vittime anche loro del potere illusorio del loro nemico.
Volpina si avvicinò a Tortoise, osservando lo sguardo scuro che, dietro la maschera, fissava qualcosa con il terrore: «Risvegliati, cucciolo» mormorò, posandogli le mani sulle guance e allungandosi, sfiorandogli le labbra con le proprie.
Attese, trattenendo il fiato e lasciandolo andare quando lo vide sbattere le palpebre, guardandosi confuso attorno e, infine, posare lo sguardo su di lei: «Che cosa…» mormorò, scuotendo il capo e portandosi una mano alla testa, abbassandosi il cappuccio: «C’erano i miei genitori» bisbigliò, strizzando le palpebre e inspirando profondamente: «Li ho visti. Erano qui davanti a me…»
«Un’illusione» mormorò Volpina, carezzandogli il volto e sorridendogli piena di dolcezza, prima di raggiungere Peacock e schioccargli le dita davanti al viso: l’osservò mentre si riprendeva, scuotendo la testa e imitando il comportamento di Tortoise di poco prima, lo sguardo grigio che si posava confuso su di lei; gli sorrise, raggiungendo Bee e liberando anche lei dall’illusione.
Si voltò verso Hawkmoth, poco distante da loro, il corpo fermo nell’atto di scattare e si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla e scuotendo leggermente, aspettando che anche lui si riprendesse e uscisse dalla sua illusione: «Hawkmoth» mormorò, prendendolo per la spalla e scrollando con più forza rispetto a prima, sentendosi poi il cuore leggero quando lo vide sbattere gli occhi e guardarsi intorno, alla ricerca di qualcosa.
«Manon?»
«Era un’illusione.»
«Lei era…»
«Lo so, Hawkmoth. Ma era un’illusione. Fidati.»
«Hanno giocato con le nostre menti» mormorò Peacock, scrollando il capo e prendendosi il setto nasale fra l’indice e il pollice, inspirando ed espirando profondamente: «Che facciamo? Noi siamo bloccati qui e…» alzando poi la testa verso il cielo, osservando le mura che si elevavano alte attorno a loro.
«Proviamo a distruggere le mura?» commentò Bee, alzando un braccio e stringendo gli occhi, prendendo così la mira, voltandosi adirata quando una mano di Tortoise si posò sulla sua, costringendola ad abbassare l’arto: «Che cosa?»
«Faresti più danno, Bee» commentò l’eroe, avvicinandosi al muro e posando la mano sopra di esso: «C’è una barriera e sono certo che rifletterebbe i nostri attacchi.»
«Siamo nelle mani di LB e del micetto, allora.»
«Sì, Volpina.»


Chat Noir osservò l’enorme struttura di mattoni grigi, che dominava la piazza e roteò il bastone, passandosi la lingua sulle labbra e spostando l’attenzione sul capannello di persone che, l’espressione vacua e il corpo senza nessuna vitalità, erano avanti la costruzione quasi fossero un piccolo esercito: «Che facciamo?» domandò, mettendosi in posizione di difesa e scoccando un’occhiata veloce a Ladybug: «Dobbiamo arrivare alla tipa che comanda tutto.»
«Lo so» borbottò l’eroina, osservando la figura femminile che, dietro le fila nemica, rideva divertita della loro impotenza: i boccoli biondi, la pelle del viso di porcellana e lo sguardo vitreo, tutto in quella creatura ricordava una bambola o una marionetta: «Dobbiamo arrivare a lei, ma senza ferire nessuno.»
«Qualche altra richiesta, my lady? Che so…» Chat si fermò, inspirano profondamente e scuotendo la testa: «Magari mi metto a fare la messa in piega a qualcuno.»
«Siamo acidi oggi, micetto?»
«Non mi piace che i miei amici siano là dentro» la voce di Chat Noir era decisa mentre dichiarava ciò, lo sguardo verde rivolto verso il piccolo esercito che la creatura di Quantum aveva ammassato lì non appena si era accorta della loro presenza: «My lady?»
Ladybug socchiuse gli occhi, inspirando profondamente e lasciando poi andare l’aria: «Occupati di loro» ordinò, prendendo lo yo-yo che teneva legato in vita e stringendolo nel palmo: «Io evocherò il Lucky Charm e vedrò cosa possiamo fare con quello.»
«Sembra di essere tornati ai vecchi tempi» dichiarò Chat con un sorrisetto in volto, roteando nuovamente il bastone e puntandolo contro il terreno, usandolo come leva e saltando più vicino al nemico, iniziando a colpire chiunque capitasse abbastanza vicino da essere vittima dei suoi colpi.
Ladybug l’osservò per una manciata di minuti e invocando poi il potere speciale del suo Miraculous, osservando la forza creazionista riunirsi sopra di lei e lasciare cadere l’oggetto a cui aveva dato vita: «Delle forbici?» si domandò la ragazza, rigirandosi l’utensile fra le mani e poi iniziando a considerare l’ambiente circostante.
Come poteva utilizzarle?
Quale scopo avevano?
A cosa…
Si fermò, seguendo con lo sguardo quelli che sembravano fili e che, dagli avversari di Chat Noir, si stendevano fino alle mani della creatura di Quantum: una fanciulla dall’aspetto regale, con il vestito rosa pieno di trine e i boccoli biondi che incorniciavano un viso di porcellana e finemente decorato.
Ladybug l’osservò, guardandola mentre muoveva le mani e annuì, mentre qualcos’altro attirò la sua attenzione: «Chat» esclamò, attirando l’attenzione del compagno e vedendolo mentre la guardava confuso: «Mi serve che tu mi faccia da apripista.»
«My lady, ti sembra il momento?» le domandò il giovane, scuotendo la testa e balzando all’indietro, atterrando davanti a lei: «Allora, che piano hai inventato?»
«Devo tagliare dei fili.»
«Che fili?»
«Tu inizia a menare quelli che ci vengono contro, ai fili ci penso io» dichiarò la coccinella, facendogli l’occhiolino e vedendolo annuire, assestando due colpi precisi con il bastone allo sventurato che si era parato avanti a loro; Ladybug tagliò il filo, seguendo poi Chat Noir e liberando, una a una, le vittime dal giogo della creatura di Quantum, giungendo di fronte a quest’ultima che, sobbalzando, li guardò portandosi una al petto e aprendo la bocca in una o perfetta.
Chat Noir si voltò verso di lei, riponendo la propria arma e attivando il potere speciale, posando poi la mano impregnata di distruzione sulla pancia del nemico e osservandolo diventare polvere sotto ai propri occhi; la grande struttura grigia seguì lo stesso destino e si sbriciolò velocemente, liberando gli eroi al proprio interno.


Xiang osservò il video della giornalista, mentre informava i telespettatori del nuovo successo degli eroi di Parigi e si morse il labbro inferiore, mentre le chiacchiere vuote della professoressa le giungevano alle orecchie: avrebbe dovuto essere con loro, avrebbe dovuto seguirli e combattere anche lei.
Avrebbe…
«Ladybug sta mantenendo la sua promessa» dichiarò la sua compagna di banco, attirando l’attenzione di Xiang e sorridendo allo sguardo serio e pieno di interesse che questa le aveva rivolto: «Scusa, mi ero dimenticata che sei qui a Parigi da poco.»
«Che promessa?»
«Hai sentito parlare di Papillon?»
«Sì» Xiang annuì con la testa, un gesto che voleva enfatizzare il suo assenso e si trattenne dal piegare le labbra in un sorriso divertito: «Che cosa centra?»
«Quando Papillon attaccò la prima volta e quando Ladybug e Chat Noir comparvero a Parigi…» la compagna si fermò, dando una breve occhiata alla professoressa: «Beh, Ladybug promise di proteggere sempre tutti. Ed è quello che ancora sta facendo.»


Manon trasalì, voltandosi verso la finestra della propria camera da letto e notando Hawkmoth balzare all’interno: «Ehi» mormorò, chiudendo il libro di storia e voltando la sedia girevole verso l’amico, notando solo in quel momento lo sguardo pieno di disperazione che questi aveva.
In verità, molto in Hawkmoth la stava preoccupando: poteva notare la linea delle spalle irrigidita, i pugni stretti e il respiro leggermente frettoloso; non si era ritrasformato subito e sembrava dover recuperare la calma: «Thomas, che succede?» domandò, balzando in piedi e avvicinandosi all’amico, sfiorandogli la mano guantata di viola e vedendolo trasalire al suo tocco: «Thom…» il richiamo di Manon le si bloccò in gola, ritrovatasi circondata dall’abbraccio del ragazzo e sentendosi stringere con forza: «Che cosa è successo?» mormorò, alzando la mano e carezzando la schiena dell’amico, sentendolo tremare sotto le sue dita mentre il respiro veloce le alitava sul collo.
«Ho creduto di perderti.»
«Cosa?»
«Mi ha fatto vedere cose…»
«Thomas, non sto capendo.»
«Ed eri lì. Eri…» Thomas si fermò, poggiando la fronte contro la spalla di lei e stringendola maggiormente a sé: «Eri…eri…»
«Sono qui.»
«Non voglio perderti.»
«Non vado da nessuna parte.»
«Non voglio…»
Manon lo strinse a sé, socchiudendo gli occhi e non capendo cosa era successo, cosa aveva spaventato così tanto Thomas: non sapeva cosa fare, cosa dire, poteva semplicemente lasciare che lui l’abbracciasse e ricambiare quella stretta disperata.


Rafael si poggiò al bancone, sorridendo alla vista del piccolo gruppetto che era da poco giunto: «Come mai qua?» domandò, notando lo sguardo di puro astio che gli rivolse Adrien, annuendo poi con la testa: «Giusto, serata drama.»
«Già, serata drama» borbottò l’amico, sedendosi e incrociando le braccia, scuotendo la testa bionda: «Proprio la sera in cui avevo progettato…»
«Adrien, minimo tu progetti sempre qualcosa per la serata.»
«Sono una persona a cui piace trovarsi pronto.»
«Che vi porto, ragazzi?»
«La tua testa.»
«Senti, gattaccio, io dovevo lavorare e non è colpa mia se tua moglie ha accettato l’invito della mia fidanzata…»
«Quello che devo capire…» s’intromise Felix, poggiandosi al bancone e fissando i due litiganti: «perché sua moglie ha accettato l’invito della tua fidanzata per una serata fra donne a vedere quella roba asiatica, a casa mia» concluse l’uomo, sistemandosi la giacca e calcando la voce sulle ultime parole: «Sono stato letteralmente buttato fuori.»
«Benvenuto nel mio mondo, Felix» borbottò Rafael, tirandosi su e incrociando le braccia: «Quando facevano simili riunioni da me, ero io quello che veniva sempre cacciato.»
«Veramente tu non sei mai stato cacciato» puntualizzò Adrien, poggiando la guancia contro il pugno chiuso: «Se non erro, l’ultima volta che hanno fatto qualcosa del genere, Sarah viveva ancora da sola.»
«Dettagli» borbottò Rafael, chinandosi sul bancone e sostenendo parte del suo peso con gli avambracci: «Cosa vi offro, ragazzi?»
«Whisky. Rum. Cognac» Felix scrollò le spalle, indicando con un cenno del capo Alex: «Qualsiasi cosa abbia una gradazione abbastanza forte per sopportare questo qua.»
«Io penso che noi due abbiamo iniziato con il piede sbagliato…» decretò Alex, indicando alternativamente se stesso e l’uomo: «Potremmo essere grandi amici.»
«Non sarò mai amico di uno yankee.»
«Tradotto: non sarà mai amico di qualcuno che si vuole infilare fra le gambe di Xiang» bofonchiò Rafael, scuotendo il capo e voltandosi verso le mensole cariche di liquori: «Wei? Adrien? Alex?»
«Sono con la moto, vorrei evitare di rischiare la patente.»
«Quindi qualsiasi cosa di analcolico andrà bene. Giusto, gattaccio?»
«Esatto, pennuto.»
Rafael annuì, recuperando una bottiglia e versando il liquore ambrato in un bicchiere dalla forma quadrata, posandolo poi davanti a Felix e indicandolo con un cenno del capo: «Whisky.»
«Ehi, ragazzino. Mi ci devo bagnare le labbra o cosa?»
«Doppio?»
«Fallo anche triplo.»
Rafael sbuffò, versando altro liquore e posando poi la bottiglia sul piano di lavoro: «Il boss è decisa ad andare alla festa, allora?» domandò, recuperando lo shaker e iniziando a versare all’interno alcuni ingredienti: «Ne parlavo con Sarah, prima di uscire e sarebbe un’ottima occasione per indagare un po’ sul tipo, soprattutto visto che qualcuno non sta trovando niente…»
«Ehi, non è colpa mia se quello ha ripulito tutto» borbottò Alex, sistemandosi gli occhiali e inspirando profondamente: «Comunque secondo me è un buon piano: andiamo, mangiamo e beviamo a sue spese, nel mentre indaghiamo e scopriamo qualcosa sul suo conto.»
«Marinette vuole andare, quindi anche io andrò con lei» la voce di Adrien era piena di decisione, mentre osservava i movimenti di Rafael, impegnato a miscelare i vari componenti dell’intruglio che stava preparando: «Non la lascerò da sola con quel tipo.»
«Beh, sola…» Wei strinse le labbra, scuotendo la testa: «Le altre sono decise ad accompagnarla.»
«E quindi anche noi…» dichiarò Rafael, chiudendo lo shaker e iniziando ad agitarlo: «Un tempo avevamo dignità.»
«Possibilità di decidere» continuò per lui Adrien, poggiandosi al bancone e ghignando, scuotendo il capo biondo.
«In pratica, un tempo avevate le palle» concluse per loro Felix, buttando giù il liquore e facendo dondolare il bicchiere, tenuto con l’indice e il pollice: «Beh, vi comprendo. Anche le mie sono andate perse: Bridgette mi ha castrato.»
«Povero il mio sergente preferito.»
«Ehi, yankee. Tieni le distanze. Possibilmente due o tre oceani fra noi due.»


«Non vi sentite in colpa ad aver scacciato di casa Felix?» domandò Marinette, finendo di legarsi i capelli scuri in due codine e osservando le altri occupanti del salotto, mentre si sistemavano nel salotto che era stato trasformato in un perfetto accampamento, adatto a vedere film e scambiarsi chiacchiere come se fossero a un pigiama party: «L’abbiamo praticamente sbattuto fuori casa. E la casa è sua.»
«Per niente» dichiarò Lila, afferrando un cuscino e stringendolo al seno, voltandosi poi verso Sarah che stava armeggiando con la televisione del salotto di casa Blanchet: «Allora, cosa ci vediamo?»
«Dunque…» Sarah storse la bocca, inclinando la testa e, preso il telecomando, iniziò a scorrere la lista di titoli: «Ho messo Fantastic – ma è abbastanza noioso in molte parti – Weightlifting Fairy Kim Bok Joo, Trot Lovers…»
«Trot Lovers non è quello dove il protagonista ha quei completi improponibili?» domandò Lila, accomodandosi meglio sul divano e osservando Sarah annuire con la testa: «Che altro c’è?»
«The legend of the blue sea, Shopping King Louie, Goblin. Che altro ho messo?» la ragazza si fermò, voltandosi e ghignando divertita: «Moon lovers…» ridendo poi divertita all’esclamazione corale che si era levata dal gruppo: «Ok, a quanto pare Moon Lovers no. Madame Antoine? Descendants of the sun?»
«Uno dove non si piange, ti prego.»
«Lila, i drama sono fatti per piangere.»
«Quello dove si piange meno, allora.»
Sarah annuì, osservando la lista di drama e annuendo poi: «Madame Antoine, direi» dichiarò, premendo i pulsanti del telecomando e facendo partire il primo episodio, mentre sgambettava e si sistemò sul divano, vicino a Lila e recuperò uno dei tanti cuscini, mettendoselo sotto la testa e alternando la visione sullo schermo a quella dell’amica che messaggiava: «Wei sta dando di matto?» domandò, sorridendo quando vide Lila scuotere il capo: «Forse non dovevamo fare questa serata…»
«Possono vivere anche senza di noi un giorno» dichiarò l’italiana, posando il cellulare sul bracciolo del divano e osservando il resto del gruppo: «Certo, stiamo parlando di due gatti, un pavone e una tartaruga dipendenti. Ah, e non dimentichiamoci il nerd di fiducia.»
«E il farfallino dove lo metti?» domandò Bridgette, ridendo divertita e sistemandosi meglio lo scialle sulle spalle, inspirando poi profondamente e voltandosi verso la televisione, osservando le immagini che andavano e facendo la conoscenza del protagonista maschile: «Siete veramente certi di andare?» domandò di punto in bianco, continuando a guardare lo schermo della televisione e, dopo una buona manciata di secondi, decidersi a voltarsi e osservare le quattro ragazze: «All’evento di Kun Wong» precisò, abbracciandosi le gambe con le braccia e poggiando il mento sulle ginocchia: «Posso dire, per esperienza personale, che non è un ottimo piano entrare nel covo del nemico.»
«Non abbiamo altra scelta» fu la risposta decisa di Marinette, mentre annuiva con la testa e fissava la donna: «Abbiamo troppo in ballo per tirarci indietro…»
«Mia madre, l’assistente di Gabriel…» iniziò Lila, guardando Sarah e vedendola annuire: «Il padre di Rafael, Nathaniel…»
«Maxime» mormorò Bridgette, socchiudendo le palpebre e annuendo con la testa: «Per non parlare dell’intera Parigi o dell’intero mondo.»
«Ecco, io direi di guardare al piccolo» dichiarò Marinette, suscitando l’ilarità nelle amiche e sorridendo a sua volta: «Pensiamo a salvare chi ci è caro e, così facendo, salveremo anche la città di Parigi.»
«La città che abbiamo promesso di proteggere» decretò Xiang, annuendo con la testa e sorridendo: «La promessa che Ladybug fece quando si innalzò contro Papillon – e sì, mi hanno parlato di quella promessa che hai fatto – l’abbiamo ereditata anche noi.»

Ritorna all'indice


Capitolo 65
*** Capitolo 65 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.553 (Fidipù)
Note: E con questo capitolo si va a meno due dal finale e ci siamo...le pedine si sono mosse e gli schieramenti ormai sono in procinto di combattersi. E sinceramente non ho molto altro da dire e non posso far altro che lasciarvi alla lettura di questo capitolo, dandovi appuntamento al prossimo e a tutti gli altri aggiornamenti che farò.
Detto questo, come sempre, vi ricordo la pagina facebook dove essere sempre aggiornati su capitoli, anteprime e coming soon, senza contare i miei disagi. E vi ricordo anche il gruppo facebook Two Miraculous Writers, gestito assieme a kiaretta_scrittrice92.
Come sempre, voglio ringraziarvi tantissimo per il fatto che mi leggete, commentate (lo so, sono un mostro perché non rispondo mai!) e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

Adrien si passò la cravatta attorno al collo, lasciando che i due lembi penzolassero e inclinò il capo, incastrando il cellulare contro la spalla e iniziando a finire di abbottonare i bottoni della camicia candida: «No, papà. Non importa. Possiamo prendere un taxi. Casomai passa a prendere Manon e Thomas» si fermò, ascoltando quello che il genitore stava dicendo e strinse le labbra, fino a farle diventare una linea unica: «Sì, ci sarà anche lei: a quanto pare le ha frantumate così tanto a Tho…Cosa? Il linguaggio? Andiamo! Ho…sì, sì. Ok, ok. Ti vorrei ricordare, però, che non ho ancora figli che potrebbero…sì, va bene. Ci vediamo nel covo del nemico, papà.»
Afferrò il cellulare, chiudendo la chiamata e posandolo sul marmo attorno al lavabo dando un’occhiata veloce al proprio riflesso e alzando una mano, sistemando appena il ciuffo della frangia: «Preoccupato?» domandò al voce di Plagg, mentre la figura del piccolo kwami entrava nel riflesso dello specchio, lo sguardo verde puntato insistente sul giovane.
Adrien rimase in silenzio, finendo di sistemarsi la camicia e passando ad annodarsi la cravatta: «Pensi che andrà tutto bene?» domandò di punto in bianco, scoccando un’occhiata veloce al proprio kwami e vedendolo, sospeso a mezz’aria, lo sguardo rivolto verso un punto lontano: «Plagg?»
«Non so dirti, moccioso.»
Il ragazzo annuì, socchiudendo gli occhi e dando un’ultima occhiata al proprio riflesso, prima di uscire dal bagno e dirigersi verso la camera da letto: la giacca scura, della stessa tipologia di stoffa dei pantaloni eleganti che indossava, era abbandonata sul letto e Marinette non era lì sebbene, prima di ritararsi in bagno, l’aveva lasciata lì a imprecare contro la cerniera del vestito.
S’infilò la giacca, afferrandola poi per il bavero e tirandola appena in modo da sentirsela meglio addosso, dirigendosi verso la cucina e fermandosi sulla soglia del corridoio che, dalla cucina, si allungava per il resto della casa e sul quale erano affacciate le porte delle camere, del bagno e dello studio di Marinette.
Si appoggiò allo stipite, incrociando le braccia e osservando la ragazza seduta al tavolo, impegnata a scrivere qualcosa su un bloc notes: Marinette aveva tirato su i capelli scuri, in uno chignon morbido che donava maggiore eleganza alla sua figura, carezzata dal vestito di pizzo bordeaux che, con la sua fantasie a rose, giocava con la sottoveste nera e lasciava scoperte le braccia toniche della giovane, assieme al collo che, secondo il suo parere, invocava solo di esser baciato.
«Stai scrivendo le tue ultime volontà?» le domandò, palesando così la sua presenza e sorridendo allo sguardo celeste che si era posato su di sé: «In effetti dovrei farlo anche io.»
«E’ la lista della spesa» dichiarò Marinette, alzando il blocco e mostrandoglielo mentre lui la raggiungeva e si chinava, baciandole lieve la parte di spalla lasciata nuda dal vestito: «Qualcuno mangia come un maiale in questa casa.»
«Io non mangio come un maiale» si difese Adrien, poggiandosi al bancone della cucina e incrociando le braccia, piegando poi le labbra in un broncio e notando il sorriso sereno sul volto di Marinette: «Che c’è?»
«E’ una vita che non ti vedevo pettinato così» dichiarò la giovane: «Ultimamente lasciavi sempre la frangia bassa.»
«Strano che nessuno mi abbia associato a Chat Noir, allora.»
«Già strano.»
Adrien la fissò, notando come lei stava tamburellando le dita sul tavolo e lo sguardo celeste ne seguiva i movimenti: «Sei veramente sicura?» domandò all’improvviso, avvicinandosi e piegandosi in avanti, poggiando il peso sugli avambracci e fissandola negli occhi: «Possiamo non andare e…»
«E cosa? Attendere che attacchi di nuovo?»
«Marinette…»
La ragazza abbassò lentamente le palpebre, lasciando andare contemporaneamente il respiro: «Non sono sicura di niente» bisbigliò, scuotendo il capo e rimanendo decisa con gli occhi chiusi: «Non lo sono mai stata, ora più che mai. Ma se non facciamo qualcosa, se non ci muoviamo in qualche direzione. Forse andare lì stasera non servirà a niente, ma sento che è quello che devo…no, quello che dobbiamo fare. Mi sbaglierò...» si fermò, aprendo la bocca e respirando con questa: «Sicuramente mi sto sbagliando e tutto ciò non servirà a niente…»
«Beh, sei tu la mente, my lady. Io sono sempre stato il braccio…» dichiarò Adrien, tirandosi su e lasciando andare il respiro: «Mi sono sempre fidato delle tue scelte, anche se alle volte erano parecchio azzardate, ma ci hai sempre portati alla vittoria.»
«Questo perché eravamo un duo fenomenale, così come ora siamo un gruppo…»
«Fenomenale» concluse per lei Adrien, annuendo con la testa: «Come desideri, my lady. Sai bene che ti seguirò in capo al mondo, quindi perché non farlo anche a casa del nostro cattivone preferito?»
«Quello non era tuo padre?»
«Beh, non è più cattivo, quindi dovevo sostituirlo, no?»


Xiang carezzò l’abito grigio, seguendo il disegno del pizzo e cercando di ricordare le parole che Bridgette aveva usato quando aveva commentato quell’indumento: non che le importasse poi molto, era semplicemente un pezzo di stoffa che serviva al suo scopo. Alzò la testa quando avvertì il rumore ritmico dei tacchi alti, segno che Bridgette si stava muovendo velocemente lungo il corridoio e sorrise, mentre il pensiero di come quel suono le fosse già così familiare le accarezzò la mente: «Non lo sopporto più» tuonò la donna, entrando come una furia nella sua camera e chiudendo la porta, contro cui si addossò.
Xiang rimase a osservarla, bellissima nell’abito rosa shocking che indossava e che esaltava le forme procaci della donna: «Che cosa ha fatto stavolta?» domandò, ben sapendo quale era il soggetto della conversazione e meravigliandosi, piuttosto, che non l’avesse seguita per continuare la schermaglia.
«Secondo lui non va bene il mio vestito» bofonchiò Bridgette, incrociando le braccia e piegando le labbra dipinte di rosa in un broncio, pestando poi stizzita un piede per terra e attirando l’attenzione di Xiang sulle scarpe: «Insomma, cosa dovrei indossare? Un sacco?»
«Penso che quello andrebbe bene per Felix.»
«Per Felix non andrebbe bene neanche un vestito da suora» Bridgette si avvicinò sul letto, lasciandosi cadere e rimbalzando appena, mentre posava lo sguardo sulla giovane al suo fianco: «Come ti senti?»
«Non lo so.»
«Bella risposta» dichiarò Bridgette, poggiando le mani indietro e lasciando che gran parte del peso del corpo gravitasse su queste: «Sinceramente non so dirti se stasera finirà tutto o se la battaglia continuerà…»
«Per tutto il tempo che sono stata a Parigi, ho lasciato che altri combattessero la mia battaglia. Mi sono messa in disparte…»
«Non hai i mezzi per combattere, Xiang, tranne quando Thomas ti akumatizza. E’ normale.»
«Io avevo giurato di vendicare Kang…»
«E lo farai, aiutata da persone che tengono a te e ti vogliono bene» decretò la donna, alzando la testa e sorridendo al rumore di passi che si avvicinavano, veloci e imperiosi, alla stanza: «Come quella piaga di uomo che sta arrivando. Cosa ci ho trovato in lui, io proprio non riesco a capirlo.»
«Forse perché, quando non è una spina nel fianco, sa essere una persona in gamba?»
«Forse» Bridgette annuì, sorridendo e chiudendo gli occhi, mentre un sospiro le sfuggiva dalle labbra piegate in un sorriso: «E’ un uomo leale e d’onore, sono fiera di essere la sua compagna…» si fermò, attendendo che Felix aprisse la porta e facesse la sua comparsa nella stanza: «Peccato che non s’intenda di moda.»
«Non è che non m’intendo di moda, tu così non esci.»
«Voglio sapere cosa hai contro questo tubino» decretò Bridgette, muovendo i fianchi e poggiandovici le mani, lo sguardo celeste che sfidava quello dell’uomo.
«Tutto?»
«Felix, vai a sistemarti quei capelli, per l’amor del cielo!»
«Non cambiare argomento, Bri. Tu non…»
«Non uscirò solo questo? Ovviamente, ho una stola che è della stessa colore della cinta» dichiarò, indicando la striscia di rosa scuro che le fasciava il punto vita: «E’ perfetta.»
«Xiang, puoi dirle qualcosa?»
«Non mi mettete nel mezzo voi due.»


Marinette osservò la grande sala d’ingresso della villa di Kun Wong, facendo vagare lo sguardo dalla fontana che dominava il centro della stanza alle mura beige che riflettevano la luce dei vari applique di metallo dorato e cristallo: «Si tratta bene l’amico» commentò Adrien, prendendole le dita della mano e sistemandosela meglio nell’incavo del gomito: «Non si direbbe la casa del supercattivo del momento…»
«Neanche quella di tuo padre lo sembrava» dichiarò Lila, osservandosi intorno e piegando le labbra in un sorriso senza divertimento: «C’è veramente la créme de la créme.»
«Troppa gente perché faccia qualcosa, non credete?» domandò Wei, portandosi una mano al colletto della camicia e strattonandolo un poco: «Insomma, perché…»
«Qualcuno mi può spiegare perché lei è dovuta venire?» domandò Thomas, indicando la ragazzina al suo fianco e fissandola male: «Non è una Portatrice ed io non l’akumatizzo.»
«Io lo urlerei più forte, signor Lapierre» decretò lapidale Gabriel, affiancandolo e fissandolo da dietro le lenti, indicando con un cenno del capo un capannello di persone abbastanza distanti tra loro: «I signori laggiù non hanno afferrato le tue parole.»
«E’ pericoloso.»
«Non lo metto in dubbio, ma siamo in parecchi a proteggere la signorina Chamack» decretò Gabriel, spostando l’attenzione e sorridendo al vestito rosa confetto che la ragazzina indossava: «Quello è della mia collezione bambina, non è vero?»
«Esattamente» Manon afferrò i lembi della gonna ampia, piroettando su se stessa: «Quando la mamma ha saputo che sarei venuta qui con Marinette e lei, signor Agreste, è corsa a comprarmelo subito.»
«Ottima scelta.»
«Bene, adesso che abbiamo appurato che Manon starà con noi e che sua madre ha ottimi gusti in fatto di vestiti…» Lila si fermò, incrociando le braccia e sorridendo a tutti: «Che facciamo?»
«Andiamo a fare i barbari al buffet?» buttò lì Alex, sorridendo e sistemando gli occhiali che stavano scivolando sul naso: «Ho già visto le tartine. Vi prego, mangiamo le tartine e poi facciamo i finti agenti segreti…»
«Alex…» Sarah si portò una mano alla fronte, inspirando profondamente e mordendosi il labbro inferiore: «Siamo qui per…»
«Per mangiare le tartine!»
«Alex!»
«Apetta, ti prego, facciamogli mangiare quelle cavolo di tartine.»
«E qui abbiamo uno scorcio della futura vita matrimoniale del pennuto e di Sarah» decretò Adrien, indicando i due con il braccio libero e sorridendo alla ragazza appesa all’altro: «Interessante. Non è vero, my lady?»
«Parli proprio tu, gattaccio? Proprio tu?»
«Volpe, che vorresti…»
«Silenzio!» tuonò la voce di Fu, facendo voltare tutti verso di lui che, le mani sui fianchi e il respiro ansante, li fissava a sua volta: «Ora basta. Siamo qui con un uno scopo: Manon e Thomas rimarranno con me, voi altri dividetevi e andate. Non vi voglio più sentire, sono stato chiaro?» Un corale sì si levò dal gruppo che, in silenzio, si divise e iniziò a mimetizzarsi fra la folla che presenziava all’evento: «Pace per le mie orecchie…»
«Noi che facciamo, maestro?»
«Andiamo a sederci a un tavolino e mangiamo un po’: chissà quando ci ricapita un’occasione simile.»
«Lei è peggio di Alex, maestro.»
«Thomas, un antico proverbio cinese, dice che non va bene combattere a stomaco vuoto…»
«Che?»
«Mangia quando puoi.»


Adrien addentò la tartina, assaporando il sapore agro della salsa e osservando Kun Wong, il padrone di casa, mentre si avvicinava all’assistente di suo padre; studiò il comportamento dell’uomo, notando come ogni occasione fosse buona per sfiorare Nathalie e il sorriso che gli piegava le labbra: «E’ molto interessato a Nathalie» mormorò Rafael, portandosi il bicchiere alla bocca e bagnandosi le labbra con lo champagne: «Secondo te chi è? Hundun o Yi?»
«Spero proprio che non sia la Panterona» dichiarò Adrien, socchiudendo gli occhi e scuotendo la testa mentre le labbra si piegavano in una smorfia di profondo disgusto: «Ti rendi conto che avrei chiamato Nathalie panterona? Nathalie. La donna che conosco da quando ero ragazzino e che…» si fermò, scuotendo più vigorosamente la testa: «No, no, no. Avrei dei traumi profondi a vita.»
Rafael sorrise, buttando giù il resto del liquido dorato e facendo scivolare lo sguardo per la stanza: «Ho la sensazione di aver già visto questo posto» mormorò, poggiando il flûte vicino al vassoio di stuzzichini e lasciando andare un sospiro: «Ma non sono mai stato qui…»
«Magari nella tua visione?» buttò lì Adrien, afferrando un’altra tartina e cercando fra le persone la moglie: «Insomma, l’ultima che hai avuto.»
«Può darsi» Rafael annuì con la testa, sorridendo quando vide Sarah, bellissima nell’abito giallo e nero, che si avvicinava a loro: «La mia signora sta arrivando. Scusa, felino, ma devo andare…»
«Io sto cercando la mia.»
«L’ho vista con tuo padre.»
Adrien annuì, guardandosi ancora attorno e notando suo padre poco distante: Marinette era con lui e stava parlando animatamente, con la completa attenzione di Gabriel e di Sophie che, seduta su uno dei divanetti di velluto blu, ascoltava interessata tutto.
Afferrò un’altra tartina, addentandola e dirigendosi con passo calmo verso di loro, notando subito la madre accorgersi di lui: «Dovresti stare attento a non ingrassare» lo riprese subito suo padre, mentre lui deglutiva l’ultimo boccone e faceva passare una mano attorno alla vita di Marinette, accogliendo quelle parole con un sorriso.
«Kun Wong ha un certo feeling con Nathalie» decretò Adrien, indicando con un cenno del capo il punto in cui aveva visto i due: «Potrei quasi dire che ci sta provando con lei.»
«Interessante…»
«Già, il cattivo che ci prova con la tua assistente è veramente interessante...» Adrien si fermò, mordendosi l’interno del labbro inferiore e storcendo la bocca: «Spero veramente che non sia la panterona.»
«Sarebbe un incubo per te, mon minou?»
«Non ne hai idea, my lady. Avrei definito Nathalie panterona! Dovrei andare in psicoterapia per anni…»


Lila sospirò, tamburellando le dita laccate di nero sul flûte pieno, mentre lo sguardo vagava per la stanza senza soffermarsi su nessuno in particolare: «Sei in ansia» costatò Wei, osservando i lineamenti rigidi del volto di lei e posandole una mano sulla schiena, muovendola in senso circolare e massaggiandola: «Che cosa posso fare per tranquillizzarti?»
«Vorrei saperlo anche io, cucciolo» bisbigliò Lila, portandosi il bicchiere alle labbra e buttando giù il liquido in un sorso: «Mi sento come se stesse per accadere qualcosa di brutto e non posso far niente per impedirlo…»
«Lila.»
La ragazza sospirò, indicando con un cenno del capo l’anfitrione al compagno: «Wei, ci siamo gettati nelle sue fauci, è inutile negarlo. E lui lo sa. Sente le tracce addosso a noi e sicuramente sta gongolando perché sa di avere i Miraculous vicino» si portò una mano al collo, carezzando il ciondolo a forma di coda di volpe: «E Alex non pensa a far altro che ingozzarsi.»
«Che vuoi?» bofonchiò l’interessato, voltandosi verso di lei con la bocca sporca di briciole e le guance piene come quelle di un criceto: «Questi bignè salati sono buonissimi.»
«Invece di mangiare potresti fare qualcosa, no? Entrare nella rete privata di Wong, scaricare roba…» Lila poggiò il bicchiere sul tavolo, picchiando poi la mano sulla superficie piana: «Che ti abbiamo portato a fare con noi?»
«A mangiare. Gli yankee non sanno fare altro.»
«Felix, per favore, lascialo perdere» sospirò Bridgette, massaggiandosi le tempie e fissando poi il compagno: «Almeno per stasera, puoi lasciarlo in pace?»
«Ti sembro il tipo?»
«No.»
Alex deglutì, sorridendo al gruppetto e tastandosi poi le tasche della giacca elegante che indossava, accentuando l’espressione che aveva in volto e tirando fuori il proprio cellulare: «Chi lo dice che io non stia lavorando? Questa simpatica app – di mia invenzione – sta lavorando per me.»
«E cosa sta facendo?»
«Beh, mia cara Lila, appena arrivato sono entrato nella rete di casa Wong e sto lavorando per superare le protezioni, magari scopro qualcosa di grosso» le spiegò velocemente Alex, riponendo il cellulare: «Quindi pazienta, Lila-san, e assaggia i bignè.»
«Sai dove te li infilo quei bignè?»
«Lila…» mormorò Wei, sorridendo quando lo sguardo battagliero della ragazza si posò su di lui: «Che cosa ti dico sempre?»
«Che non si infierisce su chi è più debole?»
«E a parte quello?»
«Che non devo minacciare le persone di infilargli cose per il didietro?»
«Esatto.»
«E’ sempre bello vedere come Wei ha addomesticato la volpe» decretò Alex, sorridendo quando Lila tornò a fissarlo, più arrabbiata di prima: «Wei caro, come si spegne?»
«Alex, seriamente, non mi rendi le cose facili…»
«Dunque, gli Agreste sono laggiù. Fu e i bambini sono vicino all’entrata…» Felix si fermò, posandosi le mani sui fianchi e ignorando i tre, guardando la sala e passandosi poi una mano fra i capelli, tirati indietro: «Qualcuno di voi ha visto Xiang e la coppia volante?»
«La coppia volante?» domandò Bridgette, sistemandosi meglio la stola attorno alle spalle e guardando l’uomo come se fosse affetto da un qualche tipo di problema.
«Il pavone e l’ape.»
«I pavoni non volano, Felix.»
«Ma fanno sempre parte della categoria uccelli.»

 

Rafael scivolò lungo le scale che portavano al piano superiore della villa, carezzando il marmo della balaustra delle scale e fermandosi poi in cima, guardando i corridoi che s’immergevano nel buio: «Che cosa hai intenzione di fare?» gli domandò Sarah, facendolo voltare indietro e osservare la giovane, pochi gradini sotto a lui.
«Non lo so» bisbigliò il ragazzo, socchiudendo gli occhi per un attimo e seguendo quello che gli diceva l’istinto: doveva andare, sentiva il bisogno di seguire la direzione che i suoi piedi avevano deciso. S’immerse nelle ombre del corridoio, camminando lento fino alla fine e fermandosi poi davanti a una porta, quasi sapendo che dietro quella c’era qualcosa che lui voleva vedere.
Che doveva vedere.
Inspirò, poggiando la mano sul freddo metallo della maniglia e stringendola un attimo, prima di abbassarla e aprire la porta: rimase immobile sulla soglia, ignorando i richiami della ragazza alle sue spalle e osservando ciò che era presente all’interno di quella camera: «Sarah, va a chiamare gli altri.»
«Cosa?»
«Va a chiamare gli altri. Subito.»
«Ma…»
«Sarah. Vai.» si voltò appena, vedendola annuire e poi correre lungo il corridoio nella direzione da cui erano venuti, leggermente impacciata sui tacchi alti: mentalmente pregò che nessuno lo raggiungesse lì finché non fossero arrivati i suoi compagni e, nel mentre, avanzò nella stanza, osservando i cristalli che emanavano una pallida luce ocra.
La sua visione.
Inspirò, mentre camminava fra i quattro monoliti, osservando le persone imprigionate al loro interno e riconoscendo le fattezze dei quattro generali che, nell’ultimo periodo, li avevano sfidati a suon di creature assurde e nate dal Quantum: «Che cosa sta succedendo qui?» mormorò, poggiando la mano su quello che si era presentato come Taotie e notando la posizione stoica in cui era stato imprigionato.
Un rumore di passi gli provocò un brivido lungo la schiena, si voltò lentamente incrociando lo sguardo vacuo di Nathalie: «Signor Fabre» mormorò la donna, incurante di ciò che la circondava: «Che ci fa qui?»
«Che ci faccio qui? Veramente mi domanda questo?» Rafael sorrise, allargando le braccia e scuotendo il capo: «Non dice niente riguardo a tutto questo?»
«Sono solo…» Nathalie si fermò, voltandosi al rumore di passi concitati che si avvicinavano veloci: Rafael sorrise, notando i propri compagni entrare nella stanza e fermarsi sull’ingresso, gli sguardi di tutti che vagavano sui quattro monoliti di cristallo che occupavano gran parte dello spazio: «…decorazioni.» concluse la donna, riportando l’attenzione su di lui e venendo poi avvolta da tentacoli color ocra, nati dal pavimento e che si avvolsero attorno a lei, chiudendola in un piccolo bozzolo luminoso, che pulsò per una buona manciata di minuti prima di scoppiare e rivelare ciò che era diventata Nathalie.
«La panterona!» sbottò Adrien, picchiandosi una mano sulla coscia: «Bene. Avrò dei traumi a vita adesso!»
«Adrien…» Marinette sospirò, scuotendo il capo e fissando la nemica, cercando di capire il da farsi e come avrebbero dovuto agire da quel momento in poi: «Dobbiamo trasformarci e…»
«Oh. Sì, trasformatevi» la voce maschile fece sobbalzare la ragazza, mentre una voluta di fumo ocra si materializzò in un angolo della stanza, rivelando poi le figure di Kun Wong e Xiang, tenuta per il collo dall’uomo che, con un sorriso in volto, fissava tutti i presenti: «Sono stato uno sciocco, mia cara Xiang, avrei dovuto seguire te fin dall’inizio…» bisbigliò, accentuando la stretta e sorridendo alla vista della smorfia di dolore che contorse il volto della ragazza: «Dovevo immaginarlo che mi avresti portato ai Miraculous. Beh, devo dire che non sono poi andato così lontano…» Kun Wong schioccò le labbra, sorridendo: «Marinette e Adrien Agreste, Rafael Fabre e la sua fidanzatina, se non erro. Oh, poi l’adorabile figlia di Ada, Lila e il suo compagno. E…» si fermò, battendo la lingua sul palato: «Vediamo. Chi potrebbe essere l’ultimo? Willhelmina Hart? Il signor Blanchet? Gabriel Agreste? Oppure…» un sorriso più accentuato piegò le labbra, mentre gli occhi scuri e freddi come una pietra si posarono sul componente più giovane: «Oppure quel simpatico signorino che sta proteggendo la sua bella. Oh sì, penso di aver trovato tutti i Miraculous. E ora, gentilmente, datemeli. Sono miei di diritto.»
«Non sono tuoi» biascicò Xiang, muovendosi e assestando una gomitata nello sterno a Kun Wong, sgusciando poi via dalla sua stretta e balzando all’indietro, avvicinandosi di qualche passo ai suoi amici: «Kang non voleva che tu li avessi…»
«Kang avrebbe dovuto stare al suo posto: io sono tutto ciò che rimane di un antico impero, i Miraculous sono ciò che mi è stato promesso! I Miraculous appartengono a me!»
«E allora perché non te li vieni a prendere?» domandò Marinette, aprendo la pochette e liberando così Tikki, che svolazzò davanti a lei: «Tikki, trasformarmi.»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 66
*** Capitolo 66 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 4.424 (Fidipù)
Note: Note a fine capitolo!
 

Kwon piegò le labbra in un sorriso, osservando i Portatori di Miraculous trasformarsi di fronte a lui: il Quantum li avvolgeva, donando loro il potere in un processo simile a quello in cui si erano sacrificati i sette di Daitya. Aveva studiato il processo usato dai sacerdoti, comprendendolo in ogni sua minima parte e capendo cosa era sfuggita agli abitanti di Daitya, il giorno in cui avevano legato quelle sette anime al Miraculous. Aveva compreso dove Routo aveva fallito e Daitya aveva eccelso.
Tre cose dovevano servire in quel processo: il Quantum, una vita umana e un gioiello per incanalare il tutto.
Routo non aveva dato importanza alla vita umana.
Daitya, inconsapevolmente, aveva fornito tutti e tre gli elementi.
E adesso li aveva davanti a sé, ciò che la sua famiglia aveva inseguito dall’alba dei tempi, da quando il Primo si era salvato e aveva inseguito Gyrro per il mondo, cercando di prendere l’eredità che gli spettava di diritto: i Miraculous erano gioielli che dovevano appartenere a ciò che restava dell’antica famiglia regnante.
E lui aveva ereditato quella missione, inseguendo a sua volta i Miraculous, avvicinandosi molto spesso e quasi ghermendoli, fino a quando Kang non si era intromesso e gli aveva tolto anche il gioiello di Routo: Kang che aveva rinnegato il proprio sangue e la propria missione.
Aveva faticato a trovarlo ma ce l’aveva fatta e aveva preso la sua vita: poco gli importava se poi aveva scoperto che il sangue di Kang aveva innescato la maledizione che non gli permetteva di usare più le ombre, la sua vendetta si era compiuta.
E adesso avrebbe preso anche le vite di chi aveva davanti, coloro in cui Kang aveva riposto la propria fiducia.
Quasi poteva assaporare la vittoria, sentirne il nettare sulle labbra.
Inspirò profondamente ammantandosi con il Quantum e sentendolo confluire dentro di lui e dargli ciò che più desiderava: il potere, la forza, l’energia. Poteva quasi paragonarsi a un dio adesso e lo sarebbe stato nel momento esatto in cui tutti i gioielli sarebbero stati in mano sua.
Le dita formicolavano della crepitante potenza che aveva il Quantum, mentre a passo lento si avvicinava a Yi e la fissava mentre, in posizione di difesa, osservava i nemici: la sua ultima pedina, quella più cara al suo cuore.
«Mia diletta…» mormorò, vedendola voltarsi appena verso di lui e fissarlo con l’unico occhio libero: le aveva promesso il posto al suo fianco, come sua regina; l’aveva lusingata nella sua forma umana, avvicinandola e fiutando la traccia di Quantum che aveva addosso, sperando che in qualche modo lo conducesse dove voleva e, in un certo senso, l’aveva fatto.
Le sorrise, mentre l’affiancava, alzando poi una mano e fermandola all’altezza del volto: la guardò, notò come l’unico occhio si sgranò appena, già capendo quale sarebbe stato il suo destino. La consapevolezza, la delusione per le promesse non mantenute, l’ira per la sua ingenuità.
Kwon socchiuse gli occhi, assorbendo l’energia del Quantum con cui aveva intriso Yi e riaprì le palpebre, osservando la donna venire velocemente costretta nel cristallo ambrato come gli altri suoi sottoposti: «Lasciala andare» la voce rabbiosa di Chat Noir lo fece voltare, un attimo prima che il volto di Yi fosse immortalato per sempre nell’espressione di pura incredulità.
«Troppo tardi…» mormorò l’uomo, balzando di lato ed evitando l’affondo del felino che, balzando in alto, aveva provato a colpirlo: rise, mentre evitava facilmente gli attacchi del giovane eroe, notando come gli occhi dal taglio felino fossero pieni di rabbia: «Istintivo come ogni vero membro della tribù del Gatto Nero» commentò, evitando un secondo affondo e scattando di lato: «Devo dire che voi sette, più di tanti altri Portatori, incarnate al meglio le essenze delle sette tribù.»
«Libera Nathalie e gli altri» ringhiò Chat Noir, stringendo con forza l’asta metallica e posizionandosi in modo da provare un ulteriore affondo; Kwon sorrise come se davanti a sé ci fosse un bambino capriccioso e alzò una mano, puntandola verso il felino: una luce dorata scaturì dall’interno del corpo e si concentrò sul palmo; Chat Noir afferrò il bastone con entrambe le mani, preparandosi a rotearlo per deviare il colpo ma qualcosa lo strattonò per la vita, ritrovandosi sbalzato verso il gruppo dei suoi compagni: «Tortoise! Lo scudo» urlò Ladybug e il felino si ritirò su, osservando l’amico mettersi davanti a tutti loro con lo scudo ben alzato: «Hawkmoth, akumatizza chiunque poi.»
Il piccolo del gruppo annuì, incrociando le braccia e poggiando i pugni chiusi all’altezza delle spalle, mentre chiudeva gli occhi: piccole farfalle candide si materializzarono e presto assunsero tinte violette, Hawkmoth riaprì gli occhi, afferrandone una dopo l’altra e indirizzandole verso coloro che sarebbero stati akumatizzati.
«Maestro Fu, porti via Manon» continuò Ladybug, osservando l’anziano annuire e prendere per un braccio la ragazzina, trascinandola verso la porta mentre questa faceva un poco di resistenza, lo sguardo rivolto verso Hawkmoth che, voltatosi a guardarla, le sorrise allegro prima di riportare l’attenzione sul nemico.
Kwon sorrise, socchiudendo gli occhi e lasciando andare il Quantum accumulato, osservando Tortoise bloccare il flusso con il suo scudo.
Come se questo sarebbe stato possibile…
Allargò le dita fino alla loro massima estensione, stringendo poi la mano a pugno e interrompendo così il flusso di energia: «Pensate davvero di battermi così facilmente?» domandò, guardando Tortoise abbassare lo scudo rotondo e dalle tinte verdi, mentre un sorriso trionfante gli piegava le labbra.
«Beh, intanto abbiamo bloccato il tuo flash» dichiarò Peacock, avanzando di qualche passo e indicando con un cenno del capo il guerriero dall’armatura nera: «E poi noi abbiamo Mogui» decretò, voltandosi verso Tortoise e osservandolo mentre si guardava le mani: «Tort…» iniziò ma il nome dell’eroe gli morì in gola mentre l’altro veniva avvolto dallo stesso cristallo che aveva imprigionato Yi.
Tortoise si voltò verso di lui, lo sguardo scuro sgranato e la bocca leggermente aperta, mentre il Quantum gli si solidificava attorno: «Tortoise!» l’urlo femminile riscosse Peacock, quasi come se fosse stato in trance mentre osservava l’amico venire avvolto e rimase immobile mentre Volpina colpiva la pietra con i pugni, invocando il nome del compagno.
Era come se fosse da un’altra parte.
Come se fosse in una sua visione…
Era così? Tortoise non poteva essere veramente…
Lui era…
Peacock scosse il capo, sentendo la voce di Volpina invocare il nome di Tortoise: «Che cosa gli hai fatto?» ringhiò poi la ragazza, voltandosi verso Kwon, i pugni ancora poggiati sul cristallo di Quantum: «Liberalo subito! Te lo ordino!» decretò, roteando il proprio flauto e mettendosi in posizione di attacco, le spalle che si alzavano e abbassavano sotto il respiro reso pesante dalla rabbia trattenuta: «Rendimelo. Ora» Volpina strinse la presa, muovendo un passo verso il nemico e roteando il flauto come se fosse un bastone, facendo un secondo passo e un altro ancora: avrebbe combattuto, avrebbe costretto quell’essere a rendergli Tortoise.
L’osservò mentre scuoteva la testa, un’espressione in volto che sembrava molto quella che si regalava a un cucciolo: c’era tenerezza nei suoi occhi, mentre puntava un dito verso di lei e un fascio di energia la colpì in pieno addome, interrompendo la sua avanzata e spendendola all’indietro, facendola cadere per terra: sentì il respiro morirle in gola, mentre il dolore le si irradiava in ogni angolo del corpo e poi lo vide.
La prigione che si era chiusa attorno a Tortoise stava facendo lo stesso con lei, mentre alle sue orecchie arrivò il suo nome invocato dagli amici: chinò la testa, mordendosi il labbro inferiore mentre stringeva le dita guantate, sentendo le spalle farsi pesanti sotto il peso della sconfitta. Non era stata di aiuto, non aveva potuto salvare lui e…
Tutto era andato.
«Volpina!» esclamò Peacock, correndo verso l’amica e osservando nuovamente l’energia solidificarsi e avvolgere l’amica, imprigionandola al suo interno, mentre i suoi pugni si abbattevano su quel cristallo che, uno a uno, stava portando via tutti: le persone che erano state possedute da Kwon, Tortoise e adesso Volpina.
Peacock strinse le labbra, afferrando uno dei ventagli e mosse il braccio con velocità, osservando le parti che componevano l’arma staccarsi, indirizzate verso il loro nemico: una risata gli arrivò alle orecchie, mentre il suo attacco veniva annullato da un tentacolo di Quantum che si frappose fra i suoi dardi e il corpo di Kwon.
«Ancora non l’avete capito?» domandò Kwon, allargando le braccia e sorridendo pieno di compassione, portandosi poi la mano destra al petto: «Io sono un dio. Non potrete nulla contro di me.»
Ladybug l’osservò, stringendo i pugni e sentendo le nocche dolerle per la forza che stava mettendo nella presa: «Non dobbiamo venire colpiti» mormorò, spostando lo sguardo su Tortoise e Volpina: «E non dobbiamo venire sconfitti: da noi…da noi…» si fermò, socchiudendo gli occhi e cercando di ricacciare indietro le lacrime che sentiva spuntare.
Ce l’avrebbero fatta.
Avrebbero vinto come sempre.
Non era…
Strinse le labbra, inspirando e lasciando andare poi l’aria: non sarebbe finita lì. Loro avrebbero vinto e lei avrebbe nuovamente ascoltato la voce paziente di Wei, le risate di Lila mentre prendeva in giro Adrien e Rafael, avrebbe nuovamente visto Nathaniel a lezione, finalmente libero dal Quantum che l’aveva posseduto e reso schiavo dell’uomo che adesso aveva davanti.
Avrebbe nuovamente incontrato Nathalie, l’avrebbe accolta a Villa Agreste dicendole che Gabriel non era disponibile o si sarebbe presentata a casa sua, dicendo che Adrien era in ritardo.
Doveva crederci.
Doveva farlo.
Non poteva soccombere.
«Da noi dipende tutto» mormorò a voce bassa, inspirando fino a sentire i polmoni pieni di aria e lasciando poi questa andare con lentezza: per i loro amici, per tutto ciò che dipendeva dalla loro vittoria, per tutto questo non doveva – non dovevano – crollare.
Lei era Ladybug.
Doveva concentrarsi su quelle tre parole.
«Attacchiamolo da ogni lato» dichiarò, alzando il mento e fissando Kwon che non aveva ancora fatto una mossa, quasi come se stesse aspettando di vedere ciò che avrebbero fatto loro, muovendosi poi di conseguenze: «State attenti ai cristalli, però. Non so cosa potrebbe succedere se…» si fermò, fissando quello di Volpina e scuotendo il capo: «…state attenti.»
Mogui urlò alle sue spalle, facendola sobbalzare e Ladybug osservò il guerriero caricare contro Kwon, le mani strette sull’elsa della spada che, tenuta bassa, era pronta a fendere il suo nemico: un tentacolo di energia si issò, muovendosi in alto e calandosi poi verso Mogui che, balzando di lato, evitò l’attacco; Chat Noir approfittò del momento, saltando verso l’alto e roteando il bastone, puntando il nemico e storcendo le labbra, quando Kwon evitò il suo affondo. L’osservò con la coda dell’occhio, mentre puntava il palmo aperto verso di lui e scivolò sul pavimento, allontanandosi mentre Bee sparava i suoi pungiglioni, cercando di distrarlo.
Kwon si voltò verso l’eroina, muovendo lentamente la mano nell’aria e lanciò una sfera di Quantum; Bee incrociò le braccia all’altezza dei polsi, sparando pungiglioni a raffica contro il colpo che si stava avvicinando velocemente e poi scartò di lato, osservando la sfera di Quantum colpire il muro.
L’eroina si voltò verso Kwon, osservando Chat Blanc e Jian attaccarlo in contemporanea: entrambi effettuarono un affondo, incastrando il nemico fra le due armi ma questo, con un movimento delle mani, fece sollevare due nuovi tentacoli, lasciandoli poi cadere contro i due. Chat Blanc balzò verso destra, perdendo il bastone e provando a colpire Kwon con un pugno, mentre Jian rotolò in avanti, ferendo di striscio la gamba sinistra dell’avversario, storcendo il naso quando vide il Quantum guarire velocemente la pelle.
Kwon si era paragonato a un dio e adesso iniziava un po’ a comprendere quel suo spirito di onnipotenza: il Quantum lo proteggeva, lo curava, lo rendeva invincibile.
«Jian! Spostati!» l’urlo di Peacock la fece trasalire appena, saltando via e atterrando vicino a Papillon, impegnato nell’evocare farfalle bianche: l’ex-cattivo di Parigi arcuò le dita, portandole vicino alla gola e poi allungò di scatto le braccia in avanti, e Jian osservò i candidi insetti volare in massa verso Kwon.
Poco distanti, Pavo e Peacock lanciarono i dardi dei loro ventagli e Hawkmoth li imitò con i suoi boomerang, affiancato da Coeur Noir che, creati dardi di ghiaccio, li scagliò contro il nemico; Ladybug lanciò il suo yo-yo verso l’alto, assicurandolo al lampadario, tirando poi il filo e saltando, atterrando poi vicino a Kwon e colpendolo con un calcio in pieno petto; l’uomo sorrise, scuotendo il capo e portandosi le mani ai capelli, tirando indietro alcune ciocche sfuggite: «Mi state iniziando ad annoiare» decretò, allungando le braccia verso l’esterno e sparando due nuovi colpi di Quantum.
Ladybug aprì la bocca, osservando con orrore Peacock e Bee venire colpiti contemporaneamente e il cristallo che li avvolgeva: «No» esclamò, correndo verso Bee e picchiando i palmi contro la pietra, osservando l’amica all’interno, rimanendo immobile e impotente, lasciandosi cadere per terra.
Il cuore batteva nel suo petto, il fiato si faceva sempre più ansante: Ladybug strinse il filo dello yo-yo, voltandosi verso Kwon e fissandolo: «Ti farò pagare ogni cosa» mormorò, mentre Chat Noir le balzava al fianco, lo sguardo verde che la fissò per un secondo, prima di annuire a sua volta.
Kwon sorrise, intrecciando le mani e concentrando l’energia in queste, creando una sfera di Quantum e guardandola: «Non è meraviglioso? Il potere più grande di questo mondo ed è mio. Tutto mio» mormorò, scagliando poi il globo verso i due e sorridendo: un qualcosa di viola sfrecciò, mettendosi in mezzo fra i due eroi di Parigi e il colpo, assorbendolo in pieno petto.
Hawkmoth crollò a terra, venendo velocemente inghiottito dal Quantum
Il potere dell’akumatizzazione svanì e Xiang osservò il proprio e quello degli altri tornare normale: «Ladybug…» mormorò, alzando il capo e notando come anche i due eroi di Parigi, lo storico duo, fosse stato colpito in un momento di distrazione.
Kwon rise, mentre il cristallo avvolgeva anche Ladybug e Chat Noir e Xiang ascoltò il proprio cuore, il battito che le martellava nelle orecchie mentre il corpo rimaneva ancorato al pavimento, mentre osservava il bozzolo di Quantum che si era creato attorno a Ladybug: tutto era andato, tutto era perduto. Non erano riusciti a fermare Kwon.
Tutto era stato inutile.
Senza senso.
Gli eroi di Parigi erano…erano…
La forza nelle gambe le venne meno, mentre osservava Kwon alzare la testa verso il cielo, un sorriso di piena soddisfazione che gli piegava le labbra: «E’ stato facile, non credete?» domandò, voltandosi verso di loro e Xiang seguì il suo sguardo: Gabriel Agreste era immobile con lo sguardo sgranato, la bocca aperta e una mano tesa in avanti, quasi come se non stesse veramente credendo a ciò che vede; al suo fianco, la moglie aveva entrambe le mani al volto, mentre gli occhi verdi rilucevano di lacrime.
Bridgette e Felix fissavano battaglieri Kwon, decisi a combattere fino alla fine, se sarebbe stato necessario.
Alex…
Alex era al suo fianco e si stava chinando verso di lei, i lineamenti del volto tesi e i pugni serrati, le labbra strette fino a formare una linea unica: «Io…» mormorò fermandosi subito e scuotendo la testa, chiudendo poi le palpebre senza sapere cosa dire o fare.
Tutto il suo addestramento, le ore passate con Kang a osservarlo…
A cosa le era servito tutto ciò se non era riuscita ad aiutare coloro a cui voleva bene? Se non riusciva a proteggere la persona amata?
Era giunta lì, tronfia nel suo orgoglio, ma cosa aveva combinato? Qual era stato il suo contributo?
«Alex» Xiang alzò la testa, notando che il giovane adesso guardava avanti a sé e lei ne seguì lo sguardo: Kwon riluceva, ammantato nello splendore dorato del Quantum, ma c’era qualcosa che non andava; l’energia adesso non l’avvolgeva più come un abito, forgiato su misura per lui.
No, adesso sembrava aver assunto la forma delle spire di un serpente che si stavano attorcigliando attorno alla sua preda e Kwon sembrava non accorgersene, troppo concentrato a osservare la forza pura di cui deteneva il potere adesso: «Il peccato di Routo è stato quello di non accorgersi che la bestia si sarebbe rivoltata contro di loro» mormorò Xiang, alzandosi e ripetendo le parole che Kang le aveva detto una volta, trovando comico che quel ricordo le era tornato in mente proprio in quel momento.
«Che cosa hai detto?» domandò Kwon, voltandosi verso di lei e fissandola negli occhi, distraendosi poi quando i sette cristalli che contenevano i Portatori pulsarono di luce dall’interno: «Che cosa sapeva Kang?»
«Tutto» bisbigliò Xiang, inclinando il capo e sorridendo, mentre una nuova pulsazione avvenne nei sette cristalli: «Lui ha sempre saputo tutto e, nel momento esatto in cui mi ha mandato qui…» si fermò, annuendo: «No, nel momento in cui l’hai ucciso: è stato allora che tutto si è messo in moto.»
«Che cosa sai?» la voce di Kwon tuonò, mentre il Quantum si stringeva attorno a lui, attorcigliandosi ancora di più e l’uomo abbassò lo sguardo, osservando con orrore il proprio corpo ormai soggiogato all’energia; i cristalli pulsarono nuovamente e la luce diventò intensa, tanto che Xiang dovette chiudere le palpebre con forza, venendo poi sbalzata dall’onda d’urto che si creò e colpendo il muro con la schiena.
Il respiro le si bloccò in gola, mentre il dolore s’irradiò per il suo corpo: «Esigo che qualcuno mi spieghi cosa sta succedendo» tuonò la voce di Felix, facendo sorridere la ragazza; riaprì le palpebre e sorrise, vedendo i corpi dei suoi amici: tutti e sette erano liberi dal cristallo e avevano riassunto la loro forma normale.
Marinette aprì le palpebre, tirandosi su con lentezza e osservando Kwon, avvolto dal Quantum e le sette luci colorate che sfrecciavano in cerchio attorno a lui: «Che cosa…?» mormorò la ragazza, voltandosi verso il compagno al suo fianco e osservandolo mentre negava con la testa; lo sguardo celeste cercò immediatamente tutti gli altri e la giovane sorrise nel vederli liberi: «Io…noi eravamo stati colpiti» bisbigliò Marinette, voltandosi verso Adrien: «Eravamo…»
Un urlo si levò da Kwon, interrompendo Marinette e facendola voltare verso il nemico che, completamente avvolto dalle spire del Quantum allargò le braccia e alzò il viso verso l’altro, quasi come se quello fosse un tentativo disperato per respirare e liberarsi, venendo poi completamente avviluppato.
Il Quantum pulsò e le sette luci si fermarono e una seconda onda d’urto li scaraventò contro il muro.
Marinette gemette, storcendo le labbra alla fitta di dolore che le si era sprigionata dalla schiena e quasi sorrise, quando sentì i gemiti dei suoi compagni.
Non sapeva cosa era successo, non comprendeva cosa le era accaduto ma ci sarebbe stato tempo, in seguito, per le spiegazioni.
Intanto erano vivi, tutti quanti.
«Qualcuno potrebbe spiegare al nerd cosa sta succedendo?» domandò Alex, provocando una risata da parte di Marinette: «E Marinette ride. E’ ufficiale: è impazzita mentre era nel cristallo oppure ha colpito la testa troppo forte.»
«My lady, stai bene?»
«Mai stata meglio, mon minou» decretò la ragazza, tirandosi su e storcendo le labbra quando si accorse di avere un tacco rotto; sentì una presa ferrea stringerla per la vita e alzò la testa, incontrando il sorriso pacato e tranquillo di Adrien.
«Kwon ha perso il controllo del Quantum, esattamente come successe a Routo» dichiarò Xiang, facendo qualche passo in avanti e voltandosi verso Alex: «Per rispondere alla tua domanda.»
Alex annuì, portandosi l’indice al volto e spingendo indietro gli occhiali, mentre davanti a lui il Quantum si modellava attorno a ciò che doveva essere Kwon mentre le luci che circondavano quella che aveva deciso di ribattezzare la Cosa, iniziarono a pulsare, aumentando d’intensità e intensificando le vibrazioni, fino a quando una più forte non costrinse tutti a chiudere gli occhi.
«Giuro, sto iniziando a odiare questa situazione» Alex sorrise al tono isterico di Bridgette, mentre riapriva gli occhi e sbatteva le palpebre, cercando di riprendere a pieno la vista ora costellata di puntini luminosi: la stanza era completamente vuota, non c’erano più cristalli di Quantum e cinque persone giacevano sul pavimento svenute.
«Mamma!» Lila corse dalla donna, scivolando sul pavimento e chinandosi e osservando il genitore che, con un respiro flebile, sembrava addormentata; le carezzò il volto, alzando la testa e sorridendo, osservando poco distante da lei Rafael, chinato sul padre: «Come sta?»
«Sta russando. Ho detto tutto» sospirò il ragazzo, scuotendo la testa e fissando il resto: «Stanno tutti bene. Sono solo svenuti o addormentati.»
Gabriel annuì, indicando poi il punto dove era stato Kwon: «Vogliamo parlare di quello adesso?» domandò, spostando l’attenzione di tutti sui sette giovani, distesi per terra; Gabriel si avvicinò lento, quasi come se fosse stato attratto da uno dei sette: respirava ansante, gli occhi erano chiusi e i capelli scuri ricoprivano in parte il volto: «Io ti conosco…»
«Sì, Gabriel» mormorò il giovane, aprendo le palpebre e sorridendo appena: «Come stai? Non sei rimasto ferito? E Thomas?»
«Sto bene, Nooroo» bisbigliò Thomas, avvicinandosi e chinandosi accanto al giovane, osservandolo da cima a fondo per più di una volta: «Tu…ecco…»
«Uniti siamo forti, da soli deboli» decretò Nooroo, sorridendo appena: «Abbiamo avuto bisogno di ogni oncia di Quantum presente in noi per fermare Kwon. Perdonami, io non sapevo…non credevo che…»
«Alla fine sei tu il vero eroe» dichiarò Thomas, sorridendo e alzando appena il capo, incontrando lo sguardo serio di Gabriel: «Sei stato bravissimo, Nooroo.»
«Queste parole…»
«Cosa?»
Nooroo scosse appena il capo, socchiudendo gli occhi e inspirando profondamente: «Niente. Grazie, Thomas.»
Thomas annuì, spostando l’attenzione sui restanti e passandosi la lingua sulle labbra: «Quindi è questo l’aspetto che aveva da umani?» domandò, portandosi una mano al volto e massaggiandoselo: «Ma come…»
«Per fermare il Quantum di Kwon abbiamo dovuto unire le nostre forze» dichiarò la voce di Wayzz, portando l’attenzione del ragazzino sul giovane poco distante: «Kang doveva averlo previsto, doveva sapere cosa sarebbe successo qui e…ce l’ha detto attraverso Rafael, ma noi abbiamo sempre pensato che si riferisse a voi e non…»
«A noi!» trillò allegro Flaffy, alzando un braccio verso il cielo e poi riabbassandolo velocemente, mentre un colpo di tosse lo squassò: «Siamo noi gli eroi, come la Compagnia dell’Anello.»
«Piano, campione» sospirò Rafael, raggiungendo immediatamente il bambino e chinandosi al suo fianco, sorridendogli: «Ehi, sei basso.»
«Sono in piena fase di crescita» decretò Flaffy, ghignando divertito: «Siamo stati bravi, vero? Vi abbiamo salvato e fermato quei tipacci. Siamo stati…»
«Dei perfetti Grifondoro» lo interruppe Vooxi, ridendo poi e venendo supportato dalla risata più tranquilla di Mikko: «Andiamo, Flaffy. Almeno per oggi risparmiaci il Signore degli Anelli.»
«E tu non vivi con lui, Vooxi.»
«Condoglianze per te, Mikko.»
«Vooxi, potevi dirmelo che eri un figo» dichiarò Lila, avvicinandosi al giovane dai capelli rossi e sorridendogli: «E più che altro che eri più grande di me!  Mi sono cambiata davanti a te non so quante volte! Porco di un kwami.»
«Tutta roba che avevo già visto…»
«Lo posso uccidere?»
«Se il Quantum non rientrerà dentro di noi a breve…» Vooxi si fermò, inspirando profondamente: «Non avrai bisogno di faticare.»
«Cosa vuol dire?» domandò Sarah, raggiungendo velocemente la giovane dai lunghi capelli biondi e fissandola: «Mikko?»
«Il nostro corpo…» Mikko si passò la lingua sulle labbra, scuotendo appena la testa: «Sarah, non sono brava in questo genere di cose…»
«Per farla breve, ragazzina» la voce di Plagg tuonò decisa su tutte: «I nostri corpi non potrebbero resistere senza Quantum» dichiarò, attirando l’attenzione di tutti su di sé: «Ancora un po’ di tempo così e presento diventeremo come Kwon: polvere.»
«Plagg…» Adrien si avvicinò al giovane, osservando la pelle scurita dal sole e riconoscendo nello sguardo verde il kwami: «Ciao, amico.»
«Ciao, moccioso» Plagg sorrise, voltando poi la testa e incontrando lo sguardo di Tikki, deglutendo mentre si imprimeva nuovamente i lineamenti di lei nella memoria: il ricordo che aveva di lei da umana non era molto differente, era perfetta e bella come nel loro passato: «Ciao.»
«Plagg…»
«E’ bello rivederti, Tikki.»
La guardò mentre il labbro inferiore le tremava e lo sguardo si inumidiva velocemente e le prime lacrime scivolavano lungo le guance candide: «Perdonami» bisbigliò Tikki, raggomitolandosi su se stessa, nascondendo il volto a lui e il corpo che vibrava per via del pianto: «Io…io…»
Plagg allungò una mano verso di lei, stringendo le dita sul pavimento e reprimendo il moto di rabbia: avrebbe voluto abbracciarla, stringerla a sé e cullarla, lasciando che il suo pianto si sfogasse ma non poteva.
Non potevano toccarsi adesso.
Il Quantum crepitava attorno a loro e non sapeva cosa sarebbe successo se si fossero toccati.
Vicini ma lontani.
Plagg inspirò profondamente, stringendo il pugno e inspirando profondamente: «Noi siamo felici adesso. Non è vero, Tikki?» mormorò, osservandola mentre rialzava la testa, osservandola con il volto rigato: «Ci siamo sempre rincorsi in questi secoli, abbiamo visto i nostri Portatori soffrire per via della maledizione legata alla nostra unione: ho sempre pensato che fossero sfigati perché…» si fermò, sorridendo appena: «Beh, perché legati a noi. Ma adesso siamo felici, no? Siamo insieme, tu ed io. Siamo con Marinette e Adrien, con tutti i nostri amici…Che cosa dovrei perdonarti, Tikki?»
«Plagg, cazzo. Sposami!»
«Zitto, Vooxi.»
Tikki sorrise, osservando Plagg gettare indietro la testa e guardare nella direzione da cui proveniva la voce di Vooxi e poi lo sguardo verde fu nuovamente su di lei: «Ti amo, Tikki. Ti amo da quando Daitya era ancora una fiorente nazione e ti amerò sempre…»
«Ragazzi, me lo sposo io» dichiarò Nooroo, suscitando l’ilarità collettiva mentre Plagg ringhiava sommessamente.
«A parte che sono già sposato e poi siete tutti e due carenti in fatto di tette.»
«Non è che Tikki ne abbia di più di me…»
«Vooxi, ci tieni a vedere la Rowling scrivere altri libri?»
«Sì, grazie.»
«Plagg» il sommesso richiamo di Tikki, riportò l’attenzione di Plagg su di lei, osservando lo sguardo del giovane fissarla, rimase in silenzio mentre studiava quel volto che tanto aveva odiato e amato: «Io…»
«Lo so, Tikki.»
«Vorrei che fosse andata diversamente…»
«Io sono contento di come è andata, Tikki» decretò Plagg, sorridendo e aprendo le dita, osservandola mentre allungava il braccio anche lei e lo posava a pochi millimetri da lui.
Pochi millimetri era la distanza che li separava.
Plagg inspirò, socchiudendo gli occhi e poi riaprendoli: «Dobbiamo venire di nuovo infusi di Quantum, oppure non ci saranno più Miraculous e Kwami a proteggere…beh, qualsiasi cosa vada protetta.»
«Potrei usare il gioiello di Routo…» mormorò Xiang, osservando la collana a forma di serpente che, abbandonata a se stessa, giaceva sul mucchietto di polvere che era stato Kwon: «Io ho visto Kang usarla qualche volta, forse potrei farlo però non assicuro nessun risultato.»
Plagg annuì, senza smettere di guardare Tikki negli occhi e decise di elevarsi a portavoce del gruppo, poiché era ben consapevole del pensiero comune di loro sette: «Fallo, Xiang.»


Come ben sapete, quando metto le note a fine capitolo è perché voglio spiegare qualcosa senza spoilerare niente del capitolo: che dire? Questo combattimento è stato particolare poiché più che un combattimento fra gli eroi di Parigi e Kwon, ho voluto ritornare dove tutto era iniziato: Daitya e Routo. I sette contro la forza unica di Routo, più immensa e potente e quella frase criptica di Kang, qualche capitolo fa, dove veniva detto che il vero potere era nell'unione riguardava questo...
Mentre buttavo giù la trama di Miraculous Heroes 3, mi sono accorta che questo sarebbe stato il riscatto dei kwami di fare quello che, volenti o nolenti, non erano riusciti a fare per la loro patria: forse vi aspettavate altro, forse attendevate un capitolo a suon di attacchi e colpi, invece questo è ciò che vi offro: il riscatto di sette ragazzi che si sono sacrificati per la propria patria e, dopo secoli, sono riusciti finalmente a mettere a tacere quel regno che aveva minacciato la loro tranquillità.
E lo so, tante cose non vengono dette e molti quesiti, soprattutto sul Quantum e su come mai si sia rivoltato contro Kwon, non sono stati chiariti ma...beh, ricordate che questa saga è solo all'inizio e tanto devo ancora dire e fare.
Detto questo, come sempre, vi ricordo la pagina facebook dove essere sempre aggiornati su capitoli, anteprime e coming soon, senza contare i miei disagi. E vi ricordo anche il gruppo facebook Two Miraculous Writers, gestito assieme a kiaretta_scrittrice92. Come sempre, voglio ringraziarvi tantissimo per il fatto che mi leggete, commentate (lo so, sono un mostro perché non rispondo mai!) e inserite le mie storie nelle vostre liste. Grazie di tutto cuore!

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 67
*** Capitolo 67 ***


Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 4.042 (Fidipù)
Note: Note a fine capitolo!

 

Sarah girò i cereali nella tazza, prendendo una generosa parte e, alzata la mano con la posata, si fermò a mezz’aria mentre leggeva veloce alcune righe dell’articolo che l’aveva interessata, allungando poi la mano libera verso il tablet e scorrendo la pagina verso il basso: «Buongiorno» mugugnò Rafael, entrando nella cucina e massaggiandosi il petto nudo, facendo dondolare il Miraculous che teneva appeso al collo.
Sarah s’infilò il cucchiaio in bocca, alzando la testa e sorridendo mentre masticava il generoso boccone, seguendo con lo sguardo il ragazzo mentre le si avvicinava e si chinava verso di lei, posandole un bacio fra i capelli: «Che cosa stai leggendo?» le domandò, guardando il tablet e ricevendo una risposta mugugnata e non capibile a occhio umano.
Sarah buttò giù il boccone, sorridendo all’espressione confusa di Rafael: «E’ un articolo su Le Figaro, chi l’ha scritto era un invitato di Kwon.»
«Mh» Rafael annuì con la testa, appoggiandosi con il fianco al tavolo e incrociando le braccia al petto: «Che cosa dice?»
«Per riassumere…» Sarah si fermò, scuotendo appena la testa e allungando nuovamente la mano al tablet, riportando l’articolo all’inizio: «Prima parla di quanto la festa è partita bene, poi dice che a un certo punto della serata ha notato l’assenza del padrone di casa e, poco dopo, c’è stato un blackout, seguito subito da quello che sembrava un terremoto e che ha scatenato il panico.»
«Tutto questo mentre noi…» Rafael si fermò, poggiando una mano sul tavolo e scuotendo il capo: «Mentre non so cosa ci stava succedendo: eravamo sotto sale?»
«Forse è meglio dire sotto Quantum.»
«Sarah…»
«Comunque poi continua, dicendo che Kun Wong è sparito e non ha lasciato nessuna traccia, iniziando poi a parlare di possibili intrighi con gente poco raccomandabile, concludendo che la festa a casa sua è stata semplicemente una copertura per un giro di droga e qualcosa è andato storto, tanto che tutti dovevano essere sotto stupefacenti» Sarah si fermò, storcendo la bocca: «Penso che quest’ultima parte l’abbia detta per motivare il fatto che la scossa è stata solo ed esclusivamente nella casa di Kwon.»
«Credo anch’io…» mormorò Rafael, grattandosi la guancia e sospirando: «Meglio questa spiegazione a quella…» si fermò, interrotto dal campanello dell’abitazione e alzò la testa, osservando la direzione in cui era la porta: «Fa che non sia quella di fianco.»
«Ehi, io stanotte non ho urlato.»
«Non la signora che si lamenta delle tue urla, Sarah. L’altra…»
«La tipa che ci prova con te?»
«Lei» borbottò Rafael, socchiudendo gli occhi quando il suono del campanello s’irradiò di nuovo per l’appartamento: «L’altro giorno mi ha fatto un agguato e ha aperto la porta di casa mentre stavo passando, con una cosa trasparente addosso…»
«Perché non me l’hai detto?»
«Perché non volevo venire ucciso o, peggio, castrato.»
«Tu devi rivedere le tue priorità…»
«Le mie priorità vanno benissimo. Grazie.»
«Fra le tue priorità io metterei anche gettare l’Unico Anello al Monte Fato» bofonchiò Flaffy, sbandando appena mentre fluttuava per la stanza: «Qualcuno apra quella porta, prima che liberi gli Uruk-hai.»
Sarah ridacchiò, osservando Rafael alzare il viso verso il soffitto e poi scuotere il capo, andando finalmente ad aprire la porta all’ospite mattiniero: «Come ti senti?» domandò la ragazza, osservando il kwami sistemarsi sul tavolo e allungare una zampetta verso la barretta di cioccolata che lei aveva preparato assieme al miele per Mikko.
«Meglio» borbottò il piccolo kwami, scartando l’involucro e addentando immediatamente il cioccolato, masticandolo velocemente: «Wayzz dice che è normale: abbiamo gettato fuori il Quantum e poi ripreso» si fermò, inclinando appena la testa e sbadigliando: «E’ una fortuna che non dovete trasformarvi.»
«Già, una vera fortuna…» mormorò Sarah, fermandosi e osservando Emile entrare come una furia nella cucina: «Ah…ehm…buongiorno…» pigolò, dando una veloce occhiata a Flaffy, che si era bloccato con la cioccolata a un millimetro dalla bocca e lo sguardo rosso che saettava da una parte all’altra.
«Sono sul divano, papà» borbottò Rafael, mettendosi davanti Sarah e Flaffy, la testa inclinata da parte: «E ti ricordo che non ti ho rubato niente, sei tu ad avermeli dati di tua spontanea volontà.»
«Io che mi separo dal lavoro della mia vita? Scommetto che è stata tua madre a ordinarti di farlo» Emile si fiondò sul divano, afferrando la borsa di pelle e stringendosela al petto: «Puoi dirmelo, non mi arrabbio.»
«Te lo ripeto: me li hai dati tu.»
«Non ho memoria di questo evento…»
«Non è colpa mia se soffri di demenza senile.»
«Buongiorno, professore» mormorò Sarah, alzandosi e aggirando il tavolo, in modo da affiancare Rafael: «Davvero non si ricorda di aver dato tutto a suo figlio?» domandò, scambiandosi una veloce occhiata con il compagno e poi riportando l’attenzione sul padre di questo.
«Mia cara Sarah» Emile schioccò la lingua contro il palato, scuotendo il capo: «I miei ricordi arrivano fino a poco prima di Natale, tutto il resto è confuso» si fermò, storcendo le labbra e lasciando poi andare un sospiro: «E’ come se fossi uscito da una sbronza veramente potente.»
«E conoscendoti…»
«Cosa vuoi insinuare, figliolo? Non sono io quello che si faceva tutti i locali di Parigi…»
«Posso confermare» mugugnò Sarah, sorridendo innocente quando Rafael le scoccò un’occhiata e tornò a fissare il professore: «Oggi ci sarà a lezione?»
«Ovviamente sì!»


La collana di Routo era al centro del tavolo, in mezzo a loro due.
Xiang spostò lo sguardo dalle maglie del gioiello ad Alex, la cui attenzione era completamente rivolta sul monile: «Quindi te ne andrai?» commentò il ragazzo, annuendo con la testa e stringendo le labbra: «Beh, alla fine è normale: hai compiuto il tuo dovere…»
«Io non ho fatto nulla» commentò Xiang, allungando una mano e afferrando la collana, guardando le maglie più da vicino: «Tutte le cose che ho fatto, le decisioni che ho preso, si sono rivelate errate. Poi mi sono completamente affidata agli Eroi di Parigi…»
«Beh, quella è stata una signora decisione. Come anche quella di rapire me.»
«Adesso mi stai prendendo in giro.»
«No, non potrei mai.»
«Alex…»
Alex sorrise, stringendosi nelle spalle e sorridendole, mentre si portava una mano al volto e si sistemava gli occhiali: «Beh, cosa farai da adesso in poi?» le domandò, alzandosi in piedi e muovendosi per la stanza, giungendo davanti il grammofono che conteneva lo scrigno dei Miraculous: «Porterai la collana a Nêdong e poi tornerai nella tua Shangri-la, vero?»
«Perché dovrei tornare a Shangri-la?»
«Beh…perché? Perché…mh. Non so, perché dovresti tornare a Shangri-la?»
«Felix non me lo permetterebbe mai» mormorò Xiang, alzandosi in piedi e lasciando la collana sul tavolo, raggiungendo il ragazzo e posandogli una mano sul volto e facendolo girare verso di lui: «Sono certa che verrebbe subito a recuperarmi.»
«Sì, lo credo anche io.»
«E poi a Shangri-la non ci sei tu, Alex» Xiang sorrise appena, sollevandosi appena sulle punte dei piedi e sfiorando le labbra del ragazzo con le proprie, sentendo il respiro che gli moriva in gola e il corpo di lui che s’irrigidiva: «Non posso vivere senza di te» bisbigliò contro la sua bocca, allontanandosi poi con un balzo: «E non vivrò se non vado a scuola: Felix sarebbe capace di uccidermi. Ci vediamo stasera.»
«Eh…ah…sì.»
«Ciao ciao, Alex.»
«Ciao ciao, Ale…volevo dire: ciao, Xiang.»
    

Marinette saltò giù dalla moto, storcendo le labbra e voltandosi verso il motociclista che, le spalle scosse dalle risata, stava con il capo chino: «Non ridere» decretò la ragazza, scoccandogli un’occhiata e vedendolo annuire, nonostante il corpo stesse ancora vibrando per le risa: «Adrien.»
«Non posso farci niente, my lady. Sei troppo adorabilmente imbranata.»
«Tu sei l’unico a trovare adorabile la mia imbranataggine cronica.»
«Questo perché mi permette di fare l’eroe dalla scintillante armatura» commentò Adrien, osservandola mentre si toglieva il casco e lo passava a lui, continuando a guardarla mentre si sistemava i capelli mori: «Se tu fossi sempre decisa e sicura sarebbe noioso, no? Come la mia perfezione: a lungo andare annoia.»
«Certo, certo.»
«Sai, non mi piace quando usi quel tono…»
Marinette sorrise, avvicinandosi e poggiando la fronte contro la spalla del giovane, aspirando il profumo costoso che Adrien era solito usare: «Ah…» una voce maschile che conosceva fin troppo bene la fece sobbalzare e si tirò su, voltandosi e notando Nathaniel a pochi passi da loro: «Marinette. Adrien» li salutò entrambi il ragazzo, stringendo il blocco al petto e facendo vagare lo sguardo dall’uno all’altro: «Ecco io…»
«Ciao, Nathaniel» mormorò Marinette, piegando le labbra in un sorriso e scoccando un’occhiata al marito, che rimase immobile: sapeva benissimo che Adrien sarebbe rimasto attento e vigile, almeno fino a quando non fosse stato certo che la minaccia che Nathaniel aveva rappresentato se ne fosse andata assieme a Kwon.
«Io…» Nathaniel si fermò, scuotendo il capo: «Io in verità non so cosa è successo nell’ultimo periodo: è dall’altro giorno che cerco di capire cosa è successo, perché mi sembra di essermi svegliato da un lungo sonno ma…» si bloccò nuovamente, chinando la testa e nascondendo lo sguardo a entrambi: «Non so cosa ho fatto, ma ho la sensazione di non essermi comportato bene e quindi…»
«Va tutto bene, Kurtzberg» commentò Adrien, sistemandosi meglio sulla moto e poggiando entrambe le mani sul manubrio: «E fidati, alle volte è meglio non ricordare nulla» decretò, sorridendo quando poi incontrò lo sguardo di Marinette: «Tesoro, devo andare a lezione e poi ho il set oggi pomeriggio.»
«D’accordo. Ci vediamo a casa, allora?»
«Certamente, principessa» dichiarò Adrien, facendole l’occhiolino e abbassandosi la visiera scura del casco, accendendo poi la moto e immettendosi nel traffico di Parigi, scivolando con velocità fra le auto e sparendo poco dopo alla vista dei due ragazzi.
«Quanto è figo…» sospirò Marinette, lasciando andare un lungo sospiro e poi scattando sull’attenti, guardandosi attorno e sorridendo impacciata all’amico: «L’ho detto?»
«Sì, lo hai detto.»


Wei sorrise, osservando l’uomo che era entrato nel magazzino di Mercier, e si tirò su sentendo immediatamente i muscoli della schiena lavorare e imprecare contro di lui: «Stai invecchiando» commentò Wayzz, nascondendosi nella felpa, mentre Ruggero li raggiungeva.
«Lo ammetto, sono venuto per sapere se avrò ancora una moglie o devo iniziare a preparare i funerali» dichiarò l’uomo, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni eleganti e guardandolo come se avesse ogni risposta: «Sai niente?»
«Lila non mi ha ancora chiamato per fornirle un alibi e stamattina mi ha promesso che avrebbe fatto la brava.»
«Lila ti ascolta?»
«Il più delle volte sì» dichiarò Wei, sorridendo e poggiando entrambi le mani sui fianchi: «Comunque non penso che la uccida: non ha preso nessun coltello dalla cucina…»
«Potrebbe avere un ricettatore esterno.»
«Un complice? Non ci ho pensato…» Wei annuì con la testa, abbassando lo sguardo per terra: «Stamattina indossava anche i tacchi.»
«Se usati bene, quelli sono letali.»
«Voi due» la voce imperiosa di Lila fece sobbalzare entrambi gli uomini: Wei sorrise caloroso alla vista della ragazza, mentre Ruggero si voltava e allargava le braccia, stringendo la figlia in un abbraccio: «Non ho ucciso la mamma» bofonchiò Lila, ricambiando la stretta del padre e fissando male prima l’uno e poi l’altro: «Quindi, papà, sei pregato di smetterla e tu» si fermò, indicando Wei: «Non dargli corda.»
«La mamma?»
«E’ in macchina con il suo assistente» borbottò Lila, sciogliendo la stretta e allontanandosi dal genitore, raggiungendo Wei: «Ha detto che vuole parlare con te, papà. Vacci piano, non ricorda niente…»
«Mi chiedo ancora cosa ci facesse a casa di quel Kun Wong…»
«Beh, se è vero quello che dicono i giornali, sembrava che ricettasse droga e…» Lila si fermò, scuotendo il capo e guardando nella direzione dove sapeva essere la macchina della madre: «Beh, spero che non fosse caduta in quel giro.»
Ruggero annuì, sorridendo appena e voltandosi anche lui: «Venite a cena da noi, stasera?»
«Abbiamo già un impegno, papà.»
«Un altro giorno?»
«Un altro giorno andrà benissimo, Ruggero» dichiarò Wei, osservandolo mentre li salutava frettolosamente e si dirigeva verso l’esterno: «Complimenti, Volpina. Bella messa in scena.»
«Sai con chi stai parlando, vero?»
«Vero.»


Gabriel si tolse gli occhiali, massaggiandosi il setto nasale e sospirando pesantemente, ascoltando la risata di Sophie che, voltata verso la porta dell’ufficio dell’uomo, tendeva l’orecchio con molto interesse alla conversazione che stava avvenendo fuori: «Sembra sia tornata la normalità» commentò la donna, voltandosi verso il marito e accavallando le gambe, sistemandosi meglio i pantaloni color crema.
«E’ tornata la confusione» commentò Gabriel, sobbalzando appena quando la porta dell’ufficio si aprì e sbatté contro il muro, mentre la figura di Bridgette entrava prepotente: «A cosa devo l’onore?»
«Facciamo cambio di assistenti. Ti prego!»
«Non ci penso neanche minimamente.»
«Che cosa è successo?» domandò Sophie, seguendo con lo sguardo l’amica: quest’ultima aveva iniziato a muoversi per l’ufficio di Gabriel come se fosse un animale in gabbia, tormentandosi un’unghia laccata di rosso e lanciando, di tanto in tanto, occhiate alla porta: «Aspetta. Fammi indovinare…»
«Felix! E’ sempre lui!» sbottò Bridgette, fermandosi a pochi passi dalla donna e allargando le braccia: «E’ venuto perché voleva vedere quello stagista – grazie, Gabriel. Sappi che in qualche modo mi vendicherò – abbiamo discusso e poi…»
«Poi ho deciso che mi licenzio» dichiarò la voce di Maxime, anticipando l’entrata dell’uomo nella stanza: il volto contratto in una smorfia disgustata, le mani che tenevano stretti i bordi della giacca grigio tortora: «Io non posso lavorare con il timore di entrare nel suo ufficio e trovarla…» Maxime si fermò, alzando il mento e scuotendo il capo: «…trovarla in una simile…»
«Inizio a comprendere cosa è successo…» mormorò Sophie, voltandosi verso il marito e vedendolo prendersi il setto nasale fra l’indice e il pollice, mentre chinava la testa verso il basso e la scuoteva appena: «Bridgette, ti ricordi della cena di stasera a casa di Adrien e Marinette?» domandò, cercando di spostare la conversazione su argomenti più tranquilli: «Vuoi che vi passiamo…»
«Per tutte le farfalle di questo mondo, Sophie, no!» Gabriel poggiò le mani sul tavolo, issandosi su e fissando la collega: «Non voglio che lei e quell’altro abbiano un altro problema di coppia e traumatizzino anche il Gorilla.»
«Signore?»
Gabriel inspirò profondamente, spostando nuovamente lo sguardo verso la porta e vedendo la propria assistente, impeccabile e altera come sempre, che fissava il piccolo gruppo riunito: «Vorrei ricordarle l’appuntamento per la scelta della stoffa dei nuovi abiti, poi alle tre ha un appuntamento con il giornalista di 93 Style e infine le ricordo l’appuntamento con l’ente televisiva TF1, alla quale ha promesso un intervento nel prossimo speciale dedicato alla moda.»
«Sì. Grazie, Nathalie.»
«Vedi? Vedi come funziona un vero assistente?»
«Vedi? Vedi come funziona un vero stilista, Bridgette?» esclamò Maxime, facendo il verso alla propria datrice di lavoro e indicando con un gesto della mano Gabriel: «Lui non viene trovato a fare…certe cose!»
«Quanto sei noioso…»
«Ora basta! Tutti fuori di qui!»


Thomas sbadigliò, mentre si sistemava lo zaino sulle spalle e inclinò la testa all’indietro, lasciando andare un lungo sospiro: «Non per metterti fretta» commentò Nooroo, facendo capolino dalla sacca: «Ma Manon ci sta aspettando.»
«Lo so, lo so. Abbi pietà di me! Ho avuto due ore di matematica! Nemmeno Kwon sarebbe stato così perfido…» bofonchiò Thomas, sospirando nuovamente e uscendo dalla classe, fermandosi poco dopo e sorridendo alla vista della ragazzina che lo stava aspettando: lo sguardo di Manon era fisso sul cellulare, quasi certamente impegnato a scorrere le parole di una delle fanfiction che tanto adorava, mentre la mano libera tormentava una ciocca di capelli, sfuggita all’acconciatura che sfoggiava quel giorno.
«Sai, amico, se non ti sbrighi a chiederle di uscire, lo farò io» commentò Jérèmie, assaltandolo alle spalle e attirando l’attenzione di Manon: «Ciao, bellezza.»
«Ciao, Jérèmie» mormorò la ragazzina, inclinando la testa e facendo spaziare lo sguardo dall’uno all’altro: «Ehm…»
«Mh. A quanto pare devo affinare il mio stile di abbordaggio.»
«E magari indirizzarlo verso altro soggetti» bofonchiò Thomas, liberandosi dalla stretta dell’amico e fissandolo in volto, scuotendo il capo di fronte al sorrisetto dell’altro.
«Bello, il mio gelosone» commentò Jérèmie, ghignando e allontanandosi: «Beh, starei volentieri con voi ma ho cose da fare, gente da vedere, bei ragazzi su cui sbavare…insomma, sono impegnato. Ci vediamo.»
Manon annuì, osservando l’amico uscire velocemente dalla scuola e poi si voltò verso Thomas, quasi a cercare spiegazioni per il comportamento bizzarro del ragazzo: «Non guardare me. Ne so quanto te.»
«Ha…»
«Non lo so.»
«Ma…»
«Ti ho detto che non lo so.»
«Sei…»
«Manon: non lo so!»
«Ok, ok» mormorò Manon, fissandolo mentre scuoteva il capo, l’espressione ancora sconvolta per il comportamento dell’amico; allungò le dita, sfiorando appena quelle di Thomas e sorrise, quando lo sguardo di lui si posò nel suo: «Andiamo?»
«Andiamo.»


«Vi prego, non voglio sentire parlare di supercattivi per un bel pezzo» mormorò Lila, lasciandosi andare sul divano e suscitando l’ilarità di Sarah e Wei: «Sono seria, non voglio combattere per almeno un anno.»
«Dillo ai cattivi di Parigi, volpe.»
«Ma scusate, nei film e negli anime, non è sempre l’America o Tokyo a venire attaccata?» domandò Manon, addentando un macaron rosa e pulendosi poi la bocca dalle briciole della pasta: «Qualcuno lo spieghi a questi tizi.»
«Al prossimo, gli diremo: ‘guarda, amico, hai sbagliato città. Questa non è Tokyo e quella non è la Tokyo Tower» decretò Alex, ghignando: «Se vuoi attaccare New York devi andare a ovest, per Tokyo a Est.»
«No, ti prego. New York no» bofonchiò Sarah, socchiudendo le palpebre e mugugnando: «Altrimenti poi devo andare a salvare la città…»
«Amico, guarda che bella che è Los Angeles!»
«Perché proprio Los Angeles?» domandò Marinette, poggiando sul tavolinetto basso un secondo vassoio pieno di macarons: «Fra tutti i posti che ci sono in America…»
«Perché a Los Angeles si è trasferita una che l’ha friendzonato» spiegò Sarah, allungando il braccio e recuperando un macaron candido: «Voleva fare l’attrice, vero?»
«Sono certo che al momento sta facendo ben altro…»
«Alex.»
«Andiamo, lo sappiamo entrambi che si era ripassata tutti o quasi a scuola.»
«In effetti…»
«Perché non vai a Los Angeles e vedi se hai un’opportunità, yankee?» dichiarò Felix, portandosi il bicchiere alla bocca e sorridendo all’espressione di esasperazione che era apparsa sul volto di Bridgette: «Che cosa ho detto?»
«Non ho più la forza di dirti qualcosa…»
«Lei non ha più la forza?» sbottò Gabriel, incrociando le braccia e suscitando l’ilarità della madre e del figlio: «Sono io quello con l’ufficio invaso ogni santo giorno! Se avessi ancora il mio Miraculous…»
«Che è mio, attualmente» commentò Thomas, allungandosi e arraffando un numero imprecisato di macarons, sotto lo sguardo di tutti: «Che c'è?» mugugnò con la bocca piena: «Sono in fase di crescita.»
«Sì, in larghezza» commentò Manon, rubandogliene uno e guardandolo con un sorriso angelico in volto, sbattendo le palpebre: «Ogni cosa che mi dirai sarà usata contro di te. A tempo debito.»
«Questa l’ha imparata dalla volpe» decretò Rafael, scuotendo il capo e passandosi una mano fra i capelli: «E’ l’unica che lo direbbe.»
«Ne sei certo, Rafael?»
«Apetta, io ne ho dette di cose che potrebbero essere usate contro di me e…»
«Forse perché me le segno e basta?»
«Questo non è corretto, Sarah» dichiarò Adrien, ghignando: «Non che non sia a favore di torturare psicologicamente il pennuto però…»
«Adrien, ti senti davvero così al sicuro?» domandò Marinette, sorridendo mentre lo sguardo verde si posava su di lei: «Davvero davvero?»
«Il moccioso dovrebbe stare solo zitto…»
«Parlo il kwami che era meglio se stava zitto» dichiarò Tikki, zittendo così il kwami nero e ridacchiando, mentre al suo fianco Plagg s’imbronciava e incrociava le zampette, voltandosi poi di lato e fissando un punto senza particolare interesse.
Marinette sorrise, mentre si allontanava di qualche passo verso la cucina, ascoltando le chiacchiere degli amici che, adesso, stavano passando dal prendere in giro Plagg a farlo con Alex: sistemò un’altra busta di macarons del padre in un vassoio e poi ritornò nella parte adibita a sala dell’abitazione, posando il secondo vassoio e osservando come tutti si avventassero sui dolcetti.
Lentamente arretrò, avvicinandosi alla porta che dava sul terrazzo e, silenziosa, uscì fuori: sospirò, mentre si chiudeva alle spalle la porta a vetri e socchiuse gli occhi, godendosi il silenzio dell’esterno; si strinse nello scialle che si era messa sulle spalle quella sera e si voltò, ascoltando appena il chiacchiericcio all’interno dell’appartamento, attutito dalle porte: «Troppa confusione, vero?» domandò Tikki, volandole attorno al volto e fermandosi davanti a lei, portandosi le zampette al musetto e ridacchiando.
«Avevo bisogno di un momento» mormorò Marinette, avvicinandosi alla balaustra e poggiandosi a questa, mentre lo sguardo scivolava sulla città immersa nelle luci della notte: «Volevo…»
«Pensare?» buttò lì Tikki, poggiandosi sul metallo della ringhiera, vicina al gomito di Marinette: «Sai, alle volte ti osservo e mi sento orgogliosa: la ragazzina che aprì la scatola del mio Miraculous è diventata una giovane donna fantastica, che è amata dal ragazzo che è l’amore della sua vita, ed è una Ladybug fantastica che ha salvato così tante volte Parigi…»
«Quest’ultima volta non ho fatto nulla, però.»
«Eri lì, ed eri pronta a tutto per fermare Kwon. Questo è l’importante.»
Marinette annuì, chinando lo sguardo verso il basso e sorridendo appena: «E’ strano» mormorò, tirando su il capo e portandosi una mano al volto, scacciando una ciocca scura di capelli e sorridendo appena: «Da quel giorno, lentamente, tutto è cambiato.»
«E’ normale, Marinette. E’ una cosa chiamata vita» dichiarò Tikki, sorridendole e fluttuandole fino a trovarsi davanti al viso della su Portatrice: «E continuerà a cambiare e cambiare. Un giorno, forse, faremo nuovamente questo discorso e tu dirai ancora che la tua vita è cambiata, ma perché è così che vanno le cose.»
«E la tua, Tikki?»
«Cosa?»
«La tua vita è cambiata?»
Tikki la guardò, piegando poi le labbra in un tenero sorriso e avvicinandosi alla ragazza, strusciandosi contro la guancia: «Ogni Ladybug che ho incontrato nel mio passato mi ha cambiata. Tu mi hai cambiata» mormorò la kwami, scrollando poi le piccole spalle: «Grazie a te e ad Adrien, io posso vivere con Plagg adesso e sono immensamente felice» si fermò, sorridendo e abbassando lo sguardo: «Ho persino potuto rivedere quella sua faccia da schiaffi…»
«Sarebbe stato bello se foste rimasti umani.»
«Saremmo morti entro breve» mormorò Tikki, chinando la testa e posandosi di nuovo sulla ringhiera: «E il mondo ha ancora bisogno del nostro potere, perché non si può sapere cosa c’è là fuori: Kwon e Routo non sono gli unici nemici, lo sai anche tu. No?»
«Papillon. Coeur Noir…»
«Loro sono stati solamente due.»
«Immagino che tu ne abbia combattuti molti di più. Vero?»
«Akenathon. L’imperatore Qin, i romani, gli schiavisti…» Tikki si fermò, sorridendo appena: «Ogni epoca ha il suo male e, forse è un bene, che i Miraculous esistono ancora. Che cosa sarebbe successo se non ci fossero stati? Quale realtà ci sarebbe adesso?»
Marinette annuendo, aprendo la bocca per ribattere ma si fermò al suono della porta scorrevole che si apriva; si voltò, notando Adrien mentre stava richiudendo il vetro, voltandosi verso di lei e sorridendole: «Bonsoir, my lady» decretò allegro, avvicinandosi e facendo vagare lo sguardo da lei alla kwami, poggiandosi poi alla balaustra e voltandosi, in modo da osservare l’interno dell’abitazione mentre un sorriso pigro gli distendeva le labbra: «Stavate facendo una discussione seria che non può essere ascoltata da nessuno?» domandò, inclinando appena la testa verso la moglie e guardando la piccola kwami rossa: «Plagg, andiamo anche a noi a fare un discorso…»
«Senti, moccioso, ho una forma di camembert fra le zampe, al momento non sono disponibile.»
«Stavamo solo riflettendo su quanto è cambiato…» Marinette si fermò, stropicciando appena il bordo della maglia e scuotendo il capo: «Beh, tutto da quando ho aperto la scatoletta che conteneva il mio Miraculous» continuò, alzando una mano e sfiorando uno degli orecchini magici: «Tutto qua.»
Adrien annuì, spostando nuovamente l’attenzione sui loro compagni che, al di là della vetrata, stavano chiacchierando fra loro, ignari del fatto che loro due non erano presenti o, più facilmente, consci che forse avevano bisogno di un minuto per loro; ghignò e alzò la mano, avvicinandola a Marinette e chiudendo le dita a pugno, osservandola mentre piegava le labbra in un sorriso e lo imitava, colpendolo con il proprio e, in contemporanea, aprirono la bocca pronti a dire quelle due parole che tante volte avevano detto e che, per gran parte della loro vita come supereroi, erano state un sinonimo di vittoria: «Bien joué!»


Volevo postare questo capitolo ieri ma, ahimè, cause di forza maggiori me lo hanno impedito, facendomi slittare di un giorno (esattamente come qualcuno aveva predetto! Bah, e pensare che avevo fatto i salti mortali per aggiornare tutto in tempo...). In ogni caso sono riuscita a concludere questa  trilogia prima della mia partenza e prima della partenza della seconda stagione.
Ed è finita.
Mi fa strano dirlo ma Miraculous Heroes, la trilogia principale e punto di partenza dell'intera saga del Quantum, si è conclusa.
Concludere una storia è sempre problematico, perché non so mai esattamente le parole giuste per concluderla, sebbene abbia la scena in mente: la prima parte, Miraculous Heroes, si è conclusa con un pensiero che faceva vivere la speranza di Marinette; Miraculous Heroes 2 invece con un ritorno, quest'ultima parte ho voluto finirla con qualcosa che è canonico nella serie.
Un gesto e due parole che abbiamo sentito in ogni puntata e che Jeremy Zag usò per presentare la data di fine produzione della seconda stagione: i pugni di Chat Noir e Ladybug uniti sotto a un panorama notturno di Parigi.
Ed è così che ho voluto concludere Miraculous Heroes - la trilogia - con un ritorno alle origini, un po' come lo è questo capitolo: un ritorno alla normalità che si è letta solo nel primissimo capitolo, quello dove Marinette disegna tranquilla nel suo terrazzino e viene raggiunta dalla chiamata del suo ragazzo, Adrien.
Mi sembrano passati secoli da quando ho scritto quelle parole, da quando mi sono messa al pc e ho buttato giù i primi capitoli di quella che, pensavo, sarebbe stata una storiellina così, tanto per ammazzare il tempo e scrivere qualcosa su uno show che mi aveva preso, anima e cuore.
E' passato un anno e mezzo (più o meno), e in questo lasso di tempo mi sono successe tantissime cose legate a Miraculous e alla mia storia: ho ripreso a scrivere, ho riacceso la fantasia che da troppi anni era sopita dentro di me, ho sorriso, mentre leggevo i vari commenti e, cosa più importante, ho fatto amicizia con persone fantastiche, a cui voglio un mondo di bene e che mi domando come facciano a sopportarmi nei miei giorni 'migliori'.
Ed è a queste persone che dico grazie, perché forse inconsciamente non hanno idea della forza che mi hanno dato.
E grazie lo dico anche a chiunque mi abbia letto, dandomi il suo supporto.
Il Quantum continuerà, perché ormai voglio dare vita al mondo che ho creato dentro di me, partendo da quei 26 episodi che tanto mi hanno preso: voglio approfondire la mitologia che ho creato, narrare le gesta delle Ladybug passate, le vite dei kwami ai tempi di Daitya, creare il collegamento fra la puntata di Volpina e il primo capitolo di In the Rain.
E poi continuare con i il futuro dei Portatori che avete imparato a conoscere assieme a me - perché, devo ammetterlo, non sarà facile staccarmi da questi sette che, ormai, sono entrati nella mia quotidianità -, scoprire come si sono evolute le loro storie sia nel corso di Miraculous Heroes che dopo (insomma: Xiang come ha fatto a cedere ad Alex? Com'è andato il primo appuntamento fra Rafael e Sarah? E i primi giorni di convivenza di Wei e Lila? Thomas e Manon, non li consideriamo? E poi la coppia con la C maiuscola), e poi i nuovi Portatori che da un po' di tempo sono diventati miei compagni al pari dei loro predecessori.
Forse queste storie non interesseranno, forse verranno ignorate, ma non m'interessa. Come direbbe Fu: ormai sei in ballo, e allora balla questo charleston!
Miraculous Heroes finisce qua.
Il Quantum no, quello continua e si espande.
Ed io spero di trovarvi ancora.
Echocide

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3623677