Stammi Vicino/Non Te Ne Andare

di yo_ki_min
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Motivazione ***
Capitolo 2: *** Un Sogno ***
Capitolo 3: *** Notturno ***
Capitolo 4: *** Notturno (Pt.2) ***
Capitolo 5: *** La Sfida ***



Capitolo 1
*** Motivazione ***


Solo.
Sono solo.
Non riesco a sentire niente. Cioè, sento. Ma è solo confusione, solo un vociare indistinto. Gli applausi del pubblico, gli altoparlanti. Le voci festanti o amareggiate degli atleti in corridoio. Le sento, e non voglio sentirle. La voce di mia madre, che riecheggia nella mia testa, il tono sempre più deluso, sempre più freddo, sempre più lontano. Io sempre più colpevole.
 
Colpa mia. È colpa mia. È colpa mia. Devo far smettere le voci. La gente. Le voci – mia madre- la testa. Fate smettere tutto. Tutto. Ho bisogno di silenzio, deve smettere, smettere SMETT-
 
THUD
 
La prima reazione è lo stupore. Mi balena sul volto per pochi secondi, e non c'è posto per altre emozioni. Poi lo spavento. Il piccolo biondino che mi minaccia con parole che non riesco ad ascoltare è Plistesky. Il Punk Russo. È più basso ed esile di me ma fa paura.
 
Sul suo volto leggo il disprezzo. La rabbia. È furioso, furioso e imbestialito. E mi ha beccato a piangere in un bagno pubblico. Patetico, sono patetico. Il quindicenne più talentuoso della storia del pattinaggio artistico che si diverte a intimidire lo zimbello che si è coperto di ridicolo davanti a pubblico e telecamere, il più incapace di tutti, l'ultimo in classifica. E probabilmente lo andrà a dire in giro, ehi sapete che quel fesso che ha passato più tempo della sua esibizione con il culo sul ghiaccio che in piedi era chiuso nel bagno a piangere come un bambino?
 
Sarà divertente, per lui e i suoi amici. Rideranno, e mi disprezzeranno. Se c'è una cosa che temo, è il disprezzo da parte di gente che nemmeno conosco, a cui non posso dimostrare che sono più di un nome alla fine della lista. Qualcuno che mi becca a piangere in un bagno pubblico.
 
Non sento le sue parole. Sento la sua irritazione, sento la sua aggressività, sento che si muove verso di me e sento il suo urlo.
 
"SCHIAPPA"
 
Adesso di sicuro qualcuno ci avrà sentito ma naturalmente peggio per me, giusto? Lui se ne va, sbattendo la porta. Io, il deficiente, l'idiota, l'umiliazione vivente, resto nel piccolo bagno silenzioso.
 
Solo.
________
 
La vittoria, che un tempo aveva il potere di muovere ogni singola fibra del mio essere, per perseguire la quale sarei stato disposto a superare mille fatiche e mille sventure, la vittoria che mi ispirava, mi spronava, mi elettrizzava, la vittoria che desideravo, amavo e veneravo.
 
La vittoria ha perso il suo sapore. È ormai una preda stanca che si concede a me senza resistere più.
 
Nessuna gioia resta nell'ammirare lo stupore sui volti del pubblico, nessun entusiasmo nel toccare nuovamente il ghiaccio con la lama dopo un salto eseguito con straordinario successo. Tutto è diventato una banale routine, da seguire per inerzia. Niente più soddisfazione nell'aver conquistato il podio.
Invidio Yuri. Ha quindici anni, ed è un fenomeno. Mi ricorda me stesso, pieno di voglia di fare, e determinazione, e impazienza. E le sento l'intraprendenza, la paura, la rabbia. Le sento in lui, e lo invidio. Vorrei provare ciò che prova. Vorrei avere ancora una battaglia da combattere.
Invece mi limito a dargli consigli, di cui si frega altamente, come d'altronde non si cura del nostro allenatore che gli sbraita contro mentre usciamo dal palazzo sportivo in cui si è appena tenuto il Gran Prix.
 
Proprio allora sento uno sguardo fisso su di me e mi volto sfoderando il mio classico Sorriso da Telecamera™.
 
È Katsuki, il giapponese ultimo in classifica. Ho assistito solo al pezzo finale della sua performance. Il poveretto era divorato dall'ansia.
 
"Vuoi fare una foto?" gli chiedo, in maniera affabile.
 
Lui resta immobile, sorpreso. Ci sono abituato.
Poi si gira, senza rivolgermi la parola, e se ne va. Ok, a questo non sono abituato.
 
Si allontana così mesto e afflitto che mi ritrovo a pensare a quanto dovesse essere importante per lui trovarsi qui. Grande ansia è indice di profondo impegno, e intensa motivazione.
 
È quella motivazione che rivorrei indietro.

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Capitolo 2
*** Un Sogno ***


Risvegliarsi al mattino è sempre un'esperienza surreale, per me. Quei pochi minuti in cui ci si ritrova fra il sonno e la veglia mi destabilizzano.
A volte il contenuto dei sogni si mescola alla realtà, e per un attimo credo che tutto ciò che ho desiderato sia possibile, che tutte le entusiasmanti avventure che ho vissuto nella mia mente possano continuare una volta sceso dal letto. Mi sento pieno di voglia di fare, sento che tutto è alla mia portata di mano; la luce splende, la città brulica di vita e la giornata è piena di opportunità, di occasioni da cogliere. Credo che nel momento del risveglio io riesca davvero a capire, a vivere la speranza. La felicità. Per un attimo tutto è pura estasi.
E l'attimo successivo, il mondo perde il suo colore. E' proprio come una secchiata d'acqua gelida che ti colpisce in pieno volto, come un gelo che penetra nel tuo petto e risucchia ogni energia. Inizi a pensare a tutti i tuoi piccoli doveri, a tutti gli sforzi che dovrai compiere per riuscire a trascinarti fino alla fine della giornata. Alla gente con cui dovrai parlare. Alle faccende che dovrai sbrigare. A tutto ciò che puntualmente, ogni giorno, ti strapperà via quel tempo necessario a rincorrere i tuoi sogni, che fino a un momento prima ti erano sembrati così veri.
E allora fai fatica ad alzarti dal letto, e resti a pensare, a indugiare ancora un momento, a rifugiarti nel mondo beato della tua immaginazione ancora per un altro po', solo per un po'. Cinque, dieci minuti. Mezz'ora.
 
Prendo il cellulare dal comodino, per impostare una sveglia e concedermi una sana mezz'ora di tregua dal mondo. Mi accorgo che sono passate quindici ore dalla mia ingloriosa esibizione. Mi fanno male tutti i muscoli e ho la testa pesante, pur avendo dormito a lungo. Forse troppo a lungo. Non mi capita spesso di svegliarmi così tardi, sono già le un-
 
LE UNDICI?!?
 
Devo essere all'aeroporto fra mezz'ora. In preda all'ansia più totale, metto da parte tutti i miei pensieri cupi e, gettati alla rinfusa i vestiti nella valigia, mi fiondo fuori dalla stanza, dove scopro che il mio allenatore stava tentando inutilmente di chiamarmi da più di un'ora. Celestino non è tipo da fare prediche o innervosirsi per cose simili ma io mi sento lo stesso in colpa e mi sento in dovere di chiedergli scusa. E per essere più sicuro, ripeto le mie scuse.
 
Dodici volte. L'ultima volta quando stiamo per decollare e Celestino si trova probabilmente sull'orlo di una crisi di nervi, questa volta sul serio. Sto per iniziare a chiedermi se non sia bene domandargli scusa per essermi scusato, ma a questo punto ci troviamo già sopra le nuvole e iniziano le crisi di panico perché ci sono le turbolenze e se cadiamo?? Se c'è una tempesta? Se si rompe un motore? Se ci schiantiamo contro un altro aereo???
 
Insomma, dopo una quindicina di minuti passati con le unghia conficcate al bracciolo della poltrona riesco, finalmente, a rilassarmi. Mi metto ad osservare il panorama, i monti inondati dalla neve, il sole che colpisce i finestrini. E mi torna in mente il sogno da cui ero stato strappato la mattina.
 
Ballavo come non avevo mai ballato, senza freni, senza inibizioni. La gente mi guardava sbalordita, ma io continuavo a ballare senza la minima preoccupazione. Si aggiungeva gente alla mia danza sfrenata.
Poi, fra tutti, ecco che spunta lui.
 
Victor.
 
Vicino a me, come può esserlo solo in un sogno. Ride, scherza, parla con me. Ci divertiamo. Siamo alla pari. Non più l'idolo e un qualsiasi fan fra i tanti, da liquidare con una foto autografata, non più una celebrità e un fallimento. Due corpi che si muovono all'unisono e si fondono nella frenesia del ritmo e della musica.
 
Un sogno che mi lascia con l'amaro in bocca e la dolcezza nel cuore, anche a ripensarci ore dopo, su un aereo che mi porta lontano da tutto ciò che ho sempre desiderato e che non sono riuscito ad ottenere.

______
 
Un sogno.  Yuri Katsuki è un sogno.
 
Mi ritrovo a pensarlo dopo mesi dal nostro secondo – e ultimo – incontro, quando vengo informato da Mila che qualcuno ha pubblicato su Youtube un video, diventato subito virale, in cui il giapponese si esibisce in una perfetta interpretazione della coreografia che mi aveva fatto vincere l'oro lo scorso anno.
 
Mi fiondo a guardarla mangiato dalla curiosità, e, devo ammetterlo, mi commuovo. Vedere la cura dei suoi gesti, osservare come in ciascuno di essi metta tutto il suo animo. L'intensità e l'intimità delle sue movenze mi sovrastano.
 
Ho indugiato fin troppo. Quello di Katsuki è chiaramente un nuovo invito, formulato senza bisogno di parole e soprattutto senza l'imbarazzante intermediazione dell'alcol che più di un anno prima mi aveva spinto a dubitare delle sue parole a tal punto da non sentirmela di ricontattarlo dopo la sera del banchetto finale del Gran Prix.
 
Se c'è una cosa che posso dire di me stesso, è che non sono un codardo. Ho una più che discreta fiducia in me stesso e nelle mie capacità, e non mi lascio intimorire dai fallimenti. Ma un rifiuto da parte sua non avrei potuto sopportarlo, perché in lui avevo visto, quella notte, una spensieratezza e un'energia che volevo, e voglio tutt'ora, fare miei. E avevo preferito indugiare piuttosto che confrontarmi con la realtà.
 
E la realtà è questa: un pattinatore dall'enorme talento si è ubriacato, probabilmente per dimenticare il suo totale fallimento, al banchetto più noioso e formale del mondo trasformandolo in una serata piacevole ed emozionante, e dopo essersi gettato in una danza vivace e disinibita con il sottoscritto, dopo avermi chiesto di fargli da allenatore aggrappandosi a me con le guance rosse, lo sguardo sognante e lacrimoso e un alito da ammazzare un cavallo, dopo essersi scontrato con l'irascibile Yuri  in una temibile battaglia di break dance, senza esclusione di colpi, e soprattutto dopo essersi esibito in una sensuale pole dance con Chris, campione indiscusso dell'erotismo sul ghiaccio, indossando solo una cravatta e dei boxer e mostrando una forza e una muscolatura da far paura, perché volteggiare aggrappati a quel palo non è roba da niente…insomma, dopo tutto questo il suddetto pattinatore è scomparso dalla faccia della terra per mesi e mesi lasciandomi diviso fra il desierio di mollare tutto e dedicarmi interamente a lui e la preoccupazione che possa essersi nel frattempo pentito di avermi fatto quella richiesta, perché si sa, quando si è ubriachi non sempre si dice ciò che si pensa, né si pensa ciò che si dice.
 
Ma adesso che posso vederlo pattinare di nuovo, adesso che posso notare quanta cura, quanta grazia mette in quello che fa, adesso che mi scopro, al vedere eseguito il mio stesso programma su un'anonima pista, senza musica, senza pubblico, senza riflettori puntati addosso, più entusiasta di quando io stesso l'ho mostrato al mondo di fronte a una folla in visibilio, adesso so quale decisione prendere.
 
Ho controllato, il prossimo volo per il Giappone parte fra meno di quattro ore. Faccio una rapida prenotazione online e preparo solo lo stretto indispensabile. Il resto me lo farò mandare una volta arrivato.
 
"Makkachin, su, andiamo. Abbiamo un appuntamento da non perdere."

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Capitolo 3
*** Notturno ***


Victor non ha mai cessato di sorprendermi. Ogni sua esibizione mi ha sempre tenuto con lo sguardo incollato allo schermo e il fiato sospeso. Ogni sua intervista mi ha incuriosito e appassionato, portandomi a desiderare di conoscere l'uomo che si cela dietro il campione. Ogni sua vittoria mi ha entusiasmato come se fosse mia. Ogni sua abilità, ogni suo successo mi ha spinto ad emularlo.
 
E anche l'emularlo ha portato nuove sorprese, nuovi imbarazzanti stupori. Chi si aspettava che la mia modesta scopiazzatura del suo grandioso programma sarebbe stata strappata dall'ambiente intimo e circoscritto a cui l'avevo destinata, per essere consegnata al vasto pubblico della rete? Chi avrebbe mai immaginato che i miei rivali e compagni pattinatori l'avrebbero visto?
 
Ma niente, niente, niente avrebbe potuto prepararmi alla sorpresa che Victor aveva in serbo per me quest'oggi. Infatti non riesco a crederci. Non riesco a crederci e non riesco a smettere di sorridere e il mio cuore non smette di battere all'impazzata e non riesco a pensare a nient'altro, a niente e nessuno. Penso solo a lui, a lui, a lui.
 
Victor è qui.
 
In questo momento. Proprio ora. A pochi passi dalla mia stanza. Potrei alzarmi dal letto, aprire la porta, percorrere il corridoio e arrivare nella stanza in cui dorme. Potrei svegliarlo, e chiedergli se questo sia forse un sogno. Potrei toccarlo, per scoprire se è reale. Potrebbe essere qui con me in questo istante. Addormentato al mio fianco, potrei sentire il suo respiro e scoprire che no, non è un'immagine su un poster, non è uno spirito incorporeo, e non è nemmeno un dio. Potrei scoprire che Victor è un'entità terrena e mortale, proprio come me, come mia sorella e i miei e Celestino e Yuko e Vicchan.
 
Ma non riesco. Non riesco a immaginarlo simile a me. Non riesco a pensare che proprio ora, in questo momento, potrebbe avere fame, o che so, l'insonnia, o essere triste. Per me lui è un simbolo, un emblema; l'emblema del pattinaggio, della gloria, della fama, dell'abilità. Della perfezione. Per me non è umano. L'ho sempre pensato come assolutamente perfetto e astratto, irragiungibile. E se è astratto, allora questo è tutto uno scherzo. Allora quello non è davvero lui. Allora è qui per sbaglio. Allora sarà qui per umiliarmi, o prendersi gioco di me. Allora è qui per noia, per turismo, per caso. Allora non è qui.
 
La verità è che non so perché, non so perché è qui, e questo mi spaventa, perché è qualcosa su cui non ho il minimo controllo. Non so cosa ha determinato il suo arrivo, quindi non so come farlo restare. Ho paura di sbagliare, di commettere un errore e di perdere questa opportunità che non avrei mai immaginato possibile nemmeno nei miei sogni più audaci. Ho paura e sono felice, sono felice e non voglio non esserlo, non voglio scoprire che tutto è sbagliato o falso. Che c'è stata un'incomprensione, tanti saluti e addio. Sono felice e ho paura.
 
Inizio a cedere al sonno, e sono mezzo intontito quando sento un peso familiare balzare sopra il letto.
 
"Vicchan?"
 
Sento il pelo morbido e caldo e due zampe sul petto. Il muso umido del cagnolone ispeziona il mio volto. Non è Vicchan, naturalmente. Ma gli somiglia talmente tanto che mi sembra di conoscerlo da sempre. Pensare a Vicchan mi fa sentire nostalgico, e triste. Penso a come non potrò mai più rivederlo. A come una parte importantissima del mio passato sia stata spazzata via in un attimo e a come io non fossi con lui, a dirgli addio, quando è successo. Il rimorso mi riempie la mente e il mio cuore si fa pesante. Il mio cervello continua a percorrere senza sosta quella spirale di pensieri angoscianti che da molte notti mi impediscono di dormire. Penso a quanto la vita sia bella e drammatica allo stesso tempo, a tutto ciò a cui tengo e che potrei perdere. Penso a Victor, e che lui è qui, a pochi passi dalla mia stanza, e che potrei alzarmi, percorrere pochi passi e…
 
"Makkachin, no!"
 
Mi strappa le coperte di dosso e corre fulmineo fuori dalla stanza, trascinandole con sé. Lo rincorro, cercando di fare meno rumore possibile e di non sbattere ovunque (arduo compito, senza occhiali e al buio).
Questo cagnolone ha una forza bestiale e una rapidità impressionante! Ma io gli sto dietro, e l'ho quasi raggiunto, quando si infila di scatto in una stanza dalla porta socchiusa, che io spalanco completamente esclamando (sottovoce) "Preso!"
 
Sto per afferrare un lembo del lenzuolo quando sento mugugnare una parola in una lingua che non è giapponese, da qualcuno che sicuramente non è un cane.
 
Proprio davanti a me, accanto alla sagoma pesante di Makkachin, c'è Victor. Il suo corpo è illuminato da un raggio di luna, ed è così delicato e perfetto che sembra dipinto. Ma poi si muove, si rivolta fra le coperte –borbottando spezzoni incomprensibili di frasi- e non posso più paragonarlo ad un'opera d'arte, no, perché è vivo e respira e nessun quadro potrebbe nemmeno lontanamente rappresentare una bellezza così mozzafiato.
 
Il suo sonno è tranquillo, e l'atmosfera è così pacifica che non sto più a pensare dei se e dei ma, di cosa potrebbe succedere se si svegliasse in questo momento e mi trovasse qui accanto a lui, a guardarlo dormire. Tutto è così assurdo e incredibile che non mi sento nemmeno me stesso nell'avvicinarmi, nel chinarmi su di lui, nell'osservarlo da vicino, così vicino che posso contargli ad una ad una le ciglia grigie. Non c'è più nessun altro nella casa, e forse nel mondo. Non ci sono più io. Per un attimo, c'è solo lui.
 
Starei a guardarlo per ore senza stancarmi. Il volto pallido, i capelli luminosi, la mandibola tagliente. Il collo scoperto, e una spalla che sbuca tentativa dalla veste che copre la sua nudità. Pensavo di sapere com'era fatto, dai poster e dalle riviste, pensavo che fosse meraviglioso in quella sua versione bidimensionale, piatta. Ma poi l'ho visto dal vivo e ho scoperto che c'era molto, molto di più.
 
Mi rendo conto che non vorrei mai smettere di scoprire e conoscere nuovi dettagli, che voglio sapere com'è la sua voce quando ride, quando è nervoso, quando è triste perché ha nostalgia di casa. Voglio sapere qual è il suo cibo preferito e quale materia odiava a scuola. Qual è l'ultimo libro che ha letto e l'ultimo film che l'ha fatto commuovere, voglio sapere se è agitato prima di una gara o se stare sul ghiaccio lo rende euforico. Voglio sapere tutto questo, e molto altro. E mentre prima avevo paura, adesso provo solo il brivido del rischio, l'eccitazione di chi finalmente si decide a osare.
 
Non mi domanderò più perché Victor mi abbia scelto. Ho ancora paura della risposta, e non voglio pensarci. Forse, più avanti, ne avrò il coraggio.
 
Per adesso, poterlo avere accanto è tutto ciò che mi basta.

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Capitolo 4
*** Notturno (Pt.2) ***


Sono passati pochi giorni da quando sono arrivato ad Hasetsu, e sono già iniziati i problemi. 

Non perché il posto abbia qualcosa che non va, anzi; la gente è cordiale, il clima è fresco e le terme forniscono un relax assoluto. Per non parlare del cibo, di cui non penso che potrò più fare a meno. E poi c'è Yuri. Che non è lo stesso Yuri del banchetto e nemmeno lo stesso del video su Youtube. Questo Yuri è lo Yuri di ogni giorno, con tutte le sue peculiari caratteristiche, i suoi difetti, le sue abitudini e i suoi modi di fare. È Yuri come lo conoscono i suoi cari, e come adesso sto imparando a conoscerlo anche io. E questo Yuri mi piace tanto quanto i precedenti. Forse anche di più. Il nostro rapporto sta diventando più stretto, intimo e personale, e io inizio a considerarlo più che un allievo. Yuri è...tante cose, ma principalmente è qualcuno da cui aspettarsi sempre nuove sorprese. Non finisce mai di stupirmi. 

Non è Hasetsu in se che mi rende insofferente. Non è nemmeno Yuri. O meglio, non è Katsuki  Yuri. 

Ma Yuri Plitsesky, o come ormai tutti lo chiamano, Yurio, beh, lui è un po' indisponente. Se è spuntato qui è tutta colpa mia, lo ammetto. Se mi fossi ricordato di preparargli la coreografia, come gli avevo promesso -ma era una promessa vecchia e non rinnovata, e io sono un tipo mooolto distratto- adesso saremmo tutti felici e contenti, o quasi. Devo dire che mi aspettavo una reazione peggiore da parte sua, in fondo l'ha presa piuttosto bene, considerato il suo carattere collerico. Ha persino accettato le mie condizioni. 

È vero, l'idea di una nuova gara fra i due Yuri mi alletta. Però, però, adesso che conosco il vero Yuri, non quello privo di preoccupazioni e insicurezze della festa, adesso che riesco a cogliere il suo nervosismo, la sua agitazione, adesso che so quanto si impegni e quanto ci tenga al suo pattinaggio e al giudizio che gli altri ne hanno, desso che noto la sua fatica, i suoi sforzi, la sua determinazione so quanto lo devasterebbe una disfatta. Yurio è molto giovane e sicuro di se, e perdere non potrebbe che fargli bene, ma Yuri ha un'autostima sotto le scarpe. Vorrei che non fosse così, vorrei che riuscisse a capire, a scoprire quanto è eccezionale. Ma ci vuole tempo, e a seconda dell'esito dello scontro fra i miei due allievi non so se ci sarà concesso. 

Click!

Ecco il secondo motivo di fastidio. I paparazzi, come quello che mi ha appena scattato una foto. I giornalisti. I fan. Mi seguono ovunque, non mi danno tregua. Da quando sono qui gli alberghi sono pieni e i locali turistici fanno affari d'oro (con grande gioia del padre di Yuri). Ma io sono stanco, stanco, stanco. Qui speravo di poter essere Victor Nikiforov, straniero qualunque, ospite della famiglia Katsuki. Invece sono Victor Nikiforov il campione di figure skating, sempre e comunque. Ovunque. 

Ma non stasera. Stasera non mi avranno. 

Mi dileguo in mezzo alla folla, passo per vicoli e stradine, fra gente ubriaca e comitive di ragazzi giovani e spensierati. Entro in un pub, parlo con qualcuno, prendo una birra. Esco, faccio un pezzo di strada con due perfetti sconosciuti, buonasera, parlate inglese? Ah no? Peccato. Scopro un ristorante in cui fanno un ramen delizioso, devo tornarci con Yuri. Mi inoltro sempre di più nel cuore pulsante della cittadina, confondendomi in mezzo al fiume di persone che popola la notte. 

Dopo una decina di locali e un numero molto più alto di bevande alcoliche decido che è tempo di tornare a casa. Nel locale squallido in cui mi trovo un ragazzo lacrimoso sta avendo un'intensa conversazione telefonica con una donna, a giudicare dai toni acuti che sento provenire dall'apparecchio. 

"Resta con me! Non mi lasciare!" la implora il ragazzo. Nel tavolo accanto al mio una coppia si riscalda nel freddo della notte, scambiandosi effusioni. I due sono così vicini che non si distinguono i contorni delle loro sagome. 

Il ragazzo disperato si abbandona sul bancone singhiozzante. Poi il pianto si trasforma in silenziosa rassegnazione. 

Ho spesso passato serate intere in uno stato simile a quello del giovane. Solo, disperso, abbandonato a me stesso. Mi è capitato di non trovare la forza nè la motivazione sufficiente per alzarmi e tornare a dormire nel mio letto. Mi è capitato di restare a pensare al niente di cui era composta la mia vita, con la mente offuscata dall'alcol, per ore, insensibile a ciò che avveniva intorno a me.

Adesso, però, è diverso. Adesso ho qualcuno da cui voglio ritornare. 

Perciò mi alzo ed esco. Le luci dell'Ice Castle sono visibili anche da qui. 

"Sento una voce
che canta lontaaaanoo"


Canticchiando, mi dirigo verso casa. 

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Capitolo 5
*** La Sfida ***


Premessa: per motivi di studio non ho potuto dedicarmi alla scrittura per molto, troppo tempo. Questo capitolo è parecchio breve per questo motivo, ma spero di avere presto più tempo libero per poterlo completare e andare avanti con questa (e altre) storie. Buona lettura!
____________________________________

Ok. Ci siamo.
 
Non sono nervoso. Ho pattinato migliaia di volte davanti alle telecamere e al pubblico. Non sono nervoso e non c'è niente di cui preoccuparsi. Rilassato. Rilassato e concentrato. Più rilassati di così si muore. Calmo. Sono calmo. Sono oddio Yurio mi odierà se vinco già mi odia adesso se Victor sceglie di restare con me mi odierà per sempre ma non è giusto non voglio perdere però se vinco non posso pensarci avrò i sensi di colpa a vita ma se non vinco Victor sarà deluso e mi disprezzerà e se ne andrà e la mia famiglia penserà che sono un buono a nulla già l'ho capito da come mi hanno accolto quando sono tornato a casa dopo cinque anni sembravano contenti ma se stessero fingendo per non mettermi in imbarazzo? Con tutti i soldi che hanno speso per me e Minako quante volte ha acconsentito a darmi lezioni in più anche quando tutti gli altri se n'erano andati da un pezzo anche la sera e poi mia sorella che mi ha chiesto quali sono i miei piani per il futuro ha paura che io sia un peso chissà forse erano più felici quando ero a Detroit e Pichit? Oddio non posso deludere neppure lui quindi è meglio che io vinca anche se Yurio preferirebbe che io perdessi e se succedesse almeno nessuno ce l'avrebbe apertamente con me io non-
 
"Yuri"
 
 
Sento la voce come se fosse distante, ma aprendo gli occhi vedo Victor proprio di fronte a me, sorridente. Mi sento morire. Mi tremano le gambe e la mia mente è confusa, e parlo quasi senza accorgermene.
 
Gli prometto che vincerò. Gli chiedo di guardarmi. Non posso tirarmi indietro adesso.
 
Per quanto mi possa dispiacere l'eventuale reazione di Yurio ad una mia vittoria, in questo momento so che se mi trattenessi dal fare del mio meglio e per questo perdessi l'opportunità di avere Victor come allenatore, non me lo perdonerei mai.
 
Per questo motivo, Victor, prometti di guardarmi.
 
Il mio corpo si muove da solo, quasi senza il mio controllo, quasi come se non fossi io.
 
Ma ritrovandomi nell'abbraccio di Victor, ritorno anche a me stesso. Fino a un momento fa tutto sembrava distante, diverso, come se fossi stato fuori di me e fuori dal mondo. Adesso invece sento Victor, il suo profumo, il suo calore, la sua voce calma mentre mi assicura che si, mi guarderà, e che – un commento pensato per essere divertente, ma che mi fa battere il cuore a mille- ama il katsudon.
 
Vorrei poter rimanere rifugiato nell'abbraccio di Victor per sempre, ed è con la ferma intenzione di ritornarci il più presto possibile che mi muovo verso la pista.
 
Arrivato sul ghiaccio, il pubblico non esiste più. Sono lì solo per lui. Per Victor.
 
E penso al katsudon. Si, è vero, non è la metafora migliore per esprimere amore sensuale, perchè ciò che provo per quel piatto delizioso trascende il piano fisico dell'esistenza, è più un'esperienza spirituale, quasi mistica. Ok, sto esagerando ma penso di aver reso l'idea. A ogni nuovo passo mi sento più fiducioso, più sicuro di me, mi sento degno di ricevere l'ammirazione del pubblico e l'interesse del mio – si spera- futuro allenatore.
 
E a poco a poco alle immagini di uova e carne di maiale si affiancano sensazioni nuove, ricordi recenti, pensieri imbarazzanti a cui non avrei mai osato abbandonarmi in un contesto diverso. Ma qui, pervaso da una nuova e assoluta confidenza, mi concedo di immaginare il volto di Victor, a pochi centimetri dal mio, le sue dita sulle mie labbra. La sua mano sulla mia, la veste verde che scivola giù rivelando il suo torso. Il suo corpo umido e lucido dopo un bagno alle terme. E poi penso che voglio vedere di più, di più, molto di più.
 
Salto.
 
E cado.
 
La mia mente inizia a urlare, allarmata. Niente panico. È quello che mi ripeto ogni volta che sento l'agitazione arrivare, come l'onda di uno tsunami. Di solito non riesco a fare niente per bloccarla.
 
Non sarà un errore come questo a farmi perdere la mia attrattiva.
 
Questa non è una cosa che penso spesso invece. Anzi, non la penso mai. Ma oggi la mia danza sembra quasi un gioco di ruolo, il mio costume un travestimento. Non sono Yuri. Sono la donna più attraente della città, quella contro la quale le altre non hanno alcuna speranza di vittoria.  Per questo Victor sceglierà me. Per questo l'ho scelto.

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