Lotteremo Contro il Nostro Destino!

di Rosye
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Questa storia non è stata scritta a scopi di lucro, ma per puro divertimento. I fatti, i personaggi e i luoghi presenti in essa non sono una mia invenzione ma appartengono a Masashi Kishimoto che ne detiene tutti i diritti.
Per quanto riguarda tutto ciò che non segue la trama ufficiale di "Naruto" e gli elementi di mia invenzione ( ad esempio: fatti, personaggi, luoghi, ecc. ) essi appartengono soltanto a me.



 
Lotteremo Contro il Nostro Destino!
Prologo




 












«Minato?»
Quella voce melodiosa mi stava di nuovo chiamando. E anche se non ricordavo a chi potesse appartenere quel tono così cristallino, in qualche modo sapevo che quella giovane donna era una persona molto speciale per me.
Sentii una piccola e fredda mano posarsi sul mio petto e all'istante, avvertii la mia pelle accaldata fremere al contatto con quel tocco delicato e il mio cuore perdere alcuni battiti prima d'iniziare una folle corsa all'interno della gabbia toracica: era come se tutte le mie membra reagissero al canto della loro sirena.
Sorrisi, beandomi di quel semplice contatto, pensando che non esistesse al mondo sensazione migliore di questa.
«Minato?» mi richiamò con dolcezza, ma nel suo tono potevo percepire chiaramente un'angoscia tale da stringermi il petto in una morsa.
Inconsciamente, inarcai un sopracciglio e mi domandai che cosa la potesse spaventare fino a quel punto: in fondo, attorno a noi, la calma e il silenzio regnavano sovrani. E i miei sensi, anche se intorpiditi, non riuscivano a percepire nessun pericolo.
Mi concentrai meglio sullo spazio attorno a noi per vedere se mi era sfuggito qualche dettaglio, ma il risultato era lo stesso: un silenzio assoluto, rotto soltanto dai nostri respiri.
No, proprio non riuscivo a capire il motivo della sua paura, né tanto meno sapevo da quanto tempo stessi dormendo o dove diavolo mi trovassi; in realtà, non ricordavo neppure cosa accidenti mi era successo nelle ultime ore, o forse erano già passati dei giorni?
L'ultimo mio ricordo risaliva a... no, non ricordavo neanche quello.
Leggermente preoccupato a mia volta da questo pensiero, cercai d'aprire gli occhi per guardarmi attorno e capire finalmente dove mi trovassi, ma le palpebre erano pesanti come macigni e nonostante tutti i miei sforzi, rimasero serrate. Provai allora a muovere una mano, però non ci riuscii: la sentivo completamente inerte al mio fianco.
Che cosa mi stava succedendo? Era come se tutto il mio corpo non volesse più rispondere ai miei comandi.
«Minato, svegliati, ti prego!» sussurrò lei, implorante.
E il mio cuore perse un battito nell'udire la sua voce incrinata dal pianto.
Perché se ero certo di una cosa in questo mondo pieno d'incertezze, quella era che lei non doveva piangere per nessun motivo.
Quando presi coscienza di questa certezza nella mia mente balenò l'immagine di due bellissimi e profondi occhi blu cobalto, talmente scuri da sembrare quasi neri.
Tutto questo era come un déjà vù.
Sì, perché già una volta i suoi occhi si erano riempiti di lacrime e quel giorno avevo giurato a me stesso che ciò non sarebbe più accaduto perché io l'avrei protetta da qualsiasi cosa, anche da se stessa.
Un piccolo singhiozzo, quasi impercettibile, spezzò l'aria tra noi e per me fu come ricevere una pugnalata in pieno petto.
«L'avevi promesso, ricordi?» singhiozzò piano, afferrandomi una mano e intrecciando le nostre dita. «...Avevi giurato di rimanere sempre al mio fianco. Quindi ora, lotta e mantieni la tua promessa!»
In quel momento, nel sentire le sue parole, avrei solo voluto stringerla forte tra le mie braccia e rassicurarla, dirle di non preoccuparsi, di non piangere, perché stavo bene ed ero qui accanto a lei e avrei fatto di tutto per mantenere la mia promessa... ma anche questo mi era impossibile.
Frustrato, strinsi la sua mano o almeno ci provai e lei, come se mi avesse letto nella mente, fece lo stesso, portando le nostre mani intrecciate alle sue labbra umide e tremanti per posarvi sopra un leggero bacio.
E se avessi potuto, avrei pianto come un bambino di fronte alla tenerezza del suo gesto e soprattutto, avrei dato qualsiasi cosa per ricordare il suo volto e tutti i momenti passati insieme perché ne ero certo, lei era una parte estremamente importante della mia vita.
Poi, successe tutto in un istante.
Una delle sue piccole lacrime scivolò sulle nostre mani intrecciate e, come quando una goccia di rugiada cade in uno specchio d'acqua statico e riesce a rompere la quiete creando dei cerchi concentrici sulla superficie, allo stesso modo, i ricordi riaffiorarono tutti insieme con una forza inaudita, trascinandomi in un profondo baratro tra sogno e realtà.





















Note: 
È un prologo molto piccolo, lo so.
E sono anche consapevole di essere caduta in un cliclé visto e rivisto, e che voi vi aspettavate molto di più dopo la lunga attesa, ma a me è piaciuto molto scriverlo e lui è voluto uscire così... quindi, spero che vi possa piacere anche a voi che avete letto il mio precedente lavoro o che state leggendo questo per la prima volta.
Per chi mi seguiva, ricordava o preferiva il precedente 'Contro il Nostro Destino' vi ringrazio di cuore e spero possiate iniziare ad amare anche questa Fic che non è altro che una versione riveduta e modificata di quella storia.
Bene detto questo... vi aspetto al prossimo capitolo! (Che verrà pubblicato non prima della fine d'Agosto.)
Con affetto, Rosye.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Lotteremo Contro il Nostro Destino!
Capitolo 1




 



 

Molto tempo prima...










Tutto aveva avuto inizio una sera d'ottobre in cui, nel cielo di Konoha, aveva spiccato in volo un falco per richiamare nella sala delle riunioni tutti gli shinobi esperti del Villaggio della Foglia.
Nell'osservare quell'animale librarsi in volo, completamente incurante delle raffiche di vento gelido che al tramonto incominciavano a sentirsi, non riuscii più a far tacere lo strano senso d'inquietudine che da quella mattina mi aveva attanagliato il cuore in una morsa.
In un primo momento, pensai a un possibile attacco da parte di qualche villaggio nemico, ma scartai subito quell'idea perché, se così fosse stato, sarebbe scattato l'allarme d'emergenza e ciò, grazie al cielo, non era ancora avvenuto.
Tuttavia, questo non cambiava che doveva essere capitato qualcosa di veramente grave per spingere il Consiglio degli Anziani a convocare una riunione straordinaria.
Con un gesto nervoso, lanciai in uno dei cestini del parco la lattina di succo che avevo appena comprato dal distributore di bibite e, fregandomene di avere un appuntamento con Shikaku di lì a cinque minuti, mi diressi verso l'uscita dei giardini pubblici.
Volevo capire cos'era successo e avrei dato qualsiasi cosa per saperlo però, purtroppo, non mi era ancora permesso assistere a quel genere di riunioni perché ero un semplice Genin e, anche se mi faceva rabbia accettarlo, dovevo attendere che qualcuno ''dei piani alti'' si decidesse a rivelare qualche dettaglio o, quantomeno, desse degli ordini da eseguire.
Almeno, era questo che cercavo di ripetermi fino alla nausea ma, nonostante ciò, avevo la brutta sensazione che di qualunque cosa si trattasse non avrebbe fatto piacere a nessuno - o per meglio dire, non avrebbe fatto piacere a me.
Compresi di non essermi sbagliato quando vidi, solo pochi minuti dopo, il maestro Jiraiya e il suo vecchio team correre di gran carriera sulla strada per uscire dal portone principale del villaggio.
Se il Terzo Hokage era stato costretto a mobilitare anche i suoi ex allievi, dopo che questi erano appena tornati da una lunga missione nel Paese dell'Erba, doveva reputare la faccenda di livello S e della massima importanza.
Per mia fortuna comunque, incappai proprio nel maestro perché nonostante fosse un tipo piuttosto eccentrico, su di lui si poteva essere certi di una cosa: non importava se avesse tempo o no, se ne avevi bisogno, avrebbe sempre trovato un momento per parlarti o comunque per tranquillizzarti in qualche modo.
Quindi, non ci pensai due volte a chiamarlo: «Jiraiya-sensei!»
Al suono della mia voce lui arrestò di colpo la sua corsa, restando indietro di qualche passo rispetto ai suoi compagni di squadra che lo aspettavano poco più avanti; si voltò lentamente verso di me e mi guardò per qualche secondo negli occhi prima di distogliere lo sguardo, non abbastanza in fretta però da impedirmi di notare quella vena di compassione; la stessa, che leggevo quando doveva annunciarmi la morte di qualcuno. E sebbene negli ultimi tempi avevo visto quello sguardo sul suo volto molte volte, il dolore e la rabbia che provavo di fronte ad esso erano sempre così intensi da lasciarmi boccheggiare senza parole e, inutilmente, mi ritrovavo a maledire con tutte le mie forze queste guerre tra villaggi che ogni giorno mietevano vittime solo per degli stramaledettissimi giochi di potere.
Strinsi forte i pugni per cercare di controllare come meglio potevo la rabbia che sentivo ribollire nelle vene e nella mia mente ripetei come un mantra la regola numero 25: un ninja non deve mai mostrare quello che prova dentro, non deve farlo per nessun motivo...*
Però, ora più che mai, questa regola mi sembrava del tutto insensata.
Come si poteva minimamente pensare di mettere a tacere il cuore di fronte a una simile disgrazia?
Perdere un amico, un compagno o un fratello era qualcosa di straziante. Era un taglio che penetrava fin dentro l'anima e non vi era alcun modo per rimarginare una tale ferita; neanche il tempo era utile, al massimo, poteva soltanto riuscire ad anestetizzare il dolore.
Il maestro, intuendo forse quali pensieri mi stessero logorando l'anima, posò una mano sulla mia spalla per cercare di consolarmi, ma quel gesto non fece altro che scuotermi maggiormente e persino io mi meravigliai del tono tagliente con il quale pronunciai quella fatidica domanda: «Chi?» 
Già, chi? A chi altro era toccato sacrificarsi?
Distrattamente, sentii lo sbuffo spazientito di Orochimaru e avvertii quasi a pelle l'impazienza di Tsunade, ma a questo punto non mi importava più di nulla: volevo sapere tutto, e Jiraiya mi conosceva abbastanza bene d'averlo capito da sé.
Sospirò pesantemente, quasi volesse farsi coraggio prima di parlare e nonostante fossi convinto di poter reggere qualunque notizia, niente, e dico niente, mi avrebbe potuto preparare a quelle parole: «Quest'oggi, nel tardo pomeriggio, hanno rapito Uzumaki Kushina. Purtroppo, i ninja inseguitori* hanno perso le sue tracce appena fuori dal villaggio e dal sangue ritrovato in casa sua... si pensa che sia già morta.»
Schiette e dirette come un fulmine a ciel sereno; quelle parole erano state in grado di travolgermi con la forza di un uragano, distruggendomi senza alcuna pietà.
Eppure, stimavo Jiraiya anche per questo: lui non cercava mai d'indorare la pillola per renderla meno amara o non girava intorno a una questione in eterno, se aveva un problema, l'affrontava, punto.
Ciò che nessuno - compreso me - però si aspettava, fu proprio la mia reazione: «No, non può essere!» gridai fuori di me per un secondo, mentre nella mia mente si formava l'immagine di una ragazzina dai lunghi capelli rossi e due grandi occhi blu, così scuri e profondi da sembrare quasi dei pozzi neri.
Il maestro mi fissò allibito ed io, rendendomi conto della gaffe appena commessa, arrossii fino alla radice dei capelli.
No, non era da me reagire a quel modo, fin da quando avevo iniziato a frequentare l'Accademia per diventare un ninja avevo imparato a mantenere sotto controllo le mie emozioni e a ragionare con lucidità in qualsiasi circostanza, ma questa volta qualcosa era diverso.
Il pensiero del corpo di Kushina martoriato e senza vita mi sconvolgeva del tutto, mandando al diavolo il mio autocontrollo.
E poi, quasi a farsi beffa di me, la sua voce affiorò da un ricordo molto lontano: "È vero, sono forestiera, però potresti aiutarmi a non esserlo!"*
Serrai gli occhi e scossi la testa per allontanare quelle parole intrise d'amarezza dalla mia mente fino a quando, Jiraiya, non mi richiamò al presente: «Ehi, stai bene?» chiese, leggermente preoccupato. «...Sei diventato bianco come un cencio.»
«Lei...» provai a dire, ma con scarso successo; la voce mi aveva abbandonato, ma lui sembrò capire ugualmente.
«La conoscevi?»
Annuii, incapace di fare altro.
«Mi dispiace tanto.» mormorò rammaricato, stringendo lievemente la presa sulla mia spalla.
Tuttavia, quel gesto d'affetto anziché rincuorarmi, ebbe l'effetto contrario e, fece nuovamente ribollire la rabbia che per un momento era stata accantonata dallo sgomento. E sentii anche nascere per la prima volta un nuovo sentimento, qualcosa di profondo e terribile allo stesso tempo: la paura.
Sì, avevo paura di non rivedere più quella ragazzina dal temperamento forte e lo sguardo perennemente malinconico.
Pregai in cuor mio di stare facendo solo un bruttissimo incubo o d'essere vittima dell'arte illusoria di qualche nemico, tutto, purché lei fosse sana e salva al villaggio.
Ciò nonostante, la realtà era ben lontana dal mio desiderio e Kushina era stata rapita davvero.
L'unica cosa che mi rimaneva da fare, era aiutare nelle ricerche perché non potevo rassegnarmi nel crederla morta, qualcosa mi spingeva ad esserne certo: lei era viva ed aveva bisogno d'aiuto.
Questo pensiero riuscì a darmi la forza per tornare a ragionare lucidamente.
«Sensei...» dissi con fermezza, afferrando la sua mano dalla mia spalla. «...mi faccia venire con lei, voglio aiutare anch'io nelle ricerche.»
Lui sembrò soppesare le mie parole, indeciso, ma alla fine scosse la testa in segno di diniego. «No, ho un altro compito per te.» rispose, pacato. «Con questa faccenda è scattato l'allarme d'allerta, quindi, tutti i Chūnin e i Genin sono tenuti a controllare il villaggio e a proteggere i civili senza dare troppo nell'occhio, mentre alcune squadre di Jōnin andran-» 
«Non voglio restare al villaggio!» esclamai con veemenza, interrompendolo. «Mi faccia venire con lei, per favore.»
Lui scosse nuovamente la testa, questa volta senza nessuna esitazione. «No, devi restare al villaggio e proteggere i civili.» ordinò, liberandosi la mano dalla mia presa con un gesto secco.
Frustrato e arrabbiato, agguantai di nuovo con forza il suo polso e lo guardai negli occhi; in cerca, delle parole adatte per spiegargli ciò che neppure io capivo appieno.
Sapevo che la cosa più logica da fare era rimanere al villaggio come mi era stato ordinato e lasciare fare al maestro e al suo team ma, contrariamente alla ragione, il mio cuore mi urlava di andare perché altrimenti me ne sarei pentito amaramente.
«Jiraiya, ne hai ancora per molto?» chiese ad un tratto Orochimaru, sprezzante, attirando la nostra attenzione. E anche se era ben nascosta, potevo vedere nei suoi occhi una luce di perverso divertimento; sembrava quasi che godesse nel vedermi turbato in quel modo: quell'uomo faceva venire i brividi.
Repressi come meglio potevo i miei sentimenti per non dargli altre soddisfazioni e, serrando le mascelle, abbassai lo sguardo, apparentemente sconfitto; quando in realtà, sentivo crescere e scorrere dentro le vene il bruciante ed insaziabile desiderio di vendetta verso coloro che avevano osato farle del male.
Questa storia non sarebbe finita qui.
In qualche modo, sarei riuscito a trovarla e a riportarla al villaggio sana e salva.
Jiraiya, approfittando della mia momentanea arresa, liberò con delicatezza il polso. «Devo andare.» mormorò, voltandosi e bloccandosi subito dopo, come se gli fosse passato uno strano pensiero per la testa. «Minato?» mi richiamò serio, dandomi le spalle.
«Sì sensei?»
«So cos'hai in mente di fare e te lo vieto nel modo più categorico, lascia a me questo compito. Cercherò di riportarla indietro, te lo prometto.»
Strinsi forte i pugni, fino a far sbiancare le nocche.
No, lui non capiva.
Io non avevo bisogno di promesse o finte speranze; io volevo soltanto correre in suo aiuto come non avevo mai fatto in passato.
Senza aspettare una risposta, il maestro, riprese a correre verso il portone principale seguito dai suoi compagni e io restai lì, immobile, a guardarli allontanarsi, chiedendomi cosa accidenti fare; non potevo né seguirli, perché se ne sarebbero accorti, né restare al villaggio a rigirarmi i pollici mentre lei era in pericolo.
Nella mia mente ricomparve nuovamente l'immagine del suo volto e il mio cuore perse un battito, consapevole di non avere molto tempo a mia disposizione.
Se volevo davvero fare qualcosa per lei, dovevo sbrigarmi ad agire oppure sarebbe stato veramente troppo tardi.
Ma che cosa potevo fare? Non avevo nemmeno un punto di partenza da dove iniziare le ricerche e, ammettendo che sarei riuscito a trovarla, non sapevo neanche chi diavolo sarebbe stato il mio avversario.
Poi, ad un tratto, come un'illuminazione ripensai alle parole di Jiraiya-sensei: "...e dal sangue ritrovato in casa sua..."
Ma certo! Come avevo fatto a non pensarci prima?
Secondo le parole del maestro il rapimento era avvenuto a casa di Kushina e quello era il punto migliore da cui iniziare le ricerche. Era l'unico posto dove ci poteva essere qualche dettaglio che avrebbe ricondotto ai rapitori o a lei.
Però, il maestro, aveva anche detto che i ninja inseguitori avevano perso le loro tracce appena fuori dal villaggio e questo, non rendeva le cose semplici: se persino i migliori shinobi esperti nell'inseguimento erano stati ingannati e giocati da quei ninja, rintracciarli sarebbe divenuto davvero un compito arduo.
L'unica speranza a cui potevo aggrapparmi era quella di trovare qualche particolare sfuggito agli altri con la fretta; mi sarebbe bastato la qualunque cosa purché indicasse il loro passaggio.
Sapevo che la mia era solo una labile speranza, ma dovevo tentare ugualmente.
Con il cuore gonfio d'angoscia e paura, mi precipitai a casa di Kushina, maledicendo il fatto che la sua abitazione si trovasse a sud, nella zona più periferica del villaggio, subito dopo il boschetto dei ciliegi; anche correndo, ci avrei impiegato dieci minuti abbondanti per arrivare a destinazione.
Fu un sollievo per me quando vidi finalmente in lontananza la piccola collinetta nascosta dagli alberi in fiore, dove era stata costruita la sua casa.
Sollievo, che ben presto venne sostituito dall'orrore nell'osservare lo scempio compiuto all'interno di essa.
Sconvolto, restai per qualche secondo a fissare con sguardo assente i resti di quella che una volta era una bella e grande villa in stile giapponese.
Il pesante portone di legno era stato fatto letteralmente saltare in aria e il bel giardino, fino a qualche giorno fa così ben curato, era stato ridotto a un campo di battaglia pieno di buche e tronchi d'alberi abbattuti; i pannelli shoji dell'engawa, che davano su quello che un tempo era il laghetto, erano andati distrutti in mille pezzi come se qualcuno gli fosse stato scagliato contro con forza e mostravano le stanze più esterne della casa; anche i tatami e le pareti interne erano ridotti in pessime condizioni, ma quello che attirò maggiormente la mia attenzione e mi fece contorcere lo stomaco in modo doloroso fu l'enorme pozza di sangue fresco che faceva bella mostra di sé proprio sotto i miei occhi, all'entrata, sul piccolo vialetto acciottolato.
Sotto shock, mi piegai sulle ginocchia e toccai con la punta delle dita quel liquido vischioso, risentendo - dopo tantissimo tempo - il bisogno impellente di piangere e vomitare anche l'anima.
"...e dal sangue ritrovato in casa sua... si pensa che sia già morta."
Le parole di Jiraiya balenarono di nuovo nella mia mente insieme all'immagine del volto pallido di Kushina e il mio cuore accelerò la sua folle corsa.
Che cosa diavolo avevano osato farle?
Guardai la mia mano, sporca del suo sangue e digrignai i denti come un animale feroce, desiderando - con ogni fibra del mio essere - ammazzare quei fottuti bastardi; e stringendo il pugno, giurai a me stesso che l'avrei ritrovata anche al costo della mia stessa vita.
Non mi importava come, ma sarei riuscito a salvarla da quei farabutti.
Respirai profondamente, consapevole che da questo momento in poi non dovevo più permettere a nessun sentimento di distrarmi e iniziai a guardarmi attorno, in cerca d'indizi utili.
Però, più osservavo quel campo di battaglia e maggiore era il peso sul mio cuore; perché in quel luogo, oltre alle macerie e alla desolazione, non vi era nient'altro.
«Dannazione!» esclamai, esasperato.
In fondo, che cosa mi aspettavo?
Quei ninja erano stati così attenti nel far perdere le loro tracce da mandare nel pallone un'intera sezione investigativa; chiunque fossero, dovevano essere shinobi eccezionali che avevano dedicato molto tempo all'elaborazione di questo piano calcolando ogni possibile evenienza. Non sarebbero caduti facilmente in falli grossolani e questo era un problema.
Tuttavia, per quanto un ninja potesse essere abile, commetteva sempre degli errori: bisognava solo accorgersi di quali fossero e usarli a proprio vantaggio.
E fu mentre ero ancora intento a ragionare che uno strano luccichio accanto alla pozza di sangue attirò la mia attenzione, quasi mi stesse chiamando a gran voce.
Mi avvicinai all'entrata del portone restando meravigliato da ciò che vidi.
Lì, a poca distanza da me, sporchi di terra e sangue - e illuminati dai raggi del sole morente - risplendevano alcuni fili di fiamma. E mi ritrovai a pensare che fin troppe volte, all'Accademia o per le strade di Konoha, ero rimasto ammaliato da quella particolare sfumatura di rosso per non riconoscerne la chioma a cui appartenessero.
Quelli, senza ombra di dubbio, erano i capelli di Kushina.
Raccolsi da terra quella piccola ciocca di capelli vermigli e la studiai attentamente come se da essa potessi scoprirne un segreto importantissimo.
E così fu.
Quei capelli, erano tutti spezzati in vari punti ma sempre all'altezza delle spalle e, almeno che qualcuno non avesse afferrato e strattonato Kushina per essi durante il combattimento, l'unica ipotesi possibile era che lei stessa se li era strappati di sua volontà.
Ma perché aveva fatto una cosa simile?
Guardai davanti a me con sguardo vacuo, perso nelle mie riflessioni, finché non mi sembrò di risentire la voce di Yūhi-sensei*, quando all'Accademia Ninja ci fece quella lezione sui messaggi in codice: "...dovete sempre essere in contatto con i vostri compagni di squadra. Questo è di vitale importanza! Se durante la missione siete costretti a separarvi, dovete trovare subito il modo per comunicare tra di voi e indicare il luogo in cui vi trovate, ma attenzione, il codice che voi lascerete dovrà essere criptato soltanto dai vostri compagni, altrimenti, rischierete di metterete in serio pericolo anche loro! E ovviamente, dovete stare attenti a non farvi scoprire da eventuali nemici. Molte volte, il successo di una missione..."
Possibile che...?
Lanciai un'altra occhiata ai suoi capelli, sentendo la speranza nascere dentro di me.
Probabilmente, sopraffatta dai rapitori, aveva pensato di lasciare qualche traccia come muto segnale d'aiuto, nella speranza di poter essere ritrovata da qualcuno. E questo indicava solo una cosa: lei era ancora viva ed era pure abbastanza vigile da poter indicare il loro percorso.
Sorrisi beffando, erano stati davvero abili a nascondere le loro tracce ma, nella loro premura di portare via l'ostaggio, avevano commesso il grosso errore di sottovalutare l'intelligenza di quella ragazzina.
Che stupidi che erano stati!
Comunque, stupidi o no, non avevo tempo da perdere, lei era ancora alla loro mercé.
Correndo come un forsennato, seguii il percorso da lei tracciato, ringraziando tutti i Kami per l'idea geniale che aveva avuto quella ragazza.
I suoi capelli, anche se con qualche piccola deviazione, portavano a nord-est in direzione del Paese del Fulmine.
Quindi, quasi certamente, dietro al suo rapimento si nascondeva il Villaggio della Nuvola.
Non me ne meravigliai più di tanto, in fondo, Konoha e Kumo erano in una specie di guerra fredda da molto tempo, però non comprendevo perché avevano scelto di catturare proprio Kushina, spingendosi ad entrare persino dentro le mura del nostro villaggio per averla.
Sì, il Villaggio della Nuvola, era conosciuto in tutte le Cinque Grandi Terre Ninja per la sua brama nella ricerca del potere, ma nonostante lei fosse una kunoichi davvero abile nel combattimento, non era dotata di qualche preziosa abilità innata come il Byakugan o lo Sharingan.
Quindi, la domanda mi sorgeva più che spontanea. Che cosa diavolo poteva possedere di tanto prezioso per attirare l'attenzione dei paesi nemici fino ad arrivare a questo punto?
Scossi la testa per allontanare questi pensieri, avrei avuto tempo per riflettere su i reali motivi del suo rapimento una volta ritornato al villaggio con lei, intanto, dovevo concentrarmi sulle sue tracce e riuscire a salvarla prima che quei ninja arrivassero ad oltrepassare il confine tra le due Terre.
Muovendomi con agilità, saltai da un albero all'altro, balzando a terra ogniqualvolta avvistavo una ciocca di capelli per afferrarla e poi proseguire nella mia folle corsa, nella speranza di raggiungerli il prima possibile.
Alla vista dell'ennesimo segnale, mi chiesi come quei dannati potessero essere così sicuri di sé da ignorare totalmente il loro ostaggio; senza rendersene conto stavano commettendo un altro errore, forse il più grave di tutti; ovvero, sottovalutare l'avversario.
Ricordavo molto bene come il maestro Jiraiya, nei giorni seguenti al mio diploma all'Accademia, si premurò di inculcarmi fino alla nausea questa regola basilare: "Mai sottovalutare il tuo nemico, anche se lui è più debole di te, può sempre riservarti molte sorprese che possono condurti facilmente alla morte."
E Kushina, a loro insaputa, era un avversario davvero difficile da battere.
A ben vedere, quella ragazza era una fonte di sorprese sotto molti punti di vista, ma non era questo il momento adatto per pensare a ciò.
Lanciai un'occhiata attorno a me, rendendomi conto che ero quasi arrivato al confine tra i due territori e per di più, il sole era tramontato ormai da un pezzo, lasciando il posto ad una splendida luna piena e a un cielo leggermente coperto da alcune nubi passeggere.
Ma quanta strada erano riusciti a fare quei maledetti? Era da ore che gli stavo dietro, ma non ero ancora riuscito a raggiungerli e il pensiero d'essere quasi giunto al confine non mi tranquillizzava per niente.
Se avevano già raggiunto il loro territorio, sarebbe stato un vero problema.
Non potevo entrare a cuor leggero in un territorio nemico come quello del Paese del Fulmine; avrei dovuto chiamare dei rinforzi, ma a quel punto sarebbe stato troppo tardi per salvarla; per non parlare poi, della possibile guerra che sarebbe potuta scoppiare tra i due villaggi.
L'Hokage, sarebbe stato disposto a pagare un prezzo così alto per la vita di una ragazzina data già per morta e tra l'altro anche forestiera?
Sinceramente parlando, ne dubitavo.
Il Terzo era un uomo buono e un grande leader, amava Konoha e i suoi cittadini con tutto se stesso e avrebbe dato la sua vita senza battere ciglio per proteggere il villaggio; ma non avrebbe mai rischiato di mettere tutti in pericolo per salvare soltanto una vita.
Mancavano solo pochi chilometri alla linea di confine e stavo iniziando a temere il peggio quando, finalmente, li vidi in lontananza.
Erano in tre e come avevo supposto, i suoi rapitori, erano shinobi della Nuvola; Kushina, invece, si trovava in mezzo a loro con le mani legate dietro la schiena, camminava con passo dimesso e apparentemente non sembrava riportare ferite gravi.
Stavo per tirare un sospiro di sollievo quando, ad un tratto, la vidi inciampare nei propri piedi e cadere a terra senza forze, sbattendo il volto sul duro terreno. E anche se quello non era il momento adatto, non potei fare a meno di restare colpito da quella scena; perché in quell'istante, Kushina mi sembrò essere l'essere più piccolo e indifeso di tutto il pianeta, completamente differente dalla ragazzina forte e con la battuta sempre pronta che i ragazzi dell'Accademia avevano imparato a temere.
«Forza, alzati, stupida ragazzina!» grugnì uno dei tre ninja, tirando barbaramente la corda con cui la teneva legata e, ignorando i suoi gemiti di dolore, continuò a sollevarla in quel modo fino a rimetterla in piedi.
Serrai le mascelle con forza, sentendo dentro di me montare un miscuglio di famelica vendetta e d'odio profondo verso di loro; non avrei avuto nessuna pietà, li avrei annientati uno alla volta per ciò che le stavano facendo passare, ma per il momento mi costrinsi a mantenere il controllo.
Dovevo elaborare una strategia, e anche alla svelta, e per farlo dovevo mantenere i nervi saldi.
Ragionai velocemente: loro erano in tre, mentre io ero da solo; e molto probabilmente erano tutti e tre dei Jōnin.
Li osservai con attenzione per cercare un loro possibile punto debole; dalla loro postura rilassata, non dovevano essersi accorti della mia presenza e non sospettavano nemmeno di poter essere raggiunti da qualcuno; questo giocava senz'altro a mio favore. Inoltre, la foresta era un ottimo campo di battaglia per me e potevo anche contare sull'aiuto del buio per nascondermi alla loro vista.
Se giocavo bene le mie carte potevo batterli, dovevo solo essere molto svelto e silenzioso.
Tre, due, uno... via!
Con un rapito scatto mi portai alle spalle del terzo ninja, quello che chiudeva il gruppo e teneva la corda con cui era legata Kushina, e lo colpii con una gomitata rompendogli di netto l'osso del collo poi, mi nascosi velocemente alla vista dei suoi compagni ancora ignari di cosa stava succedendo. Senza perdere tempo, colpii con una capriola anche il secondo shinobi, troppo distratto a guardare il corpo del suo compare senza vita per accorgersi di me.
Meno due, pensai sarcasticamente, andando a nascondermi nella fitta vegetazione del bosco.
Ora ne mancava solo uno.
Lo guardai fissare con sgomento i corpi morti dei suoi compagni di squadra e scappare nel fitto della foresta, abbandonando la sua postazione al lato di Kushina.
La sua, poteva anche essere stata una buona idea per guadagnare del tempo, peccato però, che aveva scelto di rifugiarsi proprio di fronte a me.
Appena si voltò per controllare alle sue spalle, restò atterrito nel vedermi balzare su di lui dal tronco in cui mi reggevo grazie al chakra nei piedi, provò ad estrarre un kunai per difendersi, ma fu troppo lento: per lui non c'era più via di scampo.
Con un preciso ed agile movimento del polso gli tagliai la gola e lo vidi precipitare giù dall'albero come un burattino a cui erano stati recisi tragicamente i fili.
Spostai lo sguardo sulla mia mano insanguinata e storsi le labbra in una smorfia disgustata.
Non mi piaceva uccidere, anzi, odiavo porre fine ad un'altra vita; ma questa volta, in gioco c'era qualcosa di estremamente prezioso e non potevo rischiare di perderla per nessuna ragione al mondo.
Mi voltai automaticamente verso di lei, osservandola attentamente dal ramo in cui mi trovavo.
Sembrava non essersi accorta di nulla e continuava a camminare mettendo davanti a sé un passo traballante dietro l'altro, come un automa.
Sorrisi nel guardarla, non riuscendo più a reprimere il sollievo e la gioia nel vederla, grazie al cielo, viva.
Mi concentrai maggiormente sul suo aspetto e, nonostante avesse i lunghi capelli scompigliati e sporchi di terra, le guance pallide e gli occhi gonfi e cerchiati da evidenti occhiaie per la stanchezza, la trovai semplicemente stupenda nella sua bellezza ancora un po' acerba, da ragazzina.
Ma, in fondo, avevo sempre pensato che lei fosse bellissima; quindi, non ero proprio sicuro di quanto potesse contare il mio parere in quel momento.
Dandomi mentalmente dell'idiota per i miei pensieri poco appropriati, gettai via il kunai insanguinato e mi pulii alla ben'e meglio la mano per non spaventarla; era stata già abbastanza traumatizzata dall'aggressione dei ninja della Nuvola per sopportare altro.
Saltai giù dall'albero e mi parai di fronte a lei, ma misi volutamente una certa distanza tra noi per darle il tempo di accorgersi della mia presenza e di comprendere d'essere ormai al sicuro.
«Sei ferita?» chiesi, per richiamare la sua attenzione.
Lei non sembrò aver udito le mie parole e fece altri due passi nella mia direzione con lo sguardo assente, perduto chissà dove; e in volto, aveva un'espressione così indifesa ed esausta che mi si strinse il cuore nel petto dalla tenerezza.
Perché le avevano fatto questo? Lei non meritava di passare una simile esperienza.
Poi, come se qualcosa l'avesse riscossa dal suo stato, alzò gli occhi e li puntò su di me. In quel preciso istante, la luce della luna rischiarò il suo viso rendendola ai miei occhi, se possibile, ancora più bella.
Il mio cuore perse un battito e poi due. E sperai intensamente di non arrossire come un allocco.
«Sono venuto ad aiutarti, Kushina-chan.» dissi con dolcezza, per tranquillizzarla.
Lei impiegò qualche secondo prima di riconoscere il mio volto e capire le mie parole, ma quando lo fece, si aprì in un meraviglioso sorriso di pura gioia prima di crollare a terra completamente sfinita.
Preoccupato, la raggiunsi con uno scatto veloce delle gambe e la afferrai tra le mie braccia, impedendole di finire nuovamente contro il duro terreno.
Lei, al quel contatto, sobbalzò e aprì gli occhi, meravigliata.
«Andrà tutto bene, vedrai.» le mormorai, sorridendole per rassicurarla.
Però, nel toccarla, notai immediatamente che qualcosa non andava: aveva certamente bisogno di cure urgenti e anche di riposare; ma eravamo troppo vicini al confine per poter perdere altro tempo.
Se quelli della Nuvola, avessero mandato una squadra per controllare o comunque per dar man forte ai ninja appena sconfitti, mi sarei trovato in grossi guai.
Dovevamo andarcene da lì, e anche alla svelta. Più avanti, avrei trovato un posto sicuro dove farla riposare e magari, prestarle i primi soccorsi per quello che potevo fare.
Con un gesto repentino, la sollevai tra le braccia senza alcuno sforzo.
«No, aspetta!» provò a protestare, ma ovviamente, non la ascoltai.
Le sciolsi i polsi dalla corda con una mano e balzai in aria con un lungo salto, senza darle il tempo di protestare ulteriormente.
Restai talmente sorpreso nel sentire il suo corpo così leggero e minuto tra le mie braccia che temevo stupidamente di poterla spezzare se non avessi fatto attenzione.
Lei però, ignara completamente dei miei pensieri, continuò a fissarmi con la bocca lievemente dischiusa. Sembrava quasi che non mi avesse mai visto in vita sua e forse, pensai tristemente, era davvero così.
Scacciai dalla testa quegli strani pensieri e mi concentrai sulla strada davanti a me.
Eravamo ancora troppo vicini al confine per permettermi di distrarmi però, un piccolo sussulto di Kushina attirò la mia attenzione.
Le lanciai un'occhiata con la coda del occhio per controllare che stesse bene e la scoprii intenta ad osservare la mia mano sinistra. Imbarazzato, mi ricordai soltanto allora di non aver nascosto nella tasca della felpa tutte le ciocche di capelli che avevo raccolto durante l'inseguimento.
Tornai a guardare di fronte a me, stringendo le labbra in una linea sottile.
In tutti questi anni, avevo sempre desiderato parlarle e magari, diventare un suo amico per starle accanto, ma la mia timidezza mi aveva costretto ad osservarla soltanto da lontano ogni volta che ne avevo la possibilità senza riuscire ad avvicinarla in qualche modo. E invece ora, come uno strano scherzo del destino, lei era qui tra le mie braccia.
Strinsi impercettibilmente le dita attorno alle sue ginocchia, sperando con tutto me stesso di riuscire, almeno stavolta, a dirle tutto ciò che pensavo. E quando sentii i suoi occhi scrutarmi con insistenza, non riuscii più a trattenermi.
«Hai dei capelli stupendi, li ho notati subito.» mormorai, ringraziando il mio autocontrollo per non essere arrossito dall'imbarazzo.
Lei, invece, colta di sorpresa distolse lo sguardo, impacciata. «Ma se non mi hai mai degnata di uno sguardo né aiutata.» borbottò, scettica.
Sorrisi, non potevo darle torto.
Eppure, come facevo a spiegarle che se avevo mantenuto le distante era perché lei era una delle poche persone capaci di mettermi completamente in soggezione? E poi, anche volendo, lei non era il genere di ragazza che accettava facilmente d'essere aiutata da chiunque: era troppo orgogliosa per farlo.
«Sì, perché so che in genere non ti serve aiuto, sei una ragazza molto forte... non soltanto nel fisico, ma anche nello spirito.» risposi, atterrando sulla cima di un albero. Se proprio dovevo dirle tutta la verità, volevo guardarla negli occhi. «...ma qui c'è di mezzo una pericolosa disputa tra due villaggi, non è una scaramuccia tra ragazzini, perciò io...» mi bloccai di colpo, sentendo le parole fermarsi in gola e non voler più uscire. Perché doveva essere così complicato dirle quanta paura avevo provato al pensiero di perderla per sempre?
No, probabilmente, anche se glielo avessi confessato lei non ci avrebbe creduto.
«Perciò tu...?» domandò esitante, incrociando il mio sguardo e incatenando i nostri occhi. E allora sorrisi, sapendo che non sarei mai riuscito a nascondere niente a quei grandi e profondi occhi blu.
«Beh, non volevo rischiare di perderti.» rivelai, sorridendole.
Lei restò visibilmente sorpresa dalle mie parole, quasi timorosa di crederci. Si morse per un attimo il labbro inferiore con forza e aggrottò le fini sopracciglia.
Per un istante mi sembrò una bambina completamente indifesa, spaventata dal mondo e da tutto ciò che la circondava.
«Anche se sono una forestiera?» sussurrò con un filo di voce.
Cosa? Era questo il problema?
Scrutai con attenzione il suo sguardo timoroso e compresi che sì, era proprio questo il problema: lei temeva di essere ancora una volta respinta e abbandonata da tutti.
Ripensai al modo orribile in cui era stata disprezzata ed emarginata dai ragazzi dell'Accademia solo perché proveniente da un altro villaggio e provai anche ad immaginare la tristezza che doveva avere provato appena giunta a Konoha, un luogo molto distante dalla sua casa e dalla sua famiglia.
La solitudine e il dolore che era stata costretta a passare le avevano lasciato una profonda ferita, anche se lei riusciva a nasconderlo molto bene dietro quell'atteggiamento burbero ed orgoglioso.
Se veramente la volevo aiutare, toccava a me farla uscire dal suo guscio e medicare il suo cuore ferito; e per riuscirci, dovevo prima guadagnarmi la sua fiducia.
«In che senso?» chiesi, facendo finta di non comprendere il vero significato delle sue parole. «...Adesso anche tu abiti al villaggio, quindi per me è più che ovvio che sei una di noi.»
Ed era vero, per me Kushina era sempre stata un membro del nostro villaggio, fin dal primo giorno.
Però, purtroppo, erano in molti coloro che diffidavano dei forestieri a causa delle continue guerre e, nonostante Kushina provenisse da un nostro antico ed importante alleato come il Villaggio del Vortice, nessuno osava avvicinarsi a lei per paura.
Paura, che tra l'altro era alimentata anche dalle poche informazioni che si tenevano sul suo conto; infatti, nessuno sapeva praticamente nulla su di lei ad eccezione del paese da cui proveniva, ma suppongo che quello sarebbe stato difficile nasconderlo.
Comunque sia, dalle voci che giravano a Konoha, ero venuto a sapere solo che lei era l'ultima discendente diretta del clan Uzumaki: uno dei più potenti clan del Villaggio del Vortice, specializzato nell'arte dei sigilli.
Pure Mito-sama, l'ormai defunta moglie del Primo Hokage, era stato un membro di quel prestigioso clan e i più superstiziosi, sospettavano che dietro l'improvvisa morte dell'anziana donna, avvenuta pochi giorni dopo l'arrivo della ragazza al villaggio, si celasse un oscuro segreto che coinvolgesse Kushina in prima persona.
Inutile dire che per me, quelle, erano delle assurde cavolate.
Quando Kushina si era trasferita al villaggio, circa tre anni fa, aveva poco più di otto anni. Come facevano a non capire che una bambina non sarebbe mai riuscita a far del male ad una persona del calibro di Mito? E poi, a dirla tutta, lei non aveva mai fatto nulla per meritarsi il trattamento crudele dei ragazzi dell'Accademia. Aveva sempre vissuto con noi, si era impegnata giorno dopo giorno negli allenamenti e anche se non era molto portata per le lezioni teoriche, aveva dato il massimo riuscendo a diplomarsi all'Accademia Ninja nell'arco di un anno insieme a me e pochi altri.
Improvvisamente, sentendo il suo corpo irrigidirsi e tremare come una foglia, ritornai al presente e sbattendo le palpebre, abbassai lo sguardo su di lei, preoccupato; feci giusto in tempo a vedere un piccola lacrima attraversarle la morbida e pallida guancia che, senza capire come avesse fatto a muoversi così velocemente, mi ritrovai le sue esili braccia attorno al collo e il suo viso premuto contro il mio petto.
Quando sentii le sue piccole spalle scosse violentemente dai singhiozzi, credetti seriamente che mi si spezzasse il cuore. E mi chiesi come accidenti avesse fatto a sopportare da sola un simile dolore.
Per tutti al villaggio lei era, l'Akai Chishio no Habanero*, una ragazzina dal temperamento violento e irascibile, ma nessuno si era mai soffermato a vedere quanto dolore in realtà era nascosto dietro al suo sguardo combattivo.
No, non sarebbe stato per niente facile curare le ferite della sua anima.
La strinsi dolcemente a me per confortarla come meglio potevo, sapevo che non ci sarebbero state parole adeguate da dire, quindi preferii rimanere in silenzio.
Non seppi per quanto tempo restammo abbracciati sulla cima di quell'albero, illuminati dalla tenue luce della luna piena, ma ad un certo punto, decisi di riprendere la mia corsa verso Konoha.
Ci trovavamo ancora troppo vicini al territorio nemico per essere completamente fuori pericolo e, cosa non meno importante, lei aveva bisogno di cure.
Quindi, con i sensi in allerta, ripresi a correre silenziosamente verso il villaggio nella speranza di non imbattermi in nessun ninja nemico o in qualche bandito. Purtroppo, non ci trovavamo di certo in un periodo adatto per camminare da soli nella foresta e per giunta di notte; da qualche tempo, infatti, viaggiare poteva dimostrarsi pericoloso anche per i migliori shinobi; c'era già chi parlava persino dell'imminente scoppio di una Terza Guerra Ninja.
Dopo un tempo che per me sembrò interminabile, Kushina, sembrò finalmente calmarsi.
Certo, potevo ancora vederla versare delle lacrime silenziose e, ogni tanto, la sentivo tirare sù con il naso, ma sembrava che il peggio per fortuna fosse passato.
Quando pochi minuti dopo, sentii il suo corpo farsi più pesante tra le mie braccia e la sua testa ciondolare sulla mia spalla, mi fermai di colpo, lanciandole un'occhiata ansiosa. E sospirai di sollievo nel notare che aveva solo ceduto alla stanchezza ed era crollata in un sonno profondo.
Povera ragazza, doveva essere proprio stremata per addormentarsi così all'improvviso; ma, in fondo, chi poteva biasimarla? Chiunque al suo posto sarebbe rimasto spossato da una simile esperienza.
La osservai mentre nel sonno attanagliava con una mano la mia felpa e si stringeva volutamente di più al mio petto, forse, in cerca di quel calore venutole a mancare così prematuramente e per molto tempo; il suo bel viso dai lineamenti a cuore, ancora bagnato e segnato dai solchi delle lacrime appena versate, era distorto da una smorfia sofferente e i lunghissimi capelli rossi si sparpagliavano nell'aria come tante lingue di fuoco danzanti a causa del lieve vento che si era alzato con il calare della sera. E senza accorgermene, mi ritrovai a stringerla maggiormente per trasmetterle tutto il calore di cui ero capace, giurando a me stesso che non avrei permesso più a nessuno di farle del male. Da quel momento in poi, avrei mandato al diavolo pure la mia timidezza per restarle vicino.
«Ti rimarrò sempre vicino, te lo prometto.» le sussurrai, nascondendo il viso tra i suoi capelli e annusandone l'odore. Facevano davvero un buon profumo; chissà quale shampoo usava per lavarli.
Riprendendo nuovamente la mia corsa verso Konoha, cercai di associare tutte le fragranze che conoscevo all'odore inebriante dei suoi capelli, ma la sensazione d'essere seguito mi riportò alla realtà.
Mi concentrai sugli spazi attorno a me e con orrore mi accorsi d'essere circondato; che i ninja della Nuvola avessero già trovato i corpi dei loro compagni?
Non era una probabilità d'escludere.
Preoccupato, feci un rapido calcolo della distanza del villaggio, e anche se avrei corso senza riposo non sarei arrivato prima dell'alba. Troppo tempo, mi avrebbero di certo raggiunto.
Nervoso, aggrottai le sopracciglia. Che cosa potevo fare?
Sì, c'era una remota possibilità che i miei inseguitori potevano essere dei ninja della Foglia impegnati a perlustrare questa zona, ma quanto potevo credere in questa speranza? Per non correre rischi, era meglio trovare un nascondiglio e fare perdere le nostre tracce, almeno, fino a che Kushina non si sarebbe ripresa un po'.
Stavo giusto per cercare un rifugio quando un'imponente stazza si parò all'improvviso di fronte a me, sbarrandomi la strada. Con un poderoso scatto delle gambe, feci un salto indietro, per mettere quanta più distanza tra noi e quel energumeno.
Fu soltanto dopo un secondo sguardo che notai una spaventosa somiglianza tra quel tizio e il maestro Jiraiya: l'unica differenza tra i due però, era il volto più grottesco del primo; infatti, quell'uomo aveva il viso disegnato attorno agli occhi e alle guance da grosse linee rosse, il naso era tumefatto e ripieno di pustole, mentre al mento aveva un corto strato di barba bianca*. Il suo aspetto nel complesso era molto inquietante, ma a mettere in allarme tutti i miei sensi non fu esso, ma l'incredibile chakra che sentivo provenire da lui; non sarei mai riuscito a batterlo.
Sudando freddo, mi piegai sulle ginocchia, indeciso sul da farsi.
Chi diavolo era quel ninja? E cosa voleva da noi?
Lui con un'espressione furente, incrociò le braccia al petto e prendendo un lungo respiro, tuonò: «Mi devi delle spiegazioni, ragazzino!»
Merda! Quello non era una copia mal riuscita di Jiraiya, ma era lui!
Che cosa accidenti gli era successo alla faccia?
«S-sensei?» balbettai, allibito.
Da quando lo conoscevo, non l'avevo mai visto così incavolato: ero veramente nei guai.
Lui per tutta risposta inarcò un sopracciglio, spazientito; rendendo, se possibile, la sua espressione ancor più mostruosa.
«E-ecco...» mormorai, tentando di trovare una scusa valida per spiegare la mia presenza fuori dal villaggio, ma non ne trovai. E poi, ad essere sinceri, tenere Kushina abbracciata a me sotto il suo sguardo indagatore di certo non mi aiutava per niente.
Questa volta, non riuscii ad impedire alle mie guance di imporporarsi.
Perché avevo la brutta sensazione d'essere stato colto in flagrante, come un bambino, con le mani nella marmellata?
Sorprendentemente, a salvarmi da questa situazione fu Kushina, svegliata dall'urlo poco rassicurante del maestro.
«Che succede?» chiese ingenuamente con sguardo assonnato, guardando prima me e poi, Jiraiya. E riuscii chiaramente a sentire il brivido di paura che le attraversò la schiena alla vista del Jōnin.
Lui ricambiò il suo sguardo, curioso.
Evidentemente, aveva notato la paura di Kushina perché, sorridendo bonario, si rilassò e in un battito di ciglia il suo volto tornò normale. «Stai bene, piccola?» chiese, premuroso.
Era davvero incredibile come il suo debole per il gentil sesso, l'avesse intenerito quel tanto che bastava per togliermi dai guai, almeno per il momento, s'intende.
«Sì, credo di si.» rispose, timorosa.
Non l'avevo mai vista così remissiva; istintivamente, la strinsi leggermente a me per farle capire che io, ero accanto a lei.
«Passala a me Minato, la porto io.» si offrì, gentilmente.
A quella proposta però, il corpo di Kushina s'irrigidì e non avevo avuto bisogno di guardarla per capire che fosse contraria; e poi a dirla tutta, nemmeno io volevo separarmi da lei.
«Non si preoccupi Jiraiya-sensei, non è pesante.» risposi di getto, pentendomene l'attimo dopo.
Infatti, lui mi rivolse un'occhiata maliziosa come per dire "Eh eh, birbante!" ed io, distogliendo lo sguardo, sentii le gote andare a fuoco per l'imbarazzo; ma che diavolo di pensieri gli passavano a quel pervertito per la mente? Io non ero come lui!
Grazie al cielo, la nostra discussione fu interrotta pochi secondi dopo dall'arrivo degli altri due componenti del team.
«Jiraiya!» chiamò Tsunade, atterrando accanto al maestro in un turbine di liscissimi capelli biondi. «Mi spieghi perché sei corso via a quel modo, idiota?» gli chiese scontrosa, prima di notare anche la nostra presenza. «Kushina!» esclamò, sbigottita.
«Tsunade-san.» salutò lei, con un sorriso stanco ma felice.
Restai sorpreso dal modo informale con cui si salutarono; possibile che già si conoscessero?
Mi diedi mentalmente dello scemo. In fondo, Kushina, era pur sempre una lontana parente di Mito e Tsunade, invece, era la prima nipote della donna; quindi, non era poi così strano che le due si fossero incontrate prima d'ora.
«Stai bene?» le chiese, scrutandola con un'occhiata indecifrabile. Forse, pure lei aveva notato qualcosa di strano nell'aspetto di Kushina; ma non me ne meravigliai, quella donna, nonostante la sua giovane età, era considerata un vero genio nei ninjutsu medici.
«Io credo che stia divinamente!» borbottò a mezza voce Jiraiya, alludendo al nostro pseudo-abbraccio.
Sospirai esasperato, preferendo ignorarlo; questa volta, non mi sarei liberato tanto presto dalle sue stupide battutine.
Tsunade, non degnandolo neanche di uno sguardo, continuò nella sua attenta analisi. «Minato-kun, la potresti posare a terra? La vorrei visitare.»
Annuii, saltando giù dal ramo in cui mi trovavo e, posandola delicatamente ai piedi dell'albero in modo che la schiena poggiasse al tronco, mi spostai per dare spazio alla donna.
Notai lo sguardo di Kushina, seguirmi in ogni mio più piccolo spostamento quasi non volesse perdermi di vista, ma poi lo distolse, concentrandosi sulla ninja quando si chinò su di lei.
Dopo qualche secondo, Tsunade si voltò verso di me con sguardo assassino.  «Vuoi lasciarci sole?»
Più imbarazzato che spaventato, annuii e andai ad aspettare accanto al maestro impegnato in una fitta discussione con Orochimaru.
«Credi sia stato un caso?» sibilò quest'ultimo, ironico.
«Cosa stai cercando d'insinuare?» rispose l'altro, serio. «Sai qualcosa?»
« Chi io? Assolutamente niente.» disse, facendo spallucce e indicando al compagno la mia presenza. «...Comunque, devo ammettere che il tuo ragazzo ha delle doti molto spiccate; in fondo, non è da tutti lottare alla sua età con dei Jōnin e uscirne illeso. Perché sei stato tu a far fuori quei ninja, no?» mi chiese all'improvviso, con una perversa luce nei suoi occhi serpenteschi.
«Sì.» risposi solamente, troppo impegnato ad osservare Tsunade prestare i primi soccorsi a Kushina per badare a lui.
C'era qualcosa nello sguardo inquieto della donna, che mi metteva in agitazione. E se quei ninja le avessero fatto qualcosa di ben peggiore del solo rapimento? Kushina aveva un'aria così sofferente e poi, anche il maestro sembrava essere preoccupato. E quest'ultimo, non era un buon segno.
Tsunade, le tastò ripetutamente l'addome con un tocco delicato ma deciso, fino a quando, dalle labbra di Kushina non sfuggì un gemito di dolore. Scattai come una molla, avvicinandomi il più possibile, stando attendo però a non intralciare Tsunade.
Nella mia testa, vorticava solo una domanda: Che cosa le avevano fatto quei maledetti?
Con il cuore in gola, osservai Tsunade piegare le labbra in una smorfia arrabbiata e mormorare qualcosa d'indecifrabile tra i denti, prima di richiamare il chakra nelle mani per eseguire quella che io conoscevo come la tecnica del Palmo Mistico*.
Avrei tanto voluto chiederle come stava, ma temevo di distrarla.
Fu lei, a prendere parola dopo un tempo per me interminabile: «È messa male.» disse, gelandomi il sangue nelle vene. «Quei bastardi le hanno causato una grave emorragia interna... per il momento sono riuscita a fermarla, ma bisogna portare Kushina subito al villaggio; non c'è un minuto da perdere.»
Nel pronunciare l'ultima frase, si scambiò un lungo sguardo eloquente con il maestro e compresi che stesse nascondendo qualcosa d'importante sulla salute di Kushina; e come a confermare i miei sospetti, Jiraiya, posò una mano sulla mia spalla e fece un segno affermativo in risposta a una tacita domanda della compagna. Che cosa stavano nascondendo quei due?
Tsunade, voltandosi nuovamente verso Kushina, le toccò la fronte con due dita e, usando la tecnica anestetizzante*, la fece cadere in un sonno profondo.
«Perché l'ha fatto?» chiesi, stanco d'essere all'oscuro di tutto.
«Ha bisogno di riposo.» rispose, laconica; ma era chiaro come il sole che stesse nascondendo qualcosa.
Strinsi i pugni fino a far sbiancare le nocche, pronto a protestare quando, Tsunade, riprese di nuovo la parola. «Jiraiya, trasportala tu. » ordinò con un cipiglio severo, indicando il corpo addormentato della ragazza.
Il maestro annuendo, fece per chinarsi e prenderla tra le braccia, ma io glielo impedii, afferrandola per primo.
Non avrei più permesso a nessuno di toccarla, neppure a lui.
Lui, per tutta risposta, rimase interdetto dal mio gesto per qualche istante però, alla fine, chinò il capo in un muto consenso.
Questa volta, nei suoi occhi neri come la pece, non c'era nessuna ironia e questo mi fece seriamente temere sulle condizioni di salute di Kushina. Che cosa stava nascondendo Tsunade?
Con il cuore in gola per l'ansia, la strinsi al mio petto.
Avevo una così fottuta paura di perderla da sentire il sangue andare alla testa, ma questo non era il secondo adatto per permettersi di perdere il controllo; mordendomi con forza il labbro, ricacciai indietro tutte le mie paure.
«Beh? Che cosa ti prende, ragazzino?» chiese la bionda, scocciata.
«Lascia stare, Tsunade.» mi difese, il maestro. «L'importante è portare la ragazza al villaggio, non chi la trasporta.»
Lei storse il naso, ma non protestò ulteriormente; mentre, Jiraiya, prima di riprendere la corsa mi lanciò un ultimo sguardo indecifrabile.
Riprendemmo la corsa verso Konoha in schieramento: Orochimaru correva davanti a tutti noi in avanguardia, io che trasportavo Kushina ero al centro ed infine, il maestro e Tsunade chiudevano le file in retroguardia.
Il viaggio per più di un'ora, proseguì in assoluto silenzio.
Silenzio, che fu spezzato ad un tratto dalla voce di Jiraiya: «Orochimaru!» chiamò, attirando l'attenzione del suo compagno che si voltò leggermente verso di lui. «Quando giungeremo a Konoha, corri direttamente da Sarutobi-sensei e avvisalo che abbiamo dovuto portare d'urgenza la ragazza all'ospedale.»
«E per il rapporto?»
«Lo faremo dopo.»
Orochimaru, sembrò essere riluttante, ma tornò a guardare davanti a sé senza dire più una parola. Evidentemente, non gli piaceva molto dover prendere ordini dal maestro.
Osservai Jiraiya con la coda dell'occhio, stava correndo pensieroso alla destra di Tsunade, e questo mi rendeva estremamente sospettoso; lui, non mostrava mai la sua preoccupazione, preferiva affrontare le cose con ironia e se questa volta era diversa dalle altre, la cosa doveva essere davvero grave.
Rallentando, mi misi quasi al passo con lui.
«Sensei?» chiamai, accigliato.
«Cosa succede?» domandò lui, distraendosi dai suoi pensieri.
«Mi dica la verità.» dissi tutto d'un fiato, senza mezzi termini. «...Cos'altro le hanno fatto quei bastardi?»
La mia domanda lo fece sorridere. «Non ti si può nascondere niente, eh?»
Non risposi, continuando a correre.
Lui, sbuffando, si voltò verso Tsunade che prese parola. «Ne sei sicuro?» chiese all'amico, incerta.
«Sì, farebbe di tutto per proteggerla. E poi, a ben pensarci, ormai è abbastanza immischiato in questa storia.» disse un po' canzonatorio, forse per spezzare la tensione.
«Bene, ma sarà una tua responsabilità.» borbottò contraria, per poi rivolgersi a me. «Le hanno bloccato il sistema circolatorio del chakra con un sigillo.» mormorò, assumendo un cipiglio furente.
Che cosa? Un sigillo in grado di bloccare il chakra?
Esisteva davvero qualcosa del genere?
«Di che si tratta?» domandai preoccupato, sentendo il mio cuore martellare impazzito nel petto.
«Non posso dirti di più, anche perché non ne so molto neppure io, ma una volta credo di avere letto qualcosa del genere nei libri di mia nonna; comunque, se non spezziamo quel sigillo, dubito che lei possa riprendersi completamente.»
«In che senso?»
«Beh, in poche parole, non potrà più essere una kunoichi.» spiegò, rammaricata.
«Capisco.» sospirò Jiraiya, rassegnato; era come se sospettasse già quest'eventualità.
Possibile che lui sapesse qualcos'altro che non mi voleva dire? Che altro mi stavano nascondendo quei due?
Serrai le mascelle, furibondo.
Non avevo tempo da perdere con gli indovinelli, perché non mi dicevano come stavano esattamente le cose? E poi, come avevano osato i ninja della Nuvola farle una cosa così atroce? E perché proprio a lei?
Stavo rimuginando su questi pensieri quando un'altra orribile domanda mi passò per la testa: e se i danni riportati al suo sistema circolatorio le avessero lasciato qualche handicap duraturo?
«Tsunade-sama.» chiamai, cercando di non far trapelare la mia paura dalla voce. «Se quel sigillo non si spezzasse, Kushina riporterà qualche danno fisico o qualcosa del genere?»
Lei mi lanciò un'occhiata indagatrice, quasi volesse capire cosa mi stesse frullando per la testa, ma poi rispose. «No, non dovrebbe riportare nessun altro danno persistente.»
«Bene.» ribadì, segretamente sollevato.
Certo, non riuscivo ad immaginare la sua reazione ad una simile notizia ma, almeno, la sua vita non era in pericolo.
Osservai il suo viso pallido e sudato che non riusciva a trovare pace neanche nel sonno imposto dall'anestesia, e giurai a me stesso che d'ora in poi, l'avrei sempre protetta.
Non m'importava se la sua carriera da kunoichi fosse finita quella sera per mano degli shinobi della Nuvola, sarei rimasto comunque al suo fianco per aiutarla in ogni suo bisogno. Non l'avrei più lasciata sola per nessun motivo.
Con questa decisione nel cuore, tornai  a guardare davanti a me, sperando ardentemente d'arrivare al villaggio il prima possibile. E quando, finalmente, giungemmo alle mura di Konoha era quasi l'alba.
Per non perdere tempo, saltammo direttamente dalle mura laterali del villaggio e iniziammo a correre di tetto in tetto.
Orochimaru, si separò ben presto dal nostro gruppo per andare ad avvisare l'Hokage, mentre noi, continuammo la nostra corsa fino all'ospedale, che si trovava quasi al centro del villaggio.
Quando vidi l'enorme edificio bianco con il tetto azzurro, ero quasi senza fiato.
Correre con il corpo addormentato di Kushina per tutte quelle ore, mi aveva letteralmente stremato; ed ora sentivo ogni singolo muscolo tremare e tirare in modo doloroso, ma, nonostante tutto, non mi pentivo di nulla.
Con le ultime forze rimaste, la posai delicatamente su una barella che gli infermieri si erano precipitati a portare sotto le direttive di Tsunade e, mentre sentivo i medici correre a destra e a manca per preparare la sala operatoria, afferrai una ciocca dei suoi morbidi e lisci capelli con le dita tremanti per lo sforzo precedentemente compiuto.
«Sii forte, vedrai, andrà tutto per il meglio.» le bisbigliai ad un orecchio, anche se sapevo benissimo che lei non poteva sentirmi a causa dell'anestesia. «Io starò qui ad aspettarti, non ti preoccupare.»
Quando gli infermieri iniziarono a spingere la barella verso la sala operatoria, lasciai scorrere i suoi lunghissimi capelli tra le mie dita e la osservai sparire dietro quella porta bianca; pregando in cuor mio con tutte le mie forze che tutto andasse bene, perché ora che ero riuscito finalmente a trovarla, non l'avrei voluta perdere per nessuna ragione al mondo.
«Minato?» mi chiamò Jiraiya, posando un braccio sulle mie spalle.
«Sì, sensei?» chiesi, non riuscendo a distogliere lo sguardo dalla porta della sala operatoria, sentendo la mia testa svuotarsi da ogni pensiero.
«Ti va di fare due passi?»

























Note dell'Autore:
Beh, che dire? Ecco a voi il primo capitolo che per chi avrà letto "Contro il Nostro Destino" lo troverà molto simile al precedente lavoro. Questo perché, come ho già spiegato nel prologo, la storia è stata soltanto riveduta e leggermente modificata.
Vorrei ringraziare:
Siria_Ilias e _Kurama_  per aver inserito la storia tra le seguite; crazyfrog95 per averla inserita tra le ricordate ed infine, ma non meno importante, mora79 e nuovamente _Kurama_ per aver recensito lo scorso capitolo.
Ci terrei anche a ringraziare tutti i lettori silenziosi.
Grazie, per aver speso il vostro tempo nel leggere la mia storia! Grazie di cuore ragazzi/e.
Rosye.





Ulteriori Note:
*La regola numero 25, viene menzionata da Sakura nell'episodio 18 di Naruto "Un'arma ninja".
*Ninja inseguitori, non hanno niente a che vedere con i ninja del Villaggio della Pioggia.
*Le parole di Kushina sono tratte dall'episodio 246 di Naruto "Bagliore Arancione".
*Yūhi-sensei è un personaggio di mia invenzione, ma il cognome è stato ispirato da Kurenai. Infatti, non si sa molto sulla sua famiglia quindi, ho pensato: "perché no? Magari, aveva uno zio insegnante all'Accademia Ninja".
*Taijutsu, per chi non lo sapesse sono le Arti Marziali.
*Lo scambio di parole tra Minato e Kushina scritto in grassetto è stato tratto dall'episodio 246 di Naruto "Bagliore Arancione".
*l'Akai Chishio no Habanero, significa letteralmente "Peperoncino Rosso Piccante" è il soprannome con cui viene chiamata Kushina a causa delle sue continue rappresaglie con i ragazzi del villaggio.
*Jiraiya ha utilizzato la modalità Eremitica che per il momento era sconosciuta a Minato, nel corso del prossimo capitolo spiegherò perché lui ha ricorso a questa tecnica.
*Palmo Mistico, ninjutsu medico che consente di accelerare il processo di guarigione naturale del corpo tramite la diffusione di chakra dalle mani del ninja curatore al ferito.
*Tecnica anestetizzante, lo vista usare a Neji Hyūga nel film "Naruto Shippuden: L'esercito Fantasma". E anche se so che i film non sono collegati direttamente all'anime o al manga, ho pensato di usarla lo stesso.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Lotteremo Contro il Nostro Destino!
Capitolo 2




 









- Minato -




 
«Ti va di fare due passi?»


La sua, poteva pure sembrare una frase di circostanza come tante altre, detta quasi a caso, eppure, la sottile nota d'urgenza presente nella sua voce, mi fece comprendere che questa volta non era come tutte le altre.
Voleva parlarmi e, molto probabilmente, voleva interrogarmi su quello che era successo nella foresta con quegli shinobi della Nuvola e sapere anche tutti i dettagli su com'ero riuscito a portare in salvo Kushina.
Lo guardai negli occhi per qualche secondo prima di puntare nuovamente il mio sguardo sulla porta della sala operatoria.
Sapevo che questo momento sarebbe arrivato, ed ero anche consapevole di dovergli dare molte spiegazioni ma, sinceramente parlando, non m'importava.
Ci sarebbe stato tempo per quelle ed anche per i suoi rimproveri; adesso, l'unica cosa davvero importante per me, era sapere se Kushina si sarebbe ripresa del tutto o no. E poi, le avevo promesso che l'avrei aspettata e, sebbene ero consapevole che non mi avesse sentito a causa dell'anestesia, avevo comunque intenzione di mantenere la mia promessa ed attendere pazientemente che lei uscisse da lì.
Quindi, non ci impiegai molto a rifiutare la sua proposta: «No, vorrei restare qui.» risposi, scuotendo piano la testa.
Per qualche secondo sentii i suoi occhi scrutarmi con insistenza ma quando sollevai il mio sguardo verso di lui, Jiraiya, si era già voltato dall'altra parte.
«È inutile, alle volte, sei più testardo di un mulo.» commentò tra i denti, togliendo il braccio dalle mie spalle.
Più sorpreso dal tono che aveva usato che dalle parole in sé per sé, lo osservai allontanarsi da me e raggiungere con passo lento una delle due panche in pelle nera presenti ai lati del piccolo corridoio che fungeva pure da sala d'attesa, e sedersi su di essa con un sospiro esasperato. Per un po' non disse niente, chiudendosi in una sorta di strano mutismo.
La sua espressione era talmente seria che preferii lasciarlo riflettere in santa pace ed aspettare in silenzio il momento in cui avrebbe iniziato a parlare: che a giudicare dalla rigidità della sua mandibola, sarebbe successo di lì a un minuto circa. Ed infatti, neppure a dirlo: «Si può sapere perché non sei rimasto al villaggio come ti avevo espressamente ordinato di fare?» sbottò, visibilmente contrariato, incrociando le braccia al petto e rivolgendomi uno sguardo di fuoco. «Ti rendi almeno conto del pericolo che hai corso iniziando una missione in solitaria senza dire niente a nessuno?» continuò poi, imprecando tra i denti: «Accidenti a te! Vorrei davvero sapere cosa diavolo ti sia passato per la testa per fare una sciocchezza del genere, perché credimi, sto cercando di capirlo, ma proprio non ci riesco!»
Contrariamente a quanto mi aspettassi non stava urlando, anzi, le sue parole erano appena sussurrate, però, la profonda delusione che trapelava dai suoi occhi ebbe su di me l'effetto di un pugno nello stomaco.
Con tristezza, mi ritrovai a pensare che non l'avevo mai visto tanto deluso dalle mie scelte come in quel momento e questo, mi fece molto male; ma nonostante tutto, non riuscivo a pentirmi di essere corso in aiuto di Kushina.
Sospirando a mia volta, mi andai a sedere accanto a lui.
«Mi dispiace, sensei.» mormorai con lo sguardo basso, incapace di aggiungere altro.
In questi due anni trascorsi come allievo e maestro, questa, senza ombra di dubbio, era la prima volta che mi trovavo in difficoltà a parlare con lui. E in parte, il fatto era dovuto che guardando la faccenda dal suo punto di vista non potevo in nessun modo dargli torto.
Insomma, diciamocelo, mi ero comportato come un idiota e come tale avevo disubbidito all'ordine che mi era stato dato per intromettermi in una missione non mia, senza nessuna autorizzazione né qualifica; per di più, ero uscito dal villaggio da solo per andare ad affrontare dei nemici che neppure conoscevo, rischiando – in questo modo, tra l'altro – di farmi ammazzare inutilmente come uno stupido.
Il mio comportamento, visto da questa prospettiva, era stato davvero sconsiderato, anche se, in quel momento, guidato dalle mie emozioni credevo di stare facendo la cosa giusta; però, nonostante mi rendessi conto di aver sbagliato, non riuscivo in nessun modo a pentirmi di ciò che avevo fatto; al contrario, ero fermamente convinto che se una cosa del genere fosse riaccaduta, avrei fatto comunque e senza ripensamenti la stessa identica scelta di correre in suo aiuto.
Con questi pensieri per la testa, gli lanciai una breve occhiata, giusto in tempo per vederlo stirare le labbra nel suo classico sorrisetto ironico: « “Ma non sono pentito di aver disubbidito ai suoi ordini!”. È questo quello che volevi dire, no?» mi chiese, come se mi avesse letto nella mente.
Sapevo che le sue parole erano dettate dalla rabbia e forse, anche dalla preoccupazione che aveva provato nel vedermi nella foresta ma, nonostante ciò, non riuscii ugualmente ad impedirmi di restarne stupito; soprattutto, ciò che mi colse totalmente di sorpresa e mi lasciò del tutto basito, fu il tono quasi crudele con cui mi rivolse quella domanda retorica.
Rimasi in silenzio, senza essere in grado di replicare. E d'altronde, come avrei potuto farlo? Aveva semplicemente dato voce a tutto quello che avevo pensato fino a quel momento.
Colpevole, abbassai nuovamente lo sguardo a terra.
«Almeno mi spieghi perché l'hai fatto?» mi domandò ancora, mortalmente serio.
Era chiaro che non avrebbe lasciato correre: voleva una spiegazione e, a giudicare dall'espressione inflessibile del suo volto, doveva anche essere abbastanza soddisfacente da giustificare le mie azioni.
Mi passai una mano tra i capelli, sentendomi messo con le spalle al muro: non mi piaceva dover sbandierare i miei sentimenti ai quattro venti. Era un qualcosa che mi metteva enormemente a disagio, ma cos'altro potevo fare?
Serrai le labbra e mantenni lo sguardo fisso su i miei sandali nella vana speranza che, con quel semplice gesto, potessi evitare di rispondere ma lui, non si diede per vinto, anzi, spazientito dal mio continuo silenzio, insistette per avere una risposta: «Allora?» mi chiese, aggrottando, se possibile, ancora di più le sue folte sopracciglia.
Gli lanciai un'ultima occhiata prima di prendere un profondo respiro e decidermi finalmente a sussurrare quelle parole che per me, costavano un enorme fatica: «Sentivo che se non fossi corso in suo aiuto l'avrei persa per sempre. E questo, non potevo accettarlo.»
Dopo ciò che ero stato costretto a dire, non riuscii più a guardarlo in faccia; non ne avevo il coraggio per farlo. Mi limitai soltanto a spostare nuovamente lo sguardo sulla porta della sala operatoria nel vano tentativo di non fargli notare il mio crescente imbarazzo e ad osservarlo di sottecchi. Non che avessi problemi a confidarmi con Jiraiya – lui era il mio maestro e il mio mentore – ma quella era la prima volta che raccontavo a qualcuno dei miei sentimenti per Kushina o per meglio dire, della mia infatuazione per lei. E questo, anche se potrebbe sembrare stupido, mi metteva estremamente a disagio: era un po' come se mi stessi spogliando in mezzo alla piazza centrale del villaggio nell'orario di punta, sotto gli occhi di tutti.
A peggiorare ulteriormente le cose fu pure la reazione inaspettata di Jiraiya che invece di infuriarsi ed urlare come un matto per quella ragione che ai più, poteva sembrare poco significativa, oppure fare battutine stupide e maliziose sulle ragazze, come ci si aspetterebbe da un tipo del suo genere, rimase completamente immobile a fissarmi con gli occhi sbarrati e la bocca semiaperta, piegata in una smorfia di educato stupore.
Per mia fortuna comunque, il tutto durò soltanto pochi attimi che furono accompagnati da un profondo e, ripeto per la centesima volta, “imbarazzante” silenzio che mi fece arrossire fino alla radice dei capelli, prima che lui si decidesse a dire qualcosa di quantomeno comprensibile.
«Ah...» gracchiò, con voce strozzata, come se qualcosa di grosso ed estremante viscido gli fosse andato di traverso giù per la gola. «Ehm… cioè… tu...» balbettò, puntando il suo grosso indice contro di me per poi spostarlo su quella benedetta porta. «E lei? Cioè, voi dueuhm!» esclamò infine, chiudendo di scatto gli occhi e grattandosi nervosamente la fronte in maniera melodrammatica.
Arrossii fino alla radice dei capelli quando compresi a cosa stava pensando quella vecchia volpe pervertita, certo e sicuro che in quel momento le mie guance, a differenza delle sue leggermente impallidite, avessero preso un bel colorito rosso acceso, simile, e forse più brillante, della lunga chioma di Kushina – il ché, era tutto dire, eh!
«No!» esclamai paonazzo, ormai al limite della sopportazione e, desiderando intensamente conoscere qualche tecnica che mi permettesse di sparire all'istante dalla sua vista. «Non è come pensa!» ci tenni a precisare l'attimo seguente, per non fargli creare altre strane idee in testa. «Lei è bella, sì, ma la storia finisce qui. Io e Uzumaki, non abbiamo quel genere di rapporto.»
Alla mia affermazione, lui però, mi rivolse uno strano sguardo, era una sorta di miscuglio tra l'incredulità e la compassione. Era chiaro che da quel momento, qualsiasi cosa gli avrei detto per smentire le sue “strane idee” sul mio rapporto con Kushina, non ci avrebbe assolutamente creduto.
«Eppure sei corso in suo aiuto perché avevi paura di perderla.» disse con un sorrisetto malizioso, usando le mie stesse parole come prova indiscussa della sua teoria. «… e non pensi che tutto questo sia strano?» mi chiese con ovvietà, senza darmi neppure il tempo di replicare. «Non tutti sono disposti a rischiare la propria vita per salvare quella di una ragazza che considerano “soltanto bella”, ma tu l'hai fatto.»
Nel rendermi conto di essere stato messo davvero con le spalle al muro, mi scappò un piccolo sorrisetto: Jiraiya, alle volte, si dimostrava essere un pericoloso osservatore capace di metterti in difficoltà con una semplice considerazione; anche se, spesso, dimenticava che ormai, in un modo o nell'altro, ero diventato pure io bravo ad eludere le sue battutine spinose.
«Beh, non mi sembra tanto strano…» risposi, assumendo la mia migliore faccia da poker. «…anch'io conosco qualcuno tanto pazzo da morire volentieri per una bella ragazza.»
La mia allusione al suo debole per le donne, lo lasciò senza parole e, per un lunghissimo istante, restò ad osservarmi spiazzato ma poi, sorrise accondiscendente: «L'hai detto ragazzo mio, l'hai detto!» esclamò, totalmente divertito dalla piega della discussione e dimenticandosi del tutto della ramanzina che mi stava facendo.
Con sollievo, notai pure che nei suoi occhi era scomparsa pure ogni traccia di delusione. E ingenuamente, per un singolo istante, mi chiesi che tipo di scelta avrebbe compiuto lui se si fosse trovato al mio posto; conoscendolo però, non credevo proprio che si sarebbe fermato a pensare alle regole o alle conseguenze. Era troppo istintivo per farlo.
«Comunque...» aggiunse, tornando improvvisamente serio. «…nonostante comprenda il motivo per cui hai fatto una simile sciocchezza, questa ragione non è abbastanza per salvarti dal Consiglio. Sarai sicuramente sottoposto ad un'ammonizione disciplinare, lo sai, vero?»
Alle sue parole, non riuscii a trattenere un sospiro.
Ero consapevole che la vita di uno shinobi era costituita per la maggior parte da regole ferree che un ninja doveva onorare e rispettare fino alla sua morte, ma io ero del parere che non sempre quelle regole erano giuste. Per me infatti, c'era qualcosa di indubbiamente più importante e prezioso del rispettare alla lettera il regolamento e, quel qualcosa, era la vita dei miei compagni.
Quindi, non m'importava di dover affrontare il Consiglio: avrei accettato qualsiasi punizione mi avrebbero dato per la mia insubordinazione. Del resto, era giusto così.
«Lo so.» risposi laconico, annuendo appena.
«Non hai paura?» mi chiese, probabilmente preoccupato dalla mia scarsa reazione.
Lo osservai per qualche secondo meditando il senso della sua domanda.
Era ovvio che avessi paura, ma non potevo non prendermi la responsabilità del mio gesto. In un momento di allarme, avevo lasciato il villaggio per correre dietro a dei nemici, ignorando gli ordini di restare e proteggere la Foglia. Ed anche se ero riuscito a portare in salvo l'ostaggio, questo non cambiava che le mie azioni potevano causare dei seri problemi a tutti.
In pratica, avevo disertato, ed adesso, volente o no, ne dovevo pagare le conseguenze, punto.
«Sì, ho paura...» ammisi, senza nessuna vergogna. «… ma è giusto che mi prenda le mie responsabilità. Come dice lei sensei, le mie motivazioni non sono abbastanza importanti per giustificare il mio gesto di fronte al Consiglio e, anche se per me la priorità assoluta era quella di salvare Uzumaki, per il codice ninja ho commesso ugualmente una grave colpa e adesso, che mi piaccia o no, ne devo rendere conto.»
Alle mie parole, Jiraiya, si lasciò sfuggire un pesante sospiro. «Così non va bene...» mormorò tra sé e sé, leggermente afflitto.
Lo guardai incerto, senza comprendere di cosa stesse effettivamente parlando; e lui sembrò intuire la mia domanda silenziosa perché, scuotendo il capo, mi fece segno di lasciar perdere.
«Comunque, ho un'altra domanda da farti.» mi disse poi, cambiando completamente discorso ed assumendo un'espressione alquanto perplessa. «Come ci sei riuscito?»
«A fare cosa?» domandai, cadendo totalmente dalle nuvole.
«A trovarla» mi spiegò lui, sogghignando divertito. «O meglio, come sei riuscito a capire subito in che direzione era stata portata via?»
«Ah, quello.»
«Sì, quello. È da un po' che me lo sto chiedendo, ma non riesco proprio a capire come tu abbia fatto.»
Mi presi un momento per rispondere, pensando che anch'io avevo delle domande da porgli. Non avevo di certo dimenticato le strane occhiate che si era scambiato con Tsunade nella foresta e, non avevo nemmeno capito perché tra tutti i membri della Foglia, il Villaggio della Nuvola, avesse tentato di rapire proprio Kushina.
Mi passai una mano tra i capelli, sentendo all'improvviso piombarmi addosso tutta la stanchezza lasciata da quell'assurda missione di salvataggio. Con un movimento lento, misi una mano nella tasca della felpa, avvertendo subito al tatto la presenza dell'oggetto che stavo cercando.
«Risponderò ad una condizione.» dissi infine, deciso a scoprire qualcosa pure io.
Lui mi fissò leggermente confuso, ma alla fine annuì. «Di che si tratta?»
«Voglio delle risposte. E devono essere sincere.» precisai, puntando i miei occhi nei suoi.
Se rimase sorpreso, questa volta non lo diede a vedere. Si limitò soltanto a sostenere il mio sguardo senza battere ciglio, cercando forse, qualche traccia di tentennamento, ma non ne trovò nessuna.
«D'accordo.» acconsentì, dopo un tempo che per me sembrò infinito, cogliendomi, nonostante tutto, di sorpresa. «Cosa vuoi sapere?»
Non me lo feci ripetere due volte.
«Voglio sapere perché la Nuvola ha messo gli occhi su Kushina.» dissi di getto, dimenticando persino di usare il suo cognome, e iniziando proprio con ciò che più mi premeva sapere.
Infatti, ci avevo riflettuto parecchio durante il tragitto per ritornare al villaggio ed ero giunto all'unica conclusione che quei ninja non avevano rapito Kushina per puro caso. Cercavano qualcosa da lei e questo, poteva dimostrarsi un vero problema; perché se Kumo era venuto a conoscenza di qualche abilità che noi ignoravamo, probabilmente, anzi no, sicuramente sarebbero tornati a cercarla ancora.
«Cosa ti fa credere che abbiano messo gli occhi su di lei?» mi chiese invece Jiraiya a brucia pelo, con un finto tono canzonatorio. «Quei ninja potrebbero benissimo averla scambiata per qualcun altro, non credi?»
Gli rivolsi un'occhiata seria, incredulo che lui potesse realmente pensare di ingannarmi tanto facilmente.
«No, non credo.» risposi pacato, nascondendo l'irritazione sotto metri di calma apparente e prendendolo in contro piede. «Perché altrimenti non si spiegherebbe il motivo per cui abbiano rischiato tanto per averla, organizzando addirittura un rapimento in pieno giorno e per giunta all'interno di un villaggio nemico. E tra l'altro, non si spiegherebbe neppure il perché le abbiano bloccato il chakra con quel sigillo; a meno che...» mi presi deliberatamente un momento di pausa prima di concludere la mia frase, un momento in cui lo fissai attentamente per leggere la sua espressione ma quella, era diventata seria e impassibile proprio come la mia. «…a meno che, non ci sia sotto qualcosa di veramente grosso, giusto?»
Alla mia domanda, sospirò pesantemente e con un movimento repentino scattò in piedi, dirigendosi con passo strascicato verso le ampie e quadrate finestre presenti nel lato destro del corridoio, proprio di fronte alla panca in cui ero seduto. Non mi rispose, ma a questo punto avevo già ottenuto la conferma di cui avevo bisogno.
Era davvero lei l'obiettivo.
Ora dovevo capire il perché lo era diventata.
Osservai le spalle di Jiraiya, attendendo una qualche spiegazione ma lui, non disse niente. Ed era anche chiaro che difficilmente avrebbe detto qualcosa su questo argomento.
«Sensei.» lo chiamai paziente, ringraziando il cielo che il mio tanto decantato autocontrollo fosse tornato dalla sua momentanea vacanza e mi stesse impedendo di dare di matto. «Non mi aveva detto che avrebbe risposto alle mie domande?»
Lui sospirando nuovamente, si voltò verso di me, poggiò il bacino contro il piccolo davanzale della finestra e incrociò le braccia al petto.
«Per essere precisi, ti ho chiesto cosa volessi sapere, ma non mi sembra che ti abbia detto che avrei risposto a qualsiasi tua domanda.» precisò, sollevando leggermente gli angoli della bocca all'insù.
Era evidente che credeva di avermi messo nel sacco.
Scocciato da quel pessimo gioco di parole, gli rivolsi un'occhiata del tutto che benevola.
«Non mi prenda in giro, sensei.» sbuffai, spazientito.
Lui si lasciò scappare una piccola risata prima di tornare ad essere serio. «Hai ragione, scusa, non era divertente.»
«Cosa vogliono da Kushina?» chiesi ancora, ignorando i suoi tentativi di cambiare discorso.
Lui si lasciò scappare un'altra risata: «Hai notato che questa è la seconda volta in meno di mezz'ora che la chiami per nome?» mi domandò invece, con un ghigno allegro. «Stai attento, le persone, sentendoti chiamarla così, potrebbero fraintendere il vostro grado di relazione.»
«Sensei!» sbottai, ormai al limite della pazienza. «Per piacere, può tornare ad essere serio?»
«Perché lo vuoi sapere?» mi domandò, alla fine.
«Perché il mio istinto mi dice che presto loro torneranno a cercarla e non voglio correre il rischio di trovarmi impreparato quando questo accadrà.» lo dissi con una tale determinazione che sentire quelle parole uscire dalla mia bocca fece uno strano effetto pure a me; ma non ci badai troppo, perché la mia attenzione fu catturata dallo sguardo indecifrabile di Jiraiya.
«Hai deciso di proteggerla, non è vero?»
Annuii, senza distogliere lo sguardo dal suo.
«Anche se questo ti porterebbe a rischiare continuamente la tua vita?»
Nei suoi occhi neri come la pece, balenò una strana luce d'inquietudine che mi fece comprendere che la sua domanda non era stata detta così a caso.
Jiraiya sapeva davvero qualcosa, e quel qualcosa, in qualche modo, lo preoccupava seriamente.
«Mi dica la verità, sensei. Cosa si nasconde dietro questo rapimento?»
Lo vidi scuotere la testa, contrariato. «È complicato.» disse soltanto, distogliendo lo sguardo dal mio e facendolo vagare per la piccola saletta d'attesa senza però, guardare niente in particolare.
Dal suo comportamento evasivo, compresi che la storia doveva essere più seria di quanto pensassi. Alzai un sopracciglio, cercando di mostrarmi il più indifferente possibile alle sue parole mentre in realtà, dentro di me, mi sentivo una bomba a pressione pronto ad esplodere alla minima vibrazione.
«Mi faccia indovinare...» buttai lì, intuendo quale fosse in realtà il vero problema per cui Jiraiya non mi rispondeva. «...mi sono immischiato in una missione top-secret, vero?»
Lui tornò a puntare i suoi occhi penetranti su di me, arricciando gli angoli della bocca in un vispo sorrisetto. «Non proprio, ma ci sei andato molto vicino.»
«In che senso?» chiesi, preso totalmente alla sprovvista dalla schiettezza con cui questa volta mi rispose.
«Minato, ascoltami bene...» mi ordinò, lanciando un'altra breve e furtiva occhiata attorno a noi, prima di rivolgermi la sua totale attenzione. «...non posso dirti molto su questa storia perché neppure io conosco i dettagli. Non so perché abbiano rapito proprio quella ragazzina. E visto che non c'è nemmeno un sopravvissuto tra i rapitori a cui poter domandarlo, credo che il miglior modo per saperlo sia quello di chiedere alla diretta interessata, lei lo saprà certamente, o almeno, è quello che spero.»
Le parole di Jiraiya sembravano sincere ma, nonostante tutto, sentivo comunque la strana sensazione che non mi stesse dicendo tutta la verità.
C'era dell'altro, ne ero sicuro.
«Non mi inganni, sensei.» brontolai, irritato dalle sue continue risposte vaghe. «Anche se lei non è a conoscenza del motivo per cui Uzumaki è stata rapita, sono sicuro che non è completamente estraneo a questa faccenda. Ho notato l'occhiata che vi siete scambiato con Tsunade-sama nella foresta, non sono stupido: voi temevate la presenza di quel maledetto sigillo. E la domanda mi sorge spontanea: perché? Perché non eravate sorpreso quanto me dell'esistenza di quell'affare?» gli domandai tutto d'un fiato, consapevole già che non avrei ottenuto nessuna risposta.
Infatti, da qualche minuto, mi era venuto il forte sospetto che questo maledetto sigillo centrasse in qualche modo con la missione segreta di cui Jiraiya da qualche tempo si stava occupando con il suo vecchio team, e che spesso, lo costringeva a brevi e continue partenze.
«Lo avevate già visto da qualche altra parte, non è vero?» continuai a chiedere, ma come c'era d'aspettarsi, non mi rispose; si limitò soltanto ad osservarmi con le braccia incrociate al petto.
Sospirai stancamente.
Così non saremmo andati da nessuna parte: Jiraiya non avrebbe davvero detto una parola in più su quel sigillo, era evidente.
Per il momento, avrei fatto meglio ad arrendermi e sperare che Tsunade conoscesse quel sigillo molto più di quanto in realtà non mi avesse voluto far credere.
«Sensei.» chiamai alla fine, in un sussurro arrendevole. «Mi dica almeno se Tsunade-sama conosce davvero un modo per spezzare quel dannato sigillo. Non mi interessa sapere altro per il momento; solo che lei si riprenderà completamente.»
Alla mia supplica, lo sguardo di Jiraiya si ammorbidì leggermente e, con un piccolo sbuffo, lo vidi sedersi nuovamente vicino a me.
«Non preoccuparti Minato, Tsunade è la migliore nel suo campo. Sono certo che farà del suo meglio per aiutare quella ragazza.»
I suoi occhi di solito scuri come una notte senza stelle, ebbero un guizzo e brillarono di luce propria nel pronunciare il nome della sua vecchia compagna di squadra. E fu inevitabile per me, chiedermi se pure lui – come me, del resto – stesse nascondendo da molto tempo nel profondo del suo cuore dei sentimenti per una ragazza in particolare.
In fin dei conti, adesso che ci pensavo, non avevo mai visto Jiraiya mostrare serio interesse per nessuna ragazza. O per meglio dire, sì, lui giocava con tutte le belle donne che gli venivano a tiro e magari, con chi glielo permetteva si concedeva pure una notte di passione ma, il tutto, finiva lì. Nessuna era mai stata in grado di attirare la sua attenzione, almeno, era questo che credevo fino a pochi istanti prima, quando, i suoi occhi, involontariamente, l'avevano tradito.
Era proprio vero quel detto che diceva: “gli occhi sono lo specchio dell'anima”.
Perso per com'ero nei miei pensieri, non mi ero accorto neppure che Jiraiya aveva ripreso a parlare.
«...ma mi stai ascoltando?» mi chiese, rivolgendomi un'occhiata preoccupata. «Ragazzo mio, ti senti bene? Sei piuttosto pallido.»
Effettivamente, mi sentivo oltremodo esausto.
«Sono solo un po' stanco.» minimizzai, reclinando leggermente la testa all'indietro fino ad appoggiare la nuca nel muro alle mie spalle.
«Ed affamato, aggiungerei.» scherzò lui, al brontolio improvviso e prorompente del mio stomaco che si fece udire proprio in quel momento.
Sorrisi a mia volta, imbarazzato, accarezzandomi l'addome.
«Con quello che è successo non ho avuto tempo per cenare.»
«Già, neppure noi.» commentò, con tono fintamente afflitto. «Non pensavo che questo lavoro chiedesse così spesso gli straordinari! Accidenti a me e a quando ho scelto di seguire il mestiere di famiglia!» se ne uscì tutto ad un tratto, con fare melodrammatico, riuscendo perfino a strapparmi una risata.
La sua risata si unì presto alla mia e, per un brevissimo istante, mi sentii bene; ma poi, i miei occhi, si posarono su quell'odiatissima porta bianca e il sorriso mi morì sulle labbra.
Jiraiya dovette notarlo perché riprese subito a parlare: «Comunque, non mi hai ancora detto come sei riuscito a trovare la pista giusta. Che trucchetto hai usato?»
Sorrisi debolmente, sentendomi addosso tutta la stanchezza lasciata da quell'assurda missione di salvataggio. Lentamente, tirai fuori dalla tasca della felpa le lunghe ciocche cremisi che ancora conservavo e gliele mostrai.
Lui le osservò per qualche secondo prima di chiedere con un sopracciglio inarcato e un tono incredulo: «Capelli?»
Annuii impercettibilmente, osservando pure io quei bellissimi capelli ramati che sembravano risplendere come oro rosso sulla carnagione chiara della mia mano.
«Li aveva lasciati lungo la strada come segnale.» risposi in un sussurro, mentre con la mia mente rivivevo ogni singolo istante di quei tremendi momenti.
Ne ero certo, non li avrei mai dimenticati.
Non avrei mai potuto dimenticare la sensazione di gelo che mi aveva contratto lo stomaco alla vista di quella pozza di sangue, o l'orrenda, quanto soffocante, paura che avevo provato al pensiero di non riuscire ad arrivare in tempo.
Alzai lo sguardo, facendolo vagare per il corridoio senza meta, desiderando, dal profondo del mio cuore, essere accanto a lei in quel momento e non, dietro una stupida porta, ad aspettare impotente l'esito di quell'operazione.
«Non li avevo notati.» ammise, sorpreso.
«È questo il problema, sensei.» obiettai, malinconico. «Nessuno nota le cose veramente belle.»
Ripensai alle sue lacrime e mi maledissi per essere stato cieco come tutti gli altri. Neanch'io, avevo capito fino in fondo il suo dolore ed ero stato in disparte mentre lei soffriva in solitudine.
Strinsi i pugni, furioso con me stesso per essere stato tanto cieco da ignorare anche quello che avevo proprio sotto al mio naso; e spostai nuovamente lo sguardo su quella superficie bianco sporco della porta, sperando, con tutto me stesso, che Tsunade riuscisse a spezzare quel sigillo.
Non avevo infatti dimenticato le parole della ninja medico, d'altronde, era stata molto chiara su questo punto: se il sigillo non veniva spezzato, Kushina, non avrebbe più potuto essere una kunoichi.
Pregai con tutte le mie forze che ciò non accadesse davvero.
Altrimenti, che cosa ne sarebbe stato di lei?
Scossi la testa con un movimento deciso per allontanare quei pensieri molesti.
Non dovevo pensare al peggio.
E poi, quella ragazza non avrebbe mai accettato di rinunciare al suo sogno.
Ne ero sicuro, lei avrebbe lottato, perché era una vera guerriera e pur di realizzare i suoi sogni avrebbe combattuto fino al suo ultimo respiro; però nonostante sapessi questo, non potevo fare a meno di essere preoccupato per lei.
«Non temere, Minato.» disse all'improvviso Jiraiya, distraendomi dai miei cupi pensieri. «Andrà tutto bene, vedrai.»
questa volta non risposi, non annuii nemmeno.
Non volevo dirgli che nonostante ci sperassi, non potevo credere alle sue parole. Erano davvero troppi i punti oscuri di questa storia, per credere ciecamente a quelle parole.
Restammo per un po' in silenzio, troppo assorti nei nostri pensieri per cercare di intavolare una qualsiasi discussione. E, in quella piccola saletta, il silenzio diventò così intenso da poter persino sentire in lontananza le voci allegre di due infermiere – ferme davanti al distributore di bibite di quel reparto – mentre chiacchieravano dei loro progetti per il fine settimana.
Stanco di aspettare, mi piegai in avanti ed appoggiai i gomiti sulle ginocchia, intrecciando le dita delle mani a mo' di preghiera davanti a me.
Tutta quell'attesa si stava facendo davvero snervante.
Perché ci stavano mettendo tanto?




 
- Tsunade -





«Dammi il cambio, per favore!» disse uno dei medici dell'equipe, ormai a corto di chakra.
«Okay, ci sono.» rispose prontamente il sostituto, prendendo il posto del collega ed iniziando a sua volta ad immettere il proprio chakra all'interno del corpo di Kushina, ancora priva di sensi, al centro esatto della stanza.
Sollevai lo sguardo dal libro che stavo leggendo e mi morsi il labbro inferiore infastidita: quello, era l'ennesimo cambio che si richiedeva in meno di un'ora dall'inizio dell'operazione.
Non andava bene.
Non andava affatto bene.
Se il livello dei medici era talmente scadente da stancarsi in così poco tempo, non osavo neppure immaginare cosa sarebbe potuto succedere se malauguratamente avremmo dovuto affrontare un'emergenza su ampia scala.
Scossi la testa contrariata, ripromettendomi mentalmente che alla prossima riunione con il Consiglio, avrei esposto sicuramente questo problema, chiedendo di organizzare dei corsi speciali per i membri del team medico.
In tempi come i nostri, avere nelle proprie file dei ninja medici competenti poteva realmente fare la differenza tra la vita e la morte dei nostri compagni. E questo, era un dato di fatto che nessuno poteva negare, neppure quei vecchi spilorci degli Anziani.
Sbuffando sonoramente, tornai a concentrarmi sulla lettura del diario di mia nonna, nella speranza di trovare un modo per spezzare quel dannato sigillo ma purtroppo, come avevo avuto modo di vedere in questi mesi di interrotte ricerche, l'unico metodo disponibile, sembrava quello di rivolgersi direttamente al suo creatore, ovvero, ai membri del clan Uzumaki.
Più scocciata che altro da quell'inutile perdita di tempo, decisi di chiudere con un tonfo quel vecchio tomo polveroso e prestare tutta la mia attenzione su l'esito dell'intervento. In fin dei conti, forse, era pur sempre meglio dare una mano all'equipe medica e pensare al sigillo in un secondo momento.
Mi guardai attorno, alla ricerca del capo responsabile e quando lo trovai, mi ci avvicinai con passo felpato.
«Come andiamo, Akai-san?» gli sussurrai all'orecchio, per non distrarre gli altri.
«Abbiamo quasi finito.» mi rispose un po' affaticato, probabilmente, per compensare lo scarso chakra dei suoi colleghi, stava immettendo più chakra degli altri. «E tu? Sei riuscita a trovare un modo per spezzare il sigillo?»
Scossi la testa, avvilita: «No, purtroppo no.»
Lui mi osservò per qualche secondo da sopra la sua spalla prima di rivolgermi un sorriso bonario. «Non temere, sono certo che prima o poi qualcosa ti verrà in mente.»
Mi ritrovai ad annuire alle sue parole anche se poco convinta.
Akai aveva sempre avuto una smisurata fiducia nelle mie capacità e non era un caso se dopo la morte di mia nonna era divenuto il mio mentore, insegnandomi tutto ciò che lui, a suo tempo, aveva appreso dai miei nonni.
«Comunque, se vuoi, puoi andare.» mi propose gentilmente, prima di tornare a concentrarsi sul suo lavoro.
Ci impiegai soltanto un momento per decidere di declinare la sua proposta: ero stanca, sì, ma non volevo comunque lamentarmi; e poi, non volevo neppure lasciare la sala operatoria sino a quando l'intervento non si fosse concluso. Se qualcosa fosse andato storto, desideravo essere presente per poter dare una mano.
«Grazie Akai-san per il pensiero, però preferisco restare fino alla fine, potrei sempre rendermi utile in qualche modo.» mormorai; ma al mio rifiuto, Akai stirò le labbra in una sottile linea contrariata e mi rivolse un'occhiataccia per nulla benevola: evidentemente, non mi ero accorta che la sua non era una semplice gentilezza, bensì un ordine.
«Se vuoi davvero renderti utile...» proferì con tono acido, «...vai dall'Hokage a fare rapporto sulla missione e poi, tornatene a casa tua e riposati un po', che – senza offesa – hai un aspetto veramente orribile.»
Consapevole di non poter vincere in nessun modo contro di lui, anche se a malincuore, non mi restò altro da fare che acconsentire: «Ne sei sicuro?» chiesi, ignorando di proposito il suo commento poco galante.
«Certo.» confermò lui, mostrandomi un sorriso a trentadue denti e facendomi pure un occhialino scherzoso. «E poi, a dirla tutta, sono seriamente preoccupato che se continuo a tenerti qui, tu mi faccia fare anche gli straordinari per curare te. Quindi, forza, fila a riposarti!»
«Ma che carino!» borbottai sarcastica, non potendogli però dare alcun torto.
Erano tre notti che non vedevo l'ombra di un letto e proprio quando stavo già per pregustarmi il mio meritato riposo, Sarutobi-sensei ci aveva mandato nuovamente in missione all'inseguimento di quegli shinobi della Nuvola.
Era stata davvero una sorpresa per tutti noi sapere al nostro arrivo che qualcuno si era introdotto nel nostro villaggio ed aveva rapito quella ragazzina, ma non me ne ero meravigliata più di tanto. In fondo, Kushina era pur sempre l'ultima discendente diretta del clan Uzumaki e non era poi così tanto difficile immaginare che qualche Paese straniero volesse mettere le mani su i segreti del suo clan. Anche se ancora, non mi spiegavo il motivo per cui erano arrivati ad entrare in un villaggio nemico pur di averla.
Lanciai una veloce occhiata al viso pallido di Kushina, ripensando alla discussione avuta con Jiraiya durante l'inseguimento.
Pure lui, come me, non si spiegava molte cose e una fra le tante, era il comportamento agitato del Consiglio.
Era stato chiaro come il sole che quelle vecchie serpi stessero nascondendo qualcosa di grosso, ma alle domande di Jiraiya, il Terzo, aveva ordinato di non chiedere nulla su questa faccenda.
In parole povere: il tutto era top-secret.
Sospirai stancamente, scrutando con attenzione quel viso quasi esangue, temendo per la sua sorte.
Non sapevo fin dove si erano spinte le alte sfere di Konoha e cosa centrasse Kushina in tutta questa storia, ma speravo con tutto il cuore che le loro scelte non avrebbero segnato irrimediabilmente il suo giovane destino.
«Ti decidi ad andare, o no?» mi sgridò questa volta Akai, deciso a farmi andare a casa a tutti i costi e distogliendomi dai miei cupi pensieri.
«Vado, vado. E grazie mille, Akai-san.»
Lui non mi rispose neppure, limitandosi soltanto a muovere lievemente la testa e ad indicarmi di uscire alla svelta.
Non riuscendo a trattenere un piccolo sorriso di fronte al suo goffo tentativo di prendersi cura di me, mi affrettai ad uscire dalla sala operatoria per non rischiare di fargli saltare seriamente i nervi; però, nel chiudermi la porta alle spalle, lanciai un'ultima occhiata preoccupata a Kushina, anche se, il saperla sotto le abili cure di Akai mi rendeva in qualche modo più serena.
Tuttavia, non potevo di certo immaginare che la mia “tranquillità” , se così si poteva definire, sarebbe svanita l'attimo stesso in cui mi sarei voltata verso la sala d'attesa e mi sarei resa conto di cosa effettivamente stesse accadendo appena fuori dalla sala operatoria…




 
- Minato -





«A cosa stai pensando così intensamente?»
Fu la voce di Jiraiya ad interrompere ancora una volta il silenzio che era sceso su di noi.
Probabilmente, pure lui stava iniziando a spazientirsi di quella lunga attesa.
Lo guardai brevemente, notando solo in quel momento il suo aspetto trasandato e le evidenti occhiaie che facevano sfoggio sul suo viso dai lineamenti marcati.
Doveva essere davvero stanco.
«Stavo ancora provando a capire cosa diavolo potessero volere da lei. Che io sappia, Uzumaki, non possiede nessuna capacità innata che potrebbe giustificare il loro tentativo di rapirla.»
«Ne sei sicuro?»
«Certo. In Accademia siamo stati persino compagni di classe e, escludendo la sua straordinaria forza fisica e le sue sorprendenti abilità nel Taijutsu, non ho mai notato nessun talento particolare o capacità innata in lei. »
«Oppure...» fece lui, inarcando un sopracciglio, pensieroso. «...potrebbe essere stata soltanto molto brava a nasconderlo, non pensi?»
Mi presi qualche secondo per riflettere sulla sua domanda.
Effettivamente, anche questa, sarebbe potuta essere una probabilità.
Che il Villaggio della Nuvola avesse notato in lei qualcosa che a noi, della Foglia, era completamente sfuggito?
«Ma che cosa potrebbe possedere di così prezioso da spingerli fino a questo punto? Insomma, perché proprio lei? Qui, alla Foglia, ci sono così tanti talenti innati e potenti come ad esempio il Byakugan o lo Sharingan, che da generazioni sono stati invidiati e bramati dai tanti, perché, adesso, scegliere proprio lei tra tutti?»
Vidi Jiraiya aprire la bocca per rispondermi ma poi, i suoi occhi, saettarono come un fulmine verso l'entrata del corridoio: qualcosa, evidentemente, doveva avere attirato la sua attenzione e messo in allerta tutti i suoi sensi.
Mi concentrai a mia volta, avvertendo, con qualche difficoltà, la presenza di due shinobi nascosti; e, a giudicare dalla loro tecnica di mimetizzazione, era molto probabile che facessero parte della Squadra Speciale.
Leggermente infastidito dall'interruzione causata dalla loro presenza, trattenni a stento uno sbuffo e mi ritrovai a pensare che, se si erano dati il disturbo di venire a trovarci fin qui, doveva esserci una valida motivazione.
Che l'Hokage, dopo avere ricevuto il rapporto di Orochimaru, avesse deciso di mettere delle guardie attorno a Kushina? Oppure, erano qui per altro?
Comunque sia, qualunque motivazione avevano per trovarsi qui, feci ugualmente finta di niente. Di certo, non avevo nessuna intenzione di discutere con loro.
Osservai il maestro con la coda dell'occhio e, anche se non lo dava a vedere, pure lui sembrava infastidito dalla loro presenza; ciononostante, passò qualche minuto di calma apparente prima che Jiraiya perdesse la pazienza.
«Ragazzi, perché non ci date un taglio è uscite allo scoperto?» chiese con falsa cordialità, nascondendo molto bene la sua irritazione. «Dopotutto, siamo pur sempre tra amici, no?»
Alle sue parole, davanti ai nostri occhi si materializzarono due ninja con indosso la divisa degli ANBU e in volto, come da regolamento, una maschera che celava la loro identità.
«Jiraiya-san.» salutò freddamente uno dei due shinobi.
E nonostante la maschera avesse alterato di molto la sua voce, riuscii comunque a riconoscerlo: si trattava di Takeshi Morino.
Restai molto sorpreso di ritrovarmi di fronte quell'uomo; non che lo conoscessi particolarmente bene, anzi, l'avevo incontrato solo due volte in tutta la mia vita, ma da quello che sapevo sul suo conto, di solito, le sue doti erano impiegate soltanto per interrogare le spie nemiche.
«Chi ti ha mandato, Morino?» chiese Jiraiya, tagliente.
Dal tono usato dal maestro, potevo capire benissimo che tra i due non corresse buon sangue, e non me ne meravigliai più di tanto.
Takeshi Morino, era conosciuto da tutti per le sue incredibili abilità nell'interrogare e torturare i prigionieri di guerra facendo uso, anche dei mezzi più spietati pur di estorcere loro le informazioni che desiderava. In pochi erano sopravvissuti dopo essere stati torturati da lui e nessuno di loro era rimasto abbastanza lucido per raccontare in cosa consistevano le sue tecniche.
Il ninja, ignorando bellamente la domanda di Jiraiya, fece un passo verso di me.
«Namikaze Minato, dovresti venire con noi.» mi ordinò, impassibile.
Non avevo neanche avuto il tempo di sbattere le palpebre alla sua affermazione che mi ritrovai il possente corpo del maestro a pararsi tra me e Morino per farmi da scudo.
«Non così in fretta, Morino!» ringhiò, sfidandolo con lo sguardo.
Il suo, era un chiaro segnale d'avvertimento che fu, ancora una volta, ignorato.
«Levati dai piedi, Jiraiya.» ordinò infatti quest'ultimo glaciale, senza usare nemmeno più gli onorifici di facciata.
Era evidente che se il maestro faceva sul serio, quel tizio non era da meno.
Mi alzai a mia volta, pronto ad ogni evenienza, mentre Jiraiya, per niente intimorito dal suo avversario, inarcò un sopracciglio, provocatorio: «Potrai parlare con il mio allievo solo quando, e se, lo dico io.»
«Ho un ordine da parte del Consiglio di portargli urgentemente il ragazzo; e di certo, non sarai tu ad impedirmelo.» decretò atono, facendo un altro passo minaccioso verso di me.
A quel movimento, Jiraiya, rilasciò una piccola quantità di chakra come ultimo segnale di avvertimento.
«Se farai un altro passo, giuro che ti spezzo una gamba.» lo minacciò, mortalmente serio.
Guardai la scena teso come la corda di un violino, preoccupato ed allo stesso tempo eccitato di vedere il maestro all'opera.
Non riuscivo ancora a credere che Jiraiya, fosse arrivato al punto di sfidare Morino in un corridoio d'ospedale per impedirgli di portarmi con sé. Non era da lui essere così impulsivo, qualcosa doveva seriamente inquietarlo per costringerlo a comportarsi in quel modo.
L'osservai mettersi in posizione di difesa, pronto a scattare alla prima mossa dell'avversario; e fu inevitabile per me, chiedermi quale oscuro segreto si celasse dietro tutta questa storia.
Non avevo avuto il tempo di chiedermi altro perché, un piccolo movimento del secondo ninja, che fino a quel momento era rimasto in disparte a guardare, aveva attirato la mia attenzione. E senza dargli il tempo di agire, portai subito la mano destra all'altezza della coscia dove tenevo la borsa con i kunai, pronto ad estrarne uno se necessario.
Sapevo che non sarei riuscito a reggere a lungo uno scontro con uno shinobi della squadra speciale, ma non m'importava. Avrei aiutato ugualmente Jiraiya.
Ad essere sinceri, non capivo ancora cosa stava succedendo però, il mio istinto, mi urlava a squarciagola di stare in allerta e così avrei fatto.
Strinsi i denti, pronto allo scontro, sentendo l'adrenalina salire ai massimi livelli.
La tensione presente in quella saletta d'attesa, adesso, era così palpabile da poter essere quasi tagliata con un coltello: ognuno aspettava una mossa falsa dell'avversario per partire al contrattacco. E fu proprio nell'istante stesso in cui il ginocchio sinistro di Morino si piegò leggermente in avanti, pronto al balzo iniziale, che la porta della sala operatoria finalmente si aprì con uno scatto, facendone uscire una stanca e pallida Tsunade.
Lei, alla vista della scena che gli si parò davanti, sbatté più volte le palpebre, incredula e confusa, prima di gettare un urlo – a mio dire – “disumano”: «Che diavolo state facendo voi quattro?» tuonò furiosa, cogliendo tutti di sorpresa e interrompendo lo scontro sul nascere.
Il maestro, vedendo l'arrivo della sua compagna di squadra si ricompose e sorrise amabilmente senza però, distogliere lo sguardo da Morino.
«Tsunade, dolcezza, direi che sei arrivata giusto in tempo.» chiocciò, fintamente allegro.
«Sei sempre ad attaccare briga tu, eh?» rispose lei, lanciandogli un'occhiata malevola. «In quanto a te...» disse poi, rivolgendosi a Morino, piegato ancora in posizione d'attacco. «… non so chi tu sia o cosa ti abbia spinto a venire fino a qui ma, all'interno del mio ospedale comando io; ed io, non ammetto nessun genere di scontro qui dentro, chiaro?» ringhiò, con una voce bassa e tremendamente minacciosa, mentre, con passo lento ma deciso, si posizionava al fianco di Jiraiya.
Era bassina e piuttosto minuta in confronto al maestro però, stranamente, tra i due, era proprio lei quella che riusciva ad incutere più timore.
Era senz'altro la degna erede del Primo Hokage, non c'era che dire.
«Tsunade-san.» la chiamò il secondo ninja, prendendo parola per la prima volta ed attirando l'attenzione di tutti i presenti su di sé.
La sua voce, nonostante fosse soffocata dalla maschera, era calda e profonda, quasi melodiosa.
La donna sobbalzò visibilmente al suo richiamo e si voltò a guardarlo, scrutandolo intensamente, come se volesse attraversare con la sola forza dello sguardo l'involucro duro della maschera. Era evidente che avesse capito chi vi si nascondeva dietro. E non soltanto lei, a giudicare dallo sguardo cupo con cui Jiraiya aveva iniziato a fissarlo, arrivando, persino, ad ignorare del tutto Morino.
«Abbiamo ricevuto l'ordine di portare il ragazzo con noi, quindi, per favore, consegnatecelo.»
«Scordatelo.» sbottò Jiraiya, velenoso. «Penserò io a portare il mio allievo dal Terzo, per cui, adesso, potete anche farmi la gentilezza di andarvene e togliervi dai piedi!»
«Jiraiya!» lo rimproverò Tsunade, senza però, staccare gli occhi dal tizio numero due.
Cosa che fece irritare oltremodo il maestro, ma Tsunade non vi badò minimamente: la sua attenzione era completamente rapita da quell'uomo.
«Che cosa avete intenzione di fargli?» chiese alla fine, senza giri di parole.
«Dobbiamo seguire la procedura.» rispose l'uomo.
A quelle parole, Jiraiya, scattò come una molla, nascondendomi maggiormente dietro la sua schiena: «Andate al diavolo!» ringhiò, furente. «Dovrete prima passare sul mio cadavere!»
«Sarà un piacere accontentarti.» disse Morino, facendo un altro passo avanti, ignorando la precedente minaccia di Jiraiya.
Grosso errore.
Anzi no, grossissimo errore.
«Ti avevo avvertito.» mormorò infatti il maestro, prima di scagliarsi contro il suo avversario con una velocità fulminea. E ci sarebbe anche riuscito se non fosse stato per Tsunade che, prontamente, lo aveva afferrato con forza per il braccio, fermandolo giusto in tempo.
Il volto della donna, era diventato una maschera di granito, freddo ed impassibile ma, i suoi occhi, dardeggiavano come lava incandescente.
La vidi scambiarsi una lunga occhiata con Jiraiya; uno scambio di sguardi che era più simile ad una lotta silenziosa, dove, nessuno dei due voleva cedere, anche se, all'ultimo, fu proprio lei a spostare il suo sguardo e puntarlo sul compagno di Morino.
«Mi spiace, ma non posso darvi il ragazzo.» disse con un tono di voce stranamente calmo, eppure irremovibile. «Devo portarlo con me dall'Hokage per concludere il nostro rapporto sulla missione. Al momento, infatti, il ragazzo è sotto la nostra custodia.»
La osservai senza comprendere appieno il significato delle sue parole, ma dal sorriso soddisfatto che comparì sulle labbra di Jiraiya, capii, che per il momento, almeno, non dovevo seguire quegli shinobi.
«L'avete sentita, no?» chiese il maestro ai due, sorridendo sornione.
E non saprei dire se la sua improvvisa allegria fosse dovuta al fatto che Tsunade gli avesse dato manforte davanti ai due shinobi o, se fosse, perché la donna lo stesse ancora tenendo per il braccio sotto gli occhi del ninja sconosciuto.
«A questo punto...» continuò ancora lui, come se nulla fosse. «...sarà l'Hokage stesso a porre le domande, quindi, mi sa che qui, la vostra presenza non sia più richiesta.»
Questa volta, fu Morino a perdere la pazienza: «Davvero pensate che vi lasci il ragazzo?» tuonò, furioso.
«Basta così.» disse invece il suo compagno, mettendogli una mano sulla spalla per cercare di calmarlo. «Andiamo.»
«Ma...»
«Non preoccuparti...» lo interruppe l'amico, per poi indicare il maestro e Tsunade con un cenno della testa. «...lascia che siano loro ad occuparsi di questa faccenda.»
Anche se visibilmente contrariato, alla fine, Morino acconsentì. «E va bene.» sbottò riluttante verso il collega, rivolgendosi successivamente a noi. «...ma questa storia non finisce qui, sappiatelo.»
«Certo!» lo schernì il maestro, guadagnandosi una gomitata di Tsunade tra le coste come avvertimento di darci un taglio.
Quando gli ANBU se ne andarono, la donna esplose in mille insulti: «Jiraiya, sei un'idiota!» urlò, arrabbiata. «Come diavolo ti salta in mente di provocarlo a quel modo, eh? Volevi forse scatenare un duello, qui? Davanti ad una sala operatoria? Sei un emerito cretino! Stupido eremita dei rospi! Imbecille che non sei altro!»
Avevo la certezza che i suoi improperi verso di lui sarebbero anche potuti continuare all'infinito se il maestro, forse perché seriamente preoccupato che la donna iniziasse a colpirlo con ferocia, non cambiò abilmente discorso, ponendogli la domanda che in quel momento, gli avrei voluto chiedere io: «Come sta quella ragazza?».
Tsunade si ammutolì per un attimo prima di sospirare pesantemente. «Se ne sta occupando Akai-san.»
Jiraiya aggrottò le folte sopracciglia, perplesso. «Non è ancora finita?»
Lei scosse la testa. «Akai stava quasi terminando prima che mi sbattesse fuori, comunque, sembra che abbia tutto sotto controllo.»
«E il sigillo?» chiesi, intromettendomi mio malgrado nella loro discussione.
Non riuscivo più ad aspettare, volevo sapere se Kushina si sarebbe ripresa completamente o no.
Lei mi lanciò un'occhiata desolata che valse più di mille parole. E fu inevitabile per me, sentirmi sprofondare sotto la terribile consapevolezza che Kushina non sarebbe più potuta essere una kunoichi.
Ripensai al giorno in cui la incontrai per la prima volta e alle sue parole urlate di fronte a tutta la classe con orgoglio e determinazione: “Io diventerò la prima Hokage donna del Villaggio della Foglia!” . Ed ora, il suo sogno era stato interrotto per mano di alcuni farabutti.
Abbassai lo sguardo e strinsi forte i pugni, imponendomi di mantenere il controllo.
Non riuscivo nemmeno ad immaginare come Kushina avrebbe preso una simile notizia ma, nonostante tutto, ripromisi a me stesso che le sarei stato vicino.
Questa volta, lei non sarebbe più stata sola.
«Jiraiya-sensei?» chiamai, senza alzare lo sguardo.
«Hm?»
«Possiamo aspettare un altro pochino?» chiesi, in un sussurro.
Adesso più che mai, prima di andarmene, volevo aspettare di vederla uscire da li.
Jiraiya, forse intuendo il mio stato d'animo, posò una mano sulla mia spalla ed annuì: «D'accordo.» mormorò, tornando a sedersi sulla panca. «Tsunade, dolcezza, siediti pure tu.»
«Smettila immediatamente di chiamarmi così!» sbottò la donna, fulminandolo con lo sguardo. «E poi, non abbiamo tempo da perdere, il Terzo ci sta aspettando.»
«Che vuoi farci?» rispose lui, con un sorrisetto sghembo. «...sono così stanco che non penso riuscirò ad alzarmi da qui.»
Tsunade sbuffò, passandosi spazientita una mano sulla faccia. «Jiraiya, finiscila di fare il cretino. Sono stanca e voglio concludere in fretta questa storia.»
«Non preoccuparti, andremo via presto. Concedimi solo un altro po' di tempo, okay?»
Lei lo guardò allibita, non capendo se il maestro stesse facendo sul serio o no. «Sei serio?» chiese infatti.
«Tu stessa hai detto che Akai-san aveva quasi terminato. Ormai, mentre ci siamo, aspettiamo l'esito dell'intervento e portiamo al vecchio notizie complete.» propose con ovvietà, ma sapevo bene che questa era soltanto una scusa.
Jiraiya stava cercando di guadagnare tempo per permettermi di vedere Kushina. E gliene ero immensamente grato.
Tsunade, trovandosi con le spalle al muro e non avendo nulla con cui obiettare, si ritrovò costretta ad accettare.
Dopo qualche secondo di silenzio, Jiraiya riprese a parlare: «Che ne pensi di tutto questo?» domandò alla sua compagna.
«Non lo so. Non mi piace.»
«Già, neanche a me.»
«Comunque, non credo che fossero stati mandati da Sarutobi-sensei.» precisò lei, massaggiandosi le tempie per attenuare, probabilmente, una poderosa emicrania.
«Credi che ci sia qualcun altro dietro a tutto questo?»
Tsunade gli rivolse un'occhiata più che eloquente e Jiraiya si lasciò scappare un'imprecazione tra i denti.
«Si sta complicando tutto.»
«Per adesso tutto quello che possiamo fare e parlarne con il Terzo.» suggerì la donna, rivolgendo poi la sua attenzione su di me. «Tu invece, stai attento e non ti fidare mai di nessuno.»
La osservai serio, annuendo l'attimo seguente.
Con tutto quello che era accaduto in queste poche ore, non avevo proprio nessuna intenzione di abbassare la guardia. Soprattutto, il mio timore era rivolto verso Kushina. Avevo la sensazione che i ninja della Nuvola non si sarebbero arresi così facilmente e, adesso che Kushina non poteva difendersi, purtroppo, era diventata un preda troppo facile da catturare.
«Bisogna proteggerla.» dissi in un sussurro che soltanto Jiraiya udì.
Mi fece un cenno con il capo per tranquillizzarmi e stava per dire qualcosa quando la porta della sala operatoria si aprì nuovamente, facendone uscire questa volta l'intera equipe medica. E poi, finalmente, spinta da due infermieri, uscì pure la barella con sopra Kushina.
Con passo incerto, mi avvicinai alla barella e la guardai, sentendo lo stomaco chiudersi per l'ansia. Volevo accettarmi il prima possibile che stesse bene, ma restai scioccato da ciò che vidi.
Il suo viso era rilassato ma tremendamente pallido, quasi cadaverico; e i suoi lunghi capelli rossi, disseminati sul candito cuscino, le donavano un aspetto persino più esangue; le palpebre ancora chiuse da un profondo sonno, avevano assunto un colore simile alla lavanda chiara e sotto i suoi occhi, facevano sfoggio due pesanti e violacee occhiaie; anche le labbra avevano perso molto del loro colore naturale e sembravano stranamente secche e gonfie.
Con esitazione, avvicinai pian piano una mano al suo viso, avvertendo, al tatto, la sua pelle fredda come un pezzo di ghiaccio.
Mi voltai a guardare Tsunade in cerca di rassicurazione, spaventato che qualcosa fosse andato storto.
Lei invece, mi fece un cenno sicuro con la testa: «Non preoccuparti, si riprenderà presto.» mi disse, tornando a discutere con un medico sulla cinquantina che appena uscito dalla sala operatoria si era diretto verso di lei.
Non riuscendo a pronunciare nulla di quantomeno sensato, e completamente sotto shock, mi ritrovai ad annuire e a tornare ad accarezzarle dolcemente il viso, fino a quando, uno degli infermieri, mi chiese di spostarmi per portare Kushina nella sua stanza.
«In che stanza verrà messa?» domandò Tsunade, salutando il ninja medico ed avvicinandosi anche lei con Jiraiya alla barella.
«Nella 202, Tsunade-sama.»
La donna ringraziando i due infermieri gli fece cenno di poter andare.
«Minato, stai bene?» mi chiese Jiraiya.
«Non li perdonerò mai.» gli mormorai, senza rispondere alla sua domanda.
La verità era che non stavo bene, non stavo bene per niente.
«A chi?» chiese lui, sorpreso.
«A tutti coloro che proveranno a farle ancora del male.» risposi, sentendo formasi all'altezza del petto un peso immenso. «Giuro che non li perdonerò mai.»
Il maestro mi guardò come se fossi impazzito del tutto, ma non mi importò.
Non avrei più permesso a nessuno di fargli del male, l'avrei protetta anche al costo della mia stessa vita se fosse stato necessario.
«Jiraiya?» lo chiamò Tsunade, distraendolo dalla nostra discussione. «Ho preso tutti i dati che ci servivano, possiamo andare.»
«Sì, arrivo.» rispose. «Minato? Dovresti venire anche tu con noi.»
Sentii il mio corpo irrigidirsi a quelle parole e, psicologicamente, mi preparai ad affrontare le conseguenze della mia insubordinazione.
Avrei davvero voluto stare al fianco di Kushina e, magari – perché, no? –, farmi anche una bella doccia calda per togliermi la stanchezza e il sudore di dosso, ma non potevo ignorare una convocazione da parte dell'Hokage, quindi, anche se a malincuore, annuii e mi preparai a seguirlo.




 
- Jiraiya -





Quando bussai alla pesante porta in mogano scuro, ad accoglierci, fu la voce pacata di Sarutobi che ci invitò ad entrare.
Lanciai un'occhiata di sottecchi a Minato per accertarmi che stesse bene.
Da quando infatti eravamo usciti dall'ospedale, non aveva detto più neanche una parola; anche se, non riuscivo a capire se il suo mutismo era dovuto all'ansia d'incontrare l'Hokage oppure se era dovuto alle condizioni non tanto favorevoli di quella ragazza.
Avrei tanto voluto distrarlo, ma sapevo che qualsiasi cosa avrei fatto, non sarebbe servito a niente. Minato era un ragazzo fin troppo scrupoloso per permettersi di prendere alla leggera i fatti accaduti quella notte.
A volte, mi chiedevo se il suo comportamento era riconducibile solo ad un fattore caratteriale o se, centrasse in qualche modo il suo passato in tutto questo.
«Se non sei interpellato personalmente, non aprire bocca.» gli sussurrai, rivolgendogli, un'occhiata più che eloquente.
Non volevo che fosse coinvolto in questa storia più di quanto già non fosse.
Lui si limitò solamente a donarmi un muto cenno d'assenso per dirmi che aveva capito.
Distolsi lo sguardo da lui e trattenendo a stento un sospiro, aprii la porta, facendo entrare tutti nell'ufficio del maestro, ormai pronto e rassegnato al lungo colloquio che ne sarebbe venuto fuori.
Non era un caso semplice e, l'Hokage, oltre a darci i nuovi ordini, doveva anche prendere provvedimenti sul comportamento inaspettato di Minato.
Gli lanciai un'altra occhiatina, chiedendomi ancora una volta cosa gli fosse passato per la testa per agire in quella maniera.
Lui, in ospedale, mi aveva detto che avrebbe protetto quella ragazza, ma lo conoscevo bene e sapevo che non era il genere di ragazzo che interferiva nella vita delle persone. Era troppo furbo per farlo.
Eppure adesso, sorprendentemente, si era buttato a capofitto in una storia più grande di lui.
Repressi un altro sospiro, pregando che il maestro non ci andasse troppo pesante con lui.
Puntai i miei occhi su Sarutobi e notai soltanto in quel momento che mi stava fissando a sua volta con i suoi penetranti occhi neri.
Feci un inchino in forma di saluto e mi preparai a fare rapporto sulla missione appena conclusasi.
«Hokage, siamo tornati.» dissi, a nome di tutti.
Lui ci scrutò attentamente uno alla volta. «C'è qualche ferito tra di voi?»
«No, nessuno.» rispose Tsunade prendendo parola.
«Come sta quella ragazzina?» chiese allora, rivolgendosi questa volta a Tsunade. «Orochimaru mi ha detto a grandi linee cosa è successo, ma non mi ha saputo dire niente sulle condizioni di Uzumaki-kun.» spiegò poi, osservando la sua ex-allieva.
Vidi con la coda dell'occhio Minato abbassare lo sguardo e stringere i pugni con rabbia.
Era evidente che stesse cercando di trattenersi con tutte le sue forze, e mi domandai mentalmente per l'ennesima volta in che tipo di rapporto fosse con quella ragazzina per reagire in quella maniera.
Mi aveva chiaramente detto che tra loro non vi era nessun tipo di relazione, e allora, perché reagiva a quel modo?
Che fosse innamorato di lei? No, lo escludevo.
«La ragazza sta bene.» rispose Tsunade, distraendomi dai miei pensieri. «L'intervento è andato bene e presto potrà essere dimessa, ma purtroppo le hanno imposto un sigillo che non riesco a rompere.»
Negli occhi di Sarutobi passò un lampo indecifrabile ma, fu così veloce che, non riuscii a comprendere di cosa si trattasse. «Un sigillo?»
«Sì, un sigillo enneastico*.» precisò lei, non rendendosi conto della reazione del maestro.
Sarutobi corrugò le fini sopracciglia castane in un'espressione quasi rammaricata, tuttavia lo conoscevo fin da quando ero un bambino e sapevo bene che dietro quella particolare piega si nascondesse qualcosa di ben diverso del solo dispiacere per quella ragazzina. Poteva essere agitazione la sua? O forse era preoccupazione?
«Oh.» fece lui, ignaro dei miei pensieri. «Non ci voleva, povera ragazza.»
«Ma è strano...» continuò Tsunade, attirando l'attenzione di tutti i presenti su di sé. «Nonostante il suo chakra sia bloccato, Akai-san, dopo l'intervento, mi ha riferito che al suo interno scorre ugualmente una forte fonte di chakra. Sembra come se il sigillo abbia solo bloccato in parte i poteri della ragazza, neppure lui sa spiegarsi come questo sia possibile.»
A quelle parole, il maestro, strinse le palpebre in due piccole fessure e si sporse sulla scrivania completamente concentrato sul resoconto della donna.
«Davvero?» domandò, vigile.
Tsunade annuì per poi riprendere a parlare. «Quando Akai-san me l'ha detto, non riuscivo a crederci neanch'io.» fece una piccola pausa, rivolgendo prima un'occhiata a Minato per poi, rivolgerne un'altra significativa al Terzo.
La sua, anche se silenziosa, fu una chiara domanda se poteva continuare a parlare della nostra missione segreta nonostante la presenza di Minato nella stanza.
Al cenno d'assenso dell'uomo, riprese a parlare con calma. «Come lei sa, negli altri casi, una cosa del genere non era mai successa. Sono mesi che sto studiando quest'affare e dalle informazioni in mio possesso, sono certa che una volta imposto questo marchio non c'è nessuna possibilità per la vittima, se sempre riuscirà a rimanere in vita, di tornare ad utilizzare il suo chakra. Ecco perché sto pensando seriamente che ci sia un modo per spezzarlo.»
Ascoltai attentamente il suo rapporto, consapevole che da quel momento, Minato, nonostante tutti i miei sforzi per tenerlo fuori da questa storia, era stato definitivamente immischiato dentro la sua prima missione di livello S”.
Era assurdo adesso per me credere di riuscire a proteggerlo da tutto questo schifo e, inconsciamente, mi chiesi se Sarutobi non avesse pianificato tutto fin da quando aveva appreso della sua intromissione nella nostra missione per mettermi con le spalle al muro.
Vidi con la coda dell'occhio Minato ascoltare attentamente ogni singola parola di Tsunade e un brivido mi salì su per la colonna vertebrale.
Ogni minuto che passava si stava complicando tutto sempre di più.
Rassegnato da come gli eventi si stavano evolvendo, mi ritrovai a chiedere in tono incolore: «Ce n'è veramente uno?»
Tsunade mi rivolse un breve sguardo prima di rivolgere nuovamente la sua attenzione al maestro. «Non ne sono sicura, ma possiamo sempre provare.» disse infine, facendo spallucce. «Nel diario di mia nonna, c'è una nota che dice chiaramente di rivolgersi al clan Uzumaki in caso di bisogno.»
Sarutobi ricambiò il suo sguardo. «Quindi, in parole povere, che cosa stai cercando di proporre?»
Lei prese un profondo respiro prima di sganciare la bomba, anche se avevo già un'idea di ciò che avesse in mente quella pazza di una kunoichi. «Voglio portare quella ragazzina nel suo paese d'origine e chiedere l'aiuto dei suoi genitori.»
Sarutobi, alle parole della sua ex allieva, si lasciò cadere con un sospiro sulla sua poltrona e chiuse gli occhi.
Nel suo ufficio, calò un pesante silenzio, rotto soltanto dai nostri respiri, e non me ne meravigliai più di tanto.
Era ovvio che la proposta di Tsunade avesse scatenato una simile reazione, ma dovevo ammettere che forse, era davvero la nostra sola possibilità per aiutare quella ragazzina.
Se i genitori della ragazza conoscevano veramente un modo per aiutare la figlia, ero certo che non avrebbero esitato ad intervenire per il suo bene.
Il vero problema, purtroppo, era un altro.
Dovevamo ammettere davanti ai nostri antichi alleati che non eravamo stati in grado di proteggere un loro compaesano; per di più, Kushina Uzumaki, non era un membro qualsiasi di quel villaggio, ma, a quanto ne sapevo, era l'unica e sola figlia del capo Villaggio del Vortice.
La storia, se non trattata con attenzione, poteva diventare davvero spinosa e rischiava di causare una seria rottura nell'alleanza fra la Foglia e il Vortice.
«Si sta complicando davvero tutto.» esclamai, grattandomi con una mano la testa.
Sarutobi annuì a sua volta, iniziando a ticchettare con le lunghe dita della mano sul bracciolo della poltrona mentre, con l'altra mano, afferrò la sua vecchia pipa. «D'accordo.» acconsentì alla fine, aspirando una boccata di fumo.
«Ne è sicuro, sensei?» chiesi, preoccupato che la situazione peggiorasse ulteriormente.
«Se non facciamo qualcosa, dopo questo, non potrò più guardare Daisuke-san in faccia.» rispose, stavolta sinceramente rammaricato. «Tsunade...» disse poi, rivolgendosi nuovamente a lei. «...organizza tutto per il viaggio e partite per il Villaggio del Vortice non appena la ragazza si rimetterà in forze. Mettiti pure in contatto con il Vortice e spiegagli la situazione. Sarai tu, la responsabile di questa missione ed il medico ninja della squadra.»
«Agli ordini.» disse lei con un piccolo inchino della testa.
Detto ciò, come a mettere fine a questa discussione, lo sguardo del maestro si puntò su Minato: «Mi è stato raccontato che sei stato tu a trovare la ragazza per primo, è vero?»
Vidi Minato ricambiare lo sguardo del Terzo ed annuire. «Sì.»
«E come ci sei riuscito?»
«Uzumaki-kun aveva lasciato alcune ciocche dei suoi capelli lungo la strada per segnare il loro passaggio.» rispose completamente calmo, come se in quel momento stesse parlando delle condizioni meteorologiche e non di una sua insubordinazione.
Ecco che ricompariva il suo lato pacato e controllato, anche se, le sue spalle erano un po' troppo rigide per farmi credere che fosse realmente rilassato.
Storsi le labbra in una smorfia per non scoppiare a ridere: Minato era sempre il solito, non avrebbe mai ammesso davanti a nessuno il suo vero stato d'animo o i suoi pensieri.
L'interrogatorio del maestro andò avanti per circa un'ora, fino a quando, non gli fece tutte le domande possibili e Minato, non rispose e raccontò nei minimi dettagli ogni suo più piccolo spostamento.
Rimasi sorpreso nell'apprendere come quel ragazzo avesse messo facilmente in trappola una squadra di Jonin solo con un piano pensato al momento e l'aiuto della notte. Era riuscito a sfruttare a suo vantaggio tutto ciò che lo circondava e ad agire con estrema precisione e furbizia. Riuscendo in questo modo, a completare da solo una missione di livello “A”.
«Se quegli shinobi sarebbero riusciti ad oltrepassare il confine cosa avresti fatto?» domandò alla fine, il maestro, attento ad ogni risposta di Minato.
Minato, osservò il Terzo con uno sguardo estremamente serio e strinse le labbra in una linea severa.
La sua espressione era così gelida da mettere i brividi e, per un secondo, mi chiesi se stesse guardando il sensei in quel modo oppure, stesse ripensando a qualche momento particolare di quell'assurda caccia all'uomo.
Pregai in cuor mio che la sua risposta fosse come da protocollo, ovvero, che si sarebbe fermato al confine, ma sapevo che non potevo sperare tanto. E infatti: «Li avrei seguiti.» disse, con una voce mortalmente seria.
«Anche se questo avrebbe scatenato una guerra tra i due Paesi?»
Restai sorpreso. Dove voleva andare a parare con quella domanda?
Il nostro regolamento era chiaro: la missione e gli ordini prima di tutto, anche dei compagni di squadra. Per quanto fosse duro e crudele, un vero shinobi, doveva attenersi a rispettarlo.
Tornai a guardare Minato, temendo per la sua risposta, ma ciò che successe l'attimo seguente mi stupii ancora di più.
«Non l'avrei mai abbandonata alla mercé di quei farabutti!» ringhiò gelido, scandendo quasi le sue parole una per una.
Il suo tono, anche se era appena sussurrato, fu così veemente che fece sobbalzare me e Tsunade, e persino il maestro né rimase colpito.
Il suo volto si piegò in un'espressione che non gli avevo mai visto da quando lo conoscevo: il suo viso, in quel momento, sembrava quello di un dio vendicatore.
Che diavolo stava succedendo a Minato? In quel momento, era così diverso dal ragazzino gentile e timido che avevo preso sotto le mie cure.
Sarutobi, lo osservò pensieroso per qualche secondo, prima di riprendere a parlare: «Posso farti un'ultima domanda?»
Minato annuì, impercettibilmente.
Il maestro, appoggiò con accurata nonchalance la sua preziosa pipa alle labbra. «Perché l'hai salvata?»
Il volto di Minato si addolcì notevolmente e i suoi occhi, del colore del cielo terso, iniziarono a risplendere come il sole a mezzogiorno, trasmettendo un calore che sarebbe riuscito a sciogliere anche il cuore più freddo. «Lei aveva bisogno del mio aiuto.» rispose soltanto, omettendo quella parte di verità che mi aveva confessato davanti alla sala operatoria.
Mi scappò un lieve sorriso.
No, Minato, in fondo, nonostante i suoi improvvisi colpi di testa, sarebbe sempre stato lo stesso riservato e timido ragazzino che avevo imparato a stimare e voler bene, in questi anni.
Sarutobi stirò le sottili labbra in un sorrisetto compiaciuto e sporgendosi nuovamente sulla scrivania, intrecciò le dita delle mani, poggiandovi sopra il mento. «Non sempre avremo la fortuna di salvare i nostri compagni, essere un ninja, a volte, significa anche fare dei sacrifici molto dolorosi.» gli disse, con tono pacato.
Ed io, purtroppo, memore delle mille e più battaglie a cui avevo partecipato non potevo negare questa indiscussa verità.
Un piccolo singulto di Tsunade attirò la mia attenzione e inconsciamente, fui certo che il suo pensiero, in quel momento, era rivoltò a Nawaki.
Scossi la testa per scacciare via quei tristi pensieri e tornai a concentrarmi sulla discussione.
Minato, invece, a quelle parole, assottigliò gli occhi fino a ridurli a piccole feritoie e, aggrottando le bionde sopracciglia, sostenne il suo sguardo, incurante di stare parlando con l'Hokage in persona. «Mi perdoni, Sandaime-sama, ma non condivido il suo pensiero; essere un ninja per me significa lottare per proteggere ad ogni costo tutte le persone a me care e non importa quanto possa essere disperata la situazione, non sacrificherò mai i miei amici: questo fa parte del mio credo ninja.»
Il maestro restò visibilmente meravigliato da quelle parole e con la coda dell'occhio, riuscì a vedere anche l'espressione allibita sul viso di Tsunade.
Sorrisi, orgoglioso di quel ragazzino.
«Già, forse hai ragione...» mormorò Sarutobi in un sussurro appena udibile. «Comunque, purtroppo, questo non cambia che il tuo modo d'agire sia stato sbagliato.»
Lanciai un'occhiataccia al maestro, temendo per il verdetto che da lì a breve sarebbe stato annunciato.
«Il Consiglio è venuto a conoscenza della tua insubordinazione e reputa il tuo comportamento “inammissibile”, almeno, sono state queste le loro parole. In pratica, temono che se un'azione di questa non venga punita severamente, possa ripetersi.» disse, facendo una pausa ed aspirando un'altra buona boccata di fumo.
Stavo giusto per protestare quando lui interruppe sul nascere la mia lamentela. «Tuttavia, il tuo intervento ha aiutato notevolmente sulla missione di salvataggio, cosa del quale ne sono veramente grati. Per cui, sono riuscito a ridurre la tua pena a due settimane di sospensione dal servizio attivo e ad un taglio del tuo salario per tre mesi. Hai qualche obiezione?» chiese, inarcando un sopracciglio.
Minato gli rivolse un'occhiata fiera. «No, nessuna.»
«Ovviamente, hai anche l'obbligo di non parlare con nessuno di tutto ciò che hai sentito e visto durante questa missione, chiaro?»
«Sì, Sandaime-sama.»
Non riuscii più a trattenermi. «Aspetti, Sarutobi-sensei.» intervenni, arrabbiato. «Non mi sembra giusto.»
Lui mi fece segno di tacere e continuò: «Tsunade? Pensi che riuscirai ad organizzare il tutto entro le due settimane?»
Lei lo guardò allibita, non capendo le sue parole. «Se mi impegno potrei riuscire ad organizzare il tutto entro la prossima settimana.»
Lui sorrise, rivolgendole un'occhiata birichina. «Facciamo che per essere sicuri delle condizioni di salute della ragazza, non potrete partire per il Villaggio del Vortice prima di due settimane, va bene?»
Solo allora compresi dove in realtà voleva andare a parare quella vecchia volpe del maestro.
«E inoltre...» aggiunse, «voglio che la tua squadra abbia due membri in più di supporto. Ti aggiornerò in seguito di chi si tratterà.»
«Certo, Hokage.» acconsentì Tsunade, ancora ignara dei suoi piani.
Guardai di sbieco Minato, e come Tsunade, anche lui, non aveva ancora capito che cosa stava progettando quell'uomo diabolico.
«Bene, adesso potete andare.» disse infine, congedandoci.
Con un piccolo inchino di saluto, ci voltammo per uscire dal suo ufficio ma, all'ultimo la sua voce mi fermò. «Aspetta, Jiraiya, avrei bisogno di parlare con te. In privato.» specificò poi, notando che Tsunade e Minato si erano fermati a guardarci.
Lanciai un'occhiata sconfortata a Tsunade che mi fece una linguaccia, dispettosa.
«Bye bye, noi intanto andiamo!» disse, agitando una mano e portandosi via con sé anche il mio allievo.
«Brutta strega.» bofonchiai a denti stretti, ben attento a non farmi udire. Non avevo nessuna intenzione di rischiare le penne con quella pazza di una kunoichi.
Sbuffai irritato, chiudendo la porta alle mie spalle e tornando di fronte alla grande scrivania in mogano.
«Non preoccuparti.» mi rassicurò lui con un sorriso divertito. «Ci vorranno solo cinque minuti.»
E nella mia mente, non potei fare a meno di pensare che sarebbero stati i cinque minuti più lunghi della storia.




 
- Kushina -





Non sapevo se a svegliarmi era stata l'improvvisa quanto piacevole brezza autunnale entrata all'improvviso nella stanza, oppure il leggero fruscio di passi che si erano fermati proprio accanto a me.
Istintivamente, e con le poche forze che mi ritrovavo, cercai di aprire le palpebre per vedere il volto del mio visitatore e – nonostante il dolore lancinante all'addome che continuava a torturarmi senza sosta – quando nel mio campo visivo entrò una sagoma alta e slanciata dalla folta capigliatura argentea, sulle mie labbra nacque immediatamente un piccolo sorriso di pura gioia: infatti, era impossibile per me, non riconoscere quella particolare chioma simile all'argento liquido.
“È tornato.” pensai tra me e me. “Finalmente, dopo tanto tempo, lui è ritornato al villaggio.”
Come a dare conferma al mio pensiero, lo vidi sorridere dolcemente e, l'attimo seguente, avvertii la sua grande e calda mano accarezzarmi delicatamente i capelli.
Ampliai il mio sorriso, beandomi di quel semplice gesto d'affetto, dimenticando totalmente il dolore all'addome e ogni traccia di paura che avevo provato la sera precedente. Chiusi gli occhi e rimasi semplicemente così, ferma.
Avvertendo il mio corpo rilassarsi pian piano ad ogni carezza. E prima di cedere nuovamente al torpore dell'incoscienza, sospirai soddisfatta.
Adesso che lui era tornato, avevo la certezza che tutto, alla fine, sarebbe andato per il verso giusto.
















NdA:
Non ho parole per ringraziare i lettori che hanno letto la mia storia e a chi - nonostante la lunga attesa - non ha mai smesso di seguire questa storia.
Vorrei in particolar modo dedicare questo capitolo proprio a loro (
 Animabella96crazyfrog95Kushina NamikazeSiria_Ilias e _Kurama_), perché il sapere che voi stavate aspettando in qualche modo mi ha spronato a tornare a scrivere.
Grazie di cuore e grazie ancora per non aver tolto la mia storia dalla vostra lista.
Un grande abbraccio,
Rosye. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Lotteremo Contro il Nostro Destino!
Capitolo 3




 









- Minato -
 





Restai un momento a guardare il maestro chiudere la porta dietro di sé prima d'incamminarmi silenziosamente verso le scale con Tsunade.
Quando mi allontanai quel tanto che bastava dall'ufficio dell'Hokage, riuscii a stento a trattenere un sospiro di sollievo.
Tutto sommato, il mio incontro con lui era andato bene; anche se, pensandoci, il suo strano comportamento non mi era passato per nulla inosservato.
Infatti, malgrado lui avesse cercato di nasconderla, avevo notato chiaramente la sua crescente agitazione quando, Tsunade, gli aveva riferito della presenza di quel dannato sigillo.
Era stato un attimo, sì, ma mi era bastato per capire che dietro tutta questa storia si nascondesse davvero qualcosa di estremamente terribile.
Il problema adesso, stava appunto nel capire di cosa effettivamente si trattasse e di quanto fosse grave la cosa.
«Sei stato fortunato.» mi disse ad un tratto Tsunade, distraendomi dalle mie elucubrazioni mentali ed attirando la mia attenzione su di lei. «Hai trovato grazia agli occhi dell'Hokage.»
La osservai attentamente, aspettando che continuasse a parlare ma lei, non aggiunse altro, si limitò soltanto a guardare di fronte a sé mentre camminava.
In effetti, aveva ragione.
Se l'Hokage non mi avesse protetto dalla decisione del Consiglio, la mia punizione, sarebbe stata molto più pesante del solo essere sospeso per qualche settimana o, del non ricevere il compenso delle missioni svolte per qualche mese.
Probabilmente, anzi, no, quasi certamente, sarebbe stata la fine della mia carriera ninja, se non peggio.
Essere un disertore, specialmente nei tempi in cui ci trovavamo, era considerato un grave crimine per uno shinobi. E la condanna, per chi aveva la sfortuna di essere catturato, era molto severa – pagabile, nella maggior parte dei casi, soltanto con la propria vita.
A quel pensiero, senza che potessi farci poi molto per fermarlo, un brivido, mi salì su per la schiena.
Strinsi le labbra in una linea sottile, imponendomi, di riprendere il controllo delle mie emozioni: non era ancora il momento di cedere alla tensione che avevo accumulato nell'arco di queste ore, dovevo almeno aspettare di essere da solo, lontano da occhi indiscreti. E per farlo, decisi di concentrarmi sulle nuove informazioni in mio possesso.
Come avevo pensato, Jiraiya e Tsunade, sapevano sul serio qualcosa in più su questa storia, anche se, purtroppo, non era poi molto.
Il maestro, sfortunatamente, non conosceva davvero il motivo per cui quei pazzi volevano Kushina.
Le informazioni in suo possesso, si fermavano solo a ciò che aveva scoperto con il suo team mentre era in missione segreta – e, diciamocelo, era veramente molto poco.
Non sapevano neppure come fare per spezzare quell'affare e, adesso, l'unica alternativa che ci rimaneva per aiutare Kushina, era quella di provare a portarla nel suo villaggio di origine, anche se, non capivo perché nei diari di Mito ci fosse una simile indicazione.
Cioè, sì, il clan Uzumaki era uno dei migliori specialisti in campo di sigilli ma, cosa aveva a che fare in tutta questa storia? Come facevano a conoscere una simile tecnica? E soprattutto, perché quegli shinobi avevano usato proprio quel sigillo su Kushina - che era per l'appunto, l'ultima discendente diretta di quel prestigioso ed antico clan?
Da quello che aveva detto prima Tsunade, durante il colloquio con l'Hokage, era chiaro che non sempre il sigillo si limitava a bloccare solo il chakra della vittima, ma, spesso e volentieri, conduceva persino alla morte di quest'ultima. Ed allora, perché usarlo su una ragazzina apparentemente indifesa? E perché scegliere e rapire proprio lei?
Confuso ed arrabbiato, affondai le mani nelle tasche della mia felpa, cercando di fare chiarezza nei miei pensieri.
Avevo bisogno di altre risposte per riuscire a collegare al loro posto tutti i tasselli di questo complicato puzzle.
Troppe, infatti, erano le domande a cui non avevo ancora trovato risposta ed altrettanto tante, erano quelle senza una spiegazione logica.
Scoccai una fugace occhiata a Tsunade, chiedendomi se lei avrebbe risposto a qualche domanda, ma lasciai subito perdere quell'idea.
Non avevo tutta questa confidenza con lei e quasi sicuramente, non mi avrebbe risposto.
Tsunade, del resto, non era Jiraiya e, ad essere onesti, non sapevo proprio come riuscire a farla parlare.
Mi voltai dall'altra parte, facendo vagare i miei occhi in giro senza guardare in realtà niente in particolare, ma la voce di Tsunade, attirò nuovamente la mia attenzione su di lei: «Se hai qualcosa da dire, dilla, invece di fare quel broncio.»
Sobbalzai dalla sorpresa, sentendomi colto in flagrante.
La vidi fermarsi a pochi passi da me e sorridere divertita mentre, i suoi occhi mi osservavano con interesse.
«Andiamo dai, si vede lontano un miglio che muori dalla voglia di domandarmi qualcosa.» specificò, sbuffando ed alzando gli occhi al cielo. «Dall'altra parte, come potrebbe essere diversamente? Sei un ragazzo fin troppo intelligente per non esserti chiesto qualcosa. O sbaglio, forse?»
Ricambiai il suo sorriso, pensando tra me e me che quella donna, per certi versi, era davvero spaventosa. Era riuscita, come se niente fosse, ad intuire il mio stato d'animo.
Senz'altro, avrei fatto meglio, d'ora in poi, a stare attento quando c'era lei nei paraggi.
Comunque, mi ripresi presto dalla sorpresa iniziale e decisi di prendere quell'occasione al balzo.
«Beh, in effetti, ci sono molte cose che non mi sono chiare.» feci, scegliendo accuratamente ogni singola parola da usare e lasciando appositamente l'argomento sul vago per richiamare la sua attenzione.
Lei alzò un sopracciglio, curiosa. «Del tipo?»
Mi avvicinai di qualche passo, tenendo però la giusta distanza tra noi. «Mi stavo proprio chiedendo cosa c'entrasse il clan Uzumaki in questa storia.»
Il sorriso di Tsunade si ampliò, accondiscendente. E per un momento, riuscì davvero a farmi credere di aver abboccato alla mia trappola ma, purtroppo per me, non potevo mica sperare che uno dei tre famosi 'Sannin' fosse così poco furba.
Infatti, lasciandomi con un palmo di naso, lei se ne uscì con poche e semplici parole: «Non so, magari prova a studiare la loro storia e forse, capirai qualcosa
Rendendomi conto di essere stato bellamente preso in giro, non riuscii a fare a meno che restarmene immobile con la bocca aperta.
E questo, la dovette divertire molto visto che non riuscì più a trattenersi e mi scoppiò a ridere in faccia.
Mi imbronciai, infastidito.
Perché i grandi dovevano sempre considerarsi migliori di noi?
Tuttavia, non mi arresi e, ignorando il mio istinto di mandarla al diavolo, ci riprovai.
«Tsunade-sama.» la chiamai con tono pacato, incatenando i nostri occhi per qualche secondo. «Conosco a grandi linee la storia di quel clan e so, che sono i migliori in fatto di sigilli ma, non mi spiego perché dovrebbe conoscere una simile tecnica. Cosa c'entrano loro in tutta questa storia? E poi, crede davvero che gli Uzumaki possano fare qualcosa per aiutare Kushina-chan?»
Lei, a quella domanda, stupendomi, smise di ridere e ricambiò il mio sguardo con una lunga ed intensa occhiata penetrante.
Fu un attimo, ma sentii come se i suoi occhi d'ambra, mi trapassassero da parte a parte.
«Non lo so.» ammise alla fine seria, distogliendo all'improvviso il suo sguardo e tornando a guardare di fronte a sé. «…ma c'è una piccola possibilità e, la voglio usare. Comunque,» fece successivamente, cambiando improvvisamente argomento e puntando, fulminea, il suo indice destro a pochi centimetri dal mio naso, spiazzandomi ancora di più. «Non rischiare mai più in quel modo, per nessuna ragione, intesi?» mi ordinò, severa.
Il suo viso era piegato in un cipiglio deciso, quasi austero, ma i suoi occhi, stranamente, non avevano niente di forte, anzi, erano pervasi da una luce di profonda tristezza.
Una tristezza talmente grande, che – sarei stato pronto a scommetterlo – gli stava corrodendo l'anima dall'interno.
«Gli eroi non vivono a lungo, ricordatelo.» disse alla fine, in un sussurro appena percettibile, distogliendo definitivamente lo sguardo dal mio.
Disorientato dal suo repentino cambiamento d'umore, e non sapendo sinceramente come replicare alle sue parole, mi ritrovai soltanto ad annuire.
«Bene.» esclamò lei, stirando le labbra in quello che doveva essere un sorriso gentile, piegandosi leggermente su di me e scompigliandomi i capelli con forza. «D'ora in poi, cerca di fare attenzione...» mi avvertì, infine. «...quei ragazzi, prima, all'ospedale, non stavano scherzando. Stai attento e non ti fidare di nessuno, okay?»
Il suo piccolo sorriso era a così pochi centimetri dalla mia faccia che solo in quell'istante, riuscii veramente a notare che il viso di Tsunade, rilassato e piegato in un'espressione delicata, era davvero molto bello. E nella mia mente, quei lineamenti dolci, quell'incarnato chiaro e quegli occhi – simili all'ambra liquida, richiamarono in qualche modo, un'insolita sensazione che mi sconvolse e mi lasciò del tutto senza fiato.
Ciò che stavo percependo accanto a lei, era come un soffocante presentimento, tuttavia, non era negativo. Non sapevo come spiegarlo esattamente senza farmi prendere per pazzo ma, era un qualcosa che non avevo mai provato prima in tutta la mia vita. Totalmente spiazzato dall'intensità di quello che stavo sentendo, non riuscii neppure ad articolare qualche pensiero concreto, ma lei non ci badò.
Prese il mio silenzio per un muto consenso ed annuì compiaciuta. «Bravo ragazzo!» disse, congedandosi e andandosene via l'attimo seguente, mormorando tra sé e sé qualcosa di simile ad un “Ho bisogno di farmi un bicchierino!”.
Ritrovandomi da solo in mezzo alla via, la osservai mentre si allontanava a passo spedito e si confondeva tra la folla, domandandomi che diavolo mi era preso.
Sospirando pesantemente, mi passai una mano tra i capelli ed alzando lo sguardo su gli enormi volti di pietra degli Hokage che vegliavano sul nostro villaggio dall'alto, desiderai soltanto tornarmene a casa e riposarmi un po'.
Ci sarebbe stato tempo per pensare o indagare, per ora, avevo un disperato bisogno di sentire sulla mia pelle il getto caldo della doccia e il dolce profumo delle mie coperte.
Sospirando nuovamente, m'incamminai verso il mio piccolo appartamento. E fu un grandissimo sollievo, quando, pochi minuti dopo, lo vidi in lontananza.




 
- Jiraiya -





«Ci vorranno soltanto cinque minuti.»
Erano state queste le parole con il quale, Sarutobi, mi aveva adescato e trattenuto nel suo ufficio. Ed adesso, pensandoci con il senno di poi, dovevo immaginare che quella vecchia volpe stesse macchinando qualcosa.
«Di che si tratta?» domandai, senza troppi giri di parole.
Volevo concludere alla svelta e godermi finalmente il mio meritato riposo.
Lui mi lanciò una lunga occhiata indagatrice prima di sospirare pesantemente: «Ti sei arrabbiato.» constatò, posando, con un piccolo gesto, la pipa sul tavolo.
Ricambiai la sua occhiata con uno sguardo truce. «E non dovrei esserlo?»
Nell'arco di neppure ventiquattro ore, erano successe troppe cose che non dovevano accadere e, alcune di esse, potevano essere benissimo evitate.
«Non vedo il perché dovresti.»
«Beh, non saprei.» dissi, fingendo di pensarci veramente. «Magari, il motivo sta nel fatto che vuole trascinare un ragazzino in qualcosa di molto pericoloso: potrebbe essere questa la ragione? Che ne dice?»
Lui per tutta risposta, assunse un'espressione del tutto angelica e stirò le sottili labbra in un sorrisetto divertito – cosa che, diciamocelo, mi fece completamente saltare i nervi. «Ho davvero fatto questo?»
«Avanti sensei...» sbottai, irritato dal suo comportamento. «...perché vuole immischiare Minato in questa missione?»
Non ero mica uno stupido, almeno, non così tanto, per non capire che Sarutobi stesse cercando in tutti i modi di coinvolgerlo, anche se, non ne comprendevo il motivo.
Minato era ancora un semplice Genin e, nonostante fosse un ragazzo molto abile ed intelligente per la sua giovane età, non era ancora in grado di partecipare ad una missione di quel genere: se qualcosa fosse andato storto, poteva seriamente rischiare di perdere la vita e, questo, non potevo permetterlo.
Il maestro, alla mia domanda, rimase in silenzio per un lungo istante, riflettendo forse, se rispondermi sinceramente oppure no, ma poi, con un altro sospiro, iniziò a parlare: «Quel ragazzo ha stoffa.» replicò serio, sostenendo il mio sguardo con il suo. «Inoltre, qualcosa mi dice che durante il viaggio potrà rendersi molto utile.»
Sembrava davvero convinto delle sue parole, peccato però, che il mio istinto non la pensava allo stesso modo. Coinvolgere maggiormente quel ragazzo in questa storia, significava pure metterlo ancor di più sotto i riflettori e, purtroppo, c'era il rischio che in molti, reputandolo l'anello debole della squadra, non avrebbero perso tempo a fiondarsi su di lui.
Un esempio, era appunto stata la “cordiale” visita di cui Morino ci aveva omaggiato quella stessa mattina in ospedale.
Non avevo ancora dimenticato quel piccolo incidente e, sfortunatamente, c'era un'alta probabilità che una simile situazione si potesse ripetere di nuovo.
«Lo sa che prima, in ospedale, Morino e Kato sono venuti a cercarlo?» gli riferii arrabbiato e, allo stesso tempo, preoccupato.
A quella notizia, lo vidi rimanere visibilmente sorpreso ma, da abile ninja qual'era, si riprese in fretta, nascondendosi dietro una maschera di educata indifferenza.
«Non ne avevo idea.» disse sincero, confermando i miei precedenti sospetti su chi potesse essere il reale mandante di Morino. «Comunque, vedo che il ragazzo sta bene.»
«Solo perché Tsunade ed io siamo riusciti a mandarli via!» ringhiai, furioso. «Ma quel pazzo di Morino gli ha messo gli occhi addosso! E, a questo punto, non soltanto lui! Lo sa che loro non si arrenderanno facilmente, vero
Purtroppo, quella era una verità che entrambi sapevamo bene.
Una volta che Morino e quell'uomo mettevano gli occhi su una preda, non si fermavano fino a quando non riuscivano a catturarla e a banchettare con lei.
Repressi un brivido di terrore al pensiero che individui di quel genere si potessero avvicinare al mio allievo.
Dovevo assolutamente trovare un modo per proteggerlo, ed anche alla svelta – aggiungerei!
«Jiraiya, adesso calmati.» mi ordinò, tranquillo. «Farò in modo che nessuno si avvicini al ragazzo, per il resto, non preoccuparti, ho tutto sotto controllo.»
Gli lanciai uno sguardo scettico. «Ma davvero
Alla mia domanda, Sarutobi, scoppiò in una grossa risata. «Lo sai che negli anni sei diventato un po' troppo apprensivo?»
«Vorrei vedere lei nei miei panni.» borbottai, ripensando, mio malgrado, ai fatti accaduti quella notte.
Mi rizzavano ancora i capelli in testa al ricordo di quando, per provare a rintracciare quei ninja, ero entrato in modalità eremitica e, con mio grande sgomento, avevo avvertito il chakra di Minato in quella dannatissima foresta. Con il cuore in gola e ignorando i continui richiami di Tsunade, avevo persino iniziato a correre come un pazzo in quella direzione, pregando con tutte le mie forze di riuscire a fare in tempo. E per poco, non mi era preso un infarto proprio lì, nel punto in cui mi trovavo, quando avevo percepito l'energia di Minato all'improvviso sparire del tutto.
Avevo seriamente creduto che quel marmocchio fosse stato eliminato dai suoi nemici, grazie al cielo, invece, quella peste aveva solo azzerato il suo chakra per non farsi localizzare da nessuno.
In pratica, quel moccioso, aveva scelto la tattica migliore di tutte: colpisci e scappa!
E dovevo ammetterlo, aveva fatto un lavoro eccellente.
«Se ricordo bene...» disse il maestro, distraendomi dai miei pensieri. «… neanche voi, all'epoca, mi avete reso le cose facili. Eravate dei piccoli scalmanati e non perdevate occasione per azzuffarvi tra di voi.»
«Stavolta è diverso.» obiettai, cercando di calmarmi. «I tempi sono cambiati e, fuori, stiamo per rischiare una nuova guerra.»
La mia osservazione, gli fece morire il sorriso sulle labbra e lo fece tornare serio. «È vero.» ammise, sospirando per la terza volta nel giro di qualche minuto.
Lo osservai attentamente.
Era raro che Sarutobi mostrasse la sua preoccupazione in quella maniera, qualcosa, lo doveva inquietare particolarmente.
«Sensei?» lo chiamai, temendo il peggio. «Cosa sta succedendo esattamente?»
Lui, per tutta risposta, si alzò in piedi e, dandomi le spalle, si diresse a piccoli passi verso la grande finestra del suo ufficio che dava sull'intero villaggio della Foglia.
«Avrei bisogno di chiederti un favore.» se ne uscì, evitando accuratamente di rispondere alla mia domanda.
Gli prestai la massima attenzione, pronto ad aspettarmi di tutto, ma non di certo, quello che mi chiese l'attimo seguente. «Dopo che ritornerete dal Villaggio del Vortice, vorrei che iscrivessi e preparassi la tua squadra per la selezione dei Chūnin.»
Lo guardai allibito, convinto di non essere riuscito a sentire bene ciò che mi aveva detto: «Cosa?» gracchiai, sentendo le mie tempie pulsare dolorosamente in quello che si preannunciava un, imminente e, poderoso mal di testa. «Sta scherzando, vero?»
Ed ora che cavolo aveva in mente di fare?
Non avevo nessuna intenzione di iscrivere i miei ragazzi a quella prova: erano ancora troppo giovani ed inesperti per affrontarla.
Sarutobi, mi lanciò un'occhiata da sopra la sua spalla prima di voltarsi nuovamente verso di me. «Credo invece che sia arrivato il momento, Jiraiya.» disse con calma, ignorando la mia domanda. «I tuoi ragazzi sono usciti dall'Accademia due anni fa con il massimo del punteggio.» specificò poi, prendendo la scheda dei loro dati personali da sopra la sua scrivania e gettandoci una veloce occhiata. «Inoltre, com'è riportato qui, la tua squadra ha già affrontato due missioni di livello B. Sono certo che riusciranno a passare la prova senza troppe difficoltà.»
«Sono ancora dei ragazzini.» risposi, cocciuto. «Le selezioni dei Chūnin sono ben diverse da una missione con il proprio maestro: loro dovranno cavarsela da soli.»
«Ed è giusto così, ragazzo mio.» sospirò stancamente. «E poi, proprio quest'oggi, hai avuto un assaggio delle capacità di Minato. Sei riuscito ad essere un bravo maestro guidando i tuoi allievi scrupolosamente nel loro cammino, ora però, devi saper lasciargli prendere la loro strada.»
Lo guardai sospettoso.
Ormai lo conoscevo come le mie tasche e sapevo molto bene che quando se ne usciva con quelle filippiche, significava che sotto, nascondeva qualcosa.
«Qual è il suo vero piano, sensei?»
Lui sorrise sornione, mentre i suoi occhi brillarono di una luce divertita. «Non ti si può nascondere più niente, eh?»
«Non sono più un bambino.» risposi scocciato, memore di tutte le volte in cui ero caduto nelle sue trappole da piccolo.
«Già.» mormorò, nostalgico. «Ad ogni modo...» disse, tornando serio. «...Non mentivo su i progressi dei tuoi ragazzi e credo seriamente che sia il momento giusto per farli passare di livello.»
Incrociai le braccia al petto, rivolgendogli un'occhiata così tanto diffidente che lui, distorse lo sguardo dal mio.
«D'accordo.» si arrese alla fine, con un altro piccolo sospiro. «In fondo, sono sicuro che presto lo verrai a sapere anche tu.»
«Cosa dovrei venire a sapere?» gli chiesi, alzando un sopracciglio.
«Oltre alla tua squadra, quest'anno verrà iscritto alla selezione per i Chūnin anche il Team 8.»
Stavo giusto per obiettare e dirgli che non me ne fregava nulla di chi si sarebbe iscritto a quella dannata prova e chi no, che, all'improvviso, come un fulmine a ciel sereno, un pensiero mi passò per la testa e mi ammutolii all'istante.
Lo guardai allibito, senza avere la forza di dire nulla.
Lui, come a voler confermare il mio pensiero, annuì con un'espressione grave.
«Sarutobi-sensei...» provai allora a mormorare, sbigottito.
Non riuscivo ancora a capire come gli fosse passata per la testa una simile idea.
Sì, i miei ragazzi erano in gamba e, ormai, nelle nostre missioni, non mi rimaneva che stare a guardare mentre loro facevano tutto il resto; ma, arrivare ad affibbiargli un simile compito - quando, ancora non erano neppure dei Chūnin - mi sembrava davvero troppo!
«Questa, sarà la loro prima missione segreta.» precisò lui, posando il fascicolo che teneva in mano sopra le mille carte che ingombravano la sua scrivania e tornando nuovamente a guardare fuori dalla finestra.
«Ma sono ancora dei ragazzini!» gridai infuriato, riprendendomi dallo shock iniziale.
«Dovresti provare ad avere più fiducia nei tuoi allievi, magari, chissà, ti sorprenderanno.»
«Io credo nei miei ragazzi, ma non per questo li manderò al macello!» sbottai, arrabbiato ed offeso dalle sue parole.
A differenza di ciò che pensava, credevo nelle capacità dei miei allievi; ma c'era una grande discrepanza tra una missione in cui potevo intervenire in qualsiasi momento, e una missione segreta svolta durante una prova dove la maggior parte dei candidati cercava di ammazzare senza pietà il suo avversario.
Inoltre, il Team 8, non era davvero pronto per affrontare una simile prova, neppure con l'aiuto dei miei ragazzi sarebbe riuscito a passare la selezione. Una dimostrazione ce n'era stata data appunto la notte precedente. E se, malauguratamente, le cose fossero andate male, i miei ragazzi, avrebbero rischiato seriamente di restare feriti per proteggere quelle ragazzine; per non contare in più, che purtroppo, una di loro, quasi certamente, non sarebbe stata più in grado di usare il suo chakra.
In parole povere, non importava da che punto si guardava la cosa, quella di Sarutobi, era senza ombra di dubbio una gigantesca pazzia!
Non avrei mai rischiato di perdere un'altra volta i miei allievi in quel modo.
A quel pensiero, i fantasmi di Yahiko, Konan e Nagato tornarono ad infestare la mia mente.
Con una smorfia, strinsi le labbra e rinchiusi il loro ricordo dentro un cassetto della mia memoria, scacciando, in questo modo, i miei sensi di colpa per non essere stato presente quando loro avevano più bisogno di me; e, con fatica, tornai a concentrarmi sulla discussione con Sarutobi.
«Non ho nessuna intenzione di iscrivere i miei ragazzi alla selezione.» confermai, testardo. «E non capisco come quell'incosciente possa solo lontanamente pensare di iscrivere le sue allieve!»
«Lui ha fiducia nella sua squadra...» mi rispose con semplicità, tornando a guardarmi in faccia.
Gli rivolsi un'occhiata ostile. «Questo compito va ben oltre la semplice fiducia nei propri allievi. È da pazzi lanciare questi ragazzi in una simile sfida. E lui, lo dovrebbe sapere abbastanza bene! Per non parlare poi...» mi bloccai immediatamente, preferendo non continuare.
Non volevo dirgli quanto quest'idea di ospitare le selezioni proprio all'interno del nostro villaggio non mi piacesse per niente.
Sfortunatamente, quest'anno sarebbe toccato proprio a Konoha aprire le sue porte alle selezioni per i Chūnin e, dopo il tentato rapimento di Uzumaki, permettere a delle squadre avversarie di entrare tranquillamente, non mi sembrava veramente il massimo, anzi, poteva dimostrarsi un grande errore. Non sapevamo ancora nemmeno cosa stavano cercando gli shinobi della Nuvola ed adesso, gli stavamo regalando il passe-partout per la Foglia su un piatto d'argento!
Senza pensare che, qualcuno, poteva benissimo decidere di attaccare il villaggio dall'interno con la scusa di queste selezioni.
Dal mio punto di vista, era davvero troppo pericoloso permettere al nemico di entrare.
«A cosa stai pensando, Jiraiya?» mi domandò, ad un tratto, distogliendomi dalle mie riflessioni.
Nonostante me lo stesse chiedendo, ero certo che lui avesse intuito dove i miei pensieri stessero ruotando in quel momento.
Mi passai stancamente una mano sugli occhi, indeciso se mostrargli i miei dubbi oppure no, ma alla fine, optai per essere sincero. «Non credo sia una buona idea aprire le porte di Konoha, soprattutto, non dopo quello che è successo ieri notte.»
«Capisco.» sussurrò, abbassando lo sguardo pensieroso. «Hai ragione, ma non possiamo chiudere le porte del villaggio: verrebbe vista come una dichiarazione di guerra.»
«E chi se ne importa!» sbuffai, davvero stufo della situazione precaria in cui si trovavano le Cinque Nazioni. «Non credo che chiudere il villaggio ai nostri nemici faccia poi tutta questa differenza! Prima o poi, che noi vogliamo o no, questa dannata guerra scoppierà.»
Il maestro scosse la testa, afflitto. «Il problema non sta nell'evitare che questa guerra scoppi, ma nel provare a ritardare il più possibile il suo inizio.»
«Non capisco. Che vuol dire?» chiesi, confuso.
«La Nazione del Fuoco si trova in un momento critico...» mi spiegò, agguantando nuovamente la sua pipa da sopra la scrivania. «...nello stato in cui si trova, non riuscirebbe a sopravvivere ad una terza guerra, non adesso per lo meno.»
Rimasi senza parole, troppo sconvolto per riuscire a dire qualcosa di sensato.
Sapevo che a causa della Seconda Grande Guerra il Paese del Fuoco aveva riportato gravi danni, ma non mi sarei mai immaginato che la nostra Nazione si trovasse ancora in una simile situazione di stallo.
Nell'ufficio del maestro scese un profondo silenzio e l'aria, si riempì ben presto dell'odore acre della sua pipa. Fu lui a rompere quel momento di apparente quiete, dopo aver espirato una lunga boccata di fumo. «Il mio compito è quello di proteggere tutti i cittadini della Foglia e per farlo, devo mantenere assolutamente la pace.» sussurrò, con la pipa ben stretta tra le labbra e le mani intrecciate dietro la schiena.
Lo vidi osservare con amore le vie del villaggio che a quell'ora particolare del giorno brulicavano piene zeppe di persone e, nel profondo, mi vergognai un pochino per essere stato brusco con lui.
«Sensei, qual'è il suo piano?» gli chiesi, in un sussurro roco.
«Voglio schierare la tua squadra come rappresentante del nostro villaggio.» mi rispose schietto. «Nonostante tu mi consideri un pazzo, ho pensato molto bene alle conseguenze di questa scelta e per questo ho scelto proprio la tua squadra tra tutte: perché loro sono i migliori dell'ultimo decennio. Sono sicuro che riusciranno a battere ed intimidire quanto basta gli altri Paesi da un possibile attacco e, dalla determinazione di quel ragazzo, sono anche pronto a giurare che farà di tutto per proteggere i suoi compagni. In un certo senso, mi sento più tranquillo nel saperlo accanto alle nostre squadre.»
Ascoltai in silenzio fino a quando non finì di parlare, comprendendo solo in quel momento che, il piano di Sarutobi, era ancora più ambizioso di quanto avessi solo lontanamente potuto immaginare.
«Vuole usare Minato come punta di diamante?»
Lui annuì, tornando a puntare i suoi occhi nei miei. «Ammiro quel ragazzo e sento che posso fidarmi di lui.»
«E non c'entra Nanami-san* in tutto questo, vero?»
«Puoi non credermi, ma questa volta, lei non c'entra davvero.»
I suoi occhi, sorprendentemente, erano del tutto sinceri.
Stavolta, non stava dicendo mezze verità: era completamente sincero.
«Sensei, e se nonostante il suo piano, usassero comunque queste selezioni per attaccarci? Cosa faremo?» gli domandai allora, temendo di conoscere già la risposta.
Lo vidi sorridere lievemente, come se un simile pensiero fosse inconcepibile. «In quel caso, gli faremo pentire di essere venuti fino a qui.» mi rispose, divertito. «Allora, che farai? Iscriverai la tua squadra?»
Lo fissai per un lungo secondo, diviso dalla ragione che mi obbligava ad acconsentire all'ordine del mio maestro e dal cuore che mi ordinava di rapire i miei allievi e portarli il più lontano possibile da questa insana pazzia.
«Chi saranno le altre squadre?» gli domandai invece, tardando volutamente sulla mia decisione.
Lui sorrise apertamente, capendo il mio gioco. «Oltre al Team 8, verranno iscritti anche il Team 2 e 5.»
Rimasi sinceramente stupito dalla sua scelta: i membri di quelle squadre, erano tutti i discendenti delle migliori famiglie di Konoha.
«E lei pensa che Minato superi persino i gemelli Hyūga* e la coppia Uchiha*?» feci, scettico.
«Penso che quel ragazzo possa riservarci delle grandi sorprese.» mi rispose. «E tu, lo sai molto bene.»
Non riuscii a controbattere perché, nonostante Minato non appartenesse ufficialmente a una casata illustre, conoscevo bene le sue potenzialità e sapevo che sarebbe diventato presto uno dei migliori ninja mai esistiti al mondo.
«Non stava scherzando quando diceva che avrebbe mostrato a tutti la nuova forza della Foglia.» borbottai, ancora esterrefatto. «Mi spiega perché vuole pure la mia squadra in questo quadro?»
«Per rendere le cose perfette, Jiraiya.» replicò, enigmatico. «Per rendere tutto perfetto
Lo guardai stralunato, chiedendomi se per sbaglio nella pipa avesse inserito delle erbe sbagliate o se, dopo tanto tempo, il caro e buon vecchio Sarutobi, avesse deciso di sballassi un po', anche se – resti tra noi, eh! – non era più nell'età per provare simili sostanze.
Lui ricambiò il mio sguardo con uno curioso. «Che c'è?»
«Niente di che… mi chiedevo cosa diavolo stesse fumando.» mi lasciai scappare, ancora prima di rendermi conto di cosa gli avessi effettivamente chiesto.
Per qualche secondo, i suoi occhi, osservarono l'oggetto in legno lavorato per poi puntarsi nuovamente su di me. «Fiori di Calendula e radici di Ginseng Rosso, perché?»
«Oh no, niente. Semplice curiosità.» farfugliai, facendogli con la mano segno di lasciar correre.
Lui sorrise, divertito. «Mia moglie sarà felice di sapere che hai notato ed apprezzato il suo regalo.»
Per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva. «B-Biwako-san?» balbettai, completamente intimorito dal solo sentire pronunciare il nome di quella donna terrificante.
Lui annuì, sadico. «È stata lei a donarmi questa particolare miscela, dicendomi, che le proprietà curative di queste piante mi avrebbero fatto bene.»
«Se l'ha detto Biwako-san, non può essere altrimenti!»
«A proposito, perché non vieni una di queste sere a mangiare a casa nostra, mia moglie ne sarebbe felice.»
Alla sua proposta, mi vennero i brividi su per tutta la schiena e i sudori freddi.
Mi grattai nervosamente la nuca con una mano, cercando di trovare una scusa fra mille per declinare il suo invito.
Non avrei mai retto una sera sotto lo sguardo tagliente di quella donna, come minimo, mi sarebbe andata la cena di traverso. «S-sono molto occupato al momento, s-sa com'è… il lavoro, le donne, a-ah ah ah.»
«Ecco, anche di questo volevo parlarti. Di donne.» continuò invece lui, incurante del mio improvviso pallore. Lo vidi fare qualche passo verso di me e dovetti fare ricorso a tutto il mio coraggio per non indietreggiare a mia volta.
«Biwako vorrebbe presentarti una sua cara parente. Da qualche tempo infatti, pensa che ormai sei in età da matrimonio e guarda caso, conosce proprio la ragazza che fa per te!»
Era troppo.
Era davvero troppo!
Sentii il terrore prendere possesso di ogni fibra del mio essere ed istintivamente, feci un balzo indietro, sbattendo la schiena contro la dura e fredda parete del suo ufficio. Mi appiattii maggiormente contro il muro e con la mano cercai freneticamente la maniglia della porta, ma quella era troppo lontana.
Imprecai tra i denti e mi maledii mille volte nella mia mente per non essere stato bravo a prendere le misure di fuga in una simile situazione d'emergenza.
Lo vidi fare un altro piccolo passetto verso di me, mentre i suoi occhi erano pervasi da una luce maliziosa e sadica, tremendamente sadica, per i miei gusti.
«D'accordo sensei!» urlai, spaventato a morte da un possibile matrimonio con una donna burbera e gelida come Biwako-san. «Iscriverò i ragazzi quanto prima alla selezione dei Chūnin!»
Il maestro sorrise sornione. «Oh, davvero?»
Annuii diverse volte, agitato, e lui, ampliò il suo sorriso.
«Dirò a Biwako che per il momento sei molto occupato.»
Non sarei mai stato in grado di descrivere il sollievo che provai nell'udire quelle parole.
«Grazie, sensei.» biascicai, tirando un sospiro di sollievo: Ragazzi, che spavento!
«Ad ogni modo.» dissi, l'attimo seguente. «Per quanto è stata fissata la data?»
Lui, capendo subito a cosa mi stessi riferendo, tornò ad essere serio. «Tra tre mesi, a partire da oggi.»
«Bene.» mormorai, sollevato. Mi restava ancora un po' di tempo per allenarli.
Mi fissò per qualche istante, prima di chiamarmi. «Jiraiya?»
Ricambiai il suo sguardo senza dire nulla, in attesa che continuasse a parlare.
«Grazie.» disse solamente, consapevole di quanto in realtà, mi costasse iscrivere quei ragazzi a quella dannata prova ed affibbiargli un compito di una tale portata.
Sospirai pesantemente, sentendomi stranamente svuotato da ogni emozione. «Non mi ringrazi, sensei.» replicai in un sussurro appena percettibile.
Avevo come la brutta sensazione di avere appena fatto un errore madornale ad accettare la sua proposta. «Piuttosto, preghi che non capiti niente, altrimenti...»
«Stai tranquillo, Jiraiya, non gli accadrà niente di grave.» m'interruppe, promettendomi qualcosa che neppure lui, in fondo, poteva veramente sapere.
E non saprei spiegare il perché, ma quelle parole alle mie orecchie, suonarono, più che altro, come un tentativo di auto-convincimento. Forse, il tutto, era dovuto al suo tono atono o forse, in realtà, era la mia paura che qualcosa andasse storto a farmi pensare al peggio.
Scossi la testa, provando a scacciare via quella terribile sensazione che mi stava strisciando nel petto.
«Posso andare, adesso?» gli chiesi, desideroso di tornarmene a casa e riposare un po'.
«A dire il vero, ci sarebbe un'altra faccenda della massima importanza di cui ti vorrei parlare.» disse, scrutandomi con circospezione, quasi timoroso di rendermi partecipe dei suoi pensieri. E con orrore, mi ritrovai a pensare che conoscevo fin troppo bene quell'espressione e, purtroppo, già sapevo che non ne sarebbe venuto niente di buono da questa conversazione. Non persi tempo, non lo feci neppure parlare. Scattai subito come una molla, neanche avessi preso la scossa elettrica.
Ad essere onesto, rispetto a questo, avrei senz'altro preferito incontrare Biwako mille volte con il sorriso sulle labbra ed organizzare con lei mille matrimoni, che toccare un simile tasto con Sarutobi.
«No!» esclamai, irritato.
«Jiraiya, ascolta...» provò a dire, pazientemente.
«No!» ringhiai, interrompendolo ancora una volta.
Sapevo bene cosa mi voleva chiedere e, per la milionesima volta, la mia risposta era sempre la stessa; ormai, non volevo neanche più ascoltarlo ripetere quelle gigantesche cazzate.
«Sensei, questa storia non la riguarda!»
«Lo so, ma...» tentò nuovamente, senza nessun risultato.
«No, sensei, con tutto il rispetto, ma lei non sa un beneamato cavolo!» esclamai, fuori di me.
«Jiraiya, per favore...»
«Si ricordi che lei è vincolato dalla promessa fatta a Nanami!»
All'udire quelle parole, incassò la testa tra le spalle come se avesse ricevuto un forte schiaffo. «Non potrai proteggerlo dalla...»
«Stia zitto!» tuonai, battendo un pugno sulla scrivania in mogano. «Stia zitto, non provi neanche a dirlo!»
Non ero mai stato così irrispettoso con lui, l'avevo sempre stimato come un secondo padre e forse di più, ma non potevo permettergli di rivelare qualcosa a quel ragazzo: Minato non l'avrebbe sopportato.
Rabbrividii al solo pensiero.
Gli lanciai uno sguardo di fuoco, mentre lui lo sosteneva impassibile.
Come faceva a non capire? In fondo, anche lui era stato un maestro ai suoi tempi e avrebbe dovuto comprendere facilmente la mia scelta di portare questo segreto nella tomba.
Con la forza di un uragano, senza che avessi modo di fermare i ricordi, mi ritornò in mente tutto di quella maledetta notte piovosa. Erano passati quasi tre anni ma, potevo sentire ancora lo scrosciare della pioggia e le raffiche del vento gelido sulla pelle mentre, disgraziatamente, tenevano stretto tra le mie braccia quel corpo ormai senza vita.
No, non sarebbe successo di nuovo.
L'avevo giurato a lei e a me stesso: avrei protetto Minato a tutti i costi!
«Jiraiya.» mi richiamò Sarutobi, pacato. «Minato prima o poi verrà a conoscenza della verità...è inutile tenerlo all'oscuro di tutto.»
Sentì il mio cuore mancare qualche battito nel petto dal terrore.
Era vero. Aveva dannatamente ragione, prima o poi avrebbe scoperto la verità: era solo questione di tempo; però, egoisticamente, non volevo che ciò accadesse.
«No.» mormorai con un filo di voce, perdendo il mio spirito battagliero e deglutendo a vuoto. «Non voglio... non è ancora il tempo.»
Sarutobi puntò i suoi occhi scuri nei miei. «Per quanto vorrai scappare?»
Abbassai lo sguardo, colpevole. Senza avere il coraggio di rispondere.
«Ragazzo mio...»
«No, sensei.» esclamai, stringendo i pugni con forza. «Non posso permetterlo.»
Il maestro sospirò, sconfortato. «Deve sapere la verità, almeno questo glielo dobbiamo.»
«Lo farò io stesso, ma non ora...» dissi, con il cuore in gola. «...Aspettiamo ancora un altro po'.»
Soppesò per qualche istante le mie parole, alla fine annuì, comprensivo. «Va bene.»
Mi fissai corrucciato le mani, e per uno spaventoso attimo, le vidi tinte di sangue. Sobbalzai, strizzando gli occhi. Quando li riaprii, erano tornate callose e pulite.
Distesi i nervi, cercando di calmare il mio battito accelerato e respirai profondamente, desiderando cancellare dalla mia mente quel terribile e strisciante senso di colpa.
Avevo un disperato bisogno di uscire fuori da quell'ufficio e gettarmi sotto il getto caldo della mia doccia per cercare inutilmente di lavare via ogni traccia dei miei peccati nascosti.
Senza aspettare il congedo, mi voltai e uscii fuori da quella stanza, ormai diventata ai miei occhi troppo claustrofobica.
E come accadeva tutte le volte che i ricordi venivano a galla, iniziai a correre verso una meta imprecisa, provando, ancora una volta, a scappare dai miei demoni interiori.




 
- Minato -





Senza perdere altro tempo, balzai sul balcone della mia stanza ed entrai direttamente dalla finestra – che avevo sempre la brutta abitudine di lasciare aperta.
Quando attraversai la stanza, involontariamente, il mio sguardo andò a posarsi sulla cornice in acero bianco che era poggiata sulla scrivania e, nell'osservare la giovane donna sorridente che vi era ritratta, un triste sorriso affiorò sulle mie labbra; ma distorsi subito gli occhi da quell'immagine e mi diressi in bagno dove, mi spogliai velocemente e gettai i vestiti nel cesto della biancheria sporca.
Fu un immenso piacere per me entrare dentro la doccia ed aprire il getto dell'acqua calda perché, finalmente, iniziai a sentire i muscoli e i tendini rilassarsi poco per volta.
Appena finii di insaponarmi, appoggiai i palmi aperti sulle piastrelle color panna della doccia e restai immobile sotto quel fiotto d'acqua bollente nella speranza che, insieme al sapone, scivolasse via anche tutta l'ansia e la paura che avevo provato in quelle ultime ventiquattrore.
Era assurdo credere che, i ninja della Nuvola, erano riusciti ad infiltrarsi indisturbati nel nostro villaggio e ad arrivare facilmente a Kushina nonostante, le alte mura di Konoha, fossero circondate da forti e spesse barriere di protezione e da rigidi controlli.
La cosa, mi preoccupava seriamente, anche se, con quello che era successo, non dubitavo neppure per un istante che, l'Hokage, si fosse già messo all'opera per rafforzare maggiormente le barriere che proteggevano la Foglia.
D'altronde, non si conosceva ancora il reale motivo per cui Kumo avesse messo gli occhi su Kushina e, sfortunatamente, non si poteva escludere che la Nuvola, ritentasse un secondo rapimento.
Purtroppo, avevo come il brutto presentimento che questa non fosse stata né la prima volta che cercavano di farle del male e, nemmeno l'ultima. Dovevamo stare attenti, soprattutto adesso che sapevano di essere stati scoperti.
Non c'era nulla di più pericoloso di un avversario che ormai, non gli restava più nulla da perdere.
Questo pensiero mi fece tremare fin dentro le ossa dal terrore.
Qualsiasi fosse la reale ragione di questo attacco, non potevo rischiare di perdere un'altra persona a me cara… non di nuovo e, specialmente, non lei.
Ad un tratto, inaspettatamente, mi balenò in mente un altro volto, tanto diverso da quello di Kushina ma, altrettanto prezioso per me.
Fu così improvviso che, non riuscii neppure a prepararmi alla consueta e dolorosa fitta che mi attanagliava il petto ogni volta che, il suo ricordo agrodolce, tornava a tormentarmi.
Scossi con forza la testa per scacciare dalla mia mente quei caldi e dolci occhi color nocciola e mi costrinsi a rinchiudere, per l'ennesima volta, dentro un cassetto del mio cuore, tutte le ferite del passato.
In fondo, non avevo tempo per piangermi addosso.
Il passato era passato, punto.
Non dovevo più rievocare il suo viso o qualsiasi cosa avesse a che fare con lei.
Forse, sarebbe stato meglio togliere pure la sua foto dalla mia scrivania, eppure, ogni volta che ci provavo, qualcosa dentro di me, mi fermava dal farlo.
Probabilmente, una piccola parte di me, non si era ancora arresa ed attendeva disperatamente il suo ritorno.
Comunque stavano le cose, per il momento, preferivo non pensare a lei e sopprimere ogni ricordo che riusciva a scatenare in me quelle fitte dolorose. Forse, un giorno, chissà, mentre ero in giro per svolgere qualche missione, l'avrei incontrata di nuovo e allora, soltanto allora, con lei davanti, sarei riuscito ad affrontare il fantasma del suo abbandono e, magari, sarei riuscito anche a voltare pagina; malgrado ciò, dovevo in ogni caso andare avanti e lottare per vivere al meglio il presente. Anche se, non credevo minimamente che “scappare dal passato” potesse definirsi un “vivere il presente”, ma almeno, ci stavo provando e questo, era ciò che davvero contava.
Perso nei miei pensieri per com'ero, inizialmente, non mi accorsi nemmeno che l'acqua era divenuta fredda.
Quando riaprii gli occhi e notai questo piccolo particolare, decisi di uscire dalla doccia.
Mi asciugai alla svelta e, dopo che indossai un pantalone e una maglia presi a caso dal portabiancheria del bagno, andai in cucina per bere qualcosa di fresco.
Dopo aver visto Kushina uscire in quello stato dalla sala operatoria, mi si era completamente chiuso lo stomaco e il colloquio con il Terzo, di certo, non mi aveva aiutato a farmi tornare l'appetito ma, mi sforzai di prendere se non altro un po' di succo.
Nel portarmi il bicchiere alle labbra, lanciai una piccola occhiata all'orologio a muro appeso sopra la porta della cucina: era quasi mezzogiorno e mezzo.
Era ancora troppo presto per andare a trovare Kushina; sempre se, Tsunade, non avesse già dato ordini ben precisi riguardo alle visite.
Avevo come la strana sensazione che, per non farla stancare troppo e, permetterle di riposare tranquillamente, senza che nessuno la disturbasse, quella donna, fosse capacissima di vietare qualsiasi visita da parte di amici e parenti.
Mi lasciai scappare un lungo sospiro e decisi di mettere, per il momento, da parte tutti quei pensieri. Era meglio cercare di riposare un po'. In fondo, ero veramente stanco e la doccia che avevo fatto, mi aveva rilassato quel tanto che bastava per poter provare a dormire.
Con questo proposito, lasciai il bicchiere nel lavabo della cucina e mi diressi in camera da letto.
Quando mi sdraiai, compresi davvero quanto bisogno avevo di distendermi e riposare prima di andare da lei ma, appena chiusi gli occhi, senza nessun preavviso, mi apparse davanti il suo volto addormentato e tremendamente pallido.
Era come se quell'immagine di lei, appena uscita dalla sala operatoria, fosse stata marchiata a fuoco dietro le mie palpebre ed ora, mi stesse perseguitando.
Mi rigirai nel letto, cercando di cacciare via quell'immagine, ma non ci riuscii.
A nulla serviva cambiare posizione, non potevo chiudere occhio senza che la rivedessi distesa in quella stramaledettissima barella. Ed avevo la convinzione che, se prima non mi fossi accertato che avesse almeno riaperto gli occhi, non ci sarei sicuramente riuscito.
Mi rigirai per l'ennesima volta ed affondai la testa sotto al cuscino, ma in quell'istante, un'altra immagine sostituì la precedente e nella mia mente, riecheggiarono pure le sue parole.
Quelle stesse parole che mi aveva sussurrato con uno sguardo impaurito e sofferente: …anche se sono una forestiera?
Ne ero certo, non avrei mai dimenticato le sue lacrime né, tanto meno, il peso del suo dolore.
Essi, inspiegabilmente, erano riusciti a scavare in me un solco profondo che si sarebbe potuto rimarginare solamente con i suoi sorrisi.
Ecco perché, sopra la cima di quell'albero, avevo promesso a me stesso di proteggerla.
Le mie azioni, non erano state gestite solo dalla compassione che avevo provato per lei in quel frangente.
No, avevo deciso di aiutarla perché ero sicuro che soltanto se lei sarebbe stata felice, lo sarei diventato pure io.
In qualche modo a me ignoto, e allo stesso tempo spaventoso, adesso, dalla sua felicità, dipendeva anche la mia.
Ripensai al modo in cui, in preda al suo sfogo, si era stretta a me ed aveva continuato a farlo pure quando si era addormenta tra le mie braccia.
In quel momento, mi era sembrata così fragile ed indifesa che, avevo avuto la paura di poterla spezzare facilmente se non avessi fatto molta attenzione… Basta, non potevo continuare così!
Mi alzai di scatto dal letto e mi vestii in un battito di ciglia con degli abiti puliti.
Dovevo assolutamente controllare che lei stesse bene, altrimenti, non avrei avuto pace.
Fortunatamente, il mio appartamento, si trovava al centro del villaggio e, non distanziava poi molto dall'ospedale. Infatti, raggiunsi in pochi minuti il grande edificio a tre piani con il tetto blu – che fungeva da ospedale a Konoha.
Per una frazione di secondo, mi venne la malsana idea di entrare direttamente dalla finestra per non farmi vedere da nessuno ma, scacciai subito quell'ipotesi; anche perché, ad essere onesti, non volevo rischiare di introdurmi nella stanza sbagliata.
Scossi la testa, sorridendo lievemente al pensiero che, Jiraiya, in questi anni, aveva esercitato senz'altro una cattiva influenza su di me.
E me lo stavo giusto immaginando sghignazzare con i pollici all'insù, approvando con fierezza il mio piano di usare la finestra anziché la porta, quando, improvvisamente, me lo vidi sfrecciare davanti come una scheggia – per la miseria, neanche avesse avuto il diavolo alle calcagna!
E per giunta, non mi degnò nemmeno di uno sguardo, anzi, era come se non mi avesse proprio visto.
Accigliato, lo osservai correre.
Che cosa accidenti gli era successo per essere così sconvolto?
Feci per chiamarlo, ma non me ne diede neppure il tempo: era già sparito.
Perplesso, piegai leggermente la testa di lato, chiedendomi, se per caso, era un vizio del “Team Sarutobi” sparire a quel modo però, decisi ben presto di lasciar perdere e di continuare per la mia strada: avevo bisogno di vedere Kushina, subito.
Non m'importava se era solo per un'istante, dovevo vederla.
Volevo assolutamente vederla.
Preoccupato da ciò che mi attendeva, mi passai una mano tra i capelli per smorzare l'ansia e con un profondo respiro, varcai la soglia dell'ospedale.
Quando entrai però, la mia attenzione, fu inevitabilmente catturata da un forte trambusto e da alcune voci femminili.
Tra di esse, purtroppo, riconobbi la voce nasale di Nabiki Yamanaka* – l'infermiera più saccente ed arrogante mai assunta all'ospedale di Konoha – intenta, a discutere animatamente con due ragazze, una delle quali era particolarmente infuriata.
Mi bastò lanciare solo un'occhiata nella loro direzione per riconoscerle: erano Mikoto Uchiha ed Akemi Hyūga, le compagne di squadra di Kushina.
Anche se, onestamente, mi meravigliai molto di trovarle lì.
Che io sapessi, Kushina, purtroppo, non era mai riuscita a rapportasi nemmeno con loro e, questo, aveva pure penalizzato di molto la loro squadra; ma, adesso, il vederle discutere con quell'infermiera mi fece uno strano effetto.
Possibile che le cose stessero per cambiare in meglio?
Me lo augurai davvero.
«Vi ripeto per l'ennesima volta che, quella paziente, non può ricevere visite, andatevene!» gridò Nabiki, facendo riecheggiare le sue urla per tutta la sala d'aspetto e terrorizzando a morte un bambino di sì e no cinque anni, ma non poteva di certo sperare d'intimidire in quel modo, due delle migliori kunoichi del mio anno d'Accademia.
«Forse non mi sono spiegata...» ringhiò, Mikoto tra i denti, inviperita come non l'avevo mai vista: sembrava quasi bruciare dalla collera più nera. «...voglio sapere qual è la stanza di Uzumaki Kushina, ora!»
La donna, gonfiò il petto come un gallo pronto al combattimento ed io, mi ritrovai a sorridere di quella scena.
La vista di Nabiki, tutta scompigliata e paonazza, alle prese con quella furia di Mikoto, era davvero uno spasso.
«Tsunade-sama, ha dato ordini ben precisi. Mi dispiace, ma la paziente non può ricevere visite al momento.» se ne uscì alla fine, guardandole dall'alto in basso e confermando i miei precedenti sospetti.
«Non può fare un'eccezione?» chiese allora Akemi, supplichevole.
«No, è fuori discussione!»
«Ma noi...» provò ancora la giovane Hyūga, prima d'essere interrotta brutalmente dalla sua amica.
«L'avverto, se non ci dirà...» iniziò freddamente, ma fu interrotta a sua volta dalla compagna.
«Mikoto.» la chiamò, timidamente.
Lei infastidita, si voltò a guardarla. «Che c'è?»
Non restai ad ascoltare altro ed approfittando della distrazione di Nabiki, attraversai il corridoio, sperando di non incontrare nessuno.
Nemmeno avevo concluso quel pensiero che appena svoltai l'angolo mi scontrai con qualcuno e ruzzolai a terra come un salame.
Imprecando tra i denti provai a rialzarmi, ma quel qualcuno fu più rapido di me, mi acciuffò da dietro con forza e mi trascinò dentro una stanza.
Cercai di liberarmi, ma il mio aguzzino non allentò la sua presa d'acciaio.
«Shh!» ordinò, bisbigliando al mio orecchio.
Ma che diavolo...?
Riuscii solo a pensare, prima di sentire dei sonori passi riecheggiare dietro la porta contro cui ero stato malamente sbattuto ed immobilizzato.
M'irrigidii preoccupato, e soltanto in quell'istante compresi che se lui non mi avesse afferrato e portato lì, sarei stato beccato senza via di scampo.
Quando i passi furono ben lontani, il mio aguzzino, o forse, era meglio dire, il mio salvatore, mi lasciò andare: «Credo che con questo siamo pari, baka
Trattenni a stento un sospiro di sollievo nel riconoscere quella voce e sorrisi divertito, lanciando un'occhiata in giro giusto per non rispondergli subito; dalle dimensioni e dalla grande quantità di scope, secchi e rastrelli mi aveva trascinato dentro lo sgabuzzino dell'ospedale.
«Non direi...» dissi alla fine, per provocarlo. «...Io ti ho trattato con più gentilezza, mi pare!»
Il suo sbuffo contrariato mi fece quasi scoppiare a ridere.
«Comunque, grazie.»
Senza degnarsi di rispondere, mi allontanò con poca grazia dalla porta e l'aprì silenziosamente, guardando fuori. «Via libera, non c'è nessuno.» fece, preparandosi a sgusciare via dallo sgabuzzino, ma non gliene diedi il tempo.
Lo agguantai per un braccio, prima che lui potesse uscire. «Ehi, aspetta!»
Non era un caso che lui si disturbasse a girovagare per un corridoio d'ospedale e non avevo dubbi neanche su cosa fosse venuto a cercare; anzi, avrei dovuto pensarci subito, dove si trovava l'una era inevitabile incontrare anche l'altro e poi lei, stranamente, era l'unica persona al mondo in grado di persuaderlo a fare qualcosa di simile.
«Che vuoi, scemo?» sbottò, infastidito.
«Sei riuscito a trovare ciò che cercavi?» gli chiesi, senza mezzi termini.
Se era rimasto sorpreso dalla mia domanda non riuscii a capirlo, il suo sguardo rimase impassibile come sempre.
«Non ne ho avuto il tempo.» ammise, imbronciato.
«Di a Mikoto che lei, è nella 202.»
Lui mi rivolse una delle sue peggiori occhiate indagatrici, ma poi distolse lo sguardo.
«Non ti chiederò come hai fatto a scoprirlo e non dirò a nessuno che sei stato tu a dirmelo, per intenderci, neppure a Mikoto. Noi oggi, non ci siamo nemmeno incontrati. Comunque,» fece poi, tornando a fissarmi negli occhi. «penso che le ragazze torneranno nel pomeriggio, quando quell'oca di Yamanaka, se ne sarà andata a casa.»
Sospirai sollevato.
In pratica, mi avrebbe concesso tutto il tempo per andare da lei senza che nessuno mi vedesse.
«Grazie, Uchiha
«Smettila e vai dove devi andare, tonto
Sorridendo apertamente, lo salutai ed uscii in fretta dallo sgabuzzino.
Fugaku, non sarebbe mai cambiato, ormai, il suo carattere scorbutico era diventato davvero una costante nella mia vita ed, ero anche convinto che, il giorno in cui mi avrebbe dimostrato un po' d'affetto, sarebbe stato un nefasto presagio per tutti noi; però, per esperienza personale, sapevo che dietro quella spessa corazza di freddezza, batteva un cuore più caldo del mio.
Era soltanto molto reticente a mostrarlo, tutto qua.
Attraversai alla svelta l'intero ospedale fino a quando non arrivai nel corridoio in cui erano indicate le stanze che contavano dal 200 al 220.
Percorrendo il corridoio, guardai i numeri accanto alla porta con il fiato sospeso.
...210 ...209 ...208 ...207 ...206 ...205 …204 ...203 ...202, eccola!
Trepidante, e con il cuore in gola, posai la mano sulla maniglia della porta.
Lei era solo a pochi passi da me: era proprio dietro quella porta.
Ironicamente, pensai che un'altra porta ci stava dividendo ma, questa volta, non fu per molto.
Con uno scatto, l'aprii e per poco, non mi prese un colpo.
Chi diavolo era quello?!




 
- Tsunade -





Era il crepuscolo.
Il sole morente, era ormai del tutto sparito dietro le alte e rigogliose cime degli alberi che nascondevano e proteggevano il nostro villaggio ed io, mi ritrovavo di nuovo qui, seduta sulla testa di pietra che raffigurava il volto di mio nonno, mentre assistevo da sola a quello spettacolo affascinante e al tempo stesso, totalmente deprimente.
Un altro giorno era quasi finito, pensai amaramente, sapendo che ben presto, quell'incubo, sarebbe tornato a tormentare – come ogni notte, del resto – i miei sogni.
Strinsi le gambe al petto e appoggiai il mento sulle ginocchia, chiudendomi a riccio come se con quel semplice gesto, potessi davvero proteggermi dai miei tormenti peggiori.
Era proprio in questi momenti che non riuscivo a nascondere quella tremenda solitudine che mi attanagliava il petto in una morsa d'acciaio.
Da quando avevo perso Nawaki, la mia vita era del tutto cambiata, sprofondando nelle tenebre del dolore.
Da quel maledetto giorno, non avevo più nessuna ragione per cui lottare.
Non c'era più nessuno che dovevo proteggere.
Non avevo più uno scopo per vivere.
Con quelle maledette carte bombe, oltre al mio fratellino, era pure saltato in aria il mio cuore ed adesso, ero semplicemente un guscio vuoto che camminava e si muoveva senza nessun motivo.
Portai la bottiglia alle labbra e, con avidità, ne trangugiai un grande sorso.
Storsi le labbra al sapore forte dell'alcol e chiusi istintivamente gli occhi quando avvertii la gola bruciare al passaggio del liquore. E per un misero istante, mi sentii davvero bene.
Mi sentii strepitosamente bene.
Per quanto potesse essere stupido da parte mia crederlo, bere, mi aiutava.
Mi aiutava a dimenticare per qualche secondo quanto la mia vita, fosse stata un enorme e completo fallimento.
Sì, perché io, Tsunade Senju, ero un completo fallimento.
Avevo fallito sia come guerriero, che come figlia e, soprattutto, come sorella maggiore.
Non ero riuscita a proteggere il mio adorato fratellino; non ero lì per impedirgli di saltare in aria, non c'ero per fermarlo dal correre incontro alla morte. Ed ora, mi ritrovavo a bere dello scadente sake per poter provare ad attenuare quel vuoto opprimente che mi straziava e lacerava continuamente il petto in mille e più parti. Sorrisi malinconicamente, al ricordo del viso sorridente di Nawaki.
Mi mancava davvero tanto.
Il mio caro fratellino.
«Che ci fai qui?» un sussurro roco, venuto dal nulla, mi fece trasalire e per poco, dallo spavento, non lasciai persino cadere a terra la bottiglia che tenevo in mano.
Ma riconoscendo la sua voce, mi tranquillizzai subito.
Con lui non c'era nessun bisogno di avere paura perché sapevo molto bene, che mi avrebbe sempre protetto, anche da me stessa, se solo l'avessi voluto.
Peccato però, che il mio orgoglio, mi impediva di urlargli quanto disperato era il mio bisogno di sentirlo accanto a me. «Potrei chiederti la stessa cosa.»
«Ti cercavo.» mormorò serio, cercando di regolarizzare il suo respiro.
Probabilmente, aveva corso fin qui.
«Adesso mi hai trovata, cosa vuoi?»
«Te.» rispose, schietto come soltanto lui riusciva ad essere. «Ho bisogno di stare con te.»
Allibita dalle sue parole, mi voltai completamente verso di lui, indecisa se rimproverarlo per le sue battute fuori luogo oppure no, ma appena i nostri occhi si incontrarono, mi bloccai all'istante. O per meglio dire, il suo sguardo mi bloccò.
Nei suoi occhi c'era una disperazione e un vuoto che vi avevo letto solo poche volte prima di allora e la ragione, mi ritrovai a pensare tristemente, purtroppo, era sempre la stessa.
Involontariamente, con le braccia, mi strinsi di più le ginocchia al petto in cerca di riparo dal freddo autunnale e forse, ad essere sinceri, anche di un po' di conforto.
Ogni volta che mi si mostrava in quello stato, non potevo fare a meno di avere paura. Perché se, a causa del dolore, persino il suo incrollabile e luminoso sorriso poteva tramontare, avevo paura che, per me, non ci sarebbe più stata nessuna speranza di poter tornare a vivere di nuovo.
Lo vidi ricambiare il mio sguardo e fare qualche passo verso di me. Ed istintivamente, mi feci leggermente da parte per fargli posto.
Quando lui di sedette accanto a me, non gli chiesi cosa gli fosse successo.
Non ci pensai neppure a farlo.
Se lui era venuto a cercarmi era proprio perché non voleva parlare e, soprattutto, non voleva pensare o ricordare i fatti dolorosi che lo tormentavano ormai da tempo.
Conscia di questo, mi limitai soltanto ad allungare il braccio e a passargli la bottiglia.
Lui la prese e con un piccolo movimento della mano, l'alzò a mo' di brindisi per poi berne un lungo sorso e passarmela di nuovo per poterne bere a mia volta.
Non ricordo con esattezza per quanto tempo restammo così, seduti l'uno accanto all'altra, a bere in silenzio, ma il sole ben presto sparì del tutto e noi, venimmo avvolti completamente dal buio della notte.
Eppure, adesso, non eravamo più da soli e questo, per il momento, ci bastava.
Ci bastava davvero.















NdA:
Ta Tan!
Sono tornata prima del previsto con un nuovo capitolo e sono pure pronta per tutti i pomodori e la frutta marcia che avete messo da parte per me in questi due mesi d'attesa! 
^^"
No, dai, scherzavo. Risparmiatemi almeno la frutta marcia, per favore! Quella puzza un pochino! xP
Comunque tornando seri, che ne pensate di questo capitolo?
Premetto che ci sono state molte parti che mi sono piaciute scrivere ed altre, che mi hanno fatto sclerare... ho passato anche alcune notti insonni per renderlo al meglio e spero che, dopo tutti i miei sforzi, ci sia riuscita; ma non sta a me dire questo, bensì, aspetta a voi il compito di giudicare se questo capitolo è valso la pena leggerlo oppure no.
Spero di cuore di non aver deluso le vostre aspettative e che continuiate a leggere questa storia.
Aspetto anche con ansia di conoscere il vostro parere e, ci terrei a ringraziare di cuore tutte le persone magnifiche che stanno leggendo e, soprattutto, seguendo questa storia!
Grazie anche a 
coniglietto 94 per aver inserito questa fanfiction nelle preferite!
Che altro dire?
Spero di risentirvi nel prossimo aggiornamento.
A presto,
Con affetto, Rosye.

Ulteriori Note:
*Personaggio di mia invenzione, comunque presto capirete chi è questa “Nanami-san”.
*Ho fatto qualche calcolo con la calcolatrice e se non sbaglio (e la mia matematica continua a fare schifo come in passato ^^'') i gemelli Hyūga – anno più, anno meno – dovevano essere coetanei di Minato e lo stesso Fugaku e Mikoto. Quindi, ho pensato con la mia testolina, perché no?
Ah dimenticavo, se qualcuno se lo chiedesse, nella mia storia Minato e Fugaku non fanno parte dello stesso team... e neppure Fugaku e Mikoto sono nella stessa squadra.
Quando Jiraiya parla della "coppia Uchiha" si riferisce a Fugaku ed a un altro membro di quel clan che presto farò comparire nella storia: in pratica, ve lo prometto, aspettatevi delle belle! ;)

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Lotteremo Contro il Nostro Destino!
Capitolo 4












Sarutobi



Osservai per parecchio tempo il punto in cui prima si trovava il mio allievo, amareggiato con me stesso per non essere stato stato in grado di aiutarlo ad uscire da quell'incubo in cui era precipitato.
La sua, d’altronde, non era una situazione facile da affrontare e il suo continuo rifiutarsi di accettare ciò che era successo, di certo, non l’aiutava per niente.
Stava ancora scappando dal suo dolore e questo, non gli permetteva di superare il trauma patito quella maledetta notte.
Scossi la testa, sospirando amaramente.
Tutto, in parte, era accaduto anche per colpa mia.
Se solo avessi calcolato meglio i rischi nascosti dietro quella “semplice missione di spionaggio”, allora, forse, avrei potuto evitare che le cose andassero in quel modo insensato.
Colpevole, abbassai lo sguardo a terra, sentendo pulsare al centro esatto del petto quel bruciante senso di colpa che ogni giorno mi faceva pentire della mia stupida e gigantesca ingenuità.
I fatti accaduti quella notte, erano stati per tutti noi un’importante lezione di vita che poi, Jiraiya, aveva tramutato in una delle sue regole principali e l’aveva inculcata pure nelle giovani menti dei suoi allievi: “Mai, e poi mai, sottovalutare il proprio nemico”.
Purtroppo però, il mio povero Jiraiya non comprendeva che alle volte, il “nemico” poteva facilmente nascondersi sotto la maschera di un “buon amico”. Ed era quella senza ombra di dubbio, rispetto a tutte, la prova più difficile da dover affrontare; perché chiunque, infatti, poteva lottare senza nessuna riserva contro colui che riteneva un nemico giurato ma, combattere contro un caro e vecchio amico – e compagno di mille e più battaglie – sfortunatamente, era tutt'altra cosa da dover accettare. Il ché, mi riportava con la mente a ciò che avrei dovuto fare di lì a qualche minuto e, in cuor mio, desiderai davvero poter tornare ai miei tempi d’oro, quando, simili verità, non mi sfioravano nemmeno lontanamente.
Sospirai mestamente, consapevole di non poter più rimandare quel maledetto incontro che fino a quel momento avevo semplicemente, e volutamente, ignorato.
«Tetsuya!» chiamai a gran voce, spingendo lontano da me quei pensieri dolorosi per concentrarmi sui miei doveri di Hokage.
Non potevo cambiare il passato – lo sapevo bene – però, potevo certamente impedire a quell’uomo di causare altri danni.
«Sandaime-sama, mi ha chiamato?» rispose prontamente una delle mie guardie speciali, materializzandosi davanti a me in un rispettoso inchino, in attesa dei miei ordini.
«Ho bisogno di un favore.» gli dissi, avvicinandomi a lui di qualche passo. «E solo tu mi puoi aiutare.»
Non riuscii a leggere la sua espressione per via della maschera che indossava ma, quando mi rispose, la sua voce risuonò alle mie orecchie seria e decisa: «Sono al suo completo servizio, signore.»



 
Minato



 
Chi diavolo era quello?



Un nemico.
Un altro shinobi della Nuvola inviato per farle ancora del male.
Fu questo il primo pensiero che mi attraversò la mente quando, aprendo quella benedetta porta, vidi quell’uomo piegato su Kushina, mentre lei, era ancora placidamente addormentata ed ignara di tutto.
Ripeto – fu questo il mio primo pensiero e purtroppo, l’impulso di reagire al pericolo partì ancora prima di chiedermi se quel ninja fosse davvero un nemico oppure no.
D’istinto, senza nemmeno pensarci due volte, estrassi subito dalla borsa – che tenevo sempre legata alla coscia destra – un kunai, pronto per ogni evenienza; ma quell’uomo si accorse della mia presenza e fu più veloce di me.
Con uno scatto rapidissimo, si portò dietro la mia schiena e con un solo movimento, senza darmi neppure il tempo di voltarmi, mi disarmò e mi scaraventò a terra, immobilizzandomi del tutto.
«Ehi, marmocchio...» mi sussurrò a pochi centimetri dall’orecchio con una voce roca e severa. «...all’Accademia non ti hanno insegnato a non giocare con le armi?»
Alla sua domanda retorica, avvertii la sua presa sul mio polso farsi sempre più forte fino a quando, dalle mie labbra, non scappò un gemito di dolore.
Confuso e del tutto disorientato, cercai di divincolarmi, ma la sua presa era così vigorosa da inchiodarmi al duro pavimento senza darmi nessuna via di scampo. Da sopra di me, lo sentii ridacchiare, divertito dai miei vani tentativi di liberarmi.
«Che cosa ti succede?» mi chiese dopo un po’, con tono dannatamente provocatorio. «Non dirmi che non riesci più a muoverti.»
Digrignai i denti, arrabbiato con me stesso per essere stato catturato così facilmente da quel tizio che, adesso, si stava chiaramente prendendo gioco di me, convinto, ormai, di avermi messo nel sacco e di avermi completamente alla sua mercé.
E accidenti a lui, se non aveva ragione a pensarla così!
Infatti, entrambi sapevamo molto bene qual era l’unico modo per liberarsi da una presa del genere e gli svantaggi che ne sarebbe susseguiti.
Del tutto inerme, mi ritrovai a masticare una serie di imprecazioni poco carine sia per la situazione poco felice in cui mi ero andato a cacciare, sia per il dolore alla spalla che – per via della scomoda posizione in cui mi trovavo – aveva iniziato a protestare sonoramente.
Se solo fossi stato un po’ più attento, non gli avrei mai permesso di mettermi così tanto in difficoltà.
Diedi un altro strattone nella speranza di fargli mollare la presa sul mio polso, ma era del tutto inutile. Le sue dita sembravano delle tenaglie, mi avevano arpionato e non volevano più lasciarmi andare.
«Ehi, ehi, marmocchio. Sta’ attento...» mi disse ancora, con un sorrisetto sghembo sulle labbra e un tono fintamente preoccupato, stringendo maggiormente la presa per non farmi muovere. «...se continui così, ti farai solo del male. E noi non vogliamo che ciò succeda, giusto?» mi sfotté, certo e sicuro della sua vittoria su di me.
Cosa che, diciamocelo, mi fece andare completamente in bestia.
«Non sottovalutarmi, idiota!» gli sibilai contro, stringendo i denti e preparandomi mentalmente al contrattacco, pronto a dar battaglia con tutte le mie forze e a non arrendermi.
Sapevo che da lì a qualche momento, la spalla, mi avrebbe fatto un male cane ma, a questo punto non m’importava più. Dovevo liberarmi – e dovevo farlo pure alla svelta.
Il mio avversario sembrò intuire le mie intenzioni, tuttavia, fu troppo tardi per lui: «Non dirmi che–?!» fece allarmato, ma non gli diedi altro tempo per capire cosa stava succedendo.
Legai la mia caviglia alla sua per fargli perdere l’equilibrio e con un poderoso colpo di reni, mi spinsi verso l’alto, disarcionandolo dalla mia schiena e liberandomi dalla sua presa d’acciaio. Lo sentii mormorare qualcosa, ma concentrato per com’ero, non ci badai e, con una piccola evoluzione, mi frapposi tra di lui e il letto di Kushina. Infine, afferrai in entrambe le mani un kunai e mi misi in posizione di difesa, pronto ad ogni sua possibile mossa; però, stranamente, questa volta non sembrava intenzionato ad attaccare.
Rimase solo fermo, immobile, ad osservarmi.
Il suo sguardo era simile a quello di un vecchio cane diffidente di fronte a uno sconosciuto: era curioso, sì, ma anche vigile.
Tremendamente vigile.
Mi scrutava con insistenza, studiandomi nei minimi particolari.
Ciononostante, non ci feci molto caso – anche perché anch’io feci lo stesso con lui.
Lo osservai attentamente, soffermandomi maggiormente sul suo volto dai bellissimi lineamenti aristocratici e dai penetranti occhi color ebano che, grazie alla carnagione chiara della sua pelle, risplendevano come due gemme preziose.
La sua lunga chioma era talmente scintillante da poter essere paragonata soltanto all’argento liquido. Teneva i capelli legati dietro la testa, in una bassa e disordinata coda, mentre la frangia, gli ricadeva in modo sbarazzino sulla fronte larga e marcata – ed era solo per il suo copri-fronte se, i capelli, non gli ricadevano sugli occhi – donandogli un aspetto da “bello e dannato” allo stesso tempo. Il suo corpo, inoltre, era alto e slanciato. E le sue spalle erano larghe e robuste, segno dei molti allenamenti a cui si era sottoposto fin dalla sua infanzia e delle innumerevoli battaglie che aveva combattuto.
Nel complesso, era un uomo dall’aspetto molto attraente che non dimostrava più di una ventina d’anni, anche se – ero pronto a scommetterci – in realtà, ne nascondesse molti di più, se non addirittura il doppio.
Stavo giusto valutando questo piccolo dettaglio quando, con un pizzico d’imbarazzo, mi accorsi dello stemma della foglia inciso sul suo copri-fronte: anche lui era un ninja di Konoha.
E a giudicare dalla sua divisa, doveva pure trattarsi di un Jōnin.
Tuttavia, anche se quell’uomo era un membro della Foglia, non potevo ugualmente fidarmi di lui. Non dopo tutto quello che era accaduto nell’arco di quelle poche ore e soprattutto, non dopo il chiaro avvertimento con cui Tsunade si era premurata di mettermi in guardia appena fuori dall’ufficio dell’Hokage.
Non dovevo dimenticarlo, chiunque poteva essere coinvolto in questo “incidente”. Nessuno doveva essere escluso dalla rosa dei sospetti, nemmeno il più stimato e fidato membro del villaggio. E poi, se proprio dovevi dirla tutta, quell’uomo non mi ispirava molta fiducia.
L’avevo sorpreso fin troppo vicino al letto di Kushina per i miei gusti e questo, non mi piaceva.
Non mi piaceva per nulla.
In fondo, chi diavolo era per permettersi di entrare dentro la sua camera mentre lei era ancora priva di sensi e per giunta, completamente indifesa?
Una piccola e fastidiosa vocina nella mia testa mi fece presente che pure io, proprio come lui, non avevo nessun diritto di trovarmi lì, ma la ignorai bellamente; cercando invece di giustificarmi con me stesso che io, a differenza di quel platinato, avevo almeno contribuito nel suo salvataggio e questo, anche se in minima parte, doveva pur contare qualcosa.
Avevo il diritto di andare da lei per accettarmi della sua salute, no?
Dandomi mentalmente dello sciocco, scacciai subito quei pensieri frivoli e molesti per non permettere alle mie incertezze di prendere il sopravvento su di me e di distrarmi dal mio avversario. In un momento come quello, non potevo permettermi il lusso di pensare a simili sciocchezze.
Non potevo; non se chi avevo di fronte, era un avversario temibile come quello shinobi dalla capigliatura argentata.
Qualcosa infatti, mi urlava a gran voce di non sottovalutarlo e – come sempre del resto – non avevo nessuna intenzione di ignorare il mio istinto.
Conscio di questo, strinsi la presa sul mio kunai e, assottigliando gli occhi, mi rivolsi a lui con un tono tutt’altro che amichevole: «Chi sei?» gli chiesi. «Che cosa vuoi da lei?»
Lui per tutta risposta, mi lanciò un’occhiata perplessa come se, considerasse ridicolo anche solo il fatto di dover spiegare a qualcuno il motivo della sua presenza lì. «Questo, se permetti, dovrei chiederlo io.» borbottò, parecchio offeso. «Che cosa sei venuto a cercare qui?»
Il suo tono era strafottente, quasi non gli interessasse davvero ricevere una risposta ma, il suo sguardo febbrile sul mio kunai, lo tradiva.
Era ovvio che vedermi così vicino a Kushina, per di più con delle armi affilate in mano, lo rendesse particolarmente nervoso.
Possibile che fosse davvero preoccupato per lei?
Stavo giusto riflettendo su ciò quando, un piccolo movimento della sua mano, attirò la mia attenzione e mi fece scattare sulla difensiva.
Per un lungo istante, ci guardammo torvi, scrutandoci e studiandoci a vicenda; cercando entrambi di valutare con un semplice sguardo le capacità dell’altro e le possibili difficoltà che ne sarebbero sorte da uno scontro aperto tra noi due. E poi, mentre le nostre menti erano ancora concentrate a ragionare su ciò, i nostri occhi, come calamitati da una forza maggiore, si spostarono e si posarono in sincronia su Kushina: tutte e due, evidentemente preoccupati che lei, in qualche modo, potesse rimanere coinvolta nello scontro.
E fu proprio quello sguardo a parlare per noi; a mostrare i nostri sentimenti e le nostre priorità. E soprattutto, a farci capire che in fondo noi, non eravamo poi tanto diversi l’uno dall’altro. Entrambi ci trovavamo nello stesso lato della barricata e, cosa più importante di tutte, noi non eravamo nemici.
Perlomeno, non lo eravamo se il bene di Kushina veniva minacciato da qualcosa.
Non c’era bisogno di dire altro, quel pensiero mi bastò per abbassare le armi.
Certo, non sapevo ancora chi fosse quell’uomo o cosa stesse facendo in quella stanza prima del mio arrivo, ma sentivo che quello shinobi non era cattivo e – nonostante mi venisse difficile farlo – volevo comunque concedergli il beneficio del dubbio.
Per questo, con un movimento molto lento, lasciai scivolare le braccia lungo i fianchi, scoprendomi del tutto davanti a lui.
Volevo dimostrargli di non avere più nessuna intenzione di attaccarlo ma, il mio gesto, sembrò invece scatenare su di lui l’effetto contrario perché, di colpo, si fece più guardingo che mai: come se il mio, fosse soltanto un vile bluff per ingannarlo ed attaccarlo all’improvviso.
«E adesso cosa stai progettando di fare, marmocchio?» mi chiese, diffidente come una bestia selvatica.
Mi scappò quasi un sorriso di fronte al suo atteggiamento burbero e sospettoso: aveva un ché di famigliare con una certa rossa di mia conoscenza.
«Niente.» gli risposi, sempre più convinto di non dover temere nulla da lui – non in questo caso, almeno. «Volevo semplicemente parlare senza usare questi.» aggiunsi, sollevando leggermente la mano destra per indicargli il kunai che ancora tenevo. «Certo, sempre se per te non è un problema.»
«Non hai paura che ne approfitti per attaccarti?»
«No, perché non lo farai.»
Lui ridacchiò, quasi divertito dalla piega che stava prendendo la nostra conversazione, ma il suo sguardo era ancora vigile. Non si fidava ancora di me.
Tuttavia, non ci feci molto caso.
Era nella natura di ogni ninja diffidare di qualsiasi cosa e vivere nella costante vigilanza. Eravamo addestrati a questo fin dalla nostra prima infanzia e chi non imparava subito a farlo, purtroppo, non riusciva a vivere molto a lungo nel nostro mondo.
«Sentiamo un po’, illuminami. Che cosa ti dà tutta questa sicurezza?» fece sarcastico, incrociando le braccia al petto in quella che doveva essere una posa rilassata ma che, di rilassato, aveva davvero ben poco.
«In realtà, sei stato proprio tu a darmela.» replicai, mettendo via i kunai per dimostrargli di non avere davvero nessuna intenzione di attaccarlo di nuovo.
Lui non rispose, limitandosi soltanto ad alzare un sopracciglio e ad assumere un’espressione parecchio scettica.
Probabilmente, in quel momento, si stava domandando se le mie facoltà mentali fossero nella norma o meno; o se, magari, fosse il caso di accompagnarmi personalmente da qualche medico per farmi dare una controllatina: non sia mai che la botta di prima mi avesse causato qualche danno serio, eh!
Trattenni a stento una smorfia, conscio di non potergli dare neppure torto.
Ultimamente, persino io mi rendevo conto di dare in strani colpi di testa che, in passato, non mi sarebbero mai appartenuti; e la cosa seriamente preoccupante era che, non me ne importava proprio nulla.
D’altronde, chi poteva davvero ritenersi normale a questo mondo?
Tra noi passò un lungo e interminabile minuto di silenzio dove, nessuno dei due osò abbassare lo sguardo.
La nostra, era molto simile a una lotta tra due Titani. Ci fronteggiavamo e ci sfidavamo solo con la forza dello sguardo per decidere chi tra noi, era colui che avrebbe prevalso sull’altro. E dalla determinazione presente nei suoi occhi, era chiaro come il sole quanto lui non volesse assolutamente perdere quello scontro.
Quel pensiero mi fece sorridere e lui sembrò notarlo.
«Sei un tipo piuttosto strano, lo sai, vero?» brontolò a un certo punto, gettando gli occhi al cielo e rilassando impercettibilmente le spalle.
Gesto che presi come un segno di silenziosa tregua tra noi.
Scrollai le spalle a mia volta, indifferente a quel commento: «Mi chiedo se a questo mondo ci sia davvero qualcosa di normale.»
«Già, effettivamente, su questo hai ragione.» concordò con me, stirando le sue labbra in un piccolo ghigno ironico.
E come se fino a qualche momento prima nessuno dei due avesse minimamente provato a fare la pelle altro, ci sorridemmo a vicenda, complici dei nostri stessi pensieri.
Dopo di ciò, mi venne vicino con una disinvoltura quasi irreale.
I suoi passi erano felpati e agili come quelli di un grande predatore e nella mia mente, tutto di lui, mi mise in guardia sulla sua pericolosità.
Non lo conoscevo, non avevo nemmeno la più pallida idea di chi fosse ma, senza ombra di dubbio, quell’uomo era uno shinobi formidabile e un avversario veramente spaventoso. E soltanto in quell’istante, mentre lo osservavo fermarsi con un sorriso beffardo a pochi centimetri da me, mi resi conto che durante il nostro “piccolo scontro” doveva essersi trattenuto parecchio per non farmi del male.
Una prova, lo era il mio braccio: per non spezzarmelo, aveva preferito mollare subito la presa e farsi disarcionare e scaraventare lontano.
Cosciente di questo nuovo dettaglio, gli rivolsi un’altra occhiata per provare a capire qualcosa in più su di lui, ma se ne accorse.
«Ti piace proprio scrutare le persone, eh?» mi chiese, con una luce ironica e furbesca negli occhi.
Un po’ in imbarazzo, gli rivolsi uno sguardo di scuse. «Mi dispiace. Stavo solo cercando di capire se potevo veramente fidarmi di te oppure no.»
Restò visibilmente colpito dalla sincerità della mia frase però, si ricompose in fretta. «Pensavo avessimo superato la fase della “diffidenza iniziale”»
«Ed è così.» confermai, sincero.
«Però non ti fidi abbastanza da abbassare la guardia.» concluse per me, con fare sbrigativo. «Beh, dopotutto, non posso biasimarti. La nostra conoscenza non è avvenuta… come dire, nel modo “migliore”.» aggiunse, mimando con le lunghe dita delle virgolette per sottolineare il concetto.
«No, direi proprio di no.» convenni con lui, memore della nostra piccola scaramuccia. «E poi, non vedo cosa ci sia di male in questo.» gli dissi, fingendo una noncuranza che non avevo. «In fondo, per me, abbassare le armi non vuol dire che mi fidi completamente. Per conquistare la mia fiducia, ci vuole molto di più di una piccola tregua. E credo che lo stesso valga pure per te.»
Sulle sue labbra, nacque un sorrisetto sghembo. «Mi correggo. Non sei soltanto un tipo strano; sei pure un buon osservatore: il ché, ti rende un avversario ancora più pericoloso.»
Inclinai un po’ la testa di lato, perplesso.
Contrariamente a ciò che lui aveva detto, non mi ritenevo un avversario pericoloso.
Certo, ero un buon combattente – inutile negarlo – ma ero ancora troppo inesperto per riuscire ad incutere un vero timore nei miei avversari e questo, lo sapevo molto bene.
C’erano ancora troppe cose che avevo bisogno di imparare e molte esperienze da dover vivere prima di raggiungere un livello anche solo paragonabile a quello del maestro Jiraiya e, fino a quel momento, non potevo permettermi il lusso di sopravvalutare le mie capacità.
«Perché fai quell’espressione scettica?» mi domandò curioso, osservandomi con attenzione.
Era come se dalla mia risposta stesse cercando di valutare qualcosa, quasi volesse studiarmi, conoscermi.
Per un attimo, pensai di non rispondergli ma alla fine optai per la sincerità: «Sono solo un ragazzo, non vedo come qualcuno del tuo calibro potrebbe prendermi davvero sul serio.»
Lui aggrottò la fronte, di nuovo vigile. «Cosa intendi dire?»
Mi scappò un piccolo sbuffo di fronte alla sua recita, sicuro che invece, avesse capito perfettamente cosa intendessi dire. «Davvero credi che non me ne sia accorto?» gli feci notare, sfidandolo con lo sguardo a negare l’evidenza. «Eppure, è così ovvio.»
Il suo viso sembrò oscurarsi di colpo e i suoi occhi si fecero più attenti che mai, abbandonando ogni traccia di ironia o sarcasmo. «Che cos’è ovvio?» mi chiese, con un tono così neutro da sorprendermi parecchio, ma non per questo, mi tirai indietro.
Gli mostrai il mio braccio e gli indicai il mio polso. «Parlo di questo.» gli spiegai, stanco di quel giochetto. «Parlo del fatto che se prima tu non mi avessi lasciato andare, mi sarei spezzato un braccio e soprattutto, mi riferisco al fatto che tu non mi hai mai voluto combattere davvero. Siamo sinceri, prima stavi solo giocando con me.»
Una volta svuotato il sacco, non sapevo cosa mi sarei dovuto aspettare da lui, ma la sua reazione mi lasciò senza parole.
Scoppiò a ridere come un pazzo, quasi piegato in due per le risate. «Ti stavi riferendo a questo?» sghignazzò tra una risata e l’altra, senza fiato.
Sconcertato dalla sua reazione, non potei fare altro che guardarlo, indeciso su cosa fare o che cosa dire; però poi, preferii semplicemente lasciar correre e gli rivolsi quella domanda che tanto mi premeva sapere: «Adesso che abbiamo deciso di non ammazzarci più a vicenda, potrei finalmente sapere chi sei?» gli domandai, avido di scoprire il più possibile su di lui.
Lui smise finalmente di ridere e annuì, portandosi una mano alla nuca con fare leggermente imbarazzato. Con un piccolo sorriso accondiscendente sulle labbra, si presentò: «Hai ragione, non mi sono ancora presentato. Il mio nome è Sakumo Hatake, piacere di conoscerti.»
L’espressione di Hatake, adesso, era calma – pacifica – aperta in un lieve sorriso bonario che su chiunque, avrebbe scatenato un senso di fiducia e sicurezza. Eppure, sotto quel sorriso, c’era qualcosa che mi fece dubitare di lui.
Era come se nella mia mente fosse scattato un campanellino d’allarme per avvisarmi di dover stare attento; di non fidarmi, perché quell’uomo nonostante non fosse una persona cattiva, mi stava nascondendo qualcosa di molto importante.
Qualcosa di estremamente prezioso che avrei dovuto assolutamente sapere e che invece, preferiva nascondermi.
Chiamatelo intuito, o paranoia – se proprio volete.
Eppure qualcosa mi suggeriva che Hatake non fosse del tutto sincero con me.
Che c’era dell’altro e che – in qualche modo a me incomprensibile – io, di quel segreto, non ne fossi nemmeno all’oscuro.
Era un po’ simile alla sensazione provata con Tsunade quella stessa mattina quando, i suoi occhi, mi avevano scatenato quello strano senso di disagio.
Aggrottai le sopracciglia, contrariato dalle mie stesse sensazioni ma, non gli permisi di vedere altro dalla mia espressione.
“Hatake, eh?” pensai tra me e me, distogliendo lo sguardo dalla sua figura alta e slanciata per farlo vagare in giro per la stanza.
In quei giorni di ‘riposo forzato’ avrei sicuramente condotto delle ricerche per accettarmi di chi in realtà fosse quell’uomo e se, potevo davvero fidarmi di lui oppure no.
Ero così preso dalle mie elucubrazioni mentali che quando lui parlò, quasi mi prese un colpo per il tono con cui lo fece: «Che vuoi fare, ragazzo?» mi chiese.
La sua voce si era fatta talmente seria e profonda da attirare subito i miei occhi su di lui e quando incontrai i suoi così scuri e penetranti, mi sentii sprofondare al loro interno.
L’occhiata che mi rivolse era un qualcosa di indecifrabile, magnetico e del tutto sconvolgente.
Con quell’unico e semplice sguardo, mi sembrò come se mi avesse perforato il centro esatto dell’anima e fosse riuscito a spogliarla di ogni sua protezione. Come se tutto – ogni pensiero, ogni ricordo, ogni ferita e ogni dolore – fosse stato scritto in un libro, nero su bianco e adesso lui ne stesse leggendo tranquillamente la storia, impadronendosi anche dei segreti più dolorosi e nascosti al suo interno.
Il tutto, durò solo pochi istanti, giusto il tempo di qualche battito di ciglia però, questo, non diminuì l’effetto che mi lasciò sotto la pelle.
Lo guardai sconvolto, quasi tremante da ciò che avevo provato sotto il suo sguardo da fenice. «Che–?» riuscii appena a biascicare, allucinato.
Non riuscivo a parlare, sentivo come se un doppio nodo mi avesse stretto la bocca dello stomaco. Boccheggiai come un pesce fuori dall’acqua in cerca di aria e anche di un briciolo di lucidità.
Lui distolse lo sguardo dal mio e lo puntò sulla finestra dietro le mie spalle, senza realmente vederla. Serrò con forza le mascelle, quasi volesse trattenersi dal dire qualcosa di troppo.
Nei suoi occhi, bruciava ancora quel fuoco dirompente che mi aveva turbato e solo quando sembrò attenuarsi un po’, riprese a parlare: «La tua faccia è divenuta di colpo molto seria, come se ti stessi preparando ad andare in guerra contro il mondo. Quindi, te lo chiedo ancora una volta. Che cosa hai in mente di fare?»
Lo osservai per un istante, cercando di mantenere un minimo di contegno davanti a lui, anche se, le sue parole mi avevano seriamente sconvolto.
Non riuscivo a credere che con un semplice sguardo, mi avesse letto dentro come nemmeno Jiraiya era mai riuscito a fare in tutti quegli anni.
Per la millesima volta, chi diavolo era quel tizio?
Come se mi avesse letto ancora una volta nei pensieri, vidi le sue labbra stirarsi in un muto sorriso, privo di qualsiasi malizia o ironia.
Fece un altro passo verso di me e con un movimento lento, si abbassò quel tanto da permettergli di portare il suo viso alla mia altezza e posò, con dolcezza, una delle sue grandi mani sulla mia testa: «Non preoccuparti, Minato.» mi disse, scompigliandomi con affetto i capelli. «Io non sono un tuo nemico.»
Dopo di ché, senza darmi neppure il tempo di metabolizzare le sue parole, il suo sguardo si spostò sul viso di Kushina. Nei suoi occhi, passò una luce carica di profonda preoccupazione per poi, tornare ad essere freddi e impenetrabili come il diamante. «L’affido a te, mi raccomando: prenditi cura di lei.»
«Che–?!» tentai di nuovo, completamente sconvolto; ma lui non aspettò neanche che terminassi la frase. Semplicemente, si girò e se ne andò via, lasciandomi del tutto scombussolato e con mille e più domande a ronzarmi per la testa.



 
Sakumo



Mi chiusi la porta alle spalle, senza dargli modo di concludere la sua domanda.
Non era ancora il momento per lui di sapere la verità o, se proprio dovevamo essere precisi, di ricordarla.
Ci sarebbe stato tempo per metterlo a conoscenza di ogni cosa.
Certo, dovevo ammettere che quel marmocchio era cresciuto parecchio in quegli ultimi anni ma, malgrado l’apparenza, restava pur sempre solo un ragazzo. E Jiraiya, questa volta, aveva perfettamente ragione: bisognava aspettare ancora un po’.
Comunque, non potevo fare a meno di notare – con una fitta di nostalgia – la sua incredibile somiglianza con il padre.
Se avesse potuto vederlo, pure lei ne sarebbe stata felice.
Il frutto del suo grande amore, così simile all’uomo che aveva tanto amato, l’avrebbe riempita di una gioia immensa. E invece, purtroppo, il destino le si era accanito contro e aveva giocato con lei una partita davvero crudele.
Scrollai le spalle per scuotermi quei tristi pensieri di dosso e mi diressi a passo spedito verso gli uffici dell’Hokage.
Non mi era sfuggito il cenno di Sarutobi quando la riunione con il Consiglio si era conclusa; sicuramente, aveva qualcosa da dirmi.
Tanto meglio, ne avrei approfittato per discutere con lui di alcune cose importanti.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Lotteremo Contro il nostro Destino!
Capitolo 5

 










Quando lo vidi uscire e chiudersi la porta alle spalle, mi riscossi dallo stato di trance in cui ero caduto e gli andai dietro. Desideravo poter chiedergli delle spiegazioni ma, con mio grande disappunto, quando giunsi nel corridoio – di lui – non c’era più nessuna traccia. Se n’era già andato.
Frustrato e con mille e più pensieri a ronzarmi per la testa come uno sciame di api impazzito, non mi restò altro da fare che passarmi una mano tra i capelli e lanciare un’occhiataccia torva al corridoio deserto.
Lo strano comportamento di Hatake non solo mi aveva sconvolto ma, mi aveva dato anche molto su cui pensare.
Che Kushina fosse stata coinvolta in una situazione più grande di lei e che io, per seguirla, mi ci ero catapultato a mia volta, ormai mi era chiaro; quello che non riuscivo a comprendere era il motivo per cui, tra tutti, era stata scelta proprio lei e il suo ruolo all’interno di questa complicata storia.
In ogni caso, di qualunque cosa si trattasse, Kushina non doveva più temere nulla.
Stavolta, non sarebbe rimasta da sola ad affrontare tutto questo.
Le sarei rimasto vicino ed insieme, avremmo superato qualsiasi cosa. Ne ero sicuro.
Con questa unica certezza come sola speranza in un mare pieno di dubbi e pericoli, rientrai in camera e senza fare il minimo rumore, presi posto sulla sedia accanto al suo letto e con un piccolo sospiro, mi ci abbandonai mollemente.
Ero davvero esausto.
In quelle poche ore, ne avevo passate così tante da poterne scrivere persino un racconto: il rapimento, l’inseguimento e lo scontro con gli shinobi della Nuvola; la folle corsa per riportare Kushina a Konoha, la discussione con Jiraiya, il quasi scontro con Morino in ospedale, il colloquio con l’Hokage e – appena uscito dall’ufficio di quest’ultimo – la breve chiacchierata con Tsunade; e adesso, come se non fosse abbastanza, anche l’incontro con Sakumo Hatake.
In meno di ventiquattr’ore, erano successe così tante cose e avevo provato così tante emozioni da rimanere completamente sfinito e senza forze.
Mi passai di nuovo una mano tra i capelli, cercando di mettere un po’ di ordine tra i miei pensieri.
Non ero uno stupido, né un illuso.
Avevo capito perfettamente che dietro al suo rapimento si nascondesse un terribile ed oscuro segreto.
Potevo quasi avvertirne sulla pelle l’imminente minaccia: era potente ed estremamente pericoloso. Se ne stava acquattato nell’ombra, pronto ad attaccare alla prima occasione e a distruggere tutto in un colpo solo.
A peggiorare le cose – come se già non fossero abbastanza complicate da sé – erano pure coloro che si ritrovavano coinvolti in questo spietato gioco di dominio.
Erano talmente determinati ad aggiudicarsi il premio finale, da voler scendere a tutti i costi in campo e fare la propria mossa per vincere – e conquistare – chissà che cosa.
In questo caos, era difficile anche solo capire chi fosse davvero dalla tua parte e chi no.
Mi servivano urgentemente delle informazioni per tirare le somme di questa matassa ingarbugliata e decidere da che punto iniziare.
Lanciai un’occhiata di sottecchi verso Kushina.
Come aveva fatto a cacciarsi in questo guaio? Che cosa poteva sapere di così importante da renderla un bersaglio appetibile in questa stupida e spietata guerra?
Forse, la risposta era da cercare all’interno del suo clan.
Non era poi tanto strano che lei conoscesse i segreti di alcune tecniche proibite, gli Uzumaki erano molto famosi e temuti per i loro sigilli di confinamento e la loro forza inarrestabile.
Reclinai la testa all’indietro e chiusi gli occhi, meditando per un po’ su quest’ipotesi.
No, c’era sicuramente dell’altro.
Il Consiglio si era mostrato troppo agitato per essere solo una banale questione tra clan e questo, non faceva altro che preoccuparmi di più. La faccenda riguardava qualcosa di ben peggiore di alcune tecniche segrete.
Non era mai una buona cosa quando, le alte sfere di Konoha, decidevano di intervenire personalmente.
Dovevo prepararmi a qualcosa di grosso e pensare al peggio.
Non potevo farmi cogliere impreparato dalla tempesta che presto avrebbe bussato alla nostra porta e ci avrebbe travolto con la sua forza bruta, senza lasciarci nessuna via di scampo.
Dovevo agire alla svelta e il primo passo, era conoscere l’identità di tutti coloro che erano coinvolti in questa brutta vicenda e poi, distinguere tra loro, i miei alleati dai miei nemici.
Non sapevo ancora cosa aspettarmi da una simile battaglia, ma di certo, in una guerra su più fronti – come si preannunciava questa – non potevo correre il rischio di ritrovarmi a combattere da solo. Era assolutamente impensabile rimanere fermo ai margini, isolato da tutti e ignaro sulle questioni importanti e aspettare inerme che fossero gli altri a muoversi, a venirci a cercare.
Se volevo salvarla – se davvero volevo proteggerla – dovevo capire cosa stava realmente succedendo e chi, in questo sporco gioco, aveva sul serio a cuore la sua sicurezza.
Solo dopo essermi fatto un quadro generale della situazione, solo allora, sarei riuscito a pensare a un modo per uscirne tutti quanti illesi – o perlomeno, ci avrei provato.
Con questi pensieri per la mente, dischiusi gli occhi e feci scorrere il mio sguardo stanco su di lei, esaminando con la massima attenzione ogni centimetro del suo viso per accettarmi delle sue condizioni. E con un moto di sollievo, potei notare che il suo volto – anche se, ancora molto pallido – stava iniziando a riacquistare un po’ di colore. Persino la sua espressione non era più corrucciata in un cipiglio sofferente, anzi.
I suoi lineamenti erano rilassati e distesi nella classica posa serena che ognuno di noi assume quando dorme.
I miei occhi si bearono di quella vista e studiarono il suo viso con una precisione e una cura quasi maniacale, soffermandosi maggiormente sul suo piccolo naso e la linea tenera dei suoi zigomi, dove una manciata di dolci e chiare efelidi sembrava essere stata spruzzata come polvere di stelle sulla sua pelle. Con lo sguardo, le accarezzai una ad una, trovandole assolutamente adorabili; subito dopo, passai pigramente ad osservare le guance e scesi fino alla forma morbida e delicata delle sue labbra, scoprendole, ai miei occhi, stranamente invitanti e attraenti.
Per un attimo, curioso di sentirne la consistenza, mi passò per la mente il malsano desiderio di sfiorarle con le mie per appurare se erano davvero così soffici e delicate come sembravano ma poi, riscuotendomi da quei pensieri assurdi, arrossì furiosamente e distolsi velocemente lo sguardo, troppo imbarazzato per continuare a guardarla.
Impiegai un minuto buono per calmare i battiti impazziti del mio cuore e per imporre al mio cervello di tornare a ragionare.
Che cosa mi stava succedendo?
Da quando i miei pensieri andavano alla deriva come una zattera di salvataggio in balia delle onde e dei venti?
Cos’era quella strana sensazione che aveva arpionato il mio petto e aveva fatto ballare una rumba furiosa al mio cuore, aggrovigliando e strizzando tra loro pure lo stomaco e gli intestini?
Tornai a guardarla, cercando di distinguere tutte le emozioni che provavo in quel momento: confusione, paura, imbarazzo e una buona dose di vergogna; però non c’era solo questo.
Sentivo il mio corpo tremare di un sentimento totalmente e assolutamente disarmante.
Tutto nasceva dal mio petto, per ogni battito impazzito del mio cuore, il mio intero essere fremeva e vibrava come la corda di un violino, dando il via a una melodia potente e del tutto sconosciuta. Era un qualcosa di magico, elettrizzante, e nel contempo assoluto e indescrivibile. Non avevo mai provato nulla di simile in vita mia.
Era incredibile l’effetto che aveva su di me.
Tutto di lei mi ammaliava: i suoi capelli di fuoco, così brillanti da sembrare una fiamma sempre viva e inarrestabile; i suoi magnifici e penetranti occhi blu che mi ricordavano le immense distese di un oceano sconosciuto; il suo temperamento forte e deciso; la sua spessa e dura corazza che serviva solo a nascondere un animo talmente dolce e sensibile da apparire quasi irreale.
Tutto, ogni cosa di lei, in ogni sua minima parte e in ogni sua sfaccettatura, mi attirava e mi incuriosiva in un modo del tutto nuovo e inspiegabile.
Ero completamente e irrimediabilmente attratto da lei. E come una piccola e ingenua falena che veniva attirata dalla luce e dal calore di una candela, non potevo impedirmi di gravitarle attorno – nonostante già sapessi che da quest’incontro, ne sarei uscito del tutto bruciato.
Scossi la testa e cercai di distrarmi per mettere a tacere il tumulto che sentivo dentro di me.
«Che cosa mi stai facendo?» le chiesi in un sussurro che si perse nel silenzio della stanza.
Lei non mi rispose.
Ignara del mio tormento interiore, continuò a dormire come se nulla fosse ed io, rimasi lì, ad osservare e a vegliare sul mio piccolo e bellissimo angelo dai meravigliosi capelli vermigli.



 
***



Ero concentrato a esaminare l’ultimo rapporto sul Kazekage quando, un colpo deciso alla porta, attirò la mia attenzione e annunciò l’arrivo di qualcuno. «Avanti.» ordinai, senza distogliere gli occhi dal rotolo di pergamena che stavo leggendo. Non avevo bisogno di guardarlo in faccia per capire di chi si trattasse. L’avevo già intuito dal modo silenzioso con il quale si era avvicinato alla porta. Solo lui e nessun altro, era in grado di oltrepassare del tutto inosservato le mie guardie e di sbucare dal nulla come un fantasma: quella, era una delle sue migliori abilità.
«Ti aspettavo.» aggiunsi un secondo dopo, mentre si chiudeva la porta alle spalle e si avvicinava alla mia scrivania con passo lento e sicuro.
«Lo so, scusa il ritardo.» mi disse, scrollando le sue larghe spalle. «Dovevo controllare una cosa e ho perso un po’ di tempo.»
Non faticai ad immaginare dove fosse stato o che cosa dovesse controllare di così importante da ritardare il nostro colloquio per cui, non potei fare a meno di rivolgergli un’occhiata comprensiva. «Come sta?» gli chiesi, mettendo da parte i documenti che tenevo ancora in mano e scrutandolo con particolare attenzione.
Il suo viso si piegò in una smorfia contrariata ma, quando mi rispose, la sua espressione tornò ad essere fredda e distaccata. «È ancora molto debole.» puntualizzò, usando quel tono cupo e gelido che chi lo conosceva, aveva imparato a temere.
Non me ne meravigliai.
Non ero uno stupido. Lo conoscevo abbastanza bene da sapere quanto lui in quel momento fosse arrabbiato. E la sua freddezza, ne era solo una prova.
Anche prima, durante la riunione con il Consiglio, le sue parole non avevano lasciato posto ai dubbi: la faccenda del rapimento lo aveva fatto veramente infuriare.
Repressi con fatica un sospiro esausto e mi preparai mentalmente all’inferno che – purtroppo per me – si sarebbe scatenato da lì a qualche minuto.
Rassegnato alla mia triste sorte, mi alzai dalla scrivania e con passo lento, andai alla finestra e lasciai scorrere i miei occhi sulle vie principali del villaggio.
Mi persi per qualche minuto ad ammirare il via vai di quelle stradine che, soprattutto in quelle ore del giorno, erano particolarmente trafficate.
Sakumo non se la prese: sapeva quanto osservare Konoha e i suoi abitanti, mi aiutasse a restare calmo e a ragionare con lucidità. Mi lasciò pensare con calma, aspettando in silenzio che fossi pronto per iniziare il nostro colloquio – cosa di cui gli fui immensamente grato.
Con la coda dell’occhio, lo vidi passarsi una mano sulla nuca e dirigersi verso una delle poltrone del mio ufficio per poi, sprofondarci dentro con la sua consueta grazia.
Indugiai con lo sguardo qualche secondo in più su di lui e non potei fare a meno di notare il pallore quasi innaturale del suo viso e le pesanti e violacee occhiaie presenti sotto i suoi occhi. Aveva decisamente un’aria parecchio stanca e sciupata.
Scossi la testa, immensamente dispiaciuto.
Non doveva essere stato facile per lui affrontare completamente da solo la missione che gli avevo affibbiato e dopo, tornare di corsa al villaggio per dare una mano nelle ricerche.
Di sicuro, doveva essersi spaventato molto quando il nostro falco l’aveva raggiunto per comunicargli dell’accaduto.
E come poteva non essere altrimenti?” mi fece presente una vocina acida nella mia testa, facendomi sentire tremendamente in colpa.
Nella missiva che gli avevo spedito, infatti, non c’erano scritte molte parole ad eccezione dell’ordine di perlustrare la zona in cui si trovava per scovare delle eventuali tracce lasciate dai rapitori. Non potevo dargli torto; aveva ragione ad essere arrabbiato, anch’io al suo posto, lo sarei stato.
«Mi dispiace.» mormorai con un filo di voce, rompendo, dopo molto tempo, il silenzio che si era creato tra di noi.
Mi voltai giusto in tempo per vedere il suo sopracciglio inarcarsi per la sorpresa. «Di cosa, scusa?»
«Mentre eri via, non sono riuscito a proteggere quella ragazza.» ammisi, vergognandomi come un ladro per l’incidente della sera precedente.
Era inutile, per quanto provassi a pensare con lucidità riguardo agli ultimi avvenimenti, non riuscivo a darmi pace.
Non potevo fare a meno di incolparmi per il rapimento di quella povera ragazza.
Se quei ninja erano riusciti ad entrare indisturbati all’interno del nostro villaggio, la colpa, era solo e unicamente mia; mia e della mia debolezza.
Un lampo di comprensione passò nei suoi occhi e una muta preoccupazione gli si disegnò sul viso: «Che cosa ti sta succedendo, vecchio mio?» mi domandò, con quel tono di confidenza che usava soltanto quando eravamo da soli e potevamo mandare al diavolo i gradi e il rispetto cerimoniale che l’etichetta ci imponeva di utilizzare in presenza di qualcuno.
Avvilito, trattenni a stento uno sbuffo per non dargli a vedere quanto alle volte, la sua capacità di leggere l’animo umano potesse essere un tantino snervante e, evitando accuratamente il suo sguardo, ignorai la sua domanda.
Eravamo amici da troppi anni perché sperassi di riuscire a nascondergli qualcosa del genere ancora per molto ma, una parte di me, si rifiutava di raccontargli tutto per non preoccuparlo più del dovuto.
Anche se, ormai, avevo la sensazione che lui avesse già fiutato qualcosa e conoscendolo, non ci sarebbe stato molto a intuire cosa mi stesse succedendo.
Come a darmi conferma di ciò, sentii il suo sguardo di fenice fissarmi con insistenza, quasi volesse aprirmi la testa in due per leggere meglio il suo contenuto; ma feci finta di niente, preferendo, invece, dirigermi verso la mia scrivania dove qualche minuto prima, avevo lasciato la mia amata pipa.
I suoi occhi seguirono ogni mio più piccolo movimento finché non mi decisi a buttare fuori la prima boccata di fumo e a guardarlo direttamente in faccia.
Non sapevo da dove iniziare per affrontare la discussione dolente che riguardava Kushina, quindi – da grande vigliacco quale mi sentivo – optai per deviare il discorso su acque a mio parere più navigabili. «Ho ricevuto il tuo rapporto sul Kazekage e l’ho trovato molto interessante.» iniziai con cautela, tastando il terreno. «Stanno sicuramente preparando qualcosa, ormai è certo.»
Il mio comportamento evasivo non sembrò infastidirlo, anzi, lo vidi stirare le sottili labbra nel suo classico ghigno ironico e con una calma da fare invidia persino a Buddha in persona, mi tenne il gioco, paziente. «Sì.» annuì, concorde. «E sono pure del parere che se muovi i fili giusti, potrai ottenere un enorme vantaggio su di loro.» mi suggerì, facendo sfoggio delle sue incredibili abilità di stratega.
Inarcai un sopracciglio, pensieroso. «Hai già qualcosa in mente?»
Il suo sorriso si accentuò in maniera accattivante mentre i suoi occhi, si illuminarono di una luce tremendamente vispa. «Può darsi.» concesse, attento a non lasciarsi sfuggire nulla di troppo. «Ci stavo giusto riflettendo prima dell’arrivo di “Ares”.» specificò, cambiando improvvisamente tono di voce e inchiodandomi con uno sguardo duro e glaciale nel punto in cui mi trovavo. «Allora, Sarutobi» mi esortò poi, imperioso e inflessibile come solamente lui riusciva ad essere. «Mi vuoi spiegare una buona volta che cosa è successo ieri?» aggiunse, senza darmi nessuna via di scampo.
Lo osservai imbambolato, stupito e disorientato dalla velocità con il quale aveva dirottato la nostra conversazione in acque decisamente più alte e agitate. Deglutii confuso e boccheggiai per qualche secondo, senza sapere bene come rispondere alla sua domanda a tradimento.
Una piccola parte del mio cervello – quella più astuta – mi rimproverò per essere caduto così facilmente nella sua trappola, ma una vocina arrendevole mi disse che era del tutto inutile arrabbiarsi per questo, perché non avrei avuto nessuna possibilità di tirarla per le lunghe – non con lui, comunque.
Non avendo modo di evitare ancora quest’argomento spinoso, mi decisi a sputare fuori la verità. Presi un respiro profondo e quando mi sentii abbastanza pronto, puntai i miei occhi nei suoi e sostenni il suo sguardo simile a una notte buia, senza luna né stelle.
La sua espressione era così gelida e impenetrabile da farmi correre un brivido su per la schiena. In lui, non c’era nulla di umano in quel momento. Si era rivestito della sua maschera di guerriero e aveva indossato la sua armatura di spietato mercenario.
Davanti a me, non c’era più il mio caro e fidato amico Sakumo; no, adesso, avevo di fronte l’impassibile “Zanna Bianca della Foglia.
Decisi di non tergiversare più e racimolando tutto il mio coraggio, buttai fuori ciò che non avrei mai voluto dirgli; non in quella maniera, perlomeno: «Stiamo programmando di mandare Kushina al Villaggio del Vortice.»
Se possibile, la sua espressione divenne ancora più gelida e feroce.
I suoi bellissimi lineamenti si fecero simili a quelli di un antico e splendente dio bellico e i suoi occhi, furono attraversati da una ferocia così crudele e spietata da avere il potere di farmi drizzare i peli sulle braccia e, contemporaneamente, di congelarmi il sangue nelle vene. Passò un lungo istante in cui, il suo sguardo, sembrò bruciarmi la pelle come mille tizzoni incandescenti e avvertii le mie guance perdere colore sotto il peso soffocante dell’accusa presente nei suoi occhi.
Imprecai mentalmente, sentendomi un vile e sporco traditore; ma le circostanze, non mi avevano lasciato altra scelta e in cuor mio, pregai con tutte le mie forze che mi desse la possibilità di spiegare il motivo della mia decisione.
Non avevo dimenticato nemmeno per un attimo l’odio viscerale che scorreva tra lui e Daisuke – o le cause che avevano portato quei due a giurarsi rancore eterno – tuttavia, cos’altro potevo fare?
Ero con le mani legate e, per quanto non piacesse nemmeno a me l’idea di implorare l’aiuto di quell’uomo, non vedevo nessun’altra possibile strada da percorrere se non quella.
«Perché?» mi ringhiò tra i denti, con odio.
«Sono gli unici che possono aiutarla.»
Lui scoppiò a ridere, sprezzante. «Da quando si manda un agnello tra i lupi per aiutarlo?»
«Da quando quei “lupi” – come li chiami tu – sono l’unica possibilità di salvezza per lei.» replicai, con un sospiro stanco.
La discussione con Jiraiya mi aveva già stravolto abbastanza per quella giornata, non volevo litigare pure con lui. Non ne avevo la forza per farlo.
Sakumo si mosse irrequieto sulla poltrona e strinse con forza le mascelle come per impedirsi di dire qualcosa di veramente cattivo, ma i suoi occhi sprizzavano una luce così velenosa da lasciare ben poco all’immaginazione.
Era evidente quanto l’idea di mandare Kushina nel suo paese natio lo ripugnasse. E non potevo dargli neppure torto.
Il suo odio per Daisuke non nasceva da piccole questioni irrisolte o da dispute senza senso.
Il capostipite degli Uzumaki aveva letteralmente rovinato la vita di Sakumo, costringendolo a lottare ogni giorno per rimettere insieme i pezzi di un’esistenza che non sarebbe mai più stata felice.
Erano passati ormai molti anni da quando Sakumo, ogni mattina – appena aperti gli occhi – veniva messo di fronte alla dura e cruda realtà e in parte, non poteva fare a meno di ritenersi responsabile per ciò che il suo migliore amico – colui che considerava al pari di un fratello – l’aveva condannato a vedere e sopportare ogni singolo giorno fino alla fine della sua vita. E tutto per un’insana gelosia.
Era stato uno stupidissimo capriccio di Daisuke a segnare l’inizio di ogni cosa e la distruzione di tutto. Quanto dolore poteva procurare una mente distorta dall’avidità del potere?
I torti ricevuti da quell’uomo erano stati così gravi da indurre persino una persona buona e fedele come Sakumo a perdere ogni barlume di speranza e a rompere ogni rapporto con il ninja del Vortice.
Con che coraggio ora potevo guardare Sakumo negli occhi e intercedere per Daisuke?
Inspirai e buttai fuori un’altra boccata di fumo, incurvando le spalle sotto il peso di tutte quelle situazioni ancora irrisolte che da tempo, ci trascinavano in un baratro senza fine da cui era impossibile scappare.
Scossi la testa per scacciare via tutti quei tristi pensieri e focalizzai la mia attenzione sul mio compagno di sventure. Con passo strascicato e la volontà di un condannato a morte, andai a sedermi sulla poltrona accanto alla sua e ripresi a parlare: «Credimi, l’idea non mi piace, ma non abbiamo altre alternative.»
I suoi occhi saettarono su di me e mi fulminarono. «Non capisco. Di che diavolo stai parlando, Hiruzen?» berciò, spazientito.
Mi presi un momento prima di rispondergli, per scegliere con cura le parole giuste da usare e spiegargli quell’assurda situazione in cui ci eravamo ritrovati. Desideravo che lui comprendesse il motivo della mia scelta. Lo desideravo davvero.
Sakumo non era uno sprovveduto e non avrebbe mai messo a rischio la vita di Kushina per le sue dispute personali. Sapevo che avrebbe fatto di tutto per proteggerla, anche se ciò significava scendere a patti con il suo peggior nemico: «Quando prima sei andato a trovarla.» iniziai a dire, allontanando dalle labbra la pipa e sporgendomi un po’ verso di lui. «Non hai sentito qualcosa di strano nel suo chakra?»
Lo vidi irrigidirsi sulla poltrona e stringere le labbra in una linea sottilissima prima di annuire. «Effettivamente, l’ho notato.» ammise controvoglia. «Cosa c’è che non va in lei?»
Alla sua conferma, sentii le mie viscere aggrovigliarsi per l’ansia.
Il rischio che quella situazione ci sfuggisse di mano era molto alto e noi, non potevamo correre simili azzardi. Dovevamo assolutamente trovare un modo per stabilizzare il chakra di Kushina e liberarla da quel sigillo prima che accadesse qualcosa di irrimediabile. E se per farlo, dovevamo rivolgerci ai nostri vecchi alleati e al clan degli Uzumaki, allora, l’avremo fatto. Niente contava più di Konoha e del Paese del Fuoco, neppure il nostro orgoglio ferito o la nostra vita.
Quando ero stato rivestito della carica di Hokage, avevo fatto un giuramento e sarei stato pronto a sacrificarmi in qualsiasi istante per rispettarlo.
Mi sarei preso cura del mio amato villaggio e l’avrei protetto con tutte le mie forze. E sapevo che per Sakumo era lo stesso.
Lui non avrebbe battuto ciglio neppure di fronte alla morte per il bene della Foglia e se, si parlava di proteggere la piccola Kushina, allora, Sakumo sarebbe stato in grado persino di sfidare l’impossibile e batterlo.
Solo per lei, per permetterle di vivere una vita serena nonostante il pesante fardello che gravava sulle sue giovani spalle.
Ed era proprio per il nostro villaggio, per le nostre famiglie, i nostri amici, per Kushina e anche per chi aveva sacrificato tutto – anche la propria vita – in nome di una volontà più calda e dirompente del fuoco che non potevamo fare a meno di prendere questa amara decisione e implorare l’aiuto di persone dall’animo traviato come Daisuke.
«Abbiamo bisogno di Daisuke perché alla ragazza è stato imposto un sigillo maledetto.» lo misi al corrente, concedendomi un’altra boccata di fumo.
Sakumo sollevò un sopracciglio, perplesso. «Un sigillo maledetto?» mi chiese, trincerando il suo sconcerto dietro la sua maschera di fredda indifferenza. «Di che sigillo stai blaterando?»
«Del sigillo enneastico.» gli riferì, serio.
«Enneastico?» borbottò a mezza voce, incupendosi in volto pian piano che il suo cervello collegava i pezzi e gli mostrava la tristissima realtà. «Non è quell’affare su cui stanno indagando i tuoi ragazzi?»
«Sì, proprio quello.»
Come c’era da aspettarsi, alla mia conferma, la sua espressione si fece dura e impenetrabile come una lastra di diamante ma, i suoi occhi, bruciarono di una gelida furia omicida.
Non era difficile per me comprendere cosa stesse pensando in quel momento e in cuor mio, mi ritrovai a ringraziare tutti i Kami che la sua mente fosse troppo razionale per cedere al suo impulso di andare – seduta stante – nel Paese del Fulmine e fare una strage dei nostri nemici.
«Kumo pagherà per questo.» sentenziò crudele come un boia pronto all’esecuzione. «Magari non ora, ma dovrà pagare per aver osato tanto.»
Repressi a malapena un brivido sotto al suo sguardo indemoniato e annuii, sicuro che prima o poi, il Raikage si sarebbe amaramente pentito di aver messo gli occhi sulla bestia a nove code.
Oh, se si sarebbe pentito di averlo fatto.
Sakumo era un uomo molto furbo e non avrebbe mai permesso alle sue emozioni di prendere il sopravvento ma, non sarebbe nemmeno passato sopra a una questione del genere – lo sapevo bene.
Una delle sue migliori qualità era un’insana e letale dose di pazienza; sarebbe stato capace di attendere anche per anni il momento giusto per riscuotere la sua vendetta e quando lo faceva, era letteralmente implacabile.
Da grande stratega qual era, amava pensare prima di agire, vagliare tutte le possibili conseguenze e i rischi dietro ogni sua scelta; non andava mai scoperto o senza un buon piano che gli permettesse sempre una via di fuga. Era una persona intelligente, un avversario scaltro e un combattente agile come una bestia selvatica.
Non per niente era temuto come la peste e, il suo soprannome, era conosciuto in ogni dove per le sue fenomenali doti strategiche e combattive. Non c’era un solo ninja che non conoscesse il nome della “Zanna Bianca di Konoha” e questo, dimostrava la sua incredibile forza. In molti avevano scoperto sulla propria pelle cosa significava scontrarsi contro di lui e soltanto in pochissimi, erano riusciti a raccontarlo con la propria voce. Persino qui a Konoha veniva temuto e il Consiglio, preferiva non contrariarlo mai apertamente.
Un esempio, era stato per l’appunto il caso di insubordinazione del giovane Minato.
Se non mi fosse venuto incontro e non mi avesse appoggiato nel difenderlo a spada tratta, a quest’ora, la testa di quel ragazzo sarebbe rotolata a terra da un bel pezzo.
Ma Sakumo era pure altro. Era un uomo dal cuore puro e sincero, fedele ai suoi principi e alle persone che considerava la sua famiglia. Era implacabile nel campo di battaglia tanto quanto devoto nei confronti di chi amava.
Ed era proprio perché conoscevo questo particolare aspetto del suo carattere che non riuscii più a sostenere il suo sguardo.
Non mi sarei mai perdonato di aver fallito nel proteggere uno dei suoi tesori più preziosi e di averlo deluso a quel modo; lui che era sempre stato presente quando ne avevo avuto bisogno, che con la sua forza mi aveva sostenuto quando il mondo mi era crollato addosso e mi aveva dato la speranza di ricominciare a credere nelle cose davvero importanti della vita. Lui che nonostante avesse i cocci della sua esistenza da dover raccogliere e sistemare, aveva deciso di lasciare tutto in un angolo pur di correre in mio soccorso e ripescarmi dal baratro in cui ero caduto; e incurante delle sue macchie, mi aveva persino scrollato la polvere di dosso e mi aveva reso una persona migliore di ciò che ero.
Gli dovevo molto e come ringraziamento, non ero riuscito neppure a impedire che facessero del male a un frammento della sua anima.
Colpevole, abbassai lo sguardo sulle mie mani e fissai con rammarico la mia pipa.
«Non capisco una cosa però.» precisò a un tratto, accigliato. «Perché hai nascosto al Consiglio l’esistenza del sigillo? Alla riunione non ne hai fatto parola.»
«È semplice. Ho preferito non divulgare questa notizia per non dare a nessuno l’opportunità di interrogare quel povero ragazzo.» gli spiegai, totalmente sincero. «La situazione di Minato era già parecchio compromessa, non volevo peggiorarla ulteriormente.»
Per un lungo istante, il suo sguardo mi perforò la pelle come mille lance infuocate e mi sembrò quasi che il tempo, si allargasse e si fermasse al ritmo impazzito dei miei battiti poi però, Sakumo cacciò fuori un grosso sospiro e rilassò le sue ampie spalle, adagiandosi sullo schienale della poltrona. «Quindi, l’hai fatto solo per proteggere il ragazzo?»
Il suo tono all’apparenza sembrava neutrale, tuttavia, lo conoscevo abbastanza da non illudermi: era ancora molto arrabbiato.
«Sì, solo per quello.» annuii, serio. «Lo sai, non avrebbero mai permesso a quel ragazzo di sapere troppo e Minato, che lo abbia voluto o no, si è ritrovato immischiato fino al collo in questa brutta storia.» mi passai una mano sulla faccia, pensieroso. «Ha persino attirato l’attenzione di chi non doveva.» sbuffai sconsolato al pensiero di cosa sarei stato costretto a fare per tenerlo lontano da quella serpe velenosa.
Sakumo intuendo i miei pensieri, fischiò ammirato e ghignò in maniera sadica. «Uhm, ahi ahi, questa sì che è una bella rogna per te!»
Gli lanciai un’occhiataccia da dietro la mia mano, ma lui la ignorò bellamente. «Quel marmocchio pestifero non ha nessun istinto di autoconservazione.» ribatté, stranamente divertito. «Non è ancora uscito dalle fauci delle iene che già si è lanciato in quelle del lupo.»
Lo fissai, incredulo. «L’hai incontrato?»
«Sì, diciamo di sì.»
E la luce presente nei suoi occhi sembrava dirla lunga.
Scossi la testa, avvilito. «Non dirmi che hai giocato con lui?»
Il suo sorriso sghembo non lasciò posto agli equivoci. «Solo un po’.» rise, affettuoso. «Devo ammetterlo, è cresciuto davvero tanto in questi anni.»
Alzai un sopracciglio, invitandolo a continuare. «E…?»
«Ed è identico a suo padre.» ammise, con una punta di nostalgia nella voce.
Sul suo volto nacque un piccolo sorriso e i suoi occhi, divennero liquidi e lucidi come l’inchiostro. Era la stessa espressione che assumeva ogniqualvolta i suoi ricordi felici riaffioravano a galla e lui, prima di riacciuffarli e racchiuderli nei meandri del suo cuore, si incantava ad ammirarli e a riviverli nella sua mente con la consapevolezza e il rammarico di chi sapeva di non poter tornare a quei momenti unici e speciali.
Il tutto durò pochi secondi poi, sbattendo un paio di volte le ciglia, Sakumo ritornò al presente e come al solito, dovette costringersi a nascondere la delusione dietro una maschera di fredda indifferenza. «Parlando di altro...» mi disse, riportando la nostra conversazione al punto principale. «Spiegami meglio di questo sigillo.»
Ci misi un minuto buono prima di riordinare i miei pensieri e riprendere il filo del discorso per spiegargli tutti i dettagli in mio possesso. «Come sai, di quel maledetto sigillo si conosce ancora ben poco. Tsunade, durante le sue ricerche ha scoperto la sua storia, ma non conosce un modo per spezzarlo.»
«È riuscita a sapere da dove proviene quell’affare?»
Annuii impercettibilmente. «Sì, nei diari di Mito c’era scritto qualcosa a riguardo. Sembra che all’inizio questa tecnica venisse usata per i prigionieri di guerra o i peggiori criminali che si macchiavano delle colpe più atroci, ma a quanto pare, persino gli shinobi più potenti avevano timore di usarlo perché aveva delle conseguenze disastrose sul sistema circolatorio del chakra.» portai la pipa alle labbra e aspirai una lunga boccata, prima di proseguire sotto il peso dei suoi occhi di fenice. «Se evocato male, non è solo la vittima a morire, ma anche chi compone i sigilli incorre nella stessa tragica sorte. Per ovvie ragioni, alla fine la sua pratica è stata bandita e con il tempo, venne dimenticato. Gli unici che ne custodiscono ancora la formula completa, secondo gli appunti di Mito, sono gli Uzumaki.» alzai nuovamente i miei occhi su di lui, sostenendo il suo sguardo impenetrabile. «Capisci, ora?» gli chiesi, sperando davvero che capisse perché avevo deciso di mandare Kushina al Vortice. «Solo Daisuke conosce il modo per spezzare quel sigillo. Solo lui e nessun altro.»
Le sue labbra si piegarono in una smorfia di disprezzo nel sentire quel nome, ma il suo cervello andò oltre, preferendo ragionare su fatti più importanti.
Lo vidi passarsi una mano sugli occhi, pensieroso per poi, scendere a massaggiarsi il collo. «Come diavolo facevano quei bastardi di Kumo a conoscere quella tecnica?» sbottò alla fine, arrabbiato.
«Non lo so» ammisi, riflettendo insieme a lui. «Forse, qualcuno dei loro anziani si ricordava ancora della sua esistenza, chissà.» azzardai, concentrato. «Comunque, non è quello che mi preoccupa sapere.» aggiunsi subito dopo, mettendolo al corrente del dubbio che più mi tormentava da quando ero venuto a sapere del sigillo. «Vorrei tanto sapere il ‘perché’ abbiano usato proprio quella tecnica su di lei.»
Sakumo sembrò cogliere subito il punto nascosto dietro le mie parole e mi lanciò un’occhiata seria e sospettosa. «Ti rendi conto di cosa significhi questo?» mi domandò, irrigidendo le spalle per la tensione.
Ricambiai il suo sguardo, preoccupato quanto lui dai miei stessi pensieri.
Ci avevo pensato molto durante quelle ore e purtroppo ero giunto sempre alla stessa conclusione: «Ne sono consapevole, credimi.» gli risposi, in ansia. «Non so come abbiano fatto a scoprirlo, ma sono convinto che loro sapessero del segreto di Kushina e che l’abbiano rapita per mettere le mani sulla volpe a nove code.»
Nella stanza piombò un silenzio carico di preoccupazioni non dette e ansia, lasciandoci quasi privi di qualsiasi forza di fronte a quella spaventosa realtà.
Non ero uno sciocco, sapevo quanto fosse grave il peso delle mie parole e il significato intriso in ciò che avevo detto.
Se i miei dubbi si fossero dimostrati veri, voleva dire che una talpa aveva divulgato i nostri segreti di Stato ai nostri nemici e ciò, ci metteva tutti in serio pericolo.
Fu Sakumo a spezzare il silenzio con un sussurro appena percettibile. «Ne sei sicuro, Hiruzen?»
«Non posso dirlo con certezza.» precisai, con cautela. «Ma non vedo altre ragioni plausibili per cui un gruppo di Jōnin si dovrebbe disturbare ad usare una simile tecnica su una ragazzina come Kushina. Le loro azioni non hanno un senso, almeno ché...»
«…non fossero già a conoscenza di cosa si nascondesse dentro di lei.» mi anticipò, seguendo il filo logico del mio ragionamento. «Che stronzi!» esplose, furioso. «Le hanno bloccato il chakra nella speranza che quel maledetto sigillo facesse assopire quella cosa!»
Grugnii un assenso come risposta e ripresi la parola. «Poveri sciocchi, hanno solo peggiorato la situazione.»
«Che intendi dire?»
«Non so come, ma quella ragazza ha saputo aggirare in parte il sigillo.» gli rivelai. «Tsunade mi ha detto che nonostante il chakra di Kushina sia stato bloccato, lei continua ad avere in circolo una forte fonte di energia. Penso che quella ragazzina, in qualche modo, stia riuscendo a controllare il potere del Kyuubi e a farlo suo.» aggrottai la fronte, ancora incerto su come Kushina fosse stata in grado di fare una cosa simile. «Ma non so per quanto ancora possa farlo.» aggiunsi, spostandomi inquieto sulla poltrona. «Kushina al momento è molto debole e il suo chakra non è in ottime condizioni. Temo che se non stabilizziamo la situazione al più presto, possa perdere il controllo su quell’essere e allora...»
«…allora, sarebbe un vero e proprio disastro!» mi interruppe inorridito, saltando dalla poltrona come una molla e iniziando a camminare su e giù per la stanza come una bestia in gabbia.
Annuii mestamente, chinando il capo. «Non oso nemmeno immaginare quali danni potrebbe fare quel mostro se il sigillo che lo imprigiona dovesse spezzarsi.»
All’immagine di quello scenario catastrofico, Sakumo si fermò di colpo e con un colorito parecchio cadaverico si lasciò cadere sulla poltrona con un sospiro stanco e rassegnato.
Non parlò subito, si perse per parecchi minuti nei suoi pensieri ed io, lo lasciai riflettere in santa pace. Potevo quasi sentire il rumore degli ingranaggi del suo cervello lavorare freneticamente in cerca di una scappatoia, ma alla fine, dovette arrendersi di fronte all’evidenza. Si passò una mano sulla faccia, sdegnato e masticò tra i denti qualcosa di simile a un: «Quindi, non c’è altra soluzione: dobbiamo portare l’agnello dai lupi.»
«È per il bene di tutti.» gli mormorai, mortificato di causargli una simile angoscia.
La sua mandibola schioccò per la frustrazione. «Posso capirlo, ma non significa che lo approvi.» grugnì, livido di rabbia. «Già una volta quel verme gli ha voltato le spalle, proprio quando lei aveva più bisogno di lui. Che cosa ti fa credere che adesso sia cambiato qualcosa?»
«Hai ragione, l’ha fatto.» fui costretto ad ammettere, sconfortato. «Tuttavia, sono sicuro che Daisuke non perderà l’occasione di usare questa storia per avanzare delle pretese su di noi. Puoi starne certo, sarà sempre felice di aiutarci finché questo gioverà al suo tornaconto personale.»
Sakumo incrociò le braccia al petto e fece uno sbuffo, sprezzante. «Quella piccola e sudicia serpe.»
«Serpe o no, questo non cambia il fatto che sia sempre suo padre.» tentai di mitigare, ma me ne pentì l’istante stesso in cui pronunciai quelle parole.
Gli occhi di Sakumo si accesero di una cieca collera e dalla sua gola ne scaturì un suono simile a un ringhio cupo. Con uno scatto fulmineo, si portò a pochi centimetri dalla mia faccia e sibilò a denti stretti: «Un vero padre non abbandona i suoi figli!»
Incurvai le spalle sotto il peso della sua furia. «Non lo perdonerai mai, vero?»
«No, mai
E nella mia mente quelle parole sembrarono affilate e crudeli come la peggiore sentenza di morte. Nel mio ufficio scese di nuovo il silenzio e io, ne approfittai per riordinare meglio le mie idee.
Nell’urgenza del momento, avevo pensato di mandare insieme ai miei ragazzi anche Sakumo ma ora, non ne ero più tanto sicuro. Il suo odio per Daisuke era ancora vivo in lui come il primo giorno e l’idea di farli incontrare, mi preoccupava parecchio.
Quei due avevano troppi conti in sospeso da risolvere e non potevo permettere che qualcosa andasse storto e mandasse a monte la missione; dal suo esito, ne andava la sicurezza e la salvezza di tutto il villaggio della Foglia e del Paese del Fuoco.
Non potevamo fallire per nessuna ragione al mondo.
Sakumo sembrò intuire le mie paure perché quando la sua voce parlò nuovamente – e spezzò il nostro silenzio – era estremamente calmo e serio: «Non preoccuparti per me, Hiruzen.» mi disse, assumendo quell’espressione che solo in rare occasioni gli avevo visto in volto e che metteva a nudo il suo intero essere, mostrando tutte le sue debolezze – senza filtri o maschere nel mezzo. «Lo ammetto. Odio quell’uomo con tutto me stesso per aver usato sua figlia come merce di scambio e per avere tradito la nostra amicizia. Se potessi, lo ammazzerei con le mie stesse mani per ciò che le ha fatto e per come l’ha abbandonata dopo averla resa ciò che è. Non lo perdonerò mai per questo né per aver giocato con la vita di Aiko e Nanami. Puoi starne certo, non lo perdonerò mai; nemmeno se da questo ne dipendesse la mia vita. Tuttavia, prima di essere un uomo con dei sentimenti spregevoli verso quel vile traditore, sono un ninja di Konoha e so bene qual è il mio dovere nei confronti del mio Paese e della mia gente. Non perderò mai il controllo sulle mie emozioni e non darò in stupidi colpi di testa a causa dei miei problemi personali, questo, posso giurarlo. Mi conosci abbastanza da poterti fidare di me; quindi, non preoccuparti e assegnami al gruppo di spedizione per il Paese del Vortice. Non farò casini, te lo prometto.»
Durante tutto il suo discorso, Sakumo non mollò il mio sguardo nemmeno per un secondo. Dentro potevo leggerci tutte le miriadi di emozioni che stava provando: la rabbia e l’odio verso Daisuke, la preoccupazione per Kushina, il rimorso e il dolore per i ricordi che ancora lo incatenavano al suo triste passato, la frustrazione per non essere stato in grado di chiudere veramente le porte del suo cuore e l’impotenza – soprattutto, l’impotenza – di non essere forte abbastanza per poter mettere fine a tutta quella vecchia e triste storia.
Rimasi così colpito dall’intensità di tutte quelle emozioni da restarne frastornato.
Era davvero intenzionato a unirsi alla spedizione e sebbene una parte di me fosse contraria a quella scelta, un’altra non poteva che esserne estremamente sollevata.
Lo conoscevo fin da quando eravamo soltanto dei ragazzi alle prime esperienze con quel mondo crudele e pieno di battaglie e, lo dovevo ammettere, era per merito suo se alcune volte ero riuscito a portare a casa la pelle. Nel mio inconscio, sapevo di potermi fidare ciecamente di lui ma, quella parte di me ancora timorosa, non mi lasciava tranquillo.
«Non lo so.» sospirai alla fine, indeciso. «Credimi, vorrei poterti dire di sì, ma temo davvero che tu faccia qualche stupidaggine.»
Lo vidi annuire, estremamente serio. «È vero, potrei.» concesse, sincero. «Ma non lo farò.»
«Davvero sei disposto ad incontrarlo?»
«Sì.»
«Sei sicuro che riuscirai a controllarti davanti a lui?»
Strinse i pugni così tanto da farsi sbiancare le nocche ma, la sua voce, risuonò alle mie orecchie decisa e calma: «Posso farlo.»
Mi presi qualche secondo in più per valutare la situazione, conscio che in fondo la mia decisione era già stata presa. «Mi dispiace per ciò che ti sto chiedendo di fare.» alitai in un mormorio appena percettibile.
Le sue labbra si stirarono in una lieve smorfia ironica e mi fece un cenno con la mano per indicarmi di lasciar perdere e di non aggiungere altro su quell’argomento. «Se non me lo avresti chiesto tu, lo avrei fatto io.» disse semplicemente, adagiandosi di nuovo allo schienale della poltrona. «Non potrei mai lasciarla andare da sola in quel luogo, sarebbe troppo per lei.»
Mi strofinai la fronte, avvilito da tutta quella situazione ingarbugliata.
Non era giusto, dentro di me sapevo di chiedergli troppo.
Chiunque al suo posto si sarebbe facilmente ribellato e invece, Sakumo metteva sempre il bene degli altri d’innanzi al proprio.
«È proprio da te.» mi ritrovai a dire, fissando con insistenza la sottile spirale di fumo che proveniva dalla pipa. «Pur di salvare il tuo gregge, saresti disposto a incendiare l’intero raccolto.»
Il suo volto si aprì in un sorriso dolce e fiero, uno di quelli che usava raramente: «Quella ragazza è parte della mia famiglia, darei la mia vita per lei.»
La sua dichiarazione non mi lasciò per nulla sorpreso e non faticai nemmeno a prenderla sul serio.
Sapevo molto bene quanto il suo affetto per Kushina fosse sincero; lo era sempre stato.
Fin dalla prima volta in cui i loro occhi si erano incrociati – proprio qui, nel mio ufficio – il giorno in cui quella ragazza era giunta a Konoha.
Sakumo non mi aveva mai voluto rivelare cosa quel giorno avesse visto in quella bambina dai folti capelli rossi, ma qualcosa in lei, sembrava aver smosso il suo cuore.
Forse, erano stati proprio i suoi grandi occhi blu così spauriti a scatenare l’istinto protettivo del mio amico; non lo sapevo con certezza, ma da quell’istante, l’aveva semplicemente amata con la stessa intensità e tenerezza di un padre amorevole.
Le era rimasto così profondamente legato, da restarle accanto nonostante la sua stretta parentela con Daisuke e aveva cercato di aiutarla in qualsiasi modo per imparare a contenere il potere della volpe a nove code. L’aveva accolta in casa sua e le aveva donato una parvenza di serenità che nessun altro era stato disposto a darle.
E Kushina non era stata da meno: era arrivata nella vita di Sakumo al momento giusto.
Proprio quando lui stava per crollare e lasciarsi trascinare via da quel mare di eventi impazziti, nell’istante in cui stava per perdere di vista la sua reale natura e la bontà del suo animo, quella ragazzina, gli aveva mostrato una luce nelle tenebre e l’aveva guidato verso una speranza che lui aveva smarrito. L’aveva aiutato donandogli una ragione per reagire al dolore e lui, aveva deciso di aggrapparsi alla vita. Insieme, avevano cercato di ricollegare i pezzi di un’esistenza che non sarebbe mai più stata la stessa ma che, dopotutto, valeva ancora la pena di essere vissuta.
A ben pensarci, era proprio questa la differenza tra lui e Jiraiya; mentre Sakumo aveva deciso di superare gli eventi traumatici di quella disgraziata storia, lottando per amore delle persone che gli stavano attorno, Jiraiya, non riusciva a reagire e, questo, lo portava a scappare continuamente da qualsiasi cosa avesse a che fare con quella vicenda.
Un esempio, lo era stato il nostro litigio.
A quel ricordo, mi lasciai sfuggire un altro sospiro – l’ennesimo di quella giornata.
Sakumo puntò il suo sguardo su di me per chiedermi se andava tutto bene e io, non potei fare altro che scuotere la testa e confessare con lo sguardo basso: «Ho litigato di nuovo con Jiraiya.»
Per un lungo istante, non disse nulla e, inconsciamente, mi sentii davvero in colpa nei suoi confronti.
Sapevo più di chiunque altro quanto, quella faccenda, lo ferisse e nonostante tutto, non potevo fare a meno di parlargliene.
In quel momento – da vero egoista qual ero – avevo così bisogno di confidarmi con un amico, da non badare neppure a cosa potesse provare lui a riguardo.
Ero un pessimo amico, davvero pessimo.
Tuttavia, non avevo nessun altro con cui poterne parlare o di cui mi fidassi veramente. E Sakumo, come sempre, mise sé stesso da parte per correre in mio aiuto.
Con dolcezza, appoggiò una mano sulla mia spalla e mi confortò: «Vedrai, gli passerà presto.»
Scossi il capo, afflitto. «No, questa volta è stato diverso.» sussurrai, portandomi entrambe le mani alla testa e nascondendo il volto tra i palmi chiusi a coppa. «Tu non l’hai visto, era completamente fuori di sé.»
«Hiruzen, è normale.» mi spiegò, dispiaciuto. «Jiraiya è colui che, rispetto a tutti, ne ha sofferto di più.»
Sollevai di scatto la testa e cercai i suoi occhi, rammaricato. «No, non è vero.» negai, con una voce ferma. «Sei tu che quella sera hai perso tutto, non lui.»
Una smorfia amara gli si disegnò sulle labbra e incapace di contraddirmi, distolse gli occhi dai miei. Lasciò cadere pure la sua mano dalla mia spalla e si allontanò per tornare ad appoggiarsi allo schienale della poltrona. Incrociò le braccia al petto e si nascose dietro la sua solita maschera di gelida indifferenza. «Entrambi ne abbiamo sofferto, non è una gara a chi lo fa di più.» mormorò dopo un po’.
Incurvai le spalle per il rimorso e la vergogna. Non avrei mai dovuto riportargli alla mente quei ricordi dolorosi. «Mi spiace, non dovevo.»
Lui scosse il capo e riprese a parlare. «Non penso che Jiraiya sbagli nel voler tenere il segreto ancora per un po’.» se ne uscì all’improvviso, sorprendendomi. «Per quanto le sue ragioni possono sembrare sbagliate, vuole solo proteggere il ragazzo. Dargli tempo, quando sarà il momento giusto, le cose verranno da sé.»
Aggrottai la fronte, riflettendo sulle sue parole. «Pensi che lo stia spingendo troppo?»
Sakumo sbuffò con il naso e si portò di nuovo la mano al collo, massaggiandoselo con cautela mentre ragionava.
Quel gesto tanto spontaneo, attirò la mia attenzione e mi distrasse dai miei cupi pensieri. «Cosa hai fatto al collo?»
Mi fece cenno d’ignorarlo ed eclissò velocemente la questione con poche parole. «Un piccolo incidente durante la mia ultima missione, tranquillo, nulla di grave.» mi disse e con disinvoltura, tornò alla nostra precedente conversazione. «Penso, comunque, che Jiraiya sappia cosa è meglio per il suo allievo. Non dimenticare che tra tutti noi, è colui che lo conosce meglio.»
«Sì, forse hai ragione.» gli concessi, avvicinandomi la pipa alle labbra mentre ripensavo ai nostri ultimi litigi. «Vorrei soltanto aiutarlo, ma non so come fare.» gli confidai, frustrato.
«Devi solo stargli vicino e avere fiducia in lui.» mi consigliò, scrollando le spalle – quasi, stesse dicendo qualcosa di estremamente ovvio. «Conosci Jiraiya meglio di me e sai perfettamente che non scapperà per sempre, non è da lui farlo. Non preoccuparti, al momento opportuno – quando se lo sentirà – affronterà tutto e lo supererà.» fece un piccolo sorriso e continuò. «Quel testone è sempre stato un po’ più tardo rispetto agli altri ma, alla fine, ce l’ha sempre fatta.»
Le sue parole mi colpirono con una violenza inaudita e mi fecero rendere conto di quanto fossi stato ottuso in tutto quel tempo.
Aveva ragione, non sarebbero state di certo le mie continue pressioni ad aiutarlo.
Se davvero volevo rendermi utile, l’avrei dovuto sostenere e non opprimerlo in quel modo.
«Sono stato davvero un’idiota.» sussurrai appena, coprendomi di nuovo la faccia con entrambe le mani.
Sakumo mi diede una pacca amichevole sulla schiena. «L’importante è averlo capito.» scherzò, ironico.
Gli lanciai un’occhiataccia, segretamente divertito. «Così non sei d’aiuto.»
«Davvero?» si lagnò, accigliandosi in un’espressione parecchio infelice. «Eppure, pensavo di essere stato abbastanza fico un attimo fa.»
Scoppiai a ridere, non riuscendo più a trattenermi. «Quanto sei scemo
Mi fece un occhiolino, giocoso e si portò una mano sul cuore. «Oh, tesoro, così mi ferisci!»
«Smettila, se ti sentono possono pensare male.»
Da vero bastardo qual era, ghignò sadicamente ed esclamò a voce alta. «Hai paura che Biwako sappia di noi, amore? Non temere, io non sono geloso.»
Saltai allarmato, preoccupato che qualcuno avesse potuto sentire quell’idiota del mio migliore amico e lanciai un’occhiata fugace alla porta. «Zitto, cretino!» gli ordinai, arrossendo sulle guance.
«Amo quando fai il pudico: sei così tenero.» mi rispose invece lui, sogghignando come una iena.
Con uno scatto, gli tirai addosso il cuscino della mia poltrona e lo fulminai con lo sguardo, fingendo di essere esasperato dalle sue stupide battutine. «Non vuoi conoscere chi sarà il gruppo che ti affiancherà per accompagnarti al villaggio del Vortice?» gli chiesi, cercando di riportare la nostra discussione su un argomento quantomeno serio.
Sorrise, ricomponendosi velocemente. «Non serve, penso di averlo già intuito.»
«Ah, davvero?»
«Con una talpa che scorrazza libera per il villaggio, non ti fideresti di nessuno ad eccezione dei tuoi ragazzi. Quindi, è ovvio che saranno loro la tua scelta.»
Lo osservai con un sorrisetto compiaciuto ed annuii. «Sì, hai ragione. Ho pensato al Team Sarutobi: oltre te, sono gli unici di cui mi fido ciecamente.» considerai, tranquillo. «Tuttavia, non ci saranno solo loro.»
Sakumo a quella notizia, alzò un sopracciglio parecchio sorpreso. «Non credo sia una buona idea, Hiruzen.» commentò, assorto. «È rischioso mandare un gruppo troppo numeroso: potrebbe attirare l’attenzione.»
«Già, anche questo è vero.» dovetti ammettere.
Non aveva tutti i torti, ma qualcosa mi diceva di inserire ugualmente Minato nella spedizione per il Villaggio del Vortice.
Ne ero certo, quel ragazzo si sarebbe reso molto utile e probabilmente, avrebbe anche potuto apprendere molto durante il viaggio. Era così intelligente che non aggregarlo alla missione sarebbe stato un vero spreco.
«Per non contare che se siamo in tanti, mantenere il segreto di Kushina diventerà una vera impresa.» continuò a dire Sakumo, elencando sulle dita tutte le buone ragioni per farmi cambiare idea. «Il sigillo di Mito è instabile e non sappiamo cosa potrebbe succedere durante il viaggio: si potrebbe spezzare definitivamente, Kushina potrebbe perdere il controllo su quell’essere o – cosa da non sottovalutare – qualcuno potrebbe capire. E noi, non possiamo permettere che ciò succeda, lo sai.»
Rimuginai per un po’, in cerca di una soluzione e alla fine, pensai di aver trovato un ottimo compromesso. «Che ne pensi allora di riorganizzare la squadra?»
Si accigliò, perplesso. «E dimmi, chi sarebbero i candidati?»
«Beh, se devo essere costretto a scegliere direi proprio: Tsunade come capo squadra e ninja medico...»
«Sarà lei a gestire la missione?»
«Sì, sarà la più lucida del gruppo in questa spedizione.» commentai, calmo.
«Hai proprio pensato a tutto, eh?»
Gli donai un piccolo sorriso di scuse e proseguii con la mia lista: «Ovviamente, ci sarai tu e poi, Jiraiya – di sicuro, grazie alla sua allegria non vi annoierete per la strada.»
«Come se stessimo andando a fare un picnic.» si lamentò a mezza voce, ma lo ignorai.
«E infine, desidero che al posto di Orochimaru venga con voi Minato.»
Sakumo quasi cadde dalla poltrona per la sorpresa. «Minato?»
«Sì, Minato.» confermai, deciso.
«Non capisco, perché vuoi che il ragazzo venga con noi?»
«Credo sarà utile.»
«Utile?» domandò, scettico.
Quasi ridacchiai della sua espressione. «Fidati di me.»
«Non chiedermelo, per favore.» gemette sconsolato, passandosi una mano sulla faccia. «Non è mai una buona cosa fidarsi di una scimmia infida come te.»
Sogghignai sotto i baffi e gli rivolsi uno sguardo angelico. «E perché, scusa?»
Sbuffò, scocciato, gettando gli occhi al cielo. «Hai anche la faccia tosta di chiedermelo?»
Chinai il capo e alzai le mani in segno di resa. «Okay, forse, hai ragione.» ghignai, divertito. «...ma ehi, se non lo fossi, non sarei quello che sono: semplice legge di sopravvivenza!»
Lui mi sibilò contro un epiteto poco carino ed io, scoppiando a ridere, mi ritrovai finalmente a tirare un sospiro di sollievo.
Certo, avevamo ancora molta strada da fare per appianare questa situazione disastrosa e il futuro, era così incerto da pesarmi come un macigno sulle spalle. Ciononostante, non riuscivo a deprimermi completamente.
Insieme, eravamo sempre riusciti a trovare un modo per cavarcela e questa volta, non sarebbe stata diversa dalle altre.
Questo pensiero, mi donò la sicurezza di cui avevo bisogno per non arrendermi ed andare avanti.
Come se avesse intuito la direzione dei miei pensieri, Sakumo mi sorrise e mi diede una pacca sul ginocchio, complice.
«Se tutto va bene, tra due settimane partirete.» lo informai.
Lui annuì, pragmatico. «Dovevo aspettarmelo. Minato non può lasciare il villaggio finché non sconterà la sua detenzione.»
«Già.»
«Jiraiya n’è al corrente?»
«Sì, ha intuito subito le mie intenzioni.» risposi, con una smorfia. «Non era entusiasta della cosa ma, alla fine, ha accettato.»
«E per gli esami?» si informò, curioso.
«Non ha potuto rifiutarsi.» mi limitai a dire, ridacchiando senza ritegno per lo stratagemma che avevo usato per farlo cedere.
Gli occhi di Sakumo furono attraversati da una luce estremamente divertita e brillarono come due gemme preziose. «Non esito a crederlo.» commentò, beffardo. «Quando vuoi, sai essere molto convincente.»
Stavo giusto per rispondergli quando, al centro della stanza, si materializzò con un rispettoso inchino la figura snella e dinoccolata di Tetsuya – di ritorno dalla sua missione.
E fu inevitabile per me, sentire lo stomaco aggrovigliarsi allo spiacevole pensiero di dover risolvere un’altra questione spinosa e della massima urgenza.
Mi si congelò il sorriso sulle labbra e il mio umore, scese rapidamente sotto le scarpe.
Sakumo notò subito il mio repentino cambiamento e inarcò un sopracciglio, irrigidendo le spalle in una silenziosa attesa.
In un istante, il clima rilassato della stanza mutò in un silenzio carico di tensione e aspettative non dette.
«Sandaime-sama.» mi salutò Tetsuya, venendomi vicino.
Sakumo si voltò a guardarlo e quando lo riconobbe, gli fece un piccolo cenno di saluto con il capo.
«L’hai trovato?» gli chiesi, troppo di malumore per badare ai miei modi burberi.
«Sì, signore.»
Mi feci scuro in viso e mentalmente, mi preparai a rivedere quell’uomo. «Bene, aspettami fuori.»
Tetsuya annuì, ubbidiente e, con un rispettoso saluto rivolto ad entrambi, scomparve rapidamente dalla nostra vista.
Nel mio ufficio scese per l’ennesima volta un silenzio carico di tensione e nessuno dei due sembrò intenzionato a prendere la parola per primo.
Sollevai lo sguardo su di lui e come mi aspettavo, trovai già i suoi occhi ad aspettare i miei. «Devo andare.» gli mormorai, tetro.
Annuì, tremendamente vigile. «Passeggiata pomeridiana?»
Gli feci un cenno di assenso e quando, di malavoglia, mi alzai per raggiungere Tetsuya, la sua mano scattò fulminea come una saetta e mi afferrò per un braccio, bloccandomi a metà del movimento. Incatenò i nostri sguardi e strinse con più forza le dita attorno alla sua presa.
Mi imposi di sostenere il suo sguardo e, indossando la mia migliore espressione di indifferenza, tirai fuori il mento, in un gesto di sfida a dire qualcosa.
Sakumo mi scrutò con un’insistenza e un’intensità disarmante e, per un breve istante, temetti davvero che lui intuisse i miei sospetti su quell’uomo.
Non volevo che ne venisse a conoscenza, non era ancora il tempo.
Prima volevo accertarmi di persona che quell’idiota fosse direttamente coinvolto in questa storia, altrimenti, Sakumo, sarebbe corso alle conclusioni e per quello stupido sarebbe stata la fine.
La fronte mi si imperlò di sudore freddo, ma mi sforzai di non distogliere lo sguardo.
Tuttavia, sembrò tutto inutile.
E lo compresi nel momento in cui le labbra di Sakumo si piegarono in una linea dura e severa.
Gli era bastato poco per capire ed io, tremai di fronte a quella consapevolezza perché la luce che lessi dentro ai suoi occhi per me, valse più di mille parole.
Feci per parlare, ma lui mi anticipò. «Sai che questa storia non finirà a buon mercato, vero?» mi chiese, mortalmente serio.
Bastarono solo quelle semplici parole per far morire sul nascere ogni mia speranza di farlo ragionare.
Distolsi subito lo sguardo dal suo, incapace di sopportarlo oltre.
Era arrivato alla verità e lo conoscevo troppo bene per pensare anche solo lontanamente che lui avrebbe lasciato correre una cosa del genere.
Non si sarebbe fermato finché non avesse preso tutti i responsabili coinvolti in questa faccenda e li avrebbe ammazzati con le sue stesse mani.
Sospirai, agitato.
Ingenuamente, avevo sperato fino a l’ultimo che Sakumo non fosse venuto mai a conoscenza di tutti i dettagli. Che stupido e folle che ero stato!
«Cosa vuoi che ti dica?» esalai con un filo di voce, rassegnato all’inevitabile.
Alla mia domanda, vidi il suo volto congelarsi in una maschera di spietata furia omicida e i suoi occhi, mi perforarono come mille coltelli affilati. «Niente.» ribatté, con una calma degna di un assassino. «Non voglio che tu dica niente. Ti sto solo informando che stavolta non lascerò correre, tutto qui.»
Mi si accapponò la pelle, quella storia non avrebbe portato nulla di buono. «Dimmi, Sakumo, cosa hai in mente di fare?»
Lui stirò le labbra in un ghigno spietato. «Non lo immagini?»
Oh, certo che lo immaginavo!
La sua espressione parlava già molto chiaramente senza il bisogno che lui si spiegasse a parole. Ed era proprio quello che mi spaventava più di ogni altra cosa!
«Sakumo, ascolta...» provai allora a dire, posando la mia mano libera sulla sua spalla. «Ho già avviato un’indagine interna. Lascia che mi occupi io di questa storia.»
Gli scappò una piccola risata crudele e carica di odio. «Non posso farlo.» si limitò a dire, glaciale. «Hanno osato farle del male, di nuovo. E questa volta, non li lascerò andare. Nemmeno se sei tu a chiedermelo, mi spiace, Hiruzen.»
«Non capisco, se hai preso la tua decisione, perché me ne hai parlato?»
«Volevo semplicemente metterti al corrente, tutto qui.»
Sospirai, seriamente preoccupato. Sakumo era senza dubbio il peggior nemico che “quell’idiota” poteva scegliere di farsi.
Dovevo riuscire a farlo calmare oppure, all’interno del villaggio, sarebbe potuto seriamente scoppiare un vero disastro.
«Se tieni a quella ragazza, non dovresti prima pensare al suo bene e solo dopo alla tua vendetta?» tentai, cercando un qualsiasi appiglio sulla sua coscienza per farlo desistere dai suoi propositi.
Lui sbuffò, irritato. «Mi credi veramente così stupido da non sapere cosa vuoi fare? Mettere Kushina in mezzo non ti servirà a nulla, fidati.»
«Lo so, credimi.» risposi, imponendomi di rimanere calmo. «Non per niente, siamo amici da molti anni. Non posso cavarmela così facilmente con te, lo so, lo so molto bene.» commentai, tetro. «Ma per favore, ascoltami.» lo pregai, con una punta di disperazione nella voce. «Lascia a me il compito di cercare i responsabili di questa storia e di punirli. Tu, pensa solo a prenderti cura di lei.»
Sakumo voltò il viso dall’altra parte, infastidito.
Il suo, poteva sembrare un rifiuto categorico ma io, lo conoscevo abbastanza bene da sapere che in fondo, stava valutando il da farsi.
Quando lo udii bofonchiare una sequela di imprecazioni e parole così poco puritane – che alla mia adorata moglie avrebbero causato uno svenimento per lo shock – quasi il terreno mi mancò sotto i piedi per il sollievo.
«Affare fatto?» lo incalzai, trattenendo a stento un sorriso.
Lui mi lanciò una tremenda occhiata in tralice e grugnì, sdegnato. «Sarutobi, sei proprio un’infida scimmia!»
«Sì, può darsi.» confermai con un sorriso angelico, battendogli un’altra pacca amichevole sulla spalla.
Lui mi sibilò contro un altro insulto poco carino ed io, mi ritrovai a tirare un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo.
«Hiruzen.» mi chiamò, poi. «Dì a quel bastardo che la prossima volta, non ci sarà nessuno che potrà parargli il culo. Se qualcuno proverà a sfiorare di nuovo quella ragazza, giuro sulla mia testa che lo ammazzo con le mie stesse mani. Ricordalo.»
Trattenni il respiro sotto il suo sguardo di fuoco, ma provai ugualmente ad indossare la mia migliore maschera di indifferenza: «Perché pensi che ci sia lui dietro a questa storia?»
Lui scoppiò in una risata amara. «Lo stai chiedendo davvero?»
Scossi la testa, dispiaciuto e lui, senza aggiungere più una parola, si alzò in piedi e si diresse verso la porta per uscire.
«Tieniti reperibile, appena sarà tutto pronto per la partenza te lo farò sapere.» gli ricordai, prima che uscisse fuori.
«Ci vediamo.» mi salutò, senza voltarsi.
Perfetto, Hiruzen, ora ti tocca affrontare il terzo grattacapo della giornata!” pensai, con un sospiro sconsolato.





















NdA:
Dopo anni di assenza, avevo paura a pubblicare di nuovo e una vocina nella mia testa, mi invitava a desistere dal continuare questa storia, ma il mio cuore fremeva ogni volta che avviavo il computer e i miei occhi, si posavano sul foglio di Word nell’angolo in alto a destra del desktop. Ho voluto riprovarci, riprendendo la storia dal punto in cui l’avevo lasciata perché in fondo, non ho mai rinunciato ai miei personaggi. E alla mia passione per la scrittura.
Ringrazio di cuore tutte le dolcissime persone che nonostante il tempo, la mia assenza, nonostante tutto, hanno continuato a tenere la mia storia nelle seguite, nelle ricordate e nelle preferite!
Grazie di cuore, perché a darmi il coraggio di premere di nuovo il tasto ‘Aggiungi una storia’ siete stati proprio voi. E anche la mia migliore amica che, compagna di letture e amica instancabile e insostituibile, mi ha spronato a non arrendermi e ad ascoltare il mio cuore.
Detto questo, spero che questo nuovo capitolo vi possa piacere.
Con affetto,
Rosye.





 

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