Il Mostro Bianco

di Pawa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


°° Il Mostro Bianco °°

 

 

- Capitolo I -

 


 Quella sera il chiasso per lui solitamente piacevole prodotto a cena dal suo equipaggio era insopportabile.

Trafalgar Law aveva smesso di mangiare già a metà della prima portata, colto da un malessere che, nonostante le sue doti mediche, non sapeva bene a cosa fosse dovuto e non riusciva a definirne i sintomi.
Lo stomaco gli si era chiuso dopo un improvviso bruciore, di questo era sicuro e un senso di nausea era seguito alla momentanea incapacità dell'organo di accogliere e digerire il bolo alimentare.

Poi, un senso di claustrofobia gli aveva causato un leggero affanno, che abilmente aveva nascosto ai suoi compagni, non volendo farli distrarre dalla loro spensieratezza.
Ma proprio questa, origine del baccano che riempiva la sala da pranzo del loro sottomarino, gli stava martellando la testa, complicandogli ulteriormente l'analisi del proprio stato fisico che stava tentando di eseguire mentalmente.

Gli erano sfuggiti gemiti sofferenti, più e più volte, che aveva tentato di reprimere come meglio poteva.

Dal canto loro, gli Hearts avevano notato che il loro capitano non aveva toccato il secondo, di pollo e patate arrosto, ma non se n'erano preoccupati, abituati all'appetito inesistente di Law.
Solo qualcuno gli aveva consigliato di assaggiarne almeno un po', affinché seguisse un'alimentazione regolare e non casuale, come era solito fare, ma non ricevendo nemmeno uno sguardo di considerazione, oltre un mugolio non ben definito, aveva pensato che il loro dottore fosse immerso in una delle sue riflessioni infinite, ed era perciò tornato a chiacchierare con gli altri, rinunciando.

La serenità dell'equipaggio era perdurata finché non avevano adocchiato Law, seduto a capotavola, prendersi la testa tra le mani, stringendosi i fini capelli neri, tanto da sembrar starseli strappando, come colto dalla disperazione.

Ed allora si erano resi conto che i versi soffocati che inconsciamente avevano udito e non considerato erano gemiti del loro Captain.

I più lontani erano scattati dalla sedia pronti a raggiungere quell'estremità della tavolata, che già era stata accerchiata dagli altri compagni, i quali tentavano di capire cosa fosse preso al loro adorato capitano.

Law non aveva retto all'ennesima fitta cerebrale ed il nuovo capogiro e se non fosse stato per il tavolo che gli sorreggeva i gomiti e conseguentemente il capo ed il busto, si sarebbe accasciato su se stesso.
Ogni rumore lo torturava ed ora anche il profumo della cena che stavano consumando lo disgustava.
La claustrofobia, inspiegabile, era sempre più opprimente e non lo rendeva più in grado di riempire totalmente i polmoni, nonostante gli alveoli sembrassero svuotarsi totalmente e collassare ad ogni espirazione tremante.

"Capitano?"

Finalmente aveva sentito i richiami dei propri nakama dopo aver percepito uno di loro accarezzargli i capelli, rendendosi conto di quanto gli si fossero avvicinati.

Aveva aperto lentamente gli occhi, che prima erano serrati e si era ritrovato a fare una smorfia di dolore all'aumentare della nausea e dello stordimento, causato dalla luce che andava nuovamente a colpirgli le pupille.

Aveva voltato il capo a sinistra ritrovandosi il viso corrucciato di Shachi a pochi centimetri dal proprio sofferente e spaesato.

"Law, cos'hai?" aveva domandato per l'ennesima volta il rosso leggermente sollevato dal fatto che ora, ne era certo, il suo capitano lo potesse sentire.

L'interpellato aveva dato una rapida occhiata attorno a sé, deglutendo per l'ottundimento e l'imbarazzo.
Aveva attirato l'attenzione di tutti i suoi amici e questi, difatti, l'avevano attorniato colti dalla preoccupazione.

Aveva atteso ancora qualche attimo prima di rispondere, cercando di riprendersi e quasi si era spaventato quando, effettivamente, il suo malessere era andato via via scemando rapidamente.

"Scusate, mi sono sentito male" si era reso conto di avere la voce piuttosto roca e gutturale.

Cogliendo il tempo passato che lui aveva usato per spiegarsi, Ikkaku aveva voluto interessarsi ulteriormente.
"Significa che adesso stai meglio?" si era inginocchiata accanto la sua sedia in velluto rosso, incrociando le braccia sopra il decorato bracciolo in mogano.

"Sì, mi è passato all'improvviso."

"Però hai gli occhi lucidi, Captain. Sei sicuro di star bene?" Penguin lo fissava intensamente, così come tutti gli altri.

Non voleva attivare i loro poteri da mamme chioccia, che già rivelavano nelle situazioni più banali, quindi aveva deciso di battere in ritirata.
Non intendeva nemmeno rovinar loro la serata e, sicuramente, andare a coricarsi nella propria cabina gli avrebbe giovato, almeno alla testa, mentre loro avrebbero potuto continuare a festeggiare chissà cosa.

"Andrò a riposare e domani vi romperò le palle come al solito, tranquilli."

Qualcuno aveva sorriso a quell'affermazione per poi riportare presto gli angoli della bocca nella loro posizione naturale.

Seppur la voce di Law fosse risultata più normale, a nessuno era sfuggito il tremore nei suoi arti mentre era intento ad alzarsi e poi dirigersi vero l'interno del loro sommergibile.

Trafalgar pareva aver percepito i sentimenti dei suoi nakama, ancora immobili attorno al suo posto, così si era fermato sull'uscio della cucina, voltandosi con un ghigno.

"Avanti, lo sapete che i miei linfociti sono delle checche. Sarà il solito raffreddore che mi mette K.O per una settimana."

Seppur qualcuno avesse voluto ribattere, che era proprio per la sua salute cagionevole che si preoccupavano tanto al minimo sintomo, si erano convinti delle parole del loro capitano, nonché dottore di bordo.

D'altronde era noto a tutti che le difese immunitarie di Trafalgar Law fossero rimaste destabilizzate dal Piombo Ambrato ed alla presenza del più debole germe si poteva scommettere la propria testa che lui l'avrebbe contratto.

Certo nessuno poteva immaginare che quella volta non si trattasse dell'influenza di turno, ma proprio della malattia che gli aveva inibito il sistema immunitario.
 
***

     Trafalgar Law si era rigirato per l'ennesima volta nel proprio letto sfatto.
Le coperte erano madide di sudore, eppure lui stava morendo di freddo.
Si era coricato col pigiama che aveva utilizzato durante l'approdo all'ultima isola invernale, la quale era stata lasciata dietro la loro scia ormai da tre settimane.
Nonostante i pantaloni neri e lunghi e la morbida maglia di pile col suo Jolly Roger bianco, aveva avuto bisogno di indossare una felpa.

"Cazzo... siamo prossimi alle isole primaverili" si era ritrovato a bofonchiare, scosso da brividi di puro e insensato gelo.

Aveva passato diverse ore a tentare un vano auto - checkup e si ritrovava per la prima volta nella sua carriera medica privo di informazioni per formulare una diagnosi.

Il bruciore allo stomaco e la nausea si erano intensificati, mentre lo stordimento aveva, quantomeno, smesso di procurargli fitte allucinanti, seppur non fosse svanito come aveva sperato quando si era separato dalla confusione prodotta dalla sua ciurma in festa.

Solo la claustrofobia aveva deciso di dargli una tregua, ma questo non lo faceva rallegrare, perché viveva da oltre dieci anni su un fottuto sottomarino.
Un sottomarino!
Come poteva aver sofferto, anche se per poco, di claustrofobia?

Sentiva ogni muscolo dolergli e poteva stimare una temperatura corporea di circa trentanove gradi centigradi.

Un fiotto di vomito lo aveva sorpreso alla base della gola e cercando di ignorare il dolore nell'alzarsi di scatto tentava di reprimerlo, mentre si affrettava a raggiungere il proprio bagno personale.
Si era portato una mano alle labbra, mentre l'altra tastava gli oggetti per cercare la retta via nell'oscurità della stanza, oltre a sostenerlo ad ogni passo barcollante.

Raggiunto il gabinetto, con fare incerto aveva sollevato il coperchio prima di rigurgitare, incapace di resistere ulteriormente.
Gli pareva di liberarsi dell'equivalente dei pasti di due giorni ed al posto di sentirsi meglio, come accade solitamente quando si espelle il bolo oramai acido e corrosivo, poteva giurare di sentire nuovamente tutti i sintomi provati a cena intensificarsi.

Era incapace di alzarsi dalla posizione a carponi in cui si era buttato e faticava perfino a gattonare, ma con molta fatica ed il bisogno di togliersi quell'orrido sapore dal palato, era riuscito a raggiungere il rubinetto del bidet ed a sciacquarsi la bocca.

Aveva ansimato un paio di volte, prima di arricciarsi su se stesso avvolgendosi le braccia all'altezza dello stomaco e di serrare gli occhi.

"Cazzo..." aveva sussurrato nel buio della toilette con tono affranto, incredulo e spaventato.
Stava iniziando a riconoscere alcuni sintomi, ma gli pareva impossibile ricondurli alla malattia, che però, li spiegava tutti.
Poteva sentirlo.
Distingueva perfettamente gruppi di cellule vicine morire e perdere man mano ogni funzione e segno di vitalità, ma non lasciare posto a future nasciture.
Anzi, con la loro dipartita, quel tipo di dipartita, creavano un reticolo resistente e perdurante, che sopprimeva i tentativi di scissione delle compagne ancora vive.
Percepiva poi i primi segni di collasso nervoso.
Gli impulsi partivano dal cervello od il midollo e giungevano a quelle maledette pareti cadaveriche, incapaci di trovare la propria meta e perciò, impossibilitati a qualsiasi altra azione, creavano ingorghi sempre più occludenti, fino a causare il collasso del nervo.
Fortunatamente ancora non aveva perso dei nervi, ma non era stato in grado di allietarsi, perché presto aveva distinto ciò che gli confermava la diagnosi appena formulata.

Il suo stomaco si stava auto - digerendo.

Avvertiva la parete interna essere sciolta dai succhi gastrici ed il sangue mischiarsi con le cellule avvelenate.
Queste ultime erano riconosciute come particelle morte o fattori estranei e venivano perciò attaccate dapprima dai globuli bianchi e poi, non venendo eliminate, l'organo ricorreva alla propria capacità corrosiva per liberarsi della parte oramai cadaverica.

Poco era passato prima che Law rigurgitasse una seconda volta, stavolta, però, eliminando parte di se stesso.

Aveva afferrato la tazza inginocchiandosi, tossendo e sputando.
Gli occhi avevano iniziato a lacrimargli, per il dolore, la febbre e gli spasmi dei movimenti peristaltici, che indirizzavano il carico della faringe nella parte opposta rispetto la norma.

Sperava di riuscire in qualche modo a placare quei rigetti insensati, ma ogni tentativo di allontanarsi dal gabinetto, di lavarsi la bocca o qualsivoglia movimento, acuiva il cannibalismo che lo stava consumando in tutti i sensi e lo costringeva nuovamente piegato in due sulla tazza.
 
***

     Penguin si era svegliato in seguito al continuo mormorio di alcuni suoi nakama.
Era in procinto di domandar loro cosa avessero da borbottare a quell'ora tarda quando aveva udito dei versi imprecisati provenire dal cuore della loro nave.


"Cos'è stato?" La sua voce era ancora impastata dal sonno, ma la sua mente era già attiva e vispa.


"Ce lo stavamo giusto chiedendo. Va avanti da un po' e stavamo discutendo se sia il caso di preoccuparcene o no." La risposta era arrivata dall'amaca sotto la sua, seguita dalla voce del compagno che dormiva accanto a lui.


"A me sembra la valvola di sfogo. Non è la prima volta che uggiola, quell'affare, ma non c'è bisogno di impensierirsi." Erano seguiti alcuni consensi, mentre altri supponevano potesse trattarsi di Bepo che gemeva spaventato per un brutto sogno.
Anche quello era già capitato, allarmandoli senza motivo.

"A me, però" era intervenuto immediatamente quello che riconobbe essere Shachi "sembra venire dalla zona est..."

"La parte dove sta la cabina del capitano" aveva concluso al suo posto Penguin, cogliendo dove volesse andar a parare il suo amico.

Con un salto era sceso dalla propria branda sospesa e distrattamente aveva sentito alcuni Hearts rimuginare su quella constatazione ed affermare che, effettivamente, poteva provenire proprio da lì, quel lamento indefinito.

"Vado a dare un'occhiata."
Se c'era di mezzo Trafalgar Law chiunque tra loro non avrebbe esitato a rinunciare definitivamente al proprio sonno per accertarsi che tutto andasse bene, ma questa volta era stato il pinguino il primo a prendere l'iniziativa.

La camera di Bepo era vicina alla cabina di Law, quindi il Pirata del Cuore non si era immediatamente preoccupato, seppur conscio del fatto che la sera prima il suo capitano fosse stato male.
Aveva impiegato altri pochi passi, però, prima di udire distintamente quelli che dovevano essere forti e incontenibili conati di vomito provenire dalla stanza del loro dottore.

Si era messo a correre per i corridoi del Polar Tang, illuminati dalla fioca luce lunare, attenuata e resa tremolante dall'acqua salata che li avvolgeva.

Aprendo con impeto la porta della camera del suo capitano aveva ignorato il letto, dirigendosi senza esitazione verso il bagno annesso, inciampando in una pigna di libri che, come al solito, il moccioso super studioso aveva lasciato sparsi sul pavimento dopo averli divorati dalla prima all'ultima pagina.

Nel buio aveva individuato Trafalgar accasciato in modo scomposto ai piedi del water, a cui stava aggrappato con una forza che sembrava affievolirsi ad ogni secondo che passava.

"Law!" Col cuore in gola, ora definitivamente preoccupato, aveva acceso la luce e si era inginocchiato accanto all'amico di una vita.
Intanto il giovane medico aveva ripreso a rimettere e tanto era il dolore, alla gola, allo stomaco ed ai muscoli colti da spasmi e contratti nello sforzo, che nemmeno si era accorto delle mani di Penguin, che gli sorreggevano la fronte e gli carezzavano la schiena.

"Mio Dio..." era tutto ciò che poteva dire il pinguino, dopo aver visto ciò che l'altro corsaro stava vomitando.

Sangue.
Centilitri e centilitri di sangue, misti a sostanze più pastose, che, dopo tutti gli anni passati ad assistere uno dei migliori dottori del pianeta, poteva tranquillamente riconoscere come membrane cellulari e carne umana.

Immediatamente aveva urlato alla ciurma con quanto più fiato aveva in gola e la voce carica di paura di svegliarsi e raggiungere la cabina del comandante, mentre ancora quest'ultimo era scosso da fremiti e conati.

"Pen, che diavolo succede?!" Tutti e diciannove i restanti Hearts li avevano raggiunti, ma non li aveva degnati d'attenzione, concentrato ad aiutare, nella sua impotenza, il loro capitano, sorreggendolo e cercando di calmarlo.

Distrattamente li aveva uditi deglutire ed imprecare alla constatazione di ciò che stava accadendo.
Ikkaku aveva urlato seriamente intimorita, mentre Bepo aveva preso a guaire disperato.

"È sangue... e mucosa?" non aveva badato a chi avesse timidamente posto quella domanda, ma Penguin si era comunque premurato di confermare ed aggiungere: "E carne. Sta vomitando la sua carne."

Vedere Trafalgar Law il loro potentissimo, intelligente, amato e saccente capitano ridotto in quel modo, li straniva e terrorizzava.

"Ferma-...!" un colpo di tosse mista a sangue aveva stroncato sul nascere ciò che Law aveva tentato di dire e questo aveva riscosso i presenti.

Non importava quanto quella situazione fosse assurda, dovevano aiutare il loro Captain.

"Law, non dovresti parlare, finisci solo per irritarti maggiormente la gola" Clione aveva affiancato i due compagni e stava cercando di individuare ulteriori anomalie nel vomito.
"Sembrano esserci fibre bianche" aveva sussurrato in contemplazione, più a se stesso che agli altri.

"Ferma-... fermate" altri conati lo avevano scosso, ma stavolta era riuscito a terminare la frase, seppur avesse percepito un bruciore crescente nella faringe "il vomito. Dove- dovete fermarlo. Sto... sto digerendo lo stoma... lo stomaco."

Se possibile lo sbigottimento di ognuno era aumentato, così come la preoccupazione.

Che Law sapesse esattamente cosa gli stava accadendo li inquietava, perché significava che il dolore era tale per cui percepiva ogni singolo avvenimento al suo interno, ma allo stesso tempo speravano che questo gli permettesse di riconoscere la malattia di cui era vittima.

Subito gli Hearts si erano separati, lasciando solo due di loro ad assistere Law.

La maggior parte della ciurma si era recata in infermeria, volti a prepararla per visitare ed, eventualmente, operare il loro capitano.
Altri erano impegnati in libreria ed in laboratorio, desiderosi di ricercare e preparare qualsiasi tipo di cura e, nel caso Law non fosse stato in grado di riconoscere la malattia, l'avrebbero trovata e distrutta loro.
I restanti si erano precipitati in cucina preparando intrusi contro al vomito in tempo record.

Quando la ciurma si era nuovamente riunita nella cabina del capitano, quest'ultimo stava ingerendo a fatica l'intruglio che il loro chef aveva cucinato per fermare i conati e la nausea.

"Oh, Law..." avevano sussurrato in molti, impietositi dalla visione.

Trafalgar era continuamente sorpreso da attacchi di vomito e fiotti di sangue e la maggior parte di quella brodaglia se l'era tossita sulla maglia del pigiama e sul mento, mista al proprio plasma.
Penguin gli teneva la testa reclinata all'indietro, mentre Uni gli portava il bicchiere alle labbra, invitandolo a prendere piccoli sorsi ed approfittando dei momenti in cui Law sembrava tranquillo per farlo.

Ikkaku e Shachi si erano premurati, rispettivamente, di prendergli un nuovo pigiama e di lavargli il viso, sudato e intriso di bava, sangue e bile.

Ci erano voluti circa venticinque minuti affinché i conati terminassero.

L'avevano aiutato a cambiarsi e per quanto Law si sentisse imbarazzato per costringere i suoi nakama ad assisterlo in ogni piccolezza, sapeva di non avere le forze per farlo da solo.

Bepo l'aveva preso in braccio a mo' di sposa e anche questo l'aveva fatto sentire in colpa e stava distruggendo il suo orgoglio, ma non poteva far altro che accettarlo.

Era stato adagiato sul suo letto, dove ai lati stavano seduti alcuni dei suoi compagni.

Sentiva la gola in fiamme e non osava concentrarsi sul dolore che provava allo stomaco, perché era qualcosa di abominevole, ma doveva parlare.

"Hearts..." aveva aspettato che ognuno lo guardasse dritto in volto prima proseguire con evidente sforzo.

"Ho il Piombo Ambrato."

 
°° FINE CAPITOLO °°
 

Uh, eccoci col primo capitolo.
Spero davvero vi incuriosisca e riesca a commuovervi e coinvolgervi, perché è l'obiettivo principale di questa storia.

Che ne pensate di Law? Non è tenerissimo *-* ?
Fatemi sapere ^_^
Leggo sempre con piacere tutti i commenti ♥
A presto!
Baci,
Pawa

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


°° Il Mostro Bianco °°


- Capitolo II -



     Un respiro tremante si era udito dopo minuti di incredulo e straziante silenzio, che ogni singolo Pirata del Cuore aveva passato in apnea.
Pinguino, poteva dire Law, era stato colui che l’aveva emesso ed il primo, dunque, che aveva fortunatamente rinunciato ad asfissiare.
 
Gli occhi di tutti erano tremanti e vitrei di paura.
Paura non per sé, per la propria sorte od incolumità, ma per quelle della persona a cui ognuno di loro doveva l’incredibile ed emozionante vita che conduceva ed il fatto stesso di esistere ancora.
Trafalgar Law li aveva reclutati dopo aver restituito loro la speranza e la libertà, le quali chi per il Governo, chi per i propri famigliari, chi per le ingiustizie generali o l’ignoranza popolare erano state sommerse da un oscuro e soffocante mare di disperazione e rassegnazione, popolato da creature infide e spregevoli.
Grazie a lui, invece, erano tornati in superficie ed avevano respirato l’aria della vita.
 
Quello stesso particolare ossigeno, per la prima volta da quando erano nei Pirati Hearts, veniva loro meno.
 
Trafalgar stava guardando i suoi nakama.
Si sentiva affranto e non sapeva cosa lo tormentasse maggiormente.
Sicuramente era scioccato dal ritorno della malattia che, prima di una lunga serie di cause e protagonisti, gli aveva rovinato la vita.
Era confuso su come fosse possibile che l’Ope Ope avesse fallito ed era altresì dispiaciuto per non aver sconfitto ciò per cui Corazon aveva sacrificato se stesso.
Inoltre non sopportava rivedere quelle espressioni sui volti dei suoi amici.
Erano terrorizzati ed impietriti ed era a causa sua.
 
“Ragazzi…” aveva schiarito la voce nuovamente roca e quasi gracchiante, socchiudendo gli occhi per l’irritazione alla sua povera faringe “Non ho idea del perché sia tornato, ma è qualcosa che ho già affrontato.” Aveva preso dei lunghi respiri. Tutto il tronco gli doleva e la claustrofobia, anche se più lieve, non l’aveva abbandonato.
“Posso curarlo definitivamente questa volta.” Alcuni avevano ripreso a sbattere le palpebre con regolarità alle sue parole, come se riconfortati, e Law si era appuntato mentalmente di studiare le loro capacità fisiologiche, in particolare quelle oculari, che parevano permettere loro di evitare la lubrificazione degli occhi per periodi drammaticamente lunghi.
“D’altronde sono un dottore adesso ed ho voi che mi aiutate, vero?”
 
Certo, era ovvio che l’avrebbero aiutato!
Il loro Captain sarebbe tornato a sgridarli e poi fare il cretino con loro nel giro di qualche giorno.
 
Come Law sperava, quel velato incitamento per affrontare il nuovo dramma che li coinvolgeva aveva ridestato i suoi compagni, che ora lo fissavano con determinazione.
 
“Dicci come dobbiamo agire, Captain. Faremo di tutto, qualsiasi cosa che ti possa aiutare!”
Aveva sorriso stancamente.
Non era sicuro nemmeno lui stesso di cosa fosse meglio fare, in che ordine ed in che modo, ma i suoi nakama erano definitivamente nel loro stato di mamme chioccia, il che significava che non sarebbero stati contenti finché non li avesse sfruttati per ogni più piccolo compito.
Aveva fatto tra sé e sé, perciò, un riepilogo delle procedure mediche standard che si applicano nei casi di malattie degenerative o terminali, contemporaneamente alla lista dei bisogni primari di cui necessitava e che, nel suo stato di convalescenza, non era in grado di soddisfare autonomamente.
 
“E che non ti salti in mente di non approfittare di noi solo per il tuo stupido orgoglio!”
 
“Inoltre vedi di dirci tutto, ma proprio tutto ciò che aiuterebbe un altro paziente nelle tue condizioni. Guarda che ti conosciamo, lo sappiamo che quando si tratta di te dimentichi casualmente alcuni fattori non trascurabili normalmente.”
 
L’ultimo commento di un suo compagno l’aveva convinto ad arricchire la lista dei suoi fabbisogni aggiungendo, tra le indicazioni, frivolezze come mangiare salutarmente e dormire minimo otto ore sfruttando, se necessario, alcuni dei suoi prodotti omeopatici.
Subito, però, aveva arricciato il naso.
Non poteva stilare un elenco normale dei fattori di cui esigeva, perché i sintomi e le conseguenze di cui era vittima erano tutto fuorché comuni.
Aveva, quindi, atteso ancora qualche attimo per rettificare sia la propria terapia sia il proprio sostentamento rigenerativo, durante i quali i suoi pirati l’avevano fissato sempre più malamente, intimandogli con un gioco di sguardi di non essere generico e superficiale solo perché stavolta era lui a dover essere curato.
 
“Nonostante ciò che vi ho appena detto,” aveva finalmente parlato, sentendo pulsare la propria giugulare al passaggio dell’aria in uscita “penso sia abbastanza complesso il procedimento che dobbiamo eseguire. Voglio principalmente due cose: guarire e capire perché non l’abbia fatto definitivamente già tredici anni fa-…” Alcuni colpi di tosse avevano troncato bruscamente il suo discorso e, onde evitare il disagio nel suo capitano per non essere in grado di sproloquiare come amava tanto fare, Shachi era intervenuto, con un misto di recitata e sincera constatazione.
“Insomma, dobbiamo curarti con tutte le precauzioni, che sarà meglio per te ci dirai per filo e per segno o sarò io ad ucciderti ed indagare sul ritorno improvviso del Piombo Ambrato. Potrebbe essere un effetto collaterale dell’Ope Ope No Mi?”
 
“Intendi, che so, che abbia una scadenza la cura del Frutto?”
 
“Più o meno, Uni, ma sto solo ipotizzando.”
 
“Da quel che ho letto, è il Frutto del Diavolo definitivo anche per il fatto che dopo la morte del suo utente gli effetti non svaniscono.” Aveva aggiunto Law, ripresosi. “Comunque, qualcosa dev’essere successo. Magari hai ragione tu.”
 
“Captain, ma sei proprio sicuro che si tratti del Piombo D’Ambra?” Ikkaku  si era seduta all’altezza del guanciale e gli aveva stretto una mano con le proprie.
 
Law aveva poggiato lo sguardo sulle loro mani, sentendosi come cadere nel vuoto nell’accorgersi che la sua carnagione, nel giro di poche ore, era divenuta più chiara di quella della sua amica.
Simultaneamente si era nuovamente concentrato, suo malgrado, su ciò che stava accadendo al suo organismo.

E sentiva tutto.

I reticoli marmorei di cellule morte avvelenate, che perdevano colorito come è degno che faccia qualcosa privo di vita, gli impulsi nervosi ingorgarsi e collidere, i decadimenti di tessuti, nervi e funzioni e l’auto eliminazione di cellule vive, vitamine e minerali da parte delle difese immunitarie, che già iniziavano a non riconoscersi a vicenda e quindi ad attaccarsi, causandogli un aumento vertiginoso della temperatura.
Quest’ultima avrebbe presto alterato ed inviperito il sistema circolatorio ed i sistemi di controllo che, momentaneamente, resistevano all’immunitaria guerra civile. 
L’approvvigionamento di sangue, sballato dalla febbre, sarebbe stato causa della malnutrizione degli organi i quali, dunque, sarebbero stati indeboliti e maggiormente esposti all’avvelenamento.
Stava pian piano diventando un pallido, pallidissimo cadavere dal cuore ancora funzionante.
 
I suoi occhi azzurri si erano incupiti e mal si addicevano al ghigno che le aveva rivolto.
“Non pensavo mi reputassi un dottore così mediocre… Dubiti delle mie diagnosi?”

Le guance di lei si erano imporporate per l’imbarazzo, cascando nell’ironia del suo capitano.
 
“Assolutamente no! Sei un genio, non ti sbagli mai, ma… per una volta sarebbe stato meglio che non fossi così brillante.”
 
Alcuni Hearts avevano mostrato un sorriso rabbuiato.
Ikkaku era sempre così ingenua quando parlava con Law e non capiva mai il suo sarcasmo, tantomeno la sua ironia, suscitando il divertimento dell’intero equipaggio ai loro battibecchi, ma stavolta era riuscita ad esprimere un pensiero serio, coerente e soprattutto condiviso da tutti.
 
“Anche se non fossi stato un medico l’avrei riconosciuta. Non ci sono molti malanni che hanno questi effetti.”
 
Bepo aveva abbassato le orecchie e subito aveva preso a scusarsi con il suo capitano, prima di chiedergli di spiegare a tutti il modus operandi del Piombo Ambrato.
 
Law non aveva fatto altro che esprimere e descrivere ciò che percepiva distintamente al suo interno nel modo più esauriente possibile, per permettere ad ognuno di analizzare e studiare il morbo, nonostante desiderasse poter starsene zitto e dar tregua alla sua faringe in fiamme.
 
“Quindi, in sostanza…le chiazze bianche non sono altro che i reticoli di cellule morte perduranti che, in quanto tali, perdono totalmente la melanina? Ed il fatto che si esprimano in macchie è dovuto a quando un gruppo di quei bacilli velenosi ha voglia di svegliarsi dallo stato inibitorio, indipendentemente dagli altri?”

“Sì, Pen. Oltre al fatto che i bacilli si trovano principalmente nelle zone con cui si è stati per più tempo in contatto con il prodotto d’esportazione ambrata. Poi il contagio del resto del corpo avviene gradualmente.”

“Nel tuo caso, Captain, è lo stomaco il punto cruciale? È un po’ insolito il contatto diretto con quell’organo.”

Law aveva ridacchiato con enorme sforzo.
“Mia madre aveva tutto un set di piatti, bicchieri e posate di Piombo Ambrato. Pure il frigorifero. Probabilmente, a forza di sfruttare quella roba per mangiare, ho avvelenato il cibo e, di conseguenza, lo stomaco.”
 
Ancora una volta la cabina era immersa nel silenzio.
 
Era quasi ridicolo il modo in cui gli abitanti di Flevance erano stati esposti al mortale morbo.
Praticamente si erano suicidati e si erano pure impegnati per farlo, costruendo qualsiasi cosa con quel dannato metallo.
Ovviamente la ridicolezza era rasentata dalla pietà.
Nessuno aveva la minima idea di cosa facesse il Piombo speciale che avevano rinvenuto nelle loro terre.
 
“Ah, un’altra cosa” Law aveva richiamato l’attenzione dei presenti. “Sta merda ha una particolarità: alterna momenti di crisi e di stallo, seppur sofferto dai permanenti sintomi.”
 
Jean Bart e molti altri avevano strabuzzato gli occhi.
“Cioè, ci sono dei momenti in cui stai bene?”
 
“Non esattamente. Adesso, come quando ho lasciato la tavola ieri sera, sono nella fase di stallo. In pratica il processo di deterioramento dell’organismo prosegue, ma molto attenuato o a rilento e perciò, finché non perderò ogni funzione nella fase terminale della malat-”
 
“Nel caso improbabile in cui perderesti ogni funzione.” Lo avevano  corretto quasi contemporaneamente tutti e venti gli Hearts.
 
“…Sì, dicevo… che in questa fase posso agire normalmente e fare quel che voglio, seppur risenta dei dolori e dall’affaticamento, ma non sono soggetto ai sintomi principali dei momenti culminanti, anche se il tutto avviene contemporaneamente alla degenerazione interna.”
 
“E questi culmini hai detto che sono emicrania, claustrofobia o senso di soffocamento, le crisi epilettiche, quelle di panico, la nausea e disturbi emotivi o psichiatrici.”
“Aha, ma se i miei bacilli agiranno ugualmente a tredici anni fa, non dovrei impazzire, perché il mio cervello è stata l’ultima parte ad essere avvelenata-!”
Aveva parlato troppo e questa volta la tosse l’aveva letteralmente sorpreso, impedendogli di coprirsi la bocca, come da educazione.
Dunque aveva macchiato le lenzuola celesti del suo letto con sangue e grumi dalla discutibile formazione.
Bepo e Ikkaku l’avevano afferrato per le spalle, impedendogli di arricciarsi su se stesso durante gli spasmi, rischiando l’occlusione delle vie respiratorie.
Mentre si passava il dorso della mano destra sulle labbra, macchiandolo di vermiglio e mormorava delle scuse, alcuni dei suoi compagni si erano attivati per rimuovere gli ammassi rossicci di carne dalle coperte.

“Comunque,” aveva poi ripreso, nascondendo il disagio provato per aver costretto ancora una volta i suoi compagni a soccorrerlo “abbiamo chiacchierato fin troppo. È impossibile prevedere quando sarò colto da un attacco di crisi, quindi direi di procedere subito con l’intervento.”
“Intervento?”
“Sì, pensavo di farmi operare da voi allo stomaco. Innanzitutto voglio sapere qual è il suo stato attualmente. Nel caso in cui non sia già totalmente contaminato potreste esportarmi la parte morta, onde evitare lo stesso destino al resto dell’organo.” Si era fermato qualche istante per riprendere fiato, che ancora faticava a immettere per il malessere claustrofobico e dar tempo ad ognuno di seguire il filo logico del discorso.
“Se invece mi ha già abbandonato, con la Room ve lo farei esportare del tutto e poi in qualche modo penseremo a curarlo tutti insieme. Ovviamente trattarlo esternamente al mio corpo sarebbe molto più comodo ed agevole.
In ogni caso preparate un bel po’ di flebo. Non penso potrò nutrirmi normalmente per diverso tempo.”
 
“Ma anche utilizzando la room come faremo noi ad esportarti lo stomaco? Sei tu l’unico che potrebbe fare una cosa del genere senza intervenire chirurgicamente.”
 
“Considerando il significato intrinseco del mio potere ho la facoltà di controllare e decidere ogni cosa nella mia Room. Perciò, se voglio che qualcuno sia in grado di tagliare una persona senza ucciderla o farla sanguinare, almeno teoricamente, dovrebbe verificarsi così.”
“Ci hai mai provato prima? Mi sembra rischioso.”

“Bé, Ikkaku, un rischio per un altro. Io ci provo, mal che vada dovremo curarmi l’organo con iniezioni, pastiglie e flebo e dunque tutte le restrizioni dovute all’inserimento dello stomaco in un organismo ancora vivente.”
 
“Va bene, fa del tuo meglio…” non gli era parsa troppo convinta, ma almeno si era rassegnata al suo piano.
 
Mentre alcuni Hearts annuivano ed un paio di loro si appuntava e discuteva del materiale occorrente per la preservazione ed il trattamento dello stomaco, Penguin si era fatto avanti richiamando l’attenzione generale e di Law in particolare.
 
“L’infermeria è pronta. Possiamo iniziare subito, se vuoi.”
Trafalgar si era limitato a mugugnare in segno di consenso, per poi ordinare l’inizio della sterilizzazione del personale e di se stesso.
 
Adesso era nuovamente in grado di muoversi, anche se barcollante e con solo l’aiuto di Bepo aveva raggiunto quasi autonomamente l’anticamera del suo laboratorio, mentre il resto della ciurma si accingeva, già, a vestire i panni chirurgici e radunare gli attrezzi utili a quel tipo di operazione.
 
“Captain, sei pronto?” Jean Bart era entrato spingendo la barella.
Aveva aiutato Law a stendersi, avvolto solo dalla camicia ospedaliera, dopodiché aveva ripercorso la strada appena fatta camminando all’indietro ed aprendo i portoni per la sala operatoria spingendoli con la schiena.
 
Raggiunto il centro della stanza, il lettino mobile era stato circondato dai pirati che più avevano dimestichezza nell’ambito medico ed avevano fatto allontanare l’ex capitano.
 
Law aveva sentito due flebo essergli inserite nel braccio destro e una nel sinistro e solo per dimestichezza ed abitudine, non per reale attenzione, aveva riconosciuto essere integratori per le proprie cellule più deboli, stabilizzatori della circolazione ed una soluzione cicatrizzante, che presto avrebbe agito laddove i reticoli ambrati stavano deteriorando il tessuto ad essi attorno.
 
“Law, vuoi l’anestesia?” La voce di Penguin gli era risultata soffusa dalla mascherina con disegnato il ghigno di un vampiro che portava e per la cuffia che invece ricopriva le proprie orecchie.
 
“No, preferisco avvertire ogni passaggio e in ogni caso non mi sventrerete, per vostro dispiacere. Attiverò subito una prima Room per aprirmi la parte superiore dell’addome.”
 
“Ed io che già pregustavo il tuo smembramento…” il tono fintamente drammatico di qualcuno lo aveva fatto sorridere e, poi, notando la mascherina con la bocca putrefatta di uno zombie che quel compagno indossava, aveva preso a sghignazzare.
 
Il loro set medico non era propriamente consono per mettere a proprio agio i pazienti.
Anche se, colui che più di tutti avrebbe dovuto far morire di crepacuore la persona in cura, il Chirurgo della Morte, sulla propria  mascherina aveva disegnata la bocca di Bepo, mentre questi gridava il suo solito “Aye aye!”.
 
Intanto i nakama nella camera avevano tutti preso posizione.
Shachi, aveva notato, sarebbe stato colui che l’avrebbe operato e Penguin era il capo infermiere e dunque l’aiutante del provvisorio chirurgo.
Clione era prossimo al monitor riportante i suoi valori e stava dando gli okay a Uni circa la sua frequenza cardiaca, la pressione e via discorrendo, per dare inizio all’operazione.
Ikkaku aveva finito di sistemare gli attrezzi nel vassoio sul tavolino con le ruote e gli aveva rivolto uno sguardo carico d’ansia.
Lui aveva ammorbidito il proprio.
 
“Captain, iniziamo”
Room” la bolla azzurra semitrasparente aveva inglobato la sala ed ogni cosa al suo interno era sotto il controllo di Law.
Ora doveva solo far sì che parte del controllo passasse ai suoi dottori.
Non era un’abilità che era solito usare, essendo che l’Ope Ope lo sfruttava principalmente in battaglia e rarissimamente le sue doti mediche sovrumane non erano state sufficienti per curare qualcuno, quindi la novità della ripartizione del controllo nella room era qualcosa che lo impegnava sia fisicamente sia psicologicamente.
D’altra parte non aveva voglia di ritrovarsi una cicatrice sul tronco, abbastanza grande da esportare eventualmente lo stomaco.
Quest’ultimo, poi, non poteva andare da nessuna parte se non concedeva la manipolazione a Shachi.
 
Aveva chiuso gli occhi in concentrazione ed udito il cardiofrequenzimetro aumentare il ritmo sonoro, contemporaneamente a Clione che informava ad alta voce i presenti dei nuovi e crescenti valori.
 
“È già abbastanza affaticato, non è meglio procedere come di norma? L’Ope Ope prosciuga le energie.”
 
“Aspetta ancora un po’, Clione e continua a tener d’occhio quella scatola casinista. Sono certo che ci riuscirà. E poi, se gli roviniamo il corpo con qualche cicatrice, Ikkaku ci vende alla Marina nel migliori dei casi.”
“Oh, Pen, come sei innocente. Ti ricordo che sono io a gestire i bisturi. Non ve la cavereste con la prigionia del Governo.”
 
Avevano ridacchiato finché Clione aveva gridato un ultimo valore.
 
“È stabile!”
All’unisono Law aveva riaperto gli occhi e si era rivolto a Shachi.
“Divertiti…”
 
Il rosso si era sentito improvvisamente straripante di un potere immenso, che in un primo momento, istintivamente, aveva associato all’onnipotenza di un dio.
Infatti, gli sembrava di poter fare ogni cosa ed effettivamente, così era.
Aveva impiegato quasi un minuto intero per ristabilirsi e ricordarsi che, per quanto il suo capitano fosse grandioso, non era un dio e quello che percepiva era “solo” il potere di uno dei Frutti del Diavolo più potenti.
Allo stesso tempo si era reso conto di quanto tutto quel potere gli gravasse sul petto e la cervicale e presto era stato colto da un affanno, aggravato dalla mascherina medica con una bocca cucita e sanguinante che filtrava e diminuiva l’aria inspirata.
Le gambe gli tremavano, forti fitte alla testa lo stavano torturando e la vista cominciava ad appannarsi.
 
“Scusami, proverò a darti un quarto della manipolazione”
 
Law aveva chiuso nuovamente le palpebre, prossimo a riequilibrare la partizione.
 
Shachi aveva avuto giusto il tempo di elogiare interiormente il suo capitano per essere in grado, fin da bambino, di sopportare il doppio del potere che aveva appena sperimentato personalmente prima che questo andasse via via diminuendo.
 
“Va meglio?” Aveva chiesto Trafalgar dopo alcuni secondi.
 
Facendo un rapido checkup di se stesso, contemporaneamente a quello che gli stava facendo Penguin per precauzione, aveva annuito.
 
“Possiamo iniziare.”
 
Trafalgar Law aveva cercato di rilassarsi il più possibile nonostante avesse attivo l’Ope Ope No Mi.
 
Qualcuno gli aveva aperto la camicia e, dagli sguardi dei suoi compagni, aveva capito che la prima di tante imminenti macchie bianche gli era comparsa proprio all’altezza dello stomaco.
Questo non presagiva un buono stato del suo organo, ma aveva ancora qualche speranza.
 
Shachi aveva preso il primo dei bisturi che Ikkaku gli porgeva e stava tagliando la morbida carne del loro capitano.
 
“Divaricatore” Penguin aveva immediatamente inserito due di essi a incisione completata di modo che lo stomaco, in tutta la sua interezza, fosse visibile e venisse filmato dall’addetto alle riprese delle operazioni.
 
“Porca puttana…”
 
Ancora una volta lo sbigottimento, nonché lo straniamento  surclassavano ogni altra emozione dei Pirati del Cuore.
 
Il loro capitano aveva facilmente dedotto che il suo stomaco doveva essere in uno stato deplorevole.
 
“Hey, attivate il monitor sul soffitto. Voglio vederlo.”
“Law, non parlare, che mi scombussoli gli organi addominali.”
Nonostante il rimprovero del rosso avevano fatto quanto aveva richiesto.
 
Non che si aspettasse di vedere un epitelio perfetto, dalla tonaca mucosa di un invidiabile rosso rosato, con ghiandole cardiali e ghiandole gastriche nelle rispettive fossette, funzionanti ed immacolate, ma constatare che, non solo almeno la metà della superficie esterna dello stomaco era bianca, ma neppure la sua forma a sacchetto allungato e schiacciato era riconoscibile era abbastanza agghiacciante.
A prima vista, dopo l’apertura dell’organo, si poteva ipotizzare che Law avesse vomitato e cannibalizzato più del quindici per cento dell’interno dello stomaco, nella maniera che il giovane chirurgo aveva precedentemente esposto alla ciurma: le prime cellule si avvelenavano, morivano sbiancando, formavano reticoli riconosciuti come nemici e quindi attaccati dai linfociti ed, in seguito, dai succhi gastrici.
Inoltre sopprimevano sul nascere le altre cellule.
 
Questo aveva causato un afflosciamento delle pareti gastriche della tonaca interna, nonché l’esposizione agli acidi corrosivi di quelle più esterne della sottomucosa generando, quindi, una sorta di soffocamento, l’irritazione e l’auto – digestione progressiva.
 
Con l’ingerimento dell’intruglio contro al vomito era riuscito a placare la secrezione delle sostanze corrosive, che altrimenti avrebbero proseguito col processo di scioglimento delle restanti due tonache e mezzo.
 
In sostanza, si era ritrovato a pensare Shachi, scostando alcune fibre maciullate, quello stomaco aveva, ora, l’aspetto di una pallina di spugna deforme, bianca e rossiccia e rosicchiata dalle tarme.
 
“Ikka, la curette”
 
Appena lei gli aveva passato quel particolare cucchiaino chirurgico, Shachi si era apprestato a raschiare e prelevare le cellule apparentemente sane dell’organo sottoposto all’intervento.
 
“Vuoi capire se effettivamente non sono malate?” Penguin, come sempre, aveva capito il ragionamento silenzioso del compare.
 
“Se nel giro di una notte è andata a farsi fottere quasi tutta la tonaca mucosa e parte della sottomucosa, temo che queste siano prossime a manifestare pallidezza…”
 
Il pinguino aveva annuito, rimuginando fra sé.
“White, portami becker, vetrini e colorante sintetico, procederemo immediatamente.”
L’Heart dai capelli grigio elettrico si era messo sugli attenti ed era poi andato a recuperare il materiale richiesto con repentinità.

“E voi!” aveva proseguito Penguin, interpellando i compagni che, rimasti fuori dalla sala, assistevano all’operazione da dietro una grande vetrata.
“Allestite il laboratorio del capitano per l’analisi dei tessuti.”
Stavano già per allontanarsi ed obbedirgli, quando il ragazzo li aveva richiamati “Ah, mi raccomando: tutti i suoi cadaveri li mettete, se possibile, isolati ermeticamente o li buttate in mare se non potete rimediare altrimenti”
 
“Cosa? No!”
“Captain, non devi parlare mentre ho un bisturi ed una curette dentro di te”

Penguin aveva proseguito, ignorando le lamentele e le suppliche di Law, che non voleva perdere i suoi amati esperimenti e Shachi, che lo sgridava ad ogni parola che pronunciava.
“Analizzare una malattia che di fatto non è mai stata trattata prima è già difficile in sé, figuriamoci se l’ambiente dove deve avvenire lo studio è contaminato da una quindicina di morti che, tra l’altro, non sappiamo neanche chi sono.”
“Ho dato a tutti un nome”
Ci aveva tenuto a sottolineare Law, facendo definitivamente esasperare il rosso chirurgo temporaneo, mentre White tornava in tempo record con tutto il materiale richiestogli.
 
“Uni, per favore, sedalo.”
Finalmente Trafalgar aveva rinunciato a controbattere Penguin, solo per trovarsi a discutere con Shachi.
“No, voglio seguire l’operazione!”
“Guarda, che ti sopprimo direttamente se dici anche solo un’altra parola.”
Okay che stavano usando la room, ma tagliuzzargli le budella perché, a differenza del solito, non stava zitto un attimo, non era per nulla conveniente.
 
“Hoy, hoy, sono io il capitano e non mi faccio dare ordini! E poi… devo tenere attiva la Room… . Ah, tu Pen… lascia stare… lascia i miei cada…ver…i”

Un sospiro di sollievo aveva lasciato le labbra di ognuno una volta constatato che il pentotal iniettatogli a tradimento aveva avuto effetto immediato ed il loro pedante capitano era finalmente buono e tranquillo, anche se non nel mondo dei sogni, dove una persona normale finirebbe dopo un’iniezione del genere.
 
“A qualcosa è servito l’effetto collaterale dell’Ope Ope” Shachi aveva sorriso, di questo Law ne era sicuro, anche non potendo vedere attraverso la maschera.
 
Anzi, a dirla tutta, faceva fatica a mettere a fuoco e non sentiva più mezzo muscolo, neanche il dolore allo stomaco, ma era perfettamente cosciente.

Anche per questo, aveva potuto capire cosa intendesse il suo compare.
 
Il suo Frutto del Diavolo consumava energia, ciò significava che aumentava il metabolismo e, dunque, qualsiasi anestesia, se invariata nelle dosi standard per il suo organismo, l’avrebbe semplicemente semiparalizzato o placato, senza addormentarlo, perché rapidamente dissolta dall’alta reattività del suo sistema.
 
In altre parole poteva tenere attiva la Room, ma gli era impossibile parlare, muoversi ed essere partecipe all’operazione in altri modi che non fosse il ruolo del paziente.
 
Si era ritrovato a sbuffare tra sé, poiché impossibilitato fisicamente, mentre leggermente irritato aveva udito Penguin rivolgersi a Shachi.
 
“Ad ogni modo non sappiamo se di fatto l’avvelenamento sia avvenuto tutto in queste poche ore. Certamente stanotte Law è stato sorpreso da un “culmine”, che ha velocizzato l’aggravarsi dello stomaco, ma potrebbe non coincidere con l’esordio dell’attivarsi dei bacilli.”
“Anche questo è vero… beh, dovremmo scoprirlo analizzandogli lo stomaco.”
“Tutto?” Pen si era voltato a fissarlo, abbandonando per un attimo la preparazione dei vetrini per il microscopio che stava facendo con White Fox.
 
“Sì, l’esporto.”
 
Automaticamente e sensatamente Ikkaku gli aveva allungato il morcellatore.
Leggermente sorpreso il rosso l’aveva guardata con un sopracciglio alzato.
 
“Meglio se lo esporti in masse e non come blocco. Usare la room significa che il ciclo dell’organo continua normalmente, no? Quindi se lasci la parte per ora sana a contatto con quella già deceduta, il contagio o la soppressione, più precisamente, continuerà a verificarsi.”
 
“Mh… Ikka… agione…mhhh”
 
“Eh?”
 
Ikkaku si era messa a ridere, lasciando il morcellatore nelle mani del compagno, che insieme agli altri presenti osservava con dubbiosità il loro comandante.
 
“Penso che il capitano abbia detto che ho ragione. È così, Law?”
“Mh…”
 
Strabuzzando gli occhi, divertito dal mugugno di Trafalgar, Shachi aveva proceduto con l’esportazione. 
 
Persa completamente la concezione del tempo, Law non aveva saputo dire quanto fosse durato il procedimento, ma, si era reso conto, quando ormai la stanchezza ed il dolore stavano tornando a farsi sentire, il rosso si era finalmente raddrizzato, stiracchiandosi dopo aver passato gli attrezzi chirurgici alla loro fanciulla.
 
“Captain, abbiamo finito.”
Ancora con la bocca impastata e la lingua che gli pareva gonfia e incapace di elaborare il linguaggio si era sforzato di avere un’ultima conferma.
 
“…C-chiuso?”
Ora poteva vedere il sorriso di Shachi, che si era appena tolto i guanti e la mascherina che, ad eccezione per gli Heart Pirates, era di cattivo gusto.
 
“Sì, ti ho richiuso e grazie a te non avrai nemmeno cicatrici.”
 
Gli era bastata la prima parte della frase per far crollare, finalmente, la mano che per tutta l’operazione aveva tenuto leggermente sollevata con enorme fatica, per mantenere la Room.
Come essa aveva toccato il lettino medico, Law aveva chiuso gli occhi e si era concesso un meritato riposo.
 
***
 
      Con sua enorme sorpresa si era risvegliato all’alba del giorno seguente, nella sua stanza.
 
Era ancora stupefatto e quasi commosso dall’aver dormito circa diciotto ore, ovvero più di quanto facesse in due mesi, quando gli si erano avvicinati tre dei suoi uomini.
 
“Captain!” Avevano urlato all’unisono, rossi in volto dall’emozione.
 
Seppur quel grido fosse stato giusto sufficiente per raggiungere e disperdersi nel corridoio che portava alla sua cabina, dopo pochi secondi l’intera ciurma si era fiondata nella sua stanza, sfondando la metallica porta ermetica.
 
“Captain!!”
 
Gli avevano circondato il letto e facevano a turni per chiedergli come stesse e per coccolarlo.
 
“Ragazzi, un po’ di contegno, non sono mica morto.” Soffocato dall’abbraccio di Jean, cercava una via di fuga dall’ennesima sceneggiata amorosa ed esagerata della sua ciurma di (meravigliosi) idioti sentimentali.
“Appunto perché non sei morto siamo felici!”
 
Calmatisi dopo diversi altri minuti, avevano fissato intensamente il loro capitano.
Lui aveva ricambiato lo sguardo.
 
“Allora,” aveva incominciato, mettendosi a sedere sul materasso e sentendo delle fitte dove ci sarebbe dovuto essere il suo stomaco “novità?”
Penguin e White Fox si erano fatti avanti.
 
“Abbiamo analizzato sostanzialmente tre tipi di cellule: quelle morte, quelle attorno alle decedute e quelle più lontane dalle zone evidentemente contaminate.”Aveva iniziato il primo.
“Le cellule avvelenate, che abbiamo siglato come P.A si dividono a loro volta in due classi: le P.A.I e le P.A.F.”
“In altre parole Piombo Ambrato Inizio e Piombo Ambrato Fine.” Aveva specificato il secondo.
“Abbiamo scoperto, infatti, che anche se tutte le cellule bianche sembrano e tu le senti completamente morte, alcune possono presentare ancora qualche funzione. Certo, è una questione di tempo prima che diventino del secondo tipo, ma ci stiamo ingegnando per trovare un metodo che le tenga in vita il più a lungo possibile.”
“Contemporaneamente stiamo studiando quelle che attorniano le macchie.” Aveva ripreso il pinguino.
“Diciamo, che sono tutte il procinto di fare qualcosa e quindi, anche qua, le abbiamo distinte: quelle che stanno per soffocare a causa delle P.A, le S.P.A e quelle che si stanno contagiando, le C.P.A.”
“Quindi si può dire che sto morendo in due modi diversi? Figo.”
Aveva visto Pen e gli altri sobbalzare alla pronuncia del verbo “morire” al gerundio presente.
 
“Ti salveremo.” Si era sentito provenire da più parti della cabina.
 
Law aveva ghignato.
 
“Lo so, stavo scherzando. Andate avanti.”
 
“Dicevo, in questo caso gli obiettivi sono tre: trovare il modo di evitare il contagio o bloccarlo, permettere la scissione o evitare il soffocamento e curare le C.P.A. Se dovessimo riuscire a trovare un rimedio per le cellule in via di avvelenamento, teoricamente, aumentando le dosi o le concentrazioni dovremmo poter curare anche le P.A.I.
Le P.A.F, considerando la loro resistenza e ciò che fanno ai tessuti che le ospita, immagino dovremo asportarle per permettere alle nuove cellule di sostituirle.”
 
“Infine le cellule stomacali che si trovavano il più lontano dalle zone contagiate le abbiamo confrontate con altre cellule che ti abbiamo prelevato dalla cute della testa, mentre dormivi.” Aveva spiegato White Fox.
 
“Capisco… la parte che più e per prima è stata avvelenata con l’ultima ad essere colpita.”
“Esatto capitano e possiamo dirti che avevi ragione tu… anche se non c’è da essere felici.”
 
“A proposito di cosa?”
 
“Macroscopicamente le cellule dello stomaco sono sanissime, ma analizzandole abbiamo trovato i bacilli del Piombo Ambrato. E, a parte che sono bruttissimi. Davvero, non ho mai visto una malattia con particelle più ripugnanti, comunque… questo significa che dobbiamo darci una mossa a trovare la cura per le C.P.A. Inoltre pensavamo ad un modo per mantenere l’inibizione. Insomma, sarebbe comodo poter “controllare” anche in minima parte l’attivarsi dei gruppi di batteri, future macchie bianche. Tornando al confronto, quello che volevo dirti all’inizio è che la tua teoria per la quale gruppi di bacilli si trovano solo nelle zone di maggior contatto con i materiali ambrati è fondata. Nelle cellule del cuoio capelluto non abbiamo rilevato il Piombo Ambrato. In poche parole l’intero organismo non è contagiato. Solo una volta che i vari gruppi di bacilli si attivano contaminano gradualmente tutte le zone vicine, fino al completo avvelenamento del corpo.”
 
Law era rimasto in silenzio, riflettendo sulle nuove informazioni che, si era ritrovato a pensare, avrebbe voluto fossero state conosciute pure da suo padre, tanti anni fa.
 
“Ci sono stati peggioramenti?” Aveva chiesto dopo alcuni attimi.
 
“Praticamente abbiamo fatto uno spezzatino del tuo stomaco quindi, tenendo le avvelenate lontano dal resto, per ora non dovresti più cannibalizzarti. Anche se ti è comparsa una nuova macchia… non so se l’hai già vista.”
 
“No, dov’è?”
“Mano destra.” Aveva portato automaticamente lo sguardo alla mano indicatagli, notando solo allora la nuova chiazza candida sul dorso, che sbiadiva in modo osceno il suo tatuaggio.
 
“Però, è grande per essere appena comparsa.” Con finta ironia nella voce, stava fissando la sua mano, prima il dorso, poi il palmo e viceversa, come a volersi assicurare che quella maledetta, enorme macchia non trapassasse dall’altra parte.
 
“Abbiamo già controllato pure quelle cellule. Stessi sintomi e tipologie dello stomaco. Possiamo dire che il processo è uguale per ogni parte dell’organismo.”
 
“Okay… allora potete anche andare, ragazzi. Io vi raggiungo tra un po’ sul ponte. Siamo emersi, vero? Dove siamo?”
Per qualche motivo i suoi uomini si erano agitati a quella domanda.
 
“Beh, sì, sì, siamo emersi, ma è meglio se stai a letto.” Si era velocizzato a dire qualcuno per poi affrettarsi, come tutti gli altri, verso lo spazio vuoto lasciato dalla porta sfondata, che giaceva orizzontale sul pavimento della camera.

“Fermi lì.”
 
Ovviamente avevano ubbidito per abitudine e rispetto, più che per concordia e se ne stavano pentendo.
 
“Cosa mi state nascondendo?”
 
“Perché dovremmo nasconderti qualcosa, Captain?”
“Perché vi ho chiesto dove siamo.”
“Ah, vuoi le coordinate? Non è mica un segreto, te le diciamo.”
 
Ma Law, anche dopo averle sapute, aveva storto il naso e questo, lo sapevano, non auspicava nulla di buono.
Non rinunciava ad indagare.
 
“Se siamo in mezzo al nulla più totale, perché non posso uscire a prendere una boccata d’aria? Finché riesco a muovermi ci terrei a farlo. Inoltre, l’aria di mare fa bene, mentre qua dentro è viziata. Potete pure scortarmi se temete che possa crollare.”
 
Shachi aveva abbassato lo sguardo e con le mani dietro la schiena aveva dato un calcetto all’aria.
Era a disagio e faceva schifo a nasconderlo.
“Cosa c’è, Sha?”
L’interpellato era sobbalzato, facendo saltare un paio di volte i propri occhiali da sole sul setto nasale.
 
“Eh, io? Niente, niente…”
 
Law si era ritrovato a sbuffare.
Per essere dei pirati mentivano davvero male i suoi ragazzi.
 
“Okay, ultima domanda: se siamo in mezzo al nulla, perché siete tutti armati?”
 
Ed ecco ciò che li aveva pietrificati.
 
Che fosse per pigrizia, ingenuità o perché semplicemente si sentivano a casa e quindi al sicuro, nessun Hearts girava armato sul sottomarino, a meno che fosse in procinto di uscire o fosse stata rilevata dai sonar una nave od un'isola.
 
Qualunque cosa volevano nascondergli, per la fretta e l’euforia di venire a salutarlo, era stata smascherata dalle armi dimenticate alla cinta o dove le tenevano per trasportarle.
 
“Scusa, scusa, Captain!” Bepo, a quanto pare, aveva ceduto.
“Noi volevamo solo proteggerti.”
 
Mentre frettolosamente indossava un paio di jeans dai bordi risvoltati ed una maglietta bianca che portava il loro Jolly Roger seguito da una striscia maculata, si dirigeva, con l’equipaggio al seguito, sul loro ponte principale.
 
“Trafalgar Law, finalmente.” Una voce profonda e fin troppo famigliare gli era giunta dall’imbarcazione vicino la sua.
“Cazzo… ma perché la Marina?”
 
 
°°FINE CAPITOLO°°
 

 
Dan dan daaaaaaaaan!
Perché la Marina?
Perché stava aspettando Law, tutta tranquilla, senza attaccare?
Di chi è la voce xD ?
Fidatevi, c’è un perché a tutto ciò e potrebbe pure avere a che fare col Piombo Ambrato… o forse no.
No, dai, ha senso.
Vi giuro :’D
Spero che questo capitolo non abbia annoiato, perché c’è davvero tanta teoria e poca azione, ma essendo una malattia, la coprotagonista della storia, non posso fare a meno di aggiungere parti come queste: dallo sfondo scientifico e molto descrittive. Mi auguro non pallose o ripetitive :C
Ho cercato pure di rendere ogni sintomo, ogni intervento e scoperta, nelle loro descrizioni, il più realistici e veritieri possibili.
Spero di esserci riuscita, è difficile inventare una malattia e la sua cura x’D
(d’altronde Oda si è limitato a farci vedere Law morente, non ha dato nessun basamento medico).
 
Okay, cercherò di aggiornare il prima possibile, perché non sopporto l’idea che come ultimo capitolo pubblicato ci stia sto scempio rompimaroni.
 
Vi prego di dirmi cosa ne pensate, poiché, se li trovate troppo pesanti, cercherò di rendere questi interventi a sfondo medico più “soft”.
Ma, come prima accennato, non posso eliminarli xD
 
A presto, dunque!
Baci,
Pawa

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***




°° Il Mostro Bianco °°





- Capitolo III -


 
     “Cosa aspettavate a dirmi che siamo circondati da una flotta della Marina?!”
 
Si era voltato a fissarli inquisitorio uno ad uno e, forse, il movimento compiuto col capo era stato troppo repentino, per cui ora, vedendo due copie per ogni suo nakama, il suo sguardo non riusciva ad essere incazzato come avrebbe voluto.
 
“In realtà, speravamo di chiudere il colloquio in fretta ed allontanarci prima che tu ti fossi svegliato.” Nel rispondergli, Penguin gli si era avvicinato e, con più disinvoltura possibile, conscio di essere sotto gli occhi di almeno un migliaio tra soldati e ufficiali, si era chinato verso di lui.
“Ti tremano le pupille, penso ti sia risalita la febbre. Se non te la senti-…”
Ma Law non stava dando peso alla sua preoccupazione.
“Di che colloquio stai parlando?”
Quella domanda l’aveva posta ad un volume di voce abbastanza alto perché raggiungesse almeno i marines in prima linea, schierati sul riposo lungo i ponti delle loro navi da guerra.
 
“Un colloquio a proposito del tuo ruolo nei nostri affari, Chirurgo della Morte.”
 
Il suddetto dottore si era nuovamente girato, riportando la propria attenzione sull’uomo che l’aveva accolto, appena uscito dalla cambusa del proprio sommergibile.
 
“Sengoku…”
Forse era come diceva Pen, la febbre gli era salita e, nel frattempo, qualche sinapsi lo stava lentamente abbandonando, ma certo era che Law proprio non ci stava capendo niente.
“Pensavo ti fossi ritirato dal ruolo di grande capo della giustizia e ora ti occupassi solo di supervisionare alcune operazioni o qualcosa del genere…”
Detto questo, che diavolo voleva, con una flotta al seguito, dalla sua vita malaticcia?
 
“Infatti, non sono qui per arrestarvi, come hai suggerito tu, non ho più quella competenza.” Aveva specificato, non riuscendo ad interpretare il motivo per cui il capitano pirata che stava verbalmente affrontando, avesse chiuso gli occhi ed aggrottato le sopracciglia, portandosi una mano all’altezza del Pomo d’Adamo.
“Desidero solo parlarti.”
 
Trafalgar deglutì un paio di volte, sperando di lubrificare al meglio faringe, laringe e pure l’epiglottide, che indipendentemente dal fatto se fossero state corrose dai suoi succhi gastrici o no, gli dolevano e pulsavano ad ogni parola pronunciata.
Sarà stato lo stress, l’elevata temperatura, l’ansia, comunque fosse, ricominciava a sentire i dolori che gli costellavano il corpo.
 
“Ti ascolto, ma a condizione che puntiate le canne dei vostri cannoni da un’altra parte. Non mi pare che la mia ciurma sia prossima a bombardarvi.”
 
Alzando la mano destra ed annuendo una sola volta, Sengoku aveva dato l’ordine che aveva fatto ritirare i cannoni nelle stive.
Il giovane corsaro aveva incrociato le braccia al petto e con un cenno del mento, l’aveva invitato a parlare.
 
“Ti eri dato parecchio da fare per divenire uno della Flotta dei Sette e seppur la tua condotta non sia stata delle migliori, il Governo non può fare a meno di riconoscere i risultati che ci hai fatto ottenere, così come la tua intelligenza e la forza tua e del tuo equipaggio.”
Law aveva alzato gli occhi al cielo.
Forse poteva iniziare ad ipotizzare cosa volesse la Marina, ma non sarebbe stata la Captatio Benevolentiae a convincerlo ad accettare qualunque cosa l’ex Grandammiraglio stava per proporgli.
Non gliene fregava proprio niente dei complimenti, soprattutto se fatti da un cane del Governo.
Alcune risate alle sue spalle, gli avevano suggerito che i suoi nakama o la pensavano allo stesso modo o avevano capito cosa stava meditando.
 
“Perciò, si è deciso che potremmo mettere una pietra sopra alle tue azioni per noi controproducenti e reintegrarti ufficialmente come membro degli Shichibukai.”
 
“Aha e qual è la condizione?” Il suo tono era uscito più annoiato e indifferente del dovuto.
 
Era diventato uno Dei 7 solo per il proprio tornaconto e, una volta ottenuti i favori ed i privilegi di cui aveva avuto bisogno ed averli sfruttati a dovere,  non si era più curato di rispettare le regole che dettavano l’appartenenza alla Flotta.
In quel momento, però, la questione lo incuriosiva.
Inoltre, considerando la sua salute precaria, gli avrebbe fatto comodo il supporto di qualche uomo sacrificabile, nel caso in cui si fosse trovato, tra qualche tempo, semi crepato per la malattia a dover affrontare dei nemici.
Non che si preoccupasse per sé, ma l’idea di essere impotente in battaglia per i suoi compagni, gli contorceva le budella e poterli proteggere, anche a costo di sfruttare la Marina, se necessario, era ciò che desiderava.
 
“Affronterai una missione di prova. Se la porti a termine con successo, verrai reinserito. Il comportamento durante la spedizione, però, sarà fondamentale per l’esito del tuo titolo.”
 
Spedizione.
Non era esattamente ciò che avrebbe preferito svolgere per il reintegro nella Flotta dei Sette.
Questo perché impiegava certamente diversi giorni a contatto con i marines e significava doversi spostare con loro, sulle navi da guerra del Governo o anche sulla terraferma.
Inoltre, entrambi i fattori implicavano estranei, nonché nemici, che avrebbero assistito al decadimento progressivo del suo organismo.
 
“Capitano, lasciamo perdere. Mi dispiace, mi dispiace molto.”

“Sì, Bepo ha ragione” gli aveva dato subito manforte un compagno “Non è il caso di avere a che fare con la Marina, adesso. Rifiuta e andiamocene.”
 
“Ci cannoneggerebbero…” Aveva detto in risposta Law, in un mormorio, più concentrato sui pro ed i contro di un’alleanza con la Marina, che su ciò che gli suggeriva la sua ciurma.
 
“Se impieghiamo una manovra di immersione istantanea, ce la squagliamo senza danni.”
 
Il giovane medico aveva portato la mano destra a massaggiarsi la fronte, mentre distrattamente ascoltava il piano di fuga del loro timoniere.
 
Si è già ingrandita…
 
Solo questa  mera constatazione aveva interrotto il filo dei suoi pensieri.
La nuova macchia, quella che gli aveva rovinato il dorso della mano, in quei pochi minuti aveva raggiunto le prime falangi, del medio e dell’anulare.
 
“Non vogliamo che ti vedano soffrire, Captain”
 
Evidentemente, anche loro avevano ragionato su ciò che avrebbe significato intraprendere una spedizione.
Ma si erano concentrati unicamente sulla sua salute e non su ciò che questa avrebbe comportato, a loro svantaggio.
 
Ed era proprio questo ciò che tormentava Trafalgar Law, che gli impediva di ripudiare all’istante un titolo a cui non aveva mai tenuto veramente.
 
Si stava cadaverizzando, se gli era concesso utilizzare questo termine e lo stava facendo ad una velocità disarmante.
 
Loro erano pirati, tra i più ricercati, i più temuti e, avendo vissuto anche tra le più grandi avventure, erano pure tra i più ricchi, di conoscenze e tesori.
 
Innumerevoli, dunque, i motivi che avrebbero potuto spingere altri bucanieri o cacciatori di taglie o il Governo ad ingaggiar battaglia con gli Heart Pirates.
Era sempre successo e così sarebbe continuato ad essere, con l’eventuale differenza che il capitano della prima citata ciurma sarebbe potuto essere morto o quasi.
Questo avrebbe implicato che i suoi uomini, i suoi amici, la sua famiglia, avrebbero dovuto fronteggiare i nemici senza una guida, senza la supervisione ed il controllo della loro salute eseguiti dalla Room… senza un dottore che li avrebbe curati alla fine dello scontro, che sicuramente avrebbero vinto, perché erano i migliori.
Ma seppur fossero forti e abili e Law era fiducioso nel loro successo, non voleva rischiare.
 
“Che tipo di spedizione?” Ignorando le proteste e le esclamazioni sorprese dei suoi uomini, Trafalgar si era rivolto a Sengoku.
 
“C’è un arcipelago a qualche lega da qui, dove si sta diffondendo un’epidemia. I dottori locali non sono in grado di affrontarla… alcuni sono già caduti  vittima della malattia. C’è una cura, da quel che mi dicono, ma è difficile da ottenere. Voi dovrete prepararla e salvare quella gente.”

“Davvero un’ironia sgradevole…” aveva provato a trattenersi dal dirlo, ma questo commento aveva lasciato in un rapido e amaro mormorio le labbra del giovane pirata.
Dal canto suo, la sua ciurma non poteva che biasimarlo e altresì concedersi qualche insulto rivolto al corpo militare che avevano innanzi.
A quanto pareva, quando aveva voglia, la Marina si occupava delle nazioni colpite da epidemie.
 
Non badando al sussurro del pirata ed incapace di comprenderlo, Sengoku attendeva a braccia conserte una risposta.
 
“Va bene, accetto.”

Trafalgar Law ci aveva riflettuto.
La cosa migliore per la sua ciurma era avere più alleati possibili, se lui fosse venuto a mancare.
D'altronde, la morte naturale di uno Shichibukai non implicava tradimento o mancanza di riguardi di alcun tipo nei confronti della Marina e del Governo Mondiale e, perciò, questi ultimi, se possedevano un briciolo di onore e rispetto per le regole da loro stessi decretate, non potevano ripudiare la ciurma del deceduto Membro dei Sette ed i doveri nei suoi interessi, almeno finché non si fosse trovato un sostituto per il posto vacante.
 
Inoltre, si era reso conto Law, aveva provato un immediato senso di malinconia nell’udire quelle rapide e sintetiche informazioni sulle circostanze della spedizione.
Forse era per la malattia che l’aveva rovinato da piccolo, ora tornata, ma l’arcipelago in questione, gli ricordava Flevance ed il suo tragico destino.
Dunque, seppur leggermente invidioso del fatto che qualcuno si stesse mobilitando per aiutare quella gente, come non avevano fatto con la sua, si sentiva in dovere di essere partecipe a quella missione.
 
Il suo equipaggio, come sempre in sintonia con lui ed il suo modo di ragionare, aveva nel frattempo capito cosa avesse convinto il loro comandante ad accettare senza condizioni la proposta dell’Ex Grandammiraglio. Anche se non tutte le ragioni.
 
“Bene, allora partiamo immediatamente.” L’autoritario comando di Sengoku aveva ridestato i corsari dalle loro riflessioni e contemporaneamente aveva fatto rompere le righe a coloro che sapevano di doversi occupare delle manovre per riprendere la navigazione.
 
“Non darmi ordini. Partiamo quando abbiamo voglia.”

“Trafalgar, devo ricordarti che la condotta inciderà sulla decisione finale?”

“Posso almeno pisciare prima di intraprendere un viaggio per chissà dove?”
Che necessitava del bagno era vero, d’altronde, era rimasto a letto davvero tante ore, ma il motivo principale del suo temporeggiamento era che doveva riunirsi a discutere con la sua ciurma.
Voleva mettere in chiaro i motivi precisi per cui stava per riconciliarsi con la Marina, seppur sapesse che molto probabilmente, almeno in parte, avevano già intuito quali fossero.
 
Senza aspettare risposta, si era diretto verso l’uscio ermetico della cambusa, invitando silenziosamente i propri compagni a seguirlo.
 
“Quel ragazzino… mi farà disperare, ne sono sicuro.”
 
In effetti, Sengoku non si stava sbagliando, ma allora non aveva neanche lontanamente immaginato che la sua futura disperazione sarebbe stata causata dalla salute di Trafalgar Law, piuttosto che dal suo carattere di merda.
 
***
 
     Avevano rettificato la propria rotta per seguire quella indicatagli dai militari, dopo circa un’ora da quando erano rientrati nel Polar Tang.
 
La discussione che Law aveva voluto intrattenere con i propri nakama, aveva preso una piega che non si sarebbe aspettato, degenerando e occupando, quindi, più tempo del previsto.
 
A quanto pareva, gli Hearts erano lusingati dal fatto che Law volesse proteggerli anche a costo di ricorrere subdolamente alla Marina, ma allo stesso tempo si erano sentiti delusi.
 
“Non hai fiducia in noi, Captain!”, gli avevano urlato più e più volte e lui sapeva che non si stavano riferendo solamente alle loro capacità belliche e prestazioni fisiche.
Loro erano sicuri o perlomeno si convincevano di esserlo, che l’avrebbero curato, che si sarebbe salvato e avrebbe continuato a navigare, combattere, vivere con loro, volto alla conquista dei mari e dell’agognato titolo di Re.
Non solo erano sicuri di loro stessi, ma lo erano anche delle capacità come medico del loro Captain e del suo Frutto del Diavolo.
Nel peggiore dei casi,  mal che andasse con la medicina, avrebbero eliminato la malattia con l’Ope Ope e se anche in quel caso si sarebbe rivelata una cura solo momentanea, sarebbe andato bene comunque, perché avrebbe semplicemente significato più tempo per impegnarsi e studiare il Piombo d’Ambra e, ne erano certi, la terza volta sarebbe stata quella buona!
 
E Law desiderava ardentemente tutto ciò, ma conosceva il Piombo Ambrato e allo stesso tempo lo ignorava quasi completamente.
Questo, come medico e paziente medesimo, era struggente per il proprio orgoglio ed il proprio organismo.
 
Non è che non avesse fiducia nei suoi compagni, tutt’altro.
 
Era di sé che non aveva fiducia e ciò gli offuscava la mente, lo deconcentrava dalle effettive possibilità, dalle scoperte microscopiche che gli Hearts erano già riusciti a fare e dal dover elaborare una strategia, da queste, per far fronte ai bacilli velenosi.
Tale sfiducia, non era dovuta unicamente al fatto che non conoscesse una cura scientifica, poiché in quanto dottore aveva già affrontato malattie incurabili e, nel degno nome di Chirurgo della Morte, era riuscito a sconfiggere il malanno di turno e la morte stessa, appunto.
Bensì, i sentimenti che provava erano influenzati da un accadimento al suo interno, di cui si stava vagamente rendendo conto, ma inutile era stato il suo tentativo di spiegarsi approfonditamente con gli altri.
 
Erano offesi, li aveva offesi.
 
Perciò, si era limitato a dare un ordine, uno di quelli sporadici, che dava giusto in quelle circostanze in cui il feeling che c’era tra loro veniva intaccato, concludendo così la riunione.
 
Non aveva nemmeno avuto modo di confrontarsi con gli altri su ciò che pensavano riguardo l’effettiva missione, né aveva potuto esporre il proprio dubbio circa l’inusuale ed elevato numero di soldati predisposti per la spedizione.
 
Ognuno aveva preso i propri posti e, sconcertando assai i marines che si trovavano sui loro ponti, gli Hearts erano rimasti in silenzio ad occuparsi delle proprie mansioni, chi avvolgendo le cime attorno una galloccia, chi studiando le correnti marittime o la forza del vento.
 
“Mi fanno paura” un giovane soldato semplice, addetto alla manutenzione dei cannoni, si era interrotto dallo strofinamento della canna di uno di questi, non appena scorti i pirati uscire dalla loro cambusa e non emettere suono.
 
“Non stanno facendo nulla di che…” Aveva commentato un compagno più anziano, poggiando gli avambracci sulla balaustra della nave e non capendo cosa preoccupasse il nakama.
Certo, erano criminali pericolosi, ma in quel momento erano quasi alleati.
 
“Appunto.” Aveva ripreso l’altro. “Dopo i Mugiwara e i Kidd’s, gli Hearts sono la ciurma pirata più casinista o almeno così ho sentito dire. Sono vagamente inquietanti, così tranquilli.”
 
“Il novellino non ha tutti i torti...” Era poi intervenuto un ufficiale, facendo sobbalzare entrambi i sottoposti, credendosi beccati a bivaccare.
“Io ho partecipato ad alcune delle scorse missioni con loro e vi assicuro che non ho chiuso occhio neanche per un attimo. Tra feste insensate e tutti che si sgridano a vicenda per le stronzate che fanno, non sono mai riuscito a riposare per il baccano, né di giorno, né di notte. Contando oggi, sarebbe il quarantaduesimo giorno che passo con gli Heart Pirates ed è la prima volta che li vedo così buoni.”
 
La constatazione del superiore, esposta col solito tono basso, ma deciso e potente che lo caratterizzava, aveva raggiunto le orecchie, nonché l’interesse di altri marines.
 
“Però, Signore” Si era infatti aggiunto l’uomo che sarebbe stato di vedetta qualche ora dopo, avvicinandosi con una piccolo gruppo di compagni. “Prima che Trafalgar uscisse, il suo equipaggio era piuttosto agitato.”
“Ma quello non era il loro solito caos da festa.” Aveva precisato il sottufficiale dietro di lui, anch’egli reduce da almeno un paio di spedizioni con gli Hearts.
“Sembravano più impensieriti. Non volevano avere niente a che fare con l’accordo, ecco cosa.”
 
“Secondo me sono solo incazzati. Per quanto faccia comodo allearsi con noi, per un pirata dev’essere un disonore. Avranno avuto da ridere con Trafalgar, tutto qui.”
 
Il ragionamento di un altro dei loro cannonieri aveva convinto i più ed ognuno era tornato ai propri compiti.
 
Più che incazzati, però, gli Hearts erano preoccupati e, come accennato, delusi per la discussione avuta col loro adorato capitano.
L’avevano lasciato perfino da solo, obbedendo come automi al suo ordine di congedo, detto tanto freddamente.
 
***
 
     Law si era rintanato nel suo laboratorio.
 
Era rimasto leggermente deluso quando, entrandovi, chi vi era prima di lui se n’era velocemente andato o non l’aveva degnato d’uno sguardo.
Però, proprio, non poteva che biasimare i suoi compagni.
 
Se uno di loro si fosse trovato in fin di vita e gli avesse confessato di non avere la certezza di sopravvivere, seppur lui, Trafalgar Law, il Chirurgo della Morte, si stesse impegnando per salvarlo, ricorrendo non solo alla propria forza, fisica e di spirito, ma anche alle proprie competenze mediche e ad ogni escamotage, come minimo gli avrebbe sfilato le vertebre in ordine decrescente e poi, dopo averlo riportato più che salvo sul loro sottomarino, gliele avrebbe rinfilate con non troppa grazia.
 
Sospirando, sedendosi su di uno sgabello in pelle nera dotato di rotelle e dandosi la spinta con le gambe, si era avvicinato ad uno dei microscopi. Passando con indice e medio sulla linguetta che commentava brevemente il contenuto di ogni vetrino, stava scegliendo la sezione cellulare che più lo incuriosiva in quel momento.
Il reticolo endoplasmatico, era l’obiettivo della sua ricerca.
Intendeva accertarsi dello stato delle membrane, nonché di alcuni organuli e di ciò che costituiva i prodotti secretori delle cellule malate.
Certo, era solo l’inizio di tutto ciò che voleva e, in un certo senso, sperava di trovare.
Estraendo dal porta vetrini tutti quelli che avrebbe successivamente esaminato e avvicinandosi un block note per prendere appunti, aveva posizionato il primo oggetto del suo studio sulla lente del macchinario.
Accesa la luce sottostante il tavolino, aveva iniziato ciò che suo padre non aveva avuto mai occasione di poter fare.
 
Come le immagini di un antiquato proiettore mal funzionante, i ricordi della sua infanzia gli si succedevano davanti gli occhi in tanti, fulminei ed accecanti flash privi d’audio.
A tratti e per brevi secondi osservava talvolta un tubulo, talvolta l’apparato di Golgi, per poi vedere i propri genitori brutalmente assassinati, Lamy tanto bianca che le si potevano vedere tutti i vasi sanguigni, perfino i capillari e svenire.
Si era scostato dal bioculare, stropicciandosi le palpebre e poggiando per un attimo la matita con cui stava riproducendo con realisticità degna di un ritrattista, le vescicole gastriche che avevano eccesso con il secernere il proprio liquido, corrodendo loro stesse.
Aveva poi ancorato il settimo vetrino sul tavolino da lavoro, regolando subito dopo il diaframma del microscopio per riuscire a vedere la sezione trasversale del reticolato formato dalle cellule bianche della sottomucosa del suo stomaco.
Aveva una mezza idea, ora, di come poteva funzionare la contaminazione del  Piombo Ambrato, ma le meningi gli pulsavano tanto forte che, se non fosse stato un medico più che capace, avrebbe potuto rinnegare l’anatomia e affermare di avere il cuore in testa. Perciò, scarabocchiandosi sul taccuino l’ipotetico “proprio metabolismo” che queste cellule morte o morenti dovevano aver assunto in seguito all’avvelenamento, tentava di ragionare su cosa lo potesse decelerare.
Poi ancora, incurante del suo tentativo di studio disperato, del fatto che fosse già al tredicesimo vetrino ad osservare una cellula gastrica, il suo passato gli si ripresentava davanti, tanto vivido da sembrare contemporaneo e fargli accapponare la pelle.
 
Per il rimorso, l’antico terrore, l’angoscia e le sensazioni che il Piombo Ambrato gli suscitò e gli stava facendo provare, Trafalgar Law poteva tranquillamente affermare che un “culmine” del morbo lo stava per colpire, quantomeno a livello psicologico.
 
Aveva sbattuto le mani sulla scrivania, facendo tremare i propri attrezzi da lavoro e sobbalzare i propri compagni, anch’essi impegnati nella ricerca, ma ora concentrati sul loro Captain.
Ad occhi serrati, stava inspirando lentamente e profondamente, di pancia, onde evitare crisi di panico.
 
Con un minimo di fermezza riacquistata, poteva rendersi conto che l’origine di quel disturbo era quasi esclusivamente riconducibile al Piombo Ambrato.
Questo, oltre a ricordargli per ovvie ragioni i suoi anni d’infanzia sciupata, gli stava letteralmente devastando la testa e ciò non faceva altro che confonderlo maggiormente e distrarlo dall’investigazione circa il modus operandi del suo malanno.
Il bruciore alle tempie, le fitte occipitali, lo stordimento erano i medesimi che aveva avuto a cena e, ora, col senno di poi, nonché le nuove informazioni circa cosa li aveva causati, Law poteva riconoscerli come sintomi e cause del deterioramento da Piombo Ambrato.
 
Il fatto che ne fosse certo, non implicava che fosse una buona cosa e ciò che lo lasciava perplesso, era che, almeno teoricamente, il capo sarebbe stata l’ultima parte del suo martoriato organismo, ad essere avvelenata.
 
***
 
     “Ah, non ce la faccio più!” Penguin oscillava le gambe interposte tra gli assi della ringhiera del secondo ponte che a quell’ora non era più colpito dal sole ed era perciò stato scelto come luogo di riposo per quel fine giornata.
“Ho una fame che non ci vedo…” Si era sentito in dovere di specificare, non volendo far insinuare che la sua spossatezza fosse dovuta all’aver tenuto il muso per tutte quelle ore a Law.
Nessuno ce l’aveva davvero con lui, ma avevano avuto la premura di fargli capire che col suo atteggiamento pessimista, non faceva contento nessuno.
 
“A chi lo dici, potrei cacciare Bepo se solo non significasse essere smembrato dal Captain e senza Room” Al borbottio di Uni, accompagnato dal brontolio del suo stomaco, si erano aggiunte le risa dei compagni.
 
“Sarebbe capace di sfibrarti, tessuto per tessuto, con un pelapatate, e non oso immaginare in quale maniera macabra ti ricomporrebbe.”

“Sempre se ti volesse ricomporre…” Aveva corretto Shachi, immaginando con gli altri il viso del moretto contorto dalla follia, mentre spezzetta come si fa col prezzemolo il corpo del loro nakama.
 
“Dio, mi fate venire i brividi…” Uni si era ritrovato a doversi scaldare le braccia con le mani, mentre White Fox gli si sedeva schiena contro schiena, iniziando il discorso che, presto o tardi, avrebbero comunque dovuto affrontare.
 
“A proposito del Doc… sentite ragazzi, siamo abituati a vederlo forte e sicuro di sé, anche un arrogante rompicoglioni, senza dubbio, ma sappiamo bene che ha avuto i suoi traumi e tende sempre a non lasciar trasparire i suoi timori. Sinceramente apprezzo che questa volta ci abbia detto chiaro e tondo che è preoccupato per noi. Certo, voler la Marina come alleata fa intendere che lui non esclude di morire, ma non credo sia per sfiducia nei nostri confronti… insomma, per quanto sia strano, è umano pure lui. Ha solo paura e non lo biasimo. Ha una malattia del cazzo, è devastante quella roba.”
 
“Ma ci siamo noi. Non dovrebbe neanche pensarci al peggio.” Jean Bart stava a gambe e braccia incrociate dirimpetto a tutti gli altri, dando così le spalle al parapetto di una delle loro navi alleate, che solcava le onde alla loro sinistra.
 
“Ovviamente noi faremo tutto il possibile e anche di più!”
 
“Sì, siamo la ciurma del Chirurgo della Morte, non c’è malattia che non sappiamo curare.”
 
“Già, ma non sarà standogli lontani per ripicca che lo cureremo.”

Che fosse per vero rimprovero o per coscienza sporca, il commento di Clione aveva scatenato un vociare infastidito nei suoi confronti.
 
“Non fare il moralista, anche tu non l’hai cagato per tutto il giorno.”
 
“E ti sei lamentato come tutti noi per la sua scelta!”
 
“Inutile che mi puntiate il dito contro, ho protestato con voi per farlo riflettere, ma non l’ho fatto volentieri!”
 
“Perché, io sì?”
 
Erano frequenti le liti tra loro. Scoppiavano per i motivi più banali, spesso pure infantili, ma si risolvevano in breve tempo, dopo una scazzottata risanatrice o una bevuta.
Ma quando si trattava del loro onore, amore e rispetto nei confronti degli altri nakama, che venivano messi in discussione, allora gli insulti erano sentiti, la rabbia ribolliva davvero, perché la gente poteva dubitare di molte cose circa gli Heart Pirates, eccetto che fossero compagni fedeli.
 
“Hearts.”

Di colpo il silenzio era calato prepotentemente, troncando sul nascere le minacce e le ingiurie.
 
Ognuno si era voltato verso il loro capitano, sentendosi cascare il cuore sino alle costole fluttuanti sinistre.
 
Aveva una ciocca della frangetta, che gli ricadeva sugli occhi, completamente bianca.
 
“C-Captain…” Penguin non sapeva cosa dire.
Si erano rincoglioniti, sicuramente, perché non potevano davvero aver lasciato quasi sempre da solo Law, per tutto quel giorno.
 
“Captain, noi…”

“Due cose.”
L’aveva immediatamente interrotto il giovane comandante.
 
“Uno: smettetela di fare gli idioti. Siete offesi per quello che ho fatto io, per la mia scelta e il mio comportamento codardo, quindi non capisco perché dobbiate prendervela tra di voi.”

“Non sei un codardo, Captain! Mi dispiace!”
 
“Ti ringrazio Bepo, ma non è così e non mi vergogno a dirlo. Sarò onesto, ragazzi… Ho paura.” Aveva osservato come gli altri avevano sgranato gli occhi, ma non se n’era preoccupato. “Ma non di morire.” Aveva poi aggiunto, trattenendosi dal ghignare, notando come, seppur incredibilmente, i suoi compagni sbarravano ulteriormente le palpebre. Sì, i loro organi visivi erano decisamente qualcosa di interessante da studiare.
“Sto degenerando a una velocità incomprensibile e questo non fa altro che affaticare maggiormente il mio organismo. Non riesco a riflettere come vorrei e non mi concentro sullo studio del Morbo. Per essere chiari, ho paura di essere inutile nel vostro intento di aiutarmi, di non darvi nemmeno il tempo di farlo e di lasciarvi esposti al nemico, con ancora il mio copro caldo. Per dove stiamo navigando ora, non c’è posto dove possiate passare del tempo per riprendervi da un mio eventuale decesso repentino, senza che passi poco più che una settimana prima che qualcuno vi trovi. Non è per superbia, ma so quanto mi siete affezionati e pure quanto siete malati d’amore, perciò sì, ho una paura che neanche immaginate ad abbandonarvi e intendo ricorrere a tutti gli alleati possibili in caso di necessità. Fatevene una ragione, è così che ho deciso e vi ricordo che comando io su questa nave. Potreste non essere d’accordo, non lo metto in dubbio, ma in quel caso dovreste avercela con me e farmelo presente… e penso che quest’oggi me l’abbiate espresso più che chiaramente. Quindi, razza di cretini, posso sapere perché stavate discutendo tra di voi?”
 
Li stava scrutando uno alla volta, constatando come fossero colti dall’imbarazzo, mentre tentava di soffocare la tosse che il pizzicare insistente alla gola gli aveva provocato.
 
“Captain, siamo davvero dei cretini. Non riesco a credere che ti abbiamo lasciato solo tutto il giorno.”
 
Law aveva sbuffato.
È vero che stava deteriorandosi rapidamente, ma ancora non era messo così male da dover necessitare di una scorta medica ventiquattr’ore su ventiquattro.
Tra l’altro, non era mai stato davvero da solo, né completamente ignorato. Aveva frequentato circa gli stessi ambienti dei suoi compagni, seppur i dialoghi con loro fossero stati ridotti a monosillabi sporadici.
 
“Mi avete semplicemente tenuto il muso come un branco di mocciosi, ma mi avete avuto sempre sott’occhio in caso di necessità. Comunque, passerei a dirvi l’altra cosa. Ho fame, qualcuno può aiutarmi con le flebo?”
 
Il disagio di ognuno era presto andato scemando, mentre gli Hearts si erano ritrovati, senza neanche accorgersene, a fare allegramente a gara a chi gridava più forte un “Io!” con cui si proponevano per assistere il loro capitano.
 
Il trambusto ricco di spensieratezza era stato tale da raggiungere i timpani dei marines indaffarati sui loro ponti.
“Sembra che si siano chiariti…” aveva mormorato qualcuno, sospirando sia per il sollievo di non doverli più vedere silenziosi ed inquietanti, sia per il doversi rassegnare al rumore prossimo che quei pirati avrebbero fatto perdurare durante il viaggio.
 
Quel frangente di serenità era stato, però, presto infranto da un gorgoglio sinistro del mare, dallo spumeggiare delle onde generate da un preciso punto dal quale, qualche attimo dopo, l’acqua salmastra aveva iniziato una rapida risalita in un’irta montagna liquida, che ritirandosi in cascate e spruzzi subito dopo, aveva rivelato un Re del Mare dalle fauci spalancate e astinenti da carne umana.
 
Alle orecchie di Trafalgar Law, le grida degli ufficiali della Marina, che istruivano i propri soldati su come evitare od eventualmente abbattere la bestia, erano giunte ovattate.
Al primo accenno di minaccia, captato dal proprio haki dell’osservazione, si era allertato, richiamando l’energia sufficiente a generare una Room e questo l’aveva fatto sentire come colpito contemporaneamente da miliardi di pugnali, là, dove secondi i suoi studi, i Frutti del Diavolo s’insidiavano nelle cellule.
Provare un dolore acuminante in ogni singola cellula che lo componeva, l’aveva stordito e spiazzato.
Gli era mancato il respiro, forse per troppo tempo, ma non era in grado di stimarlo con esattezza. L’unica cosa di cui era certo, era che l’ossigeno era stato insufficiente da permettere al suo encefalo di girare ed elaborare le immagini irradiate dalle pupille e dunque a stento riconosceva nell’enorme macchia scura che ora in parte gli stava innanzi ed in parte lo sovrastava, il mostro marino.
Aveva deglutito e preso alcune inspirazioni profonde, rilassandosi e deconcentrando il potere che aveva tentato di accumulare.
Si sentiva già meglio fisicamente, ma era ancora frastornato.
Consapevole di dover ironicamente ringraziare la propria malattia per quello stato d’intontimento sofferto, aveva deciso di affidarsi ai propri haki per affrontare il Re del Mare, il quale, seppur non lo vedesse correttamente, era certo lo stesse puntando.
Individuata l’esatta posizione della sua testa, punto debole di ogni individuo di quella specie, divaricando le gambe e incurvando leggermente la schiena, aveva poi sollevato una mano per l’attivazione della Room che l’avrebbe difeso dall’istinto prossimo dell’animale di attaccarlo.
In quei pochi attimi, la vista era tornata vivida ed aveva scorto con la coda dell’occhio i propri compagni ghignare all’idea di gustarsi sushi di Re del Mare, quella sera.
Aveva percepito in quell’istante la bestia scagliarsi contro di lui ed immediatamente, nonché spontaneamente, aveva fatto appello all’Ope Ope no Mi.
 
Room!”
 
L’abituale fumo concentrico formatosi sotto il suo palmo sinistro preludeva un principio di cupola azzurra, ma questa non si era poi ingigantita, inglobando ogni corpo ed elemento nei dintorni, bensì era rimasta un abbozzo del potere che Trafalgar Law era solito spigionare.
Il medico prodigio si era voltato a fissare stranito la propria mano, talmente incredulo da non riuscire ad attivare la sua stanza dei macabri giochi, che quasi non si rendeva conto del dolore martellante e sempre più acuto che l’usufruire dell’Ope Ope gli provocava.
Ancora una volta, la testa gli doleva in ogni sua parte e fitte sempre più insistenti si propagavano lungo la sua corteccia cerebrale, in ogni sua curva, fino a scendere al midollo spinale, facendolo bruciare.
Benché lo shock fosse già forte ed insopportabile per la sua appena scoperta impotenza e la tortura fisica che stava internamente subendo, la diagnosi che suo malgrado aveva automaticamente eseguito, era stata ciò che lo aveva definitivamente destabilizzato.
 
“Captain!”
Sbattendo le palpebre a quel grido, emesso da chissà quale dei suoi nakama, che mal aveva celato la paura nella voce, aveva finalmente alzato lo sguardo dal torso della sua mano, trovandosi a fissare gli occhi rossi e incattiviti della bestia che gli distava soli pochi metri e si stava avvicinando troppo velocemente, con le zanne sporgenti grondanti di bava.
 
Un senso di vuoto si era impadronito di lui, causandogli rapidi brividi gelidi. L’energia per la Room si era presto dissipata, così come il dolore che aveva conseguito, ma la perdita repentina di tutta quella forza e l’infermità mentale di quel momento, lo avevano lasciato prosciugato ed inerme.
La mano con cui avrebbe voluto richiamare i propri poteri era ricadutagli lungo il fianco ed un enorme peso laddove avrebbe dovuto trovarsi il suo stomaco l’aveva fatto piegare in due e ricadere sulle ginocchia, incapace perfino di mantenere l’equilibrio, sotto lo sguardo sbigottito di pirati e marines.
Shachi e Penguin erano immediatamente scattati verso la bestia, mentre Bepo si era parato davanti a Law, frapponendosi tra lui ed il mostro marino.
 
“Captain! Captain! Che cos’hai?” Il suo fedele vice l’aveva preso per le spalle e lo scuoteva dolcemente, ma Law boccheggiava e mugugnava, ignorandolo completamente.
 
Shachi e Penguin avevano rapidamente raggiunto il resto della loro ciurma, accerchiata attorno il loro giovanissimo comandante, dopo aver decapitato il Re del Mare, con una perfetta sincronia dei loro calci.
 
“Law, guardami. Cos’hai? Un culmine?”
 
“Bepo… Bepo mi manca l’aria…”
 
Gli Hearts si erano immediatamente attivati, facendo appello a tutte le loro conoscenze mediche, acquisite dal loro capitano.

“L’aria? Via, facciamogli spazio!” Ancor prima che venisse dato l’ordine, i pirati avevano allargato lo stretto cerchio dove avevano racchiuso Law, volendolo nascondere dagli sguardi curiosi dei loro quasi-alleati momentanei.

“Sta sudando un sacco, non vorrei…”
“E poi è caduto, tenendosi lo stomaco” Jean Bart era stato interrotto da Withe Fox, mentre con altri tre nakama stendevano il loro capitano, reclinandogli il capo e sollevandogli le gambe.

“Aiuto... Hearts! Non respiro…n-non... ragazzi!”
 
“Cazzo, non sarà mica una crisi di panico?!”
Shachi era stato quello che aveva concluso la diagnosi di tutti, notando il profondo disagio e lo smarrimento sul viso del loro dottore, nonché le palpitazioni sempre più frenetiche.
Il fatto che elemosinasse disperatamente il loro soccorso, era qualcosa su cui ognuno aveva deciso di sorvolare, per rispetto dell’orgoglio del loro Captain e per assicurarsi di mantenere la lucidità.
Realizzare, infatti, che il loro adorato Law stesse a tal punto patendo una crisi e avesse perso la ragione, li avrebbe fatti crollare.
 
“Captain, calmati, respira lentamente.”
 
“Non… non entra l’a-l’aria…”
 
“Law, avanti, inspira profondamente, gonfia prima la pancia. Bravo, così!”
 
“Si sta tranquillizzando…” Aveva mormorato L’Uomo Mascherato, mentre con una mano sul ventre del loro Doc, indirizzava i movimenti diaframmatici che doveva eseguire per ristabilirsi.
 
Aveva smesso di aiutarlo nella respirazione solo quando aveva sentito distintamente il suo batticuore rallentare precipitosamente ed aveva visto gli occhi azzurri del suo capitano rivoltarsi.
 
“Ha perso i sensi.”
 
“È un buon segno?” Aveva domandato timidamente il loro secondo meccanico. Non aveva molta dimestichezza con la medicina.
 
Law aveva fatto sobbalzare il braccio, facendo sussultare Ikkaku, che gli si era inginocchiata affianco. Dopodiché uno spasmo gli aveva colpito le gambe, poi il petto e presto ogni parte del suo fustigato corpo era scossa da rapidi movimenti scoordinati e assolutamente involontari.

“Porca puttana, no che non è un buon segno! Ha una crisi epilettica!”
 
Appena riconosciuto il nuovo fattore disturbante, un gruppo di Hearts era corso a preparare l’infermeria per un eventuale primo soccorso e per la visita che sicuramente avrebbero dovuto fare al loro capitano, mentre tra i restanti sul ponte, c’era chi prendeva nota dell’ora in cui erano cominciate le convulsioni, chi cercava di calmare e far tornare cosciente Law.
Ikkaku gli aveva sistemato alcuni dei loro cappelli più morbidi sotto al capo.
 
“Che diamine, non c’è collegamento diretto tra panico ed epilessia!”
 
“Vuoi dirlo a lui, Uni? Speriamo ti ascolti.”
 
“Heart Pirates! Che diavolo sta succedendo?”
La voce possente di Sengoku aveva rimbombato per i ponti di tutte le navi presenti.
 
“Fatti i cazzi tuoi!” E quella di Penguin non gli era stata da meno.
 
Ci mancava solo la Marina a ficcare il naso in una situazione così privata e delicata.
Gliel’avevano detto a Law che dovevano star lontani dai cani del Governo in quelle circostanze! Ma lui no, doveva pensare a proteggerli anche dopo una sua eventuale dipartita.
E poi erano loro gli sdolcinati sentimentali.
Era un testardo generoso di merda, maledizione!
Penguin si era ripromesso di farlo riprendere totalmente dalle due crisi che stava affrontando e poi di strozzarlo con le sue stesse mani.
 
Dopo poco, per sollievo dei suoi uomini, Trafalgar Law aveva ripreso conoscenza, calmandosi e lasciandosi spostare su di un fianco, per respirare meglio.
 
Il loro chef era tornato di corsa dall’infermeria proprio in quell’istante.
 
“Come sta? Di là è tutto pronto, possiamo visitarlo se si può spostare.”
 
“Adesso sarebbe meglio lasciarlo stare per un po’, finché non si stabilizza del tutto.”
 
“Heart Pirates! Rispondete! Che diamine prende al vostro capitano?”
Adesso anche i soldati semplici si auto concedevano l’onore di rivolgere loro la parola, su una questione di tale importanza.
 
“Chiudete quelle maledettissime bocche se non volete che ve le sigilli io a calci!”
 
Il gentile invito di Shachi, sottolineato dai profondi ringhi di Bepo, era stato accolto dalla maggior parte dei marines, nonostante la loro curiosità sempre più accesa.
D’altronde, era noto a tutti che la ciurma del Chirurgo della Morte fosse molto potente e già solo per questo, bisognava temerla e rispettarla.
Ma il fatto che degli Hearts minacciassero qualcuno, era insolito e decisamente terrificante.
Quando erano allegri e spensierati erano capacissimi di compiere carneficine e rendere irriconoscibili come umani, i corpi delle loro vittime.
Non osavano immaginare cosa avrebbero potuto fare da incazzati come sembravano essere in quel momento.
 
“Sha… non urlare per favore, devo dirvi una cosa prima di svenire… perché sto svenendo, ne ho la certezza medica.”
 
Trafalgar Law aveva richiamato l’attenzione dei suoi nakama, scuotendoli nel sentirlo diagnosticarsi una perdita di coscienza imminente e per il fatto stesso che si stesse facendo un auto checkup in quel frangente.
 
“Sì, capitano, dicci tutto.”
 
Law si era puntato sui gomiti, sollevando di poco il busto e rasserenandosi nel sentire il corpo di Ikkaku subito dietro di lui, pronto a sorreggerlo in caso di necessità. Aveva presto deciso che non voleva caderle addosso nello svenire e quindi era indietreggiato, sospingendosi con le braccia, per appoggiarle il capo sul ventre.
 
“Indovinate? Il Piombo Ambrato mi ha inibito l’Ope Ope no Mi.”

 
°° FINE CAPITOLO °°
 


Scusate l'enorme ritardo T^T
Purtroppo io d'estate sono sempre molto impegnata, tra sport ed altri impegni...

Comunque, eccoci giunti alla fatidica realizzazione del nostro cucciolo malato: non può più usare l'Ope Ope o quantomeno è una tortura farlo. 
Anche questo capitolo è stato molto statico, ma fondamentale. 
Seppur non sia emozionante, dovevo mettere in chiaro le motivazioni di Law per accettare un patto con la Marina.
Ho giocato ancora una volta con i sentimenti e la psicologia dei vari personaggi. 
Spero di essere riuscita a farvi arrivare le loro emozioni ed i punti di vista di ognuno. Non vorrei che gli Hearts vi siano sembrati un branco di mocciosi, come li ha fintamente accusati Law. Ci tengo davvero a farvi trasmettere tutta la passione di questa ciurma, che Oda per motivi oscuri, si rifiuta di approfondire, mentre invece si concentra sempre su personaggi marginali ed inutili, giusto per perdere tempo... ma sto andando fuori traccia. Scusate lo sfogo, ma proprio non capisco il nostro mangaka quando fa così.

Ultima cosuccia che dico (seppur ve ne debba dire altre, ma ora come ora le ho dimenticate :'D ): ho scritto il capitolo tra un rientro e l'altro da gare o caserma o dove diavolo sono andata, quindi, purtroppo, potrebbero esserci molti più errori del solito ed addirittura incoerenze di tipologia di scrittura. 
Praticamente ho scritto sempre ad orari osceni della notte :'D

Adesso sto zitto, giuro.

Fatemi sapere cosa ne pensate e non scordate che siamo molto prossimi ai capitoli "d'azione". 

Baci, 
Pawa
 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


°° Il Mostro Bianco °°

 

 

- Capitolo IV -


 
     Ikkaku stava accarezzando i capelli perennemente spettinati del suo capitano, ora incosciente e disteso su uno dei lettini della loro infermeria, mentre distrattamente rispondeva alle domande di protocollo poste da Penguin, per il definitivo check up dello stato del loro comandante.
 
Il nakama, nei panni di infermiere, si era ritrovato a sospirare, se più per la disattenzione della ragazza o per le condizioni in cui versava il suo amico, non lo sapeva dire.
 
“Ikka… per favore, concentrati.”
 
Lei, di tutta risposta, non l’aveva degnato di uno sguardo.
Piuttosto, aveva riposto tutto il suo interesse nel pettinare i capelli di Law, di modo che quella maledetta ciocca bianca che gli svettava sul capo venisse nascosta, cancellata alla vista, eliminata per davvero.
 
Penguin, ancora una volta, si era lasciato andare in un sospiro, che stavolta riconosceva non nascondere la sua preoccupazione, nonché una nota di amara ilarità.
 
“Come se bastasse nascondergli le macchie per farlo guarire… È proprio ciò che non vediamo che lo fa star male. Solo dopo che ha sofferto, ‘ste merda di macchie del cazzo si rivelano.”
 
Si era ritrovato a stringere tra le dita la cartella clinica di Law, lasciandosi cadere seduto sul materasso, ai piedi del compagno, mentre gettava sul pavimento con forza esagerata la penna con cui poco prima stava appuntandosi le vacue risposte di Ikkaku.
 
L’Uomo Mascherato si era girato appena allo scatto d’ira del compagno.
Se Law fosse stato sveglio, sarebbe stato l’unico che avrebbe saputo vedere oltre la sua maschera teatrale per ritrovarsi ad affrontare un viso teso e rattristito.
Si era poi nuovamente voltato, per dedicarsi ai numerosi appunti sparsi sulla scrivania del loro dottore, che con Uni e Clione, stava consultando per capire se in uno scarso giorno di studio, Trafalgar Law avesse compiuto l’ennesimo miracolo medico ed era riuscito a scoprire qualcosa di rilevante.
 
Shachi, sull’uscio della stanza, aveva raccolto i resti della penna, giocandoci con le mani, senza entusiasmo.
 
“Non sono la persona più adatta per dirvelo, ma con questi atteggiamenti non risolveremo niente.”
 
Il resto della ciurma si era nel frattempo riunita in infermeria, principalmente concentrata attorno la branda di Trafalgar in un serrato cerchio, per impedire al loro navigatore di prendere in braccio e coccolare il loro Doc, come aveva evidentemente intenzione di fare.
 
“Il rosso ha ragione.” White Fox aveva superato il corsaro più giovane, entrando nella grande cabina e raggiungendone il centro, dando le spalle a tutti gli altri e fissando, senza guardare davvero, il poster a grandezza d’uomo dello schema venereo di un essere umano. “Deprimendosi e incazzandosi non facciamo progressi dal punto di vista medico.”
 
White era stato una delle prime reclute dei Pirati del Cuore.
Lui ventitreenne, il suo capitano quindicenne.
Se per lui era stato assurdo farsi dare ordini da un moccioso, seppur il suddetto marmocchio gli avesse abilmente salvato il culo in cambio del sottomarino che stava costruendo…
 
“Ed io dovrei diventare il meccanico di una banda di sgangherati, comandata da un moccioso?”
 
…per Law, l’acquisto di un compagno tanto più grande, quando lui era un ragazzino a capo di due bulletti, un orso polare ed un cuoco, che preparava da mangiare giusto per sé, fu un grande beneficio.
 
“Mettila così, sarai il più saggio meccanico che esista,  in questa banda di sgangherati.”
 
Ricacciando i ricordi, nonché le lacrime che avrebbero tradito la sua posizione di “grande saggio”, già minacciata da quando a loro si era unito Jean Bart, White Fox si era girato verso il resto dei compagni.
 
“ Io… io lo so come vi sentite. Anche io mi sono spaventato… anzi, lo sono ancora, ma sapete, secondo me non stiamo andando male. Insomma, oggi il Captain ha avuto due crisi. Bene, adesso sappiamo che può succedergli. Per le prossime volte saremo preparati... non so, ci porteremo dietro tranquillanti o altro.” Aveva rapidamente spostato lo sguardo su ognuno, constatando come tutti gli stessero dando retta, chi più interessato, chi meno e colti dalla stessa confusione.
 
“Quello che voglio dire è che sappiamo che lui sta male solo da tre giorni, ma abbiamo già fatto alcune ricerche interessanti e svolto un’operazione con successo, nonostante sia tutto dannatamente veloce e imprevedibile.”


Il silenzio che ne era conseguito era quasi paradossale; tant’erano le riflessioni e tanto erano intense, che i pensieri di ognuno opprimevano l’aria nella stanza, pesavano sulle teste degli altri compagni e quasi si manifestavano in indistinti mormorii.
 
Era stato, però, un solo e reale rumore e ridestare tutti.
 
Trafalgar Law si era rigirato tra le lenzuola, attorcigliandovisi e sistemandosi sul fianco sinistro in uno sbuffo esasperato.
Col proprio braccio, aveva inconsciamente catturato quello di Ikkaku, che ancora aveva la propria mano posata sul suo capo.
 
“Inutile, dormire gli fa proprio schifo.”
 
Un leggero ridacchiare si era levato nell’infermeria e la ciurma si era ritrovata col cuore parzialmente più leggero.
Il viso di Law non era contorto dal dolore, ma piuttosto aveva assunto un’espressione di aperto disappunto, la stessa che aveva quando lo obbligavano a mangiare, a ripulire i casini che faceva in obitorio e, appunto, a dormire.
 
Il loro capitano non era un corpo inerme, già succube al Morbo Bianco.
Era un ragazzo malato, ma ancora vivo, che si rompeva le palle a dormire ed era in grado di esprimerlo proprio mentre era addormentato.
 
Aveva solo bisogno di aiuto per guarire.
 
“E allora mettiamoci al lavoro!” Come se quella serena constatazione fosse stata comune a tutti, Jean Bart, con ritrovato fervore, aveva incitato i compagni ad agire. “Uni, avete capito qualcosa dagli appunti del Captain?”
 
“Oltre che è fottutamente bravo a disegnare parti anatomiche? No… non proprio. Dovremmo consultarci innanzitutto con voi e, appena si sveglia, con lui.”
 
“Cioè, cosa c’è di ambiguo?” L’aveva incalzato Shachi, mentre Bepo riusciva finalmente a farsi largo tra i nakama e raggiungere il capezzale del suo migliore amico, per poi sedersi a terra e poggiare il grosso muso sul suo cuscino, solleticandogli il collo e la nuca col proprio respiro.
 
“Ha scritto qualcosa a proposito di un “proprio metabolismo” che le P.A avrebbero, ma sinceramente non sono in grado di interpretare il resto degli appunti, quindi non so dirvi cosa intendesse nel dettaglio”
 
“Dà qua…” Con uno scatto, Pen si era alzato dal materassino e con al seguito i nakama che più s’intendevano di medicina, eccezione fatta per Ikkaku, che si era limitata ad allungare il collo, ma non intendeva liberarsi della presa di Law, si era avvicinato ad Uni, per leggere personalmente gli appunti presi in questione.
 
“Credo che quello che ha scritto…” Aveva incalzato Shachi, facendo scorrere rapidamente ma attentamente, gli occhi dai fogli nelle proprie mani a quelli sorretti da White e da Penguin “cerchi di spiegare perché le P.A muoiono.”
 
Penguin aveva annuito, rubando al rosso nakama una delle pagine che in particolare lo incuriosivano e prendendo a passeggiare pensieroso per l’infermeria.
 
“Se io capisco correttamente e Law è stato brillante come suo solito, ragazzi miei, potremmo essere prossimi a sapere in cosa consiste esattamente l’avvelenamento da Piombo Ambrato.”
 
Gli altri si erano fatti tutti più attenti. Perfino Bepo aveva smesso di fissare la schiena di Law e si era raddrizzato, cercando Penguin con lo sguardo.
 
“A quanto dice, sembra che nelle P.A i bacilli inizino una loro attività organica vera e propria. Nello specifico, rendono la cellula ospite il loro “corpo” ed essendo che ogni corpo ha un proprio metabolismo, la cellula contaminata subisce un’alterazione per la quale inizia a produrre sempre più energia per nutrire i bacilli, a ritmi tanto elevati e insostenibili, per cui esaurisce presto ogni funzione vitale. Proprio come fa il corpo di un anziano morente. Law ha scarabocchiato un’uguaglianza seguita dalla sigla P.A.I. … immagino che significhi che questa fase corrisponde allo stato iniziale di avvelenamento. Comunque, la cellula diventa “vecchia” e pure questa fase di vecchiaia viene presto surclassata, passando alla cadaverizzazione vera e propria, che per logica, sarebbe la P.A.F.” Aveva fermato i suoi passi contemporaneamente alle sue parole, rimuginando su quanto aveva appena appreso, interpretato ed esposto.
“Suppongo che… a quel punto, i bacilli, super carichi ed eccitati, riescano facilmente a passare nelle cellule adiacenti, riproducendo lo stesso processo.”
 
White gli si era avvicinato, cercando di scorgere tra gli appunti presi in esame dal compagno ciò che avrebbe potuto sostenere la propria ipotesi.
 
“Perciò, se noi riuscissimo a placare questo “proprio metabolismo”, potremmo riuscire in uno dei punti che abbiamo chiarito stamattina al Captain, ovvero controllare le P.A.I e prolungare significativamente il loro passaggio a P.A.F.”
 
Gli Hearts ora erano quasi raggianti.
White Fox, ancora una volta, si era rivelato per l’uomo maturo e lungimirante che era.
Se la stavano davvero cavando, in qualche modo.
Certo, Law stava male, ma era inevitabile finché non c’era una cura.
Proprio alla cura, però, stavano lavorando e progredendo.
 
“Manca solo il “come” placare quel metabolismo. Non ci ho ancora pensato…”

“Captain!”

Ognuno si era voltato verso la brandina, con un volto ricolmo di gioia nell’udire la profonda voce del proprio comandante.
 
Trafalgar si stava stiracchiando come il gattone cresciuto che era, inarcando la schiena e raddrizzando le braccia sopra la testa, mentre intrecciava le proprie dita con quelle di Ikkaku.
 
Aprendo gli occhi, le aveva rivolto un sorriso da cui trasparivano malizia e affetto allo stesso tempo.
 
“Mi hai coccolato tutto il tempo?”

Lei era avvampata e guardandosi attorno, ma notando solo le facce divertite del resto dell’equipaggio, gli aveva risposto balbettando.
 
“Beh, è normale, sei il mio cretino di un sexy capitano. Ah, comunque ti amo…”
 
Law aveva ridacchiato per l’ennesima dichiarazione d’amore della loro fanciulla.
 
Presto, lui avrebbe presentato macchie bianche, carne deceduta, su tutto il corpo, sclere arrossate e occhiaie che stravincevano le sue attuali, oltre che labbra perennemente screpolate e insanguinate e sarebbe dimagrito drasticamente.
Si chiedeva se anche con quell’aspetto, più di un morto che di un vivo, lei lo avrebbe trovato bello ed avrebbe continuato a sostenere di amarlo.
 
Inoltre, a questo proposito, non aveva potuto che domandarsi se avrebbe dovuto darle una risposta.
 
Sicuramente, non poteva più auto eludersi con un “prima o poi” perché quel “poi”, a breve, non ci sarebbe più stato.
 
“Capitano?”

“Mh, mi hai chiesto qualcosa?” Trafalgar si era ridestato dalla contemplazione della sua bella riccia e si era rivolto a Bepo, dall’altro lato del letto.
 
L’orso, così come altri nakama, aveva ammorbidito lo sguardo, forse intuendo quali pensieri avessero imbambolato il loro dottore, forse semplicemente impietosito dal fatto che lui fosse malato.
 
“Ti ho solo informato che in prima mattinata attraccheremo al porto principale dell’arcipelago. Ci apre la via la Marina… Mi dispiace!
Non avremo molto tempo per noi appena arriveremo, quindi, se te la senti, dovresti concentrarti fin da subito su quella cosa per le P.A.I con gli altri. Mi dispiace molto…”
 
Law si era messo a sedere, rendendosi immediatamente conto di sentirsi in forma.
Quella malattia era davvero strana.
 
“Smettila di scusarti, le tempistiche rientrano tra le tue previsioni ed io mi sento bene. Possiamo iniziare anche ora con gli studi.”
 
Aveva poi allungato una mano dietro l’orecchio sinistro del suo vice, grattandoglielo energicamente, proprio come piaceva a Bepo.
 
“Tutti gli altri… preparate l’occorrente per dopo l’approdo. Potremmo dover ospitare i casi più gravi in infermeria, quindi dovreste darle una sistemata. Ah, inoltre ci serve suddividere le attrezzature mediche per lo studio del Piombo Ambrato da quelle che useremo per l’epidemia... Che altro?”

Aveva schiarito la gola.
Ancora gli doleva.
 
“Giusto, da qualche parte nel mio laboratorio dovrei avere alcune valigette da medico di base. Una è pure qui in infermeria… guarda in quell’armadietto, Clione, per favore.” Alzandosi e invitando i compagni che ormai erano la sua piccola equipe medica a seguirlo, aveva impartito gli ultimi ordini al resto dell’equipaggio, raccomandando a tutti di cenare se a causa sua non l’avessero ancora fatto, prima di andare ad affrontare una nottata dedicata al progresso scientifico.
 
 
***
 
 
     “Che desolazione…”
 
I Pirati del Cuore erano approdati all’isola principale, appena dopo l’attracco dell’ultima nave militare, ad uno tra le decine di pontili di quell’enorme porto.
 
Se non fosse stato, che le uniche anime che osavano inoltrarsi per quelle ampie vie erano le loro e quelle dei soldati, viste le numerosissime insegne e bancarelle, anche se allora deserte, avrebbero potuto scommettere la taglia sopra le loro teste, che quell’arcipelago era il fulcro di un rigoglioso commercio marittimo.
 
“È la prima volta anche per noi su quest’isola …” il tono possente di Sengoku non nascondeva una nota di irrequietezza.
 
Sembrava una città fantasma, di quelle che esistevano solo nei romanzi di avventura, ambientati in luoghi remoti; tutto era stato abbandonato a se stesso, lasciato all’improvviso, come se i cittadini fossero sfuggiti all’ultimo da un’imminente guerra. Non poteva trattarsi di una guerra, però, perché ogni cosa era rimasta intatta ed immacolata, restituendo al paese un aspetto che lo faceva sembrare sospeso nel tempo. L’atmosfera era tanto agghiacciante ed angosciante, da sembrare rarefatta e, anche non supponendo che l’epidemia che affliggeva quel luogo si trasmetteva per mezzo del vento, si poteva ricondurre proprio a quell’aria opprimente la sensazione di malessere che si provava mettendo piede sul bagnasciuga.
 
“Andiamo.” Traflgar si era incamminato per una delle vie maggiori alle quali avevano accesso diretto da dove avevano buttato l’ancora.
 
Gli Hearts non avevano potuto che rincorrerlo con tutta la sua attrezzatura tra le braccia, fino a giungere a pochi passi dalla sua schiena, sulla quale svettava fiero e divertito il loro Jolly Roger, ricamato sulla versione blu della divisa della loro ciurma, che quel giorno Law aveva deciso di indossare.
 
“Dove stiamo andando, Captain?”
 
La Marina era al loro seguito.
 
“Verso il centro, ammesso che la direzione sia giusta. Se non sono già tutti schiattati, si saranno riuniti nei punti di raccolta d’emergenza. Magari hanno un ospedale o un ambulatorio nei pressi della piazza principale.”
 
Qualcuno aveva annuito.
 
“Come stai oggi?” Aveva poi chiesto sottovoce un suo nakama.
 
“Benissimo, non vi preoccupate.”
 
Aveva poi assottigliato lo sguardo, lanciando una rapida occhiata al viottolo laterale che avevano appena superato, subito imitato da Shachi e Penguin e gli altri pirati che avevano l’haki dell’osservazione.
Non che questo fosse indispensabile in quel frangete, poiché considerata la totale goffaggine della figura che li stava spiando, anche il resto dell’equipaggio si era presto reso conto che, forse, almeno un’altra vita oltre le loro era ancora presente su quell’arcipelago.
 
“Bepo…” Trafalgar Law aveva fermato il proprio avanzare, obbligando anche tutte le persone al suo seguito a fare lo stesso.
 
“Aye, aye!” L’orso, complice dei pensieri del proprio capitano, era abilmente balzato nella stradina secondaria, rivelando ai soldati che l’osservavano un’agilità che per niente gli avrebbero attribuito e, di questo, il Visone se ne scusava.
 
“Aiuto! Mamma, papà, aiuto! Il grizzly mi ha presa!”
 
Una stridula vocina aveva rapidamente raggiunto e rotto i timpani ai marinai e solo perché quegli ammassi di mamme chiocce, quali erano i Pirati del Cuore, si erano avvicinati felicissimi alla bambina che Bepo teneva sollevata per le braccia, il Chirurgo della Morte aveva rinunciato all’idea di strapparle le corde vocali e farsene un braccialetto.
 
“Sono un orso polare, mi dispiace contraddirla, signorina.”
 
Era stato solo un attimo, che aveva coinciso col silenzio improvviso conseguito alla precisazione del suo Vice, ma Law aveva pensato che, forse, era stato troppo crudele pensando di agghindarsi il polso con i lembi tendinei di quella mocciosa.
 
D’altronde, era una piccoletta probabilmente ammalata, che era stata catturata dai pirati. Era normale che avesse paura.
 
“Il grizzly ha parlato! Mamma!!”
 
No, no, decisamente quell’ultra suono lo convinceva che aveva solo sbagliato il fine.
Era sicuro che a Doffy, uno dei suoi cadaveri più recenti, morto sgozzato, sarebbero andate benissimo delle nuove corde vocali, tanto giovani e tanto potenti.
 
“Chiudi quella bocca.”
 
Il suo tono era stato tanto freddo da congelare all’istante qualsiasi movimento della giovane isolana, compresa, per somma gioia di tutti, la vibrazione delle sue pliche vocali.
 
“Trafalgar! Non azzardarti a sfiorarla con un dito e tu, orso, liberala subito!”
Sengoku, con una piccola scorta rispetto l’esercito che stava guidando, si stava rapidamente avvicinando.
La bambina, nell’udire quel cognome tanto famoso quanto temuto, avrebbe volentieri pianto, se solo farlo non avrebbe significato rendersi ancora più miserabile agli occhi dei suoi aguzzini.
 
“Prendo ordini solo dal mio capitano, mi dispiace.”

“Hoy, Bepo, se ti scusi così, tutta l’autorità che hai messo nel rispondergli va a farsi benedire.”
 
“Mi dispiace, White Fox.”
 
“Smettila di scusarti!”

Il loro comandante aveva sospirato.
 
“Datti una calmata nonno, siamo qui per salvare questa gente, non per ammazzarla.”
 
“Co-…cosa?” stavolta, la voce della piccola si era rivelata tremula e appena udibile.
 
“Sta tranquilla,” l’ex Grandammiraglio le si era inginocchiato accanto “questi pirati sono qui con noi della Marina. Sappiamo del vostro problema.”
 
Lei pareva essersi tranquillizzata, anche se ancora stretta tra le zampe di quel grizzly albino parlante.
 
“M-ma… noi stiamo male, non ci servono le armi.”
 
Sengoku l’aveva guardata con tenerezza.
In effetti, tutto ciò che la Marina aveva portato su quell’isola erano pistole, cannoni ed i fucili che ogni soldato teneva anche in quel momento sulla schiena.
Nessuno tra loro aveva un minimo di conoscenza medica e si chiedeva per quale assurdo motivo Akainu non avesse inviato i loro specialisti militari o, visto il numero di vite in gioco, addirittura quello strambo, ma geniale, del dottor Vegapunk.
Invece, aveva preferito ricorrere ad un ex alleato, che certo, come dottore godeva di immensa stima, ma come persona, non era la più raccomandata per avere a che fare con dei bisognosi.
Per rendere il tutto più assurdo, seppur a dare l’allarme dell’epidemia fosse stato un inviato dei marines, non disponevano della più minima e stracciata informazione circa quell’arcipelago.
 
“Siamo soldati, piccola, siamo sempre armati per mantenere l’ordine e, in questo caso, per far rigare dritti il grizzly ed i suoi compagni e assicurarci che vi aiutino.”
 
A quelle parole, lei si era rivelata subito più curiosa, alzando lo sguardo, che aveva tenuto fisso a terra e poi tutto il capo, facendo ondeggiare le sue treccine bionde.
Lui le aveva sorriso.
 
“Vedi quel ragazzo alto alto, con la faccia brutta e l’aria da asino? Non si direbbe proprio, ma è un bravo dottore.”
 
“Come, prego?”

Al tono indispettito di Law, la sua ciurma era scoppiata a ridere, sorprendendo la piccola malata con tanta sincera e, per lei incomprensibile, felicità.
 
“Vero, verissimo! Tu non sembri proprio un medico, Captain, sembri più un musicista drogatello, con tutti quei tatuaggi.”

“Jean, ma che stai dicendo?” Ma la voce di Law era stata sopraffatta da quella di Penguin.
 
“È per questo che ti abbiamo regalato un set di camici e divise ospedaliere, per il compleanno!” Gli aveva rivelato.
 
“E per lo stesso motivo,” si era sentita in dovere di aggiungere Ikkaku “ti abbiamo portato uno dei tuoi camici più belli, oggi!”
 
“Hey, ma da che parte state?”
 
“Mi dispiace, Captain!”
 
Alla bambina era scappato un piccolo sorriso, rendendosi conto, che se quei pirati erano con la Marina, significava che erano buoni e, visto come si prendevano in giro a vicenda, se si dimostravano buffi, poteva ridere senza il rischio di essere accusata di starli canzonando.
 
Si sarebbe resa conto che “la legge” non significa necessariamente giustizia e bontà, solo dopo qualche tempo e proprio grazie a quelle nuove conoscenze che stava facendo.
In realtà, il suo papà glielo aveva detto più volte, ma solo in seguito all’incontro con i Pirati del Cuore, avrebbe compreso il significato di quelle parole.
 
“Allora, ci dici come ti chiami e cosa stavi facendo?”
 
Tra gli schiamazzi, quello che le sembrava il capo dei marines l’aveva riscossa e allo stesso tempo aveva fatto scemare ogni rumore.
 
Tutte le attenzioni erano rivolte a lei e questo la metteva in soggezione.
Aveva indietreggiato, fino a scontrarsi con le gambe dell’orso, che poco prima l’aveva rimessa a terra.
 
“Io… mi chiamo Mara e stavo, stavo guardiando qui…” soppesando le sue stesse parole, aveva ritenuto che forse, ma solo forse, aveva sbagliato ad esprimersi. “No, stavo facendo la guardiana… Cioè, stavo controllando che non derubassero il negozio.”
 
“Potresti spiegarci meglio, Mara-chan?”
Ikkaku, accovacciata di fronte a lei, le aveva rivolto la domanda con una cadenza estremamente dolce, che aveva fatto piangere di gioia e d’invidia i suoi compagni più pervertiti.
 
“Perché a me non si rivolge mai così?! Sei ingiusta, Ikka-chan!”

“Sta zitto, deficiente.” Con un pugno ben assestato allo stomaco, tirato senza scomodarsi dalla propria posizione, né alterando l’espressione gentile che aveva assunto, aveva messo a tacere Shachi.
 
“Il negozio di famiglia… i nonni ed i piccoli stanno male da tanto tempo e gli adulti devono occuparsi di loro, quindi noi ci occupiamo del resto, sennò nessuno ferma i cattivi.”

Trafalgar aveva dovuto massaggiarsi il ponte del naso.
 
Chiedere di spiegarsi chiaramente ad una mocciosa era come organizzare una gara di nuoto tra utenti dei Frutti del Diavolo.
In altre parole, totalmente fallimentare.
 
Aveva dato giusto un’informazione in più, ovverosia che parlava del negozio della sua famiglia.
La storia dei nonni, dei piccoli, di noi e chi altro, era solo incasinata e gli faceva venire mal di testa… o almeno, sperava che fosse quel resoconto insensato l’origine del dolore.
 
“Senti, puoi raccontarci tutto un’altra volta, da capo e con calma, mentre ci porti dove si trovano i malati?”
 
Mara era sobbalzata nell’udire nuovamente la voce profonda di quel dottore troppo giovane e troppo fuori dal normale ed aveva esitato nel rispondere.
 
La ragazza simpatica vicino a lei, si era chinata verso il suo orecchio, con un sorriso divertito.
 
“Sai, lui fa sempre la faccia seria e paurosa con gli estranei, ma in realtà è solo molto dolce e timido. Devi essere tu a iniziare il discorso, altrimenti Law neanche si sogna di parlare.” Le aveva fatto l’occhiolino, continuando poi a sussurrarle quella conversazione che secondo Mara doveva essere super privata, perché nascosta con una mano della pirata ai presenti.
In realtà, nel silenzio più totale che regnava in quella città, la stavano sentendo tutti.
“Non avere paura di rispondergli, anzi, approfittane! Non capita tutti i giorni che qualcuno esterno alla ciurma venga incalzato a parlare dal nostro Captain.”
 
La bambina aveva rivolto uno sguardo sorpreso a quello che, a quanto aveva detto il capo marine dai capelli grigi, era il Chirurgo della Morte.
 
Lui, anche se un po’ imbarazzato dalle parole assolutamente false della nakama, aspettava paziente che la marmocchia facesse come le aveva detto.
 
“Seguitemi!”

Ikkaku si era alzata raggiante e aveva battuto il cinque all’Uomo Mascherato, prima d’incamminarsi, con gli altri, dietro la giovane isolana.
 
“Dolce e timido? Io?”

La Pirata del Cuore aveva unito le mani dietro la schiena, mentre Law le si era avvicinato con una smorfia di finto rimprovero.
 
“Quando vuoi o ti conviene, sai esserlo…”

“Vi stavo dicendo,” li aveva inconsapevolmente richiamati la loro piccola guida “che la gente qui sta male. Sono anche morte delle persone.”
 
Il suo visino si era rabbuiato, ma stando in testa al gruppo, nessuno l’aveva notato.
Potevano solo immaginarlo.
 
“E cosa intendevi, prima, parlando di nonni e piccoli?”
 
“Gli anziani e i bambini stanno peggio. Sono stati i primi ad ammalarsi e fin’ora, gli unici a lasciarci… ma anche gli altri non stanno affatto bene.”
 
“Tu, però, sembri essere in forma.” Si era intromesso uno dei soldati, osando aggiungersi a quel colloquio tra civile e pirati.
 
“Anch’io sono ammalata, ma dato che sono grande e giovane, sto meglio rispetto altre persone.”
 
Qualcuno aveva ridacchiato a quel “sono grande”, facendole gonfiare le guance in disappunto.
 
“Quanti anni hai? E quanti ne hanno i bambini gravemente malati? Per anziani, invece, a che fascia d’età ti riferisci?”
 
“Hoy, hoy, Captain, una domanda alla volta, poverina e smettila con quella faccia truce!”
 
“Io ho sei anni mezzo!” E quel mezzo faceva la differenza, perciò lo precisava sempre “I bambini più malati sono quelli appena nati e… non lo so, circa tre anni o di più. Cos’è una fascia d’età?”
 
Law, archiviando le nuove e vere informazioni acquisite, le aveva risposto con un’intonazione che, se non si fosse stati certi che si trattava di lui che parlava con una bambina, si sarebbe potuta definire estremamente gentile.
 
“È solo un altro modo per chiederti quanti anni hanno più o meno. Non avevo voglia di usare le stesse parole.”
 
“Oh, ho capito! Beh… sono i nonni. I vecchietti, insomma. Tipo sessant’anni e molti di più.”
 
Una serie di battutine si era levata tra i marines, subito smorzata dal colpo di tosse di un arrossito Sengoku.
 
“Scusa se interrompo la tua raccolta di dati, Trafalgar, ma ho bisogno di sapere alcune cose dalla bambina. Dopotutto, potrai chiedere quello che vuoi direttamente ai malati, tra non molto.”
 
“Aye, aye…”
 
“Ci hai parlato anche di controllare i negozi, giusto?”
 
Mara aveva annuito.
 
“Chi non ha ancora nulla di serio, deve fare la guardia ai negozi. Quasi tutti qui hanno un negozio, perché siamo il centro di un commercio marino.”
 
“Marittimo” l’aveva corretta Law.
 
“Sì, di un commercio marittimo. Quindi è un continuo compra e vendi, con un sacco di gente diversa! Pensate che qua arrivano pure i pirati!”

L’aveva detto entusiasta, allargando le braccia e compiendo un saltello al posto di un passo.
 
“Ma non mi dire…”
 
Si era poi voltata, quasi scioccata, sentendo la voce del dottore musicista e ricordandosi che lui e tutti quei tizi vestiti da operai, che ora ridevano, erano proprio dei pirati.
 
“Quindi…” l’aveva richiamata Sengoku “chi riesce, si preoccupa di salvare i vostri possedimenti dai pirati?”
 
“Sì e anche dal banchiere del Governo.”

“Dal banchiere… del Governo?”

“Un signore è venuto a prendere tutte le cose della vecchina dei fiori e di altri che sono morti, ma loro non sapevo cosa vendevano. Era vestito proprio come voi!” si era nuovamente girata, con un mezza piroetta e indicava con entrambi gli indici i soldati. Poi, notando con la coda dell’occhio il biforcamento di quel vicolo di cottoli, era tornata a guardare avanti, per svoltare rapidamente a destra.
 
“Di qua!”
 
Pirati e marines si erano guardati confusi.
 
“Hey! Cosa intendi esattamente? Un soldato che si occupava di finanze?”

“Ma no! La mamma ha detto che era vestito così perché era del Governo, ma non poteva essere un marine, perché era cattivo! Era un banchiere, perché era venuto a riprendersi le cose della gente morta. Ha detto che essendo morti, non potevano più pagare gli atti di priorità.”
 
“Di proprietà, semmai” l’aveva nuovamente corretta il capitano degli Hearts, sorvolando volutamente sulla questione del “non poteva essere un marine, perché era cattivo”.
 
“Appunto e quindi il Governo si riprendeva tutto. Però è stato molto prepotente, anche perché ha preso le cose pure a chi stava molto male ed era andato al centro di ricovero, ma ancora era vivo. Quindi i grandi non vogliono più dargli niente, anche se è la legge.”
 
“Che belle leggi, che fate…” Uni si era rivolto al plotone, ben conscio che non erano direttamente i soldati a decretare certe stronzate, ma erano coloro che le facevano rispettare.
 
“Sarà la legge, ma mi sembra applicata troppo drasticamente e poi…”

“Siamo arrivati!”

Sengoku non aveva potuto concludere il proprio ragionamento che stava svolgendo ad alta voce, perché erano finalmente giunti innanzi quello che era diventato l’ambulatorio dell’isola.
 
Percorrendo a veloci passetti la spoglia piazza alla quale erano giunti e spingendo uno dei battenti della grande porta di quello che era stato il Comune, Mara era entrata di corsa, invitando i marinai a imitarla.
 
Gli Heart Pirates ed i marines avevano oltrepassato la soglia del palazzo comunale, per poi bloccarsi.
Centinaia di brandine di fortuna tappezzavano il pavimento dell’atrio e probabilmente di ogni altra sala ed ognuna di esse era occupata da un isolano o troppo piccolo o troppo vecchio.
Anche diversi “grandi e giovani”, come li aveva definiti Mara, erano infermi e accasciati da qualche parte, ma non godevano del lettino di stracci o almeno non tutti.
 
Nonostante l’elevato numero di persone, non si sentiva la più flebile voce.
Non era, però, il silenzio a regnare.
Una tosse secca troppo forte, lamenti e gemiti infinitamente carichi di sofferenza, conati, pianti.
Qualcuno boccheggiava.
 
“Signor sindaco, signore, guardi. Sono venuti a salvarci!”
 
“Mara, non urlare, molte persone stanno patendo un’emicrania.”
 
Un uomo, che solo la malattia era riuscito a sfiancare, ma che dalla prestanza fisica e da un luccichio particolare negli occhi scuri, si capiva fosse sempre stato attivo ed energico, aveva accolto la piccola bionda tra le braccia, avvolte dalle maniche della giacca sgualcita di uno smoking.
 
“Ma guardi, sono arrivati la Marina ed i pirati famosi!”
 
“I pirati?!”

Chi era cosciente e chi tra questi era abbastanza in forze da poter ascoltare e comprendere una conversazione, non aveva potuto evitare di sorprendersi ed incuriosirsi a quanto appena sentito.
 
Stranamente, aveva constato Law, nessuno sembrava spaventato.
Non da lui, perlomeno.
 
“Signore, sono l’ex Grandammiraglio Sengoku del Quartier Generale della Marina. Siamo venuti a conoscenza dell’epidemia che affligge queste isole.” L’ufficiale si era avvicinato con aria cordiale e disponibile, eppure, chi gli aveva dato ascolto aveva sussultato.
Alcuni tra i malati per terra, si erano nascosti il viso con le coperte.
 
Il sindaco si era parato davanti a Mara, nascondendola dietro una delle sue lunghe gambe e costringendola a stare lì, ferma, posandole una mano sul capo.
 
“Sono desolato, ma siamo ancora vivi. Non abbiamo nulla da spartire col Governo!”
 
A tale risposta, buttata fuori con tanta ostilità e quella che sembrava essere un’espirazione terribilmente tremante e debole, l’ex capo supremo della Marina era rimasto spiazzato, mentre alcuni Hearts si erano voltati preoccupati verso il loro capitano.
Quest’ultimo si era concentrato sull’uomo di mezz’età con cui stavano verbalmente avendo a che fare.
Ogni inspirazione era tremula e corta, al passaggio dell’aria in uscita il suo orecchio allenato poteva sentire un leggero sibilo e viste le numerose goccioline di sudore che gli colavano dal capo e andavano scomparendo nel colletto della camicia, nonostante la temperatura mite del luogo, Law era sicuro che allarmare quell’uomo, per qualsiasi ragione, gli avrebbe causato gravi problemi fisici.
 
“Signore, non so cosa le abbia detto il vecchiaccio per farla inquietare, ma adesso le consiglierei di stendersi e prendere un paio di antibiotici, oltre che farsi degli impacchi freddi per quella febbre che la sta facendo liquefare.”
 
L’interpellato e alcuni dei suoi concittadini avevano spostato lo sguardo sul Chirurgo della Morte e, considerato il repentino allargamento delle loro pupille e l’aumento dell’affanno di certi, l’avevano certamente riconosciuto.
 
“Le fa male il petto?”
 
“Co-…come, prego?”

Law aveva alzato gli occhi al cielo.
“Potrebbe rispondere con un’affermazione, al posto di un’altra domanda?”
 
“S-sì… mi fa male.”
 
Trafalgar era rimasto sorpreso. Non dalla risposta, che considerata la diagnosi che aveva già velocemente eseguito, immaginava, ma piuttosto dal tono e dall’espressione del sindaco.
Non era terrorizzato e non temeva di parlargli.
Piuttosto, era stupito per qualche motivo e proprio la meraviglia l’aveva fatto tentennare nel replicare.
 
“In questo caso…” aveva poi ripreso il giovane medico, decidendo di sorvolare, per il momento, sullo strambo comportamento di quelle persone “le faccio le mie felicitazioni! Lei, così a prima vista, parrebbe avere una bronchite acuta, ma nulla mi fa escludere una broncopolmonite agli stadi iniziali.”
 
Penguin, chinando il capo, si era portato una mano alla fronte e l’altra sul fianco, sospirando divertito.
“Captain, spero che in caso di malati terminali tu abbia un po’ più di tatto.”
Shachi si era messo a sghignazzare.
“È per situazioni come questa che ti abbiamo portato il camice, sai?”
Il dottore si era limitato a lanciare loro un’occhiataccia, cercando di non dare peso al crescente mal di testa occipitale che sentiva.
 
“Scusate… non capisco. Perché Trafalgar Law dovrebbe starmi dando consigli medici?”
 
Sengoku aveva deciso di riprendere in mano la situazione.
Probabilmente, aveva pensato, l’ostilità nei suoi confronti era dovuta a quel “banchiere del Governo” che aveva confiscato alcune delle proprietà degli isolani.
Si era ripromesso di indagare al riguardo.
“Noi ed i Pirati del Cuore collaboreremo per aiutarvi a far fronte alla malattia che state patendo e lui” aveva indicato con un cenno del capo Trafalgar “è l’unico tra noi che possa trovare una cura.”
 
“Si fidi, signor sindaco!” Mara era intervenuta, facendo capolino da dietro l’uomo.
 
“Il capo marine voleva proteggermi ed il dottore in realtà è molto buono! Fa anche il musicista.”

L’allegra e innocente spiegazione della bambina aveva fatto sorridere i marinai, ma certo non aveva convinto il sindaco.
 
“Abbiamo ricevuto una segnalazione d’urgenza circa le condizioni in cui versate.” Si era, perciò, sentito in dovere d’aggiungere Sengoku. “Non conteneva molte informazioni, né potevamo ipotizzare qualcosa riguardo la malattia. Con Trafalgar avevamo un… rapporto in sospeso, diciamo e il vostro problema si è rivelato l’occasione ideale per reintegrarlo come membro della Flotta dei Sette.”
                                                                                                         
Questo, aveva decisamente più senso secondo l’isolano, rispetto il fatto che un marine volesse salvare uno di loro e che il Chirurgo della Morte fosse un musicista.
Ogni risentimento, così come i dubbi ed i sospetti, poteva essere lasciato da parte, almeno finché ogni suo cittadino non si fosse ripreso.
 
“Se le cose stanno così, farò come mi hai detto… ma prima ditemi: cosa posso fare per permettervi di aiutarci?”
 
 
***
 
 
     Il sindaco Bentham si era rivelato veloce ed efficiente.
In un quarto d’ora circa, tutti gli isolani, eccetto coloro che dovevano sorvegliare le merci, erano riuniti in Comune ed attendevano che il loro più alto rappresentante chiamasse dall’elenco alfabetico degli abitanti, il loro nome.
A quel punto, si sarebbero alzati e diretti nella sala dell’Anagrafe, che era stata allestita come la clinica per le visite del Chirurgo della Morte.
In caso fossero stati impossibilitati a muoversi o addirittura incoscienti, sarebbe giunto Trafalgar Law stesso alla loro brandina, accompagnato da un paio dei suoi uomini.
I malati più gravi e le emergenze, però, avevano avuto la precedenza su chiunque altro.
 
“Aiuto! Per favore, dottore, mio fratello non respira!”
 
Al primo grido della ragazza accasciata vicino le scale, Trafalgar, Shachi e Penguin si erano precipitati a raggiungerla, lasciando l’anziano a cui stavano curando una grave infezione all’apparato orofaringeo nelle mani di Ikkaku e White Fox.
 
Il giovane medico si era inginocchiato, quasi di slancio, al fianco del ragazzino, che subito era stato sdraiato in modo opportuno dai suoi nakama e spogliato della maglietta.
Nei medesimi istanti, aveva estratto dalla tasca del camice che aveva accettato di indossare nonostante le battute, alcune garze sterili, per poi posizionarle su bocca e naso del paziente.
 
Non poteva rischiare di beccarsi pure quella malattia.
 
Rapido, irrigidite le braccia e intrecciate le dita, posizionandosi appena sotto la parte superiore del cuore, aveva iniziato le veloci e decise trenta spinte per la riabilitazione delle pulsazioni cardiache.
All’ultima, aveva reclinato la testa dell’isolano e tappandogli il naso, gli aveva gonfiato i polmoni con due profonde espirazioni attraverso le pezze igieniche.
 
Era stato costretto a ripetere i cicli per ben sei volte e poi, a metà della settima serie di spinte, aveva sentito un debole battito sotto il proprio palmo sinistro e, più per lo spavento che per vera necessità, il ragazzino aveva ispirato esageratamente, sbarrando gli occhi e poi tossendo.  
 
La sorella l’aveva abbracciato all’istante, mormorando qualcosa che poteva essere riconducibile ad un ringraziamento.
Se a Law o a qualche dio, non si capiva.
 
Trafalgar si era lasciato cadere all’indietro, rimanendo seduto.
 
Già che era in vena di diagnosi, non si era fatto problemi a decretarne una anche per sé.
 
Il Piombo Ambrato gli stava letteralmente uccidendo la testa.
 
“Tutto bene?”
 
Riaprendo gli occhi, che non si era accorto di aver chiuso, si era ritrovato Shachi e Penguin chinati verso di lui.
 
“Sì… Pen, visita il marmocchio. Capisci cosa ha causato l’arresto cardiaco… e ti prego, riportami uno dei sintomi che abbiamo già riscontrato in altri abitanti dell’isola.”
 
Il nakama aveva subito obbedito, mentre gli altri due pirati erano corsi da una coppia disperata, il cui figlio di appena cinque mesi stava rigurgitando senza sosta.
 
Preso in braccio il piccolo, tenendolo a faccia in giù, con una mano a sorreggerlo per tutto il piccolo tronco e sostenendogli, nonché accarezzandogli la testa con l’altra, il chirurgo aveva chiamato il suo chef per una soluzione di zenzero e miele.
 
“Ha avuto anche la dissenteria?” Aveva guardato negli occhi la madre, ma la domanda era rivolta ad entrambi i genitori.
 
“No, ma stai dicendo che gli verrà? È già abbastanza disidratato!” Il padre si stava facendo prendere dal panico e questo era qualcosa con cui Trafalgar non voleva avere a che fare.
 
Aveva già troppi problemi e molti di questi riguardavano proprio quegli isolani.
Si era ritrovato a sbuffare.
 
“Che succede, Law? Rimugini sulla diagnosi?”

Shachi stava finendo di mescolare l’intruglio preparato dal loro cuoco.
 
“… Quale diagnosi? Hanno tutti sintomi completamente diversi.”

   
°° FINE CAPITOLO °°



Ma che strano, sono in ritardo?

Lo so, la puntualità non è affatto il mio forte... spero di rimediare in quanto a qualità (?) no, okay, è un po' azzardato.

In ogni caso, mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto, seppur così in ritardo e così diverso dai tre precedenti. 
D'altronde, ci siamo finalmente avviati verso la trama parallela a quella principale... come succede spesso anche in One Piece, no xD ?

Mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensate ♥

Cercherò di essere più veloce!

A presto.

Baci,
Pawa

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


°° Il Mostro Bianco °°

 

- Capitolo V -



 Trafalgar Law non ci sapeva fare con i bambini.
Assolutamente no.
Semplicemente conosceva alla perfezione il sistema nervoso dell’essere umano e non solo siccome aveva studiato qualunque organismo reputasse degno di analisi e, quindi, sapeva esattamente come tenere un marmocchio per tranquillizzarlo e che cazzate come accarezzargli la testa o massaggiargli la pancia, lo facevano sentire protetto e rilassato.
 
Inoltre, molti dei genitori di quegli adulti piagnucolosi in miniatura non erano fisicamente in grado di occuparsi delle loro moleste creature, al momento.
 
Considerato ciò e conscio che i suoi nakama ne erano altrettanto consapevoli, Law era a dir poco irritato da come gli Hearts lo stavano fissando da un quarto d’ora buono.
 
“Smettetela.” Aveva sibilato, guardandoli da oltre le esili spalle del giovanissimo isolano a cui poco prima aveva calmato una crisi acuta d’asma, apparentemente insensata.
Il bimbo gli aveva avvinghiato il collo non appena si era reso conto che quell’uomo imbronciato l’aveva fatto tornare a respirare bene e senza dolore, e presto avrebbe fatto lo stesso con la sua mamma ed il suo papà.
 
Trafalgar era stato obbligato a tenerlo in braccio da allora, perché con i genitori l’uno incosciente e l’altra in piena crisi respiratoria il suo piccolo paziente l’aveva visto come l’unico conforto e la fonte del suo benessere fisico.
 
Sfortuna ha voluto, secondo Trafalgar, che diversi altri mocciosi decidessero di imitare il compagno atopico, condizionati dal fatto che ancora la loro intelligenza si limitava a: “Mi fa star bene, gli voglio bene.”, legge inconscia e primordiale per cui ogni cucciolo si lega affettivamente e velocemente a chi lo accudisce, indipendentemente se questi è o no un suo genitore.
 
Dunque, ora Trafalgar Law si ritrovava seduto sul pavimento a gambe incrociate, sulle quali dormicchiavano Mara ed una sua amichetta. La biondina, memore delle parole positive di Ikkaku sul conto di Law e dopo averlo visto salvare i suoi compaesani, si era convinta che fosse davvero un bravo ragazzo e quindi poteva dimostrargli tutta la sua benevolenza di bambina vivace. Che questo non fosse il principale auspicio del pirata, non lo poteva sapere e dato che ormai si era imposta di piacergli, nemmeno le sarebbe importato.
Dal canto suo, la giovane supernova aveva nuovamente sbuffato, ignara dei sentimenti di Mara, conscia solo di star reggendo, oltre a lei, anche un neonato ed il fratello maggiore, mentre lasciava che il marmocchio allergico a chissà che si tenesse aggrappato a lui come un koala.
 
“Capitano, resisti.” L’aveva incitato un nakama, non rispettando minimamente il suo ordine e quindi continuando a fissarlo con aria evidentemente ed estremamente divertita.
 
“Sì, devi tener duro ancora un po’.” Si era aggiunto il loro cuoco “Bepo è andato a prendere la lumacamera. Cerca di non muoverti o verrà male la foto!”
 
“Non ho tempo da perdere con questi cosi. C’è chi sta peggio di loro.” Si era trattenuto dal rivelare che lui stesso si sentiva davvero uno schifo, in quel momento. Infatti, i suoi uomini avevano un’aria così sinceramente felice che preferiva sopportare la somma di un’emicrania occipitale con un ammasso di corpicini rumorosi addosso, piuttosto che vederli preoccupati ed incupiti a causa sua.
Perciò, si era limitato ad un sospiro, mentre i suoi nakama avevano ripreso a sghignazzare.
 
“Amore mio, immagino già i nostri bambini starti in braccio così!”
 
“Ikkaku, hai fatto quello che ti avevo chiesto?” Law, ignorando completamente la quotidiana fantasticheria romantica di quella che doveva essere solo un’amica, le aveva rivolto uno sguardo carico d’ansia ed un briciolo di speranza.
 
“Ovviamente!” Gli si era inginocchiata accanto, per nulla offesa dal fatto che le sue effusioni non venissero mai considerate. “Ho solo leggiucchiato velocemente le cartelle cliniche degli isolani, ma temo non ti piacerà quanto riportano. Più che altro non penso ti saranno d’aiuto resoconti medici completamente differenti, nonostante siano relativi alla stessa malattia.”
 
“Non molto diverso da ciò a cui sono giunto io, per ora.” Gli era sfuggita una leggera imprecazione, spostando come meglio poteva i piccoli malati che stava reggendo ed accettando, poi, la pila di fogli che la ragazza gli porgeva.
“Il medico dell’isola non ti ha detto nulla di più?”
 
Lei aveva ricercato il suo sguardo, con una nota amara a rovinarle i lineamenti.
“Il medico è morto.”
Non era qualcosa che non si sarebbe aspettato, viste le circostante.
“Quanti anni aveva?”
 
“Una quarantina, mi hanno detto.”
 
Questo non l’aveva previsto.
 
Dalle informazioni che aveva raccolto, risultava che solo bambini molto piccoli o gli anziani, con l’eccezione delle persone nel fiore degli anni che già soffrivano di qualche gravezza, fossero deceduti e sicuramente il suo collega non rientrava in quell’ultima categoria.
 
Trafalgar stava dunque rimuginando su quanto appena acquisito, sfogliando al contempo le pagine scritte solo pochi giorni prima dall’altro medico.
 
“Ti sei sporcato le mani col gesso?”
 
Il dottore aveva spostato lo sguardo su Mara, che solo un po’ più spettinata rispetto a prima del sonnellino, ma con la stessa vivacità, gli si era messa a sedere in grembo, facendosi spazio tra i piccoli compaesani e ora fissava con curiosità le macchie bianche sulla sua pelle.
 
“Io…” Law era stato preso alla sprovvista dalla domanda e dalla leggerezza con cui era stata posta. Non aveva creduto che la sua malattia fosse già così evidente. Certo, aveva lasciato la nave con ben due chiazze non nascoste dalle maniche della tuta e ogni tanto intravedeva ciuffi canuti di capelli sfuggirgli dal berretto, che prontamente nascondeva.
Non aveva pensato, però, che in quelle poche ore passate ad accudire i cittadini il Piombo Ambrato potesse dare il meglio di sé e solo ora, seguendo la direzione dell’interesse della bambina, si era concentrato su ambedue le sue mani.
 
Erano completamente diafane.
Entrambe.
 
Sembrava le avesse immerse fino ai polsi in un sacco di farina, dopo averle bagnate e temeva che tra davvero poco tempo avrebbe dovuto sostituire l’immagine con un barattolo di vernice bianca.
 
Si era ritrovato a guardarle inorridito, rendendosi conto che se non si concentrava un leggero tremore le colpiva, a intermittenza non ben definita.
Poi un altro paio di mani aveva afferrato le sue.
 
“Captain! Hai passato un’altra notte a scrivere su quella vecchia lavagna d’ardesia? Quante volte dobbiamo ripeterti che dovresti dormire?”

Ikkaku aveva presto assecondato la fantasia della loro giovane amica, che quindi non aveva indagato oltre e, fortunatamente, era al contempo riuscita a scuotere Law da quello stato di trance in cui era piombato alla vista delle sue mani.
 
Non l’era affatto piaciuta quell’espressione persa sul viso del suo amato.
 
Lei ed il resto dei nakama erano venuti a conoscenza del passato del loro capitano un po’ alla volta ed in momenti diversi, ma ora ognuno di loro poteva sostenere di conoscere cosa aveva dovuto subire il loro Doc, nei minimi dettagli.
 
Sapevano quanto lui godesse di un perfetto autocontrollo e tendesse a sopprimere le emozioni che gli erano scomode, ma erano altrettanto consapevoli di quello che potevano definire solo come un inferno, in cui lui aveva dovuto vivere e che la malattia che gli stava attualmente divorando il cervello, era riemersa proprio da quelle bolge infernali.
 
In altre parole, Trafalgar Law poteva essere sopraffatto dagli incubi dei ricordi ed il panico in qualsiasi momento e non certo per sua debolezza, ma per via dell’avvelenamento, cosa che gli avrebbe pure distrutto l’orgoglio.
 
Ed il loro compito, in quanto fedeli nakama, era salvarlo in tutti i sensi.
 
“Non puoi certo lavorare con tutta quella polvere di gesso addosso.” Ikkaku si era sfilata i propri guanti di cuoio, per poi porgerglieli. “Tieni, dai. Sono grandi per me, quindi ti dovrebbero stare.”
 
Lui li aveva presi, riconoscente.
Per un attimo e non dubitava fosse colpa più del morbo che lo stava facendo impazzire, più che per reale paura della malattia, si era sentito perduto.
 
Vedendo le sue mani, le mani del Chirurgo della Morte, le mani di un chirurgo tremare, non era più stato capace di formulare un solo pensiero.
 
Aveva indossato con un po’ di difficoltà i guanti di Ikkaku.
Per lei erano grandi e mai avrebbe capito come li potesse trovare comodi, nuotandoci dentro, mentre per lui erano leggermente stretti.
 
La nakama gli si era seduta accanto, osservando senza reale interesse Mara che decideva di voltare le pagine delle diagnosi, fingendo di leggerle e commentarle.
 
“Come va con la testa?” Si era sporta verso il suo viso, decidendo di bisbigliare, onde evitare che i marines che li stavano aiutando nonostante la totale inesperienza in campo medico potessero sentirli.
Non che temesse di essere realmente udita da loro, visto come si susseguivano l’uno all’altro come formiche laboriose, senza fermarsi un attimo e, con disappunto di Shachi e Penguin, creando confusione.
 
“…Non bene.” Alla fine aveva dovuto essere onesto.
Era palese che la sua reazione non fosse passata inosservata alla compagna, quindi, per quanto far impensierire la sua ciurma lo scocciasse, non aveva voluto mentire.
 
“Clione e l’Uomo Mascherato si stanno occupando di analizzare i dati delle ricerche di stanotte, ma immagino che tu ti sia già fatto un’idea di cosa riscontreranno…”
 
Gli aveva poggiato la guancia su una spalla, leggendo di sfuggita un file riportante il morbillo che aveva colpito una neonata del posto.
 
“Sì... loro, più che farne un resoconto, stanno mettendo insieme gli appunti che abbiamo preso stanotte. Ho potuto vedere e capire io stesso perché, a differenza di vent’anni fa, il Piombo Ambrato mi sta colpendo il cervello.”
Spostando rapidamente lo sguardo lungo tutto l’androne comunale, aveva potuto sospirare sollevato.
Per il momento non sembravano esserci emergenze ed i bisognosi erano assistiti dai suoi nakama.
“Quando Pen e White mi hanno esposto le loro scoperte e gli obiettivi che dobbiamo raggiungere per farmi guarire, hanno preso come campione di confronto con le cellule stomacali il mio cuoio capelluto, dove effettivamente, per ora, non ci sono tracce di avvelenamento. Volevano sincerarsi che la testa fosse sana come era rimasta all’epoca. Mara,” aveva alzato la voce, attirando l’attenzione della biondina che ignorava l’ennesima brillante deduzione che veniva spiegata da Trafalgar Law “non mischiare i fogli delle diverse cartelle cliniche.”
 
“ ’kay~”
 
Law aveva alzato gli occhi al cielo, conscio che il suo avvertimento era stato fiato sprecato. D’altronde, aveva il sospetto che la mocciosa che dondolava le gambette contro i suoi stinchi e continuava a buttare le pagine “lette” sul pavimento neanche sapesse cosa fosse una cartella clinica.
Si era appuntato mentalmente di chiedere a Bepo di riordinare quelle povere diagnosi, prima di proseguire con le proprie delucidazioni.
 
“È ovvio, però, che debbano esserci dei bacilli nelle cellule del mio capo, altrimenti non avrei avuto quelle due crisi, dovute chiaramente ad un momento di instabilità mentale, né avrei dei capelli bianchi. Se dalle analisi risulta che non si trovano in superficie, ho motivo di credere che siano situati più a fondo, nei pressi dei principali vasi sanguigni che alimentano l’encefalo e stanziano lì, inibiti, da ormai tredici anni.”
 
“Certo, ha senso. Con l’elevatissimo approvvigionamento di sangue, hanno tutto il nutrimento di cui necessitano per attivarsi, ma spiegami meglio una cosa… come fai a dire che sono gli stessi di quando eri bambino? Con la room te li eri estirpati, no? Ma anche ammettendo che siano i medesimi, allora perché si comportano diversamente da come agirono un tempo?”
 
“Vedi, è tutta colpa mia.”
 
La pirata aveva strabuzzato gli occhi, non comprendendo il motivo per cui il suo capitano si stava dichiarando colpevole.
 
Lui aveva ghignato.
 
“Non guardarmi così stranita. Il fatto è che l’Ope Ope No Mi non è un frutto per dementi o distratti. Anche solo per attivare una room devo richiedere un certo sforzo e altrettanto impegno mentale. Quando mi guarii o meglio, quando tentai di guarirmi dal Piombo D’Ambra, fu una delle prime volte che usai questi poteri, non avevo ancora ben chiaro quanta concentrazione servisse. A seconda del fine do’ origine ad una sfera con un determinato impiego di forze fisiche e psichiche. Dunque, considerando la mia inesperienza dell’epoca, sommata al mio corpo straziato ed il mio stato emotivo alterato, temo di non essermi mai liberato dei bacilli velenosi, se non di pochi e di superficiali.”
Il neonato che reggeva aveva gorgogliato, distraendolo per un attimo. La voce quieta e profonda del pirata sembrava essere una conciliante melodia per il giovanissimo malato, che infatti aveva scemato il suo piagnucolio dal momento in cui il suo dottore aveva iniziato a discorrere.
 
“Credo, piuttosto,” aveva poi ripreso, ringraziando con un cenno del capo Pandaman che prendeva in braccio l’amica di Mara ancora appisolata “di averli resi dormienti a lungo termine ed ora si sono risvegliati. La prima parte ad essere colpita, inevitabilmente, è stata lo stomaco. Anche all’epoca fu il fulcro dell’avvelenamento e la culla della maggior parte dei bacilli.”
Aveva abbassato lo sguardo, portandolo tra la schiena di Mara ed il suo ventre.
Poi l’aveva spostato sui guanti bruni che la sua nakama gli aveva prestato.
“Un numero simile è sicuramente ospitato nelle mie mani, avendo toccato per anni, ogni giorno, qualsiasi cosa fosse stata prodotta con quel metallo. Infine, la mia testa. Fu l’ultima parte ad essere colpita, ora una delle prime. Ebbene, come tu stessa hai spiegato, i bacilli inibiti che erano rimasti nel mio capo hanno talmente tanta energia e cibo a disposizione che sono stimolati ad attivarsi dal flusso sanguigno, ovverosia dal mio stesso battito cardiaco.”
 
Ikkaku aveva preso a mordersi il labbro inferiore, meditando su quanto appena appreso.
 
“Detto così, riesco solo a pensare ad un ossimoro. Più vivi, più ti fai uccidere?”

“Paradossalmente sì. Se per qualsiasi motivo la mia frequenza cardiaca accelera, automaticamente do’ un incentivo ai bacilli. E forse è per questo che quando ho tentato di usare i miei poteri, ieri, ho avuto le due crisi.”
 
“Ma non ha senso… Scusa, cosa dovremmo fare per salvarti dall’avvelenamento… fermarti il cuore?”
La sua rabbia, il suo sdegno e quella lieve nota di disperazione erano diretti unicamente contro quello stramaledetto morbo dagli effetti brutali ed apparentemente irrimediabili, ma non era stato certo il Piombo Ambrato ad incassare il tono e la sarcastica quanto cruda domanda.
Law le aveva rivolto uno sguardo stanco e terribilmente serio, accompagnato da un sorriso amaro.
 
Credo di sì.”
 
Ikkaku era semplicemente rimasta a fissarlo inerme, coi begl’occhi nocciola sbarrati.
 
“Capitano!”
 
I due pirati si erano girati nella direzione da cui era provenuto il grido di Bepo, con solo un leggero tentennamento da parte della riccia.
 
Nel medesimo istante, la testa pelosa e soffice del vicecapitano aveva fatto capolino dalla porta principale dell’edificio.
Il visone non sembrava intenzionato a scattare fotografie e di ciò Law sarebbe stato sollevato, se solo non avesse letto agitazione negli occhi neri del suo migliore amico.
 
Fatta alzare Mara e affidandole i due bambini più grandi che reggeva, il medico si era precipitato verso l’uscio con ancora il neonato fra le braccia, maledicendo la propria umanità che gli impediva di lasciare su un freddo pavimento, senza cura alcuna, un bimbo di solo qualche mese di vita.
 
In piazza lo attendeva qualcosa che lo avrebbe fatto rabbrividire.
 
***
 
     I Pirati del Cuore si erano ritirati negli uffici ai pieni superiori del comune.
Avrebbero sinceramente desiderato tornare al Polar Tang, rannicchiarsi nella sala ricreativa, avvolti nelle coperte che usavano sulle isole invernali e passare una nottata con tutta la ciurma riunita, come facevano durante i compleanni o, come in quel caso, nelle giornate particolarmente difficili.
 
Lasciare da soli i malati, però, non era concepibile.
 
Soprattutto non potevano permettere che avessero la sola compagnia della marina.
Non dopo a quanto avevano assistito quel pomeriggio.
 
Il capitano si era lasciato cadere su una vecchia poltrona di pelle, sospirando sommessamente.
Forzando la vista e assottigliando lo sguardo, aveva cercato di leggere l'ora sull'orologio a pendolo al centro della parete sinistra della rustica stanza che li ospitava.
Doveva essere davvero spossato per faticare a vedere a pochi metri di distanza. 
 
Quasi la mezzanotte. 
 
Praticamente, si era ritrovato a pensare, aveva passato venti ore a fare il volontario del pronto soccorso.
 Beh, i suoi genitori sarebbero stati fieri di lui e questo era certamente consolatorio. 
 
Ricordava, infatti, le sere passate con la sorellina a cenare con esperimenti culinari appena sufficienti ad essere commestibili, in attesa del ritorno dei loro genitori, che amavano prodigarsi come e quanto più potevano per l'ospedale che dirigevano e per i paesi confinanti.
I coniugi Trafalgar rincasavano sempre poco prima che Law, da premuroso fratello maggiore qual era, mandasse a  letto Lamy, rivelando ai figli un aspetto stanco, talvolta preoccupato per la sorte di un paziente, altre soddisfatto per un'operazione chirurgica perfettamente riuscita, ma sempre, inevitabilmente, fiero del proprio lavoro.
 
Law sentiva di poterli davvero capire. 
 
Amava sinceramente essere un medico e, ora, sarebbe stato altrettanto fiero del proprio operato, come lo erano stati i suoi genitori e come lui stesso lo era stato salvando e assistendo svariate persone nel corso degli anni e delle leghe che aveva navigato, se solo non stesse scontrandosi continuamente con problemi che sfioravano il tragico.
 
Si era spostato più a destra che poteva sul cuscino della poltrona, portando le ginocchia al petto e facendo, così, posto anche per Penguin. 
 
Un altro sospiro era sfuggito alle sue labbra. 
 
“Stai bene, Law?”
 
“Sì… stavo solo rimuginando su tutto questo casino.”
 
Il nakama aveva annuito, comprensivo. Si era poi accomodato come meglio poteva nello stretto spazio, cingendo con un braccio le spalle di quello che considerava un fratello.
 
“Non preoccuparti,” aveva esordito, con un tono più mesto del suo usuale “nessuno di noi verrà contagiato. Quei soldati sono solo stati incauti.”
 
Già.  
 
Quei soldati
 
***
 
     Quando Bepo l'aveva chiamato, Law era corso fuori dal comune, nella piazza antistante. 
 
Lì, un gruppo di marine e uno di isolani si stavano massacrando
 
In realtà il secondo, malato e disarmato, era nettamente in svantaggio e di esso rimanevano ormai solo tre elementi.
 
Non aveva senso.
 
Si erano uditi due colpi d’arma da fuoco, che Pandaman non era riuscito a bloccare.
 
Non c'era nessunissima logica in quanto stava accadendo. 
 
White Fox aveva atterrato il marine che aveva appena ucciso altri due isolani, sparando loro alla testa.
 
Trafalgar era rimasto immobile e attonito fin troppo, permettendo ad un soldato di sparare in pieno petto all’ultimo civile che lo fronteggiava. 
 
I difensori della giustizia che uccidevano le persone che dovevano salvare?
 
Certo, Law sapeva che legge e vera giustizia erano due cose ben distinte, ma solitamente il governo commetteva crimini più subdolamente.
E poi, a che scopo quella carneficina?
 
O forse tra le varie conseguenze della malattia che affliggeva l'arcipelago c'era pure la pazzia? 
Quindi, magari, alcuni sfortunati infetti erano diventati folli e avevano aggredito i soldati, mentre questi ultimi si stavano solo difendendo.
 
Quale che fosse la ragione, Law non era stato capace di agire immediatamente. 
 
No, perché oltre all'assurdità di tale violenza, la supernova si era accorta di una cosa che altrettanto la sconcertava: anche quei soldati erano malati.
 
Respiro affannoso, occhi liquidi, smorfie di dolore nel muovere i muscoli.
Erano chiaramente malati.
 
L'epidemia era dunque altamente contagiosa e aveva già fatto nuove vittime. 
 
I Pirati del Cuore potevano essere le prossime.
 
Trafalgar Law non voleva permetterlo.
 
E non l'avrebbe permesso. 
 
Gli scoppi dei fucili ai danni degli isolani avevano spaventato il bambino che teneva in braccio, facendolo piangere. 
Le urla acute e la determinazione a voler trovare il più velocemente possibile una cura, cosicché nessuno dei suoi rischiasse la vita, erano finalmente riuscite a ridestare il pirata.
 
Law aveva passato a qualcuno della sua ciurma il piccolo terrorizzato, non badando a chi, ma sapendo che era in buone mani e aveva ordinato a Jean Bart di porre fine a quello scontro, mentre lui correva a fermare l'emorragia toracica dell'uomo a cui avevano sparato. 
 
Il mezzo gigante si era frapposto tra i due miseri schieramenti, stritolando nelle enormi mani i fucili dei militari. 
 
Nel frattempo, Sengoku e alcuni marine erano sopraggiunti. L’ex grandammiraglio pareva essere divenuto bianco come un lenzuolo o come un attacco drastico del Piombo Ambrato, mentre i suoi sottoposti, seppur apparentemente turbati, si erano scambiati cenni col capo, che non parevano correlati ad alcuna indicazione del loro superiore e che Law non sapeva come interpretare.
 
Il medico si sarebbe volentieri concesso del tempo per capire cosa significassero quegli ammiccamenti, ormai sospettoso nei confronti della marina, ma il polmone sinistro del suo paziente aveva scelto di dare forfè e collassare, seppur non fosse stato scalfito dal proiettile.
Così, per aggiungere un po’ di brio a quella giornata che il polmone trovava noiosa.
 
“Merda…” Law era tornato a concentrarsi sul petto ormai vermiglio dell’uomo.
Doveva operarlo e doveva farlo in fretta, ma c’erano giusto giusto due enormi complicanze per quello: non aveva a disposizione tutti gli attrezzi che gli servivano e non esisteva un luogo sterile dove farlo.
 
Paradossalmente, il posto meno contaminato era proprio sui freddi ciottoli di quella piazza, essendo gli edifici che li circondavano abitati o comunque frequentati dai malati.
Penguin doveva essere giunto alla sua stessa conclusione, perché l’aveva presto affiancato, portando tutte le valigette mediche che era riuscito a trasportare da solo.
 
“Puoi farcela.” Il suo compagno aveva ricercato il suo sguardo, aggiungendo le proprie mani sul torace ferito, imprimendo la giusta pressione e dando il cambio a Law.
“Abbiamo bisturi, disinfettante, flebo e garze. Meno della metà di quel che servirebbe ad ogni medico per un’operazione del genere, ma tu non sei certo un medico qualunque.”

Trafalgar Law si era sfilato i guanti di Ikkaku, indossandone un paio sterili estratto da una delle valige.
 
Per un istante aveva considerato l’idea di sfruttare una Room per salvare quel poveraccio, dimentico della sua impossibilità di utilizzare il suo Frutto del Diavolo. La compassione per un suo paziente in fin di vita e la stanchezza dovuta al malanno l’avevano destabilizzato.
 
Ma fortunatamente aveva una ciurma di fangirl devote.
 
Penguin aveva ragione, poteva salvarlo. Era difficile, molto più difficile di quanto lo sarebbe stato operarlo con gli stessi attrezzi, ma in un ambiente pulito od operarlo con attrezzi adeguati, ma in un ambiente contaminato.
 
Lui, però, era il Chirurgo della Morte e “molto difficile” lo considerava solo “molto interessante”.
 
Rapidamente aveva osservato ogni materiale a sua disposizione, dopo aver rovesciato il contenuto di ogni valigetta ad un’accurata distanza dal corpo quasi esanime, ma tenendoli a portata di mano
 
Un ghigno gli aveva adornato il bel viso, seguito da una luce ambigua negli occhi chiari.
Un bagliore di follia, avrebbero potuto definirla in molti.
 
E non si sarebbero sbagliati neanche un po’.
 
Aveva scartato più frettolosamente che poteva pastiglie di antidolorifici diversi, polverizzandole con l’ausilio di un povero sfigmomanometro e inserendo il risultato nella soluzione di una flebo di integratori, condendo il tutto con un’aspirina.
 
“Puoi shakerare il cocktail, Uni?” Senza attendere risposta, Law gli aveva rifilato l’intruglio di farmaci.
Il nakama aveva eseguito come un automa la richiesta del proprio capitano, chiedendosi quale contorta e geniale idea avesse avuto questa volta.
 
“Ho solo creato una droga.” Aveva spiegato il dottore, trafficando con elastici emostatici e le sottili custodie di alcuni bisturi.
 
Al che, Uni si era bloccato, così come avevano fatto Jean Bart e Sengoku che stavano trasportando altrove i marines contagiati ed ognuno dei presenti aveva preso a fissare Trafalgar Law per il pazzo che era.
 
“Non avrà conseguenze negative sul suo organismo, ma per alcune ore altererà in modo considerevole il suo sistema nervoso. Ho considerato il dolore neuropatico ed ho applicato il concetto alla base di quel disturbo in maniera inversa. In altre parole, l’ho anestetizzato pesantemente, non sentirà neanche una palla di cannone in faccia per un giorno o due, ma almeno non morirà dal dolore di un’operazione a cuore aperto.”
 
Ognuno aveva preso a fissare Trafalgar Law per il pazzo geniale che era.
 
Terminata anche la costruzione dei divaricatori di fortuna, che aveva subito affidato a Shachi, il quale aveva riconosciuto lo scopo di quel groviglio di elastici e custodie, Law aveva afferrato la cartuccia della flebo, armeggiando per regolarla ed era pronto ad inserirla nel braccio del suo paziente, quando questi, che fino a quell’istante era parso agonizzante, l’aveva afferrato saldamente al polso, fissandolo disperatamente.
 
“Loro… l-loro sono…” Ma non era solo apparentemente in fin di vita, lo era davvero e quel breve utilizzo di energie aveva fatto perdere i sensi all’uomo.
 
Law avrebbe voluto sapere cosa stava per dire.
Era quasi sicuro che gli stesse per rivelare qualche sinistra verità sulla marina.
Eppure, Sengoku gli era sembrato sinceramente scioccato da quanto aveva visto compiere ai suoi sottoposti.
 
Era tutto molto intrigato e avrebbe indagato al riguardo, ma non in quel momento.
 
Ora, doveva salvare la vita a quell’uomo.
 
***
 
     Col senno di poi, era stata un’operazione estremamente rozza e grossolana.
Anche folle, senza dubbio.
 
Le voci secondo le quali Trafalgar Law compiva esperimenti sugli esseri umani potevano tranquillamente essere alimentate e rafforzate dall’episodio di quel pomeriggio.
Che poi fossero di fatto fondate, ma sempre con risultati estremamente positivi sia per il dottore sia per la sua “cavia”, era un altro discorso.
 
L’intervento era riuscito con successo, con sommo orgoglio della sua ciurma, che l’aveva idolatrato fino a quando si era resa conto che, mentre il suo paziente stava bene, era Law ad avere qualcosa che non andava.
 
Per tutto il tempo che aveva passato chino sul torace di quel poveretto, l’avevano visto strizzare gli occhi e avvicinarsi eccessivamente agli organi esposti per poterli osservare adeguatamente.
Aveva sospirato di sollievo quando Ikkaku gli aveva passato un panno fresco sulla fonte imperlata di sudore e lei poteva giurare che la sua pelle fosse eccessivamente calda, anche per essere esposta ai raggi del sole e per star affrontando un lavoro tanto delicato quanto impegnativo.
 
I Pirati del Cuore si erano rallegrati solo quando era finalmente calata la notte.
 
Non c’era stato verso di fermare Law dall’assistere i malati, anche dopo la fatica che aveva fatto eseguendo l’operazione, ma potevano capire i suoi sentimenti; per ogni morto, qualcuno avrebbe sofferto e se nessuno le avesse aiutate, tutte quelle persone sarebbero decedute.
Law voleva evitare che Flevance si ripetesse, anche se con altri protagonisti e in un’altra nazione.
 
Ma ora che quasi tutti erano addormentati e quieti, Trafalgar Law aveva potuto darsi pace ed i suoi pirati l’avevano trascinato in quella stanza al secondo piano, che in qualche modo li avrebbe accolti tutti e ventuno.
 
Shachi si era seduto contro Bepo, sdraiato ai piedi della poltrona su cui stavano Law e Penguin. Circondato dai suoi tre migliori amici e dal resto della loro famiglia, il visone non avrebbe potuto chiedere di meglio per terminare quell’ardua giornata.
I tre ragazzi dovevano condividere sentimenti simili, perché Law si era accoccolato contro la spalla di Penguin, mentre quest’ultimo sbadigliava e il rosso cercava una posizione migliore sul fianco del loro vice.
 
Ma c’era una nota amara ad impedire ad ognuno di loro di addormentarsi.
 
Il capitano aveva riaperto gli occhi, osservando il resto del suo equipaggio essere ancora perfettamente vigile e con una lieve smorfia di preoccupazione sul volto di ognuno.
 
“Law” Clione, dall’altra parte della stanza, si era fatto coraggio per tutti. “la marina trama qualcosa.”
 
***
 
     Si erano addormentati dopo una discussione che non aveva portato a nulla di concreto.
Tutti condividevano il sospetto di Clione e cercavano prove tangibili per sostenerlo, ma nulla sembrava sufficiente.
 
Mancava un elemento fondamentale, il pezzo del puzzle che completava la figura.
 
Dei soldati avevano ucciso dei civili, ma le cause di quello scontro erano sconosciute e Sengoku, erano tutti concordi, era un uomo che si prodigava davvero per la giustizia, quindi o non aveva niente a che fare con il complotto dei suoi sottoposti o non esisteva nessun complotto e gli Heart Pirates si stavano creando problemi inesistenti, perché stressati e spossati dal dover gestire due malattie letali contemporaneamente.
 
Se solo l’uomo che Law aveva operato avesse terminato la frase, avrebbero avuto quel pezzo in più, ne erano tutti certi.
 
Qualcosa aveva attivato l’haki dell’osservazione della supernova, ridestandola.
 
Trafalgar aveva schiuso gli occhi, ancora frastornato dal sonno e deciso a non alzare la testa dal grembo di Penguin, dov’era scivolata.
 
Non si sentiva per niente meglio dalla dormita fatta, che forse era durata solo un paio d’ore o poco più.
Durante il sonno, in qualche modo, quel simpatico del suo cervello aveva continuato a ragionare, per nulla intenzionato a spegnersi e riposare.
 
A volte detestava il suo quoziente intellettivo eccessivamente alto.
 
In compenso, si era ricordato di una chiacchiera particolare fondamentale.
 
Forse erano stati precipitosi a decretare che per risolvere l’enigma della marina, se davvero questi esisteva, mancava loro solo un tassello.
 
Ancora una volta qualcosa aveva fatto sì che il suo haki lo mettesse in allerta e ora Law era completamente vigile.
Nel medesimo istante, aveva udito i respiri di alcuni suoi compagni variare.
Anche i loro haki rompevano le palle a dovere.
 
Nessuno pareva intenzionato a muoversi o capace di identificare cosa li avesse preoccupati nel subconscio.
 
Erano tutti terribilmente stanchi e speravano di essersi ingannati per poter tornare a dormire.
 
L’urlo agghiacciante e disperato di una vocina potente e a loro ben nota, li aveva subito convinti a dire addio ai loro cuscini per quella notte.
 
Uno dopo l’altro i Pirati del Cuore si erano precipitati nell’androne principale del comune, facendo le scale con balzi più che con salti.
 
Mara piangeva disperata, accasciata ai piedi dell’uomo che Law aveva operato nel pomeriggio.
 
“È morto!” La bambina aveva le mani strette tra le trecce ormai disfatte. Grosse lacrime le rigavano il viso e non si era accorta né della presenza dei pirati, né di aver ridestato molti suoi compaesani con le sue grida.
Parlava con se stessa, doveva capacitarsi e capire cos’era successo.
 
Law aveva sgranato gli occhi. 
Quell'uomo era stato perfettamente stabile quando si erano congedati. 
Subito dopo l’intervento, la sua ciurma aveva trasportato dal Polar Tang il necessario per monitorare il paziente e assicurarsi che tutto fosse andato a buon fine.
 
“È morto…!”
 
Per essere un uomo che aveva appena subito un’operazione chirurgica era stato un uomo perfettamente sano.
La malattia di cui era stato afflitto, infatti, non aveva interferito o approfittato della grave ferita subita.
E gli uomini sani non potevano morire
 
 “Il mio papà è morto!”
 
A meno che venissero uccisi.

 
°° FINE CAPITOLO °°



*Si nasconde dietro a Law per non essere picchiata*
Ehm, salve? 
Sì, lo so, sono leggermente in ritardo. 
Beh, due anni non è esattamente un leggero ritardo, ma... meglio tardi che mai?

Mi scuso davvero per le mie orride tempistiche. 
Purtroppo a volte ho blocchi che mi impediscono di scrivere un determinato pezzo e sono terribilmente duraturi.

Spero vorrete lasciarmi un parere per questo capitolo, anche un insulto per essere lenta negli aggiornamenti :'D 

Baci,

Pawa

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


°° Il Mostro Bianco °°

 

- Capitolo VI -



     Alla fine avevano dovuto sedare Mara.
 
Tutta quell’agitazione non faceva bene né a lei né agli altri isolani né a Law.
 
Il medico, infatti, si era risvegliato con un mal di testa persistente e Penguin temeva dentro di sé che fosse il preludio di un altro attacco del Piombo Ambrato, perciò era ricorso ad un leggero sonnifero per la piccola.
 
Era poi tornato dal suo comandante, dopo aver affidato la giovane malata alla madre in lutto ed essersi assicurato che anche quest’ultima non necessitasse di aiuto.
 
“Dove stai andando?” Il pinguino aveva sorpreso il fratello con uno zaino in spalla, Kikoku alla mano ed ormai sull’uscio del comune.
 
“Alla nave. Ho fatto portare là il corpo di quel poveraccio… con tutte le precauzioni” aveva poi aggiunto, notando il cipiglio dell’amico e dubbioso circa cosa l’originasse “quindi non impesterà casa nostra con l’epidemia.”
 
Il compagno gli si era avvicinato fin troppo secondo i gusti di Law, squadrandolo malamente.
“Non è l’epidemia che mi preoccupa, ma tu che gironzoli da solo senza dirmi nulla. E poi non dovresti darti tanto affanno, non puoi stare qui tranquillo per un po’?”
 
Trafalgar aveva sbuffato.
 
Era certo che se sua madre fosse stata viva sarebbe stata meno chioccia iperprotettiva di Penguin.
 
“Viene Bepo con me. E no, devo andare. Voglio capire com’è stato ucciso…” l’ultima frase era stata solo un sussurro, più un proprio ragionamento che qualcosa che dovesse essere udito, ma non era sfuggita all’altro pirata.
 
“Quindi è assodato che si tratta di un omicidio?”

Avevano iniziato a scendere lentamente gli scalini che collegavano il municipio alla piazza, attendendo insieme l’arrivo del Visone.
 
“Sì, sono certo che l’operazione sia stata un successo e che non ci siano state complicazioni derivate da essa o dalla malattia di questo posto. L’ultima volta che ho ricontrollato le condizioni del padre di Mara è stato prima di congedarmi al piano di sopra ed erano perfettamente stabili.”
Law aveva inspirato profondamente, infastidito dall’ennesima seccatura di quei giorni e dal peso dello zaino che per qualsiasi motivo lo stava affaticando quando ancora non aveva fatto un passo.
 
“Se ci fosse stata in corso un’infezione o qualcosa di simile i monitor a cui lo abbiamo collegato l’avrebbero rilevato e nelle scarse cinque ore che sono intercorse prima che rinvenissimo il cadavere, non può essere accaduto alcunché di naturale che lo uccidesse.”
Si era stropicciato gli occhi, sperando con quel semplice gesto di levarsi un po’ di stanchezza.
 
“In realtà, riesco a pensare a qualche causa naturale di morte a cui potrebbe essere andato incontro, ma sono poco probabili. In ogni caso l’autopsia ci darà tutte le risposte che cerchiamo.”
 
Penguin aveva annuito a malincuore, conscio che l’unico in grado di risolvere quell’arcano era proprio Law.
 
Ricordava quando da ragazzini, a Pleasure Town*, Law aveva traumatizzato l’ospedale dove lavorava perché aveva dissezionato per la prima volta dei cadaveri, sicuro che analizzandoli ne avrebbe compreso la causa del decesso.
All’epoca, però, nessuno immaginava che si potessero trarre informazioni dallo studio dei morti e difatti alcun medico aveva mai tentato prima un’autopsia.
 
Un sorriso nostalgico si era formato sul viso di Penguin.
 
Quante cose erano cambiate da allora.
 
Adesso esisteva addirittura una disciplina apposita per lo studio dei cadaveri e chi più chi meno in modo condiscendente sapeva di dover attribuire a Trafalgar D Law il merito della nascita di un’importante nuova branca della medicina.
 
E il soprannome “Chirurgo della Morte”, tra gli altri motivi per cui glielo avevano attribuito, calzava a pennello.
 
“Captain! Scusa il ritardo!”
 
Bepo aveva riportato alla realtà il pinguino, correndo verso Law e chinandosi quando ormai gli era prossimo per farsi accarezzare sulla testa.
La sua tenera e tonda coda avrebbe sempre dimostrato quanto apprezzasse le attenzioni che giornalmente gli riservava il compagno, agitandosi in piccoli e tozzi movimenti sotto la tuta arancione.
 
“Sai, Penguin…”
Lo sguardo del ragazzo era tornato a Law, che invece guardava con aria assorta il pelo candido del suo Vice, mentre gli grattava dolcemente il retro delle orecchie.
“Potrebbe essere fondamentale questa autopsia. A dirti la verità, quando mi sono reso conto che non riuscivo a diagnosticare nulla visitando questi malati, ho sperato che ne morisse uno cosicché lo potessi analizzare a dovere.”

Aveva poi catturato i suoi occhi con i propri, sorridendo in modo ambiguo.
 
“Un discorso da stronzi, specialmente per un dottore, vero?”
 
Il pirata aveva abbassato le palpebre, sorridendo a sua volta.
No, in fondo non era un discorso da stronzi, per quanto lo paresse se non ragionato a dovere.
Purtroppo sembrava essere impossibile determinare di cosa fossero afflitte quelle persone semplicemente con una visita medica e qualche analisi e se non si trovavano la causa e la cura sarebbero morte tutte, quindi, per quanto tragica fosse stata, la dipartita di quell’uomo poteva essere provvidenziale.
 
“Io direi più che è il discorso di un medico lungimirante. Un discorso da te.”
 
A tal risposta Law aveva ridacchiato.
“Allora sarà meglio che vada.”
 
Facendo poi un cenno di saluto al compagno aveva invitato il loro navigatore ad avviarsi finalmente al Polar Tang.
 
“Mi raccomando, Bepo.” L’aveva però richiamato Penguin facendolo fermare, alludendo alla salute del loro amico.
L’orso polare si era voltato, annuendo, prima di tornare sui suoi passi e raggiungere Law.
 
Penguin era rimasto ad osservare i suoi nakama allontanarsi finché non avevano svoltato lo stesso angolo da cui il giorno precedente, camminando in direzione opposta, avevano visto aprirsi la piazza del comune.
 
Era infine rientrato, deciso a darsi da fare e dirigere insieme a Shachi i soccorsi, poiché dopo il loro dottore erano loro due i più competenti in medicina, per quanto, in realtà, fossero poco più esperti di semplici infermieri.
 
Si era però subito bloccato, fissando un’ala in particolare del palazzo.
Solo un altro attimo di tentennamento prima che poi vi si dirigesse con passo deciso.
 
Non poteva lasciare che fosse Law il solo che indagasse sulle stranezze di quell’isola.
 
***
 
     Capitano e Vice dei Pirati Heart erano giunti alla loro imbarcazione, rinchiudendosi immediatamente in obitorio.
 
La salma del padre della loro piccola guida era distesa su uno dei tavoli centrali, chiusa ermeticamente in un sacco apposito.
 
Bepo aveva presto radunato il necessario per l’autopsia, sistemando accuratamente ogni strumento su un tavolino ospedaliero e avvicinandolo a Law, mentre quest’ultimo, dopo essersi velocemente cambiato, si accingeva ad aprire la cerniera del sacco.
 
Un volto esangue e cereo era ciò che per primo era stato incontrato dagli occhi attenti del medico.
Adulti, bambini, uomini o donne che fossero, le persone davanti alla morte erano così tremendamente simili con quei visi pallidi e inanimi, le sclere nere e le iridi vitree.
 
Law aveva chiuso gli occhi per un attimo, smettendo finalmente di contemplare la faccia marmorea del defunto, eccessivamente rapito dall’aspetto che l’assenza di vita faceva assumere agli uomini.
 
Era da anni che non rimaneva a fissare il volto di un morto.
 
Forse l’ultima volta che l’aveva fatto stava guardando attraverso le lacrime i corpi dei suoi genitori trucidati.
 
Il chirurgo aveva schiuso le palpebre, assumendo un’aria perplessa e forse un poco inquieta.
 
Effettivamente non era mai stato colpito dalla vista di un cadavere.
Non da dopo che aveva superato i propri traumi del passato, perlomeno.
 
“Capitano?”
 
Sollevando il capo aveva incontrato il muso preoccupato di Bepo avvolto in una mascherina ospedaliera.
 
Il ragazzo aveva scosso leggermente il capo, accantonando ogni ambiguo pensiero che gli era sorto in quei pochi attimi.
 
“Procediamo.”
 
Aperto completamente il sacco e rivelando per intero il corpo svestito del suo ex paziente, Law aveva preso a studiare ogni lembo di pelle, sollevando e spostando a fatica gli arti irrigiditi con l’aiuto del Visone, alla ricerca di una ferita, un ematoma, qualcosa fuori dalla norma che avrebbe potuto suggerire una serie di ipotesi sulla causa del decesso.
Una leggera imprecazione gli era sfuggita quando aveva dovuto controllare tra le dita serrate a pugno, così bloccate dal rigor mortis.
Separarle senza graffiarle era stato difficile e la sua inesistente pazienza di quei giorni non l’aveva aiutato.
 
Dopo ormai un’ora aveva analizzato ogni superficie della salma, ma non pareva esservi traccia di qualunque cosa di interessante.
 
Si era dunque sbagliato sull’omicidio?
Ne dubitava.
 
Forse era solo giunto il momento di passare alla dissezione.
 
Law aveva preso in mano il bisturi, sollevandolo all’altezza della clavicola dell’uomo, ma riappoggiandolo sul tavolo di ferro subito dopo.
 
La testa gli pulsava e la vista gli si era annebbiata un paio di volte durante l’esame superficiale del cadavere.
Per questo, con estrema vergogna in quanto padre della medicina post mortem, non era totalmente sicuro di voler muoversi allo stadio successivo.
Ma non era per quello che aveva deciso di posticipare l’autopsia.
 
No, c’era un elemento che non gli tornava e il fatto che non l’avesse subito considerato era sicuramente a causa della sua indisposizione.
 
“Bepo,” aveva poggiato le mani sul tavolo dell’obitorio, lasciando che fossero esse a sostenere il peso del suo busto sporto in avanti “quante ore fa è morto?”
 
L’orso aveva spostato le orecchie all’indietro a quella domanda, in un gesto che pareva quasi di sottomissione, come se non avesse saputo rispondergli.
 
“Da quel che si è capito dagli strilli della signorina Mara, era ancora tiepido quando ha scoperto che era morto e contando il tempo trascorso da allora fino ad adesso… saranno circa cinque ore.”
 
Il viso del medico aveva dunque rivelato un ghigno sapiente.
 
“E dimmi, ricordi quando ti ho spiegato come funziona il rigor mortis?”
 
Le orecchie del navigatore erano ora appiattite sulla nuca e se solo Bepo non avesse fatto spontaneamente eco alle parole che il suo capitano aveva usato per esporgli quell’argomento, avrebbe probabilmente chiesto scusa per neanche lui sapeva cosa.
 
“È l’irrigidimento dei muscoli dopo la morte a partire dai più piccoli, anche se avviene più o meno contemporaneamente in tutto il corpo. Quando mascella, gomiti e ginocchia sono completamente immobili, il processo è terminato e per giungere a questo stadio ci si impiega un minimo di…” Gli occhioni neri del Mink avevano brillato, orgogliosi dell’intuito del suo capitano.
 “…di dieci ore.”
 
“Promosso, Bepo. Hai omesso i processi chimici che il rigor mortis comprende, ma sei arrivato dove ti volevo portare.” Il chirurgo si era passato vigorosamente il dorso della mano sulla fronte, cercando di attenuare quell’insistente battito che sentiva in testa. Avrebbe dovuto cambiare il guanto di lattice, ma almeno ora aveva trovato qualcosa nonostante non fosse completamente lucido.
 
“Ora, mentre il tipo di sostanza usata mi interessa relativamente, mi chiedo solo come gliela abbiano somministrata…”
 
Determinati tipi di droghe potevano accelerare il rigor mortis considerevolmente e da solo il fisico non andava in contro a nulla di naturale capace di eguagliare la velocità di irrigidimento dei muscoli indotta da overdose di qualche sostanza. 
 
In altre parole era finalmente certo che quell’uomo fosse stato ucciso.
Non restava da capire con cosa nello specifico e come.
 
Law aveva rilasciato un respiro tremante, portandosi indice e pollice a premere leggermente contro le sue palpebre chiuse.
Appena aveva tentato di controllare nuovamente e accuratamente la pelle del cadavere, gli occhi avevano subito iniziato a bruciargli e lacrimare.
 
“Capitano, hai bisogno di qualcosa? Magari fai una pausa…”
 
L’orso polare aveva notato la fiacchezza dell’amico già dal momento in cui erano stati bruscamente svegliati quella notte ed ora gli era impossibile ignorare le smorfie di dolore che mostrava.
 
Trafalgar si era allontanato dal tavolo, la mano ancora sugli occhi, cercando a tentoni uno sgabello su cui adagiarsi per qualche istante.
Bepo gliene aveva immediatamente portato uno, aiutandolo a sedersi.
 
“Magari…” aveva mormorato Law “… magari controlla tu nuovamente l’epidermide.”
 
Bepo guardava il compagno, poi il cadavere e nuovamente il suo comandante.
 
“Law, lo so che è importante quest’autopsia, ma se stai male è meglio occuparci prima di te.”
 
Il ragazzo aveva scosso il capo, levandosi finalmente la mano dal viso e aprendo a fatica gli occhi, per guardare il Visone con un debole sorriso.
 
“È solo la spossatezza di questi giorni e tutto lo stress che si sono accumulati. Nient’altro. Ora vorrei solo capire come abbiano fatto a somministrare a quell’uomo della droga, quando era intubato e quindi per via orale era impossibile. L’unica è per endovena, ma dove si potrebbe inserire una siringa senza lasciare trac-…”
 
Gli occhi ancora sofferenti si erano spalancati ed il giovane medico era scattato in piedi, barcollando solo lievemente, prendendo per mano Bepo e portando entrambi innanzi al tavolo su cui giaceva il defunto.
 
“Senti odore di sangue, anche molto flebile?”
 
Law aveva portato una mano dietro la nuca del navigatore, abbassandogliela senza irruenza all’altezza del ventre dell’uomo.
 
Bepo avrebbe preferito vedere il suo capitano ancora seduto, ma sapeva che doveva aver intuito qualcosa e non poteva, quindi, che assecondarlo.
 
Annusando profondamente e concentrandosi era infine riuscito a scorgerla.
Lieve e quasi impercettibile anche per un olfatto finissimo come il suo, ma c’era e l’orso l’aveva sentita.
 
Una piccola scia di sangue.
Forse generata da una ferita non più larga di uno spillo.
 
La ferita lasciata dalla puntura di una siringa.
 
“Capitano, è qui!”
 
Sul volto del moro si era allargato un sorriso tronfio, guardando dove il dito artigliato di Bepo indicava, confermando la sua teoria.
 
L’ombelico.” Trafalgar aveva dato una pacca sulla spalla al suo Vice, oltrepassando il tavolo e recuperando da un armadio di metallo il necessario per gli esami del sangue, lanciando il tutto a Bepo, che lo aveva afferrato  per miracolo.
“Mi chiedo come possa n-non averci pensato prima.”
 
Il Visone guardava angustiato il proprio amico, non sapendo se essere felice della sua ritrovata energia o preoccupato poiché certamente tutta quell’agitazione non gli giovava. 
 
 “O-ora dobbiamo accertar-…c-ci di quale stupefacente si tratta!”
 
Il medico era tornato ad affiancare il compagno, ignaro della difficoltà crescente con cui stava articolando le proprie frasi e portando con sé una serie di provette e soluzioni che avrebbero identificato il tipo di droga utilizzata per l’omicidio, sistemandole sul tavolino degli attrezzi.
 
“D-dopodiché procederemo con… l’autopsia e così… c-così potrei trovare…”
 
“Capitano!”
 
Gli occhi di Law si erano chiusi e nello stesso momento le sue gambe avevano ceduto, sbilanciandolo all’indietro.
Bepo lo aveva prontamente afferrato, tenendolo saldamente tra le proprie braccia.
 
“…l-la cura… per queste… persone…”
 
Il suo sussurro si era dissipato con la sua coscienza e ora Law giaceva inerme contro al petto di Bepo.
 
“Oh, capitano…”
 
L’orso, mortalmente preoccupato, aveva sollevato l’amico a mo’ di sposa e si era poi precipitato in infermeria.
 
Non era granché esperto in medicina, conosceva solo alcuni argomenti e solo a livello teorico, ma erano soltanto lui e Law sul Polar Tang e quindi doveva fare qualcosa per aiutarlo.
 
Adagiandolo su un letto, alzandogli le gambe e inserendogli diverse flebo che aveva visto usare al suo capitano in situazioni simili, il Mink aveva preso a camminare su e giù per la stanza, pregando che il compagno si risvegliasse presto e più sano di prima.
 
Non sapeva neanche se le gambe alzate avessero un senso con gli integratori che gli stava somministrando o se quegli stessi integratori servissero in caso di svenimento o si stava confondendo con altri.
 
Comunque fosse, certo non gli avrebbero fatto male.
Giusto?
 
Doveva chiamare Penguin.
 
Ma dov’era il lumacofono?
 
Aprendo alla rinfusa i vari cassetti della scrivania di Law cercava disperatamente la lumaca di comunicazione, ma oltre a disordinare pile di fogli scritti dal suo capitano e fare un gran baccano, non serviva a nulla.
 
Guardandosi poi attorno aveva sperato di scorgere l’oggetto delle sue ricerche tra le medicine su una mensola od in mezzo ai libri sugli scaffali, conscio che Law, per quanto maniaco delle pulizie fosse, era totalmente disordinato con cose di sua proprietà che definiva “non di stretta necessità”.
 
Che in questa categoria facesse rientrare anche i vassoi carichi di cibo che gli portavano quando si rintanava a studiare tutto il giorno e la maggior parte dei suoi vestiti era un fatto che Bepo aveva deciso di tralasciare e dimenticare, almeno in quel momento.
 
E quando ormai il Visone era prossimo ad un pianto isterico, finalmente l’aveva vista.
 
Là, nel punto più stupido dove si potesse collocare un lumacofono, tanto che forse c’era dietro lo zampino di Shachi, ma non escludeva che Law, a volte, facesse certe cazzate.
 
Raggiungendo ad ampie falcate il modello dello scheletro umano, aveva sfilato dalle sue falangi piegate ed incastrate all’altezza del cranio la lumachina, chiedendosi a chi cavolo fosse venuto in mente di far simulare ad un manichino una telefonata.
 
Bah, gli umani erano strani.
 
A prescindere dall’artefice di quel fatto, finalmente il navigatore era ora in possesso di ciò che gli avrebbe concesso di chiedere aiuto.
 
Composto il numero di Penguin, non gli restava che avviare la telefonata, ma la flebile voce del suo comandante l’aveva richiamato, togliendogli al contempo un peso dal cuore.
 
“Bepo…”
 
L’orso si era affrettato al suo capezzale, dimenticandosi della den den mushi e   prendendo una sua mano tra le proprie zampe molto più grandi.
 
“Capitano! Mi hai fatto spaventare, mi dispiace! Come stai?”
 
Il ragazzo aveva aperto gli occhi a stenti, impiegando decisamente troppo tempo per mettere a fuoco la figura del suo Vice e sentendo distintamente qualcosa nella sua testa bruciare.
 
“… Tranquillo, è stato solo un mancamento…”
 
Sperava di non essere messo così male dall’aver palesato la sua bugia, ma per sua fortuna il suo navigatore, per quanto preoccupato fosse, credeva sempre e comunque alle sue parole.
 
“Okay…” Bepo non era certo che si trattasse di un semplice malore, ma si fidava del suo capitano. “…però è meglio se stai sdraiato, adesso. Chiamo Penguin e poi-…”
 
“No!”
 
Il discorso del Visone era stato bruscamente interrotto dal diniego del medico e se quest’ultimo fosse stato collegato ad un elettrocardiogramma, ora si sarebbe udita la sua frequenza cardiaca accelerare considerevolmente.
 
“Ma…”
 
“Bepo,” l’aveva chiamato nuovamente il moro mettendosi a sedere a fatica, nascondendo l’ottundimento che lo aveva colpito nel farlo “sai com’è fatto Pen. Se gli dici che sono svenuto ne farà una tragedia e non mi farà mai eseguire l’autopsia.”
Aveva catturato lo sguardo del navigatore col proprio, cercando di fargli capire quanto per lui fosse importante proseguire con l’analisi del cadavere che giaceva nel suo obitorio.
Sto bene. Ma non so per quanto ancora sarò in salute e se vado fuori gioco prima di aver capito cosa sta succedendo su quest’isola, tutta questa gente morirà per l’epidemia e forse anche per altro.”
 
Attraverso i suoi occhi arrossati il Mink aveva scorto una nota di malinconia, un sentimento che aveva visto in lui solo quando parlava del proprio passato.
 
Non voglio assistere nuovamente all’annientamento di una città.
 
Il messaggio era chiaro, non serviva che Law si forzasse a dirlo e Bepo non voleva obbligarlo.
 
Aveva capito.
 
Abbassando ancora una volta le orecchie e sospirando, il navigatore aveva annuito.
 
“Di cosa hai bisogno?”
 
Law aveva potuto espirare sollevato, riadagiandosi contro il materasso.
 
“Un collirio.”
 
Purtroppo per Bepo la siesta del suo capitano era durata poco più di un’ora, ma almeno il medico era riuscito a concedersi un po’ di sonno.
 
Ora nuovamente vigile, imbottito di antidolorifici ed indossando un paio di occhiali da vista che solitamente usava solo per leggere, era finalmente pronto per eseguire l’autopsia.
 
Se aveva calcolato bene le tempistiche, tempo di finire l’esame post mortem ed i risultati delle analisi del sangue avrebbero rivelato il tipo di droga utilizzata per l’omicidio.
 
Intanto, quindi, Law desiderava concentrarsi sulla ricerca e lo studio dell’epidemia che affliggeva quell’arcipelago.
 
Procedendo dal taglio a V sullo sterno, il bisturi affilato separava senza difficoltà alcuna l’epidermide e prima uno e poi l’altro, gli strati del derma e superando infine il tessuto adiposo, rivelava la carne sottostante. 
 
“Bene” aveva esordito il medico attraverso la propria mascherina “andiamo a scovare questa malattia.”
 
***
 
    Il comune era immerso in un silenzio indotto dalla paura.
Perfino chi pativa una potente tosse non osava emettere suono.
 
“Ti conviene abbassare quel coltello, sporco pirata.”
 
Penguin non si era mosso di un millimetro, mantenendo la pressione della propria lama sulla carotide di quell’ufficiale della Marina.
 
Sengoku aveva fatto armare il resto del plotone, facendo sì che ognuno mirasse al corpo del Pirata Heart, ma il silenzioso proiettile di agalmatolite che gli aveva prontamente sparato White Fox gli aveva impedito di impartire ulteriori direttive, oltre che di intervenire personalmente.
 
Shachi si era frapposto fra l’ex Grandammirglio ed il suo migliore amico, non temendo minimamente il centinaio di fucili che li circondava.
 
“Converrebbe a voi spiegarci cosa state tramando. Sono sicuro che il capitano non sarebbe felice di sapere che state facendo il doppio gioco.”
 
La leggenda della Marina aveva ringhiato, non comprendendo le azioni dei corsari con cui teoricamente stavano stringendo un’alleanza.
“Spero vi rendiate conto che non siete affatto in vantaggio numerico.”
 
Come a voler sottolineare l’avvisaglia del proprio comandante molti dei soldati avevano fatto scattare la sicura delle proprie armi, facendola risuonare nell’androne municipale.
“E che non basta un po’ di agalmatolite per fermarmi.”
L’uomo si era raddrizzato, gonfiando il petto e sovrastando con la propria altezza il rosso pirata.
 
Shachi non aveva vacillato.
Se fossero stati in guerra certamente avrebbe evitato di fronteggiare Sengoku Il Buddha, lasciando il piacevole compito a qualcuno di altrettanto potente come Law, ma non solo l’ex marine si era drasticamente indebolito dacché si era congedato dal servizio militare, ma era anche impossibilitato a mettere in atto le proprie minacce.
 
Infatti, se davvero il Governo Mondiale non era totalmente marcio ed aveva almeno dieci soldati che operavano davvero per la giustizia, quella decina comprendeva certamente Sengoku e mai avrebbe coinvolto dei civili malfermi e malati in uno scontro rovinoso con dei pirati.
 
“Noi stiamo solo cercando di aiutare questa gente! Perché ieri quelle canaglie hanno ucciso degli uomini?” Si era voltato nella direzione di Penguin, indicando con disprezzo i soldati messi alle strette dal suo amico. “Volete fare lo stesso con noi? Avanti, sparateci.” L’aveva provocato il ragazzo “Poi sta a voi gestire il Chirurgo della Morte incazzato nero.”
 
Shachi aveva osservato con divertimento come molti marine tremassero a quelle parole, qualcuno aveva addirittura abbassato la canna del proprio fucile.
 
Ah, quanto adorava la pessima reputazione del suo fratellino.
 
Un cenno di Sengoku aveva però infondato nuovamente vigore nei soldati, che avevano ripreso posizione.
 
“Vi prego, non è necessario combattere, vi dirò tutt-…”

Il sindaco Bentam aveva tentato di appacificare le due fazioni, ma uno dei marine malati gli si era buttato addosso inchiodandolo a terra, torcendogli malamente un braccio dietro la schiena.
Purtroppo per lui, non era stato abbastanza svelto da evitare che il primo cittadino dicesse troppo.
 
Mentre Sengoku sgranava gli occhi assistendo a dell’insensata violenza da parte di un militare nei confronti di un innocente, Clione si era precipitato dal sindaco, sferrando un mirato calcio nelle costole del soldato, che era rovinato contro una parete.
 
“Vedo che anche tu sei scioccato come noi” Penguin aveva preso la parola, rivolgendosi all’ex Grandammiraglio senza scostare la propria arma dalla gola dell’uomo che prima di ritrovarsi ad un passo dalla decapitazione aveva tentato di uccidere il pirata.
 
“Ora mi auguro che vorrai anche tu le nostre stesse risposte…”
 
***
 
     Trafalgar Law si era stiracchiato inarcando la schiena all’indietro e mugugnando di sollievo.
L’autopsia l’aveva costretto piegato sul tavolo dell’obitorio molto più tempo del previsto, ma ne era davvero valsa ogni fatica.
 
Si era sfilato i guanti, gettandoli in un cestino e poi gli occhiali, passandosi una mano sul viso stanco, prima di riappoggiarli sul setto nasale.
 
Si era poi appoggiato al carrello scorrevole su cui giaceva il suo nuovo cadavere preferito, spostando il proprio peso in modo che fossero le braccia a mantenerlo in piedi, il collo reclinato in basso, rivolto verso il defunto.
 
Il viso cereo era rimasto immutato, non scalfito dal bisturi, almeno non esternamente.
Le sclere e le labbra scure stonavano incredibilmente con la pallidezza della pelle e anche se spesso il pirata aveva trovato affascinante quel netto contrasto nelle sue cavie, ora c’era qualcosa che lo disturbava lievemente, pur non sapendo il perché.
 
D'altronde in giro si diceva che fosse un necrofilo e durante certe dissezioni particolarmente fruttuose aveva temuto di esserlo davvero.
 
Quindi perché in quel momento era diverso?
Cosa c’era che lo turbava?
 
Law aveva sospirato con rassegnazione.
Non importava.
 
In quei giorni ben poche cose lo compiacevano e ancor di meno non lo sconvolgevano.
 
Si era dunque spostato ai piedi del carrello, afferrando la sbarra posta sul margine inferiore e spingendola in avanti, chiudendo così il cadavere in una cella.
 
Bepo stava nel frattempo riordinando i suoi attrezzi ed il medico si era ritrovato a ringraziarlo mentalmente, perché non aveva né le forze né la voglia di farlo lui stesso.
 
Si era quindi diretto al lavandino mentre si levava nuovamente gli occhiali, desideroso di darsi una rinfrescata, conscio di non avere tempo per fare una doccia come in realtà avrebbe voluto.
 
Il suono di qualcosa che cadeva per terra rompendosi aveva sorpreso il Visone, facendolo distrarre dal proprio lavoro.
 
Gli occhiali da vista del suo capitano giacevano sul pavimento inermi, una lente uscita dalla montatura.
 
Law fissava inorridito innanzi a sé, incapace di muovere un muscolo.
 
Ora capiva.
 
Ora sapeva cosa l’aveva infastidito nel guardare il viso del defunto.
 
Dallo specchio sopra il lavandino il suo riflesso esangue e tremendamente pallido lo fissava con altrettanto disgusto.
 
Poi un sorriso amaro era comparso sul volto del dottore.
 
Se chiudo gli occhi, mi domando… cosa mi distinguerebbe da un morto?
 
***
 
     I due comandanti degli Heart Pirates erano tornati dalla loro ciurma quando ormai era il crepuscolo.
 
Speravano che riunendosi agli altri la tensione che si era creata al Polar Tang dopo la constatazione di quanto rapidamente e gravemente fossero peggiorate le condizioni di Law si smorzasse, magari con uno di quegli abbracci di gruppo che il capitano diceva di detestare, ma che in fondo adorava.
 
Invece, varcata la soglia, si erano immediatamente resi conti che doveva essere successo qualcosa di rovinoso anche lì.
Palese era, infatti, l’aria greve di ognuno dei presenti.
 
L’equipaggio aveva atteso il ritorno del proprio Captain con trepidazione ed ansia, troppe le cose importanti da riferirgli, ma vedendolo entrare finalmente nel municipio il tonfo che aveva fatto il cuore di ogni pirata era probabilmente stato udito sia da isolani che da marines.
 
Ikkaku si era portata una mano tremante davanti alla bocca, incapace di nascondere il proprio shock.
 
Dio, se era pallido come un lenzuolo.
 
La cute di Law era divenuta talmente bianca che i vasi sanguigni maggiori potevano essere visti senza troppo sforzo.
Lo scontro tra il nero del suo pizzetto ed il candore della sua pelle era attenuato solo dal pallido rosso delle sue labbra e della zona attorno agli occhi chiari e irritati.
E in realtà sia il pizzetto che i suoi capelli non erano più di un nero pece perfetto come erano sempre stati.
Sembravano aver perso colore perfino essi.
 
Soltanto Bepo era stato risparmiato dal trauma di vedere il proprio capitano col volto di un morto, poiché standogli accanto tutto il giorno aveva inconsciamente assistito al rapido mutamento del suo viso e dunque, di fatto, non l’aveva notato finché Law stesso non si era guardato allo specchio con ripugnanza.
 
Soltanto due elementi avevano trattenuto Penguin e Shachi dal correre incontro al loro fratellino piangendo per la preoccupazione.
 
Innanzitutto erano circondati da estranei e seppur ormai fosse evidente che qualcosa non andava in Trafalgar Law, non avevano intenzione di dare conferma al sospetto.
 
E poi c’era lo sguardo del loro capitano.
 
Era stanco, frustrato, ma brillava di una luce scaltra che significava qualcosa di positivo.
 
E se Law, conscio del proprio stato, riusciva a pensare a qualcosa di allettante, non sarebbero certo stati loro ad accrescere il peso che il Piombo Ambrato gli faceva gravare sulle spalle e sull’anima.
 
“Cos’è successo?” La domanda posta a loro dal medico era quasi ironica, poiché era esattamente la medesima che avrebbero rivolto a lui, ma non intendevano in alcun modo costringerlo a parlare del proprio peggioramento fisico.
Se ne avesse voluto discutere, avrebbe incalzato l’argomento di propria iniziativa.
 
Uni gli aveva offerto una poltrona, invitandolo a sedersi attorno alla tavolata dove si erano radunati per cenare di lì a poco.
Law l’aveva ringraziato con un cenno del capo, accettandola.
 
“Ti sei perso un bel po’ di novità, fratellino…”
 
Shachi si era messo a sedere sopra al tavolo proprio di fronte a Law, imitato da alcuni Hearts, mentre altri avevano trascinato le proprie sedie attorno a loro.
 
“Anche Bepo ed io abbiamo qualcosa da dirvi…” Aveva sorriso, rilassandosi contro i vecchi cuscini “… ma prego, prima voi.”
 
“Il massacro di ieri non mi era andato giù” aveva dunque incominciato Penguin, poggiandosi al bracciolo della poltrona del suo capitano “soprattutto vedendo come Sengoku, che teoricamente sarebbe a capo di questi soldati, paresse non sapere cosa stava accadendo. Quindi ho deciso di interrogare i soldati malati responsabili delle uccisioni degli isolani. E che dire… non sono stati granché collaborativi.”
 
A ciò il rosso compare era scoppiato a ridere, allentando il nervosismo che aleggiava in quell’atmosfera con la sua risata sempre genuina e contagiosa.
 
“Che dici, Pen? Hanno solo tentato di usarti come fodero per le loro spade.”
 
Law aveva ghignato, consapevole dell’incolumità del compagno.
“Non mi pare ci siano riusciti, però…”
 
“No, infatti” aveva ripreso il ragazzo più grande “ma ovviamente Sengoku ha attribuito a me la causa di quello scontro e così ha fatto armare tutti i suoi soldatini. Eravamo ad un passo dal combattere seriamente contro la Marina, ma poi è intervenuto il signor Bentam.”
 
Il chirurgo aveva alzato un sopracciglio.
In che modo il sindaco aveva potuto riappacificare due fazioni biologicamente nate per guerreggiare l’una contro l’altra?
 
Si trattava di Marina Militare e pirati, non certo del litigio di due fidanzatini.
 
“Forse, figliolo, è meglio che ti spieghi io da qui in poi…”
 
Oltre le spalle dei propri nakama Trafalgar aveva scorto la figura di Bentam, che si stava avvicinando.
 
Il primo cittadino era rimasto quasi scioccato nel vedere il viso cadaverico del pirata, ma si era immediatamente dato un contegno, attendendo che l’altro gli desse il permesso di parlare.
 
Law aveva squadrato l’uomo.
Sembrava stare leggermente meglio e quindi la broncopolmonite che gli aveva diagnosticato era stata abilmente evitata e la bronchite curata.
 
“L’ascolto…”
 
Bentam aveva preso un lungo respiro, prima di rivelare per la seconda volta in un giorno quello che era un tabù della sua isola.
 
“Tutti gli abitanti di quest’isola ad eccezione dei bambini più piccoli… sono ex pirati.”
 
Law aveva sgranato gli occhi.
 
Pirati.
Questo spiegava tante cose.
 
“Anni fa approdai con la mia ciurma su questo arcipelago allora disabitato. Uscivamo sconfitti da una battaglia navale e stanchi della vita da bucanieri. Avevamo perso tanti compagni, capisci?”
 
Aveva ricercato lo sguardo del ragazzo, constatando come lo stesse ascoltando attentamente.
L’aveva poi visto annuire.
 
“Decidemmo di stabilirci qui. Quest’isola in particolare ci offriva cibo e acqua potabile e tutto il necessario per costruire delle abitazioni. Così fondammo la nostra città. Sapevamo di essere al centro di una rotta assiduamente seguita e temevamo che altri pirati sarebbero giunti saccheggiandoci, quando ancora non avevamo finito di costruire le basi della nostra nuova vita. Invece, anche se tanti corsari sopraggiungevano, quasi nessuno ci derubava e anzi, molti seguivano il nostro esempio e la nostra comunità si è ingrandita considerevolmente.”
 
Parlava con occhi sognanti, memore dei bei tempi passati.
 
“Abbiamo vissuto in pace e senza mai uno scontro… fino a che il Governo Mondiale è venuto a conoscenza di questo posto.”

I suoi occhi si erano ora induriti e fissavano nulla nello specifico ai suoi piedi.
 
“Secondo la legge un criminale che non si è macchiato dei crimini più gravi può ricollocarsi nella società e vivere normalmente. Ovviamente non era intenzione del Governo lasciarcelo fare. Ha mandato una piccola flotta ad assillarci e provocarci, giorno dopo giorno. E non appena uno di noi si ribellava al vandalismo di quei soldati veniva arrestato ed ogni suo possedimento confiscato e rivenduto al Governo. Inutile dire che con la venuta di quest’epidemia, la Marina ha fatto festa con tutti gli oggetti rubati ai nostri morti di cui è venuta in possesso.”
 
Law aveva dovuto trattenere un sorriso tronfio.
 
Ci aveva visto giusto.
 
La notte precedente il suo cervello aveva a lungo ragionato al posto di riposare ed era giunto alla conclusione che i marines coinvolti nel massacro degli isolani dovevano aver avuto dei precedenti scontri con loro.
Infatti, l’epidemia che li aveva colpiti era troppo avanzata per essere stata contratta soltanto il giorno precedente, ovvero quello in cui si supponeva che Pirati del Cuore e Marina fossero sbarcati insieme e per la prima volta su quell’isola.
 
Era dunque ovvio che un gruppo di soldati fosse già presente in città ed era entrato in contatto con i suoi abitanti, contraendo la malattia.
 
E poiché non avrebbe avuto senso un litigio tanto violento tra marines e civili se non ci fossero stati dei gravi dissapori passati, Law aveva ulteriormente spremuto le meningi ricordandosi delle chiacchiere apparentemente insensate della piccola Mara.
 
Il banchiere del governo.
 
L’uomo vestito da soldato, che si occupava però di sequestrare i beni degli isolani deceduti.
Esattamente la stessa storia che gli stava venendo raccontata da Bentam.
 
“Per nostra fortuna il fato ha voltato le spalle anche ai nostri usurpatori e così si sono ammalati anche loro. Ci eravamo quasi rilassati, pensando di doverci preoccupare soltanto di guarire giacché i soldati erano spariti, ma poi ieri è giunta un’intera flotta, oltre a voi, che siete stati il nostro unico e vero aiuto.”
 
Con l’ultima frase il sindaco si era prostrato in un sincero inchino, grato ai pirati che lo circondavano.
 
“Quindi, Captain, anche se nessuno ha confessato di aver ucciso il padre di Mara, siamo certi che l’abbiano fatto per evitare che ci desse queste informazioni” Ikkaku aveva sospirato tristemente. “E pensare che è morto invano, poiché ora sappiamo tutto comunque.”
 
“A proposito, hai scoperto come l’hanno assassinato?”
 
Law ancora rimuginava sulle parole del sindaco.
C’era ancora un dettaglio che gli sfuggiva, un qualcosa che né le sue congetture notturne né il discorso di Bentam gli avevano chiarito, ma per il momento aveva deciso di tralasciarlo, rispondendo a Clione.
 
“Sì. Gli hanno iniettato della fenciclidina nell’ombelico, dunque non hanno lasciato tracce evidenti, non ad occhio nudo, almeno. Si tratta di una sostanza che in molti ospedali usano come anestetico, ma in quantità eccesive diventa una droga potenzialmente fatale. Io l’ho sfruttata raramente molti anni fa, poi, studiandola, mi sono reso conto degli effetti collaterali che presenta e non l’ho più adoperata. Ma temo che alcuni flaconi fossero rimasti nelle vecchie valigette mediche che abbiamo trasportato qui. In sostanza, ho fornito io stesso l’arma agli assassini.”

I suoi nakama l’avevano ascoltato intrigati, prima che una leggera rabbia li colpisse con le sue ultime parole.
 
“Ma Captain! Tu non c’entri niente!”
 
Law aveva sorriso, guardandoli con divertimento.
 
“Non ho detto di essere complice, né mi sto incolpando di quanto accaduto. Ho solo spiegato come i marines siano entrati in possesso della fenciclidina.”
 
La sua ciurma aveva sospirato di sollievo.
 
“Ma ditemi, c’è ancora una cosa che non comprendo. Sengoku è davvero coinvolto in tutto questo? Non sono riuscito ad interpretare il suo comportamento…”
 
“Io ero all’oscuro di tutto.”

La voce potente dell’ex Grandammiraglio l’aveva sorpreso alla sua destra e seduto sui gradini delle scale c’era proprio Sengoku, che aveva ascoltato l’intero discorso tra pirati e sindaco.
 
L’anziano e forte uomo aveva osservato Trafalgar Law dal momento in cui era entrato nel palazzo, avvolto dalla luce del tramonto.
 
Quel giorno la fiducia che aveva sempre avuto nella giustizia gli si era sciolta nelle mani, sfuggendogli dalle dita.
E per rendere la sua angoscia quel tanto più soffocante aveva poi visto il Chirurgo della Morte in volto.
 
E aveva rammentato le parole di Rocinante.
 
Un bambino con la sindrome del Piombo Ambrato e non c’era dubbio che quel bambino fosse ora cresciuto, ma non si fosse liberato dal malanno.
 
Sengoku aveva chiuso gli occhi, sospirando tremante.
 
Trafalgar era svenuto, la sua voce era stata roca e incerta, aveva avuto una crisi epilettica e ora si mostrava con la faccia dal colorito che faceva invidia ad un fantasma.
 
E Sengoku aveva avuto la faccia tosta di andare a dire a quel ragazzo di salvare una città affetta da un’epidemia contagiosa e letale se voleva tornare nella Flotta dei Sette.
 
Se davvero c’era una prima volta per ogni cosa, ora il marine si sentiva in colpa nei confronti di un pirata.
 
Ridestandosi dai propri pensieri aveva guardato Law negli occhi, constatando come essi fossero ancor più chiari rispetto a come risultavano nella sua foto da ricercato.
 
“Sembra che il Governo intendesse beneficiare dei possedimenti di queste persone appropriandosene indebitamente, approfittando dei loro trascorsi criminali come scusaste. La squadra che si era appostata qui per mesi era solo una piccola parte di tutti i corrotti che ci sono dietro. Molti dei soldati che ho portato con me erano coinvolti in questa storia. Ho interrogato i miei uomini…” si era alzato accusando una fatica che avrebbe dimostrato solo un uomo molto più vecchio di lui “…e ho scoperto è stato il Governo a diffondere l’epidemia sull’isola.”
 
Il verso di sorpresa di Bepo era stato chiaramente udito nel silenzio che aleggiava nel comune.
Law aveva cercato di contenere il proprio turbamento, ma il fremito nei suoi tratti facciali non era sfuggito a chi meglio lo conosceva.
 
“Il motivo è piuttosto banale, quanto infido: la morte di questa gente avrebbe concesso l’appropriazione di ingenti beni e non avrebbe scalfito la coscienza del Governo, che ancora la considera un manipolo di criminali. Inoltre l’annientamento di questa città significherebbe costringere i pirati ancora in carriera a tragitti drasticamente più lunghi prima di approdare su di un’altra isola per riposare. Dunque noi della marina potremmo affrontarli con un considerevole vantaggio.”
 
Law aveva chiuso gli occhi, tentando di trattenere la propria furia che veniva alimentata ad ogni parola pronunciata dal marine..
 
Era tutto così simile a Flevance.
 
“Ovviamente non ho la minima intenzione di far parte di questa storia. Intendo salpare il prima possibile con i miei uomini più fidati e fare rapporto ad Akainu. Porterò con noi i soldati corrotti e provvederò a punirli a dovere.”
 
Shachi era sceso dal tavolo con un piccolo salto, sentendosi in dovere di alleggerire l’aria pesante che si era addensata attorno a loro dacché Sengoku aveva preso la parola.
“I cazzotti che gli hai dato sono un buon inizio come punizione.”
 
Sia il marine sia alcuni dei pirati avevano mostrato un debole sorriso.
 
“Ad ogni modo” aveva poi ripreso Sengoku “lascerò qui i soldati che si sono ammalati. Anche se si sono comportati come dei criminali, non intendo lasciarli morire e spero vorrai aiutarli. Una volta guariti subiranno le conseguenze delle loro azioni.”
 
Trafalgar aveva ispirato profondamente.
Salvarli avrebbe significato condannarli alla pena capitale.
 
Non sembrava male come prospettiva.
 
“Purtroppo non so dirti nulla circa la natura della malattia.” L’ex Grandammiraglio era ora in piedi innanzi al pirata. “Nessuno sa chi dei nostri scienziati l’abbia creata o con cosa. Non posso darti altre informazioni, mi dispiace.”
 
Il volto serio e teso del marine si era incrinato e aveva lasciato spazio a sincera meraviglia nel momento in cui le labbra del chirurgo si erano dispiegate in un ghigno malizioso.
 
“Di questo non ti devi preoccupare, nonno.”
 
Pirati, marine e pure gli isolani che avevano assistito al discorso avevano sgranato gli occhi.
 
“Capitano, non dirmi che…”
 
Law aveva incontrato lo sguardo di Ikkaku, il bagliore positivo nelle sue iridi ancora più brillante di quanto non fosse stato mentre rientrava in municipio.
 
“Ho trovato la cura.”
 
 
°° FINE CAPITOLO °°



*Non è una città di mia invenzione.
Per chi non lo sapesse, è in corso una Novel su Trafalgar Law, che è però pubblicata su una rivista di OP inedita in Giappone e che racconta di come abbia incontrato Shachi, Penguin e Bepo ed abbia fondato la ciurma.
Pleasure Town è la città dove i quattro hanno vissuto insieme per un po’ e sì, Law è andato a lavorare ♥
 
Sto pensando di pubblicare sottoforma di storia romanzata i fatti narrati nella novel, cosicché tutti ne possano venire a conoscenza.
Il fatto è che la novel è difficile da reperire e quel che si trova è molto schematico e riassunto oppure è in GIAPPONESE.
 
In effetti sconsiglio di andarla a cercare, perché perdete esattamente tre giorni della vostra vita per poche informazioni J
Sì, parlo per esperienza personale.
 
Se siete interessanti, però, sono abbastanza propensa a raccogliere tutte le informazioni rilasciate dalla Novel e riportarvele come storia, senza modificare alcunché, limitandomi solo a collegarle.
 
Fatemi sapere!

 
***
 
Eccoci col sesto capitolo! 
Rispetto ai miei standard sono stata piuttosto veloce :'D

Ah, quante cose sto facendo capitare al nostro povero Law.
Però dai, è tenero tutto malaticcio ♥ 

Non saprei cosa dire su questo capitolo, quindi lascio la parola a voi. 

Vi invito a lasciarmi una recensione, che apprezzo sempre tantissimo sia da leggere sia per rispondere a voi lettori♥

Se volete votare questa storia su Wattpad mi fareste un gran piacere:

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Baci,
Pawa

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


°° Il Mostro Bianco °°

 

 


- Capitolo VII -



     Non l’aveva urlato, eppure aveva raggiunto le orecchie di tutti.
Forse perché il tono basso e rassicurante di Trafalgar Law rimbombava senza affievolirsi da un angolo all’altro del comune, forse perché era ciò che ognuno desiderava ardentemente sentire da ormai qualche mese.
 
“Ho trovato la cura”.
 
Soltanto un respiro tremulo di stupore aveva osato rompere il silenzio che prepotente ma dannatamente liberatorio era piombato alle parole del medico.
 
Poi, non era più stato possibile trattenere i singhiozzi e, uno dopo l’altro, gli isolani erano scoppiati a piangere di pura e semplice gioia, mentre altri ridevano increduli, liberando tutta l’ansia e la negatività di cui erano stati oramai saturi.
 
L’epidemia… quell’agonia era finita, insieme ai soprusi subiti dal Governo.
L’isola era stata finalmente emancipata da ogni male e tutto grazie ai Pirati del Cuore e a chi li comandava.
 
Tutte quelle persone, ex criminali che la fantomatica “giustizia” considerava ancora e solo come feccia, erano salve.
Potevano vivere.
 
Il primo cittadino aveva tentato invano di darsi un contegno, poiché le lacrime più sincere che avesse mai versato avevano tradito la sua compostezza e poco dopo le sue gambe avevano tremato, cedendo sotto la sua grande mole, facendolo cadere in ginocchio a pochi passi da Trafalgar Law.
Aveva allungato una mano scossa dai fremiti dei suoi singulti  verso il pirata, afferrandogli la manica della camicia nera.
 
“Grazie! Io… grazie…”
 
Law aveva osservato la mano nodosa che si aggrappava al suo braccio con uno sguardo morbido.
Seppur tendesse a disprezzare il contatto fisico con persone che non fossero i suoi compagni, sentiva di poter condividere i sentimenti di quella gente.
 
Avrebbe voluto così disperatamente averli provati a Flevance vent’anni prima.
 
Chiusi gli occhi per un momento, aveva cercato di ricordarsi e di convincersi che anche se il passato non poteva essere cambiato, ora aveva salvato il futuro di qualche centinaio di persone, che altrimenti sarebbero state condannate come lo era stato lui da bambino.
 
Tornando a guardare il sindaco, che ancora piangeva a testa china al suo fianco, gli aveva stretto la mano con la propria in un gesto gentile, ma allo stesso tempo vigoroso, che subito l’altro aveva ricambiato.
 
“Sono un dottore… dovevo farlo.” Si era limitato a mormorare il medico, ancora perso tra i propri tetri ricordi e non interessato a rivelare le ragioni personali per cui si era sentito tanto coinvolto nei fatti di quell’arcipelago.
 
“No…”
 
Il ragazzo aveva sussultato leggermente al diniego dell’isolano non comprendendo cosa potesse significare e allentando quasi senza accorgersene la presa sulla mano dell’altro, ma questi aveva invece serrato la propria, senza però renderla una stretta dolorosa.
 
“Non parlare come se fosse stato un tuo vincolo professionale, perché niente ti obbligava ad aiutarci, neanche l’accordo con la Marina…” aveva continuato l’uomo “… nonostante ciò, immagino che dopotutto dovevi farlo…” Il suo tono era più mesto, lo sguardo ancora bagnato dalle lacrime, ma così profondo. “Quindi grazie, davvero.”
 
Law era rimasto a fissare l’espressione seria dell’ex pirata per diversi attimi.
 
“…Immagino che dopotutto dovevi farlo…”
 
Cosa insinuava, esattamente?
Il giovane chirurgo si era ritrovato a chiedersi se per caso il signor Bentam sapesse, perché altrimenti non trovava ragioni dietro quella frase.
 
Sicuramente l’aspetto cadaverico che aveva oramai assunto non era passato inosservato, ma collegarlo al Piombo Ambrato e quindi alle disgrazie di Flevance non poteva essere così facile, giacché era considerata un malattia estinta.
 
Estinta con la festeggiata scomparsa del maledetto e raccapricciante Mostro Bianco, gli aveva rammentato la parte più infida e masochista di se stesso.
 
Law aveva abbassato le palpebre una seconda volta, trapelando un’espressione amareggiata che diveniva sempre più smarrita.
 
Estinta con me.
 
Il suo respiro si era smorzato all’improvviso.
Il suo corpo si era irrigidito e immobilizzato.
La sua ragione alla deriva tra i ricordi.
 
Era sopravvissuto a malapena allo sterminio della sua città nascondendosi tra i cadaveri maciullati dei suoi concittadini.
Era fuggito ancora ferito e terrorizzato, aveva patito la fame, la sete, finché la malattia non aveva distrutto i suoi organi e certi bisogni primari non erano più stati un’urgenza.
Poi perfino quel dannato malanno non era stata più la sua maggior sofferenza, perché venendo additato come appestato e portatore di sciagura e morte era stato inseguito coi fucili, coi bastoni e scacciato da qualsivoglia luogo civilizzato.
Era stato preso a sassate. Così tanti gli avevano sputato addosso prima di scappare onde evitare un inesistente contagio.
Qualcuno era riuscito a dargli fuoco quell’unica volta che Law, stremato, si era concesso un po’ di sonno, rannicchiato su una lapide in un qualche cimitero.
Le cicatrici lasciate dalle fiamme erano state quasi un piacere per gli occhi se paragonate alle macchie bianche che giorno dopo giorno avevano divorato il suo corpo.
Soltanto dopo essere guarito, anni dopo, i segni delle ustioni l’avevano disgustato e li aveva quindi nascosti con una ricca collezione di tatuaggi.
E anche se ogni simbolo e disegno che gli aveva decorato il corpo aveva per lui un profondo significato e apprezzava come abbellisse la sua figura, non aveva fatto nulla per occultare il ricordo del dolore atroce che aveva patito al suo fisico e al suo cuore subendo quegli abusi.
 
Nulla poteva fargli dimenticare di essere stato il Mostro Bianco.
 
La sua mano giaceva ormai inerme in quella più grande del primo cittadino e non gli ricadeva in grembo solo grazie a quest’ultimo.
La sua mente troppo assente, troppo presa da infausti ricordi per poter dare all’arto destro il semplice comando di mantenere la forza.
 
Sono nuovamente malato. Il Piombo Ambrato è tornato. E quindi… quindi vuole dire…
 
Una smorfia di disgusto, forse di dolenza, forse di ambedue le cose aveva rovinato i suoi perfetti lineamenti, facendo immediatamente allertare Penguin e Shachi, che avevano assistito allo scambio di battute tra il loro fratellino e il sindaco ed erano stati anche loro stupiti dalle parole di quest’ultimo.
 
… Vuol dire che il Mostro Bianco è tornato.
 
Law aveva sgranato gli occhi, fissando il vuoto e non riuscendo più a sentire nulla attorno a sé, ma solo la propria voce interiore che ripeteva quel dannato appellativo.
 
Il Mostro Bianco è tornato.
I suoi aguzzini torneranno.
 
Penguin si era staccato dal bracciolo della poltrona, mettendosi di fronte al suo comandante e poggiandogli le mani sulle spalle.
Quell’espressione persa sul viso di Law gli faceva attorcigliare lo stomaco.
 
“Captain, tutto bene?”

Ovvio che no, sapeva perfettamente che c’era qualcosa che non andava.
Aveva il vago sospetto che la frase ambigua del sindaco avesse innescato qualcosa nella mente di Law, ma era solo una sua supposizione.
 
Forse il suo migliore amico stava avendo un culmine?
D’altronde era peggiorato terribilmente quel dì e proprio in quel frangente il Piombo Ambrato poteva stargli divorando il cervello.
 
O forse effettivamente era in corso una crisi, che però era stata originata dalle parole di Bentam?

Comunque fosse era certo che Trafalgar Law non era in sé e Penguin intendeva riportarlo indietro da dovunque la sua mente si stesse smarrendo prima che le persone che li circondavano e che ora stavano festeggiando come potevano la scoperta della cura dell’epidemia si accorgessero del suo stato.
 
Il sindaco si era rimesso in piedi con leggera fatica, complici la malattia e l’età, un’aria apertamente confusa in volto.
Non immaginava cosa avesse patito quel ragazzo né le reali motivazioni per le quali si era tanto prodigato per salvare la sua gente, eppure di una cosa Bentam era certo.
Il suo salvatore non era affatto in ottima salute e indubbiamente in quel momento stava soffrendo ancor di più per qualche ragione.
Ma non poteva fare a meno di chiedersi cosa potesse mettere in ginocchio perfino il Chirurgo della Morte.
 
Qualunque flagello fosse, aveva però presto concluso, certamente non era affar suo e come segno di riconoscenza nei confronti del giovane capitano, sebbene fosse minimo, aveva saggiamente deciso di fingere di non aver notato nulla e di lasciarlo nelle mani della sua ciurma, sperando che si sentisse presto meglio.
 
“Law, guardami.”
 
Penguin neanche aveva badato all’isolano che si era allontanato né ai propri nakama che andavano formando coi propri corpi una barriera improvvisata attorno a lui e il loro medico, nascondendoli da occhi indiscreti.
Il pirata non poteva che avere attenzioni per il compagno di una vita, che stava chiamando incessantemente, ma senza successo.
Law respirava troppo flebilmente e continuava ad avere gli occhi sbarrati, che erano così terribilmente chiari, ancor più del suo solito azzurro ghiaccio.
 
Penguin gli aveva afferrato il viso, costringendo lo sguardo assente del ragazzo più giovane ad incontrare il proprio. 
 
“Fratellino, ti prego, dimmi qualcosa. Sono qui con te, tutta la ciurma è qui. Ci stai facendo preoccupare!”
 
“…sono qui con te, tutta la ciurma è qui…”
 
Era stato come un eco lontano, ma le parole del compagno erano riuscite a raggiungere Law e riscuoterlo.
 
Loro sono qui con me.
 
Dopo secondi interminabili che avevano seguito la supplica del pinguino, il medico aveva finalmente sbattuto gli occhi, tornando a mettere a fuoco le immagini, anche se con sforzo, e riordinare i pensieri.
 
“Penguin?”
 
Il sussurro di Law, che era stato quasi più una domanda incerta, aveva strappato un sospiro di sollievo a tutti, benché la preoccupazione per la sua salute non potesse proprio svanire, ma quantomeno era nuovamente cosciente.
 
“Law, stai bene?” Aveva chiesto nuovamente Penguin, gioendo interiormente nel vedere finalmente il suo capitano reagire.
 
Quest’ultimo non aveva risposto.
 
Era ancora scosso.
 
Un pungente e insopportabile dolore al capo gli impediva di concentrarsi su qualsiasi cosa per più di mezzo secondo e non sapeva se si fosse generato in seguito ad aver rammentato il passato o se fosse stato proprio questo a provocare il mal di testa.
 
Cazzo se ci era andato vicino.
Era stato ad un passo dal perdere la ragione e forse ad abbandonarsi a una crisi di panico o una isterica o, peggio, a una psichiatrica.
Era bastato così poco per spezzare il suo autocontrollo, una semplice frase che poteva suggerire diverse cose.
Eppure la sua coscienza si era sentita subito minacciata e si era fatta sopraffare dagli incubi della sua infanzia.  
 
Aveva strizzato gli occhi, portandosi una mano alla tempia e sopprimendo a stento un lamento, nato non tanto per il dolore al suo capo quanto più per quello al suo cuore.
Infatti, al medesimo tempo in cui aveva ripreso il controllo di sé, il suo cervello aveva ripristinato il suo abile e rapido ragionamento ed era giunto a un’amara conclusione.
 
Se crollava per un nonnulla, per un’inezia che nemmeno voleva essere provocatoria, ma che solo vagamente avrebbe potuto far riferimento al suo passato - di cui tra l’altro aveva già superato i traumi- significava… beh, significava che non era più in lui.
Che non gli rimaneva più molto tempo.
 
Doveva sbrigarsi.
 
Sbrigarsi a curare quella gente e sbrigarsi a curare se stesso.
Necessitava solo di ritrovare un minimo di tranquillità e sicurezza e poi avrebbe risolto tutto.
E per farlo lo sapeva, non aveva nemmeno bisogno di pensarci.
Aveva bisogno del supporto di quelle chiocce di Penguin e Shachi e del resto della sua ciurma.
 
Per loro non potrei mai essere il Mostro Bianco…
 
Un brivido l’aveva colto nel ripetersi quel nome in testa, ma non avrebbe ceduto una seconda volta.
 
Penguin aveva notato il fremito e stava per domandargli per la terza volta come stesse, quando Law si era buttato in avanti, avvinghiandogli il collo e abbracciandolo come non faceva da anni.
 
Il pirata di Swallow Island avrebbe dovuto sorprendersi di quel gesto, sapendo come il suo fratellino fosse un amante dello spazio personale e dei pochi contatti fisici, ma capiva perfettamente quanto ne avesse bisogno.
Aveva ricambiato l’abbraccio, stringendolo a sé, cercando di fargli capire che per lui ci sarebbe sempre stato ed evitando di curarsi di quanto cazzo fosse freddo, pur essendo vivo.
 
A quello ci avrebbe pensato dopo, adesso voleva solo rimettere insieme il suo capitano.
 
Quando aveva percepito il suo cuore tornare al suo solito stato bradicardico da un ritmo fin troppo accelerato, si era a propria volta calmato.
Poi aveva sentito la presa delle braccia di Law allentarsi di un poco, quel tanto che bastava per permettergli di staccarsi leggermente dal proprio busto e di alzare il capo per guardarlo negli occhi.
 
“Ho bisogno di spiegare a voi e a chi è in grado di aiutarci una cosa fondamentale riguardo alla cura. Poi voglio tornare al Polar Tang.” Aveva abbassato lo sguardo, riappoggiando la testa contro la spalla del pinguino. “Non sto bene. Non più.”
 
“D’accordo…” l’aveva assecondato Pen, deglutendo alle ultime parole udite e conscio che salvare quella gente fosse essenziale per il suo Doc, non importava quanto poco bene stesse. Gli aveva posato una mano sulla fronte, desideroso di constatare quale fosse la sua temperatura, mentre l’altro braccio ancora lo avvolgeva. Pareva un po’ più bassa della norma.
“Uni, Clione,” aveva richiamato i suoi compagni, appuntandosi mentalmente di preparare un bagno caldo a Law e poi di imbacuccarlo nel piumone. “riunite marines e isolani che possono essere utili. Vediamo di fare in fretta, voglio riportare a casa il capitano per un’ora decente.”
 
“Aye aye!”
 
***
 
     Sembrava che la lieta novella enunciata da Trafalgar Law in seguito alla discussione con Sengoku avesse rinvigorito anche chi nei giorni passati era rimasto accasciato e sofferente nel proprio letto di fortuna. Infatti, poco dopo che Uni e Clione avevano riferito a isolani e soldati non corrotti che era necessario chiarire alcuni particolari circa la cura, un cospicuo gruppo di persone si era avvicinato alla sala dove stanziavano i Pirati del Cuore.
 
Law aveva fatto entrare marines e civili, scrutando attentamente questi ultimi in cerca di qualsiasi segno di debolezza.
Nessuno li aveva obbligati a raggiungerlo, ma sospettava che si fossero mossi più per apprensione e grazie alla forza scaturita dalla speranza che per vera energia ritrovata.
D'altronde la cura era stata scoperta, ma non ancora somministrata, quindi quella gente era ancora malata.
 
Dopo aver constato che probabilmente il ragazzino alla sua destra sarebbe svenuto al massimo entro dieci minuti, si era deciso a parlare, volenteroso di chiarirsi alla svelta e tornarsene alla nave.
 
“Forse prima sono stato superficiale nell’esprimermi. Ho detto di aver trovato la cura… ma di fatto ancora non l’ho preparata. Nonostante ciò potete stare tranquilli, giacché so come potervi guarire. È solo che allo stato attuale non posso realizzarla. Mi occorre soltanto la vostra collaborazione.”
 
Qualcuno aveva trattenuto il respiro alle parole del pirata, rilasciandolo sollevato subito dopo.
La paura che Trafalgar li avesse presi in giro circa la scoperta della cura, per quanto improbabile fosse che un medico scherzasse su qualcosa del genere, era stata molto forte e avevano temuto che quell’improvviso colloquio servisse per smentire quanto prima detto.
Ma fortunatamente il suddetto dottore li aveva immediatamente rincuorati.
 
“Mi-mi scusi…” un uomo che sarà stato solo di qualche anno più grande di Law si era fatto avanti, dando voce al pensiero che si era formato nella mente di tutti.
“… L’aiuteremmo più che volentieri, ma temo che nessuno di noi abbia esperienza in campo medico…”
 
Il corsaro aveva osservato l’isolano sorreggendosi il mento con una mano, più perché ancora pativa il mal di testa che per voler sembrare disinvolto. Era stato tentato di rispondergli come prima cosa che poteva benissimo evitare di dargli del “lei”, siccome era abbastanza sicuro di essere il più giovane tra i due, ma in fondo un po’ di riverito rispetto non gli dispiaceva.
 
“Non dovete destreggiarvi con la medicina, bensì recuperare ciò che mi serve per la composizione della cura. Diciamo che mi manca un ingrediente della ricetta, ma credo sia reperibile su questo arcipelago. Se così non fosse, potremmo fermare qualche nave mercantile  e comprarne un po’ o fare un arrembaggio… tutte ne trasportano ingenti quantità. È una rotta molto trafficata questa, giusto?”
 
Il ragazzo malato si era ritrovato ad annuire senza neanche accorgersene, ascoltando attentamente il chirurgo, mentre qualcuno tra gli Heart Pirates sosteneva con entusiasmo l’idea di un genuino arrembaggio.
 
“Bene,” Aveva esordito Law notando la conferma datagli dal suo interlocutore. “ma direi di iniziare a cercare da qui. Quello che ci serve è un corallo. Non ne occorre uno specifico, basta che sia rosso e autoctono del Nuovo Mondo. Se non sbaglio questo arcipelago è un affioramento lavico, quindi dovrebbe avere una parete sottomarina ricca di coralli.  Ma non intendo mandare la mia ciurma al cieco setacciamento dei fondali di tutto questo posto. Immagino che qualcuno tra voi si sia dedicato alla pesca o comunque conosca la fauna ittica della zona. Se vi uniste a noi dareste indicazioni fondamentali, che accorcerebbero significativamente i tempi di ricerca.”
 
Shachi aveva seguito con interesse l’esposizione del compagno, così come ognuno dei presenti e aveva tentato di dedurre a cosa potesse servire un corallo nella preparazione di un medicinale, ma senza trarne alcuna conclusione.
 
“Captain, scusa se ti interrompo, ma mi hai incuriosito. Da quel che so i coralli hanno proprietà benefiche limitate, che sicuramente non sono sufficienti a salvare una vita, e che possono essere simulate da molti altri elementi in natura, a volte con migliori risultati. Quindi perché necessiti proprio di un corallo per la cura?”
 
Law si era voltato a guardare il viso del proprio compagno da oltre lo schienale della poltrona su cui ancora sedeva.
 
“Non è un’osservazione del tutto sbagliata la tua. In effetti, di norma, i coralli non sono particolarmente influenti sul corpo di un essere vivente, pur presentando delle caratteristiche vantaggiose per la salute. La varietà bianca è utile per il cuore, quella rosa per il fegato e la rossa per il sangue e le ossa, ma non hanno una vera e propria incidenza sulla funzione di ognuno di questi elementi. Tuttavia, come ho detto, di norma è così. Ma nel Nuovo Mondo dove tutti sono più potenti, anche tutto è più forte.” Le sue labbra si erano piegate in un ghigno nell’accorgersi che la sua ciurma, probabilmente, aveva intuito cosa intendesse dire.
Era poi tornato a guardare isolani e marines, incrociando di sfuggita lo sguardo morbido di Sengoku.
“Tempo fa studiai vari organismi provenienti da diverse barriere coralline del Shinsekai. Tra le altre scoperte, appresi che i coralli di questo oceano hanno intensificato le loro peculiarità salubri in modo significativo. In particolare il tipo rosso è in grado di accelerare la mitosi delle cellule, facilitando considerevolmente la circolazione sanguinea e il rafforzamento delle ossa e dei midolli. Ed è esattamente quest’ultima caratteristica che vi occorre.”
 
Aveva fatto una pausa per dar tempo a ognuno dei presenti di cogliere le varie informazioni e per afferrare un cuscino della sua seduta.
Individuando nuovamente l’adolescente di cui aveva decretato l’imminente perdita di coscienza, aveva lanciato il cuscino nella sua direzione esattamente qualche istante prima che il giovane crollasse a terra privo di sensi, ma con la testa incolume.
 
I Pirati Heart avevano trattenuto un sorriso vedendo le facce degli isolani positivamente stupite dalla prontezza e dalla perspicacia del loro capitano.
 
Allo stesso tempo quella che doveva essere la madre del ragazzino aveva presto lasciato che la preoccupazione surclassasse le sue altre emozioni e si era accovacciata accanto al figlio chiamandolo a gran voce.
 
Law si era alzato senza energie e per la prima volta in vita sua senza voglia di fare il medico, ma si era ugualmente diretto con passo lento verso il suo nuovo paziente più urgente, sentendosi obbligato a constatare quali fossero le sue condizioni fisiche.
Subito dopo aver verificato che non stava per morire, si era deciso a proseguire e concludere il proprio discorso mentre terminava anche la visita del ragazzo.
 
“Come vi stavo dicendo… è essenziale recuperare il corallo rosso per lo sviluppo del vostro midollo. Non so quanto capireste se vi spiegassi nel dettaglio come funziona la malattia di cui siete vittime, ma sostanzialmente vi sono state distrutte tutte le difese immunitarie ed è stata inibita l’emopoiesi, ossia la produzione degli elementi corpuscolari del sangue, tra cui i leucociti.”
 
Interrompendosi per qualche istante, aveva afferrato il polso dell’adolescente per controllarne il battito.
Considerata la regolarità e la frequenza del suo cuore, probabilmente lo svenimento era stato solo un culmine di estrema spossatezza e si sarebbe presto risvegliato.
 
“Col midollo fuori gioco siete esposti ad ogni genere di germe senza però avere anticorpi, di conseguenza il vostro organismo è completamente indifeso e inerme e permette una tranquilla proliferazione di qualsivoglia agente patogeno, fino al decesso. E questo chiarisce anche perché visitandovi riscontravo i sintomi più disparati. Non era l’epidemia diffusa dal Governo a generare una moltitudine di problematiche, bensì ognuno di voi si è buscato un diverso malanno e, non avendo neanche un anticorpo per contrastarlo, questi è degenerato fino a diventare potenzialmente fatale.”
 
Aveva sentito qualcuno boccheggiare scioccato e non poteva certo biasimarlo.
Scoprire di essere più debole di un neonato a livello immunitario non poteva che lasciare spiacevolmente basiti.
 
“Dunque, tornando alla cura…” aveva proseguito, mentre controllava la reattività delle pupille del suo paziente “…occorre somministrarvi un bel mix di acceleratori di mitosi e anticorpi, tra le altre cose. In questo modo, mentre le componenti del corallo penseranno a far riprodurre le vostre cellule, che andranno a sostituire quelle alterate dall’epidemia ripristinando l’emopoiesi, gli anticorpi iniettati inizieranno a combattere le varie malattie che avete collezionato. Non ho dubbi che funzionerà, quindi potete già ritenervi guariti. Signora,” aveva richiamato l’attenzione della madre ancora inginocchiata accanto al figlio “il ragazzo sta bene. Faremo abbassare la febbre e si riprenderà presto.”
 
La donna era rimasta in silenzio per alcuni secondi, poi, dopo aver afferrato la mano del figlio, aveva rivolto uno sguardo pieno di riconoscenza al pirata.
 
“Grazie infinite. E non mi riferisco solo alla visita che ha appena fatto.”
 
“Sì, grazie davvero!”
 
Law si era girato verso dove aveva sentito provenire quella voce, ma in mezzo alla piccola folla non era stato in grado di riconoscere chi l’avesse emessa e tutt’al più, uno dopo l’altro, si erano levati ringraziamenti da ognuno degli isolani e poteva giurare sulla propria nave di aver sentito qualche complimento anche da parte di alcuni soldati.
 
La timidezza non faceva certo parte del suo carattere, ma un sentimento molto simile a un piacevole imbarazzo l’aveva colto nel rendersi davvero conto che lui, proprio lui, che era un pirata e che di misfatti ne aveva compiuti tanti nella vita, stava venendo elogiato con tanto e sincerissimo affetto.
 
Non sapeva nemmeno cosa dire né per quale assurdo motivo era così tentato di sorridere.
 
Cazzo, lui non sorrideva con dolcezza a gente sconosciuta!
Aveva una pessima reputazione da difendere, dopotutto.
 
Insomma, non era mica la prima volta che salvava la vita a qualcuno. Era un medico dopotutto e secondo molti era anche il migliore.
Quindi non avrebbe dovuto sentirsi così estraneo a quella sensazione che lo stava avvolgendo prepotente, ma gradevole e perciò non avrebbe avuto motivo di sorridere.
 
Eppure si sentiva davvero vicino al farlo e in fondo, ma davvero in profondità, non aveva nulla in contrario.
 
Forse, si era ritrovato a supporre, quella che stava provando era un’emozione molto simile a quella che avevano provato i suoi genitori nel corso della loro carriera.
E a questo pensiero, un debole sorriso aveva infine piegato le sue labbra, seppur Law avesse abbassato la testa e probabilmente in pochi l’avevano visto.
 
Rimettendosi in piedi, si era voltato per dirigersi verso il proprio equipaggio, desideroso di sottrarsi dal centro dell’attenzione di tutti quei “grazie”, che seppur gli facessero piacere, non lo mettevano esattamente a proprio agio, ma si era bloccato.
 
Quei bastardi… quegli adorabili bastardi stavano sorridendo da orecchio a orecchio e i loro occhi la dicevano lunga.
 
“Il nostro Captain è un genio e sa fare tutto ed era ora che ve ne accorgeste” era un messaggio più che chiaro di quelle chiocce innamorate di lui e Law non aveva potuto che scuotere la testa divertito per poi finalmente tornare a sedersi, mentre il coro di ringraziamenti andava scemando.
 
“Ora che sapete tutto,” aveva ripreso la parola il dottore “spero vogliate aiutarci nel recupero del corallo.”
 
Bentam aveva fatto un passo avanti, rendendosi portavoce dei propri cittadini.
 
“Sarebbe solo un piacere. Molti dei presenti sono pescatori e nell’altra sala abbiamo una biologa marina, che non sta troppo male. Sono certo che si unirà a noi con entusiasmo.”
 
“Anche noi parteciperemo alla ricerca.” Aveva subito fatto eco Sengoku con tono basso e per niente perentorio, bensì gentile. “Rimanderò di qualche giorno il ritorno al Quartier Generale, ma non importa. È il minimo che possiamo fare…”
 
Law aveva annuito, vagamente consapevole del cambiamento drastico con cui il marine gli si rivolgeva.
 
L’ex Grandammiraglio, infatti, da quando si era reso conto che Trafalgar Law, il bambino per cui il suo figlioccio aveva sacrificato se stesso, era ancora succube a nientemeno che il Piombo Ambrato, non era più stato in grado di trattarlo con la solita freddezza che dimostrava nei confronti dei pirati.
 
Già tredici anni prima, quando Rocinante gli aveva confessato di voler salvare l’unico sopravvissuto di Flevance, riferendogli di tutto il male che quel bimbo stava patendo, Sengoku si era sentito vicino a quel piccolo sfortunato e man mano che veniva aggiornato sulla sua salute che regrediva, aveva addirittura incominciato a volergli bene, pur non avendolo mai incontrato e non conoscendone il nome.
 
Ora, nonostante quel ragazzino fosse divenuto un criminale, rimembrando le parole del proprio figliastro e i propri sentimenti passati, il marine sentiva di essergli più o meno affezionato.
 
D'altronde era sempre lo stesso bambino malato, che aveva sofferto tanto e che aveva fatto patire anche il cuore dell’ex Grandammiraglio con le proprie disgrazie.
Ed era ancora la stessa persona che Rocinante aveva amato come un fratello più piccolo o forse addirittura come un figlio.
 
Inoltre il fatto che Law in fondo fosse un bravo ragazzo, anche se in maniera distorta e non ben chiara - ma certo era che salvava numerose vite - aiutava Sengoku ad accettare il proprio nuovo giudizio sul Chirurgo della Morte.
 
“Posso farle una domanda?”
 
Il marine era stato ridestato dalle proprie riflessioni dallo stesso uomo che poco prima si era rivolto a Trafalgar per esporgli il proprio dubbio.
 
Il pirata aveva fatto un cenno col capo.
 
“Beh, forse è una domanda stupida… volevo capire perché anziani e bambini si siano rivelati i bersagli più deboli di quest’epidemia. È solo una questione di età?”
 
Law aveva osservato come l’isolano puntasse lo sguardo sulla superficie del tavolo che li separava piuttosto che sul suo volto.
Evidentemente la curiosità l’aveva spinto a parlare prima di aver soppesato se quanto voleva dire era sciocco oppure no e ora si stava dando dell’idiota.
 
“In effetti sì, è una questione di età, ma non trovo che sia una domanda stupida, perché la spiegazione è molto più tecnica di quel che si possa immaginare.”
 
Sentendo ciò, l’isolano aveva finalmente incontrato gli occhi del corsaro coi propri, ogni segno di impaccio svanito.
 
“Per farla breve, riconsideriamo il midollo. Esso è la fabbrica delle nostre difese immunitarie e questa sua caratteristica varia in base all’anzianità dell’organismo. È a livelli minimi nei neonati, poi durante il corso della vita, attraverso l’esperienza acquisita superando varie malattie, raggiunge la sua massima produttività, che si riduce con la vecchiaia. A dire il vero, quest’ultima fase dipende anche dalla prestazione fisica della persona, ma sicuramente un’ottantenne, anche se in ottima salute, ha meno difese di qualcuno con la metà dei suoi anni. Voi invece vi siete ammalati più tardi per il semplice fatto che il virus del Governo ha impiegato più tempo a distruggere un numero maggiore di anticorpi.”
 
Capendo dalle espressione dei civili che più Trafalgar parlava più erano intrigati e volenterosi di sapere altro, Bepo aveva deciso di porre fine a quel colloquio, cosicché tutti i malati lì riuniti potessero tornare a riposare, Captain compreso.
 
“Bene, a questo punto direi che vi è stata chiarita ogni perplessità. Vi suggerisco di congedarvi, riferire agli altri quanto ci siamo detti e recuperare le energie per domani. Partiremo alle prime luci dell’alba con le immersioni.”
Il Visone si era voltato verso il proprio comandante, alla ricerca di un consenso, che era subito sopraggiunto. Era quindi tornato a guardare marines e isolani cercando di infondere quanta più autorità possibile nei suoi occhioni da orso polare.
 
“Bene, allora a domani. Grazie ancora per tutto quanto.”
Bentam aveva fatto un leggero inchino col capo, imitato da alcuni suoi concittadini, prima di tornare con quest’ultimi ai propri giacigli improvvisati, i soldati dietro di loro, e presto l’ala del comune dove si erano stanziati i Pirati Heart era rimasta vuota a eccezione dei corsari e di Sengoku il Buddha.
 
Law aveva guardato stancamente il marine, sperando che avesse semplicemente dimenticato come si faceva a camminare e che quindi non fosse rimasto perché voleva chiedergli qualcosa.
Non aveva più un briciolo di forza per interloquire.
Aveva retto durante tutta la spiegazione della cura con una perfetta poker face, ma ora era davvero esausto e non voleva fare altro che abbracciare Bepo per aver concluso la riunione.
D'altronde poco più di mezzora prima aveva a malapena evitato un crollo psichico, quindi si riteneva orgoglioso di se stesso già solo per essere stato in grado di discutere coerentemente tanto a lungo.
 
“Vorrei parlare con te.”
 
Ovviamente, eccola lì.
La sua proverbiale sfiga.
Quando sperava in qualcosa poteva scommetterci la propria testa che sarebbe accaduto esattamente l’opposto.
 
Trattenendo sia un sospiro sia un insulto verso qualunque divinità della malasorte che l’aveva preso di mira, si era rivolto all’uomo più anziano con un tono che trasudava la sua esasperazione.
 
“È urgente?”
 
Si era sentito squadrare attentamente dal soldato, poi l’aveva visto distogliere lo sguardo con un’inspiegabile nota di amarezza sul volto.
 
“Non proprio. Possiamo fare anche domani.”
 
L’arrendevolezza che Sengoku dimostrava in quel momento, nonché la morbidezza che si poteva leggere nei suoi occhi avevano quasi fatto cambiare idea a Law, che dubbioso e incuriosito circa l’umore dell’ex Grandammiraglio voleva ora parlargli per cercare di capire cosa gli fosse preso, ma Penguin aveva preso la palla al balzo.
 
“Allora rimanderemo a domani. Noi torniamo alla nostra nave. Direi che possiamo permetterci di lasciare il municipio per una notte. Il capitano ha stabilizzato tutti i malati ieri, quindi non dovrebbero esserci problemi. Nel caso, contattateci. Correndo con l’haki possiamo essere qua in meno di un minuto, letteralmente.”
 
Il marine aveva annuito in silenzio, poi si era diretto verso l’uscita, sostando qualche secondo sulla soglia come se fosse stato indeciso.
Infine se n’era andato.
 
L’intera ciurma aveva sospirato all’unisono.
 
“Finalmente un po’ di pace!” Ikkaku si era stiracchiata, rivolgendosi poi ai propri compagni. “Ragazzi, si è fatto tardi e ancora non abbiamo cenato. Che ne dite di sbrigarci a tornare a casa, preparare flebo maxi dose per Law, un po’ di veloce e calorico cibo spazzatura per noi e coccolare il capitano?”
 
I sorrisi che le erano stati rivolti erano valsi come conferma.
 
“Quando dici “coccolare il capitano” intendi che tu lo coccoli e se noi proviamo a toccarlo ci prendi a pugnalate?”
 
“Assolutamente sì, Masked Man. Lui è mio.” Il tono con cui lei aveva ribattuto era stato solenne e quindi il ragazzo aveva deciso di starle al gioco, cambiandosi la maschera da teatro che indossava con quella che mostrava un’espressione arrabbiata.
Dove tenesse tutte quelle maschere e come facesse a cambiarle in un battito di ciglia era ancora un mistero per i Pirati Heart.
 
“Captain, l’hai sentita? Sei anche nostro. Lei reclama diritti che non sono suoi esclusivi, dille qualcosa!”
 
Il dottore aveva osservato divertito il siparietto tra i suoi due amici, conscio che lo stessero esibendo per risollevargli un po’ il morale.
 
“Mi fate sentire una prostituta piuttosto acclamata. La cosa peggiore è che lo apprezzo.”
 
La ciurma era scoppiata a ridere, non aspettandosi tanta ironia da Law dopo una giornata del genere.
 
Tra le risa, Shachi aveva ritrovato la capacità di parlare.
“Allora, che dici? Andiamo?”
 
“Sì, tesoro, ormai è notte. Inizia il mio turno di lavoro.”
 
Una seconda ondata di risate genuine aveva riempito la stanza.
Era da troppi giorni che non si divertivano in quel modo stupido, ma sincero e stupendo.
Esattamente dalla notte in cui Law aveva vomitato anche l’anima e aveva scoperto di avere il Piombo Ambrato.
 
Ancora ridacchianti avevano iniziato a recuperare le proprie cose, mentre il medico si alzava lentamente dalla poltrona, ma presto Uni aveva fatto cadere per terra il proprio lumacofono vedendo Law crollare dopo neanche un attimo che era in piedi e il suo scatto verso il suo capitano era riuscito solo a impedirgli di sbattere la testa sul pavimento.
 
Il resto dell’equipaggio si era subito precipitato dai due.
 
“Scusami, Uni… il tuo lumacofono sta bene?”
 
“Captain, non preoccuparti della lumaca. Tu piuttosto…”
 
“Tranquillo, avrò solo un paio di lividi sulle ginocchia.”
 
Penguin si era chinato alla sua altezza, cingendogli il viso con le mani.
“Non è mica per i lividi che ci preoccupiamo!”
 
Il capitano aveva roteato gli occhi per poi portarli a guardarsi le cosce, poggiando la mano sinistra su una di esse.
“Lo so... ho le gambe deboli, ma è solo stanchezza. Almeno credo…”
 
Gli Hearts si erano scambiati occhiate dubbiose e si erano rasserenati leggermente solo dopo che Jean Bart si era offerto di portare il loro comandante su una spalla o su una mano, a seconda di dove era più comodo Law.
 
E anche se quest’ultimo aveva tentato di rifiutare sostenendo che non ce n’era bisogno, alla fine il semi gigante aveva avvolto la propria mano attorno al corpo del suo capitano e si era diretto verso la porta, l’equipaggio al seguito.
 
***
 
     “Trentaquattro virgola uno gradi. Praticamente un principio di ipotermia.”

Law avrebbe incrociato le braccia all’ennesima lamentela preoccupata della sua madre pinguina, ma i due pigiami e le tre coperte in cui era stato avvolto come un insaccato da stagionatura glielo impedivano.
 
“La mia temperatura corporea standard e di trentacinque virgola otto gradi. Quindi non c’è bisogno di fare una tragedia anche per questo.”
 
Penguin aveva guardato con rimprovero il proprio fratellino, rimettendo a posto il termometro.
 
“Law, sei il più grande dottore che esista e vuoi farmi credere che ignori come funziona l’ipotermia?”
 
“Vuoi sgridarmi o elogiarmi? Mi confondi così, non so con che tono risponderti.”
 
“Law!”

“Va bene, va bene. Non è una temperatura ideale, ma non è nemmeno vertiginosamente bassa. Per ora mi basterà riscaldare continuamente il mio corpo.”
 
Il compagno pareva non sapere cosa controbattere, quindi si era limitato ad una scrollata di spalle mentre si avviava verso l’uscita della cabina del suo comandante, ma si era poi voltato a guardare quest’ultimo.
 
“Ti serve altro prima che vada?”
 
“Il bacio della buonanotte.”
 
Penguin aveva ridacchiato, ritornando sui suoi passi e aprendo la porta metallica, ma il ragazzo più giovane l’aveva richiamato.
 
“Aspetta, Pen.”
 
Lui si era nuovamente girato a guardare il medico, un sopracciglio arcuato.
 
“Cos’è, lo vuoi davvero?”
 
“Ma va! Volevo solo che mi ripetessi il piano di domani.”
Law aveva osservato l’amico sospirare e riavvicinarsi al letto.
 
“Sai che non ti faremo mai partecipare alla ricerca dei coralli, non importa quanto sostieni che sia ammutinamento.”
 
“Sì, ormai mi sono rassegnato, ma anche se foste stati d’accordo sarei stato io a rifiutarmi di andare. Non sto abbastanza bene per una spedizione subacquea.”
 
Penguin gli aveva rivolto uno sguardo morbido, annuendo debolmente.
“Ci incontreremo con gli altri alle 4 e 30 davanti al comune. Dopo aver stabilito quali parti della costa perlustrare, Ikkaku e Mesked Man manovreranno i mini Polar Tang con a bordo gli isolani e lo stesso faranno Uni e Clione in altre zone, così ricopriremo contemporaneamente un’ampia area di ricerca e dimezzeremo i tempi di recupero dei coralli. Shachi, Bepo ed io ci immergeremo con le tute per un esame più minuzioso. White Fox e Jean resteranno qui con te e i rimanenti assisteranno i malati.”
 
Law aveva ascoltato attentamente, fissando senza vederlo realmente il soffitto della propria stanza, immergendosi nei propri pensieri.
“Puoi darmi una stima delle ore che ci impiegherete?”
 
“Beh, i nostri sottomarini da esplorazione sono potenti e ben attrezzati, quindi credo che il tutto stia nell’individuazione dei coralli rossi. Il resto dovrebbe essere una passeggiata. Penso che per l’ora di pranzo avrai il tuo ingrediente finale per la cura.”
 
“Perfetto…” aveva chiuso gli occhi, sistemandosi un po’ più comodamente sotto ai chili di coperte “…puoi andare ora.”
 
“Notte, Captain~!”
 
In realtà il tono fin troppo allegro avrebbe dovuto allarmare immediatamente Law, ma sarà stata la pesantezza di quella giornata o l’affaticamento dovuto al Piombo Ambrato, fatto stava che non si era mosso in tempo per evitare che quel pirla di Penguin gli schioccasse un bacio sulla fronte.
 
Spalancati gli occhi, avrebbe voluto incenerire il compagno con uno sguardo, ma questi si era già precipitato in corridoio e solo l’eco delle sue risate si poteva ancora udire.
 
Law aveva sbuffato sonoramente.
 
Fa tanto l’apprensivo, ma a volte è così infantile…
 
Beh, come se gli dispiacesse.
 
***
 
     “Reggetevi”
 
All’urlo di Ikkaku gli isolani si erano aggrappati a qualunque cosa fosse stata fissata all’interno di quel piccolo sommergibile, appena prima che una violentissima corrente marina scuotesse l’intera struttura.
 
“Masked Man! Mi ricevi? Non so cosa stia succedendo, ma il mare è impazzito all’improvviso! Devi recuperare Shachi o rischia di affogare! Masked Man? Mask, rispondi!”
 
***
 
     Bepo era uscito dalla grotta sottomarina da dove aveva raccolto un buon numero di coralli rossi, deciso a trovare Penguin e portarlo lì per farsi aiutare a recuperare i rimanenti, ma si era bloccato non appena si era trovato in mare aperto.
 
Un enorme mulinello era a davvero poche decine di metri davanti a lui e per poco il Visone non aveva rilasciato tutto l’ossigeno che aveva aspirato dalle proprie bombole nell’accorgersi di cosa stava accadendo.
 
Penguin nuotava controcorrente per non essere risucchiato.
 
***
 
     Law si era risvegliato quando la luce del giorno era già prepotente e illuminava ogni angolo della sua cabina attraverso l’enorme oblò sopra il suo letto.
 
Guardando di fronte al proprio baldacchino verso l’antico orologio a pendolo, uno dei suoi primi furti importanti, aveva cercato di leggere l’ora, invano.
 
Le lancette d’orate si confondevano con lo sfondo ebano del quadrante e a stento riconosceva i numeri romani che questi riportava.
Districatosi dalle coltri in cui Penguin l’aveva imbacuccato, afferrati i suoi occhiali precedentemente aggiustati da Bepo e assottigliato lo sguardo, aveva gattonato fino al bordo del letto ed era infine riuscito leggere.
 
Si era messo a sedere in ginocchio, incredulo.
 
Era così dannatamente fiero di sé.
 
Mezzogiorno e dieci.
 
Aveva dormito più di nove ore!
Praticamente come una persona normale.
Per uno che si concedeva al massimo tre ore di sonno a notte era un traguardo rispettabilissimo.
Certo, tutto ciò implicava che era più stanco del solito, ma non voleva pensare ai lati negativi di quella faccenda.
 
Sorridendo trionfante era sceso dal materasso e il suo ghigno si era allargato nel constatare che le sue gambe reggevano perfettamente.
Sarebbe addirittura potuto uscire a correre se solo non avesse temuto di sputare un polmone diafano nel farlo.
 
La sua temperatura corporea era ancora più bassa della norma, poteva capirlo anche senza misurarla e avrebbe voluto concedersi un bagno caldo per ovviare almeno in parte a quel problema, ma temeva che la somma della sua malattia con l’indebolimento causato dall’immergersi in acqua l’avrebbe fatto annegare.
D'altronde, a differenza della sera precedente, non c’erano Shachi e Bepo a tenerlo d’occhio mentre si lavava. O meglio Bepo lo controllava, mentre Shachi teneva lontana Ikkaku che voleva sbirciare.
Così si era limitato a sciacquarsi il viso, non preoccupandosi di pettinare i capelli con fin troppe ciocche grigiastre e si era tolto uno dei pigiami, per poi indossare un maglione nero decisamente troppo grande per lui.
Probabilmente non era neanche suo. Piuttosto sospettava che la sua cleptomania avesse mietuto vittime nell’armadio di qualche suo nakama.
 
Si era poi diretto verso la cucina del Polar Tang.
Non che potesse mangiare normalmente, ma forse i suoi nakama erano lì.
 
“Captain! Come ti senti?”
 
White Fox era fornelli.
La sua destrezza in cucina era piuttosto discutibile e quasi quasi Law era contento di non avere lo stomaco e di non doversi sorbire i suoi esperimenti culinari.
 
“Meglio…” aveva mormorato il medico, osservando la brodaglia che gorgogliava in una pentola dimenticata sul fuoco e decidendo di abbassare la fiamma.
 
“Dov’è Jean?”
 
“Nella sala comando. Sta comunicando con i mini Polar per sapere come va la ricerca.” L’uomo aveva afferrato un coltello da carne per sfilettare un pesce e Law aveva iniziato a provare pietà per i suoi compagni che avrebbero dovuto pranzare con quella roba.
 
Purtroppo il loro cuoco era impegnato a sfamare i rifugiati in municipio e il semi gigante faticava a impugnare utensili tanto piccoli rispetto le sue dita, quindi non c’erano molte persone che potessero cucinare a bordo del loro sottomarino.
 
Beh, a parte Law stesso.
 
“Vuoi una mano?”
 
Quello che in qualunque ambito al di fuori della cucina era il più saggio dei Pirati Heart si era voltato con tutto il corpo a guardare il proprio comandante, rischiando di squarciargli il ventre nel processo.
Se solo Trafalgar non fosse già stato del colorito di un cadavere sarebbe sicuramente sbiancato per lo spavento.
 
“Ma no, Captain, ci penso io. Perché non vai a stenderti un po’ nella sala comune?”
 
Law aveva afferrato la punta del coltello con due dita, abbassandola lentamente e spostandola di lato.
 
“Insisto. Ho già riposato tanto e se non mi impegno in qualcosa inizierò a diventare stupido.”
 
White aveva rilasciato una leggera risata, facendo spazio al suo capitano e ignorando il reale motivo per cui questi volesse così tanto cucinare.
 
Circa un’ora più tardi Jean Bart li aveva raggiunti e aveva lanciato un’occhiata di sollievo e riconoscenza a Law quando l’aveva visto cucinare al posto di White.
Quest’ultimo, infatti, era stato gradualmente sostituito in ogni mansione dal suo capitano, ma nella sua totale incompetenza in campo culinario era convinto che stesse ancora partecipando attivamente alla preparazione del pranzo.
 
Era incredibile quanto la sua sapienza e la sua lungimiranza fossero completamente dimenticate quando si trovava davanti ai fornelli.
 
Il comandante degli Hearts, mentre strizzava gli occhi per l’ennesima volta dacché si era svegliato, si era ritrovato a pensare che solo lui poteva radunare una ciurma con uomini tanto sgangherati.
 
Poi si era ricordato di Monkey D Rufy.
 
“Clione mi ha riferito che avranno un leggero ritardo rispetto alla tabella di marcia. Il mare è piuttosto burrascoso e rende i mini Polar Tang instabili.”
 
Law aveva incrociato lo sguardo dell’ex capitano, non potendo sapere quante altre informazioni riguardo la spedizione Jean gli stesse nascondendo per non farlo turbare.
“Bepo aveva detto che le correnti in questa zona non sono forti.”
 
“Sì, ma è in arrivo una tempesta, sarà per quello che le acque sono agitate.”
 
“E che mi dici dei tre che si sono immersi con la muta? Sono risaliti a bordo dei mini Polar, vero?”
 
“Immagino di sì…” Poteva omettere alcune informazioni, ma non poteva mentirgli. Era pur sempre il suo comandante. “…ma la comunicazione si è interrotta circa mezzora fa. Però non ti preoccupare, sono certo che stiano bene.”
 
Law si era sentito mancare.
Sicuramente Shachi, Penguin e Bepo erano incolumi. Erano nuotatori espertissimi e lui lo sapeva, l’aveva visto coi propri occhi.
Ma ormai da qualche giorno il Piombo Ambrato l’aveva reso emotivamente instabile e assolutamente fragile e il solo pensiero che quei tre fossero in balia delle onde o sul fondo del mare lo faceva angosciare.
 
Era stato quasi tentato di dare l’ordine di immersione e di andare a cercarli con la loro nave, ma no, non poteva farlo.
Sarebbe stato un comando sconsiderato.
Seppur il Polar Tang riusciva a muoversi agilmente anche tra le barriere coralline, manovrarlo in un posto tanto ristretto con delle correnti abbastanza forti da destabilizzare i mini Polar era davvero rischioso.
Inoltre, ne era certo, se non fosse stato malato neanche si sarebbe impensierito per i suoi tre compagni.
Perché lo sapeva. Sapeva perfettamente che erano nati per nuotare e che se qualcosa fosse successo sarebbero intervenuti gli altri ad aiutarli.
Quindi non poteva permettersi di impartire quell’ordine sia per preservare la propria imbarcazione sia per non passare come un pazzo disperato.
Certo, il Piombo Ambrato gli stava divorando la ragione, ma ancora non avrebbe ceduto.
 
Si era quindi limitato ad annuire a denti stretti.
Tuttavia aveva retto solo poco più di venti minuti prima che abbandonasse tutte le pentole per andare sul ponte a guardare la superficie irregolare dell’acqua, alla ricerca di un’increspatura che preannunciasse l’emersione dei mini Polar.
 
Il vento era davvero forte e probabilmente era per quello che gli occhi gli pizzicavano tanto da lacrimare.
Anche se stava diventato pazzo era sicuro di non essere messo così male da mettersi a piangere per un po’ di inquietudine, quindi l’aria sferzante era l’unica ragione plausibile.
Sfregandosi con la manica del maglione le palpebre chiuse e non badando al fatto che quel semplice gesto gli avesse causato un insolito dolore ai bulbi oculari, aveva rivolto lo sguardo al cielo dove ancora il sole primeggiava, sebbene all’orizzonte nuvole nerissime si stagliavano minacciose.
Sarebbe stato certamente un temporale degno del Nuovo Mondo.
 
Si era stretto maggiormente nel maglione, chiedendosi se facesse davvero così freddo o se era colpa della sua bassa temperatura corporea.
 
“Guardi il panorama?”
 
Aveva sussultato, non tanto per la domanda improvvisa quanto più per chi l’aveva posta.
 
Voltandosi aveva incontrato il sorriso di Shachi a due centimetri dal proprio naso.
Si era trattenuto dal gioire alla vista di tutti i suoi compagni che erano stati impegnati nella spedizione subacquea ora sul ponte con lui.
 
I lividi che più o meno ognuno di loro aveva riportato e la gamba ferita di Shachi erano stati abilmente nascosti.
Gli Hearts non volevano dare ulteriori ansie al loro capitano.
 
“Non dovevate tardare?” Aveva poi chiesto quest’ultimo, ignaro del tremore alla mano destra di Ikkaku, che era rimasta incastrata tra il timone e il suo corpo durante il rovesciamento del piccolo sommergibile.
 
“Infatti siamo in ritardo, sono quasi le quattordici. Mi dispiace.” Bepo si era depresso. Non trovava giustificazioni per aver fatto attendere il loro comandante.
Le disavventure potenzialmente mortali che li avevano colpiti non gli sembravano delle scusanti sufficienti.
 
Law aveva portato una mano sulla testa dell’orso per scompigliargli il pelo com’era solito fare per consolarlo, ma l’aveva ritratta dopo avergli sfiorato la pelliccia ancora inzuppata.
 
“Non preoccuparti. L’importante è che abbiate recuperato i coralli rossi.”
 
A ciò i suoi compagni gli avevano rivelato degli enormi sorrisi, sollevando i sacchi plastificati che contenevano l’animale tanto agognato da tutte le persone su quell’isola.
 
Il medico aveva annuito soddisfatto, guardando poi i suoi fratelloni con un cipiglio.
 
“Fa davvero così caldo?” Aveva accennato al fatto che fossero entrambi con solo i pantaloni della muta e dai capelli gocciolanti si formavano delle piccole scie che andavano bagnando i loro petti nudi.
 
“Beh, se proprio vuoi saperlo sto per congelare.”
La risposta di Penguin era stata accompagnata da un suo starnuto, che in realtà serviva a camuffare la tosse che lo aveva colpito dopo aver bevuto un po’ troppa acqua salata.
 
Law aveva sorriso. In un certo senso era consolatorio sapere che faceva davvero freddo.
 
“Allora sarà meglio rientrare.”
 
I nakama avevano colto il suo suggerimento e si erano diretti verso la sala da pranzo, dove ormai White Fox aveva messo il cibo in tavola.
 
“Captain?”

“Dimmi, Uni.”
 
“Quello è il maglione che cercavo da mesi?”

“…No?”
 
“Captain!”
 
***
 
     Erano andati a dormire presto.
Non si concedevano un degno riposo da davvero tanto tempo e dopo essere stati trattati dall’oceano come se fossero stati le palline di un flipper avevano deciso di regalarsi un lunga dormita.
 
Inoltre il loro adorato capitano si era rinchiuso in laboratorio non appena aveva messo le mani sui coralli ed era riemerso dopo che avevano finito di cenare annunciando di avere pronta la cura per ogni singolo malato di quell’isola.
Avevano quindi festeggiato il suo genio fino a quando gli sbadigli non erano stati più numerosi delle chiacchiere e infine, uno dopo l’altro, si erano congedati con un peso in meno a schiacciare i loro cuori.
 
Perfino Law aveva seguito il loro esempio, con somma sorpresa di tutti.
Credevano che il loro Captain che voleva dormire fosse la cosa più scioccante dell’ultimo secolo, finché lui non aveva confessato che probabilmente era davvero stanco, giacché faceva una fatica immane a leggere i suoi amati mattoni e dunque tanto valeva andare a letto.
Perciò si erano ricreduti.
Law che non leggeva era in assoluto la cosa più traumatizzante.
 
Ora erano quindi tutti pacificamente addormentati nei loro giacigli, incuranti della tempesta che infuriava all’esterno facendo oscillare pericolosamente la loro nave.
 
Poi, qualcosa aveva fatto sì che Penguin fosse solo in un leggero dormiveglia.
 
Era come… come un tonfo, tanto ammortizzato o forse solo tanto lontano, che si era ripetuto per alcune volte prima di tacere.
 
Quando ormai il pinguino si stava abbandonando nuovamente e totalmente a Morfeo, una sorta di ticchettio quasi contiguo e non ben definito si era levato, martellandogli la testa con la sua ripetitività.
 
In seguito, un botto molto più forte e soprattutto avvenuto addosso lui l’aveva completamente ridestato.
 
“Ma che… ma che cazzo, Shachi, levati!”
 
“Mh… scusami, Il Polar Tang dondola un po’ e la gravità mi ha fregato.”
 
Con la voce impastata dal sonno che ancora lo annebbiava, Shachi si era seduto ai piedi dell’amico che aveva schiacciato cadendo dalla propria branda, grattandosi la nuca e sbadigliando senza contegno.
 
“Non ti fregherebbe se tu la smettessi di rannicchiarti sul bordo del letto.”
 
“Che rompipalle, ognuno dorme com’è comodo”
 
Penguin si era ritrovato a sospirare.
 
“Mh… ma che è sto rumore? Non mi pare nessuna spia della cabina di controllo.” Mentre si stiracchiava, anche il rosso aveva udito quel picchiettio ritmico, ma non era stato in grado di capire da dove provenisse o cosa l’originasse.
D’altronde nei sottomarini tutto rimbombava.
 
“Meno male che lo senti pure tu. Pensavo fosse uno di quei suoni inventati dal subconscio per non dormire a tutti i costi. Ho anche sentito dei tonfi, sai? A meno che eri tu che cadevi addosso ai nostri compagni.”
 
Il ragazzo più giovane gli aveva fatto la linguaccia.
 
Poggiando i piedi nudi sul pavimento in legno della loro camerata, si erano poi diretti verso dove credevano che giungesse quella intermittenza sonora, cercando di non svegliare il resto della ciurma.
 
“Guarda, la luce della cucina è accesa.”
 
A pochi passi dalla suddetta stanza era stato impossibile per loro non notare che dallo spiraglio lasciato dalla porta socchiusa la luce filtrava per qualche attimo e poi si spegneva, per poi irradiare nuovamente il corridoio, che subito dopo si rabbuiava.
 
“Captain! Che ci fai alzato a quest’ora?”
 
“E poi che stai facendo?”
 
Aprendo la porta si erano ritrovati Law a pochi centimetri alla loro destra seduto per terra contro al muro, le ginocchia al petto e una mano diafana sollevata verso l’interruttore della luce.
 
“Shachi, Pen… la tempesta ci ha distrutto la centralina elettrica?”
 
Aveva posto la domanda con una calma quasi straniante, senza guardarli in viso, ma tenendo lo sguardo dritto innanzi a sé, mentre con indice e medio sinistri riproduceva il ticchettio udito dai due pirati in precedenza, che ora potevano riconoscere come l’accensione e lo spegnimento dell’interruttore della luce.
 
“No, Law… non dovremmo aver subito nessun danno.”
 
“Però le lampadine sono tutte bruciate. Sia in camera mia, che nel corridoio, che qui. Io volevo una flebo per dissetarmi, ma era talmente buio il tragitto dalla mia stanza all’infermeria che continuavo a cadere e alla fine sono arrivato in cucina. Ma anche qui è buio.”
 
A quelle parole ai due ragazzi si era raggelato il cuore.
 
Era buio?

I due corsari di Swallow Island si erano lanciati un’occhiata sconvolta e temevano di sentire come avrebbe risposto il loro capitano a quello che stavano per confessargli.
 
“Law… Law ascoltami.” Penguin si era inginocchiato al fianco del suo capitano, Shachi aveva fatto lo stesso dall’altra parte.
Il pinguino aveva deglutito, sperando che la sua voce non tremasse.
“… Law, la luce va. Adesso è accesa.”
 
Il medico si era bloccato, mantenendo le dita sull’interruttore, ma non premendolo più.
 
E allora perché io non vedo niente?”
 
°°FINE CAPITOLO°°


Amatemiiii
OKAY, È DIVENTATO CIECO. 
SONO STRONZA, LO SO.
Ma la colpa è del Piombo Ambrato :C 

Ma... ma vi ho fatto un regalo! Questo capitolo è più lungo degli altri.
Già io sono solita pubblicare capitoli chilometrici, ma questo è peggio del solito x'D
L'ho fatto anche perché presto andrò in vacanza e quindi potrei tardare con gli aggiornamenti.

Da qui in poi Law diventa piuttosto dolce in certe occasioni, pur NON diventando OOC e rispettando quello che è il suo vero carattere.
Il fatto è che è praticamente un malato terminale e si sa, la morte piega anche le più forti personalità. Ciò non vuol dire che esse vengano stravolte, assolutamente, una persona rimane se stessa a discapito delle circostante, ma è facile che abbia alcuni crolli emotivi, qualche vulnerabilità in più e Law, che non solo è conciato male, ma ha pure una ricca collezione di traumi passati, non può che abbandonarsi a certi sentimenti, ogni tanto.

Ho fatto solo un accenno all'arredamento della stanza di Law: letto a baldacchino e prezioso orologio a pendolo.
È una descrizione davvero breve, ma spero vi abbia restituito un'idea di come sia camera sua. Io la immagino come un'elegante camera settecentesca, arricchita da mobilia e tappeti rubati qua e là, gigantesche mappe del mondo alle pareti e un'enorme scrivania stracolma dei libri che non stanno nelle due modeste librerie che ospita la stanza (la libreria della nave, invece, ha ancora spazio, per amor di Law).
È vero che One Piece presenta molte innovazioni tecnologiche per cui l'arredamento di una casa potrebbe essere molto più moderno, ma credo non ci sia nulla di più affascinante dell'eleganza del diciottesimo e diciannovesimo secolo e storicamente l'Era d'oro della pirateria è avvenuta proprio in quel periodo. Quindi perché no?

Ringrazio tutte le persone che stanno commentando i miei capitoli e vi invito a continuare a farlo, perché è qualcosa che adoro ♥
Presto vi citerò tutti per ringraziarvi come si deve. 
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate della storia giunti a questo punto. 
Law ha svelato il grande arcano dietro l'epidemia dell'isola e ora deve svelare quello che avvolge la propria malattia, ma ha perso la vista ed è sempre più debole...

Morrà, resterà un invalido o tornerà perfetto come prima?

Fatemi sapere!

Ricordo che se volete seguire i miei DISEGNI mi trovate su Instagram:
https://www.instagram.com/pawa_art/

A Presto,
Baci,
Pawa

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


 

°° Il Mostro Bianco °°

 

 

- Capitolo VIII -



ATTENZIONE: il primo pezzo di questo capitolo sarà a libera interpretazione.
Ovviamente in questa avvertenza non parlo nello specifico di cosa accadrà, ma sono certa che lo intuirete facilmente nel corso della lettura.
Ad ogni modo, io ci tengo a precisare che per conto mio NON ci sono coppie in questa storia, het o yaoi che siano.
Questa fiction vuole essere spacciabile per canonica, eventualmente inseribile dopo gli eventi di Dressrosa come esperienza fattibile e ho sempre cercato di renderla il più canon possibile, quindi poiché One Piece non lo prevede
non parlo di relazioni sentimentali, se non di pura e semplice nakamaship.
Nonostante questo, se volete interpretare quanto segue come l’esordio di qualche sentimento più profondo, siete assolutamente liberi di farlo.
Nella narrazione specifico che si tratta solo di sincera amicizia e di riconoscenza dimostrata in modo affettuoso, ma il bello di una storia è che stimola l’immaginazione dei lettori.
Quindi, se volete immaginare un certo risvolto per quanto succederà, fatelo pure ♥ altrimenti vi basterà attenervi alle mie parole.
 
 
°° BUONA LETTURA °°
 
  
     Non era riuscita a resistere.
 
Per quanto i ragazzi glielo avessero ripetuto non era stata in grado di stargli lontano.
 
Solo un paio d’ore prima Shachi e Penguin avevano svegliato l’intero equipaggio per informare tutti, con il tono più flebile e inanime che fosse mai uscito dalle loro bocche, che Trafalgar Law era diventato cieco.
 
Non era come se avessero voluto radunare la ciurma per fare qualcosa, giacché non c’era proprio nulla che potessero fare per la sua condizione.
Semplicemente i due ragazzi avevano avuto bisogno di qualcuno che ricordasse loro di continuare a respirare, perché a colui che consideravano tanto il loro capitano quanto il loro fratellino serviva davvero il loro aiuto, la loro presenza, il loro appoggio.
Consci di questo, seppur ancora storditi al pensiero che quegli occhi glaciali che tanto adoravano non erano più in grado di svolgere il loro dovere, si erano circondati dei propri nakama abbandonandosi al loro conforto.
 
Law aveva bisogno di essere lasciato solo per un po’, avevano detto.
 
Come biasimarlo?
Da un fottuto giorno all’altro aveva completamente perso la vista.
Era un capitano pirata diventato cieco e non per il fendente di un nemico, che gli aveva squarciato le palpebre e ciò che proteggevano, ma per un batterio.
 
Era un dottore costretto a letto da un batterio.
 
Era qualcosa di assurdo, assolutamente scioccante.
 
Il suo orgoglio, già intaccato dal giorno in cui gli era tornata quella stronzissima malattia, si stava pericolosamente incrinando.
Dunque era comprensibile che volesse isolarsi per un po’.
 
Nonostante questo Ikkaku si stava dirigendo verso la sua cabina.
 
D’altronde, l’aveva forse detto Gol D Roger che abbandonare Law a se stesso per qualche tempo avrebbe giovato al suo umore od al suo organismo?
 
Cazzate, pensava la giovane corsara.
 
Se Trafalgar avesse avuto bisogno di qualcosa sarebbe stato meglio che avesse avuto al suo fianco un nakama.
 
Tutt’al più Ikkaku non aveva alcuna intenzione di lasciare che quello che era sempre stato il suo borioso capitano si auto commiserasse.
 
Il meglio, aveva concluso, proprio mentre si fermava innanzi la porta ermetica della camera, era semplicemente stargli vicino.
 
Era entrata senza bussare conscia che Law, se l’avesse voluto, avrebbe potuto riconoscerla con il proprio haki.
Attraversando la cabina senza difficoltà, sebbene questa fosse nella penombra e dall’enorme oblò che sovrastava il letto filtrasse solo la luce dei lampi occasionali, aveva scostato le tende del baldacchino, sedendosi sul bordo del materasso.
 
Il suo capitano non si era mosso.
 
Era rannicchiato sul fianco sinistro dandole le spalle fasciate solo da un’anonima maglietta di un colore scuro non definibile, probabilmente uno dei pochi capi sull’intero Polar Tang che non riportava il loro Jolly Roger, ma indubbiamente un abito troppo leggero per tenere sotto controllo la temperatura corporea del ragazzo.
Le coperte spiegazzate sotto al suo corpo ed i vestiti più pesanti che aveva indossato fino alla sera prima erano sparpagliati un po’ ovunque, il maglione di Uni strappato a metà.
 
Law doveva averli tolti con furia.
 
Era forse stato vittima di una crisi psichica?
Poteva darsi ed Ikkaku sospettava che nella sua instabilità mentale il chirurgo avesse deciso di spogliarsi con foga, ferendosi nel processo, come dimostrava un’escoriazione lungo il suo collo, per lasciare il suo corpo in balia della temperatura esterna.
 
L’aveva appositamente fatto per stare male.
 
“Cosa vuoi?” La ragazza aveva sussultato nell’udire quella voce che tanto amava così tenue e priva di qualsiasi emozione. “Avevo detto di voler stare solo.”
 
“Sì, l’hanno riferito i ragazzi… Erano così angosciati per te quando sono tornati nella camerata, che li ho sentiti fin dalla mia cabina.”
 
“E allora perché sei qui?”
 
“Che domande… potrei starmene a dormire tranquilla?”
Non che fosse solo da quella notte che soffriva, ma prima di allora Law non si era mai vergognato di quel che gli stava accadendo.
Non aveva mai allontanato i suoi compagni, escludendoli da ciò che lo opprimeva.
 
“È quello che vorrei tu facessi.”
 
Eppure, adesso si voleva emarginare da tutti e perfino con Ikkaku accanto sperava che lei gli obbedisse e se ne tornasse nella sua stanza, come se nulla fosse.
 
“Non posso proprio, capitano.”
 
Al suo diniego il ragazzo aveva alzato di scatto e ruotato il busto verso di lei, la mano destra a sorreggerlo e poi un attimo di tentennamento, come se fosse stato prossimo a spalancare gli occhi e fissarla con rimprovero, ma all’ultimo si era reso conto di non poterlo fare.
 
“Non voglio la tua pietà.” Il suo tono era freddo, ma non nascondeva una nota di amarezza e delusione e perfino di rabbia.
 
“Non è pietà, Law.” Aveva incalzato la pirata, non lasciandosi intimorire da quella frase carica di sentimenti tanto negativi.
“Nessuno di noi potrebbe sentire qualcosa di così misero per te. Possiamo solo provare le più grandi emozioni a causa tua, belle o brutte che siano, ma mai e poi mai potremmo associarti a sentimenti così miseri. Non si adattano all’uomo meraviglioso che sei. Hai mai sentito dire che un uomo grandioso è anche pietoso?”
 
Il giovane medico era rimasto in silenzio.
Poi la linea rigida in cui aveva serrato le labbra si era ammorbidita ed infine aveva sospirato tremante.
Quella donna in qualche maniera riusciva sempre a dire cose assurdamente dolci a prescindere dalla situazione, distraendolo dal suo stesso stato d’animo.
 
Nonostante ciò, adesso non sarebbero bastate le sue parole a rimettere insieme i cocci della sua esistenza.
 
Stavolta era diverso.
 
Si sentiva sempre più debole e non per le ferite riportate in uno scontro all’ultimo sangue contro la marina o contro altri pirati, per difendere la propria nave o per conquistare un tesoro.
Il grande corsaro del Mare del Nord, il temibile Chirurgo della Morte non sarebbe valorosamente morto in battaglia, non avrebbe riso beffardo come il Re dei Pirati prima di spirare per l’ultima volta.
Si sarebbe spento in un letto a soli ventisei anni.
Nessuno l’avrebbe saputo.
Il mondo si sarebbe dimenticato di lui.
 
Come pirata era a dir poco miserabile.
 
Stava morendo penosamente e presto avrebbe abbandonato i suoi uomini, la sua famiglia, lasciandoli senza guida, senza protezione, senza obiettivi.
 
Come Capitano era ridicolamente deludente.
 
Il tutto a causa di una malattia.
 
Come medico aveva pietosamente fallito.
 
Poi, un tocco.
Una mano calda e delicata gli si era poggiata sulla guancia, interrompendo bruscamente il vortice di pensieri che stava mandando la sua mente alla deriva per la seconda volta quella notte.
 
“Non ti permetto di compiangerti, capitano.”
 
Caldo su freddo.
Vivo contro morto.
 
Caldo su tiepido.
Vivo contro morto.
 
Caldo su caldo.
Vivo contro…
 
…Morto?
 
No… il palmo di lei aveva presto cominciato a trasmettere calore al viso di lui e Law aveva iniziato a sentire nuovamente i propri muscoli facciali, intorpiditi dalla temperatura eccessivamente bassa del proprio organismo.
 
Non era ancora morto.
E lei glielo aveva ricordato, senza inutili discorsi di conforto, senza giri di parole.
 
Semplicemente toccandolo, rianimando il suo corpo.
 
Ancora una volta il dottore  aveva dovuto trattenersi dall’istinto di sbarrare gli occhi.
 
Ikkaku… Ikkaku lo lasciava sinceramente spiazzato.
Non sapeva da quanto fosse così, ma per quella ragazza era diventato un libro aperto.
 
“Non ti permetto di compiangerti, capitano.”
 
L’eco della voce della compagna gli era rimbombato in testa finché Law non l’aveva seriamente considerato ed aveva deglutito nel rendersi conto di cosa significassero davvero quelle parole insieme al tocco di lei.
 
Non solo era vivo, ma era ancora un capitano pirata.
 
Perciò aveva tutti i motivi per reagire e per non comportarsi come uno zombie ed aveva ancora delle responsabilità.
 
Era tornato a sdraiarsi, stavolta supino, desideroso di provare a riprendersi per quanto la situazione in cui versava fosse critica.
“Cosa dovrei fare, allora?”
 
La nakama era rimasta leggermente sorpresa dalla domanda.
Non immaginava che il suo comandante le potesse chiedere consiglio per qualcosa di così delicato.
Non a lei almeno e questo era il motivo per cui il resto del loro equipaggio stava consolando quelle fontane di lacrime umane quali erano Shachi e Penguin.
 
“Innanzitutto puoi almeno metterti sotto le coperte…” Aveva tirato il lenzuolo sopra il corpo del ragazzo.
Non appena l’aveva sfiorato poco prima, si era spaventata per quanto fosse gelido. Si era quindi ritrovata a ringraziare se stessa per essere andata nella camera di Law. Se non l’avesse fatto, temeva che l’avrebbero trovato morto assiderato l’indomani mattina. “…e per il resto puoi stare certo che affronterai anche questa faccenda, vincendo, come hai sempre fatto.”
 
Lui si era lasciato ricoprire col lenzuolo, ora consapevole della cazzata che aveva fatto spogliandosi e non avendo alcuna intenzione di ripeterla.
I muscoli doloranti per il freddo erano un ulteriore promemoria.
“Non posso agire, né essere come prima.” Aveva poi risposto.
 
“Che scemenze… magari non passerai le notti a leggere i mattoni che tu spacci per libri, ma almeno ti si ridurranno le occhiaie.”
 
“Ikkaku, non dire cavola-…”

“Sono seria!” Aveva alzato il volume della propria voce, sperando che non si incrinasse, che non facesse trasparire la sua paura ed il suo dispiacere. “Hai due haki super sviluppati e che Ener mi fulmini se non rivelerai anche il terzo! Quindi saresti ancora in grado di combattere e di condurci ovunque tu voglia. Inoltre hai un cervello brillante e fin troppo laborioso e non ti serve vedere per fargli sfornare una cura che ti farà tornare esattamente come prima, né devi guardarci per impartirci ordini.”
 
Aveva urlato tutto d’un fiato, sperando di ficcare in quella testa dura la sicurezza di cui aveva bisogno per andare avanti.
Poi aveva ammorbidito lo sguardo, fissando Law che giaceva sul materasso inerme se non per qualche tremito che lo scuoteva, gli occhi ovviamente chiusi.
 
“Hai freddo?” Senza aspettare risposta si era alzata per recuperare le trapunte che il ragazzo aveva buttato sul pavimento in preda alla disperazione.
Gliele aveva posate addosso e se solo non si fossero trovati in quella situazione avrebbe sorriso dopo aver contato il numero di coperte.
Sei.
Mamma Penguin non si smentiva mai.
 
Al contrario di lei un debole ghigno si era lentamente dispiegato sulle labbra del medico.
 
Era davvero incredibile come quella ragazza riuscisse a convincere pressoché chiunque delle sue semplici e quasi infantili convinzioni.
Law si era chiesto, perciò, se magari non fosse proprio lei a nascondere l’haki più potente che ci fosse, quello del Re Conquistatore, colui che imponeva la propria volontà su chiunque con facilità estenuante.
 
“Forse hai ragione,” aveva incominciato, colpito, ma non ancora persuaso dalle sue parole. D'altronde lui non era certo chiunque. “…ma è un po’ deprimente non poter leggere i miei mattoni o fissarvi negli occhi per comandarvi qualcosa… anche solo per parlare, come stiamo facendo ora. Non ti posso vedere, Ikkaku. ”
 
Lei, china sul suo letto, si era scostata una ciocca di ricci dietro l’orecchio.
 
“Come ho già detto, hai davvero una bella mente, Law. Ricordi perfettamente ogni dettaglio dei nostri volti.”
 
“Già, ma non potrò sapere che espressione assumerete d’ora in poi e capire cosa provate. Per un capitano è importante andare oltre il tono sicuro di un nakama, sai?”
 
“Vuoi capire cosa provo adesso?”
Glielo aveva chiesto con imprudenza, consapevole che lui avrebbe compreso senza difficoltà che per tutto il tempo lei aveva cercato di apparirgli forte e sicura, con un timbro dolce e rassicurante, ma in realtà era così dannatamente frustrata.
 
“Mi piacerebbe…”
 
La pirata aveva sospirato, abbassando le palpebre.
“Dammi la tua mano.”

Trafalgar, con incertezza, aveva estratto la mano sinistra dagli strati di coperte, alzandola e attendendo che fosse lei a cingerla per condurla dove desiderava.
Dopo poco, così era stato e le mani minute di lei avevano afferrato la sua ancora ghiacciata, accompagnandola quasi con titubanza sul proprio viso.
 
Law aveva dovuto trattenere il fiato.
 
“Stai piangendo per me?”
 
La pelle liscia e calda di Ikkaku, che accarezzava e sfiorava coi polpastrelli, era intrisa di lacrime che ancora scorrevano silenziose ed inermi ed andavano bagnando il palmo di Law.
Lui, con movimenti gentili del pollice, faceva come per cancellarle.
 
“Non posso farci niente, non ce la faccio a vederti soffrire.” Con le proprie dita aveva intrecciato quelle del ragazzo, mentre ancora quest’ultimo seguiva i lineamenti del suo volto.
 
“Eppure il tuo tono era così sicuro, le tue parole sincere.”
Anche la sua mano destra si era posata sulle gote della pirata.
 
“Perché credo davvero a ciò che ti ho detto. Credo in te e lo fanno anche gli altri. Il fatto che mi si spezzi il cuore vedendoti così non significa che non scorga un lieto fine a tutta questa storia.”
 
“Non voglio che tu stia male a causa mia.” Aveva infine sussurrato Law, dopo diversi attimi che le studiava il viso.
Passava le proprie dita dalle tempie agli zigomi, poi sul naso fine e piccolo, le labbra morbide e piene, che ancora presentavano un rimasuglio del rossetto che quotidianamente le abbelliva.
 
Il capitano degli Hearts si era lentamente sospinto seduto, facendo perno coi talloni sul materasso e strisciando la schiena contro la testiera del letto, attirando dolcemente Ikkaku ancor più vicino, fino ad un sospiro dal proprio volto.
Con la punta del proprio naso toccava il suo.
 
“Io penso di non averti mai dato una risposta…”
 
E lei aveva compreso immediatamente a cosa si stava riferendo.
 
Quella dolcezza, quella gestualità, nonché la vicinanza ristrettissima tra loro, in altre parole quel momento così intimo e sincero risvegliava nel suo ventre quella nuvola di farfalle che sempre la solleticava nei momenti in cui parlava col suo capitano, lo guardava o solo, semplicemente, ne percepiva il profumo, che lui lasciava dietro di sé per i corridoi labirintici della loro nave.
 
Era la stessa travolgente sensazione che la spingeva a confessare giornalmente l’amore che provava per lui ad ogni persona che incontrava, Trafalgar compreso.
 
Ma lei sapeva anche il perché Law stesse affrontando ora quel discorso.
 
“Non… non devi darmela adesso. Fallo quando ti sentirai meglio, okay?”
 
“Sii realista, Ikkaku. Altrimenti, soffrirai davvero tanto se ti illudi così. Non sto gettando la spugna, ma come medico so che una degenerazione tanto rapida…” Aveva sospirato, stringendo le palpebre.
“… So che mi restano pochi giorni.”
 
“Law, ci stiamo lavorando, possiamo trovare una soluzione… Non parlare così, ti prego…” La sua voce si era quasi spezzata con la sua supplica.

“Anche io credo in voi…” le loro fronti premevano l’una sull’altra, senza pressione. “È della malattia che non oso fidarmi e del mio corpo. È una lotta tra voi e loro, ma io stavolta non posso combattere al vostro fianco… mi dispiace. Solitamente la guarigione dipende dalla forza del malato. Peccato che più io mi sforzi, più io nutra e accresca i bacilli di veleno nelle mie cellule.”
 
Ikkaku gli aveva cinto a sua volta il viso, reprimendo un singhiozzo che l’avrebbe fatta scoppiare a piangere tra le braccia del suo comandante.
 
“Capitano…”
 
“Capisci cosa intendo? Cercare di guarirmi…” aveva lentamente aperto gli occhi e con la fioca luce della luna che faceva capolino tra i nuvoloni di pioggia la pirata aveva potuto vedere con orrore e infinita tristezza le iridi ormai bianche del ragazzo che adorava. “… significa uccidermi più in fretta.”
 
Lei si era obbligata a mordersi il labbro inferiore, trattenendo i fremiti di quel dannato pianto disperato che il suo capitano sembrava voler costringerla a fare con ogni frase che pronunciava.
 
“Però io mi fido di voi… mi fido davvero. E apprezzo sinceramente tutto il supporto che mi state dando. Anche io stavo tentando di trovare una soluzione, ci ho lavorato fino all’ultimo, ma da dopo stanotte temo che presto perderò del tutto la ragione e sarò inutile per la ricerca. Quindi… quindi per la prima volta nella mia carriera non so come si concluderà un caso clinico e sono nella più totale confusione.”
I suoi occhi si erano richiusi. Non era nemmeno sicuro che fosse stato il suo cervello a comandarne l’azione.
“Comunque vada, vorrei solo farti capire quanto ti sia riconoscente per tutto quello che stai facendo…” le carezzava le guance coi pollici, mentre inclinava il proprio viso cercando sempre quel lieve contatto con quello di lei “…e stai passando per me.”
 
E glielo aveva fatto capire.
Law le stava dimostrando la sua più onesta gratitudine nel modo più bello che Ikkaku sperasse, nel modo che lei tante volte aveva sognato, anche se in circostante ben più liete e con sentimenti diversi dalla riconoscenza più sincera e affettuosa, anche se forse altrettanto profondi.
 
Le loro labbra erano ferme le une sulle altre, con tanta delicatezza da parer solo adagiate ed incredibilmente morbide, nonostante fossero screpolate e gelide quelle di lui e ancora segnate da un morso quelle di lei.
Law le aveva fatto scivolare una mano dietro la nuca, Ikkaku gli aveva avvinghiato il collo.
 
Era un bacio d’amore fraterno.
 
Era un bacio pieno di “grazie” e di “ce la faremo”.
 
Un bacio pigro e dolce, che forse, se tempo e salute gliel’avessero concesso, sarebbe potuto evolversi in uno carico di passione.
 
O forse no.
 
Ma in fondo ad Ikkaku non importava.
 
Perché in quel momento quello era il bacio migliore del mondo.
 
Il bacio di uno dei suoi migliori amici.
Del suo capitano.
Dell’uomo che le aveva salvato la vita e poi gliene aveva regalata una nuova e meravigliosa, senza chiedere nulla in cambio.
 
Il giovane le aveva lasciato un ultimo bacio a stampo, allontanandosi con estrema lentezza e malinconia, per poi posargliene uno in fronte e stringerla a sé.
 
Lei aveva subito ricambiato l’abbraccio, serena dopo tanti giorni di pena, addirittura felice, perché aveva ricevuto il “grazie” più bello del mondo e solamente per aver fatto qualcosa che lei riteneva scontato come star vicino all’uomo che era il suo salvatore, il suo comandante ed un suo amico.
 
Forse poteva considerarsi perfino gioiosa, nonostante tutto.
 
“Ikkaku…”
 
“Sì, capitano?”
 
“Ti giuro che so baciare meglio di così, ma magari quello lo proviamo un’altra volta.”
 
E la risata che aveva lasciato le sue labbra, ne era sicura, era genuina e di pura gioia.
 
***
 
     Ikkaku si era risvegliata dopo un sonno senza sogni.
 
Sbattendo un paio di volte le lunghe ciglia aveva poi messo a fuoco la stanza dove si trovava.
 
L’elegante struttura lignea del tetto del baldacchino ed il raso rosso con decorazioni dorate che lo ricopriva erano inconfondibili.
Si era addormentata nella cabina di Law, sdraiata accanto a lui.
Lei sopra le sei coperte ed il lenzuolo, lui sotto.
 
Un sorriso si era permesso di apparirle in volto.
 
Non c’erano molti motivi per sorridere nell’ultimo periodo, ma il pensiero di essere stata tanto vicina al suo capitano per tutta la notte non poteva che renderla felice.
E se ripensava a quella notte poteva quasi ridere dalla contentezza.
 
Aveva baciato Law.
 
Bhe, in realtà lui l’aveva baciata e non con intento romantico né con scopo malizioso, ma era pur sempre il primo bacio che avesse ricevuto dal ragazzo di cui era effettivamente innamorata.
 
Se soltanto non si fossero trovati in quella situazione tanto delicata quanto avvilente, sarebbe andata a vantarsi con più o meno ogni donna del mondo di quanto avvenuto.
 
Purtroppo, però, nonostante Law fosse tornato in sé a livello psichico e avesse riacquistato un po’ di fiducia, era ancora in pericolo di vita.
 
Si era voltata alla sua sinistra, guardando il groviglio di capelli per lo più argentei che sbucava dalle trapunte.
Scostando un poco queste ultime, aveva poi incontrato il viso addormentato del suo capitano.
 
L’era salito un groppo alla gola.
 
Se solo lui non fosse stato in una posizione del tutto naturale e comoda, rannicchiato sul fianco destro, sarebbe davvero parso un morto con quella pelle tanto bianca da lasciar intravedere i vasi sanguigni, le labbra e le sclere rosse, la freddezza del suo corpo e l’infinita tranquillità con cui in quel momento giaceva nel letto.
Bastava solo metterlo supino sistemandogli le braccia lungo i fianchi e chiunque l’avrebbe scambiato per un cadavere e neanche troppo fresco.
 
Eppure…
Eppure era ancora così bello.
 
Trafalgar Law era davvero l’uomo più affascinante che avesse mai visto e non era l’amore che provava per lui a parlare.
Era pressoché oggettiva nel sostenerlo.
D'altronde credeva che davvero poche persone potessero mantenere un aspetto gradevole dopo il decesso e se Law riusciva ad apparire molto più che carino anche in quello stato era perché aveva una bellezza fuori dal comune.
 
Sospirando, Ikkaku aveva risistemato le coperte sulla testa dell’amico.
 
Non voleva neanche pensare che avrebbe potuto non rivedere il suo viso, guardare i suoi occhi meravigliosi o sentire la sua voce tanto profonda quanto rassicurante se non avessero trovato una cura ed in fretta.
 
I Pirati Heart si stavano ingegnando, studiavano varie possibilità ogni giorno, tra l’assistenza di un isolano e l’altro, ma il Piombo Ambrato era rapido e spietato e rientrava a tutti gli effetti nella categoria delle malattie terminali ed incurabili.
E purtroppo, Ikkaku temeva in  cuor suo, in un piccolo angolo che era riuscita a nascondere a Law la notte precedente, che una malattia del genere poteva essere riclassificata come potenzialmente fatale e curabile solo se fosse stata studiata da un medico geniale.
Un medico come il Chirurgo della Morte.
 
E nessuno tra gli Heart Pirates era alla sua altezza.
Loro erano solo i suoi assistenti, qualcuno poteva addirittura essere definito un suo studente, ma neanche lontanamente paragonabile al maestro.
 
Anche la riccia poteva essere chiamata una sua allieva.
Law le aveva insegnato così tante cose e non solo di medicina, a dire il vero.
 
Se c’era un’altra cosa che Ikkaku amava del suo capitano tanto quanto amava la sua personalità ed il suo corpo era senza dubbio la sua mente.
 
Trafalgar aveva una mente brillante, sopraffina. Immagazzinava un’infinità di informazioni e le rammentava tutte alla perfezione, pur se queste appartenevano a campi e categorie diversi, sia che si trattasse di dati concreti sia che fossero racconti, dicerie o romanzi.
In poche parole era un genio, nonché un erudita.
 
Quindi era ovvio che sapesse più degli altri e per il carattere che aveva era naturale che tendesse a trasmettere queste sue conoscenze, se capitava l’occasione.
 
Ikkaku si era concessa un sorriso morbido.
 
A lui piace un sacco insegnare…
 
Ed era vero.
Ricordava distintamente ogni volta che il suo comandante l’aveva istruita su qualcosa, sia perché quanto appreso era stato interessante o utile sia perché aveva adorato l’espressione che aveva assunto Law nel spiegarle le cose.
 
Era sempre la stessa, tutte le volte ed era sempre stupenda.
 
Gli occhi azzurri gli brillavano e trasmettevano una passione che solo lui poteva provare per un oggetto di studio. Le labbra tradivano un sorriso mentre repentine articolavano le parole che giungevano veloci ma chiare alle orecchie di chi ascoltava ed era tanto preso dal suo stesso discorso che neanche si accorgeva di lasciarsi sfuggire l’accento caratteristico della nazione di Flevance.
E dire che, senza contare quando era ubriaco, non gli veniva neanche a farlo apposta quell’accento, abituato da ormai troppi anni a sentire e parlare quella che quasi era un’altra lingua.
 
Inoltre, la pirata adorava il metodo di insegnamento che adottava Law.
 
Lui dava un input, un punto di partenza dal quale incominciare a ragionare tenendo in considerazione l’obiettivo.
Un po’ come se per un problema di matematica venisse già fornita la formula ideale per risolverlo e bisognasse soltanto decriptare il quesito per trarre i dati utili alla formula.
A volte veniva raggiunta la soluzione semplicemente ragionando per conto proprio, altre bisognava analizzare l’input dato.
Esso infatti, puntualmente, conteneva già la risposta, ma Law ci teneva che i suoi uomini raffinassero il loro ragionamento e la loro capacità di giudizio cercando una risoluzione di propria iniziativa.
 
Era subdolo, ma terribilmente fruttuoso.
 
“Oh, Captain… se solo ora ci dessi uno dei input…”
 
Al suo sussurro il dottore si era rigirato, il movimento quasi non visibile sotto l’ammasso di coperte.
 
Un momento…
 
Ikkaku aveva sbarrato gli occhi.
 
Cosa aveva detto quella notte Law, poco prima di baciarla?
 
***
 
     I Pirati del Cuore si erano radunati in cucina subito dopo l’alba. Non avevano appetito e non sembrava nemmeno una loro colazione quella. 
Il cibo era inerme nei piatti, non veniva lanciato né usato come arma e nessuno aveva voglia di parlare.
 
La perdita dell’agognata notte di sonno era solo l’ultima delle loro preoccupazioni.
 
Avevano un sacco di cose da fare.
Intendevano andare immediatamente al municipio per fornire la cura a tutti gli isolani e poi tornare in tempo record al Polar Tang e continuare la ricerca per l’altra cura che serviva loro.
Quella per il loro capitano.
 
Anche senza comunicarlo, l’obiettivo di quella giornata era noto ad ognuno di loro, così, perlopiù di malavoglia, data l’amarezza che affliggeva tutti dacché avevano saputo della cecità di Law, Bepo aveva dato l’esempio iniziando a consumare la propria colazione e presto il resto della ciurma l’aveva imitato.
 
Era vero che avevano fretta, ma non potevano continuare a saltare i pasti o l’agitazione e la fatica dell’ultima settimana li avrebbero travolti.
 
Erano stati interrotti solo dalla porta che si apriva.
 
Non ci sarebbe stato nulla di interessante se non fosse che erano già tutti lì riuniti ad eccezione della loro fanciulla e del loro comandante.
 
Una mano esangue i cui tatuaggi erano terribilmente sbiaditi era stata la prima cosa che avevano visto far capolino. Strisciava contro la porta e poi sulla parete adiacente.
Infine Law si era rivelato facendosi avanti con passo incerto, affidandosi al proprio tatto per capire in che direzione muoversi, un paio di coperte sulle spalle e, per l’angoscia di tutti, gli occhi chiusi.
 
“Law!” Penguin era balzato dalla sedia dirigendosi verso il proprio fratellino, Shachi al suo seguito.
 
“Law, che ci fai qui?” Il suo tono trasudava preoccupazione ed era più che comprensibile.
In quel momento Trafaglar era un ghiacciolo al limone non vedente ed il pinguino non si fidava a lasciarlo girovagare per conto suo.
 
Di tutta risposta il ragazzo più giovane aveva afferrato il volto dell’amico con entrambe le mani, toccandolo e muovendolo sotto le dita più del necessario che gli sarebbe servito per capire che espressione l’altro avesse ed assumendo un evidente e finta aria pensierosa.
 
“Come sei crucciato, Pen. Ti verranno le rughe.”
 
I pirati di Swallow Island erano rimasti a fissare il compagno a bocca spalancata.
 
Stava… Law stava davvero scherzando?
 
Il tono vagamente giocoso, la frecciatina e l’insistenza delle sue mani gelate sul volto di Penguin suggerivano che effettivamente Trafalgar Law stesse facendo dell’ironia.
Ma era davvero possibile dopo la notte precedente?
Dopo che si era reso conto di essere diventato cieco?
Dopo che lui, in preda al panico, non era riuscito nemmeno a camminare e quindi erano stati i suoi fratelli a riportarlo a letto, sorreggendolo da ambo i lati?
Dopo che avevano passato un’ora intera a stringerselo al petto per soffocare le sue urla disperate, mentre sopprimevano le proprie?

“Sai…” La voce dell’amico aveva ridestato i due compagni dal proprio shock, seppur il malsano miscuglio di emozioni negative che li aveva avvolti ripensando alla notte trascorsa non fosse svanito. “… ho deciso di andare in esplorazione. Non potrò andare chissà dove, ma ti assicuro che da camera mia a qui senza vedere è un’avventura. Ti eri mai reso conto di quanto siano labirintici i nostri corridoi? Ad un certo punto credo di essere finito nel bagno di qualcuno, perché sono inciampato in un tappeto e sono caduto su quello che era sicuramente un gabinetto. Una vita spericolata, pur restando sulla mia nave!”
 
Gli occhi di Penguin si erano ulteriormente sbarrati man mano che udiva l’altro parlare.
 
“Ah, un’altra cosa, come cavolo mi sono vestito? Spero di non aver fatto abbinamenti orribili come quelli di Eustass-ya. Insomma, io ho un certo stile. Credo che i pantaloni siano di un pigiama, ma la magliet-…”
 
Penguin e Shachi l’avevano abbracciato.
 
Non avevano potuto fare altrimenti.
Sapevano che Law non amava troppe effusioni d’amore in pubblico, ma in fondo erano davanti ai loro compagni e poi quell’adorabile cretino era felice.
Forse un po’ fingeva, era probabile, ma già solo il fatto di ascoltarlo parlare anziché singhiozzare, vederlo in piedi e non accasciato per terra, sentirlo scherzare quando aveva appena subito un trauma fisico così importante era la cosa più bella del mondo.
 
E anche se fosse stata tutta e completamente una farsa non importava.
Se lui voleva distrarsi, pensare ad altro, cercare di essere allegro, loro non potevano che esserne orgogliosi ed assecondarlo.
 
“Sta tranquillo…” gli aveva sussurrato il rosso “…sta tranquillo che tu il gusto nel vestire non l’hai mai avuto. Magari adesso sarai in grado di fare abbinamenti decenti.”
 
Il medico si era concesso una leggera risata, in parte sincera, in parte sfruttata per nascondere il suo imbarazzo.
Non si era accorto di Shachi finché questi non l’aveva abbracciato.
 
Da quando il suo haki della percezione era così debole?
 
“Allora spero sia un abbinamento abbastanza decoroso da poter uscire di casa. Non vorrei presentarmi al comune vestito come per il carnevale.”
 
A tale frase il resto dell’equipaggio aveva guardato scioccato il proprio comandante.
 
“Che cazzo vuoi dire con “uscire di casa”?”
 
Gli aveva fatto eco il loro cuoco con il suo proverbiale e naturalissimo linguaggio volgare.
 
Il medico si era aggrappato a Shachi, usandolo come perno e punto di riferimento per ispezionare lo spazio a loro circostante e capire verso dove dirigersi per potersi sedere con gli altri.
 
Bepo gli aveva subito porto una sedia, sebbene fosse confuso quanto i suoi compagni riguardo a ciò che il loro Captain aveva detto.
 
“Intendo…” aveva incalzato Law, accomodandosi ed allungando le braccia per constatare quanto distante fosse il tavolo. “…che devo assolutamente essere presente per la somministrazione della cura degli isolani. Quindi devo venire con voi.”
 
“Assolutamente no!”
 
Penguin l’aveva nuovamente raggiunto, ponendosi di fronte a lui e osservandolo con un misto di rimprovero e sgomento.
 
A cosa diavolo stava pensando quel masochista di suo fratello?
 
“Ma Pen-…” aveva tentato di controbattere quest’ultimo, venendo però interrotto dal più grande.
 
“Ma Pen un bel niente! Non esiste che tu esca dal sottomarino. Non puoi continuare ad affaticarti così. Ormai non c’è più motivo per farlo. Hai trovato la cura, quelle persone sono salve. Quindi ora per favore, per favore Law, inizia a pensare anche a te stesso.”
 
“Apprezzo la tua preoccupazione, ma ascoltami, almeno. Ti ho spiegato come funziona la cura. Anche se la base che la compone è la stessa, la concentrazione degli elementi varia da individuo ad individuo a seconda dell’anzianità del soggetto sommata alle sue caratteristiche ematiche. Si tratta di un calcolo matematico e di un’analisi che voi non siete in grado di fare, perciò-…”
 
“Insegnaci! E poi ci penseremo noi, mentre tu riposerai!” Penguin aveva alzato il tono della voce, facendo sobbalzare il suo capitano, ma ormai stava perdendo la pazienza. Adorava l’apprensione che Law dimostrava verso i suoi pazienti, ma non se questa influiva negativamente sulla sua salute.
Secondo Penguin non c’era nulla che valesse quanto la vita del suo capitano.
Nulla.
Nemmeno le centinaia di anime che abitavano su quell’isola.
 
“Anche se vi istruissi al riguardo non apprendereste tutto in un attimo. Trovare la giusta percentuale di estratto di corallo e sieroprofilassi in base alla capacita emopoietica di un malato non è facile, non è intuitivo, ma è fondamentale! Non possiamo aspettare i giorni che vi occorrono per imparare a comporre la cura ed a decifrare i valori emostatici di quelle persone, perché quella gente non ha molto tempo a disposizione!”
 
“Perché, tu ne hai di tempo a disposizione?!”
 
Penguin si era portato entrambe le mani a sigillarsi la bocca, fissando tremante il proprio fratellino.
Non riusciva a credere a quello che gli aveva appena urlato contro.
Non era certo un mistero che Law fosse conciato male, ma nessuno aveva mai avuto il coraggio di ammetterlo a se stesso o di dirlo ad alta voce, tantomeno al diretto interessato.
 
“Capitano, io… i-io… mi dispia-…”
 
“Lo so anche io.” Il sussurro di Law era stato basso, quieto, quasi spezzato da un’evidentissima nota di inquietudine. “Ci ho pensato a lungo stanotte. Se considero tutte le parti del mio corpo che sono oramai decedute… credo di avere al massimo ancora una settimana di vita. Nel migliore dei casi.”
Aveva udito il rumore di una tazzina che cadeva a terra frantumandosi e qualcuno dei suoi nakama trattenere un verso scioccato.
“Ma come ben sai, Pen, il Piombo Ambrato non funziona come le altre malattie. Non peggiora perché mi affatico, non migliora se riposo. Mi uccide e basta, a seconda di quando si attivano i bacilli di veleno o in base a quanto ci impiega una parte morta a contaminare quella adiacente. Quindi, finché non mi colpirà i polmoni od il cuore od il midollo spinale potrò muovermi ed intendo farlo.”
 
Penguin si era morso il labbro inferiore, obbligandosi a non trapelare il proprio terrore, incapace di reggere il peso delle parole di Law.
Una settimana.
Sette cortissimi giorni, se il mondo era abbastanza generoso da concederglieli tutti e poi avrebbe rischiato di dire addio a colui che era il centro della sua famiglia.
 
No, non poteva permetterlo.
 
“Law, ti prego, resta qui.”
 
Il comandante degli Hearts aveva rivelato un sorriso amaro.
“Se la malattia vorrà colpirmi lo farà a prescindere che io sia a letto, al comune, in ospedale o chissà dove. Quindi tanto vale che io vada a salvare i miei pazienti. Salviamo il salvabile, Pen. Siete la mia ciurma, la ciurma di un dottore. E come capitano e medico voglio salvare quella gente… Almeno loro. Inoltre… vorrei davvero uscire e camminare finché ho la possibilità di farlo.”
 
Non aveva ricevuto riposta, neanche dopo diversi attimi di silenzio assoluto.
Era certo di essere circondato dall’intera ciurma, ma nessuno osava rispondergli.
Law aveva iniziato a provare una sorta di imbarazzo.
Non vedere come stavano reagendo i suoi compagni dopo quella che era una mezza discussione tra lui e Pen era davvero disagevole.
 
Si era girato sulla sedia verso dove supponeva ci fosse il tavolo, ma nel processo aveva urtato con una mano che aveva sporto per tastare la tovaglia un contenitore bollente, facendolo rovesciare.
Sentendo il sibilo di dolore di Clione al suo fianco aveva perso un respiro, mentre le guance diafane si colorivano di un pallido rosso.
 
“S-Scusa Clione! Ti sei ustionato? Posso aiutarti?”
 
L’uomo, ridestatosi dallo stato di panico in cui era piombato dopo aver scoperto che il termine della malattia era così vicino, aveva posato una mano sulla spalla del suo capitano, intenerito dalla sua ansia nei propri riguardi e dispiaciuto per lui sia per quanto aveva appena detto sia per ciò che aveva fatto.
Non che gli importasse di essersi scottato un braccio con del tè bollente, ma sapeva che Law doveva sentirsi imbarazzato per essersi dimostrato goffo.
D'altronde lui era sempre perfetto e preciso in ogni sua mossa e quello che era appena accaduto era un’arcigna novità.
 
“Tranquillo Captain, mi sono solo bagnato una manica, tutto qui.”
 
“Ma ho sentito che il contenitore era rovente e-…”
 
“Ma va! Ti ricordo che combatto tutte le mattine contro Uni e Shachi durante la colazione. Hai idea delle volte che quei due stronzi mi hanno rovesciato la teiera in testa? Quella si che è ustionante. Ad essersi rovesciato è solo il termos di Ikkaku. Praticamente era acqua fresca!”
Aveva notato con la coda dell’occhio come i loro compagni sorridessero riconoscenti alla strepitosa balla che aveva appena raccontato al loro comandante, inventata su due piedi.
Ad essersi rovesciata era stata davvero la teiera incandescente e per quanto Uni e Shachi fossero degli infidi bastardi durante le guerre col cibo non avevano mai causato ustioni di primo grado a qualcuno.
Ciò non significava che avrebbe fatto preoccupare il suo capitano per qualcosa che poteva risolvere con una pomata.
 
Law era rimasto in silenzio.
Aveva tentato di appoggiare le braccia sulla tavola, ma temendo di causare altri danni, dopo aver mancato il bordo del tavolo un paio di volte, aveva desistito, facendo ricadere le mani in grembo.
 
Aveva poi percepito una sedia essere trascinata vicino la sua e qualcuno sedervi sopra.
 
“Law.”
 
Cazzo.
Era Penguin.
Ovviamente aveva assistito alla misera scena e ora voleva rinfacciargli che non era nemmeno in grado di stare a tavola senza incasinare tutto, quindi figurarsi cosa avrebbe combinato se fosse andato al comune.
 
“Mi giuri che farti uscire e lavorare non peggiorerà il tuo stato fisico?”
 
Cosa?

Il medico era rimasto interdetto per alcuni istanti, incapace di elaborare immediatamente la domanda del compagno.
Poi aveva quasi avuto voglia di sorridere.
 
“Come ho detto prima, il Piombo Ambrato può attaccarmi quando e come vuole, ma finché non intacca cuore, polmoni e midollo spinale, posso fare qualunque cosa e l’affaticamento non mi farà degenerare in alcun modo. Lo giuro sulla mia nave.”
 
Ed essendo un capitano a giurare sul proprio vascello, allora quanto detto era la più assoluta verità.
 
Penguin aveva sbuffato, allungando una mano verso i capelli argentei del suo fratellino per arruffarglieli ancora più di quanto già non fossero.
 
“Bene, allora andremo a salvare quella gente tutti insieme. Ma se stai male, anche fosse solo un inezia, ce lo dici, intesi? So che odi ricevere ordini e che sei tu il comandante, ma io sono il tuo migliore amico, tuo fratello e anche tua madre, quindi obbedisci. Sono stato chiaro?”
 
Law aveva soffocato lo sbuffo di una risata.
 
Penguin che si autodefiniva sua madre era abbastanza esilarante, giacché solitamente erano i loro compagni a definirlo così e lo facevano per prenderlo in giro, ma probabilmente il nakama aveva voluto alleggerire l’atmosfera e tornare a distrarre la sua mente da tutti i mali che stava subendo in quei giorni.
 
E Law non poteva che essergliene grato.
 
“Chiarissimo, mammina.”
 
***
 
     Non era andata così male.
 
All’inizio, almeno.
 
I Pirati Heart erano arrivati al comune quasi senza intoppi. Law era inciampato solo un paio di volte suoi ciottoli dismessi della strada, ma non era caduto per terra e la passeggiata non sembrava averlo minimamente sfiancato.
Inoltre gli innumerevoli strati di vestiti che aveva dovuto mettere per combattere la sua temperatura corporea eccessivamente bassa nascondevano quasi completamente il suo aspetto cadaverico, così come il sole splendente, che rianimava la natura dopo la violenta tempesta della notte precedente, era la scusa ideale per permettergli di indossare degli occhiali da sole senza suscitare domande inopportune.
 
La destrezza con cui il capitano degli Hearts maneggiava le siringhe ed individuava i vasi sanguigni dove inserirle, facendo scorrere due dita lungo il braccio dei suoi pazienti, faceva credere che fosse ancora perfettamente vedente.
Mentre i calcoli che doveva eseguire per capire la concentrazione di estratto di corallo da usare in rapporto alla funzionalità del midollo dei malati non necessitavano di essere messi per iscritto, poiché erano abilmente eseguiti a mente, a volte borbottati sottovoce, provocando meraviglia e curiosità in chi li udiva.
Qualcuno aveva perfino chiesto cosa significassero i numeri che di tanto in tanto Trafalgar mormorava e puntualmente i Pirati del Cuore avevano spiegato brevemente a cosa servissero, concentrandosi poi sull’elogiare l’intelligenza del loro comandante, sottolineando che si trattava di operazioni che normalmente sarebbero dovute essere scritte per poter essere risolte.
 
Insomma, stava andando tutto perfettamente.
 
Finché la gente non aveva iniziato a riprendersi dai propri malanni ed a badare con più attenzione a ciò che la circondava.
 
Era stato l’haki della percezione ad allertare Law.
Da ormai un’ora il chirurgo si sentiva incessantemente osservato e anche se non poteva confermarlo in alcun modo e per un po’ aveva cercato di non farci caso, la disagevole impressione l’aveva spinto, infine, a bloccarsi mentre lavorava.
Si sentiva davvero gli occhi di diverse persone addosso e non credeva fosse suggestione, ma forse veniva guardato per il semplice fatto che era l’unico medico presente e che stava curando tutti.
Inoltre credeva di essere anche l’unico pirata presente in quell’ala del municipio, poiché il chiacchierio dei suoi compagni era divenuto sempre più lontano man mano che era passato da un paziente all’altro. Presumibilmente era ancora sottocchio o di lì a qualche secondo avrebbe udito le urla preoccupate delle sue chiocce che lo chiamavano.
Poteva essere così?
E ora che ci pensava… lui era l’unico dottore presente perché il medico dell’isola era morto.
Ma perché era morto?
Ikkaku aveva detto che era giovane, giusto? Quindi non sarebbe dovuto soccombere all’epidemia, perché aveva abbastanza anticorpi da poter reggere almeno ancora un mese.
 
“Fratellone? Non me la fai più la puntura?”
 
L’acuta vocina di Mara l’aveva ridestato.
 
Il ragazzo aveva sospirato con esasperazione.
Probabilmente la sua mente, instabile a causa del Piombo Ambrato, si stava distraendo e gli stava facendo immaginare situazione spiacevoli com’era ormai consona fare negli ultimi tempi.
Doveva smetterla di lasciarsi trasportare da cattivi pensieri o sarebbe impazzito prima che la malattia gli avesse distrutto il cervello.
 
“Sentirai un po’ di dolore. Sei pronta?”
 
Aveva percepito la manina della piccola stringere il suo maglione grigio in risposta.
Se si fossero ritrovati nella stessa circostanza solo qualche giorno prima, Mara avrebbe sicuramente fatto un lunghissimo e sconclusionato discorso dal quale, in qualche modo, si avrebbe evinto che lei non aveva paura degli aghi. Ma in quel momento non era affatto dell’umore per parlare.
Aveva perso il suo papà e anche se il dottore musicista aveva trovato il modo di salvare lei ed il resto degli abitanti, nessuno le avrebbe ridato il suo adorato genitore.
 
Law si era accorto che la bambina aveva preso a piangere stretta contro di lui solo dopo che le sue lacrime erano riuscite e oltrepassare il maglione e le tre maglie che indossava, inumidendogli il ventre.
 
Non l’aveva abbracciata a sua volta, ma nemmeno si era sentito così crudele da scacciarla.
 
Solo dopo diversi minuti la madre di Mara si era avvicinata a loro per allontanare la figlia dal pirata e anche se dapprincipio Law aveva creduto che la donna lo stesse facendo per permettergli di curare gli altri bambini, aveva poi percepito una distinta nota di agitazione nella sua intonazione.
 
“Mara, forza, torna a letto!”
 
“No!” La giovane isolana aveva maggiormente sepolto il viso nel maglione del ragazzo.
 
“Staccati da lui!”
 
Law aveva sentito la piccola essere strattonata lontano da sé e dopodiché il suo pianto farsi più forte e disperato.
Ciò che non aveva potuto vedere erano state le esili braccia di Mara che si estendevano verso di lui, chiedendogli silenziosamente di prenderla e tenerla con sé un altro po’.
 
“Trafalgar.”
 
Una voce sconosciuta l’aveva fatto voltare, ma ovviamente non aveva potuto vedere a chi appartenesse.
Aveva quindi atteso che l’uomo continuasse a parlare.
 
“Dovresti somministrare la cura alle persone nella sala dell’anagrafe. Stanno messe male.”
 
Law aveva crucciato le sopracciglia.
Seppur la richiesta fosse stata tanto lecita quanto logica, il tono sprezzante e vagamente disgustato con cui era stata posta l’aveva confuso.
 
Tuttavia si era rialzato, lisciandosi gli strati di vestiti che indossava e coprendosi meglio il collo col cappuccio arricciato della felpa che in qualche modo Penguin era riuscito ad infilargli sopra il maglione.
 
“Fammi strada.”
 
Se la sua memoria fotografica non lo stava tradendo, poteva dire di essere nella stanza accanto a quella che era il suo nuovo obiettivo.
Fino a quel momento, infatti, si era spostato senza incidenti e senza perdersi grazie al fatto che aveva memorizzato la pianta del comune e la posizione di ognuno dei suoi mobili, ma perlopiù si era lasciato guidare dalle voci dei malati o da quelle dei suoi uomini.
Dunque fingere di non sapere dove si trovasse la sala citata era l’opzione migliore, onde evitare di essere visto a tastare le pareti per capire verso dove direzionarsi.
 
“Ci sono bambini là?”

Law non era il tipo che intavolava discorsi di cortesia con gli estranei, spesso non parlava nemmeno coi suoi amici, ma gli occorreva che l’altro dicesse qualcosa o perlomeno facesse rumore camminando o non sarebbe stato in grado di seguirlo.
 
“Sì, molti neonati.”
 
Ancora una volta la voce dell’uomo era stata piuttosto fredda e nonostante la brevità della frase il pirata poteva giurare di aver colto del leggero timore.
 
Che diavolo significava?

Si stava forse immaginando tutto?
 
Fino a un paio di giorni prima Law era stato idolatrato da tutti gli abitanti dell’isola per aver trovato la cura all’epidemia ed ora, all’improvviso, la gente gli si rivolgeva con un misto di rabbia e paura.
 
Il giovane medico aveva fermato il proprio avanzare rendendosi conto che l’uomo innanzi a sé aveva fatto lo stesso e forse, se davvero era passato dal parquet al camminare su un tappeto come gli sembrava, era giunto in un’altra stanza. Se fosse quella dell’anagrafe, non poteva verificarlo.
 
“… Mi dispiace…”
 
Il sussurro dell’isolano era parso insensato a Law, che era stato in procinto di domandargli cosa significassero quelle scuse, quando un violentissimo colpo aveva impattato contro la sua nuca, scaraventandolo diversi metri più avanti, facendolo rovinare sul pavimento.
 
Gli occhiali da sole rotti e volati via durante il processo.
 
Law si era messo a carponi respirando a fatica, ancora succube allo shock dovuto al trauma brutale e improvviso che aveva appena subito, avvolgendosi la nuca con le braccia, la fronte a terra.
 
Un calcio l’aveva costretto a rotolare supino ed istintivamente aveva portato le mani davanti al volto, volendo difendersi da non sapeva bene cosa.
 
Perché lo stavano attaccando?

Finché non avesse avuto una risposta non intendeva alzare un dito contro quelle persone. Non certo perché era misericordioso, bensì era una persona razionale. Quelli erano i suoi pazienti, dopotutto e forse erano vittime di un crollo psichico causato da qualche malattia che li aveva colpiti.
Aveva diagnosticato un paio di casi simili nei giorni precedenti.
 
E poi l’uomo che l’aveva chiamato con l’inganno aveva chiesto il suo perdono prima che qualcun altro alle sue spalle lo colpisse con quella che Law supponeva fosse una sedia, ma non poteva averne la certezza.
 
Inoltre era certo che presto qualcuno del suo equipaggio l’avrebbe raggiunto, conscio che lo stessero costantemente controllando.
 
Quindi, fino a quel momento, si sarebbe limitato a parare i colpi come meglio poteva.
 
“Mi dispiace!”
 
Un secondo calcio, accompagnato dalla voce di una donna, l’aveva sorpreso alla spalla destra.
 
Veniva colpito, sentiva delle scuse e poi le azioni si ripetevano, mentre Law cercava di ipotizzare cosa diavolo fosse preso a quella gente ed incassava ogni percossa con gemiti mal trattenuti, causa il suo stato fisico precario.
 
“Okay, dovremmo averlo indebolito abbastanza.”
 
Law non aveva idea di chi avesse pronunziato quelle parole, né cosa presagissero. Sapeva di avere ancora molte forze nonostante il proprio malanno ed i danni subiti, sapeva che se l’avesse voluto avrebbe potuto reagire a dispetto del dolore che sentiva un po’ ovunque dopo il pestaggio.
 
Soltanto dopo aveva davvero capito.
 
Perché lo stessero picchiando ed a cosa servisse indebolirlo.
 
Non aveva abbastanza energie per l’haki dell’armatura e lo scatto del cane della pistola che qualcuno gli stava puntando contro glielo aveva ricordato nel giro di un attimo.
 
Non poteva usare l’ambizione per difendersi da un proiettile.
 
E poi, gli era stato rivelato il motivo dietro tutto ciò e le braccia con cui aveva tentato di proteggersi gli erano ricadute inermi e già livide lungo i fianchi.
 
Gli occhi ormai privi di qualsiasi colore spalancati, rivelando con orrore la propria cecità.
 
“Siamo al limite, non possiamo passare un altro inferno! Mi dispiace… mi dispiace, tu ci hai salvati, ma…” La canna gelida della pistola era stata premuta contro la tempia altrettanto fredda del ragazzo. “Non possiamo patire un’altra epidemia! Non ti permetteremo di contagiare qualcuno col fardello del diavolo che ti porti! Dobbiamo ucciderti…” Il dito sul grilletto aumentava sempre più la pressione. “Dobbiamo eliminare il Mostro Bianco!”
 
 
°° FINE CAPITOLO °°


 
Dai, dai, ormai vi siete abituati ai miei FINE CAPITOLO bastardi e pieni di ansia, sono otto capitoli che va così!
E poi eccomi qua, prima del previsto!
Ero in vacanza, come vi avevo detto, ma appena tornata mi sono fiondata a scrivere, avevo troppa ispirazione. 
E sì, dovrei aggiornare le altre fiction prima di questa, ma ormai Il Mostro Bianco si scrive da solo!
Nonostante quanto appena detto, non  so dirvi entro quando pubblicherò il nuovo capitolo, perché sono sommersa di lavoro :'C

Spero che non abbiate letto storcendo il naso la parte tra Law e Ikkaku. Come ho già detto, per me NON è l'esordio della loro storia d'amore, perché in questa fiction NON ci sono coppie. Inoltre credo che in un momento di fragilità fisica e mentale, dove si ha l'appoggio fedelissimo di una persona cara, sia naturale dimostrarle il proprio più sincero affetto e un bacio ha tanti significati.
Ma, ribadisco, se invece vi interessa la coppia siete liberissimi di interpretare la prima parte del capitolo come il primo bacio tra quei due Hearts. 

Ho accennato al fatto che nella nazione di Flevance si parlasse con un forte accento molto diverso dalla lingua comune parlata nella Grand Line. Ebbene, dall'anime di One Piece sentiamo parlare sempre e solo giapponese, ma per una semplice questione di doppiaggio. In realtà personaggi da parti del mondo diverse utilizzano, mentre parlano, suffissi o altre particolarità che suggeriscono una lingua o un dialetto diversi dalla lingua parlata dai protagonisti. Ed è anche logico supporre che in un intero mondo esistano lingue differenti o perlomeno forti accenti che stravolgono il parlato. Essendo, quindi, Flevance una nazione molto distante, agli estremi del Mare del Nord, mi è piaciuto immaginare che i suoi abitanti parlassero in modo diverso da Rufy e compagnia e che Law si sia abituato a parlare come gli altri (imparando una nuova lingua o eliminando il proprio accento) perché ormai da anni è lontano da casa ed ha a che fare con persone che parlano "la lingua ufficiale di One Piece".
Non so se mi sono spiegata x'D 
In ogni caso, sono curiosa di sapere se siete d'accordo con me. 

Passando ad altro... ma quanto è tenero Law cieco *-* ? 
Cioè, sì, non c'è da essere troppo felici della sua cecità, ma io lo trovo adorabile tutto impacciato e insicuro. 
Non sono l'unica, vero?

Okay, ora sto zitta. 

Come sempre vi invito a lasciarmi una recensione, perché mi interessa il vostro parere ♥

A presto,
Baci,
Pawa

P.S A dirla tutta, per quanto riguarda la lingua parlata da Law a Flevance, immagino un bel dialetto del Nord Italia, mentre Eustass Kidd, dei Mari del Sud, parla uno spigliato dialetto meridionale e Rufy si becca il Centro. Vi giuro che amo immaginarli parlare così, con Kidd e Law che non capiscono una mazza l'uno delle frasi dell'altro e Rufy bello beato a blaterare in romano e il romano lo conoscono tutti. 

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


°° Il Mostro Bianco °°

 

- Capitolo IX -



AVVISO!

 Ho intenzione di realizzare un fanbook su "Il Mostro Bianco"!
Per chi non lo sapesse, sono un'aspirante fumettista e ho pensato di disegnare una serie di tavole, illustrazioni, cover e vari extra dedicati a questa fanfiction.
♦ Dunque ecco la domanda: qualcuno di voi sarebbe interessato a comprarlo?
Tranquilli, il prezzo NON sarà alto (certo, mi deve ripagare le spese degli strumenti usati, ma solo quello xD) ed è ancora da decidere. 
Inoltre potete rispondermi adesso o in futuro (per messaggio privato sarebbe preferibile) o darmi anche solo una risposta indicativa, come: "Credo di sì".

Si tratterebbe di un progetto per scuola, quindi lo farò a prescindere che ci siano o no dei compratori, ma non vi nascondo che se voleste comprarlo mi fareste piangere di gioia per una serie di motivi:
1. Sarebbe la mia prima opera venduta.
2. Sono estremamente affezionata a questa storia e sapere che anche i miei lettori l'apprezzano tanto da volerla vedere disegnata sarebbe il raggiungimento di un obiettivo. 
3. Sarebbe anche la mia prima possibilità di farmi conoscere al pubblico.

Per quanto riguarda l'eventuale pagamento o consegna del fanbook, avrei varie opzioni:
Per pagarmi possiamo fare per bonifico, PayPal o simili e poi vi spedisco il fanbook per posta o corriere.
Oppure potremmo fare il tutto di persona, magari incontrandoci a qualche fiera del fumetto, così da avere un bel luogo di riferimento dove vederci. 

Tutti i dettagli arriveranno con il tempo, man mano che io stessa porterò avanti il progetto, ma potete già iniziare a scrivermi ♥
Potete anche accennare a questo argomento in una recensione e poi ne parleremo con calma.
Intanto vi lascio il link del mio profilo Instagram per darvi un'idea di come disegno (guardate la data dei post, però x'D I disegni penosi sono vecchi e non sono indicativi).

Inoltre su Instagram pubblicherò alcune illustrazioni del fanbook e altri disegni dedicati a Il Mostro Bianco ed ad altre storie! 
https://www.instagram.com/pawa_art/
 
°°BUONA LETTURA°°

 
     “…Dobbiamo eliminare il Mostro Bianco!”
 
Eliminare il Mostro Bianco.
 
“Maledetto flagello! Vattene dalla nostra città!”
 
Eliminare il Mostro Bianco, la sciagura che vagabonda per portare disgrazia.
 
“Ce l’ho fatta, siamo salvi! Gli ho dato fuoco! Guardante come brucia!”
 
Eliminare il Mostro Bianco…
 
“Speriamo che le fiamme lo uccidano in fretta, le sue urla sono così fastidiose. Allontaniamoci! Si sta dirigendo verso di noi, quello è proprio un mostro, non muore più!”
 
…Eliminare me.
 
Law era rimasto immobile.
L’eco dell’urlo disperato dell’isolano gli rimbombava in testa insieme agli strilli e gli insulti che gli erano stati rivolti quand’era un bambino, frastornandolo e facendogli vedere le più spiacevoli immagini del suo passato.
 
Facendogli rivivere quegli orrori.
 
Se solo il trauma che stava subendo non lo avesse anche paralizzato Trafalgar avrebbe iniziato a gridare angosciosamente perché poteva giurare di sentirsi le carni essere sciolte dal fuoco che era stato appiccato al suo corpo quasi vent’anni prima.
 
E se la sua coscienza non fosse stata così miseramente schiacciata dai terribili ricordi e dalla consapevolezza di essere ancora una volta quell’ignobile appestato, Law avrebbe compreso che il leggero clangore che aveva udito distrattamente e che neanche vagamente aveva considerato era lo scatto del grilletto della pistola alla sua tempia.
Poi, ancor prima che potesse sentire il rombo del colpo esploso, una quantità esagerata di sangue caldo e denso gli aveva completamente bagnato il viso.
 
Solo allora la sua mente si era stabilizzata, anche se solo in parte e anche se ancora gli sembrava di percepire la realtà in modo ovattato.
 
“Capitano!”
 
Shachi aveva sferrato un calcio quasi letale all’uomo che aveva impugnato la pistola contro al suo fratellino, scaraventandolo con tutta la sua furia contro la parete opposta della stanza.
Bepo era subito corso da Law, sollevandogli il capo.
 
“Law? Law! Rispondimi!”
 
L’intera ciurma si era radunata in pochi istanti nella sala dell’anagrafe, raggiunta anche da Sengoku e alcuni marines.
 
Shachi aveva cercato di riprendere il controllo di sé, guardando senza davvero vederla la parete sfondata dal corpo che aveva colpito e dopo un paio di respiri profondi ed estremamente tremanti si era voltato verso i suoi compagni, correndo ad abbracciare Penguin.
 
“Pen! Cazzo… grazie, grazie a Dio hai una mira eccezionale!”
 
Il ragazzo più grande aveva sollevato esitante un braccio per avvolgere le spalle dell’amico, ancora incapace di distogliere gli occhi dalla propria lancia conficcata nel pavimento ligneo.
L’aveva scagliata micidiale e precisa ed essa aveva amputato la mano dell’isolano che aveva attentato alla vita del loro comandante, appena una frazione di secondo prima che il proiettile uscisse dalla canna dell’arma.
Non avevano nemmeno dato il tempo all’uomo di urlare dal dolore, che Shachi l’aveva molto probabilmente ucciso con quel poderoso calcio al cranio.
Soltanto il sangue dell’ormai ex malato era stato più veloce di tutti e si era riversato in fiotti sul volto del loro migliore amico.
 
Con l’appoggio l’uno dell’altro e la certezza che lui fosse salvo, i due ragazzi avevano sciolto il loro abbraccio e si erano immediatamente avvicinati al loro dottore.
 
Nello stesso istante, White Fox, Masked Man e Ikkaku avevano estratto le loro armi, frapponendosi tra i loro compagni e gli isolani, mentre Jean Bart, alzatosi in piedi, aveva irrigidito ogni muscolo, risultando ancora più grosso e minaccioso di quanto già non fosse.
 
“Se vi abbiamo aiutato...” White parlava a denti stretti, tentando di reprimere l’ira che minacciava di farlo uscire di senno. “… è stato solo perché il nostro capitano l’ha voluto. Perché è generoso. Ma sappiate che a noi altri delle vostre vite non interessa minimamente. E se questa…” Aveva indicato con un movimento del braccio Law alle proprie spalle. “… è la gratitudine che avete nei suoi confronti, potete far finta che la cura non sia mai stata creata, perché ora vi ammazziamo tutti!”
 
Gli isolani avevano preso a tremare visibilmente, qualcuno era caduto in ginocchio, non potendo reggere al terrore di venir massacrati dopo essere appena guariti da un malanno mortale e qualcun altro tentava di scusarsi o di dire qualsiasi cosa che potesse far cambiare idea ai pirati, ma uscivano soltanto balbuzie incomprensibili dalle loro labbra.
 
Masked Man aveva sollevato l’ascia, serrando la presa attorno l’asta con cui la reggeva, Ikkaku aveva teso l’arco con tre frecce nella mano destra e innumerevoli altre nel turcasso e White aveva alzato la sua coppia di revolver, mentre Uni e Clione, dietro di loro, avevano già estratto dalle loro tute la prima mezza dozzina di pugnali e scelto contro chi lanciarli.
 
“Vi prego, aspettate!”
 
Ancora una volta il sindaco Bentam era accorso in salvo dei propri concittadini anche se, vedendo lo stato in cui versava Trafalgar, non poteva certo biasimare i Pirati del Cuore.
 
“Tu ne sapevi qualcosa, vecchio?”
 
Il tono profondo e torvo di Jean Bart aveva fatto vibrare l’intera stanza e il primo cittadino aveva serrato le palpebre per qualche istante, deglutendo e pregando qualunque divinità esistente che quella situazione non degenerasse.
 
“Io…” Aveva riaperto gli occhi, colmi di un timore nascosto in alcun modo; tuttavia aveva catturato lo sguardo del semi gigante, sorreggendolo.
Due ex capitani pirata a confronto.
Due uomini che volevano il meglio per i propri compagni.
“… Io non so neanche cosa sia accaduto di preciso, ma non posso starmene inerme a guardare la mia gente venir sterminata. Se quello che è successo…” Aveva ammiccato in direzione dell’unico comandante ancora in carriera presente, ora attorniato dai suoi fratelli e nascosto alla vista di chiunque, spostando poi l’attenzione verso gli isolani. “…è colpa loro, verranno puniti. Non siamo più criminali e la nostra società non tollera certi atti meschini. Ma non li condannerò a morte e neanche voi lo farete.”
La sua voce ferma tentava di ricordare a chi la ascoltava che anche lui era stato un corsaro, un leader, e non si sarebbe fatto sopraffare tanto facilmente.
Perlomeno non in un dibattito.
 
Aveva udito solo il tacco di uno stivale che colpiva le assi del pavimento e nel momento successivo era faccia a faccia con Penguin, il suo movimento troppo veloce perché Bentam potesse davvero vederlo e solo lo spostamento d’aria che lo aveva investito suggeriva che il pirata non si fosse teletrasportato da tanto che era stato rapido.
Il sindaco aveva dovuto ricorrere a tutto il proprio autocontrollo per non cedere allo sguardo glaciale del ragazzo che aveva innanzi, che sembrava starlo trucidando con le sue iridi fisse e furenti.
 
“Non serve che venga emessa una condanna.  Siete già morti, per quanto mi riguarda.”
 
Il suo sibilo sussurrato con apatia nonostante la rabbia che palesava il suo volto, un agghiacciante contrasto che aveva fatto abbassare gli occhi a Bentam.
Era stato appena udibile, ma nel silenzio indotto dal terrore aveva raggiunto le orecchie di ognuno, crudele e micidiale come una pugnalata al cuore.
 
“Penguin…”

La maschera di odio e spietatezza del pinguino era immediatamente crollata nell’udire la tenue voce di Law che lo chiamava.
Dimentico di Bentam, degli isolani ingrati e di chiunque altro, il corsaro del Mare del Nord si era nuovamente precipitato dal più giovane dei suoi fratelli, ora l’ansia e la preoccupazione a pervaderlo e a muovere i lineamenti del suo viso.
 
Il chirurgo si era messo a sedere con una fatica che avrebbe accusato solo un uomo col triplo dei suoi anni ed era stato scosso da fremiti impossibili da non notare.
Si era aggrappato a Bepo, serrando la presa sulla sua tuta arancione e stringendo le palpebre tanto da sentire dolore.
 
…Sono un codardo…
 
Law non aveva mai avuto paura della morte.
 
Quando da bambino aveva sbirciato tra le cartelle cliniche scritte da suo padre e aveva scoperto di dover morire a soli dodici anni era stato frustrato, triste, si era chiesto perché dovesse terminare così presto la sua esistenza, ma no, non aveva temuto il suo dodicesimo compleanno e ciò a cui sarebbe andato incontro a quell’età.
Durante le battaglie da lui combattute nel corso della sua carriera aveva goduto nell’essere in pericolo e mai aveva rinunciato a un’avventura o a un tesoro perché chiunque aveva tentato quell’impresa prima di lui non aveva mai fatto ritorno.
 
Trafalgar Law aveva sconfitto la morte, la propria e quella dei propri pazienti, così tante volte che era considerato un medico tanto abile da poter manipolare una vita a proprio piacimento, nonché uno dei pirati più temibili di sempre.
 
Ma stavolta era stato diverso.
 
Se in passato aveva sempre lottato per tener lontana la Dea con la falce, ora era stato completamente immobilizzato, dal Piombo Ambrato e dai propri traumi del passato.
 
Si era quasi arreso.
 
Ed era questo che lo aveva spaventato.
Non il fatto di venir ucciso, bensì che non si fosse opposto in alcun modo, che lo aveva accettato.
Aveva addirittura pensato che fosse la cosa giusta.
 
Infatti, se i suoi compagni avessero tardato solo di una frazione di secondo il Mostro Bianco sarebbe finalmente scomparso.
 
Law era praticamente precipitato in quel baratro di delirio, smarrimento e infausti ricordi verso cui la sua malattia lo stava sospingendo dal giorno in cui era tornata.
 
Ma poi li aveva sentiti.
 
I suoi uomini che lo salvavano, che lo proteggevano, che si infuriavano.
 
Ed era tornato sul bordo del precipizio.
Era ancora lì, in equilibrio precario e sarebbe bastato davvero poco per farlo cadere nuovamente, ma era certo che se fosse successo la sua ciurma sarebbe nuovamente accorsa in suo aiuto.
La mente di Law era così dannatamente instabile che il chirurgo quasi si vergognava dello stato in cui versava.
Sapeva di non aver più controllo su di essa, ormai questa era una certezza, ma sperava di poter dare meno problemi possibili ai propri compagni.
Quindi, non appena si era accorto di quanto disperatamente loro stessero cercando di riportarlo indietro dalla deriva a cui si era abbandonato, il medico aveva tentato di riprendersi, di liberarsi da tutti quei pensieri sgradevoli.
 
‘Fanculo il Piombo Ambrato, ‘fanculo chi lo temeva.
 
‘Fanculo il Mostro Bianco!
 
Non lo era più e, anzi, non lo era mai stato.
Erano state le persone, gente comune, a creare quella figura, a raccontare stronzate su quanto fosse pericoloso, ma erano tutte fandonie.
 
Il Piombo Ambrato non era contagioso.
Avrebbe ucciso solo il “Mostro Bianco” stesso.
 
Ora, soltanto ora, dopo che era stato così vicino a un’insensata, ignobile e insignificante morte, si era deciso.
Basta piangersi addosso, basta essere di peso per i propri amici.
 
Se davvero gli rimanevano solo pochi giorni di vita, li avrebbe vissuti a testa alta e quella testa sarebbe tornata a posto, almeno in parte.
 
Certo, ciò non significava che potesse ristabilirsi da una crisi psicofisica nel giro di qualche istante, ma col cazzo che sarebbe stato inerte o semi incosciente mentre il suo equipaggio ingaggiava battaglia contro gli ex pirati lì presenti.
 
Il flusso confuso e a tratti incoerente dei suoi pensieri si era interrotto nel momento in cui Penguin gli aveva afferrato saldamente un braccio.
 
“Law…”
 
Il giovane medico si era voltato verso il compagno e se avesse potuto l’avrebbe guardato con aria stanca ma determinata.
 
“Pen, andiamo a casa.”
 
Il più anziano tra i quattro membri fondatori degli Hearts aveva osservato il proprio capitano con sorpresa, ma aveva presto ammorbidito lo sguardo.
Fosse stato per lui avrebbe massacrato quel gruppetto di irriconoscenti bastardi, ma ciò che più gli importava era il benessere di Law e se questi voleva tornare al Polar, l’avrebbe personalmente portato in braccio per tutta la strada, se fosse stato necessario.
 
Gli aveva appena portato un braccio sotto le gambe per sollevarlo, mentre con l’altro gli reggeva la schiena, quando si era bloccato.
 
I vestiti del suo migliore amico erano strappati in più punti e sulla pelle diafana iniziavano già a formarsi dei lividi violacei.
 
L’avevano pestato.
Più di una decina contro uno, che era indifeso e malfermo.
Che era il suo capitano.
 
Penguin l’aveva riadagiato contro Bepo, alzandosi e voltandosi verso gli isolani.
 
Il benessere di Law era la sua priorità e se lui voleva andare a casa, l’avrebbe fatto portare al Polar Tang scortato dall’intera ciurma.
 
Penguin l’avrebbe raggiunto poi.
Prima doveva vendicarlo.
 
Era bastato uno sguardo d’intesa coi loro compagni.
Shachi sarebbe rimasto al suo fianco, succube ai suoi stessi sentimenti; Law era anche il suo fratellino, dopotutto.
Gli altri si accingevano a rinfoderare le loro armi, per poi prendere il loro Captain e andarsene.
 
Il repentino cambio di piani dei Pirati del Cuore era stato tanto fulmineo che nessuno né Bentam né il loro comandante era stato in grado di contrastare i due corsari del Mare del Nord che si lanciavano all’attacco.
 
Il rosso aveva atterrato in un solo colpo due uomini, bloccandoli al suolo con la lama della propria spada sulle loro gole. Sarebbe bastato un loro ansito per farli sgozzare.
Penguin aveva tirato una ginocchiata nello stomaco di una donna che aveva la punta delle scarpe sporca del sangue di Law, afferrandola poi per il collo con una sola mano e stringendo la presa senza esitazione.
Notando con la coda dell’occhio un ragazzo che gli si buttava addosso per aiutare quella stronza dall’aria vagamente famigliare, si era scostato rapidamente, senza interrompere il soffocamento, arrivando alle spalle dell’isolano e colpendolo sul retro del cranio con l’impugnatura della propria lancia, che aveva disincastrato dal pavimento solo qualche secondo prima.
 
Law avrebbe voluto spalancare gli occhi nel rendersi conto di quel che stava accadendo.
 
Non voleva un massacro.
 
Non intendeva perdonare i suoi aggressori, ma sapeva perché avevano agito in quel modo.
Avevano avuto paura di un contagio, di una nuova epidemia, di un nuovo inferno.
E davvero, Trafalgar D Water Law li capiva benissimo, forse era l’unico al mondo che poteva comprenderli davvero.
Perché lui stesso aveva vissuto un inferno da bambino e quando, quasi due settimane fa, quelle bolge infernali erano tornare  e l’avevano risucchiato, era stato terrorizzato.
Un tipo di paura dalla quale non si può scappare, perché è letteralmente intrinseca nel proprio corpo e si può solo sperare in un miracolo, com’era accaduto a lui con il Frutto Ope Ope, o di non soffrire troppo.
Quindi poteva davvero giustificare quelle persone, anche se non perdonarle, e non voleva che venissero uccise dai suoi amici in una sorta di regolazione di conti.
 
Si era alzato a tentoni, aiutandosi con le braccia e cercando di trovare l’equilibrio su quelle gambe ormai troppo magre e doloranti per reggerlo a dovere.
Dopo solo un paio di passi barcollanti, compiuti ignorando le proteste della sua ciurma, si era sbilanciato in avanti e prontamente era stato afferrato prima che crollasse a terra, ma non era stato un suo compagno a reggerlo.
Era stato solo un attimo, ma durante la caduta il suo viso si era premuto contro le vesti di chi lo aveva aiutato e aveva sentito la finezza della seta, nonché il corpo possente che essa rivestiva.
 
Erano due dettagli inconfondibili. Tra tutte le persone su quell’isola soltanto lui poteva vantare quelle due caratteristiche.
 
“…S-Sengoku?”
 
L’ex marine non aveva risposto, limitandosi a osservare quel ragazzo che avrebbe meritato il suo aiuto già anni orsono e invece riceveva un sostegno da lui soltanto ora.
E che sostegno!
Gli aveva impedito di sbucciarsi le ginocchia.
Sengoku si sarebbe sputato addosso con stizza se avesse potuto.
 
Forse la vecchiaia lo aveva addolcito, ma da quando si era reso conto di chi fosse davvero Trafalgar Law e di cosa stava patendo, si era sentito un verme per non aver aiutato Rocinante, in passato, a salvare l’unico sopravvissuto di Flevance e si sarebbe sentito un criminale della peggior specie se non avesse fatto niente per lui adesso e, sperava, in futuro.
 
Law era pur sempre il bambino che il suo figliastro avrebbe voluto adottare. Se come figlio o come fratello non ne aveva idea, ma non era importante.
 
Il pirata si era raddrizzato, cercando un minimo di compostezza nonostante il proprio fisico emaciato, mentre ancora nella testa del soldato si susseguivano serie di pensieri che confondevano e allertavano il suo cuore.
 
Trafalgar si era scostato bruscamente dalla presa dell’uomo più anziano, vacillando, ma mantenendosi eretto in tutta la propria altezza.
 
“Non ho bisogno di te!”
 
Quello era davvero troppo.
Faceva davvero così pena da spingere l’ex Grandammiraglio della Marina a soccorrerlo?
Cazzo, no.
Era ancora il Chirurgo della Morte, aveva ancora un dannatissimo orgoglio e una pessima reputazione da difendere.
Poteva accettare certe attenzioni dal suo equipaggio, ma non da un cane del Governo.
 
Aveva quindi ripreso la propria incerta avanzata, che avrebbe voluto rendere  intimidatoria piuttosto che tenera come invece appariva, e sperava pure di urtare la spalla del soldato nel processo.
Ma un braccio decisamente muscoloso l’aveva fermato trattenendolo all’altezza del petto.
 
“Lo so…” La voce di Sengoku l’aveva raggiunto morbida e gentile, “… e probabilmente non avevi bisogno nemmeno di Rocinante, ma scommetto che non ti sei pentito di avergli permesso di aiutarti.”
 
Law aveva spalancato gli occhi ciechi, stavolta la sorpresa era stata troppa perché potesse trattenersi dall’istinto di farlo.
 
Se avesse risentito quel nome in un qualsiasi altro contesto sarebbe rimasto colpito solo internamente, ma in quel momento, dopo tutto ciò che aveva passato e che ancora doveva affrontare, non poteva davvero reggere.
 
Il labbro inferiore aveva preso a tremare e aveva abbassato il capo, rinunciando a raggiungere i propri fratelli, mentre invece era tentato di sollevare le mani a stringere il braccio con cui Sengoku ancora lo teneva, in una sorta di abbraccio, che non sapeva bene perché lo desiderasse.
 
Il marine aveva serrato leggermente la propria presa, dando inconsapevolmente a Law quel conforto di cui lui necessitava dopo l’ennesima ferita che gli si riapriva.
Poi, con un cenno del capo, aveva fatto intendere ai propri sottoposti di procedere all’arresto degli isolani coinvolti nell’aggressione.
 
Anche se quell’arcipelago ospitava ex pirati e marine corrotti ed era stato luogo di frodi, sfruttamenti e omicidi, non era troppo tardi per iniziare a fare giustizia e un’infame imboscata a un quasi membro della Flotta dei Sette era un’azione legalmente perseguibile.
O almeno questa era la scusa che Sengoku aveva recitato ai suoi uomini e che in parte raccontava anche a se stesso.
 
Penguin si era accorto che l’ex Grandammiraglio si stava avvicinando al proprio comandante quando aveva appena afferrato per la gola la donna che aveva preso a calci Law e sarebbe intervenuto se solo il ragazzo che aveva voluto aiutare quell’ingrata non l’avesse intralciato.
Dopo aver tramortito il giovane con un colpo ben assestato dell’impugnatura della propria lancia, però, aveva notato il proprio fratellino rabbuiarsi e accettare qualunque cosa Sengoku gli stesse dicendo mentre lo teneva fermo con un braccio.
Non sapeva di cosa si trattasse, ma dalle espressioni del resto dei loro compagni non sembrava esserci pericolo.
 
In quel momento, sapere che Law era al sicuro, anche se forse era triste, gli bastava, perché il suo unico pensiero era far patire a quella gente il triplo del dolore che avevano inferto al suo capitano.
 
Aveva adocchiato un gruppetto di soldati affrettarsi nella sua direzione e perciò aveva aumentato la pressione attorno al collo dell’isolana che teneva sollevata da terra, volendo ucciderla prima di qualsiasi interruzione.
 
“…Mamma?”
 
Sbarrando gli occhi alla nota e acuta vocina udita, si era voltato verso la porta della sala, imitato da molti tra pirati, civili e marines.
 
La donna sua vittima aveva spostato a fatica lo sguardo.
 
“Ma-Mara… vai via…” Il suo ordine era uscito più come un ansito, l’aria sempre più difficile da immettere e la vista non metteva perfettamente a fuoco la figura della figlia.
Poi, come i suoi piedi avevano nuovamente toccato terra, i suoi polmoni si erano riempiti di ossigeno e la donna aveva preso a inspirare profondamente tra un colpo di tosse e l’altro, cadendo in ginocchio e portandosi le mani alla gola.
 
Penguin aveva abbassato il braccio lentamente, le dita ancora rigide nella stessa posa che avevano assunto per strangolare la madre di quella petulante ma innocente bambina.
 
Non provava pietà per lei né mai l’avrebbe perdonata per ciò che aveva fatto, ma la piccola Mara non doveva subire le conseguenze delle azioni sconsiderate della genitrice, soprattutto non dopo che aveva già perso il padre.
 
Nel momento in cui aveva visto il proprio genitore essere liberato, la bambina era corsa da lei, spaventata e ancora troppo debole per comprendere davvero la situazione e per poter raggiungere la madre in tanta fretta senza inciampare. Era caduta sbattendo il viso per terra a pochi metri da Law.
Mettendosi a sedere si era quasi messa a piangere nell’accorgersi che il naso le sanguinava, nonostante non si fosse fatta poi così male e, in realtà, non era scoppiata a piangere solo perché ricordava che il suo papà non sopportava piagnistei e voleva che fosse fiero di lei, ma tutta quella situazione le sembrava molto strana e sbagliata e la tentazione di versare lacrime a non finire era terribilmente forte.
 
Sua madre si era alzata con fatica solo in un primo momento, poi l’aveva raggiunta con rapide falcate, temendo che i pirati volessero vendicare il loro capitano facendole del male.
 
La bambina però non capiva l’entità della situazione in cui si trovavano né quanto l’atmosfera fosse tesa e dopo che si era accertata che la sua mamma stesse bene, si era rivolta senza tentennamento a Trafalgar Law, soltanto la voce un po’ tremante, ma non certo per la paura.
 
“Fratellone, mi curi il naso?”
 
Aveva inclinato la testa da un lato, facendo ondeggiare le trecce sempre più spettinate che anche quel giorno le decoravano i capelli, non riuscendo ad intuire cosa avesse il suo nuovo medico preferito.
 
Era in piedi e immobile col volto chino, gli occhi chiusi. Il vecchio marine gli teneva una mano sulla spalla.
 
“Fratellone?”

Ognuno nella stanza si era ammutolito nel momento in cui Mara era comparsa e ora, se possibile, il silenzio era ancora più opprimente.
Forse la consapevolezza delle azioni totalmente insensate compiute da ognuno li stava investendo prepotente ed era servita l’innocenza di una bambina che vedeva del bene sia nel genitore aggressore sia nel pirata malato per far sì che ciò avvenisse.
 
Law aveva udito il richiamo di Mara solo in un secondo momento, ancora frastornato dall’improvviso ricordo di Cora-san.
Ne avrebbe sicuramente dovuto discutere con Sengoku in seguito.
 
Voltandosi verso dove supponeva si trovasse la piccola, le aveva rivelato con suo orrore il proprio viso insanguinato.
 
Lei aveva emesso un piccolo verso scioccato.
 
“Fratellone! Cosa hai fatto, stai bene?”
 
Il ragazzo era stato quasi tentato di sorridere.
Era una bambina fastidiosa, tremendamente rumorosa e assillante, ma era davvero buona e gli si era enormemente affezionata in breve tempo e senza nessuna ragione plausibile, almeno secondo Law.
 
Quest’ultimo si era messo a sedere per terra, incrociando le gambe e cercando di apparire il più sereno possibile nonostante corpo e spirito fossero feriti.
 
“Hai detto che ti devo curare il naso? Che cos’hai?”
 
Mara si era liberata dall’abbraccio della madre, ignorando i suoi richiami e avvicinandosi a Law, che le trasmetteva molta più fiducia ora che era alla sua stessa altezza, e cadendo nella deviazione di discorso del pirata.
 
“Mi esce sangue. Non lo vedi?” La sua era stata una domanda innocente e un poco curiosa e alla fine Law, nonostante tutto, aveva davvero sorriso, anche se con una nota amara a rovinargli i lineamenti.
 
“Non posso vederlo. Sono diventato cieco.” Era la prima volta che lo ammetteva ad alta voce e non avrebbe mai pensato di affermarlo in pubblico, ma certo oramai molti se n’erano accorti.
Per quanto facesse male dirlo, in un certo qual modo era anche liberatorio.
D'altronde si era ripromesso di non doversi più auto commiserare e liberarsi di quel segreto era un peso in meno da portare.
 
Mara aveva sbarrato gli occhi, incredula, mentre una mano di Law le sfiorava i capelli, poi un orecchio e infine le afferrava saldamente il naso appena sopra le narici, costringendola senza irruenza a piegare il capo in avanti.
“Ma perché?!” La sua vocina era risultata piuttosto nasale e sarebbe stata anche buffa se solo non avessero affrontato quell’argomento.
 
“…Sono molto malato… poteva capitarmi ed è successo.”
 
“È una malattia grave come la nostra?” La sua sincera preoccupazione era palese nel suo tono e nei suoi occhioni che non smettevano un attimo di guardare il pirata.
 
“Sì… ma a differenza della vostra non è contagiosa, sei contenta?”
 
Gli isolani avevano fissato schioccati Trafalgar.
Stava mentendo, giusto?
Non poteva non essere contagiosa! Era il famigerato Piombo Ambrato, la malattia che aveva sterminato un’intera nazione.
Era sicuramente contagiosa.
 
“Un pochino… però pensavo che tutte le malattie fossero contaggiosse, sennò come si fanno a prendere?”
 
“Si pronuncia “contagiose”. Comunque questa malattia si prende per avvelenamento. Ho vissuto…” aveva titubato per un attimo, poi si era deciso a continuare. “…ho vissuto in un paese che era pieno di questo veleno e mi sono ammalato. Ma quel luogo è molto lontano, quindi nessuno di voi potrà prendere il mio malanno.”
 
Qualcuno tra i cittadini era crollato al suolo completamente sopraffatto dallo shock, qualcun altro aveva dimenticato come si facesse a respirare.
 
Cosa diavolo avevano fatto?!
 
Trafalgar stava certamente raccontando un mucchio di menzogne… doveva starlo facendo o significava che avevano pugnalato alle spalle l’uomo che li aveva salvati e, dopo anni di riabilitazione, si erano nuovamente macchiati la fedina penale.
 
Sengoku aveva silenziosamente invitato i suoi sottoposti a scortare quelle persone in un’altra ala.
Avrebbero poi discusso del loro destino.
 
“Ho capito…” Mara aveva abbassato lo sguardo, dispiaciuta che quella persona così stramba e gentile stesse male “… ma ti curi?”
 
Law era stato percorso da un fremito.
Aveva saputo già prima di cominciarla che quella conversazione sarebbe potuta giungere a tal domanda, ma nonostante la propria consapevolezza restava davvero un argomento troppo difficile da affrontare.
 
“Allora, ha smesso di sanguinare il naso?”
 
Lasciando la presa, aveva sperato che per la seconda volta potesse distrarre la bambina.
Quest’ultima aveva fatto come per vedersi la punta del naso, incrociando gli occhi, poi aveva portato un dito per constatare che il sangue fosse ormai secco.
 
“Sì, sì, grazie!” Si era voltata notando che un marine faceva rimettere in piedi sua madre e fra sé si era chiesta che motivo ci fosse, ma il sorriso dolce che lei le aveva rivolto le aveva fatto scemare ogni preoccupazione.
Ancora guardando il genitore che veniva condotto fuori dalla stanza era tornata a rivolgersi al dottore musicista. “Semmai usa i coralli per guarire. Funzionano, te lo dico io! Adesso ti saluto, vado con la mamma.”
 
Law era rimasto interdetto per qualche istante, poi aveva nuovamente sorriso.
 
Non ricordava granché di quello che aveva sperimentato durante le proprie ricerche per trovare una cura al Piombo Ambrato.
Nonostante fossero passati solo pochi giorni sembrava che il suo cervello avesse occluso alcune parti della sua memoria a breve termine e di questo se n’era reso conto già da un po’.
Tuttavia, per la cura gli sembrava proprio di aver preso in considerazione i coralli .
 
Ma forse si stava solo confondendo.
 
***
 
     “Davvero, sto bene.”
 
L’intera ciurma aveva sollevato un sopracciglio dubbioso.
 
“Sì, insomma… per quello che il Piombo Ambrato mi consente… sto bene.”
 
Shachi gli si era avvicinato sconsolato, sedendosi accanto a lui sul divano della sala ricreativa del Polar Tang.
Aveva afferrato un lembo della coperta in cui Law si era avvolto, giocando distrattamente con i radi e morbidi peli del tessuto di cui era fatta.
 
“Law… nemmeno noi stiamo bene. Non dopo averti visto con una pistola alla tempia… non dopo averti visto in faccia in quei frangenti.” Non aveva avuto il coraggio di guardarlo in viso per dirglielo, nonostante Law non potesse vederlo e nemmeno aveva voluto dilungarsi in dettagli.
 
Lui aveva capito.
 
Erano rimasti quasi traumatizzati nel vederlo spaventato e inerme ad accettare la propria fine. Non che gliene facessero una colpa, d’altronde era stato picchiato a sangue e dubitavano che avesse le forze per ribellarsi, ma quell’espressione smarrita e arrendevole sul volto del loro capitano era qualcosa di totalmente nuovo e assolutamente non desiderato.
 
Era la fottuta prova definitiva che qualcosa dentro di lui si stava rompendo.
  
Law aveva reclinato il capo all’indietro, lasciando che fossero i cuscini del divano a sostenerlo e facendo una smorfia alla sensazione delle bende mediche che stringevano un po’ troppo all’altezza del pomo d’Adamo.
Neanche si ricordava che qualcuno gli aveva provocato dei tagli in quel punto e non aveva nemmeno idea di come fossero stati fatti.
 
“…Non ero in me… e d’ora in poi sarà spesso così. Basta davvero poco per farmi perdere la ragione, ormai l’ho capito.” Si era voltato a destra e poteva sentire il respiro di Shachi a pochi centimetri dal proprio viso, anche il rosso appoggiato allo schienale del sofà.
“Quando mi accade qualcosa che in qualche modo richiama il mio passato non ho più il controllo e mi lascio sopraffare… dai miei traumi infantili…” L’ultima frase era stata appena un sussurro imbarazzato. “Pensavo di averli superati anni fa, ma a quanto pare non è così. O forse è la malattia che li rende più opprimenti e insopportabili.” Aveva percepito la fronte del compagno premere contro la propria, il contrasto tra il calore del suo corpo e il gelo del proprio era stranamente piacevole. “Comunque sia, credo di avere un’ancora di salvezza. Ogni volta che la mia mente è diventata instabile voi mi avete riportato indietro. Forse basta che mi assicuriate la vostra presenza o qualcosa del genere…”
 
Una mano minuta gli aveva lisciato i capelli, doveva essere quella di Ikkaku.
 
“Ricordi cosa ti dicemmo prima che te ne andasti solo soletto su Punk Hazard?”
La voce di White proveniva da dietro di lui.
 
Law aveva sorriso, scavando a fondo nella propria memoria un po’ troppo confusa negli ultimi tempi. 
“Che vi sareste vendicati per essere stati esclusi?”  
 
“Esattamente,” Aveva concordato il più saggio degli Hearts. “e questa è la nostra vendetta. Sei nakama-dipendente, ora.” Sperava che alleggerire l’atmosfera servisse a rasserenare i compagni e soprattutto il loro comandante, come già era accaduto nei giorni scorsi. 
 
Il medico si era lasciato cullare dalle carezze dell’unica fanciulla di bordo. Doveva ammettere che erano estremamente rilassanti e col senno di poi si rammaricava di essersi quasi sempre sottratto alle sue attenzioni in passato. Solo adesso che non era certo di avere un futuro si era deciso a ricevere molto più affetto fisico e non solo da lei, ma da tutto l’equipaggio.
E sì, l’avrebbe anche ricambiato.
“Non è poi una grande vendetta se io che dovrei esserne la vittima la trovo così gradevole…”
 
White aveva sorriso alla risposta ricevuta, sentendo il proprio cuore accelerare il battito nel rendersi conto che con quelle parole Law stava dichiarando di amare la loro presenza.
 
Shachi aveva cambiato posizione per quanto la presenza di dieci persone e un orso polare sullo stesso divano glielo concedesse, e aveva messo un braccio attorno alle spalle del fratello, attirandolo a sé.
 
“Sengoku ha detto che i tuoi aggressori andranno in prigione per un po’; il periodo sarà deciso del sistema giudiziario dell’isola.”
 
“Hanno un sistema giudiziario?” Aveva chiesto con scetticismo Bepo, che era raggomitolato all’altro lato di Law e gli trasmetteva tutto il calore che poteva.
 
“Pare di sì. Insomma, hanno fondato una vera e propria società. Hanno pure una sorta di polizia, la quale ha insistito per procedere personalmente agli arresti.” Era stato Penguin a rispondergli, seduto per terra con le ginocchia al petto, mentre manteneva lo sguardo fisso innanzi a sé a osservare il mobile dove tenevano strambi giochi da tavolo rubati in alcune taverne dove avevano alloggiato o forse non vedendolo affatto.
 
“Oh, mi dispiace.” Come sempre le scuse di Bepo erano insensate, ma stavolta nessuno si era premurato di farglielo notare.
 
“Non trovo giusto che se la cavino con un po’ di galera. Sono ex pirati, cosa vuoi che gliene fotta di stare in gabbia! Un tempo era un’eventualità all’ordine del giorno per loro.”
 
Qualcuno aveva annuito al piccolo sfogo del loro chef, ma poi Clione gli aveva posato una mano sulla spalla invitandolo a tacere.
 
“Il capitano ha chiesto che non ricevessero una condanna eccessiva. È stata una sua decisione, quindi è giusto così.”
 
“Solo perché si è sentito solidale coi loro sentimenti… se l’avessero attaccato per la taglia sulla sua testa o per un altro motivo non l’avrebbero passata liscia.”
Uni sembrava voler sempre controbattere a ogni commento di Clione e quest’ultimo, se solo non avesse temuto di dar fastidio al proprio comandante nel farlo, si sarebbe volentieri messo a litigare con l’altro.
 
“Ma il motivo dietro al loro gesto è stato chiarito ed è comprensibile anche per noi che non siamo mai stati messi in ginocchio da una malattia.” La voce ferma e bassa di Jean Bart aveva appacificato gli animi bellicosi del due compagni. “Il timore di patire nuovamente la tragedia di un’epidemia incurabile li ha fatti uscire di testa e nel momento in cui hanno compreso che non c’era rischio di contagio si sono amaramente pentiti. Come sempre, il nostro capitano ha fatto la scelta giusta graziandoli.”
 
“Già… a discapito del tuo soprannome sei piuttosto misericordioso, Cap’! Potrebbero iniziare a chiamarti “Il Chirurgo del Cuore” e sarebbe abbinato pure al nostro nome.”
 
La ciurma aveva ridacchiato alla battuta di Masked Man, ma ogni risa era preso scemata.
 
“Hey, Cap’…” aveva ritentato Mask “…mi hai sentito?”
 
“Law?” Ikkaku si era sporta oltre lo schienale del divano per guardare il proprio comandante fin troppo fermo e silenzioso.
 
“Law? Hey, Law!” Shachi aveva afferrato il viso del fratello tra le mani, mentre Penguin scattava in piedi con un volto sfigurato dalla paura.
 
Perché il suo petto era immobile?!
 
Ognuno aveva sgranato gli occhi colmi di terrore rendendosi conto che Trafalgar non reagiva in alcun modo.
 
“Law, ti prego!” Shachi l’aveva scosso un poco, posandogli poi una mano sul cuore. “La-… oddio…” Lo aveva stretto in un abbraccio, soffocando contro il suo collo il pianto indotto dallo spavento che si era preso. “… Si è solo addormentato…” L’aveva mormorato a stenti, ma tutti avevano sospirato di sollievo e avevano percepito distintamente un peso enorme venir levato dalle loro spalle.
“Cazzo… respira così lentamente che ho pensato che… ho pensato…” Il rosso non aveva avuto il coraggio di terminare la frase.
Non l’avrebbe mai detto.
 
Penguin si era lasciato cadere a terra, incapace di distogliere gli occhi da Law.
“Tra- tranquillo, Shachi… sta bene…” Si era portato una mano a coprirsi la bocca.
Inconsciamente stavano forse perdendo le speranze?
Assolutamente no!
Ma allora perché avevano subito pensato al peggio?
 
“Siamo solo spaventati… forse più di lui.” Bepo aveva risposte alle sue domande interiori senza neanche saperlo. “Questo atteggiamento però non ci è utile, mi dispiace.”
 
“Sì, hai ragione palla di pelo…” Ikkaku aveva scavalcato lo schienale del divano sedendosi proprio in braccio al navigatore e potendo, così, stare accanto al loro dottore. Fissando il capo argenteo di quest’ultimo con un’intensità che trapelava un’infinità di pensieri e sentimenti, si era rivolta a tutta la ciurma.
“È ora che ci diamo una mossa!”
 
***
 
     Law si era rigirato nel proprio letto stracolmo di coperte e trapunte.
Aveva sollevato le palpebre, sbuffando subito dopo.
 
“Ah, già…”
 
… Sono cieco…
 
Era quasi ironico che se ne fosse scordato, ma supponeva che certe abitudini, come quella di aprire gli occhi al proprio risveglio, fossero più dure a morire di quanto lo fosse il proprio corpo.
 
“LAW!”
 
Era sobbalzato all’urlo di metà della sua ciurma.
 
“Ragazzi? Che ci fate tutti nella mia cabina? Sono sul letto di morte, per caso?”


Bepo era quasi inciampato sui suoi stessi piedi all’ultima domanda del suo capitano.
“Non dire certe cose, Captain!”
 
Law aveva ghignato.
Un po’ di auto humour nero non gli dispiaceva, ad essere sincero.
Se una sua eventuale dipartita era oramai la realtà che dovevano affrontare tanto valeva farlo nel modo meno deprimente possibile.
Inoltre, ne era certo, un determinato tipo di comportamento avrebbe giovato parzialmente alla sua psiche, quindi davvero, per quanto tetro, male non faceva.
 
Mentre sentiva il Visone che gli si buttava addosso per abbracciarlo, aveva però corrugato la fronte.
 
“Ma… non ricordo di essere andato a dormire.” La sua voce era ovattata dal pelo dell’orso, ma Jean Bart era riuscito ad udirla.
 
“Ti sei addormentato mentre parlavamo nella sala ricreativa. Dovevi essere stanco e non ne dubito dopo la giornata che hai passato.”
Non aveva accennato alle reazioni che il suo sonnellino aveva suscitato nell’equipaggio. Era proprio qualcosa che non era il caso di sottolineare.
 
“Oh, adesso capisco. Che ore sono?” Ignaro del quasi infarto che aveva causato ai suoi uomini, Law si era messo a sedere, tastandosi i vestiti per scoprire che qualcuno gli aveva messo addosso un pigiama.
O meglio tre pigiami.
 
Il loro chef aveva dato una veloce occhiata all’elegante orologio nella stanza.
“Le venti e un quarto”. 
 
Trafalgar aveva annuito distrattamente, tornando poi ad assumere un’aria perplessa.
Aveva una strana sensazione. Era come se il suo haki della percezione stesse cercando di avvertirlo di una potente presenza a bordo del Polar Tang, ma ormai la sua Osservazione non era più tanto affidabile.
Eppure, per quanto inattendibile, gli provocava una forte emozione che era impossibile da non considerare.
 
“Siete tutti qui?”
 
Bepo aveva mosso le orecchie, guardandosi attorno seppur sapesse perfettamente chi mancava e dove questi si trovasse.
 
“Gli altri sono in laboratorio.”
 
“Tutti?”

Stavolta il navigatore aveva abbassato le orecchie con fare sottomesso all’insistenza del capitano.
“Credo di sì… ci siamo separati decidendo che noi saremmo stati con te, mentre Pen, Shachi, Ikkaku e gli altri che si intendono di medicina sarebbero andati nel tuo laboratorio… mi dispiace.”
 
“Perché ce lo chiedi, Cap’?” Jean aveva incrociato le braccia sul petto possente. Poteva essere l’ultimo acquisto dell’equipaggio, ma aveva imparato in fretta a capire quando qualcosa preoccupava il suo giovane comandante, spesso andando oltre le sue maschere di serenità, che invece ancora ingannavano altri nakama.
 
Law era rimasto in silenzio per un attimo.
Non era certo di poter dar credito al proprio haki, mentre invece, sicuramente, se davvero c’era qualcuno a bordo del sottomarino i suoi compagni se n’erano accorti.
Quindi o si stava sbagliando, magari confondendo uno dei suoi nakama più forti per un’entità sconosciuta, oppure…
 
“Abbiamo visite?”
 
I suoi compagni avevano sbarrato gli occhi ed il loro silenzio aveva parlato da sé.
 
“Chi?” Aveva perseverato Law, mentre la sensazione che provava diveniva sempre più forte e scombussolata.
 
Un bussare alla porta l’aveva fatto voltare.
 
“Captain!” Il loro meccanico era entrato subito dopo e anche se il medico non poteva vederlo, aveva lasciato la porta aperta.
“Captain, mi fa piacere vederti sveglio. Come stai?”
 
“Bene…” La sua risposta era stata distratta e quasi automatica. La sua attenzione era indirizzata unicamente alla presenza che ormai era sicuro di percepire fuori dalla propria stanza.
 
“Perfetto, sono contento! Ehm, ascolta, Cap’… se te la senti… hai voglia di parlare con qualcuno?”
 
Law era rimasto muto, aspettando che gli rivelassero finalmente l’identità del loro ospite.
 
“Trafalgar…” Sengoku aveva varcato la soglia della cabina levandosi il cappello com’era buona educazione fare. “…spero di non disturbare.”
 
 
°°FINE CAPITOLO°°



Eccomi, eccomi, perdonate l'enormissimo ritardo!
Come già avevo accennato nel capitolo precedente, ho avuto molto lavoro da fare e nel frattempo è ricominciata l'uni, quindi... scusate xD
Sono la regina della disorganizzazione del tempo!

Comunque sia, finalmente è arrivato questo maledetto capitolo 9...
vi dirò, non mi fa impazzire, ma spero sia solo il mio pensiero e che invece voi l'abbiate apprezzato.
È piuttosto statico rispetto agli altri, ma hey, non posso trucidare Law un capitolo sì e l'altro pure o ci muore al prossimo e fine storia :'D 
Scherzi a parte, vi invito, com'è mia consuetudine fare, a lasciarmi una recensione ♥
Avete qualche idea di cosa dirà Sengoku al nostro cucciolotto?

E, parliamoci chiaramente... ma quanto è tenero Law che si fa coccolare :'( ?

Inoltre, l'avrete sicuramente notato, vi ho buttato qualche indizio qua e là su quel che succederà in futuro... ciò non significa che ci sarà un lieto fine ♥ 
O forse sì? Bah, chissà...
Aw, lo so che mi odiate quando faccio così.

Fatemi sapere, carissimi ♥
A presto,
Baci,
Pawa

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


°° Il Mostro Bianco °°

 

 

- Capitolo X -



     Law aveva inconsciamente stretto a sé Bepo, che si era maggiormente chinato verso di lui all’ingresso del marine, come per proteggerlo.
 
Inspirando profondamente contro la folta pelliccia candida del proprio vice, il giovane pirata avrebbe desiderato poter rivolgere al soldato ormai in congedo un’occhiata carica di curiosità, nonostante la spossatezza e, credeva, un minimo di timore.
Non dettato dalla presenza dell’ex Grandammiraglio o dalla prospettiva di uno scontro con lui, perché nonostante la mente di Law stesse dando forfè un’ora sì e l’altra pure, era ancora abbastanza razionale da sapere che l’anziano combattente aveva intenzioni pacifiche. Bensì, quel disagio che gli pesava sul petto e gli causava un leggero rantolo nel respiro nasceva interrogandosi su quale sarebbe potuto essere l’argomento di conversazione tra lui e Sengoku.
 
Quest’ultimo attendeva paziente, anche se forse un po’ troppo rigidamente, visto come serrava le dita attorno al berretto, a soli un paio di passi dalla porta della cabina.
 
Finalmente le labbra del medico, eccessivamente scure per apparire sane se contrapposte a quella carnagione cadaverica, si erano dischiuse.
“Accomodati.”
 
Trafalgar Law non era solito fare gli onori di casa, ma non trovava le energie e neppure un motivo per dimostrarsi altezzoso e freddo come sarebbe stato altrimenti con qualsiasi altro nemico in casa propria. Tutt’al più, in quel momento, non riusciva realmente ad appellare il vecchio marine come un nemico. No, in quell’esatto momento c’era un’inspiegabile placidità nell’aria, non la tensione, non l’elettricità che invece avrebbero dovuto sferzare l’atmosfera attorno a due antagonisti.
 
L’imponente uomo si era diretto verso la poltrona antistante l’immensa scrivania di quel geniaccio con cui desiderava parlare, trattenendo una smorfia divertita nel constatare il numero improbabile di libri che il tavolo reggeva ed i plichi di fogli scritti a mano dal chirurgo. Se solo non fosse stato in procinto di discorrere di un argomento che tanto gli stava a cuore, Sengoku si sarebbe assaporato a pieno l’onore provato nello scorgere, tra gli appunti, quella che doveva essere la prima pagina dell’intero studio che il Chirurgo della Morte aveva fatto su quella nuova tecnica di sua invenzione per prevenire le malattie. Vaccino, veniva chiamata, se non ricordava male. La nomenclatura era poco importante, comunque, giacché ciò che contava era il numero di persone che già aveva salvato ed era stata resa pubblica e diffusa da pochissimi mesi.
 
Sedendosi sul vecchio cuscino purpureo oramai concavo, dopo aver girato la poltrona verso il baldacchino poco distante, il soldato si era domandato se sarebbe bastata una soluzione simile per evitare l’avvelenamento da Piombo Ambrato. Non si era curato di ragionare una risposta al proprio quesito, conscio di essere tutt’altro che abile in campo medico ed aveva alzato lo sguardo sul ragazzo a cui ora stava di fronte.
 
“Penso sarà un discorso piuttosto privato…” aveva alluso ai Pirati Heart nella stanza ed in cambio loro l’avevano squadrato malamente.
 
“Non ti aspetterai che lasceremo il nostro capitano solo con te?” Jean Bart si era scostato dalla parete parlando per tutti i compagni presenti, ma in qualche modo, pur non potendolo vedere, Law era riuscito a sfiorargli il braccio nella sua avanzata verso il marine, bloccandolo.
 
“State tranquilli, non ha cattive intenzioni. Ma immagino lo sappiate già o non l’avreste mai accolto in casa nostra.”
 
L’ex capitano si era voltato verso di lui con uno sguardo morbido ed al contempo angustiato.
Non voleva contraddire il proprio comandante e neppure poteva farlo, perché effettivamente aveva ragione, ma l’idea di lasciarlo alla mercé di un marine gli faceva attanagliare lo stomaco, sensazione sicuramente condivisa dagli altri Hearts, indipendentemente dalla buona condotta del soldato in questione.
Ad aggiungere benzina sul fuoco c’era, nella testa del semi gigante, l’ordine di Penguin, che rimbombava come un eco.
 
“Non perdetelo un attimo di vista o potrei non rispondere delle mie azioni.”
 
Ed i Pirati del Cuore si amavano l’un l’altro, non si sarebbero mai fatti del male a vicenda, ma una mamma Penguin incazzata era più terrificante di Law con una motosega in obitorio e più dolorosa di qualunque pugnalata.
 
Quindi mai, mai avrebbero lasciato totale privacy a quelle due leggende viventi che volevano interloquire.
 
“Resta Bepo. O lui o tutti noi, capitano.”
Jean aveva impresso nel proprio tono fermezza, per lasciar intendere che non c’erano altre opzioni o vie di fuga, levando però ogni nota di autorità. D’altronde non era più un comandante, mentre il suo attuale detestava ricevere ordini, per qualche motivo.
 
Questi aveva arricciato il labbro inferiore per qualche secondo, come se fosse stato intento a soppesare quanto gli era stato detto e poi si era spostato di lato sull’ampio materasso con pigrizia e fatica evidenti, per far spazio anche a Bepo, che aveva subito colto l’opportunità di accoccolarsi vicino al suo migliore amico.
 
Pandaman aveva scambiato un’occhiata preoccupata col cuoco di bordo.
Con Law che lo accarezzava, il loro navigatore si sarebbe addormentato dopo cinque minuti, nel migliore dei casi. Speravano solo che cadesse in uno di quei suoi sonni senzienti e, in caso di bisogno, intervenisse anche se dormiente.
Con riluttanza i due avevano raggiunto i compagni che li avevano preceduti fuori dalla stanza, richiudendosi la porta ermetica alle spalle, non prima di aver guardato il loro medico per sincerarsi che stesse davvero bene.
 
Sengoku aveva silenziosamente rilasciato un profondo respiro, portando la sua attenzione sulle dita tatuate che carezzavano il pelo dell’orso polare con piccoli movimenti, quelle dita lunghe e agili, che avevano salvato numerose vite, ma che ne avevano anche stroncate diverse.
 
“Una sera, al lumacofono, mi disse che quando ti teneva in spalla, carezzavi il suo cappotto di piume allo stesso modo.”
 
I leggeri movimenti delle dita si erano bloccati per qualche istante, poi mentre ricominciavano, un lieve sorriso si era permesso di dispiegarsi sul viso del chirurgo.
“Era morbido e caldo… era ciò di cui avevo bisogno all’epoca. Ma era davvero orripilante!”

Una bassa risata gli era giunta in risposta.
“Concordo totalmente. All’inizio credevo che facesse parte del suo travestimento per infiltrarsi nella Family, ma poi ho fatto l’errore di aprire il suo armadio alla base militare. Quel ragazzo non aveva affatto buon gusto nel vestire!”
 
Il sorriso di Law si era allargato.
 
Non l’avevano ancora nominato.
Nessuno dei due aveva avuto il coraggio di farlo, ma non era necessario.
C’era un unico elemento che accomunava l’ex Grandammiraglio della Marina Sengoku il Buddha e Trafalgar D Water Law Il Chirurgo della Morte ed era noto ad ambedue gli uomini.
 
Il pirata si era lasciato scivolare un po’ più in basso, fino a potersi adagiare su un fianco contro a Bepo, che stava sdraiato supino ed inerme a godersi le cure del proprio compagno.
Erano seguiti alcuni minuti di silenzio, anche se non imbarazzato.
Entrambi i marinai si erano abbandonati ad alcuni piacevoli ricordi, diversi tra loro, eppure affini.
 
“Cos’era a legarvi?”
Il sussurro di Law si era quasi perso contro la spessa tuta arancione dell’amico.
 
“Lo accolsi quando aveva bisogno di aiuto. Era solo un bambino.” La voce di Sengoku un poco gracchiante, forse poiché aveva parlato di rado negli ultimi giorni. “Pensai sarebbe stato l’ennesima recluta, ma finimmo per diventare una famiglia.”
 
“Piccola e disfunzionale… ma bella.”

Il commento del giovane aveva sorpreso il militare in un primo momento, ma poi questi aveva compreso.
“È così che aveva definito voi due?”
 
“Pressoché…” Trafalgar aveva inarcato la schiena, stiracchiandosi contro al proprio vice. “Non ne abbiamo mai parlato esplicitamente ed infatti diceva sempre che in futuro avrei trovato una famiglia perfetta ed amorevole… ed a dirla tutta aveva ragione…” si era voltato a grattare la nuca del visone, facendo intendere che si stesse riferendo alla propria ciurma, nonostante Sengoku l’avesse perfettamente inteso. “…ma mi sarebbe piaciuto poter continuare a includere anche lui in questa famiglia.”
 
Il marine aveva abbassato lo sguardo, perdendolo nella ricca fantasia del tappeto sul pavimento. Vagamente la sua mente aveva riconosciuto quell’antico pezzo d’arte tessile e si era resa conto che era stato Law, allora, il famigerato ladro di cui tanto si era parlato in un villaggio del deserto di Alabasta, ma non ci aveva dato alcuna importanza.
Non mentre parlava del proprio figlioccio con colui che sarebbe potuto essere parte della propria famiglia, se solo il destino fosse stato meno crudele.
 
Ma forse non era mai troppo tardi.
 
“Mi parlò molto di te…” l’anziano soldato si era adagiato con stanchezza contro allo schienale della poltrona. “…così tanto e così approfonditamente, che in qualche modo finii anch’io per affezionarmi al bambino di Flevance, seppur non conoscessi nemmeno il suo nome.”
 
Law aveva finalmente fermato i grattini contro il pelo del compagno e se ancora ne fosse stato in grado avrebbe fissato in modo assente il suo manto niveo.
 
“…Cosa intendi dire?”
Era stato quasi più un soffio tremante, ancora una volta quel leggero tremore tornava a pervaderlo.
 
Sengoku aveva deglutito a vuoto, non certo per paura, piuttosto per mite imbarazzo. Non era un uomo molto aperto e difficilmente diventava sentimentale, ma ormai era sceso a patti con se stesso e, soprattutto, aveva fatto ordine nel proprio cuore.
“Avrei desiderato aiutarti. Se Rocinante…” l’’aveva detto, ma in qualche modo pronunciare il suo nome non era stato così doloroso come aveva creduto “…se lui fosse tornato a casa con te, mi sarei preso cura di entrambi. Il giorno in cui lui morì, sparì anche il frutto Ope Ope. Non so se fu grazie ad esso che tu riuscisti a guarire, ma se quella era l’unica soluzione, l’avrei adottata anche io.”
 
Law aveva aggrottato le sopracciglia, le labbra schiuse sul punto di ribattere che non era stata poi una grande cura quella a cui si era sottoposto con l’Ope Ope, visto come era ridotto ora, ma la confusione era troppa perché potesse davvero fare del sarcasmo.
“Non capisco… perché parli in modo così gentile nei miei confronti?”
 
Il marine si inclinato in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia e osservando meglio il viso spaesato del suo interlocutore.
Ormai aveva tirato fuori il discorso, ormai aveva capito cosa provava davvero per quel ragazzino, ormai uomo, che si era dato alla pirateria.
“Non sono sicuro di come ti considerasse Rocinante. Se il suo fratello più giovane… o se il suo figliastro, ma lui per me era certamente un figlio.” Law aveva seppellito il volto sul manto di Bepo a tali parole, attenendo che l’altro continuasse. “Mi telefonava tutti i giorni e mi raccontava di te. Come stavi, cosa facevi, quanto tu amassi studiare e quanto fossi intelligente… quanta vita ancora c’era nel tuo corpo ormai esausto.” Il soldato aveva abbassato lo sguardo morbido, perdendosi per qualche istante nei dolci ricordi di quelle chiamate, nei sentimenti che giorno dopo giorno erano cresciuti in lui nei confronti di quel bambino tanto speciale quanto in pericolo, a causa della negligenza del Governo Mondiale, nonché per la sua crudeltà ed avarizia.
“E così per sei mesi interi… anche se aveva iniziato a parlarmi di te già molto prima, ma meno frequentemente. Quello che sto cercando di farti capire…” si era alzato col più debole dei tremori nelle gambe, giungendo poi al lato del baldacchino dove poteva vedere interamente, dall’alto della sua imponenza, il giovane corsaro, che si era rannicchiato contro al suo vice. “…è che anche tu diventasti importante per me. Se ne avessi avuto l’occasione, ti avrei preso con me. Ti avrei cresciuto. Saresti stato parte della mia famiglia insieme a Rocinante.”
 
Law si era morso il labbro inferiore. Non sapeva cosa gli stesse succedendo, ma si sentiva terribilmente fragile ed esposto in quel frangente. Percepiva come se il suo cuore fosse alla mercé di Sengoku e questi potesse farne ciò che voleva. Per qualche ragione, se ne stava prendendo perfettamente cura.
 
“Se le cose fossero andate un po’ meglio…” l’ex Grandammmiraglio aveva rincalzato il discorso, chiedendosi distrattamente se fosse il caso di mettere un’altra coperta addosso al ragazzo che non osava alzare la faccia dal corpo di Bepo e sembrava tremare “…se avessi saputo che fine avevi fatto dopo la sua morte, se avessi saputo il tuo nome, cosicché avrei potuto cercarti, chissà a quest’ora cosa saremmo stati l’uno per l’altro.”
Si era preso la libertà di sedersi sul bordo del materasso, fissando il pavimento e dando le spalle a Trafalgar.
 
Il silenzio che era seguito aveva quasi fatto rammaricare Sengoku di tutto ciò che aveva rivelato.
Ma no, non doveva pentirsene.
Era un argomento che da oltre un decennio gli attanagliava il cuore e adesso poteva finalmente esporlo e col diretto interessato. Era giusto che ne avesse parlato.
 
“Però…” un mormorio vagamente imbarazzato era giunto dal pelo del navigatore di bordo. “….non è andata così. Non mi hai cresciuto e adesso cosa siamo l’uno per l’altro? Perché sei venuto a parlarmi di tutto questo?”
 
Sengoku si era voltato e quasi aveva perso un battito nello scorgere le palpebre sollevate dell’altro e le sue iridi bianche che non potevano nemmeno fissare il vuoto o la tuta arancione del visone, verso cui erano direzionate.
L’anziano aveva deglutito, cercando di rammentare le parole del medico.
“Non abbiamo avuto la possibilità di stare insieme e di costruire un rapporto in passato, a causa di troppe avversità, ma penso che non sia mai troppo tardi. I miei sentimenti, l’affetto che provavo per quel bambino malato, non si sono mai assopiti.”
 
Law aveva lentamente dischiuso la bocca, la sua sorpresa immensa nonostante tutto ciò che gli aveva detto fino a quel momento il marine poteva tranquillamente portare a quella rivelazione.
 
“Ora, tutto dipende da te.” Aveva continuato Sengoku. “Non hai alcun obbligo nei miei confronti, ma se vorrai qualche tipo di appoggio da parte mia, ci sarò sicuramente. E non lo faccio in memoria di Rocinante, se per caso credi che il mio sia solo un interesse indotto dal mio legame con lui. Ti ho voluto davvero bene anni fa e quando mi sono reso conto che quel bimbo di Flevance eri tu, non so come, ma ho sentito di esserti affezionato anche adesso che sei un criminale. Solo, non raccontarlo in giro ad altri marine.”
 
Uno sbuffo divertito era l’unico suono che Law era stato in grado di emettere dopo aver realmente compreso ciò che Sengoku gli stava dicendo.
“Quindi…” aveva richiuso gli occhi, ora rilassato. Forse era pazzo, quasi sicuramente lo era e in parte doveva ringraziare la sua malattia, ma era così felice di venire a conoscenza delle emozioni del militare. C’era stato qualcuno per lui, anche se era stato lontano, anche se molte problematiche avevano impedito loro di incontrarsi, ma non era stato completamente solo al mondo dopo la morte di Cora-san. Qualcuno aveva dato peso alla sua esistenza. “…come dovrei chiamarti? Nonno?”
 
Il suo tono era divertito, ma non era canzonatorio.
 Era sincero e quasi era salito un groppo alla gola del marine.
Questi aveva scostato lo sguardo, chinando il capo e lasciando che un sorriso vero e placido gli piegasse le labbra.
“Chiamami come preferisci, marmocchio.”
 
Law, senza saperlo, aveva ricambiato il sorriso dell’altro.
 
Per qualche minuto erano rimasti ad ascoltare il respiro lento e regolare di Bepo ormai addormentato.
Non avevano sentito la necessità di dire qualcosa. Non c’era bisogno di fare chiacchiere di cortesia perché per qualche motivo c’era già affinità ed anche il silenzio era sereno fra di loro.
 
Poi, Law aveva sollevato il capo in sua direzione, le sopracciglia leggermente arcuate, pur mantenendo un’espressione serena.
 
“Non ti ha mai detto il mio nome? Perché?” Aveva rammentato come Sengoku glielo avesse accennato più volte, incapace di darsi una spiegazione al riguardo.
 
Il suo nuovo e ritrovato nonno si era nuovamente girato per guardarlo.
“Non saprei realmente darti una risposta a ciò. Inizialmente aveva cercato di tenermi segreto cosa stava facendo, credendo che mi sarei arrabbiato perché stava trascurando la sua missione top secret, ma anche quando iniziò a rivelarmi ogni dettaglio, omise sempre il tuo nome. Tu hai qualche idea del perché?”
 
Il medico aveva riadagiato la guancia contro a Bepo, riflettendo.
“Sapeva che odiavo la Marina a causa del suo coinvolgimento a Flevance, ma se ormai stava parlando con te, non vedo perché non dirti il mio nome. Forse per via della D?”
 
Sengoku aveva spalancato gli occhi, ma poi aveva scosso il capo con fare divertito.
“Non dovrei sorprendermi che uno come te ha la D nel nome. Inoltre, potrebbe davvero essere quello il punto. Voi della D siete tanto rari quanto pericolosi e un bambino orfano con la D è ciò che più è ambito da qualunque potente in questo mondo. Se le conversazioni tra me e lui fossero state ascoltate da altri e non escludo che sia successo, ma fortunatamente non c’era niente di compromettente, saresti stato perseguitato dal Governo, per essere ucciso o per venir inserito nelle sue fila o chissà da chi altro e con quali scopi. Non saresti mai stato libero.”
 
L’ultima parola aveva colpito Law dritto al cuore.
“Non saresti mai stato libero”…
“Sì.” Aveva concordato, con un sorriso in volto. “Se dici così, allora è sicuramente per quello che non ti disse il mio nome.”
 
Erano rimasti ancora una volta in un piacevole silenzio. Law si sentiva terribilmente stanco, seppure appagato. Era in qualche modo in pace con se stesso e non credeva che parlare di Cora-san potesse portare a tanta serenità.
Aveva percepito il materasso muoversi sotto il peso di Sengoku e poteva dire che egli si fosse alzato.
 
“Si è fatto davvero tardi e mi sembri distrutto. Sarà meglio che vada.”

Il pirata si era stiracchiato in un modo che lo faceva sembrare un grosso e pigro felino.
“In effetti ho un sonno pazzesco. Pensa che i miei amici festeggerebbero per un mese se mi sentissero dire qualcosa del genere in situazioni normali.”
 
L’ex Grandammiraglio aveva ridacchiato.
“Devo dedurre che quelle tue perenni occhiaie non sono naturali, ma il frutto di duro lavoro?”
 
“Ci vuole parecchio impegno per dormire al massimo tre ore in una settimana, ma, non per vantarmi, ormai mi riesce piuttosto naturale.”
 
Sengoku aveva alzato gli occhi al cielo, condividendo per la prima volta nella sua vita quella stessa esasperazione mista a divertimento che ogni volta provavano anche i Pirati del Cuore in circostante similari.
 
“Allora ti saluto. Vedi di rimetterti e chiamami se hai bisogno di qualcosa.”
Gli aveva scompigliato i capelli, sorprendendosi di starsi già auto concedendo tale confidenza e, per suo ulteriore stupore, Law non si era sottratto al contatto, anzi, si era lasciato accarezzare, spingendosi ulteriormente contro la grande mano del soldato.
 
“Sì, nonnino.”
Il suo assenso era stato tanto canzonatorio quanto vero e caloroso ed aveva fatto sì che il marine si interrogasse su quanto sarebbe stato tremendo e frenetico crescere un moccioso tanto saccente e imprevedibile.
 
Sicuramente non sarebbe mai stato noioso.
 
***
 
     Penguin e Shachi avevano raggiunto il loro fratellino quando la luna si poteva specchiare sul mare incredibilmente placido da ormai diverse ore, il suo riflesso tremulo solo per le più timide e basse onde.
 
I due pirati del Nord Blue erano stanchi, terribilmente. Credevano di far concorrenza a Law per le occhiaie che erano riusciti a plasmare in più di dodici ore di studio ed esperimenti in laboratorio e nemmeno erano dei medici, per cui la fatica accusata era doppia rispetto quella che avrebbe sofferto un professionista, dotato di molto più larghe conoscenze, che gli evitavano la frenetica ricerca su decine di tomi alti come mattoni e, probabilmente, di passione per la materia.
Nonostante l’energia, soprattutto quella mentale, pressoché esaurita, i due Hearts non intendevano coricarsi prima di aver visto il loro comandante.
In situazioni normali l’avrebbero colto ancora sveglio a studiare, talvolta semplicemente a godersi uno dei suoi adorati romanzi e se era particolarmente di buonumore e altresì spossato, a leggere un fumetto tranquillamente accasciato in posizioni assurde sul suo letto.
Purtroppo non erano circostanze liete né consuete e, di fatti, non si stupirono nel trovarlo profondamente addormentato, sommerso da quintali di coperte che, fortunatamente per loro, altri nakama si erano premurati di mettergli addosso o Penguin avrebbe buttato in mare metà della ciurma senza troppi ripensamenti.
 
I due ragazzi non avevano acceso la luce, nonostante essa non avrebbe potuto disturbare il sonno dell’amico ed avevano raggiunto con passo fermo il baldacchino, la famigliarità con quella stanza quasi equivalente a quella che avevano con la loro.
Soltanto Bepo accucciato per terra era una novità come ostacolo, ma il suo leggero russare lo rendeva facilmente individuabile e, in realtà, non era così anormale che il visone si rintanasse nella cabina di Law per riposare.
 
“Fortuna che doveva sorvegliare il capitano e assicurarsi che andasse tutto bene.” Il borbottio vagamente irato del maggiore dei quattro aveva fatto ridacchiare il rosso, che aveva scavalcato il navigatore guardandolo con un poco di divertimento e tenerezza e si era seduto sul materasso.
Penguin l’aveva imitato dall’altro lato del letto, udendo distrattamente il commento in risposta, perché troppo interessato a fissare il ciuffo di capelli chiari che faceva capolino dalle coperte.
 
“Se ce ne fosse bisogno, si sveglierebbe, lo sai.” Shachi si era tolto gli stivali sfruttando solo i piedi e qualche calcio all’aria, le mani dietro la testa, mentre si sdraiava accanto al medico di bordo. “Dovresti rilassarti un po’. Non si ragiona bene sotto continuo stress.”
 
L’altro aveva registrato giusto l’ultima frase, distogliendo lo sguardo e sbuffando appena.
“Parla per te. Ti conosco da tutta la vita, so che fingi di essere sereno.” Si era a propria volta coricato, voltandosi verso il compagno, nonostante Law in mezzo a loro creasse con le trapunte un bozzolo troppo alto perché potesse vedere l’altro lato del letto. “Ma non posso darti torto. Solo, dimmi, come cavolo faccio a rilassarmi?” La voce bassa e tremula esprimeva tutta la sua stanchezza fisica ed emotiva e Shachi non poteva che impietosirsi, conscio di essere messo male quanto lui.
 
Ma non avrebbe fatto abbattere il proprio fratello, giacché servivano ancora tutto l’aiuto ed il sostegno possibili al più giovane della loro famiglia.
 
“Beh, direi che oggi, trascurando stamane, è andata davvero molto bene.” Aveva alluso alle ore di studio appena concluse ed aveva udito un sospiro in risposta, che doveva essere solo il rilascio di un respiro e non un suono deluso, perché della loro ricerca in laboratorio nulla c’era di deludente, tutt’altro.
 
Penguin era stato in procinto di rispondergli, ma un mugugno indecifrabile era giunto dalla coltre di coperte, che avevano visto lentamente iniziare a muoversi sebbene la cabina fosse immersa nell’oscurità della notte ed infine una mano era sbucata per scostarne la cima e rivelare il viso assonnato del loro comandante.
“Giuro che se ora mi dite: “scusa, non volevamo svegliarti”,vi defenestro, perché vi siete messi a chiacchierare sul mio letto.”
Nonostante la minaccia, il tono di Law non era severo e, anzi, non nascondeva una nota di giocosità.
Gli faceva così piacere avere accanto quei due cretini iperprotettivi. Per qualche motivo era da tutto il giorno che non erano con lui.
 
Loro avevano subito colto il velato umorismo e si erano concessi un sorriso, facendosi più vicini a lui da ambo i lati.
“Come stai?” Penguin si era messo prono, poggiando la testa ad un avambraccio e fissando il profilo perfetto del chirurgo.
 
“…Ho freddo. Per il resto, credo di avere un attimo di quiete.”
Un brivido gli aveva attraversato la spina dorsale proprio mentre parlava.
 
“Davvero hai freddo? Avrai sette trapunte addosso, non so nemmeno se ne abbiamo altre nell’armadio, ma posso portarti quelle dei nostri letti.” La domanda retorica di Shachi era stata completamente ignorata da Penguin.
 
“Vuoi che ti prepari un bagno caldo? Potrebbe aiutare.”
 
Law si era stropicciato gli occhi, rispondendo con voce sonnolenta.
“No, non serve.”
 
I suoi fratelli si erano scambiati un’occhiata interrogativa oltre la duna di coperte, non capendo a chi dei due avesse denegato l’offerta.
 
“Law, cosa ti serve?”
 
Lui era stato in silenzio per qualche secondo, poi aveva strattonato i lati delle trapunte da sotto i corpi dei fratelli, riuscendo a sfilarle per poi buttarle sopra di loro.
Il capitano dei Pirati del Cuore non aveva pronunciato parola, rilassandosi contro il materasso nonostante la bassa temperatura del suo corpo, attendendo paziente che i suoi compagni cogliessero il suo tacito invito.
Poteva essere diventato un po’ troppo sentimentale negli ultimi giorni e doveva sicuramente ringraziare il Piombo Ambrato che lo stava struggendo sotto ogni punto di vista, caratteriale compreso, ma ancora non si sarebbe abbassato a chiederlo esplicitamente.
 
Ai due Hearts si erano illuminate le iridi nonostante il buio della notte ed i loro cuori erano quasi scoppiati dalla gioia capendo cosa desiderasse Law.
Si erano subito accoccolati vicino a lui, sistemando le coperte in modo tale che venissero totalmente avvolti da esse e rimanessero uniti in un morbido abbraccio di tessuto. Penguin si era trascinato addosso il medico, facendo sì che la sua testa riposasse sul proprio petto, mentre Shachi l’aveva abbracciato dal dietro ed insieme gli trasmettevano tutto il calore di cui aveva bisogno.
 
E perché no, anche tutto l’amore di cui disponevano.
 
“Sei un ghiacciolo” Il commento del rosso aveva solleticato la nuca al comandante.
 
“Lo so, mi sa che la temperatura mi si è abbassata un altro po’.”
Si era fatto più vicino a Penguin, rannicchiandosi in posizione fetale per cercare di mantenere più calore possibile.
L’altro non aveva commentato, si era limitato ad intrufolare un braccio tra la sua schiena ed il petto di Shachi e gli aveva cinto la vita appena sotto la presa del rosso, mentre poggiava il mento sulla cima della sua testa.
 
Erano rimasti a godersi quel momento di infinito e reciproco affetto per diversi minuti senza osare interromperlo con parole superflue o movimenti non necessari. Per quanto intricata, quella non era una posa casuale. Era la loro posizione, quella che assumevano dai tempi di Swallow Island nei momenti difficili e che da ormai troppi anni non adottavano più, perché crescendo si erano convinti di non dover più affrontare nulla di più grande di loro.
Adesso, invece, si trovavano a combattere contro la più spietata e micidiale delle avversarie e sembrava così terribilmente e spaventosamente imbattibile.
 
La Morte.
 
Ridicolo, paradossale, se si pensava che Trafalgar D Water Law era colui che con un bisturi in mano poteva giocare con la Dea con la falce come e quanto credeva, obbligandola al proprio volere. Ed era lo stesso uomo che ad essa era scampato così tante volte, sin da bambino, la sua una corsa molto più disperata e accidentata di quella che intraprende un qualsiasi mortale dal giorno in cui nasce.
 
Stare abbracciati sotto le coperte come gli orfanelli spaventati che erano stati più di un decennio prima non avrebbe certo risolto la situazione, non avrebbe curato il corpo di Law, ma Dio solo sapeva quanto facesse bene alla sua mente, al suo cuore, seppur ormai fosse bianco anch’esso.
E non era l’unico a giovarne.
Penguin sentiva finalmente i muscoli della schiena distendersi e per la prima volta nell’arco di almeno una settimana poteva respirare senza che il suo petto tremasse.
Shachi aveva semplicemente fatto cadere la propria maschera. Non doveva fingere per sollevare il morale degli altri. Poteva sfogarsi ed essere consolato. Sperava solo che quel paio di lacrime che gli erano sfuggite non avessero trapassato i tre pigiami di Law, inumidendogli la pelle già troppo fredda.
 
“Mancherebbe solo Bepo, ma non credo che abbiate le forze per sollevarlo e metterlo qui con noi. Io, di sicuro, non le ho.” Solo dopo che aveva percepito ancora quel calore e quella serenità che tale situazione riusciva sempre ad infondergli Law si era sentito abbastanza egoista da interrompere la quiete.
L’aveva fatto quasi a malincuore.
Amava stare così con i suoi fratelli.
Era stato sotto le lenzuola, in quello stesso abbraccio, solo con arti molto più corti ed esili, che un Law dodicenne aveva riscoperto il piacere della vita dopo la morte di Cora-san.
Non c’era davvero nulla che desiderasse di più in quel frangente, se non guarire, ma sapeva che i suoi compagni dovevano parlargli di qualcosa. Aveva udito solo dei frammenti delle frasi che i due ragazzi si erano scambiati appena entrati nella sua cabina, prima che passasse da un dormiveglia all’essere completamente sveglio, ma aveva capito che avevano trascorso il giorno in laboratorio e qualunque risultato avessero ottenuto, buono o cattivo, doveva saperlo.
 
Le leggere risate di Shachi erano vibrazioni direttamente contro la sua schiena.
“Credo di avere al massimo la forza per sollevare queste coperte per uscire da qui, ma in realtà, al momento, non trovo neanche quella.” Aveva seppellito il proprio viso nell’incavo del collo dell’amico, per nulla intenzionato a muoversi.
 
Penguin aveva sorriso, complice dei pensieri dei compari, poi si era rivolto al più giovane di loro.
“Allora, com’è andata col vecchio?”
 
Law aveva mal trattenuto un sorriso, nato sia per il dolce pensiero che aveva riguardo l’anziano marine sia perché trovava così assurdo che fosse diventato il nipotino di una delle leggende della Marina, lui, che era uno dei pirati più in vista della sua generazione.
“In sostanza, adesso ho un nonno.”
 
“Sei serio?!”
 
L’urlo all’unisono dei due nakama aveva definitivamente fatto ridere Law, che per qualche motivo aveva anche iniziato a percepire un poco di calore in più.
“Sì… non è una storia campata per aria. Sembra che Cora-san, suo figlioccio, gli abbia parlato assiduamente di me fino a farlo affezionare. Ha detto che se avesse saputo come mi chiamavo e che fine avevo fatto dopo Minion Island, mi avrebbe cresciuto.”
 
“Che figata!”
 
Il commento poco elegante del rosso aveva ulteriormente fatto ridacchiare il capitano, mentre udiva anche il parere di Penguin.
 
“Sono felice per te, Law. Se Sengoku è sincero al riguardo e non ho dubbi che lo sia, significa che c’è qualcun altro che ti ama e che vuole il tuo bene.”
 
Il medico aveva stretto la presa sulla maglia del fratello in risposta, mentre Shachi si preoccupava di prenderlo in giro per i discorsi estremamente sentimentali con cui ogni tanto se ne usciva.
 
Dopo che Penguin era abilmente riuscito a prendere a calci il rosso senza colpire anche Law, si era nuovamente rivolto a quest’ultimo con un tono leggermente preoccupato.
“Senti molto dolore a causa del pestaggio?”
 
Law aveva soffiato via un ciuffo di capelli ramati che gli era finito sul volto, concentrandosi poi sui lividi e gli ematomi che aveva riportato in seguito all’aggressione.
“Non tanto, in realtà. Sono pur sempre pesci piccoli ad avermi picchiato ed io sono su tutt’altro livello, modestia a parte.”

“Molto modesto.” Aveva ironicamente concordato il più anziano degli Hearts fondatori dell’equipaggio.
 
Law si era concesso un debole ghigno.
“Nonostante io sia una supernova, un ex flottaro e sia semplicemente fantastico…” aveva percepito come i fratelli cercassero di soffocare le risate a tutte le lodi che si stava elargendo, “… mi hanno fatto male. Ciò significa che il mio fisico non è messo molto bene, ma beh, nulla di nuovo. Solo l’ennesima conferma...” Le rise dei compagni si erano affievolite fino a scomparire. Trafalgar odiava essere il motivo della tristezza dei suoi nakama, ma occorreva essere franco e preciso nella descrizione del proprio stato di salute, altrimenti sarebbe stato impossibile valutare al meglio la situazione e cercare una soluzione.
“A tal proposito…” aveva parlato come se il ragionamento appena fatto fosse stato detto ad alta voce “…cosa mi potete dire delle ricerche di oggi? Se ho capito bene siete stati in laboratorio… forse me l’ha detto anche Bepo quando mi sono svegliato prima di parlare col vecchio, ma non ne sono sicuro. Non mi ricordo.”
 
Shachi aveva scostato la testa dall’angolo tra il collo e la spalla di Law dove l’aveva adagiata. Il movimento aveva fatto sì che le coperte gli ricadessero sul volto e che il suo respiro si perdesse direttamente in esse, producendo un calore sulla lana per lui insopportabile. Aveva dovuto spostare le trapunte con una mano e solo allora aveva deciso di rispondere al proprio comandante.
“Cosa posso dirti, fratellino…” aveva cercato nell’oscurità lo sguardo di Penguin, che trapelava le sue stesse emozioni e non gli era stato possibile sopprimere il sorriso che gli piegava le labbra “…resisti un’altra fottuta settimana. Quella che ci hai promesso a colazione…” Aveva stretto la presa sui suoi fianchi e poteva sentire Penguin fare lo stesso. “… e la cura sarà pronta.”
 
 
°°FINE CAPITOLO°°



Questo sarebbe il primo "FINE CAPITOLO" positivo che io abbia mai pubblicato, ma io sono una ragazza coerente... ♥
Scherzi a parte, una settimana prima di morire ed una settimana prima della cura... cosa pensate succederà? Lascerò davvero in pace il nostro amato Law?
Ora, tirate le vostre somme e fatemi sapere cosa ne pensate e che previsioni avete ♥!
Vi invito a lasciarmi una recensione ☻♥

Ho davvero attribuito a Law il merito della nascita dei vaccini? 
Sì, sì, l'ho fatto. Per chi non lo sapesse, quello che è considerato il primo vero vaccino è stato realizzato nel1796 ed era contro il vaiolo. Periodo e malattia perfetti da inserire implicitamente in One Piece, poiché, come già avevo detto in un altro capitolo, l'Era D'Oro della Pirateria, storicamente parlando, comprendeva Seicento, Settecento e Ottocento. Insomma, ho colto la palla al balzo! E d'altronde, chi se non Trafalgar Law potrebbe pensare ad un vaccino? Di certo non quella riserva di cibo comunemente chiamata Chopper ;) ♥

Ora passiamo a ciò che ci tengo molto a dirvi...

1. PERDONATEMI PER IL RITARDO.
Purtroppo ho avuto davvero molto da fare in questo periodo e ogniqualvolta mi mettevo a scrivere, sorgeva un imprevisto o non avevo ispirazione.
All'ultimo dell'anno intendevo scrivere e pubblicare, ma c'è stato un ulteriore contrattempo.  E voi vi chiederete: che cavolo scrivi all'ultimo dell'anno?
Vedete, io sono astemia, quindi all'ora in cui i miei amici collassano per l'alcol, tra le 4 e le 5, io sono ancora sveglia e solitamente mi metto a scrivere o leggere. L'anno scorso ho letto Orgoglio e Pregiudizio, per esempio. 
Peccato che quest'anno abbia dovuto chiamare l'ambulanza, quindi... non ho avuto tempo. 

2. Ho novità riguardanti il Fanbook. 
Oltre al fatto che sta procedendo bene, sarà composto da due parti: 
16 pagine dedicate all'illustrazione della storia de Il Mostro Bianco, ognuna contenente più disegni, a colori o in bianco enero, con diverse tecniche di realizzazione; una serie di extra dedicati alla storia o ad altre piccole scene rigorosamente a tema Law e Heart Pirates. Più copertina a colori e due pagine di intro e di conclusione.
Se avete ulteriori domande, chiedete pure. 
Intanto ringrazio tutti coloro che stanno dimostrando interesse nel Fanbook.  
Per i nuovi interessati, siete liberi di dirmi se vorreste comprarlo in qualsiasi momento ♡

3. Alcuni di voi hanno dedicato dei disegni alla mia storia. 
Non avete idea di quanto cavolo io sia felice. 
GRAZIE, GRAZIE E GRAZIE.

Chiunque volesse realizzare delle fanart e inviarmele è ben accetto e potete mandarmele su Instagram o, se non lo avete, ci metteremo d'accordo in chat privata. 
Sicuramente, le pubblicherò nei prossimi capitoli per ringraziarvi. 
L'immagine di questo capitolo, pubblicata su Wattpad, è stata realizzata proprio da uno di voi, Yuvaleye 😍


 L'immagine di questo capitolo è stata realizzata proprio da uno di voi, Yuvaleye 😍        

Questa invece è stata realizzata da kiaraya ed è tenerissima 😍😍😍

4. Ho una serie di NUOVE storie che pubblicherò appena possibile.  Sono tante, TROPPE, e sono, secondo la mia migliore amica ed una di voi, con cui ho iniziato a parlare, carine, quindi spero vorrete leggerle!


  Sono tante, TROPPE, e sono, secondo la mia migliore amica ed una di voi, con cui ho iniziato a parlare, carine, quindi spero vorrete leggerle!

Queste sono solo un paio delle perle di alpaca546 che commenta i miei momenti sclero della scrittura

Queste sono solo un paio delle perle di alpaca546 che commenta i miei momenti sclero della scrittura.

5. Il mio profilo Instagram, per chiunque volesse seguirmi e/o mandarmi le sue fanart:
https://www.instagram.com/pawa_art/

Credo di aver detto tutto, ragazzi.
Grazie per l'attenzione, alla prossima!
Baci,
Pawa

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


 
 

°° Il Mostro Bianco °°

 

 


- Capitolo XI -

 


     Quando Trafalgar Law si era svegliato aveva quasi perso un battito nell’accorgersi che non sentiva più le gambe.
Poi si era dato del coglione e altrettanto aveva fatto nei confronti di Shachi, che col suo corpo gli aveva schiacciato i nervi degli arti inferiori per tutta la notte e quello era il motivo per cui non li percepiva più.
Si era districato dalla stretta dei fratelli ancora profondamente addormentati e appena libero aveva distintamente avvertito il sangue circolare nei propri polpacci e questi essere colti da un fastidioso formicolio vagamente doloroso.
Forse erano davvero un po’ troppo cresciuti, loro tre, per poter giacere nello stesso letto avvinghiati in quel modo, ma nonostante tutto non se ne pentiva.
Era servito a rincuorarli vicendevolmente e poi a riscaldare il corpo di Law.
Il medico, infatti, per la prima volta dopo giorni sentiva di avere una temperatura corporea pressoché nella norma.
Scendendo dal materasso dopo aver scavalcato Penguin con un po’ di difficoltà, si era accinto a raggiungere il proprio armadio per procurarsi almeno un paio di maglioni onde evitare di disperdere quel calore che quel giorno gli era stato gentilmente concesso da fratelli e malattia.

“Buongiorno, capitano!” La voce entusiasta di Bepo l’aveva colto alle spalle poco distante da lui.

“Buongiorno, Bepo.” Law, leggermente sorpreso che il Visone non l’avesse ancora abbracciato, l’aveva raggiunto per le coccole mattutine senza tentennamento, conoscendo la propria cabina a memoria, supponendo che fosse ancora sdraiato ai piedi del proprio letto.
Effettivamente lì si trovava, ma, dopo che il giovane comandante l’aveva toccato e ancora l’orso non aveva mosso un muscolo, Law gli aveva passato le mani sul viso e aveva teso l’orecchio, sospettando di un fatto.
E questo si era rivelato fondato, giacché si era reso conto che il proprio navigatore era ancora tra le braccia di Morfeo, tanto da star leggermente russando.

Il chirurgo non aveva saputo se ridere o scuotere il capo a quella constatazione. Tra tutti i visoni di Zou lui si era certamente accaparrato il più insolito, ne era certo. D’altronde sospettava che non fosse abilità comune dei Mink dormire in maniera senziente o, per essere più precisi, essere affetti da una forma di sonnambulismo che permetteva una comunicazione logica e razionale durante il sonno.

Law si era rimesso in piedi.
Non aveva idea di che ore fossero, ma se i suoi fratelli stavano ancora dormendo doveva essere non più tardi della mattina, poiché anche se stanchi, si premuravano sempre di essere attivi e produttivi molto prima di mezzogiorno.

Si era diretto verso la porta, inciampando in una delle pigne di libri sul pavimento, che risultavano essere l’unico vero e ignoto ostacolo alla sua cieca camminata. Di fatti non erano oggetti fissi di cui avrebbe potuto rammentare la posizione, ma si muovevano sul suolo della sua stanza in base ai suoi frenetici ragionamenti e alle sue ricerche, nonostante fosse un mistero come arrivassero sul pavimento dalla sua scrivania o dal suo letto.
Mentre imprecava sottovoce una maledizione contro a se stesso, poiché era colpa sua se aveva appena pestato il povero mignolo del piede contro quella sbilanciata torre di conoscenza, si era chiesto in che stato versasse la sua cabina.
Sperava non risultasse troppo disastrata e, seppur in disordine, avesse una parvenza di eleganza, perché giusto la sera prima aveva ospitato nientemeno che Sengoku il Buddha e non voleva aver fatto brutta figura.
Certo ora il vecchio marine era il suo nonnino, per quanto ancora dovessero entrambi abituarsi a quel nuovo rapporto e l’utilizzo di quell’appellativo era perlopiù ironico, ma accogliere il soldato in una discarica era l’ultimo dei desideri di Law.
D’altronde, sebbene amasse poggiare i piedi sulla tavola mentre era seduto e rivolgesse il dito medio alla gente come fosse un saluto, si reputava un uomo piuttosto raffinato e ci teneva al giudizio altrui sotto questo punto di vista.

Si era appuntato mentalmente di mettere a posto la propria stanza nell’eventualità in cui ce ne fosse stato bisogno, conscio di non potersi dedicare a molte altre attività nel proprio stato di salute, mentre si recava verso la sala ricreativa.
Quando con le dita aveva percepito che la parete che stava tastando non era più di freddo metallo, ma era costituita da un legno liscio e massiccio, aveva capito di essere giunto a destinazione.

Ikkaku aveva rialzato lo sguardo da un libro di Law per posarlo proprio sul ragazzo.
“Captain, buongiorno! Ti serve qualcosa?”

Lui si era addentrato nella stanza alla ricerca di uno dei divanetti e quando l’aveva trovato e aveva constatato che non era occupato, vi si era sdraiato con le gambe a penzoloni da uno dei braccioli.
“Volevo solo sapere che ore sono.”

Presupponeva non fosse tanto presto e quindi difficilmente i suoi nakama si trovavano ancora in cucina, dunque si era diretto in quella stanza solitamente molto frequentata dopo la colazione, desideroso di un po’ di compagnia.
Quello era il suo reale obiettivo, ma quel minimo di orgoglio che gli era rimasto non glielo avrebbe fatto ammettere.
Almeno non ancora.

“Le dieci precise.” La ragazza aveva richiuso il libro, assicurandosi di inserire tra le pagine quel plico di appunti riportanti una calligrafia elegante eppure confusionaria, che dopo anni di sforzi, oramai lei la decriptava con estrema facilità.
Una manciata di fogli che in quel momento consisteva nella cosa più preziosa che lei possedesse.

Si era alzata dalla propria poltrona decidendo di sedersi in quell’angolo lasciato libero tra la testa del suo capitano e la fine del divano.

Lui aveva percepito i cuscini piegarsi sotto un nuovo peso e ne aveva subito intuito la ragione.
Si era spinto fino a far riposare il proprio capo sopra le cosce di lei, conscio di non darle fastidio.
La riccia si era rilassata contro il morbido schienale, gioendo silenziosamente dell'affettuosità che dimostrava il suo comandante in quei giorni, mentre con una mano iniziava a pettinargli i capelli perlopiù bianchi.
Ormai aveva capito che quel gesto gli piaceva e quella piccola scoperta l’aveva teneramente colpita, dunque non mancava occasione di compiere quei lenti movimenti.

“Gli altri dove sono?”

“Perlopiù in laboratorio a testare vari esperimenti per la tua cura.”

Il medico aveva annuito appena.
“Mamma e papà stanno dormendo nel mio letto, invece.”

Ikkaku si era abbandonata ad una piccola, ma sincera risata per il modo in cui Law si era riferito ai suoi fratelli ed era certa di sapere chi dei due fosse la madre.
“Hanno lavorato fino a tardi. Si meritano un po’ di riposo.”

“Come tutti su questa nave, temo. Ci ritroviamo in circostante piuttosto sfiancanti.”

“Vero…” Ikkaku aveva abbassato lo sguardo sul corpo dell’amico. I vestiti gli ricadevano tremendamente larghi, tanto che a malapena si vedeva il movimento del suo petto, segno che aveva perso molto peso eliminando massa magra, poiché altro non possedeva.
Tra tutti gli Heart Pirates era il capitano quello più provato da quella situazione.

“Tu che facevi?”

La domanda del moro l’aveva ridestata dalla sua triste contemplazione.
“Studiavo... anche se sappiamo come curarti, farlo è tutt'altro che semplice e sono così ansiosa che potrei dimenticarmi perfino come si inserisce una flebo. Quindi sto studiando e ristudiando almeno la parte teorica.”

Law aveva emesso un indecifrabile mormorio alle parole della compagna.
Poi aveva sbuffato.
“Ikkaku, sei la miglior assistente in medicina che abbia mai avuto. Shachi e Penguin sanno operare solo perché mi sopportano da più anni di te, ma questo non ti rende meno abile di loro. Sono certo che farai un ottimo lavoro.”

Lei aveva interrotto per un attimo i movimenti della sua mano, che aveva preso a tremare.
“Non posso permettermi di sbagliare. Nessuno di noi può.”

Anche se non l'aveva esplicitato, Law l'aveva sentito forte e chiaro.
C'è la tua vita in gioco.
Il medico ne era ben consapevole, ma non poteva fare nulla al riguardo se non tentare di consolare e tranquillizzare i propri amici, sperando di essere davvero in grado di farlo.
Aveva lentamente annuito col capo, serrando le labbra prima di parlare nuovamente.
“Non sbaglierete. D'altronde, vi ho insegnato io.”

La pirata aveva riso al tono falsamente pavoneggiante di Law e questi aveva sinceramente sorriso udendola.
Oramai sul Polar Tang c'erano solo deboli pieghe degli angoli delle labbra e qualche timido ridacchiare. Trafalgar Law non era il tipo che andava in giro tutto il tempo con un sorriso a trentadue denti, ma molti dei suoi compagni sì e lui era abituato a vederli felici e amava saperli sereni.
Non sopportava più quell'aura di depressione che aveva avvolto il sommergibile e se per alleviare il peso dal cuore di ognuno doveva iniziare a fare lo scemo, beh, era cresciuto con Shachi e Penguin.
Poteva dannatamente farcela e l'avrebbe fatto in quanto capitano e responsabile del benessere di ogni membro della propria ciurma, nonché in quanto loro amico.

“Oh, perdonatemi grande dio della medicina. Non volevo indirettamente dubitare dei vostri egregi insegnamenti.”

“Per questa volta ti grazierò,” la supponenza con la quale impregnava le parole gli sembrava terribilmente familiare, seppure giocosa e qualche parte del suo cervello gli aveva poi suggerito che era merito della frequentazione con un certo fenicottero se riusciva a darsi tanta importanza semplicemente aprendo bocca. Dio, se la sua mente era messa male. Come ci era arrivato a pensare a Doffy? E da quanti anni non lo chiamava Doffy? “ma non cadere più in errore.”

Le risa di Ikkaku l'avevano rallegrato una seconda volta e aveva poi percepito la sua mano minuta tornare a lisciargli i capelli.
“Non lo farò!” Si era spostata sul divanetto in una posizione più comoda, tirando il corpo dell'amico più vicino. “Sai... non stavo totalmente scherzando chiamandoti “dio della medicina”. Secondo me, tra neanche mezzo secolo, la gente inizierà a lodarti.”

Law aveva emesso uno sbuffo strafottente, scuotendo il capo.
“Perché sono l'unico pirla armato di bisturi, non laureato in medicina, che va in giro in un sottomarino giallo?”

“Law! Diamine, non sminuirti! I tuoi colleghi sai dove possono mettersela la laurea? Dacché sei in circolazione, hai trovato cure a malattie incurabili. Hai operato con successo casi considerati già persi. Hai portato ad un progresso in questo campo che non sarebbe stato eguagliato neanche in trecento anni!” Aveva volutamente omesso che la malattia più crudele con la quale il dottore aveva avuto a che fare non fosse stata mai totalmente debellata e ora era tornata ad attanagliarlo, ma tutto il resto era la più pura e ineccepibile verità.
Prima di Law i medici non osavano neanche guardare un morto. Ora li studiavano, scoprendo informazioni fondamentali per salvare altre vite.
Prima di Law la tecnologia a servizio della medicina era a dir poco arretrata. Poi lui aveva capito che esaminare parti del corpo non visibili esternamente era importante tanto quanto avere strumenti precisi e facili da usare e ora gli ospedali potevano vantare di radiografie e una vasta gamma di attrezzi da lavoro.
Prima di Law le operazioni al cuore e al cervello, per citarne solo un paio, erano quasi sempre impossibili. Ora esistevano i cardiochirurghi ed i neurochirurghi.

Ikkaku avrebbe potuto continuare con la lista delle incredibili novità che il suo capitano aveva donato al mondo della scienza e della sanità, ma l'aveva visto ghignare in maniera assolutamente bastarda e dunque si era preparata alla cazzata che avrebbe detto di lì a poco.

“Cerchi di farmi arrossire? Sarebbe bello, vista la mia carnagione attuale.”

Appunto.
“Cretino, guarda che è vero. Sei una leggenda...” Gli aveva posato una mano sul petto, mentre l'altra ancora gli accarezzava la testa, in una sorta di abbraccio. “... la medicina non sarà più la stessa dopo di te. Sarai ricordato come il padre della medicina moderna per sempre. Ne sono sicura, ci scommetterei la testa.”

Law, seppur avesse tentato di deviare il discorso o perlomeno di dargli poca importanza, minimizzando e facendo dell'ironia, era infine rimasto quasi stordito da tanti complimenti. Non si sentiva all'altezza di essi, pensava fossero l'ennesimo elogio ingiustificato da parte di uno dei suoi devoti Hearts, ma poi le parole di Ikkaku l'avevano fatto riflettere.
Aveva ripensato a tutti quelli che erano stati i suoi studi, a tutte le sue scoperte e infine i suoi successi.
Forse era troppo onorevole un titolo come quello che aveva proposto con certezza la riccia, ma per la prima volta in vita sua Law si sentiva davvero consapevole del peso che lui aveva in quell'epoca.
L'aveva migliorata dal punto di vista della salute e in modo repentino e assolutamente efficace.
Si sentiva tremendamente vanitoso a pensarlo, gli era estraneo darsi tanta importanza, eppure allo stesso tempo ricordava che era ciò che i suoi amici gli ripetevano tutti i giorni.
Era ciò che affermavano, chi con convinzione e perfino chi con invidia, i medici con cui condivideva i suoi nuovi farmaci e nuovi metodi per permetterne la diffusione.
Era ciò che, con le lacrime di gioia agli occhi, gli gridavano estasiati i suoi pazienti.
Se lo pensavano in tanti, allora, forse, era vero.

Poteva essere quello il modo in cui un detentore della D incideva sul destino dell'umanità?

Non ne aveva idea, forse era così, ma in ogni caso gli sarebbe piaciuto venire ricordato per il suo contributo alla scienza, nonostante le maldicenze su quelli della D.

Aveva sorriso nuovamente ed era un sorriso genuino e, per Ikkaku, assolutamente bellissimo.
“Chissà, magari mi dedicano qualche statua. Farà bene a tutti un paio di cessi in più per i gabbiani.”

Si sentiva ancora strano abbandonandosi a quell'idea, ma in qualche modo lo confortava. Aver lasciato un segno positivo nella sua breve e attanagliata vita riusciva a lenire parte del dolore che anche in quel momento, rilassato e in compagnia di una cara amica, percepiva in ogni cellula del suo corpo.

Poteva trattarsi di un equo riscatto per tutto quello che aveva sofferto.
Forse era l'unico regalo che gli aveva riservato il mondo, contro cui aveva sempre dovuto arduamente lottare, ora che la sua esistenza pareva essere giunta al termine.

“Sarebbe troppo poco! E se fossi nelle generazioni future, pulirei le tue statue tutti i giorni. Comunque, pensa più in grande!”

In qualche modo la conversazione aveva ripreso i toni giocosi del loro precedente scambio di battute, pur mantenendo una nota seria, giacché Ikkaku era convintissima di quanto affermava e Law, un po' volente e un po' inconsapevole, si stava facendo influenzare da lei.
“Mh... magari anche una piazza? Piazza Trafalgar suona bene.”

“Suona benissimo, sì.”

Ikkaku aveva chiuso gli occhi, decidendo di godersi quel momento. Anche se avevano finito per scherzarci su, lei non aveva dubbi che il suo capitano era parte imprescindibile della storia, che aveva inciso significativamente sul destino di tutti, permettendo efficaci soluzioni alla maggior parte dei malanni e un'aspettativa di vita decisamente più lunga.
Nel placido silenzio che si era andato a creare, Law si era abbandonato a quelle lievi carezze della compagna, chiedendosi se fossero davvero così piacevoli o se le sue emozioni erano amplificate dal Piombo Ambrato anche in quel caso.
Da bravo uomo di scienza, si era ripromesso di sperimentarle nuovamente una volta che fosse guarito, per poter fare un paragone.
Sempre se fosse sopravvissuto.

Un ovattato rumore di piedi nudi che si avvicinavano aveva attirato l'attenzione di entrambi.
“Oh, ecco dove ti eri cacciato.”

A Law non serviva vedere per sapere che oltre a Penguin che aveva palesato la propria presenza parlando, ci fossero anche Shachi e Bepo.
“Vi mancavo già?”

I suoi amici di più vecchia data si erano limitati a un leggero ghigno come risposta, ben consci che Law non potesse accorgersene e si erano a loro volta accomodati sui divanetti accanto al suo, anche se Shachi non era rimasto a sedere composto per molto. Si era allungato verso il fratello minore, colpendolo giocosamente su una spalla.
“Da quando in qua sei così coccoloso?”

L'altro aveva accennato ad una smorfia divertita e aveva volutamente finto di sistemarsi più comodamente sulle gambe della compagna.

“La verità, Shachi...” Si era intromesso Penguin. “...è che ne approfitta per farsi viziare.”

A quelle parole Law avrebbe volentieri aperto un occhio per fissarlo in modo beffardo.
“Detto dall'uomo che mi vizia da tredici anni non sembra un gran rimprovero.”

“Già, Penguin non è mai stato bravo a dirti di no. A malapena ti trattiene sulla nave quando ti vengono idee folli. Mi dispiace.”

L'Hearts più grande aveva guardato incredulo il visone, che senza tanti giri di parole aveva appena sminuito tutto il lavoro che aveva fatto negli anni come fratello maggiore e come fedele subordinato del suo più giovane capitano. Quell'orso poteva sembrare un peluche timido e dolce, ma non si faceva troppi scrupoli quando doveva parteggiare per il suo migliore amico.
Beh, non che gliene facesse una colpa e poi erano palesi l'affetto e l'ironia nelle sue parole.
“La cocciutaggine è tutta farina del suo sacco e io non ho colpe se mi da retta una volta su cento.”

“Ma no, dai...” Il diniego di Law era carico di una nota di ilarità e il fratello si era già preparato alla frecciatina che sarebbe arrivata. “... ti ho ascoltato quando mi hai sconsigliato di intervenire nella guerra di Marineford.”

Penguin aveva sbattuto gli occhi perplesso.
“Scusami? Mi pare che a Marineford ci siamo andati e ci sono parecchi testimoni.”

“Non ho detto che ho fatto come volevi, ma solo che ti ho dato retta. Non ti ignorerei mai.”

Gli altri avevano riso, tanto per le parole di Law quanto perché consapevoli che quel suo modo strafottente di fare era molto più simile al suo solito comportamento. Poteva essere un vago sentore che si sentiva bene in quel momento, almeno psicologicamente.
Il pirata di Pleasure Town aveva scosso il capo divertito.
“Ah beh, grazie tante per darmi ascolto solo per fare esattamente l'opposto. D'ora in poi userò la psicologia inversa con te.”

“Non prendertela con me, ma con Shachi. È lui che mi ha sconsigliato di ascoltarti.”

Il ragazzo si era voltato verso il rosso con le sopracciglia sollevate e una faccia che palesava di star attendendo chiarimenti.
Shachi aveva fissato Bepo e Ikkaku in cerca di aiuto, ma mentre il mink era molto più interessato a strofinare la testa pelosa contro la mano che Law lasciava cadere dal divano, la riccia aveva solo potuto guardarlo a sua volta serrandosi le labbra per trattenere un sorriso, che se le fosse sbocciato sarebbe presto degenerato in una risata. Lei sapeva perfettamente dove sarebbe finito quel discorso.

“Beh, ecco... potrei essermi espresso su un certo fatto...”

“Ossia?”

L'altro aveva tentennato ancora un po', ma poi lo sguardo del fratello l'aveva costretto a parlare. “Sai che il mio sogno è quello di avere un salone di bellezza, no*? E uso il tempo presente, visto che quello che ho qua sul Tang non so se sia proprio la realizzazione di quel sogno, cioè, è frequentato solo da Ikkaku e chi deve farsi barba e capelli e...” Aveva saggiamente deciso di non tergiversare e aveva ripreso le redini del discorso. “...perciò diciamo che io di certe cose me ne intendo e penso di potermi permettere di giudicare, quindi...”

“Taglia corto, Shachi.”

“Mi ha detto di non ascoltare i tuoi consigli di moda. Ergo, è colpa tua se riesco ad abbinare pantaloni arancioni maculati e felpa gialla.”

Il rosso era sbiancato alla spifferata del compagno.
“Che cazzo, Law! Non-...” Le parole gli erano morte in gola mentre Penguin gli si buttava addosso bloccandolo contro ai cuscini. Era evidente che erano entrambi ben lungi dal litigare sul serio e c'era tanta gaiezza mal nascosta nei loro toni, ma quel piccolo e innocuo scontro era perfetto per sciogliere i nervi e non solo dei due diretti interessati.

Al capitano sarebbe piaciuto vederli azzuffarsi come sempre facevano per ogni cavolata sin da quando erano bambini, ma doveva accontentarsi di percepire i loro movimenti. Dopo poco aveva udito Shachi emettere un suono che era il perfetto misto tra un pigolio strozzato e un gemito e Law poteva solo immaginare che quell'infido del pinguino gli stesse torcendo un braccio dietro la schiena. Aveva ridacchiato insieme a Bepo e la fanciulla di bordo, ma poi un colpo di tosse l'aveva sorpreso e si era affrettato ad alzarsi puntandosi su un gomito per sporgere la testa oltre il bordo del divano.
Si era portato una mano alla bocca, mentre le voci nella stanza si ammutolivano e aveva chiaramente sentito qualcosa di caldo, umido e denso insinuarsi fra le sue dita e gocciolare sul pavimento.

“Captain...” La zampa di Bepo aveva circondato l'altra sua mano e l'orso gli aveva prontamente lasciato dei fazzoletti nel pugno.
Law si era messo a sedere, premendosi i fazzoletti contro le labbra e maledicendo gli altri piccoli colpi di tosse, che continuavano a portargli il sangue in bocca da chissà quale parte lesa del suo corpo.
Ikkaku gli aveva posato una mano sulla schiena e i suoi fratelli gli si erano avvicinati. Poteva perfettamente vedere, nonostante la cecità, tutti i loro volti sfregiati da paura e apprensione.
Ancora una volta aveva rovinato un momento di spensieratezza senza che potesse fare qualcosa per impedirlo e nonostante il suo buon proposito di pochi minuti prima, per cui si era ripromesso di confortare e divertire i propri compagni.

Aveva abbassato il capo, a disagio, dopo che la tosse si era placata.

Il silenzio che era seguito era stato imbarazzante o almeno così era parso a Law.
“Mi spiace, non me l'ero aspettato. Non mi sentivo così male.”

Bepo aveva scosso il capo, alzandosi in piedi e regalando al proprio capitano il più affettuoso garchu della storia dei visoni. La sua pelliccia folta e morbidissima riusciva sempre a rasserenare l'animo del medico.
“Lo dici sempre a me, Captain: non ti scusare! Cosa hai fatto di sbagliato?”

Law si era asciugato freneticamente il sangue dal mento ed era sul punto di sottolineare quello che per lui era l'ovvio.
Aveva ricordato a tutti la situazione terribile nella quale si trovavano. Era una fonte di depressione ambulante, dannazione.
Prima che potesse ricadere tra i propri stessi dubbi e timori, però, si era imposto di trattenersi e riacquistare compostezza.
Aveva deciso di non essere più un peso, bensì un supporto per gli altri in quella guerra contro al Piombo Ambrato e anche se forse l'avrebbe persa e oramai, anche se non intendeva arrendersi, poteva accettare l'idea, non avrebbe più permesso alla malattia di schiacciare anche la sua psiche e il suo orgoglio. Certamente non le avrebbe più concesso di spaventare i suoi compagni quando si poteva tranquillamente evitare.
Aveva inspirato profondamente, mentre percepiva il peso di uno dei suoi fratelli che piegava la seduta accanto alla sua. Shachi gli aveva messo una mano sulla spalla.
“Hey, ti sei ripreso?”

Il medico aveva annuito leggermente, continuando a pulirsi il sangue dalle dita con rapidi movimenti, poi aveva ghignato sorprendendo quasi più se stesso che i compagni.
“Io sì, del tuo braccio possiamo dire lo stesso?”

L'amico era rimasto spiazzato per qualche istante, poi aveva sbuffato fintamente oltraggiato.
“Starebbe benissimo se qualcuno non avesse fatto la spia!”

Law non si era preoccupato di ribattere, giacché ci avevano già pensato Penguin e Bepo, che sembravano particolarmente intenti a sfottersi l'un l'altro quel giorno o forse desideravano perseverare con quell'atmosfera allegra. Il capitano si era appoggiato allo schienale, cercando di rilassarsi e schiarire la voce, che gli pareva rauca. Sembrava essergli passata qualsiasi cosa avesse avuto fino a qualche secondo prima ed aveva preso un altro lungo respiro.
Ikkaku si era rannicchiata al suo fianco e lui non aveva mosso un muscolo per scostarla.
Effettivamente i suoi fratelli avevano ragione quando sostenevano che lui non era mai stato tanto affettuoso in vita sua, ma ora che la sua esistenza era incerta sentiva il bisogno di dimostrare ai suoi amici quanto fosse legato ad ognuno di loro. Era consapevole che già lo sapessero. Nessuno lo conosceva meglio del suo equipaggio, in ogni sfumatura del suo complicato carattere, ma forse era giunto il momento di essere un po' meno pragmatico.
Faceva piacere a loro quanto bene a lui stesso.

La sua determinazione a fingere che nulla di spiacevole fosse successo e la complicità degli altri avevano fatto sì che il tempo passasse in fretta e nessuno vi aveva badato. Soltanto quando Uni aveva fatto capolino nella sala ricreativa per comunicare loro che il pranzo era pronto avevano guardato l'orologio. Prima che si alzassero, però, Law aveva dato voce ad un pensiero che gli frullava in testa da un po'.

“State facendo esperimenti sul mio stomaco?”

Pen era rimasto in silenzio per qualche istante, sorpreso dalla domanda che proprio non si aspettava.
“Sì, ma solo su alcuni tessuti. Vuoi saperne di più?”

Il medico aveva scosso il capo.
“No, volevo solo capire se potevate reinserirmelo.”

“Come?” Tutti e cinque i suoi compagni l'avevano fissato sbigottiti.

Lui aveva scrollato le spalle, sentendosi gli occhi di tutti puntati addosso.
“Essendo ancora sotto il controllo dell'Ope Ope, dovrebbe risultarvi facile.”

“Sì, ma non è questo il punto, Cap'. L'avevamo esportato sia per capire com'eri messo ed elaborare un piano sia per evitare che il resto del tuo corpo si contagiasse tanto in fretta.”

“Già, ma visto come sono conciato ora, credo che sul secondo punto abbiamo fatto fiasco. O meglio, forse ha rallentato l'avvelenamento, ma attualmente non credo faccia differenza se il mio stomaco sta dentro o fuori di me.” Si era messo ad appallottolare i fazzoletti sporchi del suo sangue ormai secco, sperando che paresse solo un gesto disinvolto e non uno di nervosismo. Perché sì, era nervoso nel proporlo. Ciò che la sua richiesta implicava e che sperava gli altri non cogliessero, era che non voleva rischiare di star vivendo i suoi ultimi giorni attaccato a delle flebo. Voleva del cibo vero. Mangiare era uno dei più banali piaceri che la vita riservava a qualunque essere vivente e non vedeva perché privarsene. Inoltre la sua non era una resa alla malattia, bensì una precauzione. Se fosse sopravvissuto non avrebbe avuto alcunché da rimproverarsi e se invece non ce l'avesse fatta, almeno non avrebbe avuto il più stupido dei rimpianti.
“Tra l'altro, io non sono in coma, costretto in un letto. Mi muovo, lavoro e ho bisogno di molte più energie delle poche che mi riservano le flebo. Credo che mangiare sul serio possa anche aiutare il mio corpo a contrastare la malattia.”

Gli Hearts si erano guardati l'un l'altro, perplessi.
Non impazzivano all'idea di mettere un altro blocco di Piombo Ambrato dentro al corpo del loro comandante, anzi, temevano di farlo, ma di fatti avrebbe cambiato qualcosa? Law era già quasi totalmente contagiato e dal suo breve resoconto pareva avere ragione sotto ogni aspetto, il che non era una novità.
Il loro capitano decideva sempre con saggezza e c'era la possibilità che riappropriandolo dell'organo ne traesse un piccolo vantaggio.

Bepo aveva cercato gli occhi di Uni ed aveva fatto un unico cenno col capo.

“Bene...” Aveva esordito l'uomo. “...dirò a quel panzone del nostro chef di tenervi il cibo in caldo.”
 
***

     “Sapete...” Clione aveva attirato l'attenzione dei nakama, perlopiù concentrati a fissare il posto a capotavola. “...penso non esista un bambino più felice del nostro capitano ultra ventenne che si ingozza di cibo.”

Tra le risa che erano seguite, Law era riuscito a far udire a tutti il suo “'Fanculo, Clione” bofonchiato tra un boccone e l'altro.
“E poi,” Aveva rincalzato il discorso, una volta divorato il proprio piatto. “sto mangiando solo riso in bianco, non mi pare questa grande abbuffata.”

“Beh, non potevi pretendere molto altro. Non mangi seriamente da troppi giorni e il tuo stomaco è debole.”

Law aveva agitato una mano per indurre Penguin a tacere.
“Lo so, lo so. Anche se ora sono il vostro paziente moribondo resto sempre il grande medico a cui dedicheranno piazze e monumenti. Giusto, Ikkaku?” Non necessitava della vista per sapere verso dove allungare il proprio pugno in attesa che l'altra lo battesse col proprio.

“Parole sante, Doc.” La riccia aveva prontamente ricambiato il gesto, lasciando positivamente allibiti il resto dei corsari.

“Cosa cazzo ci siamo persi?”

Il capitano aveva lasciato che fosse Ikkaku a spiegarsi e quasi gli era venuto da sorridere all'entusiasmo della compagna, che continuava ad elargirgli lodi e infine aveva davvero piegato le labbra quando aveva udito il boato di consensi dell'intero equipaggio.

“E noi viaggiamo con te, è incredibile!”
Altro che pirati.

“Captain, sono orgoglioso di essere un Hearts!”
Un ammasso di fangirls aveva reclutato.

Afferrando il piatto, l'aveva spinto contro il braccio di Bepo.
“Sai se ce n'è ancora?”

L'orso si era affrettato a dargli altro riso e non si era potuto trattenere dall'esprimere la propria felicità.
“È un miracolo vederti fare il bis. Dovremmo toglierti lo stomaco più spesso, mi dispiace.”

Law aveva annuito, ben consapevole che normalmente assumeva la maggior parte delle proprie fonti di energia attraverso litri di caffè, tre ore di sonno a notte se andava bene e filtrando l'aria come una dannata spugna di mare faceva con l'acqua.
Riflettendoci, poteva prendere in considerazione l'ironico suggerimento del navigatore.

“Capitano,” Law aveva alzato la testa come se prossimo a guardare Jean Bart, ma aveva atteso che l'altro continuasse tenendo la palpebre abbassate. “cos'hai intenzione di fare con gli isolani?”

La sala da mensa era calata nel silenzio. Nessuno tra i Pirati del Cuore voleva più alzare un dito per quelle persone, non importava quanto il loro terrore potesse essere comprensibile. Era già tanto se non le avevano uccise dopo quello che avevano fatto al loro comandante ed era proprio grazie a lui che erano state risparmiate. Sempre a lui, però, spettava l'ultima decisione e se avesse scelto di continuare ad aiutarle con la somministrazione della cura, gli Hearts avrebbero serrato i denti, ingoiando il rospo, e li avrebbero assistiti.
Il medico aveva posato la forchetta per pulirsi le labbra col tovagliolo.
“Resteremo ancorati qui per un altro po'.” Aveva udito distintamente rochi gemiti che venivano malamente soppressi, ma aveva continuato. “Questo non significa che continueremo a fare da crocerossine a queste persone. Non ho più nulla da spartire con loro e se hanno bisogno, possono chiedere ai marines. La mia parte l'ho fatta e sono soddisfatto.”

I corsari avevano immediatamente stravolto il loro umore, guardando raggianti il loro capitano. Quelle erano le parole che desideravano udire. Adoravano e rispettavano il lavoro del loro Doc e la sua devozione per esso, ma giunti a quel punto era più che giusto che mettesse la parola fine a quell'intricato caso clinico.

“Il mio intento...” Law aveva richiamato l'attenzione generale. “...è quello di fare rifornimento e passare questa settimana in tranquillità. Credo sia meglio se stiamo attraccati visto quello che dovremo affrontare di qui a breve. Almeno ci evitiamo il pensiero della navigazione.”

Gli Hearts avevano annuito entusiasti. Non avevano nulla in contrario a quel piano. Salpare avrebbe significato allontanarsi da un'isola che aveva portato solo spiacevoli avvenimenti, ma avrebbe anche comportato che meno persone avrebbero lavorato alla cura per il loro comandante, giacché qualcuno si sarebbe dovuto occupare della navigazione e nessuno poteva sapere se le correnti burrascose del Nuovo Mondo non avrebbero peggiorato la salute di Law.
Non sembrava particolarmente voglioso di affrontare un maremoto.

“È chiaro a tutti?” Aveva concluso Trafalgar.

“Aye, aye, Captain!”
 
***

     Il Piombo Ambrato non aveva dato tregua al corpo già esausto di Law nei giorni che erano seguiti.
La tosse immancabilmente accompagnata dal sangue non lo aveva abbandonato una sola notte dacché poteva nuovamente contare tutti gli organi all'interno del suo corpo. Quasi certamente gran parte di quello che sputava erano frastagliate piccole parti del suo straziato stomaco, ma c'era anche la complicità di qualcos'altro che stava morendo dentro di lui e le visite mediche di Shachi e Penguin non erano riuscite a stabilire cosa fosse.
Nonostante questo e la drastica riduzione delle sue ore di riposo e quindi anche delle sue energie, Law non si era pentito di poter essere tornato a mangiare.

Cieco, debole e sempre più sbadato, non aveva grandi svaghi se non il cibo e la compagnia del proprio equipaggio.

In quei giorni di sofferenza era stato insieme alla sua ciurma più di quanto non lo fosse stato in un anno di navigazione.
Gli faceva piacere ed era interessante scoprire come passavano il tempo mentre lui, solitamente, se ne stava rintanato in laboratorio a sfornare idee geniali e inventare qualcosa di traumatico, come diceva White Fox.

Certo non potevano passare tutto il tempo insieme. Nelle ore diurne i suoi compagni si dedicavano allo studio e all'approvvigionamento della nave presso il mercato dell'isola, che gli abitanti in via di guarigione stavano ripristinando, mentre Law bazzicava pigramente da una stanza all'altra, alla ricerca di qualcuno libero dalle proprie commissioni. Il medico aveva tentato di dare un contributo alla ricerca in laboratorio, ma con suo orrore e somma tristezza, pareva che un ragionamento particolarmente complicato e approfondito gli causasse l'emicrania e gli bastava la più breve ed innocua distrazione per dimenticare all'istante quello a cui stava pensando.
Lui, il medico più in gamba di tutti i tempi, che era considerato uno dei più grandi geni del mondo, non riusciva a rammentare una fottuta frase circa l'elaborazione della sua cura.
Penguin e Ikkaku avevano insistito che non doveva preoccuparsi e che il suo aiuto l'aveva già dato, ma Law non aveva voluto ascoltare delle merdose parole di commiserazione. Aveva raggiunto la sua stanza più velocemente che poteva, inciampando e facendosi un male della miseria, ma si era alzato anche se barcollante ed aveva proseguito. Si era buttato sul letto sfatto, che non si prendeva più la briga di sistemare.

E Dio, quanto disperatamente aveva pianto.

Aveva già notato che la sua memoria a breve termine stava diventando sempre più vaga, non era una novità quella a cui era andato incontro e non era accaduta da un giorno all'altro, ma verificarlo definitivamente era stato tutt'altro che facile da accettare.
Era stato frustrato, incazzato, aveva subito l'ennesimo e micidiale colpo al suo orgoglio, ma almeno era riuscito a non dare un nuovo fardello ai propri amici.
Si era rinchiuso nella sua cabina e si era sfogato contro al proprio cuscino, non sulla spalla di uno dei suoi fratelli, che poi sarebbe andato a sua volta a cercare il conforto di altri Hearts.
In qualche modo a Law era servito ed era riuscito a calmarsi e tornare a camminare a testa alta, per fronteggiare a schiena dritta quella che era la sua battaglia.
Non avrebbe ceduto nemmeno così, mezzo scemo e mezzo ritardato, ridotto al più ignorante dei dottori, a quella troia di una malattia.

Al quarto giorno della fatidica settimana, il medico si era svegliato con l'ormai solito formicolio alle gambe, che a quel punto non poteva più attribuire come causa del peso di Shachi su di sé, e fremiti in tutto il corpo. Si era diretto stancamente in cucina per fare colazione, fermandosi di tanto in tanto, poggiato alla parete, per riprendere fiato ed era riuscito a rilassarsi solo una volta seduto.
Aveva mangiato molto e con gusto, dunque avrebbe dovuto avere tutte le forze necessarie per alzarsi e andare nella sala ricreativa con gli altri, che attendendo i risultati di alcuni test, volevano organizzare qualche gioco per distrarsi.

Tutto ciò che i Pirati del Cuore avevano potuto fare era stato udire il tintinnio di alcune posate e poi di una serie di piatti che si frantumava al suolo, trascinati sul bordo della tavolata dalla tovaglia a cui si era aggrappato Law mentre crollava a terra.
Bepo l'aveva immediatamente soccorso insieme ai compagni.
“Captain!”

Il capitano aveva alzato il busto a fatica e solo grazie all'aiuto del visone. Aveva sbattuto la testa per terra, totalmente preso alla sprovvista da quella caduta, e presto gli sarebbe sorto un ematoma sulla fronte, ne era sicuro. Aveva serrato un pugno sulla tuta arancione del suo vice, portandosi l'altra mano ad afferrare una coscia, il volto sfigurato da incredulità e disprezzo.
La presa sulla sua gamba si era fatta sempre più stretta, le unghie si sarebbero conficcate nella carne se non fosse stato per i vari pigiami che stava indossando.

Eppure non gli avrebbero fatto male.

La realizzazione era un dannato colpo basso, qualcosa di arduo da mandare giù o forse di impossibile.
“Non sento più le fottute gambe.”

Ma non si sarebbe arreso.


 
°° FINE CAPITOLO °°



* Nella Novel su Law (che sto cercando di riportarvi in versione estesa) approvata da Oda, viene detto che il sogno di Shachi è quello di avere un salone di bellezza e mentre a Pleasure Town Penguin lavorava come cameriere, Bepo in un cantiere e Law in una clinica (a tredici anni era già stimato dal dottore che l'aveva assunto *-* Io piango arcobaleni ogni volta che ci penso) Shachi era riuscito ad ottenere un posto come estetista.
Non ho messo l'avvertimento spoiler a questa nota perché vi sto parlando solo di dettagli sui quali nemmeno la Novel si sofferma molto, ad eccezione di quel che concerne Law, ma allo stesso tempo, che Law fosse un medico già da bambino era cosa nota già dal manga e se qualcuno non se lo ricordava, comunque, penso potesse immaginarlo visto quanto è abile xD

***

Eccoci tornati, ragazzi!


Puntualmente in ritardo, ma ecco il nuovo capitolo.
Si tratta di un capitolo di transizione, quindi non è molto avvincente, ma è servito per far prendere certe decisioni a Law, tra cui la scelta nei confronti degli isolani e la sua risolutezza a non farsi più affliggere dalla malattia, almeno non davanti ai compagni.
Possiamo definirlo anche un capitolo psicologico, credo.
Voi che dite?

Se andate a rileggere e analizzare certe parti, vi informo che ho buttati alcuni indizi su avvenimenti dei capitoli futuri... sono un po' nascosti, ma ci sono tutti!


Giunti a questo punto il nostro doc è più un relitto, che altro, ma è determinato a non mollare e quindi devo chiedervelo: secondo voi si salverà?

Come sempre mi farebbe piacere avere un vostro parere, un ragionamento o formulazione di ipotesi (come fa qualcuno xD) . Io attendo speranzosa ♥
 
  • Scusate se il disegno allegato è così bruttino. L'ho fatto molto di fretta! Ma giuro che so fare di meglio. Per chiunque fosse interessato al fanbook relativo a questa storia o voglia ulteriori informazioni o aggiornamenti, può chiederlo direttamente nel commento o tramite messaggio privato.
  • Se volete seguire i miei disegni, talvolta relativi alle mie fanfiction, ecco il mio Instagram: https://www.instagram.com/pawa_art/?hl=it
    Potete seguirmi e mandarmi liberamente messaggi anche lì, sono sempre disponibile a rispondere!

A presto,
baci
Pawa

 
 

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


 

°° Il Mostro Bianco °°

 

 

- Capitolo XII -



     Penguin si era passato un panno fresco sul viso, forse sperando di rinvigorirsi un po’, tuttavia quando aveva posato lo straccio aveva rivelato la stessa espressione esausta che lo aveva caratterizzato per tutto il giorno.
Nonostante la spossatezza, che era certo fosse più psicologica che fisica, si era alzato dalla poltrona della cabina di Law facendo leva con le braccia sulle gambe, e con passo pesante si era diretto verso il baldacchino del suo fratello più giovane.

Quest’ultimo era sdraiato e avvolto in diverse coperte. Gli occhi erano chiusi, ma il medico era sveglio.

“Non fissarmi in quel modo…”

La bassa voce di Law aveva fatto amaramente ghignare il pinguino.

“In che modo, scusa?” Sapeva perfettamente di starlo guardando con preoccupazione e commozione, si chiedevo solo come potesse essersene accorto il compagno.

“Lo sai…” Il moro si era mosso sospirando, facendo scivolare le lenzuola. “Non compatirmi. Risparmia quel minimo di orgoglio che mi è rimasto.”

A quelle parole il debole sorriso di Penguin si era rotto.
Non ce la faceva a vedere Law ridotto in quello stato. Il suo Law, il suo adorato fratellino saccente, intelligente, furbo e testardo ma infinitamente gentile, colui che gli aveva salvato la vita con un’eccellente operazione chirurgica alla tenera età di tredici anni e da allora gli regalava un’esistenza incredibile, a cui non aveva mai auspicato, qualcosa di tanto meraviglioso che a malapena aveva sognato. Se Penguin aveva ancora entrambe le braccia, era solo merito suo e ora che era Law a necessitare di aiuto, Penguin quelle due mani che ancora possedeva le aveva legate. Sapeva solo osservare l'amico di sempre mal trattenendo la propria frustrazione.

La lotta per sconfiggere la malattia era ardua, struggente e una corsa contro il tempo. Purtroppo, finché la cura non fosse stata pronta, gli Hearts avrebbero temuto ogni minimo crollo del loro capitano.
Speravano solo che dopo ogni caduta il Chirurgo della Morte si sarebbe rialzato, come in battaglia.

La metafora che aveva sfiorato i pensieri di Penguin era quasi crudele considerando che le attuali vittime del Piombo Ambrato erano proprio le gambe di Law, ma il pirata di Swallow Island non intendeva cambiare prospettiva.
Il suo capitano si sarebbe rimesso in piedi.
In tutti i sensi.

Penguin aveva sollevato le coperte fin sotto il mento del fratello, spostandogli poi dei ciuffi di capelli dalla fronte fredda eppure sudata. Law aveva presto rovinato l’operato dell’amico, estraendo un braccio dalla coltre di trapunte, facendole aggrovigliare mentre si metteva seduto e tirando un leggero pugno sulla spalla dell’altro.

“Ho riposato abbastanza, smettila di trattenermi in questo dannato letto.”

Shachi si era fatto avanti dall’angolo della cabina di Law che aveva fatto proprio nelle ultime ore. In altre circostanze gli sarebbe parso surreale che lui, un tipo tanto energico e gioviale, avesse potuto intrattenersi per tutto quel tempo semplicemente fissando una delle giallastre cartine geografiche appese alle pareti della cabina. Di fatti, però, nemmeno l'aveva realmente degnata di uno sguardo, giacché tutta la sua attenzione verteva attorno a Law e le sue condizioni fisiche. Dunque, probabilmente, non era stata poi così assurda la sua paziente e silenziosa attesa in quell'angolo angusto tra due librerie dal quale si era appena scostato per avanzare verso i due compagni, finché non aveva poggiato le mani sulle spalle del più giovane di loro.
“Hai avuto una paralisi delle gambe, Law.”

Dritto al punto, senza peli sulla lingua. Non voleva risultare insensibile, ma quel testone del suo capitano non ascoltava volentieri chi girava attorno al fulcro di un argomento. Anzi, solitamente approfittava di certi tipi di tentennamenti per manipolare il discorso e averla vinta. D'altro canto, però, i Pirati Heart potevano giurare che non era ancora nato quello che avrebbe battuto Law nell'arte della dialettica. Secondo Bepo solo il suo stesso sangue poteva avere quel potere e, sapendo di non poter contare sulla prima famiglia di Law, gli Hearts puntavano tutto sui loro futuri nipotini.

“Una paraplegia, per l’esattezza, durata solo pochi minuti.” La precisazione dell'unico vero medico presente aveva riscosso il rosso dal dolce e tuttavia amaro pensiero a cui si stava abbandonando.
I figli del suo capitano. Forse sarebbero stati problematici tanto quanto il padre. Shachi aveva dapprima sperato che prendessero dalla mamma, ma poi aveva scosso il capo. La donna che avrebbe sposato Trafalgar Law non poteva essere del tutto sana di mente. Il corsaro avrebbe sorriso a quella constatazione, se solo non si fosse reso conto che per conoscere i propri futuri nipoti serviva anzitutto che Law sopravvivesse a quella maledetta malattia.

“Intanto l’hai avuta!” La risposta vagamente infantile di Penguin aveva fatto sì che Shachi posasse i propri occhi stanchi su di lui. Dire chi fosse il più esausto tra loro due era davvero arduo. Si domandava come il proprio fratellone potesse non svenire lì in piedi e fosse invece incurvato e irrigidito sul letto di Law, pronto a litigare se il loro fratellino avesse fatto troppo il cocciuto.

“Lo so!” Aveva sottolineato il chirurgo, con tono forse troppo irritato per rivolgerlo alla propria famiglia e infatti aveva poi deglutito con pentimento. Si era lentamente portato le gambe al petto, ancora intorpidite e troppo tremanti. Le aveva abbracciate, facendo riposare la fronte bagnata sulle ginocchia, e aveva inspirato profondamente. “Lo so…” L’aveva ripetuto con tono più dolce, quasi arrendevole e forse con un'implicita richiesta di scuse.
I due compagni, da tanti anni complici del suo instabile comportamento, dovevano aver colto i suoi sentimenti, perché si erano seduti sul suo letto e Penguin lo aveva placidamente invitato a far poggiare la testa sul proprio petto. Shachi si era rannicchiato alla sua sinistra, adagiandosi contro il suo fianco ed erano rimasti tutti e tre in silenzio, a rilassarsi e a godersi il momento fintanto che durava.
Dopo un tempo indefinito, ma Law supponeva fosse stato breve, aveva alzato il viso dal nascondiglio che aveva trovato tra le proprie braccia ancora strette attorno le gambe e il torso del fratello e aveva mormorato quasi come se non avesse voluto disturbare eccessivamente quella quiete che si era creata, qualcosa di estremamente raro in quei tormentati giorni.
“Proprio perché l’ho avuta non voglio stare a letto.” Si era riferito alla paraplegia e non serviva specificarlo. Anzi, i due Hearts nemmeno volevano udire ancora quella parola.
“Mancano tre giorni a…” Aveva esitato, ma solo per poco. “... al mio limite…” Pur non potendoli vedere, era sicuro che i due compagni avessero distolto lo sguardo da lui e aveva distintamente percepito le lenzuola sotto di sé arricciarsi in tante piccole pieghe ed essere tirate, come se qualcuno le avesse strette nel proprio pugno. Aveva continuato, cercando di non badare a quanto le sue parole potessero risultare dure. “... Solo tre giorni… E dovrei passarli nelle vesti di un povero paraplegico? Le paralisi avvengono quando i messaggi del cervello non raggiungono correttamente i muscoli, e tutti noi sappiamo che il Piombo Ambrato mi sta fottendo il cervello. Potrebbe accadere di nuovo o non succedere più, chissà… l'erosione delle mie cellule è discontinua data la manifestazione a macchie della malattia.” Aveva serrato i propri pugni, ora, mentre la propria determinazione a non essere più una zavorra psicologica per il proprio equipaggio tornava a infondergli forza. “Capite, quindi, che è indifferente se sto qui o da un’altra parte, vero? Per il tempo che mi resta, voglio camminare. È uno dei miei passatempi preferiti, lo sapete.”

I due Hearts si erano lanciati un’occhiata rassegnata.
Law non era nel torto, ma assecondarlo sembrava in qualche modo sbagliato. Era quasi, implicitamente, come dargliela vinta chiudendo un occhio, come accontentarlo... come esaudire le sue ultime richieste.

Penguin ci aveva provato un'ultima volta, invano, ne era consapevole.
“Ma se dovesse accadere nuovamente?”

Law aveva sospirato, gettando indietro la testa e poggiandola sulla spalla dell'altro.
“Potrebbe, non lo nego. Tuttavia qualcosa dovrà capitare comunque in questi tre giorni... presto o tardi.” Aveva ghignato tristemente, passandosi una mano diafana tra i capelli altrettanto chiari. “Il guaio di essere un medico tanto capace... è che posso calcolare precisamente quanto mi rimane. Quindi, poiché ho la certezza che non vedrò il sorgere di quattro albe, un collasso dovrò sicuramente subirlo, che sia una nuova paralisi o qualcos'altro e di più grave.” Il termine della frase era stato poco più di un sussurro.
Law non temeva la morte, non si angosciava per la sua imminente dipartita. Era la consapevolezza di saper esattamente quando se ne sarebbe andato che lo abbatteva. Solitamente nessuno è a conoscenza della fine del proprio viaggio. Law invece, per la seconda volta nella propria breve esistenza, sapeva esattamente quando avrebbe dovuto ammainare le vele per l'ultima volta.
Era tutto così simile a Flevance. Anche all'epoca, sbirciando tra le cartelle cliniche scritte dai suoi genitori, aveva compreso quale fosse la data approssimativa della sua morte. Essa, insieme alle tragedie che aveva vissuto e dalle quali a malapena era scampato, l'aveva trasformato in un mostro che portava a sua volta morte ovunque andasse, per le azioni che compiva o per la sua semplice presenza nefasta.

Quel dannato Mostro Bianco.

Il medico era stato scosso da un evidente e incontrollabile brivido a quel pensiero.

Shachi gli aveva passato una mano sulla schiena senza neanche sapere che quel semplice gesto aveva scacciato la crudele maldicenza che aveva tormentato la mente di un giovanissimo Law e che, ora, aveva rischiato di minacciare nuovamente la sua coscienza.

Il capitano aveva stretto le palpebre, maledicendo la malattia che faceva vacillare la sua psiche alla più piccola breccia nella sua compostezza, e ripetendosi per l'ennesima volta che doveva dire addio al suo ruolo da vittima, perché non poteva essere un peso per i propri uomini e perché questi mai lo avevano considerato e mai lo avrebbero definito il Mostro Bianco.

Lui, per loro, era solo il Captain, e come tale doveva comportarsi.

Non era un flagello, non un appestato.
Era la persona a cui gli Hearts tenevano di più al mondo e per cui avrebbero fatto di tutto, perfino miracoli o, per meglio dire, una cura miracolosa per un malanno inguaribile.
Sì, erano pronti a tutto per il loro comandante. Anche a cedere alle sue richieste meno salubri, se questo significava donargli un minimo di serenità in circostanze che di lieto avevano alcunché.

Il rosso aveva rialzato lo sguardo sull'amico convalescente, cercando di convincersi che non stava assecondando il suo ultimo desiderio. Gli stava solo facendo un favore.
“Va bene, dai... come abbiamo già detto nei giorni scorsi che tu ti muova o che tu rimanga a letto è indifferente. Fintanto che puoi camminare, fallo, ma sappi che avrai la scorta.”

“Come un VIP.” Aveva subito aggiunto il maggiore dei tre, uscendosene con una battuta tanto inaspettata che forse era proprio per quello che aveva fatto ridere gli altri due.

Law aveva smesso di ridacchiare solo per alimentare quella debole nota di ilarità che si era instaurata all'improvviso.
“Io sono un VIP. D'altronde, il mio nome e il mio volto sono piuttosto famosi, volete negare?”

I fratelli avevano risposto affermativamente nonostante i sussulti delle loro risate.

Erano certi che quanto si stavano dicendo non facesse così ridere, ma evidentemente erano tutti e tre troppo prossimi all'esaurimento per reagire adeguatamente. Effettivamente, le loro risa erano quasi isteriche, ma non facevano male.
Erano liberatorie.

“Allora, andiamo?”

I pirati di Swallow avevano poi guardato il loro capitano con leggera sorpresa.
“Subito?”

“Beh...” Aveva incominciato Law, alzando le spalle. “... non è che abbia tutto sto tempo da perdere, sapete.”

Si era sentito tirare un leggero schiaffo sulla nuca da Penguin.
“Dio, Law, non parlarne così a cuor leggero. Però sì, ci prepariamo e usciamo.”

Shachi si era subito messo in piedi, ma aveva deciso di non rinunciare a quella vaga spensieratezza che si era diffusa nella cabina. Quindi aveva spinto all'indietro il proprio fratellino, che era ricaduto supino sul letto, e gli aveva poi afferrato e sollevato le gambe.

“Che cazzo fai, Shachi?” Law aveva alzato il busto puntando i gomiti sul materasso e avrebbe volentieri squadrato male il compagno.

“Che ne sapevi che sono io e non Penguin?”

Il chirurgo aveva alzato un sopracciglio.
“Stai facendo una minchiata. E chi fa minchiate su questo sottomarino?”

“Touche.” La resa a quel breve dibattito non aveva fatto però demordere il rosso, che aveva costretto Law a piegare le gambe e con movimenti lenti e calcolati gli stava facendo mimare una pedalata. “È ora della fisioterapia! O non farai neanche un passo fuori di qui. Hai le gambe così deboli...”

Trafalgar Law era rimasto inerte per diversi attimi, poi aveva soffocato una risata per assumere un cipiglio contrariato e con la minima e residua forza negli arti inferiori, aveva provato a divincolarsi da quell'imbarazzante situazione.
“Cretino! Lasciami! Non si fa così la fisioterapia!”

“Cosa dice, dottor Penguin, dovremmo dar retta al paziente?”

L'interpellato aveva finto di ponderare la domanda, portandosi una mano sotto al mento in una posa falsissima che doveva farlo apparire pensieroso. Si dispiaceva solo che Law non potesse vedere la sua ridicola recita.
“Mh, continui pure dottor Shachi. È evidente che il nostro paziente non abbia idea di cosa sia meglio per lui.”

Law gli aveva dato del traditore, ma entrambi i ragazzi lo avevano ignorato, continuando quell'insulsa ginnastica per le sue gambe, che pian piano Shachi aveva tramutato in vera fisioterapia, mentre Penguin l'aveva aiutato a cambiarsi.

Il medico aveva smesso di opporsi. D'altronde faticava a vestirsi autonomamente e non solo per la cecità, ma pure per la sua fiacchezza fisica, e stava ricevendo un vero trattamento di fisioterapia. Sebbene un'unica seduta poteva fare ben poco per le sue povere gambe, male di sicuro non faceva.

Inoltre l'atmosfera che si era creata era proprio quella che si era ripromesso di avere fintanto che la malattia non lo avrebbe definitivamente sconfitto; spensierata, perché era così che erano i suoi uomini e diversamente non li voleva vedere.
 
***

     L'andatura che i quattro Pirati Heart stavano tenendo lungo il bagnasciuga era così diversa rispetto al solito.

Law era sempre stato un tipo col passo svelto. Gli piaceva passeggiare e si godeva sia la camminata sia i luoghi che visitava passando, tuttavia per bearsi di questi elementi non aveva mai avuto bisogno di rallentare il suo ritmo. Sin da bambino era stato in testa al gruppo, e non solo perché aveva il titolo di capitano. I suoi primi tre compagni, gli stessi che ora lo stavano accompagnando, si erano ritrovati a rincorrere quei passetti veloci e precisi, mai vacillanti o insicuri. Col passare del tempo, per quanto riguardava l'equipaggio, le cose non erano che degenerate. Di fatti, ora la ciurma doveva inseguire oltre un metro e novanta di uomo dal passo lesto e nonostante la statura di alcuni, come Uni e Jean Bart, la cosa era tutt'altro che facile.

Stavolta, però, la faccenda era ben diversa.

Il comandante degli Hearts camminava piano e con fatica. Si reggeva con una mano alla schiena di Bepo, che aveva scelto di muoversi a quattro zampe per essere un facile appoggio per il proprio migliore amico. Shachi e Penguin erano dietro di loro e intrattenevano il piccolo gruppo con chiacchiere leggere su un argomento a cui Law non stava davvero prestando attenzione. Il ragazzo era molto più concentrato a mettere un piede davanti all'altro senza inciampare. Era sfiancate, leggermente doloroso, ma il chirurgo non si pentiva di essere uscito a passeggiare.
Era uno dei suoi passatempi preferiti e quando avrebbe dovuto rinunciarvi allora sì che sarebbe giunta la sua ora.
Nonostante la difficoltà, si stava godendo quella camminata con gli amici coi piedi nudi sulla sabbia umida. Sapeva che Penguin non era entusiasta all'idea di fargli bagnare i piedi nell'acqua fredda dell'oceano, rischiando di fargli abbassare ulteriormente la temperatura corporea, ma anche quello era uno sfizio che Law amava concedersi, come ogni pirata, d'altronde. Inoltre, era proprio Penguin che si era offerto di reggere i suoi stivaletti neri.

“Fratellone!”

I corsari si erano tutti voltati in direzione della vocina acuta che ormai sapevano perfettamente riconoscere. Law aveva atteso ad occhi chiusi che Mara si avvicinasse a loro, ma al posto di sentire la manina di lei che gli stringeva i pantaloni come ormai era consona fare, si era sentito dare una poderosa pacca sulla spalla da una mano grande, estremamente forte ma gentile.
Gli era quasi venuto da ghignare.
“Nonno?”

Sengoku aveva scosso il capo udendo un tono fin troppo giocoso lasciare le labbra del medico. Chissà quando avrebbe incominciato a chiamarlo “nonno” senza farlo sembrare la più grande presa per il culo dell'Era d'oro della pirateria.
“Non mi aspettavo di vederti gironzolare per l'isola.”

“Ed io...” Aveva incalzato Law nel momento in cui Mara l'aveva finalmente affiancato, palesandogli la propria presenza aggrappandosi ai suoi vestiti. “... non avevo capito che ti stavi dando alla carriera del babysitter. Prima me, ora la mocciosa...” Aveva volutamente lasciato la frase in sospeso e aveva udito i suoi fratelli trattenere le risate. Doveva sicuramente essere uno spettacolo esilarante quello del Chirurgo della Morte che prendeva affettuosamente in giro il suo nonnino ex Grandammiraglio della Marina Militare.
Sengoku, invece, aveva sospirato, benché non se la fosse davvero presa.

“Sono felice di vederti!”

L'allegro tono di Mara aveva richiamato l'attenzione dei due uomini e aveva impedito al soldato di difendersi dalla velata frecciatina del nipote impertinente.

“Di solito i marmocchi mi stanno alla larga...” Law aveva ripreso a camminare e alla biondina si erano illuminati gli occhi alle sue parole. In quei pochi giorni di frequentazione aveva imparato a conoscere il chirurgo e sapeva che quanto le aveva detto era un implicito invito a parlare un po' con lui.

“Stai un po' meglio?”

L'innocente domanda non aveva nemmeno colto alla sprovvista il comandante dei Pirati del Cuore. Ormai anche lui, sebbene il tempo insieme fosse stato poco, aveva imparato a comprendere l'animo di quella bambina dal cuore gentile.
Era preoccupata per lui ed era troppo piccola per capire che certe domande, per quanto apprensive, talvolta potevano essere indiscrete.
A Law, però, non importava e le avrebbe risposto con sincerità.

“Rispetto stamattina sto molto meglio. In generale, non me la passo benissimo...”

Aveva udito Mara mormorare delle scuse, mentre Sengoku chiedeva sottovoce ai suoi fratelli cosa fosse successo. Era interessante come nel giro di poco tempo il suo rapporto con il marine fosse tanto cambiato. Prima di quella disavventura su quell'arcipelago, Law non avrebbe mai permesso che il vecchio o qualcun altro di affiliato al Governo venisse a conoscenza dei suoi problemi di salute. Perfino la sua confidenza con la piccoletta petulante lo intrigava e distrattamente si chiedeva se, nel pieno delle sue energie, sarebbe stato altrettanto gentile e chiacchierone con lei.
Beh, la marmocchia era in gamba, quindi forse l'avrebbe egualmente tollerata.

“Non devi dispiacerti.” Law aveva placidamente ripreso la bambina, che aveva stretto la presa sulla sua giacca e continuava il proprio sconclusionato discorso su quanto fosse triste che lui fosse malato. Il ragazzo non poteva vederla, ma lei aveva addirittura chinato il paffuto visino.

“Invece sì che mi dispiace! Tu sei stato tanto buono con noi e non è giusto che ora tu stia male.”

La risolutezza con cui aveva pronunciato quelle parole aveva attirato l'attenzione del resto dei presenti.
Law aveva ghignato, mentre Bepo lo aiutava a fare i gradini che portavano a un lungo molo di legno.
“Tanto buono chi? Io? Mocciosetta, guarda che ho una pessima reputazione da difendere. Vedi di non raccontarlo in giro!”

Gli altri avevano ridacchiato, tuttavia Mara aveva mantenuto la propria espressione seria e aveva serrato la presa con cui si aggrappava a Law fino al punto di far divenire bianche le piccole nocche del suo pugnetto.
Il medico aveva percepito quella stretta farsi più forte e le risa dei compagni scemare.
Aveva abbandonato a propria volta il sorriso ironico con cui aveva parlato fino a quel momento.
“Ci sediamo?”

Lei aveva annuito, dimentica che il pirata non potesse vederla. Si era poi diretta verso il bordo del molo tirando la giacca bruna di Law e quindi costringendo il ragazzo a seguirla.

Trafalgar Law era rimasto in silenzio, aspettando che fosse la biondina a parlare e intrattenendosi in quei pochi secondi di attesa grattando Bepo dietro l'orecchio. Il visone aveva emesso un leggero grugnito di piacere.

“La tua ripetizione è falsa... no, reputazione. La tua reputazione è falsa.”
Così aveva esordito Mara.
Senza tentennamenti, tralasciando quel capitombolo con “ripetizione”, subito corretto, e senza girarci intorno. Law sarebbe stato fiero di lei per essere stata tanto diretta e per essersi finalmente accorta dell'errore di pronuncia per la prima volta da quando la conosceva se solo il significato di quella frase non lo avesse lasciato interdetto.

“Cosa intendi dire?”

“Io lo so che sei buono. Ne ho avuto le prove e non importa cosa dicono in giro sul Chirurgo della Morte. Sei gentile.”

Law aveva ascoltato con attenzione la piccola in via di guarigione. Tutto un tratto le sembrava così matura rispetto a prima sia per ciò che diceva sia per la fermezza della voce con cui esprimeva i propri saldi pensieri. Se non ricordava male, quando l'aveva incontrata, la biondina aveva detto qualcosa che era in netto contrasto con le sue attuali affermazioni.
Il medico aveva sorriso, mentre la tiepida luce del sole che tramontava gli riscaldava leggermente il viso pallido.
“Non eri tu a sostenere che i soldati sono i buoni e i pirati i cattivi? Io sono un pirata, e pure un capitano. Sono il peggio del peggio.”

Mara era leggermente arrossita al ricordo delle sue parole di ormai diverse mattine fa. Aveva affermato che il banchiere del Governo non poteva essere un militare, perché lui era cattivo, ma i marines erano buoni. Di conseguenza, i predoni dei mari erano malvagi.
Aveva gonfiato le guance, come sempre faceva quando era a disagio o era contrariata.

Poi la sua voce aveva raggiunto le orecchie di Law con un'intonazione insolitamente dolce.
“Papà diceva che “giustizia” e “legge” non coincidono sempre…”

Sengoku e gli altri due pirati Heart, poggiati al muro di pietra sporco di sabbia e salsedine che costeggiava il molo, si erano voltati a fissare con curiosità la piccola interlocutrice del loro Doc.

“Prima non capivo… adesso sì. E non è solo perché ho scoperto che papà stesso era un pirata... no. Quella è solo stata la conferma. Devo ringraziare te se ora posso avere a cuore il suo più grande insegnamento.”

Law era rimasto in silenzio, tanto colpito dalle parole della bambina che aveva lentamente aperto gli occhi, come sperando di poterla fissare incredulo e, sotto sotto, onorato.
Davvero qualcuno gli stava attribuendo un tale merito?
Davvero era grazie a lui se una bimba del genere, che un giorno sarebbe diventata una donna rispettabilissima, aveva compreso la più importante e profonda lezione del suo genitore ormai defunto?

Non era abituato a fare la parte “dell'eroe”, di colui al quale, alla fine di una peripezia, le persone facevano i propri ringraziamenti.
Non sapeva nemmeno come reagire.

Aveva riabbassato le palpebre, anche se ancora sorpreso.

“Sei molto meno scema di quel che credevo!” Quella era letteralmente la frase più stupida e inappropriata che fosse mai uscita dalle labbra di Trafalgar D Water Law, l'uomo con il vertiginoso QI mai eguagliato da altri nella storia dell'umanità.
Eppure, per quanto idiota fosse stata la frase e fosse stato lui stesso nel dirla, Mara stava ridendo di gusto.

“Hai visto? Sono riuscita a sorprenderti!”

Bepo era stato il primo ad unirsi alle risate della bambina, ma presto anche gli altri si erano abbandonati a quel momento.
Probabilmente era colpa del Piombo Ambrato se il medico non era riuscito a dire qualcosa di adeguato in risposta a quella tenera confessione, ma vista la reazione di tutti, poco importava.

Law aveva stiracchiato le gambe lasciate a penzoloni dal pontile, con la punta dei piedi nudi che sfiorava l'irregolare superficie dell'acqua e talvolta veniva colpita dagli schizzi, beandosi dell'aria serale che cominciava a soffiare dal mare.
Avrebbe volentieri prolungato quel piacevole attimo di tranquilla serenità, tutt'al più che dal momento in cui si era ritrovato senza parole si era sentito davvero spossato, e ringraziava mentalmente Bepo che gli fungeva da schienale, ma la piccola Mara aveva una curiosità inestinguibile.

“Fratellone, me la sai dire un'altra cosa?”

“Dipende da cosa mi vuoi chiedere.”

“Tu sai perché è morto il nostro medico?”

Law si era dovuto impegnare per elaborare la domanda e fare mente locale tra tutti i propri pensieri. Non si era aspettato quel cambio di argomento. Ad ogni modo era sicuro di conoscere la risposta, solo che, per qualche motivo, faticava a rammentarla.

Inconsapevolmente la bambina gli aveva dato ulteriore tempo per riflettere.
“Ho sentito la mia mamma parlare con altri adulti e hanno detto che il dottore era troppo giovane per morire, perché tu hai spiegato che... mh...” Si era grattata la testa, assumendo un'aria pensierosa.

“Che i giovani in salute hanno tante difese immunitarie, per cui sono stati gli ultimi ad essere minacciati dalla vostra epidemia. Le prime e uniche vittime erano i neonati e gli anziani.” Bepo era intervenuto in soccorso di Mara e lei aveva annuito con vigore.

“Giusto! Quindi in teoria il dottore non doveva morire. Io non me n'ero accorta di questa cosa strana, però sentendo la mamma mi sono resa conto pure io che c'è qualcosa di sbagliato!”

Il chirurgo aveva assunto un'aria incerta. Sapeva che la morte del suo collega aveva insospettito pure lui ed era certo di aver indagato al riguardo, eppure non riusciva a ricordare niente. Inoltre, più si sforzava, più percepiva delle fitte alla testa.
“Ecco... credo che... credo... Shachi!”

Già il tentennamento di Law aveva attirato gli sguardi dei suoi nakama, ma era stato con quell'esplicito richiamo che il rosso si era raddrizzato e scostato dal muro, la schiena coperta dalla divisa impolverata dalla sabbia.
“Sì, capitano?”

“Per caso vi ho parlato della morte del medico dell'isola?”

Shachi si era voltato a guardare perplesso Penguin, prima di girarsi nuovamente a fissare le spalle del proprio fratellino.
“Sì, Law... ci hai spiegato tu cosa è successo. Si è trattato dell'ennesimo omicidio dei soldati corrotti.”

Sengoku era sussultato a quella notizia, ma non aveva interrotto il racconto.

“Completamente ignari di quanto fosse potente e complicata l'epidemia, hanno deciso di togliere di mezzo il dottore onde evitare che trovasse una cura. D'altronde lo scopo del Governo era quello di appropriarsi dei possedimenti degli isolani che sarebbero deceduti a causa della malattia e dovevano fare in modo che ci fossero più vittime possibili.” Aveva ricercato lo sguardo di Mara, che lo osservava con attenzione. “Per loro sfortuna, sono stati a loro volta contagiati nel momento in cui hanno rilasciato la malattia sull'arcipelago. A quel punto, contattata la base, hanno richiesto il nostro intervento.”

La biondina aveva fatto un cenno col capo, per far intendere che aveva compreso la breve seppur esauriente spiegazione del pirata. Quest'ultimo era tornato a concentrarsi su Law.

“Cap', non ricordavi di aver scoperto anche questo intrico?”

Il medico era rimasto in silenzio e immobile, rimanendo voltato verso il tramonto ormai inghiottito dalla scura massa del mare.

“Capitano?” Penguin aveva affiancato Shachi ed era già pronto a scattare verso il loro comandante, quando finalmente Law aveva reagito. Aveva poggiato una mano in testa a Bepo e pareva starvi imprimendo la forza necessaria per alzarsi.
La gamba che aveva piegato sotto di sé per rimettersi in piedi aveva cercato di fare forza, ma aveva ceduto e gli era ricaduta oltre il bordo del molo, facendolo cascare in avanti.

“Fratellone!” Mara era stata in procinto di sostenere il busto di Law, ma era stata anticipata da Bepo.

“No, non me lo ricordavo.” Come se il suo momento di debolezza potesse essere passato inosservato, Law aveva risposto alla domanda di Shachi senza neanche badare al tremore nei suoi arti, e ignorando l'apprensione dei presenti. “Così come tante altre novità di questi giorni...” La sua voce si era resa appena udibile, il suo viso perfetto era rovinato da un'espressione indecifrabile, ma che forse poteva essere definita come affranta. “...era un'informazione che sapevo di avere, ma che non riuscivo a recuperare.”

Il visone aveva aiutato il proprio migliore amico a rimettersi seduto.
“Mi dispiace, capitano. Va tutto bene?”

Law aveva sorriso debolmente, senza neanche sapere il perché. La voce del suo navigatore gli era giunta in modo così ovattato. Sentiva una strana sensazione di vuoto attorno a sé. Gli pareva come di essere sott'acqua, dove i rumori esterni erano attutiti, mentre altri li percepiva molto più forti.

Il battito del suo cuore era così intenso.
Gli piaceva udirlo.

Si dispiaceva solo che, ogni tanto, un battito gli pareva mancargli.

Law si era alzato con un vigore che non sapeva di avere, lasciando interdetti i presenti e voltandosi verso dove supponeva ci fossero i propri fratelli.
“Sono stanco, andiamo a casa?”

Shachi e Penguin avevano annuito automaticamente, senza badare al fatto che quel gesto non potesse essere colto da Law, in quanto non vedente, e troppo estraniati dal comportamento bizzarro del loro fratellino.

Penguin stava per chiedergli se stesse bene, quando Mara aveva urlato terrorizzata.

Troppo sangue colava indisturbato da naso e bocca del capitano degli Hearts, poco prima che questi collassasse cadendo all'indietro.

Se Bepo non l'avesse preso sarebbe caduto in mare.
 
***

     Si era sentito mancare un altro battito.
Sembrava come se gli fosse stato strappato da una forza invisibile, che lo aveva lasciato parzialmente collegato ad esso e di fatti lo percepiva palpitare ancora, sebbene fosse lontano dal suo cuore.
In un altro organo... poi in un altro corpo.
Presto ogni sua contrazione cardiaca rimbombava all’interno di qualcosa che non era la sua gabbia toracica. Qualcosa che non lo riguardava, che non riconosceva o tanto meno gli apparteneva, e paradossalmente gli era collegato, gli era affine.

Era così strano, troppo disagevole.

Era vagamente doloroso.

Sicuramente lo faceva star male.

Law aveva boccheggiato spaesato quando aveva ripreso un poco di conoscenza in più. Aveva così richiamato l'attenzione di tutti i suoi compagni riuniti nella sua stanza.

“Capitano!”

Il medico aveva riconosciuto le voci, aveva riconosciuto le coperte che lo avvolgevano, ma ancora non riusciva a capire dove stesse realmente palpitando il suo cuore.

Perché provava quell'assurda e gravosa sensazione?

Aveva provato a parlare, ma invano. Non era stato in grado articolare una sola parola. La lingua gli sembrava gonfia, la gola secca.

Aveva incominciato ad ansimare.

“Capitano, ecco, bevi un po'.” Clione aveva parlato quasi come se avesse avuto paura di disturbarlo e si era avvicinato timidamente. Gli aveva gentilmente sollevato il capo e gli aveva portato un bicchiere alle labbra. Il pirata Heart aveva represso un brivido.
Law era troppo freddo.
Troppo.

Aveva inghiottito a fatica, tremando leggermente. Era uno sforzo perfino mandar giù della semplicissima acqua.

Gli erano sfuggiti dei deboli colpi di tosse e aveva fatto una smorfia, ma stavolta non aveva rinunciato a parlare.
Doveva almeno tentarci.

Non poteva rinunciarvi a quel punto.

“S-siete...” Non era doloroso come si era aspettato, ma era difficile. Inspiegabilmente difficoltoso. “... siete tutti qui?”

La sua voce non era mai stata tanto lieve e ruvida al contempo. Era appena udibile e qualcuno tra i pirati aveva trattenuto il fiato, temendo di sovrastare le parole di Law con un'espirazione eccessivamente forte.

White aveva appena dischiuso le labbra per rispondergli, ma la grossa zampa di Bepo, scossa da fremiti e singulti, lo aveva toccato sulla spalla e il più saggio degli Hearts non aveva osato emettere alcun suono.
A cosa serviva dirgli che Ikkaku era in laboratorio, mentre Penguin e il loro cuoco erano corsi al mercato dell'isola per cercare alcune erbe che avrebbero potuto dare sollievo a Law?
Perché dare quella delusione al loro adorato capitano?

Per una volta, per la prima volta dacché portavano con fierezza il loro jolly roger sul petto, credevano fosse giusto mentirgli.

“Ci siamo tutti.”

White aveva osservato Shachi che aveva risposto a nome di tutti e col sostegno di ognuno di loro. Lo invidiava per essere riuscito a mantenere la voce ferma.

Come faceva a non crollare davanti ai valori dell'elettrocardiogramma?
E quanto cazzo ci stava impiegando Ikkaku?

“Bene...” Il mormorio di Law aveva richiamato l'attenzione del meccanico di bordo. Il comandante respirava lentamente e pesantemente.
“V-vorrei...”

Un altro battito disperso chissà dove.

“V-vorrei parlarvi… uno per uno...”

La sensazione di vuoto sempre più opprimente.
Ora la percepiva anche dentro di sé.

“... ma non farei in tempo.”

Un'altra contrazione cardiaca del tutto sbagliata.
Un'altra agonia invano mascherata dal viso di Law veniva presentata a tutti.

Shachi aveva preso a tremare. Aveva fatto un paio di passi indietro, come se destabilizzato, ma poi era avanzato verso il baldacchino del fratello, cadendo in ginocchio al suo capezzale.

“Non dirlo... non dirlo nemmeno, capito?” Il suo labbro inferiore era così tremolante e nonostante gli occhiali da sole, tutti avevano scorto le lacrime che gli inumidivano le ciglia. “Ikkaku è di là in laboratorio. Ci siamo quasi!” Si era appena contraddetto con quanto aveva affermato poco prima, rivelando che non erano davvero tutti lì, ma la sua menzogna non contava al momento. Aveva afferrato la mano ghiacciata di Law, ormai talmente bianca che i tatuaggi erano quasi irriconoscibili.
“Devi resistere i sette dannati giorni che ci avevi promesso!”

Il pianto che a malapena tratteneva era stato preannunciato dal suo tono rotto, disperato.

Sul viso stanchissimo di Law si era formato il più fragile sorriso, mentre col pollice mimava delle deboli carezze sul dorso della mano dell'amico.
“Mi dispiace...”

Quelle due parole erano state troppo dolorose per l'equipaggio.
Uni aveva preso a singhiozzare e Clione lo avrebbe rimproverato se attraverso le lacrime avesse saputo riconoscere la sua alta figura.

Law odiava quella situazione.
Detestava essere il motivo di abbattimento dei suoi compagni. Aveva tenuto duro a lungo, aveva cercato di essere un sostegno, per quel che poteva, e si era ripromesso di recitare il proprio ruolo allegro fino alla fine.
Amaramente, aveva concluso, aveva mantenuto la propria promessa.

Erano giunti alla fine.

“Non piangete...” Aveva dovuto prendere un profondo e tremante respiro.

“E mi dici come faccio a non piangere?!” Ormai Shachi era esploso insieme al suo pianto. Stringeva con entrambe le mani quella del fratello e lo malediceva per non star mantenendo la parola data. Erano alla fine del quarto giorno, non del settimo!

Law avrebbe ridacchiato se un nodo in gola non glielo avesse impedito.
“Siete pirati... uomini forti, non dovreste piangere.”

“Tu ci hai resi forti!”

La mente straziata di Law non aveva saputo identificare la voce di chi aveva urlato
“Io vi ho solo reclutato... nemmeno vi ho promesso il One Piece. Quello è stato un sogno che è sopraggiunto in seguito.” Un sorriso sincero e un poco più ampio gli aveva abbellito i lineamenti. “Eravamo tutti disagiati ed emarginati.” I lontani ricordi di come aveva conosciuto ognuno dei suoi amici erano ancora nitidi, nonostante la malattia.

“E con te abbiamo avuto una vita magnifica! Il grande tesoro sarebbe stato solo un di più... qualcosa che noi volevamo per te, perché te lo meritavi! E...” Bepo aveva singhiozzato. “... e abbiamo ancora tanti anni davanti! Quindi mi dispiace, ma non puoi fare così.”

Il cuore del medico aveva rallentato il proprio ritmo e Law aveva sospirato colto da fremiti.
“Ho solo pensato che e-eravamo simili. Schiavi di qualcosa... o qualcuno.”

La sua voce sempre più lieve.

“Credevo che insieme ci saremmo riscattati... e che s-saremmo potuti diventare la famiglia di cui tutti noi avevamo bisogno.”

“E abbiamo fatto tutto!” Shachi non era più in grado di controllarsi. Le sue lacrime bagnavano le diverse coperte del letto e i suoi occhiali da sole erano caduti a terra a causa dei suoi forti singhiozzi. “Ci siamo fatti un nome, una fama... siamo tornati a essere liberi! Abbiamo iniziato a inseguire il sogno di tutti i pirati per te.”

Law si era sforzato di udire le parole del compagno, tentando di ovviare quella sensazione di vuoto che lo attanagliava.
Poi, per qualche motivo, aveva distintamente sentito l'ultimo grido del fratello.

“E siamo diventati una famiglia!”

Stavolta il sorriso che gli aveva piegato le labbra era grande, vero.
Felice.

“Sono così contento che lo pensiate davvero...” Anche il suo labbro inferiore aveva preso a tremare, ma il sorriso non lo aveva abbandonato, non si era ridotto. Era sempre ampio e in qualche modo le lacrime che minacciavano di cadergli dagli occhi chiusi lo rendevano ancora più bello.

“Voi... siete il mio One Piece.”
 
***

     Mentre Ikkaku correva per i corridoi del Polar Tang, diretta verso la cabina del suo capitano, Penguin si muoveva veloce e frenetico tra una bancarella e l'altra del mercato dell'isola.
Aveva una strana sensazione, una chiusura allo stomaco che lo faceva star male anche solo deglutendo e udiva una sorta di tonfo nelle orecchie, un rumore ritmico e continuo che pareva generarsi lì in mezzo alla piazza, ma che allo stesso tempo proveniva da un luogo molto più distante.
Voleva sbrigarsi a recuperare quelle erbe medicinali e tornare da Law.
Soltanto quello.

Camminava a testa china, ormai sopraffatto da quello strambo malessere, quando si era scontrato con la schiena del suo compagno.

Il cuoco era immobile, completamente sbiancato. Fissava innanzi a sé qualcosa e le punte delle sue dita tremanti erano l'unico segno che fosse ancora vivo.

Penguin aveva a fatica alzato lo sguardo, portandolo sulla bancarella della frutta che avevano di fronte.

Il cuore di Penguin si era fermato.

Gemiti rotti, spezzati, incontrollati lo avevano sopraffatto mentre quei battiti che gli rimbombavano in testa si facevano più forti e assordanti, devastandolo.
Era caduto in ginocchio piangendo disperatamente, scavando con le unghie nella terra, spezzandole, facendole sanguinare.

I mercanti non avevano potuto che avvicinarsi angosciati ai loro salvatori in preda al panico e alla più crudele disperazione.

L’ultima cosa che Penguin aveva visto prima di lasciare che quell'atroce agonia soffocasse la sua coscienza era la pulsazione finale, che coglieva il frutto sulla bancarella, tramutandolo crudelmente davanti ai suoi occhi colmi di strazio.

L’Ope Ope No Mi era rinato.

 
FINE CAPITOLO
 


Solitamente nelle note sono scherzosa, ma stavolta non me la sento.

Questo capitolo è stato importantissimo per me.
Ho pianto nello scriverlo ed essere riuscita a emozionare me stessa ha significato molto. Ciò che più mi preme, però, è che sia riuscita a commuovere anche voi. Come ben sapete far entrare i lettori in empatia coi personaggi della mia fiction è sempre stato l'obiettivo della mia storia, sin dal primo capitolo.

Ho cercato di descrivere al meglio i sentimenti dei protagonisti, sperando di trasmetterli direttamente a voi lettori.

Vi prego con tutto il cuore di farmi sapere se ci sono riuscita. Questo è davvero il capitolo su cui puntavo tutto per raggiungere il mio scopo.

Fatemi sapere cosa ne pensate ♥
Anche solo due righe, sono sempre ben accette! Vecchi lettori, nuovi lettori... non fatevi problemi! Leggo e rispondo sempre con piacere e, inutile ripetermi, in questo caso ci tengo più che mai!

E mi raccomando, appuntamento AL PROSSIMO CAPITOLO!

La storia non è finita ♥ e i Pirati del Cuore hanno bisogno del vostro supporto, ora più che mai!

Non abbandonateli *-*

Passando a toni più leggeri, avete notato la nuova grafica che caratterizza tutti i capitoli? Se EFP me lo avesse concesso, avrei usato un font molto più carino per le lettere maiuscole di inizio paragrafo, ma anche così non è male, no?

A presto miei cari, ci conto!

Baci

Pawa


P.S Se volete seguire i miei disegni, talvolta relativi alle mie fanfiction, ecco il mio Instagram: https://www.instagram.com/pawa_art/?hl=it
Potete seguirmi e mandarmi liberamente messaggi anche lì, sono sempre disponibile a rispondere!

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


°° Il Mostro Bianco °°

 

 

- Capitolo XIII -



      Silenzio.

Era tutto ciò che aveva caratterizzato il Polar Tang per lunghi, infiniti momenti.

Prima c'erano stati pianti devastati.
Urla, che nemmeno in battaglia erano mai state così dolorosamente levate dai Pirati del Cuore.

Ma ancora potevano definirsi tali? Gli Hearts... una ciurma.
Dei pirati.
Si erano assordati e asfissiati coi loro stessi singhiozzi, coi loro ansimi spezzati. Si erano accecati di lacrime, che copiose e prepotenti avevano completamente invaso i loro occhi disperati e increduli.
Si erano ridotti a cumuli di emozioni strazianti. Indecenti, deboli e spaventati come fanciulli.
In quelle pietose condizioni, avevano potuto considerarsi ancora predoni del mare, privati della loro amata guida, di colui che li aveva resi gli uomini che erano oggi?

No.

Quando il sorriso dolce sul volto di Trafalgar Law si era ammorbidito e tale era rimasto, immutato e immutabile, non più increspato dai deboli respiri, e il leggero e dolente battito cardiaco del capitano aveva cessato di risuonare nella cupa cabina tramite l'elettrocardiogramma, i Pirati Heart si erano sentiti nuovamente orfani, emarginati, schiavi.
Senza identità.
Senza i loro cuori.

Il mondo si era crudelmente fermato.
Ogni rumore si era spento.

E così era rimasto per troppo tempo.

Troppo.

Tanto, che quando il suono secco di un paio di tacchi battenti sul legno che ricopriva il metallo dei corridoi aveva spezzato quell'atroce atmosfera di sordità, Shachi era tornato in sé, sperando, solo per poi disperarsi, forse ancora di più.

Era troppo tardi?
 
***

     Bepo si era buttato per terra, la schiena contro la libreria del suo capitano. Dopo quell'inferno di giornata, pure lui, che tanto amava stare sdraiato sul pavimento per ricercarne la freschezza, desiderava abbandonarsi su una sedia, ma la poltrona dal velluto consumato che gli proiettava ombre sul muso e gli stava accanto era appesantita dalla figura straziata e scomposta di Penguin.

Dio, quel suo povero fratello.

Era stato riportato a casa da alcuni isolani e nessuno degli Hearts era andato a soccorrerlo. Non ne avevano avuto il tempo e se anche l'avessero trovato, il disperato compagno non sarebbe stato il loro primo pensiero.
Avevano avuto decisamente altro da fare.
Il loro chef, anche lui debole e vacillante, aveva trascinato il corpo semi cosciente di Penguin nella cabina del loro comandante e solo una volta che vi erano giunti, i due, paradossalmente, si erano riscossi.
Il crudele scherzo dell'Ope Ope li aveva devastati.
Il corpo inanime di Trafalgar Law li aveva rotti.

Eppure si erano mossi.
Le lacrime avevano smesso di scorrere già minuti prima. Le labbra si erano serrate e avevano cessato di tremare. I loro respiri si erano placati di colpo, in maniera spiazzante.
I due Hearts non erano crollati nuovamente sulle ginocchia già martoriate, bensì le gambe avevano finito di oscillare, e con uno spettro oltre le pupille avevano fatto un passo nella stanza.
Sì, quell'atroce vista aveva distrutto Penguin e il cuoco di bordo, ma sino al punto di non ritorno per cui avevano automaticamente resettato tutto, e si erano uniti al resto della ciurma come automi.

Bepo non era sicuro che quella fosse una reazione plausibile.
Probabilmente avrebbe dovuto preoccuparsi per il maggiore dei suoi fratelli, che in quel momento fissava il vuoto con le labbra dischiuse, forse svenuto ad occhi aperti per la fiacchezza, tuttavia neppure il visone aveva le forze per crucciarsi un'altra volta durante quell'infausto dì.

Almeno non in quel momento.

Malgrado la loro prodezza di marinai e tutti gli avversari che avevano vittoriosamente affrontato, lottare contro un nemico tanto astratto quanto inalterabile era stato pressoché impossibile anche per loro, e n'erano usciti tanto spossati che ormai quasi l'intero equipaggio era accasciato sul pavimento ligneo della cabina, nelle pose più scomposte, e nessuno si curava del torcicollo che avrebbe lamentato al risveglio.
Nonostante ciò, il pirata di Zou non poteva biasimare gli amici.

Di guerre come quella non ne avevano mai combattute.
Di nemici così insidiosi e intoccabili nemmeno ne avevano sentito parlare. Kaido, in confronto, sarebbe stato un avversario fattibile.
Anche se immortale, perlomeno così si diceva, almeno lui avrebbero potuto avvicinarlo, colpirlo, spostarlo, o pure solo arrestare la sua corsa.
Lui era concreto, dopotutto.

L'avversario di quel terribile giorno, invece, era letteralmente inalterabile, intangibile.
Non lo avevano battuto, e mai avrebbero potuto farlo.
Dubitavano che esistesse una creatura in grado anche solo di manipolarlo.
Tuttavia, anche se non si erano congedati da quell'arduo combattimento come vincitori, in un certo senso potevano vantare con soddisfazione di aver raggiunto un pareggio.

Perché nessuno poteva dilatare, rallentare o tornare indietro nel tempo, e la morte di Trafalgar D Water Law era stata inevitabile nonché la più tremenda e atroce sconfitta che i Pirati Hearts avessero mai sofferto, ma, assurdamente, a quel punto era iniziato il secondo round.

Una lotta contro il tempo spietato, che dapprima era partito con anticipo e senza alcun avviso e aveva già portato via la vita del loro capitano.

Adesso, che il via a quella gara era stato udito da ambo gli schieramenti, i Pirati del Cuore non gli avrebbero permesso di strappar loro anche l'ultima cosa che Law aveva lasciato.

Dovevano solo fare in fretta.

Bisognava solo essere svelti, e lo sarebbero stati, perché l'eredità del loro comandante non sarebbe stata dilaniata dal passare dei minuti.

L'ennesimo miracolo medico sarebbe stato più veloce.

Così si erano detti, quando una voce ansimante li aveva riesumati dal marmo che li aveva circondati dacché il petto del loro comandante si era fermato.

***

     Cosa state facendo?!”

Ikkaku ansimava, appoggiata alla porta che aveva spalancato con fin troppa foga, facendola sbattere e causando un rumore che non doveva essere prodotto nella stanza di un povero malato terminale. Si era levata quei riccioli ribelli e scompigliati che l'erano finiti in bocca durante la corsa, e aveva serrato le labbra.

Sapeva cos'era successo.

Nessuno l'aveva degnata di risposta, ma i loro volti sfregiati dalle più deprimenti emozioni valevano come spiegazione.
Benché consapevole di cosa portava con sé, del motivo per cui si era tanto affannata per tutto il sottomarino, non era riuscita a trattenere ciò che le inumidiva le lunghe ciglia truccate. Tuttavia non si era abbandonata al tormento dei compagni. Non finché fra le mani tremanti avrebbe stretto quel preziosissimo taccuino.
Perciò aveva richiamato i compagni, riportandoli alla realtà.

Per quanto difficile, o forse impossibile, dovevano fermare i singulti, cessare i tremiti e rimettere a fuoco ciò che li circondava, e non solo con gli occhi.

Avevano creduto di fare in tempo, di salvare Law prima che lui perdesse quell'atroce guerra con la malattia.
Invece il Piombo Ambrato li aveva giocati, in anticipo sui piani e le speranze di tutti. Ciononostante non era ancora finita, non importava cosa diceva l'elettrocardiogramma, non importava cosa suggerivano medicina e natura davanti ad un corpo inerme in cui non scorreva più linfa vitale.

Quello era un amaro e crudele imprevisto, e i Pirati del Cuore si sarebbero convinti di vederlo unicamente come tale.
Un imprevisto.

E che corsari e infermieri sarebbero stati se non avessero saputo far fronte ad un dannato contrattempo?

Loro erano soltanto gli assistenti del più geniale medico del mondo, ma questo non li avrebbe fermati. Anzi, proprio perché il loro mentore era nientemeno che il dottor Trafalgar junior, un cuore fermo non li avrebbe fatti arrendere. Law aveva trovato il modo di ripristinare l'organo cardiaco già anni prima. Quasi nessuno di loro aveva mai eseguito un'operazione del genere, ma usare l'elettricità non sembrava così difficile. Sicuramente era colpa - o un dono - del loro capitano, che faceva sembrare la medicina tutta divertente e non complicata, ma potevano farcela, anche se quella volta non avrebbero avuto direttive e suggerimenti dal loro Doc, che in caso di necessità interveniva tempestivamente e con successo.
Inoltre, per quanto cruciale, non era il cuore ciò che li preoccupava di più.

L'unica donna di bordo aveva serrato la presa sul taccuino, graffiandolo e rovinandone la copertina in cuoio.

Prima di far tornare il polso del loro medico, dovevano anzitutto curare il suo corpo.
Altrimenti quel cuore che tanto sapeva amare nonostante i traumi subiti e l'apparente stoicismo del suo proprietario, si sarebbe nuovamente fermato.

E non c'era altro tempo da perdere.
Col suo petto diafano immobile, l'ossigeno non alimentava quel suo diabolico cervello e ogni minuto che passava rischiavano di perdere anche quell'ultima misera, ritardataria e quasi irrealistica speranza alla quale si aggrappavano.

Shachi si era alzato all'improvviso dalla sua scomposta posa ai piedi del letto, vacillante e con fin troppe vertigini, forse dovute allo scatto forse a quella maledetta situazione, tuttavia non era ricaduto, e voltandosi verso Ikkaku era quasi riuscito a mantenere la voce ferma.
“Come dobbiamo procedere?”

Lei si era frettolosamente asciugata le lacrime, ricambiando lo sguardo del rosso con determinazione, in un tacito scambio di energie. Ne avevano bisogno.

“La dinamica la conoscete, l'abbiamo studiata a lungo in questi giorni...” Aveva ricercato l'attenzione del resto dei compagni, e si era concessa un debole sorriso, non rimanendo delusa. “Qua,” Aveva alzato e mostrato il taccuino. “c'è il nostro pezzo mancante, come avevo supposto.”

“Allora iniziamo a preparare l'occorrente per l'operazione!” Il tono di Bepo, squillante per il pianto, aveva ricevuto conferme da ognuno dei presenti, che subito si erano prodigati a eseguire l'ordine, anche se a scatti e rigidamente.

“Vi spiego i particolari in corso d'opera,” Aveva proseguito Ikkaku, osando poggiare quell'oggetto dal valore inestimabile sul comodino di Law. Era la prima volta che se ne separava in oltre ventiquattro ore. “il più del lavoro l'abbiamo già fatto, e ora abbiamo l'ultimo dato per la nostra equazione.”

“Bene,” Shachi si era igienizzato fin troppo velocemente, e la sua mascherina con una bocca cucita e sanguinante gli copriva già il volto. Tuttavia, in quel momento, potevano solo chiudere un occhio sulla scrupolosità e confidare nella perfetta pulizia della cabina di Law, della quale si erano accertati ogni dì da quando le loro ricerche in laboratorio erano iniziate. “si comincia.”

Aveva proteso una mano, col palmo verso l'alto. Era vagamente tremante, ma come un bisturi gli era stato affidato, senza che il rosso lo avesse richiesto, ormai tutti troppo pratici dalle simulazioni fatte in infermeria, la mente di Shachi era tornata a Swallow Island, e la sua mano si era placata.

Afferra come si deve quel povero bisturi! Mica ti attacca. Al contrario, sei tu a destreggiarlo. Dalla sicurezza della tua presa dipende una vita, capito?”

Oh sì, se le ricordava distintamente quelle schiette e perentorie parole, dette con una voce incredibilmente alta rispetto a quella che il suo piccolo ma talentuoso insegnante avrebbe maturato nel corso degli anni.

Shachi si era concesso un sincero e piccolo sorriso, poi aveva inspirato profondamente. Riaprendo gli occhi, aveva serrato la presa sullo strumento chirurgico, e senza alcun tentennamento l'aveva avvicinato alla carne ormai fredda del suo capitano.
Quel piccolo stronzo di suo fratello doveva riaprire quei suoi spocchiosi occhi azzurri e rimproverargli tutti gli errori e le imprecisioni che avrebbe commesso durante l'operazione.
Doveva farlo.
Per quanto arrogante, noioso, borioso e insopportabile fosse in quei momenti, era pure incredibilmente affascinante e Shachi e il resto degli Hearts avevano bisogno, ancora una volta, di quella ramanzina.

“Inizio l'incisione dell'epidermide.” Il taglio era pulito e netto e l'aveva ripetuto finché il muscolo cardiaco, immobile, non era stato esposto. Era così doloroso vederlo fermo, toccarlo e non sentire il sangue fluire attraverso di esso, fissarlo e ricevere l'infido promemoria di quello che significava. Era frustrante, ma non era il momento per abbandonarsi a quell'amara contemplazione. Lo scopo, in fondo, era proprio tornare a veder battere quel cuore. “Divaricatori, svelti.”

Solitamente era Ikkaku ad occuparsi degli attrezzi chirurgici, ma sta volta il compito spettava a Uni. Lei aveva qualcosa di decisamente più cruciale da gestire, e in assenza di Penguin, che aveva lo stesso ruolo in quell'operazione, aveva il doppio della responsabilità. Sperava solo che il compagno si stesse sbrigando a tornare dal mercato.

Muoversi in mezzo a tutti i macchinari e fili che avevano preventivamente portato nella cabina del loro comandante era tutt'altro che comodo, ma le varie prove che avevano eseguito facilitavano almeno la coordinazione tra i compagni.
Clione aveva appena alzato le mani in segno di resa, tuttavia la sua reazione era incredula e altresì soddisfatta, e Ikkaku sapeva cosa significava, quindi ora era il proprio turno.

“Fammi spazio.” Il biondo si era scansato e lei si era chinata sul volto di Law, scrutando brevemente i tubicini che si insinuavano sotto la sua pelle spettrale.

Clione era appena riuscito a completare il collegamento di vasi sanguigni ed encefalo ad uno di quegli strumenti tanto complessi di cui la maggior parte della ciurma nemmeno sapeva il nome. L'unica cosa certa era il suo funzionamento: l'alimentazione artificiale del cervello. Dopo ben tre minuti dacché Law era morto, stava per andare in contro a lesioni cerebrali.
Sebbene la priorità fosse stata proprio quella di evitare danni al cervello, e ci erano riusciti, il secondo obbiettivo dell'uso di quel macchinario era strettamente correlato alla loro strategia per salvare il loro amato capitano.
Il sistema avrebbe portato l'ossigeno a quell'organo incredibile e indispensabile, mentre altre parti dell'organismo sarebbero state a digiuno per un tempo calcolato, così da rallentare l'avvelenamento nelle parti del corpo che in quel momento non erano l'urgenza.
Era rischioso, un azzardo e certamente una soluzione disperata quanto drammatica, tuttavia era l'unico modo per controllare la diffusione del contagio.

Era stato Law stesso a dirlo, diversi giorni prima, trovando la risposta ad uno dei quesiti che White Fox e Penguin avevano esposto quella lontana mattinata dopo l'intervento allo stomaco.

Più il cuore di Law batteva, più le cellule infette, le P.A, si sbizzarrivano nel suo povero organismo. L'unica soluzione per salvarlo, paradossalmente, era fermargli il cuore.

Non era esattamente così che gli Hearts avrebbero voluto gestire l'operazione. Avevano optato per arresti cardiaci volontari e controllati, intervallati. Non avevano minimamente considerato che Law sarebbe stato sconfitto dalla malattia o che si sarebbe arreso ad essa prima che l'ultimo tassello per la sua cura fosse stato trovato.
Tuttavia così era accaduto, ma ora i Pirati del Cuore, anche se con qualche piccola improvvisazione, erano ancora in gioco e i nemici erano nuovamente le lancette dell'orologio.
I pirati e infermieri dovevano essere precisi ma veloci.
Nessuna parte del corpo del loro medico poteva stare troppo a lungo senza ossigeno, ma allo stesso tempo dovevano anzitutto curare dal Piombo Ambrato i tessuti danneggiati, eliminare le cellule infette, o tutta quella fatica sarebbe stata vana, e Law sarebbe morto una seconda volta.

“Ikkaku, puoi procedere?"

Infatti, gli organi artificialmente ossigenati erano ancora soggetti al contagio, perché le loro cellule P.A erano normalmente alimentate, mentre quelle volutamente escluse dal sistema di alimentazione subivano un avvelenamento drasticamente più lento e ridotto, che tuttavia persisteva ancora. La malattia che aveva sterminato un'intera nazione non si era fatta fermare dalla morte del suo corpo ospite. Cocciuta e testarda all'inverosimile.
Malgrado ciò era qui che Ikkaku doveva intervenire.

“Certo, i dati sono giusti. Li ho ottenuti meno di venti minuti fa dall'ultimo esperimento.”

Bepo le aveva avvicinato un carrellino di fiale e siringhe.

“Non possiamo curare le cellule già infette, ma...” Il ragionamento della riccia era più un promemoria per se stessa, che si accingeva a somministrare una serie di fluidi a livello locale dell'encefalo, più che una vera e propria spiegazione per i compagni, che attendevano impazienti di avere un quadro completo della cura a cui avevano tanto lavorato. “con l'interruzione del flusso sanguigno a seguito dell'arresto cardiaco, il Piombo Ambrato non può proliferare come vorrebbe, dunque questo estratto concentrato di corallo rosso ci aiuterà a far nascere nuove cellule sane con elevatissima rapidità, permettendoci di avere più parti sane che malate.”

“Sì, ricordo bene le peculiarità di quel corallo,” White Fox stava assistendo Shachi nell'esportazione dei tessuti cardiaci ormai diafani, ciononostante prestava anche attenzione all'unica fanciulla di bordo, e per ovvie ragioni. Quanto lei avrebbe spiegato sarebbe servito a lui e al chirurgo temporaneo per salvare il cuore di Law. “ma di che concentrazioni stiamo parlando?”

“Sono variabili... direttamente proporzionali ai tessuti infetti.” Ikkaku aveva posato una fiala vuota rilasciando un sospiro tremante. Erano solo all'inizio, non doveva lasciarsi sopraffare dall'emozione. “Abbiamo monitorato a lungo il decadimento degli organi del Captain, quindi i calcoli non sono difficili da eseguire. Il punto, come ben sai...” Aveva afferrato una siringa, facendone uscire l'aria che conteneva. “è avere, in corrispondenza di ogni “macchia bianca”, uno stadio iniziale di tante cellule infette quante sane.”

White e Shachi avevano annuito. Il discorso era coerente con quanto avevano discusso in laboratorio in precedenza. Quello di cui erano stati all'oscuro fino a quel momento era la proporzione tra corallo e Piombo Ambrato.
Quell'incisivo calcolo, adesso, poteva invece essere velocemente eseguito da alcuni compagni per ogni organo su cui avrebbero voluto operare.

“In seguito,” Aveva ripreso Ikkaku. “le cellule sane, grazie al corallo, si riprodurranno molto più velocemente di quanto quelle contagiate potranno fare, e sono da noi artificialmente alimentate. Quelle malate, invece, bianche e inermi per mancanza di nutrimento, potranno essere asportate senza rischiare che un organo rimanga privo di un tessuto importante.” La riccia aveva concluso il proprio discorso mentre sfilava anche la seconda siringa.

“Allora intervenire contemporaneamente su cervello e cuore è stata la scelta migliore.” Shachi non era stato convintissimo di agire su due organi tanto importanti e delicati allo stesso tempo.
Inizialmente il loro piano prevedeva di occuparsi velocemente ma efficacemente solo del cervello, mentre gli arresti cardiaci indotti da loro avrebbero concesso un lasso di tempo maggiore per l'operazione generale, ma l'improvvisa morte del loro capitano li aveva costretti a prendere decisioni drastiche, adottate istantaneamente e tacitamente da tutti loro.
“Le parti decedute più superficiali le abbiamo esportate. Ora per occuparci di quelle più interne dobbiamo somministrare i principi del corallo e permettere alle cellule sane di ricreare i tessuti danneggiati. A quel punto, dopo aver eliminato i reticoli bianchi, potremo far ripartire il cuore.”

“Prima di ripristinarlo, però...” La voce di Penguin aveva sorpreso l'intera ciurma. Non lo avevano sentito arrivare e nemmeno potevano osservare le condizioni pietose in cui versava, troppo impegnati nell'operazione. “dobbiamo occuparci delle altre parti infette. O la circolazione sanguigna accelererà nuovamente il contagio, e saremo da capo.”

Shachi aveva lanciato una veloce occhiata al fratello.
Era pallido da far concorrenza a Law, ma si stava già preparando e senza alcuna esitazione. Il rosso non era sicuro da quanto Pen fosse lì, ma sperava fosse passato abbastanza tempo da avergli fatto metabolizzare la perdita del loro capitano, per quanto fosse un boccone troppo amaro da mandare giù.
Almeno lui non l'aveva visto spegnersi davanti agli occhi.

Non poteva immaginare che Penguin avesse assistito in diretta alla morte di Law nel modo più ironicamente spregevole che ci fosse.

Il più anziano dei fondatori degli Hearts si era presto aggiunto al gruppo attorno al letto, evitando abilmente i cavi dei macchinari che invadevano il pavimento.

“Ikkaku, concludiamo la sanificazione dell'encefalo, poi con Clione e Uni passiamo agli occhi. Preparate l'occorrente! Bepo, organizzati per lo stomaco. Shachi, coordiniamoci.”

La sua voce aveva la più flebile afflizione, ma riusciva ad essere ferma.

Era in qualche modo rassicurante sentire qualcuno che impartiva ordini. Gli Hearts erano così abituati a udire i gentili comandi di Law che stare senza la sua bassa voce anche solo per quei dieci minuti che erano trascorsi era stato angoscioso quanto disorientante.

Ora che l'equipaggio era riunito e aveva una guida, anche se temporanea, poteva dare il meglio di sé e rendere onore alla fama del loro dottore di bordo, compiendo il miracolo medico a cui Flevance avrebbe voluto assistere anni prima.

Il ticchettio dell'orologio a pendolo martellava la testa di ognuno dei presenti, anche di quei pochi Hearts che non s'intendevano di medicina e potevano solo assistere all'intervento. Contribuivano con piccoli gesti, come asciugare il sudore ai due chirurghi, e attraverso il panno potevano sentire la tensione nel viso di Penguin e Shachi. Non li avevano mai visti operare così in fretta e su così tante parti differenti.
Soltanto Law era in grado di fare qualcosa del genere e perfino da solo.
Come se non bastasse, era orribile vedere il loro capitano aperto in due, e non con la room.
Pareva così fragile, così impotente e succube agli eventi. Certo, in quelle circostanze non poteva davvero fare qualcosa, ma la situazione era tanto angosciosa, che gli Hearts si chiedevano come potessero, i loro compagni, continuare ad operare così attentamente e senza esitazione.

Le fiale col concentrato di corallo si svuotavano l'una dopo l'altra, i piattini con i tessuti morti esportati, al contrario, si riempivano continuamente e nessuno si prendeva la briga di pesarli.
I due pirati di Swallow Island cominciavano ad accusare la fatica per il lavoro rapido e preciso che erano costretti a eseguire e la vista di Ikkaku iniziava a farle brutti scherzi, tanto che prima di infilare un ago doveva sbattere le lunghe ciglia più di un paio di volte dietro gli occhiali chirurgici.
Era quasi surreale la fiacchezza che li stava colpendo in così poco tempo, ma in fondo era proprio colpa di quest'ultimo se quella che sarebbe dovuta essere l'operazione più complicata della loro carriera si era rivelata ancora più insidiosa.

Poi il tintinnio degli strumenti chirurgici era cessato, i suoni umidi degli organi esposti di Law si erano ammutoliti e solo un leggero segnale acustico riempiva ancora la stanza, segnalando l'attività del macchinario che alimentava artificialmente e separatamente alcuni organi.

“Adesso...” Era stato un mormorio all'inizio, quasi incredulo. Shachi aveva posato il bisturi con leggera esitazione, le mani tremanti dopo l'intervento allo stesso tempo più lungo e breve che avesse mai eseguito. Sicuramente il più straziante. Aveva deglutito, cercando la propria voce dopo momenti di terribile tensione. “Adesso, ragazzi. Allontanatevi tutti.” Aveva allargato le braccia per far indietreggiare i compagni, le dita coperte dai guanti viscidi di sangue rigide. “Bepo, usa il tuo elektro.”

Il visone aveva abbassato le orecchie, ma il suo muso dimostrava risolutezza.

“Mi raccomando,” Penguin gli aveva stretto una spalla oltre la tuta arancione. “come ti ha spiegato il capitano. Controllala, manipolala e non esagerare. Serve una potenza precisa.”

Il visone aveva ringhiato in risposta, non con arroganza, ma come segno della propria determinazione.
Ce l'avrebbe fatta.
Aveva già sfruttato il talento della propria specie per salvare delle vite e adorava che per farlo dovesse posizionare le zampe esattamente come Law faceva quando eseguiva un Counter Shock.

Tra l'afa nel sottomarino, la propria folta pelliccia e l'ansia che lo assaliva, l'affanno di Bepo era più che giustificato, tuttavia aveva serrato la mascella.
Doveva solo fare come Law gli aveva insegnato.

Aveva dapprima sfiorato il cuore del suo Captain con gli artigli, attraverso i guanti sterili, poi vi aveva poggiato i pollici in punti specifici.

Una luce bluastra e repentina aveva preannunciato uno scoppiettio che aveva sferzato l'aria. Quindi le zampe del vice degli Hearts erano state circondate da migliaia di piccoli fulmini, che immediatamente si erano propagati attraverso l'organo cardiaco.

Il corpo di Law aveva sussultato leggermente e tutti avevano preso un respiro profondo, in attesa.

Il debolissimo battito che si era permesso di risuonare era stato in qualche modo udito sopra l'elettrocardiogramma, e gli Hearts erano sul punto di piangere dalla gioia.
Ma poi un suono contiguo e martellante aveva fatto sgranare gli occhi ad Ikkaku, che aveva fissato stranita e terrorizzata un monitor.
Un flebile sussurro congelato era tutto ciò che era stata capace di emettere.
“È asistolico...”

Il loro chef aveva guardato con ansia e impazienza i volti pallidi dei compagni impegnati nell'intervento.
“Che cazzo significa?!”

“In due parole...” Era stato White Fox a trovare il coraggio di rispondere, mentre in qualche modo si tratteneva dall'istinto di afferrarsi i capelli in una dolorosa stretta. “che lo stiamo perdendo.”

“No!” L'urlo di Penguin aveva spaventato i compagni. “Bepo, rifallo!”

L'orso non se l'era fatto ripetere. Una seconda scarica aveva attraversato il cuore di Law, ma mentre tutti trattenevano il fiato sperando nell'agognata contrazione cardiaca, l'ossigeno non entrava spontaneamente nei polmoni del comandante; la ventilazione era totalmente artificiale dacché l'avevano intubato, perché non c'era stato nessun battito.

“Dio santo, Bepo, fallo bene!” Shachi sapeva che non era colpa del compagno, che l'operazione appena eseguita era stata straziante per un corpo che, clinicamente parlando, era già morto, e pure che potevano esserci state delle imprecisioni. Ma in quel momento, mentre Law sussultava solo se mosso da altri, solo se sollecitato da terzi, la rabbia e la frustrazione erano impossibili da trattenere e il rosso aveva scosso il visone con irruenza, obbligandolo ad eseguire una terza scarica e un'altra ancora. Avrebbero continuato all'infinito se necessario.

“Aspetta, proviamo così!” Penguin era sgattaiolato sotto le braccia di Bepo per arrivare al più presto alla sinistra di Law, una mossa goffa da fare in sala operatoria, che il suo Doc avrebbe punito con mesi di pulizie dei bagni, ma nessuno se ne curava ora.
Aveva circondato il cuore esposto del proprio fratellino con la propria ampia mano e aveva iniziato un massaggio cardiaco disperato, mentre Shachi e Bepo l'avevano immediatamente assistito.

“Via, ci riprovo!” Terminata la serie di compressioni, i due pirati di Swallow Island si erano subito scansati e Bepo aveva emesso l'ennesima scossa elettrica.

“Asistolia.” Ikkaku teneva gli occhi fissi su uno schermo che stava per fermare pure il suo di cuore. In quel momento il suo unico contributo era comunicare ai compagni lo stato di Law, ma l'era sempre più difficile farlo e la vista annebbiata dal pianto silenzioso che le rovinava i lineamenti non le facilitava il compito.

“Andiamo, Law, andiamo!” Penguin aveva ricominciato le compressioni. Una parte di lui aveva quasi timore nel stringere il pugno direttamente attorno al cuore, temeva di danneggiarlo, tuttavia non aveva altre opzioni e occorrevano determinate pressione e frequenza per ripristinare il battito. Il pirata si era chinato maggiormente sul torace del fratello e sperava che le lacrime fossero trattenute dagli occhiali chirurgici. “Ti prego, non puoi farci questo...”

Shachi l'aveva afferrato per le spalle, tirandolo indietro per permettere a Bepo, che ormai accusava una certa fatica, di generare un altro elektro.

“Ti do il cambio.”

Penguin aveva scosso il capo, levandosi dalla presa del compagno. Non si era accorto di aver finito le trenta compressioni, ma questo non significava che non fosse in grado di proseguire. Avrebbero potuto continuare ancora a lungo, e a quel punto sarebbe servito un sostituto fresco e veloce. Non occorreva che Shachi si sfiancasse già.

“Va bene,” Il rosso l'aveva lasciato andare senza protestare, mentre il visone levava le zampe dal cuore di Law. “allora sbrigati.”

“Lo sto facendo!”

La frustrazione era palese nel tono di entrambi. Penguin ci stava mettendo quasi troppa foga con le pressioni, ma non poteva essere biasimato.
Era sull'orlo dell'esaurimento.
Terminava di pompare, quindi Bepo trasmetteva un'altra scarica, ma il tutto pareva un beffardo limbo infinito.

“Dannazione!” L'urlo disperato di Penguin aveva stretto il cuore del resto dell'equipaggio, che fremeva impotente davanti a quella pietosa e tormentosa vista.

Era una maledetta tortura.

Il loro capitano era morto, in seguito era stato operato, e ora il suo cuore si divertiva a fingersi vivo per meno di un secondo, per poi collassare nuovamente e inesorabilmente.
Anche se inerme, era in qualche modo scivolato da sotto le dita di Penguin al termine dell'ennesima serie di compressioni.

“Law...” Il pirata si era lentamente lasciato cadere per terra, con le mani piene del sangue del suo fratellino che erano troppo scosse dai tremiti per continuare col massaggio cardiaco e perfino per andare a coprirgli il volto, sfigurato dal pianto sconsolato che ormai l'aveva vinto.
“L-aw...” Aveva battuto un pugno per terra, lasciando un'impronta vermiglia a monito di tutto quello che era accaduto, a ricordargli pure ciò che stava succedendo in quell'instante: il suo fallimento.

“Cazzo, cazzo!”

Il fallimento dei Pirati del Cuore.

Avevano deluso il loro capitano.
Avevano disonorato il loro nome.

Come potevano essere gli Heart Pirates se non erano nemmeno in grado di ripristinare un cuore fermo?

“Dai, Bepo!” La voce di Shachi era rotta dai singhiozzi, ma l'uomo rimaneva fermo in piedi davanti al corpo del fratellino, pronto a riprendere da dove Penguin si era interrotto non appena il visone avrebbe scostato le zampe.

Il petto di Law si era sollevato, poi era rimasto immobile.

Il rosso gli aveva circondato il cuore con la mano. Aveva ricominciato le compressioni ignorando i gemiti soffocati dei compagni, Ikkaku che si accasciava sullo sgabello portandosi entrambe le mani a coprirsi la bocca, Bepo che teneva il muso all'insù per non essere accecato dalle proprie lacrime.
Si era allontanato quel tanto che bastava per non essere coinvolto nell'elektro del compagno, poi aveva ripetuto il massaggio cardiaco.

Quasi al termine della serie qualcuno gli aveva afferrato la caviglia e Shachi si era concesso di scostare lo sguardo dall'organo che stava odiando con tutto se stesso solo perché, ormai, era nuovamente il turno di Bepo.

“Shachi...” Il sussurro di Penguin era così flebile e basso, così affranto e completamente distrutto, che il rosso si era istintivamente chinato verso di lui per poterlo udire.

“...Shachi... f-forse...”

La luce bluastra dell'elektro del visone aveva illuminato il profilo di entrambi i pirati di Swallow Island, che si erano potuti guardare negli occhi nonostante la fatica, il dolore e gli occhiali pieni di lacrime.
Come sempre, si erano capiti.
Ma Shachi non era d'accordo, e Penguin lo sapeva, per questo aveva trovato il coraggio di catturare il suo sguardo col proprio. Per questo si era costretto a parlare, per quanto quelle parole fossero sorde e prive di senso anche alle sue stesse orecchie.

“...Forse...” Un singhiozzo l'aveva interrotto, ma non avrebbe demorso.

Law non poteva soffrire così. Non meritava quel trattamento. Non era carne da macello. Meritava rispetto e doveva essere rispettato anche il suo corpo. Il loro medico e amato capitano era una persona meravigliosa, e di conseguenza doveva essere trattato.
Era il minimo che potessero fare, d'altronde.
Lui era il loro fratellino.

Era.

“...Dovremmo lasciarlo andare.”

Shachi era indietreggiato, scioccato, fino a sbattere contro al letto.
“...No...” Non era stato realmente in grado di articolare quella fragile sillaba. La bocca spalancata e tremante sotto la mascherina, il capo scosso da fremiti che volevano denegare al posto della lingua. “No, no, non dire assurdità!”

Aveva alzato la voce, furente, per poi lanciarsi contro a Penguin e sollevarlo di peso, tenendolo dalla maglia.
“Smettila con queste cazzate!”

La scarica elettrica era scemata, lasciando la cabina drasticamente più oscura.

“Shachi!” Penguin si era divincolato dalla presa ferrea e disperata del fratello, poi l'aveva stretto a sé, abbracciandolo più forte che poteva.
“Shachi...” Poteva sentire ancora la testa rossiccia che si scuoteva contro il proprio petto, e le sue basse lamentele.

“No, Pen, ascolta...” Quella di Shachi era una debole lotta per liberarsi. I guanti sporchi di sangue imbrattavano la divisa del fratello e il rosso non poteva reggerne la vista. Aveva voltato il capo, e l'amarezza di ciò che si era ritrovato a guardare gli aveva quasi dato il colpo di grazia.
Non era più stato in grado di muovere un muscolo.
Poteva solo fissare assente il corpo aperto in due del loro adorato migliore amico, mentre non era capace di registrare nemmeno i fremiti del petto di Penguin.

Poi, Shachi aveva sbattuto le palpebre.
Aveva preso un respiro tremante.
Aveva sgranato gli occhi, trovando la forza di parlare.
“...P-Pen...”

Il compagno aveva serrato il proprio abbraccio, invitandolo a tacere. Non avrebbe saputo dire nulla per consolarlo. Non sapeva se si sarebbe ripreso lui stesso. Ma nemmeno gli importava. Che vita avrebbe vissuto senza Law?

“...Penguin...”

Shachi gli aveva dato una spinta più decisa, e l'altro l'aveva guardato con stanchezza, ormai vuoto dentro.
Il più giovane non gli prestava attenzione, fissava immobile il letto.
L'unico segno che fosse ancora sveglio, e non svenuto sul colpo, era il suo pugno che si stringeva attorno alla maglia di Penguin.

Questi aveva fiaccamente spostato lo sguardo, seguendo la direzione del rosso.

Il suo labbro aveva preso a tremare, incontrollato, ma non aveva pianto.

Non un solo fiato era più stato emesso dall'intero equipaggio.
Ognuno si era semplicemente e silenziosamente accasciato per terra, nei punti più disparati della cabina. Bepo era indietreggiato contro la libreria. Penguin e Shachi, sorreggendosi a vicenda, avevano trattenuto i singulti, come tutti gli altri.
Nessuno osava disturbare quella tranquillità.

C'era solo una persona che aveva diritto di farlo.

E gli Hearts l'avevano sentito.

Un rumore.

Un battito.

 
***

     Penguin, come stai?”

Bepo aveva infine trovato le forze per preoccuparsi di lui. Quella breve pausa che si era concesso non era sufficiente a farlo alzare. Addirittura non era in grado di fargli aggiungere le sue solite scuse alla fine di una frase. Perlomeno, però, poteva articolare più di due parole di fila.

Il più anziano dei fondatori degli Hearts aveva lentamente voltato il capo verso il fratello. Una sua mano era sepolta tra i capelli rossicci di Shachi, che dormiva per terra con la testa sulle sue ginocchia. Pen lo accarezzava con incertezza o forse con distrazione. Pareva non essere totalmente in sé. Probabilmente era un gesto abitudinario il suo, e non si rendeva realmente conto di starlo eseguendo.

Bepo aveva fissato gli occhi spalancati del compagno, la sua bocca semi aperta lasciata scoperta dalla mascherina, che ancora gli stava arricciata sul mento.

Poi Penguin aveva abbassato le palpebre, trattenendo il respiro.

E l'aveva udito.
Ancora, e ancora.

Batteva forte, sicuro, e non si vergognava di farsi sentire. L'elettrocardiogramma nemmeno serviva.
Rimbombava in tutta la stanza.

Un sorriso tremolante ma sincerissimo si era costruito sul volto straziato del pirata di Swallow Island.

Aveva riaperto gli occhi, stanchi, troppo, ma pieni di gioia.

“Benissimo.”




 
 
 
°°FINE CAPITOLO°°



...Alloooora... siete ancora arrabbiati con me? 
Lo so, lo so, sono un pelino crudele, ma alcuni miei fedeli lettori mi chiamano "Dio caritatevole!"... Beh, lo dicono con assoluta ironia, ma dettagli! 
Questo capitolo è sicuramente COMPLICATO. 

Volevo lasciarvi sulle spine il più a lungo possibile, quindi ho ricorso ad una struttura articolata, con "inversioni cronologiche", passatemi il termine, un po' come feci nel capitolo V. 
Dopodiché, ci tenevo a trasmettere tutta l'ansia e la frustrazione degli Hearts. Non so se ci sono riuscita, soprattutto considerando che ho dovuto mischiare i sentimenti ad una parte strettamente scientifica, ma vi prego di farmi sapere! Ci tengo tanto sul punto “empatia”, e ormai lo sapete.


Per quanto riguarda il lato medico, spero si sia capito tutto. Alcune cosucce verranno spiegate nel capitolo successivo, in questo non aveva senso a livello logistico dilungarmi troppo, perché la maggior parte delle cose da fare, gli Hearts avrebbero dovuto saperle, e sarebbe stata una palese “aggiunta narrativa” quella di scendere nel dettaglio nel corso dell'operazione. Tuttavia, a grandi linee, ho spiegato tutto, quindi mi auguro di essere stata sufficientemente chiara e non pesante!


Ho un sacco di cose da dire, ma ho la testa talmente piena che non so da dove iniziare, perciò... passiamo alle MERAVIGLIE di fanart che mi avete dedicato?
Ragazzi... stiamo scherzando?
Davvero avete dedicato arte, tempo e fatica per qualcosa che ho scritto IO?

Non ci sono parole per descrivere come questa cosa mi fa sentire...
Ma immaginate un pavone che apre la coda e raggiunge il Nirvana. Quello sono io.

Sperando che EFP non elimini le immagini, allego almeno un'immagine a testa per ogni grandioso artista che mi ha fatto questo regalo (perché sì, c'è chi ne ha fatte più di una!)

Ci tengo, inoltre, a ringraziare _Kalika_ che sulla sua page Instagram ha commentato e pubblicizzato tutti i capitoli precedenti de Il Mostro Bianco.
Tesoro, sei fantastica.


Non smetterò mai di ringraziare tutti voi lettori, recensori e artisti!

Attendo con ansia, quindi, di sapere cosa ne pensate di questo capitolo! Non vedo l'ora ♥

Siamo quasi alla fine della storia, e io piango, perché è la mia bambina!
Ma prima o poi dovrò salutarla... e lasciar spazio alle 
nuove bambine!

A presto,
baci
Pawa


P.S Mi scuso se l'aspetto grafico del capitolo varia leggermente dai precedenti e da un punto all'altro. Non capisco cosa stia combinando EFP! Indagherò e cercherò di risolvere. Spero sia comunque gradevole.



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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


°° Il Mostro Bianco °°

 

 

- Capitolo XIV -

 
°°INIZIO PRIMA PARTE°°

       I raggi del sole nel Polar Tang creavano sempre curiosi effetti sulle pareti metalliche delle varie cabine, laddove gli Hearts non le avevano rivestite di legno. Quando erano immersi, i giochi di luce erano anche più affascinanti, plasmati dall'irregolarità delle acque. La cosa più gradevole era forse che la luce non risultava mai accecante, attenuata sia dagli oblò sia dall'oceano. Era anzi confortevole, rilassante, e c'era chi, estenuato da una lunga giornata di lavoro, si perdeva a fissare le luminose fantasie tremolanti che si andavano a creare sulle superfici.

Era dunque così strano che, quella volta, i Pirati del Cuore stessero maledendo il sole, che a dir loro stava irrompendo prepotentemente nella stanza del loro capitano.

Erano crollati l'uno dopo l'altro, riuscendo però a non lasciare mai Law senza sorveglianza, un'accortezza inconscia dettata dall'abitudine, da tutte le volte che avevano visto il loro comandante vincere la stanchezza per vegliare il proprio paziente, anche se reduce da una battaglia e poi da un intenso intervento.
Law non si era mai fatto vincere da Morfeo finché chi aveva operato, fosse questi un compagno o uno sconosciuto, non si risvegliava o stabilizzava.

Shachi non sapeva quante ore fossero passate dacché avevano posato i bisturi, ma gli acuti dolori alla spina dorsale suggerivano che almeno mezza giornata l'avesse passata piegato per terra, con la testa sulle gambe di Penguin. Si sentiva in colpa per aver addossato al resto della ciurma il compito di monitorare il loro medico, ma non era stato in grado di svegliarsi prima, e probabilmente nessuno aveva osato riscuoterlo. Penguin, Bepo e Ikkaku, che erano ancora profondamente addormentati, dovevano aver avuto lo stesso privilegio.
Il rosso si era messo a sedere con lentezza e poca eleganza, sentendo i muscoli della schiena tirare e pungere qua e là.
Si era ridestato per l'insistenza della luce sulle sue palpebre chiuse. Sarà stato che era talmente abituato ad avere gli occhiali da sole che i suoi occhi erano diventati più sensibili, fatto stava che la sensazione gli era parsa insopportabile.

Aveva salutato con leggeri cenni del capo i compagni che non dormivano e un sorriso gli era sfuggito.
Da settimane i sorrisi tra loro erano stanchi e tirati, si obbligavano a farli.
Ora, nonostante fossero tutti più spossati che mai, sorridevano con naturalezza, e al pensiero di cosa avesse permesso ciò, Shachi aveva esageratamente piegato all'insù gli angoli delle labbra.

Trascinava i piedi, ancora intontito dal sonno, ma si era diretto senza esitazione verso il letto del suo fratellino.

Aveva lasciato un sospiro che non si era reso conto di star trattenendo quando aveva potuto vedere il petto fasciato di Law alzarsi e abbassarsi quasi senza difficoltà. Era sicuramente un movimento leggermente rigido, si poteva intravedere un vago tremolio, ma con tutti i punti di sutura che aveva, era assolutamente normale.

Shachi si era seduto accanto al fratello, accarezzandogli i capelli bianchi ancor più spettinati del solito. Un dubbio gli era sorto, attorcigliandogli le viscere. Si era quindi chinato sul capo di Law, insinuando le dita tra i suoi capelli e appiattendoli per scorgere le radici. In un solo giorno non potevano crescere considerevolmente, ma aguzzando la vista e sapendo dove cercare, si poteva vedere; la ricrescita nera come la pece. Era ancora piccola, forse un paio di millimetri, ma rappresentava la più grande vittoria dei Pirati del Cuore.

La salvezza del loro capitano.

Quello era il segno che stava bene. Che si sarebbe ripreso. Il peggio ci avevano pensato gli Hearts a eliminarlo e presto il resto del corpo di Law si sarebbe sanificato da solo.
Per quanto antiestetica, quella ricrescita era una gioia per gli occhi, per tutti loro. Magari Shachi avrebbe proposto una tinta a Law, fintanto che il nero naturale non avrebbe predominato, ma conoscendo il fratellino, probabilmente lui avrebbe preferito tagliarli. L'acconciatura che aveva avuto ai tempi di Sabaody sarebbe stata adeguata. Da allora aveva lasciato crescere i capelli, e gli Hearts avevano sperato in un calo di fascino, così che loro potessero ricevere almeno un'occhiata dalle ragazze nelle locande. Invece quel bastardo stava da dio anche con la frangia. Probabilmente anche da rasato sarebbe stato la stessa schiva calamita per donne di sempre. O da pelato.
Si sarebbe fatto un tatuaggio anche sulla zucca se fosse stato pelato?

A quel pensiero Shachi aveva soffocato una risata.
Fantasticare su quelle frivolezze era una dolce novella dopo tutti quei giorni di sofferenza, e il rosso poteva tranquillamente abituarcisi. Lui era quello che sparava cazzate di continuo, quindi doveva rimettersi in carreggiata e iniziare a pensare a cose serissime e profonde come quella. Era il minimo per tornare alla normalità.

“Sei di buon umore, eh?”
La voce leggera di Clione aveva fatto voltare il pirata di Swallow Island. Il biondo stava pigramente controllando un monitor collegato a Law, e a giudicare dall'espressione pacata, andava tutto bene.

“Come potrei non esserlo?”

Alla risposta del compagno, Clione aveva sorriso.
“Dovremmo cambiargli la fasciatura.” Aveva aggiunto dopo un momento, che sarebbe stato di totale silenzio se non fosse stato per il leggero russare di qualche compagno.

“Ci penso io.” Shachi si era alzato per prendere il necessario, e quando era tornato al capezzale di Law, l'aveva mosso delicatamente, onde evitare di strappare i punti o causargli qualche fitta.
Era così inerme, si muoveva se mosso da Shachi e ci arti gli ricadevano a peso morto sul letto. Era molto leggero, sicuramente ancora troppo sottopeso. Aveva ripreso a mangiare normalmente poco prima che morisse, quindi non c'era da sorprendersi se aveva perso diversi chili dacché quella tragedia era cominciata. Il peggio era che Law era sempre stato di costituzione magra, dunque non aveva potuto perdere grasso, bensì muscoli. Tuttavia Shachi era fiducioso che li avrebbe presto ricostituiti. Suo fratello era dannatamente pigro quando si trattava di allenarsi, d'altronde la sua arma più potente era il cervello, e sapeva usarlo in maniera più distruttiva di qualunque ferraglia Eustass Kidd potesse scagliare e di qualunque pugno Cappello di Paglia potesse sferrare. Ciononostante avrebbe frequentato la loro palestra quotidianamente non appena si sarebbe ripreso e la riabilitazione si sarebbe gradualmente trasformata in allenamenti veri e propri. Gli Hearts amavano il corpo del loro capitano, volevano vederlo nuovamente tonico e perfetto, un metro e novantuno di muscoli e furbizia. Inoltre erano delle cavolo di mamme chiocce, loro, quindi si sarebbero assicurate di far tornare Law impeccabile come e più di prima.
C'era pure la remota possibilità che il medico, vedendosi cascare i pantaloni anche chiudendo la cintura all'ultimo buco, decidesse di mettere su muscoli di propria iniziativa. Non era un tipo vanitoso, ma era estremamente orgoglioso, e Shachi sospettava che andasse fiero del suo fisico. D'altronde, erano più le volte che girava a petto nudo di quelle che indossava maglie chiuse, e il fatto che fosse del Mare del Nord e soffrisse il caldo non lo giustificava. Non che il rosso volesse fargliene una colpa. In fondo, Law era sempre gradito alla vista, secondo Ikkaku, e Shachi non sapeva come ribattere a ciò.

Aveva riadagiato il fratellino sul materasso, contemplando l'idea di passare dall'intubazione alla maschera d'ossigeno, o forse addirittura a delle semplici cannule nasali. Law sembrava starsi ristabilendo rapidamente e bene, e il rosso non n'era nemmeno così sorpreso.
Quello era Trafalgar D Water Law, dopotutto, uno dei più grandi pirati di quell'epoca, e non avrebbe raggiunto quel livello e quella fama se non fosse stato uno che dalle ferite più terribili sapeva guarire in fretta.

E perché no, perfino dalla morte poteva riprendersi.

Shachi era uscito dalla cabina malvolentieri, dopo aver poggiato un paio di coperte sul fratello e avergli amorevolmente accarezzato una guancia tiepida. Non era ancora di una temperatura accettabile, ma era un gran passo avanti rispetto il suo precedente stato di ibernazione.
Al rosso sarebbe piaciuto stare accanto al suo capitano finché non si fosse svegliato, ma il suo stomaco protestava a gran voce e tutta l'adrenalina che gli era andata in circolo durante l'operazione d'urgenza l'aveva lasciato come un guscio vuoto, spossato nonostante la lunga dormita. Inoltre non ricordava quando aveva mangiato l'ultima volta.
Aveva davvero bisogno di mettere qualcosa sotto i denti.

Aveva recuperato qualche biscotto dalla dispensa. Era strano trovarne lì. Solitamente il loro cuoco ne preparava di nuovi ogni mattina, che puntualmente venivano divorati. Quelli erano del giorno prima, ma Shachi non se ne lamentava. Aveva scostato la propria sedia per mettersi al solito posto, tuttavia ci aveva ripensato.

“Hey, buongiorno...” La voce impastata di Penguin aveva fatto voltare il rosso. Il fratello maggiore si era accasciato sul bancone della cucina, probabilmente desiderando riposare un altro po'. “... o buon pomeriggio. Qualsiasi ora sia...”

“Ciao, Pen.”
Shachi aveva spinto uno sgabello dietro all'amico. Dava l'impressione di cadere addormentato da un momento all'altro. Voleva almeno evitargli di crollare sul pavimento.
Il più grande si era voltato col volto premuto sul legno laccato, un broncio dettato dall'infiacchimento a piegargli i lineamenti.
“Che ci fai sulla sedia del capitano?”

Shachi aveva lanciato un biscotto prendendolo al volo in bocca, e aveva ghignato.

“Dipendenza affettiva dal mio fratellino: non posso stare troppo a lungo lontano da lui o da qualcosa che lo riguarda.”

“Razza di bastardo...” Aveva commentato l'amico, con una leggera nota ironica nella voce. “Quella è sempre stata la mia scusa per usufruire delle sue cose.”

Avevano condiviso una leggera risata, ben consci che Law fosse piuttosto geloso dei propri effetti. Di proposito, dunque, i due corsari usavano il suo shampoo, sedevano sulla sua poltrona nella sala relax, usavano la sua tazza maculata per bere il tè al pomeriggio. In circostanze normali il loro Doc si lamentava pure quando i suoi fratelli entravano nella sua cabina per dormire con lui, anche se in fondo amava la loro compagnia.

“Sai una cosa?” Penguin si era stancamente sollevato, allungando una mano verso il cesto della frutta, cercando nulla di specifico. “Stai pure lì. Magari così l'istinto egoistico di Law si risveglia e tra cinque minuti ci ritroviamo il capitano sulla porta, pronto a farti un soliloquio di mezzora sul perché tu non puoi sederti al suo posto.”

Il rosso aveva ampliato il proprio sorriso.
“Magari! Sopporterei la sua dialettica del cazzo se significasse vederlo sano e vispo in così breve tempo.”

I due fratelli ci avevano davvero sperato, prima di rendersi conto che si stavano aggrappando a una scherzosa fantasia. Dovevano essere davvero esausti per essersi illusi in quel modo, anche se per pochi secondi.

Ognuno si era dedicato alla propria colazione, non pronunciando parola e abbandonandosi solo a qualche sbadiglio di tanto in tanto, poi i neuroni di Shachi avevano trovato la capacità di fargli alzare lo sguardo sull'orologio che il loro chef teneva in cucina.
Erano le prime ore del pomeriggio. Sarebbe stato meglio se si fossero dati da fare in qualche modo. Anche se ora Law era salvo, e quella era la cosa più importante, c'erano ancora diverse questioni in sospeso su quell'infausta isola.

“Hey, Pen, stavo pensando...” Si era interrotto per stiracchiarsi e la sua voce era poi risultata un mugugno. “che dovremmo andare a parlare col vecchio della Marina.”

Il più anziano dei membri fondatori degli Hearts si era voltato verso il compagno, guardandolo stoico con la testa appoggiata ad una mano.
“Dici che Law vorrebbe fargli sapere che cos'è successo?”

“Non proprio,” Aveva prontamente aggiunto il rosso. “ma ormai Sengoku è coinvolto e noi possiamo limitarci a comunicargli che il nostro Doc sta bene. Insomma...” I suoi occhi erano andati a guardare con tenerezza la tovaglia costosa che decorava la tavola, sebbene non le stesse davvero prestando attenzione. “ce l'abbiamo fatta. Law si sveglierà presto.”

“Sì,” L'appoggio di Penguin era subito arrivato. “Law sta bene.” Ripeterlo aiutava entrambi a riprendersi dopo tutti quei giorni di agonia e, allo stesso tempo, li convinceva che quella situazione fosse reale. Ancora non ci credevano che il calvario fosse finito, e che n'erano usciti vincitori. Penguin aveva infine dato il proprio consenso dopo qualche istante di riflessione. “Va bene, andiamo dal nonnino del nostro capitano.”

Si erano alzati con un'energia e una velocità tali da far concorrenza a una statua in marmo e raggiunta la loro cabina si erano chiesti da quanto tempo non ci entrassero. Tutte le brande avevano le lenzuola spiegazzate, alcune cadute sul pavimento, già occupato da pile di vestiti ammucchiati, e l'aria era davvero pesante, viziata. C'era puzza, ad essere franchi. Non rassettavano quella cabina da un po', e d'altronde erano stati impegnati con faccende molto più serie e importanti, ma adesso che erano tornati alla normalità si accorgevano di quanto avessero trascurato vari aspetti della loro vita quotidiana. Il loro povero sottomarino doveva star soffrendo, perché tutte le stanze non venivano pulite da giorni.
Penguin si era diretto verso il proprio armadio con uno sbuffo. Ora che tutto era finito, che la sua ciurma e lui potevano effettivamente tornare a vivere, si rendeva conto di quanto una malattia del genere stravolgesse ogni più piccolo aspetto dell'esistenza di una persona e di chi le voleva bene. Certo era logico e normale prendersi cura del malato, procrastinando le attenzioni da riservare a se stessi, ma arrivare al punto di non accorgersi di star facendo appassire, insieme a Law, sia la loro casa sia i loro corpi, dato il pungente odore che si levava dalla canottiera che Pen aveva addosso, sottolineava quanto la situazione fosse stata disperata.
Shachi aveva calpestato un mucchio di indumenti gettato contro il muro per poter raggiungere un oblò e spalancarlo. Aveva istintivamente preso un profondo respiro non appena l'aria fresca gli aveva colpito il volto. L'atmosfera nella cabina era tanto opprimente che il contrasto con il venticello fuori dal sommergibile faceva quasi venire dei brividi di freddo.
Il rosso si era voltato verso il fratello, che si era già diretto nel bagno annesso.

“Hey, Pen. Pensi che il capitano ci permetterà di avere una cabina doppia solo per noi?”

Aveva visto l'amico incurvare all'indietro la schiena per poter fare capolino dalla porta che lo copriva e incrociare gli occhi di Shachi.
“Vuoi traslocare dal dormitorio comune?” Aveva bofonchiato metà delle parole a causa dello spazzolino che teneva fra le labbra, ma l'altro aveva capito e subito annuito.

“Lo sai che adoro la compagnia e sono il primo pirla che organizza notti in bianco e robe del genere, ma gradirei non sentire mai più questo gradevole odorino umano che aleggia qua dentro.”

Il maggiore aveva ridacchiato, tornando a specchiarsi e aprendo il rubinetto. Conosceva Shachi troppo bene per non sapere che dietro quelle parole si nascondesse qualcosa di più; il loro Doc era ferreo e minuzioso per quanto riguardava le pulizie* e in oltre dieci anni di pirateria non si era mai sentito odore di chiuso, nonostante vivessero su un sottomarino. Entrare in quella stanza era quindi stato uno shock in tutti i sensi e sicuramente, se in futuro, per qualunque motivo, avessero dovuto dimenticare di fare le faccende, l'aria viziata avrebbe ricordato al rosso di quei tragici giorni in balia del Piombo Ambrato. Ne voleva fare a meno. E Penguin era totalmente d'accordo. Sicuramente anche solo due persone potevano rendere una stanza una fogna, ma l'eventuale puzza sarebbe comunque stata diversa da quella prodotta da diciassette uomini.

“Perché no,” Aveva infine risposto, sciacquandosi il volto. “se possiamo avere un'infermeria, un obitorio, quattro sale operatorie, un laboratorio e una biblioteca, possiamo sicuramente trovare un magazzino da trasformare nella nostra cabina.”

Il compagno aveva riso allegramente all'elenco di tutti i capricci di Law, poi si era fatto un poco più serio, ma per la prima volta dopo troppi giorni non aveva lasciato che l'allegria lo abbandonasse.
“Sai, quella stanza dove accatastiamo i pezzi rotti del Polar ci potrebbe stare. La ferraglia la spostiamo in sala macchine.” Si era diretto senza aspettar risposta verso la doccia, chiudendo il box e lanciando poi i propri vestiti appositamente addosso a Penguin. Questi li aveva afferrati con stizza ma divertimento, trattenendosi dal rimproverare l'amico giacché il bagno era già occupato, ma d'altronde loro due, grazie ai loro genitori, si conoscevano da quando erano neonati. Erano ben pochi i momenti di privacy che nascondevano l'uno all'altro. Mentre Shachi apriva l'acqua, il fratello realizzava pian piano le sue parole. Aveva sorriso, guardando verso i vetri della doccia che si riempivano di spruzzi.

“Credo che quello sgabuzzino sia perfetto.” Aveva agitato la boccetta con la schiuma da barba, non avendo il tempo di contemplare l'idea di lasciare o no baffetti e pizzetto radi che gli erano cresciuti in quei giorni. Forse avevano un loro fascino, anche se l'unico che poteva stare meravigliosamente col pizzetto era quell'eccentrico del suo capitano, ma la mente di Penguin era concentrata su altro.
Quella cabina.
In fondo al corridoio. Nell'ala est. Dove stava la stanza di Law.
Aveva sorriso dolcemente pensando alla premura di Shachi nei confronti del loro fratellino. E poi davano a lui della mamma chioccia! Non voleva pensare che la vicinanza delle loro cabine avrebbe agevolato un eventuale soccorso del loro capitano, perché Penguin non voleva immaginare Law malato ancora una volta in futuro, fosse anche solo un raffreddore.
Però apprezzava la comodità di quei pochi metri che lo avrebbero separato dal letto del suo Doc.
Avrebbe potuto sentirlo rigirarsi tra le coperte in preda agli incubi che di tanto in tanto tornavano a tormentarlo, e Penguin contava di sgattaiolare fuori dalla propria stanza, senza il rischio di svegliare qualcuno, e di andare a rassicurarlo, anche se Law non voleva il suo aiuto.

Sarebbe stato perfetto.
 
***

       Non era esattamente camminare quello che stavano facendo due dei membri fondatori degli Hearts. Era più un trascinarsi per le vie della città, diretti verso il porto dove Sengoku si era spostato appositamente per lasciar tranquilli i pirati. Malgrado l'evidente stanchezza, procedevano serenamente, perché fintanto che Law era salvo, non c'era niente che potesse davvero impensierirli.

Talvolta temevano di star solo facendo un sogno bellissimo, ma erano usciti dopo essere passati nuovamente da Law. E lui era vivo.
Dormiva profondamente, non si era nemmeno mosso da come Shachi lo aveva riadagiato sul materasso, però stava sicuramente bene.
Anche se il timore che potesse non risvegliarsi o avere una ricaduto si era insinuato crudelmente tra i pensieri dei suoi fratelli, i monitor collegati al loro capitano erano chiari e rivelavano valori stabili. La malattia era stata debellata totalmente. La pelle presentava ancora delle chiazze bianche, ma erano le cosiddette PAF, cellule già uccise, private di melanina e quindi sbiancate e ormai prive dei bacilli velenosi, perché questi si erano spostati verso le cellule vive, per contagiarle e riprodursi, ma l'intervento degli Hearts aveva bloccato questo processo. Così ora rimanevano solo dei chiarori su quella pelle solitamente abbronzata, e presto, con un normalissimo rinnovo dell'epidermide, sarebbero spariti.
Sì, non c'era nulla di cui preoccuparsi.
Law aveva solo bisogno di riposare e riprendersi. Non sapevano quanto ci volesse per rimettersi in forze dopo essere morti, e sicuramente la dipartita del medico non era stata prevista, sarebbero dovuti intervenire prima, ma fortunatamente, chi aveva elaborato la sua cura era stato così geniale da studiare un piano tanto perfetto, che non solo aveva fatto ripartire il cuore di Law, ma aveva completamente risanato il suo corpo. Il chirurgo non era meno sano di un qualsiasi altro ventiseienne allenato e ben nutrito.
I suoi amici non potevano fare altro se non attendere che si risvegliasse, quindi fintanto che veniva supervisionato e non restava solo, gli altri potevano allontanarsi. Così Shachi e Penguin si erano convinti che potevano davvero lasciare casa per parlare col vecchio marine. Non intendevano intrattenersi per molto con lui, ma era giusto dargli qualche informazione e, allo stesso tempo, poteva essere un modo per distrarsi un po'.

Penguin era quasi inciampato sulla capretta dell'ex Grandammiraglio quando aveva svoltato l'angolo di una casa dismessa lungo la costa. L'animaletto non aveva affatto accusato la ginocchiata involontaria del pirata e aveva già preso a masticargli i pantaloni. Il corsaro si era messo a strattonare indispettito la stoffa dei propri calzoni, sperando di liberarli dalla morsa dell'ovino, quando una bassa risata era rimbombata per la baia quasi deserta, solo un paio di pescatori in via di guarigione e qualche soldato la occupavano poco lontano. Invece, di fronte ai pirati, seduto sui gradini che portavano in spiaggia, c'era Sengoku.
“Significa che le piaci.” Aveva fatto un cenno alla capra, che continuava a masticare indisturbata. “Normalmente non la farei avvicinare ai pirati, ma credo che le cose siano sufficientemente cambiate tra noi.”

Shachi aveva sorriso mentre il fratello riusciva finalmente a salvare i propri pantaloni e pungolava con lo stivale l'animale per tenerlo a debita distanza. Nella frase del militare c'era una nota di ironia che non era sfuggita ai due corsari. Quel vecchio bastardo si compiaceva che la sua capra stesse rovinando i vestiti di Penguin. Gli avrebbero risposto a tono, ma il principale significato di quel che aveva detto era più importante.
Il loro rapporto era davvero stato stravolto, e in positivo.
Certo non erano migliori amici, sicuramente non si sarebbero cercati in circostanze normali per chiacchierare allegramente, ma c'era un'intesa tra loro, opera di Law, ed era anche per questo che Sengoku sapeva che doveva essere successo qualcosa. Altrimenti i due Hearts non sarebbero stati lì.
Si rassicurava constatando che non erano disperati, quindi quel pazzo del suo quasi nipotino doveva star bene, nonostante le condizioni in cui versava dopo che si erano separati il giorno prima.
Era indeciso se chiedere sue notizie o se lasciare che fossero i due giovani a parlare, ma poi il rosso si era seduto sul suo stesso gradino, solo a qualche passo di distanza e, guardando avanti a sé, aveva sorriso.

“Il capitano è guarito.”

Sengoku aveva quasi fatto cadere il cracker di riso che stava mangiando.

“In un giorno?!” Avrebbe potuto chiedere tante altre cose, ma era felice, confuso e troppo stupito.

Penguin si era accovacciato dietro il fratello, appoggiandosi alla sua schiena e imitandone il sorriso, guardando poi il marine negli occhi.
“Se sapesse tutto ciò che è accaduto in un giorno!” Aveva sentito Shachi ridacchiare. Non che il ricordo fosse gioioso, ma l'epilogo certamente lo era. “Ma i dettagli, se Law lo vorrà, sarà lui a spiegarglieli. Noi volevamo solo informarla che adesso si è ripreso.”

“Insomma,” Si era aggiunto Shachi. “ancora non si è risvegliato dalla somministrazione della cura, ma abbiamo esaminato le sue cellule, fatto radiografie, esami del sangue...” Non avevano eseguito tutti quei test in prima persona perché entrambi erano stati svenuti, ma i loro compagni si erano assicurati di farli e gli esiti erano tutti grandiosi. Del Piombo Ambrato non c'era traccia. Penguin aveva pure avuto il tempo, prima di uscire, di guardare al microscopio alcuni tessuti prelevati al fratello. Aveva quasi pianto sui vetrini quando aveva constatato che non presentavano anomalie. “... e sta bene.”

Sengoku era rimasto in silenzio, guardando la punta delle proprie scarpe e respirando sommessamente. Non aveva idea di cosa fosse successo, ma importavano le circostanze? Era del Chirurgo della Morte che si stava parlando. Già normalmente quel ragazzo era capace di fare l'impensabile; quando di mezzo c'era la medicina non c'era dio che potesse eguagliarne i miracoli. Perciò, per quanto fosse assurdo che un uomo palesemente morente fosse ora sano e salvo, dopo mezza giornata dall'ultima volta che era stato visto, era qualcosa tipicamente da Law.
Alla fine il vecchio aveva risollevato lo sguardo, portandolo sulle onde del mare poco distante e aveva sorriso gentilmente.
“Immagino che dovrò sorbirmi le sue frecciatine sul fatto che sono, più o meno, suo nonno acquisito. In quei pochi momenti che abbiamo passato insieme da quando abbiamo parlato, Law ci ha tenuto ad essere il più bastardo possibile.”

I due corsari avevano tradito un ghigno divertito. Il loro capitano era l'incarnazione di sarcasmo e sferzante ironia, quindi non erano affatto sorpresi del suo comportamento col marine. Anche quest'ultimo non pareva esserne infastidito. Anzi, viste le circostanze, nonostante le sue parole, era lieto di poter presto tornare ad essere il bersaglio di quelle maliziose battute.

“Non verrò a trovarlo.” Aveva poi sentenziato, serio ma cortese. In fondo, ora, gli bastava sapere che Law era salvo. “Non saremo mai davvero nonno e nipote, credo che siamo entrambi troppo vecchi per atteggiarci, improvvisamente, in quel modo. Tuttavia sono i sentimenti che contano e dunque ci sarò se avrà bisogno.” Aveva notato come i due pirati sorridessero alle sue parole, mentre la sua capretta veniva a sedersi scompostamente accanto a lui, con le zampe rigide oltre il bordo del gradino, fissando chissà cosa con quelle pupille rettangolari e furbe. “Il mio numero non ce l'ha, ma siete tutti abbastanza inquietanti da recuperarlo per i fatti vostri, se lo vorrete. O chissà, vi basterà fare un'altra stronzata che vi faccia finire sui giornali e sarò io a venire a cercarvi.” Aveva accennato all'impresa di Dressrosa, che aveva fatto scalpore quasi quanto la Guerra dei Vertici. Guerra a cui, ad un certo punto, avevano partecipato pure gli Heart Pirates, a quanto pare perché il loro comandante era ficcanaso e capriccioso. Sengoku aveva sospirato a quel ricordo. Se avesse saputo chi era Law rispetto a Rocinante, all'epoca, si sarebbe preso un infarto vedendolo emergere dal mare mezzo ghiacciato di Marineford, su quel trabiccolo giallo. Che pazzo, pazzissimo ragazzo che si ritrovava a incominciare ad amare.

“Non ci sarà alcun problema, allora.” La voce solenne di Penguin, tradita dal ghigno che entrambi i pirati sfoggiavano, aveva fatto voltare il marine. “Inutile dirlo, credo. La nostra bussola punta sempre nella solita direzione e una volta raggiunta la meta faremo parlare di noi per sempre, i giornali diventeranno monotoni a forza di raccontare delle gesta capitano!”

“One Piece sarà nostro.” Shachi si era scambiato col fratello un'occhiata profonda, maliziosa, piena di frasi tacite. “E non sarà per forza necessario raggiungere Raftel.”

Sengoku li aveva fissati sorpreso e, infine, compiaciuto. Aveva capito, in qualche modo. A prescindere dal vero e concreto grande tesoro, i Pirati Heart avrebbero sicuramente conquistato il loro più grande obiettivo, sogno che era, in realtà, il desiderio di tutti gli uomini, primi fra tutti chi prendeva il mare: la gloria nei secoli.
E loro l'avrebbero raggiunta, forse per la D. nel nome del loro capitano, forse per l'amore e il rispetto che provavano per lui, ma sicuramente avrebbero fatto incidere il nome di Trafalgar D Water Law nella storia del mondo.
 
***

       Il Chirurgo della Morte.
Era un soprannome azzeccato, che implicava molto più di disgrazia e inquietudine, che il Governo Mondiale aveva voluto attribuire al capitano dei Pirati del Cuore. Morte e medicina, insieme, avevano accompagnato Trafalgar Law per tutta la sua breve vita.
Ancora prima che il Piombo Ambrato si manifestasse a Flevance, un piccolo Law aveva sempre passato le proprie giornate dissezionando animali per studiarne l'anatomia. Dopo qualche anno era riuscito a convincere suo padre, complice il faccino tenero che gli aveva subdolamente rivolto, a fargli esaminare qualche corpo nell'obitorio dell'ospedale. Così era cresciuto, istruito, affiancato e assecondato dai genitori dottori, poi vagabondo con l'unica compagnia della malattia, che lo aveva accompagnato verso la sua fine, non giunta per merito di Corazon e delle proprie abilità mediche.
Morte e medicina erano la vita stessa di Trafalgar D Water Law, pertanto non era poi così surreale che il capitano pirata fosse morto e poi fosse tornato indietro.

Questa consapevolezza aveva sfiorato la mente di Law, fugacemente, ma il fatto stesso che potesse pensare, che il suo cervello stesse ragionando e fosse attivo, aveva fatto fermare tutto, si era impuntato come un tarlo nella sua testa e quasi aveva fatto spalancare gli occhi del medico. Law non si era trattenuto, semplicemente era troppo esausto per riuscire a farlo. Ma Dio, che tentazione. Era morto, quindi perché la sua mente stava sfornando una mare di domande? Dopo un'infinità di tempo, o forse solo qualche secondo troppo confuso, era riuscito a elaborare una risposta, l'unica che avesse senso e potesse spiegare cosa stava succedendo: era finalmente arrivato all'inferno. Già, perché dubitava di meritarsi il Paradiso e credeva che la consapevolezza della propria tragica fine fosse una gentilezza che il Regno dei Cieli non concedeva alle povere anime. L'inferno, invece, poteva tranquillamente ricordarglielo e ribadirglielo. Non che fosse molto preoccupato a tal proposito. Se l'aldilà era come veniva descritto in letteratura, lugubre, cruento e pieno di stronzi, quasi quasi Law si sarebbe sentito a casa. Magari avrebbe dato mostra delle proprie peggiori vivisezioni.
Tuttavia c'era qualcosa che non gli tornava.
Il suo corpo doleva, era inerme e impotente, e la sua mente era in preda a un turbinio di pensieri confusi e affatto felici.
Però stava bene.
Il dolore non era insopportabile e anche se il suo cervello era in tilt, non stava impazzendo o soffrendo.
Era... leggero, nonostante tutto.
Aveva cercato di corrucciare il viso con fare perplesso, non era sicuro di averlo concretamente fatto, tuttavia era certo che, concentrandosi con l'intenzione di cambiare espressione, avesse acquisito un briciolo di consapevolezza in più dei propri sensi.

L'olfatto non era molto affidabile in quel momento. Era un tipo di percezione troppo complessa, nelle condizioni in cui Law versava, perché il suo cervello stanco potesse elaborare e distinguere gli odori mischiati che gli giungevano. Eppure c'era qualcosa di tanto famigliare quanto sgradevole. Anestetico? Sangue? Disinfettante? Non n'era certo e non sapeva cosa primeggiasse, ma quei tre elementi gli erano subito balenati in testa, e lo facevano meditare.
Il medico non aveva la forza né la voglia di cercare di sentire qualcosa oltre quei suoni ovattati che gli giungevano flebilmente, invece si era abbandonato al tatto.
Si sentiva avvolto da qualcosa di morbido, stava comodo e al caldo. Era una sensazione troppo confortevole e vera per essere una tortura dell'altro mondo.
E, poi, gli erano tornati in mente i sui stessi pensieri caotici: morte e medicina al contempo forgiavano la sua esistenza, quindi forse, per quanto incredibile, poteva davvero essere morto, ma solo per un po', per poi essere tornato in vita con la complicità della propria materia preferita. Era qualcosa di irrealistico ma che lo caratterizzava perfettamente, e, con un poco di lucidità in più, Law si rendeva conto che tutte le considerazioni che stava facendo erano possibili proprio perché era vivo.

Diamine, ora che aveva davvero riflettuto su quella conclusione, era diventato ancora più sensibile, più cosciente, e aveva percepito ogni cosa.
Le coperte ruvide contrapposte al lenzuolo di seta su cui giaceva, i punti esatti del corpo che erano feriti, o forse erano tagli chirurgici, l'aria che tremante ma in abbondanza entrava e usciva, solleticandogli la gola secca. Il battito del suo cuore. Lento ma costante. La sua solita, leggerissima, bradicardia. Pareva tutto nella norma e in effetti, tutto sommato, si sentiva bene. Solo la luce forte che batteva sulle sue palpebre chiuse lo infastidiva un po', seppure gli scaldasse il viso.
Poi, aveva bloccato il proprio respiro.

Poteva vedere la luce oltre le palpebre?

Era senza energie, ma si era impuntato e impegnato per aprire gli occhi. Forse ci stava impiegando ore, ancora disorientato nel proprio stesso corpo, ma sicuramente, ad un certo punto, il suo viso era stato colto da fremiti, un leggero affanno l'aveva subito colpito, dovuto più all'agitazione che allo sforzo vero e proprio, e Law aveva sentito un improvviso calore e dell'umidità tutt'attorno a bocca e naso. Doveva avere una maschera dell'ossigeno, il suo respiro aveva fatto condensa, e i movimenti del suo volto intento a cercare di sollevare le palpebre avevano effettivamente mosso la mascherina, difatti il medico l'aveva improvvisamente percepita premergli sulla pelle. Infine, una timida fessura si era formata tra le sue arcate cigliari. Lui l'aveva istantaneamente richiusa, stringendo gli occhi e corrucciandosi a causa della luce prepotente che gli aveva colpito le pupille sensibili. Avrebbe potuto indispettirsi per essa, invece Law era sul punto di piangere dalla gioia.
Era vivo e ci vedeva.
Non aveva messo a fuoco nulla, ma il fatto che percepisse la luce era un chiaro segno.
Ci aveva provato ancora, sebbene credesse di essersi assopito tra un tentativo e l'altro, poiché, nonostante gli pareva che tutto accadesse velocemente, sapeva che il suo pensiero era cessato per un po', e stavolta aveva fatto meno fatica per sollevare le palpebre. Aveva dovuto sbattere gli occhi diverse volte, ma poi, lentamente, dal bianco totale che occupava la sua vista delle sagome sbiadite avevano cominciato a delinearsi e infine Law aveva poggiato lo sguardo su un panorama che aveva visto quotidianamente negli ultimi dieci anni; il soffitto del suo orrendo ed eccentrico baldacchino. Aveva fatto un verso strozzato e sorpreso, incapace di trattenere l'emozione. Era davvero vivo, era vedente ed era a casa sua.


“...Law?”

Il respiro gli si era smorzato ancora una volta e con un tremito nel movimento e col cuore in mano si era voltato verso la voce di suo fratello. In realtà il capo si era inclinato quasi impercettibilmente, aveva giusto mosso gli occhi, ma era bastato per vedere il volto contorto dal pianto pronto a esplodere di Penguin.

“Oh mio Dio!” La frase era risultata mezza soffocata perché il pirata di Swallow Island si era precipitato vero il letto, si era buttato a sedere sull'ampio materasso e solo la consapevolezza che Law era pieno di punti di sutura gli aveva impedito di gettarsi sul suo corpo, ma nulla l'aveva bloccato dal seppellire il volto nel cuscino, guancia contro guancia con il suo capitano, una mano a tenere la sua testa contro la propria. “Oh mio Dio, ti sei svegliato!” Aveva preso a singhiozzare, bagnando tanto il cuscino quanto il volto del fratello.
Law aveva tenuto lo sguardo fisso, incredulo. Per quante prove avesse avuto fino a quel momento a sostegno dell'irrealistico fatto che fosse vivo, non c'era nulla di più vero dell'insensato e incommensurabile amore che quella chioccia di Penguin provava per lui. Il medico aveva inspirato profondamente, il labbro aveva iniziato a tremargli mentre la vista gli si offuscava non per una ricaduta della malattia, perché di quella non c'era più traccia, bensì per le lacrime che minacciavano di rigargli le guance. Law aveva sussultato, spingendo il volto contro quello del fratello e cercando di sopprimere il pianto. Non avrebbe versato una sola lacrima, non si sarebbe mostrato debole dopo che era già caduto tanto in basso da far arrestare il proprio cuore, ma non avrebbe rinunciato a quel contatto, a quell'affetto. Aveva strusciato la guancia contro quella di Penguin, debolmente, non potendo fare altro se non stringere le coperte nei propri pugni.

Sebbene non fosse consono a troppe effusioni, gli sembrava di non riceverne da anni. Gli erano mancate e aveva serrato le palpebre, sentendo l'umidità fra le ciglia, mentre si beava del profumo di shampoo di Penguin, del tepore della sua pelle.

“Pen...” La gola gli bruciava e parlare era difficile, sentiva la lingua impastata come se fosse allergico a qualcosa, ma non aveva demorso. C'erano tante cose che voleva dire e chiedere, era pure tentato di confessare al fratello quanto diamine gli volesse bene, ma una domanda lo tormentava più di qualunque altra cosa. “... perché sono vivo?”

Penguin si era allontanato il tanto che gli bastava per guardare negli occhi il proprio capitano, con un'aria ambigua, come se fosse stato troppo assorto dal momento per aspettarsi quella domanda e poter dare un'adeguata risposta. Poi aveva tirato all'insù gli angoli delle labbra, divertito, e si era asciugato le lacrime che però si erano riversate subito dopo. Aveva ampliato il proprio sorriso, guardando dolcemente il fratellino e cingendogli il viso.
“Perché sei un genio.”

Law l'aveva fissato senza capire, godendo del tocco di Penguin sul proprio volto. Avrebbe voluto approfondire, comprendere quelle parole che gli parevano così fuori luogo, ma il sussurro tremolante e altresì gioioso di Bepo l'aveva distratto, facendogli scostare lo sguardo per andare alla ricerca del proprio vice, che varcava la porta della sua cabina in quel momento.

“Captain!” L'orso si era fatto più coraggio ed era corso verso il suo letto, lasciando libera la soglia dove altri Hearts erano congelati, con solo dei sorrisi entusiasti, scossi da fremiti, a tradire la loro immobilità.
Il visone aveva raggiunto e abbracciato l'amico di tutta una vita, piangendo più di quando lo aveva rivisto su Zou dopo mesi di lontananza, e mormorando a ripetizione il suo titolo.

Law aveva trovato la forza di estrarre un braccio dalle coperte per affondare le dita nella folta pelliccia di Bepo, la sua medicina preferita, pettinandogliela e aggrappandosi ad essa. Gli doleva il petto muovendo gli arti, la pelle tirava, la carne, laddove era stata ricucita, gli bruciava e delle fitte si diramavano per tutto il tronco, ma abbracciare il suo migliore amico faceva valere la pena, letteralmente.
Aveva preso un lungo respiro, percependo l'odore pungente ma non spiacevole di quel folto pelo bianco. Gli era quasi venuto da sorridere. Era molto probabile che Bepo non si facesse il bagno da un po', ma il suo comandante non lo avrebbe biasimato, soprattutto perché, ora che era abbastanza sveglio da far funzionare a dovere le proprie narici, poteva annusare i vari aromi nella stanza, ed era del tutto galante nel definirli “aromi”. Oltre al puzzo di svariati farmaci che per primo aveva sentito, il fetore di sangue fresco veniva dal suo stesso corpo. Le ferite dovevano essere piuttosto recenti. Si chiedeva quanto tempo fosse passato dacché era morto. E poi, perché era pieno di ferite, suture e bendaggi? Aveva provato a trovare una risposta, ma si era presto distratto perché il navigatore si era tirato indietro, guardandolo con un sorriso bagnato di lacrime e dicendogli quanto fosse felice di vederlo.

Gli altri compagni avevano approfittato di quello spiraglio nell'abbraccio del visone per raggiungere il capitano e dargli il ben tornato, piangendo di gioia. Law era troppo stanco per stare dietro a tutti, quasi non ricordava quanti dei suoi amici avesse rivisto e salutato, sebbene lasciasse che fossero gli altri a parlare, perlopiù, poiché lui faticava troppo, ma certamente non li avrebbe allontanati. In realtà credeva di essere piuttosto forte malgrado quello che aveva affrontato, quindi era quasi sorpreso di riuscire non solo a stare sveglio, ma pure di sorridere a ognuno, con reale felicità. Tuttavia la sua energia non era infinita, ed era giusto consapevole di Clione che gli stringeva una mano mentre le sue palpebre si facevano più pesanti e il suo sorriso più tenue.

“Ti lasciamo dormire?” Non era una vera domanda quella del biondo, piuttosto una gentile comunicazione.

Law aveva sospirato sommessamente dentro la propria maschera di ossigeno, e con un poco di vigore aveva denegato. Non voleva assopirsi. Era sicuro che mancasse ancora qualche Hearts all'appello e poi aveva tante domande. Inoltre, l'ultima volta che si era abbandonato a Morfeo era finito all'altro mondo, e per quanto fosse assurdo, soprattutto considerando che ora era vivo e ancora non aveva spiegazioni a tal proposito, era certo che fosse successo. I ricordi di quel momento, dell'esatto istante in cui la sua vita era cessata, erano confusi, ma le terribili sensazioni erano ancora così vivide. Non l'avrebbe definita paura, la sua, ma attenta e studiata preservazione della propria persona. E se qualcuno avesse osato ribattere, Law lo avrebbe cortesemente invitato a provare la sua stessa esperienza.

La voce divertita di Uni gli era giunta poco dopo, dalla sua destra.
“Sai bene che dovresti riposare. Sei ancora convalescente.”

Law aveva chiuso gli occhi, ma aveva combattuto la stanchezza, costringendosi a parlare e sperando che il gesto fosse sufficiente a tenerlo vispo.
“Vai tu a dormire. O a farti una doccia... puzzate più di me.” Le sue parole erano risultate un po' biascicate, ma erano distinguibili, e avevano fatto ghignare i pirati.

“Scusa se irritiamo il tuo delicato nasino.” Quella nota melliflua nel tono di Penguin era un autentico toccasana. Law non sapeva neanche contare i giorni passati a fingere di star bene e a costruire sorrisi falsi, da parte propria e da parte del suo equipaggio. Quelle lievi battutine, invece, per quanto frivole e forse infantili, erano vere.

Il medico aveva piegato le labbra con fare compiaciuto ed era riuscito a risollevare le palpebre per guardare il fratellone, anche se il suo era uno sguardo un po' confuso, gli occhi a mezz'asta.
“Anche se tu non puzzi, hai un aspetto orribile.”

Aveva visto il compagno ricambiare il suo divertimento e grattarsi il mento con fare causale.
“E non mi hai visto con baffi e pizzetto.”

“Cosa?” Quella novità era riuscita a catturare l'attenzione del capitano e a strapparlo dal placido annebbiamento che lo stava sovrastando.

“Avresti dovuto vederlo, Cap'...” Law aveva spostato lo sguardo su White Fox. “aveva un che di virile, ma contrapposto al suo stupido berretto era a dir poco ridicolo.”

“Per questo,” Si era aggiunta all'improvviso la voce di Shachi, e Law aveva fatto del proprio meglio per sollevare il capo e guardare verso l'uscio, dove il rosso stava appoggiato con uno sguardo morbido e, semplicemente, felice. “gli ho sempre detto che farebbe meglio a tenersi il muso liscio come il culo di un bambino. Il suo cappello è più ridicolo del mio e del tuo messi assieme, stona troppo coi peli sul viso!”

Se stavolta, rincontrando uno dei propri fratelli, il suo labbro inferiore non era stato colto da fremiti, era solo perché lo shock di essere ancora vivo si era affievolito, non perché fosse meno felice di vedere Shachi. Law si era limitato a morderlo, quel labbro, mentre quello del fratello se ne fregava altamente di trattenersi e le lacrime gli cadevano indisturbate lungo le guance, intanto che il ragazzo si affrettava per potersi sedere sul materasso e poggiare la propria fronte su quella del comandante.
“Brutto bastardo, non provarci mai più a farmi qualcosa del genere...” Non l'aveva esplicitato, ma il medico lo aveva sentito forte e chiaro: “Non morire mai più. Non prima di me, non davanti a me e non a questa età.” Law aveva ingoiato un gemito di dolore pur di poter avvolgere le braccia dietro il collo dell'amico. Glielo doveva, dopo il modo in cui lo aveva lasciato. La sua presa era molle, ma Shachi gli aveva portato una mano all'altezza del gomito, per aiutarlo a tener sollevate la braccia, e l'altra mano l'aveva insinuata dietro la nuca di Law, tra i suoi capelli con un'adorabile e ridicola ricrescita nera.

“Comunque...” Aveva mormorato il rosso, dopo un po' che si era abbandonato all'affetto del fratellino e si era compiaciuto del calore del suo corpo. “...quello esteticamente più orripilante sei tu, Captain.” Pur non guardandolo in volto, aveva perfettamente immaginato come il medico si corrucciasse, e infatti poco dopo Law aveva scansato il viso, costringendo Shachi a indietreggiare a propria volta. Questi lo aveva guardato divertito, le lacrime finalmente avevano smesso di scorrere.

“Sono messo così male?” Law aveva inclinato la testa con fare dubbioso. In realtà era certo di non essere un granché, ma poteva essere peggio di quando era morto?
Aveva adocchiato Penguin prendere uno degli specchi da tavolo che aveva su un comò e passarglielo. Bepo lo aveva aiutato a mettersi in una posizione più comoda contro ai cuscini. Non poteva sedersi, ma avere il capo sollevato era già qualcosa. Afferrato lo specchio, lo aveva portato davanti a sé.
E aveva riso.
L'autoironia non gli era troppo affine perché lui era un perfezionista, erano poche le cose in cui non eccelleva e che aveva l'onestà di rimproverarsi, ma quella faccia... era terribile, davvero, e i suoi amici lo avevano accompagnato nel suo divertimento. La pelle, anche se decisamente di un colorito più salutare e uniforme, era ancora bianca come il latte, un ambigua tonalità rispetto alla sua solita carnagione abbronzata. Era comunque un ragazzo bianco, lui, ma quello era troppo. Inoltre la cute era secca e in netto contrasto con le palpebre e le sclere totalmente rosse. Le guance leggermente infossate, gli zigomi più spigolosi per colpa di tutto il peso che aveva perso combattendo il Piombo Ambrato. Il grande problema, però, erano i capelli. Anzi, i peli. Perché sicuramente la ricrescita nera era imbarazzante, sembrava la foto in negativo della ricrescita di un'anziana che non si faceva la tinta da un po', ma forse era peggio notare che aveva alcune ciglia nere e altre bianche, basette e pizzetto di varie sfumature tra questi due colori, e a dirla tutta il suo pizzetto andava un po' perdendosi, perché nessuno lo aveva rasato dacché aveva chiuso gli occhi l'ultima volta e Law stesso non ricordava quanto era passato dall'ultima volta che aveva usato la schiuma da barba.
Aveva smesso di ridacchiare perdendo la forza nelle braccia e facendo ricadere lo specchio sulle coperte, ma l'ilarità non l'aveva abbandonato.
“Potrei far rabbrividire perfino Ikkaku.” Qualcuno aveva annuito, mentre Uni sosteneva che in realtà Law aveva solo un aspetto stravolto, ma era ancora affascinante.

“A proposito...” Il medico aveva inarcato la schiena contro il materasso, percependo tutti i punti tirare e dolergli, ma pure i muscoli ringraziarlo. “dov'è la riccia?”

“Beh, è mattina presto e lei ha la febbre, quindi è ancora a letto. Mi dispiace.” Bepo aveva fatto bene a dispiacersi, una volta tanto, perché le sue parole avevano fatto risuonare l'elettrocardiogramma, e infatti il visone aveva visto Law spalancare gli occhi.

“Sta male? Perché?”

“Law, calmati.” Penguin era tornato a sedersi sul bordo del materasso, poggiando una mano sulla spalla del fratello, sperando di placarlo. Non gli faceva bene agitarsi. Il suo cuore poteva essere ancora troppo debole per una situazione del genere. “Non è niente di grave, solo stress, troppa stanchezza... ad essere onesto non è stata l'unica con qualche linea di febbre. Io mi sono ripreso giusto ieri sera.” Aveva osservato il viso del capitano corrucciarsi con fare triste e colpevole. Penguin sapeva a cosa stava pensando il suo amico. Credeva fosse colpa sua, che aveva sfiancato a tal punto i suoi compagni da farli ammalare. Il corsaro di Swallow Island non poteva certo dire il contrario, effettivamente era andata così, ma nessuno ne faceva una colpa a Law. “Cap', non fare quella faccia. Cosa c'è di strano in tutto ciò? Siamo pirati, abbiamo affrontato avventure ben diverse ma altrettanto struggenti per le quali, poi, ci siamo ammalati. È così che reagisce il corpo umano dopo un anomalo accumulo di fatica e tensione, lo sai meglio di me, dottore. Non c'è nulla di nuovo o di tragico, intesi?”

L'altro aveva annuito a malincuore e solo dopo qualche attimo. Era ben conscio di come funzionasse il corpo umano, ma questo non lo rallegrava. In fin dei conti era stato lui la causa dello stress e della fatica dei suoi compagni. Si era sistemato la maschera dell'ossigeno, che cominciava a infastidirlo un po' e aveva poi ricercato gli occhi dell'amico.
“Hai detto di esserti ripreso ieri. Quanto tempo è passato da...” Aveva esitato, perché dire “da quando sono morto” pareva così surreale, ma era quello che era successo.

Il suo tentennamento, però, aveva parlato da sé e Penguin aveva capito.
“Due giorni e mezzo. Ti abbiamo tenuto in coma farmacologico solo per le prime ventiquattro ore, poi i dati segnalavano miglioramenti incredibili, quindi abbiamo solo aspettato che ti risvegliassi.” Aveva inclinato il capo verso la propria spalla, guardando teneramente l'altro. “Nel frattempo ne abbiamo approfittato per dare una sistemata a noi stessi e alla nave, ma chi ha accusato un po' di febbre non sempre si è preso la briga di farsi una doccia, eh, ragazzi?” Il suo sguardo ammiccante era andato a posarsi su qualche Hearts imbarazzato, Bepo compreso. “Però davvero, Cap', niente di serio, non preoccuparti. Se Ikkaku è ancora ammalata, beh...” Si era massaggiato nervosamente un braccio, come alla ricerca delle parole giuste o forse timoroso di affermare qualcosa del genere ad alta voce. “Che non esca da qui, ma è solo perché lei è una ragazza. È più fragile rispetto a noi.”

Effettivamente, sebbene ogni organismo rispondesse con gli stessi sintomi, ma con diversa intensità ad una stessa malattia, la febbre che aveva colpito alcuni degli Hearts era dovuta solo all'esaurimento psico-fisico che avevano subito, e davanti a un identico sforzo fisico, uomo o donna faceva la differenza.
Ikkaku era sicuramente più forte di un uomo qualsiasi, ma i suoi compagni non erano persone comuni e a conti fatti, lei era quella che più aveva accusato la fatica post operatoria.
Eppure, Law non aveva ancora finito di trarre questa conclusione, che la voce alterata dell'unica fanciulla di bordo aveva fatto rizzare i peli a Penguin.
“Pen, se non fosse che il Captain si è risvegliato, ti starei rompendo le ossa a braccio di ferro, chiaro?”

La vittima della minaccia si era voltata a guardare la riccia e quando questa era avanzata verso il letto, Penguin era stato già pronto a prendere Shachi e a usarlo come scudo umano, ma poi aveva scorto gli occhi di lei brillare, umidi, e un sorriso dolce che si spezzava tra singhiozzi e sorrisi ancora più grandi. Non si era avvicinata per lui, ma per la ragione di vita di tutti e venti gli Heart Pirates.
“Capitano!”
Si era quasi lasciata cadere sul materasso e direttamente sul corpo di Law. L'aveva abbracciato immediatamente, come meglio poteva, evitando i tubi e i sensori a cui era ancora collegato.

Law aveva ammorbidito lo sguardo, sollevando una sola mano per portarla tra i capelli ispidi di lei. Si rendeva conto solo in quel momento, percependo la pelle troppo calda di Ikkaku, che aveva stretto la mano e abbracciato altri compagni con una temperatura allarmante. Il fatto che i suoi infallibili sensi di medico non si fossero allertati la diceva lunga su quanto straziato fosse il suo corpo, e pure la sua mente.
Aveva respirato il profumo della compagna ed era lieto che fosse tra le poche malate che non aveva rinunciato alla pulizia personale, ma d'altronde lei, per quanto sapesse sputare lontano e fosse sempre piena di olio per motori quando usciva dalla sala macchine, era una signora.

Ikkaku si era scostata dopo troppo poco tempo secondo i propri gusti, ma sapeva di non dover affaticare il comandante. Lo aveva guardato attraverso lo spiraglio che erano i suoi occhi quando sorrideva e piangeva così tanto.
“Sono così contenta che tu stia bene!”

Lui aveva ricambiato il sorriso, sbuffando sonoramente dentro la mascherina dell'ossigeno. Poi il suo sguardo si era fatto più meditabondo e quasi con casualità aveva fatto scivolare la mano sulla guancia di Ikkaku, accarezzandola distrattamente col pollice.
“Ma esattamente, perché sto bene?”

 
°°FINE PRIMA PARTE°°


*Faccio riferimento alla mia vecchia OneShot “La settimanale giornata delle pulizie” → https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3614413&i=1

Vi invito a leggerla e commentarla, mi farebbe piacere!


 
NOTE IMPORTANTI

Ciao ♥
Chi mi segue su Instagram ( https://www.instagram.com/pawa_art/?hl=it ) sa che questo capitolo, nella sua interezza, è un TANTINELLO lungo, quindi sono stata costretta a dividerlo o mi avreste sparato. Però non mi dispiace troppo, sebbene avrei preferito pubblicare “un gran finale”, in tutti i sensi, tuttavia anche così può funzionare.

Il phatos in questa metà, spiegazioni e baci e abbracci finali nell'altra!


Quasi quasi è un capitolo transitorio, questo, che appunto ci porta alla fine di questa storia che mi ha dato tante gioie (e a voi cosa ha dato?) però mette in chiaro certi punti non di poca importanza, come la questione “Sengoku”.

Allora, avete qualche idea su come funziona la cura del Piombo Ambrato?
Chi l'ha trovata tra tutti gli Hearts che si sono scervellati nella ricerca?

Spero che, giunti a questo punto e dopo dinamiche drammatiche e risvolti scientifici complessi, Il Mostro Bianco vi affascini ancora! Io non posso crede che ora mi manca solo la seconda metà dell'ultimo capitolo e poi dovrò dire addio alla mia bambina. Raga, è dal 2017 che la scrivo! Rendiamoci conto.

Ultima richiesta in onore di questa fiction!
Poiché ormai siamo agli sgoccioli, mi piacerebbe che Il Mostro Bianco lasciasse un'impronta sul sito, quindi mi fareste un favore aggiungendolo tra le vostre storie preferite, cliccando sul pulsante in alto a destra ♥!
Passo e chiudo!


Ma è finita qui?

NO! Il Mostro Bianco avrà ben → DUE seguiti←!
Si tratta di storie simili per la narrazione e le dinamiche tra i personaggi (cioè gli Hearts come famiglia e simili) che citano i fatti accaduti in questa avventura, sebbene le trame non siano strettamente correlate, quindi potete andare a leggere i “sequel-non-sequel” anche se dimentichi di questa storia!

Il primo capitolo del primo sequel, Fatum Mastro, è già online!

https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3973626&i=1

Mi farebbe piangere di gioia ritrovarvi anche lì, tra i commenti ♥!

E l'altro sequel di cosa parlerà?
Una battaglia contro la Marina, Robin e Penguin in pericolo, Law che si mette in mezzo per salvarli ed ecco Trafalgar Law smemorino!
Non saprà chi è, dove si trova e chi sono i curiosi personaggi che lo circondano. Rufy non aiuterà a superare il trauma.

Bene, fatemi sapere tutto ciò che pensate di questa storia, intanto vi aspetto anche su quella nuova!

Baci
Pawa


 

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